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Massimo Ragnedda 1

Dall’iperrealtà alla costruzione della realtà: lo scenario offerto dai new media

Dall’iperrealtà alla costruzione della realtà: lo scenario offerto dai new media

Abstract

La rivoluzione strutturale dei canali in cui viaggia l’informazione modifica radicalmente lo scenario
mediatico. Una rivoluzione che investe concetti classici quali spazio-tempo, velocità e realtà.
Aspetti e concetti diversi ma inestricabilmente interconnessi in questo nuovo scenario.
La concezione statica di spazio e tempo, di kantiana memoria, lascia oramai luogo ad una nuova
rappresentazione molto più fluida, legata ad una nuova concezione di realtà e di velocità. È la
velocità, l’istantaneità che modifica il concetto di tempo. Viviamo in una condizione “live”, “in
diretta”, in quella che Virilio chiama “tempo mondiale” o “tempo globale”, cioè l’istantaneità del
feedback tra la trasmissione e la ricezione del messaggio. Il reale non è mai dato, ma è un work in
progress ovvero è perennemente costruito e ricostruito. È il concetto di realtà dunque che cambia.
Philippe Queau insegna: esistono diverse specie di realtà. Il cyberspazio mette in evidenza come la
realtà non sia qualcosa di statico e immutabile. Non si tratta solo di quello che Baudrillard diceva
rispetto ai media tradizionali, la televisione in primis, che producono una simulazione della realtà
talmente credibile da essere più reale della realtà materiale, un’iperrealtà che si pone ormai come
l’unico orizzonte di senso. Non si tratta solo di una simulazione della realtà sconnessa da ciò che
prima era reale. Questa simulazione ci rendeva (e rende) in qualche modo passivi: assistevamo (e
assistiamo) alla trasfigurazione della realtà. Ora però, grazie all’interattività, la realtà contribuiamo
a crearla. All’utente finale viene data la possibilità di rielaborare, modificare e crearsi un percorso
personalizzato per accedere alle informazioni costruendo così una sua immagine della realtà:
immagine che poi presenterà agli altri. Il problema sociopolitico è vedere chi è capace di rielaborare
e decifrare la realtà, cosa che, parafrasando ancora Philippe Queau, determinerà se apparterremo al
campo degli eletti o ai proletari del virtuale.

in Luigi Spedicato (a cura di) La vita on line. Strategie di costruzione del sé in rete, Besa edizioni, Lecce, 2008, pp.
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Dall’iperrealtà alla costruzione della realtà: lo scenario offerto dai new media

Introduzione

Lo scenario mediatico è profondamente scosso dalla rivoluzione strutturale in cui viaggia


l’informazione. Una rivoluzione che modifica radicalmente concetti classici quali spazio-tempo,
velocità e realtà. Sarà soprattutto su quest’ultimo concetto che si articolerà la discussione. I primi
due però sono profondamente ed inestricabilmente connessi non solo tra di loro ma con la
concezione di realtà.
Il quadro teorico in cui si inserisce la discussione è il tramonto della modernità classica. Cosa gli
succeda è un argomento ampiamente dibattuto. Bell ad esempio prospettava già dalla fine degli anni
settanta l’avvento della società postindustriale caratterizzata dal passaggio della centralità dai fattori
produttivi tipici del fordismo, capitale e lavoro, a quelli tipici del post-industrialismo costituiti dalle
conoscenze teoriche e dalla crescente importanza dell’informazione come elemento basilare per gli
scambi economici e social.1 Lyotard da un punto di vista più filosofico parla di postmodernità,
caratterizzata dal tramonto delle metanarrazioni e dal venire meno della pretesa di spiegare la realtà
attraverso l’applicazione di principi unitari. In altri termini, come si vedrà meglio più avanti, la
realtà non può essere ingabbiata all’interno di un unico schema, poiché è differenza, molteplicità
irriducibile, mutamento.2 Modernità liquida è invece la metafora utilizzata da Bauman per spiegare
l’attuale fase dell’epoca moderna. Fase caratterizzata dalla fluidità, poiché non capace di fissare lo
spazio e legare il tempo, non conservando mai a lungo la propria forma e viaggiando con estrema
facilità associando a questo l’idea di leggerezza3.

Giddens preferisce parlare di modernità radicale, dove alla prima modernità (“early modernity”)
non succede la postmodernità ma la seconda fase della modernità, caratterizzata dalla
globalizzazione, dalla riflessività sociale e dalla diminuzione delle tradizioni4. Infine Beck parla di
“seconda modernità” che, pur portando a compimento alcuni dei processi iniziati nella “prima
modernità”, dall’altra però tende a radicalizzare tali processi fino a metterne in discussione le sue
stesse premesse5.

