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“Mons.

Cesare Orsenigo: una storia di Fede ed Obbedienza"


-La coraggiosa testimonianza del Nunzio Apostolico, durante il Terzo Reich, nei suoi rapporti
con i Papi Pio XI e Pio XII -

Relazione di Monica Maria Biffi

Mons. Cesare Orsenigo si può definire a tutti gli effetti un personaggio storico, anche se, per
la grande maggioranza della gente comune, è quasi un “illustre sconosciuto”.
Nonostante abbia avuto un ruolo chiave, come Nunzio, cioè ambasciatore del Vaticano, in
Germania, durante tutto il periodo nazista (si ritrovò, ad un certo punto ad essere l'unico
diplomatico vaticano accreditato in una vastissima zona dell'Europa centrale, quella conquistata dai
tedeschi) e nonostante dalle sue mani siano passate, dirette alla Santa Sede, qualcosa come 3000
comunicazioni in sedici anni, eppure la sua persona per molto tempo è stata relegata ai margini
dell'analisi storica del periodo.
Verso la fine degli anni 90 però, molti storici professionisti che si dedicavano ad
approfondire in modo più dettagliato l'argomento dei rapporti fra Vaticano e Nazismo,
cominciarono finalmente ad esaminare la figura di Orsenigo con l'attenzione che gli spetta.

C'è da sottolineare che le numerose polemiche che ad ondate alterne investono la Chiesa
Cattolica e in particolare la figura di Pio XII, sui cosiddetti “silenzi” riguardanti la persecuzione
verso gli Ebrei, non aiutano l'esame oggettivo della questione, nè il giudizio sui personaggi
coinvolti, formando nell'opinione pubblica, soprattutto, un certo senso di sospetto che porta a
sottolineare e ricordare solo i lati che sembrano negativi, tralasciando invece tutto il positivo che è
storicamente documentato.
In particolare, per quanto riguarda Mons. Orsenigo, queste polemiche, che fino agli anni “90
l'avevano quasi sempre dimenticato, o considerato solo di “sfuggita”, l'hanno riscoperto e portato
alla ribalta, in questi ultimi anni, utilizzandolo molto spesso come “capro espiatorio”, ma senza
analizzare veramente la figura nella sua completezza.

Il cavalletto per la tortura, pubblicato da Città Nuova, nel 2006, ha voluto aggiungere alla
discussione sul personaggio nuove informazioni, tratte appunto dalle carte private, per permettere
una conoscenza più completa, che dai documenti ufficiali non emerge e che invece è fondamentale
per la comprensione di certi suoi atteggiamenti e certe azioni, in determinate e drammatiche
situazioni.

Con questa relazione si vuole illustrare a grandi linee la figura e l'attività diplomatica del
Nunzio Orsenigo, sottolineando in particolare il rapporto che intercorse tra lui e Achille Ratti, papa
Pio XI, prima, ed Eugenio Pacelli, papa Pio XII, poi.

E' necessario spendere qualche parola sulla vita di mons. Orsenigo, precedente all'ingresso
nella diplomazia vaticana.

Era nato nel 1873 a Villa S. Carlo, ad una decina di Km da Lecco, in piena Brianza
lecchese.1
Frequentò i primi anni di Seminario al Carrobiolo di Monza, detto anche Collegio Villoresi.

1
Cfr BIFFI M.M., Mons. Cesare Orsenigo Nunzio Apostolico in Germania (1930- 1946), NED, Milano 1997.
L’educazione di stampo rosminiano ricevuta al Carrobiolo influenzò fortemente tutta l’attività
pastorale, letteraria e diplomatica futura di Orsenigo, che “si gloriava di essere un villoresino
autentico”. 2
Fu ordinato sacerdote dal Cardinal Ferrari nel 1896.
Dopo qualche esperienza pastorale in piccole parrocchie di provincia, venne inviato a S.
Fedele a Milano, dove rimase fino al 1922.
Gli anni che trascorse in questa Parrocchia furono pieni di attività culturali e pastorali: si occupò
attivamente di educazione dei giovani, insegnando anche all'Associazione degli studenti di S.
Stanislao, alle ragazze del Cenacolo e dell’Istituto Alfieri.
Venne incaricato della gestione di Asili, Orfani, varie opere di beneficenza, divenendo
Direttore della Società delle Dame di S. Vincenzo e fondando la branca giovanile
dell’associazione, le cosiddette “Allieve della Carità”, o “Damine di S. Vincenzo”.
Gli sforzi più grandi di Orsenigo nel campo caritativo si espletarono però nella fondazione
dell’Opera Pia Catena, avvenuta nel 1902, istituzione benefica nata per celebrare Mons. Catena, il
confessore di Manzoni e di Verdi, che era stato suo primo parroco a S. Fedele. Essa si occupava di
assistere i malati, poveri e bisognosi, inizialmente della Parrocchia, poi negli anni a venire di tutta
Milano e oltre, fornendo loro gratuitamente cicli di cure a Salsomaggiore in strutture, nei primi
tempi, convenzionate e poi successivamente costruite appositamente con l'aiuto di moltissimi
benefattori milanesi. Questa Opera, gestita sempre dalla Parrocchia di S. Fedele, si occupa tuttora di
assistere poveri bisognosi, anche se non più con le cure, infatti la bellissima struttura di Salso è
stata venduta recentemente e monetizzata.

Nel 1912, all’età di 39 anni, venne nominato Canonico ordinario della Cattedrale di Milano,
nel 1921 venne incaricato della Sovrintendenza dell’Opera dei Cappellani dell’emigrazione di
Roma.
Il 7 agosto del 1921, in occasione della Messa d’argento, divenne Commendatore della Corona
d’Italia per meriti filantropici.3

Orsenigo non era solo uomo di fede e carità, ma anche un grande esperto d’arte e critico
letterario molto competente. Secondo il noto teologo Mons. Carlo Colombo “era stimato uno dei
sacerdoti più dotti della Diocesi.” 4
In quegli anni, si recò spesso, per i suoi studi, alla Biblioteca Ambrosiana e conobbe Mons.
Achille Ratti, che dal 1907 ne era il Prefetto.
Questa conoscenza generò una collaborazione molto proficua dal punto di vista letterario
che sfociò nella pubblicazione di ventisei numeri del periodico “S. Carlo Borromeo nel terzo
Centenario della Canonizzazione 1610-1910”, commissionato dal Card. Ferrari, per celebrare la
ricorrenza.
Mons. Ratti, che ne era anche il Coordinatore, affidò proprio ad Orsenigo il compito di scrivere
una “Vita di S. Carlo” a puntate.
La pubblicazione fu molto apprezzata e ricercata e venne allora giudicata, per accuratezza, serietà
scientifica e ricchezza di informazioni, una delle migliori che fossero mai state scritte
sull’argomento, ebbe varie riedizioni e traduzioni in numerose lingue.

Iniziò così un fecondo rapporto di collaborazione, di stima e anche, in qualche modo, di


amicizia, tra il più maturo studioso, come era il Ratti, e il giovane prete. Ciò che lo legava al
Prefetto dell’Ambrosiana, come scrisse Padre Gemelli, buon amico di Orsenigo, oltre alla
“reciproca elevata stima del valore intellettuale e morale” era anche “ una certa affinità di

2
MANDELLI F., Profili di preti ambrosiani del Novecento, NED, Milano 1980, 89- 90.
3
BIFFI M.M., Il cavalletto per la tortura, Città Nuova, Roma 2006, 23.
4
COLOMBO C., Ricordo di Mons. Cesare Orsenigo a quarant’anni dalla sua morte, In Supplemento al n° 21 di “Vita
Nostra”, Bollettino Parrocchiale di Villa S. Carlo, Olginate 1986, 84.
orientazione mentale e pratica; non avevano solo collaborato insieme, si erano intesi facilmente
come esponenti di un eguale ambiente e per certe rassomiglianze di carattere: un dignitoso riserbo,
un procedere raccolto e prudente nell’agire, una discrezione indulgente nei giudizi, l’astenersi da
lotte che per anni divisero il clero ambrosiano, un fervido amore di patria conciliato con
l’obbedienza all’autorità ecclesiastica superiore in un momento storico in cui era facile ed anche
frequente eccedere in un senso o nell’altro”.5

Nel frattempo Achille Ratti venne chiamato a Roma alla Biblioteca Vaticana, poi intraprese
la carriera diplomatica.
Nel marzo del 1921 fu eletto Arcivescovo di Milano e, nel giugno dello stesso anno,
cardinale. Succedeva al Card. Ferrari, morto a gennaio, del quale ereditava anche i simboli
episcopali: la catena con la croce pettorale e l’anello. Nel capoluogo lombardo restò solo pochi
mesi, dal settembre 1921 al gennaio del 1922, quando partì per Roma dopo la morte di Benedetto
XV, per partecipare al Conclave.
In questi pochi mesi però, aveva riallacciato il rapporto di stima e confidenza con Orsenigo.

Giunto nella capitale per il Conclave, Mons. Ratti uscì dopo pochi giorni eletto Papa.
La sua nomina a successore di Pietro fu per moltissimi una sorpresa..
A Milano si accolse l’elezione con grandi cerimonie di festeggiamento; in occasione del solenne
“Te Deum” celebrato il 12 febbraio presso le Suore del Cenacolo, Mons. Orsenigo tenne un
commosso discorso:
“(...) tre ordini distinti di motivi ci spingono a ringraziare il Signore; Lo ringraziamo
anzitutto perché cristiani; Lo ringraziamo perché milanesi; Lo ringraziamo perché antichi e devoti
frequentatori di questa chiesina che fu centro costante dell’attività religiosa di Pio XI.
E a questi motivi io potrei aggiungerne un altro tutto mio personale, e cioè la gioia di poter
parlare di Lui, oggi, in questo luogo, ad un tale uditorio. (...)
Colui che oggi fu incoronato – novello nocchiero della Chiesa di Cristo – ha la mente ed il
cuore capaci per questo compito mondiale che la mente grandiosa ed il cuore veramente cattolico di
Benedetto XV hanno avviato: li ha, e ben lo possiamo dire noi, che non da ieri lo abbiamo scoperto
e che sempre l’abbiamo ritenuto degno dei primi gradi gerarchici, li ha e ce lo hanno già attestato i
pochi sprazzi di governo che trapelarono attraverso il rapido succedersi delle sue difficili mansioni,
li ha e lo ha certo presentito Benedetto XV incalzando le promozioni, che lo dovevano elevare fino
al cardinalato per il giorno in cui doveva aprirsi la successione al Papato. (...) ”6

Pochi giorni dopo, il 2 marzo, Mons. Orsenigo si recò a Roma e venne ricevuto in udienza
da Pio XI il quale forse cominciava a pensare come impiegare quel poliedrico sacerdote in compiti
diversi dalla sola vita pastorale.
Probabilmente rivedeva in Mons. Orsenigo una certa somiglianza con se stesso: l’amore per gli
studi, la conoscenza delle lingue, l’arguzia, la capacità di obbedire e di tacere, nonché di osservare e
farsi ben volere anche dagli avversari...
Tutte queste caratteristiche tornarono alla mente del papa quando si decise, un paio di mesi dopo,
come comporre la vertenza tra Olanda e S. Sede, che era arrivata, in quel periodo, ad un punto
cruciale.

