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CORTE COSTITUZIONALE

Sentenza 106/1963
Giudizio GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE
Presidente AMBROSINI - Redattore
Udienza Pubblica del 22/05/1963 Decisione del 07/06/1963
Deposito del 22/06/1963 Pubblicazione in G. U.
Norme impugnate:
Massime: 1891 1892 1893 1894
Atti decisi:

Massima n. 1891
Titolo
SENT. 106/63 A. LAVORO - LEGGE 14 LUGLIO 1959, N. 741, RECANTE NORME TRANSITORIE
PER GARANTIRE MINIMI DI TRATTAMENTO ECONOMICO E NORMATIVO AI LAVORATORI -
QUESTIONE DI LEGITTIMITA'. COSTITUZIONALE GIA' DECISA - INSUSSISTENZA DI NUOVI
MOTIVI - MANIFESTA INFONDATEZZA.

Testo
La Corte pronuncia ordinanza di manifesta infondatezza quando le sia riproposta, senza addurre profili
nuovi o diversi, una questione di incostituzionalita' che essa abbia gia' deciso nel senso della non fondatezza
(nella specie la questione riproposta riguardava la legge 14 luglio 1959, n. 741, in riferimento agli artt. 3, 39
e 76 Cost., dichiarata non fondata con sent. 11 dicembre 1962, n. 106).

Parametri costituzionali

Costituzione art. 3

Costituzione art. 39

Costituzione art. 76

Riferimenti normativi

legge 14/07/1959 n. 741

Massima n. 1892
Titolo
SENT. 106/63 B. SINDACATI - PRINCIPIO DELLA LIBERTA' DI ORGANIZZAZIONE SINDACALE
E DELL'AUTONOMIA COLLETTIVA - GIUSTIFICA L'ENUCLEAZIONE DI CATEGORIE E
SUBCATEGORIE DA UNA CATEGORIA PIU' GENERALE - NON IMPLICA LA PERDITA DELLA
RAPPRESENTANZA DA PARTE DELLE ORGANIZZAZIONI PREESISTENTI. (COSTITUZIONE,
A R T . 3 9 ) .
Testo
L'enucleazione di categorie e subcategorie in altre e diverse, o l'aggrupparsi e fondersi di piu' categorie in
una sola, e' conforme alla dinamica delle forze del lavoro ed espressione del principio di liberta' sindacale,
enunciato nell'art. 39 Cost. Ma cio' non puo' comportare che, quando ancora non e' stata data esecuzione al
precetto del quarto comma del cit. art. 39, le organizzazioni preesistenti perdano la rappresentanza,
rispettivamente, delle imprese e dei lavoratori che esercitano un'attivita' identica a quella oggetto di
sopravvenute associazioni sindacali e di sopraggiunti contratti collettivi: le antiche organizzazioni
continuano, invece, a rappresentare le imprese e i lavoratori che ad esse aderiscono e gli antichi contratti
collettivi a regolare i reciproci rapporti delle imprese e dei lavoratori rappresentati dalle associazioni
stipulanti. (Sulla prima parte della massima cfr. sent. 8 maggio 1963, n. 70).

Parametri costituzionali

Costituzione art. 39

Massima n. 1893
Titolo
SENT. 106/63 C. LAVORO - LAVORAZIONE DEL LATTE - D.P.R. 16 GENNAIO 1961, N. 105, E
D.P.R. 16 GENNAIO 1961, N. 106 - L'UNO REGOLA ANCHE I RAPPORTI DI LAVORO DI UNA
CATEGORIA DI LAVORATORI REGOLATI DALL'ALTRO - SOSTANZIALE CONCORSO DI
CONTRATTI COLLETTIVI RELATIVI AD UNA MEDESIMA CATEGORIA - ECCESSO DAI LIMITI
DELLA DELEGA CONFERITA CON LEGGE 14 LUGLIO 1959, N. 741 - POTERE DI SCELTA DEL
LEGISLATORE DELEGATO - ESCLUSIONE - RECEZIONE NEI DECRETI DELEGATI DI
ENTRAMBI I CONTRATTI - ESCLUSIONE - CONTRASTO CON I FINI DELLA LEGGE
DELEGANTE - SUPERAMENTO IN VIA INTERPRETATIVA DELLA DUPLICITA' DI DISCIPLINA -
ESCLUSIONE - VIOLAZIONE DEGLI ARTT. 3, 39 E 76 DELLA COSTITUZIONE - DECRETO N. 105
- ILLEGITTIMITA' COSTITUZIONALE - DECRETO N. 106 - ILLEGITTIMITA' COSTITUZIONALE
P A R Z I A L E .