1
D. Bell, The coming of post-industrial society, New York, Basic Books, 1973.
2
J.F. Lyotard, La Condition postmoderne, Minuit, Paris, 1979.
3
Z. Bauman, Liquid Modernity, 2000, trad.it. S. Minucci, Modernità liquida, Bari/Roma, Laterza,
2002.
4
A. Giddens, The Consequences of Modernity., Cambridge, Polity Press, 1990
5
U. Beck, I rischi della libertà. L’individuo nell’epoca della globalizzazione, Bologna, il Mulino,
2000 (raccolta saggi, ed. italiana a cura di S. Mezzadra, trad. di L. Burgazzoli).
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Questi autori forniscono il quadro teorico di riferimento. Ed è appunto da queste analisi che bisogna
partire per capire come la nostra epoca sia caratterizzata dallo stravolgimento di concetti classici
della modernità, incentrandoci non tanto sul tracollo delle sue istituzioni (zombie, come le definisce
Beck) ma sulla rivoluzione strutturale del mondo mediatico. È dal concetto mutato di spazio e
tempo che bisogna partire.
Per citare Bauman: «il mutamento in questione è l’odierna irrilevanza dello spazio, mascherata sotto
forma di annullamento del tempo. Nell’universo software del viaggio alla velocità della luce, lo
spazio è attraversabile letteralmente “all’istante”: la differenza tra “lontano” e “vicino” è cancellata.
Lo spazio non pone più limiti all’azione e alle sue conseguenze, e conta poco o nulla; ha perso il
proprio “valore strategico”»6.
Senza entrare in una discussione simmeliana, si ricorda, così come lo stesso Bauman fa, che i valori
risultano essere preziosi nel momento in cui, per acquisirli, si deve rinunciare ad altri valori.
Simmel fa notare come ciò che rende i valori preziosi è la lotta fatta per conquistarli. Il valore è dato
dalla strada fatta per conseguirli7.
Come cambia allora lo spazio e il tempo in relazione alla rivoluzione strutturale su cui viaggia
l’informazione? Concentriamoci sull’informazione ed in particolar modo a come cambia la velocità
con la quale viaggia l’informazione oggi. Facciamo riferimento ad un evento storico, intriso di
leggenda.
Si pensi al messaggero Filippide, allora chiamati emerodromi, che nel settembre del 490 a.C. fu
incaricato di portare la notizia della vittoria dei greci, o meglio degli ateniese comandati da
Milziade contro i persiani condotti da Dario I. Il luogo della battaglia è nota a tutti: Maratona.
Luogo leggendario che ha dato adito a qualche fraintendimento. Filippide in realtà non percorse
solo 42 chilometri (anche se la distanza Atena Maratona è di 37 Km circa) ma come racconta
Erodoto, riferisce che l’emerodromo Filippide fu mandato a Sparta alla ricerca di aiuto (230 km
circa). Insomma percorse nel giro di 5 o 6 giorni Atene-Sparta-Atene-Maratona-(battaglia)-Atene
ovvero una distanza calcolabile in 600 km8.
La notizia, o meglio le notizie, viaggiarono con Filippide per 5 o 6 giorni. Il canale sul quale
l’informazione viaggiava era l’uomo. Lui era portatore di notizia, cosa che implica tutto un insieme
di problemi: pericolo che l’emerodromo fosse intercettato e con lui la notizia di cui era portatore in
primo luogo. Ma soprattutto il tempo che impiegava la notizia per arrivare a destinazione. Il valore

6
Z. Bauman, op. cit., p. 132
7
G. Simmel, Il conflitto della cultura moderna e altri saggi, C. Mongardini (a cura di), Roma,
Bulzoni, 1976.
8
Erodoto, Le Storie. Libro VI. La battaglia di Maratona, G. Nenci (a cura di) Milano, Mondadori,
1998.
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della notizia, nella concezione simmeliana di valore, era allora massima. Si pensi allo sforzo fatto
per consegnare le notizie, al territorio montagnoso del Peloponneso e al fatto che in quei momenti
era in gioco la sopravvivenza del proprio esercito e del potere. Lo spazio ha la sua importanza e il
suo valore proprio perché per percorrerlo è necessario del tempo, proprio perché più esteso è lo
spazio e più la notizia impiega per arrivare a destinazione.
Come cambia lo scenario oggi con l’istantaneità della comunicazione, ovvero la capacità di
comunicare in tempo reale. Istantaneità non significa una comunicazione velocissima e un tempo
ridotto nell’inviare le informazioni. Come fa presente ancora Bauman, il concetto di istantaneità
«denota l’assenza del tempo in quanto fattore dell’evento e dunque in quanto elemento nel calcolo
di valore. Il tempo non è più “la strada da fare per conseguire certe cose” e dunque non conferisce
più valore allo spazio. La quasi istantaneità dell’epoca software inaugura la svalutazione dello
spazio».9
Con l’istantaneità del messaggio si svaluta lo spazio. Lo spazio dunque non ha più valore, poiché
non fa differenza lo spazio che intercorre tra mittente e ricevente.
Ci addentriamo così nella seconda parte del nostro discorso: la velocità. La velocità
dell’informazione ha spinto Paul Virilio a definire questo elemento come uno dei più importanti
elementi nella comunicazione odierna. Parafrasando il celeberrimo e inflazionato concetto
macluhaniano, l’eclettico filosofo francese ha messo in evidenza come la velocità sia il messaggio.
Come lui stesso sottolinea, è la velocità, indipendentemente dal suo contenuto, che determina
l’informazione stessa. La celebre formula di Marshall McLuhan, secondo Virilio, dovrebbe corretta:
Il messaggio non è il medium, è solamente la sua velocità10.
Secondo Virlio dunque quello che conta è la velocità. Essa è da intendersi non soltanto come
annullamento dello spazio ma anche come capacità di occupare per primi e dunque più velocemente
degli altri, le prime pagine dei giornali. Anche l’ex presidente della Ruder & Finn, nota agenzia di
Pubbliche Relazioni, ha sostenuto che quello che conta è arrivare per primi, dire la propria verità.
Le smentite non contano, perché nel frattempo sarà emersa una verità più nuova da proporre e su di
essa l’opinione pubblica sarà invitata a riflettere. E soprattutto, ed è questo quello che conta,
l’effetto ricercato sarà già ottenuto. Alcuni esempi storici possono aiutarci a capire. Che volete che
importi ora, se non hai fini della ricostruzione storica, se il massacro di Racak, scoperto il 15
gennaio del 1999 fosse, come disse Walzer (ambiguo capo degli osservatori OSCE, già implicato
nel caso Iran-Contras) un massacro di civili e un esempio della “gratuita ferocia dei serbi”, oppure