Dopo il Congresso di Vienna, era consuetudine di ogni stato europeo che il Nunzio
Apostolico, cioè il rappresentante diplomatico del Vaticano accreditato presso il Governo del paese,
rivestisse anche il ruolo di Decano del Corpo Diplomatico stesso.

5
GEMELLI A., Discorso letto in commemorazione di Mons. Orsenigo, In Supplemento al n° 21 di “Vita Nostra”, cit.,
37.
6
ORSENIGO C., Parole dette da Mons. Cesare Orsenigo il giorno 12 febbraio 1922...., cit,.
Questa consuetudine però non era accettata in Olanda, paese a maggioranza protestante. 7
A causa delle forti opposizioni interne, in Olanda il Vaticano era rappresentato pertanto non da una
Nunziatura, ma da una Internunziatura alla quale si contestava il diritto alla Precedenza, cioè a
ricoprire il ruolo di Decananza, all’interno del Corpo Diplomatico.8
L’Internunzio, mons. Vicentini, aveva tentato di reclamare il posto di Decano, suscitando
però così tante e aspre polemiche, da essere indotto alla partenza frettolosa dall’Aja. 9

All’inizio di giugno Mons. Orsenigo fu convocato a Roma.


Fu informato di essere atteso in Vaticano da Mons. Confalonieri.
In un bellissimo diario, conservato nell'Archivio di Famiglia, raccontò così gli avvenimenti,
che gli avrebbero cambiato la vita:

“5 (giugno) (...)
Alle 17 sono in Vaticano –ignaro di tutto e nulla sospettando-
Alle 9 ½ sono in udienza papale.
E’ Sua Santità dunque che mi ha fatto chiamare!
Il colloquio è molto amichevole: ‘Caro Orsenigo –bisogna cambiar vita- Deve andare all’Aia’.
Tento qualche argomento, ma è inutile
‘Le attitudini le conosco io, mi dice; e gli impegni si possono sistemare’.
‘E se morisse? Dio ha il diritto di prendere i Sacerdoti e portarli in Paradiso, al Suo Vicario bisogna
dare almeno il diritto di portarli in... un’altra nazione! Tutto sub segreto Pontificio’.
(...)
Penso all’obbedienza promessa il giorno della Consacrazione presbiterale: dopo quasi 26 anni di
sacerdozio, il Signore mi mette alla prova. E perché dovrei cercare dei pretesti per non obbedire? Il
Papa mi conosce bene, dunque il suo comando, anche umanamente, ispira fiducia.”

Mons. Orsenigo fece ritorno a Milano tentando di comportarsi come al solito. Era convinto
di partire dopo qualche mese e di avere quindi tutto il tempo per sistemare le sue numerose attività
pastorali, ma il Papa non gli aveva detto tutta la verità. Nel Diario si legge, qualche giorno dopo:

“7 Giugno (mercoledì) Alle 10 una lettera della Segreteria di Stato: ‘La sua partenza per
l’Olanda è imminente; appena cioè avremo ottenuto l’agrèment del governo Olandese, a cui fu già
proposto il suo nome. Si prepari per l’Ordinazione Episcopale – come meglio può – tutto sub
segreto’. Ma allora non parto come Segretario, ma come Nunzio?! E poi la Consacrazione
Episcopale?! Che terribile momento! Non è possibile indietreggiare: è già impegnato il Governo
d’Olanda. E non posso parlare. Giorni di emozioni terribili, non c’è altro aggettivo.
(...) Sto in piedi solo pensando all’obbedienza.”

Dopo aver frettolosamente dato alcune disposizioni e designato dei successori per le sue
numerose opere pastorali e di carità, il 22 giugno Orsenigo partì per Roma, ancora sconvolto per il
precipitarsi degli avvenimenti:

“Non so come riesco a tenermi la testa a posto! Impossibile dormire e impossibile nutrirsi” 10,
annotò.
All’amico, Mons. Luigi Levati, aveva confidato, prima di partire, come gli fosse doloroso
“separarsi da tutte le Opere che presiedeva: l’Oratorio, la Società delle Dame di S. Vincenzo, delle
Allieve della Carità... ma specialmente l’Opera Pia Catena e – Tu sai – (gli) diceva- quanto mi sia
7
BIFFI M.M., Il cavalletto per la tortura, cit., 52.
8
BIFFI M.M., Il cavalletto per la tortura, cit.,53.
9
BIFFI M.M., Il cavalletto per la tortura, cit.,53.
10
BIFFI M.M., Il cavalletto per la tortura, cit.,54- 55.
cara, quanto mi costi... Mi consolano due pensieri, quello dell’obbedienza; non ho cercato io; il
Papa lo vuole! Il Signore mi aiuterà! E poi penso alla soddisfazione dei miei cari vecchi in
Paradiso! –“ 11

Il venerdì 23 Giugno, Orsenigo si presentò in Vaticano:


“(...) alle 11 ½ sono in udienza papale.
‘Bisogna far presto’ Questa è la parola d’ordine. Per il g. 1° luglio bisogna trovarsi in Olanda.
I Segretari di S. Santità – e specialmente il Maestro di Camera - Mons. Caccia mi aiutano in tutto il
possibile. Si improvvisa ogni cosa: abiti – visite d’ufficio – documenti – passaporti –credenziali –
Bolle.- Ma non si può improvvisare il coraggio- scrisse.

Pio XI aveva forzato la mano del suo antico collaboratore per convincerlo ad uscire dalla
diocesi milanese e mettersi al servizio della Chiesa Universale:
“Non avrei mai fatto un passo simile, se mi avessero lasciato un minuto di scelta’- annotò
infatti- Sono come un cavallo, abilmente messo a gran corsa, e poi condotto davanti all’ostacolo: ho
dovuto saltare per forza. Mi sento però sorretto da una mano potente. Sento che a Pio XI obbedisco
più facilmente: penso che questo toglie un po’ di merito alla mia obbedienza. Mi son fatto la
domanda: Avresti obbedito a Benedetto XV, al Card. Ferrari in un simile frangente? Non ho avuto
il coraggio di cercare la risposta: ho preferito glisser. Obbedisco” 12

La nomina di un semplice Canonico onorario del Duomo di Milano, completamente estraneo


alle questioni diplomatiche, per questo delicato incarico sorprese molte persone anche perché Pio
XI era particolarmente severo per quanto riguardava la preparazione del clero “di rango più
elevato.” Egli voleva che tutti i candidati alle più alte cariche frequentassero un corso di studi di
almeno un anno a Roma per prepararsi adeguatamente alla carriera diplomatica.13
Questa scelta perciò fece discutere parecchio negli ambienti romani; si è scritto a proposito:
“Perché quella consacrazione episcopale così repentina, fatta quasi alla chetichella, senza
interporre il tempo occorrente per una degna preparazione alla sacra cerimonia? Si sussurrava (...)
che erano sorte notevoli difficoltà nei rapporti tra l’Olanda e la Santa Sede e che occorreva che la
Nunziatura, vacante del titolare, fosse al più presto ricoperta da una persona abile nei maneggi
diplomatici, o che stesse per succedere in Olanda qualche fatto di risonanza politica che richiedesse
la presenza personale del Nunzio”.14

La consacrazione episcopale di Mons. Orsenigo avvenne domenica 25 giugno 1922 nella


Chiesa di S. Carlo al Corso, detta la Chiesa dei Lombardi.
Poco prima, fu ricevuto in udienza dal Papa che gli diede consigli ed istruzioni sul suo compito
futuro; poi si tolse la croce e l’anello del Card. Ferrari, che portava, e glieli donò.
Orsenigo scrisse:
“ (...) i doni papali hanno un’espressione storica. Porto l’anello, la croce, la catena del Card.
Ferrari. Le vie della Provvidenza sono misteriose! Questa catena mi ricorda un apostolato dei più
laboriosi e dei più popolari: io invece vado in diplomazia”15

Così iniziò quella che lo stesso Orsenigo definì “La ‘Vita Nuova’. L’Internunziatura
Apostolica di un novizio.”16
Gli ordini impartitigli da Pio XI erano molto chiari:

11
OPERA PIA CATENA, Rendiconto dell’annata 1945, Milano, 1946, 8.
12
BIFFI M.M., Il cavalletto per la tortura, cit., 56.
13
RHODES A., Il Vaticano e le dittature 1922- 1945, Mursia, Milano 1975, 221.
14
MANDELLI F., Profili di preti ambrosiani del Novecento, NED, Milano 1980, 82.
15
BIFFI M.M., Il cavalletto per la tortura, cit.,57- 59.
16
BIFFI M.M., Il cavalletto per la tortura, cit.,59.
“Il Santo Padre mi ha detto di regolarmi sul posto. ‘La protesta la farà e non la farà. Vedrà
Lei!’” 17, annotò Mons. Orsenigo nel suo diario. Per questo, in quei primi tempi, si limitò a
sorridere, ascoltare e tacere, come lui stesso scrisse, studiando al contempo il carattere dei suoi
colleghi diplomatici, degli olandesi in generale e le caratteristiche del Cattolicesimo dei Paesi
Bassi.18
In due mesi imparò la lingua, almeno quel tanto che gli bastava per poter leggere a prima
vista i giornali ed apprese anche le complicate regole del Cerimoniale.

I rapporti con l’episcopato olandese all’inizio non furono dei più facili; egli venne accolto
con una certa freddezza formale da alcuni vescovi, che temevano forse una eccessiva invadenza del
nuovo venuto.19
Le cerimonie ufficiali erano un obbligo a cui si sottometteva malvolentieri, auspicando un
tempo futuro in cui ai religiosi potessero essere risparmiate tali incombenze. 20
Riteneva più utili le visite alle varie Legazioni, durante le quali poteva fare conoscenze e
instaurare relazioni con i colleghi diplomatici. 21
In Italia nel frattempo Mussolini, con la marcia su Roma, aveva preso il potere,
apparentemente, senza colpo ferire.
In un pranzo con il Presidente del Consiglio olandese, si toccò l’argomento; Orsenigo, di
indole profondamente patriottica e conservatrice, osservò come, secondo lui, il Fascismo fosse un
fenomeno molto complesso che andava studiato alla luce dell’affermarsi del comunismo e della
debolezza, invece, governativa e che apparentemente era servito per arginare il pericolo di una
imminente rivoluzione comunista. “Ora stiamo a vedere se non ci arriva di peggio. Molte volte i
danni dei pompieri sono peggiori di quelli dell’incendio”, scrisse. 22
I suoi rapporti con il Governo divennero presto decisamente soddisfacenti; Orsenigo aveva
fatto a tutti una buonissima impressione e la sua prudenza era stata notata e apprezzata.
“E’ quanto ho precisamente in programma: prima guadagnarmi i cuori, poi far ragionare le
23
teste.”
Questo sarebbe diventato un po' il modus operandi della sua attività diplomatica: egli, con
la sua prudenza ed il suo buon carattere, a volte anche l'arguzia, con cui stemperava situazioni di
tensione, riuscì a ben disporre gli animi di ambedue le parti in causa, governo olandese e Santa
Sede, che arrivarono presto ad un accordo. Nel dicembre di quello stesso anno, infatti annotò:

