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ANTONIO NEGRI

FABBRICHE DEL SOGGETTO


Profili, protesi, transiti, macchine, paradossi, passaggi, sovversione, sistemi, potenze:
appunti per un dispositivo ontologico
XXI SECOLO Bimestrale di politica e cultura n. 1 Settembre-ottobre 1987

Tutti diritti sono riservati allautore


Papageno, aux Comrades du Cinel

Indice
PARTE I. FRA SUSSUNZIONE FORMALE E SUSSUNZIONE REALE.
PREFAZIONE p. 5
PARTE II. PROLEGOMENI DI UNONTOLOGIA DELLA SOVVERSIONE p. 19
Introduzione La rivoluzione come preambolo p. 19
Capitolo Primo.
No future, ossia sullessenza etica dellepistemologia p. 27
1. Lindifferenza delluniverso della comunicazione p. 27
2. Rompicapi dello spirito p. 31
3. Terrore e contingenza p. 36
4. Lantagonismo come << principium individuationis >> p. 40
5. Per unestetica trascendentale del corpo p. 44
6. Il concetto di costituzione pratica p. 48
Capitolo Secondo.
Metus-Seperstitio: ossia sulla produzione di soggettivit nel capitalismo maturo. p. 54
1. Il concetto di sussunzione reale ed il problema dellanalitica p. 54
2. Analitica: il diritto come legittimazione p. 58
3. Il modello formalistico: Hans Kelsen p. 63
4. Il modello contrattualistico: Rawls p. 67
5. Luhmann: il modello sistemico e la sua critica p. 70
6. Lantagonismo nella teoria della legittimazione p. 74
7. Per una nuova determinazione del problema p. 79
Capitolo Terzo.
Compact per una dialettica trascendentale del potere p. 84
1. Critica del concetto di potere p. 84
2. A proposito di movimento, oggi p. 89
3. Il lavoro del soggetto p. 94
4. Lavoro, territorio e libert p. 98
5. Compact: fra diritto e rivoluzione p. 104
6. Il concetto di pratica sociale p. 111
PARTE III. FRA CATASTROFE E RICOSTRUZIONE.
APPENDICE p. 118
1. Erkenntnistheorie. Elogio dellassenza di memoria p. 118
2. La potenza sociale del lavoro. Nota introduttivo alla ristampa di << Classe operaia >> p. 125
3. Per un nuovo schematismo della ragione. Risposta a Jean Petitot p. 135
4. Sullorlo dellessere. A proposito di un libro di Giorgio Agamben p. 141
5. Listituzione logica del collettivo e le fatiche dellestetica. A proposito del libro su Frege di Roberta De Monticelli p.
147
6. Dellaforisma << Pessimismo della ragione, ottimismo della volont >> e della ragionevole opportunit di
rovesciarlo p. 157
7. Lenin a New York. Progetto di lavoro p. 179

PARTE I
Fra sussunzione formale e sussunzione reale.
Prefazione
Karl Marx, Il Capitale: Libro I, Capitolo VI Inedito, trad. it. Firenze,
1969, pp. 53-54: << A questi cambiamenti, tuttavia, non si finora
accompagnata una trasformazione sostanziale del modo dessere vero e proprio
del processo lavorativo, del processo di produzione reale. Al contrario, nella
natura delle cose che la sottomissione (sussunzione) del processo lavorativo al
capitale si verifichi per ora sulla base di un processo lavorativo ad esso
preesistente, configuratosi sulla base di antichi e diversi processi produttivi e di
altre e diverse condizioni della produzione: il capitale si sottomette un processo
lavorativo dato, esistente - per esempio, il lavoro artigianale o il lavoro
agricolo corrispondente alla piccola economia contadina autonoma, - e le
modificazioni che possono tuttavia verificarsi allinterno del processo
lavorativo, non appena esso soggiaccia al comando del capitale, possono essere
soltanto conseguenze graduali della gi avvenuta sottomissione dei processi
lavorativi dati, tradizionali, al capitale. Il fatto che lintensit del lavoro
aumenti, che la durata del processo lavorativo si prolunghi, che il lavoro si
svolga pi ordinato e continuo sotto locchio interessato del capitalista ecc.,
questo fatto non cambia in s e per s il carattere del processo lavorativo reale,
del modo vero e proprio del lavoro.
Tutto ci contrasta decisamente con il modo di produzione specificamente
capitalistico (lavoro su grande scala ecc.) che, come abbiamo visto, si sviluppa
man mano che la produzione capitalistica progredisce; modo di produzione che,
insieme al rapporti fra i diversi agenti della produzione, rivoluziona anche il
modo dessere del lavoro e la forma a reale dellintero processo lavorativo.
Appunto in contrapposto al modo di produzione specificamente capitalistico
noi chiamiamo sussunzione formale del lavoro al capitale la sottomissione da
parte di questultimo del processo lavorativo come labbiamo esaminato finora,
cio come sottomissione di un modo di lavoro gi sviluppato prima che il
rapporto capitalistico sorga.
Le due forme hanno in comune il rapporto capitalistico come rapporto di
coercizione inteso a spremere il plusvalore dal lavoro salariato, dapprima solo
prolungando la durata del tempo di lavoro-rapporto che non poggia su alcun
legame di signoria e dipendenza personale, ma nasce unicamente dalla
diversificazione delle funzioni economiche. Mentre per il modo di produzione
specificamente capitalistico conosce anche altri modi di estorsione di
pluslavoro e plusvalore, invece, sulla base di un modo di produzione esistente,
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quindi di uno sviluppo dato della forza produttiva del lavoro e di un modo di
lavoro corrispondente a questa forza produttiva, il plusvalore pu essere
prodotto solo prolungando la durata del tempo di lavoro: sotto la forma del
plusvalore assoluto. E a questa forma di produzione del plusvalore che
corrisponde la sottomissione formale del lavoro al capitale >>.
Pp. 57-58: << Lincremento delle forze produttive sociali del lavoro, o delle
forze produttive del lavoro direttamente sociale, socializzato (reso collettivo)
mediante la cooperazione, la divisione del lavoro allinterno della fabbrica,
limpiego delle macchine, e in genere, la trasformazione del processo di
produzione in cosciente impiego delle scienze naturali, della meccanica, della
chimica ecc. e della tecnologia per dati scopi, come ogni lavoro su grande
scala a tutto ci corrispondente (solo questo lavoro socializzato infatti in
grado di applicare i prodotti generali dellevoluzione umana, per esempio le
matematiche, al processo di produzione immediato, allo stesso modo daltra
parte che lintero sviluppo di queste scienze presuppone un dato livello del
processo di produzione materiale), questo incremento, dicevamo, della forza
produttiva del lavoro socializzato in confronto al lavoro pi o meno isolato e
disperso dellindividuo singolo, e con esso lapplicazione della scienza questo prodotto generale dello sviluppo sociale - processo di produzione
immediato, si rappresentano ora come forza produttiva del capitale anzich
come forza produttiva del lavoro, o solo come forza produttiva del lavoro in
quanto identico al capitale; in ogni caso, non come forza produttiva del
lavoratore isolato e neppure del lavoratori cooperanti nel processo di
produzione.
Questa mistificazione, propria del rapporto capitalistico in quanto tale, si
sviluppa ora molto pi di quanto potesse avvenire nel caso della pura e
semplice sottomissione formale del lavoro al capitale. E daltra parte soltanto
quit, che il significato storico della produzione capitalistica appare nella sua
evidenza specifica, proprio attraverso la trasformazione dello stesso processo di
produzione immediato e lo sviluppo delle forze produttive sociali del lavoro.
Si gi dimostrato (capitolo III) che non solo nella << rappresentazione >>
ma nella << realt >>, laspetto sociale, << la socialit >> ecc., del lavoro si
erge di fronte alloperaio come elemento non soltanto estraneo ma ostile e
antagonistico, apparendo oggettivato e personificato nel capitale. Allo stesso
modo che la produzione del plusvalore assoluto pu essere considerata come
lespressione materiale della sottomissione formale del lavoro al capitale, la
produzione del plusvalore relativo pu considerarsi come lespressione della
sottomissione reale del lavoro al capitale. >>
Pp.68-69: << Sottomissione reale del lavoro al capitale. Permane qui la
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caratteristica generale della sottomissione formale, cio la diretta


subordinazione del processo lavorativo, comunque sia esercitato dal punto di
vista tecnologico, al capitale. Ma su questa base si erge un modo di
produzione tecnologicamente (e non solo tecnologicamente) specifico, che
modifica la natura reale del processo lavorativo e le sue reali condizioni - il
modo di produzione capitalistico. Solo quando esso appare ha luogo la
sottomissione reale al capitale. >> << La sottomissione reale del lavoro al
capitale si sviluppa in tutte le forme che generano, a differenza del plusvalore
assoluto, plusvalore relativo. Alla sottomissione reale del lavoro al capitale si
accompagna una rivoluzione completa (che prosegue e si ripete costantemente)
nel modo stesso di produzione, nella produttivit del lavoro, e nel rapporto fra
capitalisti e operai.
La sottomissione reale del lavoro al capitale va di pari passo con le
trasformazioni nel processo produttivo che abbiamo gi illustrate: sviluppo
delle forze produttive sociali del lavoro e, grazie al lavoro su grande scala,
applicazione della scienza e del macchinismo alla produzione immediata. Da
una parte, il modo di produzione capitalistico, che ora appare veramente come
un modo di produzione sui generis, d alla produzione materiale una forma
diversa; dallaltra, questa variazione della forma materiale costituisce la base
per lo sviluppo del rapporto capitalistico, la cui forma adeguata corrisponde
perci a un determinato grado di sviluppo delle forze produttive sociali del
lavoro >>.
P. 74: << Primo: Poich, con lo sviluppo della sottomissione reale del
lavoro al capitale e quindi del modo di produzione specificamente
capitalistico, il vero funzionario del processo lavorativo totale non il singolo
lavoratore, ma una forza-lavoro sempre pi socialmente combinata, e le
diverse forze-lavoro cooperanti che formano la macchina produttiva totale
partecipano in modo diverso al processo immediato di produzione delle merci o
meglio, qui, dei prodotti - chi lavorando piuttosto con la mano e chi piuttosto
con il cervello, chi come direttore, ingegnere, tecnico ecc., chi come
sorvegliante, chi come manovale o come semplice aiuto -, un numero crescente
di funzioni della forza-lavoro si raggruppa nel concetto immediato di lavoro
produttivo, e un numero crescente di persone che lo eseguiscono nel concetto
di lavoratori produttivi, direttamente sfruttati dal capitale e sottomessi al suo
processo di produzione e valorizzazione. Se si considera quel lavoratore
collettivo che a fabbrica, la sua attivit combinata si realizza materialmente
e in modo diretto in un prodotto totale, che nello stesso tempo una massa
totale di merci dove del tutto indifferente che la funzione del singolo operaio,
puro e semplice membro del lavoratore collettivo, sia pi lontana o pi vicina al
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lavoro manuale in senso proprio. Ma, daltra parte, lattivit di questa forzalavoro collettiva il suo consumo produttivo immediato da parte del
capitale, autovalorizzazione del capitale, produzione immediata del
plusvalore; quindi, come vedremo meglio in seguito, trasformazione
immediata dello stesso in capitale. >>
Karl Marx, Lineamenti fondamentali di critica delleconomia politica,
trad. il. Torino, 1976, vol. I, p. 722: << Come, con lo sviluppo della grande
industria, la base su cui essa si fonda, ossia lappropriazione di tempo di lavoro
altrui - cessa di costituire o di creare la ricchezza, cos, con esso il lavoro
immediato cessa di essere, come tale, la base della produzione, poich per un
verso viene trasformato in unattivit prevalentemente di sorveglianza e
regolatrice; ma poi anche perch il prodotto cessa di essere il prodotto del
lavoro isolato immediato, ed piuttosto la combinazione dellattivit sociale a
presentarsi come produttore. Nello scambio immediato il lavoro isolato
immediato si presenta realizzato in un prodotto particolare o parte di questo
prodotto, e il suo carattere sociale comunitaria - ossia il suo carattere di
materializzazione del lavoro generale e di soddisfacimento del bisogno generale
- posto soltanto attraverso lo scambio. Per contro, nel processo di produzione
della grande industria, come da un lato lassoggettamento della forze della
natura allintelligenza sociale il presupposto della forza produttiva del mezzo
di lavoro sviluppato a processo automatico, cos dallaltro il lavoro del
singolo, nella sua esistenza immediata, posto come lavoro singolo
soppresso, ossia come lavoro sociale. Cos viene a cadere laltra base di
questo modo di produzione. >>
P. 716: << Ma nella misura in cui si sviluppa la grande industria, la creazione
della ricchezza reale viene a dipendere meno dal tempo di lavoro e dalla
quantit di lavoro impiegato che dalla potenza degli agenti messi in moto
durante il tempo di lavoro, la quale a sua volta - questa loro poderosa efficacia non sta in alcun rapporto con il tempo di lavoro immediato che costa la loro
produzione, ma dipende piuttosto dallo stato generale della scienza e dal
progresso della tecnologia, o dallapplicazione di questa scienza alla produzione
>>.
Pp. 717-718: << La ricchezza reale si manifesta piuttosto - e ci viene messo in
luce dalla grande industria - nella straordinaria sproporzione tra il tempo di
lavoro impiegato e il suo prodotto, come pure nella sproporzione qualitativa tra
il lavoro ridotto a pura astrazione e la potenza del processo produttivo che esso
sorveglia. Il lavoro non si presenta pi tanto come incluso nel processo
produttivo, in quanto piuttosto luomo a porsi come sorvegliante e regolatore
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nei confronti del processo produttivo stesso. (Ci che si detto per il
macchinario, vale ugualmente per la combinazione delle attivit umane e per lo
sviluppo del traffico umano). Non pi loperaio a inserire loggetto naturale
modificato come termine medio tra s e loggetto; egli inserisce invece il
processo naturale, che egli trasforma in un processo industriale, come mezzo tra
s e la natura inorganica di cui si impadronisce. Egli si sposta accanto al
processo produttivo invece di esserne lagente principale. In questa situazione
modificata non n il lavoro immediato, eseguito dalluomo stesso, n il tempo
che egli lavora, bens lappropriazione della sua forza produttiva generale, la
sua comprensione della natura e il dominio su di essa attraverso la sua esistenza
di corpo sociale - in breve lo sviluppo dellindividuo sociale, che si presenta
come il grande pilastro della produzione e della ricchezza. Il furto di tempo di
lavoro altrui, sul quale si basa la ricchezza odierna, si presenta come una
base miserabile in confronto a questa nuova base creata dalla grande industria
stessa. Non appena il lavoro in forma immediata ha cessato di essere la grande
fonte della ricchezza, il tempo di lavoro cessa e deve cessare di esserne la
misura, e quindi il valore di scambio cessa e deve cessare di essere la misura del
valore duso. Il lavoro eccedente della massa ha cessato di essere la
condizione dello sviluppo della ricchezza generale, cos come il non-lavoro dei
pochi ha cessato di essere condizione dello sviluppo delle potenze generali
della mente umana. Con ci la produzione basata sul valore di scambio crolla, e
il processo produttivo materiale immediato viene a perdere esso stesso la forma
della miseria e dellantagonismo. Il libero sviluppo delle individualit, e dunque
non la riduzione del tempo di lavoro necessario per creare lavoro eccedente, ma
in generale la riduzione a un minimo del lavoro necessario della societ, a cui
poi corrisponde la formazione artistica, scientifica ecc. degli individui grazie al
tempo divenuto libero e al mezzi creati per essi tutti. Il capitale esso stesso la
contraddizione in processo (per il fatto) che esso interviene come elemento
perturbatore nel processo di riduzione del tempo di lavoro a un minimo, mentre
daltro canto pone il tempo di lavoro come unica misura e fonte della ricchezza.
Esso diminuisce, quindi, il tempo di lavoro necessario, solo per aumentarlo
nella forma del tempo di lavoro superfluo; pone quindi in misura crescente il
lavoro superfluo come condizione - questione di vita e di morte - di quello
necessario. Per un verso chiama in vita tutte le potenze della scienza e della
natura, come della combinazione sociale e del traffico sociale, allo scopo di
rendere indipendente (relativamente) la creazione della ricchezza del tempo di
lavoro in essa impiegata. Per laltro verso vuole misurare con il tempo di lavoro
le gigantesche forze sociali cos create, e relegarle nei limiti che sono richiesti
per conservare come valore il valore gi creato. Le forze produttive e le
relazioni sociali - entrambi aspetti diversi dello sviluppo dellindividuo sociale 9

al capitale si presentano soltanto come mezzi, e per esso sono soltanto mezzi
per produrre a partire dalla sua base limitata. Ma in realt essi sono le
condizioni materiali per far saltare in aria questa base.>>
***
Ho qui riportato questi testi marxiani ad un solo scopo: introdurre il lettore in
medias res. Largomentazione che segue, presuppone infatti una constatazione:
viviamo nella sussunzione reale - meglio, stiamo sistemandoci in essa in
maniera definitiva, dopo aver vissuto il compiersi del processo di
assoggettamento formale della societ da parte del capitale lungo gli ultimi
secoli. E quindi utile aver presente la definizione marxiana di << sussunzione
formale >> e di << sussunzione reale >>. Al lettore la possibilit di confrontare
le categorie e la realt: se lutilizzo di quelle gli permette di meglio riconoscere
questa, egli allora pu forse seguitare la lettura. Va solo tenuto presente che
laccettazione di queste categorie marxiane non implica laccettazione di <<
tutto Marx >> n, in alcun modo, ladesione alle interpretazioni pi o meno
ortodosse del suo pensiero. Le definizioni di << sussunzione formale >> e di <<
sussunzione reale >> sono in effetti solo parzialmente dipendenti dallo sviluppo
complessivo della teoria marxiana: sono illuminazioni su un futuro prossimo,
piuttosto che lanalisi di un presente; sono tendenze che luomo politico e il
profeta identifica per il nostro presente, piuttosto che determinazioni
scientifiche di questo lo accetto e rilancio questa provocazione marxiana perch
in essa trovo, ora, una formidabile adesione allattualit, la verit dello stato
presente delle cose. Daltronde, termini come << postmoderno >>, come <<
Civilisation >>, come << Nihilismus >>, come << Krisis >>, quando siano
utilizzati per indicare la crisi del razionalismo occidentale nella maturit
capitalistica - sono, ognuno nella sua specificit, sinonimi di << sussunzione
reale >>. Ci detto, va tuttavia sottolineato che, nelle categorie marxiane,
contenuta, assieme alla descrizione della tendenza, la chiave pratica del suo
rovesciamento: in ci le categorie marxiane si distinguono da quelle
nietzscheane o freudiane, wittgensteiniane o adorniane, per non parlare, si parva
licet, di quelle splengeriane o baudrillardiane. Non il contenuto della
descrizione distingue Marx dalla filosofia contemporanea nella definizione del
presente, ma il punto di vista: quello della liberazione, quello della soggettivit
antagonista. Lo voglio procedere su questa direzione del discorso marxiano: qui
dunque non chiedo pi al lettore di seguirmi sulla base di una constatazione
comune - perch in questo caso non di constatazioni si tratta, bens di scelte. Se
vorr farlo, lo far a suo rischio. Della fondazione ontologica di una scelta di
liberazione tratta comunque, in buona parte, questo libro.
Precisiamo un concetto. Si detto: << fra >> sussunzione formale e
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sussunzione reale, ma evidentemente si intende come ormai laccento cada


essenzialmente sulla realt della sottomissione della societ al capitale. Di
conseguenza, se la modificazione dei modi di produzione un processo
complesso e la tendenza che presiede alla modificazione, estremamente
articolata: pure legemonia del modo di produzione capitalistico ormai totale e
le differenze e le resistenze sono caratterizzate da una straordinaria precariet insomma, la sussunzione reale effettuale. Il paradigma del modo di
produzione definitivamente mutato. Il capitalismo ha proceduto fino
allestrema istituzione formale del collettivo. Il lavoro e la produzione sono
determinazioni ormai solo sociali: Se ci sono ritardi nello sviluppo
complessivo, questi non toccano la sostanza del processo e non ritardano
lattualit del suo compimento. E dunque a partire da questa situazione,
centralmente definita, che il ragionamento deve muovere. E tenersi strettamente
a queste condizioni.
Salvo rovesciarle. Poich la sussunzione reale, della quale lo sviluppo
capitalistico virtualmente rivela le definitive condizioni, - nelleffettualit - un
sistema di contraddizioni. Ma queste contraddizioni sono state percorse dal
sistema delle macchine ed estremizzate dalla sua logica fino al punto di essere
condotte ad unultima alternativa: quella del comando e dello sfruttamento,
appunto, ma spinta al limite del terrore, al ricatto della guerra, fino alla
drammatica proposizione dellalternativa dellessere e della sua negazione. E
su questo orlo dellessere che il ragionamento filosofico e la decisione etica
divengono oggi decisivi. E la tragedia che viviamo, dentro questa precariet
dellessere, attraverso la violenza della nostra reazione morale, potrebbe aprirsi
al godimento.
***
I << Prolegomeni ad unontologia della sovversione >> costituiscono un
primo tentativo di raccogliere in una prospettiva di rottura e di trasformazione
radicale la determinatezza delle modificazioni strutturali della produzione e del
soggetto produttivo che abbiamo verificato in questo secolo. Lo sono e resto
convinto che il pi enorme evento di questo secolo sia stata la rivoluzione
dOttobre. Essa ha cambiato il mondo. Essa ha imposto unaccelerazione
straordinaria allo sviluppo capitalistico, - sia nei paesi laddove essa si
affermata, sia nei paesi a pi antica vocazione e riuscita industriale. Le oblique
e talora perverse risultanze del regime socialista non possono indurci in errore e
a rinnegare Lenin perch dopo di lui venuto Stalin, quanto la rivoluzione
francese perch ha prodotto Napoleone. Ma v di pi: la rivoluzione dottobre,
contribuendo in maniera straordinaria alla modernizzazione industriale ed alla
liberazione politica di tutti popoli, costruendo perci - direttamente o
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indirettamente - le condizioni di un mercato mondiale, ed in ogni caso


accelerandone la realizzazione, ha attratto nellarea della sussunzione reale ogni
formazione storico-produttiva - e tutte le ha integrate e articolate lungo un
medesimo e solo processo di sviluppo. Sul livello mondiale una nuova
ontologia dellessere sociale venuta cos formandosi. Lo lassumo come
dato - non mi interessa qui descriverla da un punto di vista sociologico
(labbiamo gi fatto altrove - io e molti altri studiosi - e la nostra tesi sull
operaio sociale e multinazionale hanno fin qui ricevuto solo delle conferme altrove approfondir il discorso), minteressa invece problematizzare
lontologia del soggetto produttivo sullorizzonte del mercato mondiale,
mettendola a confronto con le tensioni catastrofiche attorno a cui,
verticalmente, s riorganizzato il potere: potere di vita e di morte, potere
nucleare, potere di determinazione del non-essere, - e soprattutto, tentativo del
potere di costruire direttamente la soggettivit, di togliere il soggetto produttivo
allessere ed alla verit. Per mia parte sono convinto - e tento di dimostrarlo che la soggettivit pu opporsi, sul terreno ontologico, alla macchina del
potere capitalistico, che pu impedire la sua tensione di morte, che pu
autorganizzarsi e costruire opposizione, ed anche antagonismo, contro il
dominio.
E qui ci troviamo su uno snodo importante, che vogliamo cercare di chiarire.
Dentro lenorme verticalizzazione del potere, il tema della pace divenuto
essenziale. Esso ci proposto come ricatto, e ci si minaccia di toglierci, a
questo livello della potenza produttiva, con la pace, lessere, la vita, la
riproduzione della specie. La difesa della pace , a questo punto, il risvolto del
dominio. Che cosa vuol dire allora, in questa situazione, formare
antagonismo contro il dominio? Che cosa vuol dire rifondare la vita nel
rifiuto della minaccia di distruzione dellessere? Che cos oggi la critica
delleconomia politica della pace? Rispondere a queste domande fondare
una nuova prassi collettiva, un nuovo diritto e una nuova societ. Riconquistare
la pace non come fondazione delloppressione ma come espressione di libert,
non come incubo di distruzione e necessit del dominio ma come desiderio:
costruzione, innovazione, immaginazione e godimento - collettivi - la grande
operazione ontologica del secolo che si chiude. Si badi bene: il corrispettivo
formale della possibilit di tutto distruggere, la potenza materiale di tutto
costruire. Ogni tab cade - la ragione etica, quella potenza che pi mettere le
mani sullessere e che solo in quanto lo f, storicamente significativa - ora,
questa potenza nella nostra nuova natura e nella nostra ontologica
determinazione. Pace legare la realt del movimento allespressione della
potenza costruttiva - ai nuovi compiti etici che si aprono sui confini dellessere,
oltre il limite della datit, laddove si scopre che quel potere che pu tutto
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distruggere, bisogna disarmarlo - attraverso quella potenza che pu tutto


costruire. Lessere soprattutto.
Gli scritti raccolti nella III parte e qui globalmente intitolati << fra
catastrofe e ricostruzione >>, sono stati redatti lungo gli ultimi anni. In che cosa
sia consistita la catastrofe, crediamo sia chiaro - soprattutto al lettore italiano:
la distruzione della continuit lineare della memoria storica della sovversione,
la sconfitta politica di un movimento di massa grande e generoso (quale la
storia contemporanea aveva raramente conosciuto, nei paesi capitalistici
avanzati). Ma anche che cosa sia la ricostruzione, credo sia possibile oggi
intenderlo. E la ricostruzione di un comportamento sovversivo, di un nuovo
movimento proletario, a partire da una condizione irreversibile della coscienza il comunismo come preambolo, come alternativa concreta e prassi immediata,
la coscienza della natura collettiva della produzione e della riproduzione come
nuovo paradigma del sapere, limmaginazione di nuovi processi di
valorizzazione sociale come compito. Noi viviamo in una societ archeologica:
vi sono dei padroni capitalisti che, come sovrani assoluti, comandano la vita
produttiva di milioni di uomini attraverso il pianeta; vi sono altre persone,
gestori e proprietari dei media, che, come inquisitori medioevali, posseggono
tutti gli strumenti di formazione dellopinione pubblica; vi sono poi degli
individui che possono, fuori da qualsiasi responsabilit personale, scelti - come
in altri tempi gli stregoni - per cooptazione, condannare degli uomini alla
prigione a vita o trattenerli entro istituzioni totali; ecc. ecc. - vi sono infine due
o tre poteri al mondo che, imperialmente, garantiscono questo modo di
produzione e di riproduzione della ricchezza e delle coscienze,
sovraintendendolo in modo mostruoso - attraverso i1 ricatto nucleare, attraverso
la minaccia di distruggere lessere. Rifiutare tutto questo come si rifiuta quello
che vecchio e marcito - questo non un compito ma una necessit, una
precostituzione ontologica. Non credibile che il mercato mondiale, e le enormi
forza collettive che in esso si muovono, abbiano padroni; non possibile,
meglio, senzaltro ripugnante il diritto della propriet e dello sfruttamento.
Tanto pi se queste aberrazioni sono applicate alla formazione dellopinione
pubblica - qui i cittadini sono imprigionati nel momento in cui dovrebbero
democraticamente sviluppare il loro diritto di informazione, di comunicazione e
di critica. Archeologiche e odoranti morte e follia, sono poi le corporazioni
giuridiche, amministrative, politiche dello Stato della sussunzione reale. Ma la
morte che hanno nelle membra e nel cuore, esse rovesciano contro il mondo!
Rompere con tutto ci, ricostruire! Lo parlo qui di ricostruzione perch, dopo la
crisi dellultimo decennio, ovunque ormai, in Europa come nel mondo, il
processo rivoluzionario si rimesso in moto. Con fatica, negli anni scorsi, nei
saggi che qui metto insieme, lo abbiamo descritto in questa nuova figura - mano
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a mano approssimandone sempre di pi le caratteristiche. La rivoluzione come


preambolo, limmaginazione al potere, questi sono dunque i poli del processo
di ricostruzione, di uscita dalla catastrofe. Su questo bordo dellessere noi ci
troviamo davanti ad una natura umana modificata dallo sviluppo e dalle lotte anche dalle sconfitte - ad un processo di autovalorizzazione che socialmente ha
formato nuove soggettivit e ha depositato una grande esperienza del futuro.
***
Mi capitato, in questi scritti, di utilizzare ampiamente, quando parlo
dellimmediatezza dellesperienza di liberazione, il termine filosofico <<
estetica trascendentale >>; quando parlo dellimmaginazione e della sua
funzione creativa, il termine << dialettica trascendentale >>; quando infine, ed
al contrario, parlo della capacit capitalistica di comando attraverso gli
strumenti del nuovo dominio e della stessa produzione di soggettivit, utilizzo il
termine << analitica >>. Ora, poich temo che non tutti i miei lettori abbiano
presente la definizione kantiana di queste categorie della critica, mi permetto
qui di seguito di ricordarla (affinch in tal modo venga meglio compreso luso
di queste categorie e la radicale anomalia che in questuso introduco). E
comunque nel paragrafo 3 della Parte III (<< Per un nuovo schematismo >>)
che si discutono alcuni temi kantiani.
Emmanuelle Kant, Critica della ragion pura, trad. il., Bari, 1949, vol. I, pp.
66-67: << Chiamo estetica trascendentale una scienza di tutti i principi a priori
della sensibilit. Deve esserci una tal scienza, che costituisca la prima parte di
una dottrina trascendentale degli elementi, in opposizione a quella che contiene
i principi del pensiero puro e vien [sic] denominata logica trascendentale.
Nella estetica trascendentale, dunque, noi isoleremo dapprima la sensibilit,
separandone tutto ci che ne pensa coi suoi concetti lintelletto, affinch non vi
resti altro che lintuizione empirica. In secondo luogo, separeremo ancora da
questa ci che appartiene alla sensazione, affinch non ne rimanga altro che la
intuizione pura e la semplice forma dei fenomeni, che ci che la sensibilit
pu fornire a priori. In questa ricerca si trover che vi ha due forme pure di
intuizione sensibile, come principi della conoscenza a priori, cio spazio e
tempo, del cui esame noi ci occuperemo or ora. >>
P. 108: << Analitica trascendentale: questa analitica la risoluzione di tutta
la nostra conoscenza a priori negli elementi della conoscenza pura intellettuale.
E qui bisogna por mente ai punti seguenti: 1) che i concetti sieno concetti puri,
e non empirici; 2) che appartengano non allintuizione e alla sensibilit, ma al
pensiero e allintelletto; 3) che sieno concetti elementari, ben distinti dai
derivati e da quelli risultanti da essi per composizione; 4) che la loro tavola sia
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completa, e abbracci interamente tutto i1 dominio dellintelletto puro. Or questa


compiutezza duna scienza data non pu ottenersi con sicurezza col calcolo
allingrosso di un aggregato messo insieme per tentativi; quindi essa possibile
soltanto mediante unidea della totalit della conoscenza intellettuale a priori e
per mezzo della divisione dei concetti che la costituiscono, determinata in base
a cotesta idea, e quindi per mezzo della loro connessione sistematica.
Lintelletto puro si distingue assolutamente, non solo da ogni elemento
empirico, ma anche da ogni sensibilit. E dunque ununit per s stante,
sufficiente a se stessa, e non suscettibile di aumento per aggiunte dallesterno.
Linsieme quindi della sua conoscenza former un sistema, da essere compreso
e determinato sotto una sola idea, e la cui compiutezza e articolazione possono
fornire a un tempo una pietra di paragone per provare lesattezza e il valore di
tutte le parti di conoscenza che vi rientrano. Tutta questa parte della logica
trascendentale consta di due libri, uno dei quali comprende i concetti, e laltro i
principi dellintelletto puro.>>
Pp. 291, 293, 294: << Noi abbiamo detto pi sopra la dialettica in generale
logica dellapparenza >>. << Lapparenza logica, che consiste nella semplice
imitazione della forma razionale (lapparenza dei sofismi) sorge unicamente da
un difetto di attenzione alla regola logica. Appena quindi questa viene rivolta
sul caso in questione, quellapparenza si dilegua del tutto. Lapparenza
trascendentale, invece, non cessa ugualmente, se altri gi labbia svelata e ne
abbia chiaramente scorta la nullit mediante la Critica trascendentale. E la causa
questa, che nella nostra ragione (considerata soggettivamente, come facolt
conoscitiva umana) ci sono regole fondamentali e massime del suo uso, che han
tutto laspetto di principi oggettivi, per cui accade che la necessit soggettiva di
una certa connessione del nostri concetti in grazia dellintelletto venga
considerata come necessit oggettiva della determinazione delle cose in s.
Illusione, che affatto inevitabile >>. << La dialettica trascendentale sar paga
per tanto di scoprire lapparenza dei giudizi trascendentali, e di prevenire
insieme che essa non tragga in inganno; ma di questa apparenza anche si dilegui
(come lapparenza logica) e cessi di essere unapparenza, questo ci che non
pu giammai conseguire. Perch noi abbiamo che fare con una illusione
naturale ed inevitabile, che si fonda essa stessa su principi soggettivi, e li
scambia per oggettivi; laddove la dialettica logica, nella risoluzione dei
paralogismi, non ha da fare se non con un errore nello svolgimento del principi,
o con unartificiale imitazione di essi. Essa dunque una dialettica naturale e
necessaria della ragion pura; non la dialettica in cui savviluppi, per es., il
guastamestieri per mancanza di cognizioni, o che un qualunque sofista abbia
escogitato ad arte per imbrogliare la gente ragionevole; ma la dialettica, che
inscindibilmente legata allumana ragione e che, anche dopo che noi ne avremo
15

scoperta lillusione, non cesser tuttavia di adescarla e trascinarla


incessantemente in errori momentanei, che avranno sempre bisogno di essere
eliminati. >>
Vol. II, p. 516, 517, 519: << Il risultato di tutti i tentativi della ragion pura
non solo conferma quello, che noi gi dimostrammo nellAnalitica
trascendentale, ossia, che tutti i nostri ragionamenti, i quali vogliono condurci al
di l del campo dellesperienza possibile, son fallaci e senza fondamento; ma
cinsegna nello stesso tempo questo di particolare, che lumana ragione ha qui
una propensione naturale ad oltrepassare questi limiti, che le idee trascendentali
sono per essa altrettanto naturali che per lintelletto le categorie, sebbene con la
differenza, che le ultime conducono alla verit, cio allaccordo dei nostri
concetti con loggetto, laddove le prime generano una semplice, ma irresistibile
apparenza, la cui illusione, appena si pu rimuovere merc la critica pi acuta
>>. << Lo affermo per tanto che le idee trascendentali non sono mai duso
costitutivo, sicch per mezzo di esse possono esser dati concetti di certi oggetti;
e che, ove esse siano intese a questo modo, sono semplicemente concetti
sofistici (dialettici). Ma, viceversa, hanno un uso regolativo eccellente e
impreteribilmente necessario: quello di indirizzare lintelletto a un certo scopo,
in vista del quale le linee direttive di tutte le sue regole convergono in un punto;
il quale - sebbene non sia altro che unidea (focus immaginarius), cio un
punto, da cui realmente non muovono i concetti dellintelletto, essendo esso
affatto fuori dei limiti dellesperienza possibile, - serve nondimeno a conferir
loro la maggiore unit con la maggiore estensione. Ora per noi sorge veramente
di qui lillusione, come se queste linee direttive si diramassero (come gli oggetti
sono veduti dietro la superficie dello specchio) da un oggetto stesso, che
gichampionsse fuori del campo della conoscenza empirica possibile; se non che
questa illusione (che pure si pu impedire, che non inganni) tuttavia
inevitabilmente necessaria, se oltre agli oggetti, che ci sono innanzi agli occhi,
vogliamo vedere insieme anche quelli che ci stanno lontani alle spalle, cio se,
nel nostro caso, vogliamo portare lintelletto al di l dogni esperienza data
(parte della totale esperienza possibile), quindi anche alla maggiore estensione
possibile ed estrema >>. << Luso ipotetico della ragione per via di idee messe a
fondamento come concetti problematici non propriamente costitutivo, ossia
non di tal fatta che, se si vuol giudicare con tutto rigore, ne segua la verit
della legge universale per ipotesi; come sapere infatti tutte le conseguenze
possibili, che, derivando dallo stesso principio assunto, ne dimostrino la
universalit? Esso invece soltanto regolativo, per mettere, quanto possibile,
unit nelle conoscenze particolari e approssimare cos la regola delluniversalit
>>.
16

***
Fra sussunzione formale e sussunzione reale, fra catastrofe e ricostruzione, e
un viaggio - un dislocamento eptstemologico ed anche un processo storico.
Poich, come Marx ci ha insegnato, il tempo della rivoluzione modifica lo
spazio, meglio, segna di determinazioni temporali lo spazio e sceglie un tempo
come luogo, pi o meno privilegiato, di sviluppo di crisi e di trasformazione.
Noi stiamo vivendo non solo il ciclo della modificazione del modo di produrre
ma soprattutto la sua radicale innovazione, la sua sussunzione al livello pi alto,
- intendo, la sintesi terminale dello sviluppo capitalistico. E l, dove lo sviluppo
capitalistico appiattisce e riconduce ogni differenza, che il processo
rivoluzionario deve riconoscersi come preambolo dellesistente e del suo
rovesciamento, come condizione dellimmaginazione. Diciamo, qua e l, in
questo libro: << Lenin a New York >>, - per scherzare con la storia, attraverso
limmaginazione rivoluzionaria. New York la sussunzione reale della societ
mondiale nel capitale, Lenin il genio dellantagonismo e della sovversione.
Lenin a New York: sembra a me la divisa del comunismo per i prossimi
decenni. Qui io presento solo unintroduzione - etica ed epistemologica - al
problema. Credo tuttavia che questa introduzione sia fondamentale. Negli scritti
contenunti in Appendice, ed in particolare nella << Lettera ai compagni di
Montreal >>, sono indicati del terreni sui quali approfondire la ricerca. Ma non
possibile farlo se letica dellimmaginazione sovversiva non sinstaura alla
base della ricerca. Se il preambolo rivoluzionario non si rivela, come tale, nella
prassi. Transiti diversi, varie strategie sono qui possibili allo scopo di afferrare
praticamente la maturit della trasformazione necessaria. Lurgenza del
paradosso ontologico cui la vicenda del razionalismo occidentale e del
capitalismo ci ha condotto, il quadro di morte che lestrema accelerazione e
maturazione dello sviluppo ci ha regalato - tutto ci labbiamo dinnanzi. Non
risultano tuttavia tali da imporsi un blocco della ricerca n una paralisi della
volont. Se il pensiero si impianta nella pratica e sceglie questultima come
luogo ontologico fondamentale, - il paradosso di morte e i rompicapi distruttivi
che ci si presentano, possono essere risolti. Questa dunque una propedeutica
metafisica alla prassi trasformatrice.
7 aprile 1986
Avvertenza
Alcuni dei testi qui pubblicati, sono gi apparsi in varie riviste o sono stati
letti in cenacoli diversi. Cos, ad esempio, lintroduzione alla Parte II (<< La
rivoluzione come preamboli >>) la traccia di una conversazione che ho avuto
lonore di introdurre, il 15 giugno l984, nel seminario parigino di Francois
Chtelet. Il paragrafo 6 della Parte III (<< a proposito dellaforisma:
17

pessimismo della ragione, ottimismo della volont >>) il testo di un intervento


che in forma solo leggermente semplificata stato letto e discusso in alcune
sedute del seminario dei prigionieri politici che si teneva nel carcere di
Rebibbia Roma G12, nel settembre - ottobre 1982 Quest articolo nellattuale
forma e in traduzione francese, ora in corso di pubblicazione nella rivista <<
Chemin de ronde >>. Il Paragrafo 7 della Parte III (<< Lenin a New York
Progetto di lavoro >>), una lettera scritta ai compagni che a Montreal,
nellambito dellUniversit del Quebec, hanno tenuto aperta una sede di lavoro
teorico-politico spinato al marxismo critico rivoluzionario. La lettera datata 15
aprile 1985, e si riferisce in particolare al risultati del convegno del novembre
1984 sui movimenti autonomi della classe operaia contro lo Stato. I Paragrafi
1, 2, 3, 4, 5, della Parte III sono stati rispettivamente pubblicati: <<
Erkenntnistheorie >>, con il medesimo titolo, in << Metropoli >>, n 5, anno III,
Roma, giugno 1981, pp. 50-53 (il saggio porta comunque la data 25 aprile
1981); << La potenza sociale del lavoro >> come nota introduttiva alla
riedizione di << Classe Operaia >>, Collettivo Libri Rossi/Area Milano, 1980
(la nota porta la data << agosto 1979 >>); << Per un nuovo schematismo della
ragione >> apparso, in francese, con il titolo << A propos de Logos et thorie
des catastrophes de Jean Petitot >> in << Babylone >>, n 4, Printemps-Ete
1985, UGE 10/18, avril 1985, Paris, pp. 219-227; << Sullorlo dellessere >>,
apparso in << Alfabeta >>, n. 41, ottobre 1982, pp.21-22; << Listituzione
logica del collettivo >> stato pubblicato in << Aut aut >>, n. 197-198,
settembre - dicembre 1983, pp. 133-142. Ai direttori ed ai redattori delle riviste
che ne hanno concesso a nuova pubblicazione, va il mio ringraziamenti.

18

PARTE II
Prolegomeni di unontologia della sovversione
Introduzione
La rivoluzione come preambolo
Ho tra le mani un piccolo libro, recentemente pubblicato da Suhrkamp,
intitolato Mythologie der Vernunft. Hegels ltestes Systemprogramm des
deutschen Idealismus (1). Esso raccoglie, oltre al testo e ad unintroduzione
critica dei curatori, gli articoli che a questo piccolo e fondamentale scritto sono
stati dedicati da Franz Rosenzweig, Otto Pgler, Dieter Heinrich, Annemarie
Gethmann-Siefert. I curatori sono Christoph Jamme e Helmut Schneider. Non
voglio entrare nella polemica sulla paternit del testo e fare unennesima
congettura - se ne sia Hegel o Schelling o Hlderlin lautore - tanto pi che
anchio non sono in difetto in proposito, avendo studiato il problema nei miei
primissimi esercizi filosofici (1958: sul giovane Hegel (2) e 1959: sulla
storiografia (3) di Wilhelm Dilthey e della sua scuola) e poich non mi sembra
di poter rinunciare, sulla questione dellattribuzione, alle conclusioni di
Rosenzweig. Voglio solo riprendere questo << antichissimo >> testo come
origine e farci attorno qualche considerazione.
Leggo qualche passo (in una mia libera traduzione) (4): << Unetica. Poich
lintera metafisica si concluder nella morale - cosa della quale Kant con i suoi
due postulati pratici ha solo dato un esempio senza ci nulla esaurire - cos
questetica non sar altro che un sistema completo di tutte le idee, ovvero, che
la medesima cosa, di tutti i postulati pratici. La prima idea naturalmente la
rappresentazione dellio stesso, come di unassoluta libera essenza. Con la
libera, autocosciente essenza nel medesimo tempo vien [sic] fuori un mondo
intero, dal nulla - lunica vera e concepibile creazione dal nulla. - Io vorrei qui
entrare nel campo della fisica, il problema questo: come devessere costruito
un mondo per un essere morale? Potrei cos dar nuove ali alla nostra scienza
fisica che avanza tanto lentamente attraverso esperimenti. Dalla natura vengo
dunque allopera umana. Innanzitutto lidea di umanit - io voglio mostrare che
non si d alcuna idea di Stato, poich lo Stato qualcosa di meccanico, e non si
d idea di una macchina. Soltanto quello che oggetto della libert, questo si
chiama idea. Noi dobbiamo dunque andar oltre lo Stato! Poich ogni Stato deve
trattare luomo come un ingranaggio meccanico; appunto ci che non si deve;
quindi lo Stato devessere tolto. Consegue da ci che qui tutte le idee di pace
perpetua ecc. non sono altro che idee subordinate ad unidea superiore. Vorrei
nei medesimo tempo fondare principi di una storia dellumanit e nel medesimo
tempo mettere a nudo tutta la miserabile determinazione dello Stato, della
costituzione, del governo, della legislazione. Vengono infine le idee di un
19

mondo morale, la divinit, limmortalit - rovesciamento dellincredulit che


conseguenza del clericalismo - esso finge ora di usare la ragione, - bene, questo
rovesciamento lattueremo attraverso la ragione stessa. - Libert assoluta per
tutti gli spiriti che in s portano il mondo intellettuale, che non debbono cercare
n Dio n limmortalit fuori di se stessi. In ultimo luogo lidea che tutte le altre
idee unifica, quella di bellezza...>>
Questo testo mi ha sempre sconvolto.
Potrei dire che tutta la prima fase del mio lavoro filosofico maturo (negli anni
Sessanta: dallo studio sul formalismo dei giuristi kantiani (5) fino alla
traduzione ed al commento degli scritti di Hegel del 1802-1803 (6), dagli studi
sulla macchina dello Stato (7) alle parallele ricerche sul cartesianismo
nellideologia politica e statuale (8) - che questa prima fase matura di lavoro
filosofico non sia stata dunque altro che una riflessione sullattualit di questi
temi: riprendendone la fortissima valenza critica, e cio guardando come
lopera umana della libert venga resa meccanica e ridotta al nulla dai grandi
poteri che le si oppongono la natura produttiva e lo Stato.
Ma debbo subito aggiungere che nei miei studi di allora, solo sulle sfondo
resisteva il senso costruttivo di queste tematiche critiche, e cio il tentativo di
identificare che cosa potesse oggi essere una nuova mitologia della ragione,
della libert, unestetica trascendentale che non fosse chiusa nelle maglie di una
mediazione coatta. Questultimo infatti era stato lesito che quell <<
antichissimo programma >> aveva subito nello sviluppo della filosofia di
Schelling e di Hegel. Di questo destino Hlderlin era impazzito. Noi lo
rifiutavamo ma eravamo incapaci di liberarcene. Anche il marxismo era afflitto
da questa malattia, inglobato nellanalitico specchio del potere. Quanto agli
autori degli anni Venti e Trenta tedeschi, che soprattutti allora frequentavo: da
Walter Benjamin a Theodor W. Adorno, da Ernst Bloch e Georg Lukacs - bene,
per loro avvertire la crisi era unesasperata dichiarazione di impotenza. Il
cosiddetto pensiero della crisi, che tanta auge ha ora in Italia e altrove, noi
allora interamente lo vivemmo (9).
Ma ritorniamo al frammento programmatico. La copia hegeliana dellinizio
dellestate del 1796. La grande Rivoluzione sta giungendo allapogeo del suo
sviluppo. Ora, nelle pagine del frammento, essa il presupposto del sapere. Se
la libert umana il fondamento, il sapere non pu presentarsi che come etica e
come costituzione. Giorgio Agamben, uno dei pochissimi filosofi italiani in
questa stanca epoca, ha di recente nuovamente sottolineato questa verit (10).
Come ha potuto allora, questa grande rivoluzionaria rifondazione, essere cos
brutalmente tradita? Come ha potuto, alla base della nostra cultura filosofica, la
dialettica dellidealismo tedesco, ripetere il gioco dagli atroci risvolti di una
20

Dialektik der Aufklrung? Perch limmediatezza di una nuova e potente


estetica trascendentale, anzich svolgersi verso la sfera dellimmaginazione
vera, stata sottoposta alla mediazione dellanalitica trascendentale, a questa
artificiosa prigione del desiderio di costituzione?
Leggo le Lezioni sulla fenomenologia dello spirito di Hegel tenute da Martin
Heidegger (11). Vi sento, magistralmente interpretata, non una risposta alla
questione bens unapologia di questo risultato. Heidegger mi offre il senso
presente di unottusa analitica dello spirito, della storia e della libert - che
divenuta impotenza dellimmaginazione e del corpo. Leffettivit storica di
questa comprensione aumenta il disagio a fronte della tragica consonanza con la
quale lautore laccompagna.
Leggo Michael Theunissen, Sein und Schein. Die kritische Funktion der
hegelschen Logik (12). Siamo qui fra gli epigoni della francofortese filosofia
critica. Non v qui pi alcuna illusione che lanalitica e la logica dialettiche
possano riempirsi di contenuti di verit. V tuttavia, in questa recentissima e
sofisticata operazione sulla dialettica hegeliana, a speranza che il negativo
logico possa almeno continuare a rappresentare unallusione, unallegoria
dellessere e fondare perci qualche formale orizzonte di significativit.
Funzione ontologica del negativo, del differente, nella logica? No, non
possibile.
Se ho citato questi volumi, non perch occasionalmente (non potendo, in
questo periodo, frequentare se non episodicamente le biblioteche) me li sono
trovati fra le mani. Loccasione non ne toglie il valore di indice generale.
Ebbene, qui, emblematicamente, il sogno dellunificazione logica del sapere e
lhegeliana Darstellung di una logica dellessere si mostrano e sono offerti
come radice dellerrore. In verit, dopo la rivoluzione, non lessere che si
appropriato della logica bens la logica che si appropriata dellessere. Con
Hegel la logica divenuta la matrice dellideologia ed unanalitica stringente si
opposta allestetica trascendentale della libert. Lo spazio dellestetica
trascendentale stato ridotto, nel migliore dei casi, a misure fenomenologiche.
Il rapporto costitutivo fra estetica e dialettica trascendentale
dellimmaginazione vera stato costrittivamente attraversato da unanalitica, da
unepistemologia, asfissianti ed onnicomprensive. Il pi antico programma
dellidealismo tedesco divenuto il suo rovescio - e noi viviamo questa
tragedia.
Quando la filosofia contemporanea avverte questo esito diviene impotente.
La caduta della dialettica, nella sua figura hegeliana, sembra comportare la
rovina di ogni possibilit di costruzione.
21

Cos, nei momento nel quale la tragedia della ragione dialettica diviene
storica e la ragione meccanica raggiunge lapice della sua espressione
determinata, realizzando completamente, fra Auschwitz e Hiroshima, il rovescio
dellantico programma di libert dellidealismo tedesco ed insieme mostrando
lefficacia distruttiva del decorso storico della dialettica, la filosofia si sente
sullorlo estremo dellessere. Un orlo di distruzione, ove soffia e risucchia il
vento del vuoto, - e lorrore moltiplicato.
La favola della filosofia non pu tuttavia aver fine. Questo nostro essere
sullorlo dellessere ci rivela non solo la disperata effettualit della crisi del
sistema del valore - ci pone anche di fronte alla genealogia di questa crisi e ci
colloca, attraverso questa scoperta, sul solo terreno sul quale lintelligenza
riflette su se stessa. Viviamo unet barocca: non la meraviglia o lammirazione
ma il terrore sono alla base del risveglio alla filosofia. Lorrore della distruzione
ci incolla al corpo, alla sensibilit, alla vita - alla necessit di una riflessione
intelligente. Lorlo dellessere ci obbliga al cuore dellessere, ci stringe su quel
punto sul quale una estetica della libert pu nuovamente coniugarsi con una
dialettica dellimmaginazione produttiva.
<< Unetica >>.
Con forza di anticipazione e capacit di raccogliere lanomalia di una
straordinaria condizione storica, Spinoza ci ha indicato questo cammino. Di
nuovo qui posso ripercorrere la mia esperienza filosofica e i miei scritti degli
anni settanta - una seconda fase del mio pensiero. Ora, fino a quando non ho
incontrato Spinoza (13), se mi era chiara la necessit di rompere la
subordinazione della volont di valorizzazione dei soggetti alla meccanica della
ragione analitica, non me stato mai chiaro che a questo scopo andava
interrotto il circolo vizioso delle omologie analitiche che continuamente si
determinavano quando dallesperienza soggettiva si passava alloggettiva - e
viceversa. Nel migliore dei casi, quando si scioglieva, lo spirito di sistema
liberava (in polemica con lanalitica) volont anarchica; viceversa, lo spirito
anarchico resolve, alla maniera di un surrealista progetto, alla volont di
sistema. Nello schema filosofico tradizionale che subivo, la critica indicava la
trascendenza del valore anzich assumere la possibilit radicale di sviluppare la
potenza ontologica del soggetto. In tutti i miei scritti degli anni settanta (14),
che apparivano come scritti politici ma erano essenzialmente scritti di metodo,
mi sono mosso in questo circolo vizioso. E il circolo vizioso di un
atteggiamento dialettico che rifiutavo ma non riuscivo ad evitare - anche nei
momenti di pi fervida rivendicazione del vero materialismo marxiano (15).
Dallautovalorizzazione dei soggetti allautorganizzazione del partito, si diceva,
dalla ricchezza cosciente della spontaneit allautodeterminazione dei soggetti,
22

al politico - e poi al comunismo (16). E sbagliato. Dentro questa trafila


lautodeterminazione diviene trascendenza. E trasfigurazione analitica della
pratica del valore, surretizio recupero della mistificazione trascendentale della
ragione meccanica. No, lautodeterminazione viene prima, il preambolo.
Letica nasce dalla rivoluzione come preambolo. Il comunismo viene prima,
come pratica.
Non solo Schelling, Hlderlin, Hegel hanno conosciuto la rivoluzione come
preambolo: anche noi abbiamo piantato i nostri alberi della libert. Fra il 1917 e
il 1968 lo sviluppo pauroso dellanalitica della ragione ha avuto come
corrispettivi il gioioso liberarsi di unestetica della libert ed unimmaginazione
vera. Di nuovo una mitologia della ragione si presentata come possibilit
filosofica. Di nuovo, di contro, contemporanei, il tradimento, il pentimento e
lanalitico sistema del terrore hanno schiacciato questa possibilit. Ma questo
nostro destino troppo feroce e le sue componenti troppo esasperate perch noi
possiamo ancora illuderci. Lanalitica ha immediatamente il volto della morte. A
queste condizioni, lestetica della libert ha limmediata robustezza ontologica
dellesistenza del corpo. Una nuova mitologia della ragione, unontologia
delletica, della sensibilit, del corpo: non possibile spostarle. Sono condizioni
di esistenza.
Troppi << nuovi credenti >> (come li chiamava Leopardi), troppe anime
pallide, ricercano nella trascendenza la via duscita da questa tragedia
nellessere. << Asylum ignorantiae! >>. No, davvero questa forma dellandar
oltre il terrore analitico ha la figura del salto mortale. Gi nella Germania degli
anni Venti e Trenta, in questa comunque straordinaria vicenda culturale, questa
via non signific evitare la catastrofe ma annunciarla. Un pensiero
autodistruttivo. L<< angelus novus >> non intendeva la rivoluzione come
preambolo bens come soluzione delle aporie analitiche della ragione. Non
come condizione e Umwelt bens come sviluppo ed Aufhebung. Il passaggio
dallestetica alla dialettica dellimmaginazione fingeva cos 1 superamento
dellanalitica, in realt ne subiva il dominio e di conseguenza scartava lestetica
come fondazione. LAngelus novus non svolgeva lestetica in liberazione ma la
traduceva piuttosto nellidea della redenzione. Erlsung - ci dice quello stesso
Rosenzweig (17) che pure ci aveva restituito il Systemprogramm, quando,
alcuni anni pi tardi, non resiste alla potenza della morte che vede prendersi i
suoi compagni nelle trincee della Bielorussia.
Tutti noi abbiamo visto in questi anni la morte sedersi alla nostra tavola.
Eppure non questa, di Rosenzweig, la via per vincere la morte. Rosenzweig
ripete il terrore analitico nel soffrirne i disperati effetti. Come invece rompere
limplacabile circolarit analitica e dare significato allesistenza, a fronte del
23

senso nullificante che in essa lanalitica mette in moto? Come proporre, nelle
maglie del capitalismo maturo e della sua analitica, la rivendicazione di una
nuova dialettica trascendentale dellillusione vera? Come sviluppare il
preambolo rivoluzionario di unestetica della libert verso la costituzione del
reale? Rispondere a questi interrogativi, operare in questo senso, oggi
ricostruire unetica.
La rivoluzione come preambolo, il senso della grande trasformazione in corso
e della tragedia incombente - come contenuto elementare dellestetica: che cosa
significa questo? Se, sullorlo dellessere, tutto pu essere distrutto, tutto pu
essere anche costruito: il contenuto dellestetica un paradosso metafisico
trasformato, attraverso le dimensioni delle possibilit, in paradosso pratico.
Lessere , il non-essere non : recita lantico adagio. Ma oggi lessere pu non
essere. La possibilit della non esistenza, come competenza del soggetto, una
nuova attribuzione dellanalitica. Ma questo essere, divenuto assoluta
contingenza, possibilit di nuovo essere. La costituzione soggettiva filtra la
possibilit di costituzione ontologica e radica [sic] questultima nellestetica
trascendentale. Lanalitica ci ha restituito il mondo come assoluta contingenza:
con ci si fonda la radicale possibilit dellinnovazione alternativa. Il contenuto
assoluto della verit, posto dallanalitica come trascendenza sullestetica,
risorge invece dal basso - non una richiesta di altro e dassoluto bens un altro
e un assoluto che vivono prima.
Unetica, dunque, una costituzione della libert. Il cammino che sale
dallimmediatezza estetica della rivoluzione gi data, posta come preambolo,
su, fino alla dialettica dellimmaginazione vera - questo il cammino che
dobbiamo percorrere attraverso etica e costituzione, costituendo unetica.
Imponendo allontologia unetica. Rovesciando cos il processo che ci ha
sempre portati fuori dalle dimensioni etiche dellessere trasformato e ha
sottoposto questo al dominio dellanalitica. Non pu pi essere concesso che la
logica sia la matrice dellontologia e che letica si trovi di conseguenza relegata
sullorizzonte della trascendenza, gioia delle anime belle e preda del cinismo.
Ancora dal Systemprogramm << Nel medesimo tempo noi sentiamo sovente
dire che le masse hanno bisogno di una religione sensibile. Non solamente le
grandi masse, anche il filosofo ne ha bisogno. Monoteismo della ragione e del
cuore, politeismo dell immaginazione e dellarte, questo ci di cui noi
abbiamo bisogno! Parler quindi dunidea che, per quanto ne so, mai venuta
alto spirito di nessuno, non ancora almeno - noi dobbiamo avere una nuova
mitologia, ma questa mitologia deve stare al servizio delle idee - essa deve
divenire una mitologia della ragione >>.
Commentiamo questo brano. Oggi, lunificazione logica dellumanit ci si
24

propone nuovamente con conseguenze disastrose. Linsignificanza dei linguaggi


e la guerra sono divenuti lorizzonte dellesistere: hobbesianamente solo il
dominio ci propone possibilit di esistenza. Quale la nostra miseria! Le
differenze fra gli uomini sono organizzate sulla gerarchia del dominio. La
grande macchina della rappresentazione logica del reale si formalizzata e
toglie la vita agli uomini, proiettandola nellinsignificanza e spingendola
sullorlo della distruzione assoluta (18). Come distruggere questa
ristrutturazione analitica della ragione e proporre invece alla ragione un altro,
diverso, umano orizzonte - una mitologia della ragione, unestetica
dellimmediatezza ragionevole?
Ho percorso lorizzonte della guerra armato di una mitologia della ragione, di
una religione sensibile, perci di quellorrore non ho subito il dominio. Ora
per me il momento di riaprire, attraverso la pi radicale critica dellanalitica, il
canale di scorrimento fra la resistenza allorrore e limmaginazione sensibile
della libert. Entro in una terza fase del mio lavoro filosofico (19).
Il misticismo di Wittgenstein e lascetismo dellultimo Husserl ci hanno
mostrato il grande quadro dellessere ormai spostato sulla linea della pi
assoluta Sinnlosigkeit del significante. Il post-moderno e le ideologie
sistemiche hanno accolto e sviluppato in maniera apologetica questapprensione
del mondo - senza il dolore che, in casi simili, proprio della grande filosofia.
Questo morto mondo pu essere rotto dal lavoro vivo, dallimmaginazione vera
del soggetto, da unetica ragionevole dellimmediatezza. La possibilit del mito
interna alla contingenza feroce di questo mondo, al suo affacciarsi sullorlo
della distruzione. Solo letica pu rappresentare la possibilit di una ontologia,
di una filosofia dellessere vero.
Unetica? S. Una politica.
NOTE INTRODUZIONE
1) Mythologie der Vernunft. Hegels << ltestes >> Systemprogramm des deutschen ldealismus.
hrsg. von C Jamme und H Schneider. Suhrkamp, Frankfurt, 1984.
2) Antonio Negri, Stato e diritto nel giovane Hegel. Studio sulla genesi illuministica della
filosofia giuridica e politica di Hegel, Padova, CEDAM, 1958, pp. 288.
3) Antonio Negri, Saggi sullo storicismo tedesco. Dilthey e Meinecke, Feltrinelli, Milano, 1959,
pp. 303.
4) Cfr comunque anche la traduzione di P Naville in Hlderlin, Oeuvres, Gallimard, Paris, 1967,
pp. 1157-1158.
5) Antonio Negri? Alle origini del formalismo giuridico. Studio sul problema della forma in Kant
e nei giuristi kantiani fra il 1789 e il 1802, Padova, CEDAM, 1962, pp. 400.
6) G W F Hegel, Scritti di filosofia del diritto (1802-1803), traduzione e introduzione di Antonio
25

Negri, Laterza, Bari, 1962.


7) Antonio Negri, La forma Stato. Per la critica delleconomia politica della costituzione,
Feltrinelli, Milano, 1977, pp. 345; Scienze politiche 1 (Stato e politica), << Enciclopedia FeltrinelliFischer >> n. 27, a cura di Antonio Negri, Feltrinelli, Milano, 1970.
8) Antonio Negri, Descartes politico o della ragionevole ideologia, Feltrinelli, Milano, 1970, pp.
212,
9) Antonio Negri, Studi su Max Weber (1956-1965), in << Annuario bibliografico di filosofia del
diritto >>, Giuffr, Milano, 1967; Antonio Negri, La filosofia tedesca del Novecento, in << Storia
della filosofia >>, diretta da Mario Dal Pr. Volume X, << La filosofia contemporanea: il
Novecento >>, Vallardi, Milano, 1978.
10) Giorgio Agamben, Il linguaggio e la morte. Un seminario sul luogo della negativit, Einaudi,
Torino, 1982.
11) Martin Heidegger, La << Phnomnologie de lesprit >> de Hegel, Gallimard, Paris, 1984.
12) Michael Theunissen, Sein und Schein. Die kritisce Funktion der hegelschen Logik,
Suhrkamp, Frankfurt, 1980.
13) Antonio Negri, Lanomalia selvaggia. Potenza e potere in Baruch Spinoza, Feltrinelli,
Milano, 1981, pp. 300.
14) Antonio Negri, Operai e Stato, Lotte operaie e riforma dello Stato capitalistico tra
Rivoluzione dOttobre e New Deal, Feltrinelli, Milano, 1972; Antonio Negri, Crisi dello Stato
piano, Feltrinelli, Milano, 1974; Antonio Negri, Crisi e organizzazione operaia, Feltrinelli, Milano,
1974; Antonio Negri, Proletari e Stato, Feltrinelli, Milano, 1976; A Negri, La fabbrica della
strategia. 33 lezioni su Lenin, Area ed, Milano, 1977, pp. 224; A Negri, Il dominio e il sabotaggio.
Sul metodo marxista della trasformazione sociale, Feltrinelli, Milano, 1978; A Negri, Dalloperaio
massa alloperaio sociale, Multhipla ed, Milano, 1979, pp. 176.
15) Antonio Negri, Marx oltre Marx. Quaderno di lavoro sui Grundrisse, Feltrinelli, Milano,
1979.
16) Antonio Negri, Il comunismo e la guerra, Feltrinelli, Milano, 1980.
17) Franz Rosenzweig, LEtoile de la Rdemption, Le Seuil, Paris, 1981.
18) Antonio Negri, Macchina-tempo. Rompicapi, liberazione, costituzione, Feltrinelli, Milano,
1982.
19) Antonio Negri, Pipe-line, Lettere da Rebibbia, Einaudi, Torino, 1983.