9
Z. Bauman, op. cit., pp. 132-3.
10
P. Virilio, La bombe informatique, 1998; trad. it. G. Piana, La bomba informatica, Milano,
Raffaele Cortina, 2000.
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uno scontro a fuoco tra miliziani armati dell’UCK o esercito regolare serbo. Quello che conta è che
la verità di Walzer è diventata reale ed ha avuto conseguenze reali (nonostante più tardi si sia
scoprirà non essere vera, come la patologa finlandese Helen Ranta, coordinatrice dell’équipe che
esaminò 40 dei 44 cadaveri, ha affermato, ritenendo possibile che a Racak sia stata preparata una
messa in scena). Due mesi dopo la RFY è stata attaccata, Milosevic è stato definitivamente
sconfitto11. Conta la velocità dell’informazione dunque, la capacità di saper occupare per primi le
prime pagine: la capacità di imporre l’agenda. Viviamo in una condizione “live”, “in diretta”, in
quella che Virilio chiama “tempo mondiale” o “tempo globale”, cioè l’istantaneità del feedback tra
la trasmissione e la ricezione del messaggio, dell’informazione. Il discorso a questo punto potrebbe
ampliarsi se introduciamo l’aspetto di chi per primo e più velocemente riesce ad arrivare alle prime
pagine ed imporre il proprio punto di vista e la propria verità. Ritornando all’esempio del Kosovo,
la verità è diventata la dichiarazione di Walzer sulla strage di civili innocenti, proprio perché per
primo è riuscito a far passare la sua versione. Che la realtà dopo si sia rivelata un’altra non importa,
poiché nel frattempo essa era superata, obsoleta. Non era pertinente al contesto temporale. La realtà
dunque ha una scadenza, diventa obsoleta, perché la velocità dell’informazione la rimpiazza e
l’overdose delle informazioni che inquinano il presente, spesso rende impossibile, per mancanza di
tempo, una riflessione sulla realtà che sino a pochi giorni prima era la verità da prima pagina.
Ritornando all’esempio di Racak: che senso aveva dopo due mesi occupare le prime pagine
mettendo in evidenza che su quel massacro vi erano dei seri dubbi, quando la guerra era già
scoppiata e i giornali di questo dovevano parlare. Inoltre, nel frattempo “la ferocia gratuita dei
serbi” era dimostrata da mille altre “verità”, per cui una discussione sulla veridicità o meno del
massacro di Racak non solo non poteva farsi largo tra la marea di notizie che in quei giorni
affollavano le redazioni di giornali, ma era oramai un tema obsoleto, come obsoleta era la sua verità.
Al concetto di verità, intesa come aderenza alla realtà, si aggiunge un ulteriore elemento: la sua
scadenza. La verità scade perché nel frattempo la realtà è cambiata. Quello che era vero ieri in
corrispondenza ad una data situazione, oggi potrebbe non esserlo, perché viene a cambiare la realtà
a cui la verità fa riferimento.
Si arriva così al nocciolo della discussione, ovvero come cambia il concetto di realtà con le nuove
tecnologie dell’informazione. Partiamo da un’osservazione: il reale non è mai dato, ma è un
processo continuo, è, per utilizzare un inglesismo, un work in progress. Il reale si fa ogni giorno e lo
si presenta al grande pubblico. Ed è con quel reale che il pubblico interagisce. È in quel mondo che
il pubblico vive. Che importa che sia veramente reale nella vita reale. Al di là di facili giochi di

