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REALITY

CAPITOLO III
MANTICA, KABALAH E ALCHIMIA
Sommario: 3.1 - Dall'Egittologia alla Kabalah 3.2 - La mantica e la sua storia 3.3 - Perch la Kabalah? 3.4 - Il linguaggio della Kabalah: il Tetragrammaton 3.5 - La trasmissione iniziatica 3.6 - I libri Kabalistici: il Spher Yetzirah e lo Zohar 3.7 - I Mondi dello Zohar: creazione ed emanazione 3.8 - Le Sephiroth e l'Albero della Vita 3.9 - Kabalah e Tarocchi 3.10 - Giudaismo e Tarocchi: pregi e difetti del Kabalismo 3.11 - Dalla Kabalah all'Alchimia

3.9 - Kabalah e Tarocchi


Se esaminiamo attentamente la tabella che precede ed i Tarocchi nella loro ultima fase di evoluzione, cio quelli successivi al XIV sec. (facendo eccezione per i soli cosiddetti "Tarocchi del Mantegna" in quanto generalmente considerati strumenti didascalici pi che mezzi ludici e divinatori) possibile verificare immediatamente la connessione con la Kabalah.

La regina di Bastoni dei Tarocchi Visconti-Sforza (Collezione dell'Autore) Infatti nei Tarocchi possibile verificare, senza troppo sforzo, l'applicazione concreta dell'antica numerologia pitagorica e post-pitagorica, ma anche i precetti della "riduzione teosofica" (che consente di racchiudere tutti i numeri nell'arco di variabilit compreso tra 1 e 9) e quelli della "gematria" (che consente di traslitterare un testo in numeri, dandoci come risultante un numero di variabili di lettura praticamente infinito). I Tarocchi, in altri termini, appaiono subito come esempio grafico-visuale di quella scrittura ermetica che ho definito "scrittura-rebus". probabilmente questa la ragione per la quale i Tarocchi vennero percepiti immediatamente come mezzo di divinazione: essi si prestavano come nessun altro mezzo ad esprimere, graficamente e sinteticamente, la variabilit che caratterizza gli umani eventi e la cui realt sta' al di l delle barriere dello spazio-tempo e del determinismo causale: essi esprimono la speranza, riposta nel pi intimo dell'uomo, che possano essere penetrate, al di l di ogni limite, le leggi del divenire del mondo e della propria personalit, del macro come del microcosmo. Affermava Court de Gebelin che l'elemento fondamentale cui sono riconducibili, per vari aspetti, i Tarocchi il mistico numero sette, gi considerato sacro dagli egizi che vi fondarono gli elementi di tutte le scienze: negli arcani minori ciascun seme era composto di "due volte il numero sette"; gli Arcani Maggiori erano formati da "tre volte sette" senza considerare il "Matto" che era lo "Zero": il numero complessivo di carte era di 77 lame, oltre al "Matto" (139). In vero noi non sappiamo in che modo venisse definito e utilizzato il concetto di "zero"; se esprimesse, cio, una quantit astratta e indefinibile ovvero una quantit della serie

