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. Motivo: Voce scritta male che fa quasi pubblicit al personaggio . Partecipa alla discussione e/o correggi la voce. Segui i suggerimenti del progetto di riferimento. Luciano Canfora (Bari, 5 giugno 1942) un filologo classico, storico e saggista italiano. considerato un profondo conoscitore della cultura classica, al cui studio egli applica un approccio multidisciplinare[1]. Indice [nascondi] 1 Biografia 2 Polemiche 3 Politica 4 Opere 5 Onorificenze 6 Note 7 Altri progetti 8 Collegamenti esterni

Biografia [modifica] Dopo la laurea in Storia romana conseguita nel 1964 e la successiva specializzazione con il perfezionamento in Filologia classica alla Normale di Pisa, ha iniziato la carriera universitaria come assistente di storia antica, e successivamente di letteratura greca. Attualmente professore ordinario di Filologia greca e latina presso l'Universit di Bari e coordinatore scientifico della Scuola Superiore di Studi Storici di San Marino. membro dei comitati direttivi di varie riviste, sia scientifiche sia di alta divulgazione, come ad esempio il Journal of Classical Tradition di Boston[1], la spagnola Historia y critica, la rivista italiana di alta divulgazione geopolitica Limes (Gruppo L'Espresso). membro della Fondazione Istituto Gramsci[1]del comitato scientifico dell'Enciclopedia Italiana Treccani. Dirige inoltre, sin dal 1975, la rivista Quaderni di Storia (ed. Dedalo, Bari). Dirige altres la collana di testi La citt antica presso l'editore Sellerio, nonch la collana Paradosis per le edizioni Dedalo e la collana Historos per la Sandro Teti Editore. autore prolifico. Molti dei suoi libri sono stati tradotti in USA, Francia, Inghilterra, Germania, Grecia, Olanda, Brasile, Spagna, Repubblica Ceca. Le sue pubblicazioni trattano di filologia, storia e politica dall'et antica all'et contemporanea. elzevirista del Corriere della Sera e collabora con La Stampa. Ha coordinato e diretto, assieme a Diego Lanza e a Giuseppe Cambiano, "Lo spazio letterario della Grecia antica" , 5 voll., Salerno editore, Roma 1992-1996. Si tratta di un'opera collettiva sui diversi caratteri della filologia greco-antica, della letteratura greca e della sua persistenza. A tale opera hanno contribuito i massimi esperti italiani di filologia e storia della letteratura greca. Polemiche [modifica] Canfora ha recentemente polemizzato con Salvatore Settis, il quale sostiene l'autenticit del cosiddetto Papiro di Artemidoro (esposto come autentico in occasione dei XX Giochi olimpici invernali di Torino, a Palazzo Bricherasio), che invece Canfora ritiene un falso, probabilmente ottocentesco e presumibilmente realizzato dal falsario greco Costantino Simonidis, un figuro piuttosto noto agli specialisti e molto abile nella falsificazione di papiri [2]. Non la prima polemica ad aver coinvolto lo studioso barese. La pubblicazione della traduzione americana del suo La biblioteca scomparsa (come The Vanished Library) aveva suscitato nel 1990 un'aperta diatriba sulle pagine della New York Review of Books: il classicista inglese sir Hugh Lloyd-Jones concentr le sue critiche sull'apparente accoglimento

da Canfora della tesi, oggi screditata, secondo cui la celebre biblioteca di Alessandria in Egitto sarebbe stata distrutta dal califfo 'Omar ibn al-Khattb in seguito alla presa della citt, nel 641. Canfora dipan il malinteso, chiarendo che la biblioteca and distrutta durante la guerra che oppose Aureliano a Zenobia, regina di Palmira[3]. Alla fine del 2005, un'altra polemica fu innescata sul libro La democrazia. Storia di un'ideologia[4]. Il volume era parte di una serie, coordinata da Jacques Le Goff, intitolata Fare l'Europa, pubblicata contemporaneamente dagli editori C.H. Beck di Monaco di Baviera, Blackwell di Oxford, Critica di Barcellona, Laterza di Roma-Bari e Editions du Seuil di Parigi. Dopo che il libro era gi apparso in Italia, in Spagna e in Francia, quando la traduzione inglese era pronta, la traduzione tedesca fu fermata prima che andasse in stampa, giacch l'editore Beck pose il veto alla pubblicazione. Lo storico Hans-Ulrich Wehler, infatti, aveva redatto con altri non nominati un elenco di presunti errori storici commessi da Canfora nell'opera. In realt, la polemica mediatica che segu l'episodio mise in luce pi profonde accuse, di natura ideologica, mosse a Canfora, essenzialmente incentrate sul ruolo dell'Unione Sovietica nella storia europea del Novecento[5] e sul giudizio relativo al governo di Adenauer. Canfora rintuzz le accuse mossegli e chiar l'inconsistenza degli errori fattuali denunciati in un libro intitolato L'occhio di Zeus, apparso in Italia per Laterza; tra l'altro fece osservare come molti dei presunti errori nascessero da una cattiva traduzione del suo pensiero in tedesco. La traduzione tedesca (rivista) usc infine nel 2006 per l'editore Papyrossa [6]. Nel marzo 2009 viene attaccato da Gianni Riotta, il quale, dagli studi del suo telegiornale, taccia erroneamente lo studioso barese di simpatie totalitarie. Come Canfora ha rilevato nella sua lettera al Corriere della Sera del 17 marzo 2009, il Riotta, oltre ad aver probabilmente confuso i due libri La storia falsa e La natura del potere, non li ha forse nemmeno letti: altrimenti avrebbe avuto modo di apprendere che le simpatie canforiane son tutt'altro che totalitarie. Politica [modifica] stato candidato per le elezioni europee del 1999 nella lista dei Comunisti Italiani[7]. Opere [modifica] Inventario dei manoscritti greci di Demostene, Padova, Antenore, 1968. Per la cronologia di Demostene, Bari, Adriatica, 1968. Per la storia del testo di Demostene, Bari, Arti grafiche Laterza & Polo, 1968. Tucidide continuato, Padova, Antenore, 1970. Totalit e selezione nella storiografia classica , Bari, Laterza, 1972. Conservazione e perdita dei classici, Padova, Antenore, 1974. Storici della rivoluzione romana, Bari, Dedalo, 1974. Teorie e tecniche della storiografia classica. Luciano, Plutarco, Dionigi, Anonimo su Tucidide , Bari, Laterza, 1974. La Germania di Tacito da Engels al nazismo, Napoli, Liguori, 1979. Intellettuali in Germania. Tra reazione e rivoluzione, Bari, De Donato, 1979. Ideologie del classicismo, Torino, Einaudi, 1980. Studi sull'Athenaion politeia pseudosenofontea, Torino, Accademia delle Scienze, 1980. Analogia e storia. Uso politico dei paradigmi storici , Milano, Il Saggiatore, 1982. Storie di oligarchi, Palermo, Sellerio, 1983. Il comunista senza partito, Palermo, Sellerio, 1984. La sentenza. Concetto Marchesi e Giovanni Gentile, Sellerio, 1985. La biblioteca scomparsa, Sellerio, 1986; 1988. Storia della letteratura greca, Roma-Bari, Laterza, 1986. Antologia della letteratura greca, Roma-Bari, Laterza, 1987. Ellenismo, Roma-Bari, Laterza, 1987. Tucidide. L'oligarca imperfetto, Roma, Editori Riuniti, 1988. Una societ premoderna. Lavoro, morale, scrittura in Grecia, Bari, Dedalo, 1989. Togliatti e i dilemmi della politica, Roma-Bari, Laterza, 1989. Le vie del classicismo, Roma-Bari, Laterza, 1989. La crisi dell'Est e il PCI, Bari, Dedalo, 1990. Marx vive a Calcutta, Bari, Dedalo, 1992. Tucidide e l'impero. Presa di Melo, Roma-Bari, Laterza, 1992; 2000.

Autori e testi della letteratura latina, con Renata Roncalli, Roma-Bari, Laterza, 1993. Demagogia, Palermo, Sellerio, 1993. Studi di storia della storiografia romana, Bari, Edipuglia, 1993. Vita di Lucrezio, Palermo, Sellerio, 1993. I classici nella storia della letteratura latina. Per il liceo classico, con Renata Roncalli, Bari, Laterza, 1994. Scrittori e testi di Roma antica. Antologia latina per gli istituti magistrali , con Renata Roncalli, Bari, Laterza, 1994. Libro e libert, Roma-Bari, Laterza, 1994. Manifesto della libert, Palermo, Sellerio, 1994. Pensare la rivoluzione russa, Milano, Teti, 1995. Il viaggio di Aristea, Roma-Bari, Laterza, 1996. Idee di Europa: Attualit e fragilit di un progetto antico, a cura di, Bari, Dedalo, 1997. La biblioteca del patriarca. Fozio censurato nella Francia di Mazzarino, Roma, Salerno, 1998. La lista di Andocide, Palermo, Sellerio, 1998. Un ribelle in cerca di libert. Profilo di Palmiro Togliatti, Sellerio, 1998. Togliatti e i critici tardi, Teti, 1998. Giulio Cesare. Il dittatore democratico, Roma-Bari, Laterza, 1999. Il mistero Tucidide, Milano, Adelphi, 1999. La storiografia greca, Milano, B. Mondadori, 1999. Un mestiere pericoloso. La vita quotidiana dei filosofi greci , Palermo, Sellerio, 2000. Prima lezione di storia greca, Roma-Bari, Laterza, 2000. Il Fozio ritrovato. Juan de Mariana e Andr Schott, Bari, Dedalo, 2001. Convertire Casaubon, Milano, Adelphi, 2002. Il copista come autore, Palermo, Sellerio, 2002. Critica della retorica democratica, Roma-Bari, Laterza, 2002. Noi e gli antichi. Perch lo studio dei greci e dei romani giova all'intelligenza dei moderni , Milano, Rizzoli, 2002; 2004. Storici e storia, Torino, Aragno, 2003. Vita di Chardon de La Rochette commissario alle biblioteche, Messina, Dipartimento di filologia e linguistica, Universit degli studi, 2003. La democrazia. Storia di un'ideologia, Roma-Bari, Laterza, 2004. Il papiro di Dongo, Milano, Adelphi, 2005. Tucidide tra Atene e Roma, Roma, Salerno, 2005. 1914, Palermo, Sellerio, 2006. L'occhio di Zeus. Disavventure della "Democrazia", Roma-Bari, Laterza, 2006. Concetto Marchesi, Cosenza, Pellegrini, 2007. Esportare la libert. Il mito che ha fallito, Milano, Mondadori, 2007. La prima marcia su Roma, Roma-Bari, Laterza, 2007. Su Gramsci, Roma, Datanews, 2007. Ma come fa a essere un papiro di Artemidoro?, a cura di e con Luciano Bossina, Bari, Edizioni di Pagina, 2008. 1956. L'anno spartiacque, Palermo, Sellerio, 2008. Filologia e libert. La pi eversiva delle discipline, l'indipendenza di pensiero e il diritto alla verit , Milano, Mondadori, 2008. Il papiro di Artemidoro, Roma-Bari, Laterza, 2008. La storia falsa, Milano, Rizzoli, 2008. La natura del potere, Roma-Bari, Laterza, 2009. Il viaggio di Artemidoro. Vita e avventure di un grande esploratore dell'antichit, Milano, Rizzoli, 2010. L'uso politico dei paradigmi storici, Roma-Bari, Laterza, 2010.

