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L. 86/1990 ha modificato art.357 c.p. (“Agli effetti della legge penale, sono pubblici
ufficiali coloro i quali esercitano una pubblica funzione legislativa, giudiziaria o
amministrativa”) e art.358 c.p. («Agli effetti della legge penale, sono incaricati di
pubblico servizio coloro i quali, a qualunque titolo, prestano un pubblico servizio»). Oggi,
dalla norma in oggetto possiamo evincere che il servizio pubblico è disciplinato da norme
di diritto pubblico e da atti autoritativi, manca dei tre poteri tipici della pubblica funzione
(deliberativo, autoritativo, certificativo) e non può reggersi sullo svolgimento o la
prestazione di mansioni meramente materiali. Problematiche se l’incaricato di pubblico
servizio se soggetto legato (incaricato di pubblico impiego) o estraneo alla pubblica
Amministrazione. L’art. 359 c.p. distingue due diverse categorie di persone esercenti un
servizio di pubblica necessità, la norma statuisce: 1) i privati che esercitano professioni
legali o sanitarie, o altre professioni il cui esercizio sia per legge vietato senza una
speciale abilitazione dello Stato 2) i privati che adempiono un servizio dichiarato di
pubblica necessità mediante un atto della pubblica Amministrazione.
Il dolo del reato di peculato è generico, consistendo nella coscienza e volontà dell’appropriazione.
Nel peculato d’uso è, invece, specifico in quanto si richiede che il soggetto si appropri della cosa
allo scopo di farne un uso momentaneo.
È dovere del pubblico funzionario non accettare cose che gli siano consegnate per errore e
restituirle subito dopo essersi accorto dell’errore stesso, se le ha ricevute in buona fede.
La violazione di questo obbligo costituisce l’essenza del reato.
Con questo reato si è inteso tutelare l’interesse dello Stato e degli enti pubblici minori a far sì che
gli interventi economici di sostegno ad opere o attività di pubblico interesse non siano messi nel
nulla o indeboliti dall’inerzia dei beneficiari (buon andamento dell’ente erogatore. Con la formula
contributi, sovvenzioni o finanziamenti si è voluta intendere ogni forma di intervento economico,
così che devono ritenersi compresi nella sfera di azione della norma anche i mutui agevolati cui
accenna l’articolo 640 bis. La condotta si sostanzia nella mancata destinazione dei benefici
economici ottenuti. Trattandosi di comportamenti omissivi. L’art. 640 bis guarda al momento
dell’acquisto delle erogazioni e il delitto in esame al mancato
adempimento del vincolo di destinazione.
È una figura sussidiaria di reato, in quanto sussiste solo se il fatto non costituisca il diverso reato di
cui all’art. 640 bis c.p. È indebito il beneficio che senza l’utilizzazione o la presentazione del falso
documento o dichiarazione non si sarebbe ottenuto.
640 (Truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche)
La pena è della reclusione da uno a sei anni e si procede d'ufficio se il fatto di cui all'articolo 640
riguarda contributi, finanziamenti, mutui agevolati ovvero altre erogazioni dello stesso tipo, comunque
denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità europee.
317 (Concussione)
Il pubblico ufficiale che, abusando della sua qualita' o dei suoi poteri, costringe taluno a dare o a
promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilita' e' punito con la reclusione da sei a
dodici anni.
Anzitutto si esige che l’agente abusi della sua qualità o dei suoi poteri. Si ha abuso dei poteri tutte
le volte che questi sono esercitati fuori dei casi stabiliti dalla legge, dai regolamenti e dalle
istruzioni di servizio o senza le forme prescritte. L’abuso delle qualità ricorre quando gli atti
compiuti dal soggetto non rientrano nella sfera della sua competenza funzionale o territoriale.
Concussione esplicita (costringimento) e concussione implicita (induzione).
La concussione può essere realizzata anche mediante omissione (inerzia) e persino col silenzio. Il
costringimento o l’induzione deve avere per effetto una dazione o una promessa indebita. Nel
concetto di dazione, per ovvie ragioni, rientra anche la ritenzione, come nel caso del pubblico
ufficiale che, abusando della sua qualità si faccia regalare da un privato un oggetto che gli era
stato consegnato semplicemente in visione o in prova.
La promessa è l’impegno di eseguire una prestazione futura. Oggetto della dazione o promessa
può essere tanto il denaro quanto altra utilità.
La corruzione in ambito penale è solita distinguersi in propria (ha per oggetto un atto
contrario ai
doveri d’ufficio e dunque del tutto illegale) e impropria (ha per oggetto un regolare atto
d’ufficio), antecedente (il mercimonio si riferisce ad un atto futuro del funzionario) e
susseguente (il
mercimonio riguarda un atto già compiuto).
L'attuale formulazione sancisce la responsabilità penale per "il pubblico ufficiale che
intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri
un danno ingiusto”. Si limita la condotta di abuso alla sola violazione di norme o alla omessa
astensione nei casi prescritti. Il reato è ora costruito come un reato di evento (non di mera
condotta) che si consuma soltanto in presenza della realizzazione del risultato perseguito
(se il funzionario non ha violato una espressa e specifica previsione normativa, incluso
l'obbligo di astensione, non può configurarsi il reato).
Il rifiuto di atti d’ufficio è un reato di pericolo. Ne consegue che per la sua configurabilità si
prescinde dalle conseguenza del rifiuto, essendo sufficiente il diniego di un atto non
ritardabile in base ad esigenze rilevanti per l’ordinamento e da questo tutelate.
