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Editorialeph
racconti

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A memoria, di Roberto Mandracchia Le sindacali otto ore lavorative, di Sem Galliani A Christmas tale, di Gero Miccich Il muro, di Andrea Coccia Intervista a Michele Mari, di Andrea Coccia
recensioni

La vita oscena di Aldo Nove, di Gero Miccich La cucina vista dallo scannatoio di Dario Lo Scalzo, di Renato Chiaro This is where we live di Janette Brown, di Giorgia Camilleri Daltro e daltrove: il libro come invito alla tolleranza, di Giorgia Camilleri

francotirature

Rivista di cultura e letteratura contemporanea e-Aleph numero 2, suppl. a El Aleph, numero 12, dicembre 2010 Registrazione n.827 del 31 ottobre 2005 presso il Tribunale di Milano. Testata calligrafica di Greta Bizzotto Heartfelt Graphic Design Studio - www.heartfelt.it

Editorialeph

Cara Lettrice, caro Lettore il quinto Natale che si passa ormai insieme, e chi lavrebbe mai detto che ci saremmo arrivati. Invece siamo qui, a propugnar parole, maledire questi tempi avvelenati, berci sopra della grappa, o dello scotch, o dellamaro, per non pensarci pi o solo per smaltire pranzi sempre pi pantagruelici ad onta della crisi. Ma s, caro Lettore, non pensiamoci, Natale. E questo e-Aleph giusto qui per dispensarti dalla fatica: ci hanno pensato i nostri autori a ricordarti che viviamo in un paese fastidioso. I matti pre-Basaglia di Mandracchia, il magazziniere-artista di Galliani, il precario scrittore natalizio di Miccich, lincazzato cittadino di Coccia. E poi, sempre a cinque anni di distanza, abbiamo fatto unaltra chiacchierata con Mari. E, tanto per continuare il discorso aperto nellAleph cartaceo, il numero 12, ancora considerazioni sul raffronto con laltro, il diverso tramite quel portale che sono i libri, di cui ci parla Giorgia Camilleri. E, last but not least, le recensioni delle ultime uscite in libreria. Ma lavete visto poi che tornato Baldarella in copertina? Proprio come cinque anni fa, quando tutto cominciato. Ai vecchi e ai nuovi auguriamo buone feste e, ovviamente, buona lettura. La Redazione

A memoria

di Roberto Mandracchia

Ho ucciso mia madre, dice Mavi che indossa una maglietta con sopra Yukio Mishima che esegue il suo seppuku, ho ucciso mia madre e dopo ho triturato i suoi resti. Mavi dice sempre questa cosa e Teresa - la cui obiezione di coscienza lha condotta fin l, alla clinica dei fuori di testa - la sa. A memoria. Ho ucciso mia madre, dice Mavi. S lo so e dopo hai triturato i suoi resti, continua Teresa accarezzando la testa rasata e brufolosa di quellomone da centodue chili per due metri daltezza. Un metro e novantanove, per la precisione, come sta scritto sulla sua cartella clinica. A Teresa, questa cosa dei novantanove centimetri, estorce sempre un sorriso. Ho ucciso mia madre, dice Mavi mentre fa lo sgambetto al Professore che come sempre misura coi propri passi il salone della clinica da destra a sinistra, da sinistra a destra. Il Professore casca per terra e resta sulle mattonelle bianche per qualche minuto - a Teresa ricorda una tartaruga rovesciata sul proprio guscio - poi si rimette in piedi, spazza la patta dei calzoni e sistema gli occhiali da vista. Il Professore soffre di DOC, disturbo ossessivo compulsivo, e prova qualcosa nei confronti di Teresa e anche stavolta le sussurra quei numeri - 4; 8; 15; 16; 23; 42 - che per lui sono una dichiarazione damore. Il Professore sussurra sempre quei numeri e Teresa li sa. A memoria. Il Professore spazza di nuovo la patta dei calzoni, sistema di nuovo gli occhiali da vista e riprende a misurare il salone. Mavi, intanto, gesticola in direzione di Carmen che sta con la schiena contro un muro e piange a dirotto. Come sempre le fanno male la schiena e il collo. Carmen soffre di disturbo algico: i dolori di cui soffre sono causati soltanto dalla sua psiche; non vi nessun altro riscontro. Oggi vi giuro muoio, grida Carmen e grida sempre questa cosa, ogni giorno, e Teresa la sa. A memoria.

Carmen si stacca dal muro e, continuando a piangere, inizia a togliersi i vestiti, singhiozzando, fino a quando un inserviente nota la scena e laiuta a indossarli di nuovo. A Teresa non sfugge lindugiare delle mani dellinserviente sul reggiseno; del resto Carmen una bella donna, ancora, nonostante tutto: solo una rosa appassita da un dolore che non avrebbe ragione di esistere. Altri due mesi e Teresa esaurir la sua obiezione di coscienza e prover a cercare un lavoro e conoscer qualcuno che le proporr delle cose bellissime che lei non potr rifiutare di ricevere e che ricambier fino a quando da qualche parte negli anni a venire chiuder gli occhi, per sempre. Anche tutto questo Teresa lo sa. A memoria. Ho ucciso mia madre, dice Mavi. Oggi vi giuro muoio, grida Carmen. 4 8 15 16 23 42, sussurra il Professore. Qualcuno quella mattina, sfruttando la condensa, aveva tracciato sul vetro di una delle finestre, col dito, qualcosa che somigliava alla sagoma stilizzata di un albero di natale. Poi il salone si riempito, i riscaldamenti sono stati accesi, e quel qualcosa era scomparso.

Le sindacali otto ore lavorative


di Sem Galliani

Gesualdo Mastropiccolo era piuttosto stanco dopo la giornata di lavoro in magazzino. Le otto ore sindacali. Le insindacabili otto ore sindacali. In verit si era trattenuto pi del dovuto, essendo arrivato ben quarantadue minuti in ritardo. Ma si era trattenuto ben pi di quarantadue minuti. Per parlare col suo superiore, che trovava simpatico. Gesualdo faceva il magazziniere ma non era un magazziniere, non era nemmeno un operaio. Lui era un artista. Non sapeva perch ma era un artista. Fare il magazziniere gli permetteva di restare un artista: se avesse fatto lartista avrebbe finito per fare loperaio, e lui non voleva fare loperaio: lui era un artista. Era stanco dopo le otto ore sindacali o meglio dopo le nove e mezzo, poich si era trattenuto pi del dovuto: senza pertanto percepire alcun straordinario, sia chiaro: si era trattenuto per sua volont, poich trovava simpatico il suo superiore. Ma una volta tornato a casa, dopo i tre minuscoli panini con provola affumicata mangiati in piedi al freddo e con la fretta di tornare al lavoro si disse: Cazzo che fame! Allora decise di mangiare lindomani alle sei la sveglia sarebbe suonata, doveva mangiare qualcosa nella pi totale solitudine prima di addormentarsi nella pi totale solitudine e Deo gratia senza neppure un tubo catodico dinanzi al quale rimbecillirsi un poco. Si fece ordunque allor due belle bistecche di maiale, la sola cosa che avesse aveva fatto una economica spesa pocanzi, e da tempo poi non manducava porco. E guardandole, pur pregustandone il sapore si disse: Ecco, se io fossi vegetariano quale orrendo crimine starei per commettere! Divorare cos impunemente un povero suino, tanto ingiustamente beffato dallabitudinario pensiero collettivo: mentre in verit si sa, il porco alquanto morigerato, almeno per

quanto riguarda le abitudini sessuali. Certo, il porco mangia di tutto, e del porco non si butta via niente, e per amore del lardo si bacia il culo al porco. Non importa che luomo sfrutti e distrugga luomo, non importano i diritti umani: limportante assicurare i diritti al porco, che in quanto creatura innocente NON DEVE essere mangiata. Gi ma luomo non una creatura? Ma oh che bello non sono vegetariano n tantomeno animalista! Posso quindi dirmi felice di divorare queste bistecche di porco senso di colpa alcuno! Ma poi, masticando soavemente la preziosa suina carne, torn a pensare: Ecco, se io fossi musulmano quale orrendo peccato starei per commettere! Il nostro profeta Mohammad avrebbe detto chiaramente che chi mangia carne di porco allinferno finir! Si pu fare di tutto: spacciare droga, tagliare la gola a chi veste alloccidentale e massacrare chi non adora Allah, imbottirsi di tritolo per punire gli infedeli, comprare e vendere armi, arricchire luranio per preparare la guerra nucleare che distrugger il mondo ma: guai a mangiare carne di porco! Altrimenti dritti allinferno si finir. Invece se non mangi carne di porco in paradiso finirai in paradiso: dove ci saranno settanta vergini per ogni devoto di Allah. In effetti come dice il saggio Tango - di vergini sulla terra non ce n, debbono giocoforza trovarsi tutte nellislamico paradiso. Ma la domanda sorge spontanea: se io, essendo vergine, mi trovassi a mestierare con ben settanta vergini, come andrebbe a finire? Nessuno pu dirlo ma forse: un fiasco totale! Ci saranno manuali di istruzioni sul sesso in paradiso? Ma il sesso non peccato? E deflorare una vergine non anche peggio? E settanta? E poi chi mi assicura che questa storia sia vera? E ancora e soprattutto: ma a me che cazzo me ne frega? Io sono un artista. No, lislam non fa per me. Ah, che buona la carne di porco! E non sto nemmeno peccando!. Ma il porco chiama il vino, e come poi gustar un buon o due buoni bicchieri di vino senza manecare suina carne? E allora Gesualdo vers un bicchiere di vino, lo gust alternandolo alla masticatura di maiala carnazza ma al secondo bicchiere un dubbio lo colse e si ferm a pensare: Ecco che bevo vino. E mangiando porco pergiunta! Ma se fosse vero quel che dicono i muslms? Mi starei scavando la fossa Vino e porco: un mix micidiale! No, devo, devo ravvedermi! Ma che buono questo vinello e non costa neppure tanto e che buono accoppiato al dolce suino Ma che dico! Questo peccato, peccato mortale! E io tranquillamente mangio porco e vino bevo anzi allegramente sbevazzo e carnazza divoro! Per buono questo vinello e il porcello, wow! e poi e poi e poi.. Ma s! Ma tanto morir lo stesso, sia chiaro, anche se mangiassi insalata tutta la vita! Gi, linsalata: e perch mai la verdura non dovrebbe essere considerata creatura? Fa anche rima: verdura creatura creatura verdura creatura verdura. La verdura che buona la verdura! Ho un po di insalata e di broccoli lessi, s sono in frigo da sabato e oggi luned, ma secondo me sono ancora

buoni. Gnam gnam! Che mangiando verdura col porco si digerisce meglio la proteica suinit! Chi vuol esser lieto sia ma soprattutto: buon appetito Gesualdo! Ah che sollievo, non debbo punto preoccuparmi di cosa mangio o bevo e bada bene Gesualdo: ho dimostrato il tutto con la sola logica, ah la logica! e addent la seconda bistecca suina altalenandosi di tra un sorso di rosso vino e una spudorata masticata. Si sentiva spudorato. Ma Il pudore negli occhi - si disse: e in effetti, lui era l solo, non stava violando lo sguardo di alcuna presunta femmina, stava solo masticando con soddisfazione carne di porco e vino rosso. Sul finale della sua lautamente parca cena si disse: Ohib! Qui ci vuole una sigarettina! e prese il suo tabacco senza conservati n additivi, le sue cartine e i suoi filtrini, e roll una sigarettina per sfrugolarsi un pochetto il palato deliziato da tanto vegetarislamico peccato. Ma tosto chebbe appiccato il sigarino si disse: Gesualdo, non rimembri il proverbio! Bacco tabacco e venere riducono luomo in cenere! Certo qui ora venere non c, se non sotto le assai mentite spoglie di una suina bistecca propos: ma bistecca verr forse dallanglosassone beef steak? Stecco di manzo? Mah. Come direbbe Piero e Alberto Angela: non lo sapremo mai. Piero e Alberto Angela sono una persona sola: Angela. Piero e Alberto sono due epteti. Certo qui ora venere non c, se non sotto le molto mentite spoglie di una deliziosa, insuperabile, superba, titillante e dileticante, provocante suina bistecca! Ma pur ingerisco bacco e tra poco stabaccher tabacco: mi ridurr in cenere? Ma a conti fatti e a ben vedere, mi ridurr in cenere igualemente! E allor perch non stabaccare una pagliuzza? Eh, se fossi protestante, chess, evangelico: come quella ragazza di cui mi ero innamorato tanti anni fa, e bada bene Gesualdo! Lamasti follemente per quasi due giorni! Lei era evangelica, ma tu ignoravi totalmente che significasse e non ti interessava punto: ti faceva impazzire la sua bellezza, il suo sorriso puro o presunto tale pareva venire da Dio in persona bellezza, che forse oggi non ti risveglierebbe pi nulla ma allora, oh allora: le dedicasti una poesia! Una, addirittura una poesia! Tu, illetterato dun Gesualdo, pi ignorante di un bufalo che altra pena non si dia che masticar strame e defecar letame! Una poesia! Non due, ma ben UNA poesia! E dopo il primo incontro, ahi che dolzore, dolcezza e dolore, passeggiando per la piazza del milanense Duomo (lei neppure un istante ti guard in volto, voglio dire occhi negli occhi, ma pur tu ne eri rapito), dopo il primo incontro ella ti invit a una sottospecie di messa evangelica, dove senza fallo apprendesti che: chi fuma una sigaretta finir allinferno, chi beve alcolici verr escluso dalla evangelica comunit dopodich finir allinferno, chi fa sesso attirer lira di Dio fino alla distruzione totale dellinfingardo essere che tanto abbia osato e tu, Gesualdo, ti sentisti una nullit, una merda, e chiedesti perdono alla merda per esserti paragonato a lei,

