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PREMESSA
Il presente lavoro è frutto di una ricerca intima e personale che ha visto la luce durante il
terzo percorso e nello specifico durante la pratica in convenzione svolta presso la Comunità
Emmanuel per il recupero delle tossicodipendenze.
Nei primi mesi del 2017 cominciai i trattamenti in convenzione; contestualmente mi
dedicavo alla lettura di “Strategie di Shiatsu” di Mario Vatrini e “Hara il centro vitale dell’uomo
secondo lo Zen” di Karlfried Graf Dürckeim; inoltre, da circa un anno avevo cominciato a frequentare
un gruppo di meditazione secondo gli insegnamenti del maestro Thich Nhat Hanh e stavo
apprendendo i rudimenti e osservando gli effetti di una respirazione consapevole, della ricerca di
un centro e dell’importanza del radicamento. Alcuni mesi prima avevo sentito parlare dell’Hara per
la prima volta, durante il corso base di un’altra scuola di Shiatsu, dall’insegnante e dal suo assistente
che durante alcuni esercizi osservarono con stupore che io già utilizzavo l’Hara. Non ne avevano
parlato prima e quindi io non capii di cosa stessero parlando e chiesi spiegazioni, ma loro furono
molto vaghi. Oggi riconosco che fecero la cosa più giusta ma osservo che, nonostante io fossi in
grado di esercitare la spinta durante l’esercizio dal mio centro di gravità, ovvero dal basso ventre, in
realtà si trattava solo di un’azione istintiva e priva di consapevolezza; ancor di più ignoravo ed ero
ancora lontana dal percepire cosa fosse l’Energia che dal quel Centro di Vita può scaturire. Quindi
non si trattava dell’Hara.
La pratica in convenzione in un contesto “complesso” mi diede l’occasione di poter
assaporare le potenzialità di quell’Energia ma già comprendevo che era solo un assaggio e che il
percorso per assimilarne il senso sarebbe stato molto impegnativo e lungo. Tuttavia quelle letture,
il respiro e la pratica del Kata di gomito mi offrirono gli strumenti per sperimentare la centratura
consapevole e affrontare le difficoltà che si presentarono durante i miei trattamenti presso la
Comunità Emmanuel.
Il responsabile del settore dipendenze mi accolse con grande disponibilità e per me fu facile
introdurre l’argomento poiché il medico praticava l’agopuntura, per cui non erano argomenti a lui
sconosciuti. Mi propose di incontrare tutti insieme gli “ospiti” e di fare una breve presentazione di
me, della mia scuola e di quello che avevo intenzione di proporre come esperienza comune di lavoro.
Vincendo la mia atavica timidezza per qualcosa a cui tenevo molto, la presentazione riscosse
attenzione e curiosità; infatti, la risposta fu sorprendente ma certamente giocava anche
l’opportunità di poter saltare i turni di lavoro per un’ora. Di trattamento in trattamento, si creò un
piccolo gruppo, più o meno assiduo, con cui “cercai” di costruire un percorso 1.
1
Dico “cercai” perché in realtà credo che ci fosse ancora una fortissima componente egoica nel mio lavoro e
questo non può creare le condizioni per un percorso comune. All’epoca sottovalutai che il mio cammino era solo all’inizio
e, in termini dualistici, valutai l’efficacia tra i riceventi solo in un uomo, che inoltre fece pochissimi trattamenti ma mi
restituì feedback molto intensi; evidentemente era già pronto rispetto al suo percorso personale. Invece, vissi con
abbattimento e frustrazione la scelta di un altro ricevente, che trattavo tutte le volte, perché favorito nella lista in quanto
il responsabile sanitario riteneva gli giovasse molto, e che volle continuare con i trattamenti anche dopo la fine delle ore
in convenzione. Lui trovò il modo per portare a termine i suoi propositi suicidi, già precedentemente tentati, mentre si
trovava con la famiglia durante le festività natalizie. Accettare situazioni di questo tipo sarà frutto del compimento e
dell’applicazione del presente studio.
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I trattamenti si svolgevano in una stanzetta interclusa, quindi priva di fonti di luce e aria
dirette, ma poiché gli ambienti confinanti erano sempre presidiati offriva maggiore serenità ai
responsabili della struttura, d’altronde dovevo mettere le mani sul corpo di uomini “reclusi” con
diverse problematiche pregresse o in corso e che a volte venivano anche da contesti carcerari. La
stanza era piuttosto ampia, su due lati le pareti si aprivano a grandi porte a vetri, che mettevano in
comunicazione con gli uffici, una terza parete ospitava una libreria e delle scale che conducevano al
vano scala principale dove c’era il portiere, nella parete di fronte c’era una scrivania ed una porta
che rimase sempre chiusa, c’erano anche delle sedie, un attaccapanni e due poltrone. Era molto
grigia e fredda e sapeva di polvere antica ma la cosa più importante per me è che aveva un
caratteristico odore, che più tardi definì un misto di sudore, lacrime e fumo; c’era un’energia carica
di tristezza e dolore, densa e stagnante, ma non potevo avere di meglio e quindi mi dovetti adattare.
Abitualmente era destinata agli incontri con la psicologa, individuali o di gruppo e faceva anche da
piccola biblioteca. La descrizione di questi dettagli per me è funzionale per descrivere e
comprendere l’importanza di quello che potei sperimentare, lo stupore che ne seguì e la
comprensione dell’immenso potenziale che l’Hara poteva offrirmi.
Le mattine dedicate trattavo tre o quattro persone, facendo ben attenzione a lavarmi le mani
fra un trattamento e l’altro e scegliendo con cura la musica e il telo da porre sul tatami per
alleggerire un po’ la densità energetica. Potei fin dal primo giorno sperimentare come quell’odore
tanto penetrante, di cui tutti i riceventi erano impregnati, si attaccava al telo, al tatami, ai miei
vestiti, alla mia pelle, penetrando nelle mie narici in profondità fino a trovare un posto dentro di me
in cui dimorare e persisteva per diverse ore senza che nessuna doccia o sapone potessero lavarlo
via, inoltre mi sentivo stanchissima. Quell’odore mi seguiva, si addensava nella mia materia, lo
portavo con me e ne ebbi la prova quando un giorno, prima di rientrare a casa e procedere con le
varie abluzioni e pratiche liberatorie, dovetti raggiungere mio marito che nell’avvicinarsi a me per
salutarmi si ritrasse istintivamente dicendomi “hai un forte odore! … sai di vita …”, ritenendosi
incapace di trovare un’altra definizione. Protestai perché ne ero consapevole ma non sapevo che
fare.
La via d’uscita mi venne offerta dalle letture e dalle altre attività cui ho accennato all’inizio.
