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Ercolano, qui il pizzo non lo paghiamo pi.

Uno dopo laltro i commercianti hanno deciso di non subire pi il sopruso dei clan camorristici. E oggi chi arriva in citt accolto da un cartello: Territorio derackettizzato Il cartello stradale,che accoglie abitanti e turisti, ospita una scritta singolare: Ercolano, territorio derackettizzato. Cosa vuol dire? Significa che nel popoloso comune campano - sessantamila abitanti allombra del Vesuvio, il vulcano che duemila anni fa seppell di lava e cenere lantica cittadina romana - in una rivoluzione allinsegna del senso civico, dellonest e della legalit. I primi ad avviarla erano stati i commercianti, stufi di sopportare le angherie e i taglieggiamenti dei camorristi, che imponevano loro la vergognosa tassa del pizzo: il pagamento di denaro in cambio della tranquillit. Parcelle da 100-200 euro fino oltre un migliaio al mese. A portare lambasciata, o la bussata come si dice da quelle parti insomma lavvertimento - talvolta erano i figli stessi degli estorsori, bambini che si presentavano nei negozi con la richiesta di pagamento. Ma i commercianti non volevano pi sottostare a questo sopruso, a versare nelle tasche di una manica di scansafatiche il frutto del loro lavoro quotidiano. E cos, uno alla volta, hanno iniziato a dire no, pur rimanendo timorosi di eventuali ritorsioni, cio vendette. Ma pian piano, il numero di chi non voleva piegarsi cresciuto. E siccome lunione fa la forza, i commercianti si sono fatti sempre pi convinti e, tutti insieme, si sono ribellati, correndo da polizia e carabinieri a sporgere denuncia. Con loro si schierato anche il primo cittadino, Nino Daniele, impegnalo da anni sul fronte della lotta antimafia, al punto di aver deciso negli anni scorsi di far risparmiare a chi non pagava il racket alcune imposte comunali. Alla fine, i criminali sono stati arrestati e poi sono finiti in tribunale, per affrontare un processo. Mentre il resto della citt ha salutato con gioia la vittoria dei cittadini onesti, celebrandola con il cartello di benvenuto ai visitatori nel quale scritto a chiare lettere che a Ercolano il malefico pizzo non si paga pi. Non siamo eroi, solo cittadini onesti Era da tanti anni che ci chiedevano il pizzo. Ci siamo sempre rifiutati. Poi, dopo lennesimo attentato incendiario allazienda, mio marito decise di pagare, senza dirmelo per non darmi preoccupazioni. Ma le richiste erano sempre pi esose e stavamo finendo sul lastrico. Cos, li abbiamo denunciati.... Maria Isernia Filograna ha 73 anni e la sua famiglia manda avanti unimpresa di legnami a Casarano, in provincia di Lecce. Le denunce di Maria e dei suoi familiari hanno fatto arrestare diversi boss e affiliati della Sacra Corona Unita, la mafia pugliese. la cosa pi giusta da fare. Noi abbiamo ritrovato la pace. E ora che i nostri aguzzini sono in carcere, siamo pi tranquilli, sorride lei. Stesso pensiero per il cinquantasettenne calabrese Antonio Anile. Fino a dieci anni fa, guadagnava bene e onestamente, come agente assicurativo nella Locride, finch le cosche locali non si fecero sotto: Dovevo dei soldi a un conoscente che per si rivel vicino ai mafiosi. Per spaventarmi, giunsero a sequestrarmi in Aspromonte. Sette anni fa, anche grazie allaiuto e al conforto di poliziotti e magistrati, ho deciso di denunciarli. Non sono un eroe. Ho fatto una cosa che qualunque cittadino, per onest e senso civico, dovrebbe fare. La stessa storia al Nord come al Sud In un solo anno, secondo lultimo rapporto di Sos Impresa-Confesercenti, la mafia - come una grande impresa - ha incassato nel nostro Paese 138 miliardi di euro: una somma ricavata da tutti i guadagni delle attivit criminali, come traffici di droga, furti, rapine, contrabbando, tangenti sugli appalti e altro ancora. Una voce di reddito importante proviene dal pizzo e dallusura - il prestito illegale di soldi con interessi alle stelle - che insieme fruttano alle cosche 24 miliardi. Pare che due imprese commerciali ogni ora siano costrette a chiudere, soffocate dai prestiti ad usura dei boss o dal costo della cosiddetta tassa di protezione. E non avviene solo

nel Meridione. Ormai, la ragnatela, mafiosa si estesa anche al centro e al nord dellItalia: fra le regioni pi colpite ci sono il Lazio, la Liguria, la Lombardia e lEmilia Romagna. Per fortuna per, alle minacce dei mafiosi molti imprenditori e commercianti iniziano a rispondere a suon di denunce. La conferma arriva dalle cronache locali, che riportano con cadenza settimanale gli esiti delle indagini di polizia, carabinieri e guardia di finanza. Qualche mese fa, nella tranquilla Modena, i poliziotti hanno messo le manette ai polsi di cinque affiliati al clan campano dei Casalesi, che con botte e minacce pensavano d far pagare il pizzo ai commercianti emiliani. E il mese scorso a Milano, un maxi-processo si chiuso con ben 110 condanne a carico di boss e picciotti calabresi che credevano di aver colonizzato la Lombardia. Ora trascorreranno molto tempo dietro le sbarre, a mediare sul fatto che la prepotenza e gli abusi, alla fine, non pagano. La tassa criminale della mafia Ha tanti nomi, ma il sopruso lo stesso. I mafiosi lo chiamano pizzo, messa a posto o protezione. Per gli investigatori invece il racket. Consiste sempre nellestorcere con le minacce denaro a commercianti e imprenditori, offrendo in cambio solo la promessa che saranno lasciati in pace da attentati e danneggiamenti. In realt, sono gli stessi picciotti a effettuare i vandalismi (colla nella serratura delle serrande, incendi, bombe) per mettere paura alle potenziali vittime. Cos solo chi denuncia, assicurano polizia e carabinieri, si libera davvero delle catene del pizzo. E, grazie al coraggioso esempio di alcuni imprenditori, negozianti e anche studenti, negli ultimi anni sono cresciute le associazioni antiracket, come AddioPizzo, per coalizzare tutti coloro che non intendono sottostare alle vessazioni delle mafie. Ed nata, in diverse citt, una rete di negozi pizzo free con tanto di bollino sulla vetrina.
Articoli tratti da Popotus, allegato al quotidiano Avvenire, 01/12/2011, anno XVI, numero 1499

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