infinitamente pi buona e certo molto pi profumata (in settimana chi lo trova il tempo per lavarsi? Ah le sacrosante otto ore sindacali che talvolta divengono nove, nove e mezzo). E grazie dico, grazie! Grazie poich non sono protestevangelico! Certo lei non mi amer mai, ma chissenefotte! E comunque non debbo temere di essere escluso dalla comunit, poich non ne faccio comunque parte! Quindi posso pur bere un bicchier di vino e fumar un sigarino senza pensare al castigo eterno sanza fino!. Ma proprio in quella, un pensiero stravolse la mente di Gesualdo: Il castigo Ma che sar mai questo castigo? Ma che sar mai questo inferno? Ma esiste davvero? E io sono votato a questo, questo il mio destino? Ma cos linferno, cos il castigo? - ma proprio in quella il suo pensierare venne interrotto dal becero suono del citofono, veloce voce, improvvisa. E Gesualdo si rimase a dir poco un poco interdetto: erano ormai le ventidue e sedici di luned, entro breve egli si sarebbe coricato per gustar le sia pur poche ore di sonno permesse dalle infinitamente giuste otto ore sindacali, chi mai poteva essere, perch mai qualcuno si sarebbe poi permesso di disturbarlo quando si accingeva al riposo del giusto? Pure, rispose, e disse: Chi ? Gesualdo, apri, sono Ges! Ge chi? Ges! Gesualdo, apri, sono Ges! Sono venuto per mangiare con te! Apri! Ma io ho gi mangiato! Non vorrei fare indigestione! E poi tardi! E chi sei tu? Strano nome: Ges! Ma del cibo che io ti dar non ne hai mai mangiato prima dora e vedrai: lo digerirai benissimo. Su Gesualdo, apri che fa freddo! Gesualdo era perplesso e pens allinfinito di codesto verbo dicendosi: perplimere? Mah forse che s. Nondimeno apr allo sconosciuto avventore che lo chiamava per nome quasi che presagendo qualcosa di sconvolgente e pur tanto abbracciante. Gir la chiave nella toppa e dopo pochi minuti vide apparire sulla soglia un tizio vestito da mendco, che si lev la cappa di capo e pudco lo mir con raggiante sguardo: Gesualdo! Ce ne ho messo di tempo per trovarti! Nessuno pare conoscerti, mi son dovuto affidare allistinto, come direbbe Al Pacino in Carlitos Way: e infine ti ho trovato! Gesualdo rimase impressionato dalla luminaria del volto dello sconosciuto, pareva che il sole fosse aggiunto di un altro sole e anche pi, ma non seppe dire altro pi che: Ges?

Gesualdo, I suppose? - rispose il luminoso mendco. E aggiunse: Ho fame Gesualdo, dammi qualcosa da mangiare! Linverno di Milano troppo freddo, e da dove arrivo io fa un caldo che neppure il solarium Akehnaton potrebbe riprodurre con le sue artificiali lampade! Ma Gesualdo disse: Mi perdoni signor Ges, purtroppo ho mangiato tutto, o quasi: mi resta qualche avanzo di porco ossa e un po di grasso e un poco di vino: di pane, solo qualche briciola ma rafferma, risale a sabato scorso, quando Fiammetta e Cecilia sono venute a trovarmi!. E Ges disse: Lo so bene Gesualdo, conosco bene Fiammetta e Cecilia: una parla tanto, laltra pochissimo, e tu le ami entrambi se pur in maniera diversa ma igualmente con la tua gesualdica demenza, e so bene: sono due esseri incantevoli: su in Paradiso le ammiriamo tutti e ci commuoviamo al loro eneadico e pur goffo incedere ridendo come pazzi! - ma Gesualdo lo interruppe: Ma Ges, or io mi accorgo che tu sai tutto, almeno di me, e siccome io sono la sola persona che veracemente conosco, tu sai tutto di tutti, ma dimmi ordunque: allora il paradiso esiste? E tu chi sei? E se il Paradiso esiste, io ne sono gi escluso?. Dmmi qualcosa da mangiare Gesualdo, ho poco tempo e troppa fame, e che freddo fa qui a Milano!. Ma Gesualdo ripet: Non ho che qualche briciola di pane raffermo, qualche avanzo di porco, e neppure possiedo un granch di vino or che risguardo bene: lho bevuto pressoch tutto! - e si vergogn profondamente. Ges disse: Dmmi quelle briciole di pane raffermo e quegli scarti di maiale e quel poco di vino e dimmi: credi in me? Gesualdo: Signore, non so neppure chi tu sia, e tu mi chiedi: credi in me? Ebbene s se devo essere sincero, ti credo: se avessi sospettato qualcosa non ti avrei mai fatto salire alle ventidue e sedici, e domani devo andare a lavorare! S Signore, credo in te, qualcosa mi dice che posso e debbo fidarmi di te: listinto, lanimale istinto. Ges cominci a parlare in una lingua stranissima, e Gesualdo ascolt ma senza comprendere nulla, e pur vide accadere sotto i suoi occhi la cosa pi incredibile che mai avesse visto: le briciole di pane raffermo divennero filoni di fantastico pane ai cinque cereali, il suo preferito! e la fragranza era tale che neppure i prodotti da forno scongelati esselunga avrebbero potuto far di meglio, e gli scarti di porco divennero un grande fumante arrosto di maiale con patate che delizi il palato di Gesualdo al solo profumante piacere, e il poco vino rimasto: si trasform magicamente in due fiaschi di amarone vendemmia duemilasette, e Gesualdo esclam: Ohib! Signor Ges, ma come hai fatto! Se sei un mago di questo livello saprai certamente dirmi: cos mai questo inferno di cui tutti parlano e di cui ho tanta paura, pur non sapendolo narrare con personale parola? Cosa mai significa?.

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Ges disse: Mangiamo adesso, Gesualdo, ho fame e freddo la cosa pi importante la vita, e la vita il bene, con la B maiuscola, tu lo sai bene: linferno esiste solo per chi ne ha paura. Tu non preoccuparti troppo, a ogni giorno basta la sua pena. Vieni, mangiamo questo delizioso porco che il Padre ha provveduto per noi e innaffiamo lugola col buon vino che sempre il Padre ci ha provveduto, poi mi offrirai un sigarino di quel ottimo tabacco che ancor possiedi vero? E poi dopo il sigaretto, andremo innanzi a trangugiare amarone per lucidare lugola, e tu tirerai fuori la chitarra e canteremo assieme i salmi di De Andr, che piacciono tanto a tutti in Paradiso: vedesti come ne va matto san Bernardo! Ma insieme a lui Zappa e Tognazzi, e non ultimo Marco Ferreri, insieme a Franco Basaglia e Jerry Garcia ma quanti, oh quanti altri amano il buon vecchio De Andr! Tantissimi, invero te lo giuro! Oddo sto giurando, avevo detto pur di non giurare! E ho detto Oddo e io non impreco solitamente, mah questo amarone non male davvero! Maria, mia madre, ama tantissimo quel disco che anche tu ami tanto: La Buona Novella e non solo: non al denaro non allamore n al cielo, ma mia Mamma ama tutte le canzoni di Fabrizio! Ors amico mio, andiamo, Gesualdo, cantiamo, lasciamo che il vino ci inebrii il cuore di quella dolcezza che solo lamore sa immaginare e fingere nel pensiero - a ogni giorno basta la sua pena cantiamo, che poi domani dovrai tornare alle tue pi che giuste sindacali otto ore lavorative.

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A Christmas tale - Basta un albero di pino per scrivere un racconto di Natale


di Gero Miccich

...un racconto di Natale! chios il direttore quando gli domandai spaesato cosa dovessi scrivere per il prossimo numero della rivista che sarebbe sorto dalle oscurit topografiche in occasione delle festivit natalizie. Qualcosa che piaccia alla gente, che dia da riflettere alle menti limitate dei nostri lettori ma non troppo, eh!, mica possiamo rompergli i coglioni sotto lalbero e che soprattutto incarni lo spirito del Natale... e blablabla sui buoni sentimenti ma attenti a non trascurare che ci sono anche problemi sociali, che oggi siamo tutti in mezzo a una strada e il Natale solo ghirlande e strenne colorate non funziona pi quando sei precario e non sai con che soldi comprarli, i regali, continu accompagnandomi alla porta mentre le braccia gli sguisciavano rapide nel cappotto, ch era tardi e doveva andare a prendere pandori e cotechini e spumante che leditore gli aveva commissionato e non sapeva ancora nemmeno in quale discount comprarli ( che costa tutto un occhio della testa, caro mio, possiamo mica spendere tre euro per un pandoro di marca anche se cha lo zucchero vanigliato? Moltiplicalo per ogni redattore, e i segretari, i lavacessi, gli uscieri e gli informatici... ah, far quadrare i bilanci, caro mio, con i budget che abbiamo! I bilanci, con questi sussidi, che sulla carta stampata si muore di fame! Vendere pi copie e pi marketing, quello il segreto, pi marketing!). Rimasi fermo e un po intirizzito appena fuori dalluscio, col palmo della mano spalancato e gli occhi intontiti in direzione del direttore che sallontanava ancora cianciando di spazi pubblicitari e partite doppie e, man mano che quel trottolame di parole frettolose andava dissipandosi, capivo di non aver ancora compreso cosa diavolo volesse trovare sulla sua scrivania: cosa voleva dire che avrei dovuto scrivere un racconto di Natale? Come si scrive un racconto di Na-

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tale? Parlando dei complessi dadulterio delle renne di Santa Claus? Dellafflato di bont che pervade anche pedofili e netturbini davanti alle innevate vetrine luccicanti prima di tornare a inculare i ragazzini non appena passato Santo Stefano? Per placare quel marasma di sillabe confuse che ancora mi rimbalzavano come biglie di gomma fra le pareti della calotta cranica, cominciai ad alimentare i passi; che poi eravamo 8 gradi sotto lo zero e il freddo mi entrava pure nei pantaloni, e pensai che non sarebbe stato male avere un paio di quei mutandoni di lana che una tizia di Bormio mi aveva detto una volta che suo nonno continuava ad usare e dinverno non li lavava mai, che la lana di pecora poi si infeltriva e gli faceva male alle zone inguinali, e sua madre (la madre della tizia, che per era anche la figlia del nonno) ogni volta si lamentava e diceva che era sporco e puzzava peggio di una capra impastata di bitto, e che quando si arriva a una certa et si peggio dei bambini. Ma io dovevo elaborare un racconto di Natale che mi avrebbe comunque fruttato qualche soldo per le sizze e uno spumante un po migliore della sottomarca che andava cercando il direttore e, privo di mutande lanuginose a schermarmi dal freddo, continuavo a rimuginare zigzagando per i porticati come facevo da bambino con la bicicletta, quando finivo sempre a sbattere contro le buste della spesa delle signore, spesso cos forte che gli scappavano di mano e per terra era un campo minato di galbanino e tegolini, a volte pure uova di quaglia e latte Stella in vetro, e io dovevo esser rapido a fuggire da quegli striduli lamenti manco fossi uno scippatore a cui tagliar la mano, ma adesso non ero sulla bici, ero sulle mie converse nero slavato che non so chi cazzo me lo faccia fare a infilarle ogni volta con impremeditato automatismo, e sono cos distratto che praticamente questo accade ogni volta che metto il naso fuori casa, le ho tanto logorate che sono ormai una schiumarole da passeggio, buchi qua e l ai lati, sul dorso del piede, e gi che a dicembre centrano poco le scarpe in tela sui sanpietrini sdrucciolevoli di brina, fatto sta che i piedi li sentivo un blocco tiglioso, ununica rocca di sale. E ancora non avevo idea di cosa scrivere: forse un racconto con protagonisti barboni o mendicanti, i poveri a Natale suscitano compassione e tenerezza, e poi simpatica la loro fiatella avvinazzata, il ghigno sdentato, la barba sporca di residui di cacio, sono tanto natalizi messi l a scaldarsi le mani avvolte in guanti a mezzodito sulla fiamma che ondeggia nei bidoni al cherosene, pensavo, e azzardavo una trama, la storia di un barbone monco che ogni notte rutta, beve e sevizia i topi. Una sera, barcollando verso il suo loculo di cartone e terze pagine di corrieredellasera, tra le imprecazioni dei colleghi barboni gi accucciati a cui molla qualche calcio involontario, gli appare un vecchio grasso, barbuto dalla giacca rossa. Si presenta come Santo Nicola. Il barbone gli risponde levando al