26

Capitolo Primo.
<< No future >>, ossia sullessenza etica dellepistemologia.
1. Lindifferenza delluniverso della comunicazione.
Ci sono tre elementi che caratterizzano lorizzonte metafisico della nostra
epoca. Il primo dato che viviamo in un mondo nel quale solo limmagine
traduce lesperienza. Ogni autonomo momento di produzione, ogni rapporto dal
senso della proposizione al significato reale dellevento, ogni trascendimento
del contesto della comunicazione appaiono impossibili. La logica si muove su
questo terreno: perci non riesce mai a farsi epistemologia, senso e significato
del nostro linguaggio sono irrimediabilmente separati. A partire da questa prima
constatazione vengono molte conseguenze: in primo luogo sembra chiaro che di
questa situazione linguistica non possiamo neppure parlare - ci siamo dentro, e
qualsiasi tentativo di cogliere un riferimento reale non altro che un
trascendimento. Questa logica autoreferenziale - meglio, tautologica. Certo,
il complesso delle proposizioni che descrivono la vita non pu immediatamente
essere riportato alla tautologia, - per la semplice ragione che la tautologia non
pu ricoprire la complessit. Ma anche vero che la tautologia il minimo
comune denominatore di questo universo, che unimmaginaria riduzione ad
elementi semplici degli insiemi linguistici non potrebbe che mostrare la
tautologia come chiave di tutto luniverso logico. Ma allora come funziona
(perch malgrado tutto funziona) questo nostro universo logico, questa nostra
vita organizzata da giudizi e da inferenze logiche?
Vi un secondo elemento che assolutamente fondamentale ritenere, ed
che questo universo linguistico, logico, che non possiede verit ma
semplicemente movimento, - dunque, questo universo logico, anche un
universo produttivo. Esso comprende, nel momento stesso nel quale fissa delle
relazioni di comunicazione, parametri sociali, strutture e figure, socialmente
efficaci a rendere valido il linguaggio. Si tratta di veri e propri rapporti di
produzione: il linguaggio infatti traduce nella sua propria struttura quella
gerarchia che alla alla riproduzione della societ. Dentro questa circolazione
permanente di flussi linguistici, di immagini che precedono il reale, di un reale
che incarnato dalla forza della comunicazione, la produzione del mondo si
ripete in maniera continua. E qui chiaro lo sviluppo dellintuizione marxiana
del completarsi del capitalismo nella fase della sussunzione reale. Vale a dire
che ogni elemento dello sviluppo sociale qui compreso ormai nella totalit
della circolazione delle merci: questa comprensione rende evidentemente
produttiva tutta la societ, ma nello stesso momento in cui opera in questo
senso, toglie la specificit del produrre, la oblitera espandendola in ogni
direzione, la rende eguale a tutto ci che esiste. Il paradosso solo formale:
27

sostanzialmente il suo significato che tutto ci che esiste capitalisticamente


produttivo, - vale a dire non semplicemente produttivo, ma produttivo dentro
una determinata relazione di sfruttamento.
La sfera linguistica nasconde la totalit del processo produttivo, meglio,
lassume per distruggerne le caratteristiche antagonistiche. E un fatto che
quando tutto produttivo non pu esistere un criterio assoluto di misura - la
misura cade, e con ci cade anche ogni rapporto reale tra sfera della
comunicazione e sfera della produzione. Ma se la sfera della produzione
completamente implicita nella sfera della comunicazione - come articolare il
rapporto, come descriverlo, come dominarlo? Si conosce la risposta: la
moneta: quella merce universale che deve valere per queste funzioni. Ma ben
vero che per la moneta pu essere detto esattamente quello che si detto pi in
generale per il linguaggio. Con la moneta chiamo gli oggetti in maniera diversa,
do loro un nome che un prezzo - ma tutto ci subisce la stessa circolazione
insensata che propria del linguaggio ed ormai nessuno pu dire della moneta
che i suoi nomi corrispondano, meglio fissino un reale. Forse solo la forza che
discrimina e rende ricchi: antica banalit, al di l della quale resta la necessit di
comprendere.
Siamo dunque dentro un universo di sensi molteplici, ma sempre circolanti e
tendenti allunit linguistica (ed alla nullit epistemologica) della tautologia.
Questuniverso registra la crisi della comprensione del rapporto fra senso e
significato, fra nome e cosa, tra societ e produzione. Ma questa crisi dentro
lo stesso orizzonte, lo stesso livello della circolazione. Ne viene, con la caduta
di ogni parametro di confronto, di misura, un regno di indifferenza.
Lindifferenza la tendenza. Quanto pi questo mondo si sviluppa, quanto pi
si matura e si perfeziona, tanto pi esso diviene indifferente. Noi immaginiamo
per questo mondo unintercomunicabilit totale - ma laddove non esiste criterio
di misura, riferimento oggettivo, ivi la comunicazione caotica - meglio,
appunto indifferente. Ogni determinazione viene meno, ogni capacit di
riferimento reale annullata.
Io ritengo che questi siano il termine e lesaurirsi necessari del pensiero
occidentale, da quando e perch esso ha scelto di privilegiare lorizzonte del
Logos, cio lorizzonte del comando, e di assumerlo a proprio esclusivo
fondamento. Noi abbiamo bisogno di liberarci da tutto questo, da questo
sviluppo del pensiero che non stato altro che una trascrizione mistificata dello
sviluppo del rapporti di sfruttamento. La ragione ha costruito la sua analitica,
dentro la quale lo studio dellesperienza ed il riferimento al reale sono stati di
volta in volta depurati o distrutti. La logica ha finto di eliminare ogni finzione
estranea alla specificit del suo proprio cammino. Ma con ci si isolata dalla
28

vita - meglio, servita a mistificare il senso della vita. Qui ora ci ritroviamo
dinnanzi ad una spaventosa crisi di questo cammino. Lanalitica trascendentale
della vita ha fatto cilecca, entrata in crisi, talora s fatta prendere da eccessi
paranoici. Come porre, dentro le condizioni di questa crisi - non al di fuori, non
al di l di questa crisi ma, lo ripeto, dentro questa crisi - come porre le
condizioni di una riconquista dellesperienza? E inutile qui ricordare come
Kant abbia posto con forza questo medesimo problema, per la prima volta nel
corso dello sviluppo del pensiero occidentale: quali sono le condizioni di
pensabilit dellesistente, qual la forma nella quale il mondo della vita pu
essere percepito? E inutile anche ricordare che in Kant erano presenti, come
sempre nella grandezza degli inizi, le varie risposte che a questo interrogativo
potevano essere date ma certamente vero che la via fondamentale percorsa, in
Kant e nei suoi seguaci, fu quella dell<< analitica trascendentale >>.
Lanalitica si pose come schermo forte e determinante fra << estetica >> e <<
dialettica trascendentali >> - mentre la prima fu man mano ridotta a mostrarsi
non come esperienza irriducibile ma come contenuto dellanalitica, la dialettica
trascendentale venne essa stessa costretta a progettarsi sugli schemi
dellanalitica. Oggi abbiamo il risultato di questo processo. Un risultato che, in
una specie di parallelismo, registra lequivalenza del processo reale: una sfera
analitica della conoscenza che si fatta sfera astratta della comunicazione e, in
parallelo, un modo produttivo divenuto sempre pi comunicativo e informativo,
ma soprattutto autoreferenziale e tautologico. In ogni caso indifferente il
riferimento al reale: lestetica trascendentale negata.
Un terzo elemento caratteristico della nostra percezione del mondo, oltre a
quelli gi detti, della percezione comunicativa e della consapevolezza della
sussunzione produttiva. Questo terzo elemento proprio dellesperienza che
conduciamo dentro questi livelli critici. Vale a dire che se lindifferenza la
caratteristica della situazione, se la tautologia la chiave di volta del sistema
comunicativo, pure tutto questo non pu funzionare quando emergono su questi
terreni i problemi della scelta e della decisione etiche. Vale a dire che lo posso
ben muovermi nella pura circolarit delle esperienze che mi sono proposte fino
a quando non mi trovo dinnanzi alla necessit della scelta, vale a dire alla
necessit di mettere in atto le determinazioni del mio volere. Non , questa, la
ripresa di una nota e prometeica rivendicazione dellesistenza - stavo dicendo
rivendicazione << esistenziale >> dellesistenza! Non lo perch qui questa
contraddizione non una rottura, non un << atto puro >> e cio unincisione
che riqualifica e d senso allindifferenza del contesto analitico questa
percezione solo un arricchimento del quadro fin qui descritto. Vale a dire che
linsensatezza del rapporto fra logica tautologica, comunicazione circolare e
contesto produttivo rivela, con lindifferenza del rapporto, la precariet del
29

rapporto stesso. Questo emergere della volont che chiede senso per lesistenza,
non concede, n forma il senso dellesistenza. La volont non creativa - si
trova messa in scacco a fronte dellindifferenza dei significati. Ma una cosa essa
rivela, ed che la componente etica, pratica, materialmente determinata, corre
attraverso lintero quadro dellanalisi e in nessun momento possibile da questa
sganciarla. La societ della comunicazione dunque percorsa da un insieme di
rapporti di volont che, se sono impliciti nella relazione che essa intrattiene con
la produzione, divengono espliciti quando lesperienza pratica individuale viene
assunta entro lanalisi. Se di nuovo rileggiamo, anche a questo proposito, il
vecchio Marx, di nuovo troviamo un inizio di risposta - ed , questo inizio,
legato alla definizione dellesperienza stessa. Vale a dire che, come
largamente chiarito dalle << Glosse su Feuerbach >>, il tessuto dellesperienza
non logico ma trasformativo. E questaffermazione quella che qualifica il
materialismo dellepoca moderna, su da Machiavelli, attraverso Spinoza, fino
appunto a Marx e ai grandi movimenti di trasformazione della societ. Vale a
dire che il disorientamento che luniverso della comunicazione, portato a questo
piano di indifferenza, determina in noi, non riguarda semplicemente i momenti
logici dellesperienza n quelli produttivi, ma coinvolge la complessit della
figura umana. Ed evidente che non possa che essere cos: poich quella
mancanza di misura, quella mancanza di criterio che creano il disorientamento,
sono in effetti nullaltro che indici della contingenza del rapporto nella sua
complessit, e cio dellesistenza intera. La tautologia logica mancanza di
senso della vita. La mancanza di senso della vita impossibilit di recuperare
un qualsiasi criterio di scelta, di direzione, di soddisfazione etica. Il tessuto
etico corre attraverso, e ricopre, lintero mondo della comunicazione. In Marx
questa percezione della sostanziale eticit dellesperienza del mondo
continuamente presente. La caduta delle funzioni della << teoria/misura del
valore >> nella fase della sussunzione reale non comporta la caduta delle
caratterizzazioni di valore che lintera esperienza umana, comunicativa come
produttiva, possiede.
Siamo cos al centro della definizione di questo mondo dellesperienza. In
esso si incrociano a globalit della produzione, linsensatezza della
comunicazione e lassoluta contingenza dellagire. E questo cammino una
specie di crescere delle condizioni dentro le quali il nostro problema, e cio il
problema del senso dellesperienza, viene ponendosi. La mia tesi che non sia
possibile ricostruire unepistemologia (nel senso proprio di teoria della verit)
se non fondandola sul carattere etico delluniverso dellesperienza. Le
condizioni di unestetica trascendentale dellesperienza, date le dimensioni del
mondo della vita che conosciamo, debbono dunque essere impiantate sul
tessuto etico. Non certo perch esse appaiono come elementi imprescindibili
30

dellesperienza stessa (soprattutto se essa riguardata dal punto di vista


individuale), ma perch sul tessuto etico che la contingenza del mondo si
rivela tanto pi forte quanto pi le sue caratteristiche reali e la sua sussunzione
nella produzione si siano realizzate. Lo vedremo meglio avanzando nella
ricerca, ma fin dora possiamo dire che la contingenza etica ha, rispetto allo
sviluppo della nostra ricerca, la stessa importanza centrale che ha il dubbio
logico nellesperienza Cartesian dei primordi della rivoluzione capitalistica.
Vale a dire che se linsensatezza logica e la nullit epistemologica possono,
come tali, nel mondo della comunicazione, sviluppare una funzione di
mistificazione e perci esistere, - il problema della contingenza del mondo
etico, intesa in termini assoluti, e cio come possibilit o meno dellesistenza
del mondo, bene, questo problema non pu essere mistificato. Non qui il
problema religioso o moralistico dell<< essere-per-la-morte >> che porta al
centro dellanalisi: qui il problema il fatto che la distruzione dellessere
divenuta possibile nella misura stessa nella quale luniverso produttivo stato
sussunto nel capitale e luniverso linguistico stato ridotto a comunicazione
indifferente. Fra queste operazioni di portata storica esiste un nesso profondo,
ed a partire da esso che la contingenza generale delluniverso, questa
indifferenza etica delluniverso, saltano in primo piano. La radicale contingenza
dellessere non semplicemente possibilit di un punto catastrofico - una
tendenza, unessenza, un fluire che ha la stessa estensione della costruttivit
umana dellessere.
Tre elementi dunque, in questa crisi dellepistemologia moderna, insieme
cause ed effetti di questa. Tre elementi che si incrociano e che si nutrono a
vicenda. Il problema sar dunque quello di vedere quale sia il punto pi debole
di questa crisi e come sia possibile definire, oltre le condizioni di unestetica
trascendentale, di unesperienza portata a questo livello di maturazione storica,
la fondazione di un progetto epistemologico globale. O semplicemente se sia
possibile muoversi in questa direzione.
2. Rompicapi dello spirito.
Se seguissimo una di quelle vie che si raccolgono nella grande categoria
filosofica del << ritorno a Kant >>, giunti a questo punto della nostra indagine
cercheremo comunque di forzare, dentro lindifferenza nella quale si configura
il mondo della vita, le sue dimensioni, i suoi orizzonti - cercheremo cio di
identificare limiti dellindifferenza e di ricostruire le possibilit di unanalitica
trascendentale. Si badi bene: il fatto di escludere una fondazione logica
dellepistemologia non toglie la possibilit di organizzare unanalitica critica
della ragion pratica. Nel momento pi importante dello sviluppo del
neokantismo, Windelband e Rickert seguirono questa via contro la linea di
31

esasperazione del formalismo della ragion pura, perseguita da Cohen e Natorp.


No, qui si tratta di escludere comunque un progetto analitico, fossanche
riguardoso della densit di caratterizzazioni etiche che il mondo della vita
rivela.
Daltra parte proprio quando si approfondisce lorizzonte dellestetica
trascendentale, vale a dire il campo dellesperienza, nel tentativo di produrre un
orizzonte interno di mediazione e/o di costituzione - proprio allora che il
cammino dellanalitica si mostra impercorribile e che la ricerca si rivela
prigioniera di una serie di rompicapi insolubili. Per rompicapo intendo un limite
essenziale del linguaggio che uso, limpossibilit di fondare il concetto che
esprimo e limbroglio di ogni processo di verifica cui io possa sottoporre il
rapporto linguaggio-concetto-realt.
Ora, assumendo le caratteristiche del mondo della vita che abbiamo
sottolineato, tentando per ipotesi di costruire unanalitica trascendentale a
partire da quelle condizioni, mi trovo, davanti ad almeno tre rompicapi
fondamentali. Di nuovo insisto: non si tratta semplicemente di singoli punti del
ragionamento che emergono in forma contraddittoria bens di contraddizioni
irresolubili che partecipano dellintero meccanismo concettuale che regge ogni
tentativo di costruzione di unanalitica della ragione-logica logica o etica.
Guardiamo questi rompicapi uno per uno.
Il primo rompicapo quello che si pu chiamare del comando o della misura.
Esso pu essere espresso in questi termini: quando mi trovo in un universo
completamente sussunto, quando rapporti che si stendono fra soggetti-oggetti di
questo universo, frazioni e produzioni, non posseggono misura possibile, allora
solo una sovradeterminazione quella che pu rendere senso, e un qualche
ordine, a questo universo. Ma, come abbiamo visto e come meglio vedremo
andando avanti, se vero che a mancanza di misura di questo mondo esprime la
radicale contingenza di tutti gli elementi che lo compongono, se vero che
questa equivalenza dei soggetti contingenti si riferisce allestremo
apprezzamento dei limiti dellessere, cio alla scelta fra esistenza e non
esistenza collettiva, chiaro che la sovradeterminazione non potr darsi in
termini risolubili dentro un processo di verifica del senso logico (o etico) della
proposizione, e quindi verso una determinazione di significati reali. La
relazione di potere qui dunque statica - allude e tende alla nullit.
Rivediamo il discorso da un altro punto di vista. Se lorizzonte del mondo
della vita completamente lineare, se ogni sovradeterminazione risulter perci
contraddittoria, pu ben darsi che la relazione di potere possa essere definita in
termini appunto relazionali. Vale a dire che, come fanno i matematici che
32

tentano di definire la potenza naturale numerica come limite di serie


equipollenti, anche il concetto di potere - cio la misura e la discriminazione
degli eventi sociali - potrebbe essere definito non come sovradeterminazione
ma come limite geometrico di serie, volont, atti formalmente equipollenti. Tale
ad esempio il meccanismo che conduce alla definizione della << Grundnorm
>> nel pensiero di Hans Kelsen. Pi che di sovradeterminazione si dovrebbe in
questo caso allora parlare di << determinazione della determinazione >> - come
di un processo cumulativo che costituisce man mano un referente decisivo. Ma
anche questa ipotesi non regge il peso dellassoluta contingenza. Certo, lo
schema aperto che sta alla base di questa definizione, ci aiuta a comprendere la
realt del contesto etico nel quale ci muoviamo - ma esso non risolve il
rompicapo n pu rendere efficace un concetto di potere a questo livello. Cos
ci troviamo nellassoluta impossibilit di definire cosa sia << luno >>
sullorizzonte etico e nel quadro della sussunzione. E evidente che questo
imbroglio logico profondo, tocca tutte le determinazioni del problema. E
evidente che, riguardando il problema del comando dentro le prospettive della
sussunzione reale, ci troviamo nellimpossibilit non solo di risolvere questo
problema, ma addirittura di impostarlo.
Se il primo rompicapo riguarda il problema << delluno >>, ovvero il
problema del potere, il secondo rompicapo cui ci troviamo confrontati riguarda
il problema dell<< altro >>, e cio di tutto ci che si oppone alluno, della
moltitudine che si oppone al potere. Ora, nella tradizionale teoria costituzionale,
ed anche nella teoria economica, a differenza che, come per i soggetti
costituenti nella teoria politica, il concetto di moltitudine rotto nella rozza
solidit dellinsieme che rappresenta - e i suoi materiali sono condotti a
mediet. Per mediet sintende una dimensione di valore che unifica in termini
equipollenti le molte unit che costituiscono << l altro >> (che pu essere
chiamato il popolo, la classe, la forza-lavoro ). La forzatura che viene operata
per ridurre la molteplicit alla mediet, limportanza che in questo caso assume
il concetto di valore (sia esso produttivo, etico o politico) hanno indubbiamente
un ruolo fondamentale nella riqualificazione dellorizzonte del mondo della
vita. Non perci tuttavia questo metodo risulta conclusivo. Infatti anche in
questo caso ci ritrova di fronte ad un imbroglio insolubile: la mediazione qui
imposta nella forma di una sorta di sottodeterminazione del valore. Ma, non
diversamente da quanto avviene nella sovradeterminazione del potere, cos
questa sottodeterminazione del valore si scontra radicalmente con la
contingenza dei soggetti. E la relazione non ha in tal modo la possibilit di
riportare il senso al significato.
Come nel caso del primo rompicapo, anche in questo caso abbiamo una
33

forma subordinata di approccio al problema: neppure essa conduce, tuttavia,


alla soluzione del rompicapo mediet / moltitudine. In che cosa consiste questa
seconda redazione del problema? Consiste nel porre il rapporto fra le singole
soggettivit non in termini di mediazione (di sottodeterminazione) bens in
termini di composizione (di interdeterminazione). E chiaro qual il vantaggio
di questa posizione: essa sembra costruire il soggetto come cumulo di
determinazioni specifiche, lanalisi dei soggetti e il processo del loro unificarsi
son visti come un processo cumulativo di comportamenti, azioni, bisogni,
tradizioni... insomma come un insieme storico di determinazioni. E in questo
caso estremamente importante sottolineare lutilit di questa impostazione: sulla
sua base una prassi ricompositiva spesso data e molti dei valori di una cultura
democratica possono fondarsi su un apprezzamento siffatto, rispettoso delle
molteplicit come singoli. Ma, ci detto, il rompicapo resta. Mediet e
moltitudine, anche in questo caso, si oppongono irriducibilmente e la
costituzione pratica di una dimensione comune, di un tempo comune, quando
non siano pura utopia, divengono mere illusioni.
Se ora, prima di trascorrere allanalisi del terzo rompicapo, guardiamo quanto
residua dalla definizione dei primi due, sembra che alcuni risultati importanti
siano stati definiti. Non solo quelli gi segnalati (e cio, sia attraverso il primo
che il secondo rompicapo, lapprofondimento della figura lineare dellorizzonte
del mondo della vita) ma soprattutto la critica di ogni caratteristica
strutturalistica nella concezione del valore. Intendo dire che la teoria del valore,
la si assuma in maniera oggettivistica, oppure in maniera soggettivistica, la si
prenda dentro la prospettiva del comando oppure la si ricostruisca in termini di
composizione - comunque rappresenta una struttura rigida che impedisce un
processo di pensiero che rompe con lanalitica trascendentale. Per dirla
altrimenti: la teoria del valore, nelle sue diverse dimensioni e nelle sue
differenti applicazioni, la forma pi alla nella quale si presenti lanalitica
trascendentale. Ed appunto da questo punto di vista, e dentro lapprezzamento
di questi rompicapi, che noi cogliamo linadeguatezza di tutti i concetti che
comunque alle teorie del valore si riferiscono (e, fra questi, quello di dittatura e
di democrazia, quello di sviluppo e di crisi) - inadeguatezza di tutti questi
concetti ad esprimere la radicale contingenza dellessere.
Il terzo rompicapo sta nel coniugare il rompicapo primo (o del comando) con
il rompicapo secondo (o vero della costituzione). Questo rompicapo pu dirsi
[dirci] rompicapo della rivoluzione. Rivoluzione la contraddizione che si apre
fra costituzione del comando e libert della moltitudine. La soluzione di questo
rompicapo si voluta spesso costruire sulla base dellapprezzamento del
dinamismo particolare della rivoluzione. La rivoluzione, infatti, da un lato
34

distrugge e comunque destruttura, dallaltro ricostruisce e comunque struttura:


si cercato allora un soggetto dinamico di questo processo, un partito,
unavanguardia, un principe, una classe rivoluzionaria... comunque un soggetto,
al quale riferire la continuit dei passaggi del processo, quasi questi ultimi
rappresentassero delle espressioni del suo spirito. E chiaro che questa
definizione completamente ipostatica. Se il primo paradosso e il secondo sono
insolubili, tanto pi lo la coniugazione dei due. In questo caso, poi, troppo
spesso la crisi dei paradigmi ideali si mostrata come tragedia storica. (Si tenga
presente che anche in questo caso esiste un approccio subordinato alla soluzione
del rompicapo - approccio che distende sullorizzonte del mondo della vita, in
termini storici ed empirici, la descrizione dei processi eversivi. Questa seconda
figura, o forma attenuata della teoria della rivoluzione. mostra il processo come
<< dualismo dei poteri >> e cerca di definire la crescita di un soggetto come
prodotto di una regola puramente antagonista. E evidente che, anche in questo
caso, ci si trova di fronte ad una soluzione che del tutto inadeguata: in effetti,
da questo punto di vista, dentro la rigidit della relazione, non tanto
lantagonismo che regola la crescita del potere rivoluzionario bens questultima
comandata da una sorta di ricalco e di riflesso negativo del potere avverso. Il
potere rivoluzionario in questo caso finisce per essere complementare,
negativamente complementare, rispetto al potere sovrano, e la libert del suo
sviluppo solo apparente).
Ora, a me sembra che ogniqualvolta, a partire dallesperienza, si tenta di
risalire e di definire delle categorie analitiche che strutturino landar oltre il
livello empirico ed i significati immediati del mondo della vita, - bene, in
ognuno di questi casi, si resta prigionieri nella rete dei rompicapi. Questo non
significa che il livello dellesperienza non debba essere superato, questo non
significa che i grandi fenomeni della comunit umana, della sua organizzazione,
della sua rivoluzione, non debbano essere presi in conto anche secondo le leggi
generali che a questi universi presiedono. Quello che i rompicapi ci rivelano,
non conduce allinesistenza dei fenomeni, mostra bens limpossibilit di una
loro spiegazione dal punto di vista della ragion pura. E non solo di astratta e
impotente spiegazione si tratta: quando ci si muove sulla base dellegemonia e
dellesclusivit del Logos, si perviene piuttosto ad una serie di perversioni
pratiche - ad una coniugazione e moltiplicazione, cio, dello sgorbio teorico con
la crudelt etica. In questa forma, il primo dei rompicapi il problema del
giacobinismo, il secondo dei rompicapi la mistificazione del riformismo, il
terzo rompicapo rappresenta il paradosso del cinismo politico, ovvero del
machiavellismo.

35

3. Terrore e contingenza.
Per contingenza intendo il fatto che lessere possa essere e/o possa non essere
- effettivamente. Ovvero lessere nella sua totalit. Il pensiero classico, nel
considerare la contingenza, non lha mai strappata al particolare. Le due coppie,
universale e particolare, necessario e contingente, stabilivano fra loro un
rapporto univoco. Il necessario con luniversale, il contingente con il
particolare. Qui noi viviamo in una situazione nella quale per a prima volta
lessere intero pu essere distrutto. Luniversalit dellessere pu praticamente
essere messa in dubbio. Lessere pu essere distrutto.
Se ora, a partire da questa prima immediata constatazione, ritorniamo a
quanto detto nei primi approcci di questo lavoro, possiamo cominciare a meglio
comprendere la specificit della condizione metafisica nella quale siamo
inseriti. Vale a dire che il massimo grado di astrazione dellessere che abbiamo
registrato, e la sua indeterminatezza, si colorano qui di una determinazione
pratica che ne sconvolge interamente la definizione. Dal quadro generale,
astratto, indeterminato, indifferente, non pu uscire una determinazione logica:
esce solo una determinazione etica. Perch quel quadro appunto contingente, e
la contingenza in questo caso vera e propria precariet dellessere, condizione
di negativit che in generale ed individualmente subiamo. Un tempo si diceva
che lessere che la sua compiutezza che la sua fatticit non potevano essere
disfatte. Lessere insomma era il fondo stabile della nostra esistenza e tutto
allessere poteva ritornare, cos come dallessere si era staccato. Ma ora lessere
pu essere disfatto. Questo disfacimento non una legge fisica ma una
possibilit storica, - pu essere la conseguenza di un atto. Lessere pu essere
distrutto da un soggetto: non questa o quella porzione dellessere, ma lessere
intero, il mondo, il mondo della vita. Viviamo lindifferenza e la massima
astrazione dellessere, ma improvvisamente, come nella luce di un lampo,
intendiamo che questenormit dellessere nel quale il nostro spirito si
confonde, pu essere volontariamente distrutto. Lessere rivela dunque una
natura etica: esso, per esistere, sottoposto alla volont, alla soggettivit,
alletica.
Con ci siamo davanti ad uninversione epocale del senso umano della vita.
E chiaro che, se ci poniamo il problema di una analitica del conoscere e della
sua crisi, non possiamo pi porcelo nei termini di una epistemologia
tradizionale. Poich infatti loggetto stesso del nostro rapporto conoscitivo pu
scomparire e comunque sottoposto ad una congiuntura radicale che ne
impedisce un apprezzamento statico. Ogni apprensione del reale non pu
dunque, in questo momento, che porsi su quel punto dove la volont e la
conoscenza pratica percepiscono la possibilit dellessere di essere e di non
36

essere, di essere disfatto, ma anche e soprattutto di poter essere ricostruito. Ma


di questo pi avanti.
Torniamo al filo del nostro discorso. Abbiamo inizialmente osservato la
generale indifferenza del quadro ontologico nel quale siamo inseriti. Abbiamo
poi identificato alcuni grossi rompicapi, che impediscono ogni nostra logica, in
termini tradizionali, da quellindifferenza. Il problema della determinazione, il
problema scelta, il destino del conoscere filosofico, sono in dubbio dentro
quella situazione. Ora, noi avvertiamo che la massima astrazione dellessere la
sua totale, radicale, definitiva, resa alla contingenza: con ci noi comprendiamo
lessere come essere etico. Ma quando raggiungiamo questa coscienza, noi la
raggiungiamo dentro le articolazioni dei rompicapi analizzati. Se infatti
logicamente le alternative delluno e dei molti, della mediet e della
moltitudine, della potenza e del potere, non riescono ad essere logicamente
superate, pure esse per prime alludono ad un contesto etico nel quale ogni
processo fenomenologico si conclude: sicch la scoperta della contingenza
radicale il coronamento di quelle prime annotazioni e il complemento formale
del loro presentarsi al nostro spirito.
Ma la scoperta della contingenza non semplicemente una nuova chiave per
riuscire ad affermare che il processo conoscitivo deve muoversi, direttamente
dentro il piano dellesistenza, non solo a capacit di affermare in maniera
indistinguibile il rapporto fra mondo della scienza e mondo etico, e quindi di
ridefinire lontologia come ontologia delletico: tutto questo non basta, perch il
rapporto tra indifferenza del mondo, sua qualit etica e radicalit della
contingenza ci pone in una situazione assolutamente tragica e deve quindi
riqualificare in tal senso il nostro metodo.
Intendo dire che, attraverso a scoperta della contingenza noi poniamo in
termini radicali il problema del fondamento: ma di nuovo in maniera
completamente irriducibile alla tradizione, perch qui il fondamento non il
punto a partire dal quale il mondo si spiega - al contrario, questo fondamento
il punto a partire dal quale si d il massimo allargarsi della dimensione della
possibilit. Una possibilit tragica, uneventualit che la nostra ragione e il
nostro cuore non riescono talora a sopportare, - la distruzione, appunto
dellessere, una morte tanto generalizzata da non possedere ripetizione, - la fine,
insomma, del tempo. Il fondamento non quindi il pi semplice degli elementi
nei quali possiamo scomporre il linguaggio etico e logico, quasi il seme da cui
sorgono gli alberi della vita: no, il fondamento qui una cellula che pu
scindersi nella vita e nella morte, lelemento semplicissimo dellaffermazione,
della negazione, dellessere e del non essere. Qui la dialettica non evidente,
anzi, non ha davvero nulla a che fare con il reale. In effetti qui esiste una regola
37

esclusiva: o c lessere o c il non essere. Tutta la logica tradizionale e tutta la


metafisica classica, entrambe basate sulla partecipazione e su una qualche
commistione dellessere e del non essere, qui vengono meno. La dimensione
metafisica ci si presenta come dimensione antagonista, la crisi lassoluto.
Eccoci dunque a spiegare di nuovo come i rompicapi non siano altro che delle
superficiali modalit rispetto alla profonda essenza di un essere per la prima
volta portato alla potenza del non esistere. Nella fenomenologia del mondo
contemporaneo questa situazione metafisica ci presentata come terrore. La
contingenza il terrore. Vale a dire che la sovradeterminazione come linea di
soluzione del rompicapi, come analitica della ragione che si oppone alla
radicalit delle determinazioni empiriche, si presenta come terrore. La soluzione
trascendentale o formalistica dei rompicapi dellesperienza e della contingenza
dellessere terroristica.
Non la prima volta nella storia del pensiero occidentale che una situazione
di crisi, dinnanzi allimmediatezza dei contrasti dialettici ed allimpossibilit di
raggiungere altrimenti una sintesi, cerca una soluzione sovradeterminata dal
terrore. Le pagine del << Leviatano >> costituiscono un punto di riferimento
costante dellesperienza metafisica. E quanto pi la situazione diventa
indifferente, tanto pi il mondo delle immagini che regolano lesistenza degli
uomini sottoposto a reazioni dordine, ad operazioni di semplificazione
esemplare e terroristica: il capro espiatorio, la sostituzione del reale con
limmagine, la necessit metafisica del potere, queste favole vengono raccontate
da sempre e da sempre funzionano come terroristica medicina alle malattie
dellumanit. Ma ora noi ci troviamo di fronte ad una determinazione del terrore
che non tocca il mondo delle immagini, ma investe quello reale. Non un capro
espiatorio attraverso il quale, pur rudemente, lessere possa essere risanato - non
questo che ci viene preparato, non la vecchia morale, la potenza del bene e
quella del male che accrescono o diminuiscono lessere e che talora debbono
essere esemplificate << in corpore vili >> - non qui in gioco una concezione
anche terroristica della pena come restaurazione dellessere in riparazione di
una colpa che lessere aveva offeso: niente di tutto questo, - qui il terrore tocca
la radice stessa dellessere. Il terrore tanto assoluto quanto assoluta la
contingenza dellessere. Il terrore non tocca il regno delle immagini,
dellanalitica, ma quello del reale, dei significati. Vige nel regno dellestetica
trascendentale.
Come sono poveri tutti i tentativi di rinnovare i fasti idealistici dellanalitica
trascendentale in questa situazione! Si pensi al contrario a quel passaggio, gi
da noi ricordato, a quel passaggio centrale nella storia del pensiero
contemporaneo, che registrato nel << Primo abozz di programma sistematico
38

dellidealismo tedesco >> il senso della crisi era inteso nella sua radicalit e si
voleva, a fronte della crisi dellindividuo e dei lumi, identificare il passaggio
che dallestetica trascendentale potesse direttamente condurre ad una dialettica
dellillusione vera. Ebbene, quel passaggio per quanto sproporzionato nelle
dimensioni nelle quali oggi la radicale contingenza dellessere si presenta, pure
anche oggi metodologicamente adeguato. Ed invece eccoci di fronte alla
ormai secolare storia dellanalitica plasmata in dialettica, eccoci alla ripetizione
di analitici stereotipi neokantiani su questo frangente, alle chiacchiere fra Hegel
e Heidegger, eccoci insomma di nuovo davanti alla apologia impotente della
Krisis!
La determinazione esistenziale che segue la scoperta della radicale
contingenza dellessere ci si presenta ora con due caratteristiche. La prima
riguarda la posizione che lanalisi filosofica assume nellaffrontare il tema
dellessere, la seconda riguarda la natura dellessere. Ma sia la prima che la
seconda di queste caratteristiche sono legate, in maniera inscindibile,
nellestetica trascendentale che qui viene definendosi. Vale a dire che non
sarebbe possibile concepire il restringersi della ragione al campo dellestetica
trascendentale Se, contemporaneamente, la ragione non fosse enormemente
potenziata dallapprezzamento concreto della nuova potenza metafisica, che
appunto, insieme tragica ed etica. Lalternativa che lessere presenta, nella sua
assolutezza, nella sua esclusivit, implica la definizione pratica della ragione.
Questo senso della radicale contingenza dellessere ci pone in una situazione
Cartesian, - non astratta tuttavia bens eticamente motivata. Come difficile
esprimere tutto questo nel vecchio linguaggio della filosofia: com difficile
dire delleticit dellessere e di questa metafisica precariet che tocca il livello
dellestetica trascendentale in quanto tale! La metafisica si sempre organizzata
in un sistema di livelli per cui il superiore illuminava linferiore, o in un sistema
di incastri, quasi un grande gioco di bambole russe, dove loggetto pi grande
conteneva il pi piccolo e, per cos dire, lo spiegava. Qui il linguaggio antico e
specialistico della filosofia fa difetto, ed aveva ragione Foucault quando,
rinnovando il metodo nietzschiano della << Genealogia della morale >>,
rinnova anche le regole sintattiche del linguaggio della filosofia morale. Io
vorrei qui tentare una simile via per quanto riguarda il linguaggio della
metafisica.
Ora, siamo in una situazione Cartesian, ma non individuale, come si detto,
bens collettiva e astratta, eticamente rilevante, - con ogni probabilit qualificata
in termini antagonisti. Deve essere chiaro che qui noi dobbiamo risalire,
trattenendoli dentro il livello dellestetica trascendentale, a quei soggetti della
descrizione fenomenologica che abbiamo inizialmente colto. Lalternativa
39

dellessere riguarda cos lintero campo sul quale lastrazione delle potenze
conoscitive e produttive diviene indifferenza, riguarda tutte le trafile che
percorrono e qualificano queste dimensioni. Nel prossimo paragrafo
cercheremo di vedere come il paradosso della contingenza dellessere possa
riproporre un cammino positivo per la ricerca: qui ci basti insistere sempre di
nuovo sulla forza di comprensione e sulla capacit di riassumere in s la
totalit, che ha lalternativa tragica dellessere. Questo nuovo territorio
ontologico ed etico riguarda perci lepistemologia nella sua totalit. E
evidente che tutti problemi andranno riportati alle dimensioni di questa
drammatica dualit delle potenze dellessere. La contingenza totalit anche e
soprattutto sul piano dellepistemologia.
4. Lantagonismo come << principium individuationis >>.
Se dunque la definizione dellessere come assoluta contingenza ci ha
permesso di cogliere le condizioni per cos dire negative di unestetica
trascendentale, ora probabilmente lapprofondimento del discorso potr
permetterci di toccare alcune condizioni positive di questo medesimo problema.
Abbiamo gi sottolineato come per contingenza assoluta sintenda la possibilit
della distruzione radicale dellessere, - e come lantico principio << Factum
infectum fieri nequit >> venga in tal modo messo in crisi. Ma nellapprofondire
la potenza negativa di questa percezione, non possiamo n dobbiamo
dimenticare laltro aspetto inerente a questa strutturale determinazione: vale a
dire che, se la contingenza assoluta mostra lestrema possibilit di distruzione,
di perci stesso essa indica una radicale possibilit di costruzione. E come se
fossimo messi dinnanzi ai materiali semplici che compongono lessere, in una
situazione limite di possibilit costruttiva. Nella filosofia, pi volte questi
principi di costruttivit sono stati proposti: e forse la forma eminente nella quale
il principio si espresso, quel << Verum ipsum Factum >> che dobbiamo a
Gianbattista Vico. Risparmio qui, a me e al lettore la farraginosa ermeneutica
delle fonti e delle interpretazioni: se il principio sia idealistico o materialistico,
se assoluto o relativo, se spiritualistico e creativo o semplicemente filologico e
costitutivo, ecc. ecc.. Certo, il principio riguarda il mondo delle immagini,
interpreta il reale e non lo fonda radicalmente. Qui invece, quando ci troviamo
di fronte al principio della contingenza assoluta, viviamo un paradosso che
investe interamente lo spazio, meglio la separazione, estesi fra negativit e
positivit assolute. Non so come meglio spiegare questo paradosso, questa
tensione estrema del concetto, questa condizione anche emotiva - che ci coglie
quando tentiamo di metterci in situazione! Perch infatti non semplicemente il
<< Verum ipsum factum >> quello che qui affermiamo - qui affermiamo
qualcosa di molto pi profondo: << Ens ipsum factum >>. La storia umana,
40

pervenuta allorlo della distruzione dellessere, rivela a se stessa, e a tutti i


soggetti umani che vivono la storia, che questa, e il mondo e la natura stessa,
sono una loro continua produzione. Non ci sarebbe mondo senza questa
produzione. Questaffermazione che sempre stata fatta passare per idealismo
assoluto, - oggi, la consapevolezza della possibilit materiale di distruggere il
mondo, ci rende come affermazione di un assoluto materialismo.
Lo abbiamo gi accennato, ma ora, continuando nella ricerca, vale la pena di
sottolinearlo pi ampiamente. Dentro questa radicalit fondativa della
contingenza assoluta noi non verifichiamo un punto catastrofico bens una
tendenza ontologica. Se pensiamo il punto catastrofico, se pensiamo il terrore,
solo perch questi poteri costituiscono delle spie su un profondo corso
dellessere, e cio sul rapporto fra serie delle azioni umane e loro cumularsi
complessivo. Il mondo questo cumulo, questa complessit. La materialit
che costituisce il passato del mondo viene cos mano a mano riassunta nella
tendenza della storia. La natura diviene (sempre pi) storia. Anche in questo
caso lattuale possibilit della sua distruzione che ce lo rivela, poich la
distruzione mostra la natura, il mondo naturale, come contingenza e quindi
come qualcosa che nella misura stessa in cui pu essere distrutta, pu essere
conservata - ma conservare significa qui ormai produrre, riprodurre,
sviluppare... La natura diviene una protesi delluomo. Sempre di pi, non
delluomo la condizione ma ne piuttosto la conclusione. E questo vale non
semplicemente per la natura, ma per la totalit fenomenologica, per quella
enorme quantit di beni, di infrastrutture, di condizioni materiali che la storia
umana ha costruito e che ora, su questo passaggio epocale (nel quale tutto
sussunto nel capitale e tutto pu dunque essere distrutto), insieme condizione
di distruzione o determinazione rinnovata da una potenza dinnovazione. Alla
radicale contingenza dellessere corrisponde cos, proprio sul paradosso della
mancanza di fondamento, una dinamica continua, tendenziale, totalizzante, - il
problema dellessere vi implicato e con esso, necessariamente, quello della
storia e quello dellecologia, quello storico e quello scientifico.
E chiaro che questa apertura di prospettive e di sublimi orizzonti in qualche
modo potrebbe qui lacerare il drammatico ed estremo paradosso della
contingenza assoluta, - chiaro inoltre che questa serie di intuizioni del tutto
metafisiche, se da un punto di vista iniziale sono linearmente distese, potrebbe
appiattire lindagine svigorendo levidenza del continuo rinnovarsi del
problema - al contrario, tutto ci annulla la percezione fondamentale della
contingenza se la natura di questa viene coerentemente e continuamente definita
come antagonistica. Voglio dire che quellelemento di rottura, di contrasto, di
antagonismo, che risulta definire la medesima percezione fondamentale
41

dellessere - come rapporto tra positivo e negativo, tra essere e non essere - che
tutto ci permane, si prolunga, si ripresenta su ogni punto dello sviluppo della
tendenza. Questa determinazione antagonista qualcosa che partecipa di ogni
azione umana, nella misura in cui ogni azione umana contiene una particolare
densit, costruttiva o distruttiva dellessere. Ed proprio dentro il continuo
ridimensionamento del positivo e del negativo, dentro linfinita serie di rapporti
che in questo modo si determinano, dunque in questo modo che
lindividualit, la singolarit umane vengono definendosi. Nella filosofia
seicentesca, quando latomismo propone per la prima volta lalternativa tra
distruzione e creazione dentro la prospettiva del meccanicismo, questidea
dellindividuazione antagonista prende corpo. Oggi, quando il principio del
rapporto fra distruzione e costruzione strappato allintelligenza aurorale
dellatomismo e condotto alla sperimentazione etica, sembra dunque che quel
criterio di individualismo possa essere ripreso. Ma di ci pi avanti.
Qui, prima di ritornare sul criterio di individuazione, val la pena di
sottolineare come le forti intuizioni che il pensiero moderno alle sue origini
aveva sviluppato, sul terreno dellestetica trascendentale, in vista della
definizione della singolarit, siano state ampiamente negate nello sviluppo
successivo del pensiero filosofico. Lanalitica trascendentale la forma, come
abbiamo visto, nella quale questa negazione si costruisce e si sviluppa. Ma non
la sola forma: assistiamo infatti, con frequenza, ad una negazione che non ,
per cos dire, lassolutizzazione di un momento del processo conoscitivo - e con
ci la sua alienazione analitica della totalit, - bens una specie di storicistica o
teleologica forma di sottrazione del conoscere, delluso conoscitivo dellessere.
Vale a dire che il pensiero moderno, tutto teso alla ricerca e alla giustificazione
delle forme tecniche della riproduzione umana, ha rifiutato di cogliere
nellantagonismo - nellassolutizzarsi di questo - la chiave di volta dello
sviluppo, e contemporaneamente della determinazione dellidentit umana. Una
teodicea della scienza e della tecnica cos venuta sostituendosi allanalisi
dellessere. I problemi del valore sono stati di volta in volta sottratti alla
centralit che pretendevano sul terreno dellessere, e portati davanti a tribunali
di grado inferiore. Di fatto lessere viene in tal modo depotenziato, ed un
processo di depotenziamento, di subtribunalizzazione continua, quello cui
assistiamo. Anzich mantenere la tragedia dellessere come elemento che ne
qualifica la presenza - e ci era gi stato ampiamente mostrato alle origini del
pensiero moderno - invece dunque di mantenere questa potentissima presenza,
la si fugge. Il pensiero contemporaneo quando coglie la crisi, non la coglie
come elemento di costruzione ma come incentivo alla fuga. Trasforma la crisi
in nihilismo, trasforma la morale della crisi in irresponsabilit ontologica. La
dimensione globale, metafisica, profonda nella quale si presenta il rapporto fra
42

essere e non essere deve essere sfumata, sfuggita. Ci si dedica alla scienza ed
alla tecnica - ma non sono appunto queste ultime che ci riconducono
ineluttabilmente su quellorlo della distruzione dellessere? Che significato ha
pi, a questo punto, parlare di laicizzazione, o riguardare con una punta di
scetticismo, o con elegante e colta ironia, la possibilit della distruzione? Il
tragico percorre la nostra vita, ma solo in quanto lo riconosciamo, lo
assumiamo, facciamo di esso la disutopia positiva della nostra conoscenza -
solo in questo modo che riusciamo a garantire la libert dalla distruzione e la
sopravvivenza dello spirito. E completamente idiota la rivendicazione della
laicit, contro la religione, se quella rivendicazione nasconde che la nostra
determinazione nasce sul ritmo della distruzione, insomma una condizione
tragica per eccellenza. Alla religione non si oppone il laicismo ma si pu solo
opporre unaltra religione - quella del materialismo, quella di chi sa che vivere
o morire problema suo.
Eccoci dunque in una situazione nella quale qualsiasi tipo di fuga dai
problemi dellessere ci diviene impossibile. La volont amaramente si confronta
con se stessa nellambito di questa contingenza - e anche la ragione guarda
allopposizione che la costituisce, con fredda ma non meno timorosa attenzione.
Ci detto, v di contro e contemporaneamente quellaspetto dellessere nel
quale risiede la possibilit di ricostruzione, di una ricostruzione radicale e
profonda, - v dunque questaspetto dellessere cui tentare di adeguare il
cammino metafisico. Questo tentativo di adeguamento deve essere operoso - lo
dico con qualche distacco, per distinguere le condizioni nelle quali oggi un
discorso sulla speranza possibile, dallemergenza che questo tema ebbe
nellambito della filosofia contemporanea fra le due guerre. Voglio dire che <<
Das Prinzip Hoffnung >>, il principio della speranza, non pu qui essere
concepito, come invece lo fu da Bloch e da Benjamin, come blitz irrazionale
che si sottraeva alla crisi, allesaurimento delle condizioni della rivoluzione qui la speranza nasce dopo Auschwitz e Hiroshima, qui nessuno fugge pi
nulla. Qui speranza, dunque, la stessa cosa delloperare, e un senso della
mancanza di fondamento talmente profondo (e che ci teniamo sulle spalle), la
sorpresa del vivere quotidiano - la nostra speranza non ci fa attendere nulla se
non il miracolo della nostra quotidiana riproduzione. Ma tutto questo una
forza enorme, tutto questo contiene il principio etico dellestetica
trascendentale. Dagli anni `30 a noi cambiato solo questo - ed enorme e cio
che lapprofondimento del concetto di crisi pervenuto allessere, ha strappato i
veli letterari e filosofici che lo mostravano come risultato intellettuale
dellanalitica, per diventare una cosa. Una cosa reale, che si tocca, un incubo
che si vive, un terrore che si subisce. E questa materialit della crisi e
dellessere nella crisi che la speranza interpreta. La chiamiamo speranza perch
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non sappiamo come altrimenti chiamarla; e qualcuno potrebbe ironizzare, e dire


la desuetudine di questo termine, senza tuttavia per questo scandalizzarci.
Prendiamola dunque questa parola come un neologismo per identificare quel
rapporto operoso che si stende tra la condizione negativa e catastrofica e quella
positiva e creativa dellessere.
Solo su questo terreno, dentro cio lantagonismo oggettivo che lestetica
trascendentale rivela, dentro il presentarsi con polarit contrarie dellessere,
dentro leticit del nesso che tutto questo collega ma che nello stesso tempo
tende in maniera insopportabile - qui il processo di individuazione si d.
Sarebbe bello - altrove lo faremo - riportare a questo proposito la nostra
memoria al << Libro di Giobbe >>, dove appunto il problema metafisico dell
antagonismo, della colpa e della retribuzione materiale, pervengono
poeticamente ad una fantastica quanto materialmente determinata definizione
dellindividuo. Ora, appunto questo il terreno sul quale, rompendo con
lindifferenza dellorizzonte postmoderno, del capitale sussunto, della
comunicazione onnicomprensiva ed equivalente, la soggettivit si pone. Credo
che il processo logico attraverso il quale la determinazione complessiva si
realizza, sia qui ormai chiaro. Ma non si tratta, in primo luogo, di rompere o di
interrompere il meccanismo circolare che costituisce il tessuto fenomenologico
del mondo. Si tratta invece di considerarne la condizione metafisica, e cio
quella destinazione alla distruzione che esso ha in se stesso. In secondo luogo,
questa contingenza rivelata, si mostra come paradosso: quindi essa si apre ad
unalternativa completamente etica, lalternativa dellessere e del non essere.
Questa alternativa qualifica in termini tendenziali lintero universo
dellesistente. Noi la percepiamo ed collocandoci nellintreccio delle pulsioni
negative e positive che da questa tendenza sono prodotte, che determiniamo la
nostra individualit. Lorizzonte analitico negava ogni individualit, meglio,
confondeva la singolarit in una circuitazione continua ed equipollente.
Questorizzonte era insuperabile, era un labirinto logico, una Babilonia
linguistica ed una sodoma morale. E solo il senso della distruzione, di questo
mondo logicamente ed analiticamente corrotto ma anche, con esso, dellessere
stesso, dunque solo questa distruzione che ci rimette davanti allessere. Un
essere fondamentale perch lo si pu distruggere o ricostruire, un fondamento
che contingenza assoluta. E la singolarit viene determinata dalla tensione che
a contingenza comprende in definizione. Lestetica trascendentale viene cos
positivamente determinandosi.
5. Per unestetica trascendentale del corpo.
Zenone a Socrate: << Il volgo infatti ignora che al di fuori di questa strada
che passa per ogni dove, di questo trascorrere di cosa in cosa, impossibile fare
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in modo che la nostra mente incontri la verit >>. (Parmenide 136e).


Quando si pone, contro lanalitica, il problema dellestetica trascendentale, e
lo si pone in termini propri, bene subito aggiungere che la ricerca non potr
che passare << per ogni dove >> e cio esercitarsi attraverso approssimazioni
successive, sciogliendo per cos dire le categorie analitiche dentro lesperienza,
innalzando i contenuti dellesperienza a trasparenza concettuale. Questo
processo di ricerca un vero e proprio processo costitutivo. Abbiamo visto le
condizioni generali, metafisiche che stanno alla base di questo nostro avanzare:
qui dobbiamo vedere come giudizi analitici vengono costituendosi, in maniera
necessaria, a posteriori. La costituzione del giudizio analitico a posteriori
quindi, in questo paragrafo, il nostro fondamentale problema.
Deve essere chiaro - e questo lo diciamo prima di entrare nel merito
dellargomentazione - che quando si parla di giudizio analitico a posteriori, e
cio di giudizi dotati di un contenuto empirico che in quanto tale garantisce,
mostra, produce, la verit del giudizio stesso - quando dunque si parla di
giudizio analitico a posteriori, non solo si assume con la massima forza
unestraneit logica dai giudizi a priori o a posteriori in generale, ma soprattutto
si prende distanza dalla teoria kantiana dei giudizi sintetici a priori. Nel
rovesciamento dei termini (poich sintetico pu stare per a posteriori ed
analitico per a priori) uno spirito sofistico potrebbe infatti facilmente
arzigogolare di simiglianza di approccio ed analogie di contenuto. Non cos:
nella gnoseologia kantiana lelemento assolutamente preminente quello a
priori in quanto esso rappresenta un attivit formativa e la sintesi empirica
completamente subordinata allorizzonte trascendentale, - vale a dire a
quellorizzonte sul quale si condensa ogni attivit produttiva della ragione.
Quali che fossero le ambiguit kantiane a questo proposito, nessuno pu negare
la profonda coerenza dellinterpretazione idealistica del fondamento
trascendentale. Nella nostra terminologia, e al fondo del nostro progetto, <<
analitico a posteriori >> rovescia radicalmente limpostazione kantiana.
Significa infatti che lelemento necessario della conoscenza, il momento
formativo del processo e della tendenza conoscitivi, risiedono nellesperienza
empirica. Tutto ci pu avvenire (e in questo pu essere verificato il
superamento delle aporie tradizionali dellempirismo), perch la nostra empiria,
il mondo nel quale noi recuperiamo verit quello disegnato, in termini di
comunicazione, dai grandi flussi di significati che costituiscono ogni orizzonte
sensato. Strano paradosso questo: nella grande corrente dello scetticismo
linguistico moderno, formatasi tra Frege, Russell e Wittgenstein, la distinzione
tra lorizzonte del senso e quello del significato era intera ed insuperabile; di
fronte alla precariet ed alla contingenza dellorizzonte del senso, sfumava
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dentro una lontananza irraggiungibile luniverso materiale dei significati; ma


ecco il rovesciamento: poich nella misura stessa in cui il mondo del senso
linguistico e comunicativo diveniva esclusivo, su quel mondo si scaricava
lessenzialit fondamentale del vivere. Cos la grande svolta linguistica della
filosofia contemporanea indefinitiva non solo non produce scetticismo ma al
contrario ci restituisce unontologia dei significati, un mondo s circolare e
fluente ma dentro il quale, a posteriori. La necessit della determinazione si
articola allemergere della verit. Ecco dunque in che senso per noi, qui, il
giudizio analitico a posteriori pu darsi.
Direi che un ulteriore paradosso qui verificabile ed utilizzabile in nostro
favore. Vale a dire, riprendendo la terminologia kantiana: lanalitica
trascendentale aveva, in Kant e nellidealismo per cos dire divorato, a valle,
lestetica e, a monte, la dialettica trascendentale. Ed aveva, di questultima,
fatto un feticcio scettico, un regno di illusioni, false ma non per questo meno
efficiente. Ora, la riconquista dellestetica, la denuncia dei processi di
significazione che lanalitica dovrebbe produrre, lemergere della
determinazione vera sul piano delleffettualit comunicativa: tutto questo ci
restituisce una dimensione della dialettica trascendentale non pi soggiogata nel
regno delle illusion, false bens intesa come tessuto di continuit conoscitiva e
proiezione di immaginazione vera. E nel dislocamento di questi livelli,
nellarticolazione tra queste funzioni parziali, che mano a mano viene
costituendosi << lanalitico a posteriori >>.
Ma che cos dunque (oltre la pregnanza gnoseologica della dizione: analitico
a posteriori) il contenuto conoscitivo che , attraverso questo giudizio, innalzato
a verit? Ora, iniziamo in termini polemica. La verit della determinazione non
pu essere colta in termini intuizionistici n comunque condizionata dalla
pretesa psicologica di apprensione di un reale che, in quanto tale,
indipendentemente si dia. Noi viviamo un mondo attraversato da mille sensi,
siamo collocati dentro una rete di relazioni che sole rendono questo mondo
significativo. Ci che fondamentale, non dunque indurre, al di l di questa
rete, dei sostrati stabili quanto irraggiungibili - importante fissare la
materialit, la irresolubilit di queste relazioni. Che la definizione delloggetto
non, possa passare se non attraverso la categoria della totalit e cio la
conoscenza sia della relazione oggettiva che di quella soggettiva che
saddensano sulloggetto: una verit ormai solidamente piantata nel tessuto
scientifico del materialismo moderno. Eppure spesso il criterio della relazione,
se non il suo contenuto specifico, era convalidato da un elemento esterno alla
relazione. Tipica , a questo proposito, la posizione di Marx: per lui i rapporti
costituenti soggetti, gli antagonismi, processi di produzione e le articolazioni di
46

questa, sono garantiti dalla teoria del valore, - ed da lui solo lontanamente
prevista una fase (la sussunzione reale della societ nel capitale) nella quale i
rapporti di produzione e i valori reali non si distinguono n si duplicano in
funzione astratta. Dobbiamo attendere la pi vicina modernit, ed in particolare
gli autori della << svolta linguistica >>, per ritrovare la garanzia del criterio
dentro le relazioni che formano loggetto. Questoperazione pagata da talora
consistenti concession al formalismo - questo, almeno, in Frege e in Russell molto meno vero per gi nellultimo Wittgenstein dove lorizzonte
linguistico esalta una certa ombrosa ontologia. Non basta: dobbiamo liberarci di
ogni minimo residuo dialettico, formalistico o tautologico che esso sia. E
questo il programma positivo che presiede alla definizione dellanalitico a
posteriori. Ora, quando noi assumiamo loggetto, non possiamo perci che
verificarne fin da subito, con linsistenza della relazione che lo definisce, la
potenza e la direzione, il vettore insomma sul quale esso si orienta tra le
relazioni che lo costituiscono. Vale a dire che le condizioni conoscitive non
vengono logicamente poste - le condizioni conoscitive sono condizioni di
esistenza: solo l << a posteriori >> libera lanalitico dalla tautologia,
dallisolamento nella sfera del puro senso logico, dallincapacit di farsi corpo.
In effetti la relazione devessere per cos dire scissa, interrotta,
geometricamente trasformata in una serie di funzioni diversamente disegnate,
che sempre tuttavia si ricondensano sulloggetto. Tutto questo non logico nel
senso che esaurisce la proposizione in un mondo autosufficiente capace di una
propria circolare riproduzione. No, qui il termine logico va, alla maniera
classica, riportato alla capacit di piegarsi, di modularsi, dentro il concreto.
Lanalitico sorge dunque qui, da questo non poter essere diverso dal reale che
descritto dalle relazioni, da questa immanenza assoluta dellapproccio
filosofico. Lanalitico dunque pu e deve trovare il suo rapporto con la
contingenza. Il problema logico di unestetica trascendentale di tipo nuovo
muove, come abbiamo visto, dalla rideterminazione dellessere come
contingenza. La contingenza lessere cos come ci presentato, nella sua
mobilit, nella sua versatilit, ed insieme laffermazione che lessere non pu
essere diverso. Vi una verifica analitica della contingenza ed la necessit che
lessere sia contingente. Con ci noi parliamo dellassoluta necessit che la
dimostrazione scenda sempre a scontrarsi con il reale e a nutrirsi di esso e ad
esasperare il rapporto in esso. Le condizioni di unestetica trascendentale sono
in questo processo. Se ci chiediamo di nuovo se esse siano sufficienti, in quanto
condizioni logiche, a garantire la costituzione delloggetto, possiamo ora
dichiarare linsufficienza dellaffermazione. Meglio tanto la sua necessit
quanto la sua insufficienza. Della necessit abbiamo detto, e qui, in
conclusione, possiamo sottolineare ancora limportanza di questo procedere <<
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per ogni dove >>, ma non senza una precisa direzione. Che questo processo non
arrivi ad una conclusione definitiva daltra parte necessario: perch la
contingenza che caratterizza lanalitico nella figura che questo assume
sullorizzonte comunicativo, in nessun caso permette una chiusura logica del
discorso La contingenza, come abbiamo visto, a chiave che apre la logica
allontologia - ma soprattutto apre lontologia alletico. E su questo terreno,
nella prospettiva del fare, del costruire, del costituire a nuova realt del mondo e
della comunicazione - e dunque in questo processo etico che lestetica
trascendentale del materialismo viene definendosi. Potenza, tendenza,
antagonismo si disegnano dentro questo sviluppo etico, ed il rapporto tra
processo conoscitivo e verit, fra contingenza e necessita deve essere a questo
contesto riportato. Ma, insisto, questa conversione etica del processo
conoscitivo non indebolisce, n toglie n elimina la specificit della ricerca
logica: ne indica semplicemente linsufficienza, esattamente quella che nella
filosofia di Frege, di Russell e di Wittgenstein stata definita. Ne qui, sul a
definizione di questa insufficienza, ci si pu ancora fermare. Basti aggiungere
che non v specialismo che possa trattenere e imprigionare la ricerca filosofica,
se gli stessi termini della logica rivelano un limite e richiedono un
dislocamento. Questo dislocamento va compiuto - su di esso ogni strumento del
pensiero filosofico va riapplicato. Cos torniamo al rapporto fondamentale quello definito dalla contingenza - ai suoi diversi aspetti, ai suoi diversi gradi ,
al dualismo radicale che la domina. La logica il corpo. Letica il corpo.
6. Il concetto di costituzione pratica.
Lo sviluppo della ricerca continua a spingerci verso lontologia etica. E solo
sul terreno dellontologia etica infatti che le antonomie e i rompicapi della
conoscenza potranno essere risolti.
Nella nostra introduzione abbiamo letto e commentato il <<
Systemprogramm >> - qui, ora, siamo collocati laddove esso intuisce il
passaggio fra estetica e dialettica trascendentale. Questo passaggio , qui come
l completamente inserito nella trama dellessere. Era il momento pi alto di
una concezione idealistica a natura si faceva storia, idea. Qui quellassoluto si
rovescia, come sempre avviene quando lo spingiamo - meglio le forze materiali
della storia lo hanno spinto - fino al suo opposto. Qui la storia che s fa natura,
o meglio, la natura che assume un ventaglio di protesi organiche e strutturali.
La natura si modifica attraverso una sorta di assimilazione cibernetica di tutte le
protesi intellettuali che ad essa si sono applicate. E uno straordinario
arricchimento, quello cui assistiamo: non solamente a forza produttiva del
lavoro umano che raggiunge altissimi punti di qualit, assimilando a s tutto il
sapere, e lintelligenza, e limmaginazione che una civilt superiore sanno
48

produrre - non solo questo, anche se il processo avviene sui ritmi dello
sviluppo della produzione e dellarricchimento della forza lavoro: in realt
lintero mondo umano a conquistare questa strana e nuova figura. Si potrebbe
parlare di una << seconda natura >>, ma forse anche di una terza, o di una
quarta, o di unennesima potenza della natura tanto linsieme delle facolt
umane venuto modificandosi, poi trasformandosi ed arricchendosi. Nessuno
pu dire quale sia il senso, in meglio o in peggio, di questa trasformazione - non
ci sono teleologie storiche o antropologiche che possano fissare un termine alla
querelle degli antichi e dei moderni. Detto ci, e messe le mani avanti in ogni
senso, v ununica cosa che si pu dire con certezza: ed che aumentata la
capacit di fare, quella specifica capacit umana di fare che legata alluso
degli strumenti. Ma questo incrementarsi della ragione strumentale ha condotto
al di l dellorizzonte degli strumenti: il fare divenuto natura, ha di questa
colto la forza immediata, lessenza irreversibile, a corporeit irriducibile.
Con ci il discorso sulla costituzione pratica dellessere e sulla fondazione
etica della logica divengono sempre pi evidenti. Innanzi tutto quella
soggettivit naturale, che fino a questo punto abbiamo seguito nella sua
trasformazione, si presenta come essenza collettiva. Questa essenza collettiva
tale in senso proprio, vale a dire che ogni soggetto attraversato da un insieme
di relazioni che lo definiscono in quanto tale. Ma collettivo in senso proprio
significa anche che la capacit produttiva individuale e lessenza umana
singolare cos costituitesi, sono una determinazione universale. Il divenire
sempre pi astratto dellintelletto umano, il divenire sempre pi astratto della
forza-lavoro - questo processo di astrazione, questo straordinario incremento
della ragione strumentale producono il paradosso di una nuova singolarit (e la
reale soluzione di questo paradosso). Lastrazione astrae sulla vecchia natura,
costruisce indecenti protesi su un vecchio corpo mutilato - ma a partire da ci
lastratto assorbiti nella nuova corporeit e le protesi si perdono nel prodursi
del nuovo corpo. Tutto questo tanto collettivo quanto sempre il concetto di
natura stato universale: collettivo qui dato in termini di ontologia logica. Vi
di pi: ed che questa corporeit nuova rivela due caratteristiche
fondamentali. Tanto fondamentali quanto lo sono, in genere, le caratteristiche
strutturali dellessere. I due caratteri sono quelli della virtualit e della
irreversibilit, il primo come funzione elastica e il secondo come funzione
rigida nello sviluppo di unetica costitutiva. Per virtualit intendo quella
estrema determinazione del pratico che rappresenta lessenza della sempre
nuova determinazione singolare dei soggetti. Parlo di possibilit pratica, reale,
come rapporto fra una serie di determinazioni e la semplificazione di queste
nella scelta. Rifiuto qui ogni determinazione della possibilit che ne annulli la
capacit costruttiva, immergendola in una serie indefinita di predisposizioni e di
49

opportunit. Virtualit , di contro, il rapporto che, in maniera determinata, si


costruisce fra un contesto storico gi consolidato, nel quale solo una serie di
tendenze sono prevedibili, - e, daltra parte, quella pratica di decisione che fra
queste storicamente imitate ma ricche opportunit razionali, sceglie e quindi
costituisce realt singolare. E chiaro che quando si parla di ontologia etica si
assume un tale profondo intreccio di logica e di etica, di giudizi di fatto e di
giudizi di valore - intreccio inteso alla costituzione della realt stessa - che non
si pu pi distinguere nettamente fra i due livelli. E questa constatazione un
abbassamento del potenziale di libert che proprio del soggetto? Io non lo
credo poich solo se noi consideriamo il tessuto delle scelte come tessuto
preformato e percorso da tendenze concrete, solo in questo caso che un
concetto di libert in quanto concetto di unattivit pratica, pu darsi. Intendo
dire che la nozione di possibilit diviene reale solo trasformandosi in concetto
di virtualit, con lo spessore e lintensit che questa differenza registra.
Ma ci detto evidentemente chiarito anche il concetto di irreversibilit.
Esso , per cos dire, il momento rigido della virtualit, la statica che completa
la dinamica. Lirreversibilit quel punto sul quale una piccola ma essenziale
catastrofe, un salto di qualit, si danno allinterno dellessere, nel processo della
sua costituzione. Laccumulo di tutte le esperienze ad un certo punto diviene un
evento rivoluzione. E come quando guardiamo un disegno ed improvvisamente
cogliamo la bellezza di un particolare che ci era sfuggito e questo ci sembra
trasfigurare linsieme dellopera che consideravamo. Irreversibile il
mutamento della logica dellesistente: vale a dire che dora in avanti, quando
questo passaggio sia stato rivelato, tutti gli elementi della considerazione
dovranno essere organizzati da una nuova logica, interna allesistente
considerato. Irreversibilit chiusura di un processo genetico ed apertura di
nuove genealogie. Irreversibilit definizione di nuove virtualit e rivelazione
di nuove tendenze.
Nel definire queste caratteristiche essenziali dellessere nellambito di un
ontologia etica, noi perveniamo al concetto di virtualit e di irreversibilit da
vari punti di vista. Innanzittutto, come si visto dallapprendimento del
rapporto tra logica ed etica, fra giudizi il fatto e giudizi di valore, - meglio, dalla
soluzione pratica dell antinomia che la considerazione separata di codesti due
giudizi pu produrre. Solo infatti la dimensione pratica, latto razionale di
volont, qualora siano inseriti in un orizzonte collettivo, possono permetterci di
riconoscere positivamente, e di agire costruttivamente, quello lato che distingue
il conoscere dal valore e di riconquistarlo allunit dellessere. Ma vi sono altri
punti di vista dai quali una nuova concezione dellessere - quando sia
considerata attraverso la rappresentazione della natura, pu essere avvicinata.
50

