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MIMESIS / TRANSITI
N. 12
comitato scientifico
Alessandro Carrera (University of Houston, USA)
Rocco Ronchi (Università dell’Aquila)
Lorenzo Vinciguerra (Université de Reims, France)
Vincenzo Vitiello (Università San Raffaele)
Andrew Culp
DARK DELEUZE
A cura di
Francesco Di Maio
Interventi di
Rocco Ronchi e Paolo Vignola
MIMESIS
Titolo originale: Dark Deleuze, Andrew Culp Published by the University of
Minnesota Press. All rights reserved
Collana: Transiti, n. 12
Isbn: 9788857567808
Abbreviazioni 7
(Non)prefazione
di Paolo Vignola 17
Nota di traduzione 29
DARK DELEUZE
Introduzione 33
Connessioni attuali 34
Odio per questo mondo 38
Dalla cappella alla cripta 43
L’Estinzione dell’Essere 49
Il compito: Distruggere mondi, non creare concetti 49
Il soggetto: De-divenire, non concatenamenti 52
L’esistenza: Trasformazione, non genesi 54
Ontologia: Materialismo, non realismo 55
Differenza: Disgiunzione esclusiva, non inclusiva 56
Conclusione 87
Ringraziamenti 91
Bibliografia 101
Filmografia 113
4 http://www.andrewculp.org/
5 Infra, p. 37.
6 Per un’analisi del concetto e una sua rinnovata lettura, resta ancora attualissimo E.
Garroni, Creatività (1978), Quodlibet, Macerata 2010. Si veda l’importante prefa-
zione di Paolo Virno all’edizione citata. Per quanto riguarda le origini contingen-
ti del concetto di ’creatività’, si veda S. Bartezzaghi, Il falò delle novità. La crea-
tività al tempo dei cellulari intelligenti, utet, Torino 2013.
7 Culp, nel suo libro, parla di “reale”, a volte con la minuscola, a volte con la maiu-
scola, grafia che abbiamo sempre rispettato senza modificare. A nostro parere, il
discrimine tra “produzione” e “riproduzione” sta tutta lì. Nelle convenzioni del
linguaggio lacaniano, infatti, con la maiuscola ci si riferisce al Reale visto dal re-
gistro del Simbolico, mentre con la minuscola al reale in sé. Su questo punto, re-
stano sintomatiche le domande e le incomprensioni sollevate da J. Butler, E. La-
clau e S. Žižek, Dialoghi sulla sinistra. Contingenza, egemonia, universalità
(2000), Laterza, Bari-Roma 2010.
F. Di Maio - Introduzione all’edizione italiana 11
8 Cfr. G. Deleuze e F. Guattari, Che cos’è la filosofia? (1991), ed it. a cura di C. Ar-
curi, Torino, Einaudi 20023, p. 119.
9 Infra, p. 34.
10 Si pensi “semmai a una specie di “trans-semiotica” come attività costante di tra-
duzione: per Deleuze i concetti non esistono di per sé ma solo in traduzione con
altri concetti; allo stesso modo, i segni e gli autori non esistono di per sé, ma solo
in traduzione con altri segni e con altri autori”, P. Fabbri, Come Deleuze ci fa se-
gno. Da Hjelmslev a Peirce (1998), url = https://www.paolofabbri.it/deleuze/.
11 Cfr. infra, p. 17.
12 G. Deleuze e F. Guattari, op. cit., p. 44.
13 Su questa dinamica, si veda U. Eco, Costruire il nemico (2008), in Id., Costruire
il nemico e altri scritti occasionali, Bompiani, Milano 2010, pp. 9-36.
14 Cfr. infra, pp. 5-6 e 48.
12 Dark Deleuze
forca. Culp produce la sua serie (doppia) divergente di concetti, ripresi e ri-
masticati dalla lettera di Deleuze, fino a creare un Deleuze (doppio anch’esso)
tutto suo e irriconoscibile o, meglio ancora, spinto al punto di indiscernibili-
tà con l’originale. Il fine: distruggere questo mondo di gioia compulsiva.
Come è possibile questa dinamica? Un mondo è ciò che inerisce ad un
punto di vista. Il punto di vista è ciò che dà coerenza alle cose che costitu-
iscono il mondo che, rimandandosi tra di loro, si articolano in serie. I mon-
di coerenti tra di loro saranno allora serie convergenti, quelli in contraddi-
zione serie disgiuntive. Se quanto detto non esaurisce il nocciolo della
metafisica deleuziana, certo vi si ritrovano gli assi della sua mona-/noma-
dologia e di tutto il libro di Culp. Dark Deleuze è così un testo di grande
densità dove, alla prima trentina di pagine sullo stato dell’arte e sugli
intenti programmatici, seguono tre capitoli che passano in rassegna la di-
sgiunzione concettuale tra la Gioia e l’Oscurità.