BIOGRAFIA Luciano Canfora (Bari, 1942) ordinario di Filologia greca e latina presso l'Universit di Bari. Laurea: giugno 1964 (Storia romana). Perfezionamento in Filologia classica alla Scuola Normale di Pisa. Asistente di storia antica, poi di letteratura greca. Ha insegnato anche: Papirologia, Letteratura latina, Storia greca e romana. Fa parte del comitato scientifico della "Society of Classical Tradition" di Boston, della Fondazione Istituto Gramsci di Roma. Dirige la rivista

"Quaderni di Storia" e la collana di testi "La citt antica". Fa parte del comitato direttivo di "Historia y critica" (Santiago, Spagna), "Journal of Classical Tradition" (Boston), "Limes" (Roma). Ha studiato problemi di storia antica, letteratura greca e romana, storia della tradizione, storia degli studi classici, politica e cultura del XX secolo. Il Grillo (24/4/2000) ...per definire le rivoluzioni in maniera puntuale ci si dovrebbe riferire a quegli eventi a partire da cui Luciano Canfora nulla rimasto uguale, e a cui non sopravvissuto nessun elemento relativo allordinamento, agli assetti e agli equilibri preesistenti... Cos'e' una rivoluzione? Documenti correlati Il cristianesimo come rivoluzione Il concetto di rivoluzione in relazione al concetto di tempo: rivoluzione come continuit o come rottura? (1 , 2 , 3 , 4) L'origine del termine revolutio Come una rivoluzione pu cambiare la societ L'"alto" e il "basso" in relazione all'efficacia rivoluzionaria Siti Internet sul tema

Puntata realizzata con gli studenti del Liceo Scientifico "Copernico" di Napoli CANFORA: Buongiorno. Mi chiamo Luciano Canfora ed insegno Filologia greca e latina. La puntata di oggi si intitola Cos' una rivoluzione?. Prima di aprire il dibattito, vediamo assieme una breve scheda filmata. "Mileto afflitta da intestina discordia", scriveva lo storico greco Erodoto. Per intendere discordia, egli usava la parola stasis, che in greco antico significava conflittualit, sedizione, sommossa, rivoluzione, ma anche stasi e immobilit, ossia due concetti che a noi moderni sembrano opposti alla condizione rivoluzionaria. Per la modernit, infatti, una rivoluzione implica il cambiamento radicale di un ordinamento politico e sociale. La parola venne presa dalla rivoluzione delle orbite e dei pianeti, e doveva esprimere lidea del passaggio da un punto ad un altro ad esso opposto: ci implica un mutamento totale, e non parziale. La Rivoluzione Francese, ad esempio, abbatt non solo un regime politico, ma interi secoli di storia: essa diede vita ad un nuovo corso degli eventi, ad una "nuova storia". Come gi il cristianesimo - che fu a suo modo una rivoluzione -, anche la Rivoluzione Francese annunci nuovi cieli e nuova terra. Del resto, secondo il filosofo tedesco Karl Lwith, proprio con il cristianesimo che si afferma la concezione lineare della storia, concezione che, in ultima analisi, fornisce la premessa alle rivoluzioni in senso moderno. Al contrario, per i Greci la storia era circolare e non poteva dare luogo a mutamenti n a rivoluzioni: perch queste ultime potessero accadere, occorreva che il ciclo del cosmo si interrompesse, che fosse sospeso lo scorrere delle cose, costante e sempre uguale a se stesso. Si sarebbe dovuta verificare "l'interruzione della stasi". La rivoluzione, dunque, contrappone tra loro due mondi diversissimi: quello antico e quello moderno. STUDENTESSA: Esiste un modello di rivoluzione a cui ispirarsi? CANFORA: Solo il tempo pu dirci se una rivoluzione abbia costituito un modello o meno. Durante i secoli si sono succedute infinite rivoluzioni e sommosse, eppure soltanto alcune di esse hanno rivestito unimportanza e una dignit tali da assurgere a punti di riferimento. Si tratta di referenti sempre controversi e mai definitivi: all'improvviso pu accadere che, per ragioni di non difficile individuazione, una rivoluzione che aveva assunto un'importanza epocale venga declassata ad un evento di minore importanza. Ci non esclude che possa tornare ad essere considerata una svolta nella storia del genere umano. Come si pu bene vedere, quindi, non esistono dei modelli frutto di una valutazione oggettiva, a meno che non si tratti di modelli "in movimento".

STUDENTESSA: Lei ritiene che il cristianesimo possa essere considerato una rivoluzione? Cosa pensa dellaffermazione di Lwith citata nel filmato? CANFORA: Come il cristianesimo fu a suo modo una rivoluzione, cos non detto che un moto rivoluzionario debba presentarsi necessariamente sotto forma di violenza fisica. Quest'ultima, infatti, potrebbe scatenarsi solo in un momento successivo. Una rivoluzione coinvolge tutti gli aspetti della vita: dalla mentalit ai rapporti tra le persone, dalla valutazione di ci che bene e ci che male alla determinazione dell'autorit. Da parte sua, il cristianesimo ha sovvertito la scala dei valori dellantichit - fino allora considerati inamovibili - ed ha privato dello scettro i centri di potere all'epoca esistenti. La stessa storia del cristianesimo - dalle origini fino alla divisione delle Chiese in et moderna - lunga, complessa e tortuosa: basti pensare al difficile adeguamento delle modalit di trasmissione dei contenuti dottrinali cristiani alle categorie culturali proprie degli abitanti dellImpero Romano, di lingua sia greca sia latina. Per ci che riguarda le periodiche persecuzioni scatenate nei confronti dei cristiani, poi, bisogna ricordare che nel 361 d.C. limperatore romano Giuliano lApostata sostenne la sua fede pagana promuovendo un rilancio del paganesimo come religione ufficiale e mettendo a punto un nuovo apparato liturgico. Dopo di lui il conflitto continu a resistere, e questa volta la violenza fu attuata dai fanatici cristiani nei confronti degli oppositori. E a tale periodo storico che va ricondotto il famoso episodio delluccisione di Ipazia, filosofa e matematica alessandrina massacrata nella convinzione di agevolare la "Rivoluzione Cristiana", ossia quel cambiamento che il cristianesimo avrebbe dovuto apportare allintera vita dellImpero. Oltre a questo va detto che, nonostante il cristianesimo non abbia mai affrontato la questione direttamente, la sua predicazione e i valori ad esso impliciti hanno permesso di abrogare uno degli architravi del mondo antico: la schiavit. L'affermazione dell'uguaglianza di tutti di fronte alle istanze della fede, infatti, mise in crisi un concezione che fino allora non era mai stata osteggiata, quella che voleva gli schiavi da una parte e i liberi dall'altra. Il processo d'abrogazione della schiavit nellEuropa cristianizzata dur ancora per secoli, fino ai successi conseguiti da Carlo Magno - proclamato imperatore del Sacro Romano Impero - nella difesa e nella diffusione del cattolicesimo. STUDENTESSA: In precedenza ha sostenuto che non esiste un modello di rivoluzione, e nella scheda si affermato che quest'ultima implica una concezione lineare del tempo. Da ci potrebbe conseguire che, in realt, una rivoluzione non rappresenta una rottura definitiva con il passato, bens laccelerazione di un movimento che preesiste da tempo CANFORA: Lidea del tempo una concezione delluomo: il tempo, nonostante il suo indubbio scorrere, resta fondamentalmente una nostra creazione mentale. Possiamo immaginare che consista in un succedersi di eventi ripetitivi o, al contrario, nella misura di un'evoluzione ininterrotta, pi o meno accidentata. Chi ragiona nella seconda maniera anche convinto che certi fatti storici determinino una scossa talmente innovativa da accelerare lo scorrere del tempo. Tuttavia, difficile non rendersi conto che la considerazione degli eventi rivoluzionari passati da parte dei moderni risulta soggetta agli esiti che i medesimi hanno avuto nella storia. Nel nostro senso comune, ad esempio, la Rivoluzione Francese rappresenta lo spartiacque tra il "vecchio" e "nuovo". Ci risulta tanto pi azzeccato se prendiamo in considerazione l'espressione ancien rgime, che venne coniata dai rivoluzionari francesi per connotare in senso negativo il sistema politico e/o socioeconomico della Francia pre-rivoluzionaria. In seguito il termine fu adottato da tutti con la triplice accezione politica, sociale ed economica. I contemporanei alla Rivoluzione, per, non erano tutti dello stesso parere: molti non la tenevano in grande considerazione ed erano convinti che si trattasse solo di una parentesi. Furono gli eventi successivi - i moti che scuoterono lEuropa nel 1830 e nel 1848, la Comune di Parigi del 1871, la Rivoluzione Russa del 1917 - che indussero a rivalutare la portata della Rivoluzione Francese e a considerarla un "evento cardine" della storia moderna e contemporanea. Essa divenne un modello di rivoluzione "esportabile": tale modello, sebbene possa non risultare valido in tutte le occasioni, rimane sempre presente dalle conquiste napoleoniche in poi. STUDENTESSA: Come oggetto simbolo della trasmissione odierna abbiamo portato un "planetario", rifacendoci allorigine della parola "rivoluzione", nata in contesto astronomico e indicante il movimento dei pianeti intorno al Sole. Lei, invece, ha scelto la "ghigliottina": perch questa decisione? CANFORA: In realt, la revolutio descritta dal planetario indica un ritorno al punto di partenza, ossia l'esatto contrario di quel cambiamento irreparabile di cui la ghigliottina feroce rappresentazione. La ghigliottina, infatti, rende impossibile un qualsiasi ritorno ad pristinum, mentre il verbo latino revolvere - da cui revolutio - significa volgersi in giro, volgersi indietro, ritornare, ricadere. La revolutio, quindi, non indica tanto un cambiamento, quanto piuttosto limmobilit o il movimento apparente. Cicerone, ad esempio, per indicare le rivoluzioni e i mutamenti politici parlava di res novae, ed intendeva la rivoluzione come un fatto negativo, perch all'epoca una novit veniva considerata come il mutamento di un ordine giusto. La stasis greca, invece, indicava un sommovimento provocato dagli oligarchi al fine di abbattere la democrazia: tutto lopposto di ci che oggi pensiamo sia