“18 dicembre 1922


(...) Ora la contesa prende un'altra piega: l’Internunzio accetta il posto assegnato.... e aspetta tempi
migliori. (...)”
La situazione migliorò anche con i vescovi olandesi i quali, vinta la diffidenza iniziale,
presero ad invitarlo più spesso a cerimonie religiose nelle loro diocesi.
Durante una di queste celebrazioni, dopo “una sequela di discorsi e di brindisi e di
ringraziamenti (...) ho il piacere di sentirmi dire – in un adunanza di 4 laici e 23 preti (tanti erano i
commensali) che ho conquistato completamente gli Olandesi per la semplicità e bonarietà dei modi
– e prendendo occasione dal nome e avvicinandolo all’antico Romano vincitore del nord – si dice
anche per me il Veni- vidi – vici”.24

17
BIFFI M.M., Il cavalletto per la tortura, cit.,60.
18
BIFFI M.M., Il cavalletto per la tortura, cit.,61.
19
BIFFI M.M., Il cavalletto per la tortura, cit.,62- 63.
20
ORSENIGO C., Diario Manoscritto, cit., 8- 22 gennaio 1923.
21
Ivi, 25 novembre 1922.
22
Ivi, 26 ottobre 1922.
23
BIFFI M.M., Il cavalletto per la tortura, cit., 63.
24
BIFFI M.M., Il cavalletto per la tortura, cit.,67.
Il lavoro svolto in Olanda soddisfece ampiamente Pio XI che decise, nella primavera del
1925, di promuovere Mons. Orsenigo Nunzio in Ungheria.
Quando, il 19 maggio, partì per Budapest, un giornale olandese scrisse: “Con Mons.
Orsenigo parte dal nostro Paese un uomo sulla cui opera solo la storia di domani potrà gettare piena
luce, ma del quale si può dire fin d’ora che ha compiuto un lavoro pieno di meriti e che ha dedicato
al nostro Paese e al nostro popolo un cuore ardente: il suo ricordo resterà certo nella nostra
popolazione circondato di amore e riconoscenza.” 25

Il 27 giugno di quell'anno giunse a Budapest e presentò le sue credenziali al Reggente,


l’Ammiraglio Horty.
L’Ungheria in quegli anni era travagliata da numerosi problemi interni. Nata, come stato
indipendente dopo la fine della prima guerra mondiale, risentiva di complicanze politiche,
costituzionali, etniche, religiose e sociali.
Il Nunzio doveva affrontare soprattutto i problemi generati da zone etnicamente contese
come la Transilvania e da circoscrizioni diocesane appartenenti ad altre nazioni vicine (Romania,
ecc.).
L’Ungheria fu sicuramente il suo incarico diplomatico più felice; venne accolto molto
affettuosamente sia dal popolo che dalle autorità civili e religiose magiare; dal canto suo iniziò
subito lo studio della lingua per poter meglio comunicare con loro.
I suoi impegni pastorali acquistarono, in questo periodo, un ritmo frenetico che gli faceva
ricordare i bei tempi di S. Fedele; era un susseguirsi di inviti per inaugurazioni, cerimonie, visite a
scuole cattoliche, a istituzioni caritative, seminari, asili, carceri.
Purtroppo nell'Archivio di Famiglia sono conservate soprattutto testimonianze indirette di
attività pastorale, mentre del suo lavoro più diplomatico rimangono giusto fotografie scattate in
momenti ufficiali.

La comunanza della vita diplomatica avvicinò in quegli anni Orsenigo al “vicino di casa”
Mons. Roncalli, futuro papa Giovanni XXIII, Delegato Apostolico in Bulgaria, il quale, abitando a
pochi chilometri di distanza sull’altra sponda dell’Adda, non mancava di venirlo a trovare per
trascorrere una giornata con lui.
I due diplomatici dopo lo scoppio della guerra non riuscirono ad avere contatti per parecchio
tempo; finalmente nel 1945, subito dopo la fine delle ostilità, quando Roncalli venne inviato come
Nunzio a Parigi, poterono iniziare un fortunoso e molto interessante scambio epistolare.

Ritornando al periodo ungherese, la sua opera anche qui fu molto apprezzata e non solo
dalla popolazione; nel 1930, infatti, Pio XI decise di trasferirlo di nuovo, questa volta alla sede di
Berlino, per sostituire il Card. Pacelli, chiamato a Roma, alla Segreteria di Stato.
Quando, il 12 febbraio, si diffuse la voce che avrebbe lasciato Budapest fu subissato di
lettere da parte degli ordinari diocesani, di sacerdoti, di giovani conosciuti in quegli anni che gli
esprimevano la loro tristezza nel vederlo partire.26

Cesare Orsenigo giunse dunque a Berlino il 25 aprile 1930 e presentò le credenziali al


Presidente del Reich, Hindenburg.
La sede era di costituzione recente, ma senz’altro prestigiosa e questo testimoniava la
considerazione di cui egli godeva presso Pio XI, ma sia per lui che per il suo venerato protettore, si
preparavano anni molto difficili e amari.
Si formò presto un’alta opinione del popolo tedesco, di cui ammirava l’operosità e la
disciplina anche se, a volte, sorrideva per l’eccessiva rigidità dei loro modi.

25
GEMELLI A., Discorso letto in commemorazione..., cit., 39.
26
BIFFI M.M., Il cavalletto per la tortura, cit. 69.
La parte pastorale del suo doppio ruolo era quella che senz’altro prediligeva; in questo mostrava di
seguire fedelmente le indicazioni e i pensieri di Pio XI.
Padre Thomas Brechenmacher, dell'Università di Potsdam, che sta approfondendo in questi
anni l'esame di tutto il materiale su Orsenigo conservato presso l' Archivio Segreto Vaticano, ha
pubblicato molto recentemente sul sito internet dell'Istituto Storico Germanico di Roma un primo
lavoro critico sui documenti inviati dal Nunzio, relativi al 1933. Purtroppo molti commenti sono
disponibili solo in lingua tedesca...
A proposito dell'incarico affidato al diplomatico brianzolo, così ha scritto:
“ A paragone dell'opera del suo predecessore in Germania, Eugenio Pacelli, il diplomatico
modello formatosi presso la curia, Orsenigo non raggiunse neanche lontanamente gli stessi livelli.
Evidentemente bastavano la fiducia e la personale stima di Pio XI per affidare all'inesperto amico,
(...) delle missioni diplomatiche di tale importanza. (...) Sarà difficile verificare un'affermazione
fatta da Orsenigo durante un colloquio riservato con Walter Adolph, e da questi riportata: alle sue
obbiezioni e reticenze Pio XI avrebbe risposto che "un bravo sacerdote può servire alla Chiesa
anche come bravo diplomatico". In ogni caso il senso di queste parole corrisponde alle linee di
fondo della politica ecclesiastica di Pio XI, secondo cui i sacerdoti non dovevano scendere nei
bassifondi della politica quotidiana, ma servire il bene comune in "sfere più alte" per onorare Dio e
mirare alla salvezza dell'anima. Orsenigo si fece fedele ambasciatore di tali convinzioni.”27

Per quanto riguarda la sua missione diplomatica, nei primi rapporti indirizzati a Pacelli, ora
chiamato alla Segreteria di Stato, Mons. Orsenigo cominciò col delineare le incertezze politiche e
soprattutto sociali che la Germania viveva.
Uno dei suoi compiti era il ruolo di Decano del Corpo Diplomatico, che aveva ottenuto su
votazione dell'intero Corpo, poco dopo il suo arrivo a Berlino. In questa veste doveva partecipare a
pranzi e cerimonie ufficiali, tenere discorsi, importante soprattutto quello di Capodanno, a nome di
tutti i suoi colleghi.
Questi discorsi, proprio per il loro carattere collegiale, venivano sottoposti preventivamente
all’approvazione degli Ambasciatori di Francia e Inghilterra e dovevano comprendere sentimenti
condivisibili da tutti; nell’udienza concessagli da Pacelli nel settembre 1931, quest’ultimo gli chiese
di presentare il testo anche all’esame della Santa Sede, cosa che Orsenigo da allora puntualmente
fece.
In un discorso al banchetto della stampa, del 1933, Orsenigo riassunse chiaramente quale era
per lui la vera missione del diplomatico e del Nunzio in particolare: “Nei periodi più agitati della
vita di una nazione nulla è più utile e desiderabile per coloro, che – come noi, diplomatici e
giornalisti – siamo chiamati a studiarne gli avvenimenti e soprattutto a controllarne la lontana
ripercussione, che questi amichevoli, internazionali ritrovi, in cui possiamo incrociare le nostre
impressioni, scambiare timori e speranze e rettificare, se occorre, al contatto degli altri i nostri
personali apprezzamenti. (…) Con la sua accolta di rappresentanti e giornalisti delle più svariate
nazioni (questo nostro cordiale ritrovo) ci ricorda anzitutto che la nostra opera non è completa, se
non è continuamente svolta da un punto di vista anche internazionale. (…) Saper vedere la propria
nazione sempre nel corteo di tutte le altre, proprio come insinua lo spettacolo di questo convegno, è
la sola visuale di lavoro, che può rendere la nostra missione realmente efficace.
(…) Eliminare fra popoli e popoli questi possibili malintesi, dissipare ogni equivoco, creare
ed alimentare il più possibile una felice omogeneità d’ambiente onde prevenire ogni dissenso, ecco
la grande nobiltà del nostro comune lavoro. Compito questo per vero già molto delicato anche
quando si svolge nell’ambito segreto e silenzioso dell’attività diplomatica, ma ancor più
malagevole, se corre attraverso la vasta risonanza del giornalismo. Compito però che può essere
27
Die Berichte des Apostolischen Nuntius Cesare Orsenigo aus Deutschland, 1930-1939. A cura di Thomas
Brechenmacher su incarico dell' Istituto Storico Germanico di Roma in cooperazione con la Commissione per la
storia contemporanea di Bonn e l'Archivio Segreto Vaticano; http://www.dhi-roma.it/orsenigo.html,
Introduzione. Stato: 15.03.2006.
anche largamente agevolato proprio da quello spirito di fraternità internazionale, di cui noi ci
onoriamo di essere, per la nostra stessa professione, esempio e fautori nel mondo.” 28

Con il passare del tempo e con l’acuirsi della tensione tra Governo nazista e Chiesa
Cattolica, però, la sintonia tra il Decano e la totalità dei membri della diplomazia accreditata,
sembrò incrinarsi un po’, e questo a causa degli evidenti attriti tra S. Sede e nazismo.
In un rapporto del 1938, Orsenigo commentava le reazioni al suo discorso di Capodanno, nel
quale aveva auspicato una “pace stabile e completa, pace fra le nazioni e pace in ogni nazione” ed
aveva parlato di “popoli tutti, affratellati finalmente nella giustizia, nell’ordine e nella carità”29, ed
aggiungeva: “se si risollevasse oggi la questione del decanato del Nunzio Apostolico a Berlino e la
si riportasse davanti al Corpo Diplomatico per una votazione, è certo che l’esito sarebbe assai meno
favorevole che nel 1930. I vincoli fra il Governo e i diplomatici sono qui sempre più stretti non
solo, ma anche sempre più deferenti verso il Governo. Anche il popolo cattolico, che pur si
mantiene tanto fervoroso nelle sue pratiche di pietà, va sempre più orientandosi politicamente dove
può, cioè nei punti in cui la coscienza cattolica glielo permetta, verso il Governo”30, il che stava a
significare che i diplomatici non avrebbero più fatto una scelta che potesse indispettire il Fuhrer. La
persona del Nunzio non era più così gradita agli alti vertici del paese poiché in continuazione
presentava proteste per le violazioni compiute dai gerarchi nazisti.