Il Deleuze gioioso non è altro che un sole acceccante, infinito, che tutto
illumina fino ad abbacinare. È un eliocentrismo ineluttabile. Ma perché la
contrarietà e non spingersi fino alla contraddizione, alla negazione? Perché
quindi Deleuze, dato che è stato colui che ha scelto come suo bersaglio po-
lemico la dialettica in tutte le sue forme, da quella platonico-aristotelica a
quella hegeliana? Si parla molto del Deleuze opposto alla negazione, De-
leuze filosofo dell’affermazione gioiosa che non può che descrivere la re-
altà e così benedirla.
Il problema è che si gioca tutto su un crinale delicato, tra la negazione e il
negativo. Se in Deleuze la prima viene destituita per il suo carattere incoeren-
te (la negazione non può che affermare ciò che nega) ed in quanto logica
adottata da qualsiasi istanza trascendente, il negativo è più che presente nel-
le sue opere e, anzi, è forse il suo motore: cosa sono due forze opposte se non
l’una il negativo dell’altra?15 Culp in realtà non scioglie quest’ambiguità di-
stinguendo i termini, ma introducendone un terzo che, seppur non faccia ri-
ferimento alla “negazione”, in qualche modo la rievoca: negatività [“negati-
vity”]. Negli intenti di Culp, negatività è da una parte il carattere psicologico
di opposizione, dall’altra è l’essere negativo fotografico. Nel mondo d’oggi
di sovraesposizione, Deleuze non può che emergere per contrasto.
Detto in altri termini, Dark Deleuze non fa altro che un buon uso del
complotto, come estrema controffensiva della paranoia del sistema. Se un
principio si erge a primo, sussumendo tutti i particolari, ciò che resta non è
che un fantasma che può solo insistere sui bordi e che, dopo averli infesta-
ti, possa progressivamente assumere una corporeità concettuale propria,
che non può che divergere logicamente dal sistema e costituire nuovi mon-
di. Qui l’intento politico-polemico del libro: il compito di “distruggere
questo mondo”, supposto unico.
Ci stiamo concentrando sulla componente del rapporto tra linguaggio e
sistema, poiché lì, a nostro parere, risiede il valore dell’operazione di Culp.
Esempio: si prenda un concetto paradigmatico quale quello di “rizoma”,
scaduto, come già indicato, a immagine di un entusiasmo per la connessio-
ne infinita di persone e cose. In realtà, chi ha avuto modo anche solo di sfo-
gliare il testo Rizoma, sa bene che il rizoma ha un “di fuori”, un esterno, un
elemento di virtualità sempre ulteriore, tale da permettere le “rotture asi-
gnificanti”: si ha infatti “rottura nel rizoma ogni volta che linee segmenta-
rie esplodono in una linea di fuga, ma la linea di fuga fa parte del rizoma”16.
Un rizoma senza fuori è solo un’immensa struttura arborescente, mera ri-
petizione dello stesso concetto e non differenza. Se dunque il “rizoma” è
ormai “musica da organetto”, se ne svisceri il midollo ancora vivo e lo si
alimenti. L’urlo di Dark Deleuze è il richiamo del di fuori. La sua velocità
è quella della linea di fuga, non dell’accelerazione di cui altri dark, questi
però Illuministi, si sono fatti promotori17.
Tutto il Dark era già in Deleuze stesso. Ma se Culp introduce il proble-
ma di una “retorica” del concetto, di retorica sembra anche peccare. Il te-
sto, densissimo, per il suo intento politico non cede ad alcun compromes-
so. È un testo di una radicalità che non prevede dialogo. L’operazione di
produrre un personaggio concettuale lo permette e l’intento lo richiede. Ma
una strategia simile, alimentata però dalla ferocia verso il mondo, si tradu-
ce in una tattica filosofica che fa terra bruciata degli spunti, stimoli e lettu-
re che hanno portato Culp a realizzare una struttura così ben congegnata.
Tutti coloro che cita e che risultano suoi punti di partenza, seppur elogiati
per le loro intuizioni, mancano di quella radicalità da lui pretesa. Questa
forma di ingratitudine, nonché di svilimento finale dell’opera di importan-
non si sia mai rivolto in termini positivi verso questi e che il compromesso sia sta-
to piuttosto con la democrazia stessa. Cfr. infra, pp. 65-7.
21 Id., Il canone minore. Verso una filosofia della natura, Feltrinelli, Milano 2017. Il
progetto filosofico presentato in questo libro sta proseguendo in una collana omo-
nima della presente casa editrice. Sembra però che sia Deleuze stesso a fare pro-
prio, nella sua filosofia, il concetto di canone. Si veda Canone Deleuze. La storia
della filosofia come divenire del pensiero, a cura di M. Iofrida, F. Cerrato e A.
Spreafico, Clinamen, Firenze 2008.
22 R. Ronchi, Zombie outbreak. La filosofia e i morti-viventi, Textus, l’Aquila 2015.
Tra i figli di Deleuze, sebbene non necessariamente gioiosi, vi si trovano “rizom-
bie senza radici”. Cfr. infra, p. 3.