Testo
Il sistema introdotto con la legge 14 luglio 1959, n. 741, che ha delegato il Governo a rendere obbligatori
erga omnes i contratti collettivi e gli accordi economici esistenti, e' un sistema transitorio ed eccezionale,
che non deve ledere la liberta' e l'autonomia sindacale. Poiche' solo in questi limiti esso puo' considerarsi
non in contrasto con l'art. 39 Cost., resta fuori dell'ambito della delegazione il caso di due contratti,
depositati a sensi della legge e che regolino i rapporti di una medesima categoria, sia che uno di essi regoli
anche i rapporti di altre categorie, sia che regoli quelli della stessa categoria, nell'ambito di una categoria piu'
vasta: infatti, ogni scelta, da parte del legislatore delegato, del contratto da rendere efficace erga omnes,
violerebbe la liberta' e l'autonomia sindacale. Sono pertanto illegittimi il D.P.R. 16 gennaio 1961, n. 105 e il
D.P.R. 16 gennaio 1961, n. 106 - quest'ultimo in quanto si riferisce alla categoria dei lavoratori dipendenti
dalle centrali del latte e dai centri di trattamento e confezionamento del latte alimentare - il primo dei quali
ha attribuito efficacia erga omnes al contratto collettivo stipulato l'11 febbraio - 12 marzo 1959 tra
l'Associazione nazionale Centrali del latte d'Italia e le organizzazioni competenti dei lavoratori,
relativamente al personale delle centrali del latte e dei centri di trattamento e confezionamento del latte
alimentare; mentre il secondo ha attribuito la stessa efficacia al contratto collettivo 9 dicembre 1957,
stipulato fra l'Associazione italiana lattiero-casearia e le competenti associazioni sindacali dei lavoratori.

Parametri costituzionali

Costituzione art. 3
Costituzione art. 39

Costituzione art. 76

Riferimenti normativi

decreto del Presidente della Repubblica 16/01/1961 n. 105

decreto del Presidente della Repubblica 16/01/1961 n. 106

Massima n. 1894
Titolo
SENT. 106/63 D. LAVORO - LAVORAZIONE DEL LATTE - D.P.R. 16 GENNAIO 1961, N. 105, E
D.P.R. 16 GENNAIO 1961, N. 106 - L'UNO REGOLA ANCHE I RAPPORTI DI LAVORO DI UNA
CATEGORIA DI LAVORATORI REGOLATI DALL'ALTRO - SOSTANZIALE CONCORSO DI
CONTRATTI COLLETTIVI RELATIVI AD UNA MEDESIMA CATEGORIA - POTERE DI SCELTA
DEL LEGISLATORE DELEGATO - ESCLUSIONE - RECEZIONE NEI DECRETI DELEGATI DI
ENTRAMBI I CONTRATTI - ESCLUSIONE - CONTRASTO CON I FINI DELLA LEGGE
DELEGANTE - SUPERAMENTO IN VIA INTERPRETATIVA DELLA DUPLICITA' DI DISCIPLINA -
E S C L U S I O N E .

Testo
Di fronte a due contratti collettivi, depositati a sensi di legge e che regolino i rapporti di una medesima
categoria, il legislatore delegato, cosi' come non puo' scegliere quale dei due contratti rendere obbligatorio
erga omnes, in attuazione della legge di delegazione 14 luglio 1959, n. 741, cosi' non puo' neppure renderli
obbligatori entrambi, perche' anche in questa seconda ipotesi si configurerebbe l'esercizio di un potere non
conferito al Governo e in contrasto col fine della legge, che e' quello di assicurare a tutti gli appartenenti alla
medesima categoria un identico minimo trattamento economico e normativo. Ne' la situazione, creata dal
contemporaneo vigore di piu' leggi nella medesima materia, puo' essere risolta dal giudice ordinario, col
ricorso a principi generali, ovviamente inapplicabili nell'ipotesi considerata.

Parametri costituzionali

Costituzione art. 3

Costituzione art. 39

Costituzione art. 76

Riferimenti normativi

decreto del Presidente della Repubblica 16/01/1961 n. 105

decreto del Presidente della Repubblica 16/01/1961 n. 106

Pronuncia
N. 106

SENTENZA 7 GIUGNO 1963

Deposito in cancelleria: 29 giugno 1963.

Pubblicazione in "Gazzetta Ufficiale" n. 175 del 2 luglio 1963.

Pres. AMBROSINI - Rel. CASSANDRO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Prof. GASPARE AMBROSINI, Presidente - Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO -
Prof. ANTONINO PAPALDO - Prof. NICOLA JAEGER - Prof. GIOVANNI CASSANDRO - Prof.
BIAGIO PETROCELLI - Dott. ANTONIO MANCA - Prof. ALDO SANDULLI - Prof. GIUSEPPE
BRANCA - Prof. MICHELE FRAGALI - Prof. COSTANTINO MORTATI - Prof. GIUSEPPE
CHIARELLI - Dott. GIUSEPPE VERZÌ, Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale della legge 14 luglio 1959, n. 741, del D.P.R. 16 gennaio
1961, n. 105, e del D.P.R. 16 gennaio 1961, n. 106, promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 26 settembre 1962 dal Pretore di Bologna nel procedimento penale a carico di
Costa Gervasio, iscritta al n. 189 del Registro ordinanze 1962 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 313 del 7 dicembre 1962;