una rivoluzione. La Rivoluzione Francese e la Rivoluzione Russa, ad esempio, posero finalmente le basi per unevoluzione della societ in senso rispettivamente borghese e proletario, e riuscirono a far emergere quelle classi che per troppo tempo erano rimaste ai margini e che ormai risultavano mature per governare. Ecco profilarsi la cesura tra l'idea antica di rivoluzione e quella moderna. Inoltre non bisogna dimenticare che, nell'immaginario, la Rivoluzione Francese stata a lungo collegata alla ghigliottina - strumento ambiguo perch feroce ed "igienico" al contempo -, tramite cui il dolore ridotto ad un istante, proprio come la risoluzione del conflitto storico che la concep. Dopo due secoli possiamo tranquillamente affermare che la ghigliottina non costitu un elemento determinante per quella vicenda storica: le rivoluzioni nascono spontaneamente, come degli stati febbrili, ed il filmato che ci accingiamo a vedere ne d un esempio significativo. "Noi stiamo morendo. Abbiamo fame. Moriamo nelle trincee: non si pu pi tacere. Alla lotta! Scendiamo nelle strade con le bandiere rosse della rivoluzione." Il manifesto cui si riferiscono queste parole - facente parte del Proclama del 25 febbraio 17 - esprime tutto sulla Rivoluzione di Febbraio a Pietrogrado, che non fu organizzata da nessun partito. Gli scioperi ebbero il carattere di una sollevazione spontanea. Quando - sempre il 25 - il Comandante della piazza intervenne per proibire gli scioperi, dovette usare la Guardia Imperiale e provoc 150 morti. I manifestanti chiedevano semplicemente pace ed aumento dei salari, non avevano in mente la Rivoluzione. Questa si innesc per una ragione essenziale: la repressione non riusc ad ottenere il suo scopo perch, per la prima volta, le truppe mandate dallo zar al fine di schiacciare la rivolta si unirono ai manifestanti stessi. Il 25 febbraio, diversamente da tutte le altre occasioni che si erano succedute nella storia russa, i cosacchi si schierarono con la folla degli scioperanti. Anche i soldati del Reggimento Volinskij passarono dalla parte della rivoluzione, ossia dalla parte degli operai: volevano abbattere il regime che stava portando avanti la guerra. CANFORA: Questo breve ma significativo frammento rende in maniera esemplare un concetto su cui credo si debba meditare: la Prima Guerra Mondiale la matrice delle rivoluzioni che hanno cambiato lEuropa, la pi importante delle quali senzaltro quella russa. Quest'ultima ha inizio proprio con un atto di rifiuto del conflitto. Gli scioperi di Pietrogrado e lo schieramento dei soldati insieme ai manifestanti, dimostrarono che il regime zarista non era pi capace di garantire la propria sopravvivenza. Questa presa di coscienza bast ad innescare la rivoluzione, e non si esaur semplicemente in un'anticamera di quell'insurrezione che imprimer una svolta alla storia del mondo, datata il 25 Ottobre secondo il calendario giuliano. STUDENTESSA: Paragonando la rivoluzione ad uno "stato febbrile" intende dare della stessa una connotazione positiva - "rivoluzione" come reazione difensiva del nostro organismo contro gli agenti dannosi -, oppure negativa, perch indice di mancanza di salute? CANFORA: Era semplicemente una metafora coniata da un profano che sa poco di medicina. Il mio giudizio sulla rivoluzione rimane comunque positivo: come se l'organismo fosse mobilitato fino allestremo perch sta attraversando un momento di passaggio a velocit maggiore della norma. Ai tempi in cui i treni erano considerati i mezzi pi veloci e a tecnologia pi avanzata, la rivoluzione veniva descritta come "la locomotiva della storia". Lidea di rivoluzione sconosciuta nellAntichit cos come nel Medioevo - si connotata come un'azione di rottura che rifonda la realt precedente in base a principi ed istituzioni nuovi. L'azione rivoluzionaria, quindi, subisce una fortissima accelerazione che in seguito si ferma. STUDENTESSA: Fino a che punto una rivoluzione in grado di cambiare la societ? CANFORA: Per quanto possa sembrare paradossale, la rivoluzione comincia prima di avere inizio e continua anche quando terminata. Il poeta italiano Giosu Carducci dedic alla Rivoluzione Francese il primo di un gruppo di sonetti - chiamato a Ir dal titolo di una famosa canzone rivoluzionaria -, in cui descrisse il furore sordo, la rabbia repressa e linsofferenza generale che regnarono nelle campagne francesi prima del luglio 1789. Si trattava di una situazione insostenibile: la Rivoluzione prese atto di tale stato di cose e dei cambiamenti in corso, li codific e arriv a mutarne ulteriormente le forme. Probabilmente queste trasformazioni portarono a commettere degli errori che, a loro volta, demolirono proprio ci i rivoluzionari intendevano costruire. Tuttavia il cambiamento si radic talmente nella coscienza diffusa che continu ad agire anche quando scomparvero le persone che lo avevano provocato. Daltra parte possibile affermare che sotto ogni cambiamento si nasconde la continuit: gli individui continueranno sempre ad avere pregiudizi, idee, convincimenti erronei, tradizioni, persuasioni religiose, abitudini ed attitudini che non possono essere cancellate completamente. Questi elementi si mescolano alla rivoluzione e il vecchio si ritrova ad abbracciare il nuovo. STUDENTESSA: In precedenza si riferito a quei ceti emarginati che, grazie alla rivoluzione, sono arrivati al potere, anche se a volte solo per poco tempo. Affinch una rivoluzione si riveli efficace ha bisogno di partire dal basso o, al contrario, necessita di una guida che agisca dall'alto?

CANFORA: Con "emarginati" intendo quei ceti significativi e produttivi che, tuttavia, non detengono il potere politico. Ogni rivoluzione efficace necessita di una compartecipazione "intellettuale" proveniente dallalto: lo si pu notare con la Rivoluzione Francese, che all'inizio si connot come una "rivoluzione aristocratica". All'interno delle classi alte possono formarsi delle personalit che abbracciano il nuovo, lo guidano e alla fine ne rimangono travolte. Si pensi, ad esempio, alla figura di Honor-Gabriel Riqueti, conte di Mirabeau, il quale, bench nobile, fu eletto deputato del Terzo Stato dAix. Dapprima egli sostenne i principi rivoluzionari con brillante oratoria, in seguito ai successivi sviluppi, per, ne divenne un aspro oppositore. Gli intellettuali che hanno guidato le Rivoluzioni Comuniste o Socialistiche del nostro tempo appartenevano alle classi pi elevate: essi avevano compartecipato delle forme di educazione pi raffinata ed impegnativa che lassetto sociale dellepoca poteva elargire. Spesso lalto e il basso risultano essere due elementi inestricabili ai fini di un'efficace sommossa. Se affidata ciecamente agli istinti di un gruppo sociale esasperato, la rivoluzione ha corto respiro; per converso, un gruppo di intellettuali privo di una base cui rivolgersi si ritrova a combattere senza una reale prospettiva. STUDENTESSA: Per quanto riguarda le teorie relative all'origine delle rivoluzioni - alle loro cause scatenanti -, ho trovato molto interessante l'ipotesi di Tocqueville, il quale sosteneva che difficilmente i moti rivoluzionari scaturiscono da un inasprimento delloppressione. Questa tesi si pone in netto disaccordo con quella sostenuta da Karl Marx: qual il Suo parere in proposito? CANFORA: Tra le due tesi non sussiste una reale contrapposizione. Nelle sue critiche e nelle pagine degli Annales, Franois Furet - storico francese e grande interprete della Rivoluzione del 1789 - ha sempre posto l'accento sul fatto che il riformismo di Luigi XVI stava manifestandosi in maniera compiuta proprio alla vigilia della Presa della Bastiglia e della convocazione degli Stati Generali. In realt, le spinte di carattere riformistico del sovrano francese nascevano dalla percezione della debolezza del proprio tradizionale potere assoluto. Tale percezione, avvertita anche dal popolo, si un all'insostenibilit della situazione esistente: questi due elementi si fusero e fecero esplodere un evento rivoluzionario di carattere epocale. STUDENTESSA: Lei crede sia possibile che alcune riforme - miranti a rafforzare un sistema gi esistente - si trasformino fino a divenire dei veicoli rivoluzionari? CANFORA: Certamente. Quando il Comitato Provvisorio - eletto dalla Duma aggiornata dallo zar Nicola II - e il Soviet degli Operai e dei Soldati di Pietrogrado si accordarono per nominare un governo che garantisse le libert civili e politiche e convocasse unassemblea costituente, era chiaro a tutti che lo zarismo stava per finire. Promuovere lincrinatura di un assetto a carattere autocratico significa anche segnalare allesterno che quello stesso sistema in crisi. La suddetta riforma mirava a prevenire la rivoluzione, a toglierle alimento, mentre in realt fin con l'accelerarla. Non detto che debba sempre essere cos, ma lesperienza storica ci insegna che fenomeni del genere possono accadere. STUDENTESSA: Lei crede che valori come la fratellanza e luguaglianza accompagnino sempre una rivoluzione, oppure ritiene che quest'ultima miri ad un semplice sovvertimento dellordine? CANFORA: La rivoluzione non inizia necessariamente servendosi di un programma definito, anche se quella Francese si rivel fondamentale proprio perch i suoi programmi furono tali. Una rivoluzione che si presenti con un programma carente di linee guida risulta impossibilitata a conquistare i consensi e le coscienze. STUDENTESSA: Se lidea rivoluzionaria entra in crisi, la rivoluzione stessa destinata ad essere considerata una "forzatura" della storia? CANFORA: La rivoluzione necessariamente una forzatura della storia e non si presenta mai come unipotesi: essa accelera i tempi, smantella rapidamente ci che vi di tradizionale e che si perpetua da secoli. Oggi, ad esempio, si tende ad interpretare la Rivoluzione dellOttobre del 1917 come un "colpo di Stato", sostenuto dal ruolo dei bolscevichi e attuato per la conquista del potere da parte del proletariato. Vero che, nel linguaggio comune, un colpo di Stato cosa ben diversa dalla rivoluzione. Sbagliata o meno che sia questa diagnosi, la Rivoluzione Russa - vecchia di quasi un secolo - continua ad essere interpretata in modi differenti, anche perch lo Stato che ne nacque caduto dopo circa 70 anni. Molti esegeti coevi di Napoleone operarono lo stesso tipo di analisi quando termin lesperimento rivoluzionario bonapartista. Gli storici e storiografi a noi contemporanei sanno che una delle forzature della storia consiste proprio nellattitudine sovvertitrice della rivoluzione, che di norma abbatte gli ordini prestabiliti tramite l'uso della violenza. La capacit di durare di una rivoluzione dipende dagli effetti diretti o collaterali che tale forzatura riesce a produrre.