23 Il termine ritorna nelle opere di Deleuze direttamente in inglese, in quanto ripreso
da A.N. Whitehead. Ci è sembrato comunque il caso di tradurlo con “godimento”
dovendo introdurre l’opera nel dibattito italiano, ricordando che in ogni caso il
termine ricopre un ampio raggio di accezioni e i significati dati dagli autori non
sono gli stessi.
24 G. Deleuze e F. Guattari, Che cos’è la filosofia?, cit., p. 17.
25 Infra, p. 48.
Paolo Vignola
(NON)PREFAZIONE
Dark Deleuze non solo non è uno dei tanti libri su Deleuze, ma non dà
neanche l’idea di essere un libro sul filosofo francese. In un certo senso si
può dire che, salvo alcune eccezioni, non parla nemmeno esattamente di
Deleuze, se non per mostrare ciò che quest’ultimo non avrebbe pensato ab-
bastanza. Parla piuttosto di quel che non è Deleuze, di come l’autore lo
vorrebbe e di come potrebbe esserlo, di come Deleuze potrebbe essere
dark. Al tempo stesso, però, non parla che ai deleuziani e allo stesso De-
leuze, reo di essere spesso deleuziano, troppo deleuziano.
Tuttavia, Dark Deleuze non è non deleuziano, almeno non lo è nel senso
indicato da Bachelard, dove il non – per esempio quello delle geometrie non
euclidee – non rappresenta una negazione, bensì un allontanamento o una bi-
forcazione. Come dichiara, Dark Deleuze non va e non pretende andare oltre
la prospettiva deleuziana1. Ecco allora l’ipotesi di questa (non)prefazione:
più che il titolo di un saggio filosofico, Dark Deleuze è un personaggio, al-
meno se stiamo a quello che ci dice. E innanzitutto scopriamo che sarebbe un
figlio fatto con Deleuze, ossia, come vuole l’immagine della Lettera a un cri-
tico severo, un figlio fatto alle sue spalle, proprio come quest’ultimo diceva
di comportarsi con i grandi filosofi della storia ai quali consacrò le sue mo-
nografie: “inculata o, che poi è lo stesso, immacolata concezione”2. In questo
senso, e considerando la mole di studi sul – e a partire dal – filosofo france-
se, dovremmo aspettarci che Dark Deleuze non sia l’unico figlio di tale rela-
zione. Queste le parole del genitore semantico, latore del seme: “Deleuze ha
ora una più che abbondante prole di mostriciattoli tutta sua – rizom-bie [rhi-
zombies] senza radici, vertiginosi metafisici, capricciosi geonaturalisti, tra-
scendentalisti incantati e affettivisti passionali. Il mio scopo è dargli un enne-
simo figlio che ne condivida il cognome: ’Dark Deleuze’”3.
Dato che tali epiteti filosofici possono irritare diversi potenziali lettori,
diciamolo prima che sia troppo tardi, ma anche prima di eventuali accosta-
menti quasi automatici con l’ultrareazionario Dark Enlightment di Nick
Land, da cui Andrew Culp è comunque distante anni luce, o meglio, anni
ombra, dato il tema: Dark Deleuze è (un) comunista rivoluzionario, il suo
compito ultimo è “tenere vivo il sogno della rivoluzione in tempi
controrivoluzionari”4 e così preparare “la fine di questo mondo, la sconfit-
ta finale dello Stato e il comunismo pieno”5. Chiaramente questo “nobile”
fine non può sminuire più di tanto l’arroganza con cui Dark Deleuze si pre-
senta. Se infatti tale obiettivo pare irriducibilmente ambizioso, il modo di
promuoverlo è assillante, borioso e a dir poco tranchant, nonché letteral-
mente anti-patico, soprattutto verso qualsiasi accento spinoziano. Tutto ciò
non lo prenderei però troppo negativamente, preferirei non ridurre tutto a
un’opposizione, preferirei di no. A maggior ragione perché, al netto dell’an-
ti-patia con cui vuole presentarsi, la sua operazione è tutto fuorché gratui-
ta, dato e riconosciuto il rischio che si corre, con Deleuze (chiaramente non
solo con lui), di ripeterlo senza produrre una differenza, uno scarto che
spinga il pensiero avanti. In tal senso, gli strattoni concettuali che Dark
prova a dare possono essere salutari e tonificanti.