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cielo una bestemmia, ora doveva tornare alla taverna e dirgliene quattro, che al proprietario glielaveva detto, basta con il barbera delle bustine che poi mi sento male e finisce come lultima volta che ho parlato per mezzora della semifinale di coppa Italia con un ratto gigante a mezzo baffo e il giorno dopo gli altri barboni mi hanno detto che invece era lAlcide, il mendicante che puzza di vongole crude e cimici spiaccicate sulla lamiera, quello di cui tutti hanno paura per cosa possa uscirgli dal profondo della gola quando parla e mai nessuno gli si vuole avvicinare. Ma Santo Nicola dice che invece proprio lui, e non lAlcide, che lo segue da molto tempo e che sa che stato molto cattivo; ma siccome Natale ha deciso di dargli una possibilit, e lo render ricco come mai lo stato se comincer a fare il bravo, e gi immaginavo la faccia del barbone sporco e allampanato illuminarsi, le pupille strabuzzate allargarsi e mi sentivo entrar dentro i suoi dubbi, nelle sue valutazioni, diffidenze, aspettative, dritto nel cuore della storia, e l stavo immergendomi a braccia piene come un sub nella gioia della barriera corallina, se le urla di masse di studenti contro il governo e la riforma scolastica non mi avessero tirato fuori di botto dal mood narrativo mentre attraversavo la piazza che era tutto un vociare, un crepitare di slogan e cori da stadio, un mercato di richieste di diritti e difesa del pubblico avverso al privato usurpatore. E pensai che non era proprio possibile per uno scrittore vivere in citt, cos molesta di grida e rumori urbani, come facevo a impegnarmi a creare cose utili per allietare tanta gente sotto lalbero se tutti quegli idioti seguitavano a far baccano. E neanche ci potevano tutti quei poliziotti incascati, quelli tentavano di portare un po di calma con i loro manganelli ma gli studenti erano troppi, sembrava lorda di Balduvia, e per giunta avrebbero lamentato un comportamento eccessivo da parte dellautorit, e tutti l a dargli ragione, ma loro, gli sbirri, alla fine erano come professori, e una volta non si bacchettavano gli studenti per mantenere lordine in nellaula? E tutti sti problemi per il manganello al posto della bacchetta! Ma ognuno pur sempre figlio del proprio tempo, no? Ma non avevo tempo per pensare alle problematiche delleducazione dei giovani in Italia, bastava gi quel professore mezzo comunista e napoletano, dovevo trovare un racconto di Natale da proporre al direttore e avevo lasciato il mio barbone a met. Pensai che Santo Nicola potesse fargli firmare un contratto dove il bonario clochard si prendeva limpegno di sostituirlo definitivamente nei suoi impegni di Babbo Natale, ch lui ormai era troppo vecchio per star tutta la notte sveglio in giro su una slitta con quel freddo, scivolar per i camini in giro per il mondo, che poi alcuni erano davvero troppo stretti e lui non era mai riuscito a seguire una dieta regolare; troppi sforzi, e lartrite e la sciatalgia non gli davano pi pace, troppo dura, davvero troppo dura la vita da Babbo Natale, caro il mio ubriacone, gli diceva. Perci aveva deciso di dar via tutto: vestito, renne, barba, stivali, vischio, perfino il laboratorio. Cos il barbone firmava il contratto

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tutto contento di diventare un Santa Claus e, dato che il santo diceva che avrebbe dovuto cominciare da subito e non cera tempo da perdere, che la Vigilia era alle porte, prendeva la sua roba un cucchiaio ondulato con il quale ravanava fra i cassonetti, una crosta di tumazzo salato trovata un mese prima nel retro di un ristorante siciliano e un paio di giornali che fa freddo, e non si sa mai e seguiva Santo Nicola fino alla slitta, pensava, e invece no, cha la macchina, Nicola, che te lho detto che ho lartrite e la slitta decappottata e tutta lumidit si butta sulle ossa, quindi ho preso questa panda in leasing, che con la crisi che c non pi possibile fare follie, non siamo pi nella prima repubblica con la lira, questauto ho potuto comprare, ed pure parcheggiata in doppia fila e bisogna sbrigarsi che i pinguini non risparmiano nessuno, soprattutto a Natale. Cos arrivavano a una panda rossa, a dir il vero un poco scalcagnata, e il barbone saliva senza troppi complimenti e gli chiedeva, si va a prendere laereo?, ma quale aereo, rispondeva Santo Nicola, e come ci arriviamo in Groenlandia o a Rovaniemi con sta specie macinino?, osservava con piglio raziocinante il buon clochard, ma quale Groenlandia, Lapponia e Ciociaria, io cho sedi in tutto il mondo e tu puoi lavorare comodo a due passi da casa, ma io non cho una casa, ribatteva il barbone, e allora vivrai in ufficio, sulla slitta, dormirai sul divano o al caldo nel culo della renna ma adesso basta con ste domande del cazzo! Cos arrivavano davanti a un capannone a Quarto Oggiaro dove Santo Nicola avrebbe fatto scendere il barbone dicendogli che dentro il suo assistente, il classico folletto, gli avrebbe spiegato tutto, che lui doveva andare via subito per riconsegnare il tesserino da Santa Claus e chiudere le ultime pratiche burocratiche. Il barbone pensava allora che quel Santo Nicola era proprio un tipo strano ma chissenefregava, ora aveva un lavoro e una casa e i suoi problemi dopo tanti anni di patimenti e scarafaggi erano finiti, che ora si sarebbe comprato bottiglie di Chianti e Marzemino, altro che vino in polverina, e il Passito coi biscotti alla mandorla, e guanti in camoscio e uno scaldasonno per la schiena, che Santo Nicola si lamentava ma pure a lui le ossa non cantavano di gioia, e quindi apriva la porta di lamiera, percorreva un breve buio corridoio e arrivava infine in una stanza dove dietro a una scrivania stava un signore in camicia, bretelle, rughe, occhiali e ascelle pezzate di sudore. Guardandolo gli avrebbe detto Salve, sono il nuovo proprietario, e il tipo avrebbe alzato il capo un po spaesato ma subito una punta di luce avrebbe baluginato dietro le lenti arabescate di graffietti, e si sarebbe presentato, che lui era il ragionier Folletto e menomale che era arrivato il nuovo proprietario perch non se ne poteva proprio pi del signor Nicola, che Santo faceva solo di nome ma di fatto, eh sapesse, altro che santo!, guardi che cosa ha fatto, guardi i conti. Allora il barbone scopriva di aver acquisito a titolo gratuito dal sedicente sig. Santo Nicola, imprenditore con precedenti per truffa e falso in bilancio nato a Molfetta nel 42, lazienda Babbo Natale s.r.l., impresa produttrice di oggettistica nata-

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lizia sottoposta a fallimento dopo aver dovuto stoccare migliaia di penne stilo eco-friendly prodotte per sbaglio con ortica al posto del vischio e altrettante zucche di Natale rimaste invendute perch fuori stagione. Il ragionier Folletto era il curatore della procedura concorsuale e cominciava a spiegare al barbone dei creditori insolventi da soddisfare, dei collaboratori da liquidare, degli altri debiti a cui far fronte; e che nei giorni successivi ci sarebbe stata listruttoria fallimentare, bisognava presentarsi in udienza davanti al giudice, adempire mille doveri per essere rispettabili, e non farsi interdire, che la posizione del fallito non mica facile oggi davanti alla legge. Il barbone allora avrebbe realizzato che, s, la vita una tempesta, ma prenderla nel culo davvero un lampo, e sarebbe fuggito via, lasciando il ragionier Folletto tra i conti e le carte macchiate di caff dorzo, e sarebbe corso indietro, sino al suo vicoletto, dove un altro accattone aveva gi occupato il suo angolino. Lui si sarebbe limitato a calciarlo via a pedate e non lo avrebbe buttato dentro al bidone di cherosene, perch a Natale si tutti pi buoni e non si d fuoco a nessuno, e il racconto si sarebbe potuto chiudere con una edificante morale, che bisogna accontentarsi di quel che si ha ma soprattutto di quel che non si ha, e che bere il barbera delle bustine non poi cos male anche se al fegato a lungo andare non fa poi tanto bene. Ero raggiante ed entusiasta della mia idea, mi sentivo gi un Nobel dei racconti natalizi, lEnzensberger delle storie di Natale, tanto che pensai di chiamare il direttore e comunicargliela subito, quella favolosa trama. Il direttore rispose subito al cellulare, ma mi disse di sbrigarmi che stava trattando con dei cinesi per lo spumante e aveva gi le palle girate perch non capiva unacca di quel che dicevano. Cominciai pomposamente a spiegargli del racconto ma subito mi blocc, dicendomi che i barboni facevano soltanto deprimere la gente che al giorno doggi era quasi tutta sul lastrico, e di non permettermi pi di pensare scemenze simili, di ideare piuttosto una storia fresca e divertente, magari anche un poco commovente e adatta alle famiglie, e che io ero un cretino. Riattacc e rimasi solo, a testa bassa, sentivo i miei testicoli afflosciati. Ero rattristato, e ovviamente lambiente della grande citt attorno non mi aiutava, con tutte quelle lucine timide ed educate, le decorazioni ad attorniare le vetrine dei negozi, i compti Santa Claus sorridenti per le vie. Il giorno prima avevo sentito che a Napoli e Palermo per le strade era tutta una festa, la gente sparava, ballava e bruciava pure i cassonetti, quello s che era vivere lo spirito del Natale, al sud s che sanno come festeggiare. Quasi quasi stavo per rimpiangere i facinorosi studenti delle piazze, ma in realt mi mancavano i cannoli e i panini con la musa, e la mia mamma che stava gi in Sicilia, avrei avuto voglia di telefonarle ma la chiamata al direttore mi aveva tolto alcuni dei pochi centesimi di ricarica restanti, il messaggio del credito residuo parlava chiaro, e a me non andava di rimanere a zero. Non mi persi danimo e, arrestatomi davanti a un cinema, presi una sigaretta,

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trassi lo zippo dal pacchetto e portai la mano allaltezza della bocca. Tenevo gli occhi fissi sulla fiamma mentre ascoltavo lo sfrigolare del tabacco e aspiravo la boccata daccensione e, quando abbassai il braccio per far scivolare laccendino dalle dita sino alla tasca, il mio sguardo rimase ancora dritto in quella direzione, catturando la locandina del film in programmazione: ero di fronte al fotomontaggio del classico cinepanettone, su cui si stagliavano, in primo piano, la coppia di attori di punta, la bella e scosciata di turno con dcollet in rilievo e qualche comico da zelig a far da riempitivo. Parevano tutti felici nei loro sorrisi furbeschi, inebetiti, seducenti, ogni anno andavano in una nazione diversa dove gliene capitavano di tutti i colori e tra rutti, equivoci, scorregge, qui pro quo, scambi doggetti e di persona, riuscivano sempre nellintento di far divertire il pubblico di famiglie in sala, e soprattutto a sbancare al botteghino. Mi illuminai e, fermentando nuovamente di esaltante slancio creativo, mi lanciai nellelaborazione di una nuova trama: i due protagonisti principali sarebbero stati Aristide, manager milanese di unagenzia di rating, e un giovane cameriere napoletano detto Gianco. Il primo si fa il culo tutto il giorno appresso a matrici, indicatori e investment grades, ha tanti soldi ed sensibilmente stressato ma, in prossimit del Natale, stanco della grande citt e del freddo da cani, decide di staccar la spina e di far un bel viaggio in Thailandia. Il secondo lavora in un bar del centro e, stanco di servire Veuve Cliquot a signore in chiffon e uomini con Rolex Daytona scintillanti ai polsi mentre lui arriva a malapena a fine mese, decide di andare via e di farlo in grande stile annaffiando di spritz la capoccia dellennesimo business man meneghino che gli si lamenta della scarsa qualit dello spumante, rovesciando un Martini sulla scollatura della signora che lo accompagna, e causando cos la tipica gag del matre che tenta di recuperare loliva per porre rimedio causando invece scandalo e riprovazione nella cliente. Lieto della libert ritrovata, ma al contempo un po incazzato e, a dirla tutta, notevolmente preoccupato per la propria sussistenza, entra in un bar, e per caso sente un tizio dire a un altro cameriere che lo ha raccomandato per lavorare in un hotel di lusso in Thailandia nel periodo di Natale. Lui ghigna, e ricorda quello che diceva suo zio, che la Thailandia piena di massaggiatrici e donne voluttuose e dalla figa stretta e piccolina. Decide allora di aspettar fuori laltro cameriere, con linganno lo chiude in un camion-frigo che trasporta pesci spada in Uruguay, gli ruba la lettera di raccomandazione e parte, intenzionato a far qualche soldo e restare in Asia in cerca di fortuna. Partono separatamente, e nessuno sa nulla dellaltro. Capitano casualmente nello stesso albergo e si stanno subito sul cazzo, perch il tizio dellagenzia di rating ordina uno spritz e si lamenta della scarsa qualit dello spumante. Il cameriere gli rovescia addosso lo spritz, e rischia di essere licenziato ma si salva dicendo in lacrime al direttore (per caso anche lui napoletano) di essere inciam-

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pato sul piede del cliente, il quale lavrebbe fatto apposta infastidito dal suo accento meridionale. Si odiano a prima vista, ma potrebbe finir l, se entrambi non si innamorassero di Suva, procace animatrice thailandese tutta sorrisi mentadent e poppe al vento, la quale attratta dalla spontaneit e genuinit di Gianco, ma non indifferente al blocchetto dassegni di Aristide. La storia prosegue con questi tizi che fanno la corte alla bella ed esplosiva Suva, fra lazzi, sberleffi, divertenti equivoci e colpi di scena, fra cui larrivo in albergo del vero cameriere scagliato fuori dal camion-frigo dopo lurto di una scaffa appena passato lo stretto di Panama e la sorprendete scoperta che Aristide ha una moglie vacca dalla quale scappato ma che venuta a cercarlo fino in Thailandia, e tutti litigano e si azzuffano finch non si arriva al finale prima del quale mi sono gi rotto i coglioni di sforzarmi a immaginare una storia cos terribilmente idiota pure per me che voglio solo tirar su qualche soldo, figurati per linstupidito spettatore medio dei cinepanettoni, e tutto finisce con un bello tsunami che devasta lalbergo, le palme, la spiaggia, le tette di Suva, le piantagioni di riso, i venditori ambulanti, gli assegni di Aristide, il mais, lo iuta, le piante di tapioca, la giacca bianca del genuino Gianco, le chiappone della moglie di Aristide, loliva da Martini, il direttore napoletano, gli spumanti per gli spritz, il cameriere scongelato, il sepan, il sandalo e tutte le massaggiatrici asiatiche e io cos chiudo il racconto che chiamo Natale a Phuket e non lo mando alla rivista, anzi non mi faccio proprio pi vedere in redazione e provo a proporlo alla Filmauro e scappo prima che anche De Laurentiis mi mandi a fare in culo. Penso a tutto questo e a questo punto sono incazzato come una biscia alla quale hanno pestato la coda perch ho perso pi di unora a inventar robacce perfettamente inutili e non capisco chi me lha fatto fare di intraprendere la carriera dello scrittore, che mio padre me laveva detto che alla San Paolo del mio paese un posto da bancario me lo trovava e a stora cavevo uno stipendio fisso, lavoravo fino a met pomeriggio, un mutuo su una casa in riva al mare e un paio di marmocchi a cui badare mentre sto ad osservare i fianchi di mia moglie dilatarsi ad ogni parto come un aerostato in spinta ascensionale, e lei sta ai fornelli a preparare pasta al forno, caponata e parmigiana e io mi sento un po come la melanzana che salta l in padella, fritto, tagliato a fette, in trappola tra il caciocavallo quotidiano e il sugo della routine, e poi infornato nella teglia dei miei giorni sempre uguali. Ma intanto sono qui, ancora per le vie della citt, stanco, spazientito, senza una storia da vendere e pubblicare, e anche un po disidratato, tant che entro al bar e almeno un bicchiere di gasata non lo negheranno a questo povero cristo duno scribacchino. Trangugio lacqua e faccio per uscire, senonch il tizio alla cassa mi chiama a gran voce, Ehi signore, e io mi volto e sono un po scocciato, ho lo sguardo del tutto inespressivo: il bicchiere dacqua, sono 50 centesimi. E io lo scordo sempre che siamo qui a Milano, che gi dalle mie parti sarebbe dato

