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Benny & Joon (USA, 1993)

Genere Commedia
Regia Jeremiah S. Chechik
Attori Mary Stuart Masterson (Joon), Aidan Quinn (Benny), Johnny Depp (Sam),
Julianne Moore (Ruthie)
Soggetto e sceneggiatura Barry Berman, Leslie McNeil
Musiche Rachel Portman Montaggio Neil Spisak

Chechik, regista canadese, racconta, “in punta di cinepresa”, il cambiamento che avviene
nella vita di Benny, fratello affettuoso ed apprensivo, della psicotica Joon, quando nella
loro vita entra Sam, un personaggio imprevedibile e poetico interpretato da un J. Depp,
reduce dal successo di Edward mani di forbice. L’incontro fra la creatività di Joon e quella
di Sam permetterà anche a Benny di sperimentare la propria libertà.
Questo film affronta la malattia mentale con pudore e leggerezza, facendo propria
l’interpretazione della malattia come luogo di libera espansione del proprio estro rispetto
alla “normalità”.
Insomma saremmo dalle parti del binomio genio e sregolatezza di matrice romantica se,
negli anni ’60, non fosse sopraggiunta l’antipsichiatria.
Anche il Cinema, che fino ai ’70, aveva rappresentato con vigore ed efficacia le “fosse dei
serpenti” nelle quali si consumava la vita dei ricoverati nei manicomi, cambia.
In Qualcuno volò sul nido del cuculo di M. Forman del ’75, tratto da un adattamento teatrale
a sua volta tratto da un romanzo, si rappresenta il manicomio come il luogo e la forma più
subdola di controllo sociale e politico. Il Pellerossa, che nella scena finale fugge libero,
rappresentò perciò il riscatto dei popoli oppressi contro il colonialismo e il capitalismo.
Dalla fine degli anni ’60 si parlava delle istituzioni chiuse: carcere, manicomio, scuola e
quindi della necessità, in qualche modo, di aprirle.
Lo aveva fatto Franco Basaglia per quanto riguarda i manicomi, almeno quello di Gorizia e
di Trieste; lo fece il ’68, a partire dalle Università, nella scuola. Nelle carceri nacquero e si
moltiplicarono le iniziative di teatro e arte ad opera dei reclusi.
Oggi è tutto un altro discorso e comunque bisogna arrivare ai film degli anni ’90 e 2000 per
trovare un approccio più equilibrato, che non affronti ideologicamente la realtà della
malattia mentale e del disagio psichico.
Per parlare solo degli italiani: Senza pelle di A. D’Alatri del ’94 con K. Rossi Stuart e A.
Galiena racconta “l’impatto della sofferenza mentale” nella vita di persone normali e non
pretende la soluzione dei problemi psichici attraverso l’amore e la sensibilità.
Si può fare di G. Manfredonia del 2008 con C. Bisio racconta di esperienze, effettivamente
avvenute, di far uscire i matti, attraverso un lavoro non assistito, dalla loro condizione di
isolamento.
Per ultimo è arrivato sui nostri video, all’inizio di febbraio, il bel film televisivo sulla
esperienza di Franco Basaglia, che mette ben in evidenza la realtà precedente alla
introduzione, spesso osteggiata, della famosa legge che porta il suo nome.

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