Probabilmente tutti coloro che leggono e scrivono su Deleuze hanno in-
contrato nella loro vita qualcuno così ostinato nel compito del detrattore
del pensiero deleuziano: studiosi analitici ortodossi, vetero-marxisti, catto-
lici integralisti, accademici ignoranti allo stato brado, solo per ricordare la
mia esperienza personale. Qui però pare trattarsi, tecnicamente parlando,
di fuoco amico: una macchina da guerra che incomincia a mitragliare le sue
compagne, ree di aver goduto troppo dell’affermatività gioiosa del deside-
rio. Il bersaglio di Dark, dunque, non è Gilles, bensì varie mute di deleuzia-
ni influenti nel campo, o di autori che, rei di complicità con Spinoza – il
Cristo dei filosofi –, esprimerebbero più o meno ingenuamente la gioia del-
la connettività, come Donna Haraway, Tim Dean, Jasbir Puar, Édouard
Glissant, Manuel DeLanda, ma anche quello che viene definito lo spinozi-
smo democratico di Toni Negri. Altri autori, da Dark definiti come deleu-
ziani dissidenti, e in particolare Gregory Flaxman, Anne Sauvagnargues,
Gregg Lambert e François Zourabichvili, sarebbero invece “pessimisti
gioiosi”6, per via del loro scarto dall’ipotesi di un’ontologia propriamente
spino-deleuziana, ma non ancora pronti per affrontare l’oscurità necessaria
4 Infra, p. 46.
5 Infra, p. 48.
6 Infra, p. 52.
P. Vignola - (Non)prefazione 19
Molti deleuziani promuovono ancora concetti che allo stesso modo giustifi-
cano questi slogan: linee trasversali, connessioni rizomatiche, reti composizio-
niste, concatenamenti complessi, esperienze affettive e oggetti incantati. Nes-
suna meraviglia se Deleuze è stato deriso come genio della lampada lava del
“Buddhismo californiano” – tanti così hanno ridotto la sua rigorosa filosofia a
un apprezzamento reciproco della differenza, dell’apertura agli incontri in un
mondo intricato e delle capacità accresciute attraverso la sinergia.8
7 Infra, p. 52.
8 Infra, p. 37.
9 “’[G]iardini rizomatici’’, ’auto-produzione cooperativa’ e ’affermare l’affermati-
vo della vita’. Contro queste massime, Dark Deleuze è rinato come un barbaro de-
scritto nella stagione all’inferno di Rimbaud”, cfr. infra, p. 43.
10 Infra, p. 82.
11 Infra, pp. 42 e 38-9.
20 Dark Deleuze
12 Infra, p. 33.
13 Infra, pp. 37-8.
14 Nel senso che Deleuze e Guattari pensano il rapporto tra autore e personaggio
concettuale, per cui il primo non sarebbe altro che l’involucro del secondo. Cfr. G.
Deleuze, F. Guattari, Che cos’è la filosofia?, ed. it. a cura di Carlo Arcuri, Einau-
di, Torino 2002.
15 Infra, pp. 35-6. Cfr. il numero d’esordio della rivista “La Deleuziana”, la quale ha
tra le sue linee di ricerca la sintomatologia del pensiero contemporaneo. In parti-
colare cfr. “La Deleuziana” n. 0, “Critica della ragion creativa”.
16 Cfr. per esempio D. Savat, M. Poster, Deleuze and New Technologies, Edinburgh
University Press, Edinburgh 2005.
P. Vignola - (Non)prefazione 21
filosofi belgi rappresenta in tal senso un punto di vista importante per con-
nettere la micropolitica di Mille piani al presente e cominciare a risolvere,
provisionalmente, il puzzle di Dark.
Più in particolare, secondo Rouvroy e Berns, il capitalismo digitale si
sarebbe impadronito tanto dell’immagine del piano d’immanenza, quanto
della stessa micropolitica e dei flussi molecolari su cui si basava proprio la
strategia schizoanalitica di Deleuze e Guattari. Il capitalismo delle piatta-
forme digitali, in tal senso, sarebbe precisamente una forma di governare la
micropolitica del desiderio attraverso la stessa dimensione micropolitica
delle esistenze, che mediante l’estrattivismo dei dati e l’asservimento mac-
chinico17 degli utenti regala al capitale sempre più informazioni molecola-
ri. La governamentalità algoritmica sarebbe in tal senso un modo inedito di
controllo sociale di cui beneficiano vari soggetti, governativi, statali e pri-
vati, basato sull’estrazione e modulazione dei Big Data. Oggetto di tale go-
vernamentalità sarebbero perciò tutti gli utenti delle tecnologie digitali,
“interpellati” attraverso i loro “profili” al fine di anticiparne i comporta-
menti, prevederne rischi e opportunità per la sicurezza, l’economia, la fi-
nanza e la biopolitica della sanità. Ora, a destare scalpore filosofico sareb-
be l’effetto d’immanenza, risultato dell’iper-ostensione dell’immediatezza
e dell’orizzontalità radicale delle connessioni, generato dal lavoro di corre-
lazione dei Big Data. È qui che sorge la clinica del concetto di Rouvroy:
Quello che Dark non sembra voler vedere, è che ci è possibile pensare il
platform capitalism nei termini dell’immanenza e del governo sulla micro-
politica, precisamente perché Deleuze, e con lui altri gioiosi spinoziani, ci
hanno fornito le lenti per vederla e criticarne gli effetti superficiali che in re-
altà la cortocircuitano, ossia che ne neutralizzano tanto la potenza quanto il
19 Cfr. B. Stiegler, La società automatica I. Il futuro del lavoro, trad. it. di S. Baran-
zoni, I. Pelgreffi e P. Vignola, Meltemi, Milano 2019.
