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Nunzio Festa

IL DOLCE CAMMINO… (32 sequenze fotografiche) di Fabrizio Buratta - Fermate a richiesta (Testi a
fronte) di Faraòn Meteosès. Aracne editrice, 2010

Con Faraòn Meteosès c’eravamo lasciati nella sua meccanica poetica, nonostante que-
sto sia tutt’altro che il destino di concepimento del poeta, ponendoci fuori (quindi den-
tro) la silloge “Psicofantaossessioni”. Stefano Amorese, questo ricordiamo è infatti il ve-
ro nome dell’autore romano, continua a stare “contro i conservatori”: proponendo – ov-
viamente – la sua forma di lotta costante e cocente. Il poeta continua a incantare, soprat-
tutto critici molto attenti. Tra questi, uno su tutti, il mai giustamente consacrato Plinio
Perilli. Per “Il dolce cammino… - Fermate a richiesta” infatti il critico concede, con gio-
ia, passaggi davvero in grado d’analizzare buona parte della poesia, a tratti fortemente
innovatrice o comunque di spirito innovatore come matrice d’innovazione, di Meteosès.
Ma è il caso, d’altronde, di spiegare e illustrare meglio e al meglio analogie e differenze
fra le due ultime e recenti pubblicazioni d’una delle più istrioniche penne di Roma e for-
se non solo. “Il dolce cammino…” è essenzialmente un dialogo composto col fotografo
Buratta; dove il poeta, facendo specchio, in pratica, descrive ma allo stesso tempo riscrive
e inscrivere versi per le immagini. La sequenza fotografica, dunque, incontra la sequenza
di poesie. Il paesaggio portato alla luce, naturalmente, è quello naturale, quindi tutta
l’artificialità di questi tempi che fanno sconti alle morti sul lavoro e ai tanti lavori vergati
di sfruttamento. Chiaramente, in queste terre, Amorese, con un filo più sottile del solito
e con la stessa oratoria, agita le sue parole. Il racconto, perché in questo caso soprattutto
di fronte a questo siamo, spiega una serie di temi ai quali lettrici e lettori dovrebbero spu-
tare quando li incontrato su certi giornali. Mentre il fiato di Faraòn Meteosès, fatto tutto di
scoperte sconvolgenti o quasi, riesce a donare senza maldicenze di contro.

http://www.kultunderground.org/articoli.asp?art=1544
LA POESIA-SPETTACOLO DI FARAÒN METEOSÈS

di Giorgio Linguaglossa

IL DOLCE CAMMINO… (32 sequenze fotografiche) di Fabrizio Buratta - Fermate a richiesta


(Testi a fronte) di Faraòn Meteosès. Aracne editrice, 2010

Parafrasando Benjamin possiamo affermare che il discorso poetico di Faraòn Meteosès


è simile ad un labirinto: giungi ad un incrocio da una via diversa da quella solita e non lo
riconosci, non ti raccapezzi, non riesci a distinguere quell’incrocio da altri similari. Ecco, il
discorso poetico di Faraòn Meteosès parte da un attante (astratto), dalle fotografie poste a
latere del testo di Fabrizio Buratta, e di lì procede per divagazione e/o sviluppo stringente
dell’argomentazione, dall’incipit in un moto, direi, inerziale, ellittico, eccentrico, zigza-
gante, de-concentrico, borderline, ma sempre tattile-empirico. Di fatto, la poesia spetta-
colo di Faraòn Meteosès nega lo spettacolo nell’attimo stesso dell’esecuzione. Più che poe-
sia-spettacolo è una poesia da avanspettacolo: variano gli attori e gli attanti ma non varia
l’enunciato-spettacolo del verso. La sua permanenza (del verso-spettacolo) è garanzia della
impermanenza della poesia-apparenza qual è divenuta la poesia-spettacolo. Possiamo dire
senza remora che come l’enunciato-spettacolo abita il palcoscenico, la parola poetica abita
il foglio bianco di una presenza acefala e de-corticata dove il monstrum (non più visibile)
che si appalesa non è né pubblico né privato, non è più il male di vivere né mai sarà un
esistenziarsi più o meno destinale di chi non ha più da tempo immemorabile un destino
tout court; il viaggio antifrastico del poeta romano si dipana in un metalinguaggio che tra-
duce il linguaggio figurativo delle 32 immagini di Fabrizio Buratta in altrettante istantanee
che l’autore chiama «fermate». Figurativismi parolieri o presentificazioni parolate oserei
definire questa versificazione che si presenta come un continuum di assenza che rivela, per
contrasto, la presenza di un «io» de-nucleato, de-realizzato, de-psicologizzato («le pinne si
smaltano le squame di esfoliano/la chioma si spettina ossigenata nell’acqua/nel nostro plancton plissettati
plurivocizzati…»), che oscilla tra iperrealismo e ipernichilismo e transita oltre, che recalcitra
e scalpita tra sintagmi asseverativi e didascalici, impulsivi e riflessivi, tra discariche urbane
e discariche letterarie dove il logos è diventato «logo» e il luogo «trasloco», lontano dal
«mare amniotico/dove vissi felice come un embrione».
In questo transito dal crudo al cotto, dal caldo «embrione» all’algido della società
dello spettacolo, in questo iter di de-costruzione (linguistica e stilistica) il poeta romano
porta alle estreme conseguenze delle sue possibilità espressive uno stile non-stile da repor-
tage e da referto psichiatrico, abbondantemente attingendo (come colonna insonora) alla
lezione del fumetto e alle didascalie-inserto delle riviste massmediatiche più patinate, al
frammento e al momento (di indignazione e di inazione) del soggetto colto nella sua im-
mobilità posturale. Abbiamo allora «Il dolce cammino» quale capovolgimento ironico e
iconico del poemetto da viaggio turistico, un poemetto anti-poematico, tessera inservibile,
memento di un universo reificato, servile e asservito alla autorità dell’immagine e
dell’immaginario mediatico. «È l’occhio che mi guida nella scrittura» afferma Faraòn Meteo-
sès richiamando, come per ipnosi, l’eredità (mancata) delle antiche avanguardie del nove-
cento, ormai derubricate e disossate dalla psicosi-psoriasi del Moderno. Ciò che corrobora
la nostra impressione secondo la quale gran parte della migliore poesia contemporanea
non è altro che una proiezione linguistica dell’occhio che osserva. Ecco spiegata la ragione
«ottica» delle metafore e la tessitura dei proposizionalismi poetici.

