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A
dele Faber e Elaine Mazlish, esperte nella comunicazione
intergenerazionale, sono note al pubblico di tutto il mondo
per il loro manuale Come parlare perché i bambini ti ascoltino &
come ascoltare perché ti parlino, considerato una vera «bibbia» per i
genitori, un bestseller da oltre tre milioni di copie vendute. E quando
i bambini non sono più bambini? Con ragazzi e adolescenti la
comunicazione, si sa, è ancora più difficile. Ma questo manuale, con il
suo stile affabile e il taglio pratico, arricchito da vignette e
testimonianze, mostra come comportarsi anche durante la cosiddetta
«età ingrata», tanto più complessa nel mondo digitalizzato e
perennemente connesso in cui vivono i nostri figli. Una guida sicura
che vi spiegherà come affrontare, tra l’altro, questioni spinose tipo:
Sono così agitata. Ho visto una email che mia figlia, undici anni, ha
ricevuto da un compagno di classe: «Voglio fare sesso con te. Voglio
mettere il mio coso nella tua fichetta». Non so che cosa fare. Dovrei
chiamare i suoi genitori? Dovrei contattare la scuola? Che cosa dovrei
dire a mia figlia?
Ho appena scoperto che mia figlia, dodici anni, fuma erba. Come
posso affrontare l’argomento con lei?
Questo libro è basato sui vari seminari che abbiamo tenuto in molti
luoghi e su quelli che abbiamo condotto per genitori e teenager, sia
separatamente sia insieme, a New York e a Long Island. Per
raccontare la nostra storia nel modo più semplice possibile, abbiamo
condensato la nostra esperienza con molti gruppi rivolgendoci a un
solo gruppo e noi due siamo diventate una persona unica. Anche se
abbiamo cambiato i nomi e riorganizzato gli eventi, siamo rimaste
fedeli alla verità essenziale del nostro lavoro.
Come parlare perché i ragazzi ti ascoltino & come
ascoltare perché ti parlino
La mamma non vuole che Abby si senta triste. Ma negando i sentimenti della figlia, senza
volerlo, la fa sentire peggio.
… identificate i pensieri e i sentimenti
La mamma non può eliminare tutta la tristezza di Abby, ma dando voce ai suoi pensieri e ai
suoi sentimenti aiuta la figlia ad affrontare la realtà e a trovare il coraggio per andare oltre.
… dategli nella fantasia quello che non potete dargli nella realtà
Dando alla figlia ciò che desidera nella fantasia, il papà le rende un po’ più facile accettare
la realtà.
I racconti
Non sapevo quali sarebbero stati i risultati del primo incontro. Una
cosa è cercare di applicare nuovi principi a problemi ipotetici quando
si è seduti tranquillamente con altri genitori, nel corso di un
seminario. È tutt’altra cosa quando sei solo a casa, alle prese con
ragazzi in carne e ossa e problemi reali. Eppure, molti di quei genitori
l’avevano fatto.
Ecco di seguito, con pochissime modifiche, un saggio delle loro
esperienze. (Noterete che la maggior parte delle vicende è raccontata
dalle stesse persone che avevano partecipato attivamente alla classe.
Tuttavia, alcune sono di genitori che si univano di rado alla
discussione ma che volevano comunque condividere, scrivendolo, in
che modo le loro nuove capacità avevano influenzato la relazione con
i figli adolescenti.)
JOAN
Mia figlia Rachel ultimamente sembrava molto depressa. Ma ogni
volta che le chiedevo di dirmi quale fosse il problema, lei rispondeva:
«Niente». Allora replicavo: «Ma come posso aiutarti se non mi
racconti niente?». E lei: «Non ne voglio parlare». E io: «Forse se tu ne
parlassi ti sentiresti meglio». A quel punto mi lanciava un’occhiata e la
faccenda terminava lì.
Ma dopo la nostra discussione in classe della settimana scorsa ho
deciso di provare il “nuovo approccio”. Così le ho detto: «Rachel,
ultimamente sembri così infelice. Qualsiasi sia il problema, è qualcosa
che ti fa stare veramente male».
Be’, le lacrime hanno cominciato a scorrerle lungo le guance, e a
poco a poco è venuta fuori tutta la faccenda. Le due ragazze che sono
state sue amiche per tutte le elementari e le medie adesso sono entrate
a far parte del gruppo delle “popolari”, e la stavano escludendo. Non
le tenevano più il posto in mensa, come facevano prima, e non la
invitavano alle loro feste. Quando la incontravano nell’atrio della
scuola la salutavano a malapena. E lei era più che sicura che una delle
due avesse mandato una email ad altri ragazzi a proposito dei vestiti
“sfigati” che porta, che la fanno sembrare grassa e che non sono
nemmeno firmati.
Ero sconvolta. Avevo sentito dire che a scuola succedevano cose di
quel genere, e sapevo quanto possono essere crudeli certe ragazze, ma
non avrei mai immaginato che potesse capitare a mia figlia.
Avrei voluto solo alleviare il suo dolore, dirle di infischiarsene di
quelle ragazze, cattive, maligne. Che si sarebbe fatta altre amiche.
Amiche migliori. Amiche che l’avrebbero apprezzata per la ragazza
fantastica che è. Ma non le ho detto niente del genere. Invece le ho
parlato soltanto dei suoi sentimenti. «Oh, tesoro, che brutta cosa.
Scoprire che delle persone di cui ti fidavi e che ritenevi amiche non
sono davvero tali, be’, può far molto male.»
«Come hanno potuto essere così cattive!» ha detto, continuando a
piangere. Poi mi ha raccontato di un’altra ragazza della loro classe che
le due stavano insultando on line, dicendo che sudava da schifo e
puzzava di pipì.
Non riuscivo quasi a credere a quello che sentivo. Ho detto a
Rachel che quel genere di comportamento dice tutto su che genere di
persone siano, e niente su chiunque altro. Evidentemente l’unico
modo che quelle ragazze conoscono per sentirsi speciali, parte del
gruppo “in”, consiste nell’essere certe che tutti gli altri ne restino
fuori.