Si precisa poi espressamente che tale richiesta deve essere redatta in forma scritta e il
termine di trenta giorni (per gli atti non qualificati) decorre dalla ricezione della richiesta
stessa. L’omissione sarà punita se: 1)Richiesta in forma scritta dall’interessato 2)Decorsi
30 giorni dalla ricezione della richiesta 3)Totale inerzia dell’amministrazione, incluse
ragioni del ritardo. Si è inoltre posto il problema se nella nozione del rifiuto possa rientrare
anche il c.d. silenzio rifiuto. Alla luce dei principi di legalità e determinatezza della
fattispecie penale, dottrina e giurisprudenza ritengono che ai fini della punibilità è richiesto
un vero e proprio rifiuto, da parte del funzionario, magari anche tacito ma, comunque,
configurabile come vero e proprio rifiuto.
L’elemento che differenzia tali delitti da quelli previsti nel capo precedente è dato dal fatto che in
essi l’offesa agli interessi della pubblica amministrazione non proviene dall’interno
dell’amministrazione stessa, bensì dall’esterno. Dall’art. 4 del Dlgs Lgt n. 288 del 1944 “non si
applicano le disposizioni degli artt. 336, 337, 338, 339, 342 e 343 del codice penale quando il
pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio ovvero il pubblico impiegato abbia dato
causa al fatto preveduto negli stessi articoli, eccedendo con atti arbitrari i limiti delle sue
attribuzioni”. La dottrina prevalente ritiene che la norma in esame abbia natura giuridica di una vera
e propria causa di giustificazione, la quale esclude l’antigiuridicità del fatto commesso, sempre che
la reazione sia proporzionata. Secondo la giurisprudenza della Cassazione, invece, la figura in
esame avrebbe la natura giuridica di una esimente, cioè di una causa che esime dall’applicazione
della pena in un caso concreto, senza peraltro intaccare gli estremi dell’antigiuridicità del fatto.
Non integra né violenza né minaccia la c.d. resistenza meramente passiva (buttarsi a terra, rifiutarsi
di obbedire) e, quindi, essa non integra il delitto in esame, neppure nel caso in cui il funzionario sia
costretto ad usare la forza per vincerla.
Millantare un credito significa vantare una particolare influenza presso un pubblico ufficiale o
presso un pubblico impiegato il quale presti un pubblico servizio. Il fatto materiale consiste
nell’ottener, per effetto della millanteria, la dazione o la promessa, per sé o per altri, di danaro o
altra utilità come prezzo della propria mediazione verso il pubblico ufficiale.
Nel Titolo in esame il legislatore ha riunito tutta una serie di figure criminose, caratterizzate dal
dato comune di offendere un complesso di interessi facenti capo all’amministrazione della
giustizia. Il concetto di Amministrazione della giustizia è qui utilizzato in un significato ampio,
comprensivo non solo della giurisdizione in senso stretto (intesa come potere dello Stato che ha
per oggetto l’accertamento e l’attuazione del diritto), ma anche di tutte quelle attività strumentali
alla giurisdizione propriamente intesa.
La norma delinea due modalità esecutive del medesimo reato di pericolo: la simulazione formale o
diretta realizzata mediante falsa affermazione e quella reale o indiretta realizzata mediante la
creazione di false tracce di reato. Entrambe richiedono che il reato non sia avvenuto (-reato
istantaneo). Il reato è attenuato se la simulazione concerne un fatto preveduto dalla legge come
contravvenzione.ù
368 (Calunnia)
Chiunque, con denunzia (cpp 331), querela (cpp 120), richiesta (cpp 342) o istanza (cpp 341), anche se
anonima o sotto falso nome, diretta all'Autorità giudiziaria o ad un'altra Autorità che a quella abbia
obbligo di riferirne o alla Corte penale internazionale, incolpa di un reato taluno che egli sa innocente,
ovvero simula a carico di lui le tracce di un reato, è punito con la reclusione da due a sei anni. (2)
La pena è aumentata se s'incolpa taluno di un reato pel quale la legge stabilisce la pena della
reclusione superiore nel massimo a dieci anni, o un'altra pena più grave.
La reclusione è da quattro a dodici anni, se dal fatto deriva una condanna alla reclusione superiore a
cinque anni; è da sei a venti anni, se dal fatto deriva una condanna all'ergastolo.
L’art. 368 c.p. punisce chiunque incolpa di un reato taluno che egli sa innocente, ovvero simula a
carico di lui le tracce di un reato. Reato plurioffensivo (buon funzionamento amministrazione
giustizia e libertà/onore dell’incolpato innocente) e istantaneo. La calunnia differisce dalla
simulazione di reato perché implica l’indicazione della persona incolpata. L’indicazione deve
riguardare una persona innocente.
369 (Autocalunnia)
Chiunque, mediante dichiarazione ad alcuna delle Autorità indicate nell'articolo precedente, anche se
fatta con scritto anonimo o sotto falso nome, ovvero mediante confessione innanzi all'Autorità
giudiziaria, incolpa se stesso di un reato che egli sa non avvenuto, o di un reato commesso da altri, è
punito con la reclusione da uno a tre anni.
L’art. 369 punisce chiunque incolpa se stesso di un reato che egli sa non avvenuto, o di un reato
commesso da altri.
Risponde di tale delitto chiunque, come parte in un giudizio, giura il falso. Il dolo richiesto è
generico e consiste nella coscienza e volontà di prestare il giuramento con la consapevolezza della
sua falsità.