2) ordinanza emessa il 28 settembre 1962 dal Pretore di Crema nel procedimento penale a carico di
Arrigoni Ettore, iscritta al n. 190 del Registro ordinanze 1962 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 307 del 1 dicembre 1962.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri e di costituzione in giudizio di Costa
Gervasio e di Sabbi Nino e Vitali Arturo, parti civili nel procedimento penale a carico di Costa Gervasio;

udita nell'udienza pubblica del 22 maggio 1963 la relazione del Giudice Giovanni Cassandro;

uditi gli avvocati Francesco Santoro Passarelli e Benedetto Bussi, per Sabbi Nino e Vitali Arturo, l'avv.
Alfonso Sermonti, per Costa Gervasio, e il sostituto avvocato generale dello Stato Valente Simi, per il
Presidente del Consiglio dei Ministri.

Ritenuto in fatto:
1. - Nel corso di un procedimento penale davanti al Pretore di Bologna a carico del dott. Gervasio Costa,
la difesa dell'imputato eccepì, in linea principale, l'illegittimità costituzionale della legge 14 luglio 1959, n.
741, in linea subordinata l'illegittimità costituzionale del D.P.R. 16 gennaio 1961, n. 105, e, infine, per
connessione, quella del D.P.R. 16 gennaio 1961, n. 106, perché in contrasto tutti - legge e decreti - con gli
artt. 76, 39 e 3 della Costituzione.

Il Pretore di Bologna ritenne non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale


della legge n. 741 in confronto di tutti e tre gli invocati articoli della Costituzione: a) perché sarebbero stati
resi obbligatori erga omnes contratti stipulati in difformità dal procedimento stabilito dall'art. 39 della
Costituzione; b) perché non sarebbero stati stabiliti i principi e i criteri direttivi della delegazione e
nemmeno definito esattamente l'oggetto di questa, tanto che, nell'ipotesi in cui per una stessa categoria
esistano più contratti collettivi diversi fra loro e tutti regolarmente depositati ai sensi dell'art. 3 della legge,
non sarebbe possibile stabilire in qual modo debba essere operata la scelta del contratto; c) perché l'art. 8
della legge impugnata comminerebbe sanzioni penali esclusivamente a carico del datore di lavoro
inadempiente e non anche dei lavoratori che non osservino le clausole del contratto tramutate in norme di
legge.

Se si dichiarasse, prosegue l'ordinanza, l'illegittimità costituzionale della legge n. 741, ne dovrebbe


derivare l'illegittimità costituzionale dei decreti legislativi n. 105 e n. 106 del 1961 sopra ricordati, in quanto,
contenendo questi decreti norme sul trattamento economico e normativo relativo ai lavoratori di una stessa
categoria, e cioè agli addetti alle centrali del latte e alle imprese lattiero casearie, si verificherebbe l'ipotesi
sopra menzionata dell'esistenza di più contratti per la medesima categoria, con la conseguenza di una
disparità di trattamento economico e di una situazione normativa molto confusa e in contrasto con i ricordati
articoli della Costituzione 76 e 39. Questa tesi sarebbe sorretta, a giudizio del Pretore di Bologna, dal parere
n. 7 del 1959 del Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro.

In conseguenza , il Pretore di Bologna ha sospeso il giudizio e inviato gli atti a questa Corte con
ordinanza emessa il 26 settembre 1962, che, ritualmente notificata e comunicata, è stata pubblicata sulla
Gazzetta Ufficiale n. 313 del 7 dicembre dello stesso anno.

2. - Nel giudizio si è costituito il dott. Gervasio Costa, presidente della Società Polenghi Lombardo,
rappresentato e difeso dagli avvocati Ezio Todaro e Alfonso Sermonti, con atto di deduzioni depositato il 13
dicembre 1962.

In punto di fatto la difesa del dott. Costa premette che la Società Polenghi Lombardo avrebbe applicato
sempre ai propri dipendenti il contratto collettivo 9 dicembre 1957, stipulato tra l'Associazione italiana
lattiero-casearia e le competenti associazioni sindacali dei lavoratori. A questo contratto fu attribuita
efficacia erga omnes con D.P.R. 16 gennaio 1961, n. 106. Senonché, nello stesso numero della Gazzetta
Ufficiale in cui fu pubblicato questo decreto presidenziale, fu altresì pubblicato il D.P.R. n. 105 che
attribuiva efficacia erga omnes a un altro contratto collettivo, quello stipulato l'11 febbraio - 12 marzo 1959
per il personale delle centrali del latte e dei centri di trattamento e confezionamento del latte alimentare,
stipulato tra l'Associazione nazionale centrali del latte d'Italia e le organizzazioni competenti dei lavoratori.
Il problema di legittimità costituzionale sorgerebbe dal fatto che il contratto del 1957, che riguardava in
genere tutte le imprese esercenti attività lattiero-casearia, fu stipulato dall'Associazione lattiero casearia alla
quale aderivano anche aziende esercenti centrali del latte: con la conseguenza che una stessa categoria si
trova ad essere regolata, almeno pro parte, da due contratti collettivi con efficacia erga omnes.