Ci spingono innanzitutto avanti le versioni pi attuali e critiche della teoria


delle innovazioni nella ricerca scientifica intendo riferirmi alla teoria dei
paradigmi. Essa non ha un fondamento neo-kantiano, - essa una teoria
ontologica della scienza vale a dire una considerazione del rapporto che la
scienza intrattiene con la natura per modificarla, per costituirla, quindi per
conoscerla. Quando assistiamo ad un mutamento catastrofico del paradigma
scientifico noi percepiamo allora un vero e proprio sussulto dellessere. Il
nuovo paradigma sar irreversibile ed aprir nuove virtualit. Ancora, un altro
punto di vista a partire dal quale possiamo avvicinarsi a questa concezione della
natura, quello storico intendo il punto di vista di quella storiografia dei
movimenti sociali che permette di definire il passaggio dalluna allaltra
composizione del soggetto storico, e di costruire tendenze e virtualit a partire
dal salto qualitativo, dalla novit radicale, che una nuova composizione mostra
a fronte dellaccumularsi delle stesse esperienze intervenute nel suo processo
genetico. Anche in questo caso vi una catastrofe, una modificazione radicale,
che talora in termini storici diciamo << rivoluzione >>, - che in ogni caso
residua una qualit assolutamente nuova dellessere collettivo.
Ecco perch, per loggi, parlavamo e continuiamo a parlare di nuovo
giusnaturalismo. Qualera lo statuto teorico del giusnaturalismo classico dei
secoli dal XVI al XVIII? Era questo: la teoria giusnaturalista si poneva come
immanenza catastrofica contro a concezione teistica dellautorit e del valore,
come teoria progressiva, individualistica contro la concezione organica e
tradizionale del valore. Vale a dire che la teoria del giusnaturalismo era una
chiave dinamica di proposta trasformativa, di distruzione dellunit sociale
ipostatica, di trasformazione pratica e di lettura moderna di questa. Il salto
avviene allinterno del progetto: che la teoria giusnaturalistica fosse
essenzialmente individualistica non toglie il fatto che essa rappresentasse, in
termini logici, luniversalit di una pretesa di rinnovamento, anzi la sua
progressiva effettualit. Cos, dirsi nuovamente giusnaturalisti significa
assumere il nuovo concetto di natura, questo concetto di una natura trasformata,
dentro la quale la rivoluzione divenuta fondo stabile del sapere e dellagire come fondamento irreversibile e come definizione di possibilit nuova.
Altrove ho cercato di definire questo processo di singolarizzazione
dellessenza astratta come apparizione del tempo della vita contro il tempo del
potere, dimostrando come il secondo costituisce una macchina che riduceva a
zero la potenza del lavoro e del sociale. Ma quest antinomia pu essere
moltiplicata - ed anche nel corso di questa ricerca abbiamo visto allopera
alcuni rompicapi che ci sono sembrati avere una radicale funzione di rottura
rispetto all orizzonte logico della tradizione. Mi chiedo: in un estetica
51

trascendentale del corpo e della comunit, quandanche le condizioni logiche


fossero date, non resta troppo generico il rinvio ad atti di significazione etica
perch se ne possano trarre indicazioni efficaci al superamento dei rompicapi.
Altrimenti detto possibile costruire comunit senza risolvere, logicamente ed
anticipatamente, i rompicapi dello spirito? Ora, io penso che a questo
interrogativo si possa dare risposta positiva. E penso anche che la sola
soluzione dei rompicapi sia pratica. La ricerca deve quindi procedere. Ma
labbiamo fatto, credo, in maniera da non essere imprigionati dalle
caratteristiche esterne del rompicapo. Vale a dire: il rompicapo non
unantinomia in generale, esso unantinomia costruita dentro un paradigma e
quindi una determinazione storica precisa, una produzione determinata.
Non vi superamento del rompicapo, vi solo modificazione del paradigma.
Ecco perch una risposta diretta alle questioni poste dai rompicapi, non pu
essere una risposta diretta, ed ecco perch possiamo rispondere al quesito su
come sia possibile pensare il corpo e la comunit, prima di, e fuori da, una
soluzione dei rompicapi. Questa possibilit essa stessa pratica perch il
paradigma pratico. E solo sulla base di un dislocamento globale che la
questione diviene risolvibile. Di nuovo allora possiamo pensare che landare
avanti nel pensiero della rivoluzione , come prevedeva il << Systemprogramm
>> e come dicevamo nella nostra introduzione, possibile solo a partire dalla
rivoluzione come preambolo. Come preambolo storico determinato, dato. Come
modificazione di paradigma gi intervenuta.
Nel << Systemprogramm >> si auspica la costruzione di una nuova mitologia
sensibile. Questa richiesta del tutto collegata sia allurgenza di passare dal
terreno della logica a quello dellagire etico-collettivo, sia dalla necessit di
trascorrere dallestetica trascendentale alla dialettica trascendentale. Il
superamento dellanalitica consiste in queste due operazioni. Invero, di una
mitologia abbiamo bisogno. In questo mondo nel quale ogni determinazione
positiva si trovata travolta nellinsensatezza di una circolazione pura; in cui
ogni insistenza etica stata subordinata ad emergenze ciniche ed i valori e i
disvalori sono intercambiabili - bene, una mitologia, un disegno empirico del
valore sembrano nuovamente necessari. Non certo per fondare pretese
profetiche o retoriche, non certo per legittimare riduzioni della complessit
problematica, insomma, non per dare fondamento a ci che fondamento non ha:
ma solo per aprire un orizzonte che sappia di nuovo... Una mitologia della
ragione etica diviene cos non tanto indicazione positiva di un cammino da
percorrere quanto definizione di un orizzonte da riconquistare. La dialettica
trascendentale, oggi, non pu configurarsi che come momento di costruzione
dellimmaginazione vera, a partire da unestetica trascendentale
52

dellimmediatezza. Contro ogni analitica, contro ogni pretesa regola della


ripetizione, e contro ogni coazione formale, anzi, assumendo tutto questo come
oggetto specifico della critica razionale, di una critica che attraversa lempirico
per esercitarvi la scelta etica, la pratica trasformativa - questo il passaggio
dallestetica alla dialettica trascendentale. Ed qualcosa di straordinariamente
pieno di incompiuto - direbbesi, di inconcluso a monte; a valle di una
straordinaria virtualit creativa. La conclusione di questo processo infatti si
potr cominciare a scorgere solamente quando esso si svolger completamente
sul terreno della realt corporea, della storia politica e della costituzione
comunitaria. Noi possediamo - quanto attiene alla modificazione del
paradigma, il contenuto della << rivoluzione come preambolo >> - noi
possediamo unirreversibile virtualit di astrazione completa del mondo, di sua
singolarizzazione adeguata, quindi, di costruzione di una nuova corporeit
creativa, di un sapere portato al pi alto livello dei bisogni, del desideri, dei
piaceri. Questo processo si svolge: ma ogni verifica completa solo costruzione
piena. Nelle attuali condizioni lindefinitivit di questo processo rappresentata
da un passare continuo da uno ad un altro grado dellessere ed il passaggio
indefinito quandanche esso si dia da un grado minore ad un grado maggiore di
essere. Certo, vi comunque un arricchimento, dentro questa rivoluzione
continua, dentro questi movimenti dellessere. Ma quando riusciremo a dare un
senso collettivo e una definitiva logica compiutezza a questo processo? Quando
la soddisfazione e la gioia etiche si sovrapporranno alletica della ricerca e della
lotta? Io non vedo risposta. Siamo giunti al punto che nella scissione che
domina questo mondo, nelle dinamiche che contro lontologia etica sono messe
in atto dal potere, questa istanza e questa urgenza di mito, sono mistificate nella
miseria del media. Lillusione falsa viene opposta allimmaginazione vera. Cos
come il tempo delluno, dellorganizzazione e del potere vengono opposti al
tempo dei molti, della comunit e della potenza. Una lotta mortale si sviluppa
fra queste opposte tendenze - e noi abbiamo visto come questa lotta mortale sia
inserita alla stessa radice dellessere - laddove la contingenza, nella sua
assolutezza, costituisce assoluta mancanza di fondamento e radicale possibilit
di alternativa. Di vita o di morte. Di essere o di non essere. Unestetica della
ragione tuttavia, proprio per questo, oggi possibile e, contrastando ogni
pretesa analitica, con tutta probabilit possibile progettare, a partire da
quellestetica, determinazioni dialettiche.

53

Capitolo Secondo
<< Metus-superstitio >>: ossia sulla produzione di soggettivit nel
capitalismo maturo.
1. Il concetto di sussunzione reale e il problema dellanalitica.
Il processo di sussunzione reale della societ nel capitale ci restituisce a
societ come un enorme involucro di atti circolari ed uniformi. Noi viviamo
dentro questordine, dentro questa << Umwelt >> ordinata. La ricerca storica si
combina qui con la ricerca teorica nel dare, di questa forma della societ, il
quadro compiuto. E mentre la ricerca storica ci permette di seguire lintreccio
delle varie funzioni sociali ed il loro costituirsi in un tutto unico il confondersi
del lavoro produttivo e del lavoro improdutivo dentro un circuito del valore che
ne toglie la differenza, - la ricerca teorica ci propone il problema della
sovrastruttura e ci mostra come il rapporto, altre volte evidente, con
linfrastruttura, sia ormai definitivamente concluso. Concluso dentro
unindifferenza materiale che, se permette di cogliere la genesi delle due
formazioni materialmente ce le d completamente unificate, indistinguibili,
inseparabili << Da Marx ad Althusser >> la teoria marxista ha descritto la crisi
del rapporto struttura-sovrastruttura mostrando lo sviluppo del processo gi
indacato. Da ultimo Althusser, descrivendo il funzionamento delle
apparecchiature ideologiche dello Stato, ha ampiamente mostrato come questi
momenti cosiddetti sovrastrutturali fossero essenziali alla riproduzione della
societ capitalistica in quanto tale. Ma le indicazioni di Althusser, per quanto
corrette, non sono sufficienti a descrivere la situazione determinata nella
sussunzione reale. Qui il reciproco compenetrarsi del vari livelli di produzione,
delle merci cos come delle norme, diviene totale. Quella che gi si chiamava
sovrastruttura, ovvero gli elementi ideologici, teorici, dottrinali, ecc. ecc. che
descrivevano la realt registrandone in maniera mistificata il riflesso e
riproponendolo efficacemente verso e contro lempiria - ora vive una vita
completamente interiore allo sviluppo delle strutture produttive.
Questorizzonte che abbiamo dinnanzi, questa << Umwelt >> nella quale
siamo immersi, non permettono di operare fini distinzioni: certo gli apici delle
determinazioni, pi empiriche o ideologiche, possono essere sempre indicati ma
la determinazione fondamentale quella della compenetrazione e dellinterna
articolazione. Tutto questo ha un risvolto pratico, immediatamente pratico. La
nostra societ organizzata per questa confusione di livelli per mistificare la
sua totalit produttiva e gli antagonismi che questa totalit reggono. Gli
strumenti di potere e i momenti normativi, da questo punto di vista, sono
completamente interni al sociale. Si potrebbe dire che il sociale non potrebbe
esistere - nella forma, ovvio, adeguata al grado di produttivit attuale - se
54

questa compenetrazione degli elementi di comando e delle regole normative,


alle articolazioni del sociale non fosse data. Ma vi di pi. Non solo il sociale
genericamente assunto nel meccanismo di capitale, non solo le apparecchiature
ideologiche di Stato diventano fondamentali nella riproduzione ordinata della
societ, non solo infine la produzione di merce e di norme si articola e si
confonde sul livello sociale: non solo tutto questo dunque, - la societ della
sussunzione reale si caratterizza anche come tentativo di produzione diretta
della soggettivit. C un nesso evidente fra determinazioni strutturali e
determinazioni sovrastrutturali, che attraversa la soggettivit. Tutto questo
stato ampiamente sottolineato nella teoria. Ma oggi ci troviamo di fronte a ben
altro, poich questo nesso (che interpreta e veicola la forma specifica del
comando capitalistico) tende a costituire la soggettivit. La costituzione
capitalistica della soggettivit diviene cos momento centrale nella fase della
sussunzione reale. Avevamo detto << da Marx ad Althusser >> per descrivere la
crisi e le modificazioni del rapporto struttura e sovrastruttura, - ora possiamo
dire << Da Althusser a Marx >> per indicare quanto si sia approfondito il
rapporto di produzione della soggettivit: come una nuova accumulazione
primitiva; come in quella, in questa fase di sussunzione reale, si costruiscono
non solo le condizioni della riproduzione sociale ma anche gli attori, i portatori,
i soggetti di questa produzione. Come in quel Marx dellaccumulazione
primitiva, cos qui la totalit del quadro indistinguibile dalle componenti.
Questo quadro compatto si presenta sovente come mondo della comunicazione,
come complesso di strutture informatiche, come insieme meccanico-razionale
di una strumentazione intelligente del controllo e della produzione.
Ora, questa situazione presenta alcune difficolt, che non possono essere
trascurate dallanalisi. Intendo dire che questa << Umwelt >> schiaccia, per
cos dire, la possibilit della ricerca sulla linearit, e la disorienta nella
circolarit dei nessi fra singole emergenze soggettive. La stessa emergenza di
un punto di vista critico sembra da ci vietata. Ci troviamo quindi di fronte a
delle posizioni che, nel tentativo di resistere allindifferenza, spesso
organizzano la prospettiva di ricerca e quella di intervento in termini
volontaristici, - per esempio, in termini di rivendicazione di autonomia del
punto di vista scientifico. Vediamo un caso. E fuori dubbio che, se nella
situazione data (sussunzione reale) la forma valore e la sostanza di valore del
processo di produzione tendono a sovrapporsi, lanalisi deve assumere la <<
Wertform >> e la << Wertsubstanz >> come elementi complementari nella
configurazione della totalit determinata da analizzare. Ma dire complementari,
non significa dire indifferenti - e con ci accettare il blocco della ricerca. Infatti,
pur tra queste complementarit ed indifferenze, un quadro del genere
normalmente molto ricco di impliciti: la determinazione infatti, nel mentre
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mostra i contenuti specifici dei meccanismi di produzione del valore, sta dal
punto di vista degli strumenti tecnologici, sia dal punto di vista della pertinenza
dei contenuti, - dallaltro si mostra come tendenza, come apertura potenziale di
nessi produttivi generali, come articolazione di composizioni diverse della
soggettivit. Si tratta allora di approfondire il nesso tra ricerca di valore ed
analisi materiale laddove invece, spesso, lincapacit di procedere in questo
senso, dovuta a permanenze ideologiche o a resistenze nei confronti della nuova
prospettiva, implica una ricerca che fra valore e sostanza ripropone indifferenza
o unit indifferenziate o confuse a connessioni analogiche, - sicch questo
rapporto, in s scoordinato non pu che essere sempre di nuovo riportato
allanalisi e alla pratica del dominio. Le teorie dellautonomia del politico, da
questo punto di vista, sono teorie attardate su una imperfetta comprensione
degli effetti della sussunzione reale. Di contro, la nostra ricerca assume
linerenza di strutture e di sovrastrutture, di forma e di sostanza, come
assolutamente data. Ed a partire da ci che i meccanismi di produzione della
soggettivit nel capitalismo maturo potranno essere finalmente definiti.
Ma proprio nella misura in cui procediamo in questo senso tanto pi il
problema definitivo sar quello etico. Vale a dire che non lanalisi dei rapporti
di potere che pu permetterci la comprensione di questo mondo compatto che
abbiamo dinnanzi, bens, a permetterci questo, linerenza della nostra volont,
della nostra lotta. alla composizione della societ. Offe dice chiaramente << Il
problema di una teoria dello Stato che si proponga di dimostrare il carattere
classista del dominio politico consiste dunque nel fatto che, in quanto teoria, in
quanto rappresentazione oggettivante di funzioni statali e del loro riferimento
ad interessi, essa non assolutamente attuabile. Soltanto la pratica della lotta di
classe ne soddisfa la pretesa conoscitiva... Questa limitatezza della conoscenza
teorica non tuttavia determinata dallinsufficienza dei suoi metodi, bens dalla
struttura del suo oggetto. Questo si sottrae alla chiarificazione in termini di una
teoria di classe. Semplificando si pu dire che nella societ industriale
capitalistica il dominio politico il metodo del dominio di classe che non si fa
riconoscere come tale >>. Questa dichiarazione di Offe ci sembra
fondamentale. Vale a dire che lindifferenza del quadro sociale che si presenta
nella sussunzione reale semplicemente una mistificazione oggettiva: anche
un momento di falsificazione, meglio di conoscenza falsificata, nella
prospettiva di dominio del soggetto. Ci scontriamo qui con unoperazione di
mistificazione che investe il sociale intero, con unoperazione di mistificazione
che tenta di sottrarre alla coscienza la possibilit di identificare le condizioni
dellantagonismo.
Questa sottrazione sostanziale, reale, - la mistificazione non solo
56

efficace ma produttiva. Vivere questo mondo della mistificazione produttiva,


fino al punto nel quale essa investe la soggettivit, vivere una condizione
eccezionale - evidentemente il problema della rottura di tutto questo, della
definitiva insopportabilit di tutto questo, ci riporta ai grandi temi etici
dellessere e della sua distruzione o della sua riproduzione. Ma sullargomento
non vale certo la pena di fermarsi di nuovo. Quello che fondamentale invece
notare quanto sostanzialmente pratico sia questo orizzonte della sussunzione
reale. Le produzione materiali tendono verso la soggettivit, abbiamo detto: ma
bisogna aggiungere che questa soggettivit va soprattutto considerata in termini
di volont. Sono le soggettivit della lotta di classe quelle che qui sono assunte,
mistificate, sottratte alle condizioni dellantagonismo. Ora questanalitica della
societ, di una societ riguardata soprattutto dal punto di vista della volont, dal
punto di vista della possibilit di lotta e quindi della creazione della differenza,
- questanalitica puramente e semplicemente il diritto.
Quando parliamo di diritto parliamo del complesso di norme attraverso il
quale la societ costituisce il suo ordine in riferimento alla produzione e alla
riproduzione di se stessa. Intendiamo anche la serie di strumenti che sono messi
in azione per garantire lefficacia di questa normativa: ma non riduciamo a
normativa a questi strumenti perch essa infinitamente pi larga e la sua
efficacia infinitamente pi estesa di quanto gli strumenti specifici
dellorganizzazione giuridica possano il diritto, cos come noi i assumiamo, ,
dunque, unanalitica sociale della volont. La definizione pu essere
immediatamente chiarita se risaliamo alla nozione di sussunzione reale ed agli
effetti teorico-pratici che ne seguono. Vale a dire che il diritto ha, rispetto al
mondo della sussunzione reale, lo stesso ruolo che in un universo di
rappresentazioni individuali ha avuto lanalitica kantiana. Il diritto vale qui a
fissare le condizioni di pensabilit di una societ capitalistica matura. Solo la
legalit, vale a dire la normativit diffusa ad ogni elemento costitutivo, permette
di pensare la societ. Lanalitica la produzione di una mediazione sociale nella
quale tutti i rapporti sono ricondotti alla necessit della riproduzione sociale.
Fondamentale , ovviamente, il rapporto soggettivo. Ora, lanalitica non
costituisce il soggetto - al soggetto costituito dal rapporto produttivo in
generale - ma lanalitica, la normativit, il diritto, si estendono lungo tutti i
passaggi che costituiscono il teatro di azioni e reazioni, di rapporti di senso e di
rapporti di significato, costitutivi della sussunzione reale - quindi
il diritto qui coestensivo, in quanto analitica, della sussunzione reale. Il fatto
di essere qui coestensivo non significa essere identico (vedremo nel prossimo
paragrafo perch). Quello che qui ci interessa di concludere e di sottolineare,
la densit del rapporto che il diritto ha verso, dentro, la societ. E un vero e
proprio investimento quello che il diritto opera: esso, in questo distendersi
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globale sul sociale, diviene una specie di abito senza il quale a societ non pu
mostrarsi. Il diritto ostensione del sociale, il linguaggio della sua realt
profonda, larticolazione delle volont che percorrono e costituiscono il
sociale. Il diritto una vera e propria kantiana analitica del sociale. Non ho pi
parole per esprimere questa inerenza se non quelle adeguate ad esprimere il
rapporto tra il corpo e lanima: figurazione certo non post-moderna ma
fortemente intrisa di suggestione reale.
Detto ci occorre aggiungere che questa analitica la figura morta della
societ.
2. Analitica: il diritto come legittimazione.
E stato Hegel a mostrarsi il funzionamento del diritto come analitica della
societ civile. Quello che non ci si sarebbe aspettato - e che certo Hegel non si
attendeva - che il diritto man mano divenisse, da analitica, anatomia della
societ civile, usurpando cos il luogo fin l ricoperto dalleconomia politica.
Dico usurpazione perch il fatto di pervenire ad una tale interiorit nei confronti
della societ, non toglie al diritto le sue caratteristiche specificatamente e
fondamentalmente analitiche: la societ si fatta astratta, i suoi movimenti si
sono proiettati verso unorizzontalit lineare, - il diritto qui dentro ci sta bene,
adeguato, usurpa una funzione alla quale leconomia politica, per il fatto di
produrre questa societ astratta, ha abdicato.
Il diritto segue levoluzione dei rapporti sociali di produzione. Ne la forma.
Ma, procedendo lo sviluppo sociale e proiettandosi questo verso quellordine
particolare che proprio della sussunzione reale, il diritto non pi solamente
forma sociale, meglio, dellordine sociale, ma interviene strutturalmente in
quanto funzione generale di legittimazione nella riproduzione sociale. La
legittimazione assume sempre pi figure processuali, procedurali, esecutive: la
grande modificazione del diritto nel capitalismo maturo, la sua trasformazione
funzionale, consistono appunto in ci, nel fatto che il diritto non trascende pi i
rapporti sociali ma ad essi immanente, esso stesso un evento - quanto
generale si voglia - del processo sociale. Oggi la forma della legittimazione
assolutamente specifica: vale a dire che essa si pone fra sussunzione reale e
produzione di soggettivit. Ci significa che il diritto costituisce, in forma reale,
i soggetti, dentro una rete di qualificazione delle loro azioni, - rete che non
costituisce semplicemente realt giuridiche, costituisce bens il soggetto in
quanto tale. Non v soggettivit sociale senza che una serie di condizioni
giuridico-istituzionali la configurino. Il diritto interviene dentro la societ
delimitando continuamente in maniera amministrativa o giurisdizionale
possibili conflitti - ma non solo: costituendo gli stessi soggetti di un possibile
conflitto, introducendo un sistema di valutazione che cerca di rendersi sempre
58

pi efficace.
E chiaro come questo processo, del diritto in quanto potenza sociale,
rappresenti un morto paesaggio nella vita dello spirito. Si diceva << analitica
>>: vi pu essere qualcosa di pi analiticamente deprimente di questo continuo
tentativo di bloccare la dinamica detto spirito oggettivo? Il diritto questo
blocco - un blocco intelligente, una continua selezione dei materiali indistinti
presentati sulla scena della sussunzione reale ed una loro formazione,
unidentificazione - linvenzione del soggetto. Ma una invenzione che gioca
semplicemente i residui, i margini, le esclusioni. E chiaro allora che il processo
di legittimazione in quanto insieme di delimitazioni, selezioni, esclusioni, del
sistema di valutazione e della conseguente esecuzione amministrativa, tender
sempre pi a ripiegarsi e a chiudersi su se stesso. Ogni difficolt di soluzione
del processo non potr che spingere verso la drammatizzazione del momento
esecutivo - stato demergenza, situazione di necessit ecc. ecc. Ogni
eliminazione di possibilit corrisponder ad una tensione verso
unautolimitazione, unindipendenza, unautosufficienza del potere. La
necessit di imporre un meccanismo di regolazione che sia un meccanismo
regolare, costante, continuo - questa necessit spinger continuamente verso
quellessenza del comando costituzionale che, con esagerazione linguistica ma
con profonda adesione al reale, Carl Schmitt ha chiamato << dittatura >>. Il
diritto dunque latenza di dittatura, o meglio dittatura mistificata. Questa
essenza gli deriva dal fatto di essere completamente interiorizzato nella societ
ma, in queste condizioni, di selezionare unilateralmente linsieme delle potenze
sociali. Il diritto, nella sussunzione reale, di questa coestensivo - ma non
identico ad essa. Non identico ad essa perch un sistema di selezione, una
griglia di valutazione, un meccanismo di esecuzione. Non identico perch
coglie coestensivamente il tessuto sociale della sussunzione reale ma solo nella
figura negativa che questa permette. Vale a dire che il diritto organizza la
continuit lineare dei processi, i compromessi e le articolazioni di valore che nel
sociale si possono trovare - ma non riesce ad afferrare, n lo desidera, i nuovi
contenuti collettivi che questo sociale attraversano, ed in generale non riesce a
cogliere il passaggio dallastrattezza del rapporto ad una soggettivit superiore.
Il diritto produce soggettivit solo in quanto essa si presenti come limitazione.
Limitazione anche dellastratto. Il diritto teme a potenza della soggettivit della soggettivit ha bisogno solo in quanto materiale su cui costruire la
complessit dellordinamento. Insomma il diritto pura e semplice analitica,
tanto pi povera e morta, quanto pi lo sviluppo astratto del lavoro si
affermato come potenza.
Abbiamo detto che il diritto coestensivo della sussunzione reale ma non
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identico ad essa, anzi, che esso predisposto alla rottura degli equilibri
dinamici che si sono formati nel processo di maturazione della sussunzione
reale. E noto come sono andate le cose. Nel capitalismo maturo lo schema di
regolazione dello Stato e della societ insegue ladeguamento continuo del
rapporto fra forze produttive, consumi produttivi e stabilit politica. La
regolazione possibile quando essa avvenga su uno schema di valori unificato
(o in ogni caso non immediatamente contraddittorio) a partire
dallidentificazione di soggetti abilitati alla gestione del rapporto, alla
contrattazione, insomma alla partecipazione al processo di legittimazione. Il
fatto che, in questo schema, il pi alto ideale sia quello di unalla produttivit e
che la ripartizione del profitto fra soggetti produttivi si svolga secondo una
regola che introduce nella riproduzione sociale, e dentro questa amplifica, i
benefici della riproduzione secondo moltiplicatori adeguati allo sviluppo - il
fatto insomma che la legittimazione marci a pari passo con la continua riforma
dei rapporti di produzione, esalta in maniera importante la funzione del diritto
nella sussunzione reale e la mostra come articolazione necessaria di questa.
Ma non appena elementi di crisi si rivelano, non appena il diritto richiamato
in maniera stringente ad esercitare la funzione analitica, ci troviamo dinnanzi ad
una serie di eventi - meglio, di operazioni - che ampiamente caratterizzano il
funzionamento parziale del diritto nella nostra societ. Voglio dire che la
legittimazione analitica post-moderna trova una sua specificit quando,
scoprendosi coestensiva della sussunzione reale, rivendica la propria identit,
quindi la separatezza dalla propria funzione. Su tre punti si sviluppa questa
ricostruzione della specificit analitica del diritto: in generale, sulla ripresa,
reinvenzione, ristabilimento, dellegemonia della forma sopra, contro la
sostanza sociale. In secondo luogo la legittimazione analitica portata, nel
sistemismo, contro lunit progressiva del sistema dei valori, e, terzo, nel neocontrattualismo, contro il sistema dei soggetti che promuovevano lo sviluppo
giuridico verso lidentit di produzione e riforme.
Accenniamo alle tre forme nelle quali vengono sviluppandosi questi
fenomeni, dal punto di vista storico: procedendo nella ricerca le vedremo con
molta maggiore attenzione, basti qui descrivere la condizione generale del loro
presentarsi. Ora, particolarmente interessante la forma nella quale si mette
oggi in movimento quel processo che abbiamo detto di scissione fra forma e
sostanza della regolazione sociale. E una specie di nuovo trascendentalismo
quello che qui appare. Nella filosofia tedesca contemporanea, in particolare,
nella crisi e negli esiti della scuola di Francoforte, noi soprattutto possiamo
vedere come si sia sviluppata questa rinascita trascendentalistica. La ricerca di
una fondazione critica ha cominciato ad impiantarsi come un bisturi dentro
60

lunit dellorizzonte della sussunzione reale. Ma invece di trovarvi


antagonismi, invece di sperimentare e di riassorbire nella scienza quanto in
realt stava accadendo - la crisi, limpossibilit di rendere consensuale il nuovo
modello di sviluppo ecc. - invece dunque di far ci, la fondazione critica ha
separato la forma dalla sostanza di valore: << ipertribunalizzazione >> della
forma di contro alla << subtribunalizzazione >> della sostanza di valore. Vale a
dire che, mentre lorizzonte trascendentale della forma era fissato in maniera
sempre pi stabile, sempre pi definitiva, daltra parte invece la sostanza di
valore era respinta verso i livelli pi bassi dellempiria. La sintesi che, nella
sussunzione reale, si era data, qui scompare. Una costituzione unilaterale del
reale viene cos sempre meglio definendosi. Questa costituzione unilaterale
ottenuta attraverso la sostituzione formale del reale medesimo. Lessere
definito nella forma della sostituzione. I processi di sussunzione reale sono
trasfigurati nellimmagine della sussunzione - diritto, moneta, rapporti
informatici, simulacri sociali, cifre dellautomatismo sociale, sacro, violenza
della forma eec. La sussunzione ormai ci si presenta solo secondo questa figura,
solo entro questo quadro, prospettiva, orizzonte. Vedremo, procedendo nella
ricerca, come il formalismo si sia modificato in questo periodo di sviluppo, ma come questo sviluppo non sia stato altro che realizzazione del distacco fra
forma e sostanza del valore.
Un secondo momento nellevoluzione del diritto verso funzioni dirette di
costituzione analitica reale (nella fase della sussunzione) ci data in
quellepisodio dello sviluppo della scienza del diritto che si richiama al
sistemismo. Ora, la finalit essenziale di questa teoria quella di cercare una
forma della normazione giuridica (e sociale) entro cui lautonomia e linsistenza
autentica dei valori, e del loro combinarsi in ununit dinamica, siano distrutte.
Quello che interessa determinare una serie di punti di riferimento che si
oppongano, che neghino, che trasfigurino, ogni fondamento ontologico dei
valori. Esiste un antagonismo sociale ed esistono schemi teorici di
organizzazione dinamica-normativa di questo? Non devono esistere. Gli
antagonismi, qualora si diano, non possono essere che funzioni o soluzioni di
processi restaurativi dellordine, meccanismi in grado di neutralizzare, di volta
in volta, ogni complessit antagonista. Il diritto dovr funzionare come
strumento che sposta continuamente, costantemente, i termini di ogni problema
ontologico e trasforma temi potenzialmente conflittuali in struttura di
compatibilit. I soggetti vengono qui prodotti, esattamente come sono prodotti i
valori. Quale terribile vitrea sostanzialit hanno questi soggetti. Quello che
interessa ridurre il processo di sussunzione reale ad unimmagine naturale dove tutti i rapporti reali siano dissolti e gli antagonismi ridotti a fluttuazione su questa evoluzione, senza soluzione di continuit, il controllo fila via, come
61

appunto la volont burocratica di dominio vuole.


Non molto diverso, infine, il terzo esempio che nel seguito della ricerca
ricorderemo. Se nel sistemismo il tema fondamentale quello della permanente
fluidit del processo e quindi dellassoluta interscambiabilit dei valori, nel
neocontrattualismo si pone come egemonica la volont di far circolare la
soggettivit dentro uno schema paritario (di eguaglianza, di ricambio, di
commutazione) che di questa soggettivit toglie ogni caratteristica materiale. E
chiaro anche in questo caso che la negazione del carattere ontologico dei
soggetti comporta la massima formalizzazione dei valori. La comunicazione
riflessiva, la commutazione dei soggetti nel neocontrattualismo esige valori di
garanzia che siano assolutamente formali. Non si pu scegliere se non
lequivalente: questo paradosso del valore , nel neocontrattualismo,
lequivalente della contingenza dei soggetti nel sistemismo.
Dunque - su tutto ci torneremo. Basti qui cogliere quello che abbiamo pi
volte detto essere ormai la caratteristica fondamentale del diritto come
legittimazione, del diritto come analitica della sussunzione reale. I caratteri di
morte che la funzione giuridica si porta dietro, risultano a questo punto quanto
mai evidenti. Il diritto la chiave forzosa che deve valere ad escludere la
soggettivit dal tessuto sociale della sussunzione reale. Il diritto il modello di
produzione della soggettivit laddove la sussunzione reale sia stata assunta
come semplice orizzonte di produzione e di organizzazione sociale pacificita. E
non basta opporsi a questa onnivora teoria dei sistemi, quale nel diritto
manifestata, proponendo una semplice mediazione (naturalmente sempre sul
terreno trascendentale) fra teoria dei sistemi e teoria dellagire.
Occorre invece dare sostanza normativa, polemica ed antagonistica, alla
critica: alla critica della ragione strumentale che qui, nella definizione di diritto
come analitica dello spirito oggettivo, trionfa completamente. Posizioni che non
assumano il punto di vista ontologico, che mantengano i processi di mediazione
che sono propri del trascendentalismo, non riusciranno mai a definire la
sostanza etica del processo critico. I soggetti continueranno ad essere
considerati come semplici residui, non avranno mai la possibilit di esistere se
non in quanto colonizzati dal sistema - elementi s sempre irrisolti, ma mai
capaci di costruire alternative. Questa una manovra sofistica sul piano teorico
- sul piano dellesecuzione del diritto diviene una manovra repressiva. La
razionalit strumentale vince sempre quando la scienza, e le funzioni
dellorganizzazione sociale, non vengono confrontate con il reale. La
mediazione, questa malattia mortale del pensiero filosofico, questa criminale
intenzione del pensiero giuridico, deve scomparire dallorizzonte della scienza.
Viene cos configurandosi il terreno sul quale lanalitica, funzione centrale
62

del sapere trascendentale, tenta di configurare un quadro del reale fatto a sua
immagine e somiglianza.
3. Il modello formalistico: Hans Kelsen.
Riconsiderare il pensiero di Hans Kelsen, dopo aver proposto il problema del
formalismo nei termini in cui abbiamo fatto nel paragrafo precedente, pu
sembrare inutile preoccupazione archeologica. Non vero, perch il genio di
Kelsen consistette appunto nel percorrere un cammino che, dal vecchio
formalismo kantiano, portava ben oltre i limiti o le estreme estensioni di questo:
anticipava quella formalizzazione del reale che oggi consideriamo propria della
sussunzione e del postmoderno. In Kelsen il formalismo si presenta come
sovrastruttura della realt - e per, fin da subito, esso si arma di unautonoma
produttivit, sicch lavventura intellettuale di Kelsen descrive non solo una
vicenda soggettiva ma piuttosto la tendenza storica del formalismo.
Formalismo come sovrastruttura, dunque. Sovrastruttura di un contesto socioeconomico, forma logica, nella quale questo contesto analizzato ed ordinato.
Ma, se questa impostazione bastava a Stammler e ai suoi seguaci, se poteva
essere condizione egemone nel revisionismo social-democratico ottocentesco,
non bastava certo a Kelsen. La sovrastruttura in Kelsen trascendentale. Come
nella scuola di Marburg il trascendentale produttivo, - produttivo di schemi
della ragione, di tendenze regolatrici, di tipologie formali del linguaggio e della
scienza. Eccoci dunque a scoprire non tanto una base quanto una sorgente del
formalismo, ad identificare cio il punto sul quale la regolazione del sociale si
manifesta esplicitamente come gestazione di una rete di comando. A partire da
ci il neokantismo kelseniano si diluisce in un << Opus perpetuum >> che
assume varie figure, tutte agganciate al presupposto neokantiano ma tutte anche
capaci di sganciarsi da questo e di svolgersi, per successive stratificazioni, verso
risultati imprevisti. In una prima fase, il pensiero kelseniano forma lo schema di
lettura (e di organizzazione) del diritto sulla duplice funzione della purezza
logica della teoria e della sua fondazione trascendentale (Grundnorm). Ma
questo non basta: lanalitica deve svolgersi nello schematismo, la teoria pura
del diritto deve accostare ad una statica una nomodinamica: insomma, il diritto
deve produrre la sua realt. Eccoci dunque, su un primo punto essenziale, al
discoprimento dei meccanismi del formalismo. Lungi dallessere semplice
registrazione (sovrastrutturale o meno), la forma un motore, un orizzonte, uno
schema di comprensione. In realt, la forma un meccanismo di produzione
sistematica. La Grundnorm produce il sistema. Il sistema si forma attraverso un
meccanismo di gradi - Stufenbau - ed ogni grado capacit di produzione del
successivo. Gerarchia o meno, qui egemone lidea di produzione. Le critiche
rivolte al primo Kelsen, ed appuntate contro la vuotezza del suo formalismo,
63

sono pure e semplici banalit. Il pensiero di Kelsen sempre un pensiero della


produzione e la chiave che lo spinge ad una continua trasformazione, il
desiderio di cogliere e trattenere nella forma, la realt. La validit del sistema
delle norme deve farsi efficacia giurisdizionale delle stesse - la norma deve
mordere il reale. Certo, questo senso della realt che soggiace e regge
lelaborazione e lo sviluppo della teoria pura del diritto, non deve indurci in
errore. Esso non altro dal diritto, neppure come strappo, neppure come
anticipazione del diritto: il senso della realt deve essere prodotto dal diritto.
Questo il concetto del formalismo kelseniano, - una macchina produttiva,
lanciata sulla realt, e che a un certo punto non si pone pi il problema di
coniugarsi con il reale, si pone piuttosto il problema di produrlo, di sostituirlo
attraverso la produzione, di creare qualcosa che sia simile al concetto che la
teoria ha di se stessa e del diritto.
Questo paradosso quello di tutta lanalitica moderna. Ma qui assume una
tale incredibile potenza, e violenza di espressione, che davvero c da rimanere
sbalorditi. Soprattutto quando, continuando a rielaborare e trasformare il suo
sistema, prima Kelsen proporr una concenzione realistica e processuale, poi
una concezione decisionistica della norma e del diritto. Per concezione
processuale intendo un disegno del funzionamento del diritto che ricalca la
dinamica procedurale della sua amministrazione nei sistemi giuridici aperti.
Kelsen lavora espressamente su queste ipotesi fino alla definitiva redazione de
<< La dottrina pura del diritto >>, probabilmente il pi perfetto esempio di
come il formalismo possa fingere se stesso quale orizzonte ontologico! Ma,
ancora, tutto questo non basta. Lultimo Kelsen, quello della << Teoria generale
delle norm >>, cercher di sviluppare non pi semplicemente unipotesi di
concordanza fra sistema e realt, fra dottrina pura e determinazione reale, fra
validit ed efficacia: di contro, la potenza stessa della formazione della norma,
in quanto fatto trascendentale, sar sviluppata come possibilit di costruire il
sistema.
Ora, se noi riprendiamo questo schema di sviluppo del pensiero di Kelsen e
cerchiamo di comprenderlo come filo rosso di un processo storico di crisi e
trasformazione del diritto, le cui fasi finali oggi sperimentiamo - se dunque ci
muoviamo in questo senso ci accorgeremo che, come abbiamo detto, il
formalismo kelseniano qualcosa di molto pi largo di una pura e semplice
trascrizione giuridica del formalismo kantiano. Qui il formalismo piuttosto
vissuto dentro la realt del processo storico che conduce dalla fase di <<
sussunzione formale >> del lavoro e della societ nel capitale alla fase di <<
sussunzione reale >>. Che cosa significa questo? Significa che, in concomitanza
con questo passaggio storico e assecondando le tendenze che in esso vivono,
64

Kelsen interiorizza sempre di pi e con sempre maggiore chiarezza il problema


della produzione e della realt giuridica, della validit e dellefficacia. La
sussunzione reale , come ormai lungamente abbiamo sottolineato, quel
momento nel quale la formalit dei rapporti di produzione viventi allinterno di
una societ sottoposta allegemonia del modo di produzione capitalistica.
Nella sussunzione reale la forma si fa sostanza. La teoria pura del diritto non ha
pi quindi bisogno di una Grundnorm che faccia funzionare la sua egemonia
solo in termini parziali e a partire da un fondamento di trascendenza.
Nellultima fase del pensiero di Kelsen, ogni norma e una Grundnorm, il
rapporto fra validit ed efficacia per cos dire rovesciato, e lefficacia anticipa
la validit, ogni norma in qualche modo norma trascendentale, perch la sua
fattualit non riconducibile ad altro che alla propria esistenza. La teoria del
diritto sfiora il decisionismo. Ma dello tutto questo, resta il fatto che quel reale
comunque dinamico. Il sistema produttivo, la sua potenza formativa vengono
fatti combaciare con la realt. Efficacia e validit che si sono talmente confuse
che vivono ormai insieme la tensione produttiva del reale. Il formalismo
kelseniano unideologia della produzione.
E interessante, meglio, fondamentale questo riferimento a Kelsen.
Probabilmente se il suo rapporto non si fosse fatto talmente importante nella
storia del pensiero giuridico e politico contemporaneo, sarebbe stato
difficilissimo elaborare, in positivo o in negativo, una teoria sistemica del
potere. Quello che colpisce tuttavia soprattutto, nel pensiero di Kelsen, la
scoperta della impossibilit di evitare la produzione e, come abbiamo
sottolineato, la capacit di far seguire a questa scoperta un sistema produttivo
sempre pi determinato, sempre pi capace di rispecchiarsi nel reale. In Kelsen
dunque noi troviamo completamente sviluppata quella rottura tra forma e
sostanza del processo di valore che si pone come condizione fondamentale della
trasformazione della teoria sul terreno della << sussunzione reale >>. Ma, come
abbiamo visto, questa rottura anche uno spostamento di livelli, un
dislocamento. Dentro la realt trasformata nel processo di spiazzamento, di
dislocazione generale, dentro il linguaggio che registra questo orizzonte ed , su
questo strato della realt, riorganizzato in termini di senso e di significato, ebbene, qui Kelsen ricostruisce una nuova unit, che un circolo di validit e di
efficacia, di normativit e di decisionismo, di diritto e Stato. Il formalismo
kelseniano, dopo aver vissuto una vicenda gerarchica che lo ha spinto di grado
in grado, attraverso crisi successive, verso un nuovo livello di realt,
ricostruisce e riorganizza ora questo livello come circolo. Un circolo che fatto
muovere dalla materialit degli eventi che in esso sono registrati - potremmo
dire che la produzione ad essere la chiave di volta del movimento
nellorizzonte formalistico kelseniano.
65

Vi sono interessanti analogie che a questo proposito si possono porre: fra


queste, soprattutto importante mi sembra quella che permette di confrontare
movimento e figura del pensiero di Kelsen e di quello di Keynes. Vale a dire
che in entrambi questi autori la preoccupazione sistematica di controllare la
realt nel sistema (<< Dottrina pura del diritto >> per Kelsen, << Trattato della
moneta >> per Keynes) spinta ad una tensione massima, che configura
lastrazione del reale nella forma del sistema. Ma, pervenuti a questo punto,
spinta avanti lanalisi fino a determinare il salto della dislocazione, gli autori si
guardano attorno - scoprono allora che questo sistema dislocato corrisponde
perfettamente al reale. Loperazione di innovazione scientifica ha riconquistato
la realt, la fiducia nella forma ha restituito la storia. Abbiamo dunque un
secondo Kelsen ed un secondo Keynes (della << Teoria della norma >> e della
<< Teoria generale delloccupazione e della moneta >>) nei quali questo
rovesciamento che paradossalmente procede allinterno, investendo la tensione
sistematica, attuato fino in fondo. E la circolarit delle proposizioni e dei
soggetti sistematici garantita da un autonomo interno movimento - che
quello sollecitato dal reale. In questo secondo periodo del pensiero di Kelsen, possiamo ora smettere lanalogia con Keynes - non vi solo dunque nostalgia
della realt e quasi un senile riagganciarsi ad essa (come alcuni interpreti
malevolmente suggeriscono) - vi bens la ripresa in carico del compito di
spiegare la realt giuridica e le trasformazioni dello Stato dal punto di vista
della loro effettualit. La rottura fra forma e sostanza del processo di valore
quindi, per cos dire, superata... naturalmente tutto questo si rivela essere solo
una tendenza. Sarebbe senzaltro esagerato ritenere che il realismo giuridico - e
soprattutto un realismo giuridico tanto sviluppato da essere capace di
interpretare lorizzonte della << sussunzione >> - divenga oltre che egemone,
esclusivo nellultimo Kelsen. Al contrario certo che tutti i passaggi in questa
direzione, non riescono a togliere al sistema quel radicamento formalistico che
gli proprio. Ma quello che a noi interessa, sottolineare come qui venga
sviluppandosi quel dislocamento del terreno della considerazione scientifica,
quella catastrofe del paradigma, che, nei paragrafi successivi, vedremo
dominare lanalitica giuridica della << sussunzione >>. Per dirla in altri termini:
Kelsen riconquista, nellultima fase del suo pensiero il primato della legittimit
contro leminenza della legalit.
Perch attorno a questi due concetti che dobbiamo portare la nostra
attenzione. Legittimit categoria dellefficacia, determinazione
fondamentale del sistema, - mentre legalit validit normativa, lorizzonte
formale del medesimo. Ora la circolarit di questi due termini si presenta come
asimmetrica: nel formalismo questasimmetria vede la forma prevalere sulla
sostanza del valore. Ora Kelsen inverte i termini, - ma questa inversione non si
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fa a scapito della forma: si fa - tenendo conto delle nuove condizioni del


circuito giuridico - ricalibrando il rapporto fra forma e contenuto, fra legittimit
e legalit, che resta si asimmetrico ma riequilibrato rispetto ad un concetto di
legittimit estremamente ampio. Lanalisi del pensiero di Kelsen ci propone
dunque lamplificazione dellorizzonte formale, ci propone un vero e proprio
meccanismo di produzione reale a partire dallapprofondimento dellanalisi
della forma e da un rovesciamento dellasimmetria fondamentale del rapporto
giuridico. Un nuovo reale quello che ci consegnato.
4. Il modello contrattualistico: Rawls.
Dobbiamo andar al di l del Welfarestate: ma verso dove? E fuori dubbio che
lo Welfarestate sia in crisi: ma che cosa sostituirgli? E certo che la situazione
generale socio-economica si trasferita e trasfigurata nella dimensione della <<
sussunzione reale >>: quail saranno gli assetti politici e giuridici che ne
seguono?
E con queste questioni che si misura il neocontrattualismo anglosassone
nellultimo ventennio. Un neocontrattualismo che assume varie figure, o
puramente liberali e giusnaturalistiche (alla Nozick) oppure socialdemocratiche
e consensualistiche (alla Habermas) - oppure, infine, propriamente
neocontrattualistiche alla Rawls. Ora, a noi interessa soprattutto cogliere quel
memento attorno al quale lanalitica del diritto, unanalitica radicata nella
societ della << sussunzione >>, comincia a configurarsi. E subito vedremo
come il risultato del pensiero kelseniano sia qui assunto, come il suo
formalismo sia qui utilizzato - ma vedremo anche come, dentro il nuovo livello
di realt che assunto, vengano fatti vivere valori e posizioni ideologicamente
pregnanti, volte a distruggere, veramente ab imis, ogni permanenza del
Welfarestate.
La crisi del Welfarestate dunque considerata irreversible. Al Welfarestate va
opposta una concezione che sappia far valere unideologia individualistica nel
sistema del diritto. Questo individualismo deve coniugarsi ad un orizzonte
pluralistico ed egalitario e concorrere alla formazione di uno schema di
legittimazione del diritto e della societ economica, cos come essi sono dati
nello sviluppo capitalistico. Il contrattualismo non si propone di costruire
schemi di regolazione, si propone piuttosto di determinare le condizioni
affinch possa essere organizzata la societ nel periodo dopo lo Welfarestate. Si
badi bene: c un individualismo conservatore, legato a valori immobili,
patrimoniali e monetari,. e c un individualismo egalitario: fra questi il
contrattualismo sceglie, e sceglie decisamente, nel senso del secondo polo
dellalternativa. C poi un utilitarismo borghese e un utilitarismo che riguarda
le finalit sociali complessive: anche in questo secondo caso il contrattualismo
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pretende di scegliere il secondo dei due principi. Sicch esso ritiene di potere
costruire uno schema di equilibrio sociale orientato dal principio di eguaglianza,
sorretto da un principio di reciprocit formale, sviluppato in termini
sostanzialmente riformistici. E chiaro che mai come in questa posizione risulta
evidente la paternit filosofica del kantismo e di una certa neokantiana
fenomenologia: le figure di orientamento e di tendenza che sono definite nel
neocontrattualismo stanno infatti a mezzo fra il formalismo dellintelletto e lo
schematismo della ragione.
Con ci un certo tipo di dinamicit formale impressa al circuito: laddove
tuttavia deve essere chiaro che non v soggetto se non come imputazione
formale del circuito stesso. Caratteristica del neocontrattualismo il fatto di
distruggere ogni soggettivit indipendente, di considerarne la possibilit solo in
termini di aggregazione formale. E difficile riassumere brevemente la
complessit di mezzi che viene in proposito messa in atto per raggiungere la
descrizione di uno schema di << reflective equilibrium >> sociale-giuridico. Da
un lato giocano, nel senso di questa costruzione, gli elementi gi ricordati della
filosofia kantiana e fenomenologica - dallaltro giocano soprattutto le
sollecitazioni che derivano dalle correnti anti-utilitaristiche degli anni 30
(Lionel Robbins, Hayek ecc.), e soprattutto che pervengono agli autori del
contrattualismo da parte delle scuole scettiche e realistiche di Pareto, di Arrow
ecc. Insomma i contrattualisti cercano di identificare un terreno sul quale dei
soggetti fittizzi, eguali, equivalenti si confrontano luno con laltro,
determinando allinterno di questo confronto, e come riflessione su questo
confronto, la loro costruzione come soggetti giuridici. Vale a dire che
lindividualismo contrattualista vuole distruggere ogni referenza ontologica del
soggetto. Ma non avevamo noi stessi sostenuto che lunico livello interessante
per lanalisi era appunto quello sul quale lastrazione trionfava e il complesso
delle relazioni socio-politiche e giuridiche si offriva solamente come contesto di
equivalenze! Certo - ma questo non significa non cercare di reidentificare, una
volta riconosciuto e fissato questo livello come terreno adeguato della ricerca,
gli antagonismi soggettivi. Il problema non quello di negare la trasformazione
del reale che abbiamo dinnanzi - bens quello di cogliere in questo reale
modificato, il riproporsi dellantagonismo, il funzionamento dei meccanismi
della soggettivit. Sembra chiaro allora che la teoria neocontrattualistica, a
fronte della crisi del Welfarestate e della prassi di regolazione giuridica del
medesimo, pur riconoscendo che questa crisi definitiva, tenta semplicemente
il ricorso ad un nuovo formalismo - nello sforzo di comprendere analiticamente
il nuovo. Ma appunto questo il momento critico: quando il contrattualismo
nega la possibilit di considerare i soggetti della contrattazione riformistica se
non dal punto di vista di unidentificazione riflessiva e formale. Occorre andare
68

a fondo su questo concetto di riflessivit. Esso ha lo spessore della profondit,


ha una liquida densit. Da esso non sembra possibile uscire. Detto tutto ci
risulta evidente che questa specie di formalismo al quadrato, questo riflettersi
della forma in se stessa definisce esattamente la sostanza del problema e non ne
costituisce la soluzione. Che cos infatti lorizzonte della << sussunzione reale
>> se non appunto questo ingigantirsi ed ispessirsi dellorizzonte della forma?
Ma, laddove lo stesso Kelsen comprendeva che dentro questo processo si
definiva una nuova realt, i neocontrattualisti godono nel giocare
formalisticamente gli elementi di questo nuovo complesso. Davvero non pu
nascere determinazione in una notte siffatta - qui << tutti i gatti sono bigi >>.
Eppure questa insistenza sulla definitivit della crisi di regolazione del
Welfarestate, questa descrizione cos approfondita della societ attuale come
insieme formale di relazioni riflessive, potevano permettere di inquadrare i
nuovi elementi di conoscenza e di impostare una soluzione giuridica adeguata.
Qui invece ci troviamo di fronte alla vittoria del momento di mistificazione. La
legittimazione del potere dovrebbe nascere, in questo schema, dallo sviluppo
ordinato delle relazioni formali - ma tutto ci pura e semplice mistificazione,
e i valori formali non hanno certo la capacit di mordere criticamente la realt,
hanno al massimo la possibilit di veicolare lo stato di cose esistenti. Sicch,
anche a questo proposito, sembra che il vecchio kelsenismo sia teoria, malgrado
tutto, pi scientificamente efficace: esso infatti sembra rappresentare il
problema dentro un quadro dinamico e proporre la tematica dei coefficienti
dadesione dei soggetti ai principi della legittimit, in termini aperti ma,
malgrado tutto, pi definiti di quanto non faccia il contrattualismo.
E strano considerare il modo in cui la crisi dello Stato keynesiano si sviluppa
fra questi autori. C infatti unostinazione nel negare la presenza di soggetti
collettivi nello sviluppo della stessa crisi del Welfarestate - ostinazione davvero
incredibile! Questa mancanza di concettualizzazione nei riguardi dei soggetti
collettivi si regge fondamentalmente su due punti di vista: il primo consiste nel
negare che in qualsiasi memento si possa dare un equilibrio sostanziale al
rapporto di produzione, quando dentro questo rapporto si muovano soggettivit
collettive; il secondo punto consiste nellaffermare che non si potr mai dare
coerenza fra interessi dellindividuo e determinazioni collettive del soggetto.
Sicch la stessa esistenza del contratto fra gli individui sempre aperta alla
crisi. La razionalit della produzione e la durabilit del contratti prevedono
dunque lautorit - ma dentro questa stessa previsione escluso che ci che
deve essere garantito possa essere il garante - e la difficolt insormontabile di
costruire soggettivit collettive ci costringe dunque a ripiegare sul formalismo.
Ma corretta questa impostazione? E chi garantisce che lelemento
69

fondamentale cui riferirsi sia lindividuo? Pu mai funzionare un sistema


produttivo moderno sulla base dellindividualismo? E che significato ha parlare
oggi di contratti su base individuale? Se si parla di crisi del Welfarestate e di
entrata in una fase di << sussunzione reale >> appunto per porre il problema
di una fondazione collettiva infinitamente pi avanzata, per quanto riguarda la
struttura del diritto e dello Stato! Eccoci dunque a cogliere quello che il buco
nero delle teorie neocontrattualiste nellevoluzione della tematica della crisi del
Welfarestate. Il formalismo che esse introducono un passo indietro rispetto
allo stesso formalismo kelseniano. Lunico contributo importante di queste
correnti viene dalla forte caratterizzazione dellorizzonte della << sussunzione
>> che il presupposto dellanalisi. Questo presupposto viene poi abbassato ad
un intreccio di volont e di intenzioni individuali. Ci data cio in forma
mistificata, e solo in forma mistificata, la modificazione del quadro di
riferimento. In forma mistificata, tutto questo ci dato per una sola ragione:
negare assolutamente lesistenza del soggetto e la possibilit che rinasca
antagonismo sul livello della << sussunzione >>.
5. Luhmann: il modello strutturale e la sua critica.
Riguardando al modello analitico che costruito dalle teorie
neocontrattualiste e connfrontandolo con limpostazione sistemistica che adesso
considereremo con cura, va subito detto che il neocontrattualismo si rivela
essere una determinazione di passaggio, un fenomeno teorico transitorio
piuttosto che una sicura conclusione del processo analitico stesso. Voglio dire
che il neocontrattualismo rivela al suo interno una serie di componenti, che
sono accostate pi che sintetizzate, una serie di elementi tipici della tradizione
anglosassone ed in particolare della sua variante conservatrice (non tanto
Locke, quanto Burke per intenderci). Il neocontrattualismo, nella sua
fondamentale spinta verso lappiattimento formale delle contraddizioni, verso
un egalitarismo del tutto vuoto di pulsioni soggettive, vale in realt a descrivere
una serie di comportamenti diversi e a confondere le diversit, piuttosto che
esaltarne un meccanismo di mediazione. Per riprendere la nostra terminologia
(e quella marxiana) si potr dire che il neocontrattualismo una teoria giuridica
del passaggio dalla << sussunzione formale >> a quella << reale >> che esso
raccoglie gli elementi diversi di una tradizione composita per confonderli in un
quadro sintetico, che ha bens trovato una dimensione unitaria ma non ancora
determinato lefficacia di un unico motore. Stato e diritto vengono cos
reinterpretati dentro una fluida mlange di liberalismo, contrattualismo,
federalismo e, insomma, di tutti quegli elementi che in qualche maniera hanno
potuto caratterizzare lo sviluppo dello Stato liberale nellultimo secolo. Da
questo punto di vista, e forse in tal modo correggendo delle affermazioni fatte
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nel paragrafo precedente, si pu dire che qui permane una fondamentale


tensione alla legittimazione, che essa si esprime attraverso queste resistenze ed
insistenze tradizionali, che quindi legemonia della legalit sullorizzonte della
legittimit comunque parziale e, in maniera latente ma reale, sempre insidiata.
Non cos certo vanno le cose quando tocchiamo le teorie sistemiche. Il loro
radicalismo configura definitivamente lorizzonte del diritto nella <<
sussunzione reale >>. Lanalitica qui completamente sviluppata, lanalitica
di una cosa, di una formidabile morta potenza. Vi un barlume di estetica
trascendentale che si intravede alla base della monumentale costruzione
analitica: la definizione della contingenza delle relazioni sociali. Una
contingenza, tuttavia, che non pone il problema di una determinazione e di una
scelta ontologica che valgono a superarla; al contrario, questa contingenza
assolutizzata, ogni valore in essa circola in maniera completamente indifferente
ed equivalente, nessuna selezione pu essere ontologicamente definita, la
circolarit Completa e la tautologia, che su questa circolarit di referenze si
forma, anchessa totale. Su questa base ci si pone il problema: << eliminare la
tautologia nel sistema di autoreferenza: lobiettivo risiede nellautocatalisi nella
riduzione della sfera del caso al momento della costituzione del sistema >>. Si
vede quanto lestetica trascendentale sia mero elemento di orizzonte, quanto il
riferimento alla contingenza valga la pena ad identificare, in senso esclusivo, un
rapporto verso la fatticit analitica. Il tramite della costruzione sistematica la
comunicazione: << la comunicazione un processo necessariamente riflessivo
che si integra in se stesso come comunicazione >>, << il Consensus il telos
della comunicazione >>. Tutto ci per affermare infine che sono solo le
dimensioni del senso quelle sulle quali le determinazioni della comunicazione
includono la significanza di ogni fenomeno sociale ed escludono ogni rinvio al
di l di questo orizzonte autoreferenziale.
Lilluminismo sociologico e giuridico di Luhmann diviene a questo punto lo
strumento fondamentale per la costruzione del sistema, quando si tenga presente
che questo illuminismo la capacit di determinare connessioni formali, di
semplificare il complesso, di costruire il sistema. Illuminismo qui riduzione,
ovvero la produzione di un orizzonte semplice, semplificato, che si ponga come
condizione della logica sistemica. E incredibile come questo meccanismo
totalmente formale cresca su se stesso, si espanda, si rafforzi. E una protesi
della natura che domina la natura: << i concetti tradizionali di autoreferenza, di
riflessivit, di riflessione sono cos trasferiti dalla teoria del soggetto alla teoria
dei sistemi; essi sono trattati come strutture della realt e la conoscenza appare
allora nel sistema come un caso del processo di autoastrazione della realt >>. Il
meccanismo epistemologico che regge questo sviluppo conoscitivo interpreta
71

una funzione fondamentale, che quella della neutralizzazione degli


antagonismi, meglio, della distruzione di ogni orizzonte di valore, della
destrutturazione completa di ogni determinazione ontologica propria
delluniverso dellautodeterminazione (del mondo dellastrazione del lavoro).
Cos si chiude il processo costitutivo dellorizzonte... e chi pu pi dire di quale
orizzonte? Orizzonte della legittimit o della legalit? Quando ogni elemento
ontologico chiuso in una indifferenza che totale nei confronti di altre
possibilit, quando la dinamica dei fattori sempre manipolabile in maniera da
poter essere compatible con la stabilit del sistema, quando ogni determinazione
viene assorbita sul terreno del senso, - a questo punto la stessa indicazione di
una alterit fra validit ed efficacia, tra legalit e legittimit risulta inafferrabile.
Come dice giustamente Gozzi: da questa situazione << consegue un processo
senza struttura, unevoluzione senza soluzioni di continuit in cui il momento
dello scontro viene allontanato nellinfinita possibilit di differenziarlo
attraverso la struttura del potere (monetizzazione, giuridicizzazione,
politicizzazione, spoliticizzazione, ecc.). NelIevoluzione delle forme
sistemiche anche la decisione diventa solo una funzione del mutare contingente
delle strutture >>. Che dire dunque in questa situazione? Dove mai sar la
differenza fra quei sensi fondamentali - verso lideale, verso il reale - che
caratterizzano lesperienza? Qui dominano tautologia e fluttuazione, qui emerge
un parmenidismo essenziale. Qui lorizzonte della pura contingenza diviene una
prigione che trattiene dalla ricerca del significato.
Eccoci, dunque, al centro di unoperazione resa necessaria dal passaggio
compiuto alla << sussunzione reale >>: la distruzione dei valori. Come nella
teoria neocontrattualistica avevamo visto i soggetti sfumarsi dentro un
meccanismo formale di interrelazioni, cos ora vediamo lorizzonte del valore
dissolversi dentro la mobilit del sistema. Al di l dello schema teorico v
quindi un duplice meccanismo: il primo quello della distruzione dei valori nel
senso del riconoscimento che questi possono in ogni caso organizzare un
elemento di blocco, di opposizione e di crisi, del processo di legittimazione
dello Stato democratico-capitalistico; il secondo un meccanismo di
sostituzione dellorizzonte stesso sul quale le contingenze si scontrano. Voglio
dire che il sistemismo segue il processo di << sussunzione >>, coglie di questo
il carattere radicalmente catastrofico ed innovativo, identifica la dimensione
astratta che caratterizza questo nuovo universo, caratterizza in maniera adeguata
(contingenza versus comunicazione) questo stesso universo, - ma fa tutto questo
per eliminare ogni possibilit di opposizione, per eliminare le stesse condizioni
dellopposizione, delle determinazioni storiche. Il sistemismo costituisce al
reale un mondo che non finto nei meccanismi di astrazione che lo producono diviene finto, posticcio, fittizio, solo nella mistificazione del risultato - quando
72

cio questo mondo viene svuotato di ogni vita.