Lei ha annuito, e poi ne abbiamo parlato a lungo: delle amiche
“vere” e di quelle “false”, e di come distinguerle. Dopo un po’ mi sono
accorta che stava cominciando a sentirsi un po’ meglio.
Ma non potevo dire lo stesso di me. Così il giorno seguente, dopo
che Rachel è andata a scuola, ho contattato l’insegnante
rappresentante di classe, le ho spiegato che la telefonata era
confidenziale, ma che secondo me doveva sapere quello stava
succedendo.
Non avevo idea di quale risposta avrei ottenuto, ma lei è stata
grande. Ha detto di essere molto lieta della mia chiamata, perché
ultimamente ha sentito sempre più episodi di quello che ha definito
“cyberbullismo”, e che aveva intenzione di discutere del problema con
gli altri insegnanti, per trovare un modo per aiutare gli studenti a
comprendere quanto potessero essere pericolosi gli abusi e le molestie
on line.
Al termine della conversazione mi sono sentita decisamente meglio.
Anzi, mi sono ritrovata a pensare: “Chi lo sa? Forse da tutto questo ne
uscirà qualcosa di buono”.
JIM
Mio figlio maggiore ha un lavoretto part-time in un fast food. Sabato
scorso, quando è tornato a casa dal lavoro, ha sbattuto lo zaino sul
tavolo e ha cominciato a lanciare insulti sul suo capo. Una parola su
due che gli usciva di bocca cominciava con una c o con una v.
È venuto fuori che quando il capo gli aveva chiesto se era disposto
a fare delle ore di straordinario nel weekend, mio figlio gli aveva
risposto: «Forse». Ma quando, il sabato mattina, stava per dirgli che le
avrebbe fatte di sicuro, il “bastardo” (per citare mio figlio) le aveva già
affidate a qualcun altro.
Be’, quel ragazzino è stato fortunato perché non mi sono lasciato
scappare quello che avrei voluto dirgli veramente: “Ma perché ti
sorprendi? Che cosa ti aspettavi? E cresci! Come credi che si possa
gestire un’impresa se un impiegato ti dice che ‘forse’ lavorerà? ‘Forse’
non vuol dire niente”.
Invece mi sono guardato dallo strapazzarlo per bene. E (per questa
volta) non ho nemmeno accennato alle parolacce. Mi sono limitato a
dire: «Quindi secondo te non gli dovevi dare immediatamente una
risposta definitiva». Lui ha risposto: «No, ci dovevo pensare su!».
«Uh uh.»
E lui: «Ho una vita da vivere oltre al lavoro, sai?».
Io ho pensato: “Questa faccenda non funzionerà mai”.
Poi, in modo del tutto inaspettato, lui ha aggiunto: «Probabilmente
ho fatto una cavolata. Avrei dovuto chiamarlo appena arrivato a casa,
e non lasciarlo lì nell’incertezza».
Che ne dite? Gli ho mostrato un po’ di comprensione, e lui ha
confessato quello che avrebbe dovuto fare fin dal principio!
LAURA
Qualche giorno dopo il nostro seminario ho portato mia figlia a
comprare dei jeans. Grave errore. Niente di ciò che provava era
“giusto”. Non era del taglio giusto, o del colore giusto, o della marca
giusta. Finalmente ne ha trovato un paio che le piaceva: un modello a
vita bassa, strizzatissimo, che riusciva a malapena a chiudere e che le
sottolineava ogni dettaglio del sedere.
Non ho detto una parola. L’ho lasciata nel camerino di prova e sono
andata a prendere una taglia in più. Quando sono tornata, lei si stava
ancora ammirando allo specchio. Ha dato un’occhiata ai pantaloni che
le porgevo e si è messa a strillare: «Non li provo nemmeno! Vuoi che
sembri una sfigata! Solo perché tu sei cicciona, credi che tutti debbano
portare roba larga. Be’, non intendo nascondere il mio corpo come fai
tu».
Ero così ferita, così arrabbiata, che sono andata molto vicino a dirle
che era solo una piccola stronza. Ma non l’ho fatto. Le ho detto: «Ti
aspetto fuori». Era il massimo che potessi fare.
«E i miei jeans?» ha chiesto lei.
«Ti aspetto fuori» le ho ripetuto, lasciandola nel camerino.
Quando, finalmente, è uscita, l’ultima cosa che mi andava di fare
era “riconoscere i suoi sentimenti”, ma comunque l’ho fatto. «So che
quei jeans ti piacevano. E so che sei arrabbiata perché io non ti ho
permesso di comprarli.» Poi le ho spiegato come mi sentivo io.
«Quando mi parlano come hai fatto tu, qualcosa dentro di me si
chiude a riccio. Non ho più voglia di fare shopping o di essere gentile
e non mi va nemmeno di parlare.»
Tornando a casa nessuna di noi ha detto una parola. Ma appena
prima di entrare lei ha borbottato: «Scusa».
Come scuse non erano un granché, ma sono stata comunque felice
di sentirle. E sono stata felice anche di non averle rivolto parole per le
quali poi avrei dovuto chiedere scusa.
LINDA
Non so se il rapporto con mio figlio sia migliorato, ma secondo me sto
facendo dei progressi con i suoi amici. Sono due gemelli di tredici
anni, Nick e Justin, entrambi molto brillanti, ma scatenati. Fumano (e
ho il sospetto che non si tratti soltanto di sigarette), fanno l’autostop, e
una volta che i genitori li hanno messi in punizione sono scappati
dalla finestra della loro camera da letto e sono andati al centro
commerciale.
Mio figlio è lusingato dall’interesse che provano per lui, ma io sono
preoccupata. E anche se lui lo nega, sono sicura che fa l’autostop con
loro. Fosse per me, gli proibirei di vederli al di fuori della scuola. Ma
secondo mio marito non farei che peggiorare la situazione, perché lui
troverebbe comunque la maniera di incontrarli e poi racconterebbe
delle bugie.