STUDENTESSA: Il definire la rivoluzione come una "forzatura", per, potrebbe implicare che le conseguenze derivate dai moti rivoluzionari sarebbero occorse anche senza il loro insorgere. CANFORA: La Sua domanda andrebbe rivolta ad un profeta di tipo particolare, capace di guardare nel passato invece che nel futuro. Forzatura potrebbe sembrare un termine negativo, sebbene non lo sia: Antonio Gramsci affermava che si produce una forzatura "quando la situazione pu marcire". Lintervento di un gruppo di uomini - persone capaci e rivoluzionari lungimiranti - pu accelerare, tramite l'azione concreta, un processo che altrimenti rimarrebbe bloccato. La parola "forzatura" sta anche ad indicare una spinta verso una determinata direzione. Per quel che mi riguarda, con "forzatura" voglio intendere un processo quasi sempre violento ma con esiti positivi, giacch lascia i suoi frutti nella storia e nel tempo. Lesproprio e la vendita dei privilegi feudali durante la Rivoluzione Francese, ad esempio, si dimostrarono senzaltro una forzatura, perch si trattava di imprimere una certa accelerazione alla storia. Successivamente ci si rese conto che alcuni privilegi andavano eliminati in via definitiva, mentre altri potevano essere restaurati e ripristinati. STUDENTESSA: Lei crede che i Paesi che hanno vissuto delle rivoluzioni abbiano intrapreso un cammino pi rapido verso la democrazia? CANFORA: Certamente s, anche se questo punto di vista non piace agli storici di ispirazione liberale, i quali si ostinano a negare che la Rivoluzione Francese abbia accelerato i processi democratici. Se si decide che la democrazia presente laddove il potere detenuto dalle classi non possidenti, allora la Rivoluzione Francese ha costituito un architrave, una pietra miliare nello sviluppo dei principi democratici. Io credo che la Rivoluzione Francese rappresenti a tutti gli effetti il caposaldo della storia democratica dEuropa. STUDENTESSA: Qual il Suo pensiero riguardo alle altre grandi rivoluzioni della storia, ad esempio quella Americana? CANFORA: Le Rivoluzioni di cui abbiamo parlato - in particolar modo quella Francese e quella Russa - non costituiscono un semplice fatto nazionale. Esse, infatti, non possono rimanere circoscritte all'interno del territorio in cui sono fisicamente avvenute perch hanno mostrato un'efficacia immediata a larghissimo raggio. La Rivoluzione Russa, ad esempio, considerata a ragione la "prima rivoluzione del Terzo Mondo", poich ha contribuito ad avviare la ribellione delle colonie nei confronti dei grandi imperi. Dal canto suo, la Rivoluzione Francese ha riscosso un'eco immediata in Italia, in Germania, nei Paesi Bassi, in Spagna e perfino in Russia: il goffo e sensibile protagonista del romanzo Guerra e Pace di Lev Tolstoj, rimane invasato da quelle idee rivoluzionarie penetrate nellalta societ moscovita nel 1805, alla vigilia della guerra contro Napoleone. STUDENTESSA: Per quale ragione il termine "rivoluzione" viene utilizzato in relazione ad eventi piuttosto recenti e non si riferisce mai alle sommosse precedenti il Seicento? CANFORA: Come abbiamo gi avuto modo di accennare, pure il cristianesimo pu essere considerato a tutti gli effetti una rivoluzione, anche in virt dellinterpretazione che ne stata data a partire dal Seicento. Senza dubbio sussiste una cesura tra lantichit e la modernit che si suole far partire proprio dal XVII Secolo. La modernit comincia nel Seicento per molteplici ragioni, non soltanto politiche, ma anche scientifiche: le dottrine di Galileo e Francis Bacon, ad esempio, concorreranno a fondare la "Nuova Scienza". Il grande Stato Nazionale, poi, si viene forgiando durante la Guerra dei TrentAnni, andando cos a formare il quadro in cui si produrranno le moderne rivoluzioni. STUDENTESSA: Attraverso una ricerca per aree tematiche effettuata su Internet, ho trovato un sito in cui si afferma che "le grandi rivoluzioni violente sono come dei terremoti, i quali non solo distruggono - in un brevissimo lasso di tempo - quanto incontrano nelle vicinanze del loro epicentro, ma il cui raggio di azione si va estendendo ad ondate successive di sempre maggiore ampiezza, fino a produrre ulteriori scosse molto lontane dal punto di partenza. Allo stesso modo, le ondate rivoluzionarie si riproducono nel tempo come i sismi nello spazio". Qual il Suo parere al riguardo? CANFORA: Si tratta di una definizione molto olimpica, serafica e descrittiva che, sostanzialmente, afferma l'ovvio. Le rivoluzioni, al pari dei terremoti, sono fenomeni che sconvolgono lordine esistente e hanno effetti in grado di riprodursi nel tempo, ma svincolati dal punto di partenza. Personalmente ritengo che un'affermazione del genere esprima un po' poco, dato che non riesce ad operare una reale distinzione tra le mutazioni fondamentali della storia umana e i semplici sommovimenti. La Rivolta di Mileto raccontata da Erodoto - il quale gi in et classica si conquist la fama di "padre della storia" - , se si vuole, una rivoluzione, le cui conseguenze hanno per interessato unarea di modestissima entit.

Per definire le rivoluzioni in maniera puntuale ci si dovrebbe riferire a quegli eventi a partire da cui nulla rimasto uguale, e a cui non sopravvissuto nessun elemento relativo allordinamento, agli assetti e agli equilibri preesistenti. Puntata registrata il 3 Marzo 2000, messa in onda del 24 aprile 2000 Siti Internet sul tema Rivoluzione Francese - cronologia http://flesh.goldnet.it/www.cronologia.it/ mondo40.htm Modern History - syllabus and links http://academic.brooklyn.cuny.edu/history/ dfg/core/c4dg-syl.htm Rivoluzione Russa - cronologia http://flesh.goldnet.it/www.cronologia.it/ mondo24b.htm Internet Modern History Sourcebook Russian Revolution http://www.fordham.edu/halsall/mod/ modsbook39.html

Il Grillo (18/4/2001) Luciano Canfora Leggere i classici Documenti correlati

18 aprile 2001 Puntata realizzata con gli studenti del Liceo Classico "Umberto I" di Napoli I libri essenziali per la formazione Come accostarsi ai classici? Il valore della scuola Il valore della memoria

STUDENTESSA: Ringraziamo il professore Luciano Canfora di essere qui al Liceo Umberto per discutere con noi dei classici. Introduciamo l'argomento con una scheda filmata. Ad Andrea Zanzotto, uno dei pi grandi poeti italiani contemporanei, stata chiesta di recente qualche indicazione di lettura ad uso dei giovani. "Tornerei ai classici e senza esitazione - ha risposto Zanzotto -. La lingua italiana ormai minacciata. Salviamola dall'estinzione leggendo i suoi grandi autori". Quella indicata da Andrea Zanzotto non ovviamente la sola ragione per tornare a leggere i classici, ma soprattutto per chiedersi: che cos' un classico? un libro che ha superato i confini della propria epoca, in grado dunque di parlare con la stessa intensit a ogni generazione? E il "Pinocchio" di Collodi o i romanzi di Emilio Salgari o "La bella addormentata nel bosco", "Cappuccetto Rosso", "Il gatto con gli stivali" o "Cenerentola", tutte favole di Charles Perrault, sono classici alla stessa stregua de "La Divina Commedia" di Dante, de "L'Orlando Furioso" dell'Ariosto o de "I Promessi Sposi" di Manzoni? Sono pi classiche le poesie di Foscolo o quelle di Eugenio Montale? pi classico Giovanni Verga o Carlo Emilio Gadda? Non poi cos facile rispondere a queste domande. Potremmo dire che un classico, nonostante il riconoscimento diffuso di cui gode, un libro che non si lascia facilmente collocare. A caratterizzarlo una particolare irrequietezza. Un classico non sta mai l dove lo si mette e non finisce quando lo si chiude con la sua ultima pagina, ma accompagna il suo lettore nel tempo e, attraverso il tempo, attraverso le diverse stagioni dell'esperienza umana, nelle sue alternanze, nei suoi slanci e nelle sue cadute. comunque parola umana e dunque non parla sempre e non dice tutto. "I classici - scrive Italo Calvino - ci consentono di capire chi siamo e dove siamo arrivati". Ma "non si creda che i classici vanno letti perch servono a qualcosa. La sola ragione che si pu addurre che leggere i classici meglio che non leggere i classici". STUDENTESSA: Professore, che cos', a Suo giudizio, un classico? CANFORA: A rigore un libro di prima classe, visto che classicus una parola latina che vuol dire della prima classe, in opposizione all'ultima, proletarius. E per una risposta troppo semplicistica questa. Classico si potrebbe dire come un fatto storico. Tutti i fatti sono fatti storici? Certamente no. Infatti gli storici scelgono alcuni fatti, li mettono nei libri e questi costruiscono un racconto di eventi storici. Tra le infinite cose che si scrivono e che sono state scritte e che si scriveranno affiorano, come i fatti storici tra i fatti comuni, i classici rispetto agli altri. Quindi un concetto mobile, un concetto che va e viene, nessun classico resta tale, per tutta l'eternit. Lo diventa. A un certo punto smette di esserlo. E quindi una realt mobile quella che abbiamo davanti coi libri, e tutto in riferimento a noi. Siamo noi che li sentiamo tali. STUDENTESSA: Ci sono dei classici che possono essere considerati essenziali ancora oggi, dei libri essenziali per la formazione di un individuo, di un essere umano? CANFORA: La domanda bellissima, per un po' vaga. Per esempio, per i Cinesi o per i Sudafricani o per i Brasiliani valgono gli stessi classici che per i Francesi o i Norvegesi? Non faccio un paradosso: voglio dire, come abbiamo detto poco fa, si tratta di scelte che hanno a che fare con i bisogni dei lettori. Facciamo un esempio pratico, concreto. Quando sono stati riscoperti i classici - la prima significazione di classico per gli autori antichi, i greci e i romani - nella storia, quando nell'Umanesimo si sono riscoperti gli antichi come pi ricchi di contenuti, pi belli formalmente, pi profondi, che non la letteratura medioevale. Sono stati sentiti come pi forti, pi completi, pi ricchi sul piano della forma, pi densi di contenuto. E quegli uomini - fra il Quattrocento e il Cinquecento - hanno sentito questo bisogno di tornare a quegli autori, li hanno sentiti come classici. Ma oggi siamo lontanissimi da quella epoca e sono nati altri classici: Shakespeare, Tolstoj per fare dei nomi. Si potrebbe aggiungere Thomas Mann e Borges. E allora non c' una ricetta, non c' un elenco. Ci sono, in una lotta dinamica tra i bisogni dei lettori, i problemi che la quotidianit ci pone e la densit concettuale di questi libri. Non dar un elenco quindi, ma dir semplicemente che questa schermaglia continua ricca di frutti. Pensate a quel racconto di Swift de La battaglia dei libri: i libri escono dagli scaffali e si fanno guerra tra loro. un racconto fantastico e scherzoso. E tra i classici c' forse inevitabilmente questo rapporto: un dinamismo continuo. Probabilmente un'idea forza quella dei classici, cio l'idea che un libro pu diventarlo e risponde per un certo ambiente, per certi uomini, per un paese, in un'epoca, per una classe sociale, per una cerchia letteraria, a un bisogno fortissimo. Quindi difficile dire se ci sono degli autori senza dei quali siamo fritti, a meno che non si voglia appunto sclerotizzarli e dire: "Quelli per sempre". Ma non appena diventano "autori per sempre" cominciano a perdere desiderabilit. quello che successo un po' a un romanzo italiano grandissimo, quello di Manzoni. Collocato stabilmente nell'ordinamento scolastico come un passaggio obbligato, ha finito col perdere attrattiva per chi lo leggeva. Se, per un bel po' di tempo, venisse escluso dalle letture scolastiche, comincerebbe ad essere desiderato e ridiventerebbe un classico. STUDENTESSA: Un libro di evasione oppure una fiaba possono essere considerati dei classici?