E esattamente quanto i critici rimproverano a Luhmann. Assumiamo e
seguiamo, ad esempio, le critiche di Habermas. Esse si concentrano contro le
affermazioni di Luhmann relative alla possibilit di autoadattamento
dellamministrazione rispetto alla complessit dei problemi del capitalismo
avanzato; inoltre, Habermas insiste sul deficit di razionalit che sempre
presente, e a cui certamente non si pu ovviare in termini filosofici, nel rapporto
tra amministrazione e controllo. In entrambi i casi Luhmann proporrebbe una
pianificazione globale non partecipativa, una determinazione dellintervento
amministrativo priva di controlli che non siano puramente tecnici. Ma la tecnica
non pu in ogni caso sostituirsi al consenso, soggiunge Habermas, - ed
impossibile sottrarre lo statuto logico di un progetto di pianificazione o
semplicemente di un disegno o di unorganizzazione amministrativa alla scelta
politica di un certo (o di un altro) concetto di razionalit. Questa critica di
Habermas coglie non solo del punti singoli della sistematica di Luhmann - essa
coglie lispirazione stessa di quella teoria. Vale a dire che lanalitica viene qui
svelata nella sua estrema e ultima prepotenza che quella di togliere ogni
possibilit di ricorso alla determinazione ontologica, al fatto, ai movimenti della
vita. E quella di sostituire il reale. Si badi bene: non contro la materialit,
leffettualit di questo passaggio che qui si polemizza, piuttosto contro il fatto
che la verit di questo passaggio opposta alle dinamiche completamente
umane, fisiche materiali che, sia determinano il passaggio, sia continuano a
caratterizzare il risultato. Da questo punto di vista la stessa critica di Habermas
, per quanto corretta, solo parziale: qui infatti non si tratta di attaccare le
insufficienze tecniche del discorso di Luhmann (il quale, tuttavia, illustra fino in
fondo il passaggio alla << sussunzione reale >>), qui si tratta di andare a fondo
sulla qualificazione di questo universo nuovo dentro il quale viviamo e di
riqualificare le categorie sociali e la loro critica a questo livello.
Ora, la posizione, critica e/o costruttiva, che le scuole tedesche (Habermas,
Apel, Tugendhat, ecc.) assumono, sufficiente a rispondere agli interrogativi
proposti dal sistemismo? A me non sembra. Infatti la linea alternativa al
sistemismo, (sulla base della medesima fenomenologia che il sistemismo
assume) identificata in una nuova definizione di trascendentalismo. Vale a
dire che il rapporto tra sfera del senso e mondo dei significati sociali viene
identificata in genere qui su un terreno medio di espressione del valore. Il
mondo della comunicazione e quello delle contingenze empiriche sarebbero
attraversati da un asse, a sostanza etica, che pu ridurre in maniera non tecnica,
in forme non meccaniche, la complessit reale. Le differenze fra codici
linguistici, fra determinazioni pratiche che discendono dai temi linguistici, fra le
73

varie sequenze temporali entro le quali le determinazioni della comunicazione


vengono svolgendosi, - tutto questo deve essere risolto attraverso unoperazione
pragmatico-trascendentale che, per i filosofi tedeschi che si scontrano con il
sistemismo, consiste nel principio del consenso. Laddove il sistemismo tiene, e
forma, anche sul livello del massimo di astrazione, il principio tradizionale
dellobbligazione, vi questi nostri amici tedeschi (che ormai possiamo
cominciare a chiamare filosofi critici) introducono il tema del consenso come
tessuto sul quale costruire assi di legittimit. Quanto poco questo processo ci
entusiasma, sar gi apparso chiaro dal tipo di esposizione che ne abbiamo
fatto. Certo, onesto il tentativo di opporsi a quella fondamentale e rigorosa
distruzione della prassi che caratterizza il sistemismo; certo, molto importante
questo riagganciare il tema delletico e riproporlo come chiave di comprensione
logico-teorica; certo essenziale porre il problema di un attraversamento
ontologico (sia pure, appunto, etico) sullorizzonte della << sussunzione reale
>>. Ed a tutti questi problemi infatti che dovremo rispondere. Ma non v
speranza di soluzione laddove ci si tenga, come fanno filosofi citati,
allorizzonte del trascendentale, alla dimensione della mediazione.
Ma su di questo gi detto moltissimo e a pi riprese, inoltre saremo pi
innanzi ancora costretti a tornare su questo vizio occulto della filosofia (e della
filosofia critica in particolare) che si chiama analitica. Qui per concludere
cerchiamo piuttosto di dare, e questa volta senza rivolgersi agli amici tedeschi,
una valutazione complessiva e definitiva del sistemismo. Che dire dunque? Che
dire se non che esso rappresenta unambiguit enorme? Esso ambiguo infatti
perch comprende e offre insieme due dimensioni, una prima - corretta - di
analisi, ed una seconda di mistificazione. Il sistemismo definisce correttamente
la dislocazione, il salto epocale, che lorganizzazione del sistema dei valori
costruisce nel nostro tempo a fronte delle necessit dello sviluppo capitalistico
maturo. Il sistemismo descrive questo universo in maniera ricca e per alcuni
versi compiuta. A lato di questo esso mistifica il processo: ce lo d come
disperato orizzonte dal quale non e possibile evadere, sul quale si e obbligati ad
autoriferirsi a se stessi. Ma a quale se stessi? Perch infatti qui, non solo non si
danno soggettivit, qui non si danno pi neppure valori - qui si possono dare
solamente forme di controllo su un contesto di indifferenza totale. Il sistemismo
dunque una via per la mistificazione: il fatto che la mistificazione risulti
efficace risulta dal fatto che la fenomenologia sulla quale il sistemismo lavora,
esatta.
6. Lantagonismo nella teoria della legittimazione.
Tentando di riassumere e di definire lo stato della dottrina del diritto nella
fase attuale dobbiamo notare con quanta forza il passaggio ad unaltissima
74

integrazione sociale abbia influito sulla forma della scienza. In ci consiste la


faccia positiva delle discussioni che, sulla natura della scienza e sul suo
sviluppo, oggi sono aperte. Ma daltra parte questa pressione della farina
dellinterazione sociale sulla farina della scienza si prodotta in termini
meccanici. Il pensiero borghese si presenta, quindi, nella sua versione forte,
come sistemismo, nella sua versione debole, come funzionalismo e
contrapposizione. Ma non sono queste definizioni, dentro il rapporto lineare che
la lega allintegrazione sociale, piuttosto fossili risultati che prodotti viventi del
rapporto fra scienza e societ?
E caratteristico il modo nel quale le tendenze a trasferire il rapporto
sociologico (e la sua sempre pi stringente moderna qualificazione) versa il
terreno della scienza, come lapporto di Max Weber alla sociologia della
conoscenza e della scienza, siano stati qui corrotti. In Max Weber la scivolare
del significato, del valore, dal piano della realt a quella della rappresentazione,
costituiva un rapporto contraddittorio: non dialettico, ma contraddittorio. La
contraddizione non si chiudeva in nessun caso ed il trasferimento delle
tematiche castituiva [costituiva?], per cos dire, un piano di intersezione,
mobile, orientato in infiniti sensi, - sicch ogni passaggio versa lastratto
determinava conflitto, fissava ai valori direzioni politeiste, offriva alla scelta
una dimensione tanto trasversale quanto multilaterale. Ma ora, che cosa
avviene? Guardiamo a questi weberiani accademici: in loro ogni drammaticit
inerente allo scontra dei valori caduta - la loro unica preoccupazione che i
criteri di legittimazione possano scontrarsi - o non formarsi compiutamente ed
egemonicamente sul lato del potere esistente. E per loro la democrazia sempre
un eccesso che va corretto (come un indimenticabile saggio della Trilaterale ha
raccontato per il nostro secolo). Cos in Raymond Aron la burocrazia diviene,
molto poco weberianamente, non un prodotta di un processo di legittimazione
fondato comunque su scelte ed antagonismi di valore, ma la base di ogni
moderna democratica fondazione della legittimit. Cos per Michel Crozier i
processi di burocratizzazione diventano talmente centrali nella considerazione
che, non prima o attorno o comunque fuori di essi, ma solo dentro di essi,
processi di valore e di legittimazione possono definirsi. In questo modo il
sistemismo tedesco ed anglosassone viene tradotto in francese, con il vantaggio
di essere rivestito di politica, di esperienza amministrativa e di buon senso
burocratico. La figura astratta, provocatoria, radicale del sistemismo tedesco e
anglosassone tolta. Il sistemismo viene ovattato - perde in realt anche le sue
caratteristiche fenomenologiche e descrittive, positive per quanto riguarda la
nostra conoscenza dei fenomeni e delle trasformazioni della contemporaneit;
ed in tal modo si riduce a pura e semplice fossile escrescenza di un processo
concluso. Lantagonismo che alla base del passaggio verso la << sussunzione
75

reale >> cos cancellato in maniera, non pi radicale, provocatoria, offensiva


per la ragione - forse proprio per questa prepotenza, utile - bens ne imposta
una negazione fluida e surretizia. Nel nostro tempo vediamo questa fossile
mistificazione dei processi di legittimazione nella << sussunzione reale >>
divenire assolutamente egemonica E quando si piange sulla spoliticizzazione o
sullindifferenza dei singoli e delle masse, a ci che occorre far risalire il
pensiero: a questa fissazione, ormai indiscutibile, del tema della legittimazione.
Di contro, tessuti vari e campi diversi di esperienza. Vi una nuova <<
Entzauberung >> che si sta mettendo in atto. Questa meraviglia, questo stupore
filosofico che deve portare allo smagamento non pu oggi esercitarsi che su
questa dimensione formidabile del nostro esistere in quanto esseri sociali. La <<
sussunzione reale >> e le forme di legittimazione, fossili e spente, che di essa
organizzano la struttura politica e quella giuridica si scontrano a tal punto con il
sentimento comune, ed a tal punto rivelano la contingenza di ogni soggetto
implicato in questo meccanismo, che il dubbio e la volont di rispondere non
possono che farsi radicali. Abbiamo gi visto nella prima parte di questa nostra
ricerca come appunto sia a fronte della << sussunzione reale >> e di quel <<
postmoderno >> che in parte letterariamente li incarna, che la coscienza della
contingenza e lestremo radicalismo delle sue scelte vengono emergendo. Qui
non ci interessa tornare a quella profondit: qui ci interessa piuttosto restare in
superficie, - eppure considerare come da questa superficie si diramino delle
possibilit di domanda metafisica, e gi, prima, delle domande che investono,
attraverso il tema della legittimazione, la ragione dellesistenza sociale. Quando
luomo completamente sussunto nella forma della societ, la dignit della
filosofia si fonda intera sulla sua adesione al sociale. Venendo al concreto:
lesperienza, quella stessa esperienza che si scontra con la rigidit delle
mistificazioni del << postmoderno >>, determina uninsofferenza, una tensione
di rottura, riapre in ogni caso del fronti di antagonismo che vengono vissuti
drammaticamente dal soggetto. Certo, i processi di << sussunzione >> non
lasciano spazi di agibilit per il soggetto, al di l di quella superficie totale sulla
quale egli schiacciato; certo, la domanda sullessere domanda sullessere
sociale quale questo viene rappresentandosi in questa nostra esistenza sussunta.
Ma appunto questo apparire della soggettivit sulla, e come, superficie del
mondo che ripropone un pluralismo a fortissima densit ontologica - ma
pluralismo qui, non pu che significare, sul largo orizzonte della <<
sussunzione >>, il costituirsi di chiaroscuro, il definirsi sempre meno
evanescente dei nuclei di soggettivit, insomma leventualit, meglio la
possibilit, di antagonismo. Io non so come questa esperienza possa essere
compiutamente descritta: qui luogo, in questo nostro triste tempo, alla
letteratura ed alla poesia pi che alla filosofia. Ma certo che quando, ad
76

esempio, la genesi di questi antagonismi sul terreno sociale viene impattata da


meccanismi di legittimazione rigidi e repressivi, certo che allora lo scontro fra
libert e necessit, tra vita e morte, tra dinamica e forza fossile di questo mondo
dominato, diviene un elemento di definizione ontologica della societ. La
soggettivit come superficie del mondo un paradosso - ma questo terreno
paradossale attraversato da tensioni inesauribili che definiscono ogni
orizzonte di vita come terreno di scontro, di genesi e/o di equilibrio di valori.
Nella teoria della legittimazione ci troviamo quindi di fronte, da quello che
siamo venuti dicendo, allopposizione di due grandi prospettive teoriche. Da un
lato vi lo schema della legittimazione cos come proposto dalle forze che
hanno dominato il processo della << sussunzione >>: qui, fra
neocontrattualismo, funzionalismo e sistemismo, la macchina del potere tenta di
costruire lintera panoplia dei beni e dei soggetti giuridici. Che il diritto sia una
macchina per la produzione di qualificazioni per lazione umana, sociale,
noto: meno noto il fatto che qui non si parla di valori da organizzare o di
soggetti da qualificare, si parla bens di valori e/o soggetti da costruire o da
distruggere. Nella socialit della << sussunzione >> la produzione di
soggettivit da parte dello Stato si vuole totale. Totale significa, in questa
accezione, esclusivo di ogni altra autonoma insistenza di valori o soggetti e di
ogni altro meccanismo di produzione di valori e di soggetti. Legemonia della
produzione di valori e soggetti da parte dello Stato, o del potere, organizzata
nel processo di legittimazione - e questo processo lineare, ha la violenza di un
normale fenomeno naturale, guidato da leggi di semplificazione tanto efficaci
quanto lo sono le leggi naturali. Ma si sa bene che lastrazione delle leggi
naturali corrisponde solo eccezionalmente alla concretezza del reale. Ed per
questo che le teorie della legittimazione, funzionali, neocontrattuali,
sistematiche, sono costrette a muoversi in un mondo di evanescenti figure o di
irraggiungibili fantasmi. In questa teoria della legittimazione, lastratto
astratto. Non cos nella realt della << sussunzione reale >>: dove lastrazione
divenuta vita. Se non si capisce questo si resta prigionieri della forma
mistificata dellastrazione, sulla quale si basa il modello del dominio. Luomo
divenuto diverso, si arricchito di unenormit di forze intellettuali e morali. Il
suo cervello divenuto mille volte pi astratto, le sue mani non servono pi ma
le macchine sono sempre le sue mani. E questo rapporto, che deve essere
rapporto di dominio delluomo su questa natura trasformata e meccanizzata, che
costituisce la vita nella << sussunzione reale >>. La si potr amare o no, ma la
vita. Ma vita. Ed talmente diversa, e mette in movimento un insieme di forze
talmente opposte a quello che il dominio e la nuova astrazione dellanalitica, bene, questo il terreno sul quale lanalisi va riportata. Se i meccanismi di
legittimazione e i processi complessi che conosciamo attraverso le teorie del
77

diritto, vogliono fissare nellastrazione dei meccanismi di produzione di


soggettivit, noi daltra parte siamo dentro un tessuto vitale che, per parte sua,
continua a produrre soggettivit.
Vale la pena di porsi il problema di una rifondazione della teoria del diritto?
Per chi abbia fatto lesperienza di quanto le teorie del diritto e dello Stato siano
sempre state il prodotto di una volont di dominio e come, addirittura, essendo
la centralit e limportanza di queste teorie eccezionale, le stesse figure
disciplinari della logica, delletica, del sapere in generale, siano subordinate alle
ingerenze di dominio delle teorie politico-giuridiche - per chi dunque abbia
fatto questa esperienza la risposta facilmente negativa. Noi continuiamo a
costruirci la gabbia dentro a quale ci imprigioniamo. Ma questo forse giusto,
certo mistico rifiuto, se vale a toglierci la volont di rifondare teorie del diritto,
certo non vale ad imporci [imporsi?]di capire che cosa avvenga sul terreno
sociale della produzione e della regolazione di valori e di soggetti. Ora, fuori
dubbio che qui lantagonismo non solo non pu essere negato ma costituisce
addirittura lesclusiva chiave di ogni considerazione teorica. E non solo: qui
lantagonismo e le sue ragioni e il suo modo di essere provano la lore
esclusivit sul terreno della << sussunzione >>. La concezione dellanalitica,
secondo la quale il modello teorico antagonistico (un antagonismo fondato su
espressioni ontologiche) scoperto nellestetica trascendentale, deve essere
riplasmato per potersi collocare nellanalitica e per poter quindi essere
trasferito, gi in forma modificata, verso la dialettica trascendentale - bene,
questa pretesa insostenibile qualora ci si tenga a quella prova di irriducibilit
che continuamente la moderna << Entzauberung >> produce.
Lantagonismo il processo di sviluppo della << sussunzione >>, la <<
sussunzione >> in atto. Lantagonismo quindi lesperienza dentro la quale
viviamo la crisi ed il suo superamento. Lantagonismo daltra parte la bestia
nera, lelemento assolutamente inaccettabile dalla parte dellavversario. Ogni
meccanismo di legittimazione dovrebbe concludere alleliminazione
dellantagonismo. Ora, proprio tenendo presente queste assunzioni,
largamente dimostrate nelle pagine precedenti, che lo statuto logico
dellantagonismo emerge in maniera ineliminabile. Oggi il nostro problema
quello di ritrovarlo, di riqualificarlo positivamente nellambito della <<
sussunzione reale >>. Il problema non sar quindi certo quello di rifondare
teorie del diritto e dello Stato, - solo quello di identificare lantagonismo come
chiave del processo di integrazione sociale, di amministrativizzazione della <<
sussunzione >>, insomma come nuova natura del processo scientifico.
Probabilmente, proprio perch lantagonismo questa nuova natura del
rapporto scientifico, probabilmente per questo che la scienza del diritto avr
78

finalmente mostrato il suo limite costituzionale, ovvero quel limite al di l del


quale non vi riproduzione. Di questa crisi non potremmo che essere contenti.
Ma ci che interessa, cogliere la nuova natura della rappresentazione
scientifica dellantagonismo. Lanalitica sola il diritto, e le teorie dello Stato, in
un ambito disciplinare specifico per noi tutto questo non ha senso. La <<
sussunzione >> ha prodotto lunificazione dei terreni disciplinari, ha reso
concreta luniversalit del sapere. Ora, su questo terreno, la scienza del diritto e
dello Stato possono solo essere subordinate a quella scienza sociale trasfigurata
di cui la << sussunzione >> permette ed esige la vita. Lantagonismo quindi
rivelazione di una crisi ed, insieme, costruzione di un nuovo terreno. Nuovo
terreno? Solo impropriamente possiamo dirlo, perch in realt non si tratta di
accedere ad un nuovo campo di indagine, qualificato in termini originari: si
tratta bens di ritornare a quella dimensione fenomenologica, a quella estetica
trascendentale da cui siamo partiti. La conoscenza della << sussunzione reale
>> si determina nellimmediatezza dellesperienza. Questa pratica viene prima
di qualsiasi nuova idea della scienza e della natura. Essa deve comunque
distruggere ogni tentativo di mistificare attraverso la mediazione teorica il
tessuto vivo dellesperienza. Questo tessuto caratterizzato in maniera
esclusiva dallimmediatezza dellantagonismo.
7. Per una nuova determinazione del problema.
Da quanto siamo venuti dicendo in questa parte del nostro lavoro risulta
chiaro che unepistemologia della legittimit non potr ormai porsi se non su un
terreno sul quale le vecchie antinomie giuridiche risultano ineffettuali. Ci
troviamo davanti una possibilit molto interessante: quella di muoversi
dallinterno di un orizzonte, meglio, di una macchina, che caratterizza lintero
contesto della nostra esperienza. Sia dal punto di vista soggettivo che oggettivo,
sia dal punto di vista individuale che da quello collettivo. La << sussunzione
reale >> ed il suo mondo si manifestano come seconda natura. Ne hanno lo
stesso spessore. Hanno della prima natura il colore e la forza, ma di quella
hanno maggiore intelligenza e pi consistente capacit di produzione. Ci
dobbiamo dunque dichiarare, dentro questa natura rinnovata, dentro questa
storia consolidata, a partire dalla capacit di far funzionare almeno parzialmente
questa macchina nella quale siamo inseriti, - ci troviamo dunque a potersi
[poterci ?] dire giusnaturalisti. Non un paradosso: semplicemente il
sentimento pi forte che la protesi divenuta pi umana dellumano e che
natura e storia sono indistinguibili: sicch la salvazione delluna o dellaltra e la
riproduzione di entrambe si costituiscono in un solo atto.
Ma il nostro problema evidentemente, su questo limite di analisi critica
dellanalitica trascendentale, soprattutto quello di fissare il quadro
79

epistemologico della legittimit giuridica. Ora, piuttosto che totalmente, noi


possiamo qui solo definire alcune condizioni che rendono un approccio
costruttivo, a questo problema, possibile. I tre punti sui quali ci fermeremo qui
di seguito sono: la critica del funzionalismo, la critica dellintuizionismo, la
critica dellautoreferenzialit del processo.
Per quanto riguarda il funzionalismo - ma potremmo [potremo ?] anche dire
di tutta quella serie di ipotesi che stanno fra formalismo e sistemismo possiamo dunque concludere lanalisi gi cos largamente sviluppata insistendo
sul fatto che questa serie di teorie finisce per non spiegare nulla, nella misura in
cui, anzich teorie, esse rappresentano dei materiali della costruzione del
mondo sussunto. Certo, dentro questa coerenza del quadro, il funzionalismo
produce, per quanto riguarda lambiente della nostra esistenza e riproduzione,
una serie di spunti di valore. Vale a dire che la produzione collettiva di momenti
innovativi ed in generale il passaggio ad una nuova epoca (che quella della <<
sussunzione reale >> trova nel funzionalismo una specie di codice di
regolazione, meglio una stabilizzazione, unimmediatezza, una coerenza che di
quei valori innovati fanno un paesaggio. Una seconda natura, appunto. Detto
questo tuttavia non si aggiunto molto allanalisi, poich infatti risulta sempre
pi evidente che su questa base possono a pari titolo trovarsi cose tanto diverse
quanto un movimento di liberazione o operazioni di mistificazione. Non il
funzionalismo che pu distinguere le une dalle altre - anzi, esso ci consegna
entrambe le possibilit come equivalent,, o perch - su un lato - di tutte il
funzionalismo ci propone un minimo comune denominatore formale, o perch su un altro estremo - il sistemismo ci mostra la connessione e la possibilit di
ribaltamento dellun termine e dellaltro. Il funzionamento gioca sempre fra la
statica formale e la dinamica sistemica. Il funzionalismo ci mostra un mondo
nuovo, ma esso , in questo mondo nuovo, dominato da un passivo
sbalordimento.
Daltro lato, questa serie di valori, che si sono consolidati sul nostro
orizzonte, noi possiamo intuirli. Il giusnaturalismo sempre, per qualche verso,
un intuizionismo. Infatti esso prevede limmediatezza dei valore, il loro solido
consistere e il loro materiale offrirsi. Il valore , nellintuizionismo, qualcosa di
percepibile immediatamente - e anche quando questo nuovo giusnaturalismo si
presenti nella forma della << sussunzione reale >> e/o del postmoderno, bene,
allora i valori, conterranno una tensione a distendersi entro la circolazione
generale - dentro la comunicazione che costituisce lorizzonte: non per questo
essi saranno meno mediabili e la loro scambiabilit, non per questo, rinnegher
la consistenza assiologica. Ci detto, tuttavia, non ci resta che trarre, anche in
questo caso, delle conseguenze critiche. In ogni intuizionismo infatti, ed anche
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in questo che pure cos sofisticato, vi sempre un momento fondamentalista vale a dire un momento nel quale il valore si sottrae alla circolazione - ma
questo contro lipotesi del passaggio alla << sussunzione >> sia formale che
reale. Lintuizionismo la filosofia delle anime belle - purtroppo, a questo
livello di sviluppo, c poco spazio per queste filosofie. Logicamente
lintuizione propone, sia pure in forma introduttiva, una teoria della
legittimazione come incontro di volont, di soggetti e di valori, opposti ma
convergenti. Da questo punto di vista ogni intuizionismo si sviluppa verso il
contrattualismo - e viceversa. Ma come abbiamo visto criticando il
contrattualismo, possiamo ora, sul piano dellepistemologia, ripetere quelle
critiche - cio insistere sul fatto che in tal modo si finisce solo per alludere ad
una specie di ventre molle della scienza, ad una confusa materialit che tutto
dovrebbe mediare, ad una in fondo equivoca mediet scientifica. Che tutto
questo sia un aspetto, un carattere, fissato ormai, del mondo della <<
sussunzione >>, evidente. Ma proprio per questo ogni intuizionismo
insufficiente a determinare un atteggiamento critico complessivo.
Lautoreferenzialit del modello un terzo momento da sottoporre a critica.
Di nuovo ci troviamo di fronte ad una caratteristica che fondamentale nel
sistemismo, ma che lo anche nellintuizionismo. Si potrebbe dire che, mentre
nel sistemismo lautoreferenzialit costruita dallalto, in maniera estensiva, e
quindi raccoglie orizzontalmente valori e soggetti in un circuito appunto di
referenze esaustive - nellintuizionismo lautoreferenzialit costruita dal
basso, a partire dal fondamento intuito, e raccoglie cos, in un disegno continuo,
su assi verticali, le referenze di valore. Ora, in entrambi casi noi ci troviamo di
fronte ad uno schema che corrisponde al prodotto del movimento verso la <<
sussunzione >> - ma nellautoreferenzialit questo movimento perduto,
limmagine autoreferenziale del prodotto non contiene n il ricordo n la
nostalgia del movimento. Lautoreferenzialit per qualche verso sempre
ipostatica. Essa daltra parte contraddittoria con lo statuto ontologico degli
elementi che ne costituiscono la definitiva figura, perch questi elementi di
contingenza comportano, nel loro dinamismo, alternative radicali - che nella
conclusione del processo sono invece bloccate e fissate. In pi: vi , in questo
concetto di autoreferenzialit, qualche cosa che colpisce negativamente perch
il processo sembra obbligato a svilupparsi in maniera lineare, a possedere un
meccanismo costrittivo - insomma, lautoreferenzialit esprime un risultato che
era gi tutto implicito nella sua origine, non ha quindi movimento. Come gi si
detto, lautoreferenzialit parmenidea. Di contro la critica della scienza e la
comprensione delle sue interne dinamiche - la critica della scienza dunque ci
mostra quanto sia reale un processo opposto a quello fissato nel modello di
autoreferenzialit. Lo sviluppo scientifico uno sviluppo per salti, attraverso
81

modificazioni radicati di paradigmi, ed innovazioni qualitative. La regola che


domina lo sviluppo scientifico la medesima che regola i processi di fondo,
naturali o storici - nella loro realt: e quindi le regole della trasformazione
innovativa dei movimenti e della loro sempre nuova dinamica di aperture
multilaterali. Non voglio qui giocare al piccolo Engels, n voglio troppo
stringere una dialettica della natura e la dialettica della scienza - ch, ci
facendo, si introdurrebbe una connessione lineare del tutto ingiustificabile fra
questi due orizzonti. Ci su cui voglio insistere il fatto che tutti i possibili
orizzonti si collegano dentro una grande quantit di possibilit multilaterali di
trasformazione.
Le contingenze sono contingenze vere e proprie non v nessun nesso,
neppure logico, che possa ad esse essere precostituito. Qui verifichiamo fino in
fondo la potenza di quellipotesi sullanalitico a posteriori sulla quale, nella
prima parte di questo lavoro, abbiamo tanto insistito - e non senza grande
emozione che il pensiero si volge verso quelle teorie logiche delle << notiones
communes >> che tanta importanza ha avuto nel momento di nascita della
scienza moderna.
Assunti questi elementi, ed escluso dunque che il problema epistemologico
della legittimit possa essere posto a partire dal funzionalismo,
dallintuizionismo e dallautoreferenzialit, - ammesso, tuttavia, che in tutte e
tre queste impostazioni rivelato qualche aspetto essenziale della
trasformazione degli universi culturali che abbiamo vissuto - assunto dunque
tutto ci, e con ci la critica di ogni analitica trascendentale che voglia porsi
come scienza - eccoci dunque a riproporre il tema della legittimazione. E
chiaro che qui non possiamo che riprendere le conclusioni della prima parte del
nostro lavoro. Abbiamo fatto un dtour, piuttosto lungo e comunque tanto
approfondito quanto ne nasceva la necessit in relazione alla natura stessa delle
cose analizzate. Ma fuori dubbio che qui siamo arrivati alla stessa conclusione
a cui era arrivato il nostro progetto di una possibile estetica trascendentale.
Voglio dire che questo mondo dellimmediatezza, di una immediatezza talmente
astratta e sviluppata, non pu trovare senso logico e soluzione teorica se non sul
terreno della pratica. Di nuovo siamo pervenuti a quel limite di crisi che lo
sviluppo dellesistente nella << sussunzione reale >>, di nuovo siamo arrivati a
definire quel mondo nel quale astrattamente siamo collocati e quellindifferenza
nella quale soffochiamo. La logica, lanalitica sono chiave di volta di questa
realt: una chiave di volta in senso proprio, perch sono infilate nelledificio e
da esso sono indisgiungibili. Una via duscita da questa situazione non pu
darsi che sviluppando una pratica emancipativa, alternativa, una proposta di
liberazione. Qui, di nuovo, lontologia si libera della logica e chiede uno sbocco
82

etico. Non uno sbocco quanto una rifondazione. Il problema della


legittimazione non distinguibile da questa operazione di dislocazione
ontologica. Fin qui abbiamo seguito il processo nella sua figura mistificata: ora
dobbiamo vedere finalmente che cosa possa essere, di l da questa
mistificazione analitica, un nesso diretto e costruttivo fra trascendentale e
schematismo (o dialettica ?) della ragione. Ma una ragione piantata nella
pratica, questa che seguiremo una ragione etica.

83

Capitolo Terzo
<< Compact >>, per una dialettica trascendentale del potere.
1. Critica del concetto di potere.
Siamo dunque in grado di affrontare il problema dialettico, ovvero di
procedere sul terreno dellillusione vera. In questa parte, dopo che nella prima
abbiamo cercato di identificare quella rete etica e quel punto di vista pratico che
soli possono permettere lo sviluppo della teoria e, ad essa, di non perdere il
rapporto con limmediatezza reale, - dopo che nella seconda parte abbiamo
visto come la soggettivit, i suoi nomi, sensi, orizzonti, possono essere prodotti
dal potere, direttamente, ma in forma non meno antagonista - in questa parte,
dunque cercheremo di articolare limmediatezza del fondamento sia riguardo
alla fenomenologia dei soggetti che con riferimento alle finalit del movimento.
Procedere su questo terreno, significa produrre un concetto di potere. Questo
non ci aiuta certo a chiarire le cose - anche se ritenessimo infatti il concetto di
potere subordinato ad una gerarchia di valori, che in qualche modo lo
predeterminano o lo collocano in assetti complessi, saremo preda di vecchie
ambiguit concettuali. Recentemente, del concetto di potere si molto discusso.
Proprio queste immediate connessioni assiologiche sono state al centro della
critica. Per approfondire la critica, sar quindi necessario non solo rompere
quelle connessioni ma affrontarle dal punto di vista della genealogia storica e
teorica. Ora, su questo terreno, si avverte che le ambiguit del concetto di
potere erano il frutto di una non conclusa sua secolarizzazione. Cos, fissare la
centralit del concetto di potere, significa inseguirne le determinazioni storiche,
vedere come esse siano venute svolgendosi, e contemporaneamente sviluppare
la critica. Ora, la mia ipotesi che il concetto di potere sia mistificato ogni
qualvolta esso sganciato dalla concezione del soggetto. Ogni qualvolta ci
avviene, ed in particolare ogni qualvolta esso ci viene presentato o come
immediatezza oggettiva o come pura rete di rapporti strutturali, bene, questi tipi
ideali estremi di concettualizzazione del potere rappresentano pure e semplici
mistificazioni. A questo proposito non troviamo nulla di diverso da quanto
abbiamo gi visto analizzando il concetto di legittimit - quando cio abbiamo
visto scontrarsi una concezione realistica ed una concezione
formalistica/funzionalistica. Mutatis mutandis, ci troviamo nella medesima
situazione ed abbiamo a che fare con le medesime mistificazioni. Per uscirne
necessario allora procedere nel senso gi precedentemente identificato - cercare
cio un momento di sintesi per eliminare lisolamento degli elementi
conoscitivi, lastratto che e resta astratto - un momento analitico a posteriori,
una volont conoscitiva, soggettivamente determinata, dotata di potenza
creativa. Questo fondamento a posteriori del potere, nella sua immediatezza,
84

dunque comunque soggettivamente definito, - anche se certamente non si


conclude nella soggettivit. La storia del concetto di potere ci mostra come
questo venga man mano soggettivandosi, ma nello stesso tempo proponendo
una concezione complessa del soggetto: se vi un processo di secolarizzazione,
esso non va certamente inteso come compimento dellantropomorfismo nella
concezione del potere, ma come sempre pi complessa articolazione soggettiva
del suo concetto.
Prendiamo un solo esempio: il rapporto fra concetto di potere e concetto di
pace. Che la pace possa essere uno dei contenuti del potere relazione nota.
Che, con maggiore intensit, la pace debba rappresentare il concetto di potere,
come tale, in maniera esclusiva, una concezione che si affermata quando le
origini teologiche del concetto di potere sono state gettate via e la figura
pessimistica del giusnaturalismo divenuta egemone. Ma il rapporto tra pace e
potere ha presto superato queste determinazioni, per cos dire, trascendentali perch esse, implicitamente ma non meno necessariamente, facevano di pace e
potere forme tautologiche, indifferenti, morte. Di conseguenza presto il
rapporto si fatto soggettivo: e se qui si sono ripetute le alternative che nei
periodi precedenti la razionalizzazione del problema era possibile cogliere,
linterrogativo cio attorno alla funzione etica della pace e della soluzione del
conflitto - pure, qui, lo sviluppo e la determinazione dei concetti sono stati
caricati di una dimensione operativa, positiva, di una determinazione materiale
sopra una genealogia soggettiva e creativa. Il potere diviene cos sempre di pi
qualche cosa che cresce con un soggetto sociale, che quindi ha una sua specifica
articolazione interna, un sistema di valori che capace di esprimere - insomma
il potere la stessa potenza di esistere di un soggetto collettivo. Non c
possibilit di definire il concetto di potere se non in termini sociali, dove cio la
relazione e i valori non sono esterni ma interni al soggetto, non trascendentali
ma prodotti direttamente dal soggetto. La differenza tra potere e forza, tra
potere e violenza consiste nella razionalizzazione che della forza e della
violenza vien [sic] fatta dal soggetto collettivo - forza, violenza, in questo caso,
possono anche chiamarci [chiamarsi ?] pace - infatti del tutto chiaro che la
pace deve essere conquistata, difesa e organizzata, ecc. ecc.
Entriamo dunque, in questo modo, su quel terreno sul quale la capacit di
esistere costituisce un tessuto complesso. In questa prospettiva il potere diviene
un luogo originario che va determinato. Potere quindi, genealogicamente, in
primo luogo, lavoro. Il lavoro infatti , stando alla definizione dei classici,
quella attivit trasformativa che viene esercitata al fine 1. del dominio della
natura e 2. della riproduzione della specie. Ma il potere tenta continuamente di
introdurre, al di l di queste determinazioni, una nuova struttura: quella 3. del
85

dominio delluomo sulluomo. E di specificarla. Esso ha ragione di muoversi in


questo modo, perch cos, sia pure in form a mistificata, soggettivizza il
concetto di potere. E esattamente lo sviluppo di questa soggettivizzazione
mistificata che distrugge infatti quella terza determinazione: meglio, toglie ogni
pretesa di razionalit alla definizione del dominio delluomo sulluomo e
riconduce le determinazioni del potere ad un luogo critico, aperto allattivit e
alle qualificazioni sociali. Il lavoro dunque, e le sue modalit trasformative,
linsieme della forza lavoro, costituiscono la base del concetto di potere. E se
quella legge infame che vuole che le ragioni del dominio corrano assieme, anzi
si identifichino con quelle dellorganizzazione del lavoro, va distrutta, - si pu
qui subito aggiungere che ci pu darsi solo se essa sia colta ed estremizzata e,
per cos dire, spinta verso a sua estinzione materiale, dopo che la sua
insensatezza logica sia stata provata.
Tutto questo in maniera generalissima. Qui di seguito cercheremo ora di
vedere come il concetto di potere si articoli e si autodefinisca, interpretando
quella soggettivit specifica che il prodotto dei meccanismi di sfruttamento
del lavoro nella fase della << sussunzione reale >>. Cercheremo cio di vedere
come, in questa dimensione, il soggetto lavorativo si autorganizzi, quale
rapporto esso stabilisca con altri soggetti sulla scena sociale, come i suoi
bisogni e desideri vengano trasformandosi e infine come la sua egemonia possa
organizzarsi. E su questa specificit che si raccoglieranno fili dellanalisi
complessiva.
Su questa specificit. Significa che la prossimit di soggetti diversi
costituisce un elemento centrale della percezione fenomenologica del sociale e
del politico. Pu darsi che questi soggetti collettivi siano confusi in formule
generali di accordo, di consenso, di processo costituzionale, - pu appunto
darsi: ma per quanto? Se c una cosa che il processo di secolarizzazione e di
soggettivazione complessa del potere ha mostrato, attraverso un irresistibile
seguirsi di crisi e convulsioni, il fatto che sulla scena costituzionale si presenta
una irriducibile pluralit di soggetti collettivi. Il rapporto fra questi non ha
nessuna caratteristica formale: esso si esprime, e si risolve (se si risolve), solo
su una lunga prospettiva di rapporti di forza. Il potere certo sempre funzione
ed organizzazione costituzionali, certo schema trascendentale di una serie di
pulsioni e tendenze che vogliono trovare coordinazione logica fra di loro - ma il
fatto di essere tutto questo non toglie, anzi sollecita il fatto che il processo si
sviluppi dentro ed attraverso le singole separate soggettivit. Il potere sempre
funzione costituzionale, ma e costitutivo non di un rapporto generale ma di un
rapporto particolare, di unarticolazione specifica, allinterno delle singole
grandi soggettivit. Potere costituzione, costituzione specificit. Al di l di
86

queste generalit si tratter allora di determinare lo spazio, il tempo, la qualit


di ogni singola emergenza soggettiva e di ogni specifica risultante
costituzionale.
Quando affrontiamo questi problemi, noi sviluppiamo allora pi importanti
spunti di unestetica trascendentale della prassi. Vale a dire che noi sviluppiamo
il punto di vista del fare come punto di vista fondamentale. La centralit di
questa prospettiva discende, con caratteristiche di necessit, dalla centralit
ontologica delletica, meglio, dal fatto che noi ci muoviamo dallinterno di
unontologia etica, vivendola, come si pu vivere unesperienza egemone nella
sensibilit filosofica contemporanea. E una genealogia del potere o dei poteri,
quella che qui proposta. Il rapporto tra soggettivit, punto di vista del fare,
ontologia ed etica, centrale perch questo solo sembra essere il tessuto sul
quale poter determinare un orientamento metafisico. Foucault sosteneva che
solo da un punto di vista storico queste filiere del fare potevano essere seguite ed vero. Ma non men vero che, da un punto di vista metodologico, queste
potenze possono essere spinte verso un punto di vista teorico e quindi essere
considerate nellindipendenza delle teorie, - senza, con ci, che esse perdano la
loro etica pregnanza.
Seguiamo ora questo cammino con riferimento al problema del potere. Ci
siamo fin qui aperti alla critica del concetto e delle sue possibili mistificazioni,
abbiamo poi definito un possibile punto di vista metodologico. Infine, nei
prossimi capitoli, vedremo le interne articolazioni di questo processo. Ma ora,
tra il prima e il dopo, ci resta da chiarire un concetto: ed che il potere, se son
veri i presupposti, si presenta sempre come molteplicit, come contro-poteri,
meglio, come rete di contro-poteri. Parlando di etica avevamo sottolineato il
ruolo fondamentale del principio di antagonismo: in forma generalissima
basterebbe questo a dar ragione del fatto che il potere si dia come contro potere.
Ma ogni condizione siffatta determina problema. Ne deriva che la singolarit
delle determinazioni soggettive che costituisce il rapporto antagonistico dei
poteri va analizzata specificamente - perch questa singolarit, questa forte
individuazione attraverso forte antagonismo, non negano ma nutrono e
costituiscono la complessit specifica del quadro. Troppo spesso, nella
esposizione volgare dei concetti filosofici, ci siamo trovati di fronte a sequenze,
cosiddette dialettiche, in cui, allincrementare del grado di antagonismo,
corrispondeva lestinguersi della sua misura nella complessit. Questo
appunto un meccanismo espositivo, tanto comune e banale quanto perverso. Di
contro, laver collocato il principio ontologico nel bel mezzo della vita etica,
laver con ci fissato una connessione indissolubile fra ontologia ed etica, ci
permette oggi di dimostrare che sullorizzonte dellantagonismo lintera
87

complessit del reale che si prova. Siamo nella << sussunzione reale >>. Siamo
in una situazione nella quale ogni determinazione, tanto pi se teorica, pu
essere completamente riassunta nellinsensatezza circolare di una
fenomenologia del dominio. Solo il fare, il punto di vista pratico - solo quella
determinazione che si colloca sullorlo dellessere e del non essere, a cavallo fra
la catastrofe e la speranza - ecco dunque la collocazione aggressiva
dellimmaginazione trascendentale, oggi. Essa non annulla ma evidenzia
drammaticamente la complessit del processo storico. Unenorme contingenza
ha invaso lesistente. A partire da questa contingenza che tocca tanto a natura
del fare quanto le sue dimensioni e i suoi orizzonti, noi comprendiamo la
complessit. Le collocazioni antagoniste, e cio un loro certo porsi nello spazio,
nel tempo, nel contesto dei valori, dunque, non tolgono complessit n
allessere n allantagonismo. N lantagonismo cancella la complessit, n
viceversa a complessit cancella lantagonismo. Se uno dei due termini
eliminato, questa determinazione non dipende dal principio complementare ma
da altre ragioni. Condizione comunque difficilissima da verificare.
La critica del concetto di potere, riassumendo le determinazioni che siamo
venuti fin qui fissando, esprime, dunque, una situazione metafisica in cui
soggettivit, antagonismo, pluralit, complessit, convivono, si susseguono nel
caratterizzare la potenza sociale. E una specie di universo leibniziano quello
che abbiamo davanti, luniverso nel quale la libert etica vive della
contingenza, quindi dellindeterminatezza di traiettoria della soggettivit.
Leibniziana anche lidea che, quanto pi si scontra con lesterno, tanto pi la
soggettivit scava in se stessa ed organizza la propria costituzione. Noi potremo
dunque parlare di costituzione, se ne parleremo, a partire da un contesto di
contro-poteri, e cio da un contesto di determinazioni soggettive che abbiano
scoperto in se stesse il massimo di articolazioni di potenza.
Per fare un esempio. E fuori dubbio che, ad un certo punto. nella storia del
pensiero politico occidentale, intervenuta unefficace operazione di
mistificazione, una vera e propria perversa modificazione di paradigma, in
riferimento al concetto di potere. Vale a dire che il tessuto sociale, nel primo
contrattualismo dellevo moderno, era definito su un orizzonte, per cos dire,
piatto, orizzontale, appunto << contractum unionis >>. Ad un certo punto,
tuttavia, un enorme potenziale antagonistico, un enorme potenziale soggettivo
che pretende allegemonia, vengono rovesciati su questo rapporto, al fine di
determinare una sua verticalizzazione: << contractum subjectionis >>. Il
pluralismo, cos, non vien [sic] pi dato come tessuto di eguaglianza, come
terreno delle possibilit, come contingenza, - ci viene invece dato gi
organizzato dentro una struttura gerarchica. La societ sussunta formalmente
88

nel capitale. In questo modo il potere viene tolto alla potenza dei soggetti.
Questo peccato originale un implicito nella storia del pensiero politico
occidentale. Per continuare nellesempio accennato si pu allora notare in che
modo il valore << pace >> venga giocato su questo passaggio: la pretesa di
garantire la pace che sta alla base della verticalizzazione del potere, cio della
sua perversa semplificazione, cio della repressione del pluralismo e
dellantagonismo. Qui la pace concepita come lelemento di scarico di ogni
tensione vitale, come tranquillit di fronte al movimento, come vuoto di fronte
al pieno delle passioni, dei desideri, dei movimenti delle singolarit. La
semplificazione del complesso: questo la pace. Ma questo pu essere anche
puro e semplice terrore...
Ecco perch, dunque, insistiamo e reinsistiamo sul fatto che il concetto di
potere, cos come pu essere definito attraverso la critica, non altro che il
concetto di movimento delle potenze sociali che noi sperimentiamo nel loro
pluralismo e nellantagonismo, che verifichiamo dunque come processo e rete
di contro-poteri. E evidente che, per riprendere il nostro esempio, noi non
semplificheremo i formidabili problemi sollevati dallintreccio fra movimento
dei contro-poteri ed esigenza della pace. Esiste qui una contrapposizione
insolubile? Noi non lo crediamo. Anzi. Solo percorrendo questo cammino
accidentato, che quello che la storia e le nostre coscienze ci presentano,
riusciremo a costruire a figura positiva della critica del potere. Materialmente.
2. A proposito di movimento, oggi.
Quando diciamo movimento indichiamo quella dimensione sociale che
costitutiva del potere. Come si rivela? Qual il rapporto che stringe, al livello
attuale dei rapporti di produzione e di cultura, soggetto ed ambiente?
E chiaro, sulla base dei presupposti generali della nostra analisi, e cio sulla
base di quel singolare intreccio tra Krisis e Umwelt, fra risultanze critiche dello
sviluppo e dislocamento generale delle condizioni di riproduzione, che abbiamo
verificato - chiaro, dunque, che linerenza di soggetto e ambiente qui totale.
Quando parliamo di dimensione ecologica come base costante dellanalisi, a
tutti i livelli, oggi, noi non facciamo che evidenziare questa inerenza che
costituisce la faccia, per cos dire, superiore di quellintegrazione dei circuiti
sociali che << sussunzione >> e post-moderno ci presentano. Ogni parametro
del vivere sociale oggi dato in termini ecologici - non che questo costituisce
una grande novit rispetto alla condizione metafisica del rapporto uomoambiente, che sempre ha mostrato questa fondamentale relazione: oggi la
modificazione consiste nel fatto che il conflitto che caratterizza, come ha
sempre caratterizzato, la dimensione ecologica, non si svolge semplicemente
attorno al confronto tra uomo e natura, bens sul ritmo del confronto fra vari
89

modelli di integrazione uomo-natura. Altrove, e precedentemente in questo


stesso scritto, ho molto insistito sul concetto di << seconda natura >>, per
indicare in questa categoria il risultato di una trasformazione del rapporto
delluomo con la natura ed il consolidamento di una specie di nuovo
presupposto naturale (che evidentemente storico, dotato di una certa
astrazione, ecc.) alla base dellanalisi delluniversalit umana, oggi. Se ora
cerchiamo di definire questo rapporto ontologico nuovo in relazione allidea di
potenza, e quindi se cerchiamo di coniugare lanalisi delle condizioni
ecologiche (<< seconda natura>>) con il concetto singolare di movimento
( <<contropotere >>, contropoteri), eccoci davanti al nostro problema.
Stranamente, quando approfondiamo questo rapporto, questo problema,
abbiamo una prima serie di annotazioni che sembrano costringerci ad una
considerazione << quasi scettica >> delloggetto in analisi. Voglio dire che, a
prima vista, tutte le determinazioni che possiamo cogliere in superficie, ci
riportano a quellinterpretazione di soggetto-ambiente che, nella sua circolarit,
ineffabile, comunque indifferente e inafferrabile. Si comprende bene, allora,
come sul livello teorico e pratico lecologia abbia potuto presentarsi come
ambientalismo, una specie cio di fondamentalistica rivendicazione di valori
naturali. Il fatto che questi valori, cosiddetti [cosidetti ?] naturali, fossero in
realt irriconoscibili, come tali, che dunque la rivendicazione fondamentalistica
si muovesse fra il sogno di unutopica restaurazione e lesaltazione di un certo
banale e posticcio equilibrio uomo-natura, nulla aggiungeva: lutopia e la
giaculatoria non aggiungono chiarezza allindistinzione logica che lassunzione
di un rapporto strettissimo uomo-natura nellimmediato determina. Si pu
aggiungere che anche la definizione di una << seconda natura >> non modifica
a banalit, linsignificanza delle determinazioni che immediatamente emergono
dallintegrazione/interazione uomo-natura. Insomma, una volta che la natura sia
data come potenza completamente intercambiabile nellambiente umano, siamo
di fronte allimpossibilit di discernere linee di movimento e tendenze di
trasformazione. Non a caso il fondamentalismo ecologico non propone che una
sempre potenziale e sempre frustrata alternativa o una paradossale conclusione:
la catastrofe. Il fondamentalismo non riesce ad articolarsi se non assumendo il
suo opposto come momento di identificazione, di interna autocoscienza, come
indice costruttivo.
Se assumiamo di nuovo il discorso sul rapporto tra potere e pace, come
traccia ed esempio, possiamo vedere quali siano le metamorfosi mistificatorie
del fondamentalismo ecologico. Esso si tende verso la ricerca di un limite
naturale assoluto, di una condizione naturale ideale, - ma per definirla, ha
bisogno di distruggere le realt tecniche e storiche che hanno modificato in
90

maniera irriversibile la vita degli uomini. Essendo quindi impossibile questo


passaggio, il fondamentalismo chiede aiuto allimmaginario collettivo e, nella
ricerca della pace, quindi nellesercizio di un atto di potere che alla
determinazione della pace deve pervenire, cerca di inserire la sua utopica
natura. Ma che cos questutopica natura? Non nulla di reale, neppure una
vestigia o un ricordo, semplicemente il contrario della situazione catastrofica,
rovinosa, che intuibile dopo lavvenimento distruttivo nucleare. La natura il
contrario della distruzione - la pace il contrario di una guerra pi che
distruttiva, mortale per lumanit. Dentro questa opposizione, in realt nulla si
muove. La forza degli opposti talmente enorme da rendere impossibile
lanalisi della singolarit, del corpi, che fra questi opposti vivono e si
riproducono. Insomma la circolarit reale del rapporto uomo-ambiente
impedisce che del modelli vengano formandosi ed ammette che questi modelli
si diano solo come estremizzazione dellesistente, della sua polarit. La pace
diviene cos un feticcio, altrettanto vuoto, nel rappresentare lassoluto
contrapasso rispetto alla morte catastrofica, quanto lo era nelle teorie del
giusnaturalismo borghese, che assumevano il concetto di pace come momento
centrale nella costruzione della sovranit e nella repressione dei contropoteri
sociali.
E invece, appunto, questo il nostro problema: quello di identificare
lemergere e lo svolgersi dei contropoteri, proprio su quel terreno unificato che
<< sussunzione >> e post-moderno de finiscono. Unaltra obiezione, tuttavia, ci
si presenta dinnanzi. Si dice: se la relazione singolarit/ambiente tanto
stringente, se la diversit pu cogliersi solo nella forma dellutopia,
dellalternativa radicale, nella progettazione totalmente altra, - bene, allora si
tratta di sviluppare un programma radicalmente alternativo, che si ponga la
totalit nemica come avversario e che, rispetto a questa, si misuri. Ma ecco,
anche in questo caso, insorgere alcune difficolt. Esse consistono nel fatto che
anche qui, malgrado tutto, e cio malgrado la forte attenzione allo specifico, si
cade nella trappola della generale indifferenza. Qui lopposizione, il
contropotere, possono essere concretamente identificabili: ma, daltro canto, qui
lalternativa deve accedere al livello della totalit del potere. Il rapporto
simbiotico fra uomo e natura allora, in questo modo, completamente
trasfigurato e considerato su un terreno di totalit che il medesimo che
attribuibile al concetto di potere. Non se ne esce: si determinano, cos, una serie
di omologie che impediscono la considerazione del diverso, delle singolarit,
del riprodursi di questo e di quella, dentro meccanismi di contropotere. Cos,
essendo data lindifferenza del contesto, lanalisi si sviluppa tra Scilla e
Cariddi: laddove, su un lato, stanno limpossibilit di discernere il singolare e il
tentativo di riaffermarlo attraverso la produzione di opposizioni utopiche; su
91

una seconda polarit sta, nel corpo dellindifferenza, lillusione di poter


recuperare uno spazio politico e teorico, produttivo e riproduttivo, attraverso la
totalit, quindi dentro lomologia con il potere.
Dobbiamo riproporre il problema ab imis. Innanzi tutto giocando su quel
punto di vista pratico, etico, di cui abbiamo rivendicato la validit. Ora, a partire
da questo punto di vista, lintegrazione tra singolarit e natura non una
condizione statica, ma una condizione dinamica. Il rapporto che la << seconda
natura >> fissa, non un rapporto definitivamente dato - data semplicemente
la capacit di produrre unit fra uomo e natura, in forme sempre diverse e
sempre pi mature, a partire da quella base iniziale. Insomma la << seconda
natura >> , mi si perdoni il controsenso [contro senso?], una macchina. Ora, in
secondo luogo, appunto questa connessione che bisogna percorrere. Occorre
percorrerla nel mentre essa si sviluppa, nel mentre essa costruisce nuovi e pi
stretti circuiti di integrazione. In questa condizione generale luomo si fa
potenza naturale appropriandosi della natura. Il movimento reale movimento
di appropriazione. Il concetto di potere forza che si apre fra le determinazioni
gi concluse del processo della << seconda natura >>. Il contropotere
appropriazione reale nel mondo della << seconda natura >>. Tutto questo
significa che il potere non pu essere condotto allutopia del fondamentalismo
n essere omologia con il potere esistente. Il contropotere una forte e
durissima movenza di appropriazione. Esso vive solo laddove pu, per cos
dire, essere in osmosi con la Umwelt storica, solo laddove riesce a sviluppare
un rapporto omeopatico con le determinazioni storico-naturali dellambiente. Il
contropotere unesperienza pragmatica che attraversa e sussume lesperienza e
la prassi che su quei territori sussunti sono venute svolgendosi.
Probabilmente il concetto fondamentale che dalla definizione del contesto
fenomenologico della prassi oggi si pu trarre, che ogni atto di potenza,
sviluppato dalla singolarit, equivalente su questo livello. Questequivalenza
prodotto della sussunzione. Laffermazione tanto pi importante perch
insieme essa fissa un metodo e riqualifica una serie di categorie. Fissa il metodo
di una costruzione filiforme e plurale del potere. Un potere lillipuziano, il
contrario di una generalizzazione del suo concetto, eppure tanto potente da
riuscire ad imprigionare qualsiasi Gulliver. Una metodologia. dunque, che veda
il potere come momento analitico a posteriori, che lo considera come una
dinamica che costruisce, in maniera sempre pi larga, assetti determinati.
Potremmo chiamare questo metodo in termini antichi: ideologia libertaria o
impostazione << liberal >> (allamericana), concezione decentrata
dellamministrazione, democrazia di base, ma ognuna di queste definizioni
parziale. Perch qui, muovendosi no, allinterno di una Umwelt sussunta, e cio
92

allinterno dellindistinzione tra sfere diverse - nella fattispecie,


nellindistinzione fra economico e politico, fra produttivo e riproduttivo - bene,
in questa situazione, la nostra metodologia metodologia di riappropriazione
materiale. Questa singolare filatura del concetto di potere ci mostra lunit del
livello politico e di quello economico e produttivo. Come vedremo andando pi
avanti nel nostro ragionamento, vi sono soggetti specifici, individui collettivi
mutanti, che sono alla base di questa considerazione del concetto di potere. Qui
ci basti continuare ad insistere su questo metodo, su questo punto di vista, su
questa ricchissima considerazione delle articolazioni del reale. Il potere
questo.
Di qui si apre la considerazione di alcune altre categorie. Ma una, soprattutto,
qui prendiamo in esame quella di legittimit. Altrove abbiamo notato come
sempre esista una certa asimmetria fra il concetto di legittimit e quello di
legalit (validit giuridica). Qui possiamo dire che questa asimmetria finita,
nel senso che non vi pi possibilit di assumere la legalit come << altro >>
dalla legittimit. La norma giuridica non potr che valere in quanto atto
particolare sottoposto alla dinamica del contropoteri, raccolto nella concretezza
della dialettica del consenso. Quando si parla di consenso e di legittimit, (che
ci piace qui considerare come concetti assolutamente complementari) si parla,
dunque, di nuovo, di quel metodo di contrasto, di << compact >>, di
articolazione potente e di confronto fra interessi materiali diversi (sociali,
economici e politici) - non certo di un equivoco prodotto generale del consenso,
non certo di una volont generale che lo sostituirebbe, e neppure, infine, di
figure contrattuali entro le quali si eserciterebbero volont astratte.
Potere contropoteri. Potere limmediatezza della potenza della singolarit.
Potere movimento, dimensione sociale di questo, totalit del rapporto fra
soggetto ed ambiente. Potere contropoteri eguali ed equivalenti, che tutti
coloro che operano in una societ, possono materialmente detenere. Ma se
questeguaglianza tanto reale da apparire come equivalente, la comunanza
delle opportunit e dei beni qualcosa di necessario, di implicito, di
presupposto. Il comunismo un presupposto del potere e non semplicemente un
suo risultato. E parliamo a questo proposito di un comunismo pervasivo, etico,
che caratterizza tutti i passaggi del rapporto fra uomo e natura, cos come sono
stati definiti nel processo di storicizzazione delluniverso: il comunismo come
movimento, tanto esteso quanto estesa la vita. Se non possibile immaginare
alcun rapporto vitale fra uomo e uomo, fra uomo e natura che non sia rapporto
di potere, tanto meno oggi possibile immaginare una societ non comunista. Il
reale che abbiamo dinanzi illusione. Dietro lillusione si nasconde la realt del
comunismo. Dobbiamo dunque scavare, rispondere a molti interrogativi: che
93

cosa significa che potere libert, che nella particolarit dei contropoteri si
annidano prodotti collettivi di libert, meglio, che la libert, nascendo dal
rinnovato contesto uomo-natura si vuole come comunismo? Tutto ci siamo
venuti fino a questo momento analizzando da un punto di vista, per dire, di
superficie. Ora, qui di seguito, dovremo approfondire lanalisi per vedere come
questo contesto, questo ambiente, questo rapporto fra poteri, e fra natura e
storia, e fra uomini, - come, dunque, questo rapporto di superficie sia
organizzato da una macchina pi profonda e potente.
3. Il lavoro del soggetto.
Il tema della crisi e la critica del potere che lo attraversa, a partire da quelle
caratteristiche di sviluppo e di movimento che sono specifiche della
sussunzione, non possono che concludere allariproposizione del tema del
soggetto. Non esiste processo senza soggetto: neppure la pi alla analisi formale
riuscita a darci uno schema plausibile di un siffatto meccanismo, a meno di
non proiettarlo sul pi screditato degli schermi, quello della ragion pura e
dellanalitica. N il materialismo ha mai escluso il soggetto, anzi la scoperta
specifica del materialismo marxiano appunto quella del carattere ontologico
del soggetto. Tutte le determinazioni devono infatti rovesciarsi sul soggetto,
perch solo il soggetto che sa esprimere lavoro. Il lavoro non solo
sfruttamento, ma anche paradossalmente e soprattutto questo: perch
attraverso lo sfruttamento passa un attivit di rifiuto, di lotta e,
conseguentemente, di innovazione: questa attivit che mette in movimento
lintero processo storico. Il lavoro del soggetto dunque la chiave di volta di
ogni determinazione positiva dellessere. Filando questo tessuto, seguendo la
molteplicit dei suoi disegni, noi possiamo allora determinare il rapporto
complesso che si stende fra sfondo ontologico e figura specifica del soggetto.
La mia ricerca, e quella di molti miei compagni, si sviluppata lungo gli anni
attorno a questo problema del rapporto fra sfondo ontologico e determinazione
dellattivit soggettiva. Il logo << composizione di classe >> ha sempre infatti
alluso a questo tema. E subito da aggiungere che troppo spesso, ma non
sempre, la sua trattazione stata rigida: il rapporto fra i vari elementi, storici,
politici, tecnici, ma anche morali e pi largamente etici, che caratterizzano il
rapporto compositivo, stato studiato e descritto secondo trafile lineari. Troppo
spesso la dialettica, meglio, una specie di tradizionale e cieca fiducia nel
realizzarsi di processi di negazione e superamento: da essi, appunto, formata
la cosidetta dialettica - bene, troppo spesso questa simulazione ideale si
sovrapposta alla concretezza del progetto. Inoltre, di nuovo troppo spesso, gli
elementi di volont politica e lo stesso formarsi della coscienza, sono stati visti
sgorgare dalla composizione quasi si trattasse di una conseguenza logica e non
94

invece - come era - di un salto e di uninnovazione storici. Eppure da questa


autocritica non pu derivare un annullamento delle grosse verit che
nellambito di quelle ricerche erano state costruite: sia dal punto di vista
metodologico che sostanziale.
Dal punto di vista metodologico. Il lavoro del soggetto consiste in due
operazioni fondamentali: la prima quella per cos dire centripeta, vale a dire di
attrazione ed accumulazione sulla figura del soggetto di tutti gli effetti
dellorganizzazione del lavoro che il soggetto stesso coglie come elementi della
propria costituzione e sviluppa criticamente verso orizzonti di rifiuto, di lotta e
dinnovazione. Vi poi unoperazione centrifuga: essa dipende o deriva o segue
alla concentrazione di forza che permette quella costruzione delle soggettivit:
ora, nel rapporto che si stende tra la soggettivit e lordinamento oggettivo del
reale si determina una differenza di potenziale che, quando si scarica, determina
insieme crisi e dislocazione del rapporto dato. Questa connessione fra lavoro e
dislocazione del quadro oggettivo , metodologicamente, il pi alto risultato
dellanalisi della << della composizione di classe >>. Tutto ci lo riteniamo
come contenuto del nostro conoscere e come strumento ancora importante per
proseguire nellanalisi. N quanto siamo venuti dicendo, potr certo essere
negato dallapprofondimento promesso in questo lavoro a partire dallestetica
trascendentale: perch infatti, quandanche la relazione fosse spinta su quel
limite di scissione fra essere e non essere di cui abbiamo parlato - ci non
ridurrebbe la relazione alla catastrofe ed anche in questo caso fondamentale
resterebbe comunque lapprezzamento dei contenuti progressivi della relazione
- ed rispetto a questi che lanalisi deve sempre essere rinnovata.
Anche dal punto di vista sostanziale il nostro vecchio lavoro lascia, poi, dei
risultati positivi, e allautocritica dato solo di perfezionarli. La figura
soggettiva, nello sviluppo del capitalismo, ci si presentata in un gioco
complesso di appropriazione di forme dellorganizzazione produttiva, ed
almeno quattro grandi figure di soggetto produttore sono state identificate come
egemoni in singole e successive fasi dello sviluppo: loperaio indifferenziato,
loperaio professionale, loperaio massa ed, infine, quella complessa e
definitiva figura ch loperaio collettivo-sociale. Siamo nel mezzo della grande
trasformazione che, appunto, a questa figura sociale del lavoro sta
compiutamente portandoci. Ed , credo, attorno a questa trasformazione che
vale, quindi, oggi soffermarsi e vedere come si svolge il lavoro del soggetto.
Il punto pi interessante quando verifichiamo una concentrazione di nuove
capacit produttive. Cominciamo a fissarvi lanalisi. Ora, c un nesso
sincronico che corre fra tecnologia, societ e cultura. Ovvero, c un quadro
generale entro il quale la tecnologia si presenta come produzione di socialit ed
95

insieme le condizioni generali della societ si presentano come elementi di


produzione di tecnologia. E chiaro che il rapporto tra tecnologia e processo
sociale, proprio perch investe un cos ampio spettro desperienza, non un
nesso semplice - n sincronicamente, e cio se identifichiamo le correlazioni
puntuali che processo, soggetti lavorativi e sistema produttivo presentano; n
diacronicamente, e cio quando inseguiamo grandi passaggi storici di
modificazione delle tecnologie e delle composizioni soggettive, che si
accompagnano. Processo complesso dunque, mancanza di omologie: eppure
riproposizione, in tal modo, di un tema fondamentale, ovvero, del tema della
crisi e della dislocazione. Osserviamo come venga annunciandosi e come
cominci a svolgersi il passaggio verso la composizione delloperaio sociale e la
sua presenza egemone. Una differenza di potenziale, come si diceva, viene qui
innanzittutto determinandosi. Il lavoro produce valore: ma questo valore,
meglio il plusvalore estorto, non riunificato e trasformato in valori mercantili
ed in profitti monetari sul luogo della produzione; di contro, solo la circolazione
(come livello diffusivo, come massimo di estensione del mercato) e la
riproduzione (come livello intensivo, di accumulo istantaneo di valori
produttivi) ci mostrano il valore stesso. Siamo di fronte ad una modificazione
del sistema produttivo che caratterizzato dal fatto che esso, in termini propri,
non produce valore, ma semplicemente ne il motore di una globale
trascrizione sociale. Almeno cos appare. In tal modo lorigine del plusvalore
nascosta. Il meccanismo produttivo sociale diviene un velo che nasconde lo
sfruttamento delluomo sulluomo. Non a caso le caratteristiche tremende dello
sfruttamento non si riveleranno - n saranno percepite - come immediatamente
collegate al lavoro, bens esse si riveleranno collegate alla societ lavorativa - il
numero degli esclusi, dei nuovi poveri, degli emarginati, dei carcerati, dei
malati, dei pazzi, ecc. ecc., potr solo essere calcolato sulla dimensione sociale
dello sfruttamento. Ma qui lapparenza si squaglia ed una serie di conseguenze
divengono esplicite. La societ dellautomazione si mostra come struttura di
dislocazione della natura del valore. Non vi pi valore che possa essere
riferito allentit singola di sfruttamento. Il marxismo volgare degli economisti
oggi non serve neppure come scienza di gestione. Vale, invece fino in fondo, il
marxismo come scienza della societ e della sua dinamica: quindi come
conoscenza della dislocazione del valore. Il lavoro del soggetto dunque, oggi,
sociale nella sua estensione e collettivo nella sua qualit. Sappiamo questo da
sempre - si potr obiettare: ed in effetti da sempre il lavoro stato sociale e
collettivo ed attraverso queste caratteristiche che esso ha sempre prodotto pi
della somma degli sforzi individuali. Ma questa obiezione non molto
significativa quando si consideri che oggi il lavoro individuale non pi
distinguibile dal lavoro sociale e collettivo. Un tempo, il lavoro collettivo era un
96