A norma dell’art. 372 è punito chiunque, deponendo come testimone innanzi all’Autorità
Giudiziaria, afferma il falso o nega il vero, ovvero tace, in tutto o in parte, ciò che sa intorno ai fatti
sui quali è interrogato. Trattandosi di reato di pericolo (essendo sufficiente che il fatto sia pertinente
alla causa esuscettibile di portare un contributo alla decisione) ed istantaneo non è concepibile il
tentativo. Il dolo richiesto è generico. Il dolo è escluso dall’errore e dalla dimenticanza.
La norma ha carattere sussidiario rispetto ad altre specifiche figure delittuose. Il delitto si consuma
con l’immutazione (variazione, mutamento). Non è richiesto che effettivamente il giudice o il perito
siano stati tratti in
inganno, bastando che si sia verificato il pericolo di inganno: il reato è infatti di pericolo.
376 (Ritrattazione)
Nei casi previsti dagli articoli 371-bis, 371-ter, 372 e 373, nonché dall'articolo 378 il colpevole non è
punibile se, nel procedimento penale in cui ha prestato il suo ufficio o reso le sue dichiarazioni, ritratta il
falso e manifesta il vero non oltre la chiusura del dibattimento (cpp 524). (1) (2)
Qualora la falsità sia intervenuta in una causa civile, il colpevole non è punibile se ritratta il falso e
manifesta il vero prima che sulla domanda giudiziale sia pronunciata sentenza definitiva, anche se non
irrevocabile (cpc 279, 324).
A norma dell’art. 376 il colpevole non è punibile se, nel procedimento penale in cui ha reso le sue
dichiarazioni ritratta il falso e manifesta il vero non oltre la chiusura del dibattimento. qualora la
falsità sia commessa in una causa civile, il colpevole non è punibile se ritratta il falso o manifesta il
vero prima che sulla domanda giudiziale sia pronunciata sentenza definitiva, anche se non
irrevocabile.
Il reato implica che la dazione o la promessa non sia accettata o, se accettata, non porti chi l’ha
accettata a commettere la falsità. trattandosi di un reato a consumazione anticipata, il tentativo non è
ammissibile. Il dolo è specifico, in quanto l’agente deve dare o promettere al fine di indurre alla
falsità.
L’art. 378 c.p. punisce chiunque, dopo che fu commesso un reato, e fuori dei casi di concorso nel
medesimo, aiuta taluno ad eludere le investigazioni dell’Autorità, o a sottrarsi alle ricerche di
questa. Costituiscono presupposti della fattispecie in esame la preesistenza di un reato ed il mancato
concorso nel reato presupposto. Il delitto si consuma nel momento e nel luogo in cui viene prestato
l’aiuto. Non è necessario che il risultato avuto di mira sia stato effettivamente conseguito.
A norma dell’articolo 379 è punito chiunque, fuori dai casi di concorso nel reato e dei casi previsti
dagli articoli 648, 648 bis e 648 ter, aiuta taluno ad assicurare il prodotto il profitto o il prezzo di un
reato. La condotta consiste nell’aiutare taluno ad assicurare il prodotto, il profitto o il prezzo del
reato. Trattasi di fattispecie sussidiaria, con conseguente esclusione del reato quando la condotta
favoritrice assume i connotati dei diversi reati di ricettazione, riciclaggio e di impiego di denaro,
beni o utilità di provenienza illecita. Per la consumazione basta l’aiuto.
Il reato in esame si realizza quando tre o più persone si associano allo scopo di commettere più
delitti; il reato sussiste per il solo fatto di partecipare all’associazione. Trattasi di reato permanente e
di pericolo. Circostanze aggravanti: 1) brigantaggio (gli associati scorrono in armi le campagne o le
pubbliche vie) 2)10 o più associati 3)Associazione diretta a commettere delitti 600, 601,603
Quando tre o più persone si associano allo scopo di commettere più delitti, coloro che promuovono o
costituiscono od organizzano l'associazione sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da tre a sette
anni. Per il solo fatto di partecipare all'associazione, la pena è della reclusione da uno a cinque anni.
I capi soggiacciono alla stessa pena stabilita per i promotori.
Se gli associati scorrono in armi le campagne o le pubbliche vie, si applica la reclusione da cinque a
quindici anni. La pena è aumentata se il numero degli associati è di dieci o più.
Se l'associazione è diretta a commettere taluno dei delitti di cui agli articoli 600, 601 e 602, nonché
all'articolo 12, comma 3-bis, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione
e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, si applica la
reclusione da cinque a quindici anni nei casi previsti dal primo comma e da quattro a nove anni nei casi
previsti dal secondo comma. (1) Se l'associazione e' diretta a commettere taluno dei delitti previsti dagli
articoli 600-bis, 600-ter, 600-quater, 600-quater.1, 600-quinquies, 609-bis, quando il fatto e' commesso
in danno di un minore di anni diciotto, 609-quater, 609-quinquies, 609-octies, quando il fatto e'
commesso in danno di un minore di anni diciotto, e 609-undecies, si applica la reclusione da quattro a
otto anni nei casi previsti dal primo comma e la reclusione da due a sei anni nei casi previsti dal
secondo comma. (2)
La legge n. 66 del 1996 ha disposto la abrogazione degli artt. 519 –526 c.p. (capo I del titolo IX), ed
ha introdotto gli artt. 609 bis – decise nell’ambito dei delitti contro la persona, riproducendo, con le
opportune modifiche, alcune vecchie fattispecie criminose.
Soggetto attivo del diritto in esame può essere chiunque. Soggetto passivo è, secondo la dottrina e la
giurisprudenza dominante, non già la singola o le singole persone alla presenza delle quali l’atto
osceno è commesso, bensì la società. Per atto osceno si intende qualsiasi manifestazione di
concupiscenza, di sensualità, non importa se compiuta dalla gente su altri o su se stesso, che offenda
così intensamente il sentimento della morale sessuale ed il pudore da destare, in chi possa assistervi,
disgusto e repulsione.