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in pasto ai lupi il boia che neghi lacqua o estorca soldi a chi la chieda, che chi ha visto la fame non speculerebbe sulla sete di un suo simile. Cos massacro nel palmo della mano lo scontrino da 50 cent ed esco ancora pi sfinito, con addosso il completo deliquio delle idee: vuoto come un deodorante roll-on spalmato sullascella della vita, mi sento senza immagini, mi sfugge lo slancio della fantasia, il senso dellepos e del dramma. E penso a quel tizio che qualche anno fa scrisse quellautobiografia di Babbo Natale facendo un sacco di soldi, mentre io qui mi arrovello per un pugno di euro, era un giornalista americano, aveva pure dei parenti napoletani, come il direttore di Natale a Phuket, successo mancato dei cinepanettoni del terzo millennio, ma il mio di direttore, quello della rivista, non un partenopeo tutto pizza e mandolini che gli piace ballar la tarantella mangiando chili di pastiera, quello milanese con i nonni a Soresina, padano da cravatta verde, stima Bossi, vota Cota, ride alle battute di Calderoli e se potesse andrebbe a cena con Maroni (Borghezio no, per non stare sempre attento alle costine nel suo piatto di cassoeula). Quindi io continuo a camminare e mi sento ormai privo di forze e completamente svuotato nella mente, barcollo un poco per quanto sto male, tutto si unifica nel vortice monocromatico di una visione a spirale che racchiude ogni cosa, i bambini che giocano a pallone, i pianisti che votano al Senato, studenti, fuochi, poliziotti, scuole di danza in tv, i denti mancanti dei barboni, De Sica, Scilipoti, le vallette, le puttane in mezzo ai viali, non sono io a passar per la citt ma la citt che mi attraversa, a 180 km/h, facendomi roteare, il cielo mulina sopra di me mentre mi fermo con gli occhi traballanti, il capo ondeggia e sono simile a uno degli zombies di Dawn of the dead, quando al centro commerciale martellano le mani sulle vetrine dei negozi, senza avvedermene vacillo, senza forze, e potrei cadere a terra, se non incollassi le dita sulle imposte di una finestra; una finestra oltre la quale vedo un salone gremito di strana gente un tizio occhialuto che percorre il pavimento misurando i passi, una tizia che strepita ossessiva, unaltra tizia che accarezza un gigante dalla testa glabra e dallo sguardo bigio strana gente, potrebbero essere dei matti, o anche gente normale, di quella che si incontra girando per le strade commerciali, o dal fornaio, allippodromo, allufficio postale, matti o gente comune, non capisco neanche qui dove stia la differenza, capisco che pian piano cambia la focale dei miei occhi, non distinguo le figure di quellinterno manicomio ma vedo formarsi gradualmente sul vetro condensato la sagoma di un albero natalizio che si staglia; e poi man mano lalbero deflagra, la condensa scompare, e allora capisco e sorrido, mentre osservo lepilogo di un altrui racconto di Natale svolgersi dietro finestre finzionali. Sorrido, e ricordo, ad onta delle mie fatiche, che non c poi tanto da arrovellarsi sullo spirito, descrivere la neve e le emozioni, immaginar presepi, i barboni e le puttane; che basta in fondo un albero di pino, per scrivere un racconto di Natale.

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Il muro

di Andrea Coccia

Arcimboldo non riesce a riposare, la televisione del suo vicino accesa, come tutte le notti. La voce del conduttore del telegiornale attraversa il muro che lo divide dal quel salotto, un muro spesso una decina di centimetri che dalla sua parte, dove appoggia il cuscino ogni notte, dipinto di giallo, mentre dallaltra non sa. Arcimboldo non sa nemmeno che volto abbia il suo vicino, non ne conosce la voce, sa soltanto che ha labitudine di addormentarsi tutti i giorni a mezzanotte, in compagnia di quella voce impostata che ogni giorno blatera di quello che succede fuori da quella stanza, che gli parla dellattualit. Oggi lattualit si chiama 14 dicembre del 2010, mentre la sveglia di Arcimboldo segna le 23.55 e dalle finestre arrivano spifferi gelidi. La voce attraversa il muro perdendo un briciolo di forza, ma guadagna alle orecchie di Arcimboldo unaria che lo spaventa, come se la ascoltasse da un altro punto della Storia. Parte la sigla, poi quella voce: Governo incassa la fiducia. Futuro e Libert perde pezzi.Tensione in Aula. Berlusconi da Napolitano:Vittoria politica, con Fini ho chiuso. Allarghiamo la maggioranza, rifletter su una crisi pilotata. Parallela alla voce che attraversa il muro ce n unaltra che rimbomba nella testa di Arcimboldo, quasi come una traduzione simultanea.Hanno vinto loro, ancora una volta ha vinto lignavia, lignoranza, la furbizia. Hanno vinto loro, ma chi che ha perso? Guerriglia a Roma, teppisti allassalto: 90 feriti, devastato centro storico. Sassi contro forze dellordine, auto e blindati distrutti. Teppisti, assalto, devastazioni, forze dellordine, blindati distrutti. Ecco chi ha perso, peccato che fossero studenti, manifestazioni, cariche della polizia, botte da orbi. LItalia al freddo, nevica da 20 ore sulle coste adriatiche, flagellata tutta Europa e Stati Uniti. Chi se ne frega, almeno finch io sono in casa e, grazie ai vecchietti che abitano nel condominio, sto in mutande in pieno dicembre...

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Regali tecnologici per chi pu spendere qualche euro in pi. Le ultime novit nelle cure termali. A Milano il presepe meccanico del 1920. Qualche euro in pi? Cure termali? Presepe meccanico? Mi state provocando eh? Spero che abbassi, non ne posso pi, pensa Arcimboldo, lattualit ignobile del suo vicino gli sta stretta come boxer di due taglie pi piccoli, gli fa salire il sangue al cervello. Dietro la testa e il cuscino, dallaltra parte del muro, a una trentina di centimetri dal suo cervello assediato, inizia e finisce una realt in cui Arcimboldo esiste soltanto come teppista, bamboccione, estremista, studente, anarcoinsurrezionalista, pezzente, fallito. Non ne posso pi. Ho quasi trentanni, pensa Arcimboldo, che lunico gesto violento che abbia mai fatto nella sua vita stato tirare un manrovescio in faccia ad un suo compagno del liceo nellora di ginnastica. E stato a Genova nel 2001 e gli veniva da piangere, ha partecipato a mille altre manifestazioni, ma a Roma non cera. Se ci fosse stato non sa neanche lui cosa avrebbe fatto, non lo sa proprio. Ma sentire quella voce che descrive le colonne di fumo che si alzano dalle camionette, sentire che gli onorevoli pezzenti che ci governano sono stati costretti a rinchiudersi in Parlamento... Beh, in fondo tutto questo non gli ha dato fastidio, ad Arcimboldo, anzi, gli piaciuto, lo ha alleggerito. Il mio vicino vive in una realt che io non conosco, una realt che mi esclude, come un appestato. Ma questa sera non me ne sto sotto le coperte ad aspettare che quella voce si perda tra i miei sogni, pensa Arcimboldo, questa volta mincazzo, questa volta busso, prendo a calci il muro, piuttosto lo sfondo ma deve capirlo quello stronzo che esisto, non pu pi fare finta di niente. E inutile, non risponde nessuno, il vicino forse esiste solo nella sua testa, forse in quella stanza c solo quel televisore, forse l per farlo impazzire. E se fossi io che non esisto, pensa Arcimboldo, e se fossi gi impazzito? No, Arcimboldo non pazzo. Non pazzo come lattualit non quella che racconta quella insopportabile voce che attraversa il muro. Un muro che non divide solo lui dal suo fantomatico vicino, ma che divide il suo Paese. Da una parte la maggioranza variegata, qualunquista o solidale non importa, che si dica di centrodestra o di centrosinistra, non importa, sempre maggioranza e fa quadrato intorno a ci che ha, e in quel quadrato Arcimboldo non c. Lui fuori, insieme a una minoranza ancor pi variegata, composta essenzialmente di gente gode del diritto di prendersi delle sbronze di birra ogni tanto, che ha voglia di cambiare, ma che soffocata dalla pesantezza, che parla

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spesso due o tre lingue e che ha fatto studi che non gli serviranno mai, che spesso sa usare tecnologie di cui chi oggi si barrica nei palazzi del potere non sa nemmeno pronunciare il nome, che tenta di osservare il mondo e capire le sue debolezze e che, come Arcimboldo stasera, non ne pu pi di venire ignorata. Arcimboldo non sa cosa il futuro abbia in serbo per lui, non sa se sar in grado di opporsi a questa realt estranea e che lo emargina. Non sa se sar in grado di agire, ma se lo far, Arcimboldo ne certo, probabilmente non sar in grado di mantenere la lucidit che ci vorrebbe in un mondo ideale dove Gandhi pu sconfiggere lImpero britannico con un No e dove Martin Luther King pu cambiare lAmerica con un sogno, un mondo che esiste ormai solo in qualche film datato o in qualche bel romanzo. Probabilmente quello non lo sapr fare, ma non detto che per questo debba mollare il colpo, pensa Arcimboldo. Ma non dategli del pazzo perch crede di far parte dellItalia di cui, coloro che lItalia lhanno fatta, non avrebbero nulla di cui vergognarsi. Non dategli dellingenuo, perch del pazzo lo si da solo agli ingenui e ai bambini, e Arcimboldo, ormai ha quasi trentanni.

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Intervista a Michele Mari


A cura di Andrea Coccia

Nel contesto di una produzione narrativa come la sua, entro la quale la realt biografica e la finzione letteraria interagiscono, amalgamandosi profondamente, la scelta della prima persona narrante una scelta dettata dallistinto o dalla necessit? Direi che sempre dipesa dallistinto, sicuramente nasce da come io immagino subito una voce, un tono. Quasi tutti i miei racconti e romanzi, seppur in modo trasfigurato, hanno sempre un riferimento biografico molto profondo, direi quasi autobiopsicihico, hanno un carattere di visceralit, di continuit con la mia vita. In qualche modo io li percepisco come dei fiori che crescono sul campo della mia vita, quindi la prima persona mi sembra la pi corretta, la pi naturale. Anche perch poi ho altre vie per creare la distanza, per trasfigurare, per stilizzare il materiale biografico e trasformarlo in letteratura. Come la maschera di Cline in Rondini sul filo? In Rondini sul filo ero talmente consapevole della scabrosit, dellindecenza, dellimpudicizia di quello che stavo raccontando, per come lo raccontavo, per il fatto che mettessi nomi veri, fatti veri anche se poi mi sono divertito a mescolarli e a reinventarli, e curiosamente non sempre quello che sembra frutto della fantasia inventato e viceversa che nella mia coscienza lo avvertivo quasi come un atto di esibizionismo, un atto osceno in luogo pubblico. La maschera della voce cliniana mi servita a creare una distanza. Rondini sul filo un libro che, avendo io avuto la presunzione di scriverlo empaticamente, omologicamente, dallinterno di unossessione, richiedeva di essere scritto con la lingua franta, furibonda, dislessica, piena di invettive, sospensioni, ingorghi, in qualche modo sconnessa, propria di quelli che parlano in continuazione, che borbottano. una sorta di ruminio mentale. In un caso come questo la prima persona era assolutamente obbligata. Se avessi imposto al racconto una voce in terza persona avrei creato subito lingombro di un personaggio in pi, un personaggio onnisciente

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la cui presenza pervasiva nella testa del paziente sarebbe risultata artificiosa. In fondo anche Svevo ha scritto La Coscienza di Zeno in prima persona, anche se poi ha usato lo stratagemma di aggiungere una voce di cornice, quella dello psichiatra, che rende la sua una voce narrante di secondo grado. Un destino simile a quello di Osmoc, narratore di secondo grado di Di bestia in bestia? Esattamente, in quel caso cerano due personaggi e ho fatto coincidere la voce narrante di primo grado con quella di un professore, per poi i monologhi di Osmoc hanno preso il sopravvento sulla narrazione, tanto che la seconda parte del romanzo praticamente lautobiografia di Osmoc, il quale, di fatto, come se con un colpo di stato togliesse la parola al narratore. In quel caso la maschera il linguaggio? S, quel linguaggio accademico, paludato, che in quegli anni sentivo come uno stigma, un privilegio, un segno di bellezza. Di distinzione? Piuttosto che di distinzione direi di titanismo, per tutto quello che aveva comportato in termini di studi, eroici e solitari. Un linguaggio che per sentivo anche come morte, come non vita, come tutto ci che mi aveva tolto dalla vita dei miei coetanei. Come una corazza che ti rafforza contro il mondo, ma nello stesso tempo ti soffoca, ti impedisce di essere sciolto, modulato, disinvolto, fa di te una specie di macchina da guerra. Un caso particolare di prima persona che appare spesso nei suoi testi, un narratore che porta il suo stesso nome e che, proprio a causa di questa omonimia, genera una forte ambiguit. Qual il motivo di questa sua scelta? Non saprei, questa pi che una scelta una cosa che ho sempre fatto in modo spontaneo. Quando ho scritto i racconti di Euridice aveva un cane, avevo ancora lo scrupolo di mascherare, e solo nel racconto che d il nome alla raccolta, Euridice aveva un cane, il protagonista si chiama Michele, forse per creare un po di confusione, per mischiare le carte. Poi, in alcuni racconti di Tu, sanguinosa infanzia come ad esempio Luomo che uccise Liberty Valance, il padre del protagonista chiama il figlio Michele. In Rondini sul filo ho addirittura usato nome