risultato, ora il lavoro sociale e collettivo un presupposto. Avevamo


cominciato col dire che ci si trova di fronte ad un meccanismo che non mostra
lestrazione del valore, anzi che la mistifica e nasconde, mentre esibisce su un
piano di traslazione sociale linsieme del valore prodotto dalla societ. Ma pi
procediamo nella discussione e nella ricerca, pi avvertiamo di essere dinnanzi
ad una specie di autentica seconda accumulazione originaria. Autozione come
struttura di dislocazione della natura del valore? Pare proprio di s. Ma allora
ritorniamo al lavoro del soggetto. Se la prima accumulazione originaria
consistita in un processo violentissimo attraverso il quale alla forza lavoro
stata imposta la forma-merce, la seconda accumulazione originaria rappresenta
ora limposizione di uno schema generale di dominio ad una forza-lavoro che,
attraversando il mondo delle merci, ha scoperto di possedere unernorme
ricchezza ed una infinita sapienza produttiva. La traslazione del valore
corrisponde cos ad una dislocazione del soggetto. Siamo di fronte ad una delle
grandi trasformazioni epocali della natura della forza-lavoro. Se volessimo
seguire qui le mille articolazioni di questo processo potremmo farlo senza
fatica: ma non interessa e altrove comunque lo faremo. Qui interessa solamente
percepire come le leggi generali che regolano il lavoro del soggetto si siano di
nuovo rivelate su un passaggio fondamentale, di modificazione radicale del
modo di produrre. Di conseguenza, dentro e attraverso, fuori e contro questa
trasformazione, si venuto formando un nuovo soggetto - se difficile farne un
identikit, non perch le caratteristiche complessive del processo di formazione
siano ignorate ma perch una definitiva figurazione pu darla a se stesso solo il
nuovo soggetto, riproducendosi materialmente ma soprattutto politicamente.
C un altro livello, del tutto complementare al primo, rispetto al quale la
ricerca deve ora procedere, muovendo dal vecchio concetto di << composizione
di classe >>,: quello che lega le determinazioni intensive, qualitative,
nazionali del tema << operaio sociale >> alle dimensioni estensive, dinamiche e
multi o transnazionali. Ci troviamo per la prima volta di fronte ad un processo
che tocca i limiti del nostro universo conoscitivo. Allunificazione capitalistica
del mondo, alla sua riduzione intera a mercato, corrisponde sia un susseguirsi di
lotte, di resistenze e di dinamiche antagoniste sui singoli snodi del mercato - e
di qui la necessit di controlli repressivi sempre pi efficaci e di dislocazioni
produttive sempre pi astratte; sia un ripiegarsi mobile ed articolato del
comando sulle dimensioni della giornata lavorativa - sicch la sua
frammentazione, la sua flessibilit, la sua plasmabilit, ecc. possano essere
rigorosamente ricomposte su un piano generalissimo, non perci meno
costrittivo. Prendiamo il mercato mondiale ed imponiamogli un sistema di assi
Cartesian: avremo sullordinata la mobilit della giornata lavorativa e
sullascissa lestensione orizzontale del mercato, con tutte le sue difficolt e i
97

suoi intoppi. Ma dal quadro Cartesian uscir, appunto, un meccanismo spaziotemporale completamente modificato rispetto alla tradizione. Questa
dimensione, che chiamiamo trans o multinazionale e che comprende anche (non
certo in termini secondari) quella figura temporale infranta della giornata
lavorativa - questo quadro, dunque, si accompagna strettamente alle
determinazioni tecnologiche gi considerate. Nella dislocazione del soggetto
noi non verifichiamo, dunque, soltanto la socialit della figura produttiva, ma
anche questa dimensione multinazionale. Automazione, rottura della giornata
lavorativa, mercato mondiale, misurano unitamente, simbioticamente, la figura
delloperaio sociale. Ecco dunque un esempio di dislocazione, un momento
paradigmatico del lavoro del soggetto.
II mondo s chiuso. Quando tocchiamo questa verit dellestetica
trascendentale, noi non affermiamo una vecchia verit. Noi non ripetiamo quel
sentimento di impotenza che spesso ha toccato luomo, pascalianamente,
davanti allincombere delle sue miserie. Qui la chiusura del mondo corrisponde
allenorme espandersi di tutte le componenti interne di questo medesimo
mondo. Quello che scopriamo non nuovamente il vecchio mondo medioevale
- mondo finito per antonomasia - scopriamo invece come il mondo infinito della
rivoluzione rinascimentale si sia esaurito, rovesciandosi riflessivamente su se
stesso, e come linfinita del rapporti che quellimmagine del mondo conteneva,
si sia ora riqualificata dentro sequenze puramente intensive. Vale a dire che oggi
il mondo infinito solamente nella misura della divisibilit, non in quella
dellestensione. Il mondo infinito verso il suo interno: indefinitivamente
plasmabile ma non superabile. I suoi limiti sono rigidi.
Ecco dunque, il lavoro del soggetto pervenire, in maniera definitiva, alla
riscoperta, ridefinizione e verifica di quei paradossi dellestetica trascendentale
che inizialmente avevamo colto e definito in termini di immediatezza. Il lavoro
del soggetto ci si mostra qui come causa di quella situazione ontologica che
lestetica trascendentale ci attestava in prima battuta. Ora, evidente qui che il
soggetto non semplicemente un prodotto del movimento storico: esso il
motore di quella serie di rapporti che si stabiliscono in un tutto unico che
coinvolge lambiente e lontologia produttiva. Ci un primo risultato: lunit e
lindifferenza del sostrato ontologico, produttivo, collettivo, sono qui verificate.
In secondo luogo, poi, questa matrice pratica che costituisce la soggettivit ci
pone davanti allestrema tensione dellessere: ad un processo che, dislocazione
dopo dislocazione, ha chiuso questo mondo su se stesso. E al soggetto
muoversi, al suo lavoro scegliere di essere o non essere.
4. Lavoro, territorio, libert.
Stiamo riagganciando ontologia e soggettivit. Non solo, stiamo anche
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rideterminando le caratteristiche storiche di questo rapporto. Un pensiero


filosofico che muove dal punto di vista dellimmediatezza empirica, cogliendo
in questa luniversalit delle determinazioni ontologiche, non pu che
procedere, appunto, come procediamo: riflettendo su se stesso, scoprendo in
maniera totalmente dispiegata ci che era implicito, e rivelando il dato dalla cui
implicita ricchezza la ricerca partita. Lestetica trascendentale offre alla
dialettica dellimmaginazione vera un terreno di scoperta e di verifica. Il lavoro
del soggetto si fa, dunque, soggetto del lavoro: vale a dire che quel lavoro che
abbiamo visto svilupparsi come critica dellesistente, come costruzione di
movimento, come rifiuto di essere preda della produzione capitalistica di
soggettivit - quel lavoro ora smette << le vesti curiali >> e torna
allabbigliamento quotidiano, che quello del lavoratore, che quello
dellorganizzazione collettiva del lavoro. Daltra parte, solo la capacit che
deriva dallaver attraversato le regioni della << sussunzione >>, e cio dallaver
toccato quellincredibile misura di astrazione che lo sviluppo delle forze
produttive e il comando su di esse ha determinato, a permetterci ora di cogliere
il soggetto del lavoro nella sua storica corporeit. Il lavoro astratto diviene
corpo. Non un mistero, non nuova incarnazione dialettica, tanto meno
religiosa o simbolica - questincarnazione quella che il lavoro conosce
passando attraverso il macchinario informatico e le reti di telecomunicazione.
Questastratto diviene concreto perch in esso si sviluppa lappropriazione
materiale dei contenuti di conoscenza che le tecniche e i sistemi producono.
Come altrove abbiamo scritto la protesi diviene natura. Di pi diviene corpo.
Ma i corpi sono singolarit. Qui lo sviluppo dei paradossi dellessere nella
fase della << sussunzione reale >> si incrementa ancor pi, poich, infatti, non
solo quel mondo astratto che la comune matrice di ogni corporeizzazione, si
scinde nelle singolarit - ma queste singolarit assumono dimensioni specifiche,
quiddit - e poi identit collettive, potenziali di libert - tali che alle singolarit
si accoppia un fortissimo grado di diversit. La grande rete dellastrazione qui
percorsa, quasi sostituita, in ogni caso segnata << a contrario >> (ad ogni
momento dellindifferenza si oppone una differenza) da una rete multicolorata
di espressioni singolari. Si potrebbe dire che queste due reti rappresentano due
aspetti di un gioco ottico: ad un lieve movimento, luniformit incolore
dellastratto si tramuta in un trionfo di tinte. La costituzione dellessere consiste
in questo: in questa contemporaneit, simultaneit, di una contraddizione che
antagonista, tra il massimo di astrazione e il massimo di concretizzazione
corporea. La regola antagonistica si manifesta qui come regola della
costituzione. E per questa diversit che la rete dellastratto si sconvolta in rete
di espressioni singolari. Ultimo, ma non meno importante elemento di questo
processo, che ora cogliamo nelle sue fasi estreme, il condensarsi comunitario
99

di queste espressioni. Vale a dire che nello scontro che le oppone alla rete
astratta ed uniforme del comando, le espressioni di libert, di lavoro, di
corporeit, raggiungono una sorta di equilibrio che le riterritorializza, cio
sistema gli elementi della diversit dentro una comunit, un territorio
umanamente contrassegnato, uno spazio umano.
E importante sottolineare questa serie di passaggi. Probabilmente non vi
una legge che determini priorit, sequenze, rigidit - non pu esservi. Abbiamo
in ogni caso casistiche di percorsi differenziati. Ma ci che importante
sottolineare che questa serie di elementi, questa precipitata consistenza di
materialistiche determinazioni, ha uno spessore ontologico fortissimo. Nei miei
lavori precedenti, troppo spesso ho considerato il rapporto tra i processi di
autovalorizzazione e processi di autorganizzazione come termini conseguenti,
come tappe di un medesimo progetto - lautovalorizzazione, la spontaneit del
processo visto dalla prospettiva proletaria erano comunque prima, fondanti,
ontologicamente superficiali ed evanescenti. Non a caso, di conseguenza, la
determinazione aperta dei fili di autovalorizzazione - immagine che qui
confermo - mi sembrava scaricare il quadro di caratteristiche ontologiche
pesanti. Ci si muoveva nel soft piuttosto che sullhard. Invece qui vogliamo
proprio insistere sullaltro aspetto - vedere cio come i processi di
autorganizzazione procedano, o comunque siano contemporanei, a quelli di
autovalorizzazione. Spieghiamoci. Innanzitutto i due processi sono
complementari e la definizione delluno solo difficilmente (o del tutto
erroneamente) pu essere fatta senza la definizione dellaltro. Certo, vi saranno
crasi, deviazioni, sentieri interrotti: ma essenziale ricordare che
autorganizzazione e autovalorizzazione si iscrivono su un medesimo contesto
ontologico. In un secondo luogo, tuttavia, occorre affermare che
lautorganizzazione viene prima di tutto: essa la via che va in profondit,
quasi uno scivolamento tettonico, un radicarsi che non pu subire strappi e
comunque capace di una sublime resistenza. Tutti i termini della rete di
espressioni che costituisce (nel senso pesante di costituzione) lessere del
soggetto, troviamo qui una sistemazione, un ordinamento interno, una tendenza
vitale, per cos dire, diretta dalla ragione di queste connessioni. Immanente,
autoriflessiva, potente. Di tutte queste caratteristiche che si pu parlare senza
attribuire loro qualificazioni organicistiche: la dinamica descrivibile su un
terreno meccanico - quando a questa meccanica sia garantita lintera
dimensione di potenza dellessere. A me Spinoza servito per leggere in tal
modo, fuori da ogni tentazione organica, fuori da ogni scivolamento idealistico,
questa potenza dellessere. Lautorganizzazione, dunque, precede
ontologicamente lautovalorizzazione. Ma questa precedenza , come abbiamo
accennato, logica piuttosto che storica. Vale a dire che le vicende storiche, nel
100

mentre si danno e variano e si moltiplicano, fanno comunque precipitare ed


iscrivono segni sulla corteccia razionale dellessere. Lautovalorizzazione
organizza: ma non potrebbe farlo se questo passaggio attivo non possedesse una
referenza solida, una rete dentro la quale collocare il significato degli eventi, un
senso secondo il quale organizzarli. Se qui si insiste tanto su questa
anticipazione (in ogni caso logica) della potenza ontologica su quella storica:
perch la nostra esperienza ci ha a questo condotto. Cio a considerare che
lattivit etica non poteva sviluppare il suo senso se non quando fosse inserita
su un tessuto ontologico e che molti fallimenti, logici e pratici, avrebbero potuto
essere evitati se la determinazione pesante dellontologia etica fosse sempre
stata criticamente posta allordine del giorno ed esibita come prima linea di
orientamento.
Tuttavia non certo questa potenza ontologica che, sia pure come sfondo,
pu fermare la felice vitalit dei processi di autovalorizzazione. Dicevamo
prima che i percorsi nellessere, di produzione dellessere, possono subire
deviazioni ed intralci e conoscere difficolt. Ma questo non solo necessario:
anche bello. Lestetica trascendentale raccoglie qui, sia pure in termini di pura
superficie, la felicit dellevento. Ed probabilmente su questa leggerezza
dellessere che uneventuale dialettica pu essere ritmata. Deviazioni, dunque,
intralci, scontri: la potenza ontologica una rete di contropoteri. E dentro
questa vicenda, che noi ci ostiniamo a ritenere felice, com felice la superficie
dellessere, anche quando mostra risvolti di tragico, - dunque dentro questa
dimensione che le leggi di formazione della soggettivit vengono fissandosi.
Quelle leggi che, nel paragrafo precedente, abbiamo cercato di descrivere: leggi
di condensazione, ma poi di appropriazione e di dislocazione, leggi che
scandiscono il definirsi di identit collettive a livelli sempre superiori. Ma
queste leggi di formazione devono essere esse stesse sottoposte a quel ritmo
instabile che qualifica il rapporto fra autorganizzazione e autovalorizzazione,
che lo colloca, in maniera fragile e pur duratura, dentro un territorio dello
spirito e che attraversa con libert queste temporanee determinazioni. Ogni
linearit uniforme rotta: meglio, pu forse essere utilizzata come ipotesi, ma
solo una verifica portata su tutte le vicende del processo che ne convalida il
senso ed il significato. Ogni teoria dello sviluppo attraverso determinazioni
preconcette, stadi e fasi, anchessa rotta: di nuovo, pu essere utilizzata come
ipotesi di ricerca ma solo quando il meccanismo della ricerca non tenga dietro o
si disperda fra pedagogiche tradizioni.
Ogni analisi concreta, fin qui condotta o sviluppata altrove, conferma la
correttezza delle qualificazioni e tendenze del rapporto fra lavoro, territorio e
libert che sono state descritte. Torniamo, ad esempio, allidentificazione del
101

soggetto sociale e multinazionale del lavoro e dello sfruttamento: vedremo, in


questo caso, come appunto lo sviluppo della potenza produttiva del lavoro abbia
raggiunto un consolidamento irreversibile, come sul ritmo di questo
consolidamento si siano ovunque formale identit collettive del medesimo
spessore. Lultimo proletariato entrato nel mercato mondiale non deve
percorrere tutti gli stadi dello sviluppo per pervenire a collocarsi nel circuito
mondiale di scambio delle merci e di realizzazione del valore: tutte le tematiche
relative ai prerequisiti sono enormemente semplificate, e non esiste dottrina che
possa (in maniera rigida) proporre fissi scenari di sviluppo. Di contro: quest
inserimento nel mercato, ed ai pi alti livelli dei processi produttivi, esplicita
momenti di resistenza e processi di identificazione al pi alto livello. I rapporti
che si pongono fra mercati diversi, vengono in gran fretta sospinti verso un
massimo di orizzontalit ed una massima intensit di reciproco ricambio.
Questo in generale. Tanto pi tutto ci vale per i soggetti che in questi processi
sono insieme collocati (come ad esempio varie frazioni della classe operaia
impiegata da una medesima trasnazionale, o diversi segmenti proletari
partecipanti ad una medesima filiera produttiva) ed organizzati nelle dinamiche
unitarie che corrono la produzione ed il mercato. Sicch loperaio socialemultinazionale si trova dinnanzi al compito di stringere il rapporto fra le diverse
frazioni del proletariato mondiale perch la materialit stessa del rapporto
produttivo mostra che linteresse degli uni e degli altri deve coagularsi su un
unico asse. Linternazionalismo non certo morto!
E difficile, per noi stessi che abbiamo vissuto questo periodo, comprendere
con quanta intensit questo processo di identificazione di soggetti collettivi
abbia proceduto nei tempi stretti della << sussunzione reale >>. Ma certo che,
entro questi tempi strettissimi, corsa una implacabile iniziativa del capitale.
Ed altres certo che, di contro alla possibilit operaia e proletaria di forzare la
costruzione soggettiva della resistenza, le regole del dominio si sono riproposte
a quellaltissimo livello di unificazione, con straordinaria efficacia; e che,
quanto pi listanza di riterritorializzazione attraversava le nuove identit
collettive, tanto pi da parte capitalistica venivano astratti i modi dello
sfruttamento e i contenuti del controllo. Ad esempio, un orizzonte di controllo
puramente monetario, simbolico ma non perci meno efficace, veniva imposto
con strumenti terroristici durante il decennio che segue al 68 ed alla
conseguente crisi nixoniana del dollaro e del petrolio. Da allora la moneta
fluttua senza senso - senza un senso che non sia quello delladeguamento
puntuale ed istantaneo alle necessit di repressione. Cos i momenti potenti di
autodeterminazione si scontrano ad una capacit di repressione esatta e feroce.
Cos i processi di appropriazione sono bloccati sul nascere. E ci che sembrava
divenire corpo, in tal modo confinato allastratto, ci che tentava di divenire
102

comunit condannato al ghetto. Finch non si dia rivolta. Quale rivolta? Quale
insistenza antagonistica? Dal 1982 chiaro come questa resistenza possa
formarsi: appunto sul livello e contro il terrore monetario, contro il ricatto e la
repressione che si esercita attraverso lequivalenza generale. Dentro questo
passaggio si spiegano, in termini assolutamente espliciti, le dimensioni del
rapporto di forza che al lavoro del soggetto sono in questo periodo imposte, fra il 1971 e il 1982, fra la liberazione nixoniana del dollaro e la rivolta dei
paesi indebitati contro la ferocia delle banche e degli Stati centrali.
Lasciamo per ora ulteriori esemplificazioni: su di esse potremo
eventualmente pi tardi tornare. Quello che invece qui non possiamo trascurare,
di osservare come, a partire dalla situazione esemplificata, il livello di
resistenza ontologica si sia, per cos dire, talmente fissato da rendere pressoch
nulla lelasticit del sistema. Dallanalisi di questa situazione possiamo indurre
unulteriore modificazione del paradigma. Se non fosse paradossale dirlo in
questo momento, e cio proprio quando la funzione repressiva della moneta si
sviluppa appieno, si potrebbe prevedere che, a fronte del grado di resistenza
oggi verificata, gli strumenti monetari hanno concluso il ciclo storico nel quale
era a loro affidata la funzione centrale nel controllo. Si pu oggi, di fronte alle
resistenze che contro il comando monetario si sono levate, parlare di
capitalismo senza moneta? Non Sarebbe la prima volta che il comando si
esercitato, nella storia dellumanit, fuori del rapporto monetario. N
leventuale conclusione del ciclo del comando monetario del capitale pu
garantirci [garantirsi ?] che altre adeguate forme di comando non subentrino
alla moneta. Ma ci che qui estremamente interessante notare, che, nel
momento nel quale la funzione del comando monetario viene meno, gli aspetti,
certo non esclusivi e comunque non secondari, progressivi della funzione
monetaria, - sono ora fatti propri dal soggetto del lavoro. Voglio dire che
quelluniversalit di comunicazione e di movimento, quella mobilit e quella
leggerezza che il danaro impone agli uomini e alle merci, - ed in tutto ci
consistita unenorme spinta progressiva per lumanit - bene, tutto ci
conquistato direttamente ed immediatamente dai soggetti produttivi. Nella
stessa misura in cui il capitale distoglie dal denaro la funzione immediata,
diretta del comando - il capitale oggi propone comando in termini militari e
terroristici. Sicch uno dopo laltro una serie di elementi di libert si
accumulano sul soggetto del lavoro: ma su di esso si condensano nella misura
in cui, dallaltra parte, il controllo, il comando, il capitale, estremizzano
lesercizio del potere e ne portano la disponibilit direttamente sullalternativa
fra lessere e il non essere. C una nascente metafisica che si mostra in maniera
opposta, antagonista, per il lavoro e il capitale: ora, quanto pi si determinano
sviluppo e modernit, tanto pi questo antagonismo perviene all alternativa
103

dellessere e del non essere, perch a questo punto al lavoro del soggetto dato
il rapporto con lessere in maniera esclusiva, mentre al capitale dato, in
maniera sempre pi stringente, il non essere. Dunque, ogni qualvolta il processo
complessivo avanza, noi ci troviamo di fronte ad un allargamento di questa
alternativa. Ogni qualvolta matura la grande capacit produttiva del soggetto del
lavoro, tanto pi la biforcazione si scandisce e si approfondisce. Siamo
nellepoca nella quale questa scissione, prodotto della crisi, del suo
superamento, delle lotte e del loro futuro, tesa al massimo dei livelli.
Nellosservare tutto questo, abbiamo nuovamente affrontato il tema della
simulazione astratta, per quanto concerne il controllo dei meccanismi di valore.
Altrove abbiamo chiarito come i meccanismi di valore si configurino oggi sul
terreno della circolazione sociale, meglio, in forma collettiva; e come, mentre
impossibile riferire allindividuo la determinazione del valore, questa si pu
costituire attraverso il lavoro di soggettivit collettive. E interessante allora,
sulla base del ragionamento che abbiamo fin qui condotto, aggiungere qualche
considerazione su come il rapporto fra astrazione e comando venga
disgiungendosi. Vale a dire che nella misura in cui lastrazione diviene sostanza
del soggetto ed il comando tende ad essere unico elemento caratterizzante del
potere contrapposto - bene, in questo caso noi ci troviamo di fronte ad
unoperazione con una immediata valenza etica. Vale, ancora, a dire che il
valore direttamente implicate in questo processo e che il processo stesso
mostra una immediata divaricazione. Cos da un lato, a questo livello dello
sviluppo, il valore strappato alla forza-lavoro individuabile e riproposto come
figura dellinsieme collettivo delle attivit sociali. Daltro lato, invece, ecco che
il simulacro diviene pura e semplice falsit, ipocrisia, ideologia. Esso puro
comando, non contiene pi lallusione al valore, non pi neppure
mistificazione. E violenza diretta, tanto folle, vuota ed assurda quanto lo il
comando di un despota. La simulazione non essere, paranoia,
autoproduzione fantastica, espressione esasperata di un comando esasperato... Il
lavoro del soggetto il contrario di tutto questo. Questa simulazione potrebbe
definirsi come il lavoro delloggetto: morto e cieco. Se dal lavoro del soggetto
siamo risaliti al soggetto del lavoro e questo abbiamo collocato su un territorio
di libert, - simulazione , assieme alla negazione del valore, negazione del
lavoro, della sua territorializzazione e della sua libert.
5. Compact: fra diritto e rivoluzione.
Ci siamo fin qui mossi dentro la materialit dei rapporti sociali e la loro
immediatezza - che pur abbiamo trovato piena di senso. Ma questi rapporti
vanno portati al pieno del loro significato, vanno dipanati e riguardati come
elementi di coscienza. Questo compito urgente: gi sul terreno dellestetica
104

trascendentale lo sviluppo dei rapporti sociali si mostrato come precipitazione


verso un orlo dellessere che noi abbiamo considerato aperto al nulla
dellessere. Ora, appunto su questorlo, che la nostra necessit di rendere
coscienti, e con ci desiderabili, prevedibili, costruibili i rapporti sociali, si
pone con estrema intensit. Questa necessit, sulla base dello sviluppo della
coscienza, viene dallinterno dei rapporti sociali - questinternit inoltre
definisce come urgente il compito di sviluppare il processo di presa di
coscienza, anzi, esalta la pertinenza dellimpegno. E un cammino che viene
dallinterno dellimmediatezza: qui si dimostra come assolutamente inutile la
mediazione, la presa di distanza che un controllo sulla genesi dei processi che
ci interessano - qui si rivela come vuota la pretesa totalizzante del controllo,
della previa astrazione e separazione dei valori che comandano lesistente.
Questi valori sono ricchi. Il reale comprende, nella sua lussureggiante figura, un
sottobosco in cui i valori si riproducono, contraddittori ma ricchi. Il sottobosco
dei valori la loro enorme potenza. Il cammino che attraversa la realt, per
promuovere in essa gli elementi di innovazione, di potenza e di creativit, non
quindi (e non pu essere) una mistificata, previa e preconcetta selezione di
valori - esso si distende ovunque - la vocazione alla cucitura, al collegamento,
allarticolazione del valori. Insomma, siamo al limite inferiore della dialettica
trascendentale ma questa dialettica trascendentale non scende da unanalitica
qualsiasi, deriva invece direttamente dallinterna articolazione dellestetica
trascendentale e di questa spiega la densit ontologica, trasformando quelle
premesse in strumenti di conoscenza pi generale e di fondazione delletica.
Questa deviazione del cammino prepotente - lanalitica un fondo inerte della
conoscenza e un residuo morto ed antagonistico (antagonistico in quanto morto)
della coscienza. Solo questa denuncia, questa dichiarazione, gi allinterno del
minuto meccanismo dellessere singolare, ci indicano linteriorit della scelta questeterno Cartesian o Socratic dubbio - nellimmediatezza.
Una dialettica trascendentale, dunque, che non sia una teoria della
mediazione ed una conseguente pratica cosciente dellimmediatezza: eccoci a
fronte di questo compito e delle sue condizioni. Meglio, le condizioni sono
presupposte, si tratta di sviluppare il compito. Noi dunque muoviamo
dallinterno del reale, dellimmediatezza - vogliamo costruire, ed immaginiamo
tutti i passaggi e gli strumenti che possono permetterci di costruire veramente il
mondo. Dialettica trascendentale diviene cos linsieme degli strumenti che
permettono la realizzazione dellimmaginazione vera - di quellimmaginazione
che tenta di raggiungere e contenere e modificare strati della realt.
Unimmaginazione creativa. Abbiamo visto come la rete che chiude lorizzonte
dellesistenza, sul terreno dellestetica trascendentale, possa essere strappata
quando la sua coerenza posta a fronte degli antagonismi elementari che la
105

dominano - ora, appunto su questo strappo che si apre la speranza


ricostruttiva... Che contenuto di violenza esistenziale prevede la costruzione di
un orizzonte etico, una prospettiva etica di ricostruzione! Non certo qui luogo
di pensiero debole: il pensiero forte, energumeno - ricerca di toccare la terra
per averne tutta la sua forza. N pensiero debole quanto segue a questatto di
rottura: un venire avanti progettando, mettendo allopera schemi di conoscenza
possibile, collegando momenti empirici e pulsioni ideali. Induzione, ma
intrecciata alla deduzione - induzione profonda, quindi, alla Peirce, andar
cercando e costruendo, secondo ordini che abbiamo trovato allinterno della
nostra esperienza empirica... Ma questo andar per tracce, non pensiero debole,
di nuovo: inseguire le linee interne dellessere, uno sforzo ontologico.
Con ci cominciamo ad entrare nel merito di quello che pi propriamente qui
ci interessa. Rispondere cio alla domanda: come pu organizzarsi linsieme di
pulsioni etiche che ci permettono di costruire il rapporto sociale e di
controllarlo nel suo distendersi temporale? Che cos una dialettica
trascendentale dellimmaginazione vera?
Ora, quello che su questo terreno noi sempre di nuovo ci troviamo davanti
il tentativo di chiudere in formulazioni analitiche il processo costitutivo della
realt sociale. Questo tentativo di bloccare la fantasia creativa e il suo rapporto
con linnovazione reale va sempre battuto. Vale a dire che nello svilupparsi del
punto di vista costitutivo deve risiedere sempre uno spunto antagonistico che lo
individua. Ma questo spunto antagonistico non solo individua, singolarizza,
esso pone anche il problema di come, fra queste differenze necessarie, possa
svilupparsi punto di vista costitutivo. Problema: il modo nel quale essa possa
determinare
la
prospettiva
della
ricostruzione,
dello
sviluppo
dellimmaginazione vera: anzi, questa forza di rottura aumenta ed ingigantisce
le differenze e dilata le difficolt.
Ma perch diciamo questo? Non vero, al contrario, che il contesto delle
differenze il contesto della ricchezza dellesperienza? E che un processo
costitutivo deve di conseguenza provarsi essenzialmente e soprattutto su questo
terreno? Il punto di vista costitutivo quello della costruzione interna del
disegno innovativo, in ogni momento della nostra vita e della nostra esperienza;
la costituzione si presenta come un processo umano, sempre aperto, sempre
enormemente potente. Quando consideriamo tutto questo, percepiamo allora
che la dialettica trascendentale della ragione si rappresenta qui, realmente, come
dialettica ontologica fra singolarit, autovalorizzazioni, insorgenze di
movimento, - e questo nella figura della differenza. E un processo del tutto
formativo, che plasma la realt, che soffre delle sue durezze ma che, nel
contempo, di quegli antagonismi fa un momento propulsore. In fondo, il
106

rapporto fra autorganizzazione e autovalorizzazione, e la stessa dialettica che


fra queste funzioni si esercita, ritrova in questo formare, in questo processo
continuo, la sua ricchezza. La sua articolazione e la sua potenza. Potenza in
effetti questo rapporto continuamente aperto. Il disegno costitutivo la
creazione che il sapere e la volont esprimono, raggruppando e trasformando gli
oggetti e gli uomini e il loro rapporto reciproco. Tutto questo avviene dentro
quellarea di sostanziale omogeneit che lambiente determina - ogni punto di
vista ha una dimensione ecologica cui riferirsi, laddove per ecologia riteniamo
linsieme di tutte le forze che costituiscono lambiente, - fisiche, morali,
storiche.
E qui, dunque. che il discorso si fa esplicito: poich pone attraverso
linteriorit ontologica, la necessit di riferimento, da una parte di questa
potenza ontologica, allesteriorit dellessere. Dobbiamo muoverci [muoversi ?]
dentro lesteriorit dellessere: la capacit critica consiste in questo, in questo
aver portato il pensiero e lesperienza fino alla loro esteriorit. Ora, si tratta di
far incontrare ci che percorre cammini diversi e vedere come possa, se non
accordarsi, certo trovare la maniera di convivere - ma soprattutto si tratta di
porre il problema di come le compresenze ontologiche, le contemporanee
differenze possono costruire, attraverso il rapporto, nuovo essere, nuova
potenza.
Il pensiero sul diritto ha sempre questo vantaggio, fra le varie forme di
pensiero dellessere: ed quello di proporsi lesteriorit, vale a dire il massimo
della potenza dispiegata. Perch infatti, diversamente da quanto possano
pensare i kantiani e tutti coloro che del diritto danno unimmagine banalizzata
nella sua esteriorit, - ecco invece lesteriorit divenire dignit ulteriore del
pensiero e massimo punto di creativit, nel momento stesso nel quale essa si
presenta come incontro di differenze ed articolazione, terribile e drammatica, di
esse. La parola << Compact >> ci piace molto, in questo senso. Essa definisce
ogni diritto come diritto federativo - essa scontra il giacobinismo in tutte le sue
articolazioni, avendo, del giacobinismo, conosciuto preventivamente ogni
possibile perversione. Essa mostra le differenze allopera nel costruire lambito
normativo della convivenza, della collaborazione, della costruttivit sociale senza nascondere come questambito sia anche, e comunque possa essere,
quello della dialettica distruttiva, fino allultimo antagonistica e feroce. Il diritto
non nasce dallattualit della pacificazione - nasce solo dalle condizioni di <<
compact >>, dalla possibilit di una pacificazione, meglio, di un passaggio in
avanti del contrasto fra forze sociali, fra le soggettivit antagonistiche, che sia
tale da arricchire lintero ambito della conoscenza e dellinterazione umane. Su
questo termine << compact >>, sul contenuto federalistico e nello stesso tempo
107

fortemente dialettico che esso comprende, noi naturalmente proseguiremo il


discorso: ma quello che qui, metodologicamente almeno, va sottolineato,
fortemente, il fatto che solo la differenza crea diritto, ed il suo immediato e
forte riconoscimento.
Ma occorre essere chiari. Il diritto non toglie la rivoluzione. E curioso notare
come ogni concezione realistica del diritto, spesso molto aperta e sinceramente
progressiva, veda questultimo come forma nella quale la rivoluzione si
organizza. E questo lultimo modo di togliere la rivoluzione: considerare che il
diritto la organizzi. No, la rivoluzione che organizza il diritto. Con ci il
diritto diviene normativit, tessuto nel quale si determina una trasformazione
continua degli assetti sociali - insomma, nel rapporto potente fra rivoluzione e
diritto che si formano gli strumenti della costruzione continua della dialettica
trascendentale, - tentativo di raggiungere il valore a partire dal reale, di
autovalorizzazione a partire dal fatto di consistere ontologicamente. Altrimenti
il diritto solo comando idiota, buco nero nellinsieme collettivo delle
coscienze, resto distruttivo dellesistere. Dunque, quando la totalit si oppone
alla differenza, o lo fa in quanto essa pienezza delle differenze, ed allora
rivoluzione - e conseguentemente diritto - e ancora rivoluzione e diritto, ecc. oppure la totalit vuotezza delle differenze, ed allora il diritto la forma zero
del potere, lorganizzazione della pura volont di potere spinta alla distruzione
degli uomini e della loro capacit di immaginare sempre di nuovo il reale.
Il reale un contesto di contropoteri. Il soggetto si configura come
contropotere. Meglio sarebbe dire come potenza, come contropotenza, per
definire linerenza dellantagonismo alla definizione della potenza stessa. La
potenza non solo esprime un contenuto metafisico ontologicamente originale,
essa sviluppa anche una specificit, un differenziale che nasce
dallantagonismo, dalla particolarit, dalla singolarit che la contraddistingue.
Ora in questo gioco che la rivoluzione, dopo averlo legittimato, si differenzia
dal diritto. Fra diritto e rivoluzione, infatti non c solo una differenza di
potenziale: il primo pi debole, la seconda pi forte. No, c qualcosa di pi
- ed la caduta di ogni omologia con lo stato nello svilupparsi della rivoluzione
mentre il diritto pu esistere anche in societ statali - anche se esse sono societ
di morte. Il rapporto fra la rivoluzione e lo Stato, anche se la rivoluzione passa
attraverso il diritto, invece - lo ripetiamo - di nessuna omologia. La
dimostrazione di questa affermazione va, com evidente, riportata allanalisi
ontologica. Il tema dellomologia, questo tema cos profondamente criticato ma prima di tutto posto allordine del giorno - da Foucault, bene, esso ormai
domina i nostri pensieri. Lanalisi ontologica apre alla scelta dellessere etico.
E perci che noi vogliamo distruggere ogni omologia con il passato, con quella
108

concezione del potere che ci ha imprigionato. Il diritto non toglie la rivoluzione


- ma la rivoluzione che si articola a quelle figure del diritto naturale alle quali
noi ci richiamiamo, toglie comunque lo Stato. Il reale un libero contesto di
contropoteri. Rivoluzione e diritto, se vogliono esser degni dello stesso nome,
nascono sotto la stessa coperta.
Eccoci dunque a poter descrivere lampio e variegato gioco sul quale si
esercita il << compact >> delle energie soggettive - questo terreno ampio,
dentro il quale si formano e si distruggono i soggetti, ma che mostra sempre, di
conseguenza, un disegno, un ordinamento. Questa vita del diritto e della
rivoluzione, che nasce dal medesimo movimento, dalla medesima origine, ecco, questa la linea che dobbiamo seguire. Altri lo ha fatto dal punto di vista
della genealogia della morale, altri dal punto di vista dellintreccio fra
istituzioni e volont politiche - ma nel passato, guardando indietro a quanto era
avvenuto, sia pure per averne unindicazione positiva nel futuro. Per la teoria.
Qui noi ci muoviamo sul terreno del presente. Riprendiamo quellaurea linea
teorica che stata di Machiavelli, Spinoza e Marx - la prendiamo come si
prende unarma, pronti a colpire. E la linea del sapere pratico, del sapere che
incide sullontologia, che in ogni momento opera quel miracoloso effetto che
il coordinamento tendenziale delle soggettivit quandesse siano intese alla
costruzione del reale.
E assolutamente necessario togliere di mezzo qualsiasi sospetto di idealismo,
quando si affronta questo tipo di analisi e si insiste su questa metodologia. Non
difficile comprendere che questo approccio metodologico non solo non
intenzionalmente idealistico - non lo pu comunque essere: perch la
materialit delle istanze soggettive che qui si confrontano, ad escluderlo.
Quando dico materialit delle istanze soggetttive [sic, soggettive] intendo tutto
quello che cade nel potere delluomo, ovvero gli oggetti e le idee, che egli usa.
Il concetto di prassi materialistico non perch ripeta insulse definizioni
meccanicistiche: non le ripete, infatti - ma perch comprende questo formarsi
complesso del reale come conseguenza di atti diversi, ognuno dei quali ha una
sua resistenza, una maggiore o minore elasticit, un potenziale diverso ecc. ecc.
Qui tutto si crea e si distrugge. Non ci sono avveniri diversi da quelli che
luomo costruisce, collettivamente, per se stesso e per la propria collettivit.
Quando risalgo appunto a quellillustre tradizione alla quale mi richiamo - a
Machiavelli, a Spinoza e a Marx - ai quali posso aggiungere alcuni nomi della
filosofia contemporanea e, di nuovo a mezzo fra la modernit ed il presente, il
ricordo del mio eroe Leopardi - dunque, in questo quadro io allontano non dico
laccusa ma solo il sospetto di idealismo. A meno di non considerare il
materialismo come, ero giovane, alcuni marxisti di scuola sovietica lo
109

intendevano: un catechismo per bambini scemi!


Mi sembra che quanto sono venuto fin qui dicendo, sia da tempo consolidato
in un sapere che si intende quale prodotto di movimento, cio di un processo
collettivo, di trasformazione. Ma ecco, di nuovo, qui vicina, una obiezione
seria: di quale diritto, dunque tu parli? Non hai sempre considerato, nelle tue
precedenti opere, ed in consonanza marxista, il diritto e lo Stato come
equivalenti? Ed ora come puoi dimostrare che il diritto rivoluzione e non
Stato?
Ora, non per gioco che ho fin qui, nei capitoli che precedono, tanto insistito
sul rapporto fra livello ontologico e livello storico, che ho tentato di spiegare
come lautorganizzazione venga prima e non dopo dellautovalorizzazione. Non
per gioco che ho tentato di far capire come un nesso ontologico o comunque
un momento di ordinamento interno della coscienza, non solo non siano opposti
ma centrali nellorganizzazione del movimento esterno della coscienza e nella
stessa formazione delle soggettivit. Ora, detto tutto questo, e inserita, come
fosse un segno di caratterizzazione profonda, la legge dellantagonismo nel
mezzo dello stesso meccanismo dellindividualismo, il diritto sembra possa
essere recuperato al pensiero rivoluzionario. Come? Forse quel diritto del quale
tutti abbiamo subito la pazzesca idiozia e volont di repressione? Larbitrio e il
gioco al massacro, la simulazione e la ferocia della condanna? No, non di
questo che si parla - si parla invece della possibilit-necessit di far nascere un
diritto come ordinamento aperto e vivace, vivente e forte, dallinterno del
processo rivoluzionario, dallinterno del processo di distruzione della rigidit
burocratica del mondo che conosciamo. Un diritto completamente impiantato
nella libert collettiva - un diritto mai vendicativo e sempre aperto alla gioia
dellinnovazione.
Non vorrei pi usare la parola diritto. E una parola sporca, una parola che
sporca alcune delle realt che descrive. Intendo, le realt nuove. Un
ordinamento che nasca dalla vitalit collettiva e che si formi sullurgenza di
distinguere lessere dal non essere, la violenza distruttiva da quella creativa - un
diritto siffatto lo abbiamo spesso conosciuto e, quando lo abbiamo conosciuto,
lo abbiamo amato. Ora, noi vogliamo seguire questa strada che abbiamo
indicato e riconoscerla. Coordinamento di soggettivit, coordinamento
tendenziale, - abbiamo detto. Sia chiaro: nulla precostituito, tutto aperto,
giocato in quanto giocabile attraverso mille tendenze. Che cosa significa
allora coordinare, che cosa significa tendenza? Per rispondere non possiamo che
riportarci a quanto abbiamo pi volte ripetuto - e cio che una sorta di
condensazione quella che, in maniera centripeta, si forma nello sviluppo delle
forze soggettive che costituiscono le singolarit rivoltose, sovversive, cariche
110

della dignit dellessere e della liberazione. Che poi una specie di catastrofe si
scatena, e su questa catastrofe di tutti i sensi finalmente si inquadrano
nuovamente le figure dellessere. Nuove composizioni si danno. Nuovi
orizzonti si definiscono. La genealogia ritornata ad essere cosmogonia meglio, cosmologia, ma dentro, per un mondo che completamente e
definitivamente astratto: tra questa astrazione, non come mediet bens come
tendenza materiale e sempre di nuovo costruita, e sempre di nuovo verificata, il
movimento del mondo va compiendosi. La sua ontologia a posteriori, non
esiste per essa necessit metafisica - ma ben vero che una volta formatasi essa
assume la verit dellanalitico. Senza esserlo, negandolo. Analitico a posteriori.
Eccoci dunque al termine di queste pagine e dello sviluppo di questa
tematica. Abbiamo visto quanto il concetto di << compact >> ci possa
concedere in termini di ricchezza e di utilit sistematica. Fra diritto e
rivoluzione noi veniamo cos raccogliendo gli elementi fondamentali della
nostra ipotesi. Essa riconquista la metafisica per porla in prime piano sul terreno
materialistico e ateo dellanalisi - sul terreno soggettivo della costruzione. Il
senso della costituzione si traduce nel reale. Nelloperativit grandissima delle
mute e mille energie che allinterno di esso si formano e si sviluppano. E un
fiume quello che ci corre davanti: ma noi sappiamo che potremmo essere dentro
ogni singola corrente che questo fiume, infinitamente, compone. Lo abbiamo
visto nella nostra esperienza rivoluzionaria, ogniqualvolta labbiamo vissuta
onestamente. Labbiamo visto nella storia dei processi rivoluzionari e
soprattutto nella formidabile avventura leninista e maoista. Ora, e forse in
maniera pi importante (dellorgoglio della ragione occore [occorre?] andar
fieri, se vero che per esso lEden fu perduto) - ora dunque, queste gigantesche
esperienze noi possiamo raccoglierle in uno schema ideale. Erasmo viene prima
di Lutero. Melantone viene dopo: mi trovo ad essere lun laltro, al servizio di
un Lutero eterno.
6. Il concetto di pratica sociale.
Siamo cos giunti al termine della nostra ricerca. Essa s mossa da una
fenomenologia del presente che ci ha mostrato come noi fossimo costretti a
vivere un reale, completamente trasfigurato dallo sviluppo del capitalismo. E
stato difficile riconoscersi li dentro - siamo stati risucchiati in una circolazione
dalla quale non riuscivamo a liberarci ed i paradossi che immediatamente
apparivano, ecco, essi pure erano per noi elementi di prigione e non momenti di
liberazione. La prigionia dellesperienza era nello stesso tempo prigione
linguistica - la filosofia contemporanea si sviluppa in questo senso, raggiunge
questi formidabili limiti - sono i limiti di unillusione che non sa rompersi e non
possibile andare oltre a riconquistare il reale. Ho vissuto questo sviluppo nel
111

mio pensiero, - assieme alla mia generazione, alla mia epoca. Marx ci ha
mostrato, nello sviluppo del capitalismo, quello che Wittgenstein ci ha mostrato
per lo sviluppo della filosofia borghese: la sussunzione reale, dove il linguaggio
diviene la gabbia sociale che tutto comprende, e non c possibilit di romperla
n di cogliere di l da essa un reale vero, un terreno su cui posare i piedi, una
base che ci strappi allirruenza del fiume della circolazione.
Eppure, sul limite estremo di questorizzonte, al quale pure eravamo
obbligati, ma non solo, schiacciati piuttosto, legati su questo limite, ecco la
crisi mostrarsi in termini estremi, - non la nostra intelligenza che ci porta di l
del reale, n il nostro desiderio - vorrebbero: ma solo la violenza del reale, in
questo caso, della contraddizione, dellestremo antagonismo, vi riesce. Questo
mondo chiuso e disperato nel quale ci siamo trovati a vivere, nella figura del
quale lintera storia del razionalismo occidentale si chiude - mostra un limite
nel suo proprio cuore. Questo limite, lo sviluppo ci mette dinnanzi: la scelta
fra lessere e il non essere, fra il continuare ed il finire - la scelta della vita o
della morte. Insomma, v un punto, dentro la circolazione totale
dellirrazionale, che sfugge alla circolazione, alla mistificazione che in essa si
rivela - il punto sul quale una scelta diviene possibile. Quel mondo che si
sempre nuovamente composto davanti a noi, fino al punto nel quale la
composizione sociale e la stessa composizione di classe, si sono mostrate come
prigione, quel mondo dunque ora viene rovesciato: deve essere scelto, quel
mondo, perch la sua conclusione la morte. Ma laddove vi morte, l c
anche la possibilit per la vita di riapparire. Essa deve riapparire, come
alternativa. La vita non la troviamo pi - laddove la troviamo. Essa gettata
allirrazionalit ed alla possibilit di morte - la vita non la ritroviamo, bens la
ricostruiamo. Questo paradosso il termine della nostra vita passiva, del nostro
subire. E linizio del nostro desiderio, della vita attiva. Il principio della pratica
sociale si determina solo a questo punto. La pratica sociale, nasce, si mostra, in
primo luogo, come scoperta della tessitura ontologica della costituzione sociale.
Nella crisi che lo sviluppo della razionalit occidentale ci ha proposto, noi
scopriamo che la costituzione, che il principio costitutivo dunque, precede la
composizione dellessere, la sua datit. Lessere quello che noi vogliamo, che
noi accettiamo essere. E ci, almeno nel momento pi mostruoso
dellesperienza collettiva, e cio laddove la scelta diviene esplicita fra la vita e
la morte, fra lessere e il non essere. Il concetto di composizione porta con s la
pregnanza di una relazione dialettica, di un fare soggettivo - ma non ha la
potenza formativa del costituire, e la complessit della composizione deve
perci dissolversi nella felicit della costituzione, nella serie di rapporti
innovativi, nella radicalit che questa ci mostra. Eccoci allora nel mezzo di
questo cammino costitutivo - il principio della pratica sociale, che qui
112

dobbiamo solo definire, il principio creativo: un cogliere, analizzare e


percepire, formare e sviluppare, costruire e seguire quelle linee che la volont, il
sapere, il desiderio costituiscono. Immediatamente.
Mille obiezioni vengono opposte a questa determinazione. In particolare la
mentalit metafisica insegue sempre il reale, non per costruirlo, non per
identificare regole e situazioni nelle quali il processo della datit e della
passivit possa essere invertito, - al contrario, sempre la metafisica ci rinvia, di
mediazione in mediazione di ipotesi in ipostasi, a quel sostrato cieco e violento,
sul quale lessere inutilmente ripete una vuota identit. Il principio della pratica
sociale la negazione di tutto ci. E il punto sul quale, poco o moltissimo - ma
quasi sempre poco, un frammento, una traccia, eppure un elemento creativo -
creato. La pratica sociale nasce su questo limite, ed qui che essa mostra
quanto sia incontenibile questa sua pochezza: un atto di resistenza, di rivolta, di
gioia, un atto intrattabile - lessere che appare, e distrugge ogni blocco ed ogni
compiacimento della miseria. Un atto che costituisce, un atto che mostra che la
pratica ci pone effettivamente sul terreno della prassi costitutiva e che in ci
lessere raggiungibile e plasmabile. Il mondo della costituzione ci si rivela a
questo punto come qualcosa che davvero non pu essere mistificato. La
scoperta alla sua base, di un concetto di azione, la scoperta che lessere
fondato su unoperazione etica, tutto questo ci mostra il mondo della
costituzione come un mondo che segnato dal correre di fili magicamente
costruttivi. Cartografie etiche, tessiture ontologiche, filature di atti, di
operazioni dellessere e dellazione etica, insieme.
Questontologia etica ha le caratteristiche di un orizzonte ecologico. Noi ci
troviamo dentro, e di essa conosciamo gi laspetto molteplice e le molte vite e
le molte variazioni, e i fili che a percorrono e che ci permettono di orientarci.
Siamo in essa immersi come in un mare vasto, del quale conosciamo molte
articolazioni. Ma sempre di un mare si tratta - se vogliamo trasformarlo appieno
in macchina controllabile, se vogliamo compiere questopera difficile ed
onerosa, allora dobbiamo accettare di muoverci in esso... fino al riconoscimento
dellimpossibilit di mettere questa macchina in nostro possesso.
Lappropriazione un processo che non riesce a farsi macchina risolta. La
macchina sempre irrisolta. Lo sfondo ontologico, che pure costituiamo, non si
fa afferrare. Lontologia unepistemologia - ma unepistemologia solo
dellattraversamento - lessere ecologico non pu essere afferrato. Un
attraversamento. Lepistemologia qui si segnala come una tecnica che solo a
posteriori comprensibile. Procediamo nellessere - solo segni, tracce, sintomi,
quelli che afferriamo - essi si aprono verso tendenze, che si aprono a loro volta.
Verso dove? Anche queste tendenze non sono definitive - la struttura ecologica,
113

in maniera caratteristica, reagisce come insieme di tendenze, sensi, e


diramazioni - fino al punto in cui un nuovo equilibrio viene formandosi - ma
anche questo, e queste macchine che lo esibiscono, e in generale queste
stabilizzazioni del movimento dellessere, non sono preformate. Perch
lecologia non uno stato, un soggetto dinamico.
Ma come? Come possiamo rompere questa situazione nella quale la pratica
sociale presa dentro le mute antinomie e dentro le mille vegetazioni
dellontologia della trasformazione? Ci siamo riconosciuti come partecipi di un
orizzonte teorico e pratico autoreferenziale, di una fenomenologia chiusa, di
uninsensatezza fondamentale - attraverso la percezione di questinsensatezza, e
del dolore che ne segue, abbiamo posto la domanda sulle condizioni di questa
realt, e del suo rovescio. Come possiamo, ora, dare allatto costitutivo che
elemento di rottura del labirinto, di vendetta contro Babilonia, come possiamo
dunque fissare una ragione della << pratica della pratica >>? Dico della <<
pratica della pratica >>, perch alla sola pratica gi concesso il vivere e il
costituire - ma insensato. Esiste, e come si definisce, una << pratica della
pratica >>, che ci permetta di rompere la volgare meccanicit di questuniverso
che ci chiude?
Il concetto di pratica sociale un concetto di pratica della pratica. E concetto
di una decisione, di una scelta, di un passo in avanti decisivi. Qualcosa che ha
lintensit di un atto religioso, di unoperazione orgiastica. La pratica della
pratica la costruzione della pratica, il possesso indiziario ma efficace della sua
macchina, latto di innovazione ontologica. La pratica della pratica, e cio il
concetto completamente dispiegato della pratica sociale, un surplus
ontologico che noi aggiungiamo allorizzonte del mondo. Certe volte non so
spiegarmi: questo il caso. Sono davanti ad un momento di modificazione
dellessere che non pu essere concluso nel rapporto fra le mille determinazioni
del divenire. Qui il rapporto fa un << piccolo salto >> in avanti - e si
arricchisce, in maniera straordinaria. Qui il principio della pratica sociale, della
pratica della pratica, cio della riflessione del fare su stesso, si fa principio del
soggetto. Il lavoro la pratica, la pratica che si spinge su se stessa. Il soggetto
la consolidazione del lavoro. Ed e cos che questo innova: costruendosi,
costruendo, trasformando il reale in sempre nuovo reale. Non so spiegarmi con
me stesso, perch questo progredire un processo indefinito e senza limite sempre verso una comprensione maggiore, - che mai sapr darmi un concetto
belle fatto e mettermelo fra le mani - riuscir tuttavia a darmi una capacit
sempre maggiore di comprendere. E di costruire. E di desiderare. Questo
modificarsi una pratica, una pratica inflessibile, una spada conficcata nel
tempo, garantita dallessere, dalla modificazione che sempre procede e
114

costruisce: costruisce essenza. Il processo dellontologia si modifica.


Lontologia viene dopo, il prodotto dellessere vivente. Lontologia non pi
un presupposto, ma un prodotto. Prodotto della pratica, prodotto della
soggettivit.
Questa conclusione epistemologica: vale a dire che nel principio della
pratica si forma qui lontologia della conoscenza. Ma perci stesso questo
principio non concluso: possiamo e dobbiamo parlare di inconclusivit
delletica - lontologia, noi la formiamo, ma la formiamo solo nella misura in
cui continuiamo a formarla, a costruirla, a fissare criteri di direzione e di
dinamicizzazione etiche. Letica conclusa. Essa costruisce essere stendendosi
in un tempo reale, infinito nella sua estensione, nella pluralit che lo costituisce,
ed indefinito nella sua durata, nella susseguente riapparizione [riparazione?] di
mondi, di orizzonti, che forma il suo incedere. Ed allincrocio di questo
meccanismo, di determinazione ontologica e indefinitezza etica, che si forma la
singolarit, - singolarit dellevento e del soggetto, singolarit dellatto e del
sostrato. La pratica della pratica consolida il principio del soggetto solo
astrattamente: concretamente, singolarmente, questa pratica costitutiva
attraversa mille emergenze e fissa mille precipitazioni di eventi. E una rete di
antagonismi, reali e storici, di discriminazioni, logiche ed etiche, quella che si
forma dentro questo incedere dellessere. Lessere si forma in maniera continua,
instancabile - la sua formazione non altro che un continuo sovrapporsi di strati
dinamici, una meccanica di argomenti e di alternative, che si conclude, di volta
in volta, su singolarit specifiche. La pratica sociale diviene costituzione del
soggetto, in termini propri, in termini veri, solo quando attraversa questa grande
quantit di occasioni ontologiche, di singole costruzioni ontologiche. La pratica
della pratica, la riflessione della pratica su se stessa, diviene elemento definitivo
nella storia dellontologia, nella genealogia dellessere, solo quando si
accompagna ad una specie di sovrabbondanza nella costruzione di infinite
sintesi, mai concluse, di singolarit, - sintesi aperte su ogni lato, e su ogni lato
debordanti.
Di nuovo insorgono difficolt di descrizione - meccanismi di rottura si
accompagnano ovunque allo sviluppo dellepistemologia costitutiva - di fatto,
non riusciamo a fissare delle leggi generali - ogni omologia costitutiva tolta noi riusciamo solamente ad esaltare la singolarit e a considerare la singolarit
come elemento che non pu essere racchiuso in sequenze rigide. Si sviluppano
tipologie costitutive - questo il massimo dello sforzo sistematico cui possiamo
accedere. Tipologie costitutive che ripetiamo sulla base dellanalogia empirica,
e non sulla base di qualche criterio di scientificit. Quella rottura che il
principio della pratica della pratica ha innanzitutto cercato, per definire se
115

stesso, noi la ritroviamo ora come un dato - un dato che qualifica le tipologie, le
distingue luna dallaltra, determina - insomma - ogniqualvolta una singolarit
nata - un rinnovamento del senso dellindefinitivit del cammino della pratica.
Il momento di determinazione ontologica anche quello sul quale
lindefinitivit del cammino etico si propone. La fissazione epistemologica
delloggetto definizione dellinconclusivit etica del soggetto.
La pratica della pratica sociale: cos anche questo continuo ritorno che la
pratica costretta ad operare su se stessa. Nelloscillare fra certezza
epistemologica e inconclusivit etica, la pratica costretta a piegarsi
continuamente su se stessa, a riflettere. Riflessione della pratica su se stessa:
non dunque un principio idealistico, n un principio di autocoscienza o
solamente di critica o autocritica - riflessione della pratica su se stessa pratica
della pratica, un fondare essere e un prenderne le distanze, ma solamente in
maniera pratica, e cio attraverso la continua costruzione di essere, di nuovi
scenari teorici e di nuove prospettive etiche dellagire ontologico.
Perch allora non chiamare semplicemente rivoluzione questo movimento
della pratica che costituisce essere, nello stesso momento in cui riflette su se
stesso e propone uninstancabile e obbligata continuit del processo? Fra limiti
e superamenti, che non hanno senso unitario ma solo determinazione e senso
singolare? Perch allora non chiamare semplicemente rivoluzione la pratica
della pratica, il concetto della pratica sociale?
Per rispondere a questultimo quesito - ultimo nellordine della nostra ricerca
- occorre rispondere che il concetto di rivoluzione stato spesso confuso con
operazioni politiche di dubbio senso e che spesso si sono intrattenute sulla pi
screditata superficie della storia. Noi siamo disposti a riprendere il termine
rivoluzione solo se riusciamo a ricondurlo al significato ontologico della
locuzione. Rivoluzione: accettiamo il termine solo se esso ci indica una
modificazione della sostanza profonda del tempo storico, una trasformazione
delle anime, una mutazione dei soggetti. C un punto di equilibrio, nella
definizione del concetto di rivoluzione, - un punto di equilibrio ontologico che
troviamo piazzato fra il senso del tempo lungo di Tocqueville e il principio di
salto qualitativo, di catastrofe storica, che di Lenin. Entrambe queste tendenze
toccano la dimensione profonda dellessere, - e non nostra labitudine di
distinguere specie, raffinate o meno, dellessere. Lessere lessere. Non
feticizziamo il tempo lungo o la catastrofe: entrambi possono intervenire in
maniera rivoluzionaria sullessere, - questeffetto che ci interessa,
questirriducibile qualit che ci piace. Ora, dunque, il problema solo quello di
strappare al concetto di rivoluzione le connotazioni estremistiche, utopiche,
politicistiche, che contiene. Di rendergli le caratteristiche storiche, profonde,
116

innovative, di mutazione, che possiede.


Pratica della pratica diviene allora allusione a questevento dellessere.
Rivoluzionario dunque ogni atto della conoscenza che modifica i rapporti di
potere, esprimendo potenza ed innovazione. Linnovazione dellessere si
realizza laddove la potenza la vuole. La relazione fra potenza delle singolarit,
lavoro del soggetto ed innovazione dellessere , come sappiamo, non lineare
ma certamente esistente. Noi non possiamo descriverla in maniera definita, non
possiamo ricondurla a motivi astratti - ma possiamo viverla. Quellevento
dellessere che chiamiamo pratica della pratica, principio rivoluzionario della
pratica sociale , pi semplicemente, rivoluzione - dunque una testimonianza
continua e comune della nostra appartenenza allessere collettivo, e sua
trasformazione, sua mutazione. Lalternativa si alza, fuori della continuit
indifferente della circolazione dei valori assoggettati dal capitalismo, e
questalternativa si fa creativa. Creativa di altro essere. Basta che passi nella
coscienza, questo principio di mutazione, in una coscienza - di l, da questa
ricchezza discende allora a rivoluzione.
Ritorniamo, ricollochiamoci nel paesaggio che ci stato offerto allinizio
della nostra ricerca. Un orizzonte nel quale tutto circolava e lepistemologia
lineare di un comando astratto sostitutiva senza posa, al presente ed alla sua
pesantezza, orizzonti insignificanti e funzionali. Abbiamo attraversato
questorizzonte - lo abbiamo riconosciuto - abbiamo scoperto che, malgrado la
sua atroce crudelt, questo orizzonte costituiva la nostra seconda natura. Dentro
la dislocazione che con ci si determinava, era a noi dato, tuttavia, scegliere.
Meglio, lottare. Lo abbiamo fatto. Abbiamo scelto se accettare o no che la
seconda natura - dentro la quale, comunque, la nostra energia vitale e le nostre
capacit costruttive erano moltiplicate - restasse nelle mani del vecchio potere,
fosse assoggettata allinerzia dellantico potere. Un potere che annullava
lessere, che ne riduceva ogni qualit allindifferenza ed ogni tempo a zero
Abbiamo rifiutato. Nel rifiuto sta la nostra dignit. Nellapprofondimento del
rifiuto, nel ricominciare la nostra bellissima via attraverso lessere, nel ritorno
allessere, al senso della mutazione, sta principio di rivoluzione. La pratica della
pratica sociale lo rinnova.