Gli insegnamenti appresi e la focalizzazione sul mio intento furono talmente efficaci che in seguito,
rientrata a casa, riuscivo addirittura a mangiare, a nutrire il mio corpo fisico assaporando odori e
sapori, prima ancora di procedere alla spogliazione e ai lavaggi. Adottai subito misure pratiche come
lavare le mani con consapevolezza e tecniche che miravano a lasciar andare e portavo con me
dell’acqua con specifici fiori di Bach; tuttavia penso che il maggiore risultato lo ottenni quando
compresi che l’essere centrata e radicata attraverso il respiro e lo svilupparsi della forza nell’Hara,
(grazie alla pratica che il Kata di gomito mi metteva a disposizione) erano non solo strumenti per
eseguire pressioni più efficaci, muovermi in maniera più fluida e mantenere meglio la
concentrazione. Erano soprattutto l’antidoto al depauperamento della mia energia e lo scudo
permeabile, perché mi permetteva comunque di essere presente accogliente e sensibile, contro la
densità e il Ki insano o perverso. Questo accrebbe la curiosità ed il desiderio di apprendere l’Haragei,
quell’Arte dell’Hara che rende tutto possibile, e farne il tema della tesina.
In realtà a causa del tanto tempo a disposizione (anche causa covid) e della mia indole sono
finita su un binario morto, per un po’ ho creduto che la semplice tecnica del respiro e la
consapevolezza del mio Intento e del momento presente potessero bastare; inoltre, con l’inizio del
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4° PP, in vista della stesura della tesina, ho cominciato una lettura estremamente intellettualizzata
di tutto ciò che mi parlava dell’Hara, ampliando il più possibile le fonti in cerca dello stesso concetto,
dello stesso potenziale energetico in altre discipline e pratiche evolutive. Il risultato è stato uno
sbattere contro il muro di gomma del mio più grande limite, la razionalità e l’uso eccessivo
dell’intelletto, ma ho anche compreso che questo limite deve diventare il mio Do verso
l’integrazione di me.
Il risultato pratico nei confronti della tesi è stata l’impossibilità di sedermi e scrivere qualcosa
di mio ed originale: più leggo più comprendo di non sapere, di non capire, di non conoscere nel
profondo e nella sostanza cosa sia l’Hara. Per queste ragioni ho deciso di fare una tesi antologica,
limitandomi a presentare brani scelti, per me significativi, tratti da libri non necessariamente legati
allo Shiatsu, pur consapevole non solo che non potrà certo considerarsi in alcun modo esaustivo
dell’argomento ma che mostrerà un aspetto necessariamente soggettivo e di parte.
A causa delle difficoltà che sto incontrando non so ancora se lo Shiatsu sarà la mia
professione e se riuscirò a praticare uno Shiatsu efficace e di utilità per qualcuno ma posso
comunque ritenermi grata e soddisfatta perché per me è uno strumento nella mia evoluzione
personale.
Lo Shiatsu come Via evolutiva piacque molto ai ragazzi della Comunità Emmanuel, che
invitati da quel sistema di recupero si sentivano in cammino e furono affascinati dalla mia
presentazione che involontariamente utilizzava un linguaggio simile a quello utilizzato dagli
educatori. La scoperta, la coltivazione e l’integrazione dell’Hara in quella specifica esperienza, grazie
soprattutto ai loro feedback più che alla mia comprensione, sono stati per me l’esperienza più utile
sulla Via dello Shiatsu.
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INTRODUZIONE
Lo studio e la coltivazione dell’Hara per me rappresenta un approdo da raggiungere per
trovare una visione diversa della vita e dello Shiatsu, un approdo da cui poter ripartire sapendo che
una volta trovato sarà più facile farvi ritorno.
Il lavoro che qui presento è quasi una mappa, un sentiero. Ho cercato di dare una struttura
hai brani scelti tra alcuni dei testi studiati e in vario modo approfonditi. Molto è stato tralasciato, sia
dei testi riportati sia di altri autori, non perché non rilevanti ai fini dello studio ma perché il contesto
della tesina richiedeva sintesi e focalizzazione sulla “disciplina” oggetto di studio: lo Shiatsu. La scelta
dei brani è assolutamente personale e rispecchia il mio percorso ed il mio livello di comprensione,
per questo potrà apparire mancante o forse incompleto.
Ciò che manca di veramente importante è la valutazione ed il trattamento dell’Hara, ma su
questo argomento ogni scuola e ogni operatore ha la propria mappa e il proprio sentire per
organizzare e strutturare il lavoro. Un argomento che invece mi sarebbe piaciuto affrontare ma a
cui ho dovuto rinunciare è: come attraverso un trattamento completo si possa andare a sostenere
chi si sta aprendo al percorso di individuazione e di riscoperta del Sé e del Centro (di radicamento o
di scoperta delle proprie radici e di cosa lo nutre), che altro non sono, a mio parere, aspetti in
qualche modo connessi al tema dell’Hara. Le mie ipotesi sarebbero state oltre che l’Anpuku,
naturalmente, anche un lavoro sugli Shen, in particolare sugli aspetti Zhi e Yi; il trattamento del
livello energetico Shao Yin; il trattamento delle porte del Cielo e della Terra, il trattamento dei
meridiani straordinari e in particolare di Chong Mai e Dai Mai; il trattamento del meridiano del
Ministro del Cuore nell’ottica della teoria dei Nove Palazzi. Ogni ricevente porta sul futon una
diversa storia e un diverso livello evolutivo e potrebbe essere interessante interagire e favorire il
processo attraverso lo sviluppo di uno di questi temi durante i cicli di lavoro (naturalmente solo con
chi è realmente motivato ed interessato ad andare così in profondità!). Ahimè la mia limitata
esperienza, le mancanti competenze su alcuni di questi temi e l’esiguità di clienti non mi hanno
permesso di svolgere un lavoro così sperimentale.
La struttura data al testo prevede: un primo paragrafo introduttivo in cui cerco attraverso
autori di formazione diversa di inquadrare e spiegare il concetto e la filosofia che soggiace al
concetto espresso dalla parola Hara. Il secondo paragrafo riflette la mia visione e cerca di comparare
e assimilare il concetto di Hara con quello di Centro e di Vuoto del cuore che sono, comunque,
centrali nelle discipline e culture orientali cui lo Shiatsu fa riferimento. Il terzo paragrafo è un
assaggio di ciò che può essere un percorso di “addestramento” verso la scoperta e la coltivazione
dell’Hara; è come una piccola traccia da seguire con alcune “parole chiave” da ricordare e coltivare.
Il quarto paragrafo è dedicato alla cosiddetta “Arte dell’Hara”, che in giapponese si dice Haragei, in
cui lo Shiatsu può rientrare a pieno titolo. Nel quinto paragrafo, servendomi dei testi di insegnanti
qualificati e riconosciuti, ho riportato ciò che significa applicare le potenzialità dell’Hara nella pratica
professionale Shiatsu. In questo paragrafo la selezione è stata dura da compiere fra i vari autori,
tuttavia necessaria. In chiusura riporto i punti più salienti di una meditazione guidata, che ho trovato
estremamente affascinante, tratta da un romanzo di un noto insegnante Shiatsu oltre che studioso
e praticante di Medicina Cinese ed altre discipline ad essa associate.