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e cognome, mentre in Verderame, nel quale ho usato anche il nome di Nasca che realmente il paese dove ambientata la storia, per il protagonista ho usato il diminutivo, Michelino. Ora mi venuto quasi una specie di gusto provocatorio, perch in fondo se la letteratura un acido cos potente da poter sciogliere tutto, allora pu fondere anche i nomi propri. Molti critici per questo fatto mi hanno messo nei loro articoli in compagnia di autori come Walter Siti, in categorie intitolate allautofiction, categorie alle quali io non avevo mai pensato da un punto di vista teorico, narratologico. Sar perch ho sempre sentito la scrittura come un corpo a corpo con la mia vita che ad un certo punto mi sembrata la cosa pi naturale e pi onesta del mondo usare direttamente il mio nome. Se il lettore vuole entrare nel mio mondo, io gli spalanco le porte, dopo di ch lui che ci si deve ritrovare. Come anche in Cento poesie damore a Ladyhawke1, nel quale ho evitato i riferimenti per non creare problemi allaltra persona, ma se fosse dipeso soltanto da me avrei messo tutto, gli anni, la classe, la sezione, i nomi e cognomi. In quel caso non lho fatto per una sorta di autocensura. Quindi, per tornare al principio della questione: scelta istintiva o necessit? Alla fine credo che le due cose vadano di pari passo: listinto si adegua alla necessit che il reale impone. Almeno, io ho questa presunzione. Quando unidea mi si offre alla coscienza, mi visita, se forte e non se ne va vuol dire che giusta, che la devo seguire. Ho questa sorta di feticismo. La genesi di Verderame ha seguito questa regola. Era un po di tempo che venivo visitato dal ricordo di Felice, a cui non pensavo da anni, e ho iniziato a chiedermi il perch di questa visita, traducendola immediatamente in forma di necessit: perch vuole che io racconti la sua storia, vuole che mi dedichi a lui. Da un certo punto di vista, il finale del romanzo la figura di questa sua genesi, un finale esoterico, mostruoso, per cui Felice si rivela non il personaggio semplice e povero di spirito che sembrava essere per tutto il romanzo, ma una specie di messaggero delle Potenze, uno sciamano. Io ho interpretato il finale di Verderame in chiave metaletteraria: Michelino alla fine si rende conto, istruito da Felice, di essere un personaggio di un racconto dal quale non pu uscire, e nello stesso momento, capisce che a svegliarsi la mattina dopo non sarebbe stato pi lui, Michelino, ma lei, Michele Mari, lautore reale. stata una mia sovrainterpretazione?

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Non credo sia una completa sovrainterpretazione, anche se in realt io non lho pensato cos. Lho pensato in termini letterali, come se veramente scoprissi di essere stato illuso per tutto il romanzo, e che, mentre ero in cerca dei segreti della vita del Felice, ho ottenuto come risultato di scoprire il segreto della mia vita, che quello di essere fondamentalmente un altro, essere stato un altro, un mio doppio, pi potente e pi continuo allo spirito del luogo, pi dentro ai misteri della casa. E dunque un altro Michelino, che in quel momento sta ancora dormendo, sta scalpitando per avere il sopravvento e, quasi per una forma di piet verso laltro Michelino, Felice mi invita a farmi da parte, a scomparire, perch il mio tempo scaduto. Ogni tanto, leggendo Verderame, mi sembrato che la storia si costruisse nel suo procedere. effettivamente questa la sua genesi o ha dietro qualche operazione preliminare? No, come per tutti gli altri miei libri, anche per Verderame non ho mai fatto una scaletta, n una mappa e neppure un riassunto mentale prima di iniziare a scrivere. Ad un certo punto del romanzo vengono elencate una serie di parole chiave che come tarocchi contengono tutti gli elementi del racconto. In quel momento sembra che lei abbia veramente sulla scrivania tutto il materiale... A proposito di questo particolare, posso dirle che mi ricordo molto bene il giorno in cui mi venne in mente questa immagine. Non stata una cosa premeditata. Semplicemente ad un certo punto mi venuta in mente limmagine dei tarocchi e ho iniziato a seguirla, a controllare, elencandoli, se i personaggi che avevo utilizzato, le entit che avevo nominato come le lumache, i francesi, linsalata etc. potevano formare un mazzo di tarocchi. Poi ho eliminato qualcosa, ho aggiunto dellaltro, ma stata uninvenzione in corso dopera. Quindi anche Tutto il ferro della torre Eiffel, probabilmente uno dei romanzi dalla struttura pi complessa, ha avuto una genesi simile, vale a dire senza una programmazione strutturale? S, anche Tutto il ferro della torre Eiffel in qualche modo si autoalimentato. Un giorno, quasi come un capriccio, ho pensato di metterci Pirandello, per esempio, o lomino Michelin, poi mi sono detto che in fondo lomino Michelin

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era fatto di gomma e quindi lho fatto innamorare della bambola di Alma Malher, insomma da cosa nata cosa. In particolare, cercando informazioni sugli scrittori suicidi, mi sono imbattutto in una serie di coincidenze, luccisione di Renault, la morte di Citroen. Poi ho scoperto che Citroen aveva fatto illuminare la torre Eiffel per larrivo di Lindberg e via dicendo. Alla fine tutti quei dati reagivano formando cortocircuiti, per cui tutto sembrava tornare, o meglio, tutto sembrava richiamare tutto il resto. Ma il romanzo in generale lho scritto veramente in modo accumulatorio. Addirittura devo dire che a un certo punto si creato un senso di vertigine, dovuto al fatto che alla fine nulla pi riconverge, e quindi tante cose le ho lasciate aperte. Anche perch quasi tutti i personaggi sono dei doppi, dei golem, dei nani, delle marionette, dei robot, e anche tutti questi suicidi, quello di Benjamin, ma anche tutti quelli dei letterati del novecento... Nei sui testi sempre presente una forte opposizione tra presente e passato, sia nella dimensione personale dei protagonisti, sia nella dimensione storica, e sempre la vittoria spetta al passato, come se rispetto al presente, alla contemporaneit, allattualit, provasse in qualche modo un avversione, un fastidio, come mai questa avversione, se cos si pu chiamare? Questo vero, verissimo, ho sempre sentito il presente come una dimensione estranea. In qualche modo mi sono sempre sentito come una specie di sopravvissuto, un relitto approdato dal passato e ho sempre parteggiato sentimentalmente con il passato, molto pi che col presente. Per quanto riguarda la mia vita personale poi, come risulta esplicitamente in Rondini sul filo, ma come proprio della mia vita prima che della mia letteratura, avendo avuto una giovinezza non giovinezza, una giovinezza non vissuta, ho maturato una sorta di sindrome da atto mancato, un senso di rincorsa verso tutto ci che ho perso e che cerco di recuperare, per cui vivo in modo molto pi giovanile adesso che a ventanni. Mi rendo conto che c qualcosa di ridicolo, di grottesco in questo, ma come se il passato avesse mantenuto questa caratteristica negando la sua pi intima sostanza, il suo nome. Dunque il passato non passa, il passato continua. Nei miei libri, e anche nei miei saggi, cito molto spesso uno psichiatra degli anni Trenta che parla proprio di una sorta di reificazione schizofrenica del passato, un meccanismo che trasforma il tempo in spazio: il passato diventa un paesaggio, uno spazio in cui muoversi, una specie di ambientazione di tutte le proprie storie ed effettivamente cos. A me capita ancora adesso di tornare con la mente ad alcune discussioni, situazioni vissute o non vissute, e dire ecco avrei potuto dire, avrei potuto fare, come se fossero ancora tutte partite aperte, come

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se tutto fosse ancora giocabile. Proprio analizzando questa sua strategia di topicizzazione del passato, ho potuto notare che, al contrario di quello che si potrebbe credere, questa strategia non ha come esito larchiviazione di quel passato o la guarigione dai suoi influssi. Al contrario, invece, conduce sistematicamente i suoi protagonisti sul baratro, sullabisso, come se il vero scopo del percorso fosse quello: provare la vertigine. Cosa mi pu dire a proposito? Mi sembra che abbia ragione, il problema difatti che invece di pacificare, queste reinvenzioni rinfocolano. come se il trauma si reinneschi, c anche qualcosa di masochistico, come quando fa male un dente e con la lingua si tende a tormentarselo. Si tende a rivivere il trauma, almeno questo tipico di come strutturata la mia testa, piuttosto ossessiva, compulsiva, ruminativa, ripetitiva, per cui tendo sempre a tornare al passato. Percorrendo la sua produzione narrativa ho dovuto usare, soprattutto a causa della mia formazione universitaria, gli strumenti della narratologia con i quali, come dei bisturi, ho sezionato i suoi testi. Come si pone di fronte a questa operazione? Secondo lei il rischio della sovrainterpretazione pi alto della effettiva possibilit di una pi profonda comprensione del testo? Questa una domanda a cui decisamente difficile rispondere. Per quanto riguarda la mia esperienza direi che quando la sensibilit, listinto e lempatia dellanalizzatore sono forti, diventano delle garanzie. In quei casi mi riconosco, mentre altre volte, quando le analisi sono condotte troppo scolasticamente, no. Per esempio, successo recentemente che uno studente abbia fatto una tesi su di me, sul mondo dellinfanzia, in pratica sui racconti e su Verderame. E devo dire che sono rimasto sorpreso dalla sua acutezza, dal fatto che abbia capito molte cose che erano tra le righe, non dette, alluse e lui le ha colte. Altre volte mi sono sentito, forse non proprio frainteso, ma sovrainterpretato o sottointerpreatato. Mi sembrato per paradigmatico delloperazione in s. Si trattava senzaltro di un lettore sensibile e attento, che aveva letto in profondit anche agli altri libri. Ma alla fine mi sembra che ci sia un tasso di errore fisiologico, come dire che su dieci tentativi di interpretazione sette sono ragionevoli, mentre gli altri tre meno. Ma c anche unaltra questione da tenere in considerazione: il fatto che lautore, in fondo, nel confrontarsi con uninterpretazione delle proprie opere, non abbia il diritto esclusivo di interpretazione. Anche perch spesso noi sappia-

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mo che gli autori sono i peggiori critici di se stessi. Quando un autore pubblica il proprio libro questo poi diventa tanto del lettore quanto dellautore. Almeno per me vale cos. Per esempio, io mi sono accorto che ci sono dei miei libri che mettono daccordo quasi tutti, come Tu, sanguinosa infanzia, un libro che di solito quelli che mi amano mettono quasi sempre ai primi posti. Dallaltra parte invece c Rondini sul filo, un romanzo che divide il pubblico tra chi lo adora, ed convinto che sia il mio miglior libro, e chi pensa che avrei potuto fare a meno di scriverlo, che sia come una macchia nella mia carriera. Quali sono, dal suo punto di vista, i suoi libri migliori? A parte il primo, che il primo e che in qualche modo il libro della mia vita. Io ne sceglierei tre: La stiva e labisso, Tutto il ferro della torre Eiffel e Tu, sanguinosa infanzia. Se dovessi affidare a una bottiglia tre libri interi della mia produzione, senza possibilit di scelte antologiche, senzaltro sarebbero questi. Leggendo il racconto I palloni del signor Kurz non riesco a non associare la figura del cinico collezionista che immobilizza i palloni nelle sue teche trasparenti, catalogandoli e in qualche modo uccidendoli, ma, nello stesso tempo eternizzandoli, con quella del narratologo che aspetta che uno scrittore calci al di l del proprio muro le sue storie per catalogarle e analizzarle. E se alcune volte sono propenso a vedere in Kurz come alter ego del critico prima di tutto gli aspetti terribili, quelli della museificazione e della mummificazione, vale a dire della morte, altre volte lo identifico nei valori opposti, ma in fondo insiti nel suo gesto, quelli della conservazione, delleternizzazione appunto. Lei come si situa a questo proposito? Io sono con Bragonzi, quello il mio punto vista. Quindi inizialmente vedo nel signor Kurz il nemico, uno che uccide, sottrae, ma che poi invece, come per un eccesso di amore, salva, conserva e sottrae al tempo, eternizza. Se poi vuole vederci un parallelo con la figura del critico, dello storico, il paragone mi sembra fattibile. C dunque una forte ambivalenza nei cattivi? S, certamente, ho sempre avuto questa visione, presente in numerosi racconti. Forse perch sono cresciuto a mostri, per cui tendo a vedere nel mostro