20 Cfr. P. Vignola, “Questo non è un piano”, postfazione a G. Deleuze, F. Guattari,
Mille piani. Capitalismo e schizofrenia II, a cura di P. Vignola, Orthotes, Napoli-
Salerno 2017.
21 “[I]l punto non è costruire un corpo senza organi (organizzazione, organismo,...)
ma organi senza un corpo”, infra, p. 83.
P. Vignola - (Non)prefazione 23
secondo Dark, dovrà pur farlo. Il duro lavoro del concetto nel quale si im-
pegna Dark è duplice, poiché a tratti vorrebbe in qualche modo salvare De-
leuze dai suoi “vizi” gioiosi e affermativi, denunciandoli e trovandone
l’antidoto, mentre altre volte vuole mostrarci come sia lo stesso Deleuze a
tendere esplicitamente verso il negativo, o ad appoggiarvisi, e dunque il vi-
zio starebbe nei suoi lettori che si coprirebbero gli occhi. In qualsiasi caso,
anche se è innegabile l’articolazione di critica spietata e creazione nel pen-
siero di Deleuze, il rischio che Dark immagina consiste nel poco amore
verso l’odio che il filosofo del rizoma sembra manifestare, nonché la scar-
sa propensione verso la distruzione. Si tratterebbe di un atteggiamento che,
specie se incoraggiato dai lettori, rischierebbe di condurre Deleuze a diven-
tare “l’asino ragliante di Nietzsche, che dice sì solo perché è incapace di
dire no (cfr. NF, pp. 270–7)”.
Ma appunto qui risiede probabilmente il punto cieco della prospettiva di
Dark, che sembra voler vedere tutto bianco o tutto nero: sin da Differenza
e ripetizione e Logica del senso, Deleuze ha sempre mostrato una specie di
diplopia concettuale, per cui le incursioni nella profondità sono spesso
compensate o per meglio dire controeffettuate dagli scivolamenti in super-
ficie, il nuovo della differenza è permesso dalla ripetizione, così come l’af-
fermazione nietzscheana dalla negazione delle forze reattive, il molecolare
si intreccia col molare, la micropolitica con la macropolitica, Nietzsche si
trama con Bergson, lo stesso Deleuze con Guattari, e via dicendo. Ed è pre-
cisamente questa diplopia a fare di Deleuze un autore irriducibile a un ca-
none predefinito, irriconducibile a una monolitica Stimmung filosofica –
gioia, ottimismo, vitalismo22. Le macchine, e soprattutto le macchine da
guerra – che non hanno la guerra come oggetto esclusivo per quanto sem-
bra definirle – rendono conto proprio di tale aspetto, ma anche la formula
“I would prefer not to” di Bartleby, che del resto rappresenta un’autentica
macchina da guerra linguistica.
Con un gesto che al tempo stesso afferma e rimuove tale diplopia, Dark
segnala la componente negativa presente in vari concetti creati da Deleuze
e Guattari, e si propone di svilupparne i tratti genetici, non tanto nel senso
metafisico, quanto in quello propriamente logico-grammaticale: deterrito-
rializzazione, anti-Edipo, sintesi disgiuntiva, tra gli altri. L’osservazione
25 Un esempio è quello relativo a Bernard Stiegler. Culp afferma che “Alcuni filoso-
fi, come Bernard Stiegler, dicono persino che la tecnologia sta rubando la nostra
preziosa interiorità” (infra, p. 36). Come è risaputo, per Stiegler l’interiorità è un
effetto del nostro rapporto con l’esteriorità e, paradossalmente, l’esteriorizzazione
dei nostri contenuti di memoria. Ciò significa che non esiste un’interiorità pura
che verrebbe affettata o sottratta da parte della tecnologia. Di conseguenza, l’af-
fermazione di Culp risulta inconsistente.
26 Cfr. infra, p. 87.
27 Infra, p. 34.
26 Dark Deleuze
Comunque sia, a un certo punto la fiction termina e Culp offre una serie
di preziose indicazioni sulla metodologia. Non voglio spoilerare il finale e
per questo il testo si avvia alla conclusione.
Questo libro è come una palestra per il pensiero, importante per mante-
nere attiva la sintomatologia del concetto, e in tal senso, positivamente, at-
tivamente, non parla che ai deleuziani. Per questo va letto, e in tale aspetto
sintomatologico risiede anche il suo carattere in un certo senso necessario
per gli studiosi di Deleuze, soprattutto se non si vuole finire a fare i colle-
zionisti di macchine d’epoca, attenti a non usurarne il motore o a non graf-
fiarne la carrozzeria. In questa palestra oscura, incriptata nelle viscere del
negativo, Dark sarebbe allora chi si presenta come un (im)personal trainer,
specializzato nel bungee jumping intensivo, nel parcours concettuale e nel
sollevamento dei contrari. Sta al lettore come rapportarvisi, se preferire di
no o scoprirne l’interesse e l’utilità, sposarne la causa o anche solo un
aspetto, giocarci o prenderlo seriamente. Oppure, giocarci per prenderlo
sul serio, per continuare a pensare.