11
Per un approfondimento dell’argomento mi sia concesso rimandare al mio, M. Ragnedda,
Warshow: la guerra mediatica, Firenza, Nephila, 2002.
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parole. Rifacciamo un altro esempio storico che può suonare come una provocazione: che Bin
Laden esista o non esista realmente poco importa. Quello che conta è che esista mediaticamente. È
lì che vive, è in quel mondo iperreale, per dirla con Baudrillard, che la sua figura diventa reale. Che
differenza fa sapere che è alto un metro e settantadue o poco meno o sapere che è mancino. Non
importa. Conta il suo volto, il simbolo che rappresenta. Senza la TV, senza i mass media avrebbe
molta meno importanza, poiché non esisterebbe nell’iperrealtà, ma solo nella realtà e quindi sarebbe
conosciuto, odiato od amato, da pochi. Invece grazie alla sua esistenza nel mondo mediatico è
conosciuto da molti, troppi forse. È immortale e lo sarà sin quando occuperà la scena mediatica. La
sua eventuale morte dovrà essere documentata mediaticamente e trasmessa (un po’ come accaduto
con Saddam Hussein) proprio perché è necessario che prima di tutto muoia nell’immaginario
mediatico. Se la sua eventuale morte reale non verrà mostrata nell’iperrealtà lui continuerà a vivere.
Si pensi per un attimo alla figura di Hitler: non pochi hanno alimentato dubbi sulla sua reale morte,
proprio perché non è morto mediaticamente. Ma sessanta anni fa i mass media non avevano
l’importanza che hanno oggi e la figura di Hitler era pubblica anche nella realtà e non solo
nell’iperrealtà. Bin Laden esiste come figura pubblica solo nell’iperrealtà. Cosa succederebbe oggi
se Bush affermasse (anche nel caso in cui fosse vero) che Bin Laden è morto sotto un
bombardamento? La sua affermazione rischierebbe di non essere credibile: basterà infatti mandare
in onda un vecchio filmato e un passaggio audio per resuscitarlo ed alimentare così dubbi,
continuando a farlo esistere. Vivrebbe nell’iperrealtà ma non nella realtà. Ma poiché sempre più
persone confondono questi due mondi e danno al primo più importanza rispetto al secondo, lui
continuerebbe ad esistere in eterno, se non ucciso mediaticamente.
La realtà non esiste, si fabbrica. La realtà alla quale mi riferisco è quella del dibattito pubblico,
quella in cui l’opinione pubblica è coinvolta. Buona parte delle nostre conoscenze infatti sono
mediate; è cioè dal mondo dei media che noi attingiamo per avere informazioni sul mondo che ci
circonda. Usiamo queste informazioni per orientarci nel mondo a noi circostante. Spesso
conosciamo solo quel mondo o realtà, poiché non abbiamo nessuna possibilità di esperire
direttamente. È di questa realtà, sempre più vasta nella nostra quotidianità, che mi riferisco.
Dunque la realtà si fabbrica e, passo successivo, la si impone. Chi ha la capacità di fabbricare e
proporre/imporre la realtà ha in mano la carte del dominio. Stiamo attenti non si tratta però di
costruire a freddo una realtà come nel film Truman Show di Peter Weir, dove il protagonista-vittima
Jim Carrey si trova immerso in un mondo costruito ad hoc, completamente artificiale, circondato da
attori e comparse. L’ignara vittima è il protagonista, le cui gesta sono seguite da milioni di persone.
Il suo dramma è spettacolo. La sua realtà è fiction per milioni di telespettatori. Lui esiste in un

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mondo artificiale ma che per lui è la realtà. E per i telespettatori diviene spettacolo-realtà
quell’inconsapevolezza del protagonista di vivere in una non realtà ma che per lui è realtà.
Quando parlo di capacità di costruire la realtà non intendo questo. Forse ancora una volta la
metafora da proporre è quella della caverna, di platoniana memoria.
Un suo passaggio sembra illuminante al riguardo: «Pensa a uomini chiusi in una specie di caverna
sotterranea, che abbia l'ingresso aperto alla luce per tutta la lunghezza dell'antro; essi vi stanno fin
da bambini incatenati alle gambe e al collo, così da restare immobili e guardare solo in avanti, non
potendo ruotare il capo per via della catena. Dietro di loro, alta e lontana, brilla la luce di un fuoco,
e tra il fuoco e i prigionieri corre una strada in salita, lungo la quale immagina che sia stato costruito
un muricciolo, come i paraventi sopra i quali i burattinai, celati al pubblico, mettono in scena i loro
spettacoli»12.
Il paragone più immediato sarebbe evidentemente con il mass medium cinema. Ma qui il discorso
vuole essere esteso ai media in generale e proporre alcuni distinguo ed evoluzioni. In altri termini il
mito platonico va letta in senso metaforico. Il raffronto con il cinema sembra essere più diretto ed
immediato (la luce proiettata da dietro lo spettatore, si è in qualche maniera ancorati al posto da
dove si assiste allo spettacolo, il gioco di luci tra buio e luce) ma il discorso dovrebbe essere visto
nella sua totalità. È vero nessuno ci costringe a stare davanti alla Televisione, ancorati mani e piedi,
ma nessuno sembra poterne fare a meno.
La finzione si presenta come realtà e pretende, spesso di essere vissuta come tale. Il rischio è allora
che questa realtà non reale divenga più reale del reale, cosa che spinge sempre più persone ad
entrare a far parte del mondo dello spettacolo dove si celebra la realtà. Trasferire la propria persona
reale dentro il mondo virtuale assume il significato di partecipare alla realtà, non esserne escluso.
La televisione rischia di diventare quello che l’alienazione religione era per Feuerbach, ovvero la
proiezione delle caratteristiche umane nell’immagine ideale di un Dio creato dall’uomo stesso.
Quello che qui più interessa del mito platonico è il rapporto di incompatibilità percettiva tra
l’interno e l’esterno della caverna, ovvero tra la luce emanata dal sole e le ombre riflesse nella
caverna. Quello che interessa a Platone, e a noi, è vedere come esistano diversi gradi di conoscenza,
tutti reali ma di diversa validità. Su questo punto ritorneremo in seguito poiché di fondamentale
importanza in rapporto con Internet. Come cambia oggi lo scenario rispetto a più di due millenni fa?
Paradossalmente (ma non troppo) Platone aveva le idee chiare su questi livelli di conoscenza.
Sapeva distinguere perfettamente tra ombre e luce del sole, tra finzione e realtà. Ovviamente ai fini