Quindi nei mesi scorsi la nostra strategia è consistita nell’invitare i
gemelli a cena ogni sabato. Insomma, se stanno a casa nostra,
possiamo tenerli tutti d’occhio e accompagnarli dove vogliono andare.
Almeno per una sera siamo sicuri che non stanno in un incrocio male
illuminato con i pollici in fuori, in attesa di qualche sconosciuto in
auto che li tiri su.
Comunque, il risultato di tutta questa fatica è che fino a ora non
siamo mai riusciti a intavolare una conversazione con nessuno dei
gemelli. Ma dopo il seminario della settimana scorsa abbiamo fatto
qualche passo avanti.
I due stavano insultando alla grande l’insegnante di scienze,
definendolo uno stupido rompiscatole. Normalmente avremmo difeso
l’insegnante. Ma non questa volta. Questa volta abbiamo cercato di
riconoscere quello che i gemelli sentivano per lui. Mio marito ha detto:
«Ecco un insegnante che proprio non vi va giù». E loro hanno
continuato, aggiungendo: «È una tale barba. E poi ti urla sempre
addosso senza motivo. E se ti interroga e non sai la risposta, ti umilia
davanti a tutti».
Ho detto: «Nick, scommetto che se tu e Justin foste degli insegnanti,
non urlereste ai ragazzi, e non li umiliereste solo perché non sanno
una risposta».
Ed entrambi hanno risposto, quasi contemporaneamente: «Esatto!».
Mio marito ha aggiunto: «E nessuno di voi due sarebbe una barba. I
ragazzi sarebbero fortunati ad avervi come insegnanti».
Si sono guardati e sono scoppiati a ridere. Mio figlio stava lì, a
bocca aperta. Non poteva credere che i suoi amici così “fichi” stessero
proprio conversando con i suoi genitori, decisamente “non-fichi”.
KAREN
Ieri sera Stacey e io stavamo sfogliando un vecchio album di
fotografie. Le ho indicato una foto di lei sulla bici, a circa sei anni, e ho
detto: «Ma guarda quanto eri carina!».
«Già» ha risposto «allora.»
«Ma che cosa vuol dire allora?» ho replicato.
«Adesso non sono così bella.»
«Ma non essere sciocca. Stai benissimo.»
«No, non è vero. Sono goffa e sgraziata. Ho i capelli troppo corti, le
tette troppo piccole, e il sedere troppo grosso.»
Mi dà sui nervi quando parla di sé a questo modo. Mi ricorda le
mie insicurezze quando avevo la sua età; mia madre mi stava sempre
addosso con consigli su come migliorarmi: «Non stare tutta curva…
Tieni le spalle dritte… Fai qualcosa per i capelli… Mettiti un po’ di
trucco. Sembri uno spaventapasseri!».
Così ieri, quando Stacey ha cominciato a farsi a brandelli, il mio
primo istinto è stato di rassicurarla: «Non c’è assolutamente niente che
non vada nel tuo sedere, i capelli cresceranno, e anche il tuo seno. E se
non accadesse, potrai sempre usare un reggiseno imbottito».
Ecco, questo è il genere di cose che avrei detto. Ma stavolta ho
pensato: “Okay, accetterò i suoi sentimenti”. Le ho messo un braccio
attorno alle spalle, dicendo: «Non mi sembri del tutto soddisfatta del
tuo aspetto… Sai che cosa vorrei? Vorrei che la prossima volta che ti
troverai davanti a uno specchio potessi vedere quello che vedo io».
D’un tratto è sembrata interessata. «Che cosa vedi?»
Le ho detto la verità. «Vedo una ragazza bella, dentro e fuori.»
«Oh, ma tu sei mai madre» ha replicato, andandosene.
Un minuto dopo l’ho vista mettersi in posa davanti allo specchio a
figura intera dell’ingresso. Teneva una mano sul fianco e sì, sorrideva
a se stessa.
MICHAEL
Ricordate? Avevo accennato all’atteggiamento negativo di mio figlio
verso la scuola. Bene, la mattina dopo il nostro seminario è sceso a fare
colazione con il consueto malumore. Andava avanti e indietro in
cucina, lamentandosi di essere sotto pressione. Deve fare due
importanti verifiche (spagnolo e geometria). Tutte e due lo stesso
giorno.
Stavo per dirgli quello che gli dico sempre quando va avanti a quel
modo: «Se tu facessi i compiti e studiassi come dovresti, non ti
preoccuperesti per le verifiche». Ma mia moglie mi ha dato una
gomitata e mi ha scoccato un’occhiataccia, così mi è venuta in mente
quella faccenda della fantasia. Gli ho detto: «Ma non sarebbe
grandioso se a un tratto ci fosse un annuncio alla radio: “Oggi neve!
Prevista grande bufera. Chiuse le scuole di ogni ordine e grado”».
Questo lo ha colto di sorpresa. Ha sorriso, e allora ho messo il
turbo. «E sai che cosa sarebbe davvero grandioso? Se tutti i giorni in
cui hai una verifica si trasformasse in un giorno di neve».
Ha fatto una mezza risatina e ha detto: «Sì… magari!». E quando è
uscito per andare a scuola, il suo umore era migliorato.
STEVEN
Mi sono risposato da più di un anno e Amy, mia figlia di quattordici
anni, non ha mai sopportato la mia nuova moglie. Ogni volta che vado
a prenderla a casa della madre per trascorrere il weekend con Carol e
me, è la stessa storia. Non appena sale in macchina trova qualcosa da
ridire su Carol.
Qualsiasi cosa io le dica, sembra che non faccia la minima
differenza. Le faccio notare che è molto ingiusta con Carol, che non le
dà mai una possibilità, che Carol si è data un gran daffare per esserle
amica. Ma più parlo, più lei cerca di dimostrarmi che ho torto.