Ritornando alla presa di potere dei nazisti, l’inizio del 1933 aveva visto l’avanzare di Hitler
verso il Cancellierato.
Egli, sia al fine di ottenere un riconoscimento di valore internazionale, sia di eliminare i
politici cattolici a lui contrari e di guadagnarsi il favore dei Cattolici tedeschi, propose al Vaticano
l’apertura di trattative per la stesura di un Concordato valevole per tutto il Reich.
La Santa Sede fu indotta ad accettare queste trattative anche dal fatto che, con le riforme
introdotte da Hitler, i vari Land stavano perdendo la loro autonomia e quindi i diversi Concordati
già stipulati in precedenza correvano il rischio di decadere. Inoltre c’era la necessità di proteggere le
istituzioni cattoliche (scuole confessionali, organizzazioni sindacali e giovanili) minacciate
seriamente da elementi radicali del partito nazista, perché accusate di fare politica antistatale,
nonchè la paura della creazione di una Chiesa cattolica nazionale, staccata da Roma e sotto
l’autorità di un “supervescovo” nominato dal Governo, come stava accadendo con le Chiese
Protestanti.
Brechenmacher, in un recentissimo articolo sull'Osservatore Romano, commenta a proposito
delle iniziali “schermaglie” tra S. Sede e Governo nazista: “Soprattutto all'inizio le valutazioni degli
avvenimenti oscillavano fortemente, e (sia) il nunzio (ch)e i vertici del Vaticano
giungevano solo lentamente a una corretta analisi del nazionalsocialismo.
Proprio durante le vicende turbolente del 1933 il nunzio era spesso costretto a mandare rapidamente
a Roma informazioni e considerazioni sulla situazione. In questo contesto gli errori non erano
pochi, (…) vi si alternano, soprattutto durante la prima fase del regime nazionalsocialista, giudizi
pertinenti e sbagliati, informazioni vere e false, valutazioni basate su una grande sensibilità
psicologica e riflessioni che mancano l'obiettivo”.31
Effettivamente, dall'analisi dei rapporti di quell'anno, questa ambivalenza emerge
chiaramente più di una volta. Ad esempio, per quanto riguarda la questione ebraica, dopo la
promulgazione delle leggi antisemite, già nell'aprile del 1933 Orsenigo aveva scritto: “Purtroppo il
principio antisemita fu accettato dal Governo e questo fatto purtroppo resterà come un’ignobile
macchia proprio sulle prime pagine della storia, non priva di benemerenza, che sta scrivendo il
nazionalsocialismo germanico”. 32.
28
Orsenigo a Pacelli, Berlino, 25/5/33, in : Die Berichte des Apostolischen … cit.
29
ORSENIGO a Pacelli, In ASV – AAEESS, Germania, pos. 604, fasc. 115, p. 50.
30
ORSENIGO a Pacelli, In ASV – AAEESS, Germania, pos. 604, fasc. 115, p. 58.
31
T. Brechenmacher, Quell'«ignobile macchia» agli albori del Reich, L'Osservatore Romano, 4/3/2010
32
ORSENIGO a Pacelli, In ASV –AAEESS, Germania, pos. 643, fasc. 158, p. 6.
Brechenmacher, nel suo articolo, commenta questo passo così: “Una chiara posizione nei
confronti del regime doveva ancora formarsi e non era affatto scontata inizialmente. Affermazioni
come quella di Orsenigo dell'11 aprile 1933, secondo cui la storia del nazionalsocialismo svoltasi
fino a quel momento non era stata priva di qualche benemerenza, non vanno interpretate quale
consenso di fondo del nunzio al regime, e lo stesso discorso vale per il testo originario della sua
prolusione del capodanno 1934 che Pacelli gli restituì con l'istruzione di scegliere magari un tono
un po' meno euforico.
I rapporti di Orsenigo contengono dall'altra parte valutazioni della situazione di grande perspicacia,
a dimostrazione che il nunzio imparava progressivamente a riconoscere e comprendere il vero volto
del nazionalsocialismo. Orsenigo criticò apertamente la svolta dei vescovi tedeschi dopo la
dichiarazione governativa pronunciata da Hitler il 23 marzo 1933. Egli ritenne precipitosa la
parziale rinuncia alla posizione di inconciliabilità dei principi cattolici con l'ideologia
nazionalsocialista; tale concessione era avvenuta senza trattative, e senza la sicura prospettiva di
ottenere qualcosa in cambio: "Forse si poteva, e si doveva - a mio avviso - esigere (...) qualche
impegno preciso circa la libertà delle organizzazioni cattoliche, ma l'Episcopato ha preferito
formulare la sua dichiarazione - piena di speranze - senza prendere alcun contatto, neppure segreto,
col Governo: mancata così ogni trattativa, non era possibile pensare a concessioni a titolo di contra-
partita". 33
In realtà il “lavoro sporco” contro i cattolici (chiusura di Associazioni, arresto di esponenti
politici, licenziamento di impiegati dagli uffici pubblici, accuse di immoralità o di esportazione
illegale di valuta, ecc.) sembrava inizialmente fosse opera di elementi fanatici che agivano di
propria iniziativa; Hitler ed il Governo non si esponevano di persona, anzi si mostravano
concilianti e animati di buone intenzioni, non perdendo occasione però per sottolineare come i
cattolici fossero invece “troppo politicanti”. Emblematico, infatti il rapporto di qualche giorno
dopo:
“Credo possa interessare Vostra Eminenza Reverendissima conoscere qualcuna delle
risposte e degli apprezzamenti espressi dal Cancelliere Hitler e messi a verbale. (…) Egli disse fra
l’altro di essere profondamente convinto, che (...) lo Stato tedesco non è concepibile nella sua storia
e nel suo ulteriore sviluppo senza la solida base del Cristianesimo ... (…) si è formato la
convinzione che (…) le chiese cristiane negli ultimi secoli non hanno più la forza e la vigoria di
respingere da sole le potenze avverse allo stato ed al cristianesimo ed esse credettero dalla Riforma
in poi di poter combattere il Liberalismo, il Socialismo ed il Bolscevismo con le sole armi spirituali.
(…) Circa la questione giudaica asserì che egli considera i Giudei come nocivi; ricordò
l’atteggiamento della Chiesa Cattolica fino al 1500, deplorò che il liberalismo non abbia visto
questo pericolo e conchiuse che egli vede nei rappresentanti di questa razza un pericolo per lo stato
e per la Chiesa e che perciò ritiene di rendere forse, così agendo, un grandissimo servizio al
Cristianesimo. (…) ... Asserì che manterrà la sua parola, di difendere cioè i diritti e la libertà delle
chiese, finché non avrà nulla a temere dalla loro libertà (…) Circa le organizzazioni assicurò, che
non saranno in nessun modo intralciate, se però esse adempiranno il loro compito di promuovere
nei membri lo spirito cristiano ed al tempo stesso l’adesione allo stato e coltiveranno la vita sociale.
Le organizzazioni giovanili resteranno intatte, purché cerchino nel loro grembo di combattere il
marxismo.” 34
La risposta di Pacelli non si fece attendere:
“Le dichiarazioni, poi, fatte da S. E. il Signor Cancelliere del Reich a Monsignor Vescovo di
Osnabrück, e messe a verbale, come Vostra Eccellenza mi riferisce (…), aprono l’animo alla
speranza che le relazioni fra Chiesa e Stato, malgrado le difficoltà e le preoccupazioni dell’ora
presente, si andranno normalizzando e consolidando.”35

33
T. Brechenmacher, Quell'«ignobile macchia» …, cit.
34
Sale, Hitler, la Santa Sede e gli Ebrei, Nr. 39
35
Pacelli a Orsenigo, Vaticano, 22/5/33 in: Die Berichte des Apostolischen … cit.
Questa speranza portò perciò la Chiesa di Roma alla stesura del Concordato con il Reich
tedesco, che fu firmato il 20 luglio 1933 e ratificato il 10 settembre.36
Le trattative furono portate avanti quasi interamente da Pacelli e Mons. Kaas, il leader del Partito di
Centro, trasferitosi nel frattempo a Roma.
Il ruolo di Orsenigo, stranamente, potrebbe sembrare, fu piuttosto marginale.
Secondo vari studiosi, questo si spiega con il carattere di Pacelli, che tendeva a svolgere in prima
persona le trattative più scottanti, oltre dal fatto che egli, come precedente Nunzio, conosceva
perfettamente la situazione tedesca ed aveva sufficienti agganci politici da ritenere di poter gestire
meglio di chiunque la situazione.
Sempre Brechenmacher avvalora questa tesi nel suo articolo già citato: “Si desumono dai rapporti in
tutta chiarezza il ruolo che (ad Orsenigo) era stato assegnato, e i limiti che gli erano stati posti.
Diversamente da Pacelli, Orsenigo non fu mai un attore politico, e mai pretese di rivestire una tale
posizione. Egli fu il portavoce della Santa Sede; fu anche suo corrispondente - ma non l'unico in
quanto il segretario di Stato Pacelli si era creato, durante la sua lunga permanenza in Germania, una
serie di contatti personali che evidentemente continuava a utilizzare, e di cui i suoi stretti rapporti
con i vescovi Faulhaber e Preysing costituiscono solo gli esempi più noti.” 37
Questo non significa che Orsenigo non godesse della fiducia del Segretario di Stato, come alcuni
hanno insinuato. Quest'ultimo comprendeva perfettamente il suo ruolo scomodo e a volte si
prodigava presso Pio XI per mitigare alcuni passi decisi impulsivamente dal papa, che avrebbero
potuto mettere molto in difficoltà il suo portavoce a Berlino. 38
Nei documenti troviamo spesso parole di apprezzamento di Pacelli verso il suo sottoposto, come ad
esempio queste dell'agosto 1933: “ Profitto volentieri dell’incontro per confermarmi con sensi di
distinta e sincera stima.” 39, che non sono solo dei pro-forma.
Quando, durante la guerra, il Nunzio sembrò entrare in insanabile contrasto con il vescovo di
Berlino, von Preysing, Pacelli, ormai papa Pio XII, ignorò la richiesta di quest'ultimo, che era suo
intimo amico, di sostituirlo. Nel maggio del 1944, anzi, gli inviò un attestato di compiacenza per le
sue attività a favore degli internati. 40
Brechenmacher, nel luglio scorso, aveva scritto, a questo proposito: “Ben presto si reputò
che le relazioni tra Orsenigo e alcuni dei vescovi tedeschi fossero sul punto di rottura; tuttavia né
Pio XI né il suo successore cedevano alle ripetute richieste di sostituirlo. Un gran peso aveva in
questo contesto il timore che il governo tedesco avrebbe potuto non accreditare un nuovo legato
della Santa Sede, interrompendo in tal modo il flusso delle informazioni da e verso la Germania.”
Questo però non parrebbe il solo motivo, in quanto l'eventuale sostituto proposto, Mons. Colli (il
quale tra l'altro era un collaboratore di Orsenigo già dai tempi di S. Fedele; suo uomo fidatissimo,
quindi) non avrebbe avuto difficoltà per l'agrement, essendo già accreditato presso il Governo
tedesco. Potrebbe essere più corretto pensare invece che, prima Pio XI, poi il suo successore, Pio
XII, fossero semplicemente consapevoli che il loro subalterno svolgeva il lavoro ingrato che gli era
stato affidato, stando con umiltà e obbedienza nei “limiti che gli erano stati posti”.
Per dare un'idea del tipo di ordini che ricevette in quegli anni, ecco una nota di Gasparri,
della Segreteria di Stato, nel 1933:
“Finché Hitler non dichiarerà la guerra alla Santa Sede o alla Gerarchia cattolica in
Germania: 1° La Santa Sede e la Gerarchia cattolica in Germania si astengano dal condannare il
partito hitleriano; 2° Se Hitler vuole lo scioglimento del centro cattolico, come partito politico, si
ubbidisca senza far rumore; 3° I cattolici siano liberi di aderire al partito hitleriano, come i cattolici
d‘Italia sono liberi di aderire al partito fascista; 4° I cattolici di Germania siano egualmente liberi di
non aderire al partito hitleriano, sempre però entro i limiti della legge, come lo sono i cattolici
d’Italia relativamente al partito fascista; Io ritengo che il partito di Hitler risponda al sentimento
36
AAS, 1933, 25, 414.
37
T. Brechenmacher, Quell'«ignobile macchia» …, cit.
38
M.M. Biffi, Il Cavalletto per la tortura, cit. 81-82.
39
Pacelli a Orsenigo, Vaticano, 3/8/1933, in: Die Berichte des Apostolischen … cit.
40
MONTINI a Orsenigo, in ADSS, Vol. 10, d. 206, 282- 283.
nazionale in Germania; quindi si deve assolutamente evitare una lotta politico-religiosa in Germania
a causa dell’hitlerianismo, specialmente mentre è alla Seg.ria di Stato l’E.mo Pacelli.”41