117

PARTE III
Fra catastrofe e ricostruzione.
Appendice.
1. Erkenntnistheorie. Elogio dellassenza di memoria.
Lascia stupiti literazione della dichiarazione che il 68 morto. Per non dire
del 77. Linformazione di regime recluta suoi funzionari sulla base di
unesplicita vocazione: far il becchino, quindi il giornalista politico, ecc. Il
paradosso si ingigantisce quando si avverte che la memoria esistente del 68 e
del decennio successivo ormai solo quella del becchino. Il rinvio a giudizio
del 7 aprile memoria del becchino: la cerimonia (ma ci si deve allo scarso
gusto degli autori) ha poi il grossolano fasto del funerale meridionale. Avrebbe
potuto essere pi elegante. Peccato!
Forse per questo il proletariato metropolitano, da Berlino a Brixton, da
Napoli a Zurigo, da Amsterdam a Varsavia, conosce la realt ed rivoluzionario
secondo dispositivi che la memoria non gli ha consegnato.
Quello che mi interessa dunque la mancanza di memoria. Come possano
esistere un sapere rivoluzionario - ed esiste - ed una teoria della conoscenza su
questo terreno - teoria che effettuale - fuori dalla memoria storica del
movimento, indipendentemente dalla sua continuit e dalle sue cesure e dai suoi
problemi? La mancanza di memoria: la pongo a problema.
***
Si potrebbe cominciare col dire: quello che era volontario si fatto
fisiologico, senza che la trasformazione sia stata mediata dalla memoria, da una
qualsiasi continuit pi o meno cosciente.
La storia si fatta natura, seconda natura, - cos come avviene sempre sulla
trasformazione della composizione di classe. E una ipotesi: ma non spiega lo
specifico del nostro problema, che quello della mancanza di memoria, non
quello della pura e semplice trasformazione. Lepistemologia borghese e quella
socialista conoscono questo passaggio dalla storia alla natura, alla seconda
natura della composizione di classe trasformata, e lo tematizzano attorno al
concetto di organizzazione del lavoro e di trasformazione dei rapporti di
produzione. La sequenza << lotta di classe / ristrutturazione capitalistica /
nuova composizione proletaria / nuovo dominio >> rappresenta la pi astuta
descrizione del processo.
Ma in questo caso, nel caso di mancanza di memoria, non serve. Infatti, nel
quadro dellepistemologia borghese e socialista, la dialettica di spinte e
controspinte, di lavoro e conoscenza, indistricabile: una termodinamica di
118

evoluzione, da stato di equilibrio a stato di equilibrio, sottesa allo schema


esplicativo. Dialettica / storicismo / metafisica. Se luno si divida in due o il due
ritorni allunit: da Platone a Ciu En Lai la possanza dellargomentazione s
riposata in questa miseria di alternative: in realt, di equivalenze. La chiave
dellambiguit sempre nella memoria. La dialettica memoria. Un filo nero di
coscienza la percorre.
Affabulazione del passato, consolidamento di discipline, lavoro, comando. Il
tempo azzerato dalla memoria cos come dalla coscienza alienata. Il tempo
azzerato dal lavoro, - tempo misura di atti umani ridotti ad astrazione. Ma
questo azzeramento unoperazione reale e la memoria resta. Non dunque il
nostro caso.
Di contro, infatti, la composizione di classe del soggetto metropolitano
contemporaneo non ha memoria perch non ha lavoro, perch non vuole lavoro
comandato, lavoro dialettico. Non ha memoria perch solo il lavoro pu
costruire peril proletariato un rapporto con la storia passata. Non ha dialettica
perch solo la memoria ed il lavoro costituiscono la dialettica.
Ma il non-lavoro comunque un soggetto: tutti lo vedono. Privo di memoria
e di dialettica. Ma un soggetto: tutti lo temono. Quindi un agente di conoscenza
in quanto cumulo di sapere. Di quale sapere e di quale conoscenza?
Al termine dellilluminismo e nel mezzo della trionfante rivoluzione
capitalistica, Immanuel Kant si chiudeva quali fossero le condizioni di un
conoscere che costituisse il nuovo mondo della libert borghese. Concludeva la
sua ricerca affermando che, sulla base della formativa della scienza e del lavoro
capitalistici, si dovevano stendere schemi e progetti di ricostruzione del reale, di
dominio sul proletariato come << cosa in s >> inconoscibile, progetti
giustificati non dalla certezza del risultato ma dalla necessit etica del conoscere
e del lavoro. Al teorico borghese rivoluzionario il mondo si mostrava infatti
come immediatamente scisso. Ma lunit del mondo lideale della ragione. Il
conoscere ha una essenza unitaria, dispositivo tecnico, sapere che costruisce
dominio ed esprime con ci la natura del soggetto. Esso si dispiega nellassalto
alloggetto, sfiorandolo prima, con continui tentativi di possederlo,
organizzandolo poi entro reti di dominio produttivo. Per Kant libert
produzione - quindi dominio delloggetto, della << cosa in s >>.
Oggi questa rete della libert tutta distesa. Non abbiamo mai avuto tanta
libert, tanto dominio della libert. Kant ha vinto: lo schematismo
trascendentale della ragione si fatto sussunzione reale del lavoro da parte del
capitale. Loggetto stato posseduto, plasmato, trasfigurato. La cosa in s tolta.
Il sistema invece posto. La norma voluta. Lo stato delle cose presenti la
119

libert. Il lavoro la legge. Lapriori il capitale, cio il lavoro organizzato,


sistematizzato, normativizzato. Il sapere dunque conoscenza di questo
rapporto di dominio, sua continua tessitura, memoria, iterazione,
perfezionamento. Il conoscere e il ricordare sono funzioni di questo assoluto.
Viva Kant, viva Hegel, viva Mao Tse Tung!
Ma, come dicevano i vecchi, antichissimi Horkheimer - Adorno, il trionfo
dellilluminismo e la sua crisi. Se gratti Kant, trovi Heidegger. Per parlare in
soldoni: quando tutto il tempo della vita tempo di lavoro, quale logica, quale
conoscere distingue pi il piacere della vita dal dominio del lavoro? Quando
tutto il circuito della vita chiuso in quello dello sfruttamento, trasposto
nellorizzonte del sistema, il mio rifiuto dello sfruttamento e del sistema sono
unaltra vita.
***
La mancanza di memoria per il proletariato metropolitano una potenza
rivoluzionaria. Voglio spiegare il concetto di sussunzione reale. Parlare di
proletariato metropolitano significa infatti fare un discorso insieme molto
complesso e molto semplice. Il passaggio dal concetto generico di proletariato a
quello specifico di proletariato metropolitano un passaggio che prevede la
determinazione reale della sussunzione del lavoro nel capitale. I processi della
sussunzione si leggono nel Capitolo VI inedito del Capitale di Marx. Su questa
base, io sottolineo il fatto che sussunzione reale significa lestinzione della
divisione fra lavoro produttivo e lavoro improduttivo [improdutivo] e
integrazione dei circuiti della produzione e della riproduzione (circolazione) - in
parallelo lemergere del concetto di lavoro sociale produttivo e quindi la
localizzazione metropolitana delloperaio sociale.
La sussunzione reale determina un dislocamento qualitativo dellessenza
proletaria (della forma dello sfruttamento e della cooperazione, dei bisogni e dei
desideri): nulla che abbia a vedere con il vecchio ritmo delle ricomposizioni e
delle ristrutturazioni. Tanto vero che in Marx il passaggio alla sussunzione
reale del lavoro nel capitale immediatamente il passaggio dal socialismo al
comunismo. E un errore di Marx. Ma ci serve per chiarire il nostro punto di
vista. Di fatto la sussunzione reale si verifica senza mettere in gioco la
transizione. E un passaggio capitalistico.
Ma questo passaggio capitalistico radicale. Lantagonismo che sorge
allinterno della sussunzione reale assolutamente radicale, anchesso. Il
problema della transizione non si pone in nome del passaggio capitalistico della
sussunzione, ma si pone nel momento nel quale allinterno della sussunzione si
chiarisce il nuovo antagonismo. Vale a dire che la sussunzione reale non elimina
120

(come in Marx) lantagonismo, ma lo disloca radicalmente (siamo nelloltre


Marx).
Ma cos allora lantagonismo nella sussunzione reale? E lemergere del
proletariato come nuova essenza collettiva, separata, non dialettizzabile
[dialetizzabile ?]. Lemergenza dellantagonismo come istituzionalit.
***
Ben vengano le ricostruzioni (tipo rinvio a giudizio del 7 aprile) degli anni
pi belli della nostra vita: il loro distruggere la memoria ci fa gioco. Il loro
falsificare il passato esalta il nuovo. La continuit soprattutto nelle sue figure
terroristiche, tutta loro. Giacobino di destra e giacobino di sinistra giacciono
sotto la stessa coperta. Si coniugano. In questo mondo sussunto dal capitale
lunica memoria quella del padrone.
Solo la negazione della memoria ci rende lorizzonte della vita. La
sussunzione reale del lavoro da parte del capitale distrugge ogni soggetto
produttivo separato, assume la societ intera nella produzione. Ma la
sussunzione ha il suo antagonismo specifico: dove tutto il tempo della vita
tempo di produzione, lantagonismo determinato dalla diversa qualit della
vita. Il tempo capitalistico misura e sfrutta la totalit sociale della produzione, la vita quindi si oppone al tempo misura. Conquista una nuova qualit del
tempo. Cos procedendo, dunque, il capitale ci restituisce lessenza collettiva
del soggetto che si rifiuta allo sfruttamento, insistendo su una qualit della vita
completamente separata e su un modello di vita alternativo.
La sussunzione capitalistica del lavoro ci rende la soggettivit sociale e ce la
rende nel senso di un completo dislocamento. Se v dislocamento non c
memoria. Nel momento nel quale il capitale si sente tutto ed tutto,
lantagonismo spiazza la sua propria collocazione. Gli schemi della memoria, e
quindi la memoria del funzionamento della legge del valore (perch nullaltro
pu essere la memoria proletaria), scompaiono nella catastrofe di una
dislocazione radicale, nel buio di uno spazio interstellare. Il sapere proletario
non comprende pi la legge sul valore, neppure come sofferenza passata, come
volgare coscienza del nesso servo-padrone. I miei figli non sono il mio passato.
La dialettica si sfuma. La mancanza di dialettica, ha mancanza di memoria
ricchezza.
Alla caduta della memoria corrisponde lapparire storico, la consistenza
dellistituzionalit proletaria. Non insistiamo tanto sulla separatezza: essa
indice e codice dello spessore materiale dellistituzionalit proletaria, del suo
processo evolutivo. Ma non la mistica della separatezza, bens la logica
dellistituzionalit segnala la mancanza di memoria. Mancanza di memoria
121

libert: non solo da un passato, ma da un futuro che non sia autonomamente


determinato. Transizione comunista mancanza di memoria.
***
La teoria della conoscenza proletaria la stessa cosa della sua istituzionalit,
separata. Ma la separazione della memoria del rapporto dialettico e dello
sfruttamento. Istituzionalit separata pieno sviluppo del lavoro negativo, del
lavoro che distrugge il criterio del profitto e pone quello della felicit.
Conoscenza ed istituzionalit proletarie: posseggono un fondamento, un
metodo, uno sviluppo.
Il fondamento la vita, il suo rispetto, la sua felicit. Questa convenzione
fondamentale. E convenzione che esclude il principio hobbesiano del ricatto
della paura a fondamento della convivenza umana e toglie quindi anche il
principio della pace - quando la pace venga intesa come risultato del ricatto del
pi forte, come valore che sovradetermina quello della vita. (Stato e BR in
perfetta sintonia). La struttura conoscitiva di questo principio
fenomenologica: essa insegue il rapporto bisogni, desideri, realt. Sono i mille
aspetti della vita che vengono positivamente proposti al desiderio collettivo.
Ragione e paura non si pongono in nessun senso sullo stesso terreno.
Divengono del tutto asimmetriche. Hobbes un lurido reazionario. Spinoza il
piacere della vita, la sua materialit creativa sono il fondamento. E la paura, in
quanto collegata alla ragione che pone il formalismo della ragione. La vita, il
desiderio, in quanto incarnano la ragione, pongono il materialismo della
conoscenza.
Il metodo e quello della molteplicit. Non v << norma >>, nella conoscenza
della comunit proletaria, ma solo << patto >>, solo accordo e convenienza
pratica. Non c obbligatoriet ma solo conversione collettiva sugli obiettivi
della ragione. Tutta la scienza del capitale, tutta la scienza del tempio e della
reggia, hanno sempre puntato sul concetto di potere e di norma, di potere come
esercizio della normativa, come autoselezione di ceto dirigente. Tutto questo
finito.
La norma solo spettro di un comando che vuol farsi reale incutendo paura.
Se la logica capitalistica sempre un tentativo di dominare la << cosa in s >>,
unificandola nel sistema, la cosa ora fuori dalla sua possibilit logica. Il
metodo proletario invece consustanziale [consostanziale?] il progetto di
costituzione pattizia per la felicit. Non c dittatura se non in questo senso: nel
senso di impedire ogni sopraffazione dellunit sulla molteplicit, di affermare
la continua catastrofe della norma a fronte delle procedure pattizie, di
distruggere ogni sovradeterminazione fosse pure quella semplicemente formale
122

del richiamo allunit o addirittura il formale della crisi.


Infine lo sviluppo dellistituzionalit proletaria. Essa si d sullintero arco
della vita. Non esistono pubblico e privato, sociale e politico, - esiste solamente,
come oggetto, lestensione della giornata lavorativa sociale che va interamente
liberata. La conoscenza qui diventa prefigurazione. La critica del progetto, di
cui il riformismo oggi si nutre, solo funzione interna al potere ed alla sua
riproduzione, - analisi dei modi in cui si possono perfezionare le pratiche di
delega e di rappresentanza, dunque nuovamente presunzione della volont
generale. Ma perci stesso anche riconoscimento della sua ineffettualit. Il
progetto del potere ha fallito. Proprio qui la prefigurazione proletaria incastra la
sua libert.
La vita e la felicit costituiscono fondamento, il materialismo della gestione
dualistica del molteplice costituisce il metodo: bene, qui la struttura del sapere
proletario si fa immediatamente pratica.
***
Possiamo rovesciare lo schema kantiano del conoscere. Il rovesciamento
consiste in ci: che il nuovo illuminismo proletario istituzionale, non
considera la realt come oggetto di dominio, bens come terreno di liberazione.
Di kantiano resta listituzionalit indipendente dellapproccio conoscitivo della
realt. Ma il suo senso appunto completamente rovesciato. Il proletario, la <<
cosa in s >> sviluppata, dislocata, il soggetto del conoscere. Allinverso il
capitale ora << cosa in s >> irraggiungibile e lontana. Ah, ah, se lo tengano il
loro bel capitale postmoderno! Tempo e spazio costituiscono per il proletariato,
per il soggetto rivoluzionario forme a priori che nulla hanno pi a che fare con
la istituzionalit capitalistica. Certo, la << cosa in s >> capitalistica permane:
permarr per chiss quanto tempo ancora. Ma il limite non toglie legemonia
del punto di vista proletario. In ogni caso, oggi non il dominio del capitale ma il
lavoro negativo della liberazione costituisce lideale della ragione.
La mancanza di memoria costitutiva di un nuovo orizzonte del sapere.
***
Vi chi insiste sul fatto che bisognerebbe produrre una memoria interna al
movimento, una memoria di questi ultimi anni. E ridicolo. Certo, potremmo
ricorrere alle malizie rinascimentali dellarte della memoria: con un po di
kabbala questa storia pu ben essere ricostruita. Ma perch togliere questi
piaceri ai giudici della Repubblica che di kabbala se ne intendono? Una
coscienza che, come quella proletaria, si vuole istituzionale non ha bisogno di
una memoria che solo memoria della propria estraneit, della propria passata
estraneazione. Quello che listituzionalit proletaria deve ricordare lo trattiene
123

come base della propria esistenza, lo ha come sostanza della sua pratica
materiale. E iscritto nella sua esistenza. Non hanno bisogno di memoria i
giovani di Zurigo, i proletari napoletani e gli operai di Danzica: hanno solo
bisogno di quella speranza che costruiscono. Giustamente in Kant, su quello
snodo di transizione della filosofia della rivoluzione borghese, non c una
compiuta teoria della memoria. In Lenin e in tutta la fase socialista della
rivoluzione proletaria la memoria portata solo sulla sofferenza o sugli errori
proletari, arma - un po piagnona e sordida ma sempre un arma - e come tale
la memoria legittimata. Ma ora, nel mezzo della transizione comunista, a che
diavolo serve la memoria? Non c spazio per essa. Come, e a rovescio che in
Kant, la memoria nella forma stessa a priori del conoscere proletario, nel
meccanismo della sua espansione materiale. La memoria si legge solo nel
futuro.
Di conseguenza: il processo 7 aprile non va impostato come rivendicazione di
un passato, ma va concepito come presagio e dimostrazione di una nuova
istituzionalit proletaria, nella sua realt. Al processo 7 aprile si va a
considerare la chiusura di unepoca e il dislocamento in avanti della lotta di
liberazione. La memoria sar solo forma della nostra - indipendente separata
creativa - esistenza di comunit comunista. Nelle grandi dimensioni sociali
della sussunzione reale e dellantagonismo nuovo che lattualit della storia di
classe mostra.
***
E evidente che ci sono anche tanti altri orizzonti della memoria. E che alcuni
vanno percorsi proprio per costruire listituzionalit proletaria. Qui il mio
problema (qui e nel processo 7 aprile) ; solo quello di rovesciare in positivo
quella spaventosa violenza che la memoria del potere produce per quello che
riguarda il decennio che comincia con il 68, ovvero il decennio pi bello della
nostra vita. Se memoria diviene memoria del potere, memoria del
funzionamento della legge del valore, memoria della sussunzione reale, di per
ci stesso la violenza annulla la nostra memoria. Questa violenza va comunque
presa in positivo: rovesciata, assunta sul terreno dellantagonismo, scarnificata,
- se la memoria la violenza, la nostra vita la negazione della memoria: ma
non basta! Poi ricominceremo a ricostruire gli orizzonti alternativi del ricordo.
Per noi non c la possibilit di accostare senza violenza il passato: il nemico ce
lo ha reso tale. Ma esiste, probabilmente, una memoria dellaltro soggetto. Di
noi come soggetto.
E c da dire che la coincidenza della distruzione capitalistica della memoria
con il risoluto ingresso del capitale nella fase della sussunzione reale, mette in
sintonia - dal punto di vista proletario - e senza alcuno scandalo, la riscoperta
124

dellessenza collettiva, della prefigurazione necessaria, della possibilit di


ricostruzione del mondo e, daltro canto, la caduta di ogni residua illusione di
continuit.
2. Nota introduttiva alla ristampa di << Classe operaia >>. La potenza
sociale del lavoro.
Perch ristampare << Classe operaia >>? La decisione non stata mia: alcuni
compagni ritengono utile intraprendere questa iniziativa e mi chiedono
[chiudono?] di fare una introduzione. Debbo comunque rispondere alla
proposta, in maniera affermativa o negativa. Tanto vale dunque fare
lintroduzione. Ma solo per argomentare: che cosa?
Il mio consenso o il mio dissenso. Sfoglio le pagine della rivista: mi ci
ritrovo, il mio ricordo ci si ritrova. Quante riunioni, quante amicizie fatte e
disfatte, quante giornate di tipografia (s, perch eravamo io e Manfredo
Massironi a impaginarla e a farla in tipografia per un paio danni). Quante
emozioni. Dunque << Classe operaia >> va ripubblicata; per quale ragione?
Perch la dimostrazione di una nobile ascendenza delle posizioni politiche che
gran parte del movimento svilupper negli anni successivi? Perch , con i <<
Quaderni Rossi >>, la solida pietra sulla quale una nuova corrente del pensiero
politico italiano, marxista e proletaria, venuta costruendosi? E non solo in
Italia? Perch dunque ha una particolare importanza scientifica e le persone che
hanno collaborato alla sua fattura, fanno - in una maniera o nellaltra - parte
della storia del movimento proletario chez nous?
Non mi soddisfano queste ragioni. Che << Classe operaia >> sia un pezzo di
storia, va bene: ma allora ne va verificata politicamente la sua attualit, o meno,
direttamente, senza soffermarsi sul feticcio << rivista >> degli << anni Sessanta
>>: feticcio favoloso quanto per certi versi fuorviante. Quanto allimportanza
scientifica di << Classe operaia >> va notato che coloro che vi hanno
collaborato sono andati avanti, su da quella esperienza: e hanno fatto i loro libri
nei quali con maggiore ampiezza e con maggior rigore hanno sviluppato il loro
pensiero politico. Studiamo dunque i loro libri, direttamente. E allora perch, di
nuovo, ristampare << Classe operaia >>?
Debbo sinceramente riconoscere di non saper dare una risposta, dal punto di
vista di uno degli autori di quellimpresa. Rivediamo allora la questione dal
punto di vista dellutenza. << Classe operaia >> va ristampata perch i militanti
politici di oggi possano avere a disposizione un testo al quale confrontarsi e sul
quale misurarsi. Ma direi che questa ragione non giustifica affatto la ristampa.
Infatti i militanti del proletariato, oggi, son persone fortemente diverse da quel
ceto politico che allora esprimeva una rivista come << Classe operaia >>. Il
125

discorso << operaista >>, in senso stretto, della rivista non corrisponde neppure
lontanamente a quelle che oggi sono le concezioni della lotta di classe che il
militante medio, autonomo, loperaio sociale degli anni 70 e 80 posseggono:
allorizzonte che si sono costruiti con tante lotte e con una riflessione critica
cos profonda. Gi negli anni scorsi, quando feci vedere a militanti tedeschi e
americani, la mia collezione di << Classe operaia >> (oggi questa collezione,
rubatami da qualche poliziotto, giace nella polvere di un archivio giudiziario),
le reazioni erano gi affascinate ma distaccate. Per i nuovi strati di militanti, <<
Classe operaia >> in realt una reliquia. Come tutte le reliquie pu avere
effetti di rassicurazione sulle anime belle, certo - e perch negare lutilit della
rassicurazione teorica, in tempi cos atroci? Ma, dal punto di vista della lotta
politica, questa rassicurazione rischia persino di essere mistificante. Dove sono
pi infatti le categoire stesse sulle quali il lavoro di << Classe operaia >> si
fondava? Dove i rapporti, ambigui e sotterranei, con il movimento operaio
ufficiale che << Classe operaia >> comunque supponeva? Qual pi oggi il
modo di leggere le ambiguit delle quali << Classe operaia >> ridondava? Quel
belloperaio massa, che a tutto tondo veniva fuori dalle pagine della rivista, era
indubbiamente allora, nel panorama della pubblicistica della sinistra
rivoluzionaria, una figura nuova: ma oggi dov pi. Oggi lattenzione critica e
trasformatrice si basa su ben altri, corposi e nuovi soggetti: anche noi, uomini e
proletari di oggi, abbiamo il nostro carico di ambiguit nei confronti del nuovo
soggetto, ma sono ambiguit esse stesse non riferibili a quella realt degli anni
Sessanta. Non c omologia possibile fra << quella >> figura delloperaio
massa e lattuale vivacit del soggetto sociale proletario.
A guardar bene, poi, quella figura a tutto tondo delloperaio massa che
emergeva dalle pagine di << Classe operaia >> era gi una figura vecchia. Noi,
di << Classe operaia >>, eravamo un po delle nottole di Minerva che
apparivano allimbrunire: scoprivamo la novit della figura delloperaio massa
quando questa figura si era gi storicamente consolidata (da almeno trentanni),
era gi del tutto matura, era - e questo quello che pi conta - gi in corso di
superamento. In realt non scoprivamo una categoria della lotta di classe ma
solo denunciavamo il ritardo storico del movimento operaio ufficiale
nellidentificare una strategia fondata sulla centralit delloperaio massa. Di qui
una serie ulteriore di ambiguit: questoperaio massa che venivamo tirando
fuori dai dimenticatoi del movimento operaio ufficiale, questoperaio massa che
intagliavamo come figura distinta dalloperaio professionale, in realt poi lo
dipingevamo con vecchi colori. Il nostro operaio massa puzzava di officina
Putilov in maniera indecente. Non che nel discorso di << Classe operaia >> non
esistessero momenti di superamento di questa ambiguit, non sto dicendo
questo.
126

Risulterebbe comunque molto difficile oggi riconoscere se era pi forte


lambiguit o il suo superamento. Solo il dopo, solo la vicenda storica che
comincia appunto quando lesperienza di << Classe operaia >> termina, solo
questo pu dare una risposta.
Ma sicuramente in << Classe operaia >> manca un gusto per lo stato nascente
della soggettivit proletaria. C il gusto teorico della analisi soggettiva
proletaria. C il gusto teorico della analisi oggettiva, della identificazione della
crisi: loperaio massa che forza, colto nella sua piena maturit, lo sviluppo
capitalistico fino a rovinarne proporzioni e compatibilit. Ma quello che manca
il senso delle relazioni complesse che costruiscono, nella crisi, nuova energia
soggettiva, nuovi bisogni, nuovi comportamenti. Certo, la form a della lotta a
<< gatto selvaggio >> colta ed esaltata: ma riportata a che cosa? Era
progettata sul vuoto, non innestata dentro un meccanismo costitutivo di
soggettivit nuova. I discorsi sullorganizzazione furono, in << Classe operaia
>>, prima fumosi, poi unilateralmente rivolti a riscoprire una chiave dialettica
nei confronti del movimento operaio ufficiale. Quando, fra il 66 e il 67, <<
Classe operaia >> chiude definitivamente i battenti, essa aveva sicuramente
previsto laddensarsi della crisi nellimmediata fase successiva. Ma la forma
della soggettivit della crisi, la rivolta degli studenti, limpatto del
terzomondismo, lapparizione della povert proletaria, lemarginazione,
insomma tutte le componenti delloperaio sociale, tutto questo le sfuggiva,
veniva meccanicamente ed immediatamente ricondotto alla guida delloperaio
massa. E ci proprio nel momento in cui tutto si stava rovesciando: era infatti la
soggettivit sociale del proletariato che conquistava la centralit politica del
processo, ed aggrediva la fabbrica stessa ed il lavoro produttivo, prima
dallesterno, poi dallinterno modificando la natura stessa del lavoro produttivo
ed imponendo, nella fabbrica capitalistica, dentro di essa, legemonia dei
comportamenti nuovi delloperaio sociale. << Classe operaia >> aveva
registrato la maturit della figura delloperaio massa, non ne aveva inteso la
vera natura per: loperaio massa non era altro che un termine del passaggio
alloperaio sociale, un primo prodotto della dissoluzione capitalistica del
mercato del lavoro e un primo agente della trasformazione dellinteresse
operaio e del suo trasferirsi dal terreno della produzione a quello della
riproduzione. Molti di noi, distinto per e non tanto dal punto di vista di una
riflessione matura, intendemmo questo: molti anni ancora erano tuttavia
necessari perch lintuizione raggiungesse unadeguata figura teorica.
Proprio la forza dellesperienza teorica di << Classe operaia >>, direi la
consistenza soggettiva ed intellettuale dei collaboratori della rivista, costitu un
freno, pesantissimo, allo sviluppo dei germi di analisi nuova che andavano al di
127

l dellesaltazione (storicamente postuma) delloperaio massa. << Classe


operaia >> da questo punto di vista unoperazione coscientemente,
consapevolmente incompiuta. Volutamente incompiuta, in se: assomiglia
allUlisse.
Ma appunto come lUlisse rischia di castrare, per il paradosso della sua
interna compiutezza, ogni ulteriore tentativo dellavanguardia letteraria, cos <<
Classe operaia >> blocca lo sviluppo dei temi nuovi che pure comprende. Quali
sono questi nuovi temi? Sono essenzialmente quelli che vengono fuori dalla
fenomenologia delle lotte, sono quelli che fissano i meccanismi del <<
superamento >> delloperaio massa, che determinano loscillazione delle
dinamiche di lotta fuori dal tessuto dello scontro sul salario e cominciano a
considerare il rapporto fra produzione e riproduzione. Sono in secondo luogo
quei motivi che vengono fuori dalla paradossale inversione della parola
dordine operaista. << Operai senza alleati >>: vale a dire che se la fabbrica
sociale esiste, in essa non si d semplice estensione. Il comportamento
delloperaio della singola fabbrica bens si d una nuova figura sociale, un salto
dalla quantit alla qualit. Nei comportamenti sovversivi che sono quelli che
vengono fuori dallapprofondimento implacabile della critica del lavoro
capitalistico, dallenfasi sul tema del << rifiuto del lavoro >>: tema, questo, che
non pu essere limitato alla casistica sociologica della analisi dei
comportamenti, di fabbrica e sociali, ma deve svolgersi in progettazione
alternativa della produzione, deve incarnarsi nella tematica della transizione
comunista, deve immediatamente trovare un rapporto con lo sviluppo di
comportamenti di massa autovalorizzati. Certo, a volerle leggere oggi, queste
cose sono tutte in << Classe operaia >>, in seme, con aurorale potenza: ma non
un caso che non emergano [emergono?], che non diventino [diventano?] da
subito elementi fondamentali. E lorganizzazione complessiva del discorso del
giornale che lo vieta, il suo storico ritardo sulla complessit dei movimenti
che registra e che << Classe operaia >> in effetti riconduce alla sola critica
delloperaio professionale, allidentificazione dellinadeguatezza del sindacato
professionale nei confronti delloperaio massa. Qui il nuovo si autolimita. La
ricerca si sbarazza solo a met dellideologia. Di qui limpotenza pratica.
Perch lintervento, che pure - come gi nei << Quaderni Rossi >> - il corpo
redazionale della rivista svolge, attorno alle fabbriche, non riesce a trovare una
continuit organizzativa. Non riesce a trovare continuit organizzativa perch
lintervento puramente definito su scadenze oggettive e non sulla continuit di
processi soggettivi. Si stabiliscono scadenze di fabbrica, scadenze di settore,
scadenze politiche generali: lo scheletro delle interdipendenze delleconomia
dello sfruttamento evidentemente chiarissimo a << Classe operaia >>, meno
evidenti sono i passaggi soggettivi, di organizzazione, il peso dellintervento
128

come iniziativa continuata, come progetto sul quale non si scarica solo
lintelligenza strategica ma soprattutto la tattica, la partecipazione, la
microiniziativa quotidiana. Come le pagine di << Classe operaia >>
documentano (cfr. in particolare le pagine di documentazione del n.3 del 1965)
lintervento molto ampio: ma non residua un solo livello organizzativo (salvo
alcune eccezioni). Loperaismo si collega ad un atteggiamento illuministico che
non ha in realt alcuna speranza di mordere il reale. Dentro queste difficolt la
polemica della rivista, e quella condotta nel corso dellintervento, si limitano
sempre di pi alle sole tematiche sindacali. Con comportamento classico della
vecchia sinistra terzinternazionalista, lattacco al sindacato accompagnato
dalla mano tesa nei confronti del partito. E questo proprio quando il
fondamentale punto di partenza, sia nei << Quaderni Rossi >> che nella nuova
rivista, era stato il riconoscimento dellidentit del contenuto dellazione
sindacale e dellazione politica nella societ fabbrica della pianificazione
capitalistica. Le contraddizioni presto si ritrovano tra i compagni stessi
promotori delliniziativa non era infatti possibile diluire la radicalit del
progetto senza determinare delle conseguenze pratiche che sarebbero
immediatamente ricomparse sul livello teorico. Limpotenza pratica diviene
ragione sufficiente di scissioni teoriche.
Alla fine del 64, un anno appena dal suo inizio, la rivista in crisi. Le
ambiguit si accumulano soprattutto sul passaggio << intervento - sviluppo
generale del discorso politico - sue varianti tattiche >> per la mancanza di una
teoria dellorganizzazione qualsiasi. Nel 1965, anno secondo della rivista, la
polemica si apre ferocemente nel la redazione. Non sono tanto gli insuccessi
pratici dellintervento a determinarla quanto la riflessione sempre pi pesante,
che solo una teoria dellorganizzazione poteva permettere di andare avanti. Ma
non solo una teoria dellorganizzazione non c: non la si vuole. Una parte
consistente della redazione comincia infatti a considerare lintervento operaio e
politico come un puro e semplice strumento di pressione sui livello politico: sul
PCI.
Si teorizza l << entrismo di tipo nuovo >>. Non pi quellentrismo
miserabile che tradizione dei gruppi minoritari della III Internazionale, non
pi la critica e la pressione politica che si sviluppano sugli snodi
dellorganizzazione formale del partito: una pressione ed una critica che si
vogliono di massa, invece, nella convinzione che il partito, il partito comunista
italiano nella fattispecie, sar costretto a recepire questa critica e a modificare la
sua politica di conseguenza. Il giudizio portato sul sindacato drastico: nulla
pu venire dal sindacato, esso , rimane, ed bene che rimanga, una pura
cinghia di trasmissione del partito. Lintero sforzo del nuovo entrismo va
129

dunque rovesciato sulla lotta politica di partito. Questo dunque quello che
sostiene una parte della redazione della rivista. Sulla base di questo progetto
essa si espone sempre pi coerentemente in un lavoro di trattativa e di
infiltrazione nel sindacato e soprattutto nel partito. Un giudizio molto
ottimistico sulla base operaia del PCI tende ad elidere ogni considerazione circa
il funzionamento del centralismo democratico rozzamente si considera il
rapporto di forza allinterno del partito come omologabile al rapporto di lotta di
classe! Lo spessore dellideologia di partito, la forza materiale della
centralizzazione burocratica, la violenza distruttiva dellideologia del lavoro
vengono permanentemente sottovalutate. Lentrismo di massa, dentro questo
gioco che tende a divenire sempre pi e solamente intellettuale, si trasforma
presto in entrismo individuale di vecchio tipo. Alla fine del 1965, dopo che la
crisi interna alla rivista aveva gi durante lanno bloccato il suo lavoro, la
scissione della redazione praticamente data. I numeri del 66 sono gi interni
alloperazione entrista ed impegnano solo una parte di compagni.
Di contro allentrismo ed alla sua storia, dentro al gruppo redazionale di <<
Classe operaia >> se ne apre tuttavia unaltra. E la storia delloperaismo
militante, della lotta contro il revisionismo della lunga marcia per
lorganizzazione dellautonomia operaia e proletaria. Questa storia ormai
molto nota e non val forse la pena di sottolinearla, di tornarci ancora sopra, qui.
Chi sostiene questo indirizzo sono i compagni direttamente impegnati nel
lavoro politico e di agitazione attorno alle grandi fabbriche del Nord. La
geografia operaia degli anni 68/69 si stabilisce a questo punto. Fiat, Pirelli,
Alfa, Porto Marghera: questo adagio di milioni di volantini comincia a
costituire lipostruttura della coscienza del militante. Ora, gi durante lultimo
anno di redazione di << Classe operaia >>, la vicenda di questi compagni si
autonomizza. Formidabili quadri operai prendono la direzione del movimento
di contestazione gi a partire dal 6 5/66.
Ogni compromesso diviene quindi impossibile. Ma non appunto questa
storia che va qui rinarrata. Si deve piuttosto insistere su un fatto, negativo e
residuo, che anche lesperienza ed il discorso di questi compagni contengono.
Ed lincapacit di proporre, per un lungo tempo, di nuovo trovandosi
prigionieri delle ambiguit essenziali del discorso teorico di << Classe operaia
>>, una tematica dellorganizzazione. Le caratteristiche del gruppo di compagni
redattori di << Classe operaia >> che rifiutarono lopzione entrista (entrismo di
vecchio e di nuovo tipo), sono tali che, mentre da un lato lenfasi sulla forza
teorica della prassi massima, dallaltro la riflessione specifica in proposito
minima. Certo, si punta tutto sullorganizzazione di base ma senza intendere la
complessit dei rapporti dialettici che a questa si presentavano.
130

Lorganizzazione di base poteva costituire la rifondazione del movimento


comunista solo nella misura in cui fosse in grado di dominare la complessit dei
rapporti che si stendevano dinanzi. Dentro la lotta continua, dentro la mancanza
o la carenza di uniniziativa adeguata di ristrutturazione del dominio da parte
dellavversario di classe, era possibile immaginare un meccanismo
organizzativo che sviluppasse potenzialit complessive, nel senso appunto della
continuit.
Ma la lotta di classe non un continuo. La sua discontinuit poneva
inevitabilmente il problema della centralizzazione, della direzione. Questi
problemi vengono posti, ma con estrema prudenza solo con il 68 entreranno al
centro della tematica di massa Ma troppo tardi. E daltra parte, nel 68,
paradossalmente (anche) troppo presto: perch infatti, con la ristrutturazione,
con la formidabile lotta di resistenza che si apre nei primi anni 70, con il
trasformarsi della figura operaia egemone, lo stesso problema
dellorganizzazione comincia a porsi in maniera diversa, - comincia cio a porsi
come problema di una massiccia e compatta forza operaia che sviluppa la sua
autonomia mediando al suo interno azione di avanguardia e azione di massa in
termini del tutto nuovi ed originali, in termini di autovalorizzazione. Torniamo a
noi, torniamo a quegli anni 65/67, anni immediatamente precedenti il pi
grande sommovimento di classe che mai le nostre generazioni abbiano
conosciuto Bene, eravamo allora completamente coinvolti in una problematica
insolubile: da un lato ci indicavano come via duscita realistica quella
dellopportunismo, dellentrismo, della ripresa di contatto con il movimento
operaio ufficiale; ci chiedevano insomma la dichiarazione dellimpossibilit di
ogni alternativa organizzativa per la classe operaia e proletaria. Daltro lato
cera il rifiuto di tutto questo ma anche limpossibilit di dare una risposta che
coprisse i problemi reali che avevamo davanti. Si scelse lattesa attiva ed
operante, si scelse il contatto di classe, la vita interna del movimento, - nel
65/66/67 nulla sembrava mutato rispetto alla grande crisi del movimento
operaio che ci perseguitava dal 1956/58, nulla << sembrava >> essersi
modificato. E invece, lattesa, quali che fossero i suoi limiti attuali, quali (e
certamente ingiustificabili) che fossero i limiti di discorso e di approfondimento
che comportava, pure si rivel non utile ma eccezionalmente feconda.
Daltra parte, perch farsi prendere dallimpazienza proprio allora, attorno
alla fine del 1965? Un decennio era appena trascorso da quando la << grande
crisi >> sera aperta nel movimento comunista. 1956/1958: attorno alla crisi
ungherese, attorno alla prima rivolta operaia contro il regime del socialismo
realizzato. Nel 1953 erano stati gli edili di Berlino a muoversi ma lodio
antitedesco non aveva permesso di cogliere la pesantezza della cosa. Nel 56
131

non cerano invece possibilit di confondersi.


In Ungheria la classe operaia in armi non contestava altro che il tradimento e
la propria miseria. In Italia siamo al centro della crisi del movimento nella sua
forma postresistenziale. Dalla sconfitta del 1953 (alla Fiat) al 56 il movimento
aveva faticosamente tentato di riprendere una figura politica: la lotta operaia
ungherese ci rid fiato e speranza. Esiste ancora un comunismo per il quale
lottare. La formazione dei << Quaderni Rossi >>, alla fine degli anni 50, il
primo coagulo di una speranza comunista che comincia a rivivere, articolandosi
con nuove tecniche di ricerca e nuove prospettive di critica radicale. Tutto
doveva muoversi: tutto si muove. Genova: 1960. Piazza Statuto: 1962. Il
movimento operaio ufficiale e il ceto capitalistico stesso corrono ai ripari: ormai
il movimento si dato gambe per muoversi, occorre quindi stabilire nuovi
schemi, nuove linee dentro le quali inglobarlo.
I primi tentativi di riammodernamento capitalistico e riformistico sono per
fin dallinizio inseguiti da una coscienza critica, articolata alle lotte, che
costituir nei successivi decenni la grande dignit del movimento operaio
rivoluzionario in Italia.
Gli anni 60 sono un grande laboratorio nel quale la sintesi di un nuovo ceto
politico rivoluzionario e del movimento reale della lotta operaia cominciano a
funzionare assieme. La << grande crisi >> comincia a dare i suoi frutti. Certo,
malgrado molte faticose iniziative, malgrado laltissimo livello del dibattito, il
movimento operaio tradizionale resta impermeabile. Vi sono piccoli momenti di
crisi, deviazioni, ma la centralit burocratica resiste impavida. Eppure lo
sconvolgimento fondamentale e marcia anche quando non lo si vuol vedere.
Personalmente odio tutte le concezioni teoriche che vedono la rivoluzione
uscire matura dal cervello di Giove, e cio dalla casalit [causalit?]. Che la
rivoluzione sia unarte non significa che sia irrazionale, che il suo ritmo sia
discontinuo non significa che la sua formazione non abbia le caratteristiche di
continuit di tutti i processi materiali. La crisi della fine degli anni 60 risponde
alla crisi politica del 56/58: chi laveva subita, i vecchi militanti comunisti, gli
intellettuali del dissenso ungherese ne sono probabilmente fuori, spiazzati; la
dirigenza del movimento operaio tradizionale sembra presentarsi compatta. Ma
che cosa avvenuto di nuovo?
E avvenuto che stato distrutto il patrimonio ideologico del movimento
operaio tradizionale, che il rapporto con la lotta inventato daccapo, che nuove
generazioni si presentano alla lotta non preventivamente mistificate da
uneducazione politica arcaica. I << Quaderni Rossi >> sono il frutto
rivoluzionario della crisi politica del 56/58. Inventano un nuovo metodo di
approccio alla realt delle lotte. Un metodo insufficiente? Certo. Ma un
132

terreno sul quale la pratica rivoluzionaria diventa possibile, sul quale


linvenzione politica, la fantasia divengono obbligatori. I limiti di
questapproccio sono immediatamente visibili. Opportunismo nei confronti
dellazione sindacale, oggettivismo ed economicismo estremi, confusione sui
fini della lotta rivoluzionaria, socialismo latente. Ma la modificazione avviene
nella pratica: << Quaderni Rossi >> portano la rottura - effettuata, stabilizzata con la linea del movimento operaio ufficiale nelleducazione politica delle
nuove generazioni. Le << magliette a striscie >> del 60, i nuovi emigrati
cominciano ad avere un cervello.
I limiti di quel movimento non erano superabili allinterno del discorso di <<
Classe operaia >>. Si sono fatte infinite esercitazioni letterarie per andare ad
identificare le distinzioni, le differenze, le contraddizioni fra il movimento dei
<< Quaderni Rossi >> e quello di << Classe operaia >>: esercitazioni letterarie,
appunto! Tutto si riduce ad alcune incompatibilit e, soprattutto, ad un
meccanismo di selezione di gruppo dirigente. Con << Classe operaia >> i <<
Quaderni Rossi >> continuano: continuano sulla strada della radicalit, ma
continuano anche sulla via del limiti e delle passivit che a qualsiasi attivit
minoritaria non potevano che derivare dal movimento reale. Continuano
girando attorno al problema che era stato, per cos dire, solamente annusato:
quello dellimpatto sociale delloperaio massa, quello della socializzazione
della sua figura e della sua lotta. Il paradosso ed il blocco del discorso sono l ,
tutti l: ed oggi, guardandoli a distanza, sembra quasi impossibile che si siano
dati in quella forma. Ora, da un lato la critica delleconomia politica conduceva
alla definizione della societ fabbrica; dallaltro lattenzione politica si
confinava su una retorica delloperaio di fabbrica che, prima di tutto, a questo
faceva torto. Da un lato la potenza dello sviluppo capitalistico mostrava la sua
forza di espansione mondiale; dallaltro la fantasia politica non sapeva vedere il
cumularsi delle lotte delloperaio metropolitano e del proletariato del << terzo
mondo >>. Lidentificazione teorica della centralit della fabbrica si rovesciava
in una concezione del lavoro produttivo (del lavoro sfruttato per il plusvalore)
che quasi riconquistava toni populistici di esaltazione del lavoro manuale. In <<
Classe operaia >> la retorica operaista diviene sempre pi forte quanto pi
diminuisce la capacit di progettazione del gruppo. Su queste incredibili
contraddizioni il dibattito ristagna. Eppure bastava andare avanti insistendo
sulle premesse, scavandone il presupposto. << Classe operaia >> non ci riesce.
Ci riescono tuttavia i compagni del movimento. Il << buon senso >> proletario
non sarresta ai sofismi della teoria. Quando il movimento scoppia e si diffonde
in forma massificata tutti questi problemi vengono fusi nelliniziativa unitaria.
La verginit del credo operaista subito fottuta. << Classe operaia >>
giustamente archiviata. I suoi incredibili limiti non potevano essere superati che
133

da un movimento di massa che dislocasse praticamente il quadro del discorso


cui eravamo stati condannati dalle caratteristiche della crisi degli anni 50: di
quella crisi di cui eravamo figli. Ma ora il quadro muta. Ora, con il 68, una
formidabile possibilit di espansione teorica e pratica si d: prima pratica, poi
teorica. Ma dalla pratica necessario ricavare il massimo: malgrado gli errori
precedenti, malgrado tutti i limiti, la maggior parte di noi riesce a ricollegarsi a
questa realt.
Ricollegarsi alla realt attraverso la pratica significa essere presto in grado di
rinnovare anche il livello della teoria. Abbiamo gi segnalato alcuni paradossi
di cui il discorso di << Classe operaia >> era ricco. Fondamentale ovviamente
quello che si distente fra concezione della societ-fabbrica, dellespansione
ristrutturante delliniziativa capitalistica (da un lato) e (dallaltro) la definizione
della composizione di classe. Abbiamo gi sottolineato come la seconda fosse,
inspiegabilmente, arretrata rispetto alla prima: lunica giustificazione c
sembrato poterla ritrovare nel fatto che i problemi di << Classe operaia >> non
era no in realt ancora stati dislocati rispetto alla tematica della crisi del
movimento degli anni 50. Vi sono per degli elementi nel discorso della rivista
che possono, pi di altri, sostenere il passaggio al superamento delle
contraddizioni. Quando il ricollegamento alla pratica, quando il salto che la
lotta impone, sono dati, allora questi elementi pi di altri contribuiscono allo
sviluppo della teoria, - e nella fattispecie allo sviluppo della teoria della
composizione di classe. Ora, tutti questi elementi progressivi ed espansivi si
collegano proprio al concetto della << centralit operaia >>. Perch questo
concetto non inteso in maniera empirica e burocratica (cos come ricorre
spesso, a tuttoggi, nel dibattito) ma in maniera scientifica: vale a dire che la
concezione del lavoro produttivo operaio era data, in << Classe operaia >>,
come idea di unattivit soggettiva, come una realt insieme intensiva ed
espansiva. Intensiva perch appunto il lavoro la base di tutto il valore
possibile ed immaginabile, estensiva perch questa concezione del lavoro
riconquistava la continuit del ciclo espansivo sociale della riproduzione
operaia e proletaria. La pregnanza del concetto di salario nella tematica di <<
Classe operaia >> non consiste solamente nellinsistenza della sua variabilit
indipendente a fronte della rigidit del comando pianificato, ma anche nella sua
potenza collettiva su tutte le articolazioni dellorganizzazione pianificata della
societ. << Centralit operaia >> eguale << potenza sociale del lavoro
produttivo >>, eguale << espansivit della soggettivit operaia >>. E ben vero,
dunque, che questi elementi restano a lungo nascosti, nella loro potenza,
allinterno di un dcalage storico e teorico: ma non appena i comportamenti
operai riprendono il luogo che debbono avere nella teoria, non appena la lotta
operaia riprende per mano e guida il pensiero rivoluzionario, di nuovo,
134

direttamente, questi elementi subito trovano modo di rappresentarsi


teoricamente in tutta chiarezza. La forbice che, in << Classe operaia >>, si dava
fra concezione oggettivistica della societ-fabbrica e soggettivit mal sviluppata
della composizione si chiude: la soggettivit operaia si eleva al livello, e ben
oltre, la capacit capitalistica di controllo sociale. Di conseguenza un altro
elemento confuso ma fecondo della problematica di << Classe operaia >>
viene, per cos dire, alla luce: si libera cio delle ambiguit che lo
contraddistinguono.
Ed la concezione dinamica del rapporto di capitale. Si era detto che lo
sviluppo capitalistico era frutto delle lotte operaie: questa affermazione era
rimasta a lungo incapace di produrre teoria, poteva di contro indurre effetti
estatici o addirittura mitologie tecnocratiche. Bene, dentro la pratica delle lotte e
non appena la pratica rivela la soggettivit di classe operaia ed il suo grado di
espansione sociale, allora si intende che non solo lo sviluppo ma soprattutto la
crisi dello sviluppo, e a pari titolo, frutto della lotta operaia. Di fatto il
rapporto di capitale doveva man mano dimettere la sua forma dialettica, per
assumere figura antagonistica, solo ed interamente antagonistica, fra due
opposte polarit soggettive: classe e capitale. E qui sintende infine che solo
uno sviluppo tematico di questo genere, cos imposto dalle lotte, poteva spazzar
via lillusione di riproporre il problema dellorganizzazione operaia nei termini
nei quali lavevamo ereditato dalla tradizione terzinternazionalista e dalla crisi
stessa degli anni 50. Ma con questi problemi siamo ormai ai nostri giorni, al
tessuto della riflessione quotidiana del movimento: le contraddizioni di un
vecchio dibattito non risuonano pi con intensit.
Vale allora la pena di ristampare << Classe operaia >>? Chiediamocelo infine
di nuovo. Mi sono riletto quanto ho scritto fin qui e, forse con contraddizione
(ma certo perdonabile), mi sembra di poter dire: s pubblichiamola. Ma se lo
facciamo, avvertiamo tutti di leggere quellantica rivista dallaltezza
dellesperienza fin qui fatta, a partire dagli anni `68-`69 fino a tutte le lotte degli
anni `70. Avvertiamo i compagni che solo in questa prospettiva << Classe
operaia >> ridiventa un testo importante da leggere: poich costituisce una
pietra di quelledificio dellorganizzazione autonoma del proletariato che
stiamo costruendo. Ma una pietra sola, ed essa stessa, per essere utilizzata nella
continuit della nostra esperienza di lotta, ha dovuto essere tolta dalla vecchia
calce che limbrattava, ripulita, scalpellata, ed infine ricollocata nelle
fondamenta delledificio, con un nuovo cemento.
3. Per un nuovo schematismo della ragione. Risposta a Petitot.
Per chi abbia subito il dibattito sul pensiero di Thom da una situazione
marginale come stata, a questo proposito e in questi anni, quella italiana, la
135

lettera del saggio di Jean Petitot << propos de Logos et thorie des
catastrophes >> (apparso nel numero 2/3 di Babylone) tonificante. E lo
soprattutto nella sua impostazione, laddove, a fronte del senso della Krisis che
percorre la filosofia contemporanea (ed istericamente totalizza quella italiana),
viene immediatamente rivendicata la funzione costitutiva del nesso
epistemologia-ontologia. Il senso forte del paradigma teorico innovativo << alla
Kuhn >> qui richiamato: la riflessione sul pensiero di Thom, infatti, lungi
dallesaltare funzioni unilaterali e tecniche di unepistemologia strumentale,
apre spazi e pu permettere di muoversi sul terreno della costituzione,
ontologicamente determinante, di << regioni del senso >> - obiettivi,
semiotiche, comunicative. Questo quello che inizialmente ci dice Petitot. E il
processo razionale dellobiettivazione che qui possibile riconquistare alla
filosofia, dopo la lunga fase di predominio del pensiero della Krisis ed di l
dellangosciosa fatica della sua verificazione. E una nuova << estetica
trascendentale della ragione >> ad essere qui possibile, - sostiene Petitot, - una
estetica trascendentale modificata e completata, sulla quale direttamente si
fondino le determinazioni oggettive e costitutive dello schematismo, giovandosi
dello sviluppo delle matematiche e dellepistemologia, ben oltre il livello della
loro elaborazione in periodo kantiano. Il razionalismo classico, di cui Kant
lultima espressione e del quale le filosofie della Krisis sperimentano
lestinzione, basato comera sulla disgiunzione fra lessere fisico e razionale e,
daltro canto e di contro, lapparire fenomenico, - viene dunque superato
dallimpostazione di Thom, il cui fondamentale merito consiste
nellintegrazione del fenomeni critici nella descrizione razionale, nella
riconciliazione dellessere fisico e dellapparire morfologico.
Petitot cerca di dimostrare il suo assunto attraverso un discorso che con molta
efficacia intercala considerazioni di metodologia scientifica e suggestioni
storico-filosofiche.
Per quanto riguarda le seconde, egli traccia un cammino denso di referenze.
Rivedendo inizialmente la problematica kantiana dello schematismo
trascendentale della ragione, cos come essa stata sviluppata e condotta a crisi
nellelaborazione husserliana, egli nota come Husserl abbia correttamente
inteso lirresolubilit del problema posto in quelle forme da Kant. Il passaggio
kantiano dallestetica allanalitica allo schematismo disgiunge in maniera
definitiva i giudizi determinanti (a portata ontologica) da quelli riflettenti (a
portata ipotetico-metafisica). Su questo passaggio il criticismo non riesce a
concludere il suo progetto, anzi esso ci lascia un mondo scisso,
ontologicamente irraggiungibile Ma la correttezza della comprensione del
fallimento kantiano nella soluzione del problema della conoscenza, non porta
136

Husserl ad una corretta soluzione del medesimo problema, aggiunge Petitot.


Anzi, la ricerca dellobiettivit viene a questo punto, in Husserl, affidata non
pi allintuizione pura bens allintenzionalit, non allapprofondimento
dellestetica bens allo sviluppo dellanalitica. Lassiomatica intuitiva della
scienza dispersa nel formalismo fenomenologico della coscienza e mistificata
nella trascendenza dellintenzionalit. Su questo terreno, quando la temporalit
originaria della coscienza si oppone alla teoria nazionale dellobiettivit,
Heidegger potr trarre da Husserl conseguenze estreme e legittimare la
condizione di Krisis del pensiero europeo. Certo, Kant ha reso possibile questa
conseguenza del suo pensiero: ma anche altre, sostiene Petitot. Ora, ci si deve
chiedere: contro Husserl e Heidegger, non possibile identificare, fra le
possibilit della ragion pura, una diversa via di sviluppo della teoria della
conoscenza, fra estetica e schematismo trascendentale?
Le matematiche moderne, incalza Petitot, possono offrirsi [offrirci ?] questa
nuova via di soluzione per il problema lasciato irrisolto fra Kant e Husserl.
Secondo Petitot, sulla base dellinsegnamento di Thom, la scissione
insuperabile fra schematismo e costruzione, fra categorie ed intuizioni pure, fra
esposizione metafisica ed esposizione trascendentale dellestetica, pu essere
sciolta. Caratteristica fondamentale delle matematiche moderne infatti quella
di elaborare concetti matematici strutturali a contenuto categoriale, - certo, non
<< immediatamente >> ritrovati nellintuizione pura ma << mediatamente >>
costruiti nella geometria della spazio-tempo. Nello sviluppo delle matematiche,
nella loro storia concreta, i concetti e i giudizi riflettenti possono man mano
divenire concetti e giudizi determinanti, essere cio portati ad intensit
ontologica. Riferendosi al lavoro di Lautman, Petitot giunge a questa
formulazione: << la dialectique du concept immanente lhistoire des thories
mathmatiques et leur mouvement vers lunit doit tre conue, en rapport
avec lxprience possible. Comme le principe dun schmatisme gnralis
susceptible de constituer les ontologies rgionales dobjectivits alternatives
>>.
Dire questo come dire che finalmente la scienza matematica ci permette di
cogliere gli << stati reali delle cose >>, di penetrare ed affermare la loro
oggettivit razionale; come dire che sulla base della scienza contemporanea
<< giudizi analitici a posteriori >> sono formulabili. Si compie in questo modo
la vendetta dellestetica sullanalitica - quando cio lo schematismo
trascendentale della ragione risulta essere prolungamento e verificazione della
prima e non - come in tutto il neokantismo - fondamento del formalismo delle
ipotesi analitiche. Un anti-neokantismo radicale vorrebbe dunque essere qui
fondato attraverso il combinato disposto dellanalisi della Krisis del pensiero
137

filosofico (bloccato sulla denuncia e sullimpossibilit di superare le perduranze


del razionalismo classico) e della nuova costruttivit del pensiero matematico
contemporaneo.
***
Non posso non essere daccordo con questo sviluppo e con questo progetto
contenuti nel saggio di Petitot. Con due riserve, su motivi espressi dallautore,
che mi sembrano minare lefficacia della sua proposta e rappresentare degli
ostacoli che vanno in ogni modo evitati, affinch la proposta non rovini su se
stessa. Il primo di questi ostacoli mi sembra consistere nella ripetuta
dichiarazione di fedelt allimpostazione strutturalista, il secondo ostacolo mi
sembra consistere nella troppo riduzionistica concezione della Umwelt
fenomenologica - e quindi nella sottovalutazione dellintensit ontologicoregionale del << problema del senso >>. A proposito del primo ostacolo, vorrei
solamente notare che il richiamo allo strutturalismo come alla prospettiva che
prevede lunit razionale del senso e della forma e sotto la quale la nuova
formulazione epistemologica pu essere restaurata, risulta contraddittorio con
lelemento pi innovativo dellopera di Thom e dellapprezzamento che Petitot
ne fa. Voglio dire che lo strutturalismo, comunque inteso, contraddittorio con
lo schematismo; che lo strutturalismo, rigorosamente inteso, non permette quel
positivo squilibrio fra << Sachverhalten >> e costruttivit razionale entro il
quale la scienza considera i fenomeni critici del reale e si adegua alla loro
autonomia. Non a caso Petitot costretto, per risolvere questo problema, ad
assumere nella lettura della metodologia di Thom la centralit di un << tiers
terme >> fra oggetto e soggettivit empirica: terzo termine che non
semplicemente un elemento costruttivo della prospettiva scientifica (e dunque,
come tale, indefinitivamente ed operativamente plasmabile) - bens una legge
dessenza regionale, un elemento eidetico costitutivo, una modellizzazione
matematica a priori. Ora, questa assunzione, se indubbiamente coerente con
una lettura strutturalistica del mondo, profondamente contraddittoria con lo
spirito dello schematismo. Essa mi sembra ripetere elementi non irrilevanti del
formalismo husserliano.
E noto come venga formandosi, storicamente e problematicamente, il
formalismo husserliano. Esso si pone alla confluenza di due fondamentali
sviluppi della filosofia posthegeliana e della critica delle concezioni dialettiche
nel tardo ottocento tedesco. Da un lato esso riprende lesigenza della scuola di
Martburg di sviluppare il kantismo come eidetica e simbolismo della ragione;
dallaltro esso riprende la tendenza, viva in Dilthey e nella sua scuola, come
nelle prime impostazioni gestaltistiche, di fissare i criteri strutturali (regionali)
di una metodologia genetica e descrittiva. In entrambi questi filoni, e a partire
138

dalla sintesi pur innovativa che Husserl opera nelle Logische Untersuchungen,
si formano indirizzi di pensiero tipologici, gestaltistici, simbolici e formalisti.
Ora, che cosa ha a che fare questo comportamento di descrizione eidetica con lo
schematismo costitutivo precedentemente descritto? In tal modo non si ritorna
piuttosto a santificare il formalismo, scarnificato quanto si vuole, eppure
presente, in qualcuna delle sue molteplici figure? Non ritorna lanalitica
trascendentale a schiacciare la capacit dellestetica del senso di esprimere
autonomamente la propria tensione schematica? Sorge qui il dubbio che la
stessa prescrizione, precedentemente offerta allo sviluppo della metodologia
della ricerca, di identificare concetti strutturali a contenuto categoriale,
costruendoli attraverso un << processo di mediazione >> fra i dati
dellesperienza, possa risultare ambigua. Che cosa infatti significa pi <<
mediazione >> a questo punto? E di nuovo forse << mediazione >> di essenze
analitiche e contenuti concreti? E addirittura ripetizione di un processo di <<
deduzione >> trascendentale? Non sembrava, inizialmente, che le cose stessero
in questi termini; sembrava invece che << mediazione >> fosse sinonimo di <<
costruzione >> - e che lestetica della sensibilit producesse essa stessa il
proprio schema di sviluppo. In questo caso lanalisi si sviluppa (e lanalitico si
forma) non deduttivamente, bens dentro laposteriori stesso.
A proposito di questo primo ostacolo che sorge sulla via che Petitot percorre,
mi sembra dunque che si debba scrupolosamente tener distinta la nuova lettura
dello schematismo costruttivo che dobbiamo a Thom (e la sua rielaborazione
nello stesso Petitot) dalla tentazione di ricondurla dentro la tradizione dello
strutturalismo. Il ritorno allo strutturalismo rappresenterebbe infatti non la
riscoperta della funzione costitutiva del nesso epistemologia-ontologia, bens
una riconferma del formalismo e dei trucchi deduttivistici di unanalitica
disincarnata.
Ma v anche un secondo ostacolo che si presenta nel corso della lettura che
Petitot fa del pensiero di Thom. Intendo parlare di un certo << riduzionismo >>
nella definizione del << problema del senso >>. Ora, in questo saggio di Petitot,
siamo dinanzi alla compresenza di unimpostazione di carattere generale (che
ha come compito la rilettura dello schematismo trascendentale della ragione) e
di unapplicazione di carattere particolare (la rilettura della teoria delle
catastrofi in Thom e limpatto dellimpostazione geometrico-matematica
sullinsieme teorico dellepistemologia). Si tratta ora di chiedersi Se, non
episodicamente n casualmente, il senso generale dellimpostazione non sia
tradito dallesemplificazione, dalla dimostrazione particolare. Meglio, se nel
corso dellapplicazione, Petitot non sia indotto a ridurre in maniera sostanziale
il campo di intervento, piegando e stringendo il discorso sullo schematismo
139

dentro quello sulla modellizzazione matematica. Io non penso che le cose


vadano in questo senso, penso invece che il discorso di Petitot sia
sostanzialmente lineare nella direzione di un ritrovamento degli elementi dello
schematismo della ragione - a valenza universale. Ho tuttavia limpressione
che, ci malgrado, sia in lui prevalente la tendenza modellistica sopra e contro il
progetto ontologico dello schematismo, e che in generale questo prevalere di
tendenze modellistiche possa rappresentare un potenziale ostacolo ad un nuovo
progetto di schematismo della ragione. Vale dunque esplorare la possibilit di
questo errore.
Ora, Krisis crisi del razionalismo classico. Il razionalismo classico, nella
sua conclusione, relega lontologia al di fuori della logica e fa di questultima la
sola scienza costitutiva, analitica in senso proprio. Ma Krisis anche crisi del
razionalismo dialettico. La dialettica impone le leggi di una logica (rinnovata)
allontologia. In primo luogo si tratta dunque di chiedersi: quando la
modellizzazione matematica viene assunta come traccia dello schematismo
della ragione nella sua funzione costitutiva del mondo, non si rischia una <<
riduzione >> del campo ontologico che inevitabilmente << lascia spazio >>
almeno a feticci dialettici - se non al razionalismo classico? Ma il problema
pi generale e supera di gran lunga il pericolo di veder rivivere una discreditata
dialettica. Il problema consiste piuttosto nel chiedersi quale sia il nuovo globale
significato, e le forme e le dimensioni, dello schematismo trascendentale
rispetto allet kantiana ed allo svilppo [sic] del razionalismo classico, dialettico
o critico. Il problema non da poco. Nellultima parte del suo saggio,
riprendendo alcune fondamentali intuizioni di Habermas, Petitot riconosce che
lo sviluppo contemporaneo delle scienze e delle tecnologie si costituisce in
unopacit storica che somiglia allopacit dellevoluzione naturale. Una <<
seconda natura >>, la cui inerzia ed insensatezza ripetono la dialettica oscura
della << prima natura >>. Che cosa dunque significa << senso >> in questo
quadro? E davvero possibile afferrare la pregnanza e lestensione di questa
realt a partire dalla modellistica matematica? Quale pu essere la << presa >>
di modelli matematici, anche rinnovati, a questo livello di sussunzione, e di
indifferenza, del mondo nellorizzonte della scienza e delle tecnologie? Di
contro: qual la << differenza >> che lo sviluppo dello schematismo deve
imporre in questa nuova Umwelt naturalistica? Noi conosciamo lanalitica
trascendentale di questuniverso e lenorme prigione di insensatezza che essa
produce: ma non sappiamo che cosa significa oggi, nella totalit del suo senso,
unestetica trascendentale. Come risolvere questo problema? La sociologia
chiaro, si presenta come regione naturalistica essa stessa: il senso di
unontologia non dunque in nessun caso riducibile a quello di una regione
sociologica - ed ha ragione Petitot a criticare questillusione in Habermas. Ma
140

se questa << via brevis >> non data, resta comunque il problema di chiarire
che cosa possa essere un ontologia che si ponga a livello della grande
trasformazione del senso dellesperienza - quale quella che stiamo vivendo.
Che interpreti, ad esempio, la pregnanza dellindistinzione del Sachverhalten
(quali il descriveva lultimo Wittgenstein); che rompa la circolarit delle
fenomenologie funzionalistiche, ecc. ecc..
La risposta a questi interrogativi, credo debba costituire il compito del lavoro
filosofico nei prossimi anni. Per ora lunica preoccupazione dovrebbe essere
quella di non racchiudere nuovi modelli di costituzione critica del reale sotto
vecchi paradigmi di razionalit. Da questo punto di vista il richiamo di Petitot
(richiamo fuggevole) alla rilettura che Deleuze ha fatto dellestetica
trascendentale, sembra particolarmente opportuno.
4. Sullorlo dellessere.
A proposito di Giorgio Agamben, Il linguaggio e la morte. Un seminario sul
luogo del negativo, Torino, Einaudi, 1982; di << Vingt ans de pense allemande
>>, numero speciale di Critique 413, ottobre 1981, Paris, t. XXXVII, con
articoli di H. Gadamer, K.O. Apel, R. Bubner, J. Habermas, D. Henrich, N.
Luhmann, O. Marquard, E. Tugendhat, R. Wiehl, W. Iser, H.R. Jauss, G.
Kortian; di Vincent Descombes La mme et lautre, Quarante-cinq ans de
philosophie franaise (1933-1978), Paris, Les d. de Minuit, 1979.
Il pensiero della Krisis ha rappresentato, per una non pi breve stagione, il
punto di riferimento della crisi del marxismo in Italia. Lo sfaldamento della
teoria marxiana del valore e limpossibilit di riportarla ad uno schema
razionale di pianificazione e delle formule politiche che ad essa si erano
richiamate - determinano la necessit, tipicamente italiana (e cio imposta
dallalto livello di lotte e di politicizzazione comunque esistente lungo gli anni
settanta), di salvare la politica comunista oltre la crisi della teoria comunista. Il
pensiero della Krisis sembra svolgersi in questo quadro.
Sulla crisi della teoria del valore, e cio del fondamento della razionalit
complessiva del sapere rivoluzionario, si pone lo sforzo di rifondazione del
progetto. Un prometeismo della politica in assenza di una scienza, anzi, in
presenza della crisi radicale del suo fondamento. La scienza perci del
progetto, nella misura stessa nella quale non pu pi essere scienza del
fondamento. Una sorta di acuta schizofrenia coglie cos la teoria di una parte
consistente del comunismo italiano: quanto pi la scepsi si approfondisce e va
indietro alle origini stesse del pensiero filosofico e politico delloccidente
moderno, tanto pi viene svolgendosi una specie di scienza pura della politica.
Il fondamento sprofonda nella mistica ad indicare lassenza di ogni
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validazione per quella razionalit tecnica cui si accede tuttavia nel disincantato
della politica - nel cinismo si rappresenta il fantasma della weberiana Beruf
politica (talora non si evitano moralistiche inflessioni tratte da quellantica
socratica scuola - come quelle, absit iniuria, rilevabili nel famoso discorso
dellEliseo). Il pessimismo della ragione e lottimismo della volont
raggiungevano un paradossale apogeo. C da aggiungere che queste traiettorie
filosofiche-politiche negarono con insistenza, o riconobbero con estrema
difficolt, la matrice tecnica che autenticamente le sosteneva. Non se ne intende
la ragione: non per la prima volta infatti la teoria socialista dellautonomia
relativa del politico, dello Stato e del diritto avrebbe esplicitamente assunto una
dimensione tecnicistica -come ad esempio avvenne a pensatori della statura di
Lundstedt, in fecondo contatto con lirrazionalismo etico della scuola di
Uppsala negli anni trenta. In mancanza di questo riconoscimento a funzione del
<< pensiero negativo >> rischia chez nous di risultare mistificatoria - e la
mistificazione pu godere di disprezzo e oblio.
Il libro di Agamben ha un primo merito storico-critico: ed quello di
afferrare il pensiero della Krisis per i capelli e di sganciarlo dalla mistificazione
politica che lo animava. Da questo punto di vista reintroduce il pensiero
negativo nella discussione filosofica del nostro tempo, riconsegnandogli la
dignit di passaggio critico.
Rispetto a che cosa? Rispetto appunto al problema della definizione del
fondamento. Ed qui anche il secondo merito del libro di Agamben: il fatto di
attaccare con grande determinazione a posizione stessa del problema del
fondamento, e di consegnare la soluzione non allipostasi della Krisis ma alla
riscoperta di un nesso dellessere e della pratica.
Agamben muove dalla convinzione che il luogo di nascita della filosofia
occidentale, la sua ricerca del fondamento ontologico, articolandosi
necessariamente alla definizione del linguaggio che lo esprime, sia luogo
essenzialmente mistico - la ricerca del fondamento ontologico si aggira infatti
fatalmente attorno alla definizione di un dicibile che nullaltro pu essere se
non la ripetizione dellessere detto.
La fondazione si riduce al mezzo di espressione: la fondazione pu esserci
solo in quanto detta, ma lesser [lessere ?] detto non ha cos fondazione,
pura voce. Lescamotage del pensiero della Krisis e quello di ammettere la crisi
del fondamento e di accertare il suo affondare nel pensiero mistico, ma di
assumere nel contempo, simultaneamente, la voce e la logica di espressione
come intenzioni autonome ed indipendenti dal misticismo del fondamento:
sicch la logica del progetto non solo si vuole senza un fondamento ma - astuzia
degli dei - lo davvero. Il pensiero del progetto risulta, su queste basi,
142

ineffettuale - esso vive dellillusione di riprendere la potenza logica di un


problema insoluto. Potenza logica, quindi, insussistente.
Ricostruendo storicamente lo sviluppo del problema del fondamento, ovvero
del rapporto fra fondamento ontologico e voce che lo esprime, Agamben taglia
due nodi principali: Hegel e Heidegger. In Hegel lidentificazione del problema
del fondamento e della dimensione logica della sua espressione totale.
Ma proprio questa assunzione radicale del problema del fondamento nella
dimensione della logica a far esplodere il problema. La circolarit indefinita
della soluzione da Hegel assunta a fondamento. Il cattivo infinito che si
vorrebbe evitare diviene il principio. Il fondamento diviene, e non pu che
essere nella logica, linfondato. Linsignificanza della voce pretende a
fondamento dellessere - ma la voce solo una modalit dellessere e non lo
fonda. Il circolo ontologico-linguistico non si chiude.
Heidegger mostra come questo circolo non si chiude in nessun caso. E a
ragione: egli spinge lintenzionalit husserliana fino allidentificazione nel
tempo dellessere, e qui il senso (significato) dellessere pu concludere solo
alla vanificazione [verificazione ?] di ogni senso (direzione) dellessere, alla
dichiarazione della completa inessenzialit dellesistente. Quindi, ad uno statuto
ontologico completamente negativo anche per la voce che esprime lessere.
Il tentativo di considerare lessere, in Hegel, come relazione di tutte le
relazioni vanificato [venificato ?] nel riconoscimento che ogni relazione
infondata - il senso della metafisica dunque il cogliere questa nullit delle
relazioni.
Heidegger porta paradossalmente a termine, nel nihilismo, il pi antico
programma sistematico dellidealismo tedesco, che era consistito nel disegno di
riportare il negativo, attraverso a dialettica, nel processo della totalit - come
dichiarazione dellessere e probabilmente, data la connessione fra senso della
totalit e senso etico della vita, come idea di autocostituzione etica del mondo.
La rete logica che stringe questo progetto per Heidegger dissolta - e leticit
ridotta a logica essa stessa tratta dentro questo processo non di autofondazione
ma di autodissoluzione. Invero, sottolinea Agamben, questautodissoluzione
nihilista dellessere lascia libera la voce - ma unaltra voce, una voce assoluta,
assolta dalla negativit di cui si fatta portatrice, effettivamente piesis ora, in
quanto essa permane come unica potenza di questuniverso dissolto. La voce si
libera dalla genealogia della negativit - prima di una disperata solitudine, poi
tentando di riorganizzarsi nel rapporto linguistico, e quindi di riassumere
lesistente nel rapporto etico. E possibile dunque unassoluzione della voce che
la proponga come base di una umana metafisica? E possibile nella misura nella
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quale la voce non si presenti come logica, a riassumere in s la metafisica, bens


si presenti come etica e da questa dipani le ragioni dellessere: solo in questo
modo il valore del nihilismo pu essere colto.
E rovesciato? La voce, dopo essere stata la chiave della logicizzazione
dellessere ed aver quindi costituito il terreno della dissoluzione del suo stesso
senso, nella costituzione dellinfondatezza del dire il fondamento, - pu dunque
ora costituirsi in orizzonte di senso? E verso dove?
La voce pone comunque il problema delletica. Non sono certo di interpretare
correttamente Agamben, a questo punto. A me sembra che qui intervenga un
terzo autore, mai citato ma presente. Si tratta di Marx. Di un Marx strappato su,
fino al livello della sussunzione reale e cio allorizzonte di una completa
riduzione dellessere alla voce, della catena dei rapporti produttivi alla comunit
delle relazioni linguistiche.
Qui si potrebbe presentare una teoria della voce come voce della coniazione
dellessere. Ma coniare lessere ha senso solo se a voce assunta in termini
etici: una coniazione logica dellessere sarebbe semplicemente riproposizione
del problema del fondamento e quindi riproposizione della Krisis, della
circolarit insensata del fondamento logico dellessere. Ne risulta che la voce,
in quanto voce collettiva, eticamente sensata, produttiva e costitutiva,
rappresenta la sola base di una filosofia che possa riconquistare lessere.
Da Hegel a Heidegger si scioglie la tradizione della metafisica occidentale. Il
suo compimento e la sua fine. Fine dei tempi, come Kojve ha visto in Hegel ma fine dei tempi apertura di un nuovo tempo, dominato dalla voce etica.
Marx ne ha intuito il significato, e il pensiero negativo non sostituisce Marx,
non mette la politica al posto della teoria, ma semplicemente lintroduzione ad
una rilettura di Marx nella sussunzione reale. Quindi ad una rifondazione della
teoria.
Ma rivediamo questo passaggio. E su di esso infatti che, nella filosofia
italiana, si compiono operazioni analogamente tentate, in questi anni, dal
pensiero francese e da quello tedesco. Un primo episodio va identificato nella
filosofia tedesca (Habermas, Apel, Tugendhat, ecc.). Qui il riconoscimento della
Krisis avvenuto nel comune esaurirsi delle prospettive realistiche e delle
ultime espressioni della tradizione del criticismo. Mentre le prime concezioni
continuamente si scontrano con limpossibile soluzione del problema del
fondamento - << ma i Topici non concludono >> -, la seconda impostazione
crolla nellinconclusivit della trafila << avalutativit-decisionismorazionalismo critico >>. Lunica via duscita il trascendentalismo. Donde un
singolare ritorno a Kant - non tanto allo scopo di riaffermare lorizzonte critico
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come tale, quanto nel tentativo di dare sostrato ontologico al trascendentalismo.