Per fortuna la scorsa settimana sono venuto al seminario, perché la
domenica dopo, quando sono andato a prenderla, Amy ha
ricominciato subito: «Odio venire a casa tua. Carol è sempre tra i
piedi. Ma perché l’hai sposata?».
Non potevo gestire questa situazione e continuare a guidare, così
ho accostato e ho spento il motore. L’unica cosa che riuscivo a pensare
era: “Stai calmo. Non discutere con lei. Non provare nemmeno a
ragionarci. Questa volta limitati ad ascoltarla. Lascia che si sfoghi”.
Così le ho detto: «Okay, Amy a quanto pare stai provando dei
sentimenti molto forti. C’è dell’altro?».
«Non vuoi sentire quello che devo dire. Non lo fai mai» ha risposto.
«Adesso ti sto ascoltando. Perché è evidente che sei molto
arrabbiata e infelice.»
Bene, è bastato questo per far emergere un lungo elenco di
lamentele: «Lei non è dolce quanto credi tu… è un po’ ipocrita… a lei
interessi soltanto tu… finge solo che io le piaccia».
Non ho mai preso le parti di Carol, o cercato di convincere Amy
che si sbagliava. Mi sono limitato ad annuire e ad ascoltare.
Infine, ha fatto un sospirone, dicendo: «Oh, ma tanto a cosa serve».
«Invece serve. Perché per me è importante sapere quello che provi.»
Mi ha guardato, con le lacrime agli occhi. «Vuoi sapere un’altra cosa?»
ho aggiunto. «Nei weekend dobbiamo fare in modo di passare un po’
più di tempo insieme, noi due soli.»
«E Carol?» ha chiesto. «Non si arrabbierà?»
«Carol capirà.»
Comunque, più tardi Amy e io abbiamo portato il cane a fare una
lunga passeggiata al parco. Be’, non posso dimostrare che le due cose
siano collegate, ma quel fine settimana è stato il migliore che Carol,
Amy e io abbiamo mai passato insieme.
Un rapido ripasso...
RAGAZZA Oh no! E adesso che cosa faccio? Avevo detto ai Gordon che gli
avrei fatto da baby-sitter sabato, ma Lisa mi ha invitato a restare a
dormire da lei!
GENITORE Ecco che cosa dovresti fare…
«Adesso è sera» dissi. «Allora, quali sono gli ordini e i divieti per i
vostri ragazzi?» Dopo un attimo di riflessione arrivarono le risposte:
– Rimproverare e accusare
«L’hai fatto di nuovo! Hai messo l’olio nella padella, hai alzato la
fiamma al massimo, e te ne sei andato via. Ma te ne rendi conto o no?
Avresti potuto dar fuoco alla casa!»
«Piantala di urlare con me.»
«Non sono stato via tanto.»
«Dovevo andare in bagno.»
– Insultare
«Ma come hai potuto dimenticarti di mettere il lucchetto alla bici
nuova? È proprio da stupidi. Non mi sorprende che l’abbiano rubata.
Non posso credere che tu sia così irresponsabile.»
«Sono stupido.»
«Sono irresponsabile.»
«Non faccio mai niente di giusto.»
– Minacciare
«Se tu non credi che sia abbastanza importante fare il tuo dovere in
casa, allora io credo che non sia abbastanza importante darti la
paghetta.»
«Stronza!»
«Ti odio.»
«Non vedo l’ora di andarmene da questa casa.»
– Ordinare
«Voglio che tu spenga la tele e ti metta a fare i compiti. Piantala di
cincischiare. Fallo subito!»
«Adesso non mi va di farlo.»
«Smettila di seccarmi.»
«Farò i compiti quando ne avrò voglia.»
– Avvertire
«Ti avverto: se cominci a uscire con quella gentaglia, ti troverai in
grossi guai.»
«Non sai un accidente dei miei amici.»
«E che cosa hanno di così fantastico i tuoi amici? »
«Non me ne frega niente di quello che dici. So quello che faccio.»
– Fare il martire
«Ti chiedo solo di fare una piccola cosa per me, ma per te è troppo.
Non riesco a capire. Lavoro sodo per darti tutto quello che ti serve, ed
ecco il ringraziamento che ottengo.»
«Okay, è vero, sono un ragazzo viziato.»
«Colpa tua se sono così. Sei stato tu a rovinarmi.»
«Mi sento molto in colpa.»
– Fare paragoni
«C’è un motivo se tutti cercano tua sorella al telefono. Forse se ti
sforzassi di essere cordiale e aperta agli altri come lei anche tu avresti
tanti amici.»
«Quella è una grande ipocrita.»
«Odio mia sorella.»
«Lei è sempre stata la tua preferita.»
– Fare del sarcasmo
«Dunque, hai intenzione di andare dall’allenamento di basket alla
discoteca senza fare la doccia. Bene, avrai un profumo meraviglioso!
Le ragazze faranno la fila per starti vicino.»
«Ah ah… credi di essere mooolto spiritoso.»
«Anche tu non hai un gran buon odore.»
«Perché non parli chiaro? »
– Fare profezie
«Non fai altro che accusare gli altri per i tuoi problemi. Non te ne
assumi mai la responsabilità. Ti posso garantire che, se continui così, i
tuoi problemi non faranno che peggiorare, e non dovrai incolpare altri
che te stesso.»
«Evidentemente sono solo un perdente.»
«Non ho speranza.»
«Sono fottuto.»
… descrivete il problema
Descrivendo il problema, invitiamo i nostri figli a diventare parte della soluzione.
Invece di aggredire…
Quando siamo arrabbiati, a volte investiamo i nostri figli con parole che li aggrediscono o li
umiliano. Risultato? Loro si chiudono a riccio o contrattaccano.
Invece di rimproverare…
Quando i ragazzi vengono accusati, di solito si mettono sulle difensive.
Invece di assillare…
Alcuni adolescenti non reagiscono con prontezza a un invito razionale.
GAIL
L’ultima sessione sembrava fatta su misura per me. Ho divorziato da
poco, ho appena cominciato un lavoro a tempo pieno, e se c’è una cosa
della quale ho un disperato bisogno è la collaborazione. I miei figli
sono entrambi adolescenti, ma non hanno mai dato una mano in casa.