stavamo dicendo nella nostra forma epistolare


che al proiettile della pistola
deve essere apposto il congegno
per cui la pallottola entrando nel cranio
debba esplodere con enorme potenza.
Essa si chiama proietto contro l’ipocrisia
da agitare prima dell’uso,
leggendo le avvertenze del caso.
È un prodotto inconsueto
che non è alla portata di tutti!...
Stefano Donno
IL DOLCE CAMMINO… (32 sequenze fotografiche) di Fabrizio Buratta - Fermate a richiesta (Testi a
fronte) di Faraòn Meteosès. Aracne editrice, 2010

Ho avuto l’opportunità di conoscere Faraòn Meteosès con la sua silloge “Psico-


fantaossessioni” portato alle stampe dall’editore Lietocolle e subito ho riconosciuto una
forte peculiarità nel modo di scrivere versi: la capacità di incantare con una pienezza di
cromaticità affioranti da una vasta varietà di grammatiche, articolate attraverso una me-
trica personalissima. Con piacere seguo i passi di questo poeta, vedendolo impegnato in
numerosissime uscite pubbliche per l’Italia, a testimonianza di un’indomita passione per
la performatività. Ora per i tipi di Aracne, esce “Il dolce cammino… - Fermate a richie-
sta” un libro a due voci fondamentalmente, con il fotografo Buratta, compagno di viag-
gio in quest’avventura che attraverso due tipologie espressive tenta di seguire un comune
approccio semantico ed estetico. I due protagonisti di questa esperienza editoriale vo-
gliono farsi sentire con il loro grido di protesta che apre gli occhi della gente che avrà la
fortuna di leggere questo libro su alcuni aspetti della vita di oggi come l’artificialità dei
nostri tempi, le morti sul lavoro accanto alla categoria dello Sfruttamento a qualsiasi la-
titudine lo si voglia intendere. Ora che sia un libro di poesia che raccontano delle foto, o
viceversa poco importa, dal momento che le 32 sequenze fotografiche di Fabrizio Bu-
ratta e le 32 “Fermate a richiesta” di Faraòn Meteosès sono il risultato di un’esplosione
di energia incredibile la cui utilizzazione è prettamente di azione ermeneutica sul reale,
sul circostante, sull’interiore, sull’utopico. Faraòn Meteosès ovvero Stefano Amorese si
presenta al suo pubblico in maniera più matura arrivando a sfruttare la potenza delle pa-
role sino al midollo, arrotandole, ritmandole per descrivere frammenti di mondo che
debbono essere lacerati perché non sussistano più né inutili ipocrisie o superficiali frain-
tendimenti. Così si presenta Fabrizio Buratta al suo ipotetico pubblico a pag. 88: “Ho
fatto politica, letto libri, visto film, mostre, teatro, eppure cado dalle nuvole! (…)
L’affresco che si vede è per forza di “cose” doloroso, ma dal disagio nasce sempre la
consapevolezza”. Amorese invece controbatte in questo modo: ora sì che posso lasciarmi an-
dare/più liberamente e al mio diletto/sorvolando tutti gli ammassi informi delle nuvolaglie/e i bassi-
piani depressi sulle superfici/frattanto che dabbasso la terra trema/qui mi trastullo/lontano dal mio
dolore e dal mio travaglio/dissolvo ogni inquietudine del mondo fisico/che mi attanaglia/sono felice
nell’egoismo sano della pura morte. Il volume presenta i contributi di Fabrizio Buratta, Faraòn
Meteosès (Stefano Amorese), Plinio Perilli, Eugenio Maria Costantini, Ugo di Toro,
Luca Cremonesi, Giacomo Cerrai. That’s all folk!