Ma quale pu essere questo sostrato? Pu solo essere un terreno di interazione
comunicativa. Si badi bene: non la critica sociologica ma soprattutto la scuola
ermeneutica a spingere in questo senso, e non la densit dei suoi strumenti.
Lestetica trascendentale, attraversando il terreno della voce, della
comunicazione collettiva, tende alla rifondazione di un progetto etico. Il tema
etico tema di strategie comunicative.
La critica della ragione strumentale, sottolinea Habermas, non riuscita ad
avere sostanza comunicativa, deve quindi nuovamente svilupparsi in teoria
dellagire comunicativo. Ed Apel insiste sulla necessaria coniugazione di
coscienza ed intersoggettivit, sulla necessaria implicazione istituzionale di
evidenza e di validit; e Tugendhat dipana lunit trascendentale del soggetto in
una serie di contigue e/o alternative decisioni consensuali.
Che tutto questo possa non rappresentare altro che una nuova defatigante e
moderata filosofia della mediazione, vero; che lilluminismo di questi autori
sia eclettico e fastidioso - Garve e non Kant - pur evidente. Eppure non va
sottovalutato il terreno sul quale il discorso filosofico costretto: il mondo la
voce, linterazione linguistica, lessere del pratico. La recezione del mondo in
termini di linguaggio (o di interazione comunicativa) resta tuttavia in modo
indifferenziata. Lestetica trascendentale, pur caratterizzata da un soggetto
qual quello delletica (ermeneutica del soggetto) e della politica (ermeneutica
della comunicazione), non riesce a descriversi altrimenti che come promozione
di un qualche eventuate schematismo della ragione. E il riconoscimento di s
come essenza etica si svolge di nuovo nella dialettica che va dalla solitudine al
terrore o in quella senza fine del riformismo. La primariet della sfera
comunicativa comunque lirreversibile risultato fissato dalla filosofia tedesca
contemporanea. La violenza dellimmediata appercezione etica del mondo sta
invece alla base della filosofia francese contemporanea. Qui la fine dei tempi, il
senso della produzione dellessere, lapprensione della categoria etica,
assumono in primo luogo limmediatezza di questo passaggio costitutivo, lo
danno come assoluta datit. In ci consiste indubbiamente la superiorit della
filosofia francese su quella tedesca.
Attraverso il bagno purificatore dello strutturalismo, nelle sue varie tendenze
epistemologiche, nihiliste, empiristiche, surrealistiche, alla Bataille, alla
Derrida, alla Deleuze, il problema della produzione si situa sullorizzonte
dellessere equivoco, dato, irresolubile. La distruzione della metafisica avviene
sulla dimensione della metafisica. Lessere percepito senza negativit e
trascendenza, perch negativit e trascendenza sono insignificanti, irriducibili
alla datit.
145

Ma, in secondo luogo, la distruzione della metafisica diviene unoperazione.


Il soggetto si sa soggetto etico in quanto operatore della distruzione della
metafisica, il soggetto e immediatamente positivo in quanto - pur schiacciato
sulla dimensione della distruzione della metafisica - coglie lessere come
orizzonte da percorrere, assolutamente aperto.
Nel primo programma sistematico dellidealismo tedesco, per stare ad una
continua sollecitazione di Agamben, la totalit delletico un risultato, la
polis da ricostruire. Nella filosofia francese la totalit delletico il
presupposto, lunico presupposto, formato dal linguaggio, dalla produzione,
dalle differenze. Se lessere appare nelle dimensioni heideggeriane, su queste
dimensioni esso va ripercorso - sapendo tuttavia che lunivocit dellessere
heideggeriano si dissoluta in equivocit. Perci ripercorrere lessere non
significa dominarlo: significa assumerlo per quel che , destrutturarlo, e
mostrarlo come figura della voce collettiva e sua continua dislocazione sul
ritmo delle voci.
Io non so bene se Agamben possa accettare questo terreno del filosofare, e
questa definizione della metafisica. La cosa certa che egli giunge su questorlo
- con un lavoro che innova e riassume tendenze della critica francese e della
costruzione postfrancofortese dei teorici tedeschi. Io sento che ora siamo
obbligati ad accettare questo comune terreno di proposta filosofica. Il discorso
di Agamben ha per certi versi un andamento humeano: disarticola la
complessit della tradizione, forse solo per distruggerne i presupposti, - ma con
ci afferma una rinnovata prospettiva di lavoro, come presupposto
problematico. Questo morto materiale pu dunque essere usato come
fertilizzante di nuova vita. Non occorre sapere che cosa sia il mondo perch
lesser - ci produca - se solo amiamo questa frontiera dellessere come disutopia
totale e sola nostra speranza possibile. La filosofia non anticipa il reale, pu
solo accettarlo e procedere sincronicamente con esso. Una metafisica
dellassolutamente positivo rappresentata dalla possibilit di propor - si su
questorlo dellessere - armati di unintera disillusione del reale. Il massimo di
ottimismo della ragione, unito al massimo di pessimismo della volont, rovesciando in tal modo lo stolto stereotipo paleocomunista che ci voleva
incapaci di speranza (pessimismo della ragione) e fanatici nellazione
(ottimismo della volont), perci preda del terrorismo della filosofia del
fondamento.
Noi invece il fondamento lo poniamo nel futuro, nel razionalismo assoluto di
unetica positiva. Il passaggio che ora si deve compiere compreso nellarco
dei problemi che la critica ha proposto: esso consiste cio nellarticolazione
della voce. La determinazione collettiva, produttiva, ontologicamente
146

costitutiva della voce umana va posta a soluzione del contesto etico. Etica
significa comunicazione e lessere della comunicazione sensato.
In realt, alle origini dellidealismo trascendentale, il Sistema delleticit di
Hegel aveva sviluppato questa consapevolezza in un quadro avvertito della
complessit etica - ma questa complessit lo spinge verso la rassicurazione, e il
mondo etico va quindi risotto nella forza della mediazione e della logica. Di
contro, la filosofia contemporanea moltiplica il terrore trascendentale della
complessit etica ma nel contempo pone limpossibilit che la logica
rappresenti la chiusura del reale. Heidegger svolge il problema fino a ridurre
allinsignificanza il compito eroico che lascetismo logico di Husserl gli aveva
affidato. Wittgenstein vanifica ed esalta in godimento mistico la completa
circolarit di questo compito metafisico: la disillusione si fa gioco, il dcir
liberty. Oltre ascetica e mistica, oltre la tragedia di due guerre e la crisi del
socialismo reale, la filosofia deve ritrovare un terreno di fondazione: ed quello
sul quale rist la vita delluomo, un orlo di un essere che non ancora. Unetica
assoluta senza valore e senza futuro. Eppure il fondamento nel futuro. Ma
fondamento e parola vana.
Riusciamo dunque a sbrogliare la matassa delle speranze, razionalmente,
senza affidarci [affidarsi?] ad alcun ottimismo della volont? Riusciamo a
cogliere la voce che rappresenta la nostra umana essenza non come sostitutivo
dellessere ma come costituente il essere? Ho limpressione che la filosofia
contemporanea ci abbia portato su questo limite. Ho limpressione che la
disperazione dellesistente ci spinga oltre.
Staccata dalle funzioni politiche che le sono state impropriamente affidate e
dalla mistificazione che con ci le giungeva ad esprimere, la filosofia della
Krisis pu cos rappresentare una possibile introduzione al pensiero positivo,
alla filosofia del futuro. Un terreno etico costituito. Il problema ora di
scavarlo e di coltivarlo, questo terreno. Senza farsi cogliere da ulteriori moti di
resipiscenza e tentare nuovi e surrettizi recuperi del negativo. Il concetto di
possibilit non introduce il negativo, la speranza razionale non implica il
negativo - il fisico non chiama negativo il fatto che la natura conosca dei limiti,
che la vita conosca la morte. E cos - il non essere non . Questo vuoto pu
solo essere riempito di umana operosit.
5. Listituzione logica del collettivo e le fatiche
(A proposito del libro su Frege di Roberta De Monticelli).

dellestetica.

E noto come il linguaggio - in quanto insieme di proposizioni ma anche,


semplicemente, insieme sensato di proposizioni - possa essere considerato un
orizzonte intrascendibile. Quando lorizzonte linguistico venga presentato
147

secondo queste determinazioni, diciamo che il linguaggio costituisce un


orizzonte ontologico - il mondo e non ce n altri. Oppure ce ne possono
essere altri, ma altrettanto esclusivi: se vi siano chiavi per trascorrere dalluno
allaltro problema che inizialmente non ci tocca. Se lorizzonte linguistico
ontologia, mondo, allora il problema della verit pu essere posto solo al suo
interno: la corrispondenza al reale della proposizione andr
epistemologicamente verificata nel suo valore logico in quanto questo sia
ritrovato nella circolarit dellorizzonte medesimo. Lepistemologia in senso
proprio (come teoria della verificabilit della popolazione nella sua
corrispondenza con il reale) finita. Meglio: riassunta nellontologia.
Unontologia che, nel mondo linguistico, pu solo essere formale, non pu cio
promuovere la sua forza di verifica che dallinterno di una correlazione
indipendente. Intrascendibile, appunto. Se ci chiediamo quale sia il significato
di una proposizione, entro questintrascendibile universo linguistico, non
potremo far altro che ricercarlo seguendo i tratti formali del senso della
proposizione - non certo ricorrendo a funzioni semantiche di interpretazione che
presupporrebbero il linguaggio e il mondo come indipendentemente
caratterizzabili. La verit si mostra al pensiero, dentro al pensiero - essa non
lobiettivo della logica ma loggetto e la sostanza del pensiero. Nelle scienze
naturali si cerca la verit, nella logica la si mostra. Linterferenza logica solo
un movimento - non una produzione - di verit. Secondo Frege, nella lettura dei
suoi maggiori interpreti ed ora di Roberta De Monticelli (Dottrine
dellintelligenza. Saggio su Frege e Wittgenstein, De Donato, Bari 1982), << il
Sinn di unespressione il modo di determinazione, o anche il modo di datit o
di presentazione della Bedeutung di quellespressione >>. Il senso dunque
listituzione di uno spazio logico - istituzione dellordine esclusivo delle
possibilit logiche che lespressione presenta.
Inoltre, Frege aggiunge: << lo sostengo che il concetto precede logicamente
la propria estensione e considero erroneo il tentativo di far dipendere
lestensione del concetto come classe non dal concetto ma dagli individui >>. Il
valore semantico dei segni linguistici dunque il loro potenziale di
discriminazione ontologica: il Sinn crea la Bedeutung, linsieme delle
proposizioni il mondo. Michael Dummett (nel suo Frege del 1973) non ha
esitato a considerare di importanza Cartesian la svolta linguistica della filosofia
imposta appunto da Frege.
Roberta De Monticelli, il cui volume merita unapprofondita discussione, non
ha dubbi nel trarre decisamente verso un orizzonte linguistico, qualificato in
termini di intrascendibilit, anzi senzaltro Wittgenstein, la teoria del pensiero ed in genere la logica di Frege. Questoperazione viene condotta nei primi otto
148

capitoli che costituiscono la prima parte del suo volume. Le critiche che si
possono opporre a questa prima operazione di geometrica proiezione di Frege
su Wittgenstein (operazione che potrebbe essere ritenuta di appiattimento) sono
parecchie. Meglio di tutti, e con molta attenzione filologica, le eleva Michael
Dummet [sic one or two ts? ] nella sua prefazione al volume. Il peso indubbio
di queste critiche non toglie il fatto che loperazione della De Monticelli, nel
suo libro, sia molto robusta e stimolante.
Ma vediamo lo obiezioni di Dummet. a) Lautrice esagera il carattere
aprioristico del pensiero di Frege - il resoconto a priori del linguaggio che
Wittgenstein elabora nel Tractatus, non invece nel programma di Frege. b) La
negazione dellepistemologia non in Frege presupposizione di una metafisica
realistica - come invece avviene in Wittgenstein. In Frege v al massimo un
orientamento in tal senso. c) Il rapporto fra realismo ed oggettivit dei pensieri
e del loro valori di verit non esclude, come invece avviene nel Tractatus, i
problemi dellapprensione, della nostra capacit di riconoscere le condizioni di
vera. d) Troppo facile la riduzione della Bedeutung al Sinn - in realt, in
questi termini, il linguaggio viene ridotto a concetto astratto. Ma storicamente
non avvenuto cos. La svolta linguistica della filosofia non ha tralasciato la
considerazione del rapporto reale e il Sinn, come in genere il rapporto logico,
stato inizialmente interpretato come veicolo del reale. e) E davvero il pensiero
di Frege tanto coerente quanto la De Monticelli (poggiando sul tardo scritto Der
Gedanke - 1918) ritiene? Come distinguere e come ridurre ad unit e continuit
tesi diverse, se non contraddittorie [contradditorie ?], sostenute in opere
diverse? f) E infine: lautrice non tiene presente altri elementi che caratterizzano
- fuori ed indipendentemente dal Sinn - gli enunciati: in particolare la << forza
>> della Bedeutung, ovvero una relazione di verit immediatamente evidente,
in funzione comunicativa. La comunicazione dunque, nello stesso Frege,
elemento dellintelligenza.
Come ho gi detto, credo che queste obiezioni, pi che inficiare lo schema
della ricerca della De Monticelli, ne mostrino a robustezza dellimpianto.
Poich, a mio avviso, quanto filologicamente avventuroso - il sospetto
appiattimento di Frege su Wittgenstein - filosoficamente legittimo e vale a
porre un problema per noi fondamentale. Poco importa se sia un problema
nuovo. A me sembra infatti che, attraverso la sua interpretazione nella svolta
linguistica della filosofia, la De Monticelli esplichi un paradosso teorico - che
pu essere cos formulato: lontologia formale dellorizzonte linguistico del
Tractatus interpreta correttamente le istanze realistiche e lapertura alle esigenze
della comunicazione che sono proprie della filosofia fregeana. Fra Frege e
Wittgenstein non cambia il desiderio di realt - cambiata, effettualmente, la
149

realt. Il mondo ci dato nella forma dellontologia linguistica - la genesi


fregeana di questontologia non contraddittoria con il risultato - malgrado il
carattere paradossale del processo. Il mondo linguistico sussume i problemi del
realismo. (E chiaro allora che a M. Dummet, che dagli anni 50 va sviluppando
una concezione antirealistica ed intuizionistica del linguaggio, queste premesse
della De Monticelli sembrino fortemente criticabili. Diverso sar
latteggiamento di M. Dummett a fronte delle conclusioni dellautrice - ma di
questo pi tardi).
<< Nella seconda parte del suo libro, la De Monticelli fa un audace tentativo
di costruire unepistemologia sul fondamento della filosofia del pensiero
esposta nella parte prima >> (M. Dummett). Vale a dire che la De Monticelli,
memore del debito con il realismo fregeano, dopo aver descritto la sussunzione
del mondo nel linguaggio, cerca di dare caratteristiche materiali allontologia
costituita, di riarticolare luniverso - fin qui solo formalmente descritto. Deve
appunto mostrare la genesi del risultato. Deve riaprire la dialettica
dellepistemologia a livello di una metafisica realistica. Che questo - della
riarticolazione realistica dellorizzonte formale della comunicazione - sia un
problema attuale, che la riproposizione di un compito epistemologico (in senso
proprio) costituisca un passaggio centrale, nessuno, credo, potr negarlo. E che
questo cammino debba svilupparsi secondo figura capaci di esprimere, a livello
di questo mondo sussunto, la materialit della vita, sembra addirittura ovvio.
La De Monticelli risponde solo parzialmente alla questione che si proposta.
Definito correttamente il terreno della ricerca, se ne ritrae infatti
precipitosamente, scegliendo una consueta quanto perniciosa scorciatoia nello
svolgimento del compito: una via kantiana. Nei capitoli IX (<< La vita e il
mondo >>), X (<< Frege e la teoria kantiana dellintelligenza >>), XI (<<
Esperienza e giudizio >>), che aprono la seconda parte del suo volume, la De
Monticelli tenta dunque di sviluppare, su base fregeana, una dottrina
complessiva dellintelligenza. I tre capitoli costituiscono, nellallargamento
tematico che presentano, unanalisi degli elementi di avvicinamento di Frege a
Kant, nella teoria della percezione, nella teoria delllo e dellautocoscienza,
nella teoria del concetto. E chiaro che, in questo campo, ogni passo verso Kant
un passo di allontanamento da Wittgenstein. Ma largomentazione si fa
appunto teoretica. E si svolge: a) attraverso la ridefinizione di una teoria della
percezione cognitiva, in senso kantiano, e cio di una teoria che prevede la
coincidenza di elementi percettivi e di elementi intelligenti come condizione dei
primi. Il segno kantiano allegato alla teoria delle condizioni dellessere
conoscitivo; b) la ridefinizione di una teoria trascendentale dellorizzonte
linguistico, ovvero del passaggio - mediato dallio cosciente - dalla percezione
150

degli oggetti alla definizione dei concetti. Questo kantiano passaggio contiene
la refutazione dellidealismo soggettivo; c) terzo punto lelaborazione della
teoria del concetto come sintesi di esperienza ed intelligenza nel linguaggio. Su
questo terreno la De Monticelli sviluppa con coerenza la teoria del concetto
verso larticolazione di funzioni logiche (ad esempio, con riferimento al
problema dellindividuazione) e la rifonda nella prospettiva costitutiva dello
schematismo trascendentale. La relazione Sinn Bedeutung oggi
completamente risolta dentro questo rapporto. Ci ritroviamo qui su uno snodo
fondamentale. A me sembra che questo uso del kantismo rappresenti
unscamotage che annulla la determinazione globale dellorizzonte linguistico.
Il problema dellarticolazione raggiunta, viene disarticolato nel linguaggio
kantiano. Lo schematismo chiave della teoria del giudizio e dellestetica.
Evita la produzione. Insomma, una recessione nella questa che la De
Monticelli propone.
Nei capitoli successivi XII-XV, lavvicinamento a Kant viene ulteriormente
spinto e specificato - nel senso che, sulla base della dottrina fregeana dell<<
afferrare >> (posta a contrasto, a differenza del << giudicare >> kantiano), tutto
il processo viene per cos dire centralizzato, appesantito, << empiriocriticizzato
>>. Si badi bene: non che lorizzonte kantiano sia superato, la verit non viene
tolta alla sua realt trascendentale-critica (e si rifiuta radicalmente la teoria della
verit-verificabilit) - lorizzonte kantiano viene << pi >> empiricamente
connotato. Cos ad esempio, si insiste sul ruolo delle << espressioni indicali >>,
degli << stati modali >>, sul << colore >> delle proposizioni. Per concludere:
<< la valenza epistemologica del concetto di senso (ritenuto il vecchio concetto
di epistemologia come rapporto fra verit e verificabilit) fa della posizione di
Frege un realismo forte, ma non un realismo puro >>. Un realismo << poetico
>>, soggiunge la De Monticelli. Annotazioni analoghe si possono fare quando
lautrice passa, dalla dottrina del Sinn, alla considerazione della teoria della
Bedeutung. La funzione riferimento, con le sue due caratteristiche di
immediatezza percettiva e persistenza concettuale, viene riportata allorizzonte
del realismo << impuro >> dellintenzionalit, la Brentano. Il processo
dellindividuazione ha solo degli aspetti delle componenti epistemologiche - di
verificabilit. << Vie daccesso alle cose >> - che non si concludono, sentieri
interrotti. I processi dindividuazione hanno componenti epistemologiche ma
solo la teoria del Sinn determina la completezza del progetto. La sensibilit
infatti coinvolta nelle procedure di individuazione ma non nella procedura di
giustificazione delloggetto. La comunicazione, le funzioni-riferimento sono
intenzionali. Il processo di verifica non altro che un processo, un ondeggiare
fra apparenza e realt, fra soggettivo ed oggettivo, una descrizione
fenomenologica del processo stesso. Lidea di distinguibilit fra essere ed
151

apparenza costitutiva della percezione - ma solo, appunto, come idea e


dinamica. Nel cap. XV la tesi viene ulteriormente ribadita e sviluppata, sulla
base dello schematismo kantiano della percezione e del concetto - con una
nuova forzatura in termini estetici [estatici?] e poetici della tematica.
Questinnesto, sullalbero della filosofia linguistica, di apporti kantiani e
fenomenologici, pur essendo tipicamente scolastico (nellaccademia Italiana),
coglie tuttavia la polarit fondamentale del pensiero filosofico contemporaneo
che si confronta con la sovradeterminazione ontologica del mondo linguistico fra Husserl e Wittgenstein. Originale nella De Monticelli il sentimento della
necessit della disarticolazione interna dellascettivismo husserliano e del
misticismo wittgenstiano - e la sua tendenza a riconquistare il senso della realt
della totalit linguistica, inverandone la genesi, ad esperire con coraggio
listituzionalit complessiva dello spazio logico e la sua potenziale elasticit.
Alloriginalit della strategia si contrappone [sic] linfelicit della mossa
kantiana.
Commentando la seconda parte del volume della De Monticelli, M. Dummet
- come aveva criticato la trazione di Frege verso Wittgenstein operata nella
prima parte - critica ora la torsione kantiana qui operata. In sostanza Dummett
nega la possibilit filologica di questa torsione - sia a proposito della teoria
delllo, sia della teoria del senso e dellintenzionalit, sia in genere su tutti quei
punti di vista nei quali si valuta [voluta?] e si ristabilisce il rapporto fra teoria
del pensiero e teoria della conoscenza. Di nuovo queste annotazioni filologiche
di Dummett vanno accettate. Senonch esse sfiorano solamente la critica - ed il
problema della De Monticelli. se infatti come il problema teorico
fondamentale,. qui proposto, dovremo - piuttosto che ribattere filologicamente
alle conclusioni della ricerca - riprendere il suo filo. E rifiutare dunque non
tanto la trazione verso Wittgenstein del realismo fregeano quanto la specifica
torsione kantiana nellinterpretazione della sovradeterminazione ontologicolinguistica. La De Monticelli convinta che il mondo conquistato rappresenti la
fine delluniverso del Logos. Difficile sarebbe sollevare in proposito obiezioni.
Quanto alluso di Kant, su questo tornante ed alto scopo di sottolineare la
possibilit che la Krisis offre - esso , almeno a partire da Schopenhauer,
consueto. Ma daltro canto, non ci sembra che la De Monticelli sia disponibile a
trarre dalla crisi del Logos conclusioni irrazionalistiche. Sicch, tra i divergenti
rifiuti, essa sceglie una via intermedia, tentando la riarticolazione del mondo
della Krisis attraverso unambigua sfera della percezione: fantasmi che
schematicamente adempiono a funzioni trascendentali. Un realismo impuro?
(oppure, nella qualificazione leniniana dellempiriocriticismo, un idealismo
impuro?). Una teoria dellimmaginazione? Di fatto, come s gi visto, negli
152

ultimi capitoli del suo appassionato libro, la De Monticelli spiega la


ricostruzione di una prospettiva kantiana nel senso di una sorta di realismo
poetico - impuro. Realismo - perch limmersione nel mondo senzaltro
fondante e le qualificazioni di verit e falsit costituiscono le condizioni stesse
del linguaggio (<< Nella sostantivazione del predicato vero si cela (si mostra)
lessenziale identit di categorie ontologiche (stati di cose, fatto e dunque classe
e cosa) e categoria logica delle sue espressioni >>). Ma realismo impuro:
poich la possibilit di discorrere dellessere fondata sullo scarto - e
soggettivamente sullo scontro - fra ci che logicamente comprendiamo e ci
che la logica mostra. Il pensiero dellessere, il realismo diventano misura
dellimperfezione logica - ed i filosofi, nel momento stesso nel quale si
riconoscono nelluniverso linguistico, debbono provarsi nella trasformazione
del << rumore >> in significato e nelladeguare le forme linguistiche alle
funzioni. Qui, su questo passaggio, la questione del linguaggio non verbale
diviene centrale. Limpurita del realismo logico non solo un limite - anche
una produzione di sensi diversi. La Krisis del Logos la possibilit di nuovi
significati reali e di nuovi sensi linguistici. Il realismo impuro realismo
poetico.
Ma ricostruire un orizzonte articolato e realistico, nella crisi del logos, dentro
la svolta linguistica, forse compito che possa essere affidato alla poetica? E
con estremo disagio che mi propongo questo interrogativo perch, se da un lato
sento la suggestione della proposta e la forza e il colore e la costruttivit del
progetto (non nuovo tuttavia, gi nello Steinhof, attorno ai medesimi
problemi, prospettato), pure non riesco a considerare la poesia come alternativa
alla crisi del logos. Certo, il pregiudizio di una millenaria cultura che in ci mi
blocca: ma, en philosophie, anche la convinzione che la conoscenza estetica
non innovi rispetto alla logica, che sia rinchiusa nello stesso orizzonte. Che,
confusamente, essa aspiri alla potenza della tautologia. Per la filosofia del
linguaggio come per lestetica, allinterno della sovradeterminazione
linguistica, la verificabilit tolta. La crisi del Logos consiste nel suo deficit
realistico. Lontologia delluniverso linguistico raggomitolata nella formalit.
Lintrascendibilit mistica. Il problema dunque quello di ridare spessore
realistico a questo mondo del linguaggio e della comunicazione. Perch mai
lestetica dovrebbe avere la capacit di compensare a crisi del Logos? Non ne
invece la semplice trascrizione? O, semmai, addirittura lo sviluppo in termini
fantastici, idealistici? La funzione dello schematismo trascendentale si stempera
man mano in funzione riflettente, nel giudizio estetico e llo trascendentale,
nellidealismo classico, stravolge a questa stregua la stessa confutazione
kantiana dellidealismo soggettivo. Perch dunque vestire il pensiero nudo, cos
faticosamente riconquistato, come rappresentante di una nuda vita - perch
153

fargli indossare le vesti di Arlecchino - poetiche ma pagliaccesche?


Se ci fermassimo a questo punto non intenderemmo tuttavia appieno
limportanza del libro della De Monticelli. Vale invece ricordare, proprio
quando essa arriva a queste conclusioni, che da ben altro si era mossa e
ricostringerla a Frege e a Wittgenstein. Chiediamoci dunque di nuovo: perch
Frege? Perch Wittgenstein? Perch tanto importante riprendere lanalisi a
partire da questi autori?
Ora, il problema la Krisis del Logos. Crisi esasperata dalla conclusione
wittgensteiniana della logica nel Tractatus, dalla sovradeterminazione mistica
che la sussunzione logico-linguistica del mondo riceve. La De Monticelli
attacca la sussunzione ripercorrendone la genesi: Frege. La domanda quindi:
evitando ogni scamotage kantiano, pu Frege indicarci, assieme alla via verso
la sussunzione logica, una chiave di articolazione - che come dire, di
riappropriazione logica del mondo? Secondo me possibile rispondere
affermativamente alla questione - pur trattenendo il gioco filosofico fra questi
due autori. Purch la potenza del pensiero logico di Frege sia assunta fino in
fondo e la dialettica fra la genesi fregeana della sussunzione logistica del
mondo e la sovradeterminazione mistica che ne fa Wittgenstein siano
considerate in tutte le loro articolazioni. Ora, Wittgenstein raccoglie e mistifica
il procedimento fregeano. Poich Frege costruisce un mondo di oggetti in cui la
tensione al passaggio, al dislocamento verso lorizzonte della generalit non
toglie in nessun caso la referenza ontologica. La generalit astratta reale Frege
scopre lo scheletro del mondo come comunicazione, come informazione. Se in
Kant la contaminazione dellorizzonte analitico e di quello empirico spinge su
verso lio trascendentale e il giudizio sintetico a priori, in Frege e nella logica
rivoluzionaria la tensione dellanalisi inversa, rivolta verso la produttivit
dellessere, costitutiva di oggetti sul terreno delle astrazioni reali che li
compongono. Il giudizio vuole essere analitico a posteriori. In Frege
lautonomia relativa dellorizzonte del Sinn sempre piegato alla referenza
ontologica della Bedeutung. Di contro, Wittgenstein, assumendo la tensione
fregeana alla sussunzione logistica del mondo, la fonda come logicismo, come
regno della tautologia. La tensione ontologica della logica cade - il reale
sospeso. Di conseguenza interviene il misticismo come conclusione adeguata
allimpossibilit di risolvere la differenza del Sinn e della Bedeutung - il
sentimento dei limiti del dicibile e del pensabile prende il luogo del processo di
produzione della logica del mondo. In Wittgenstein la composizione conclusiva
del Logos perci la sua crisi. Ma non possibile riproporre la produttivit
della logica a livello di dislocamento? Leggere Wittgestein [sic] attraverso la
genesi del logicismo, piegandone le conclusioni alla dinamica materiale
154

attraverso la quale si produce questo stesso suo mondo? Se il problema della De


Monticelli questo, come crediamo, altres vero che nella sua soluzione essa
non ne ha rispettato le condizioni. Che sono invece ci che a noi pi interessa.
Le condizioni fregeane del dislocamento verso la sussunzione logica sono
infatti tali da introdurre - contemporaneamente - lunit e la molteplicit,
lintensit e lestensione, e soprattutto da porre le regole del dinamismo di
questo mondo astratto - delle sue relazioni e della sua dualistica asimmetricit.
Listituzione dello spazio logico in Frege la definizione della possibilit del
suo movimento. Wittgenstein invero il Berkeley, il mistico vescovo dello
sviluppo del realismo logico contemporaneo lo scopritore di una paradossale e
paralizzante riduzione del mondo reale nellidentit tautologica. Frege lo
Hume del realismo logico, colui che ci d le chiavi attraverso cui entriamo in
quel mondo dellastrazione reale che nostro, ed ivi identifichiamo gli oggetti
nuovi e propri, classi ed insiemi, individui di nuova specie. Dualismi,
equinumericit, asimmetrie. Certo, stando a Frege, lo scontro fra logica ed
ontologia non si chiude mai: ma a che formidabile livello stata traslocata la
figura di questo scontro! Lastrazione del mondo, lintelletto generale lambito
dello scontro - la comunicazione non assume ipotetici fondamenti alla sua
origine, svolge piuttosto insieme identificazione e scontro dei soggetti come
vicenda di elementi continuamente emergenti sullorizzonte dellinformazione.
Frege non raggiunge lastrazione reale, lassoluta intrascendibilit del mondo di
Wittgenstein - ma questultima un immobile paradosso. Frege pone il
problema di rompere il paradosso produttivamente, definendo il nuovo quadro
di articolazioni nel mentre cerca di mostrarne la tendenza di sviluppo. Tendenza
che non si concluder mai perch lo scontro la sua chiave dinamica. In
Wittgenstein la logica intensionale del Sinn conduce ad unontologia a valore
zero e, conseguentemente, la logica estensionale della Bedeutung riconosce
lannullamento della sua stessa possibilit. In Frege la logica intensionale ha un
contenuto relazionale e quindi esalta la logica estensionale in un orizzonte
plurimo, in unontologia aperta.
A me non importa molto che la De Monticelli non abbia sviluppato il suo
discorso in questo senso. Ritengo particolarmente infelice il tentato scamotage
kantiano (che, oltre tutto, come riconosce lo stesso Dummett ha ben poche
ragioni sul piano filologico). Ma ritengo che i problemi posti dalla De
Monticelli siano fondamentali. Andiamo oltre la Krisis del Logos cercando di
attraversarne lintera intensit: questo ci sembra dire, in maniera irrefutabile, la
De Monticelli. Ed questo orizzonte della sussunzione, dellastratto generale,
questa Krisis che riformulano gli oggetti e riqualificano le dinamiche e gli
ambiti. E qui dentro che il mondo - questo incredibile ma vero astratto mondo si fa ora vita e produzione.
155

Di qui in avanti la De Monticelli non ci aiuta pi. Crede infatti di poter


scegliere una via estetica per la soluzione di quello che chiamiamo il <<
problema Frege (Hume) >>. Gi Hamann e i primiromantici lo pensarono: il
Belief diveniva alternativamente Gnade oppure costruzione estetica. Ma
lestetico non che la proiezione depotenziata del logico mondo
dellindividualismo. N Kant pu aiutarci ad uscire da queste nebbie. Mentre
laltro presupposto fregeano, che in questo caso completamente dimenticato,
deve essere soprattutto ripreso: ed il postulato (adeguato alla sussunzione
logica del mondo) dellannullamento dellindividuo. Listituzione dello spazio
logico istituzione del collettivo. Nella logica contemporanea il problema
humeano del Belief si presenta come problema degli aggregati di classe: da
Russell a Moore fino alla logica rabbinica di Kripke, tutti debbono ripetere
ladagio fregeano: la classe prima degli individui. Si potrebbe definire la
stessa Krisis nel Tractatus come paralisi indotta dalla meraviglia di questa
scoperta. Ed questa la vera svolta impressa dalla filosofia linguistica: la
definizione dellorizzonte mondano come comunicazione collettiva. Questa
scoperta non poi cos strana se si pensa che essa avviene allinterno dello
sviluppo capitalistico, e nella maturit di questo. Se il Belief humeano gioca un
ruolo fondamentale nella fondazione della market-society dellindividualismo,
nella smithiana paternit del capitalismo - come agisce il Belief della
comunicazione collettiva? Nellulteriore vicenda della logica contemporanea,
dopo Wittgenstein, il problema della comunicazione diviene fondamentale. Il
realismo ritorna ad opporsi con forza a quellempirismo mistico che il Tractatus
aveva generato, a quellempirismo alla Carnap di cui sono state giustamente
criticate la prodigalit nel dispendio del patrimonio logico e lestrema avarizia
nella produzione di espressioni descrittive. Scetticismo nei confronti delle
tautologie, giusta impazienza dinnanzi allincontinenza logicista, si riaprono
cos ai problemi del rapporto fra senso e significato, alle ricerche strutturali
sulla forma (comunit e/o discontinuit, varianza e/o invarianza) del rapporto
fra logica ed ontologia. Quali siano le molte figure di queste problematiche, fra
Quine e Kuhn, fra Putnam e Kripke, quel che certo che la tensione realistica
di Frege ha trionfato contro la rigidit cadaverica cui conclude la wittgenstiana
descrizione del mondo. La nuova logica oggi problema della comunicazione.
Come dunque agisce il Belief della comunicazione collettiva? Sono
personalmente convinto che su questo snodo i giochi siano tutti da farsi. Ma
contemporaneamente sono certo che la filosofia del Logos, in quanto filosofia
profondamente determinata da una concezione della razionalit individuale, non
ha su questo terreno la minima possibilit di sviluppo, neppure nella sua
estrema sofisticazione estetica - Andy Warhol come interprete di Wittgenstein e che conseguentemente la teoria logica va riproposta sulla base
156

dellermeneutica della comunicazione collettiva.


E interessante notare, a questo punto, come i concetti base di certa tradizione
della logica, di cui sembra non si riesca a liberarsi, siano invece non solo in crisi
ma, per cos dire, cancellati dalle acquisizioni rivoluzionarie della logica
postfregeana - ed in particolare dinanzi alle determinazioni produttive del
giudizio analitico a posteriori (dove la presupposizione della classe
dellindividuo non semplicemente descrittiva) ed alla conseguente
dissoluzione della tradizionale divisione fra enunciati descrittivi ed enunciati
valutativi. Qui la logica postfregeana si coniuga con lepistemologia
postbachelardiana.
Poich la comunicazione un fenomeno etico-politico e presenta lessere
come un orizzonte di praticabilit, come un cantiere di formazioni linguistiche,
solo unantropologia del movimento collettivo pu allora chiarirla. La scienza
della produzione - o della distruzione - la potenza ed il potere si presentano su
questorlo dellessere, dentro la totalit dellintelletto generale e le dimensioni
della sussunzione, come esclusivi elementi critici. E ben vero che limmagine come vuole la De Monticelli - veste ora il cosiddetto pensiero nudo, ma lo
riveste dentro quelle dimensioni pubbliche, collettive, produttive che il
pensiero, fuori da qualsiasi robinsoniana nudit, ha assunto. E noi abbiamo
bisogno di una logica a questo livello, che abbandoni ogni nostalgia del
fondamento, che assuma interamente il commercio umano e la multitudo come
dimensione propria. Probabilmente la determinazione etica del mondo il solo
orizzonte che la rivoluzione logica ci consegna come possibilit di scienza. Il
problema del mondo e quello della vita ritornano ad essere uno solo.
6. A proposito dellaforisma << pessimismo della ragione, ottimismo
della volont >> e della ragionevole opportunit di rovesciarlo.
Note di lettura su testi di Luhmann, Baudrillard, Lyotard, Habermas ecc.
1. Aforisma e cinismo.
Laforisma rappresenta una delle forme nelle quali la << ragion cinica >> si
organizza nella societ nella quale viviamo. Sorge il problema di comprendere
se questantinomia, in questa formulazione, non sia apparente e nasconda
invece una pi profonda scissione: fra soggettivit etiche diversamente
orientate.
Sono sempre stato stupito dalla frequenza con la quale negli ambienti politici
ho sentito e sento ripetere laforisma << pessimismo della ragione, ottimismo
della volont >>. Dopo Gramsci (1). La ripetizione di gramsciani e non, di
progressisti e reazionari, di carcerati e carcerieri, di amici e nemici, di comunisti
e liberali, di giovani e vecchi. Il tono argomentativo che accompagna
157

lesclamazione pi o meno questo: razionalmente non c nulla, o c poco, da


fare - proviamo comunque. Se la ragione attesta un blocco, un limite - solo una
sobria resistenza, una convinta insistenza potranno permetterci un orientamento
positivo. Poco minteressa lipocrisia spesso celata dallaforisma: qui non
dobbiamo fare n satira n moralismo. Assumo piuttosto laforisma come segno
di una contraddizione, immediatamente rivelata, nelletico e nel politico. E
poich il politico , o dovrebbe essere, la scienza del possibile e quindi della
volont (ed comunque interpretato in questo senso dai ripetitori dellaforisma)
- mentre letica scienza del desiderabile e quindi della ragione, assumo
laforisma come indicazione di uneventuale contraddizione fra letico e il
politico, fra la ragione e la volont. Per cominciare.
Sembra accertato che, allinizio dellet moderna, nella rinascenza, la
contraddizione fra letico e il politico sia storicamente generata dalla necessit
di rendere autonomo il politico dalla morale. In effetti, lassorbimento della
morale nella teologia non lasciava altra via duscita a chi volesse emanciparsi
[emanciparci?] da forme tradizionali di dominio. Il cosiddetto conflitto di
morale e di politica quindi, originariamente, rappresentazione di un atto di
libert. Esso perci non riproduce un << eterno >> conflitto fra diverse
categorie metafisiche (come il pensiero reazionario ha sempre ripetuto) quanto
invece propone la fondazione di un nuovo orizzonte etico, meglio, di un nuovo
orizzonte metafisico, - nel quale morale e politica potessero collocarsi in una
diversa figura e la politica conquistare legemonia del rapporto. Su questo
snodo la politica borghese, il << buon governo >>, lamministrazione legittima,
sembrano a lungo impersonare anche listanza morale. La scienza della politica,
si presenti essa come esecuzione del governo giuridico o come pratica del
governo economico, tende - in questa prospettiva - ad elidere ogni conflitto. Nel
diritto, e soprattutto nel formalismo giuridico, sostanzializzato dalla gestione
inflessibile dello Stato di diritto, si ricostruiva cos un ambito unificato di
morale e di politica, sulla base di nuovi valori (2).
Senonch un ostacolo, per cos dire, ontologico presto si rivela. Ed che,
comunque motivata, la politica come scienza del possibile, rivela limpossibile
e la pratica del governo scontra nuovi limiti strutturali. E attorno alla
consapevolezza del limite che lipotesi del conflitto fra morale e politica si
ripropone. Nella vicenda dello Stato moderno, la concezione gerarchica del
rapporto di morale e politica (o di politica e di morale) fa cos luogo ad una
concezione orizzontale, di reciproca autonomia ed esclusione, fra morale e
politica. Lautonomia del politico, come pratica e come scienza, si distingue
dallautonomia della morale. Morale e politica istituiscono spazi separati. Il
volto demoniaco del potere diviene consueto, quanto quello angelico della
158

morale. Se la prima separazione (umanistica) del politico dalla morale un atto


di libert e un momento di costituzione egemonica del politico (soprattutto nella
sofisticata immagine dello Stato di diritto), - la seconda separazione, tipica della
nostra epoca, un atto di riflessione critica, di limitazione dellenergia
costitutiva. Ed qui che si riafferma laforisma << pessimismo della ragione,
ottimismo della volont >>: come registrazione dellimpossibilit di costruire la
totalit e come esplicazione dellurgenza di afferrarla comunque (3).
Su questa congiuntura precipitano motivazioni quanto mai diverse. Cos, in
primo luogo, qui convergono le concezioni del << determinismo scientifico >>.
Quando la saldezza dellorizzonte scientifico non riesce ad adeguarsi alla
temporalit determinata dellagire, allora lo jato che si apre solo controllabile
attraverso lappello alla pi alla moralit. << Il cielo stellato sopra di me e la
legge morale dentro di me >>. Il determinismo si accompagna al volontarismo
etico, la certezza conoscitiva (per contrasto) santificata dal libero << Sollen
>> della volont. La storia del dualismo kantiano, ma soprattutto quella del
neokantismo ottocentesco, in tutte le sue versioni, dimostrazione di questo
sviluppo (4).
In secondo luogo, e rafforzandola, la concezione del limite razionale della
politica affermata da quel corpo di dottrine che chiamiamo del << relativismo
etico >>. Avalutativit (razionale) e decisionismo (pratico) sono le forme nelle
quali si presentano qui i concetti di validit e di valore, le figure centrali di
scienza politica e di etica - e quindi di una dialettica di autolimitazione che,
riconoscendosi come tale, esige comunque di essere efficace, di fondarsi quindi
sulla necessit razionale di un << salto mortale >>. Tanto pi avalutativo il
giudizio, tanto pi decisionistica la proposta (5).
In terzo luogo conduce ad una similare concezione del limite razionale della
politica il << realismo sociologico >> - quando, agitandosi fra omogenee
contingenze, fra equipollenti potenze, indotto ad una serie di dilemmi che solo
un certo ottimismo della volont, una certa sovradeterminazione pratica
possono risolvere. Il realismo sociologico non sa distinguere n cogliere le
singolarit, - se non attraverso riferimenti esterni, trascendenti il suo orizzonte
linguistico. La sovradeterminazione della volont a fronte della relativa
impotenza della ragione , in ciascuno di questi casi, lunica soluzione.
Si potrebbe continuare nella casistica. Lantinomia fra ragionevole e limitata
scienza della politica e decisione etica segno caratteristico del nostro tempo.
Questa situazione critica si , per cos dire, normalizzata, fino a manifestarsi
regolarmente nel linguaggio comune - talora in termini caricaturali. Che solo gli
enunciati descrittivi creino certezza mentre gli enunciati valutativi sono fortuiti,
che i giudizi etici sono quindi azzardati, ecc. - bene, questi sono ormai ritornelli
159

di un sapere comune che mostra le difficolt dellagire come momenti


antinomici, razionalmente insolubili. Su questa base, le stesse forme della
politica, le pi gelosamente custodite quali indici di valore comunque
legittimanti (e nella democrazia questo necessario), rivelano dimensioni
antinomiche e sviluppano matrici non risolubili. si consideri ad esempio il
meccanismo
della
rappresentanza
democratica
o
gli
scenari
dellamministrazione. Essi dovrebbero consistere in strutture descrittive, regni
della trasparenza, - divengono invece, sulla base dellantinomia assunta, matrici
di valutazione fortuita, luoghi di mediazione azzardata, semplice decisione. Un
elemento di innovazione inserisce alla struttura del politico - ma elemento
irrazionale (6). Ottimismo della volont, appunto, sopra il pessimismo della
ragione - di questa ragione che non potr mai comprendere il reale.
Cinismo, allora? Valutazione solo irrazionale, violenta, immediata della
realt? Com altrimenti possibile rispondere alle esigenze della pratica? Il
politico un mondo limitato, non riesce a comprendere il resto, il differente ma il resto, il differente debbono essere condotti al limite, essere compresi nel
limite. Cinismo questa riduzione della totalit al limitato, - la frustrazione
delletico assunta a fondamento del politico. Il conflitto fra il politico e letico
non considerato come un terreno sul quale si svolga una lotta di valori - bens
come scenario di soluzioni obbligate secondo le norme di un potere che,
sentendosi parziale e limitato, pure deve raggiungere un risultato. La razionalit
regola di emergenza, di eccezionalit. Pessimismo della ragione, ottimismo
della volont, di una ragione impotente e limitata e di una volont potente e
cinica (7).
Con ci la confusione completa. E indubbio infatti che questa concezione
del politico essa stessa unetica, depotenziata ma non perci meno efficace.
Una sorta di divinit terrestre, rovesciata e maligna. Ma, se cos, il conflitto
cui assistiamo non fra etica e politica, bens antagonismo fra corpi diversi un corpo etico-politico e, di contro, un altro corpo etico-politico, e cos di
seguito. Il conflitto fra diverse divinit. Chi riordiner queste potenti
contingenze? Max Weber, uno dei pi lucidi studiosi della politica del secolo
XX, ha appunto chiarito come dal monoteismo si dovesse trascorrere al
politeismo nella definizione dellorizzonte di valore che costituisce la politica.
Egli chiede a ciascuno di prendere posizione, di radicare eticamente la sua <<
Beruf >> politica, di entrare nella mischia. Sapere la relativit, egli sostiene,
fosse pure lunicit del punto di vista, non toglie la radicalit dellapproccio.
Toglie solo la possibilit di un confronto razionalmente irresolubile. Laforisma
da noi considerato sembra allora ben registrare questa situazione - e non dunque
attenere al generico conflitto fra etica e politica ma piuttosto allantagonismo
160

fra diverse etiche e politiche, fra differenti orizzonti valutativi, fra parti separate
e soggetti diversi.
2. La riforma del modello.
Nel sistemismo tedesco (Luhmann) lottimismo della volont si fa tecnica di
riduzione della complessit sociale. Questoperazione consiste nellastrarre le
antinomie a base ontologica, nel collocarle in un progetto di simulazione,
insomma, nel riqualificarle in uno scenario sostitutivo della realt. Il processo di
simulazione (nel postmoderno) come processo di sostituzione del reale.
Nella crisi del pensiero etico, giuridico e politico del nostro tempo si
introduce dunque, in primo luogo e prepotentemente, la necessit, se non di
risolvere questi problemi, almeno di dar conto di questi fenomeni. E stato
notato che lesistenza dellordine sociale ormai inverosimile, - vale a dire che
non spiegabile la sua normalit. Man mano che la complessit sociale
aumenta, la contingenza di tutti gli eventi tende a divenire assoluta. Il
pessimismo della ragione aumenta cos a dismisura, fino a produrre risultanze
scettiche. Occorre per salvarsi dallinvadenza distruttiva della contingenza,
dalla sua onnilaterale possibilit mai riducibile alla necessit razionale. Se, per
dirlo nei termini della filosofia classica, lessere equivoco, dentro
questequivocit occorre comunque orientarsi [orientarci ?] - tanto pi poich
lessere sociale condizione di esistenza. Se queste contingenze, ad esempio,
fossero armate - ed il raffinamento degli arsenali continuo - chi si salver?
Qual il limite nella relazione fra contingenza e ragione di sopravvivenza? Qui,
lottimismo della volont assume allora una veste finalistica, strumentale e
tecnica. Ci si chiede di accettare soluzioni tecniche che sono anche risposte alle
questioni di una sorta di morale provvisoria, - un sistema di convenzioni atte a
ridurre la complessit delle contingenze, a permetterne la selezione,
lordinamento, in vista della sopravvivenza.
Quella cui qui voglio riferirmi con qualche accenno la costruzione
dellimmagine del mondo sociale propostaci dal sistemismo tedesco, ed in
particolare da Niklas Luhmann. Questautore probabilmente il miglior
riformulatore di unipotesi di ottimismo della volont nel nostro mondo (8).
Ora, limmagine del mondo sociale qui presentata , a prima vista, del tutto
paradossale. Essa si vuole infatti completamente oggettiva - ed infatti lo , in
quanto la comprensione dellessere sociale affatto strumentale, tecnica - ma
nel contempo un immagine pan-etica. Il sistema infatti autoreferenziale:
quindi la sua oggettivit implica la soggettivit dellautoreferenza. Ogni segno
dellesistenza viene compreso e ridotto dentro la complessit sociale e
loperazione di riduzione proposta interna ai segni dellesperienza, e della
161

totalit dellorizzonte sociale interpretato dal soggetto. Di conseguenza, la


questione che si pone e che va risolta, la seguente: quali sono i parametri che
rendono verosimile la selezione della complessit? Che cosa pu rendere meno
equivoco - se non univoco - lessere sociale? E come pu la volont dibattersi
nel caos delle contingenze e dare qualche verisimiglianza alla generosit della
sua pretesa, allesigenza di efficacia della ragione strumentale? Il problema
decisivo perch, essendo il referente sociale considerato in termini omogenei,
esclusivi, il fine perseguito non semplicemente tecnico. Ma che cos una
tecnica della morale, una tecnica costretta ad investire lintero mondo etico, una tecnica quindi, non solo del comando bens del consenso, una morale,
dunque, si provvisoria, ma coestensiva allintera politicit?
Lottimismo della volont d a questa serie di problemi una risposta quanto
mai ingegnosa - loperazione di riduzione della complessit sociale tradotta in
operazione di sostituzione della realt. Ma, oltre ad essere ingegnosa, questa
risposta coerente - non potrebbe essere diversa. La morale provvisoria si
presenta infatti nella forma del sistema. Il sistema viene costituendosi attraverso
un processo di riduzione della complessit. Questo processo di riduzione e
produzione di unimmagine oggettiva, dotata di sistematicit interna,
autoreferenziale, che seleziona continuamente gli elementi che sono coerenti
lambiente e la storia possono solo essere recuperati dentro un meccanismo di
riduzione-selezione che lottimismo della volont guida a sostituire la realt.
Linversione del rapporto fra ontologia e logica, e la primalit di questultima
- sicch il senso degli enunciati e delle funzioni a produrre il significato -
cosa consueta nella filosofia contemporanea, a partire da quella che stata
chiamata la svolta linguistica (9). Ma non pacifica - tanto pi quando
questinversione avviene nel campo delletica e investe le burrascose condizioni
di esistenza del sociale. Ma di ci pi avanti. Qui interessa ancora scrivere
come lottimismo della volont possa presumere di organizzarsi in logica
costitutiva del sociale. Questo pu avvenire ad alcune condizioni, tutte proposte
da un processo teorico di depotenziamento del reale, di svuotamento ontologico
del mondo. Mentre nelle forme pi ingenue dellottimismo della volont il
mondo non negato ma semplicemente assunto come condizione tragica ed
irresolubile, in queste pi sofisticate versioni la volont si fa rappresentazione.
Il mondo orizzonte di comunicazione, come tale si organizza in sistema
autoreferenziale - ma questa produzione di significati inevitabilmente
tautologica - e solo la creatio continua, la continua parousia della volont
permette la determinazione di elementi selettivi, la riduzione della sfera del
caso, la posizione di proposte innovative. Datosi come sostituzione del reale, il
sistema del mondo trova solo lottimismo della volont come attivit che ne
162

allarga la presa nellorizzonte della vita. E questottimismo della volont , per


cos dire, reso metafisico - perch metafisica la progressione del reale come
autoastrazione, come dinamica di strutture e di sistemi dentro i quali ogni
attivit soggettiva si oggettivizza e appunto con ci definisce nuove possibilit
di riduzione-produzione (10).
Che Schopenhauer sia fra le letture di Wittgenstein, noto -che ne sia anche
il prodotto, quando la filosofia ritorna sul sociale, interessante. Se in
Wittgenstein il rapporto verisimiglianza-normalit, per quanto pittoricamente
depotenziato, comunque dato, - nello schopenhauerismo degli epigoni tale
rapporto radicalizzato: la normalit e resta inverosimile. La volont
interviene a far si che il contenuto della comunicazione intersistemica sia eguale
a zero. Ch infatti solo in tal modo le condizioni di tenuta del sistema - del
suo equilibrio - sono soddisfatte. Non quelle della verisimiglianza ma la
riproduzione della normalit inverosimile. A tal fine e in tale quadro, la
dinamica del sistema non pu essere letta che come creazione continua di
emergenze determinate, compensative degli squilibri, - atto di volont.
Lottimismo della volont eroicamente irrazionale. Il sociale astratto sul
ritmo creazionistico della volont: produce sostituzione astratta di/per una realt
ridotta. Un romanticismo forte costituisce pallide formazioni logistiche. Il
misticismo totale. Mentre il pessimistico realismo dei primi ripetitori
dellaforisma considerato poteva dirsi cinico - ed il cinismo pu anche essere
forte nel comportamento beffardo e sprezzante della realt che talora mostra qui il sistema illusionistico, eine Schwrmerei.
(E se invece, di contro, il processo di astrazione della realt fosse un processo
reale e razionale? Ma di questo pi tardi).
Qui affermare togliere. Lottimismo della volont diviene qui una
formalistica autoproduzione, unequivoca hegeliana Aufhebung - esasperazione
irrazionalistica e volgare del salto in avanti come salto mortale. La diafana
figura del sistemismo non ha pi neppure la curiosa concretezza del gioco e del
divertimento, dellastuzia e del compiacimento estetico. Lastrazione
simulazione, sostituzione della realt. Lautoastrazione autocostituzione, ma
illogica, vuota. Asylum ignorantiae. Mai la volont ha tanto disperatamente
opposto la propria pretesa di rappresentazione, il proprio frenetico bisogno di
spostamento, di annullamento e/o di sostituzione del reale - alla prassi concreta,
collettiva e costitutiva, razionale. In questa riforma del modello aforistico del
pessimismo della ragione e dellottimismo della volont precipitano tutti i
motivi irrazionalistici della crisi contemporanea. La linea SchopenhauerWittgenstein si conclude nel sistemismo. E questo precipitato raccoglie tutte le
espressioni teoriche dellottimismo della volont cieca (11). Come un impluvio
163

dai mille canali. Si sa tuttavia quanto gli equilibri ecologici siano corrotti. Vuol
forse dire questo che nellimpluvio sistemico, talora divenuto latrina di
periferia, specchi il suo faccione anche la continua tentazione fascista e
autoritaria? E comunque certo che nellattuale crisi della democrazia
lottimismo della volont nutre unautonomia del politico che tensione di
progetto totalitario. Il Politico ha come obiettivo la riproduzione di se stesso in
fondo completamente indipendente - esso assorbe tutta la realt, per sostituirla a
sua immagine e somiglianza. Per tenerla nellinverosimiglianza e nellassurdit
della sua normalit.
3. Astrazione, tautologia, costituzione.
La realt esiste. E anzi possibile considerare il processo di astrazione del
reale come un processo (reale) di nuova costituzione del mondo. Contro le
teorie sistemiche, le teorie linguistiche rappresentano un tramite per afferrare la
sostanza ontologica del mondo astratto nel quale siamo costituiti.
Lautoastrazione del reale un processo reale. Proprio perch esso reale
non conclude alla tautologia - in nessun caso. Noi possiamo trasformare in
tensione reale la tensione teorica propria dellanalisi sistemica a confronto con
lambiente e con la storia. Quella tensione che nel sistemismo continuamente
frustrata nel fittizio dualismo di teoria e realt, di sistema autoreferenziale e
pratica di sostituzione - noi possiamo coglierla in termini reali. Di qui leffettivo
progresso conoscitivo che una mistificazione epistemologica (quale la
sistemica) pu comportare. Ora, possiamo dunque registrare alcune novit
conoscitive che non lottimismo della volont ma la forza della ragione
dovranno verificare.
Il primo punto consiste nella definizione dello stesso processo di
autoastrazione del reale, e cio della realt sociale. Poco ci interessa qui
strappare la maschera idealistica imposta al processo: utile e sufficiente
sottolineare alcuni caratteri formali del processo stesso (per intenderci che
ritroviamo fondati nellanalisi del processo di sussunzione capitalistica della
societ produttiva e nella trasformazione della qualit del lavoro produttivo)
(12). Ora, nel processo di autoastrazione del reale la distinzione fra soggetto ed
oggetto viene meno. Conseguentemente, il rapporto fra logica ed ontologia si
appiattisce, si ristruttura su un orizzonte di reciproche funzioni. Larticolazione
interna della realt astratta posta nella circolazione di ipotesi logiche e di
costituzioni ontologiche - formalmente funzionali. In secondo luogo, date
queste fondamentali qualificazioni dellastrazione sociale, ne viene che ogni
problema epistemologico riguardante lo statuto di corrispondenza fra il pensiero
ed il reale, fra il dover essere e lessere, tolto. La distinzione fra giudizi
descrittivi e giudizi valutativi, capo delle tempeste di ogni epistemologia etica e
164

di ogni deontologia politica, anchessa tolta. Il problema epistemologico


sostituito dallanalisi formale della circolazione sistemica. I soggetti si
presentano fuori da ogni possibilit di collocazione sistemica che non sia
puramente connotativa - onde, per esemplificare, lapproccio sistemico non si
ritiene contraddittorio con quello dialogico-mutualistico. In terzo luogo, quindi,
le esigenze delle teorie della comunicazione e delle teorie dellinterazione
comunicativa sono accolte e rese rigorose dallappiattimento ontologico di ogni
pretesa trascendentale sul terreno logico e funzionale (13).
Ora, se nel paragrafo precedente ho sottolineato come lorizzontalit e
lequipollenza di ogni dimensione del quadro sistematico non possano essere
vivificate se non da un rozzo procedimento volontaristico, da un decisionismo
solo sofisticato da una lettura creazionista, continuata, - e quindi come la
mistificazione consista nella volont di nascondere le contraddizioni reali, gli
antagonismi della prassi, addirittura nella volont di distruggere la prassi per
esaltare la pura determinazione irrazionale del dominio - qui va detta la ragione
per la quale questa sortita reazionaria nella teoria politica comunque
interessante e portatrice di novit conoscitive. Va detto perch essa ponga un
problema del tutto reale.
Il fatto innovativo, e problematico, consiste in ci che lautoastrazione della
realt sociale non una tendenza ideale ma un processo reale - un atto
costitutivo dellontologia sociale. Da questo punto di vista forse interessante
notare che alcune conquiste fatte, in forma estremamente pi matura,
estremamente pi forte, dalla logica contemporanea nel suo sviluppo, possono
valere come referente analogico nel chiarimento del problema registrato dal
sistemismo. Alludo al fatto che, nella vicenda della logica contemporanea ed
allinterno della sua svolta linguistica, abbiamo sia lintegrale riduzione del
mondo ad un orizzonte comunicativo, sia la perfetta identificazione dellordine
delle relazioni semantiche (indicatrici di realt) e dellordine delle relazioni
costitutive (costruttive di senso). Questa una trascrizione ottimale del processo
di autoastrazione della realt sociale - nella misura stessa in cui questo processo
si offre allintera estensivit e allinterna elasticit del rapporto fra senso e
significato, trasferendolo sullorizzonte della comunicazione collettiva, di
soggetti collettivi, di classi dindividui. E quella linguistica anche unottimale
definizione dei nuovi orizzonti della pratica, dove non gerarchie ma solo
antagonismi lineari possono presentarsi. Sicch lautoastrazione del reale non
eguaglia il mondo se non come orizzonte, nel mentre, su questo stesso
orizzonte, apre la possibilit della paritaria espressione delle potenze reali. Gli
universali si presentano fra 1 mondo e la vita a dimostrare la possibilit di una
loro realizzazione.
165

Ma perch questo avvenga necessario che il rapporto fra astrazione e


tautologia sia sciolto. E lo soltanto nella misura nella quale lastrazione della
realt sociale non subisce la violenza di una formalizzazione depotenziata e
depotenziante, del misticismo della forma - prodromo del volontarismo,
dellottimismo della volont, della stoltezza del decisionismo. La logica
linguistica prefigura le avventure del formalismo e del funzionalismo sistemici mostrando essa stessa, come questultimo fa, la potenza dellastrazione sociale ma nello stesso tempo indica la diversione pratico-ideologica e la distorsione
dellastrazione quandessa acceda alla prospettiva formalistica. La logica
linguistica riesce a dimostrare queste distorsioni non certo perch sia immune
alle urgenze della pratica, quanto perch essa, nella sua storia, ha subito le
tentazioni del misticismo della forma, e se ne liberata, sentendone lintera
impotenza - ed avvertendo che lottimismo della volont sta alla radice di
questimpotenza ed estraneo e nemico al pensiero. Negli sviluppi
postwittgensteiani della filosofia linguistica non assistiamo dunque ad una
rifondazione del Logos, sulla cui crisi si instaurano egualmente il misticismo
teoretico (pessimismo della ragione) e il volontarismo ascetico (ottimismo della
volont) - assistiamo bens ad una dislocazione universale del pensiero e del
sapere, del soggetto e della comunicazione, della ragione e della volont.
Nellintrecciarsi con il significato il senso si fa potenza - e il mondo si avvia a
riconquistare la vita (14).
Nella sistemica etico-politica lastrazione del mondo si fa invece tautologia
della vita - scienza del potere e negazione pratica della vita. Che, astraendosi, la
vita divenga pi potente del mondo, lottimismo della volont non lo vuole. Che
il sapere sia costitutivo, che la sua potenza sia autodeterminazione esclusiva del
potere, lottimismo della volont non pu accettare - sarebbe una contradictio in
adjecto poich lottimismo della volont in s sovradeterminazione. Che il
concetto di volont debba essere inteso come variante della ragione collettiva,
produttiva, costitutiva - lottimismo della volont non pu soffrirne perch le
dimensioni scettiche della sua fondazione si son fatte pratica di cinismo, lotta
contro la vita, condizione di separazione.
Nel processo di autoastrazione della societ il mondo si fatto invece mondo
etico, lessere si rivelato come essere etico - e comunicazione ed antagonismo
si rivelano a loro volta come potenze orientate al fine di identificare,
qualificare, svolgere le dimensioni collettive della riproduzione dellessere. La
logica contemporanea ci ha condotto su quello stesso bordo della
determinazione etica che lautoastrazione del sociale ha costituito. Lottimismo
della volont tenta di combattere questo salto dellessere, di negarlo non nella
sua effettualit ma nel suo significato - di imbalsamarlo come tautologia,
166

astrazione vuota, impotenza (15).