La difesa del dott. Costa, dopo aver esposto i motivi che a suo avviso rendono illegittima la legge 14
luglio 1959, n. 741 (violazione dell'art. 39 della Costituzione, perché si conferisce efficacia obbligatoria erga
omnes a contratti collettivi stipulati in difformità del precetto costituzionale con conseguente compressione
della libertà e della autonomia sindacale; violazione dell'art. 76 della Costituzione, perché la delega conferita
in questo caso dal Parlamento al Governo fu una finta delega, con la conseguenza che mancherebbe
addirittura la possibilità di principi e criteri direttivi e di un concreto atto di produzione normativa del
Governo delegato; in sostanza, una delega falsa e impropria, diretta a dissimulare una manifesta e grave
illegittimità costituzionale; violazione dell'art. 3 della Costituzione, perché l'art. 8 della legge prevede
sanzioni penali soltanto per i datori di lavoro inadempienti), afferma che i problemi particolari che pongono
i due decreti delegati sopraricordati sarebbero una riprova e una conferma dell'asserita illegittimità
costituzionale della legge di delegazione. A questo fine la difesa sostiene che, nel silenzio della legge che
non dà alcun criterio al Governo nell'ipotesi contemplata di due contratti collettivi stipulati, sia pure
parzialmente, per una medesima categoria, il Governo non avrebbe dovuto esercitare la delega. Nella totale
meccanicità del sistema, così si esprime testualmente la difesa, non è dato rinvenire alcun elemento che
autorizzi a ritenere il Governo investito di un potere di scelta e, anche se codesto potere si volesse
considerare attribuito dalla legge, sarebbe stato attribuito, dice ancora la difesa, "nullamente" perché
mancherebbero i criteri e i principi richiesti dall'art. 76 della Costituzione. In questa ipotesi, dunque,
prosegue la difesa, il Governo, conformemente, del resto, a un parere del Consiglio nazionale dell'economia
e del lavoro, non avrebbe dovuto "pubblicare" né l'uno né l'altro contratto e per le categorie interessate
avrebbe dovuto continuare a vigere il sistema dei contratti collettivi di diritto comune.

Né si potrebbe sostenere la tesi, che, nel caso di più contratti, applicabili in parte a categorie diverse, in
parte a una stessa categoria, il Governo abbia il potere-dovere di esercitare la delega relativamente a quelle
categorie per le quali si applica un solo contratto. All'assoluta mancanza di norme della legge di delegazione
che regolino questo punto, continua la difesa, si deve attribuire il significato dell'inestensibilità di qualunque
contratto, non quello della parziale estensibilità di uno di essi: del che sarebbe conferma il fatto che,
nell'ipotesi contraria, il Governo dovrebbe individuare le singole categorie e sub categorie non soltanto in
base all'enunciazione dei destinatari, eventualmente contenuta nei medesimi contratti, ma anche in base alla
competenza organizzativa risultante dagli statuti delle associazioni stipulanti e all'effettiva appartenenza alle
categorie e alle sub categorie degli iscritti alle associazioni stipulanti stesse. Un giudizio che non potrebbe
essere compiuto dal legislatore delegato senza che la legge stabilisse criteri e principi direttivi.

Infine, non avrebbe alcun valore la tesi, che, nel caso di due o più contratti, il Governo debba procedere
alla trasformazione in legge di tutti i contratti, lasciando poi al giudice di decidere caso per caso quale sia il
contratto da applicare. Infatti, se il legislatore non ha espresso la propria volontà, non potrebbe il magistrato,
che è chiamato ad attuare e non a creare la volontà della legge, colmare il vuoto lasciato dal legislatore.
Nell'ipotesi, che è ora all'esame, non ci sono che due soluzioni: o il Governo riterrà che gli sia stata attribuita
la delega ed emetterà il comando determinandone i destinatari, o riterrà che la delegazione non gli
attribuisca questo potere-dovere e non emetterà alcun provvedimento. La conclusione della difesa è che si
debba dichiarare, in via principale, l'illegittimità costituzionale dei due decreti delegati, quale conseguenza
della illegittimità costituzionale della legge 14 luglio 1959, n. 741, o, in via subordinata, nell'ipotesi che la
questione di costituzionalità di questa legge si ritenesse non fondata, l'illegittimità costituzionale dei due
decreti per vizio loro proprio.

3. - Nel presente giudizio si sono costituiti anche i signori Nino Sabbi e Arturo Vitali, rappresentati e
difesi dagli avvocati Francesco Santoro Passarelli e Benedetto Bussi, con deduzioni depositate il 27
dicembre 1962.

La difesa dei signori Sabbi e Vitali, ricordato che la Corte costituzionale ha già pronunciato sulla
questione di legittimità della legge di delegazione, limita il suo esame ai due decreti delegati già ricordati,
contenenti il n. 105 "norme sul trattamento economico e normativo dei lavoratori dipendenti dalle centrali
del latte e dai centri di trattamento e confezionamento del latte alimentare" e il n. 106 "norme sul trattamento
economico e normativo dei lavoratori dipendenti dalle imprese esercenti attività lattiero-casearie".