http://stefanodonno.blogspot.com/2010/03/il-dolce-cammino-di-fabrizio-buratta-
e.html
UN SALISCENDI INFERI – OGDOADE
TRA COLORI E VERSI NEL PUTRIDUME
DELLA SOCIETA’ MODERNA

di Biagio Propato

IL DOLCE CAMMINO… (32 sequenze fotografiche) di Fabrizio Buratta - Fermate a


richiesta (Testi a fronte) di Faraòn Meteosès. Aracne editrice, 2010

Cromie e stinchi si intrecciano in un saliscendi Inferi - Ogdoade, tra riferimenti e


richiami a Dante, tra il grottesco e il gioco, tra l’assurdo e la coscienza, tra richiami biblici
in assonanza con il moderno e attuale mondoimmondo, in cui il fotografo Fabrizio Bu-
ratta e il poeta Faraòn Meteoses, cercano il punto di incontro artistico e umano. “Il dolce
cammino” è costellato di “fermate a richiesta”. Una sorta di viatico, di camminamento
dantesco, e nella “Vanity fair”, dove il passo è spesso frenato da belve e ostacoli di ogni
tipo, che a volte fanno deviare il “caminante”, nella Città dolente arsa dal fuoco. Fortunata-
mente il carico pesante dell’insoddisfazione viene alleggerito dalla poesia, dal suo volo
tagliente, che squarcia la “Soglia scura”, tra realtà e verità, tra materia e spirito, tra sonno
e veglia, inerpicandosi verso l’Oltre, facendosi viva voce echeggiata nel divenire in conti-
nuo farsi, nell’incertezza. Faraòn Meteosès pur non distaccandosi interamente dallo stile
che caratterizza le sue opere precedenti, mostra una mano più sicura, più calma,
nell’immergere il suo calamo e intingerlo in un inchiostro vero, audace. Aspettatemi lì pur-
ché sediate/lungo la cresta dell’onda - e varcando impavido la soglia scura/sorpasserò la barriera della
coscienza. (III fermata - pag. 28). Le sequenze fotografiche del maestro Buratta, quelle
dei versi di Meteosès, a volte volutamente di natura didascalico-didattica, nel senso an-
tico dei latini, o della moderna semiotica, non cercano solamente di spiegare se stesse le
une alle altre, ma si creano in modo autonomo e precipuo, sia pur procedendo in un
moto binario apparente, quindi separate, ma sullo stesso treno: treno della conoscenza,
della critica, dell’estetica, del simbolo, senza voler essere gnomiche. Il viaggio esterno
interno non esclude repentini mutamenti di rotta e il “CAMINANTE” può osservare e
mescolarsi a mutabili diorami e passaggi, sbirciando sempre il tutto, con juicio. E
respirare sincrono al cuore e nella mente/con quella lucidità serena e così smagliante/darti a te stesso
senza più mentire,/provare a sentirti davvero e auscultarti/sia il pneuma e sia l’anima. (V fermata
- pag. 33). Non c’è bisogno della bomba atomica: ci sono le macchine, gli incidenti, che
provocano migliaia di vittime, c’è l’inutile che sommerge l’utile, la negligenza che
sommerge l’intelligenza, la menzogna che sommerge la verità, l’odio che sommerge
l’amore. Bisognerebbe azzerare ogni tipo di produzione, poiché una società così gravida
di zavorra, rischia di far sprofondare la Terra. Il fotografo e il poeta si incontrano in ogni
analisi e sembra che all’unisono dicano: E facciamole le pulizie dell’impurità dell’anima e del
corpo - Mondiamo questo mondo rotondo (XXV fermata - pag. 73). L’ossimoro continua a
trovare spazio nella versificazione: E poi tanti auguri e buona morte. (VI fermata - pag. 35).
E ancora: Sono felice nell’egoismo sano della pura morte. (XXI fermata - pag. 65). Immagini e
versi si compenetrano in modo emblematico, in questo libro scritto bene, fotografato
bene. Il male che governa il mondo è scaturito da una scoreggia pestifera di Satana, e i
suoi isotopi puzzolenti dureranno sino al tempo stabilito… non per sempre. Per intanto,
Faraòn Meteosès afferma: Adesso sono un senza tetto, un senza tutto, ma ribadisce anche Che
non intendo abbandonare come il mare amniotico/dove vissi felice/come un embrione. (XXX fermata
- pag.83).

Roma, 29/04/2010

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