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CANFORA: Perch no? Il libro di evasione in antitesi al libro di detenzione, perch l'evasione il contrario della detenzione. Scherzo. Apuleio, per esempio, un autore classico, con il romanzo Metamorfosi, meglio noto come L'asino d'oro. Ne L'asino d'oro c' "Amore e Psiche", che una fiaba, un classico. La sua natura di classico non dipende dal tasso di fantasticit o di realismo che c' dentro. Dipende probabilmente - torno a dire, come ho detto poco fa - dal contenuto concettuale implicito o esplicito. Anche una fiaba ha un contenuto concettuale e talora fortissimo, complesso. STUDENTESSA: Qual il classico che ha avuto pi influenza nella Sua formazione? CANFORA: La storia delle guerre civili di Appiano di Alessandria, che appunto non si merita forse l'epiteto di classico, diciamo correntemente. Appiano di Alessandria era un funzionario dell'Impero Romano al tempo degli Antonini. Scriveva in greco, perch, essendo di Alessandria, i colti di Alessandria, da tempo immemorabile, dal tempo di Alessandro Magno e dei suoi successori, scrivevano in greco. E quest'uomo ha scritto una storia di Roma. L'ho incontrato - in senso ovviamente libresco - quando facevo il Ginnasio. E in quel tempo succedeva che in Francia era in atto una crisi politica fortissima, un colpo di Stato, che port al potere il generale De Gaulle, il quale era anch'egli un classico, avendo scritto delle magnifiche memorie della sua vita, vita movimentatissima peraltro. In quel libro, in cui si racconta la storia delle guerre civili, io trovavo degli elementi molto vicini a quello che succedeva in Francia. Poi quello che succedeva a quell'epoca in Francia era come se succedesse in Italia: era talmente sentita la politica di questo paese vicino, quasi come fosse la nostra, che, per me, quel racconto antico era straordinariamente ricco di riferimenti a quello che succedeva intorno a me, mi colpiva enormemente. Le ho raccontato questo fatto irrilevante, cio come per una singola persona, scolarizzata, che legge dei libri, un libro non usuale diventa una lettura segnante, una lettura che segna, cio un classico. STUDENTE: C' un modo per accostarsi ai classici? necessario un filtro critico, oppure nel rapporto tra lettore e testo non ci devono essere degli intermediari? CANFORA: Sono vere tutte e due le cose, che non una risposta ipocrita che serve a tener contenti tutti. vero che un autore scrisse per essere letto e non per essere commentato dai critici letterari, che di solito sono dei parassiti - nel senso etimologico del termine - la cui parola nasce dalla parola di quell'autore, le vive addosso, come il muschio su una pietra. Scrissero per essere letti dal maggior numero di persone simpatetiche, che sentono alla stessa maniera. E quindi sono anche esposti al fraintendimento. Uno legge, capisce il trenta per cento, gioisce ugualmente, fantastica su quello che ha letto, avendolo capito male, poi lo rilegge e lo capisce in altro modo. E questo il vero uso dei classici, libri aperti. Poi ovvio che ci si arriva anche attraverso una strada colta. Cio, se io leggo Guerra e pace, il grande romanzo di Tolstoj, sono preso dal racconto, perch un racconto potente, ricco, coinvolgente, ognuno si sente coincidere con il personaggio che gli piace di pi, col quale cospira. Per poi, se io so che l'esperienza napoleonica ha segnato l'Europa, che il giacobinismo, attraverso Napoleone, arrivato anche nel paese dell'autocrazia, cio la Russia, che per l ha determinato reazioni singolari, singolarissime, una reazione nazionale in cui Tolstoj si identifica, e che quindi il giacobinismo ha avuto un momento di crisi, se io penso a tutto questo e rileggo Tolstoj, lo capisco meglio. Tutte e due le letture sono necessarie. STUDENTESSA: Secondo Lei, la scuola in grado di comunicare il valore di un classico, oppure ci allontana dai grandi libri? CANFORA: La scuola l'unica istituzione che non dovrebbe mai perire. Possono cambiare tutte le strutture, tranne quella scolastica. Del resto esiste, da tempo immemorabile, e continuer ad esserci. Dove ci sono due persone, dove una sa di pi e l'altra ha voglia di sapere, l c' gi la scuola. Quindi non in discussione. Credo che sia un luogo ideale per la lettura. il luogo dove quel che si fa, si fa in modo disinteressato. Quando si sta a scuola, non c' nessuna ragione esterna all'insegnamento e all'apprendimento che porta quelle persone a stare l. E quindi il luogo ideale per leggere i classici, i quali richiedono disinteresse. Non appena subentra un elemento esterno, un elemento empirico, pragmatico, una finalit, l il classico comincia a soffrire. E il rapporto fra due persone che si parlano e si spiegano l'un l'altro che cosa hanno capito in un testo, si appassisce. E quindi credo che la scuola sia il luogo giusto. Per ho della scuola un'idea vasta. La scuola c' dovunque. STUDENTESSA: Ci sono dei classici che nel tempo sono stati dimenticati o magari altri che oggi sono sopravalutati? CANFORA: Ma s, certamente. Anzi, come dicevamo all'inizio, il meccanismo quello l. Si diventa, si cessa di essere e si torna ad essere classici; come per le onde del mare: c' un continuo movimento. Quando si dice: "Si riscoperto quell'autore", non che si riscoperto. Era forse nell'ordine delle cose che prima o poi ritornasse. E si torna per ragioni

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diverse. Per esempio: la passione per i poemi cavallereschi, certamente un po' ridotta nel tempo nostro che non al tempo di Torquato Tasso o di Ariosto. Ma questo non significa che leggere l'Ariosto perda attrattiva per il fatto che noi, rispetto alla vicenda di cui lui ci parla o ai costumi di cui lui ci parla, siamo molto pi freddi che non i nostri antenati di vari secoli addietro. Quindi sottovalutare vuol dire semplicemente che altre ondate di interessi sono subentrate e hanno conquistato per un periodo di tempo l'attenzione. Molto dipende dalla lingua. Ecco, se si perde il contatto con la lingua in cui scritto un testo, allora i rapporti con quel testo cominciano a indebolirsi. Questo succede un po', per esempio, agli antichi, perch fatale che gli antichi non siano letti usualmente nella loro lingua, ma anche i romanzi russi, tranne per i pochissimi che sanno il russo - beati loro - ovviamente si usano le traduzioni. E le traduzioni sono gi un filtro micidiale. Se uno legge Omero nella traduzione di Monti, deve tradurre poi l'italiano del Monti nel nostro italiano. Ma se legge Esiodo nella traduzione di Cesare Pavese la sente come una parola vicina anche nel tempo. Ecco la traduzione spessissimo il vero veicolo, l il segreto certe volte del destino di alcuni autori. STUDENTESSA: Queste riscoperte dei classici possono anche essere solamente individuali, quindi soggettive? CANFORA: Leopardi si chiedeva: "Che cosa vuol dire massa, se non un insieme di individui, i quali appunto hanno ciascuno un loro bisogno, una propria storia, un proprio desiderio?". difficile che scattino idee collettive. Non so: in gruppo vogliamo leggere il Tasso. Non normale. La somma di tanti desideri individuali determina anche delle mode. Ma questo poi ha a che fare, nel tempo nostro, con dei fattori esterni, per esempio il potere televisivo, il potere dei giornali, il potere di questi veicoli che formano la mente delle persone, la influenzano, la dirigono. Non necessariamente in modo negativo. Per la televisione si potrebbe dire che spesso in modo negativo, perch soverchiata di cose inutili, ma gi la radio o i giornali sono meglio. I giornali hanno questo di bello, che sono fatti di tante pagine, di cui quasi nessuno legge tutto. Ogni pagina ha un suo destinatario. Le cosiddette "pagine culturali" dei giornali - la parola che pu sembrare antipatica - sono stracolme di cose interessanti e determinano il gusto, suggeriscono una lettura, un libro, fanno vedere che di un certo libro uscita una traduzione splendida. Ecco, questo influenza quelle che appaiono le scelte individuali e che non sono mai individuali. Nessuno solo nel deserto; ognuno di noi il frutto dei fattori che ci determinano, pi o meno visibilmente. STUDENTESSA: Secondo Lei, quali libri degli ultimi decenni possiamo gi considerare classici, oppure i classici appartengono inevitabilmente a un passato lontano? CANFORA: Lei si riferisce all'Italia o all'Europa? STUDENTESSA: In generale all'Europa, ma anche all'Italia degli ultimi decenni. CANFORA: E quindi uno scrittore argentino come Borges, non me lo vuole considerare. STUDENTESSA: Se devo essere sincera, non lo conosco. CANFORA: Borges un personaggio attraente al massimo e, se dobbiamo usare questo criterio, questa parola impegnativa, un classico. Credo che non sia mai riuscito a avere il Premio Nobel, se non ricordo male, e questo dimostra che non un criterio quello del premio, ma un criterio quello della qualit narrativa. Tante sue formule, idee, concetti, suggestioni, la biblioteca come labirinto universale, per dirne uno che diventato famosissimo, partono dai suoi racconti, racconti spesso ai limiti del surreale, geniali. L'idea, per esempio, che c' un luogo, pi o meno immaginario, dove i sentieri continuamente si biforcano, che sta a significare che ognuno di noi ha sempre due strade davanti. Ad ogni passo siamo dinanzi a scelte, eccetera, ecco, entrato nel modo di pensare, di esprimersi. diventato un classico, forse senza che ce ne accorgessimo. La sua autoironia poi, era tale da rendere meno evidente questo processo. Leonardo Sciascia, un classico della narrazione che conquista il lettore, che banalmente viene definita poliziesca o di indagine. Ma, da ultimo, dei critici cominciano a dire: "No, per carit, solo un tecnico della narrazione". Si continua a leggere con passione straordinaria. Quindi resiste nella sua funzione di classico, nonostante alcuni professori hanno deciso che non lo . E parlo di persone che sono state vicine a noi nel tempo e forse addirittura direttamente conosciute. Quindi un limite cronologico direi che non sussiste. Quando usc La montagna incantata di Thomas Mann, per esempio, subito dopo la Prima Guerra Mondiale, fu subito un classico, fu una rivelazione, parlava del presente. Io, se posso osare di dare dei suggerimenti, questo libro lo vedrei volentieri nelle Vostre classi; lo scontro tra due figure, Nafta e Settembrini. Ecco, questi due rappresentano met di noi stessi. Noi conteniamo dentro noi stessi quei due personaggi, anche se non lo sappiamo. E quello un segno che abbiamo davanti un classico. Poi naturalmente un classico naturalmente anche il Machiavelli. Dei politici come Gorbaciov, per esempio, sicuramente non avevano letto Machiavelli; e infatti Gorbaciov alla fine ha avuto dei guai.