Lo stesso Brechenmacher, in effetti, ammette, subito dopo: “Nella ricerca storiografica


prevalgono i giudizi critici e negativi sul nunzio Cesare Orsenigo, anche se si riconosce in linea di
massima che il suo compito era assai difficile. L'influenza di Walther Adolph, il vicario generale di
Berlino, è stata decisiva nel tracciare questo quadro, dove il nunzio appare troppo conciliante, se
non proprio amichevole (...) nei confronti dei nazionalsocialisti. (...) Tuttavia Adolph ha anche
ammesso: "Il fallimento della sua missione non era dovuto alla sua incapacità, ma al vigore della
ferma politica antiecclesiastica condotta da partito e Stato sotto la guida di Hitler." Dieter Albrecht
riprende questa valutazione nella sua introduzione all'edizione dello scambio di note tra Orsenigo e
il governo del Reich (...). "Il tentativo di dare un profilo a Orsenigo come nunzio non ignorerà i
giudizi [critici, ThB], ma terrà conto che [...] essi non possono essere semplicemente generalizzati.
Lo sfondo generale è costituito dal fatto che a partire dal 1933 il nunzio era costretto a svolgere i
suoi compiti in una situazione d'eccezione che si faceva sempre più pesante. Come unico
diplomatico presente a Berlino per tutta la durata del regime, si trovò di fronte a un sistema
totalitario che fin dall'inizio mirava a restringere ed eliminare in modo greve l'esistente influenza
della Chiesa sulla vita pubblica".42

Purtroppo il Concordato non portò i frutti sperati: lo stesso giorno della ratifica, Pacelli inviò
al Ministro degli Interni tedesco Frick, tramite l'Ambasciatore von Bergen, un lungo documento in
cui esponeva le sue rimostranze per le violazioni già avvenute dell’accordo.
Anche Orsenigo cominciò ben presto a presentarsi al Ministero degli Esteri con delle note di
protesta o con ordini di instaurare discussioni sull'interpretazione di alcuni articoli. Come
testimoniano i rapporti dell'una o dell'altra parte, non aveva molta libertà di azione: Pacelli gli dava
ordini ben precisi e se egli osava tentare nuove negoziazioni di sua iniziativa, subito gli veniva fatto
notare di attenersi solo agli ordini ricevuti. Questo poteva essere frustrante per un diplomatico
qualunque, ma egli obbedì sempre senza lamentarsi né richiedere di avere più spazio di manovra.

Poco seguito avevano, già da allora, anche i suoi passi ufficiali o ufficiosi presso il Governo
tedesco. Orsenigo, esasperato, si lamentò un giorno di questo atteggiamento volto ad ignorare le
recriminazioni della S. Sede, con l’Ambasciatore britannico, Phipps, che scrisse:
“Il Nunzio mi dice che il Governo tedesco si rifiuta semplicemente di rispondere alle sue
lagnanze. Egli ha proposto dei negoziati, ma i Tedeschi tergiversano. Il Nunzio ha detto al
Ministero tedesco degli Affari Esteri che, se il Ministero per le Questioni Ecclesiastiche acconsente
a discutere delle lagnanze, egli, il Nunzio, insisterà affinché sia presente ai colloqui un funzionario
degli Esteri. Almeno, dice il Monsignore, alcuni dei diplomatici sono persone civili dai quali si può
pretendere il rispetto della firma che la Germania ha apposto al Concordato”. 43

Con il passare degli anni, la situazione continuò a peggiorare, tanto che nella riunione di
Fulda dell’agosto 1936, tra i vescovi tedeschi emerse l’esigenza di un passo pubblico da
contrapporre alla tracotanza nazista; essi inviarono perciò un messaggio a Pio XI in cui chiedevano
che si pronunciasse in un’enciclica sulla situazione religiosa tedesca.44
Il Papa, accantonando definitivamente il timore che un tale passo potesse indurre Hitler a
denunciare il Concordato, si risolse a pubblicare l’enciclica Mit brennender Sorge.
Il 12 marzo 1937 un corriere segreto recapitò al Nunzio Orsenigo 25 plichi contenenti il
testo perché lo distribuisse segretamente a tutti i vescovi.

41
Gasparri, Vaticano, 30/6/33, in: Die Berichte des Apostolischen … cit.
42
Die Berichte des Apostolischen Nuntius..., cit.
43
F.O., 371/20742, Sir F. Phipps al Ministro Eden, 24 febbraio 1937 (Cfr RHODES A., op. cit., 207)
44
ANGELOZZI GARIBOLDI G., op. cit.,, 54.
Esso, scritto totalmente in tedesco, esordiva palesando l’ansia con cui il Papa (“con grande
preoccupazione”, appunto), seguiva l’acuirsi della persecuzione religiosa e spiegava la firma del
Concordato come una necessità per “tutelare la libertà della missione salvifica della Chiesa in
Germania”, oltre che per “rendere un servizio di interesse capitale al pacifico sviluppo e al
benessere del popolo tedesco”.
Continuava esponendo i passi tentati presso il Governo, accusato esplicitamente di
“macchinazioni, che già al principio non si proposero altro scopo se non una lotta fino
all’annientamento” della Chiesa.
La sua pubblicazione fu una sgradita sorpresa per il Governo nazista, poiché venne inviato
clandestinamente, per mezzo di centinaia di motociclisti fidati, in tutto il paese e stampato sul luogo
per ogni Diocesi, sfuggendo alle perquisizioni.
Ma la reazione del Governo non si fece attendere: la polizia, raccontava Mons. Orsenigo a
Pacelli, aveva l’ordine di punire chiunque avesse collaborato alla diffusione del testo papale
(dichiarato un atto di alto tradimento contro lo Stato), che ormai era stato diffuso in centinaia di
migliaia di copie anche tra la popolazione, e l’ambasciatore von Bergen partì in congedo illimitato.
Si parlò anche di una partenza per Roma di Orsenigo, il che avrebbe significato rottura delle
relazioni diplomatiche, ma ciò non corrispondeva a verità: quest’ultimo infatti, aveva ricevuto
ordine di non lasciare il suo posto. Visto il mancato effetto della sceneggiata, von Bergen ritornò
dopo qualche tempo al suo incarico.45

La permanenza della Nunziatura di Berlino era stata messa in dubbio, comunque, in quegli
anni anche dallo stesso Papa; in una discussione con Pacelli, un giorno in cui era particolarmente
disgustato dagli avvenimenti in Germania, sbottò irato: “Come può la Santa Sede tenervi ancora un
Nunzio?”. Il Segretario di Stato gli rispose: “Santità cosa faremo poi? Come potremo mantenere i
contatti coi Vescovi? (...) Se il Governo rompe le relazioni, sta bene – ma non sarebbe prudente, se
le rompessimo noi da parte nostra”. 46
Il Cardinale preparò anche un Memorandum su questo argomento che riassumeva il suo
pensiero in materia:
“ 1) Non è uso della Santa Sede di rompere per prima.
2) Si renderebbe un grande servizio al Governo, il quale nulla più desidera che di liberarsi
del Concordato, catena che pur sempre ancora lo molesta.
3) I vescovi e cardinali venuti a Roma nel gennaio pregarono ripetutamente la Santa Sede
che non iniziasse essa la rottura.
4) Come si comunicherebbe poi coi vescovi?
5) Il Nunzio è diplomatico, ma in primo luogo ha una missione ecclesiastica, che, se
eseguita con vero spirito, può dare frutti per la Chiesa.
6) La Santa Sede si sforza, spesso invano, di avere un suo rappresentante (delegato) in Paesi
ove infierisce la persecuzione, per es. nel Messico. E dovrebbe mandarlo via ove esso si trova?
7) Fu grande sforzo e difficile erigere una rappresentanza diplomatica a Berlino, ove
mai si era tollerata prima del 1920. Dovrebbe ora la Santa Sede da se stessa
distruggerla? Forse non mai potrà essere ripresa”.47

Queste considerazioni guidarono l’azione diplomatica del Vaticano e di Orsenigo anche


negli anni a venire; essi assistettero impotenti all’espansionismo hitleriano e alle persecuzioni
sempre più accese contro gli ebrei e contro i cattolici stessi.