E so che è stata colpa mia perché detesto essere assillante, così finisco
sempre per fare tutto da sola.
Comunque, sabato mattina li ho convocati e ho spiegato che non
sarò assolutamente in grado di gestire il mio nuovo lavoro
continuando a fare tutto in casa, come prima. Ho detto che avevo
bisogno che facessero la loro parte, e che dobbiamo lavorare tutti
insieme, come una famiglia. Poi ho elencato tutte le faccende che
devono essere sbrigate, chiedendo a ciascuno di loro di sceglierne tre
per cui assumersi la responsabilità. Soltanto tre. Potevano anche
scambiarsi le faccende al termine di ogni settimana.
La loro prima reazione è stata da manuale. Grandi lamentele sul
fatto che erano sottoposti a una forte pressione a scuola e che «non
avevano mai tempo per fare niente». Ma alla fine ciascuno di loro ha
scelto tre faccende. Ho attaccato l’elenco al frigorifero, dicendo che era
un gran bel sollievo pensare che, al ritorno dal lavoro, avrei trovato il
bucato fatto, la lavastoviglie svuotata, il tavolo sgombro e
apparecchiato per la cena.
Be’, non è esattamente quello che è successo. Ma hanno sbrigato
parte delle faccende, a volte. E quando non lo hanno fatto, mi sono
limitata a indicare l’elenco, e si sono dati una mossa.
Se solo l’avessi saputo anni fa…
LAURA
Mia figlia ha un nuovo modo di farmi sapere che ho fatto qualcosa che
la “scontenta”. Chiude i contatti. Se oso chiedere che cosa c’è che non
va, si stringe nelle spalle e alza gli occhi al cielo, cosa che mi fa
infuriare.
Ma dopo l’incontro della scorsa settimana, ero piena di entusiasmo,
determinata a tentare qualcosa di diverso. Quando sono tornata a casa
mia figlia era in cucina a farsi uno spuntino. Ho avvicinato una sedia
al tavolo e le ho detto: «Kelly, non mi piace quello che sta succedendo
tra noi».
Lei ha incrociato le braccia e ha distolto lo sguardo. Non mi sono
fatta scoraggiare e ho detto: «Io faccio una cosa che ti fa infuriare; tu
smetti di parlarmi, il che fa infuriare me. Allora io urlo e te ne dico di
tutti i colori, e questo ti rende ancora più furibonda. Dunque, Kelly,
ora mi rendo conto che ho bisogno che tu mi dica direttamente quello
che ti disturba».
Lei si è stretta nelle spalle e ha distolto ancora lo sguardo. Quella
ragazzina non aveva intenzione di facilitarmi le cose. «E se è troppo
difficile» ho continuato «allora dammi almeno un segnale di qualche
genere. Non mi interessa quale. Batti sul tavolo, agita un asciugapiatti,
mettiti in testa un pezzo di carta igienica. Qualsiasi cosa.»
Lei ha detto: «Ma dài, mamma, non fare la scema» e se n’è andata.
Io ho pensato: “In effetti sembro una scema”, ma pochi minuti
dopo è tornata in cucina con un’espressione buffa sulla faccia e
qualcosa di bianco in testa. «Che cos’è quella cosa sulla tua… oh,
certo… carta igienica» le ho detto, e siamo scoppiate entrambe a
ridere. E per la prima volta da molto tempo abbiamo veramente
parlato.
JOAN
Ieri sera mia figlia, quindici anni, ha annunciato di volere un piercing
al naso.
Non ci ho visto più e ho cominciato a urlare: «Ma sei fuori di testa?
Dio ti ha dato un bellissimo naso. Perché mai ci vuoi fare un buco?
Perché ti vuoi mutilare? È l’idea più stupida che abbia mai sentito in
vita mia!».
Anche lei si è messa a gridare. «Ma voglio soltanto un anellino al
naso! Dovresti vedere che cosa si sono fatte le altre ragazze. Kim ha un
chiodo nella lingua, e Briana un anello al sopracciglio, e Ashley ne ha
uno all’ombelico!»
«Bene, anche loro sono stupide.»
«Con te non si può parlare. Non capisci niente» ha urlato, uscendo
dalla stanza, indignata.
Io sono rimasta lì a pensare: “E io sarei proprio la madre che
frequenta delle lezioni sulla comunicazione. Fantastico!”. Ma non
avevo intenzione di arrendermi. Mi serviva soltanto un modo più
efficace per arrivare a mia figlia.
Così sono andata su Internet per trovare qualcosa sui piercing.
Bene, ho scoperto che nel mio Stato è illegale per chiunque abbia
meno di diciotto anni praticare sul proprio corpo piercing,
marchiature, tatuaggi senza un’autorizzazione scritta e autenticata da
parte di un genitore o di chi ne fa le veci. L’unica eccezione riguarda i
piercing all’orecchio. Inoltre c’era tutta una sezione sulle malattie che
si possono contrarre a causa di strumenti non sterilizzati o di
condizioni antigieniche: epatite, tetano, infezioni, follicoliti…
Bene, quando finalmente è uscita dalla sua stanza, le ho detto che
mi dispiaceva moltissimo per quello che avevo detto su di lei e le sue
amiche, ma che avevo anche trovato su Internet delle informazioni
che, secondo me, doveva vedere. Poi le ho indicato il monitor.
Lei ha dato un’occhiata e ha detto: «Be’, nessuno di quelli che
conosco si è ammalato. E comunque, sono disposta a correre il
rischio».
«Il problema è che io non ho nessuna intenzione di farlo» ho
replicato. «La tua salute è troppo importante per me.»
«Okay, allora andrò da un medico e lo farò fare a lui. Non devi far
altro che darmi il permesso scritto.»
«Non posso darti il consenso, la mia prima obiezione è ancora
valida. Inoltre, io mi conosco. Vedere mia figlia che se ne va in giro
con un anello che le spunta dalla narice mi disturberebbe moltissimo.