NOTA DI TRADUZIONE
F.D.M.
DARK DELEUZE
INTRODUZIONE
Connessioni attuali
Michel Foucault, un po’ per battuta, pronosticava nel 1970 che “un gior-
no, forse, il secolo sarà deleuziano” (Foucault 1970, p. 54). È facile vedere
come i tifosi abbiano pompato questa frase per far emergere Deleuze, che
era molto meno popolare di Foucault o Derrida durante la prima ricezione
del post-strutturalismo in America. E se invece fosse un attacco tra le ri-
ghe? Foucault esprime questo giudizio riferendosi nello stesso momento
anche a Pierre Klossowski, un membro cruciale della società segreta
Acéphale, che ha aiutato a rilanciare Nietzsche in Francia quando altri
troppo facilmente liquidavano il pensatore come fascista. “Storicamente
adeguato” sarebbe un insulto per Nietzsche, il quale, all’inizio del suo sag-
gio Sull’utilità e il danno della storia per la vita, orgogliosamente annun-
cia l’inattualità di un pensiero che agisce “contro il [proprio] tempo, e in tal
modo sul [proprio] tempo e, speriamolo, a favore di un tempo venturo”
(Nietzsche 1874, p. 261). In quanto uno dei principali interlocutori france-
si di Nietzsche, Deleuze usa questa frase sull’inattualità in apertura di Dif-
ferenza e ripetizione – proprio quel libro che Foucault stava recensendo
Introduzione 35
altari, spezzerete le loro stele, taglierete i loro pali sacri, brucerete nel fuo-
co le statue dei loro dei e cancellerete il loro nome da quei luoghi [De.12,
3, N.d.T.]. Più modestamente, il primo passo è riconoscere che l’ottimismo
a briglia sciolta per la connessione ha fallito. Le zone temporaneamente au-
tonome sono diventate zone economiche speciali. Le conseguenze materia-
li del connettivismo sono chiare: il terrore dell’esposizione, la diffusione
del potere e la sovrasaturazione dell’informazione. Si sarebbe tentati di cri-
ticare i deleuziani connettivisti di cadere fuori dal tempo, per non aver ri-
conosciuto il loro stesso momento di convalescenza. Tuttavia tale accusa
preparerebbe solo il terreno per un intervento più attuale. Dark Deleuze
non indossa il mantello del guru profetico o del puntuale agitatore politico.
Come progetto, segue piuttosto il consiglio di Deleuze di creare inattuali
“vacuoli di non-comunicazione” che rompono i circuiti anziché estenderli
(PP, p. 231). Il punto non è uscire da questo luogo, ma cannibalizzarlo –
possiamo essere di questo mondo, ma certo non siamo per esso. Questo es-
sere fuori dai cardini è una distanza. E la distanza è ciò che dà inizio all’o-
scura immersione nei molti mondi che il vecchio ha eclissato.
Che genere di pazzo sarebbe chi pensasse che sia sufficiente mostrare
quest’origine e il velo nebbioso che avvolge questa illusione per annientare il
mondo che si crede sostanziale, la cosiddetta “realtà”! Solo in quanto creatori
noi possiamo annientare! – Ma non dimentichiamo neppure questo: è sufficien-
te creare nuovi nomi e nuove valutazioni e nuove verosimiglianze per creare, a
lungo andare, nuove “cose”.
essere autorizzate dal termine stesso, così come viene dall’Etica di Spino-
za, in cui la linea tra le due è meno netta. Superfici di gioia come la sensa-
zione di piacere che proviene dall’incontro di un corpo con qualcosa che
espande le sue capacità, le quali sono affetti che vengono detti “concorda-
re con la mia natura”, essere “buoni” o semplicemente “utili” (S, p. 186).
Finire la storia qui (sebbene qualcuno lo faccia) riprodurrebbe un edoni-
smo ingenuo basato sulle inchieste sui soggetti e sui loro stati affettivi au-
toriportati. La teoria degli affetti di Spinoza non è un’affermazione delle
sensazioni di un soggetto, ma una prova dell’inadeguatezza della critica.
Gli affetti sono sottoprodotti emessi durante l’incontro che sottintendono
un sostituto da riconoscere o la comprensione di un ciclo vizioso che indi-
ca l’insufficienza della conoscenza. Ma ci sono innumerevoli forme di co-
noscenza, molte delle quali invitano alla stupidità o all’illusione. Ciò che
caratterizza la “conoscenza adeguata” di Spinoza è la sua abilità di creare
qualcosa di nuovo – è allora che la conoscenza diventa “identica alla co-
struzione del reale” (ivi, p. 109). Questo è il motivo per cui Spinoza può
dire Dio=natura; la conoscenza-come-Dio è definita come quel pensiero
che aumenta le capacità di prosperare delle azioni nel mondo naturale
(“penso, dunque sono attivo”, CF, pp. 20-1). Ciò implica che la critica non
sia effettiva di per sé, non importa quanto ad alta voce essa proclami la sua
verità. L’unica conoscenza adeguata è l’attività.