L’oggetto materiale del delitto è costituito da scritti, immagini, disegni ed altri oggetti osceni
nonché da spettacoli teatrali o cinematografici ovvero audizioni e recitazioni pubbliche che abbiano
il carattere della oscenità.
Le disposizioni contenute negli artt. 531 a 536 del Codice Penale sono sostituite dalle seguenti: "E'
punito con la reclusione da due a sei anni e con la multa da Euro 260,00 a Euro 10.400,00, salvo
in ogni caso l'applicazione dell'art. 240 del Codice penale:
1) chiunque, trascorso il termine indicato nell'art. 2, abbia la proprietà o l'esercizio, sotto qualsiasi
denominazione, di una casa di prostituzione, o comunque la controlli, o diriga, o amministri, ovvero
partecipi alla proprietà, esercizio, direzione o amministrazione di essa;
2) chiunque avendo la proprietà o l'amministrazione di una casa od altro locale, li conceda in
locazione a scopo di esercizio di una casa di prostituzione;
3) chiunque, essendo proprietario, gerente o preposto a un albergo, casa mobiliata, pensione,
spaccio di bevande, circolo, locale da ballo, o luogo di spettacolo, o loro annessi e dipendenze o
qualunque locale aperto al pubblico od utilizzato dal pubblico, vi tollera abitualmente la presenza di
una o più persone che, all'interno del locale stesso, si danno alla prostituzione;
4) chiunque recluti una persona al fine di farle esercitare la prostituzione, o ne agevoli a tal fine la
prostituzione;
5) chiunque induca alla prostituzione una donna di età maggiore, o compia atti di lenocinio, sia
personalmente in luoghi pubblici o aperti al pubblico, sia a mezzo della stampa o con qualsiasi
altro mezzo di pubblicità;
6) chiunque induca una persona a recarsi nel territorio di un altro Stato o comunque luogo diverso
da quello della sua abituale residenza, la fine di esercitarvi la prostituzione ovvero si intrometta per
agevolarne la partenza;
7) chiunque esplichi un'attività in associazioni ed organizzazioni nazionali ed estere dedite al
reclutamento di persone da destinare alla prostituzione od allo sfruttamento della prostituzione,
ovvero in qualsiasi forma e con qualsiasi mezzo agevoli o favorisca l'azione o gli scopi delle
predette associazioni od organizzazioni;
8) chiunque in qualsiasi modo favorisca o sfrutti la prostituzione altrui.
In tutti i casi previsti nel n. 3) del presente articolo alle pene in essi comminate, sarà aggiunta la
perdita della licenza d'esercizio e potrà anche essere ordinata la chiusura definitiva dell'esercizio.
I delitti previsti dai numeri 4) e 5), se commessi da un cittadino in territorio estero, sono punibili in
quanto le convenzioni internazionali lo prevedano.
725 (Commercio di scritti, disegni o altri oggetti contrari alla pubblica decenza)
Chiunque espone alla pubblica vista o, in un luogo pubblico o aperto al pubblico, offre in vendita o
distribuisce scritti, disegni o qualsiasi altro oggetto figurato, che offenda la pubblica decenza, è punito
con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 103 a euro 619 (1).
L’omicidio in generale
L’omicidio in generale è l’uccisione di un uomo cagionata da un altro uomo con un comportamento
doloso o colposo e senza il concorso di cause di giustificazione. Scopo dell’incriminazione è la
tutela della vita umana. Questa viene protetta dallo Stato non solo nell’interesse dell’individuo, ma
anche nell’interesse della collettività. La punizione dell’omicidio del consenziente dimostra che
l’ordinamento giuridico attribuisce alla vita del singolo anche un valore sociale, e ciò in
considerazione dei doveri che all’individuo incombono verso la famiglia e verso lo Stato. La qualità
di uomo, ai fini del diritto penale, non inizia con la nascita vera e propria, vale a dire con
la completa fuoriuscita del prodotto del concepimento dall’alveo materno, ma in un momento
immediatamente anteriore, e precisamente nel momento in cui ha inizio il distacco del feto
dall’utero della donna. Ciò si desume dal fatto che il nostro codice equipara all’uccisione del
neonato l’uccisione del feto durante il parto. Il fatto materiale dell’omicidio implica tre elementi:
condotta umana, evento e nesso di causalità tra l’uno e l’altro. L’omicidio è esempio tipico della
categoria dei reati a forma libera. Dal punto di vista soggettivo si distinguono tre figure di omicidio:
l’omicidio doloso; l’omicidio colposo; l’omicidio preterintenzionale
575 (Omicidio)
Chiunque cagiona la morte di un uomo è punito con la reclusione non inferiore ad anni ventuno.
Questo è descritto come il comportamento della madre che cagiona la morte del proprio neonato
immediatamente dopo il parto, o del feto durante il parto. Soggetto attivo del reato è la madre
soltanto. Dandosi poi carico dei compartecipi si chiarisce ora che, mentre a coloro che concorrono
nel reato è di consueto applicabile la pena stessa dell’omicidio volontario, qualora gli stessi abbiano
agito col solo fine di aiutare la madre tale pena può essere notevolmente diminuita. La formula in
condizioni di abbandono materiale e morale connesse al parto richiede che per il fatto del futuro
parto siano venuti a mancare alla donna quegli aiuti e quella solidarietà ambientale che sono
consueti nella nostra società in tale evenienza: quindi sia i mezzi, sia i soccorsi psichici. Del reato
proprio in esame risponde la madre. Tutte le altre persone che pongano in essere il fatto,
incorreranno nelle pene dell’omicidio comune anche se compartecipi. È ammessa però l’ipotesi di
un trattamento penale più favorevole per quei concorrenti che abbiano agito al solo scopo di
favorire la madre. In ogni altro caso la sanzione resterà quella consueta dell’omicidio volontario.