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possibilmente un amico, come nel caso di Felice, che tanto pi mostruoso, tanto pi in realt buono. per questo che sono sempre rimasto commosso da personaggi come King Kong o Frankenstein. Nella sua narrativa emerge un punto di vista politico ideologico latente, ma molto profondo ed estremo. Penso in particolare allavversione al popolo dei cazzoni, o ai vertici ipercritici sul potere che puntellano Rondini sul filo. In un momento come quello che stiamo vivendo, grottescamente incline ad un autoritarismo becero e delirante, secondo lei come si deve comportare uno scrittore? Deve tenere la realt in un angolo, o ne deve affrontare i paradossi e le ipocrisie? Io ho sempre amato da lettore gli scrittori furibondi, come Cline, che maledicono tutti, quelli dannati, quelli proprio incazzati.Tra laltro se penso a questo mondo, a Berlusconi, al nostro governo, ma anche ad altri governi, e penso che Bin Laden con quattro pastori ha fatto venir gi quelle due torri... Di cosa avrebbe bisogno lItalia in questo momento? Mi sembra che lItalia abbia bisogno di un angelo sterminatore. Ma in realt, anche se Berlusconi domani sparisse, non cambierebbe nulla, ha fatto talmente tanti danni antropologici che gli italiani, che gi non erano granch politicamente prima, si sono talmente guastati che prima di riprendersi ci vorranno decenni. In qualche modo la regressione antropologica berlusconiana ha innalzato a valori quelli della cazzonaggine di N.N., il suo nemico numero uno di Rondini sul filo? Esattamente... Io poi tendo a fare di ogni erba un fascio. Il fastidio per la beceraggine della Lega, o per i furti e la faccia tosta di Berlusconi sono lo stesso fastidio che provo quando penso a quelli che vivono solo per il Grande Fratello. Questo tipo di mondo per me continuo, quindi il mio furore e disgusto indifferenziato. E per quanto riguarda il momento della scrittura? Tende a relegare in disparte gli elementi grotteschi della societ che ci circonda? In qualche caso prendo la questione di petto direttamente, come in alcuni pezzi di Rondini sul filo o qualche scheggia di Verderame, ma in generale pre-

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ferisco tagliar via, evitare, come per rigenerarmi, perch se la vita, il mondo l fuori questo, voglio almeno crearmi una vita alternativa dove poter respirare aria pura. Sempre restando alla questione del rapporto tra letteratura e mondo: Tutto il ferro della torre Eiffel si apre con limmagine della madeleine in pvc, che significato da a questa immagine, a questo feticcio? Quel feticcio una specie di ammissione di scacco a priori, la consapevolezza che pretendere di tradurre plasticamente in oggetti il fascino della letteratura e del mito conduce ad obbrobri di questo tipo, concede sempre lultima parola al Sistema che riduce tutto ad oggetti massificati, a declinazioni dei baci perugina; per la maggior parte della gente, infatti, la storia di Romeo e Giulietta si limita alla sua reificazione, al balcone di Verona sotto cui gli innamorati si baciano. Per, in qualche modo, unimportanza la madeleine ce lha, tant che proprio da quella madeleine che il misterioso io narrante che appare solo in quel punto inizia a ricordare: [...] guardandola io ricordo, s, ricordo una vita non mia; vedo la faccia drammatica di un uomo che cammina nei passages di Parigi; un uomo che si chiama una vita non mia, un uomo che si chiama Walter Benjamin. come la volont di non arrendersi, lillusione che, se praticata individualmente, vale a dire non in un contesto massificato, alla Disneyland, laura possa ancora avere un senso, possa ancora esistere. I luoghi possano ancora avere un senso, come i feticci appartenuti agli scrittori, o i fantasmi di quegli stessi scrittori, insomma alla fine tutto legato ad un senso fantasmatico della realt e della presenza. Come poi, pur nella ammissione della sconfitta, la pretesa disperata da parte di Benjamin di continuare a vedere Parigi con la sua vecchia mappa, quella risalente a prima che Haussmann spianasse tutto e facesse i suoi boulevard. per questo che affascinato dai passages, perch sono come canali uterini, delle soglie che oltre che andare dentro vanno sotto. Proseguendo su questo motivo dellaura, del fascino degli oggetti e del fascino dei luoghi, dei nomi, mi viene in mente la stessa casa di Cline, che in questo libro una specie di genio del male, un Cline molto cattivo, un burattinaio: ci nonostante, almeno per come lho vissuta io, quella una casa affascinante, come quando vedo i thriller: le parti che mi coinvolgono pi profondamente sono quelle dove vengono esplorate le case dei serial killer, il laboratorio segreto che ha visto nascere il crimine.

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Quelle con tutte le foto attaccate ai muri? S, le foto, i fogliettini, gli appunti, e se il film fatto bene veramente come entrare nella testa del mostro, dentro la sua ossessione, il momento in cui si entra nei segreti di quella testa, sono i momenti pi disturbanti, ma nello stesso tempo i pi belli. Ho sempre avuto questa attrazione un po morbosa per il lato mostruoso delle cose, anche nei luoghi che rappresento. Come nella casa di Nasca, dove la parte pi vera la cantina, il terreno dove sono sepolti i cadaveri dei francesi, la stessa cosa vale per la cantina di Osac nel castello di Osmoc, in Di bestia in bestia. Perch sento che proprio questo brivido un po morboso del proibito, dello sporco, del segreto quello che rende una cosa, in quanto mostruosa, anche sublime, favolosa. Una conferma viene dalla storia della letteratura. Pensiamo per esempio agli animali della mitologia, che in fondo sono tutti mostri: le chimere, i grifoni, i centauri, le sirene, il leviatano, sono figure immani e spettacolari quindi letterarie, proprio in quanto mostruose. Mi viene in mente la zoologia fantastica di Jorge Luis Borges Anche, infatti. In ogni caso questo senso un po infantile, stuporoso del mostracchione, lho sempre avuto e devo dire che anche da adulto lho sempre coltivato. Per questo mi hanno sempre coinvolto film come Alien o Lo squalo, che in me hanno lasciato dei segni profondissimi... In letteratura la stessa cosa. Pensiamo a Moby Dick, un personaggio cattivo, mostruoso, forse il pi bello dei personaggi letterari di sempre. Come si fa a non amare Moby Dick, se uno ama quel romanzo ama quella balena. C una fascinazione, anche autodistruttiva, perch in fondo il capitano Ahab ha un rapporto erotico con la balena, alla fine muore impigliato nella sua stessa corda in un amplesso di morte, la trafigge e affondano insieme. questo in qualche modo il rapporto che per me deve avvolgere il lettore al testo, quello che cerco di rendere quando scrivo: una lotta con il mostro fin nei meandri dellabisso. Nelle ultime due generazioni di scrittori italiani sembra che il legame con la tradizione nostrana si sia affievolito, spesso addirittura troncato di netto, spostandosi verso punti di riferimento stranieri, americani in primis. Secondo lei esiste questo fenomeno? E come lo giudica. Guardi, posso darle una testimonianza, anche se non so se risponde perfettamente alla domanda. Allinizio degli anni Novanta ci fu a Trento un convegno

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intitolato Tra velocit e lentezza, organizzato da Massimo Onofri e altri, a cui erano invitati una dozzina di scrittori. Mi ricordo che oltre a me cera Palandri, Scarpa, Nove, Mozzi, Affinati e altri. Si discuteva di rapporto con la tradizione del Novecento, dei nostri maestri. Cera chi diceva che non voleva pi sentire parlare di maestri, quelli che si dichiaravano calviniani, altri invece moraviani (ovviamente tutto il gruppo di Nuovi argomenti era moraviano). Poi cera chi parlava di Gadda, e infine tutti i minimalisti che citavano Salinger, o Bukowski o Carver. Quando passarono la parola a me, che per caso ero rimasto tra gli ultimi, molto polemicamente dissi che non riuscivo a capire il perch di tutte queste scelte, non capivo come mai, se proprio dovevamo parlare di maestri, ci si limitava a parte il minimalismo, che io non ho mai potuto sopportare perch essendo una abdicazione alla letteratura non voglio nemmeno prenderlo in considerazione a scegliere esempi cos recenti e cos bassi. Io quindi ho risposto che se proprio si deve parlare di maestri almeno si abbia il coraggio e lorgoglio, lambizione, di sceglierseli alti e imponenti, e che quindi non capivo perch in quel convegno, che stava durando da due giorni, si fosse sempre parlato del giovane Holden, di Cattedrale di Carver, di Altri libertini di Tondelli, e cos via. Comera possibile che non si fosse mai parlato del Don Chisciotte di Cervantes, mai di Omero, mai di Shakespeare, mai di Maupassant, mai di Cline, mai di Jack London. Io se devo avere un modello visto che tanto non costa nulla tiro la mia freccia pi in alto possibile, poi di sicuro non ci arriver, ma siccome sognare non costa nulla, se dovessi scegliere uno scrittore al quale vorrei assomigliare sarei indeciso tra Stevenson, Melville, London e Conrad, uno di questi. Non capisco perch dobbiamo limitarci al Novecento, che poi risulta fatalmente un Novecento particolare, il secondo Novecento, generalmente o italiano o americano. N capisco perch fare i conti con il minimalismo sia un passaggio obbligato. E non lo dico per una forma di disdegno aristocratico. Io quando da ragazzo ho letto Il giovane Holden, alla fine non mi rimasto nulla, non mi ha fatto nessuna impressione. Non riesco a capire come autori come Baricco o come Veronesi, parlino di questo come del libro fondamentale della loro vita. Veramente, neanche con la pi fervida immaginazione e ne ho di immaginazione riesco a capire come questo libro possa essere il libro preferito di un uomo. Lei quale sceglierebbe come libro della vita? Il richiamo della foresta di Jack London, quello s che un libro che quando lo finisci resti a bocca aperta, e che ti segna la vita, o Il dottor Jekyll e mister Hyde, quelli sono libri travolgenti.

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E per quanto riguarda letteratura italiana contemporanea? Tra i contemporanei, mi piace Voltolini, Aurelio Picca, ma lultimo italiano che mi ha entusiasmato stato Bufalino, o anche Consolo. Qual secondo lei lo stato della letteratura italiana contemporanea? Non mi sembra che la letteratura italiana sia in ottima salute. una situazione fisiologica per un paese in cui una casa editrice storica e prestigiosa come la Feltrinelli diventata la casa di Moccia. Poi ci si chiede perch Berlusconi vince le elezioni, ma tutto talmente legato. Moccia veramente tremendo, Baricco in confronto Flaubert.

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La vita oscena, di Aldo Nove


di Gero Miccich

Ci sono libri che segnano uno stacco nella carriera di un autore. Come la nascita di Cristo nella storia delloccidente cristiano, quel parto ha segnato un prima e un dopo nella storiografia moderna. Dopo La vita oscena probabilmente qualcosa cambier per Aldo Nove: se gi Puerto Plata Market segnava uno stacco dallo zapping di Woobinda, e Amore mio infinito costituiva unesplorazione dellinfanzia e degli stadi dellamore nelle prime tre decadi dellesistenza, e La pi grande balena morta della Lombardia un mirabolante, immaginifico amarcord in salsa viggiutese, La vita oscena un netto balzo in l. Le precedenti opere, pur diverse tra loro, hanno in comune un certo disincanto e una prosa spesso oscillante tra linfantile e il colloquiale. La vita oscena un libro diverso: poetico, trasognato, esistenzialmente devastato. Le trovate di Aldo Nove, che siano scabrose, pornografiche o tinte dhumor nero, di solito strappavano al lettore un sorriso divertito o compiaciuto anche nel dramma. In questo romanzo ci non accade. Del resto, sorridere difficile quando si ha il petto costantemente in fiamme. Lincendio si accende alla lettura delle prime righe e si mantiene e si vivifica nel succedersi delle pagine, come su un parquet che brucia, la vampa si propaga di asse in asse nello sfrigolare del legno, fino a prendere lintera stanza del cuore. Nulla fine a se stesso ne La vita oscena, nessun periodare, nessuna invenzione: neanche gli estremi derotismo sadico e perverso ai quali lautore ci ha abituati in opere precedenti, e che in certi casi avevano pi il sapore di iperboli o provocazioni. Se in Puerto Plata Market il buco del culo bluastro di un trans poteva costituire un mero schiaffo al lettore dal quale scaturire un effetto grottesco e straniante rispetto al vivere ordinario, qui un trans diventa il frammento di uno specchio in cui osservare se stessi in una delle forme dell altro da s. Nel racconto biografico si inseriscono elementi che caratterizzano e popolano tutta la produzione di Aldo Nove. esemplificativo il passo in cui la zia porta unimitazione da discount della coca-cola al protagonista in ospedale. Egli, nel guardarla, gradualmente comincia a condividerne il dolore, compatendo il suo stato di merce di serie B, compenetrandosi nella sua condizione esistenziale

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ed estendendola al gramo stato degli individui ai margini della societ: Quella bottiglia mi sembrava simile alla vita dei pi, di quelli che non ce la fanno, oh quanti, mi portava alla commozione e piansi. Era da tempo che non accadeva. Aveva, quella bottiglia, qualcosa di cristiano, unimago Christi da poveracci, inconsapevole. Lei aveva fatto la sua ascesi dalla fabbrica ai banconi del discount dove aveva atteso di essere scelta in quanto oggetto di minor valore, in quanto imitazione ma dignitosa, quasi uguale, e si sarebbe manifestata nel suo splendore quando fosse riuscita ad assurgere alla stessa grandiosit del modello, e non ci sarebbe riuscita mai, povera bottiglia, e sarebbe rimasta una merce tra tante. Ma era mia. Era la mia bottiglia sul comodino dellospedale. Da qui limperativo di cantarne la condizione subalterna, di narrarne i sogni e le disillusioni, la marginalit e la piccolezza, lei, destinata ad essere la bevanda di chi non pu permettersi il non plus ultra delloriginale. Il reietto e la merce di sottomarca sono vicini, confratelli di uno stesso destino, e il poeta ne ha compassione. Come molti anni prima in liriche come La merce invenduta piange:
Io conosco il dolore della gelatina per dolci Gi detta colla di pesce sommersa Da bustine di lieviti Bertolini e sacchetti di zucchero in Scaglie per le guarnizioni Lo conosco e se io fossi lei mi chiederei perch Sono gelatina per dolci gi detta colla di pesce E non, ad esempio, una fulgida appetitosa scatola Di mezzo chilo di mezze penne Barilla, di quelle che si vendono a migliaia nei supermercati di tutto il mondo. Io penserei questo tutto il giorno e continuerei a piangere Perch la merce invenduta piange E il suo dolore tanto simile al nostro Biologico stare sul mercato fino a che c domanda Fino a che larticolo che siamo non deperisce.