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di numeri naturali. La presenza dello "Zero" ci pone, quindi, immediatamente, un problema circa la compatibilit con le conoscenze scientifico-matematiche europee propri del periodo in cui videro la nascita i Tarocchi (XII-XIII sec.). Lo "Zero" che rappresenta il nulla aritmetico: un numero alla pari di tutti quelli che costituiscono la serie dei numeri naturali 0, 1, 2, 3, .... n, n+1, ..... In quanto numero lo "Zero" un concetto ed un segno proprio della numerazione posizionale (140). Gi noto agli Assiro-Babilonesi che lo avevano appreso dai Sumeri, i quali lo avevano adottato fin dal III millennio a.C., lo rappresentavano con un segno cuneiforme molto simile a greco. In et greco-romana lo zero venne letteralmente perduto. La "riscoperta" ebbe luogo in India dove, intorno al IX sec. d.C., venne trasmesso agli Arabi (ai quali si deve l'introduzione della numerazione posizionale) che lo riproposero in occidente. Ma il concetto non entr subito nella notazione occidentale. Fino al XIV sec. esso fu addirittura "vietato" sicch l'utilizzazione completa in occidente avvenne solo alla fine del XIX sec. Sotto un profilo storico, quindi, esisteva la possibilit che, nel corso del XII-XIII sec. i Giudei in Spagna, per evidenti ragioni di convivenza, ne avessero conoscenza; ma certamente molto improbabile che lo avessero introdotto nell'uso comune tanto pi che motivi di ordine religioso ne impedivano l'utilizzazione in testi di misticismo e nella Kabalah. A maggio ragione, sembra assai improbabile che si fosse avuta l'applicazione nei Tarocchi vista la loro connessione con la Kabalah. Gli ebrei, in altri termini, consta che continuassero l'uso della notazione alfabetica dei numeri, che comportava l'esclusione dello Zero. Poich non sappiamo quando il "Matto" entrasse a far parte degli Arcani Maggiori dei Tarocchi se ne deve concludere che delle due l'una: o l'identificazione della carta del "Matto" con il numero zero sia avvenuta in epoca posteriore al XII-XIII sec.; ovvero, il che sembra pi probabile che il simbolo venisse usato esclusivamente come geroglifico e indicasse sia il "Nulla" (del cosmo pre-creazione) che la Divinit come nel corrispondente geroglifico egiziano.

Alcuni Arcani Maggiori dei tarocchi Piemontesi, tra cui "il Matto", il "Mondo" ed il "Giudizio" (Collezione dell'Autore) Questa seconda soluzione mi sembra avallata dal fatto che in uno dei pi antichi mazzi di Tarocchi (il "tarocco spagnolo") quella che diverr nel Tarocco di Marsiglia come "Il Matto" ancora designato come "La Nada" (il nulla). Mi sembra altamente probabile che il simbolo "0" fosse piuttosto un "O" e indicasse un valore esoterico piuttosto che un concetto matematico.

Arcani Maggiori del Tarocco Spagnolo tra cui "El Loco" o "La Nada", "la Papessa", "El Papa", "La muerte", "la Torre" e "El mago" (Collezione dell'Autore) In ogni caso mi sembra che il problema dello Zero non sia significativo rispetto alla definizione del rapporto dei Tarocchi con la Kabalah, ma - anzi - rischi di complicare le soluzioni anzich semplificarne i termini. La vera natura degli aspetti che legano i primi alla seconda sono di natura dottrinaria. Lo Zohar pone in essere un sistema che permette di interpretare l'universo secondo le verit della Bibbia risalendo in maniera graduale e sistematica lungo lo sviluppo della Creazione. La conclusione che l'"En Soph" equivale (e non solo in senso letterale) all'Eterno (illimitato, incomprensibile ed indescrivibile) (141).

Arcani Maggiori di Tarocchi Egiziani ispirati al Tarocco Spagnolo: Alef

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ovvero il Caos o la Nada e Beth ovvero El Sol (Collezione dell'Autore) Orbene, poich l'En Soph immanente nell'universo, compreso il soggetto pensante, ne consegue che, seppure rimane inconoscibile, di En Soph possibile la "percezione". Di fatto la Kabalah ha la pretesa di fornire, attraverso la purificazione (cio con il raggiungimento dello stato del "folle" - il nulla), un metodo attraverso la mistica del numero dieci che, come sappiamo, costituito da unit elementari nominate Sephiroth: il loro sviluppo costituisce l'Albero della Vita, cio l'emanazione e la creazione del mondo del reale dal nulla. Su questo mondo aleggia il (= Logos) che rimane nel creato fatto di suoni, di lettere e di numeri (142). Resta a questo punto da stabilire se ed in che misura, quello che viene sostenuto dai Kabalisti, costituisca la vera cerniera di collegamento tra Tarocchi e Kabalah. Contrariamente a quanto potrebbero far pensare i divieti della Torah, il pensiero giudaico praticava una propria mantica (che non era solo quella profetica) ed una propria tradizione esoterica. D'altra parte il pensiero Kabalistico non era n nuovo n originale: esso unificava e sviluppava in maniera nuova il meglio del pensiero mediorientale (non solo), non disdegnando, al di l delle polemiche ufficiali che contrapposero ferocemente il giudaismo all'ellenismo, neppure le dottrine platoniche e neoplatoniche. Quanto all'esistenza di una vera e propria mantica, era costume degli ebrei di Gerusalemme interrogare l'oracolo di "Urim" o "Thumin" che utilizzava segni figurativi denominati "therafim" che non erano di origine ebraica (143). Secondo il Gaffarel, la parola "Theraphim" avrebbe indicato una tavola (forse analoga a quella denominata "Smeraldina" della tradizione egiziana ed orfica) che veniva utilizzata nella lettura di "responsa per sortes". Essa, in altre parole, avrebbe fornito indicazioni, in maniera analoga a quanto facevano i Cinesi con l'I Ching, su una base di combinazioni numeriche precedentemente codificate, selezionate su un lancio di oggetti che, nel caso concreto, assumevano la forma di tavolette di avorio o di metallo pi o meno prezioso (si pensi, per un utile raffronto, alle "tabulae Prenestinae" di epoca romana).