La questione non sarebbe fondata perché, nella specie, non si verificherebbe l'ipotesi di coesistenza di
più contratti collettivi per una stessa categoria depositati a norma dell'art. 3 della legge di delegazione. Se si
considera, infatti, il disposto dei rispettivi articoli unici dei due decreti, mentre il decreto n. 106 concerne "i
rapporti di lavoro costituiti per le attività per le quali sono stati stabiliti il contratto collettivo nazionale di
lavoro 9 dicembre 1957 e l'accordo aggiuntivo 21 novembre 1949, relativi ai lavoratori addetti alle imprese
lattiero-casearie e alla stagionatura del formaggio pecorino", il decreto n. 105 riguarda invece "i rapporti di
lavoro costituiti per le attività per le quali è stato stipulato il contratto collettivo nazionale di lavoro 11
febbraio-12 marzo 1959, relativo ai lavoratori addetti alle centrali del latte e ai centri di trattamento e
confezionamento del latte alimentare". La semplice lettura di queste norme dovrebbe convincere che si è in
presenza di due diverse categorie, e ciò sarebbe confermato dalle disposizioni dei contratti e dell'accordo, ai
quali i due decreti impugnati si sono uniformati, concernenti le qualifiche degli operai, che sono diverse tra
loro e corrispondenti ad attività diverse. Infine, la non coincidenza dell'ambito di applicazione dei due
decreti si desumerebbe anche dalla diversa sfera di competenza delle associazioni stipulanti, dato che,
mentre da parte dei lavoratori soggetto della stipulazione sono sempre le medesime associazioni, che
rappresentano tutti i lavoratori del settore, da parte dei datori di lavoro non soltanto si ha una distinzione di
soggetti, ma anche una netta differenza di competenza delle associazioni stipulanti.

Conclude perché la Corte dichiari non fondata la questione di legittimità costituzionale della legge di
delegazione e dei più volte citati decreti presidenziali.

4. - Nel giudizio è intervenuto anche il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso,
come per legge, dall'Avvocatura generale dello Stato che ha depositato l'atto di intervento il 24 ottobre 1962.

Anche per l'Avvocatura dello Stato non sussisterebbe la contemporanea esistenza di due contratti
collettivi per la medesima categoria, stante che il contratto 9 dicembre 1957 riguarderebbe in genere gli
addetti alle aziende lattiero-casearie e il contratto 11 febbraio-12 marzo 1959 soltanto gli addetti alle centrali
del latte, una categoria specifica, a detta dell'Avvocatura, che si sarebbe staccata dalla categoria più ampia. Il
problema pertanto della scelta non si poneva al Governo, il quale, anzi, era tenuto a rispettare i processi
spontanei che pongono capo alla formazione di categorie mediante l'associazione degli interessati e la
contrattazione collettiva. E poiché i due contratti sono stati opera delle stesse associazioni sindacali dei
lavoratori, il fatto che l'uno sia posteriore all'altro porterebbe come conseguenza la prevalenza della
contrattazione speciale su quella più generale, e, perciò, l'applicabilità del contratto generale, a tutto il
personale delle aziende lattiero-casearie, salvo a quello addetto alle centrali del latte.

Anche, quindi, conclude l'Avvocatura, sul piano del coordinamento necessario tra i contratti collettivi si
arriverebbe ad escludere una duplicazione di disciplina per una stessa categoria e a dover ammettere
l'avvenuta formazione di una categoria più ristretta con una propria autonomia e con una propria particolare
e autonoma disciplina.

5. - In una memoria depositata il 9 maggio 1963, la difesa della Società Polenghi Lombardo, richiamata
la sentenza di questa Corte n. 106 del 1962, limita le sue considerazioni alla questione di legittimità
costituzionale dei due decreti delegati, ribadendo soprattutto la tesi della difesa dello Stato e dei signori
Sabbi e Vitali, secondo la quale i due contratti collettivi, poi trasformati in legge, riguarderebbero due
categorie affatto diverse fra loro. Viceversa, un esame dello statuto dell'Associazione italiana
lattiero-casearia (e segnatamente dell'art. 6 di detto statuto) dimostrerebbe come questa Associazione
estenda la sua competenza organizzativa a tutte le imprese comunque addette alla lavorazione del latte e,
perciò, anche alle centrali del latte e ai centri di trattamento e confezionamento del latte alimentare. E, d'altra
parte, le vicende della contrattazione collettiva darebbero la prova che i contratti stipulati da
quell'Associazione, tanto quello del 12 marzo 1949, quanto quello del 9 dicembre 1957, quanto infine l'altro
del 10 gennaio 1961, si estendono anche alle aziende che gestiscono centrali del latte o centri di trattamento
e confezionamento del latte alimentare. Infine, l'elenco delle imprese aderenti all'Associazione
lattiero-casearia dal 9 dicembre 1957, data del contratto collettivo di lavoro di cui al citato D.P.R. n. 106, al
16 gennaio 1961, data di emanazione di questo decreto, dimostrerebbe come una notevole parte delle
aziende che gestiscono centri di trattamento ed alcune di quelle che gestiscono centrali del latte aderivano a
quell'Associazione di datori di lavoro.