6
2
Diagnosi Orientale come leggere il corpo, Wataru Ohashi, Edizioni Il Castello, Milano 1992 p 96
3
Hara il centro vitale dell’uomo secondo lo Zen, Karlfried Graf Dürckeim, Edizioni Mediterranee, Roma 1969
7
importante, più forte e anche più sensibile del corpo – quasi l’anima del corpo) sta nel koshi (il
termine designa la parte inferiore del corpo, dall’ombelico in giù)” (Dürckeim pp. 171-172).
Su questa parte del corpo il Maestro Shizuto Masunaga, nel suo Manuale di Shiatsu, scrive: “tutto
sta nelle anche: se riuscite a fare forza con esse, noterete che il peso dell’intero corpo ricadrà sulle
dita. (...) è il bacino a decidere la zona d’azione, e le dita devono sorreggerlo e assecondarlo. Solo
così sarete in grado di esercitare una corretta pressione sostenente” 4. Il Maestro Masunaga
ammonisce il neofita scrivendo “se non appoggiate il peso sulle anche, l’intero movimento del corpo
sarà imperfetto. (...)
“A prescindere dal movimento che state facendo, se non siete in grado di controllare il bacino e
siete troppo concentrati sul movimento, il vostro kata sarà imperfetto e tutto si ridurrà ad un
semplice lavoro con le dita. Questo vale anche per lo shiatsu: se siete erroneamente convinti che
esso consista solo in una serie di atti che interessano mani e dita, la vostra pressione non arriverà in
profondità ma stimolerà solo la superficie della cute, (...) non abbiate fretta dei risultati e di imparare
tutto e subito, ma calmatevi (in giapponese l’espressione è ‘adagiare il bacino, sedersi’)” (Masunaga
p 32).
Tornando a quanto scrive il filosofo giapponese Tsujii: “Il punto dove va concentrata la forza
per farne la sede del soggetto della corporeità deve essere percepito interiormente. Come il
soggetto non può venire colto se non da lui stesso, del pari quel punto non può essere colto in
termini anatomici” (Dürckeim p. 173). Anche in un testo specificamente dedicato allo Shiatsu, si
trova un collegamento tra quest’area anatomica e l’Hara: “È (...) attraverso l’osso sacro che si
stabilisce la nostra relazione con l’Hara e con l’Essenza o Ki Originario, l’origine dello Yin e dello Yang
del corpo, la nostra sorgente di vita”5.
In un libro intervista al Maestro giapponese di discipline energetiche Akinobu Kishi, diretto
allievo del Maestro Masumaga, veniamo messi in guardia da semplificazioni e concettualizzazioni
poiché l’Hara “In Occidente è fondamentalmente inteso come il centro di gravità che l’esperto di
arti marziali o il terapista shiatsu imparano ad usare per migliorare le meccaniche del corpo. Ma
questa definizione sfiora appena la superficie del suo significato, in quanto in Giappone hara è il
centro della mente/spirito/corpo che definisce l’umanità.
“Essere nella propria hara è essere nella giusta relazione con se stessi e con il mondo, si manifesta
in ogni pensiero, parola e azione della vita quotidiana. Vivere in una cultura di hara significa vivere
con integrità”6, ovvero avere una visione chiara e riuscire a portare questa visione nel mondo, nella
vita di tutti i giorni.
Nei libri da me consultati il Maestro Masunaga non parla mai espressamente di Hara e del
suo ‘utilizzo’ nella pressione Shiatsu, ma solo relativamente alla valutazione e al trattamento
dell’addome; gli accenni sono pochi e sono da ricercare con attenzione. Ancora di più nei testi sullo
Shiatsu del Maestro Tokujiro Namikoshi, la parola e le sue potenzialità sono completamente assenti.
La spiegazione che per molto tempo mi sono data è stata che essendo orientali, avvezzi alle
discipline evolutive, a concetti chiave della medicina cinese di derivazione taoista e alla meditazione,
4
Manuali di Shiatsu – 1° mese, Shizuto Masunaga, Shiatsu Milano editore, Milano 2014
5
Shiatsu Teoria e Pratica – III edizione, Carola Beresford-Cooke, Casa Editrice Ambrosiana, Rozzano, 2015 p 81
6
Sei-Ki Life in Resonance. L’arte segreta dello Shiatsu, Akinobu Kishi e Alice Whieldon, Shiatsu Milano Editore, Milano
2016, p. 18
8
dessero la conoscenza, o quanto meno il concetto, dell’Hara per scontata e comunque non
trasmissibile all’interno dell’insegnamento di una tecnica manuale “teorica”. Le parole di Kishi me
lo hanno poi confermato, infatti, lui dice che Masunaga “aveva una comprensione molto profonda
dello Zen. (...) Il suo Shiatsu condivideva lo scopo dello Zen del senza-mente. (...) Il suo lavoro aveva
la stessa qualità della concentrazione richiesta dallo Zen quando si chiede lo sviluppo di mu-shin o
di una mente innocente e si diventa uno con il paziente. (...) Mu-shin riguarda come fare per
disidentificarsi dall’ego ed è la parte centrale dello Zen. (...) Mu-shin (...). Non è l’abbandono del
pensiero, non è possibile smettere di pensare, ma possiamo sviluppare la capacità di permettere ai
nostri pensieri di attraversare la mente senza rimanere impigliati. Lo Shiatsu è eseguito con una
mente vuota piuttosto che con la teoria” (Kishi e Whieldon p. 71). “in verità non si può praticare lo
Shiatsu con una mente scientifica perché si basa su una connessione con il paziente più basica a
primitiva” (Kishi e Whieldon p. 61); piuttosto “L’abilità di comprendere l’effetto preciso di ogni punto
attraverso il tocco” è “la ‘visione’ (in nota: con ‘visione’ Namikoshi intendeva dire che la mente si
apre nei polpastrelli)” (Kishi e Whieldon p. 35). Lo stesso Masunaga scrive “Sia nello zen che nello
shiatsu abbiamo a che fare con fenomeni che non possono essere spiegati razionalmente, ma dei
quali l’organismo vivo si rende conto in modo diretto"7.
Trovo interessante riportare quanto ho trovato in una pubblicazione on line del dott.
Giuseppe Pavani naturopata, pranoterapeuta e studioso di arti olistiche e marziali, in merito all’Hara
e alla cultura del Samurai “le discipline dell’introspezione usate per conseguire la centralizzazione
nell’hara sembravano coordinare i vari fattori della personalità di un uomo in un modo che
schiudeva la fonte di una strana forma di energia. Tale energia, inoltre, sembrava diversa, o almeno
più vasta e comprensiva come sostanza ed intensità, rispetto al tipo comune di energia solitamente
associata alla produzione del solo sistema muscolare umano. Si credeva, in generale, che questa
potente fonte d’energia potesse venire utilizzata soltanto se un uomo aveva stabilizzato la posizione
della centralizzazione interiore nell’hara. Il culto dell’hara, come avevano insegnato i saggi asiatici,
non doveva essere considerato puramente come fine a se stesso ma l’obiettivo primario consisteva
nell’allontanare l’io dalla turbolenza fantasmagorica della realtà. Doveva essere considerato,
primariamente, un mezzo per conseguire il distacco, cioè un metodo per attivare il processo
dell’evoluzione dell’io, impegnarlo positivamente e creativamente in quella turbolenza che egli
doveva comprendere e controllare se voleva sopravvivere e progredire.