Carte dell'I Ching, "Libro dei Mutamenti", cinese (Collezione dell'Autore) Quanto pi propriamente all'esoterismo ebraico, non conosciamo il suo sviluppo pi antico che, probabilmente solo quello che emerge dai miti (piuttosto che dalla Bibbia). Il primo movimento di rilievo di cui siamo a conoscenza quello essenico ed in esso comunemente si ritiene che affondino le origini mistiche della Kabalah (144). Si tratta, con molta probabilit, di un movimento di tipo ermetico-iniziatico del quale abbiamo un certo numero di riferimenti documentali, nessuno dei quali, tuttavia, utile a chiarirne l'essenza. N risulta particolarmente chiaro se le varie sette giudaiche operanti tra il I ed il III sec. d.C. fossero o meno collegate tra loro anche se pare certo che avessero molti punti sia di contatto che di contrasto (145). Il fatto che il raggiungimento della fase mistica richiedeva non solo un atteggiamento della mente e del cuore (che tutte professavano), ma anche un vero e proprio stile di vita, cio una speciale autodisciplina indispensabile al raggiungimento della conoscenza esoterica ed alla pratica della Merkabh (146). Per quanto qui c'interessa mi limiter a ricordare che il panorama dell'esoterismo giudaico si completa con un altro ordine autenticamente esoterico: quello degli "Zenin" (cio i nacosti, i celati) che oper non solo in Palestina, ma - dopo il 70 d.C. anche nella Spagna. Come nel caso degli Esseni, il carattere spiccatamente ermetico non ci consente di sapere se si trattasse di una parte distinta degli Esseni medesimi o se