Deleuze corrompe l’olismo del già eretico Spinoza attraverso una vec-
chia proposizione atomista: il rapporto tra due termini produce un terzo ter-
mine indipendente (a volte, “i rapporti dei due corpi concordano così bene
da formare un terzo rapporto, grazie al quale i due corpi si conservano e
prosperano”, S, p. 186; cfr. inoltre, ES, p. 123.). Questo è come Deleuze co-
struisce la sua metafisica della positività – tutti gli elementi sono indipen-
denti senza ricorrere all’opposizione, alla contraddizione o all’identità (he-
geliane). La “linea di fuga” di Deleuze e Guattari incarna concettualmente
la nozione nietzscheana che le cose sono non del tutto dipendenti dal loro
contesto di produzione. Per essi, qualsiasi cosa che abbia acquisito la sua
propria consistenza interna è libera di muoversi al di fuori del proprio luo-
go di origine. Essi definiscono in questo modo anche l’arte – come impres-
sioni che si sono rapprese abbastanza da diventare il loro stesso esercito di
sensazioni (cfr. CF, p. 161). I contemporanei di Deleuze e Guattari condivi-
dono questa intuizione, in particolare la reversibilità strategica delle rela-
zioni di potere di Foucault e il materialismo aleatorio di Althusser. Per Fou-
cault (1976, pp. 81-90), la reversibilità del potere è illustrata
nell’omosessualità, la quale fu prima creata come categoria medica di per-
versione sessuale ma cresce come stile di vita pieno che “ha parlato auto-
42 Dark Deleuze
mazione di gioia, e, come tale, inabile a dare all’odio la sua forma necessa-
ria. La sua immagine del futuro assomiglia troppo a quella del presente, e
coloro che la ripetono finiscono per suonare come una parodia: “giardini ri-
zomatici”, “auto-produzione cooperativa” e “affermare l’affermativo della
vita”. Contro queste massime, Dark Deleuze è rinato come un barbaro de-
scritto nella stagione all’inferno di Rimbaud (1873, pp. 259 e 295):
Finora ci sono stati solo coloro che hanno illuminato il mondo in vari
modi; ora il punto è oscurarlo. Alcuni speculano che gli umani per la prima
volta abbiano riflettuto sui fatti del mondo sotto la luce brillante dei cieli.
Su quel vasto palcoscenico celeste, gli dei recitavano le grandi tragedie
dell’arte e della cultura. Questo cosmos ha inoltre ispirato le prime scienze
della matematica e dell’astronomia, intrecciando le molte costellazioni in
un unico arazzo. Mentre la luce delle stelle diveniva cicli astrologici, infi-
ne calendari dettagliati, venne così l’alba dei tempi.
Una storia più moderna inizia nel 1609, quando, dopo aver avuto notizia
dell’invenzione olandese del cannocchiale, Galileo ne crea uno proprio.
Quasi immediatamente, Galileo scrutava già negli oscuri quadranti della
Luna e illustrava il suo angolo di illuminazione. Queste scoperte l’avrebbe-
ro portato ad appoggiare ad alta voce l’eliocentrismo – rimpiazzando Dio
44 Dark Deleuze
Le cripte sono per loro stessa natura luoghi di reclusione. I primi Cri-
stiani che dovettero affrontare le persecuzioni pubbliche fuggivano nelle
catacombe sotto Roma, dove essi potessero pregare in segreto (cfr. an.
1829). Sotto i loro cori le prime basiliche contengono cripte come una
“seconda chiesa”, con una cella voltata, molte colonne, diverse corsie e
un altare (cfr. Lübke 1852, pp. 24-5). Alcune grandi chiese includevano
una seconda cripta dedicata a un particolare santo (cfr. ivi, p. 26). Talvol-
ta, quando gli oggetti sacri erano di speciale interesse, le cripte di santi
particolarmente rinomati ispiravano pellegrinaggi di massa (cfr. Spence-
Jones 1902, p. 269). Deleuze nota che questi spazi si piegano su se stessi,
esprimendo simultaneamente l’“autonomia dell’interno” e
l’“indipendenza della facciata” come un interno senza un esterno o un
esterno senza un interno, a seconda di come li si approcci (L, p. 47, trad.
leggermente modificata). Guardando il grande dipinto manierista-baroc-
co della Sepoltura del conte di Orgaz di El Greco, ci è data una scelta. Al
di sopra della grande linea orizzontale, una comunione di santi ascende
all’altezza di Gesù, la cui ascensione conferisce ai cieli eterna lucentez-
za. Al di sotto, una fratellanza di incappucciati, una folla di uomini palli-
di assieme per deporre il conte affinché riposi sotto un oscuro sfondo il-
luminato solo da torce. Il dipinto rivela la verità barocca della
conoscenza: “Da lungo tempo esistono luoghi in cui tutto ciò che è dato
a vedere si trova al di dentro: cellula, sacrestia, cripta, chiesa, teatro, stu-
dio di lettura o di stampa” (ivi, p. 46). Quindi al di là dell’associazione
delle cripte alla decomposizione e alla morte, vi è una proiezione di una
potenza architettonica sotterranea.