“L’armonia e la liberazione suprema erano quindi raggiungibili attraverso l’unificazione equilibrata
del Centro individuale, di quello sociale e di quello cosmico”8; il fine ultimo dell’Hara nella sua
massima espressione è “la capacità di restare distaccati dagli eventi terreni, morte compresa, per
raggiungere un altissimo livello di comunicazione e per poter valutare la realtà con chiarezza e
impareggiabile serenità” (Pavani p. 38).
In chiusura di questo paragrafo, il cui scopo è cercare di inquadrare il concetto dell’Hara
attraverso una sintesi di quello che sono state le mie letture, mi piace introdurre anche la
descrizione di ciò che con altro nome assume, a mio sentire, lo stesso significato presso una cultura
molto lontana sia da quella occidentale, di stampo europeo, sia orientale, ovvero la cultura dei nativi
7
Zen Shiastu. La terapia shiatsu secondo i principi dello zen, Shizuto Masunaga e Wataru Ohashi, Edizioni
Mediterranee, Roma 1993, p. 8
8
La cultura dei Samurai, Pavani Giuseppe, Associazione Italiana Shojukai, p. 37
http://www.gianfrancobertagni.it/materiali/varia/pavani.pdf
9
dell’America del nord, a semplice titolo di esempio perché sono certa che il concetto di Centro
Vitale, inteso come Hara, si può ritrovare in diverse culture tradizionali e pratiche iniziatiche di tutti
i popoli della Terra. “L’Orenda è un’espressione della Forza Creatrice o Grande Mistero. Lì si trova
sempre un sentimento di connessione e compassione amorevole. Non c’è né paura né dolore, solo
un senso di pace. Raggiungere quel luogo è un’abilità come le altre e richiede esercizio. Agli inizi,
durante lo sviluppo di queste abilità, una persona può semplicemente incontrare la sensazione di
aver trovato uno spazio sicuro e il silenzio. Più avanti, sviluppando la Medicina del Cigno, che è
arrendersi, una persona può iniziare a sentire la voce interiore che parla sempre in verità con amore
incondizionato. (...)
“Per alcune persone è necessario esercitarsi a lasciare andare, a sbarazzarsi del caos di chiacchiere
che sono state prese da altri per anni. Spolverare e spazzare la mente è un’azione mentale
necessaria per pulire lo Spazio Sacro da altri punti di vista limitanti. Una volta fatta pulizia, si
guadagna e trova una sensazione di totale connessione e pace interiore” 9.
Appare chiaro che per poter coltivare l’Hara bisogna mettere da parte le istanze dell’Ego
perché solo “Il trascendimento dell’ordine egocentrico ha un triplice effetto: uno schiarimento dei
sensi che permette la percezione della vita originaria, una illuminazione della mente che fa cogliere
un ordine superiore dell’esistente e il risveglio del cuore nelle sue capacità rivelatorie” (Dürckeim p.
93).
9
Le tredici Madri del Clan delle Origini, Jamie Sams, Venexia, Rozzano, 2016, p. 254
10
10
Chiaro riferimento al classico taoista “Il Mistero del Fiore d’Oro”.
11
Ideogrammi della salute Fabrizia Berera, Edizioni Red, Milano 2007
12
Dalla quarta di copertina
11
“(...) il significato di Centro è racchiuso nel carattere con cui i Cinesi lo hanno rappresentato.
“Il carattere zhong ୰ raffigura un bersaglio quadrato. (...) Se una persona trova il suo Centro, centra
il bersaglio della sua vita, perché ha la percezione esatta della realtà; il suo agire diventerà un saper-
fare che è saper-essere”. (Berera pp. 57-61)
Tornando alla cultura del Samurai Pavani ci spiega che “Il concetto del Centro (Hara) è
complesso e molto antico. Simboleggia la fusione dell’Energia vitale dell’uomo ed è fisicamente
collocato due, tre dita sotto l’ombelico (hara): questo è un punto di fusione cosmica, di armonia tra
l’umanità e l’ordine naturale sulla terra e nell’universo. Questo punto era il teorema principale
dell’antico taoismo, la base della semplicità, della pace e della spontaneità naturale. (...)
“Il centro è il punto dove il caos diventa armonia, dove l’individuale e l’universale si fondono, dove
la confusione diventa chiarezza e serenità.
“Ogni corrente religioso-filosofica ha posto enfasi su un concetto specifico di centro, così il
buddhismo ha utilizzato la centralizzazione del basso ventre come metodo meditativo ed
introspettivo volto alla conoscenza di se stessi, il taoismo ha considerato il centro la massima
integrazione tra il singolo e l’universo e il confucianesimo come punto di incontro e collaborazione
tra due o più esseri umani. In realtà sono state considerate solo diverse manifestazioni di uno stesso
centro”. (Pavani pp. 36-37)
Volgendo invece lo sguardo alla Medicina Cinese, e nello specifico alla psicologia
nell’energetica cinese, ho trovato un legame, non del tutto soddisfacente ma che è stato comunque
un inizio, tra l’Energia dell’Hara e quella dei Reni espressa da Marcello Schimid, psicologo e studioso,
tra l’altro, di Medicina Cinese e discipline orientali: “(...) lo Jing o Principio Vitale (...) e lo Zhì13, il
‘poter e voler vivere’ (...) sono contenuti nei reni che sono (...) «I visceri che determinano la solidità,
la fermezza dell’uomo […] La solidità, la stabilità, e la forza delle energie e dei sostrati che
compongono l’insieme psico-fisiologico di ogni essere umano […]. I Reni presiedono alla
realizzazione della forma individuale. […] regolano così le potenzialità proprie di ogni essere»
(Eyssalet)”.14 (...)
“Hara è il termine giapponese che indica il centro energetico del bacino, il Campo di Cinabro
Inferiore dei cinesi (...). Alexander Lowen lo nomina affermando perentoriamente che il ventre è
letteralmente la sede della vita. Qui viene concepita e qui viene portata. Ed è ancora nel ventre che
sperimentiamo la vita a livello viscerale e da cui hanno origine i nostri desideri più profondi. (...)
Nelle Arti Marziali tradizionale si attribuisce una notevole importanza alla coltivazione e centratura
energetica nello Hara, nel bacino; detto in altro modo, quindi, allo sviluppo dell’energia dei Reni.