Come la sottomarca della coca-cola, anche il protagonista recita la normalit per mischiarsi alla gente comune, per dimenticare una diversit marchiata nellanima che nessun detersivo sbiancante pu dilavare. Un modo usuale di adeguarsi alla maggioranza pur sapendo che ogni vita ne mima unaltra. Proprio sulla scia dello stesso desiderio mimetico, nella consapevolezza di unesistenza cos prossima alla morte, il protagonista tenter il suicidio calcando la via precedentemente dettata dal poeta austriaco Georg Trakl, che mor inalando una massiccia dose di cocaina. Ma, al pari della sottomarca della cocacola, neanche lui riuscir ad imitare il modello alla perfezione, e la droga diverr un mezzo atto a scaraventarlo in unirrefrenabile vortice di sesso, perversione e oscenit che disveleranno gradualmente un Io autodistruttivo, un Io che vedr

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materializzarsi vivendo il porno di se stesso. Gli abitanti dellambiente urbano si faranno maschere sottili, figure prive di spessore, in un universo divenuto ormai interamente sensazione. E il protagonista si getter a capofitto in ogni cosa, senza una finalit precisa, assecondando la prurigine dei sensi e la ricerca autodistruttiva del piacere pi lascivo, solo per abbandonarsi a un mondo di cui avr scoperto lessenziale solitudine e subito dimenticarlo, per scegliere di non sapere, voler solo sentire qualcosa che dentro me si prendeva lo spazio della mia assenza e lo riempiva. Il senso di vuoto e i modi per colmarlo, dinanzi ai quali rimane soltanto linesorabile sconfitta, il capitombolo finale dopo la caduta. Ma laffondare le mani nellosceno cela in realt un profondo desiderio di bellezza. Oscenit svellere la finzione della vita, un meccanismo di scasso della scatola dellipocrisia borghese, oscenit sovvertire il perbenismo quotidiano, lo smascherare la rappresentazione di un binario su cui scorre il treno della tua esistenza e in un treno non si mai soli, si viaggia in molti e c la famiglia. Oscenit ribellione contro la bruttura delle cose. Osceno il sentimento di estraneit verso un mondo di cui siamo abitanti forestieri, un mondo tanto moderno e primitivo nel suo barbaro evolversi da apparirci arcano, ancestrale, altro. Osceno nascondere il caos dellesistenza sotto una coltre di ordinaria quiete, negare il filo sottile che lega la vita alla morte, la vita che morte in divenire; e dellartifizio il dolore il disvelatore, il dolore che ti inchioda alle cose, il dolore che lunico maestro, il dolore che risveglia quanto daltro vive che non di noi, mostruoso, in noi, il dolore che legato al piacere. Lineluttabilit del dolore che genera la susseguente spirale doscenit pare essere la traduzione di quel verso che compare nel Canto del dipartito di Georg Trakl: nella mia epoca non ho altra scelta se non il dolore. Scrivere sempre nascondere qualche cosa in modo che poi venga scoperta diceva Italo Calvino. Ed come se Aldo Nove avesse, fino a questo libro, velato se stesso trattando gli oggetti delle sue storie con ironia, disillusione e una punta di distacco, e ora scoperchiasse i propri abissi con una lingua poetica, labirintica e trasognata, una lingua che pare il perfetto connubio fra il suo modo di narrare e di poetare. Ogni tanto come se il narratore ci riportasse alla preistoria, alle origini del tempo in cui il mondo era nudo e oscenamente vero. una tendenza che era forse gi in nuce una decina danni fa ( Vorrei essere nato quando il sole / squarciava le foreste, e tra animali/tremendi luomo abitava le gole/Oscure di caverne, e le abissali/ferite della carne, - non le suole/bucate, il pongo, le semifinali, scriveva gi in Nelle galassie oggi come oggi, pubblicato insieme agli amici Scarpa e Montanari) ma che emerge con madida chiarezza nella raccolta A schemi di costellazioni uscita qualche mese fa. In questo romanzo Aldo Nove dimostra di sentirsi pi a proprio agio con i

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toni, i ritmi, il suono della poesia che con la mera descrittivit della prosa. E del resto, lui stesso scrive di quello che probabilmente il suo primo amore: Mi interessava la poesia. Perch potevo leggerla per una pagina e chiudere il libro senza dovermi chiedere come sarebbe andata a finire. Perch era a frammenti, come la mia vita. Perch sapeva raccontarmela in modo aspro, senza la compassione che si d a chi non sta bene. Aprendone squarci improvvisi. Perch cercava la verit e non il successo. Perch la vera poesia crudele. Perch la vera poesia fa male. E cos questo libro: artaudianamente crudele e doloroso nel repentino squarciarsi in frammenti desistenza. Nello scrivere questo romanzo Aldo Nove ha attraversato le fiamme del suo inferno personale. Questo il suo redde rationem col passato, con ci che aveva in parte lambito nella produzione precedente (anche in Amore Mio Infinito il protagonista perde la madre da ragazzo e ha un rapporto conflittuale col padre) ma che aveva lasciato in sospeso. E questa, pur essendo una storia di distruzione, soprattutto una storia di palingenesi, ci mostra come dietro ogni perdita ci sia una rinascita. Rinascita mancando la quale questo romanzo non sarebbe stato possibile.

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La cucina vista dallo scannatoio, di Dario Lo Scalzo


di Renato Chiaro

Spesso si discute riguardo la funzione che debba assolvere oggi la letteratura. Personalmente, sono sempre stato convinto che le opere letterarie debbano connotarsi di un forte valore civile, trattare dei seri problemi sociali nella cui melma il mondo odierno va sempre pi invischiandosi ed essere sincera espressione dell'esigenza intellettuale dell'autore. In questo romanzo sembra che queste tre caratteristiche siano presenti. E ci dimostra che queste da sole non bastano. scontato a dirsi, ma il valore di un'opera non si sostanzia mai nell'oggetto trattato, quanto nel modo di trattarlo. il taglio prospettico a dare valore a uno scritto, lo svisceramento delle tematiche e il risultato. Per un narratore molto pi importante l'occhio sul particolare piuttosto che il vasto sguardo sul generale. Certo non di poca importanza che vi sia un'ampiezza visuale nella trattazione finzionale ma, se lo sguardo dell'autore non riesce a penetrare le profondit del terreno nel quale va a innestarsi, si rester a lungo a passeggiare placidi sulla pianeggiante prateria del banale. Dario Lo Scalzo imbastisce qui un'opera narrativa priva di narrazione: il topic del testo va svolgendosi interamente nelle pagine del diario di Oceano, il quale, confinato fra quattro mura su una sedia a rotelle, scrive l, nero su bianco, la sua riguardo i problemi del mondo, della societ, dell'umanit. Fin dall'inizio del libro veniamo a sapere che Oceano morto e sar la sua migliore amica, Axelle, vero io narrante del romanzo, a guidarci nella storia, andando a rinchiudersi nella stanza del defunto amico e leggendo avidamente tutte le sue carte. Da l, veniamo a sapere cosa Oceano pensi delle storture dell'oggi in cui viviamo. Mi preme dirlo, posizioni condivisibili, giuste, ineccepibili. Ma, francamente, troppo poco argomentate per formare un substrato di pensiero davvero solido e originale, a tratti troppo stantie e banali per non stancare i lettori un po' pi scafati, assolutamente astratte per risultare incisive. In proposito, anche il basamento di letture alle spalle dell'autore d l'impressione di essere poco solido. Non ne faccio una questione di riferimenti letterari insiti all'opera: piutto-

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sto sono le soluzioni stilistiche e formali a insinuare il dubbio, la pochezza degli espedienti narrativi, la piattezza dei personaggi (Oceano si atteggia a personaggio concettuale, ma in realt non ha una vera problematicit, offre solo risposte generiche a problemi pi complessi). Evitando, dunque, troppi giri di parole, leggendo il libro di Lo Scalzo mi sembrato di leggere le parole che chiunque pensi qualcosa su ci che lo circonda potrebbe scrivere sulla propria moleskine, o per l'appunto su un diario personale. Non si assiste a uno sviluppo narrativo: la storia tutta, di pagina in pagina, affidata ai pensieri di Oceano, aruspice bonario di questi nostri tempi malandati. Riporto qui un pezzo di Mistery and Manners di Flannery 'O Connor che secondo me compendia esaustivamente quel che intendo: Un racconto implica sempre, in forma drammatica, il mistero della personalit. [] molti tra quelli convinti di voler scrivere racconti non sono disposti a cominciare da l. Vogliono parlare di problemi, non di persone, di questioni astratte, non di situazioni concrete. Hanno un'idea, un sentimento, un io strabocchevole, o vogliono Essere Scrittori, oppure elargire saggezza in forme abbastanza semplici perch il mondo sia in grado di assorbirle. In ogni caso, non hanno una storia in testa, e se anche l'avessero non sarebbero disposti a scriverla; in assenza di storia, partono alla scoperta di una teoria, di una formula o di una tecnica. Qui manca anche la scoperta, e dunque anche il senso del mistero che dovrebbe animare uno scrittore. Tante buone intenzioni per un nulla di fatto.

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This is where we live, di Janelle Brown


di Giorgia Camilleri

Dopo Una fragile perfezione la Garzanti pubblica in Italia anche il secondo romanzo di questa giovane scrittrice americana, giornalista attenta che dimostra la sua avveduta analisi della realt in ogni suo dettaglio. La definiscono astro nascente della letteratura americana. E, a poche settimane dalluscita negli U.S.A., questo nuovo romanzo scatena lammirazione della critica, dei blog e dei numerosi lettori, per lattualit dei temi trattati. consigliato dallo stesso Los Angeles Times come una storia che tratteggia con stupefacente occhio clinico le luci e le ombre di ogni relazione. Giovane, scaltra, attenta a ogni particolare, la Brown si destreggia benissimo tra le fila della quotidianit di questo nostro secolo. Una bugia di poco conto lo specchio del 2010. la versione integrale di ci che sta accadendo intorno a tutti noi: labbandono dei propri ideali per patteggiare col diavolo, pur di avere un lavoro, i compromessi ai quali non si riesce a venir meno pur di andare avanti e portare due soldi a casa, il mutuo per pagare la casa che ti sovrasta fino a non farti pi respirare, un matrimonio che credevi diverso, migliore degli altri, ma che in realt si mostra per quello che , in tutti i suoi aspetti deboli e spietati. impressionante la carica emotiva che emerge da questo romanzo, mentre lo si legge si viene divorati dallattualit delle sue pagine. Il lettore partecipe di ogni angoscia che vivono i protagonisti, Claudia e Jeremy. Non c il buono e il cattivo, il nero e il bianco, ma la realt di fatto con le sue angolazioni grigie che costringono inevitabilmente a prendere decisioni che non avresti mai voluto prendere. La scelta del compromesso che scardina gli ideali nei quali tutti noi avevamo sempre creduto, ma che specchia quello che la nostra realt dei tempi e, forse, non si pu far altro che abbassare la testa e arrendersi agli eventi. Una straordinaria donna che si vede crollare il mondo addosso. Tutto ci per cui aveva lottato, in cui aveva creduto, scompare divorato dalle voragini di questa nostra societ. Il matrimonio tra Claudia e Jeremy, due artisti che rincorrono le loro passioni e vanno incontro ai loro destini, lunione di due anime ancora utopiche che

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credevano di potercela fare da soli, la scoperta dei loro veri amori. Lei giovane regista, lui promesso cantante di una band in decadenza. Credono e vogliono poter inseguire le loro ambizioni. Non intendono mollare la presa, e lottano entrambi perch avvenga il miracolo, come, magari, un ricco produttore che possa puntare, non sulle vendite, non sul commercio di oggi, ma sulle abilit e maestrie di artisti che scrivono e lavorano perch ci credono davvero. E si manifesta una realt invece schiettamente crudele e cinica. Perch nessun produttore disposto a perdere denaro per investirlo in un progetto che, seppur bello, non vender molto al botteghino e non riempir di certo le sale di tutto il mondo. E allora il lavoro diventa pi una scelta di mercato, che tipo di film potr vendere di pi al botteghino? Non si sceglier il miglior film, ma il pi commerciale. E di questa realt, acquisita nel tempo trascorso attraverso le pagine di questo romanzo, Claudia prender pian piano coscienza, e si render conto che se vuol lavorare deve per forza scendere a patti col diavolo. Unutopia che le crolla addosso e si rivela tale, ma lei non moller mai, e il lettore la seguir giorno dopo giorno nelle sue indecisioni per poi veder nascere e crescere in lei una forza incredibile che la riscatter affrancandola dai torti subti. Un romanzo incredibile per la sua forza attuale di colpire nei punti cardine di questo nostro mondo che va un po alla rovina. Matrimoni allo sfacelo, mutui che ci sommergono, utopie che svaniscono, e quando credevi di avere tutto ti ritrovi con in mano un pugno di mosche! This is where we live, proprio questo il mondo dove viviamo. E la fotografia che ne fa lattenta cronista Janelle Brown un perfetto fermo immagine, bellissimo e disarmante, proprio perch reale sotto ogni suo aspetto!