E non voglio essere arrabbiata ogni volta che ti guardo. Quando avrai
diciotto anni, se sarà ancora importante per te, potrai decidere se farlo
oppure no.»
Non era esattamente entusiasta della mia decisione, ma sembra che
l’abbia accettata. Almeno finora.
TONY
Mio figlio di quattordici anni, Paul, se ne va in giro per casa come se
fosse su Marte. Se gli chiedo di fare qualcosa, dice «Sì, certo, papà» e
la cosa finisce lì. Gli entra da un orecchio e gli esce dall’altro. Così lo
scorso weekend ho “fatto l’inaspettato”. Due volte.
Prima volta: con una voce sonora, da conte Dracula, ho detto,
«Esiko ke tu porti fuori la spazzatura». Lui mi ha guardato
strabuzzando gli occhi. «E non fare aspettare me!» ho continuato.
«Aspettare mi rende molto kattifo!!!!»
Lui è scoppiato a ridere e ha ribatutto: «Bene, allora meglio ke io
fare ciò!».
Seconda volta: ho notato una scodella con un avanzo di cereali in
camera sua, per terra. L’ho indicata e con la mia voce normale ho
chiesto: «Paul, sai che cos’è quello?».
«Sì, una scodella.»
«Sbagliato» ho detto. «È l’invito a una festa.»
«Cosa?»
«Un invito per tutti gli scarafaggi del vicinato a venire a fare festa
nella stanza di Paul.»
Lui ha sorriso. «Okay papà, ho recepito il messaggio» e subito ha
preso la scodella e l’ha portata in cucina.
So che la corda “buffa” non funzionerà sempre. Ma è bello, quando
funziona.
MICHAEL
Questa settimana mia figlia mi ha lanciato una vera bomba. «Allora,
papà, sto per chiederti una cosa e non voglio che tu vada in paranoia e
dica di no. Ascoltami e basta.»
«Sto ascoltando.»
«Per la festa dei miei sedici anni voglio servire del vino. Allora,
prima che tu vada fuori di matto, devi sapere che un sacco di ragazzi
della mia età servono vino alle loro feste di compleanno. È un modo
per rendere speciale la serata.»
Deve aver letto la disapprovazione sulla mia faccia, perché ha
portato avanti la sua campagna. «Okay, magari non vino, ma se non ci
sarà almeno la birra, non ci vorrà venire nessuno. Guarda, papà, non
devo procurarla io, andrebbe bene anche se i miei amici se la
potessero portare. Dài, papino. Non è poi questa gran cosa. Non si
ubriacherà nessuno, lo prometto. Ci divertiremo e basta.»
Stavo per dirle no, punto e basta, ma invece le ho detto: «Jenny,
capisco che per te è importante. Ci devo riflettere sopra».
Quando ho detto a mia moglie quello che Jenny voleva fare, è
andata subito a rileggere i suoi appunti della settimana scorsa e ha
indicato l’abilità “mettere per iscritto”. Mi ha così ricordato che «se lo
scrivi, lei lo leggerà. Se lo dici, si metterà a litigare con te».
Ecco la lettera che le ho scritto:
Cara Jenny,
tua madre e io abbiamo pensato seriamente alla tua richiesta di
servire del vino alla tua festa di compleanno. Non possiamo
accontentarti, per le seguenti ragioni:
- in questo Stato è illegale servire alcol a persone di età inferiore ai
ventun anni;
- se dovessimo ignorare la legge e qualche invitato avesse un
incidente d’auto tornando a casa, noi, come tuoi genitori, saremmo
ritenuti legalmente responsabili. Ma soprattutto, ci sentiremmo
moralmente responsabili.
- se facessimo finta di niente, permettendo ai tuoi amici di portarsi la
birra, sarebbe come se dicessimo: “Voi, ragazzi, potete benissimo
infrangere la legge, basta che noi genitori facciamo finta di non sapere
che cosa sta succedendo”. Sarebbe un comportamento disonesto e
ipocrita.
Il tuo sedicesimo compleanno è un evento importante. Parliamo di
come possiamo celebrarlo in modo sicuro, legale e divertente, per tutti.
Baci,
papà
LINDA
Ricordate? Avevo detto che avrei attaccato i fumetti dentro al mio
armadio. Be’, è quello che ho fatto. Ed è stato di grande aiuto. Questa
settimana ogni volta che ero sul punto di urlare con i miei figli mi
sono trattenuta, sono andata in camera mia, ho aperto l’armadio, dato
un’occhiata ai fumetti, e anche se la mia situazione era diversa, ho
trovato un modo migliore per gestire le cose.
Ma venerdì scorso mio figlio era in ritardo per la scuola, il che
significa che io ero in ritardo per il lavoro. E ho perso la testa. «A
tredici anni non hai ancora il senso del tempo. Ma perché me lo fai
sempre? Ti ho comprato un orologio nuovo. Te lo metti mai? No. E
non osare filartela mentre ti sto parlando!»
Lui si è fermato, mi ha lanciato un’occhiata e ha detto: «Mamma,
vai a leggere il tuo armadio!».
Un rapido ripasso...
Agite
Il gruppo era molto colpito, e i commenti fioccarono.
«Quando hai accennato alle alternative alla punizione pensavo che
ti riferissi a una specie di approccio “simpatico”: i genitori danno un
buffetto alla ragazzina che se la cava a buon mercato. Ma questa
soluzione è forte. Tu esprimi quello che provi e quello che ti aspetti e
dai modo alla ragazzina di assumersi la responsabilità per il suo
comportamento.»
«Sì, il nemico non sei tu, il genitore. Tu stai dalla parte della
ragazza, ma comunque la inviti a migliorare il suo comportamento.»
«E le spieghi in che modo può riuscirci.»