Il nostro ordinamento considera indisponibile il bene della vita. In base al principio generale
sancito all’art. 50 del codice, perciò, il consenso del soggetto passivo non scrimina l’omicidio.
Tuttavia il codice nell’art. 579 considera forma attenuata di omicidio il fatto di chi “cagiona la
morte di un uomo, con il consenso di lui”. All’omicidio del consenziente non si applicano le
aggravanti comuni previste dall’art. 61. In ordine alla figura di cui stiamo trattando, la questione più
importante che si presenta è quella dell’eutanasia.
Il fatto materiale consiste in un atto di partecipazione al suicidio altrui, partecipazione che può
essere fisica o psichica. È psichica quando l’agente fa sorgere nel soggetto il proposito che prima
non esisteva, oppure rende più solido il proposito esistente.
La partecipazione è fisica allorché l’agente concorre nell’esecuzione del suicidio rendendolo
possibile fornendo, ad esempio, i mezzi necessari, o in qualsiasi altro modo agevolando
l’esecuzione medesima.
581 (Percosse)
Chiunque percuote taluno, se dal fatto non deriva una malattia nel corpo o nella mente, è punito a
querela della persona offesa, con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a euro 309. (1)
Tale disposizione non si applica quando la legge considera la violenza come elemento costitutivo o
come circostanza aggravante di un altro reato (84, 276, 294, 336 ss., 341 ss., 353, 385 s., 393, 405,
507, 588, 610, 614, 628 s., 634 s.).
588 (Rissa)
Chiunque partecipa a una rissa è punito con la multa fino a euro 309. (1)
Se nella rissa taluno rimane ucciso, o riporta lesione personale, la pena, per il solo fatto della
partecipazione alla rissa, è della reclusione da tre mesi a cinque anni. La stessa pena si applica se la
uccisione, o la lesione personale, avviene immediatamente dopo la rissa e in conseguenza di essa (cpp
381).
L’art. 588 punisce “chiunque partecipa ad una rissa”. Il solo fatto di prendere parte ad una rissa
basta per dar vita al reato, mentre il codice precedente esigeva per la punibilità la condizione che
nella zuffa alcuno fosse rimasto ucciso o avesse riportato una lesione personale. Questa è la ratio
dell’incriminazione. Per l’esistenza della rissa occorre che vi sia una mischia violenta con vie di
fatto. Si discute sul numero minimo di persone indispensabile per l’esistenza di questo delitto, il
quale senza alcun dubbio appartiene alla larga categoria dei reati plurisoggettivi.
593 (Omissione di soccorso)
Chiunque, trovando abbandonato o smarrito un fanciullo minore degli anni dieci, o un'altra persona
incapace di provvedere a se stessa, per malattia di mente o di corpo, per vecchiaia o per altra causa,
omette di darne immediatamente avviso all'Autorità è punito con la reclusione fino a un anno o con la
multa fino a 2.500 euro. Alla stessa pena soggiace chi, trovando un corpo umano che sia o sembri
inanimato, ovvero una persona ferita o altrimenti in pericolo, omette di prestare l'assistenza occorrente
o di darne immediato avviso all'Autorità. Se da siffatta condotta del colpevole deriva una lesione
personale, la pena è aumentata; se ne deriva la morte, la pena è raddoppiata.
Il soggetto potrà sottrarsi alla responsabilità solo quando ricorrano gli estremi dello stato di
necessità (art. 54), e cioè quando sia costretto all’omissione dalla necessità di salvare sé od altri dal
pericolo attuale di un danno grave alla persona, non altrimenti evitabile. Il delitto si consuma nel
momento dell’omissione ed ha carattere istantaneo. Il dolo consiste nella volontarietà
dell’omissione, accompagnata dalla conoscenza di tutti gli elementi compresi nella fattispecie
legale. Il delitto è aggravato se dalla condotta del colpevole deriva una lesione personale o la morte.
594 (Ingiuria)
Chiunque offende l'onore o il decoro di una persona presente è punito con la reclusione fino a sei mesi
o con la multa fino a euro 516. Alla stessa pena soggiace chi commette il fatto mediante comunicazione
telegrafica o telefonica, o con scritti o disegni, diretti alla persona offesa. La pena è della reclusione fino
a un anno o della multa fino a euro 1.032, se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato.
Le pene sono aumentate qualora l'offesa sia commessa in presenza di più persone.
L’ingiuria, sia che riguardi l’onore nel senso indicato, sia che concerna il decoro, è sempre atto di
disprezzo. Ma l’offesa all’onore o al decoro della persona non è sufficiente a costituire l’elemento
oggettivo dell’ingiuria: occorre anche la presenza dell’offeso. Il delitto si consuma con la
percezione, da parte del soggetto passivo, dell’espressione oltraggiosa: in altri termini, nel momento
in cui la parola è udita, l’atto è visto, lo scritto o il disegno è ricevuto dal soggetto stesso. La prima
consiste nell’attribuzione di un fatto offensivo determinato. Ma quando è che un fatto può dirsi
determinato? Per aversi questo risultato, non è necessario che siano precisate tutte le particolarità
del fatto addebitato; basta che la sua enunciazione presenti una certa concretezza, sia, cioè,
accompagnata da qualche nota che la faccia apparire vera, rendendola credibile. La seconda
aggravante ricorre allorché viene commessa in presenza di più persone. In proposito va rilevato che
tra le persona presenti, le quali debbono essere naturalmente almeno due, non va compreso né
l’offeso né gli eventuali compartecipi dell’agente.