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STUDENTESSA: Secondo Lei oggi che valore possiamo attribuire al passato e alla memoria? La memoria pu essere ancora considerata necessaria al tempo di Internet? CANFORA: Diceva Leopardi che tutto quello che sappiamo lo sappiamo a memoria. E, se Lei ci pensa, vero. Non nel senso che uno mnemonicamente mette in fila delle parole con le notizie, ma tutto quello che resta nella testa sta aggrappato alla memoria. Poi, ogni tanto si usa questa parola, che Lei appunto ha adoperato: Internet, che un po' l'abracadabra del tempo nostro, che uno strumento, un oggetto straordinariamente utile, che ha un solo rischio, quello di essere considerato un sostituito del cervello. E siccome per ora, per fortuna, nessuna scienza ha osato mettere qualcosa al posto del cervello umano, noi dobbiamo tutti sperare che Internet non abbia invece questa ventura e questo destino. un nostro oggetto, un oggetto da piegare ai fini della intelligenza, non un sostituto, n dell'intelligenza, n della memoria. E il pi grande possesso che noi abbiamo la memoria. Quando una persona comincia a decadere - si dice che comincia la senescenza - qual il primo segnale? Comincia a perdere la memoria. Quindi direi che uno strumento da tenere in esercizio, continuamente! STUDENTE: Per capire il presente, per vivere meglio il presente, conviene leggere pi un classico del Novecento europeo o una tragedia greca? CANFORA: E perch Lei fa questa alternativa fra il classico - non so bene se un prosatore o un poeta - e la tragedia greca ? Perch allora Le potrei dire che il mio contemporaneo pi vicino nel tempo, col quale passeggio spesso, si chiama Tucidide, che uno storico, un politico innanzi tutto, realista al massimo, disincantato, la cui lettura gioverebbe, forse pi che quella di Machiavelli. nato circa nel 460 avanti Cristo, ma come se fosse un candidato nelle nostre elezioni politiche. Cio veramente un nostro contemporaneo. La distanza bisogna saperla percepire, si capisce. Ecco, senza una cultura storica si perde molto nell'apprezzare un testo. Ma l'idea che la distanza temporale renda monumenti giganteschi gli antichi o rimpicciolisca i nostri contemporanei o viceversa, un'idea completamente sbagliata. Puntata registrata il 22 febbraio 2001

Il Grillo (27/2/1998) Luciano Canfora A che serve la storia? Documenti correlati 27 febbraio 1998

Canfora: Mi chiamo Luciano Canfora, insegno Filologia greca e latina e mi occupo di storia. Come mai questo mestiere? Credo che le cause siano sempre molto soggettive, comunque ne immagino una. Quando facevo il liceo, eravamo alla met degli anni Cinquanta, cio in un'epoca di grandi contrapposizioni ideologiche, politiche, e questo spingeva a studiare la storia per capire il presente in un modo abbastanza cogente e anche, direi, drammatico. Ma, nel prosieguo di tempo, mi sono reso conto che questo studio, senza una buona attrezzatura, non si pu condurre e allora il lavoro che faccio un lavoro che si potrebbe definire un lavoro preparatorio allo studio della storia appunto, allo studio dei testi. Si discute molto se questo sia un mestiere produttivo, quello di studiare la storia. Molti dubitano che sia utile. Io credo che per cominciare una discussione sulla storia, possiamo vedere la scheda che racconta in breve di che la storia per lo pi tratta. Sosteneva Cicerone che chiunque non fosse a conoscenza del proprio passato non avesse alcun futuro davanti a s. L'affermazione, almeno in teoria, - nella pratica le cose stanno un po' diversamente e la storia la si insegna e la si studia poco - raccoglie il consenso dei pi, ma non di tutti. Un filosofo, sicuramente un po' estremo, ma non per questo meno importante, come Friedrich Nietzsche, sosteneva infatti che la storia fosse una disciplina deprecabile e fuorviante, l'espressione massima di quel pensiero razionale, che impedisce di seguire gli istinti pi profondi e vitali della natura umana. Maestra di vita per alcuni, come Tucidide, Erodoto e Marx, o esercizio inutile e addirittura dannoso per altri, vedi Seneca o Voltaire, comunque sia la storia occupa un ruolo decisivo nell'agire umano, dalla cultura alla politica. Quest'ultima, in particolare, costantemente soggetta alle interferenze dell'interpretazione storica, fino a ingenerare l'annosa polemica sull'uso politico della storia. Qui il rischio della mistificazione sempre in agguato. Sicuramente per lo studio della storia pu aiutare a interpretare correttamente il presente. Non a caso alla

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storia, e al rigore analitico che essa richiede, i regimi totalitari di questo secolo, hanno contrapposto il mito, cercando, in presunte et dell'oro - la mitologia germanica per il nazismo, l'Impero Romano per il fascismo nostrano -, le proprie radici. Chiss se nei primi vent'anni del secolo ci si fosse applicati un po' di pi allo studio della fine di imperi centrali e un po' meno a mitizzare i Nibelunghi, forse la barbarie nazista avrebbe trovato terreno meno fertile. Canfora: La scheda che abbiamo visto ovviamente molto schematica, com' naturale nelle schede, per ha un elemento, un filo conduttore. Mette insieme una serie di scene; dal cesaricidio, l'ammazzamento di Giulio Cesare in Senato - un pezzo di Shakespeare, naturalmente ridotto al cinematografo con Marlon Brando nella parte di Marcantonio, molto giovane naturalmente - e arriva fino alla Seconda Guerra Mondiale, direi - almeno se abbiamo visto con attenzione -, attraverso una serie di tappe che sono violente. Direi che non c'era nessuna scena tranquilla, rassicurante, in quel rapido, in quella carrellata che abbiamo visto, e scene violente, direi quasi esclusivamente di guerra, tranne una testa, infilata su una picca, di una signora, che poteva essere per esempio la principessa di Lamballe, un amica di Maria Antonietta, che fu trucidata in malo modo, durante le cosiddette Stragi di Settembre, nel 1792, momento cruciale della Rivoluzione Francese, alla vigilia della battaglia di Valmy e della proclamazione della Repubblica, appunto, della Prima Repubblica francese. Ma era una scena che voleva rappresentare le rivoluzioni. Le rivoluzioni peraltro sono l'altra faccia, diciamo cos, della conflittualit, per lo pi bellica, di cui la storia si occupa. Intendo dire, la storia scritta, la storia che si raccoglie nei libri, nei trattati, nelle storie universali. E' una storia tutta occidentale, anche questo va detto, nel senso che si va dall'antica Roma alla guerra ultima, attraverso scene che riguardano l'Europa, l'Europa come centro del mondo. Anche questa una scelta, una scelta che ha la sua ragion d'essere nel fatto che l'Europa ha dominato gran parte del pianeta in vari momenti e dopo le grandi conquiste coloniali, dopo la scoperta del nuovo mondo, eccetera, in modo sempre pi violento, sempre pi continuativo, tanto che noi oggi continuiamo a pensare i fatti sempre dal nostro angolo visuale. Faccio un esempio cos, che credo di attualit. Si dice spessissimo: la fine del Comunismo. Questa una frase che ritorna spessissimo, direi quasi di senso comune ormai. E' un po' buffa come espressione, intendendo per comunismo una organizzazione statale, che si definisca tale, poi la filosofia del comunismo come astrazione un altro fatto. Ora esso finito certamente in Europa, ma non in Asia, per il fatto stesso che esiste un grande paese di quasi due miliardi di abitanti, sui prossimi sei miliardi sulla faccia della terra, che si autodefinisce a torto o a ragione, questo un altro paio di maniche, "comunista". Ora in Europa - mettiamo insieme tutti quanti i paesi d'Europa - ci saranno trecento milioni di persone, importantissime, ricche, decisive, per sono un paio di citt cinesi messe insieme, tre quattro, citt non di pi. STUDENTE: Tutti e due i miliardi sono comunisti? No, non sto dicendo ora nulla di specificamente fazioso. Voglio dire, la formulazione una formulazione eurocentrica. Questo ha una sua spiegazione naturalmente, nel senso che l'Europa una parte molto importante del mondo, una delle parti pi ricche. Le guerre che si combattono nel resto del mondo, si combattono con armi fabbricate per lo pi in Europa, per esempio a Brescia. Va bene? E quindi vuol dire che un posto che conta parecchio. Grandissima produttrice di cultura, ma anche grandissima distruttrice di altre culture, quelle americane e precolombiane, per fare un esempio. Ma insomma si potrebbe parlare anche dell'Africa, che aveva delle sue culture, che sono state stritolate dalla dominazione coloniale, eccetera, eccetera, eccetera. Tanti continenti si sono risvegliati, in antitesi alle culture di provenienza europea. E cos via. Per dire, una scheda che - ora la stiamo massacrando, ma insomma ingiustamente - che ha fatto da cavia ai nostri pensierini, alle nostre riflessioni per i suoi difetti utili alla nostra discussione. Utili perch? Perch ci aiutano, questi difetti, a chiederci che cosa poi effettivamente questo mestiere di storico, di studioso di storia, di narratore di storia deve cercar di fare e di essere. Per esempio, in questo nostro secolo, si presentata come una grande novit storiografica il fatto che un rivista importantissima francese, degli anni, tardi anni venti, che si chiama Les Annales, di cui ogni tanto sentite parlare, a scuola, pi o meno attentamente, ha imposto all'attenzione il fatto che la storia non si occupa solo delle battaglie o delle guerre o delle rivoluzioni, ma anche della pace, della produttivit umana, di tutti gli altri aspetti dell'esistere, dei sentimenti, no, i quali non hanno una storia proprio a tutto tondo, per anch'essi sono nella storia e quindi si trasformano, si trasformano perch si intrecciano con la moralit media. La moralit media influenza i sentimenti e il loro manifestarsi. La moralit media un pezzo dell'evolversi della storia, come chiaro. E quindi anche i sentimenti non sono dati come fuori del tempo, sono nel tempo. Ecco questa storiografia, detta de Les Annales, entrata in collisione con la Storia Battaglia, l'Histoire Bataille, come si dice in francese, quasi a voler significare che quella era angusta e unilaterale - ed era vero. Solo che questo un pensiero molto pi vecchio de Les Annales, perch questi due storici che sono qui rappresentati in questo pannello, uniti in modo artificiale, un'erma, come si dice, bifronte, con due teste unite, uno, questo, si ritiene che sia Tucidide che ha raccontato la storia della guerra del Peloponneso, quell'altro si ritiene che sia Erodoto, e ha raccontato tutto, non solo la storia delle guerre persiane, come molti pensano. Ha raccontato tutto. Ha raccontato i templi egizi come erano fatti, le mura di Babilonia, gli usi funerari dei popoli, degli Indiani, eccetera. Davvero c' tutto. Ecco quel signore, che appunto dovrebbe essere Erodoto, diciamo, in quell'erma bifronte, un antenato de Les Annales, perch nel suo librone di nove libri, secondo la nostra divisione affermatasi nell'antichit, c' molto pi delle battaglie. Invece questo signore qui, cio Tucidide ha raccontato la storia di una guerra - almeno si proponeva di farlo, poi pare che non l'abbia neanche finita -,