Né il fatto che successivamente sia stata costituita un'Associazione sindacale limitata alle centrali del
latte e ai centri di trattamento e confezionamento del latte alimentare, ha tolto all'"Assolatte" la sua
rappresentatività. In un regime di libertà sindacale, come l'esistenza di un ' associazione per una categoria
specifica o per una subcategoria non preclude la formazione di altre associazioni per queste medesime
categorie o subcategorie o di associazioni per categorie più vaste e comprensive, così il sorgere di
associazioni sindacali per categorie già organizzate non riduce l'ambito di rappresentatività delle
associazioni preesistenti. In ultimo luogo, non avrebbe valore la tesi che le disposizioni concernenti le
qualifiche degli operai compresi nell'una o nell'altra categoria sarebbero diverse. La difesa della società non
nega che ci sia diversità tra i destinatari dei due contratti, ma la spiega con la circostanza che l'uno di essi
riguarda ogni e qualsiasi attività di lavorazione del latte, l'altro soltanto quelle proprie delle centrali e dei
centri; e aggiunge che i criteri per la determinazione delle qualifiche di lavoro sono gli stessi nei due
contratti, mentre le mansioni specifiche sono indicate in via soltanto esemplificativa, e che, finalmente, le
qualifiche operaie del contratto stipulato dall'"Assolatte" erano sufficienti a regolare anche i rapporti di
lavoro delle centrali e dei centri di trattamento, come risulta dal fatto che la disciplina di codesti rapporti,
quanto meno dal 1949 al 1959, fu realizzata esclusivamente dai contratti collettivi stipulati dall'"Assolatte".

Sarebbe dunque dimostrata la coincidenza pro parte della sfera di applicazione dei due contratti
collettivi e, di conseguenza, l'illegittimità costituzionale dei due decreti delegati, che è la sola possibile
soluzione in casi come questi, giusta la tesi che la difesa della Società ha sostenuto nell'atto di costituzione e
che è stata già riferita.

6. - Anche la difesa dei signori Sabbi e Vitali ha depositato il 9 maggio 1963 una memoria, nella quale
ribadisce le tesi già sostenute nell'atto di costituzione, sottolineando in particolare che il contratto collettivo
11 febbraio-12 marzo 1959 (decreto n. 105) avrebbe individuato nel seno della più ampia categoria dei
lavoratori addetti alle aziende esercenti attività lattiero-casearie, alla quale si riferisce il contratto collettivo 9
dicembre 1957 (decreto n. 106), la specifica categoria degli addetti alle centrali del latte e ai centri di
trattamento e confezionamento: un procedimento di cui non si potrebbe negare la legittimità senza negare
insieme il principio della libertà sindacale in uno dei suoi aspetti essenziali, vale a dire quello per cui i datori
e i prestatori di lavoro possono organizzarsi nel modo che ritengono più confacente alla tutela dei propri
interessi collettivi, e stipulare i contratti che ritengono più idonei al soddisfacimento di questi stessi interessi.

7. - In termini analoghi a quelli dell'ordinanza del Pretore di Bologna la questione di legittimità


costituzionale del D.P.R. 16 gennaio 1961, n. 105, e della legge 14 luglio 1959, n. 741, è stata sollevata nel
corso di un procedimento penale davanti al Pretore di Crema a carico del sig. Ettore Arrigoni, consigliere
delegato della S. p. a. "Latteria Cremasca Voltana". La difesa dell'imputato eccepiva che il decreto
presidenziale fosse in contrasto con l'art. 76 della Costituzione e la legge n. 741 con l'art.39 della
Costituzione. Il Pretore ha ritenuto la questione rilevante e non manifestamente infondata e, con ordinanza
28 settembre 1962, ha sospeso il giudizio e trasmesso gli atti alla Corte.

L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 307 del 1
dicembre 1962.

8. - Davanti alla Corte è intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso,
come per legge, dall'Avvocatura generale dello Stato, la quale, nell'atto depositato il 27 ottobre 1962, ha
riproposto le medesime tesi svolte nel giudizio promosso con l'ordinanza del Pretore di Bologna e sopra
riferito.

Non c'è stata costituzione di parte privata.

9. - All'udienza del 22 maggio 1963, dove i due giudizi sono stati discussi congiuntamente, le parti
hanno svolto le rispettive tesi difensive e insistito nelle già prese conclusioni.

Considerato in diritto:
1. - I giudizi hanno ad oggetto le medesime questioni di costituzionalità, e pertanto vanno riuniti e decisi
con unica sentenza.