595 (Diffamazione)
Chiunque, fuori dei casi indicati nell'articolo precedente, comunicando con più persone offende l'altrui
reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a euro 1.032. Se l'offesa
consiste nell'attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della
multa fino a euro 2.065. Se l'offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di
pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non
inferiore a euro 516. Se l'offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua
rappresentanza, o ad una Autorità costituita in collegio, le pene sono aumentate.
L’elemento oggettivo di questo reato implica tre requisiti: assenza dell’offeso, offesa della sua
reputazione, comunicazione dell’offesa a due o più persone.
598 (Offese in scritti e discorsi pronunciati dinanzi alle Autorità giudiziarie o amministrative)
Non sono punibili le offese contenute negli scritti presentati o nei discorsi pronunciati dalle parti o dai
loro patrocinatori nei procedimenti dinanzi all'Autorità giudiziaria, ovvero dinanzi a un'Autorità
amministrativa, quando le offese concernono l'oggetto della causa o del ricorso amministrativo.
Il giudice, pronunciando nella causa, può, oltre ai provvedimenti disciplinari, ordinare la soppressione o
la cancellazione, in tutto o in parte, delle scritture offensive, e assegnare alla persona offesa una
somma a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale. Qualora si tratti di scritture per le quali la
soppressione o cancellazione non possa eseguirsi, è fatta sulle medesime annotazioni della sentenza.
L’art. 600 bis c.p. si divide in due commi: mentre nel primo viene punita la condotta di chi sfrutta,
induce o favorisce la prostituzione minorile, nel secondo comma viene punito colui il quale
consuma con il minore l’atto sessuale oggetto della prostituzione. Il comma 1° dell’art. 600 bis
punisce l’attività di sfruttamento, induzione e favoreggiamento della prostituzione minorile. In
particolare va precisato:
- per sfruttamento deve intendersi il comportamento di chi percepisce danaro o altra utilità
derivanti dall’attività di prostituzione, con la consapevolezza che i proventi derivano
dall’illecito commercio;
- per favoreggiamento si intende una qualsiasi attività idonea a rendere più agevole l’esercizio
dell’altrui prostituzione;
- per induzione alla prostituzione deve intendersi ogni attività idonea a determinare,
persuadere, convincere il soggetto passivo a concedere le proprie prestazioni sessuali,
ovvero a rafforzare la risoluzione di prostituirsi non ancora consolidata, o a far persistere chi
vorrebbe allontanarsene.
Occorre precisare che per pornografia si intende tutto ciò che attiene alla sfera sessuale umana e,
pur essendo un concetto meno ampio di quello di oscenità, vi rientrano sia la rappresentazione di
immagini e scene che richiamano il rapporto sessuale, nonché gli atti di libidine ed altri
atteggiamenti chiaramente erotizzanti. Il comma 1° dell’art. 600 ter punisce chi sfrutta i minori
degli anni 18 al fine della realizzazione di esibizioni pornografiche o di produzione di materiale di
tale tipo. Il secondo comma punisce il commercio di materiale pornografico. Il terzo comma
incrimina, invece, la diffusione di materiale pornografico. Il quarto ed ultimo comma punisce
invece la cessione del materiale pornografico.
Nella nuova configurazione dell’art. 601 è possibile individuare due distinte condotte:
- la tratta di chi già si trovi nelle condizioni delineate dall’art. 600. Alla luce della
convenzione di Ginevra per tratta deve intendersi ogni atto di cattura, acquisto o cessione di
individuo finalizzato alla riduzione in schiavitù, nonché in generale, ogni atto di commercio
o di trasporto di schiavi;
- il fatto di chi al fine di commettere uno dei delitti di cui al primo comma dell’art. 600 pone
in essere una delle condotte delineate dalla norma. Tali condotte si traducono nell’indurre
taluno mediante inganno o nel costringerlo mediante violenza, minaccia, abuso di autorità o
mediante promessa o dazione di somme di danaro o di altri vantaggi alla persona che su questi ha
autorità, a fare ingresso o a soggiornare o a uscire dal territorio dello Stato o a trasferirsi al suo
interno.
624 (Furto)
Chiunque s'impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto
per sé o per altri, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 154 a euro
516. Agli effetti della legge penale, si considera cosa mobile anche l'energia elettrica e ogni altra
energia che abbia un valore economico (cpp 381).
Il delitto è punibile a querela (120 ss.) della persona offesa, salvo che ricorra una o più delle
circostanze di cui agli articoli 61, numero 7), e 625.
L’azione esecutiva del furto consiste nell’impossessamento della cosa ora descritta. Tale
impossessamento deve presentare una nota negativa, e cioè non deve verificarsi mediante violenza
o minaccia, perché altrimenti il fatto trapassa nel reato maggiore di rapina (art. 628). Non sono
possessori, ma semplici detentori coloro che dispongono della cosa entro la sfera
di sorveglianza del possessore (guarda indietro la definizione di possesso). Il furto si perfeziona
con l’impossessamento, e cioè quando l’agente acquista la disponibilità autonoma della cosa. Solo
allorché la cosa esce dalla sfera di vigilanza del precedente possessore e si crea un nuovo
possessore, il furto può dirsi consumato. La nozione di possesso, applicata coerentemente, porta a
ritenere che solo quando il ladro riesce a sfuggire dalla cerchia di vigilanza del possessore, nel suo
fatto è consentito ravvisare un furto consumato. Prima di tale momento, la semplice sottrazione
della cosa non può essere punita che a titolo di tentativo. Esige inoltre una particolare intenzione, e
precisamente il fine di trarre profitto dalla cosa per sé o per altri. Tale elemento dà all’elemento
soggettivo del furto il carattere di vero e proprio dolo specifico.