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nella quale ci sono, oltre la guerra, soltanto le rivoluzioni, perch la sua idea che la guerra civile, lo scontro delle fazioni e la guerra politica, la guerra guerreggiata con le armi, si intrecciano, spesso si intrecciano. Ed vero. Anche la nostra esperienza - la Guerra Mondiale per l'Italia - finita con una guerra civile negli ultimi diciotto mesi. Ma anche la Guerra del Peloponneso finita ad Atene con una guerra civile. Ve bene, di l discende il moderno modo di scrivere la storia, cio da questa grande opera esemplare, che Tucidide ha abbozzato. Nell'inizio di essa lui spiega che lo fa perch pu servire al politico, anche in prosieguo di tempo, quella lezione tecnica, quell'insegnamento specifico che contenuto nella sua opera. E' l che nasce l'idea che la storia serve alla politica o detto in maniera banale, perch una banalizzazione che Tucidide avrebbe respinto e orripilato, che maestra di vita. Ecco, questa , non voglio dire che una sciocchezza, ma una semplificazione grossolana di quell'altra idea che molto pi sottile, che cio il politico di professione, quello che si sporca le mani e fa questo mestiere tremendo che il politico, che si occupa degli altri, con una dose di ambizione evidentemente perch altrimenti non lo farebbe, ma si occupa degli altri. STUDENTESSA: Le volevo chiedere: quanto noi possiamo credere veramente alla storia, che per esempio studiamo a scuola. Io ho l'impressione che a noi arrivi sempre e comunque una visione molto parziale dei fatti storici, perch se leggiamo i resoconti di chi la storia l'ha vissuta in quel momento, per forza di cose, deve essere una versione parziale, perch influenzata dalle proprie idee su quello che gli sta succedendo intorno. Uno storico che successivamente si ritrova in mano documenti o fotografie non era l e quindi non pu raccontarci veramente che cosa successo. Beh, questa gi enorme, e ben venuta anche, per varie ragioni. Ben venuta nel senso che ci offre lo spunto per sfatare un mito, che cio soltanto la storia sia - la storia come storiografia, come racconto -, sia una peccatrice sul piano della oggettivit. Non vero. Tutte le discipline sono peccatrici da questo punto di vista, tutte. Anzi la fisica pi moderna ci spiega che lo strumento che osserva la microrealt, la realt atomica e subatomica, lo strumento, modifica l'oggetto osservato. Ora questo agghiacciante, nel senso che tale modificazione, indotta dallo strumento, dovrebbe portarci a una grande prudenza nella accettazione dei risultati di quella osservazione. Infatti le interpretazioni dell'universo che la fisica vivente ci fornisce sono varie e tra loro diverse. Le ipotesi creazioniste o non creazioniste si affrontano nel pensiero fisico, nella riflessione dei grandi fisici, oggi, tanto quanto nella mente pi semplice, diciamo cos, meno attrezzata di strumenti di osservazione dei filosofi della Grecia antica. E quale pi chiaro esempio di non oggettivit, di apertura verso risposte diverse, a partire da dati opinabili, di quello che le ho appena detto? Orbene, a questo punto la storia non la colpevole di un racconto in cui chiss se debbo credere. E uno dei tanti casi in cui noi cerchiamo di conoscere, in questo caso il passato, nell'altro caso la realt fisica, e non siamo in grado ovviamente di conoscerla in modo totale compiuto e definitivo, perch nulla in questo mondo accade in modo definitivo. STUDENTESSA: Ma in questo senso allora come fa a diventare lo strumento per capire meglio il passato e quindi vivere il presente, in maniera pi consapevole. Nel senso che comunque, lo ha detto Lei, non esiste una oggettivit assoluta, e quindi abbiamo interpretazioni diverse anche adesso. Pensiamo al revisionismo, pensiamo all'uso politico che anche viene fatto della storia. Questa domanda bella, perch dimostra che il bisogno, evidentemente intimo, di ciascuno di noi, mi metto senz'altro con gli altri, coi presenti in questo bisogno, un bisogno di assolutezza. No? Cio o mi date un prodotto assolutamente risolutivo o non lo voglio. Questo l'anticamera diciamo della sua domanda. Ed apprezzabile, nel senso che indica che la spinta sempre una spinta di conoscenza compiuta, una conoscenza soddisfacente. Per, una volta che sia assodato che si tratta di una conoscenza provvisoria e sempre in grado di essere migliorata, uno si rassegna a questo fatto e la pratica ugualmente, sapendo che l'alternativa l'ignoranza totale, che molto peggio. Naturalmente io sono, come dire, tra gli studiosi di storia, che meno prova disagio dinanzi alla parola "revisionismo". E' convinzione comune che "revisionismo" di destra e "non revisionismo" di sinistra. Questa una stupidaggine. Il "revisionismo", poi, oltre tutto, non vuol dire negare i fatti. Ci sono alcuni pazzi - pochi - i quali negano che ci siano mai stati i campi di concentramento. Va bene, ma sono confutabili col fatto stesso della loro ignoranza e dell'esistenza di documenti inoppugnabili. "Revisionismo" un'altra cosa. "Revisionismo" vuol dire che, ad ogni ondata di documentazione nuova, io capisco meglio e riaggiusto la ricostruzione che ho fornito. Quindi son due cose completamente diverse. E, in questo caso, il mestiere di storico un rivedere continuamente - in buona fede sperabilmente, sulla base di una documentazione che si allarga e che per non va presa come un feticcio - le acquisizioni precedenti. In questo lavoro consiste un tirocinio di capacit critica, che serve comunque, direi, per fare un esempio ovvio, a leggere un giornale. Cio, lei mi potrebbe rispondere: "Ma io non leggo il giornale". Ma anche se patisce il telegiornale, che ormai diventato una specie di variet, va bene, puntualmente lo deve interpretare. E capire perch un certo fatto ha uno spazio di pochi secondi e un altro fatto ha un ampio spazio e un altro fatto non appare per nulla e io lo apprendo da un'altra fonte. L'abitudine alla critica consente di capire il telegiornale. E dunque, se questa abitudine poi ha come scotto da pagare il fatto che una critica sempre aperta, ben venga.

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STUDENTE: Professore, scusi, ma per arrivare alla storia intesa come un sapere assolutamente oggettivo, almeno umanamente oggettivo, potrebbe bastare la conoscenza del fattore conoscitivo deformante, derivante dalle particolare influenze dello storico, e quindi che determinano la sua interpretazione? In realt non quello il fattore deformante. Quello c', c' sempre, ma un malanno secondario, diciamo. Il vero fattore deformante che i documenti sono casualmente accessibili. Anzi, facciamo un esempio, cos ci capiamo meglio. Noi possiamo raccontare, con un certo fondamento documentario, abbastanza soddisfacente, per lo pi epoche che si sono concluse, magari in modo traumatico, lasciando gli archivi a disposizione degli studiosi. Noi studiamo abbastanza bene la storia, per esempio, del nazismo, perch, nel suo crollo, i grandi archivi che il Terzo Reich aveva caddero in mano degli Americani, degli Inglesi e dei Sovietici, i quali hanno - e qui interviene, da capo, una manipolazione - messo a disposizione, in tutto, in parte, eccetera, questi documenti, i quali sono la base necessaria per parlare di quella et. Ma noi non riusciamo a raccontare in maniera accettabile, da un punto di vista della veridicit, la storia dell'Italia repubblicana. Io sono un po' pi vecchio di voi, ma tutti abbiamo memoria del fatto che per una lunga fase della nostra storia repubblicana di questo cinquantennio, che abbiamo alle spalle, in Italia c' stata una misteriosa incombente catena di stragi, di violenze, di attentati. Le vere ragioni di tutto ci noi non le conosciamo in modo documentario. Le possiamo immaginare. Alcuni le congetturano in un modo, altri in un altro. Perch? Perch gli archivi di uno stato, vivente non sono a disposizione degli studiosi. Lei non pu andare al Ministero degli Interni e dire: "Voglio vedere gli archivi del Viminale fino all'ultima carta e raccontare quello che successo al tempo del cosiddetto golpe, non realizzato, ma fallito, di Borghese, nel 1970. Questo non lo pu fare. Naturalmente gli stati moderni hanno anche l'abitudine di mettere ogni tanto a disposizione i documenti. Tutti dicono, per esempio, che una delle organizzazioni pi misteriose sulla faccia della terra sia la C.I.A. che una grande potente agenzia di informazione diciamo coessenziale alla politica degli Stati uniti d'America. Tutti i grandi stati hanno, un'agenzia di questo genere. La C.I.A. cos intelligente da mettere a disposizione una parte dei documenti del passato. Trent'anni fa, vent'anni fa. Per li screma, cio li sceglie. Cio il soggetto stesso che io dovrei studiare mi dice: "Tu puoi leggere questo, ma non questo". Naturalmente meglio quello di niente. Ma io so benissimo che questo, questa porzioncina pi o meno ampia di documenti, potrebbe addirittura portarmi fuori strada. Ecco io vi ho descritto il vero problema, dinanzi al quale i veri studiosi di storia si trovano. Risposta: "Studiamo il passato pi remoto, perch l siamo tranquilli, nessuno ci viene a togliere i documenti". Non vero, perch l c' stata una tale distruzione, dovuta al tempo, che la nostra ricostruzione purtroppo, per definizione, unilaterale. Noi raccontiamo la storia delle Guerre del Peloponneso perch costui ha scritto un'opera che la racconta, per vorremo avere anche il racconto di un altro, di tutt'altra citt, di tutt'altra provenienza. Non abbiamo nessuno storico spartano, per esempio, che ci dica i fatti di quella guerra. Lui era ateniese, era un uomo di grande equilibrio probabilmente, almeno lo dice di se stesso. Noi gli dobbiamo credere. Per non ci basta. E' come se della Seconda Guerra Mondiale noi avessimo soltanto le Memorie di Churchill, per esempio, che fu un grande statista, un grande scrittore. Per accanto a quelle memorie c' una miriade di documenti che le mettono in crisi. STUDENTESSA: Studia la Grecia che ha poche fonti, rispetto ad uno storico che studia il nazismo in un momento in cui le fonti poi sono troppe forse, c' una pluralit di visioni o magari la storia recente di venti anni fa? Qual' la differenza? La differenza l'ha espressa bene un personaggio, che fu Segretario di Stato negli Stati Uniti d'America al tempo di Nixon negli anni Settanta, che si chiama Henry Kissinger, che era un signore - credo ancora noto -, che ha scritto un bellissimo libro, - e' un conservatore, uno che sa il fatto suo, come si suol dire -, Gli anni della Casabianca. Lui era uno storico, un professore di storia, che ha fatto il politico; come Tucidide, come Machiavelli. E dice, a un certo punto, nella Prefazione del suo libro, che lo storico della contemporaneit, trovandosi purtroppo dinanzi ad alcuni milioni di documenti, dovrebbe bruciarne la gran parte. Naturalmente una battuta di spirito. Cosa vuol dire? Vuol dire che ardua la fatica di colui che su poche fonti superstiti cerca di raccontare come andata - ed il caso della storia antica soprattutto, gi per l'et medioevale diverso -, cos grave quella fatica, altrettanto lo quella di colui che si trova dinanzi a una massa sterminata, anche insignificante, di documenti. Perch? Perch le cose pi importanti probabilmente non passano neanche da un documento scritto. Cio noi possiamo avere gli atti di un'ambasciata, di un ministero eccetera, per poi la guerra arabo-israeliana del '73 si ferm per una telefonata che le due grandissime potenze del momento ebbero modo di farsi per arrestare il conflitto. E allora quella telefonata un documento che purtroppo non affidato ad una registrazione, men che meno ad una scrittura, che vale milioni di documenti utili. Questo cosa vuol dire? Vuol dire che lo storico antico dovrebbe ciclicamente fare il mestiere dello studioso di storia contemporanea e viceversa. Perch le due cose, tutto sommato, sono educative, ci insegnano a ridimensionarci, a capire meglio, e se vuole, anche a non feticizzare il risultato. Come si traduce, sempre da capo, i poeti? Si scrivono sempre da capo poesie. No, non che Petrarca e poi basta. Ogni poeta lirico vivente ha bisogno di scrivere una poesia. Si continuer sempre a cercare di raccontare meglio il passato. STUDENTE: Professore, come nelle precedenti puntate, abbiamo effettuato delle ricerche su Internet