I vescovi tedeschi, dopo l’uscita dell’enciclica papale, si ritrovarono in imbarazzo: alcuni


avrebbero voluto continuare nella denuncia pubblica della persecuzione governativa, altri invece,

45
SALVATORELLI L., Pio XI e la sua eredità pontificale, Einaudi, Torino 1939, 197.
46
MARTINI A., Pio XII e Hitler, In La Civilta’ Cattolica, 1965, Vol. I, 353.
47
Ibid..
preoccupati per la durezza della reazione nazista, “preferirono riproporre atteggiamenti di prudente
attesa e nuove trattative riservate, rinunciando a tentare di costruire attorno alla Mit brennender
Sorge una linea di denuncia sempre più puntuale e articolata”.48
Alla prima corrente appartenevano von Preysing, Vescovo di Berlino e von Galen, Vescovo
di Münster, mentre la corrente più prudente faceva capo al Card. Bertram. Egli era molto amico del
Nunzio, il quale condivideva le sue vedute, tentando di restare fedele al suo solito modo di operare:
conquistare i cuori per poi far ragionare le menti. In anni non sospetti, nel 1910, aveva scritto che
l’Autorità era una “spirituale pietra di assaggio” al cui contatto gli uomini rivelano la loro tempra: “i
caratteri vili si abbassano ignobilmente e strisciano espandendosi in un’untuosa adulazione, i
prepotenti alzano orgogliosa la fronte e ricusano anche l’ossequio doveroso, solo le tempre nobili e i
cuori retti conservano dignitosamente il loro posto in un equilibrato atteggiamento di schietta
deferenza e di rispettosa franchezza”.49
Purtroppo ben presto si accorse che questi metodi potevano servire se applicati a persone
“civili”, mentre lui si trovava di fronte a gerarchi senza scrupoli, né morale, che occupavano posti di
rilievo non per le proprie capacità, ma per la loro fedeltà fanatica e incondizionata al Fuhrer e che
essi, essendo sostanzialmente persone grezze ed ignoranti, erano facilmente toccati dall’adulazione.
“Purtroppo, data la preoccupazione dittatoriale di questi uomini, è evidente che essi sono piuttosto
sensibili ad ogni piccola attestazione di stima o di benevolenza”50
In questo senso, in base alla conoscenza del Nunzio che si può ottenere studiando molti suoi
scritti privati, vanno letti alcuni passi dei documenti del Ministero degli Esteri tedesco o dei
discorsi di Capodanno che il Nunzio teneva prima della guerra: come estremi tentativi diplomatici
di sfruttare i punti deboli degli avversari a proprio favore, per ottenere qualcosa, visto che i normali
canali dialettici non producevano risultati.

Il 10 febbraio 1939 Pio XI moriva stroncato da un attacco cardiaco.


Pochi giorni dopo Pacelli venne eletto Papa e prese il nome di Pio XII.
Nello stesso periodo la tensione fra Germania e Polonia continuava a salire; Hitler voleva
rivendicare il possesso di Danzica, gestita dalla Società delle Nazioni, e ottenere un corridoio per
collegare la Prussia orientale al resto del paese.
Il Papa tentò allora di promuovere una nuova conferenza di pace, invitando i Governi di
Francia, Gran Bretagna, Germania, Polonia e Italia.
In Germania l’accoglienza di questa proposta fu spettacolare: Mons. Orsenigo, incaricato di
presentare “una comunicazione urgentissima da parte del S. Padre”51 ad Hitler, il 5 maggio chiese
un incontro con il Fuhrer che si trovava in vacanza a Berchtesgaden, in Baviera.
Ricevuta l’assicurazione che l’argomento non riguardava la politica interna, il Governo mise
immediatamente a disposizione del Nunzio un aereo speciale.
L’incontro durò un’ora, alla presenza di von Ribbentrop; Orsenigo espose lo scopo della sua
visita ed Hitler assicurò che i motivi di contesa non erano tali da giustificare una guerra, ma solo
trattative. Continuò con un violento attacco alla Gran Bretagna, accusata di aizzare alla guerra,
mentre il Nunzio ascoltava in silenzio, esterrefatto. Poi, come se niente fosse, invitò il suo ospite a
prendere un thè, parlando del più e del meno, nonché delle bellezze di Roma.
Ma Hitler non aveva incantato il Nunzio; nel suo rapporto Orsenigo scrisse: “io personalmente non
oserei sottoscrivere alle ottimistiche vedute del Cancelliere o alla completa sincerità delle sue
previsioni riguardo l’avvenire.”52
Come aveva previsto, nel mese di agosto la situazione precipitò definitivamente.
48
MICCOLI G., Fra mito della cristianità e secolarizzazione, Marietti, 1985, 218, nota n° 285.
49
CIRCOLO di Cultura dell’Associazione di S. Stanislao, S. Carlo Borromeo: Conferenze Storiche (I ciclo) tenute in
Milano nel III centenario della canonizzazione, Tip. e Libr. Pontificia e Arcivescovile Romolo Ghirlanda, Milano 1910,
37.
50
ORSENIGO a Maglione, in ADSS, Vol. I, dd. 28- 29, 131.
51
ORSENIGO a Maglione, In ADSS, Vol. I, d. 21, 122.
52
ORSENIGO a Maglione, In ADSS, Vol. I, dd. 28- 29, 131.
Mons. Orsenigo, che si trovava in Italia per le vacanze, il 23 agosto rientrò frettolosamente a
Berlino e si rimise subito al lavoro.
Le comunicazioni si facevano febbrili: il 26 agosto Orsenigo telegrafò confermando la
gravità della situazione ed avanzò disperatamente una ultima proposta di mediazione, ma il
Governo polacco non la accettò.
Dopo lo scoppio della guerra la Nunziatura svolse un compito importante, sia per l'opera
assistenziale prestata in favore di profughi e prigionieri appartenenti a diverse nazionalità, sia come
tramite tra la Santa Sede e i vescovi.
Questi ultimi poterono, tramite il corriere diplomatico, comunicare tutte le informazioni che
ritenevano utili e le copie dei documenti più importanti: lettere pastorali, verbali delle conferenze
episcopali, relazioni del loro ministero, sermoni, richieste o proteste presentate alle autorità, rapporti
sulle misure anti-religiose prese dal regime al Vaticano.
Grazie a ciò, il Papa aveva un'idea molto precisa della situazione della Chiesa tedesca;
purtroppo le informazioni riguardanti i territori conquistati dalla Germania o inglobati
successivamente dalla Russia erano invece scarse e frammentarie, raccolte per lo più in modo
fortuito da Mons. Orsenigo.
I nazisti sospettavano che la Nunziatura svolgesse il ruolo di informatore del Vaticano e la
circondarono di spie; probabilmente riuscirono anche ad intercettare notizie riservate inviate da
Orsenigo alla Santa Sede. 53
Egli, poiché tutti i diplomatici erano stati scacciati dalla Polonia conquistata, fu autorizzato
il 1° novembre a esercitare anche per questo paese i poteri che deteneva per la Germania.
La questione delle comunicazioni tra Roma e la Polonia era un problema grave. Per far
recapitare le lettere si ricorreva a tutti gli intermediari possibili; una grande parte della
corrispondenza passava dalla Nunziatura di Berlino, che la inviava a destinazione tramite
iniziative private. Questo sistema era pericoloso per la Nunziatura stessa, ma per fortuna il
collegamento con la Santa Sede non fu mai interrotto.
La politica nazista di isolare completamente la Polonia dal resto del mondo si evidenziò nel
non permettere alla Santa Sede d'inviare un visitatore o delegato apostolico.
I Tedeschi, per far credere ai Polacchi che il Papa li aveva abbandonati, non permettevano
contatti a parte pochi occasionali pacchi contenenti olio per i riti sacri, vino per la messa, ecc.
In quei mesi Orsenigo tentò un passo disperato, dettato dallo sdegno che avevano suscitato
in lui alcune notizie provenienti dalla Polonia e che riferivano di crudeltà inumane: egli, il 29
novembre, si precipitò al Ministero degli Esteri esigendo, come privato cittadino, in nome di
principi umanitari, che si facesse un’inchiesta sulla veridicità di queste voci. Avendo agito
d’impulso, senza ordini in tal senso, non volle infatti coinvolgere il Vaticano in eventuali
rappresaglie. Non ricevette mai una risposta ufficiale, ma fu invitato, pochi giorni dopo, a non
interessarsi più alla causa dei Polacchi.
Intanto si intensificarono, da parte della Gestapo, i controlli sull'operato del Nunzio in
particolare e dei vescovi tedeschi in generale; la polizia segreta doveva appurare se i vescovi
usavano il corriere diplomatico della Nunziatura per uno scambio di rapporti con Roma, approfittare
di eventuali tensioni fra un vescovo e il Nunzio per ottenere informazioni segrete, intercettare i
corrieri tra Berlino e Roma, ecc. 54
La Gestapo arrivò persino ad arrestare un suo domestico accusandolo di nascondere armi
nella Nunziatura e quando Mons. Orsenigo gli inviò dei viveri e dei vestiti di ricambio, si vide
restituire gli abiti senza una parola di spiegazione. Si scoprì dopo che il domestico era già stato
giustiziato. 55
In quel primo periodo di guerra, il Nunzio si adoperò anche al fine di salvare alcune famiglie
ebraiche, cercando di favorire il loro espatrio verso paesi sudamericani, in collaborazione con

53
GASBARRI C., Quando il Vaticano confinava con il III Reich, Messaggero, Padova 1984, 129- 132.
54
GRAHAM R., op. cit., 144.
55
RHODES A., op. cit., 259.
un’Associazione caritativa. I suoi sforzi, però, incontravano l’opposizione sotterranea
dell’Ambasciatore brasiliano di Berlino, considerato anti-semita, il quale cercava continuamente
pretesti per non concedere i visti necessari. Anche il governo lo ostacolò apertamente sopprimendo
l’Associazione che si occupava di questi espatri.
Un giorno si decise a chiedere un colloquio con Hitler in persona per perorare la causa dei
non-ariani e riferì l’ incontro in questi termini:
"Qualche giorno fa sono finalmente riuscito a recarmi a Berchtesgaden, dove sono stato
ricevuto da Hitler; appena ho fatto cenno alla questione ebraica, il nostro colloquio ha perso ogni
serenità. Hitler mi ha girato le spalle, si è avvicinato alla finestra, e ha preso a tamburellare con le
dita sui vetri...mentre io continuavo a esporre le nostre lagnanze. D'improvviso, Hitler si è voltato,
ha raggiunto un tavolino dal quale ha afferrato un bicchiere che ha scaraventato per terra con gesto
iroso. Di fronte a un simile atteggiamento diplomatico, ho considerato finita la mia missione". 56