628 (Rapina)
Chiunque, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, mediante violenza alla persona o minaccia,
s'impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, è punito con la reclusione da tre a
dieci anni e con la multa da euro 516 a euro 2.065 (rapina propria). Alla stessa pena soggiace chi
adopera violenza o minaccia immediatamente dopo la sottrazione, per assicurare a sé o ad altri il
possesso della cosa sottratta, o per procurare a sé o ad altri l'impunità (rapina impropria).
La pena è della reclusione da quattro anni e sei mesi a venti anni e della multa da euro 1.032 a euro
3.098 (cpp 380): (2)
1) se la violenza o minaccia è commessa con armi (585) o da persona travisata, o da più persone
riunite;
2) se la violenza consiste nel porre taluno in stato di incapacità di volere o di agire;
3) se la violenza o minaccia è posta in essere da persona che fa parte dell'associazione di cui
all'articolo 416-bis. (3) (4)
3-bis) se il fatto è commesso nei luoghi di cui all'articolo 624-bis o in luoghi tali da ostacolare la pubblica
o privata difesa; (5) (7)
3-ter) se il fatto è commesso all'interno di mezzi di pubblico trasporto;
3-quater) se il fatto è commesso nei confronti di persona che si trovi nell'atto di fruire ovvero che abbia
appena fruito dei servizi di istituti di credito, uffici postali o sportelli automatici adibiti al prelievo di
denaro. (5)
3-quinquies) se il fatto e' commesso nei confronti di persona ultrasessantacinquenne; (8)
Le circostanze attenuanti, diverse da quella prevista dall'articolo 98, concorrenti con le aggravanti di cui
al terzo comma, numeri 3, 3-bis, 3-ter e 3-quater, non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti
rispetto a queste e le diminuzioni di pena si operano sulla quantità della stessa risultante dall'aumento
conseguente alle predette aggravanti.
L’articolo 628 comprende due figure criminose che hanno in comune l’impossessamento di cose
mobili altrui e l’uso della violenza alle persone o della minaccia. Nell’una (rapina propria) la
violenza costituisce il mezzo con cui si ottiene l’impossessamento; nell’altra (violenza impropria)
la violenza è usata per conservare il possesso della cosa sottratta o per conseguire l’impunità.
L’azione costitutiva è identica a quella del furto, con in più l’elemento della violenza alla persona o
alla minaccia. La rapina si consuma, come il furto, con l’effettivo impossessamento. Il dolo consiste
nella coscienza e volontà di impossessarsi della cosa mobile altrui, sottraendola al detentore,
accompagnate dalla coscienza e volontà di adoperare a tale scopo violenza o minaccia.
629 (Estorsione)
Chiunque, mediante violenza o minaccia, costringendo taluno a fare o ad omettere qualche cosa,
procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da cinque a dieci
anni e con la multa da euro 1.000 a euro 4.000. La pena è della reclusione da sei a venti anni e della
multa da euro 5.000 a euro 15.000, se concorre taluna delle circostanze indicate nell'ultimo capoverso
dell'articolo precedente.
La violenza o la minaccia usata dall’agente deve avere per effetto il costringimento del soggetto
passivo, a fare o ad omettere qualche cosa. Il costringimento che qui viene considerato è quello che
lascia una certa libertà di scelta in chi lo subisce. L’estorsione presenta grande affinità con la truffa.
La differenza consiste in questo che, mentre nell’estorsione la vittima è costretta a compiere un atto
di disposizione patrimoniale dannoso per taluno e vantaggioso per altri, nella truffa vi è indotta con
inganno
Questo grave delitto (che nel codice precedente era denominato ricatto) è costituito dal fatto di colui
che “sequestra allo scopo di conseguire, per sé o per altri, un ingiusto profitto come prezzo della
liberazione”. Il delitto si consuma con il semplice fatto del sequestro, non essendo necessario che
l’agente abbia conseguito anche l’ingiusto profitto del prezzo del riscatto. Il secondo ed il terzo
comma dell’art. 630 prevedono due circostanze aggravanti consistenti la prima nell’evento morte
non voluto, ma conseguente il sequestro, della persona sequestrata, la seconda consistente nella
morte del sequestrato cagionata dal reo.
640 (Truffa)
Chiunque, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto
con altrui danno, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 51 a euro
1.032. La pena è della reclusione da uno a cinque anni e della multa da euro 309 a euro 1.549 (1) :
1) se il fatto è commesso a danno dello Stato o di un altro ente pubblico o col pretesto di far esonerare
taluno dal servizio militare;
2) se il fatto è commesso ingenerando nella persona offesa il timore di un pericolo immaginario o
l'erroneo convincimento di dovere eseguire un ordine dell'Autorità.
2-bis) se il fatto è commesso in presenza della circostanza di cui all'articolo 61, numero 5).
Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo che ricorra taluna delle circostanze previste dal
capoverso precedente o un'altra circostanza aggravante.
Nucleo essenziale del delitto in esame è l’inganno. Il consenso della vittima, carpito
fraudolentemente, caratterizza il delitto e lo distingue sia dal furto che dall’appropriazione indebita.