«E il messaggio che le comunichi non è: “Ho io il coltello dalla parte
del manico. Non ti permetto di fare questa cosa… Ti porto via
quest’altra”. Invece, rimetti la responsabilità nelle mani
dell’adolescente. La palla è sul campo di Kelly. Dipende da lei
scoprire esattamente che cosa può fare per ridare tranquillità a sua
madre: per esempio chiamare se è in ritardo, chiamare quando arriva
e accertarsi di telefonare di nuovo quando esce per rientrare a casa.»
Laura sospirò e alzò la mano per intervenire. «Non saprei» disse.
«Facendo esercizio qui, insieme a tutti voi, mi sento quasi sicura di
me, ma che cosa accade quando mi trovo davanti alla situazione reale?
Questo approccio richiede moltissimo ai genitori. Significa che devi
cambiare completamente il tuo atteggiamento. La verità è che punire
un ragazzino è molto più facile.»
«È facile al momento» concordai. «Ma se il tuo scopo è aiutare tua
figlia ad assumersi la responsabilità e al tempo stesso mantenere con
lei un buon rapporto, allora punirla sarebbe controproducente. Però in
una cosa hai ragione, Laura. Questo approccio richiede un
cambiamento radicale nel modo di pensare. Facciamo ancora un po’ di
pratica. Vediamo in che modo le abilità si possono applicare al
problema che Michael sta affrontando con suo figlio.»
Agite
Tony scosse il capo. «Forse mi sta sfuggendo qualcosa, ma io non
vedo tanto la differenza tra “agire” e punire Jeff. In entrambi i casi il
padre lo tiene fuori dalla squadra.»
«Aspetta, forse finalmente comincio a capire il punto» intervenne
Laura, rivolta a Tony. «Quando punisci un ragazzo, gli chiudi la porta
in faccia. Non sa dove andare, l’affare è concluso. Ma quando agisci,
forse al ragazzo non piacerà quello che fai, ma tu lasci la porta aperta.
Lui ha ancora una possibilità di scelta. Può affrontare quello che ha
fatto e cercare di rimediare. Può trasformare un errore in un’azione
corretta.»
«Mi piace il modo in cui ti sei espressa, Laura» replicai. «Il nostro
scopo, quando agiamo, non è soltanto mettere fine a un
comportamento inaccettabile, ma anche dare ai nostri figli la
possibilità di imparare dai loro errori. La possibilità di rimediare agli
sbagli. La punizione può forse frenare il comportamento, ma può
anche impedire ai ragazzi di acquisire la capacità di correggere da soli
i propri errori.»
Lanciai un’occhiata a Tony. Sembrava ancora scettico. Continuai,
determinata a farmi capire da lui. «Secondo me l’adolescente che è
stato messo in punizione per una settimana non se ne sta lì, steso sul
suo lettino, pensando: “Oh, ma come sono fortunato. Ho dei genitori
meravigliosi. Mi stanno dando una lezione di incalcolabile valore.
Non lo farò mai più!”. È molto più probabile che il giovanotto stia
pensando: “Sono cattivi”, oppure “Sono ingiusti”, oppure “Io li odio”,
o ancora “Gliela farò pagare” o “Lo rifarò, ma stavolta col cavolo che
mi beccano”».
Ora il gruppo ascoltava con la massima attenzione. Cercai di
riassumere i concetti. «Per come la vedo io, quando si tratta di
punizioni il problema è che rendono troppo facile, per il ragazzo,
ignorare quello che ha combinato e concentrarsi invece su quanto
sono irragionevoli i suoi genitori. Peggio ancora, lo priva
dell’elaborazione necessaria per maturare. Per diventare più
responsabile. Che cosa speriamo che accada dopo che un ragazzo ha
trasgredito? Speriamo che rifletta sugli errori che ha commesso. Che
capisca perché si tratta di errori. Che si rammarichi per ciò che ha
fatto. Che trovi un modo per assicurarsi che non accada più. E che
rifletta seriamente su come può rimediare. In altre parole, perché si
verifichi un vero cambiamento, i nostri ragazzi devono impegnarsi
emotivamente. E la punizione interferisce con questo fondamentale
processo di maturazione.»
La sala era silenziosa. Che cosa stavano pensando? Avevano ancora
dei dubbi? Ero stata chiara? Potevano accettare quello che avevano
sentito? Diedi un’occhiata all’orologio. Era tardi. «Stasera abbiamo
lavorato tanto e duramente» dissi. «Ci rivediamo la settimana
prossima.»
Tony alzò la mano. «Un’ultima domanda» chiese.
«Spara» risposi annuendo.
«Che si fa se dopo aver usato tutte le abilità su cui abbiamo fatto
esercizio stasera, il ragazzo non si rimette in riga? Immaginiamo che
non sappia come rimediare da solo ai propri errori. Che si fa?»
«È un segnale che bisogna lavorare di più su quel problema. Che il
problema è più complesso di quanto sembrava all’inizio e che devi
riservargli più tempo, raccogliendo più informazioni.»
Tony sembrava confuso. «Come?»
«Attraverso il problem-solving.»
«Problem-solving?»
«È un metodo di cui parleremo la settimana prossima. Ci
eserciteremo su come genitori e figli possono unire le forze, analizzare
le diverse possibilità, e risolvere insieme i problemi.»
Per la prima volta in tutta la serata Tony sorrise. «Non mi sembra
male» disse. «Di sicuro non mi perderò l’incontro della settimana
prossima.»
I racconti
Nella settimana successiva alla sessione sulle alternative alle
punizioni, parecchi partecipanti raccontarono in che modo avevano
messo in pratica le loro nuove abilità.
La prima storia venne raccontata da Tony, a proposito di Paul, il
figlio di quattordici anni.
TONY
Paul e il suo amico Matt sono arrivati di corsa dal vialetto del
giardino, con un sorriso da un orecchio all’altro. «Che c’è, ragazzi?»
ho chiesto. «Niente» hanno risposto, si sono guardati e sono scoppiati
a ridere. Poi Matt ha bisbigliato qualcosa all’orecchio di Paul e se n’è
andato.