2. - La questione di legittimità costituzionale della legge 14 luglio 1959, n. 741, è stata già esaminata
dalla Corte, che ne ha dichiarato la non fondatezza con sentenza 11 dicembre 1962, n. 106; né essa viene ora
presentata sotto profili nuovi o diversi che ne impongano il riesame. La precedente decisione deve perciò
essere confermata.

Vero è che è stato anche riproposto, come motivo di incostituzionalità, il fatto che la legge di
delegazione non indichi criteri per l'esercizio della delega nei casi in cui siano stati depositati, ai sensi della
legge, più contratti di lavoro relativi alla medesima categoria, ed è anche vero che la questione di
costituzionalità dei due decreti delegati, che è portata per la prima volta all'esame di questa Corte, è
collegata con questo aspetto della legge di delegazione. Ma la Corte ha già dichiarato, nella citata sentenza,
che la mancanza di una norma, la quale ipotizzi e regoli il concorso di una duplice disciplina contrattuale per
una medesima categoria, non configura un vizio di costituzionalità della legge di delegazione, ma pone
soltanto il problema degli effetti di codesta omissione in confronto all'esercizio della delega: che è appunto il
thema decidendum della presente controversia.

3. - Senonché, la Corte deve esaminare in primo luogo se sia fondata la tesi, sostenuta dalla difesa dei
signori Sabbi e Vitali e dall'Avvocatura dello Stato, che i due decreti impugnati riguardino due categorie
affatto diverse: quella generale dei dipendenti dalle aziende lattiero-casearie e quella particolare dei
dipendenti dalle centrali del latte e dai centri di trattamento e confezionamento del latte alimentare. È,
infatti, evidente il carattere pregiudiziale e assorbente di questa tesi e la necessità che essa venga, quindi,
esaminata per prima.

Non è controverso che il contratto collettivo 9 dicembre 1957 regolasse anche i rapporti di lavoro dei
dipendenti dalle centrali e dai centri di trattamento del latte: una categoria speciale nel seno della categoria
generale dei dipendenti dalle aziende che hanno ad oggetto la lavorazione del latte e già individuata nel
contratto collettivo 12 marzo 1949, alla medesima stregua di quella formata dagli operai addetti alla
salagione e stagionatura del formaggio pecorino, per la quale intervenne tra le parti l'accordo aggiuntivo del
21 novembre 1949, "recepito" nel decreto legislativo 16 gennaio 1961, n. 106. Né la circostanza che un
accordo analogo non fosse stato raggiunto tra le parti per i dipendenti dalle centrali e dai centri di
trattamento del latte, può significare che costoro fossero rimasti senza tutela contrattuale, dovendosi,
viceversa, trarne la conclusione che per essi valessero le norme del contratto per così dire generale, come,
del resto, non è contestato sia di fatto avvenuto.

La difesa dei signori Sabbi e Vitali, nonché l'Avvocatura dello Stato, hanno insistito sulla circostanza
che l'enucleazione di categorie e subcategorie da una categoria più generale e comprensiva o lo scindersi di
una categoria in altre e diverse o, infine, l'aggrupparsi e fondersi di più categorie in una sola, è vicenda
ordinaria di un mondo sindacale che si conformi alle modifiche tecniche e al moto economico-sociale, ed è
espressione del principio di libertà sindacale. In conseguenza di che le categorie, nel sistema instaurato
dall'art. 39 della Costituzione, non sarebbero più un prius , ma un posterius rispetto all'inquadramento
sindacale e alla stipulazione collettiva.

La Corte non ha ragione di respingere queste argomentazioni, delle quali, del resto, essa stessa ha
ammesso la fondatezza nella sentenza n. 70 dell'8 maggio 1963. Inammissibili sono, invece, le conseguenze
che se ne vogliono trarre.

L'enucleazione di nuove categorie o di subcategorie o, detto diversamente, la specificazione di categorie


di imprese e di categorie di lavoratori, che si assume e si ammette conforme alla dinamica delle forze del
lavoro e alla struttura delle imprese, non può comportare, in un regime di libera organizzazione sindacale e
di libera contrattazione collettiva (quando ancora non è stata data esecuzione al precetto del quarto comma
dell'art. 39 della Costituzione), che le organizzazioni preesistenti perdano la rappresentanza, rispettivamente,
delle imprese e dei lavoratori che esercitano una attività identica a quella oggetto di sopravvenute
associazioni sindacali e di sopraggiunti contratti collettivi. In un regime di piena libertà e autonomia le
antiche associazioni continuano a rappresentare le imprese ed i lavoratori che ad esse aderiscono e gli
antichi contratti collettivi a regolare i reciproci rapporti delle imprese e dei lavoratori rappresentati dalle
associazioni stipulanti. Se si accogliesse la tesi opposta, cioè che il nuovo sindacato, che assuma la
rappresentanza di una subcategoria, attragga a sé la rappresentanza delle aziende e dei lavotatori fino a quel
momento inseriti in associazioni, le quali hanno un ambito che abbraccia quelle stesse ed altre imprese,
quegli stessi ed altri lavoratori, si perverrebbe davvero a una violazione dell'invocato principio di libertà e di
autonomia sindacale.