L’immagine facile da comprendere è quella del samurai (...). Determinato e senza paura, sereno,
presente e lucido, esso ci rimanda a una sensazione di potenza e stabilità incrollabile. Il suo Cuore e
la sua potente fermezza sono in armonia”. (Schimid p 55-56)
Infatti, nell’energetica cinese Cuore e Reni sono sullo stesso livello energetico, lo Shao Yin,
quindi “per trovare il suo Centro l’uomo deve partire dal suo cuore ᚰ, che pure è il simbolo del
13
“Il carattere Zhiᚿ”, l’aspetto relativo allo Shen dei Reni, “è composto dal carattere Cuore ᚰ sormontato dalla
grafia ኈ cioè da un giovane germoglio, che esce dalla terra”. Da Le 101 nozioni chiave della Medicina Cinese. Alle
radici della cultura che l’ha generata., Èlisabeth Rochat de la Vallèe, Edizioni Red, Como 2011, p. 115
14
I colori del cuore. La psicologia secondo l’energetica classica cinese, Marcello Schmid, Edizioni Enea, Milano 2009
12
Centro” (Barera p. 62). Inoltre, affinché lo Shen del Cuore possa svolgere il suo compito bisogna
trovare quella speciale condizione che è il Vuoto del Cuore. “Il Vuoto del cuore è (...) la condizione
per aumentare la nostra percezione cosciente, libera da vizi e pregiudizi (...)
“A livello fisico il Vuoto del cuore è necessario per acquisire e mantenere i Soffi vitali; a livello
psichico e spirituale permette la vera conoscenza”15. Tornando agli ideogrammi “Lo spazio sacro del
cuore – Xin ᚰ, (...) è, a tutti gli effetti, il Centro fisico, psichico e spirituale dell’uomo. (...)
“In medicina cinese, il cuore, sede degli Shen, degli Spiriti, illumina la coscienza e richiama l’uomo al
suo destino. In quanto sede degli Shen, il cuore controlla i processi vitali dell’intero organismo,
coordinando le attività di tutti gli altri organi ed è responsabile dell’attività mentale e della vita
emotiva e affettiva della persona, dei sentimenti e dei processi con cui ne prende coscienza. Shen
designa i fenomeni dell’attività sia conscia che inconscia dell’uomo.
“Oltre a questo il cuore (...) ha anche il compito di «prendere in carico esseri e situazioni» (Lingshu
cap. 8)” per giungere al “cuore nel cuore” che “è la profondità ultima del cuore, che nello stato di
vuoto è in grado di permettere le esperienze mistiche più significative” (Barera pp. 62-65).
Riprendendo la relazione tra il Koshi e lo Shiatsu, Masunaga scrive che “l’importanza delle anche
nello shiatsu” equivale ad “appoggiarvi il peso” che “è come adagiarvi il cuore” (Masunaga p. 32).
Nella visione cinese: “il cuore ha nell’uomo la stessa funzione che il Sovrano ha nello Stato.
Controlla, infatti, i processi vitali dell’intero organismo, coordinando le attività di tutti gli altri organi.
In quanto sede degli Shen, è la sorgente della luce che illumina la coscienza e permette all’uomo di
conoscersi e di trovare la via che porta al compimento del suo destino particolare. Dal cuore
dipendono la ricerca della conoscenza e della verità di sé, la felicità o l’infelicità, la salute o la
malattia, la longevità o la morte prematura. Per svolgere questo suo compito vitale, il cuore deve
essere Vuoto” (Berera p. 160). “Nel taoismo la salute fisica va di pari passo con la salute spirituale;
fare il Vuoto del cuore significa fare del cuore il Centro, lo spazio sacro che consente di rimanere
aderenti alla propria natura e di comunicare con le sorgenti spirituali. (...) Il Vuoto del cuore è il
mezzo perché il cielo animi l’uomo e diriga le sue azioni”.
In merito al Vuoto, esso “è sia uno spazio anteriore alla formazione del Cielo/Terra, sia il
centro immateriale, frutto dello scambio tra Cielo e Terra dove vivono i Diecimila esseri: il Vuoto
mediano” (...) “L’universo è qualcosa di unitario e di organico formato dal qi, nelle sue componenti
yin e yang; il ‘Vuoto mediano’ è il luogo del loro interscambio e quindi della vita” (Berera pp. 162).
Anche Giulia Boschi, eminente studiosa di medicina e cultura cinese, in un suo saggio16
sottolinea che “Xin ᚰ inteso come ‘centro’ è quel ‘vuoto mediano’ distaccato dalla materia, lontano
da ogni separazione, giudizio, contraddizione.
“Xin inteso come ‘mente’ rappresenta invece l’aspetto cognitivo del cuore è il ‘cervello’ del cuore. È
la sede della nostra competenza emotiva e relazionale, che media fra gli altri due cervelli: quello del
dantien inferiore (...) e quello contenuto nella teca cranica (...)” (Boschi p. 33).
15
Filosofia della medicina tradizionale cinese, Claude Larre e Fabrizia Berera, Jaca Book, Milano 1997, p.97
16
Xin Zhu: il simulacro della mente divina, Giulia Boschi, in La Mandorla, Anno XXII – Numero 82 – Marzo 2018,
AMSA, fogli elettronici di medicina tradizionale e non convenzionale, pp. 22-35
13
Queste considerazioni portano la Boschi al tema del suo breve saggio e scrive che “Per tradurre xin
zhu ᚰ avrebbe forse più senso orientarsi” verso l’interpretazione di “colui che ospita xin” (Boschi
p 27).
Giunge così a definire che “Xin zhu è (...) il simulacro, l’icona dello spirito, quell’aspetto
materiale del cuore di carne senza il quale la luce divina non può rendersi manifesta: nel vuoto la
luce è presente ma invisibile; deve impattare con la materia per rendersi manifesta.
“Xin ne è il centro mistico, il vuoto mediano che custodisce il legame con il divino. Per questo centro
non può esistere alcun correlato anatomico, nemmeno un meridiano, poiché esso è in noi e fuori di
noi, nel tempo e fuori dal tempo. Come scrisse il maestro taoista Li Daochun (1127-1279):
«Non è né il punto fra i due occhi, né la sutura del cranio, né l’ombelico o la vescica; né i due reni o
fra i reni. Dal sincipite in basso fino ai talloni esso è in alcun punto del corpo, ma non deve essere
cercato fuori dal corpo. Per questo motivo il santo l’indica semplicemente come ‘centro’»
“Quando lo spirito abita il suo simulacro, si sperimenta quella condizione psico-fisica che nella nostra
tradizione si definirebbe ‘stato di grazia’ ” (Boschi p. 33).