Altro impegno caritativo che Orsenigo cercò di realizzare in quel periodo, fu


l’organizzazione di un Ufficio Informazioni, in collegamento con quello Vaticano, per scambiare
notizie fra le famiglie di varie nazionalità ed i loro soldati prigionieri. Anche qui il Nunzio si
scontrò con la totale mancanza di collaborazione del Governo nazista, che anzi, arrivò a proibire
ufficialmente qualunque scambio di corrispondenza tramite Vaticano.
Mons. Orsenigo però aveva finalmente un campo di azione in cui si trovava perfettamente a
suo agio: si attivò, a dispetto della proibizione governativa, subito in questo senso ed organizzò un
servizio ufficioso che potè funzionare solo di nascosto.
“Avvicinarlo alla Rauchstrasse in certi momenti, in certi giorni di tensione spirituale,
significava cogliere sul suo viso l’espressione di quel tormento interiore che può sintetizzarsi nella
drastica fase ‘vedere e soffrire, volere e non potere’, dove è la più acuta prova delle anime sensibili,
investite, coma la sua, di una missione pubblica di giustizia, di bontà e di pace. Io, che posso dirmi
fortunato di avere avuto il piacere e il dolore d’averlo avvicinato spesso in quelle ore di sconforto,
ricordo di averlo sempre trovato presente a se stesso, con quegli occhi buoni e sempre vivi, sì, ma
velati di melanconia e di stanchezza, che il tono della conversazione, rotta da lunghi silenzi, rendeva
manifesta nelle sue cause e nei suoi motivi”, raccontò Benedetto Riposati, docente dell’Università
Cattolica, che si trovava a Berlino per ragioni di studio.57
La stanchezza e lo scoraggiamento lo facevano parlare ai nipoti della propria scrivania come
di una "specie di 'cavalletto per la tortura' ", che lui considerava la sua croce.58
In quegli anni di guerra, praticamente ogni richiesta che sottoponeva al Governo gli veniva
contestata o non riceveva risposta. Un giorno il Segretario di Stato tedesco gli rispose che non
poteva più prendere in considerazione le pratiche riguardanti territori non appartenenti al vecchio
Reich; il ritornello divenne lo stesso ogni volta che Orsenigo presentò richieste per personalità non
tedesche.
A volte, lo stesso interessarsi di qualcuno poteva essere pericoloso: il Nunzio, nel segnalare
in Vaticano la sua impossibilità ad agire in favore dei non- ariani, sottolineò più volte come le
raccomandazioni presentate per singoli casi indisponessero anzi le autorità, che si vendicavano
anche su altri. 59
A testimonianza dell’impegno di Orsenigo, c’è una lettera scritta al Capo della Cancelleria
di Hitler, Lammers, da Ribbentrop in cui si vantava di aver "riempito un intero protocollo con
ogni specie di note del Vaticano lasciate senza risposta".60
Frattanto la guerra prendeva una piega decisamente negativa per le potenze dell’Asse.
56
Questa dichiarazione fatta da Mons. Orsenigo al professore E. Senatra corrispondente da Berlino dell’Osservatore
Romano, pochi giorni dopo il suo colloquio con Hitler, è stata ripresa dall'organo Diocesano berlinese "Petrus Blatt" il 7
aprile 1963, e successivamente da L'Osservatore della domenica, 28 giugno 1964.
57
RIPOSATI B., In memoria di Mons. Cesare Orsenigo. In S.V.N., cit., 89- 94
58
ORSENIGO C., Lettera alla nipote Emilia Tavola Anghileri, 29 aprile 1943. In BIFFI M.M., op.cit.,290.
59
ORSENIGO a Montini, in ADSS, Vol. 8, d. 408, 569- 570.
60
NATIONAL ARCHIVES, Washington, DC Microcopy T- 454, Roll 22, 00810.
Il 22 novembre 1943, un bombardamento colpì la sede della Nunziatura che fu rasa al suolo
dalle fiamme. L'archivio fu distrutto completamente e con esso tutti i libri della Biblioteca, il
cifrario, ecc., tanto da impedire al personale di poter riprendere subito il lavoro. Mons. Orsenigo
perse quasi tutti i suoi effetti personali, tranne quelle poche cose che erano riusciti a trasferire nella
sede provvisoria fuori Berlino. Con lo spostarsi del fronte, cominciò anche la peregrinazione della
Nunziatura in località sempre diverse, nei dintorni della capitale tedesca, presa di mira duramente
dai bombardamenti alleati.
Un giornalista milanese, Cristano Ridomi, residente a Berlino da qualche anno e che già
conosceva il Nunzio dai tempi dell'Opera Pia Catena, raccontò in un articolo quel tremendo
periodo: "Cresceva a Berlino il frastuono della guerra, i discorsi di Hitler e di Göbbels erano sempre
più altisonanti, ma in via Rauch (la sede della Nunziatura) si vigilava raccolti e silenziosi, si
rimaneva in ascolto e si aspettava.
Le bombe colpirono anche la villetta della Nunziatura. Una volta Mons. Orsenigo si fece male,
cadde durante un attacco aereo e rimase infermo a lungo.
Come tutte le rappresentanze diplomatiche, nell'estate del 1943 anche la Nunziatura fu trasferita nei
dintorni di Berlino, allogata alla meglio in una specie di castello rusticano.
Fu là che vedemmo l'ultima volta Mons. Orsenigo. Parlava sempre meno, i suoi dolci occhi
erano infinitamente tristi ma pure accesi da lampi, alle volte, come prevedesse che il regno dei
senzadio stava avvicinandosi al crollo." 61

In una lettera inviata all'amico Mons. Luigi Levati, parroco di S. Fedele, scrisse sempre in
quel periodo:
"La mia vita è condizionata a quel cumulo di vicende, che vanno svolgendosi con ritmo
alternato in questi Paesi. La salute pare migliorata, ma ho pochissimo tempo di occuparmene; sono
naturalmente stanco ed unico conforto è la coscienza di fare quanto posso, per l'onore della Chiesa e
per il bene dei fratelli.
L'impossibilità di comunicare con Roma per lettera rende le responsabilità molto più gravose.
Ormai tutto bisogna decidere da soli!
I fedeli eccitati dagli avvenimenti sono pieni di ansie e t'inondano di interrogazioni.
Ripenso ai miei primi anni, alle facili visite natalizie, alle nostre lepide trovate, (...) e mi
pare di rivivere un sogno perduto nei secoli e che più non si realizzerà. Tutto ciò è mesto ed
assomiglia ad una vigilia di morte. Fortunatamente sono questi i pensieri di un minuto; poi
sopravvengono altre domande attuali e si vive travolti da questo corso vertiginoso di avvenimenti,
di notizie, di calcoli fatti, più sull'arena delle speranze che sulla realtà dei fatti e così i giorni
passano." 62

Nel settembre del 1943 si presentò un grave problema riguardante i soldati italiani, trasferiti
come prigionieri di guerra in Germania dopo la firma dell'armistizio da parte del Governo Badoglio.
Essi, da alleati, passarono alla condizione di prigionieri, ma le autorità tedesche non vollero
nemmeno riconoscere i ben pochi diritti spettanti alla loro condizione.
Essi perciò non potevano ricevere le visite della Croce Rossa Internazionale, né pacchi, né
visite di controllo.
Inoltre le autorità tedesche non si interessarono per niente di loro, lasciando questa
preoccupazione ai rappresentanti italiani a Berlino della Repubblica fascista di Salò. Questi
personaggi ufficiali si sforzarono senza molto successo di reclutare tra i militari dei volontari per la
nuova milizia fascista.63
61
RIDOMI C., La casa silenziosa di via Rauch, In Il Popolo, 10 aprile 1946.
62
ORSENIGO C., Lettera a Mons. Luigi Levati, In O.P.C., Relazione dell'anno 1945, Milano 1946, 7- 8.
63
Ibid., p.3: “Le autorità germaniche misero in atto (...) tutti i tentativi possibili per indurre gli italiani ad arruolarsi nelle
Forze Armate tedesche o della RSI, o a lavorare in Germania in sostituzione dei lavoratori tedeschi avviati alle armi. Gli
strumenti usati per piegare gli internati furono sostanzialmente tre: le caratteristiche dell’ambiente in cui essi furono
costretti a vivere (il lager), il maltrattamento materiale e morale loro inflitto, e infine la propaganda esercitata in
Già durante l'inverno 1943 lo stato d'impreparazione e di disorganizzazione era evidente. Gli
italiani arrivavano nei vagoni di trasporto ordinari, sforniti di vestiti adatti al clima e in un paese già
soggetto al razionamento più stretto.
Il Vaticano si preoccupò subito di questo problema non appena ne venne a conoscenza e ordinò il 5
ottobre ad Orsenigo di informarsi su come poter aiutare o assistere questi infelici ed avere notizie da
trasmettere alla famiglie.
Fu proprio in questo periodo che il Nunzio venne in contatto con un coraggioso cappellano,
il salesiano don Luigi Pasa. Fu l'inizio di una lunga e proficua corrispondenza che si concluse nel
1945, dopo la fine della guerra, quando don Pasa poté finalmente conoscere personalmente il
Nunzio ed aiutarlo nell'opera di rimpatrio ed assistenza di tutti gli italiani.
L’affetto che aveva per lui però non finì mai e continuò anche dopo la morte di Orsenigo, nella
relazione epistolare che proseguì con la sua famiglia.
Nel mese di aprile del 1944, inoltre, giunse a Berlino un coraggioso sacerdote veronese, don
Luigi Fraccari, il quale, colpito profondamente dalle angosce dei familiari degli internati senza
notizie certe dei loro cari, aveva deciso di partire alla volta della Germania per portare informazioni
e raccoglierne. Riuscì in modo un po’ rocambolesco a farsi assumere al Servizio Assistenza
Internati dell’Ambasciata italiana, per occuparsi del Settore Assistenza Religiosa e Decessi.
In accordo con Orsenigo, di cui era diventato il braccio, là dove il nunzio era la mente,
approfittando del fatto che egli, come dipendente dell’Ambasciata italiana, poteva entrare nei
campi, riuscì a distribuire i doni (cibo, medicinali, materiale liturgico) che Mons. Orsenigo riceveva
dalla S. Sede e che i nazisti gli vietavano di portare personalmente nei Lager.
Il sacerdote veronese raccontò come operavano: "Ogni settimana, il mercoledì e il venerdì,
andavo a fargli visita dov'era ospitato (...). Per sua Eccellenza il Nunzio, i nostri 'cosiddetti' Militari
Italiani Internati erano in realtà 'Prigionieri di guerra' e così li chiamava”.64
Nello stesso anno finalmente Orsenigo ottenne il permesso tanto aspettato di visitare alcuni
campi di militari italiani internati vicini a Berlino ed anche piccoli gruppi di lavoratori, chiamati
Arbeitskommandos, visite durante le quali non mancava di rincuorare e incoraggiare alla resistenza
morale i compatrioti, osteggiando apertamente i tentativi dei cappellani civili, troppo coinvolti col
fascismo, di soppiantare i cappellani militari.