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Daltro e daltrove: il libro come invito alla tolleranza


di Giorgia Camilleri

Quando ho letto per la prima volta Murakami ho finalmente incontrato quel mondo cos lontano da noi che tanto amo: entravo nelle case giapponesi, mangiavo un takikomi gohan o un suimono, mi toglievo le scarpe prima di oltrepassare la soglia delle loro case e dormivo nei loro futon. Forse in Murakami pi di chiunque altro, ma in realt sono proprio questi il potere e la bellezza intrinseci nella lettura. Ogni libro porta con s i racconti di un Paese, gli usi e i costumi di un popolo. Uno dei libri che ho letto recentemente Censura di Shahriar Mandanipour. Dal titolo si evince subito il tema del racconto che per, in realt, solo il sottofondo della storia. Censura un meta-racconto. C la storia personale di lui come scrittore e della sua impossibilit di scrivere, raccontare, pubblicare storie damore in Iran; e poi c la sua storia damore, quella che Mandanipour, sin dalla prima pagina, decide a tutti i costi di raccontare. Nascono dalla sua penna straordinari personaggi, abitanti di un Iran contemporaneo. Studenti che manifestano in piazza, rischiando la galera o, peggio ancora, lesclusione dalluniversit con la conseguente cancellazione della loro storia studentesca. Da una parte uno scrittore che lotta per la propria libert di scrivere una storia damore e pubblicarla nel proprio Paese, e dallaltra una storia damore che nasce attraverso le singole lettere dei romanzi. Ogni lettera allinterno di un romanzo segnata da un puntino dinchiostro blu rappresenta per i due amanti quel che saranno poi le loro lettere damore. In un Paese dove una donna e un uomo non possono sfiorarsi, guardarsi, toccarsi e, men che meno, parlare in pubblico, il genio della penna di Mandanipour fa incontrare, conoscere, innamorare due giovani studenti attraverso lettere damore nascoste tra le righe dei loro romanzi preferiti. Ora, la questione semplice: cosa resta a noi lettori dopo aver chiuso lultima pagina di un romanzo? Un libro non finisce quando lo si chiude. Il suo messaggio intrinseco va ben oltre. Quando ho letto lultima pagina di Censura ho incominciato a riflettere.

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Avevo scoperto che in Iran le donne e gli uomini sono separati le une dagli altri in tutti gli ambienti non domestici. Avevo scoperto che, nella mattinata, fino a mezzogiorno, i marciapiedi di destra possono essere attraversati dagli uomini e quelli di sinistra dalle donne. Dopo mezzogiorno il ciclo si inverte permettendo, cos, sia agli uomini che alle donne di guardare le vetrine dei negozi in entrambi i lati delle strade. Avevo scoperto che nelle biblioteche di Teheran ci sono sale riservate agli uomini e sale riservate alle donne, entrambe separate da un lungo telo, con lo scopo di non far intravedere neanche le caviglie delle donne. Avevo scoperto che nei loro cinema i film stranieri sono considerati tutti filoamericani e perci visti come portatori di male, sezionati, sventrati e ricostruiti. Sottoposti a una rigidissima censura che li sviscera dallinterno, pulendoli, eliminando tutto ci che, secondo i loro parametri, pu essere osceno o, come direbbe Mandanipour, portatore di principi sbagliati che potrebbero far pensare alle donne e agli uomini cose peccaminose.Vengono tagliate tutte le scene di sesso, di baci, di effusioni o anche di sguardi. E il rigido censore cinematografico cieco. Un uomo severissimo che, accompagnato da due baldi giovani costretti a raccontargli passo dopo passo ogni scena, in una sala cinematografica vuota, seleziona ed effettua macabre operazioni di ricostruzione sulla magnificenza di opere cinematografiche. Ora, detto questo, sembrer chiaramente che abbia quasi disprezzato questo Paese, avendolo conosciuto attraverso le parole e i racconti di uno scrittore iraniano. E invece no! Anche se grazie a Mandanipour ho acquisito tante nozioni nuove su un Paese di cui davvero poco, concretamente, sapevo, anche vero che non intendo giudicare ci che comunque non vivo. Tutto ci che riconosciuto quale nemico pubblico da questo popolo individuato, etichettato, come filoamericanismo; quando, noi sappiamo bene, essere frutto solo di libert di espressione. Io, che credo e lotter sempre per una totale libert di espressione dellessere umano, non voglio trovarmi a sputare sentenze. Se tutto ci che loro vedono come velenoso individuato in un filoamericanismo, vuol dire che forse proprio noi, (perch tra le fila dei filoamericani ci siamo anche noi, europei, italiani), siamo il vero problema. Che cosa sta succedendo oggi nel nostro occidentale mondo? Perch ci troviamo a giudicare ci che diverso da noi come laltro? Laltro da istruire, da plasmare secondo i nostri punti di riferimento. Molti anni fa mi capitato di leggere Il crollo di Chinua Achebe, scrittore nigeriano che raccontava la sua storia dalla parte delle vittime del colonialismo inglese. E si chiedeva: Perch questi inglesi vengono nelle nostre terre e ci dicono che ci devono educare? Perch questa gente non riesce a capire che semplicemente le nostre usanze sono diverse?

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Il problema del razzismo forse sta proprio in questo attaccamento a una precisa idea da parte di un popolo dominatore, il quale ritiene il suo modo di pensare e di operare quello giusto e perci si pone quale salvatore nel generalizzare a tutti gli altri popoli lo stile di vita e di pensiero propri. Com accaduto in epoche poi non cos lontane, c sempre stato un popolo dominatore e un altro dominato. Perch? Noi siamo davvero convinti di esser migliori? Nellarco di questi ultimi due anni ho sentito tante di quelle brutte parole al vento, (per non dire stronzate!), che prendono vita dalle bocche avide di potere e denaro dei nostri politici, da perdere davvero la speranza di una vera DEMOCRAZIA. Detto ci, fra le svariate assurdit pronunciate, appunto, dai nostri rappresentanti, non molto tempo fa, mi colp parecchio laudacia forza femminista di Daniela Santanch, attuale Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio sotto il governo Berlusconi. Mi colp molto perch io, eterna femminista, ascoltavo lei, esponente di un partito di centro destra, che rilegherei se potessi nel sottosuolo dellInferno dantesco, e allibita pensavo: Brava, cazzo. Ha ragione! Ora, ero chiaramente parecchio turbata, vista la mia eterna fedelt a Bertinotti, ma lei esprimeva principi a me molto cari a difesa delle donne, in generale, e della loro libert di esprimersi al pari degli uomini. In particolare, difendeva le donne musulmane entrate nel nostro Paese e costrette a mantenere il burqa anche in territorio non musulmano. Solo che, sar stato il mio disappunto nellaver pensato esattamente come la Santanch, sta di fatto che cercai di informarmi, approfondendo, con ricerche, le mie conoscenze sullargomento, quando finalmente trovai linghippo, lerrore, linganno. Durante la trasmissione di Santoro, Annozero, qualche giorno dopo, intervenne sullargomento burqa una ragazza musulmana. E anche lei dichiarava: Ma perch pensate a una costrizione sol perch unusanza lontanissima dalla vostra concezione di vita? Perch pensate che per noi, donne musulmane, il burqa sia qualcosa di antiumano che ci costringe a nascondere il volto? Anche qui cera stato un errore di giudizio. La ragazza, in Italia da molti anni, con un italiano perfetto spieg che, per moltissime donne musulmane, coprire il loro volto con un velo era una credenza ormai cos tanto radicata nel loro costume che non aveva senso farne a meno. Noi non siamo costrette, continu la ragazza, per noi assolutamente normale coprire il volto. Anche se chiaro che chi vede in questo gesto una forzatura della propria libert non deve farlo. Perci, la base di partenza sbagliata. Se una donna musulmana, che vive in Italia, si ribella al burqa giustissimo, in nome della libert umana, che abbia la possibilit di fare a meno del velo. Ma, non per questo, tutte le donne musul-

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mane vivono, come sostiene la Santanch, in una perenne condizione di sfruttamento e schiacciamento della propria personalit. La Santanch si posta come paladina delle donne musulmane in Italia e del loro diritto a ribellarsi nei confronti di sevizie psicologiche subte negli anni. Ma quelle donne non sono TUTTE costrette; esse rispettano semplicemente usanze religiose che non appartengono a noi, e che quindi ci viene difficile comprendere. Le nostre nonne si prodigavano nel ruolo di casalinghe e mamme e, molte di loro, non hanno mai neanche lavorato. Erano altri tempi, va bene. E oggi per noi donne potrebbe essere espressione di una costrizione per donne che invece hanno pari capacit di lavorare rispetto agli uomini. Perci, se estraessimo dal suo contesto storico tale funzione della donna la vedremmo come segregata a un ruolo inferiore rispetto alluomo. E infatti dopo, abbiamo avuto le donne che hanno urlato lutero mio e lo gestisco io!, in nome della libert daborto, donne che sono scese nelle nostre piazze per pretendere pari diritti nei confronti degli uomini. Eppure, visto che comunque quellevento radicato nel nostro patrimonio consuetudinario, se oggi incontriamo una nonna che ha vissuto quel ruolo di casalinga e madre, oltre il quale lei non andava, beh, questa nonna probabilmente gestir ancora la casa e la cucina e tutte le faccende domestiche pensando che sia suo dovere far tutto ci mentre luomo seduto sulla sua poltrona a leggere. Ci sono ancora oggi donne che affermano: In cucina ci sto io. Sono io che stiro, rammendo, cucino e sistemo. Ma in questo caso, a noi basta pensare che lei che vuole cos. lei che ha deciso. La libert e parit di una donna concretamente laffermazione della sua volont, qualunque essa sia. la costrizione da condannare, non certo unusanza lontanissima, e per noi inconcepibile, come il dovere di una donna musulmana di non far intravedere alluomo altro allinfuori dei proprio occhi. E allora, forse, vale la pena ricordare ci che affermava Seneca: Aliena vitia in oculis habemus, a tergo nostra sunt ( Abbiamo davanti agli occhi i vizi degli altri, mentre i nostri ci stanno dietro). Amartya Kumar Sen, un economista indiano Premio Nobel nel 1998, ha pubblicato in Italia nel 2006 con Editori Laterza il saggio Identit e Violenza, contro gli abusi in nome dellidentit. Un capitolo, in particolare, ha attirato la mia attenzione, Occidente e Antioccidente: La resistenza alloccidentalizzazione [] un fenomeno che pu assumere la forma del rifiuto di idee considerate occidentali. [] Non c niente di specificamente occidentale nel giudicare la libert un bene prezioso o nel difendere la libert di espressione e discussione in pubblico. Ma il fatto di etichettare queste teorie come idee occidentali pu generare un atteggiamento ostile verso di esse in altre societ. un fenomeno osservabile in diverse forme di retorica antioccidentale, dalla [] tesi che

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lespressione ideali islamici debba significare profonda ostilit a qualsiasi cosa sostenga lOccidente. Questo affermarsi della giustezza e dellonnipotenza dellOccidente crea, inevitabilmente, come ci spiega Sen, unopposizione tra Occidente e Antioccidente, un limite tra due modi di pensare e di vivere differenti. Questa centralit dellOccidente ha anche, nelle sue forme pi estreme, dato vita al fondamentalismo, in generale, e a quello islamico, in particolare. Sen trova le radici di questo comportamento onnipotente delloccidentale verso il non-occidentale, proprio nellevento della colonizzazione. Evento sotto il quale sono passate intere epoche di popoli sottomessi. E si sofferma, maggiormente, sullumiliazione che hanno subto i colonizzati e, non dimenticando di certo i gravi abusi che sono stati commessi nei confronti delle vittime della colonizzazione, Sen parla di dialettica della mentalit del colonizzato, come nel caso del continente africano, quel continente nero che ha dato origini alla razza umana ed responsabile di molti dei progressi pi rivoluzionari nella crescita della civilt mondiale, che ha subto la trasformazione in un continente dominato dagli europei. Gli effetti devastanti dellumiliazione continua Sen sulla vita degli esseri umani sono un fatto oggettivo. Da qui nasce quindi, probabilmente, quel sentimento di estraneit dei popoli colonizzati nei confronti degli artefici dellevento colonizzatore. I vinti da una parte, i vincitori dallaltra. Considerare se stessi come laltro in contrapposizione con qualche struttura di potere esterna, in questo caso coloniale, fa parte del bagaglio ideologico di base di alcuni movimenti fondamentalisti pi marcatamente antioccidentali, tra i quali figurano le versioni pi accese del fondamentalismo islamico. Nel periodo doro dei musulmani, quando essi controllavano il nucleo centrale del Vecchio Mondo, tra il VII e il XVII secolo, non sentirono mai la necessit di definire se stessi come laltro. Ci fin quando al centro della scena politica non stato posto lOccidente. LOccidente come ossessione al di sopra di qualsiasi altro valore. Questo, conclude Sen, uno dei casi in cui la dialettica della mentalit del colonizzato pu avere la maggiore efficacia istigatoria. Concludendo, allarghiamo i nostri orizzonti, cerchiamo di ingrandire i nostri bagagli culturali, arricchiamo le nostre letture, ringraziando sempre chi, da scrittore, ci permette di conoscere nuovi mondi e nuove usanze, non dimenticando MAI che la diversit insita nei popoli e nellessere umano. Laicamente parlando, insomma, se vogliamo davvero un mondo migliore guardiamo ci che diverso, sconosciuto per noi, come qualcuno o qualcosa da cui possiamo imparare nuove esperienze di vita. Proprio perch, come diceva Cicerone, Nihil inimicus quam sibi ipse, ( Nessuno pi nemico di se stesso).

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Direttore responsabile Federico Vigan Redazione Michele Bertinotti, Andrea Coccia, Alessio Cupardo, Gero Miccich Consulente di Redazione Barbara Gizzi Collaboratori Giorgia Camilleri, Renato Chiaro, Sem Galliani, Roberto Mandracchia Disegno in copertina di: Baldak Testata Calligrafica: Greta Bizzotto Heartfelt Graphic Design Studio - www.heartfelt.it Impaginazione: Andrea Coccia Soci sostenitori: Paolo Coccia, Giorgio Fumagalli, Daniele Magni, Marco Curto, Amedeo Bruccoleri (Libreria Capalunga), Lia Pennelli, Vincenzo Cuffaro

Contatti: francotirature@gmail.com francotirature.blogspot.com

finito di impaginare nel mese di dicembre 2010 disegno in copertina di Baldak impaginazione di Andrea Coccia Salvo diverse indicazioni, il contenuto di El Aleph (immagini e testi) pubblicato sotto una Licenza Creative Commons - creativecommons.org

basta in fondo un albero di pino, per scrivere un racconto di Natale. Charles Dickens

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