12
Platone, La Repubblica, Libro VII, trad. it. F. Sartori, Bari/Roma, Laterza, 514a-514c.
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del nostro discorso non ci interessa seguire il percorso platonico sui quattro gradi di conoscenza che,
come noto, portano alla via del supremo Bene.
Perché si è riproposto il mito della caverna è perché dovrebbe esserci utile ai fini del nostro discorso?
Ci interessa, come si diceva, vedere la contrapposizione tra le realtà ed analizzare come su di esse
gli uomini interagiscono: chi è all’interno della caverna non vuole di certo allontanarsene o
accettare l’idea che quanto vede non sia reale. Quello che vede è per lui il reale e costituisce il suo
punto di riferimento.
Già con la televisione, ma soprattutto con il web e la virtualità del cyberspazio, molto sembra essere
cambiato. Quel che succede nel mondo della caverna è che la conoscenza è prodotta e distribuita in
maniera fonologica. Chi proietta le ombre sulla parete lo fa per dare un’impressione della realtà agli
spettatori, creando una cultura comune. Il prigioniero-spettatore è incatenato e passivo e vive
immerso in una dimensione dove la realtà è costruita ad hoc per lui.
Ora, pur tenendo presente le analisi di Staurt Hall con il suo modello “encoding/decoding”13, dove il
ricevente l’informazione non è lo spettatore passivo della caverna e non necessariamente rispetta le
codifiche avvenute alla fonte ma attua proprie strategie di decodifica (definite lettura preferita,
negoziata e di opposizione) tuttavia un elemento non può essere sottovalutato: la decodifica si basa
inevitabilmente sulle informazioni che ci arrivano. In altri termini: è vero che le informazioni
vengono filtrate sulla base dei nostri vissuti e delle nostre esperienze, ma è anche vero che è su
quelle informazioni che noi ci muoviamo e non su altro. Allora la domanda, che qui non trova luogo
di discussione per economia di spazi, è chi gestisce il libero mercato delle idee. Se da una parte è
vero che tutti possiamo dire quello che vogliamo dall’altra è anche vero che non tutti possono
immettere nel circuito mediatico delle idee. Chi gestisce il mercato delle idee decide quale porzione
di mondo e di realtà farci conoscere.
Ma torniamo sul concetto di realtà. Essendo uno dei punti centrali della nostra discussione è
necessario soffermarsi un po’ su questo concetto. L’immagine sembra prendere il sopravvento sulla
realtà, la sostituisce forse. La sfilza di autori che, in diverso modo, hanno sottolineato questo è
lunga e molto più autorevole del sottoscritto. Abbiamo iniziato con Platone (in realtà sarebbe più
esatto iniziare con Epicureo) ma è direttamente alla modernità che bisogna andare per capire cosa
cambia con il tramonto di essa e l’avvento del cyberspazio. Tralascio le discussioni, pur importanti
di Cartesio e Leibniz, per concentrarmi sulla concezione di realtà nel postmoderno. Non posso però
non citare brevemente Feuerbach che, nella prefazione alla seconda edizione de L’essenza del
Cristianesimo, sostiene che «senza dubbio il nostro tempo […] preferisce l’immagine alla cosa, la