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sull'argomento di cui si parlava. Mi sono divertito a cercare le posizioni di vari pensatori riguardo all'utilit e all'uso, della storia. Una posizione che mi sembrata interessante quella di un teorico dell'Ottocento che vede appunto nella continuit del pensiero umano l'utilit della storia. Inoltre, sul sito della Enciclopedia Multimediale delle Scienze Filosofiche, ho trovato al riguardo un aforisma di Duby, che appunto ci dice che: "La storia sempre stata manipolata. Ma io penso che il dovere degli storici sia sempre quello di rettificare queste manipolazioni". Lei d'accordo con questa affermazione di Duby? Ma io non sono d'accordo su quasi nulla di quello che lei ha detto. Scherzo solo in parte. Riguardo alla continuit del pensiero umano, quello uno la pu mettere alla prova anche studiando la matematica, la fisica, la pittura. E' la continuit e diciamo che forse, in rebus ipsis, nel fatto stesso che noi siamo qui, altri saranno qui fra due secoli. Quanto a Duby dice in modo simpaticamente assiomatico, tutto sommato, quello che il vecchio Ecateo di Abdera, che un signore, vissuto molto prima di Duby, molto, ai tempi della rivolta ionica, VI secolo avanti Cristo - e gi rispetto agli Egizi era un bambino, gli Egizi erano molto pi vecchi di lui - dice: "Io non voglio raccontare la storia che mi hanno tramandato, ma come parsa a me", ed l'atto della soggettivit, del fatto che il singolo si propone come filtro rispetto ad un autorit consolidata, la storia dei re. Se c' una morale di tutto questo nostro discorso che non possiamo mai accettare quello che ci viene fornito dall'alto autoritativamente. Dobbiamo guadagnarci sempre criticamente o opponendo la nostra critica a quello che ci viene fornito, le nostre verit. Quindi una lotta perenne. Il sapere un conflitto. STUDENTE: Professore, ma allora quand' che finisce il nozionismo e comincia la storia? Non c' nessuna distinzione. Anzi, la parola nozionismo una parola stolta, inventata dai pedagogisti, che sono delle simpatiche comunit di persone, che non producono, secondo me, utili suggestioni, perch "nozionismo" un termine che vuole gettare il discredito sull'informazione concreta. Senza informazione concreta c' la pura chiacchiera. Naturalmente "nozionismo" vuol dire che uno deve memorizzare centinaia di date? Non vero, non vero, perch intanto un dato interessante in quanto io capisco come me lo sono guadagnato. A quel punto divento un essere vivente. Non pi una parola stampata in nero in una pagina che io detesto. STUDENTE: Finora abbiamo parlato a lungo dei limiti della storia, limiti che per la storia antica son soprattutto di unilateralit delle fonti e per quella pi recente di mistificazioni. E tra gli altri limiti c' quello di una incompletezza della storia. La storiografia tradizionale ci ha offerto soprattutto una storia di battaglie. La mia domanda in quali direzioni ci si pu muovere per fare della storia pi completa, senza arrivare con questo a quello che un altro mito, forse a una semplificazione della storia a misura d'uomo, come volevano gli antichi, la storia specchio dell'umano. Per, in questo senso, perch la storia possa aiutare in modo maggiore a capire come fatto l'uomo, anche viceversa capire l'uomo per capire la storia. E questa un'altra questione. Mah, la storia a misura d'uomo. Tanto forse bisognerebbe sgomberare il terreno da un equivoco. Lei ha certamente in mente - ma forse mi sbaglio, comunque azzardo che Lei abbia in mente, un racconto di Borges, di questo straordinario narratore argentino, I cartografi dell'Impero, i quali - nel romanzo di Borges - cercarono di fare una carta geografica perfetta di un immaginario Impero, che per essere perfetta era grande quanto l'Impero e quindi non serviva a niente, perch si estendeva quanto si estendeva l'area geografica che voleva descrivere. E' una metafora che vuol dire che la totalit delle conoscenze per l'assoluta oggettivit un'illusione, cio finisce con l'essere la realt stessa. Quindi togliamoci dalla testa questo risultato, che comunque reso impossibile dai limiti pratici. La ragione per cui la storia malvista dai potenti, nel fatto che essa aiuta la gente a capire un po' di pi. C' un aneddoto raccontato dalle Cronache Cinesi, secondo cui l'imperatore, che costru La Grande Muraglia, e quindi siamo nel III secolo avanti Cristo, viet la circolazione dei libri di storia e di poesia, su consiglio di un suo consigliere sciagurato, il quale port questa motivazione: "Se i sudditi sanno che cosa succedeva sotto l'imperatore precedente, e poi sotto l'altro imperatore ancora precedente, possono fare un confronto". Quindi bando ai libri di storia. L'imperatore vigente l'unico parametro possibile. Va bene? Questo un aneddoto, pi o meno veridico, che rende bene poi il concetto per cui, come dicevo prima, la storia non amata dai potenti. Per, come tutte le cose ineliminabili, pu anche essere corteggiata, per cui i potenti possono interferire nella sua costruzione. Quindi diciamo che un mestiere difficile, criticabilissimo, ma indispensabile. STUDENTESSA: Buongiorno. Prima parlava di interpretazione dei telegiornali, importanza dei mass-media. Allora io volevo sapere, se c' un legame tra la storia contemporanea e i mezzi di comunicazione. C' un legame fortissimo. Basta pensare che gli Archivi della RAI sono tra le fonti pi importanti per lo storico, purtroppo sono tenuti male.

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STUDENTESSA: Quindi probabilmente fra cinquant'anni, per esempio, i ragazzi come noi studieranno maggiormente le cose che appaiono sui telegiornali o sui giornali o sugli altri mezzi di informazione. Alla stessa maniera che noi studiando il secolo passato, e intendo il XIX, anche se questo gi finito praticamente, devono scorrere collezioni e collezioni di giornali che sono i mass-media dell'epoca, ben sapendo quanto valgano, ma purtroppo non potendone fare a meno. No, non scherzo, quando dico che gli archivi della RAI saranno una delle fonti pi importanti e speriamo che non siano poi cos caduche, perch lei sa che un materiale che pu rovinarsi facilmente. Tanto tempo fa mi capitato di fare, di curare una certa trasmissione sul cinquantenario della Repubblica Italiana e volevamo attingere agli Archivi televisivi, dei primissimi tempi della televisione italiana, c'era l'immagine, ma non c'era pi l'audio. E quindi era una fonte poco, anzi per nulla utilizzabile. Bisogna rassegnarsi a questo. Come nelle biblioteche l'umido e i topi hanno distrutto un sacco di libri importantissimi, cos anche questi documenti di tipo nuovo sono soggetti all'usura. Ma questo non significa che non si debbano desiderare, mettere a frutto, e cos via. Anzi uno di quei casi in cui la materia cos vasta che poi bisogner trovare tecniche per selezionarla. STUDENTE: Professore, scusi eh! Ma noi studiamo la storia, bisogna studiare la storia per non commettere gli errori del passato. Ma perch tuttora si commettono, cio ancora ci sono guerre civili? Forse non stata ben compresa, non stata ben studiata? Ma perch i fatti sono il frutto non soltanto dell'atteggiamento mentale delle persone, ma anche dei loro interessi. Tantissime persone, come si usa dire, sanno bene che cosa sarebbe giusto fare, ma fanno il contrario per ragioni concrete, interessi e cos via. Stiamo banalizzando sia la formulazione che la mia, sono molto, diciamo, semplificatorie, per rendono bene il concetto. Non lineare questo procedimento, ma questo vale anche per la predicazione religiosa, perch i principi delle grandi religioni del mondo sono dei principi sani, etici. E come mai poi non si traducono in opere e il crimine c' ugualmente? Perch c' un divario fra quello che giusto pensare, che ci spiegano che giusto pensare, e poi quello che concretamente si fa, appunto per una serie di ragioni empiriche, per lo pi i grandi interessi egoistici. L'egoismo una delle molle della storia umana. Mi pare che con questa triste conclusione potremmo anche porre un termine ai nostri pensieri. Il fatto che nonostante tutto - appunto, lei l'ha detto in modo un po' semplificatorio - non basta, utile, ma non basta. Questa , diciamo, la morale di questo mestiere. STUDENTESSA: Professore mi chiedevo quale fosse la Sua visione personale della storia, se ciclica o lineare, se veramente possiamo imparare qualcosa, perch comunque la natura umana rimane uguale a se stessa pur cambiando le circostanze oppure assolutamente impossibile proprio perch nessun momento uguale a un altro? Alla fine, perch presumo che siamo verso la fine, la domanda pi importante del mondo - mi permetto di chiosare -, anzi una domanda non solo importante, ma imbarazzante, perch se io fossi molto meno anziano di quello che sono direi: ma la storia lineare, un progresso perenne verso modi di organizzazione della societ sempre pi elevati. A grandi linee forse ancora cos, ma io lo credo sempre meno. Poi noi abbiamo in realt uno spezzone piccolissimo, noi conosciamo la storia di qualche migliaio di anni, malissimo quella pi vecchia, un po' meglio questa, mentre una storia lunghissima, quella che abbiamo alle spalle, e forse anche quella che abbiamo davanti, ma non vedremo. Allora fare una regola da un campione cos piccolo, forse un azzardo. Col tempo, mi sono convinto che sostanzialmente l'ottimismo unilineare fallace, cio un'illusione, per il ciclo, perch l'alternativa il cerchio - come dice Machiavelli, per il fatto che si ripete - non si ripete mai uguale. Quindi tra le due alternative ce n' una terza: che certo si torna, ma si torna in modo differente. E questo fa ben sperare.

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