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Marco LODOLI Grande Circo Invalido E dire che ci eravamo preparati con cura, come veri dilettanti carichi

di timori: non so quanto avevamo discusso e quante parrocchie periferiche avevamo colpito prima di andare a rubare il vero Ges Bambino, laggi a San Pietro. Di solito lappuntamento con Rocco e Mariano era alle sei del pomeriggio nei giardini di Villa Paganini, di fianco alla Nomentana. Da qui controlliamo meglio la citt, dicevo, ed pi vicino a casa mia. Io, uomo dansie arrivavo sempre con venti minuti di anticipo e iniziavo a macerarmi come frutta nel vino. Ripensavo a tutte le ore che avevo trascorso da ragazzino in quel parco, quandero lunico a non ricordare le formazioni di calcio e i nomi dei gelati, gi smisuratamente preoccupato, quasi sentissi le ossa allungarsi sotto i pantaloni corti e i pensieri diventare pi grandi della testa. Pi tardi, su una panchina un po defilata, accanto al rudere soffocato dalledera, avevo dischiuso la bocca al primo bacio e dentro mi era precipitato lamore, come un aereo in fiamme. E un rito che ho sempre ripetuto qui: il braccio tremante lungo il metallo freddo dello schienale, lungo la schiena calda della ragazza, le dita a muoverle i capelli, lei che si avvicina un poco, la mente che si inclina impaurita e savvita gi nel bacio. Un giorno o due e rivolavo solo. Sulla stessa panchina, di ritorno dalle prime lezioni universitarie, tentavo di mettere ordine negli appunti. La pagina uno del mio blocco a quadretti era scritta in rosso e in blu, impeccabilmente, quindi le righe si allargavano subentravano fiorellini e maledizioni: infine erano parole sciolte, cucite da passaggi intellettuali impossibili da ricostruire. Io non imparo niente, sospiravo, nelle biblioteche ci sono muraglie cinesi di libri e io non ne ho scalfito mezzo. Allora cominciavo a stendere elenchi di classici greci, latini, francesi, russi, titoli su titoli copiati dai cataloghi, piani quinquennali di recupero, e nella tasca avevo la barca dei Malavoglia incagliata da settimane a pagina trenta. A volte raccattavo un giornale abbandonato sulla ghiaietta da qualche pensionato e ci perdevo sopra il pomeriggio, stupito da quante cose strabilianti accadessero lontano da quel giardino. Ci nonostante alla fine sono riuscito a laurearmi e a diventare professore, traversando gli esami come citt straniere, con la cartina rovesciata in mano, perdendo e ritrovando la strada cento volte, senza altro desiderio che venirne via salvo, per riparare sotto il soffitto verde e azzurro del mio giardino. Qui ho fatto anche la mia esperienza politica pi importante. Avr avuto dodici tredici anni e insieme a una bambina bionda, un pomeriggio che gi faceva buio, trovai per terra un uccellino spiumato, piccolissimo. Tremava di freddo, arrancava nella polvere, ancora incapace di badare a se stesso. Faceva pena, povero passero, spalancava il becco come per chiedere la grazia. La bambina bionda lo prese in mano e come un sasso lo lanci in aria due o tre volte: come un sasso ricadeva a terra, sbatacchiando le alucce. Chiss dovera il suo nido in cima a quale albero, e qual era sua madre tra i tanti uccelli che volavano liberi sopra le nostre teste. Adesso che facciamo, supplicavo, cosa possiamo inventarci per salvarlo, chi andiamo a chiamare? Dovranno venire i pompieri con la sirena e le scale altissime per rimetterlo sul suo ramo, e dov che vivono i pompieri? Mi faceva un male cane, quelluccellino, me lo sentivo crepare in gola secondo dopo secondo. Allora la bambina testa bionda mi prese la mano, strizz un occhio e a voce bassa mi disse: Ruggero, andiamo via, facciamo finta di non averlo visto. Era come se avesse letto il mio pensiero pi misero.

Quel pomeriggio ho capito cos lo spirito borghese, e che io nella vita non sar mai pi cos: un borghese, praticamente un criminale. Perch io sogno che tutto il mondo partecipi alla felicit, perch anche se le gambe mi si piegano a dirlo io sono un anarchico, perdio, come Bakunin, Cafiero, Malatesta, Bonnot, anarchico come i miei amici anarchici Rocco e Mariano. Il passero mor dopo mezzo minuto, ma nella lana del mio cappello. (Tratto da: Marco, Lodoli, Grande Circo Invalido, Einaudi, Torino, 1993, pp. 3-5.)

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