13
S. Hall, Encoding/decoding, in S. Hall, D. Hobson, A. Lowe, P. Willis (eds.), Culture, media,
language. London: Hutchinson, 1980, pp, 128-138.
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copia all’originale, la rappresentazione alla realtà, l’apparenza all’essere»14. O Heidegger quando


sostiene che la nostra è «l’epoca dell’immagine del mondo», cosa che comporta una notevole
difficoltà nel distinguere i confini tra reale e immaginario, rendendoli a volte impossibili. Questi
autori ci servono come base per capire che anche in epoca moderna il discorso su realtà e immagine
era vivo. Ma l’obiettivo si deve focalizzare sulla realtà nella postmodernità e attraverso i media.
Ancora una volta: chi crea la realtà la domina, e la realtà la può creare solo chi possiede i mezzi
tecnici, materiali per farlo. I mass media tradizionali, come Bechelloni ha scritto, «incidono sullo
statuto della realtà sociale e culturale divenendo i più grandi produttori di significati condivisi che
mai siano venuti all’esistenza nella storia della società umana»15. Non è necessario scomodare Marx
e il suo concetto di apparenza, per dire che chi è al potere usa la realtà, creandola a propria
immagine e somiglianza in modo tale da normalizzare e tutelare i propri interessi. La capacità di
creazione della realtà è anche un formidabile strumento del controllo sociale, proponendo modelli a
cui uniformarsi.
Come da altre parti ho sottolineato per la prima volta nella storia si assiste ad una globale e
trasversale diffusione degli stessi messaggi che, anche se non dalla totalità degli individui, vengono
lentamente introiettati e fatti propri16. Ma non solo. Infatti, non si tratta semplicemente di assorbire
idee e modelli che il sistema mediatico propone, ma anche assorbire sistemi e processi sociali di
conoscenza. I media forniscono non solo la realtà da osservare ma anche, per citare Bourdieu, gli
occhiali con i quali guardarla.
Come precisa Bettetini «simulare significa, infatti, imitare, rappresentare, riprodurre; ma significa
anche fingere, ingannare, mentire. L’arte della simulazione comporta l’abilità esecutiva del ritratto,
della statua, dell’ambientazione scenografica, della rappresentazione dell’idea; ma anche quella
dell’imbroglio, dello stratagemma. […] il simulacro, la ricostruzione fittizia della realtà, sembrano
valere “quanto” e forse “più” della stessa realtà, soprattutto se le sono contemporanei o se i loro
tempi di apparizione sono comunque strettamente collegati con quelli dell’oggetto sostituito»17.

Sul concetto di realtà nel postmoderno

14
L.A. Feuerbach, Das Wesen des Christentums 1841, trad. it. F. Tomasoni, L’essenza del
cristianesimo, Bari/Roma, Laterza, 1997.
15
G. Bechelloni, La televisione come cultura. I media italiani tra identità e mercato, Napoli, Liguori Editore, 1995, pp.
46-7.
16
M. Ragnedda, Eclissi o tramonto del pensiero critico. Il ruolo dei mass media nella società
postmoderna, Roma, Aracne, 2006
17
Bettetini, G., La simulazione visiva. Inganno, finzione, poesia, computer graphics, Milano,
Bompiani, 1991, p. VIII
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Ed allora cosa porta con sé di nuovo il virtuale del cyberspazio? Perché ripresentare questo concetto?
Iniziamo sgombrando il campo da eventuali equivoci: la virtualità non nasce con la cibernetica o i
suoi derivati, ma le sue origini possono essere rintracciate in ambito filosofico e precisamente ad
opera di Henri Bergson. Senza entrare in dettagli filosofici, qui pare importante sottolineare come,
secondo il filosofo francese, non esista una realtà data come un fatto in sé. In altri termini la realtà
non è un dato compiuto e stabile, definito una volta per tutte. Partendo da una critica al concetto
Aristotelico di potenza e atto, Bergson ammonisce come se la potenza si risolvesse semplicemente
nell’atto saremmo condannati a vivere in un eterno presente. È necessario svincolare il movimento
dallo spazio e metterlo in relazione al tempo. Semplificando, e sperando di non banalizzare,
Bergson sostiene che il movimento deve essere messo in relazione con il tempo non meccanico e
omogeneo dell’orologio ma con quello eterno della durata. Ed è a questo punto che ci possiamo
ricollegare all’esperienza del virtuale dove il nostro movimento è in relazione non allo spazio ma
alla durata ovvero alla “forma assunta dalla successione dei nostri istanti di coscienza quando il
nostro io si lascia vivere, quando si astiene dallo stabilire una separazione fra lo stato presente e
quello anteriore”18
Il cyberspazio è il luogo dove il movimento si svincola dallo spazio e più precisamente dallo spazio
fisso. Non è il caso di addentrarsi ulteriormente nel discorso bergsonsiano, ma interessava prendere
in prestito il concetto di virtuale e vedere come oggi quel concetto si ricalca perfettamente nel
mondo della rete, del cyberspazio.
Esso obbedisce alle proprietà del tutto nuove di ubiquità, di istantaneità, di accessibilità, di
trasparenza, di replica indefinita. Il discorso sui diversi aspetti della realtà si trasporta sulla rete, nel
cyberspazio. Esso insegna come la realtà non sia unica: esistono diverse specie di realtà. La realtà
dunque è in movimento, è costruita, non data una volta per tutte.
Come cambia però il concetto di reale con la rete. Chi propone la realtà la domina. Chi la propone
nella TV sono sempre meno persone, che hanno accesso al mondo di produzione. La fusione dei
grossi network mediatici è la riprova della concentrazione in sempre meno mani, e meno menti, del
mondo iperreale. L’iperrealtà è in altri termini il momento in cui l’utente-consumatore scambia,
volontariamente o meno, il modello con l’oggetto modellato, confonde la mappa con il territorio, la
simulazione con l’originale. L’iperrealtà è diversa dal reale ma non per questo coincide con
l’immaginario. Essa fornisce i segni della realtà ma da essa se ne distanzia perché ciò che si vede