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il diverso nome esprimesse unicamente la stessa realt in maniera diversa. Per certo si sa che "...essi presentavano le caratteristiche che contraddistingue tutto il misticismo ebraico antico e medioevale... ...che sta nel dare importanza alle lettere costituenti il nome divino in ebraico e, in generale, a certe combinazioni dell'alfabeto ebraico" (147). In questo quadro estremamente composito, un caso a parte costituito da Mos Maimonide (1134-1204), rabbino e docente di Kabalah spagnolo, instancabile viaggiatore. Egli costituisce la chiave di volta delle mie conclusioni e me ne occuper pi diffusamente nel prossimo capitolo (148). Note: 139. Kaplan, op. cit., pp. 48 ss. 140. La parola "zero" proviene dall'arabo "syphr" o "siphr" (= cifra), passato al latino medioevale come "zephr" con lo stesso significato. Tuttavia la scoperta dello "Zero" non dovuta agli arabi come comunemente si crede: Come concetto matematico era conosciuto gi ai babilonesi anche se questi utilizzavano un sistema di numerazione in base 12 (le Costellazioni) ed uno in base 60, indispensabile per il calcolo con numeri complessi. La numerazione posizionale consiste nel fatto che il valore del singolo numero varia a seconda della posizione che la singola cifra assume nel numero complessivo: da sinistra a destra avremo cos unit, decine centinaia etc. In senso esoterico e numerologico lo "Zero" ha un contenuto simbolico diverso perch rappresenta l'Essere indefinibile che corrisponde al cerchio puntato con il quale gli egiziani scrivevano il geroglifico di R. Nella sua essenza tale geroglifico era un determinativo che accompagnava il nome della Divinit [N.d.A.]. Platone riteneva che la matematica pura fosse alla base di ogni disciplina e che Dio stesso agisse "secondo geometria": si narra che avesse fatto scrivere, sulla porta dell'Accademia di Atene, il motto "Chi non matematico, non varchi questa soglia". Per questo motivo aveva in odio la matematica applicata e questo si spiega tenendo conto che la numerazione greca, come del resto quella romana, era simbolico ma non posizionale: ad esempio aggiungendo I al XMXIX si ottiene M. All'altro capo del mondo lo "0" era conosciuto dai Maya e forse anche dagli Olmechi. Ch. Berlitz, op. cit., pp. 55; "Dizionario dei Misteri", vol. 4, p. 17. In Cina, che pure aveva introdotto il sistema di numerazione decimale fin dal XIV sec. a.C., lo zero venne introdotto "solo" nel III sec. d.C. ("Dizionario dei Misteri" cit., p. 24: Robert. K. Temple, "China, Land of Discovery and Invention". Nella filosofia matematica, secondo Peano, lo zero costituisce una delle tre idee primitive della matematica, cio una di quelle idee che non necessitano di dimostrazione. "Bertrand Rusell, Introduzione alla Filosofia Matematica", Milano, 1967, pp. 22 ss. 141. Come ho gi rilevato, l'equivalente di quello che i frammenti del "Kybalion" chiama "Tutto" affermando "L'universo mentale, tenuto nella mente del Tutto" e ancora "Mentre tutto nel Tutto ugualmente vero che Tutto in tutto". Questo ripropone il primo assioma dell'esoterismo: il "cos in alto, cos in basso" della Tavola Smeraldina e della Kabalah. G. Bergamino, "La filosofia ermetica dell'antico Egitto e della Grecia", Milano, 1990, pp. 55 ss., 77 ss. 142. J.-G. Mandel, "I Tarocchi dei Visconti", in "Monumenta Longobardica", Milano, 1974 pp. 14 ss. 143. Infatti la parola "Teraph", di cui "teraphim" il plurale, era un termine di origine mitanna. Presso i Mitanni indicava i Numi Tutelari il cui possesso dava titolo alla successione ereditaria. Si pensi, allora, all'istituto della "benedizione" come forma di investitura successoria dell'epoca dei patriarchi come in Gen. 31,19; F. Barbiero, op. cit. passi vari.; ma anche J.-G. Mandel, op. cit.-. pp.14 ss. 144. Il termine "Esseno" deriva dal siriano "asaya" (= medico) e corrisponde al greco (= therapeutha). E. Schur (op. cit. p. 309), infatti ci ricorda che ufficialmente la setta degli Esseni esercitava funzioni di cura sia fisica che psichica. E Giuseppe Flavio ("Guerra Giudaica", II; "Antichit giudaica", 13,5-9; 18, 1-5) afferma che essi "...studiavano con molto impegno certi trattati di medicina che parlavano delle propriet occulte di piante e minerali...". Secondo altra fonte (ad esempio K. Richter, op. cit., p. 268) la parola significherebbe "santo". Ancora E. Schur (op. cit. p. 310) ci ricorda il caso di Mnahem che predisse il trono ad Erode e Filone d'Alessandria, nella sua "Vita contemplativa", ce ne descrive i costumi di vita: "...Servono Dio con grande piet non offrendogli vittime ma facendogli sacrificio del loro spirito. Evitano le citt e curano arti pacifiche. Non vi tra loro un solo schiavo; sono tutti liberi e lavorano gli uni per gli altri...". La Setta era organizzata in comunit classiste e ascetiche, di tipo iniziatico, caratterizzate da rituali comunitari e pratiche magiche. Avversari della classe dominante ebraica si ritirarono nella zona inaccessibile di Qumram in attesa del loro Messia e furono operativi tra il II sec a.C. ed il 135 d.C. Secondo alcuni esoteristi lo stesso Ges avrebbe vissuto la propria fanciullezza presso gli Esseni e sarebbe stato formato alle loro dottrine: Questo coinciderebbe con il periodo tralasciato dai Vangeli sinottici, ma in parte confermato dai Vangeli cosiddetti Apocrifi.