Un cappellano, Padre Narciso Crosara, raccontò la visita di Mons. Orsenigo al suo campo:
"C'è nella vita dei deportati di Küstrin un ricordo che il tempo non può cancellare: il ricordo
di un uomo che per un istante riuscì a trascinarci, come una forza sovrumana, fuori dal nostro
disumano dolore: il Nunzio apostolico Mons. Cesare Orsenigo. (...)
E' accompagnato dal comandante tedesco del campo e dal suo stato maggiore in alta uniforme
nonché dal capo della Gestapo che lancia strane occhiate e sorrisi che sembrano smorfie.
Il Nunzio prende subito contatto con le nostre miserie, con i nostri dolori, con le nostre ansie
spasmodiche, e profonde nelle anime la sua bontà, la sua dolcezza, la sua pietà ed umiltà come un
balsamo benefico, ineffabile. (...)
Dopo la S. Messa il Nunzio entra nella baracca n. 13, dove sono ricoverati circa 100 fra soldati ed
ufficiali. (...)
Il Nunzio passa pallido e muto da un malato all'altro, sente i colpi tremendi dei loro cuori in agonia
e non sa, né può dire altro, che 'coraggio figlioli, coraggio!'.
Davanti ad un lurido giaciglio, una mano bianca come il marmo esce lentamente dalla lacera
coperta e cerca di raggiungere furtivamente quella del Nunzio. (...) L'ufficiale tedesco della Gestapo
è lì pronto a raccoglierlo: ha lo sguardo truce e minaccioso. Dio mio, il Nunzio non avrà quello
scritto e una povera madre desolata non leggerà le ultime parole del figlio morente.. Dal profondo

maniera sistematica e martellante. Nonostante tutto ciò, una larga e schiacciante maggioranza dei militari italiani (...)
rifiutò una qualsivoglia adesione ai voleri dei nazisti, opponendo un fermo e reiterato NO (...)”
64
FRACCARI L. , Diario del 1945. In BIFFI M.M., op. cit.,309.
stava per esplodere un grido di umana protesta, ma i miei occhi s'incontrarono con quelli del
vegliardo, diventato pallido, e penso che anch'egli, il rappresentante del Santo Padre, è prigioniero e
impotente come noi”. 65
Impressione che ebbe anche un altro internato, il Prof. Paride Piasenti, che scrisse: “Ricordo
le visite che faceva nei nostri Lager: pareva un deportato pure lui, con cagnotti e Ghestapò da tutti i
lati”. 66

La situazione bellica, nel frattempo precipitava velocemente: il Nunzio fu costretto


dall'avanzare del fronte, all'inizio del febbraio 1945, a trasferirsi in Baviera, presso il vescovo di
Eichstätt.67
Il 17 aprile il capo della Sezione Protocollo del Ministero degli Esteri cercò di persuaderlo
ad andare a Bad Gastein, in Austria, ma egli si rifiutò recisamente. Per quel che lo riguardava, il suo
ruolo presso le autorità naziste era finalmente finito. Rimase ad Eichstatt, in attesa della liberazione
degli Alleati, che avvenne in quella zona il 25 aprile.
Fece cenno di quegli ultimi avvenimenti e della situazione drammatica che si viveva in
Germania, all'amico Roncalli in una lettera inviatagli in modo fortunoso nella nuova sede di Parigi,
nel settembre di quello stesso anno, in cui esprimeva anche con chiarezza le sue opinioni su Hitler
ed i nazisti, paragonati al diavolo cacciato dagli esorcismi del Vangelo:
“Eccellenza Carissima,
La sua lettera del 9 luglio ha aperto una cara parentesi nel cupo silenzio, a cui ci condanna la
posta inerte ed i treni ancora immobili. La mia presunta scomparsa si deve all’impossibilità in cui
mi trovavo di informare i Superiori e ancora più alle maligne comunicazioni alla radio di elementi
interessanti ad offuscare il mio imperterrito rifiuto a muovermi da Eichstatt, ove rimasi serenamente
fino al giorno, in cui la nazione capitolò, e il diavolo, come scrive lei, dovette ritirare le corna. Certo
ho pensato agli esorcismi del Vangelo, quando usciva scornato e bavoso dagli ossessi redenti.”

Con la resa della Germania, decaduto ufficialmente il suo incarico diplomatico, Orsenigo si
gettò con gioia nel disbrigo degli affari ecclesiastici e pastorali del suo ufficio, che erano comunque
la parte che da sempre prediligeva.
Dopo la caduta del Governo nazista si presentarono problemi molto gravi per la situazione
di tutti i prigionieri dei campi di concentramento sopravvissuti, ora abbandonati a se stessi.
Gli Italiani erano stati invitati ad attendere con pazienza il rimpatrio, ma il Governo italiano
non aveva i mezzi per provvedere e gli Alleati non intendevano occuparsene, così il Cappellano don
Pasa venne incaricato dai suoi soldati di recarsi in Vaticano a perorare la loro causa.
Grazie ai suoi appelli e all’aiuto della S. Sede, si mobilitò una imponente Missione
Pontificia, composta da camion contenenti medicinali, viveri, vestiario, ecc., diretta in Germania per
soccorrere tutti gli internati, senza badare a religione o nazionalità.
Mons. Orsenigo si gettò a capofitto nell'incarico di coordinatore di questa Missione.
I capi missione, come don Pasa, vennero inviati a far visita ai campi disseminati per tutta la
Germania, dove lasciavano casse di viveri, medicinali, vestiario, raccoglievano la posta da inviare
alle famiglie in Italia e rincuoravano gli animi, promettendo il tanto sospirato rimpatrio che
cominciò di lì a pochi giorni utilizzando gli stessi camion del Vaticano.

Il 1946 vide il Nunzio Orsenigo sempre al lavoro nella Germania devastata dalla guerra e
controllata dalle potenze vincitrici; egli era sempre più desideroso di ritornare in patria, ma fedele al
proprio incarico, rimase al suo posto, nonostante il governo presso il quale era stato accreditato non
esistesse più.

65
PIASENTI P., Il lungo inverno dei Lager, A.N.E.I., Roma 1977, 387- 389.
66
PIASENTI P., Un prete veronese per seicentomila, In Verona Fedele, settimanale cattolico di informazione, 23
novembre 1975.
67
Cfr ORSENIGO C., Ephemeris Missarum, Vol. III, cit., gennaio- febbraio 1945.
All’inizio di marzo, come sempre, partecipò alle Celebrazioni per l’Incoronazione di Pio XII
svoltesi in Duomo. Sembrava in perfetta salute, ma pochi giorni dopo cominciò ad accusare qualche
dolore addominale. Il medico gli diagnosticò una forma influenzale che aveva colpito l’intestino. Il
31 di marzo, dopo un aggravamento improvviso del paziente, si capì che si trattava invece di
peritonite.
La stessa sera, dopo aver ricevuto i Sacramenti, aveva vergato con mano incerta le sue
ultime righe:
"Fu sempre mio desiderio morire sulla breccia non del combattimento cruento, che è persino
vietato al clero, non del combattimento sociale, che divide le anime, ma del combattimento per la
carità che tutti aiuta, unifica.
Questo desiderio è ora quasi una realtà. Ringrazio Dio e tutti quelli che mi misero in grado
di attuarlo”.68
Nella notte venne tentata un’operazione d’urgenza che mise in evidenza un piccolo tumore
maligno il quale, rimasto latente per un po’, si era sviluppato con violenza negli ultimi giorni,
causando la peritonite.
Il Nunzio non si risvegliò più.
Dopo un primo, solenne funerale, presieduto il 4 aprile dal Card. Faulhaber, la salma, grazie
all’interessamento delle autorità americane, venne trasportata in Italia il giorno 16.
Il 24 aprile, dopo una solenne cerimonia funebre presieduta dal Card. Schuster, Mons,
Orsenigo venne tumulato nella tomba di famiglia, ad Olginate.

Alla luce di quanto esposto finora, emerge chiaramente come il compito svolto da Orsenigo,
nella Germania di Hitler, sia stato veramente fonte di grande frustrazione e dolore per il Nunzio.
Ciò che lo guidò in quegli anni fu sicuramente l'amore per la Chiesa e la fedele obbedienza ai suoi
superiori.
Due ultime citazioni avvalorano queste considerazioni e testimoniano l'importante ruolo che
Orsenigo ebbe comunque, nonostante le restrizioni e le difficoltà in cui fu costretto ad operare.
Una ancora di Brechenmacher: “Con l'apertura degli archivi vaticani per il periodo del
pontificato di Pio XI (1922-1939) (…) il fondo dei rapporti di Orsenigo è consultabile per intero
(...). In questa maniera si può ricostruire un complesso flusso di informazioni di cui fanno parte,
accanto ai rapporti del nunzio, anche le istruzioni della segreteria di Stato e del suo responsabile,
Eugenio Pacelli. (…) Difficilmente potrà essere mantenuta l'ipotesi secondo cui il nunzio fosse
"isolato". (…) Per gli anni finora accessibili dal 1930 al 1939 si conservano nell'archivio vaticano
circa 1.500 rapporti di Orsenigo. Insieme alle altre carte rilevanti in questo contesto, in particolare
le lettere scritte da Pacelli a Orsenigo, il materiale ammonterà complessivamente a circa 2.000 unità
- e ulteriori 2.000, se si considera anche il periodo fino al 1945. Tenuto conto della personalità del
nunzio e della struttura specifica dei suoi compiti, i rapporti di Orsenigo da Berlino rappresentano
una fonte che copre quasi senza lacune un periodo di 15 anni tra i più decisivi per la storia del XX
secolo; senza l'approfondita conoscenza di questo materiale non sarà più possibile esprimere un
giudizio scientificamente fondato sul rapporto tra la Santa Sede e la Germania nazionalsocialista.
(…) Sulla base dei rapporti, spediti a Roma, l'immagine finora dominante di Cesare Orsenigo come
nunzio debole, incapace e troppo ben disposto verso il nazionalsocialismo, va almeno differenziata
se non rivista. ”69
L'altra del Card. Lajolo, ex Nunzio in Germania e ora Presidente del Governatorato dello
Stato della Città del Vaticano e della Pontificia Commissione per lo Stato della Città del Vaticano:
“Occorre ricordare che non abbiamo ancora un ritratto vero e completo di Mons. Orsenigo e della
sua attività come Nunzio in Germania dal 1930 al 1945.
Esiste, invece, finora un certo preconcetto negativo nei suoi confronti, che in qualche modo
deriva dalle false, ma persistenti ben note accuse mosse allo stesso Pio XII – che era stato
68
A.F.O., Cartella Famiglia.
69
T. Brechenmacher, Quell'«ignobile macchia”..., cit.
l’immediato predecessore del nostro Nunzio a Berlino – a riguardo dell’atteggiamento avuto
dalla Santa Sede negli anni della dittatura nazista e del secondo conflitto mondiale. In
particolare, circa Mons. Orsenigo si sono cercate e sottolineate le differenze fra l’atteggiamento
del Rappresentante del Papa e quello di alcuni Vescovi tedeschi, come Mons. Von Preysing,
Vescovo di Berlino, per imputare al Nunzio remissività eccessiva, limitatezza di visione e
mancanza di coraggio. Ma tutto questo è ben lungi dall’essere stato provato con i documenti
storici, per la semplice ragione che essi cominciano solo ora ad essere accessibili. (…)
Coloro che hanno iniziato a prendere visione di questo ingente materiale documentario
hanno testimoniato che da esso appare un’immagine diversa del Nunzio a Berlino, rispetto a quella
purtroppo finora dominante. Possiamo, quindi, formulare l’auspicio che gli studi futuri ci
restituiranno il vero volto di Mons. Orsenigo e ci permetteranno di cogliere con oggettività l’attività
che egli svolse in Germania.”70

Auspicio che ogni studioso condividerà sicuramente.

Monica Maria Biffi

70
M.M. Biffi, Il Cavalletto per la tortura, cit., Prefazione.

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