18
H. Bergson, 1889-1896, Essai sur les donnèes immédiates de la conscience, Matière et mémoire,
Quid Aristotéles de loco senserit, Lettres, trad. it. F. Sossi, Opere 1889-1896, Milano, Arnoldo
Mondadori Editori, 1986.
in Luigi Spedicato (a cura di) La vita on line. Strategie di costruzione del sé in rete, Besa edizioni, Lecce, 2008, pp.
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Dall’iperrealtà alla costruzione della realtà: lo scenario offerto dai new media

(attraverso i media) è segno di una realtà che ha inevitabilmente perso i suoi referenti. Il reale viene
derealizzato dalla società dello spettacolo e ridotto a segno e simulacro. L’iperrealtà viene proposta,
e accettata, come sostituta della realtà. La realtà creata e proposta, viene però filtrata dagli interessi
e dalle idee di chi la propone.
Con la rete il discorso cambia notevolmente. Internet segna però una evoluzione in questo scenario.
Tutti potenzialmente possiamo creare iperrealtà, filtrarla con i nostri interessi e proporla agli altri,
cosa assai più difficile, se non impossibile, con la televisione. Il problema non sta nella produzione
della realtà, tecnicamente e potenzialmente possibile per tutti gli utenti della rete, ma nella capacità
o forza di saperla presentare agli altri e farla accettare come realtà. In altri termine se l’iperrealtà
fornita dalla televisione permetteva e permette una o poche versioni, ora la rete, proprio perché
ognuno è sì destinatario ma anche mittente di informazione, permette una molteplicità di versioni
dell’iperrealtà e dunque delle realtà con la quale interagire. Internet dunque permette agli utenti di
navigare liberamente e costruirsi un proprio percorso, un proprio viaggio, spostandosi liberamente
da uno spazio all’altro alla ricerca di informazioni più vicine ai propri gusti e visioni del mondo.
Elaborando un proprio autonomo percorso egli si costruisce così una sua visione della realtà, non
meno coerente e vera delle altre realtà
Classico esempio di quello che Baudrillard chiama iperrealtà sono le simulazioni al computer che
vengono offerte dai media qualora non vi fossero immagini per illustrare l’evento. Si prenda la
seduta del Consiglio di sicurezza dell’ONU del 5 febbraio 2003, quando il segretario di Stato
statunitense Colin Powell, doveva convincere il mondo della pericolosità del dittatore iracheno
Saddam Hussein. Powell non avendo filmati che mostrassero chiaramente i laboratori dove
venivano costruite le armi di distruzione di massa, ha utilizzato delle immagini ricostruite al
computer. Grazie al suo ruolo, alla maestosità del luogo dove veniva mostrata e al fatto che ha
rimbalzato su tutte le televisioni del mondo, quella simulazione di realtà è diventata per molti
sinonimo di realtà, anzi più vera della realtà, perché forniva maggiori dettagli su di essa di quanto
una semplice immagine reale sarebbe capace di fare.
È interessante notare come, 41 anni prima sempre nella stessa sala, sempre il segretario di Stato
statunitense fece un discorso simile. Adlai Stevenson, durante la crisi di Cuba del 1962, esibì le foto
aeree che dimostravano la presenza di missili sovietici sul territorio cubano 19 . Quella storica
seduta avvenne il 25 ottobre del 1962 esattamente undici giorni dopo che gli aerei spia U-2 avevano
fotografato i soldati sovietici intenti ad installare sul territorio dell’alleato caraibico missili nucleari.