Artifizio è ogni studiata trasfigurazione del vero, ogni camuffamento della realtà effettuato sia
simulando ciò che non esiste, sia dissimulando, vale a dire, nascondendo ciò che esiste.
Raggiro è un avvolgimento ingegnoso di parole destinate a convincere: più precisamente una
menzogna corredata da ragionamenti idonei a farla sembrare verità
Differenza TRUFFA vs ESTORSIONE -> nel primo la vittima è indotta fraudolentemente all’atto di
disposizione patrimoniale, mentre nel secondo vi è coartata; nell’uno la volontà è viziata da errore,
nell’altro è viziata da violenza o minaccia.
640-bis (Truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche)
La pena è della reclusione da uno a sei anni e si procede d'ufficio se il fatto di cui all'articolo 640
riguarda contributi, finanziamenti, mutui agevolati ovvero altre erogazioni dello stesso tipo, comunque
denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità europee.
644 (Usura)
Chiunque, fuori dai casi previsti dall'articolo 643, si fa dare o promettere, sotto qualsiasi forma, per sé o
per altri, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra utilità, interessi o altri vantaggi usurari è
punito con la reclusione da due a dieci anni e con la multa da euro 5.000 a euro 30.000. (2)
Alla stessa pena soggiace chi, fuori del caso di concorso nel delitto previsto dal primo comma procura a
taluno una somma di denaro od altra utlità facendo dare o promettere, a sé o ad altri, per la
mediazione, un compenso usurario.
La legge stabilisce il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari. Sono altresì usurari gli
interessi, anche se inferiori a tale limite, e gli altri vantaggi o compensi che, avuto riguardo alle concrete
modalità del fatto e al tasso medio praticato per operazioni similari, risultano comunque sproporzionati
rispetto alla prestazione di denaro o di altra utilità, ovvero all'opera di mediazione, quando chi li ha dati
o promessi si trova in condizioni di difficoltà economica o finanziaria.
Per la determinazione del tasso di interesse usuarario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni
a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla erogazione del
credito.
Le pene per i fatti di cui al primo e secondo comma sono aumentate da un terzo alla metà:
1) se il colpevle ha agito nell'esercizio di una attività professionale, bancaria o di intermediazione
finanziaria mobiliare;
2) se il colpevole ha richiesto in garanzia partecipazioni o quote societarie o aziendali o proprietà
immobiliri;
3) se il reato é commesso in danno di chi si trova in stato di bisogno;
4) se il reato é commesso in danno di chi svolge attivià imprenditoriale, professionale o artigianale;
5) se il reato é commesso da persona sottoposta con provvedimento definitivo alla misura di
prevenzione della sorveglianza speciale durante il periodo previsto di applicazione e fino a tre anni dal
momento in cui é cessata l'esecuzione.
Nel caso di condanna, o di applicazione di pena ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura
penale, per uno dei delitti di cui al presente articolo, é sempre ordinata la confisca dei beni che
costituiscono prezzo o profitto del reato ovvero di somme di denaro, beni ed utlità di cui il reo ha la
disponibilità anche per interposta persona per un importo pari al valore degli interessi o degli altri
vantaggi o compensi usurari, salvi i diritti della persona offesa dal reato alle restituzioni e al
risarcimento dei danni.
Disciplinata all’articolo 644 del codice (che prevede due ipotesi criminose: la prima è la prestazione
usuraria –comma 1; la seconda è la mediazione usuraria – comma 2), si ha quando taluno si fa dare
o promettere, sotto qualsiasi forma, per sé o per altri, in corrispettivo di una prestazione di denaro o
altra utilità, interessi o altri vantaggi usurari (comma 1). La legge stabilisce il limite oltre il quale gli
interessi sono sempre usurari. Ai fini della configurabilità del reato di usura, si intendono
usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge al momento in cui sono promessi o
comunque convenuti a qualsiasi titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento. Basta
il fare, dare o promettere sotto qualsiasi forma a vantaggio proprio o altrui, un interesse che
superi il tasso legale e in quella del terzo comma, un interesse inferiore, ma sproporzionato rispetto
alla controprestazione in presenza di difficoltà economiche o finanziarie del soggetto passivo.
La consumazione si verifica nel momento in cui gli interessi o vantaggi usurari sono dati o
semplicemente promessi. COMMA2 Tale ipotesi ricorre nei confronti di chiunque fuori del caso di
concorso nel delitto previsto dal primo comma, procura a taluno una somma di denaro o altra utilità
facendo dare o promettere, a sé o ad altri, per la mediazione, un compenso usurario.
La norma incriminatrice tende a colpire l’avida condotta di quei loschi individui che,
intromettendosi tra chi presta e chi riceve denaro o altra utilità, riescono ad assicurarsi guadagni
esorbitanti.
Viene punito il possessore di cosa mobile non propria, il quale si comporti da padrone, e cioè
compia sulla stessa atti di disposizione che sono riservati al proprietario. La vera essenza del reato
consiste nell’abuso del possessore, il quale dispone della cosa come se ne fosse proprietario. Il vero
ed unico soggetto passivo del reato, in conseguenza, è il proprietario della cosa. Il delitto di
appropriazione indebita presuppone che l’agente abbia il possesso della cosa mobile. Deve, però,
trattarsi di mero possesso, e cioè di possesso disgiunto della proprietà, poiché oggetto
dell’azione criminosa è un bene mobile altrui. Per quanto concerne la consumazione del reato, deve
escludersi che sia necessario che l’agente abbia conseguito un profitto, perché dalla formula
dell’art. 646 si desume in modo inequivocabile che il profitto è soltanto una nota dell’elemento
psicologico.