Dalla cripta, Dark Deleuze lancia un complotto. È alimentato da negati-
vità, una negatività che non proviene dalle antinomie. Seguendo Freud, la
negazione non è un sottoprodotto necessario della coscienza. La lezione da
trarre da lui è che la negazione consiste nel trovare un modo per dire “no”
a coloro che ci dicono di prendere il mondo così come è. A questo fine, il
cammino che ci attende è la negazione non dialettica di Deleuze, il “con-
trario”, che funge da distanza tra due cammini esclusivi (cfr. LS, pp. 153-
160). Klossowski (1972) identifica la meta del complotto nel rompere la
collusione tra moralità istituzionalizzata, capitalismo e Stato. Egli allora
mostra come la risata di Nietzsche possa essere usata come strumento spe-
rimentale per dissolvere in fantasmi tutte le identità. Numerosi commenta-
tori hanno provato a riabilitare il complotto sulla base di una distinzione tra
esoterico ed essoterico, laddove i discorsi essoterici sono la mera faccia
pubblica di una paranoia più profonda, il cui desiderio è celato in un codi-
ce esoterico. Nella misura in cui vale, nel suo libro Nietzsche e il circolo vi-
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The French Method
III. The holding of the flap cushion in place by the use of splints of
leather held in place by three needles. The latter are moved about,
as the shape of the cushion becomes modeled, about every three
weeks. The process ends when cicatrization of the flap or the newly
formed nose has been accomplished, shown by firmness and
contour.
IV. The margins of the old nose are freshened; the lateral incisions
extend to the root of the nose, where they are united with an upward
convex incision. The skin is well raised, gutterlike, from the deeper
tissue, to assure of the best vascularity.
V. The upper or apex pedicle of the flap on the arm is cut (see Fig.
349), and the thickened roll of skin, or what may now be termed the
new nose, is turned down toward the elbow. It is divided along the
line where the two margins of skin had been sutured; in other words,
it is laid open longitudinally.
VI. The nose thus prepared is brought into place before the
freshened margins of the old nose and is sutured into place
beginning at the root before the sides are coapted.
VII. At the end of fifteen days the pedicle attaching the nose to the
arm is severed, the angle for the wing being cut slightly larger than
that of the other side, which by this time has, of course, undergone
full contraction. The subseptum is made out of the square projection
folded upon itself, raw surfaces facing, and is brought into place by
suturing it into an incision made in the lip at the required point.
Graefe Method.—This surgeon devotes six steps to his operation,
as follows:
I. The borders of the old nose are freshened.
II. Sutures are passed through the raised skin of the borders of the
old nose.
III. The flap is cut from the arm after a pattern made one fourth
larger than the new nose required, leaving it attached by the small
pedicle intended for the subseptum.
IV. The sutures where required are now passed through the flap,
having already been placed through the old nasal borders and left
untied. The forearm is drawn against the forehead and the arm is
fixed in place with the retention apparatus. The sutures are now tied.
They are allowed to remain in about four or five days, not long
enough to irritate.
V. About the tenth day the head apparatus is removed and the
pedicle of the arm flap is divided. The arm may now be carefully
lowered to its normal position.
VI. The subseptum is not formed from the free end of the attached
flap for several weeks. It is then divided by two parallel incisions
directed outward. The septal section is folded upon itself, and
inserted and sutured in place into an incision made into the upper lip.
Szymanowski Method.—This author advises making the base of
the flap sufficiently wide, and of the form shown in Fig. 350, to permit
of the three sections of skin of this part of the flap to be folded upon
themselves before being sutured in place at the base of the nose, so
as to form lined nares and a thickened and supportative subseptum.
Steinthal Method.—This authority made the flap for the nose from
the skin over the sternum, proceeding as follows:
“From the sternum I cut a flap of skin and periosteum in the form
of a tongue whose lower base was five centimeters wide, and the
summit forming the pedicle three centimeters wide; its length was
twelve centimeters.
“I could have taken away with this flap some of the costal cartilage
to utilize in making the wings of the new nose.
“I dissected up this flap and closed the wound over the sternum
with sutures. The flap was then stitched to the forearm by its base
into an incision of appropriate length made near the radius. (See Fig.
352.) The arm was properly fastened in a plaster apparatus and the
flap enveloped in a dressing of borated vaselin. The forearm was
held in front of the breast, an attitude easily retained. Twelve days
later I cut the pedicle.
“I let a few days pass by, and then stitched the pedicle end of the
flap to the root of the nose. A new plaster apparatus was put in a
suitable position. The hand was placed on the forehead.
“Ten days after, I detached the flap from the arm and reformed the
nose with the flap, which hung down like an apron. It is necessary to
have a flap sufficiently long to fold in for the nostrils. I used bronze
aluminum wires for all the sutures.”
The position of the hand while the flap was healing to the root of
the old nose and the slight twist of the flap is shown in Fig. 353.
Fig. 352. Fig. 353.
Steinthal Method.