19
P. M. De La Gorge, Soli contro tutti, in “Le Monde diplomatique/ il manifesto”, n. 4, anno X –
aprile 2003, pp. 8-9.
in Luigi Spedicato (a cura di) La vita on line. Strategie di costruzione del sé in rete, Besa edizioni, Lecce, 2008, pp.
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Riporto questo fatto storico perché 40 anni prima per persuadere il mondo si faceva uso della
fotografia come riproduttore fedele della realtà, mentre meno di mezzo secolo dopo è alla
rappresentazione simulata al computer che ci si affida per persuadere. La riproduzione artificiale al
computer diviene più credibile di una foto.
Come appena detto tutti possono tecnicamente creare al computer un’immagine simile e divulgarla
su Internet, magari sostenendo che l’Italia, la Francia o Singapore hanno armi di distruzione di
massa. Come prova della veridicità delle versione del reale proposta viene offerta la simulazione.
Ma a questa simulazione non verrebbe data importanza o credito, poiché proviene da fonti non
attendibili. È l’attendibilità che conferisce valore di realtà alla realtà simulata. A differenza di
quanto succedeva con i vecchi media, ora tramite la rete tutti possono divulgare e elaborare la
propria realtà, ma pochi riescono a proporla e a renderla credibile.
L’iperrealtà è un altro elemento caratterizzante della postmodernità. Secondo Baudrillard la
progressiva emigrazione culturale di massa verso l’iperrealtà è un’inevitabilità storica, che per
quanto profondamente nuovo e pericoloso è irresistibilmente affascinante. Come lui stesso
puntualizza, la nostra società si sta muovendo “da una società capitalista-produttivista verso un
ordine neo-capitalista e cibernetico che punta al controllo totale. Questa è la mutazione per la quale
la teorizzazione biologica del codice prepara il terreno. Non c’è nulla di casuale in questa mutazione.
È la fine della storia in cui, uno dopo l’altro, Dio, l’Uomo, il Progresso e la Storia muoiono per il
futuro del codice”20.
Come sottolinea Philippe Queau è necessario evitare di contrapporre reale e virtuale. Il vero
problema è cercare di capire quanto virtuale vi è nel reale e quanta realtà vi è nel virtuale.
L’esempio che lui fa è illuminante: la bolla economica. È evidente infatti come il 99% dei capitali
che circolano nel mondo sono pura speculazione, ovvero solo l’1% dei capitali corrisponde
all’economia reale. Il giro di affari è impressionante, dell’ordine di diverse migliaia di miliardi di
dollari che quotidianamente circolano nel virtuale, con conseguenze più che reali. In questo caso la
distinzione tra reale e virtuale è effimera, illusoria e realtà e virtualità si confondono
vicendevolmente.21 Il problema dunque non consiste tanto nel chiedersi se un’immagine sia reale o
fittizia, vera o falsa; il vero problema è vedere chi ha gli strumenti intellettuali per decifrarla, per
analizzarla. Secondo Queau il possedere questi strumenti intellettuali determina l’appartenenza al
campo degli eletti del virtuale o al contrario ai proletari del virtuale. Le distinzioni sociali si

20
J. Baudrillard, Simulacres et simulation, 1981, Simulations, traduzione inglese a cura di Paul
Foss, Paul Patton e Philip Beitchman, New York, miotext(e), 1983, p. 111.
21
P. Queau, La rivoluzione del virtuale, 12 maggio 1995, in
http://www.emsf.rai.it/interviste/interviste.asp?d=61 (consultato 23 aprile 2007).
in Luigi Spedicato (a cura di) La vita on line. Strategie di costruzione del sé in rete, Besa edizioni, Lecce, 2008, pp.
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trasferiscono nel virtuale. Ad essa potremmo aggiungere la distinzione tra poveri e ricchi di
informazione. Questo per quanto riguarda il campo della fruizione dell’informazione. Problema
analogo si ripropone nel campo dell’offerta dell’informazione. Come si è visto Internet offre
potenzialità che sino a poco tempo fa erano impensabili: cosa che spinge le grandi corporation
dell’editoria a puntare in maniera sempre più massiccia sulla rete, abbandonando i progetti di
potenziare i vecchi media. Il nuovo progetto è quello infatti di far convergere i media tradizionali
sulle reti telematiche cosa che comporterebbe vantaggi sia in termini di costi che di qualità22. Si
pensi all’annuncio del direttore del prestigioso “The New York Times” che entro il 2012 sarà
fruibile solo in rete. Attenzione però convergenza non significa che le differenze tra internet e i
media tradizionali vengono annullate. Internet permette infatti, limitando ora l’analisi
all’informazione, di integrare le tre figure classiche e ben distinte anche se interdipendenti, quali
editore (chi possiede il medium), il giornalisti (chi scrive) e il lettore (chi usufruisce
dell’informazione) in un’unica persona.
Si è detto che con Internet tutti (o meglio coloro che possiedono gli strumenti tecnici e intellettuali
per farlo) possono comunicare qualcosa. Conta, come diceva Virilio, la velocità e la capacità di
arrivare per primi. In realtà si potrebbe sostenere che, di fronte alla marea di messaggi che ci
circondano, ciò che determina la natura della comunicazione non è tanto e solo la velocità del
messaggio, ma casomai è la sua accessibilità. La velocità è importante almeno quanto la capacità
che una notizia ha di farsi trovare.
Anche in questo caso si ripropone il problema di una nuova divisione sociale, caratterizzata
dall’accessibilità, ovvero dalla capacità della notizia di farsi trovare, di uscire dal virtuale e calarsi
nel reale.

22
A. Mandelli, Il mondo in rete. Economia di Network e Nuovi Media, Milano, Egea, 2000.

in Luigi Spedicato (a cura di) La vita on line. Strategie di costruzione del sé in rete, Besa edizioni, Lecce, 2008, pp.
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in Luigi Spedicato (a cura di) La vita on line. Strategie di costruzione del sé in rete, Besa edizioni, Lecce, 2008, pp.
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