Tornando al simbolismo del Vuoto nella filosofia cinese, la Berera scrive che uno dei suoi
ideogrammi “Xu (...) dà una nozione di vuoto come di qualcosa che può contenere: se non ci sono
impedimenti i soffi perfetti, regolari, armoniosi si diffondono senza il minimo rumore (...) Ecco
perché i santi «vuotavano i loro cuori e riempivano i loro ventri» (Tao Te King cap. 56). Se il cuore è
vuoto, il ventre, ricettacolo dei soffi che costituiscono la vitalità dell’uomo, è pieno: l’armonia
psichica è sempre alla base dell’armonia fisica” (Berera p 165). Questo mi riporta, attraverso il
taoismo, al legame tra vuoto e Hara: “«Vuota la mente, riempi il ventre». (...) questa frase è usata
nel Taoismo della Completa Realtà per alludere alla pratica spirituale; (...) per indicare la giusta
armonizzazione dello Yin e dello Yang. (...)
“« L’alchimia spirituale implica due obiettivi: vuotare la mente ed empire il ventre. Vuotare la mente
significa vuotare la mente umana: è questo l’obiettivo di coltivare l’essenza. Empire il ventre
significa completare la mente del Tao; questo è l’obiettivo di coltivare la vita».
“La relazione auspicabile della mente umana e della mente del Tao, del terreno e del celeste, dello
yin e dello yang, va vista come una subordinazione del primo al secondo. La tendenza a considerare
la coscienza condizionata come la mente reale, è definita, nel Taoismo, come lo scambiare il servo
per il padrone.
“Un significato simile di «vuotare la mente ed empire il ventre» è di mettere da parte i preconcetti
e divenire aperti nei confronti di una guida. (...)
“Ancora un altro significato di «vuotare la mente ed empire il ventre» è quello di astenersi dal
pensiero e dall’azione arbitrai al fine di accumulare energia semplicemente non dissipandola” 17 .
Questo mi riporta al Jing e al Qi dei Reni in medicina cinese: “il patrimonio energetico di ogni
uomo prende vita e si localizza in una struttura particolare dell’organismo che si chiama (...) Ming
men, la Porta (men) del destino (ming), la Porta della vita. (...)
17
I Ching taoista, traduzione e commento di Thomas Cleary, Edizioni Mediterranee, Roma 1992, dall’Introduzione p.
22
14
“L’embriologia cinese dice che Ming men è la struttura che compare per prima nell’embrione. Dal
punto di vista energetico si ritiene che tutto l’organismo si sviluppi a partire da questa zona
privilegiata dell’embrione, compresi i meridiani straordinari, che sono i primi meridiani a formarsi
nell’uomo. (...)
“Nell’embrione la regione che corrisponde al Ming men si trova in mezzo e davanti ai reni” (Barera
p. 71). Tutto ciò ci riporta all’Hara con Ohashi che scrive: “Nel corpo umano l’Hara si trova nella zona
fra il plesso solare e l’osso pubico. Più specificamente esso ha origine in un punto situato fra
l’ombelico e l’osso pubico. (...) l’Hara viene anche considerato il nostro secondo cervello e, per
questo motivo, viene chiamato il ‘cervello piccolo’. Immediatamente dietro la regione dell’Hara,
sotto il plesso solare, a livello della spina dorsale, esiste un fascio di nervi che costituisce la
concentrazione maggiore di nervi dopo quella del cervello” (Ohashi pp. 96-97).
In chiusura di questa parte e per introdurre l’Hara come pratica, tema del prossimo
paragrafo, Ohashi scrive: “L’educazione e la comunione con Hara sono per i giapponesi lo sforzo di
un’intera vita. (...) L’Hara è quindi il centro stesso dell’essere, la radice spirituale della nostra vita.
Come le radici dell’albero affondano nella terra per ricavarne nutrimento, così l’Hara è la radice da
cui traiamo la nostra forza e la nostra relazione con l’energia cosmica. L’Hara è il vostro cordone
ombelicale spirituale attraverso il quale l’energia cosmica fluisce nella vostra persona” (Ohashi p.
96).
15
18
Dürckeim p. 23
19
“Figlio di Madre Terra e di Poseidone per recuperare le forze durante una battaglia si gettava a terra e attraverso il
contatto con la Madre si rigenerava e recuperava il suo potere”.
20
Diagnosi e medicina orientale nello Zen Keiraku Shiatsu – la via secondo natura di Shizuto Masunaga, Yvonne
Muraglia, Shiatsu Milano Editore, Milano 2018 pp. 18-19
16
essere umano consiste nella lotta per integrare questi due archetipi. (...) La vita stessa, perciò, è il
tentativo di equilibrare e fondere questi due poli antagonisti, ma complementari. (...)
“Dove risiedono allora equilibrio e integrazione? La risposta è nell’Hara. L’Hara è la via
dell’integrazione; esso è il centro dell’essere, laddove il dualismo che permea la vita viene composto
in armonia. Essendo l’Hara il centro della nostra spiritualità, vi albergano pace ed equilibrio. (...)
“In quanto centro della vita, l'Hara è anche la fonte di salute, di vitalità fisica e di resistenza. Quando
le azioni di una persona provengono dall’Hara, i suoi movimenti sono naturali. Si è come sospinti dal
potere infinito dell’universo, in unità con il Tao” (Ohashi p. 96).
Nell’eseguire il Kata come addestramento mi ha colpito l’assonanza con la spiegazione di un
altro ideogramma usato per Vuoto – Chong ෨: “bisogna ricordare che per gli orientali colpire un
bersaglio non vuol dire avere una mira infallibile, ma aver ripetuto così tante volte il gesto da averlo
interiorizzato. Vuol dire lasciare entrare in sé, nella propria mente e nel proprio cuore, l’esatta
percezione delle cose e della realtà. Solo facendo il Vuoto e cercando il distacco dalle persone e
dalle situazioni è possibile compiere le scelte giuste che rendono l’agire efficace” (Berera p. 164). E
inoltre: “l’exercitium in senso proprio comincia solo quando si è padroneggiata la tecnica nei suoi
aspetti materiali, quando chi si esercita si rende conto di quanto siano d’ostacolo sia l’ambizione e
il desiderio di eccellere, sia il timore di non riuscire. Ma la pietra basilare di ogni esercizio resta
sempre l’acquisizione e il consolidamento del centro. (...) La maestria nell’azione si manifesta
quando l’azione stessa non è più compiuta dall’Io in senso stretto ma da una forza sovrannaturale
che noi possediamo e che si palesa attraverso atti perfetti e mirabili quando il piccolo Io si toglie di
mezzo. (...)