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In senso storico e dottrinario si contrapposero alle altre due principale sette Palestinesi dei "Farisei" (ipocriti ed affamati di notoriet) e dei "Sadducei" (materialisti). Sotto un aspetto politico, dunque, la setta esprimeva unicamente al tendenza all'associazionismo degli adepti mentre sotto l'aspetto filosofico tendeva ad un vero e proprio culto dell'allegoria come ci confermano Giuseppe Flavio, Filone d'Alessandria ed il "Talmud Palestinese". Il carattere esoterico e settario si rivela soprattutto nel fatto che evitarono accuratamente ogni menzione di se stessi e dei loro metodi, al punto da essere considerati completamente ignoranti (M. Heindel, op. cit. p. 391). Al tempo della vita pubblica di Ges la setta era quello che restava della "confraternita dei Profeti" (i Nazirei), fondata da Samuele che l'ostilit, della classe dominante e della casta sacerdotale, aveva spinto nella solitudine e nel silenzio. A quell'epoca erano rimasti solo due centri: il primo in Egitto, sulle sponde del lago Maoris, ed in Palestina, a Qumram. Questo dato storico sembrerebbe confermare i contatti con Ges. E. Schur (op. cit., nota p. 310), ma anche Filone d'Alessandria ("Logica") ci fanno infatti rilevare che l'Ultima Cena avrebbe riprodotto il loro costume di riunirsi in agapi rituali comuni. Presso di loro Ges, nel periodo successivo alla morte di Giuseppe e fino alla ricomparsa nella vita pubblica,, avrebbe maturato la dottrina del "verbo divino" (gi insegnata da Khrishna, dai sacerdoti di Osiride, dagli orfici e dai pitagorici e gi nota come "Mistero del Figlio dell'uomo e del Figlio di Dio". Il settarismo essenico, in prossimit della venuta del Cristo si accompagna al frazionamento del pensiero e dell'azione politica giudaica. I vangeli ci parlano di un gran numero di sette (scribi, farisei, sadducei, samaritani, erodiani, zeloti, sicari) mentre altre non sono nominate n nei Vangeli, n nei manoscritti di Qumram: tra queste ultime certamente la comunit essenica. Le notizie di questo periodo, pertanto sono sintetizzate da Filone, Giuseppe Flavio, ma anche Plinio il Vecchio e Ippolito romano. Vedere per tutti: Karl Richter, "La Bibbia e l'Antica civilt d'Israele", pp. 264 ss. 145. J. Abelson, op. cit. p. 28 e s. 146. La scena del "carro" quella descritta da Ezechiele e rappresenta Jehowah sul carro delle creature viventi che simbolizza il desiderio umano di "vedere la presenza divina e di accompagnarsi ad essa". La Merkabh, contrariamente a quanto sostenuto dal Ratzenstein, in effetti, proveniva da molto lontano, da sumeri, egiziani, babilonesi, mandei i quali affermavano che l'architetto del Tabernacolo del deserto "sapeva mettere insieme (lzarf) le lettere per mezzo delle quali il cielo e la terra furono creati" (sul potere magico delle lettere si vedano: "Talmud Babilonese Berachot", 55 a). Il potere magico delle lettere e dei numeri fa parte, del resto, dello zoroastrismo che l'aveva ereditato dai Sumeri (si veda Esodo, XXXI,3; Proverbi, 3,19. Inoltre Evelina Underhill, "Mysticism", pp. 95 e 107; J. Abelson. op. cit. pp. 101 ss.). 147. J. Abelson, op. cit. p. 17. Per gli autori antichi si veda Filone d'Alessandria, "Quod omnis probus liber", 12; "De vita contemplativa", ediz. Conybear, pp. 53; Giuseppe Flavio, "Antichit giudaica", XVIII,1,2-6; "Guerra giudaica", II; VII,2-13. 148. Di Maimonide nota la "Guida degli smarriti" (si veda il cap. LXII della parte I) nella traduzione inglese di M. Friedland, Routledge, 1906). In quest'opera, riallacciandosi alla tradizione del Talmud Babilonese Saddushin, riprende il pensiero del maestro abba Arika del III sec. d.C. e della Merkabh.

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