4. Sul bordo trascendentale delle strategie etiche.
La teoria critica, che rinasce a fronte della crisi delle teorie sistemiche, cerca
di costituirsi in orizzonte trascendentale. Ma lorizzonte trascendentale, cos
come ogni altro orizzonte di mediazione, rivela un deficit critico: esso non
riesce a cogliere quel reale che si costituito in potenza etica, poich alla
potenza oppone la mediazione e alletica il formalismo. Il criticismo non va al
di l del postmoderno.
Tutte le condizioni a che lorizzonte << avalutativit-decisionismo >>, <<
pessimismo della ragione-ottimismo della volont >> sia distrutto e rovesciato,
sembrano a questo punto date. Ma distruzione e rovesciamento non si danno. La
filosofia contemporanea come ipnotizzata dal vuoto della << sussunzione
reale >>. Sia sufficiente, in proposito, guardare ad uno dei tentativi pi
interessanti che - presupponendo leclissi della ragione su questo livello di
astrazione del reale - stato proposto: il tentativo neocritico di Habermas (16).
Ora, la ricostruzione di un orizzonte unitario, qualificato in termini linguistici e
comunicativi, non va oltre (nella maggioranza dei casi) la proposta di una
dinamica trascendentale che si ponga fra referenza, universale ma vuota, del
quadro globale ed iniziativa, razionale ed etica, dei soggetti. Questa dinamica
centrale nelle configurazioni teoriche la Habermas (17): un intreccio di
strategie soggettive che, nella loro complessit intercomunicativa ed
istituzionale, insieme alludono e formano un quadro trascendentale. Il
trascendentalismo qui connotazione delle condizioni attraverso le quali le
strategie comunicano, formano cio quel tessuto di consenso, di universalit che
- appunto - lo sfondo necessario della comprensione interumana ed
intrasistematica. V di pi: il trascendentalismo cerca fondamento ontologico,
o almeno uno spessore ontologico. E dentro questa tensione verso i livelli
ontologici, verso i soggetti agenti, che le condizioni trascendentali del sapere e
della volont si attualizzano e che i valori si pongono - come sintesi di
comunicazione e come prammatica funzionale. Al funzionalismo obiettivo delle
teorie sistemiche viene cos opposta la forzatura critica di un funzionalismo
soggettivo che intende dare allorizzonte sistemico consistenza trascendentale e
ricondurre la validit al valore. Il bordo trascendentale del sistemismo portato
su un limite cui tende la molteplicit delle azioni individuali, su un centro cui si
imputa il significato delle azioni dei soggetti. Lottimismo della volont sembra
quindi voler uscire dalla frustrazione di una mancanza di referente
trascendentale e liberarsi dal cinismo cui tale mancanza lo condanna.
Ma questo volere ontologicamente debole e in definitiva impotente. Pu il
criticismo rappresentare i processi di autoastrazione della realt sociale? Se la
167

variante sistemica del formalismo si chiude in una dichiarazione di impotenza e


nellincapacit di produrre innovazione, la variante criticistica non meno
bloccata: il limite fra prammatica soggettiva e orizzonte trascendentale ha le
stimmate di tutti i cattivi infiniti del pensiero filosofico. Sicch il criticismo del
nostro tempo vaga continuamente fra la presupposizione fenomenologica e
preriflessiva della legittimazione del valore (e solo in tal modo la
comunicazione diviene possibile) e la determinazione quasi dialettica
dellimplicazione istituzionale di evidenza e di validit, di coscienza e di
intersoggettivit (e solo in tal modo senso e consenso si presentano come
verit). Ma queste relazioni non sono mai chiuse. La << cosa in s >>, oggi
presentata come << altro >> mondo << in s >>, resta irraggiungibile. Ogni
tensione verso il livello ontologico resta << tensione >>, << intenzione >>, <<
tendenza >>. Il criticismo non pu cogliere il reale - dal reale astratto che
venuto costituendosi davanti a noi esso resta solo confuso.
Quando si trascorre dal terreno della riflessione epistemologica a quello della
riflessione etico-politica, il dilemma altrettanto insolubile, ed il pensiero
risulta inabile a districarsi dal cattivo infinito, e lo spazio fra potere e comunit,
fra legittimit e legittimazione tanto confuso quanto indistinto. Il deficit del
criticismo consiste nella fatica di fissare un rapporto sempre aperto alla
ridefinizione dei referenti, delle polarit: un orizzonte trascendentale che
tuttavia, quando assume consistenza, riduce i soggetti a pure utenze, - un
orizzonte dei soggetti che quando si sostanzia in strategie adeguate, perde ogni
punto di orientamento. Qui, allora, lottimismo della volont (che non voluto)
subito, una costrizione cui il fallimento della mediazione induce.
Ma non questo il destino di ogni filosofia della mediazione? E che senso ha
pi porre il problema della mediazione a fronte dei dislocamenti che la realt
sociale ha determinato nel suo processo di autoastrazione? Lautoastrazione
sociale comprende la mediazione, la subordina, la sostanzializza come
caratteristica della crisi del valore umano di ogni sintesi sociale, come risultato
dello sviluppo della ragione strumentale (18). A che pro reintrodurre la
mediazione quando dalla conclusione tragica dei suoi processi che
lottimismo della volont stato costretto a dare irragionevole prova di s? A
che scopo accedere a questo depotenziamento ontologico, che il criticismo e il
trascendentalismo dimostrano, quando la mediazione (nella finezza kantiana,
nella forzatura hegeliana) ha mostrato lincapacit di afferrare lessere - e con
ci ha indotto irrazionalismo e crisi? (19).
Il criticismo contemporaneo, ridotto sul limite del significato umano
dellagire, sul fronte del quale la legittimazione non pu pi essere data
attraverso la tecnica, tenta di riconquistare un orizzonte di mediazione
168

trascendentale attraverso la comunicazione. Ma la comunicazione non pu


essere metacritica, non pu essere fondativa. Essa il terreno su cui esercitare
la critica. E il risultato dellautoastrazione del reale, tessuto ontologico. Le
parole sono enti. Il mondo lessere parlato e riprodotto nella comunicazione.
La vita la lotta che si sviluppa in questo ambito, ed crisi e trasformazione.
Sul terreno della comunicazione si mostrano le potenze dellessere, in tutta la
freschezza e la violenza che le caratterizza - strategie, traiettorie, direzioni. Il
rapporto critico << avalutativit-decisionismo >> non pu perci essere
aggredito sul piano di una nuova teoria della mediazione, che inevitabilmente
introduce una metacritica. Una teoria del fondamento - sotto il profilo della
volont e del suo ottimismo, della sostituzione della ragione con qualche
depotenziato simulacro. Simulazione di fondamento. Ma a che scopo cercare
fondamento? Fondamento di che cosa? Il << trilemma di Mnchausen >>
effettivamente insoubile: ogni filosofia della fondazione ultima cade o nella
regressione infinita o nel circolo logico o nellarresto del processo di
fondazione (20). Ma se il dilemma altro non fosse che la descrizione della
nostra realt? Perch scetticismo accettare che questa realt linguistica e
comunicativa fissi la sua verit non nel fondamento ma nella sua mancanza?
Sulla apertura delle infinite strategie che sul bordo dellessere saffacciano nel
tentativo di costruire la vita? Lo scetticismo un dato certo - luniverso
mondano che viviamo. Di qui comincia la filosofia - il pensiero comprende le
proprie condizioni come struttura dalle infinite aperture e queste condizioni
sono ontologicamente varie ed instabili - descrivibili in termini tradizionali
riferibili allo scetticismo. Ma perch mai questa condizione dovrebbe fissare il
pensiero dellimpotenza? Perch mai contingenza dovrebbe essere negazione
della ragione? (21) Di contro, sul suo bordo trascendentale, la strategia etica,
come interazione comunicativa, trova ed accetta e lavora sulla crisi di ogni
orizzonte trascendentale. La trascendentalit, luniversalit compresa in una
istituzionalit che precostituita - condizione pregressa di costituzione. In
unistituzionalit che non altro che immersione nel mondo della vita da parte
dei soggetti, corrispondenza del mondo del pensiero con il mondo della vita e
tensione verso la costituzione di altri spazi di vita e di pensiero (22).
Il funzionalismo soggettivo, le filosofie dellinterazione comunicativa non
sono dunque altro che soluzioni oblique e contraddittorie rispetto ai problemi ed
alla descrizione del mondo che il funzionalismo oggettivo, il sistemismo (nella
grande svolta linguistica della filosofia contemporanea) ci consegnano,
mistificandoli. Anche le filosofie dellinterazione comunicativa colgono brani
di questa problematica - rivendicando il ruolo della soggettivit. Ma che
soggetto questo che ci consegnano? Un soggetto che va ancora a cercare
mediazioni critiche, trascendentali, indeterminate, indefinite... No! Di contro, il
169

soggetto nasce gi dentro un nuovo assoluto livello di autoastrazione della


realt. Non abbiamo bisogno dellottimismo della volont - perch siamo
finalmente a contatto di un nuovo orizzonte ontologico.
5. Comunicazione, antagonismo, soggetto.
Lequivalenza del termini delluniverso della comunicazione indifferenza.
Lindifferenza pu essere rotta solo dallantagonismo soggettivo che attraversa
questuniverso. La stessa definizione del soggetti derivata dallantagonismo.
Lantagonismo creativo della soggettivit ma, contemporaneamente,
costituzione delletico. Ottimismo della ragione e, forse, pessimismo della
volont.
Se tuttavia pensiamo in termini di autoastrazione e consideriamo il soggetto
come iscritto nel solito mondo della comunicazione linguistica, di nuovo
paradossalmente possiamo trovarci dinanzi allopportunit di utilizzare come
strumento di orientamento etico i comportamenti prescritti dallaforisma sul
pessimismo della ragione e sullottimismo della volont. Essere investiti dalla
totalit dellautoastrazione significa infatti sentirsi parte della totalit del mondo
della comunicazione, articolazione della mano immateriale che lo regge,
organismo di questo mare profondo. Dentro la serie infinita delle relazioni che
si stendono attorno a qualsiasi punto di questo universo, dentro i rapporti che
costituiscono i poteri, solo una limitazione - si argomenta -della pretesa
razionale pu permettere al soggetto di orientarsi. La pretesa alla percezione
della totalit dei nessi sarebbe impensabile, comunque impraticabile.
Lorientamento possibile a partire dalla razionalit limitata, dalla attenta
discriminazione di ogni effetto perverso che si pu comunque produrre,
dallinvestimento strategico delle contingenze. Occorre epistemologicamente
arrangiarsi: pessimismo della ragione (23). Ma su questo orizzonte contingente
la volont pu muoversi con moderato coraggio e prudente consapevolezza.
Non si d morale - non c una morale di principi - c per una morale
casistica, non teleologica, interamente riassorbita nellorizzonte della
probabilit. La totalit del quadro relativistico non si presenta qui come chiave
di sovradeterminazione, non produce la sensazione che la totalit possa
inquinare e contaminare il mondo, - che quindi si tratti di sottile ma efficace
mistificazione e della dimostrazione di uninteriorizzazione inerte del
totalitarismo nei soggetti. Quel che proposto un attivo senso morale, scettico
e insieme fiducioso. Alla Montaigne (24).
Questa conclusione non sembra tuttavia sufficiente ad escludere qualche
surrettizia forma di ottimismo della volont n a garantire che nuovamente non
si imponga il coestensivo sofisma del relativismo e del totalitarismo. E una
metodologia di prudenza ontologica quella che qui proposta - piuttosto che
170

una esatta percezione dellimpatto dellessere astratto.


Daltra parte - lo ripetiamo - rifiutare limpatto dellautoastrazione della
realt sociale impossibile. Non possibile dimenticarne o trascurarne le
dimensioni oggettive, presenti. E allora tanto vale affrontare di petto,
direttamente, con forza, questo mondo. Ed accettare di muoversi su questa
superficie della totalit. Accettare la sfida ontologica. Percorrere questi spazi in
termini non formati significher allora accedere ad una serie di atti di
discriminazione, di rottura, di separazione. Di antagonismo - quindi di
individuazione, dal di dentro, di quel tessuto astratto nel quale solo esistiamo.
Intendo dire che il processo di individuazione, di autoidentificazione dei
soggetti collettivi si offre solo attraverso una riflessione di separazione, di
autodefinizione corporale, di autodeterminazione materiale (25). Latto di
autoriconoscimento non quindi rivolto alla totalit dellautoastrazione - certo,
si scontra con la mistificazione ideologica di questa e mostra a totalit come
tessuto nel quale siamo e nel quale dobbiamo separarci [separarsi ?] per esistere
- ma lintensit della separazione, la forza di riconoscimento dellantagonismo
che ci costruiscono come singolarit - come soggetti.
Ora, se operiamo una sezione sincronica del tessuto dellautoastrazione reale,
o di un suo tratto (per essere pi realisti), noi scorgiamo punti di
autoimputazione, potenze di autovalorizzazione, dimensioni di libert. Se
operiamo la sezione su un tratto diacronico noi scorgiamo percorsi di conflitto
da parte dei soggetti che si sono liberati da ogni relazione dialettica con la
totalit - che della totalit esigono tuttavia di essere coestensivi perch il loro
sviluppo etico e politico assieme. Queste strategie ontologiche soggettive
sono collettive - presuppongono lautoastrazione come ambito di produzione,
riproduzione, circolazione e in essa fondano eticamente il loro riconoscimento
politico e il loro costituire nuovi margini, nuovi spazi dellessere. Su quella
superficie dellessere che lautoastrazione ha determinato - ivi si scontrano
soggetti che hanno una corporeit determinata. Il conflitto non di valori - il
conflitto di soggetti. Solo lideologia e la mistificazione continuano (e, se lo
possono, forzosamente) a imporre conflitti di valori, - letico e il morale, il
morale e il politico, scene di fantasmi - e, a fronte del continuo riemergere di
corposi soggetti e di forze collettive, a rotolarsi nel sudiciume della privatezza e
nei residui del foro interno, - nei patemi del privato e dellindividualistico.
Una sola osservazione, in aggiunta a quanto fin qui detto. Noi siamo abituati
ad una serie di contraddizioni che qualificano la nostra esistenza
nellimmediato: coercizione e libert, comando e obbligazione, capitale e
lavoro, ecc. Ora ci troviamo nuovamente davanti a queste contraddizioni (che
nessuna rivoluzione riuscita a strappare alla realt) - ma esse sono
171

profondamente mutate - perch sono state dislocate sul terreno astratto


dellessere sociale. Come appaiono dunque? Esse appaiono solo quando la
soggettivit le ha riqualificate a questo livello. Queste contraddizioni non sono
superate ma solo dislocate. Trasformate, - in una dislocazione che rischia di
farle divenire ambigue ed insensate - postmoderne? No, qui la soggettivit (essa
stessa dislocata) le recupera al significato dellesistenza, al senso dellessere,
alletico (26). Letico - hegelianamente il morale e insieme il politico - vivere
nella totalit del mondo e conoscerlo, vivere conoscitivamente gli
antagonismi fra soggetti che qui si pongono. Vi sono tante etiche e tante
politiche quante sono le emergenze soggettive - attraverso lesperienza del
quotidiano scontro fra questi soggetti la realt si costituisce e nuova realt viene
creata. Il pessimismo della ragione non ha pi senso - a questo punto - poich
questo emergere di realt soggettive costituito di essere - un essere che cresce.
Lottimismo della volont altrettanto insensato perch la volont non pu
costituire essere, cogliendo se stessa come elemento di compensazione della
mancanza di razionalit. Al contrario, la ragione piantata nellessere dei soggetti
collettivi chiamata ad esprimere valori assoluti nel conflitto. Il conflitto fra
valori assoluti, collettivi, produttivi, e che pretendono di essere forze costitutive
- (se ci qualche pessimismo possibile, questo pu essere attribuito solo alla
volont, poich essa scontra lassolutezza del conflitto e conosce lampiezza, la
trasversalit e lasprezza del conflitto e dei percorsi del conflitto). Vince chi ha
pi contenuti di razionalit sui quali formare la comunicazione, - lantagonismo
si prova su assi che mostrano (poich lautoastrazione determinata) la pi alla
concretezza corporea. Il rifiuto della totalit ideologica, della fluidit delle
posizioni, delle mediazioni, giunge cos a rappresentarsi lassunzione della
comunicazione come unico orizzonte reale. E solo la verit pu dominare,
sovradeterminare la comunicazione.
Ma ogni affermazione di verit un conflitto ed ogni conflitto un crescere
dellessere, un suo nuovo, ulteriore costituirsi. Sapere aude! Ottimismo della
ragione quindi in quanto costruzione continua dellessere; pessimismo della
volont, perch questo costituirsi - attraverso la molteplicit etica - filtra
antagonismo e deve sempre riplasmarsi sulla continua e diversa multiforme
emergenza del mondo e del soggetti. Prodotto e produzione, produzione e
riproduzione e circolazione. Ogni cinismo tolto. La forza della ragione tanto
pi luminosa quanto pi si d altezza nel conflitto. La ragione reale perch
attraverso. Il conflitto dei soggetti costruisce realt. Lerrore, la falsit sono
elementi della volont, debolezza e falsi percorsi. Il realismo della ragione
attraversa discontinuit e dialogo: nessuno potr mai subordinare la qualit
della verit alle modalit delle sue espressioni. Realistica la ragione quando
costituisce essere - in quanto attraversa la posizione di nuova vera, allarga la
172

dimensione della comunicazione e del conflitto. E disloca continuamente in


avanti lintelletto collettivo. Non semplicemente a scoprire lesistente ma a
creare nuovi spazi di esistenza. Nuova materia, nuova realt comunicativa,
comunit razionale. Cos la ragione procede.
Non vale certo la pena di parlare di illuminismo o di neoilluminismo - poich
la forza che si muove non trascende il mondo come illuminazione - il mondo
non trascendibile - il mondo creazione continua dellintelligenza collettiva,
attraverso gli antagonismi dei soggetti che dellintelligenza collettiva sono i
portatori. N questo processo ha caratteristiche teleologiche - solo casualit
materiali, produttive - e lassolutezza della ragione non viene meno n muta
nello scambiare lobiettivo o finalit. Perch la ragione e lessere sono l - e
lessere razionale solo nella misura nella quale la ragione lo costituisce - i
soggetti, lantagonismo, la comunicazione: questo mondo quello che
possediamo e con infinita pazienza e con infinito realismo continuiamo
nazionalmente ottimisti a trasformarlo, a costruirlo (27).
6. Ottimismo della potenza.
Il rovesciamento del paradigma aforistico fin qui considerato non ci introduce
in un mondo ideale n sfiora lutopia. Al contrario, ci inserisce realisticamente
nel territorio etico dellassoluta contingenza. Luomo ha costruito la possibilit
della distruzione dellessere, la potenza umana si ingigantita fino a
confrontarsi assolutamente con il non essere: come porre il problema etico,
quello politico e quello della produzione su questo orizzonte?
Il conflitto si presenta dunque, nel mondo della comunicazione, come
conflitto fra diversi soggetti etico politici. E si presenta laddove, nel ricostruire
in ogni momento il mondo, pratiche determinate oppongono lun laltra scenari
di valore - le pratiche oppongono assolutezza e richiedono essere. Verit,
valorizzazione, legittimazione si danno nellesperienza che prodotta dai
soggetti collettivi. Se il passato ha il segno della necessit perch lazione dei
soggetti si compiuta, lavvenire ha il segno della potenza. Diverse dimensioni,
paradigmi globali del sapere e della vita si oppongono su questa scena - e si
dislocano e continuamente ridefiniscono orizzonti di totalit. Ma questa totalit
nullaltro che luniversale della comunicazione, la sua possibilit in atto (28).
Cerchiamo di vedere qua li siano i punti attorno ai quali i soggetti collettivi,
in questa fase dellastrazione dellessere sociale, su questo bordo dellessere
determinato, soprattutto si scontrano. Punti fondamentali, cifre, scadenze
dellessere. Ora, a me sembra che - nella compatta sfera della comunicazione,
laddove il mondo per acquistare senso si svolge nella vita - si presenti un
enorme contesto di tendenze e di antagonismi, un tempestoso orizzonte di forze
173

costitutive. Noi possiamo solo indicare, come se si trattasse di descrivere uno


spettro ottico, le fasce fondamentali di opposizione - quando le fonti luminose
che dai molti soggetti collettivi promanano, si incrociano nella sfera della
comunicazione. Nellordine logico, che dalla parzialit del mio punto di vista
riesco a determinare, mi sembra che attorno a tre punti, fondamentalmente,
valga la pena di soffermarsi - il conflitto sul terreno della sopravvivenza del
genere umano, il conflitto sul terreno della convivenza dei soggetti, e infine il
conflitto che investe le forme della produzione e della riproduzione del mondo.
Ognuno di questi conflitti determinato dalle potenze dellessere esistente, su
un piano di radicale innovazione della problematica filosofica. Il dislocamento,
lautoastrazione del mondo non un processo di essenze ideali ma una
determinazione di potenze materiali. La distruzione del mondo solo oggi
divenuta possibile: fuori di dubbio quindi che la soppressione del mondo e
della vita, lattualit dellessere stesso, rappresentano un problema qualificato in
termini specifici da quella possibilit. Il problema della convivenza dei soggetti
e delle norme costituzionali del loro rapporto - in secondo luogo completamente innovato dalle condizioni astratte nelle quali il rapporto
formalmente si costituisce e dalla caduta di ogni possibilit di gerarchia e
subordinazione che ripeta la tradizione del dominio.
E necessario allora identificare una nuova sovradeterminazione globale? E
cosa possibile? E, se no, come tutto induce a ritenere, qual la forma della
libert e della comunit fuori da ogni orizzonte e determinazione
dellobbligazione? << Legitimation durch Verfahren >> - in queste condizioni
irreversibili di eguaglianza, o di equipollenza, di trasversalit, di potenza dei
soggetti collettivi che cos? (29) E infine in terzo luogo, il terreno della
produzione e della riproduzione materiali - delle libert soggettive e dei nuovi
diritti soggettivi che competono ai soggetti a questo livello di astrazione
produttiva e di composizione materiale (30). Questo ordine di problemi
proprio della ragione: in essa le alternative si presentano nettamente e i diversi
sensi delle opzioni, fra distruzione e desiderio di sopravvivenza, fra desiderio di
sopravvivenza e creativit sociale e collettiva, fra creativit collettiva e norme
di comunit - e fra questultime e la formazione e la riproduzione dei soggetti trovano chiarezza e le trafile delle opzioni coerenza. Qui il soggetto collettivo
assume lassoluto come presupposto - in ci consiste lottimismo della ragione.
Il mondo attraversato da molte di queste potenze ed il problema della ragione
quello di investirle e di misurare la propria potenza e quella altrui. Di
avvicinare il proprio corpo allaltrui.
Di contro, qui la volont riconquistata, in questo ruolo di servizio alla ragione
ed alla sua universalit, un luogo specifico. Che quello di esprimere la
174

moderata violenza dellassoluto nella costituzione delluniverso umano.


Cupiditas, dolcezza della trasformazione quindi pessimismo della volont.
Ovvero lassoluto va controllato sullarco dei desisderi che si stendono fra
assolutezze. Questo controllo la volont lo esercita dal di dentro dei soggetti
collettivi, - finalmente lautoastrazione del reale ha appiattito lorizzonte della
societ, rendendolo disponibile solo a matrici di comunicazione lineare.
Lastrazione reale toglie la possibilit di astrazioni funzionali, simboliche,
rappresentative, amministrative. Il terribile imbroglio della volont generale
demistificato. Lastrazione reale toglie la possibilit della mediazione. E,
assieme alla mediazione, toglie la possibilit del comando, che solo la
mediazione pu costruire. Se si d comando, esso solo usurpazione - non
alienazione, in senso tradizionale (poich alienazione comunque rapporto
dialettico), bens violenza e ferocia, perch lalienazione non pi possibile a
fronte di questi soggetti collettivi e lultima possibilit della mediazione con
ci caduta. Il pessimismo della volont prudenza e realismo - ma non come
ultima variante dellarte del comando (sicch alla scienza segue il maquillage
estetico della << volont astuta >>) - bens lettura scientifica delle potenze dei
soggetti e ricerca continua delle compatibilit delle assolutezze. Il pessimismo
della volont distruzione di ogni robinsonata neocontrattualista. Esso dice: not
contract but compact - non affidamento o trasferimento di sovranit, bens
insistenza istituzionale su corpi collettivi e accordo solo a partire
dallirriducibilit strutturale dei soggetti (31).
La scienza politica si svolge cos fra un polo ontologico ed un polo cognitivo
- e dunque come semiotica del sociale e identificazione ontologica dei soggetti
politici, da un lato, nella dimensione globale del mondo della comunicazione,
dentro lastratta materialit di cui composto ciascun soggetto e la concreta
dinamica della sua autovalorizzazione - e questo il polo ontologico. Daltro
lato la scienza politica una pratica della volont, una conoscenza che, a
tastoni, cammina sul tessuto delle interferenze, delle interdipendenze, delle
interruzioni, delle asimmetrie aperte fra i soggetti. La razionalit dei soggetti.
Alla scienza politica sfugge, quando voglia porsi fra i soggetti, ogni possibilit
di fondazione - e con tanta maggior ragione ad essa sfugge anche ogni capacit
di comprensione, perch la scienza non si d, essa stessa, come punto di vista
che non sia soggettivo. Solo i soggetti producono attivit ed essere. La crisi
delle scienze umane - dalla scienza dello Stato alla scienza economica - nel
nostro tempo rappresentativa della assoluta estraneit, della vanit della
posizione nella quale esse si collocano nei confronti dei soggetti. Solo la
teologia, in gloriosi periodi di innovazione scientifica, conobbe altrettanti
momenti di sterilit (e di conseguente ferocia). Le scienze umane sono a questo
punto pure e semplici ideologie - ideologie tratte a piena insignificanza dal fatto
175

di instaurarsi come mediazione folle, non radicata e non radicabile, come


tradizione particolare, in un ambito di generale astrazione nel quale la
consistenza e la forza dellastrazione dei soggetti (e limpermeabilit del
rapporto fra soggetti) totale. Solo la ragione, questa corporea potenza di
ciascun soggetto che trasforma linteresse in identificazione, lidentit in
produzione, la produzione in autovalorizzazione e in autodeterminazione - solo
la ragione, dunque, si presenta al mondo come potenza scientifico-pratica. Il
campo di influenza e linterferenza che si stende fra vari soggetti solo un
terreno lasciato allopportunit ed alla moderazione dellintervento
trasformativo - conoscitivamente solo linchiesta vi si pone come registrazione
del reale (32).
Ecco dunque perch a me sembra che laforisma tradizionale << pessimismo
della ragione-ottimismo della volont >> vada semplicemente rovesciato (33).
NOTE
1) Cfr. Paolo Spriano, Pessimismo dellintelligenza, ottimismo della volont. Come quella <<
massima >> arriv fino a Gramsci, in: << Il Corriere della Sera >>. lu ned 29 ottobre 1984, p.3.
2) Cfr. Antonio Negri, Alle origini del formalismo giuridico, Studio sul problema della forma in
Kant e nei giuristi kantiani fra il 1789 e il 1802, Padova, CEDAM, 1962.
3) cfr. Antonio Negri, Saggi sullo storicismo tedesco. Dilthey e Meinecke, Feltrinelli, Milano,
1959.
4) Se la relazione fra determinismo e volontarismo etico si sia mostrata sotto il segno della
generosit o sotto quello del cinismo, solo il giudizio dei posteri potr dirci: certamente, tuttavia, la
sofferenza degli uomini non riuscita a distinguere fra utopia e fanatismo! E se nessuno potr mai
filologicamente indurre ascendenze kantiane dello stalinismo o di altre pratiche liberticide, troppo
hanno vissuto la tragedia dellambiguo rapporto determinismo-volontarismo Di nuovo, sugli effetti
teorici del dualismo kantiano e della tradizione neo-kantiana. cfr Antonio Negri La filosofia tedesca
del Novecento, in: << Storia della filosofia >>, diretta da Mario Dal Pr, vol. << La filosofia
contemporanea: II Novecento >>, Vallardi, Milano, 1978.
5) Per quanto riguarda la scuola weberiana, e la sua decisiva importanza nel definire questi
parametri del giudizio filosofico-politico, cfr Antonio Negri, Studi su Max Weber (1956-1966), in:
<< Annuario bibliografico della filosofia del diritto >>, Giuffr, Milano, 1967, - ma, soprattutto,
Antonio Negri. La forma Stato. Per una critica delleconomia politica della costituzione, Feltrinelli,
Milano, 1977.
6) Nella discussione sviluppatasi nellambito delle correnti neo-marxiste italiane soprattutto
negli anni `70, linsistenza sullirriducibilit del politico allanalisi delle lotte sociali stata spesso
cos importante da trasformare questinsistenza in apologia dellirrazionalitt e dellautonomia del
politico. Contro la conclusione irrazionalista si veda, oltre al mio La forma Stato, gli scritti
contenuti in Operai e Stato, Feltrinelli, Milano, 1972; Crisi e organizzazione operaia, Feltrinelli,
Milano, 1974; dove si sono raggruppati. con lautore di questo scritto. tutti coloro che hanno
rifiutato la tesi dellautonomia e dellirrazionalitt del politico. Vede inoltre gli articoli raccolti in
Scienze politiche 1 (Stato e politica), << Enciclopedia Feltrinelli Fischer >>, n. 27, a cura di
Antonio Negri. Feltrinelli, Milano 1970, e Dizionario critico del diritto, a cura di Cesare Donati,
Savelli ed., Roma 1980.
176

7) Cfr. Peter Sloterdijk, Kritik der zynischen Vernunft, 2 voll., Suhrkamp, Frankfurt am Mein,
1983.
8) N. Luhmann, Gesellschaftsstruktur und Semantik. Studien zur Wissensoziologie der moderner
Gesellschaft, 2 voll., Suhrkamp, Frankfurt 1980-1981: cito questo volume come punto di
riferimento della critica. Per quanto riguarda la bibliografia di Luhmann, basti ricordare che in Italia
tredici suo volumi (o raccolte di articoli) sono stati editi.
9) Con ovvio riferimento allo sviluppo della filosofia linguistica fra Frege e Wittgenstein. Su
questo sviluppo confronta Michael Dummett, Frege, Oxford, 1973 e Roberta De Monticelli.
Dottrine dellintelligenza. Saggio su Frege e Wittgenstein, Bari, De Donato, 1981.
10) Mi riferisco qui essenzialmente alla critica sviluppata dal prof. Gustavo Gozzi, che ha
seguito lungamente ed attentamente lo sviluppo del pensiero di Luhmann nella rivista italiana Aut
aut. Ma si veda ancora: R. De Giorgi, Scienza del diritto e legittimazione, De Donato, Bari, 1979 e
soprattutto Jrgen Habermas, Legitimationsprobleme im Sptkapitalismus, Suhrkamp. Frankfurt,
1973.
11) Paradossale , ad esempio, lutilizzo che del pensiero di Luhmann si fatto e si f
nellambito del dibattito interno al Partito comunista italiano. Cfr. in particolare gli scritti di
Massimo Cacciari, e fra questi soprattutto Krisis. Saggio sulla crisi del pensiero negativo,
Feltrinelli, Milano, 1975. In proposito cfr. comunque il mio Macchina tempo, Rompicapi
costituzione liberazione, Milano, Feltrinelli, 1982.
12) Per lo sviluppo del concetto di << sussunzione capitalistica della societ >> cfr, Antonio
Negri, Marx oltre Marx, Quaderno di lavoro sui Grundrisse, Milano, Feltrinelli, 1980.
13) Tutto ci completamente sviluppato ne La condition postmoderne di Lyotard.
14) Cfr, Antonio Negri. Listituzione logica del collettivo e le fatiche dellestetica, in Aut aut,
197-198, settembre dicembre 1983. Firenze. la Nuova Italia ed., pp. 133-142.
15) Tale il senso dellapologia del postmoderno, dello scambio simbolico e dellindifferenza in
Baudrillard.
16) Di Jrgen Habermas, oltre al gi citato Legitimationsprobleme, cfr, il recente Theorie des
kommunikativen Handelns.
17) Vedi in proposito i contributi della scuola habermassiana che sono stati pubblicati nel numero
speciale di Critique, << Vingt ans de pense allemande >>, 413, octobre 1981, Paris. In particolare
sono interessantissimi gli interventi di K.O. Apel (di cui vanno inoltre visti i due volumi
Transformation der Philosophie) e di E. Tugendhat (di cui da vedere anche Selbstbewusstsein und
Selbstbestimmung).
18) Da questo punto di vista linsegnamento di Theodor Wiesegrund Adorno e di Max
Horkheimer resta fondamentale, soprattutto nellopera comune Dialektik der Aufklrung.
Philosophische Fragmente.
19) George Lukacs, Die Zerstrung der Vernunft, Aufbau Verlag, Berlin, 1953.
20) Il cosiddetto << trilemma di Mnchausen >> stato formulato da K. O. Apel.
21) Com noto, al rovesciamento di questaffermazione completamente dedicato lo sviluppo
del pensiero di Gilles Deleuze.
22) I Mille Plateaux di Deleuze-Guattari vanno a questo proposito tenuti n massima
considerazione. Il processo di pensiero che nellopera citata sviluppato va nel senso della mia
considerazione della crisis e del suo possibile superamento.

177

23) Un simile atteggiamento soprattutto presente in quello che si chiama << contrattualismo >>
o << neo-contrattualismo >> nelle teorie etiche e del diritto. Il testo fondamentale naturalmente
John Rawls, A Theory of Justice, Oxford, 1972. Ma sulle recenti fortune di questo rinnovo tematico
cfr, Philip Pettit, Judging Justice. An Introduction to Contemporary Political Philosophy, Routledge
& Kegan. London, 1980. In Italia questa linea ha avuto particolare fortuna nel lavoro di alcuni
filosofi legati al PCI, come Veca, ecc. In generale si tratta, nel dibattito Italiano, di definire una
prospettiva di risposta liberate allimpatto del sistemismo tedesco.
24) In parallelo alle teorie neocontrattualistiche si sviluppa in Italia quella che dal titolo della
recente fortunata collezione di saggi a cura di Rovatti e Vattimo si chiama corrente del Pensiero
debole (Feltrinelli, Milano, 1984).
25) Ho sostenuto questa definizione della soggettivit nei saggi politici degli anni 70: cfr, in
particolare Crisi dello Stato-piano (1974), Proletari e Stato (1976), Il dominio e il sabotaggio
(1978), tutti pubblicati nella collezione << Opuscoli marxisti >> delled Feltrinelli, Milano.
26) Ho sviluppato questa posizione nel saggio Il comunismo e la guerra, Milano, Feltrinelli,
1980, oltre che nel gi citato La macchina tempo.
27) E evidente che su questo snodo il mio lavoro teorico si incrocia con quello di storico della
filosofia: cfr Antonio Negri. Lanomalia selvaggia. Potenza e potere nella filosofia politica di
Spinoza, Milano, Feltrinelli, 1981.
28) In questo capitolo seguo lordine del ragionamenti e dei problemi sviluppati ne La Macchina
tempo, cit., e soprattutto nel saggio di apertura di questo volume (<< Prassi e paradigma >>) e in
quello di chiusura (<< La costituzione del tempo Prolegomeni >>).
29) La questione posta essenzialmente da Luhmann. Ma il problema di una teoria della
legittimazione che attraversi e si provi nellesperienza ormai assolutamente generale: si potrebbe
dire che nel conflitto tradizionale fra teorie normative e teorie processuali del diritto, solo queste
ultime hanno ormai diritto di cittadinanza. Daltro lato proprio a questa paradossale conclusione
che giunge il pi coerente del normativisti, Hans Kelsen, nel suo ultimo, postumo, formidabile
lavoro Allgemeine Theorie der Normen, Wien, 1979.
30) Che la libert mantenga un riferimento materiale, che sia impossibile definirla sul terreno
dello stretto diritto, che essa competa alla vita intera delluomo, ed alla sua fisicit, - bon, questo mi
sembra il presupposto di questapproccio e quindi di una polemica continua ed irriducibile contro
qualsiasi filosofia idealistica.
31) Altrove ho cercato di sviluppare una concezione del diritto anticontrattuale ed istituzionale.
In ci sono stato molto influenzato dalle teorie del federalismo, ed in particolare dal pensiero di
Calhoun. Con quanta antipatia io concepisca la tradizione rousseauiana (con il suo antecedente
hobbesiano e il suo conseguente hegeliano) non star qui a ripeterlo. Di molto mi ero comunque
avvicinato ad una concezione antagonista del processo costituzionale, oltre che nel mio la Forma
stato, che in parte raccoglie saggi degli anni 60, - in La fabbrica della strategia. 33 lezioni su Lenin,
Area, Milano, 1976 (ma si tratta di scritti degli anni `60).
32) In Habermas tutto ci chiarissimo. Spesso in lui il trascendentale si diluisce in questa forza
de << fare inchiesta >>, del fare << scoperta di verit >>: la << scuola critica >> in proposito
fondamentale. Il mio riferimento ad essa, ad Adorno, ad Horkheimer, e soprattutto ai pi giovani
autori, da Hans Jrgen Krahl, a Offe, stato continuo.
33) Intendo dire che il cogito Cartesian deve accompagnarsi alla pietas spinoziana. Cfr. In
proposito A. Negri, Descartes politico, o della ragionevole ideologia, Feltrinelli, Milano, 1970; e <<
Reliqua desiderantur >> Congettura per la definizione del concetto di democrazia nellultimo
Spinoza, in: << Studia spinozana >>, paraitre.
178

7. Lenin a New York. Progetto di lavoro.


La lettera zero da Montreal contiene due indiscutibili affermazioni: il vecchio
operaismo era completamente inadatto a cogliere i meccanismi dello
sfruttamento capitalistico del Terzo Mondo; in secondo luogo, esso era incapace
di dare ragione del lo sfruttamento familiare - di quello della donna in
particolare. Si potrebbe forse attenuare il tono della polemica, ricordando che
talora si ebbero momenti di pi acuta riflessione sulla vicenda del Terzo
Mondo, soprattutto fra il 1971 e il 1974 in riferimento alla prima crisi del
dollaro e del petrolio: in quel caso la funzione non solo destabilizzatrice bens
destrutturante del movimenti di liberazione del Terzo Mondo fu adeguatamente
descritta sul livello teorico. Parimenti, si potrebbe ricordare che, oltre la
contribuzione teorica del << movimento per il salario al lavoro domestico >>, si
ebbero (nellambito delloperaismo autonomo negli ultimi anni `70) importanti
analisi sulla funzione del lavoro femminile di riproduzione nellaccumulazione
capitalistica e nella costruzione del valore sociale medio. Ma attenuare il tono
della polemica non significa mettere in dubbio la sua sostanziale correttezza per
quanto riguarda questi argomenti.
Diversa mi sembra la situazione quando la lettera zero affronta, per liquidarlo
definitivamente sia pure ambiguamente, il discorso sul rapporto fra lavoro e
comando. A me sembra che lanalisi della crisi della legge del valore (e di
quella della relazione fra valore e comando) debba condurre non ad
uneliminazione bens ad una riqualificazione del rapporto di valore fra lavoro e
comando. Le ragioni per cui non accetto leliminazione pura e semplice della
problematica allusa dalla legge del valore sono molteplici. Per dire subito quelle
di carattere politico, eccole. In primo luogo mi sembra che, dal punto di vista
capitalistico, la scienza economica (e quella della gestione) siano attentissime al
pieno utilizzo della legge del valore nelle sue pi tradizionali funzioni. Questo
significa che il vecchio materialismo economico continua a funzionare come
scienza settoriale dello sfruttamento. E quindi altamente probabile che la critica
di questo comportamento capitalistico continui ad essere politicamente
rilevante. In secondo luogo, quando, dal punto di vista operaio, si scarta la
presunzione classica di conoscenza del mondo di lavoro e, con lacqua sporca
(legge del valore), si getta anche il bambino (e cio il tessuto problematico del
rapporto fra lavoro e comando), si conclude normalmente a posizioni
politicamente inaccettabili: di << autonomia del politico >>, e ci significa di
tradimento socialdemocratico sul lato destro oppure di estremismo terroristico
sul lato sinistro dello schieramento di classe.
Bisogna, di contro, mantenere la centralit dellanalisi del rapporto fra lavoro
e comando. E certo che la legge del valore limitata: essa definisce e fissa la
179

forma del rapporto fra lavoro e comando unicamente per il periodo di egemonia
del lavoro industriale di fabbrica. Storicamente, la validit della legge del valore
si afferma, con difficolt crescente, nella serie dei cicli dello sfruttamento che
conduce dai primordi della produzione capitalistica al modo di produzione <<
grande industria >>. I meccanismi della << sussunzione formale >> della
societ nel capitale permettono, nel medesimo periodo, il funzionamento della
legge per lintera societ. Oggi, invece, come gi - nota bene - nel periodo
dellaccumulazione primitiva, la legge del valore non funziona come legge
generale. Pu, come abbiamo accennato, costituire una scienza settoriale dello
sfruttamento ma, come gi nel periodo dellaccumulazione primitiva, essa non
spiega il modo di produzione n la forma egemonica dello sfruttamento. La
dimensione sociale dello sfruttamento nellepoca della << sussunzione reale >>
della societ al capitale (cos come la qualificazione sociale delle condizioni
della accumulazione primitiva) sfuggono infatti alla legge del valore. Ora, se il
fatto che la legge del valore non funziona nel periodo dellaccumulazione
primitiva non ci ha in alcun modo impedito di andare a vedere come e con
quale quantit di terrore e di sangue, loriginario soggetto capitalistico abbia
costruito un nuovo modo di produzione, abbia cio stabilito un rapporto fra
lavoro e comando che stravolgeva lantico nesso, esaltando una straordinaria
nuova capacit di estrarre valore, - cos oggi, il fatto che la legge del valore non
funzioni a fronte della << sussunzione reale >> non significa dimenticare che al
centro dellanalisi deve restare il rapporto fra valore e comando, cio il modo in
cui, attraverso sfruttamento, si estrae valore, quail che siano le sue attuali
dimensioni.
E chiaro che le questioni da porre sono oggi molto diverse da quelle di un
tempo. Eccone alcune: qual la dimensione << americana > o << postmoderna
>> dello sfruttamento? Qual la dimensione << americana >> o <<
antimperialista >> della liberazione? Che senso ha parlare di << rifiuto del
lavoro >> nella << sussunzione reale >>? Ecc, ecc. Ma queste domande, pur
spostando completamente lanalisi al di fuori dellimproduttivo formalismo del
valore, implicano tuttavia che il rapporto fra lavoro e comando sia mantenuto
come tema centrale. Siamo probabilmente maturi per sostituire al vecchio
disegno di << Lenin in Inghilterra >> (disegno rivelatosi utile per seguire
dallinterno lepocale trasformazione che ci ha qui condotti) un nuovo progetto
di ricerca e di pratica sociali << Lenin a New York >>.
Nellaffrontare queste tematiche noi partiamo dal possesso di un ricchissimo
materiale grezzo che riguarda entrambi i poli del rapporto di sfruttamento, sia
cio il lavoro che il comando. Questi materiali sono grezzi, - ed bene che
restino grezzi, almeno fino a quando non avremo costruito unidea direttiva
180

forte per la loro ricomposizione. Ma il fatto che siano grezzi, non toglie la
possibilit, meglio lopportunit di un iniziale lavoro di riordino. Cos, ad
esempio, i temi (a) spaziali della mobilit della forza lavoro, (b) temporali della
flessibilit della giornata lavorativa, (c) qualitativi, e cio della natura del lavoro
(per esempio, problemi, di definizione della forza invenzione, << general
intellect >>, qualit dellastrazione, del bisogno, del piacere, ecc.) - tutti questi
temi possono divenire centrali nella definizione strutturale del << rifiuto del
lavoro >> a livello di << sussunzione reale >>. Sia sul piano interno che sul
piano internazionale, sia ad alto che a basso livello dello sviluppo capitalistico,
e nellintegrazione e nella trasversalit di questi piani e livelli. Dicevamo:
definizione << strutturale >> e non soluzione << soggettiva >>, perch non
siamo in grado di proporre questultima, - se fossimo capaci di questo, di
riproporre cio la tematica del soggetto sulle dimensioni oggi richieste dai
processi di << sussunzione reale >>, significherebbe che il problema della
rivoluzione ridiventato attuale - il che non vero. Eppure, il dirompersi
spaziale e temporale del lavoro e del rifiuto del lavoro, lesaltazione astratta
della loro natura, aprono enormi possibilit e vie di improvvisa maturazione.
Seguiamole, queste possibilit. E nel seguirle, ad esempio, affrontiamo il
problema anche da altri punti di vista. Nella fattispecie, cominciando a guardare
con attenzione pienamente dispiegata, non pi intimidita dal feticismo della
fabbrica, la forma capitalistica della costituzione sociale della produzione, oggi.
Temi come (d) la natura del capitale fisso sociale, oggi, ovvero la composizione
organica sociale di capitale; come (e) il nuovo rapporto (e le sue nuove
tecnologie) fra produzione, riproduzione, circolazione, ecc. ecc. - bene, temi del
genere non sono per nulla scontati. Anzi: ed con tutta probabilit proprio a
partire dalle risposte a questi problemi che si tratta infine di percorrere (f) la
fenomenologia di quel vuoto di conoscenza e di valore che, nel mondo
produttivo, si accompagna oggi ad un pieno di controllo, di repressione e di
minaccia di distruzione - sicch il cervello capitalistico rappresenta oggi
emblematicamente (nel diritto, nella gestione dellorizzonte monetario, nella
continua riaffermazione dellautonomia del comando, nel caos dei processi
amministrativi, bancari, ecc.) la crisi di tutte le relazioni fra lavoro e comando,
insomma, di nuovo la crisi della legge del valore, il realizzarsi critico della
tendenza negativa della produzione capitalistica...
Con ci torniamo alla premessa, e cio a definire il rapporto fra capitale e
lavoro, fra comando e forza lavoro, in quanto stabilito al di l di ogni relazione
possibile. E si comprende ora perch abbiamo chiesto di non concedere nulla
immediatamente alla teoria della crisi: non vogliamo infatti dimenticare la
figura strutturale della crisi, le dimensioni materiali dei soggetti e delle funzioni
181

che in essa si muovono, perch soltanto questa mediazione conoscitiva ci


permette di assumere lintera originalit della situazione. Questo infatti
momento di rivendicazione della logica - nel senso che la crisi non cancella la
logica - cancella le vecchie relazioni che la logica recepiva e santificava. La
crisi cancella quella legge del valore che conoscevamo, non cancella i termini
materiali dello sfruttamento. C ancora chi comanda e chi comandato, chi
soffre il lavoro e chi di quel lavoro gode e si arricchisce. Dunque, fermi i
termini logici del problema, loriginalit della crisi attuale consiste nel mostrare
limpossibilit di comprenderla comunque in termini dialettici. La dialettica
implica una fenomenologia di rapporti strutturali e simmetrici, qui i rapporti
sono in ogni caso asimmetrici, quando non siano catastrofici. Il sistema dei
rapporti di produzione e quello dei rapporti di potere non si ricoprono
positivamente - quanto a ricoprirsi in << ultima istanza >>, questo pu darsi
solo nella figura del ricalco negativo. La negazione dialettica implica un criterio
di omogeneit nel costituire lopposizione, qui lopposizione alternativa. Il
processo dialettico lineare, qui ogni processo per definizione discontinuo.
Ecc. ecc. Detto questo, avendo doe nuovamente insistito sulla qualit
ontologica di ogni definizione, possiamo ora concludere che se la crisi appare
come distruzione di ogni relazione, la teoria quindi si presenta come possibilit
di andar oltre ogni dialettica e come necessit di distruggere anche gli ultimi
residui di un linguaggio mistificato che sinsinuava nel nostro desiderio e nel
nostro pensiero.
Nel vecchio operaismo cera unidea centrale: quella della composizione
tecnica e politica della classe operaia - e in genere in tutte le classi. Vera poi
unidea forte, che coronava la funzione dellidea centrale: ed era quella della <<
libert >> di funzionamento della forza-lavoro globale, della classe, e della sua
forza di anticipazione dello sviluppo capitalistico. Lo sviluppo capitalistico
andava letto attraverso lanticipazione operaia. << La macchina corre dove
scoppia lo sciopero >>. Le lotte operaie erano il disegno dello sviluppo
capitalistico e nello stesso tempo erano, di questo, il martello distruttivo. Ora,
questidea di composizione e di anticipazione , nella crisi, pretrita. La crisi
rompe ogni relazione. Lidea di composizione e unidea ancora dialettica.
Bisogna quindi andar oltre lidea di composizione. Bisogna rompere la cattiva
dialettica dellanticipazione (operaia) e dello sviluppo (capitalistico). Bisogna
rompere questa cattiva dialettica stando dentro lontologia dello sviluppo.
Quello che venuto meno il rapporto, meglio, un certo rapporto fra lavoro e
comando - non i termini che costituiscono questo rapporto. I termini si
ritrovano, reali, indipendenti da qualsiasi relazione dialettica. Contro ogni
dialettica resiste il dolore dellumanit. E su questi termini che si tratta quindi
di lavorare, anzi, su uno solo di essi, sul termine lavoro, forza lavoro, rifiuto del
182

lavoro, - perch questo il solo che possa essere concepito razionalmente. La


scienza capitalistica, infatti, non essendo per s produttiva ma solo dialettica e
sistematica, non pu essere razionale. Come la crisi dimostra in figura
eccezionale.
Andar oltre ogni dialettica e porre il concetto di costituzione. Vale a dire che
se i concetti di composizione e di anticipazione erano ancora dialettici, quello di
costituzione non lo pi: esso posto contro la dialettica e la sua fondazione
alternativa. La costituzione un processo di composizione e ricomposizione
soggettiva, lotto ad ogni relazione dialettica con linsieme delle condizioni
oggettive della produzione. Questo non significa negare ogni relazione - ma
evidente che la separazione del concetto radicale - e che la separazione
condizione di ogni costituzione. Lidea della costituzione quindi lidea di una
pratica sociale alternativa che ricompone soggettivamente gli sfruttati. Non solo
in quanto tali ma soprattutto in quanto ricostruiscono valori, vita, potere, separatamente, indipendentemente, alternativamente.
Per cominciare a chiarire, diciamo subito che lidea di costituzione non idea
etica n utopica. E invece idea scientifica. Lo perch presuppone uno
specifico meccanismo conoscitivo che possiamo cos indicare: oggi
impossibile spiegare non solo lo sviluppo capitalistico (che spesso non c) ma
nemmeno la semplice riproduzione della ricchezza sociale, senza ricorrere al
concetto di pratica sociale. Vale a dire che, senza la pratica sociale, senza
lenorme quantit di lavoro gratuito, di lavoro libero che la societ capitalistica
raccoglie ed utilizza a glorificazione del suo proprio comando, la societ
capitalistica non esisterebbe. La societ capitalistica, la societ della <<
sussunzione reale >>, vive del dono gratuito di lavoro che i cittadini lavoratori
le fanno. Che tutti i lavoratori, da tutti i settori, le fanno. Lenorme capitale fisso
socialmente accumulato da tutti curato, ma solo per pochi tutto ci,
questenorme quota di lavoro sociale, risulta fonte di profitto - e di comando. Se
si assumono e si analizzano le quantit di lavoro estorto nel meccanismo <<
normale >> dello sfruttamento industriale e le quantit che invece sono regalate,
dentro informali o semplicemente consuetudinarie regole di organizzazione, alla
societ capitalistica ed alla riproduzione del capitale fisso che lorganizza, ben, si pu vedere di quanto le seconde quantit siano maggiori delle prime. Per
il capitale esse sono semplice << rendita sociale >>. Per tutti i cittadini sono un
surplus di sfruttamento. Questo specifico processo di sfruttamento si allarga
tanto pi quanto pi i meccanismi della produzione vengono informatizzati e la
forza-invenzione intellettuale diviene << energia >> per lo sviluppo della
produzione.
Da questo punto di vista, e tenendo conto delle quantit che sono in gioco, si
183

pu quindi concludere che oggi il lavoro sociale, le pratiche sociali costitutive,


ed anche tutto il lavoro che non immediatamente soggetto al comando,
rappresentano una norma valorifica produttiva, una norma per la produzione di
valore, che ha, nella societ della << sussunzione reale >>, il significato di <<
legge di valore >>. Assistiamo quindi ad una non irrilevante trasfigurazione
della legge, che comporta molte conseguenze. Ad esempio, si potrebbe parlare,
sempre sul terreno generale, di << sussunzione formale >> sotto questa
dimensione per le altre forme di valorizzazione, comunque persistenti nella
nostra societ. E chiaro, nella fattispecie, che il lavoro industriale <<
formalmente >> sussunto nel lavoro sociale - esso mantiene infatti le sue
caratteristiche ma non avrebbe valore se non fosse anticipatamente
predeterminato entro condizioni sociali adeguate - e non pagate (grado di
istruzione e di astrazione della forza lavoro, condizioni spazio-temporali della
riproduzione, livello sociale di informatizzazione, ecc.), - quindi, la pratica
sociale costitutiva che oggi valorizza anche il lavoro della << grande industria
>>.
Ma il concetto di costituzione non conclude la sua azione sul terreno
conoscitivo, fissando cio solamente la norma fondatrice di una nuova figura
del valore (e della sua legge). Se cos fosse ci troveremmo [troveremo ?] ancora
dentro la confusione dialettica nellepistemologia della liberazione. No, non
cos: il concetto di costituzione altro - vale a dire che esso
fondamentalmente pratico, insieme concetto di egemonia e di alternativa.
Chiediamoci allora: quali sono le condizioni di una pratica alternativa sociale
come forma rivoluzionaria nella quale la nuova legge del valore possa
esprimersi nella fase della sussunzione reale della societ sotto il capitale?
Ovvero: se il concetto di costituzione quello di una pratica sociale,
ontologicamente fondata, che costituisce le condizioni di conoscenza
dellattuale meccanismo dello sfruttamento, - come pu esso istituire la
possibilit di una soggettivit alternativa e rivoluzionaria?
Vi sono almeno tre linee di ricerca da seguire per dare risposta a questi
interrogativi. Molte di queste ricerche, occorre ricordarlo, sono ad un grado
avanzato di elaborazione - il periodo della repressione non ha impedito il lavoro
di analisi di molti compagni - si tratta ora di raccogliere, centralizzare e
comunicare i risultati.
Dunque: la prima linea di ricerca (A) riguarda i temi che sempre sono stati
propri della lotta di classe: ossia i temi del salario, della divisione della
ricchezza sociale, e soprattutto oggi dellorganizzazione temporale della
giornata lavorativa - insomma, i temi dellappropriazione. Quale sia, soprattutto
nei periodi di crisi economica, di aumento del dispotismo, di mistificazione e di
184

tradimento da parte delle organizzazioni ex-proletarie, la storia clandestina


dellappropriazione operaia e proletaria, - ecco, per esempio, un tema di enorme
interesse. Esso apre alla seconda dimensione della ricerca (B): ricerca
sullalternativa organizzativa in senso proprio, sulla << pratica >> della pratica
sociale, sulla << coscienza sociale >> dellalternativa. Un pi forte grado
ontologico caratterizza questa dimensione di vita collettiva proletaria, che
forse decisiva per definire una pratica sociale completamente emancipata dalla
dialettica capitalistica. La << pratica >> della pratica sociale prende in conto
una diversa mobilit della forza lavoro, la flessibilit completa della giornata
lavorativa, la modificazione della natura e della qualit del lavoro - le prende in
conto come materiali di un progetto alternativo di costituzione sociale. Non so
se il comunismo sia attuale - certo vive nella coscienza, nei desideri e
nellazione di tanta gente. Un soggetto rivoluzionario postmoderno non poi
cos lontano da una soglia di definizione. Terza linea di ricerca (C): gli
strumenti della rottura politica dellirrazionale, dellunit capitalistica del
sociale, cio della societ capitalistica postmoderna. E chiaro che qualsiasi
momento di rottura , in questa linea, immaginabile solo come momento di
destrutturazione profonda del potere del nemico, come riappropriazione
continua di spazi propri, di ricchezza e di lotta, come approfondimento
sistematico delle asimmetrie della produzione e del potere capitalistici - un uso
cosciente e continuo della crisi. E evidente anche che della semplice
destabilizzazione del nemico non occorre parlare - essa nei fatti, ma proprio
per questo essa anche controllabile, riassumibile nelle tecniche di
sistematizzazione che il nemico ha messo in atto per la riproduzione
dellirrazionalit del proprio dominio.
<< Lenin a New York >> non lattualit della rivoluzione. Paradossalmente
si dovrebbe dire che la rivoluzione c gi stata perch movimenti di lotta degli
anni `60 e `70 hanno tolto al capitale ogni capacit innovativa, nel produrre la
ricchezza sociale, e lo hanno condannato allirrazionalit. La fine dellImpero
cominciata. Al di l del paradosso diciamo che la rivoluzione oggi consiste nel
radicare ontologicamente, a livello di massa, egemonicamente un contropotere
che sia alternativa di vita. Non vero che il possesso del potere sia indifferente
rispetto a questo fine: ma non vi pu essere presa del potere se non sulla base di
una destrutturazione profondissima dellorganizzazione sociale del nemico, di
una riappropriazione di massa di spazi e di costituzione alternativa di valori.
Non daltra parte vero che il potere lo si possa distruggere solo possedendolo:
vero piuttosto che per possederlo bisogna cominciare a distruggerlo. Quanto
alla rivoluzione, come esercizio del tutto dispiegato di una << pratica della
pratica sociale >>, essa pi vicina di quanto si possa pensare. Nessuno di noi
ha certezze in proposito - ma ben vero che lubriacatura reaganiana ha
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mostrato a tutti quanto puzzi il potere reazionario e che laccumulo spontaneo e


profondo del momenti di rottura dellordine capitalistico si nuovamente
avviato - almeno nelle coscienze. E al terreno della rivoluzione che ci richiama
direttamente lanalisi del funzionamento dello sfruttamento e della sua crisi nel
Terzo mondo, - unanalisi fondamentale anche per lidentificazione dei temi
della nostra ricerca sulle forme della lotta di liberazione. Su questo terreno (D)
essenziale una concentrazione ed un approfondimento specifico della ricerca.
Il politico oggi precostituisce il sociale. Lo slogan capitalistico << meno
Stato >> un idiota << flatus vocis >>, tanto pi mistificato quanto pi
progressivamente la societ sussunta nel capitale e nel suo Stato. Unorrenda
falsificazione , daltro lato, il concetto di << autonomia del politico >> - questa
quasi nazionalsocialista autodifesa di ceti reazionari o storicamente sconfitti e
superati. Di contro, oggi il politico raggiunge lapogeo della sua significativit
precostituendo il sociale. Il politico una dimensione produttiva, una potenza
ontologica. Noi vi siamo dentro, la possediamo e di questa potenza siamo
tuttavia alienati. Dobbiamo forzare la situazione. Dobbiamo considerare il
politico come arma adeguata, dobbiamo costruirlo come contropotere, per
liberare la societ. La rivoluzione dei soggetti postmoderni certo inattuale come lo la primavera nei mesi invernali.
Propongo a me stesso e agli altri amid di lavorare congiuntamente sui temi (a,
b, c, d, e, f) e sui progetti (A, B, C, D).
Molto del lavoro qui indicato stato iniziato, ed ha raggiunto un certo grado
di formalizzazione, nellambito della discussione e delle analisi politiche dei
Grnen tedeschi, - e di alcuni dei pi attivi ed intelligenti gruppi ecologisti.

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