“Pertanto, con lo sviluppare l’hara si dispone di una energia e di una sicurezza per prestazioni
e azioni che anche con le capacità materiali più perfette, con la volontà più tenace e con l’attenzione
più concentrata non si saprebbe compiere. «Riesce in modo perfetto soltanto quello che viene fatto
con l’hara»”. (Dürckeim p. 32)
Ma i metodi sono tanti quanto le tradizioni culturali dell’umanità. “Questa ricerca della
centralizzazione è sempre stata una degli interessi principali di tutte le culture asiatiche: e qui (...) si
trova la raccolta più diversificata di metodi possibili e immaginabili per il conseguimento di tale fine,
metodi che vanno dalle discipline specializzate dello sviluppo intellettuale predominanti nelle
comunità monastiche cinesi e tibetane, fino alle discipline indiane dello sviluppo mistico od intuitivo,
altrettanto introspettive (se non di più), ma decisamente più metafisiche o animistiche. In ciascuno
di questi metodi lo scopo era lo stesso: la liberazione dal giogo dell’esistenza, mediante lo sviluppo
di una posizione d’indipendenza centralizzata, dalla quale si poteva percepire, comprendere e
migliorare la realtà con la massima chiarezza e precisione. Tra i diversi esercizi ideati e praticati per
anni, quelli dell’immobilità e della meditazione o concentrazione hanno sempre predominato, ed
ancora oggi vengono praticati in tutta l’Asia” (Pavani p. 36).
17
4 - SHIATSU E HARAGEI
“Pur essendo il concetto di Hara profondamente spirituale, la sua applicazione alla vita è
però prevalentemente pratica” (Ohashi p 97) e, a mio parere, il possederlo o no è quello che fa dello
Shiatsu una disciplina efficace in svariate condizioni in cui l’essere umano può trovarsi nel suo stare
al mondo. Inoltre, poiché credo che lo Shiatsu possa essere praticato come arte e massima
espressione dell’Hara, il termine Haragei (“Arte dell’hara”) è quanto mai appropriato in questo
percorso professionale. “Haragei è ogni cosa fatta ‘partendo dal ventre’, epperò anche ogni arte,
in quanto solamente partendo dall’hara un’arte può raggiungere un alto livello. Sul piano umano,
quel che è perfetto può fiorire solo da un uomo integrato. Così l’haragei corrisponde ad un vertice
della coscienza dell’hara: chi padroneggia l’haragei dimostra in un certo modo di essersi elevato
sino a tale vertice. In via di principio e nelle loro forme superiori, tutte le arti aventi il valore di una
via spirituale (...) sono haragei” (Dürckeim p. 39).
Il Maestro Mario Vatrini, tra i padri dello Shiatsu in Italia, scrive che “Lo sviluppo di Haragei
consiste nella graduale modificazione delle tecniche d’allenamento normali: non si osserva più
direttamente il punto di pressione, perché la visione del corpo deve ampliarsi mentre le mani si
muovono spontaneamente seguendo i collegamenti sul corpo. Mantenendo Mushin non è difficile,
viene anzi spontaneo. In questo stato mentale l’Operatore di Shiatsu si accorge che la pressione
inizia dentro di lui e che quella fisica di Uke è solo la manifestazione visibile dell’interna sua 21.
“(...) Stabilità e resa nell’azione sono il prodotto di Haragei, dipendenti da un’azione non mediata
dal ragionamento (...).
“La Formazione di questo stato dell’essere è lunga, difficile e spesso scoraggiante” (Vatrini pp. 59–
60). Lo Shiatsu si impara apprendendo e ripetendo il Kata molte e molte volte, almeno per tutta la
fase di formazione; questo è per lo studente una fase fondamentale e un exercitium efficacissimo
per educarsi a sentire l’Hara. “Nell’exercitium così concepito l’uomo impara a superarsi.
Naturalmente la via che conduce all’acquisizione di una data capacità richiede anzitutto
un’attenzione concentrata, una volontà ferma ed instancabile, la perseveranza nel ripetere sempre
di nuovo una data attività” (Dürckeim p. 31).
In Giappone i tre principi dello Shiatsu legalmente riconosciuto dal Ministero sono “La
pressione perpendicolare, il suo mantenimento e la concentrazione. (...) Concentrazione è
convergenza di mente/spirito; raccogliersi su di un punto. È come una lente di ingrandimento che
raccoglie i raggi del sole e converge tutta la luce e il calore su di un punto. (...)
“Lo stesso Namikoshi utilizzava la concentrazione mentale di tutto il corpo in ogni pressione di
pollice” (Kishi e Whieldon pp 69-70); e Masunaga scrive “La concentrazione a partire dall’addome e
il rilassamento dell’intero corpo sono naturali. (...) Se contraete le spalle e gli arti i vostri movimenti
saranno goffi e sgraziati. (...) La vera bellezza emerge quando il nostro movimento comincia ad
essere fluido, privo di tensione. (...) non dobbiamo concentrarci sulla tecnica digitale, ma imparare
a percepire l’energia che fluisce dentro di noi” (Masunaga – Ohashi p. 57). Inoltre, di non poca
importanza per chi pratica per molte ore al giorno, “Chi padroneggia la pratica dell’hara si stanca
21
Strategie di Shiatsu, Mario Vatrini, Casa Editrice Ambrosiana, Milano 2008, p. 59
18
meno. Riportandosi nel ‘mezzo’ egli può di nuovo attingervi energie che lo rinnovano” . (Dürckeim p.
72).
“Nello shiatsu la semplice pressione non vi rivelerà l’essenza vitale di ciò che state premendo.
Se non conoscete la filosofia orientale non potrete capire il significato della vita e pertanto
praticherete lo shiatsu in modo improprio” (Masunaga – Ohashi p. 8). Il praticante Shiatsu dovrà,
quindi, approfondire anche la filosofia della medicina tradizionale cinese e tenere ben chiaro che
“Nei testi antichi di medicina il rapporto fra questa e pensiero taoista è così stretto che ci si può
domandare se un buon medico possa sottrarsi al cammino che la spiritualità taoista richiede (...). La
pratica del Vuoto del Cuore e l’Arte del Cuore gli permettono di liberarsi del suo ‘particolare’ per
raggiungere l’autenticità di sé e cogliere la verità del suo paziente. La comunicazione con il Tao gli
insegna a percepire l’uomo come «colui che risponde alle leggi del Cielo e della Terra». (...) Il ‘non-
agire’ gli consente di intervenire nel modo più rispettoso per modificare quelle inversioni del
movimento naturale dei Soffi, dello yin e dello yang, che è la patologia dell’uomo, favorendo i
naturali movimenti di ritorno all’equilibrio. Il suo compito è quello di ristabilire il fluire naturale e
regolare dei Soffi. (...)
“I testi medici antichi, sia taoisti che confuciani, insistono sul fatto che solamente mettendosi in
relazione con la verità del sé, con un atteggiamento sereno e raccolto, è possibile instaurare una
relazione autentica con chi si deve curare. Il medico, grazie ad un ambiente idoneo e alla sua
capacità di meditare, trova il centro di sé per arrivare a quello del paziente. Questa è la premessa
del trattamento. (...)
“«Quando trattate siate come colui che spinge il suo sguardo in fondo all’abisso: attenzione a non
cadere! (...) che niente turbi il vostro animo: nella calma considerate il vostro paziente senza girare
lo sguardo a destra e a sinistra» (Huangdi Neijing Suwen cap. 54). (...)