Il richiamo, che le difese hanno fatto ai rapporti tra contratto generale e contratto speciale, in analogia a
quelli che passano tra legge generale e legge particolare, non ha senso in un regime come quello attuale; lo
avrebbe soltanto in un sistema che definisse e predeterminasse autoritativamente le categorie e ne regolasse
autoritativamente la rappresentanza.

4. - Nel caso in esame il legislatore delegato si è trovato di fronte a due contratti: uno che regola i
rapporti di lavoro dei dipendenti da aziende che esercitano ogni forma di attività connessa con la lavorazione
del latte, l'altro che limita il suo ambito ai dipendenti dalle centrali del latte e dai centri di trattamento; si è
trovato, cioè, di fronte a due contratti, uno dei quali, il più ampio e comprensivo, regola anche i rapporti di
lavoro di una categoria regolata dall'altro: una ipotesi, come si vede, particolare, ma non diversa rispetto a
quella di due o più contratti che regolino i rapporti economici e normativi relativi agli appartenenti a una
sola e medesima categoria.

Ritiene la Corte che casi come questi restino fuori dell'ambito della delegazione conferita al Governo,
sicché se questo l'esercita, ne travalica i limiti, con la conseguenza che i decreti delegati devono essere, in
tutto o in parte, dichiarati illegittimi. Che questa sia la conseguenza del silenzio del legislatore, venuto per di
più dopo un parere del Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro, che appunto riteneva in casi siffatti
non dovesse essere esercitata la delega, non pare contestabile.

Il sistema introdotto con la legge n. 741 del 1959 è un sistema transitorio ed eccezionale, che non deve
ledere la libertà e l'autonomia sindacale e che solo in questi limiti, come già la Corte ha affermato, può non
considerarsi in contrasto col precetto costituzionale. Ora, di fronte a due contratti, depositati ai sensi della
legge e che regolino i rapporti di una medesima categoria - poco importa se uno di essi regoli anche i
rapporti di altre categorie o quelli della stessa categoria nell'ambito di una categoria più vasta -, ogni scelta
del legislatore delegato violerebbe quella libertà e quell'autonomia costituzionalmente garantite. Né a
superare questo punto vale dire che il legislatore sarebbe tenuto a "recepire" nei decreti delegati l'uno e
l'altro contratto, perché anche questo configurerebbe l'esercizio di un potere non conferito al Governo e in
contrasto col fine della legge, che è quello di assicurare a tutti gli appartenenti alla medesima categoria un
identico minimo trattamento economico e normativo. Né la situazione che si verrebbe a creare dal
contemporaneo vigore di più leggi nella medesima materia, può essere risolta dal giudice ordinario col
ricorso a principi generali, come quelli, ad esempio, della successione delle leggi nel tempo o quelli relativi
ai rapporti tra legge generale e legge speciale, che non possono ovviamente trovare applicazione nel caso
presente.

Tuttavia la pronunzia d'illegittimità non travolge anche quella parte del decreto n. 106 che regola i
rapporti di categorie diverse da quelle degli addetti alle centrali o ai centri di trattamento del latte. Per questa
parte, com'è evidente, non c'è se non un solo contratto e un solo decreto e, pertanto, il Governo ha esercitato
legittimamente il potere-dovere conferitogli dalla delega.

PER QUESTI MOTIVI


LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara:

la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale della legge 14 luglio 1959, n. 741;

l'illegittimità costituzionale del D.P.R. 16 gennaio 1961, n. 105;

l'illegittimità costituzionale del D. P. R 16 gennaio 1961, n. 106, in quanto si riferisca alla Categoria dei
lavoratori dipendenti dalle centrali del latte e dai centri di trattamento e confezionamento del latte
alimentare,

in riferimento agli articoli 3, 39 e 76 della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 giugno 1963.
GASPARE AMBROSINI - GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO - ANTONINO PAPALDO - NICOLA
JAEGER - GIOVANNI CASSANDRO - BIAGIO PETROCELLI - ANTONIO MANCA - ALDO
SANDULLI - GIUSEPPE BRANCA - MICHELE FRAGALI - COSTANTINO MORTATI -
GIUSEPPE CHIARELLI -GIUSEPPE VERZÌ.

Le sentenze e le ordinanze della Corte costituzionale sono pubblicate nella prima serie speciale della Gazzetta Ufficiale della
Repubblica Italiana (a norma degli artt. 3 della legge 11 dicembre 1984, n. 839 e 21 del decreto del Presidente della Repubblica 28
dicembre 1985, n. 1092) e nella Raccolta Ufficiale delle sentenze e ordinanze della Corte costituzionale (a norma dell'art. 29 delle
Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, approvate dalla Corte costituzionale il 16 marzo 1956).

Il testo pubblicato nella Gazzetta Ufficiale fa interamente fede e prevale in caso di divergenza.

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