“ ‘Non distogliere lo sguardo’ è la manifestazione della forza di concentrazione interiore e la
modalità con cui dirigere la potenza del ‘volere’22 verso il paziente. (...) È l’esito del ‘Vuoto del cuore’
che deve dirigere il medico per accogliere veramente il paziente. (...) Se ‘non si distoglie lo sguardo’,
si riporterà il malato sul giusto cammino con una diagnostica giusta, con un gesto terapeutico esatto,
con un messaggio rivolto al suo spirito, ai suoi Shen” (Larre e Berera P 108-110).
D'altronde “La medicina orientale è basata sull’invisibile (Shen) che però ha effetti di
mutamento sul mondo immanente” (Muraglia p. 21). Quindi, nello Shiatsu come nelle altre branche
più propriamente attribuite alla Medicina Cinese, “può succedere qualcosa che assomiglia al
fenomeno della risonanza acustica. Se il processo è corretto, il rifiorire della vita è molto più
probabile. La verità del medico interagisce con quella del paziente (...) grazie ad uno scambio
silenzioso e misterioso di vitalità. Il paziente diviene, così, collaborante e più disponibile ad
accogliere in sé il ritorno dell’armonia della vita; acquisisce una predisposizione naturale
all’imitazione della vitalità del medico che lo cura e non si sente costretto ad obbedire ad un
terapeuta che lo domina con il suo potere e con il suo sapere. Guarire è, perciò, per la Tradizione
22
Torna Zhi, ma il volere dei Reni può poco senza il proposito della Milza: “il proposito (yi ព) è formato in basso dal
carattere per Cuore e sopra da una grafia 㡢che designa l’emissione di un suono modulato (...). Sono le intenzioni
che chi parla, pensa e agisce mette in ciò che esprime in suoni, pensieri o atti. (...)
È la nostra disposizione interiore che seleziona e interpreta ciò che invade il campo della coscienza e che determinerà
l’orientamento della vita, il volere” (Rochat de la Vallèe p. 113).
19
23
Lo Shiatsu. il risveglio dell’energia di guarigione, Franco 8, Xenia edizioni, Milano 1994, p. 57
24
Definita poco prima la Grande Vita n.d.r.
20
sulle facoltà razionali e che si illude di poter trarre tutto da sé come individuo finito” (Dürckeim p.
48).
Nella pratica l’uso dell’Hara consente di trovare quella connessione profonda con il
ricevente, infatti Masunaga scrive: “Quando nello Shiatsu bimanuale concentrate tutta la vostra
energia nel vostro addome il paziente nel profondo del suo essere si sente unito a voi” (Masunaga
– Ohashi p. 57). “Masunaga pensava che fosse importante sentirsi connessi con il paziente, (...), due
persone diventano una sola. (...) Due persone diventano una sola in modo naturale attraverso
l’intento che si manifesta nel tocco delle due mani. (...) Quello di cui sto parlando è il sentimento
del cuore” (Kishi e Whieldon P 75). Quando si stabilisce questo legame il ricevente sarà il nostro
Maestro più efficace: “Nello zen ciò che importa è un buon maestro dal quale imparare. Nello
shiatsu il maestro è il vostro paziente” (Masunaga – Ohashi p. 8).
21
25
Il volo del cuore. Lo shiatsu come via di conoscenza, Franco Bottalo, Ibis edizioni, Como 2019, pp. 30-37
24
interconnesse, come siano diversi colori di un unico raggio di luce, diverse vibrazioni di un'unica
melodia. Guarda e ascolta in silenzio. Resta in assorta contemplazione del mistero dell’incontro e
unione di terra-acqua-cielo, di sole e luna”. (...) Senti nel tuo corpo la solidità della roccia e insieme
la delicatezza del fiore. (...) resta in ascolto della solidità della roccia e della delicatezza del fiore; e
del limpido brillare della mente nella loro unione. (...)
“(...) Adesso inizia a portare gradualmente la tua attenzione verso l’esterno, verso la persona che è
distesa al tuo fianco, comincia a focalizzare la tua attenzione su di lei, a percepirla, ad ascoltarla;e
quando poi ti senti pronto, muoviti con la tua mano per stabilire un contatto. (...)
“Torna al respiro, torna al respiro ogni volta che il tuo volo va al di là di dove lo puoi sostenere. Torna
al respiro, al qui e ora; il respiro ti riporta al ritmo della vita, al tuo vero ritmo profondo, radicato
nelle profondità del tuo addome.
“(...) devi muoverti come un danzatore che sa esprimere nel contempo potenza ed eleganza, poiché
l’eleganza senza potenza è leziosità, e la potenza senza eleganza non può prendere il volo verso il
Cuore di chi ascolta. (...) Osserva: se la tua osservazione è limpida, l’adeguamento nascerà
spontaneamente. L’osservazione profonda diviene allora comprensione. Continua a lavorare così,
ricordando la solidità della roccia e la delicatezza del fiore, la solidità della roccia e la delicatezza del
fiore”.
25
BIBLIOGRAFIA
Berera Fabrizia, Ideogrammi della salute, Red Edizioni, Milano 2007
Beresford-Cooke Carola, Shiatsu Teoria e Pratica – III edizione, Casa Editrice Ambrosiana, Rozzano
2015
Bottalo Franco, Lo Shiatsu. il risveglio dell’energia di guarigione, Xenia Edizioni, Milano 1994
Bottalo Franco, Il volo del cuore. Lo shiatsu come via di conoscenza, Ibis Edizioni, Como 2019
Dürckeim Karlfried Graf, Hara il centro vitale dell’uomo secondo lo Zen, Edizioni Mediterranee,
Roma 1969
I Ching taoista, traduzione e commento di Thomas Cleary, Edizioni Mediterranee, Roma 1992
Kishi Akinobu, Whieldon Alice, Sei-Ki Life in Resonance. L’arte segreta dello shiatsu, Shiastu Milano
Editore, Milano 2016
Larre Claude, Berera Fabrizia, Filosofia della medicina tradizionale cinese, Jaca Book, Milano 1997
Masunaga Shizuto, Manuali di Shiatsu – 1° mese, Shiatsu Milano Editore, Milano 2014
Masunaga Shizuto, Ohashi Wataru, Zen Shiastu. La terapia shiatsu secondo i principi dello zen,
Edizioni Mediterranee, Roma 1993
Muraglia Yvonne, Diagnosi e medicina orientale nello Zen Keiraku Shiatsu – la via secondo natura di
Shizuto Masunaga, Shiatsu Milano Editore, Milano 2018
Ohashi Wataru, Diagnosi Orientale - come leggere il corpo, Edizioni Il Castello, Milano 1992
Pavani Giuseppe, La cultura dei Samurai, Associazione Italiana Shojukai,
http://www.gianfrancobertagni.it/materiali/varia/pavani.pdf
Rochat de la Vallèe Èlisabeth, Le 101 nozioni chiave della Medicina Cinese. Alle radici della cultura
che l’ha generata, Red Edizioni, Como 2011
Schmid Marcello, I colori del cuore. La psicologia secondo l’energetica classica cinese, Edizioni Enea,
Milano 2009