«Che cosa ti ha raccomandato di non dirmi?» ho chiesto a Paul. Lui
non ha risposto. «Dimmi la verità e basta. Non ti punirò.»
Alla fine sono riuscito a saperlo. Dunque, lui e Matt erano andati in
bici alla piscina del quartiere per una nuotata, ma quel pomeriggio era
chiusa. Allora hanno provato tutti gli ingressi, ne hanno trovato uno
che non era chiuso a chiave, e sono entrati. Poi hanno acceso tutte le
luci e sono corsi in giro, urlando come matti, rovesciando tutte le
poltrone del solarium, gettando ovunque i cuscini… persino in
piscina. E per loro non era altro che uno scherzo coi fiocchi.
Il ragazzo è stato fortunato che avessi promesso di non punirlo
perché, credetemi, quando ho sentito che cosa aveva fatto, avevo una
gran voglia di fargliela pagare cara: via la paghetta, basta computer, in
punizione per un tempo indefinito… qualsiasi cosa pur di levargli
dalla faccia quel sorrisetto idiota.
«Ascoltami bene, Paul» gli ho detto. «Questa è una faccenda seria.
Quello che hai fatto ha un nome preciso. Si chiama vandalismo.»
È diventato paonazzo e ha urlato: «Ecco, lo sapevo che non te lo
dovevo dire. Lo sapevo che ne avresti fatto una questione. Non
abbiamo rubato niente, né fatto la pipì in piscina!».
«Bene, congratulazioni per non averlo fatto. Però, Paul, è davvero
una questione grave. Tante persone di questa comunità si sono date
molto da fare per mettere insieme i soldi necessari a costruire una
piscina per le loro famiglie. Ne sono fiere, e lavorano sodo per
mantenerla. Inoltre è proprio la piscina dove tu hai imparato a
nuotare.»
Paul ha replicato: «Che cosa stai cercando di fare? Farmi sentire in
colpa?».
«Ci puoi scommettere. Perché quello che hai fatto è sbagliato e
adesso devi rimediare.»
«Che cosa vuoi che faccia?»
«Voglio che tu torni alla piscina, adesso, e che rimetti tutto come lo
avevi trovato.»
«Adesso?... Ma dài, sono appena tornato a casa!»
«Sì, adesso. Ti accompagno in macchina.»
«E Matt? È stata un’idea sua. Dovrebbe venire anche lui! Adesso lo
chiamo.»
Be’, lo ha chiamato, e da principio Matt ha risposto «Te lo sogni» e
che sua madre lo avrebbe ammazzato se lo avesse saputo. Così ho
preso la cornetta. «Matt, siete stati voi due a farlo, e voi due dovete
rimediare. Ti passo a prendere tra dieci minuti.»
Insomma, ho riportato i ragazzi alla piscina. Per fortuna la porta era
ancora aperta. Ho detto ai ragazzi: «Voi sapete che cosa dovete fare.
Vi aspetto in macchina».
Una ventina di minuti dopo sono usciti dicendo: «Tutto fatto. Vuoi
vedere?». «Certo» ho risposto, e sono entrato a controllare.
Be’, era tutto in ordine, le sdraio del solarium allineate, i cuscini di
nuovo al loro posto. «Molto bene, sembra tutto normale. Spegnete le
luci e andiamo.»
Tornando a casa i ragazzi erano silenziosi. Non so come l’ha presa
Matt, ma credo che Paul alla fine abbia capito perché non avrebbe
dovuto fare quello che ha fatto. E credo che sia stato felice di avere
avuto la possibilità di “rimediare”, come dici tu.
JOAN
Stavo preparando la cena quando Rachel è entrata in cucina. Le ho
dato un’occhiata: aveva gli occhi arrossati e un sorriso imbambolato,
ed era chiaro che era “fatta”. Non ero sicura che si trattasse di
marijuana, ma speravo che non fosse qualcosa di peggio.
«Rachel, sei fatta» le ho detto.
«Stai sempre a immaginarti cose su di me» ha risposto, prima di
sparire in camera sua.
Sono rimasta di sasso. Non ci potevo credere. Questa era la stessa
ragazzina che appena un mese prima mi aveva confidato: «Giura che
non lo dici a nessuno, ma Louise ha cominciato a fumare erba. Riesci a
crederci? Non è terribile?».
Ricordo di aver pensato: “Grazie a dio, non è mia figlia”. E adesso
eccoci qui! Non sapevo che cosa fare. Dovevo metterla in castigo?
Proibirle di andare da qualsiasi parte dopo la scuola? (e certamente di
andare da Louise!) Insistere perché da allora in poi tornasse subito a
casa dopo la scuola? No, non avrebbe fatto altro che scatenare litigi e
pianti. Inoltre, non era un’ipotesi realistica.
Però non potevo nemmeno far finta che niente fosse. E sapevo che
non aveva senso cercare di parlarle mentre era ancora sotto gli effetti
di quello che aveva preso o fumato, qualsiasi cosa fosse. Avevo
bisogno di tempo per pensare. Dovevo parlare degli “esperimenti”
che avevo fatto io da ragazza? E in questo caso, quanto dovevo
rivelarle? Le sarebbe stato d’aiuto sapere tutto? Oppure lo avrebbe
usato come una scusa per giustificare ciò che stava facendo («Tu l’hai
fatto e stai benone»)? In ogni caso, nelle ore seguenti ho avuto una
dozzina di conversazioni immaginarie con mia figlia. Infine, dopo
cena, quando mi sembrava tornata più o meno in sé, abbiamo parlato.
Ecco come si è svolta la conversazione.
«Rachel, non mi interessa una confessione, ma so che cosa ho visto
e so ciò che so.»
«Oh, mamma, come sei melodrammatica! Era solo un po’ d’erba.
Non dirmi che non l’hai mai provata quando avevi la mia età.»
«In effetti, ero molto più grande. Avevo sedici anni, non tredici.»
«Vedi… e stai benone.»
«Ma allora non stavo tanto bene. I miei vecchi amici, quelli che
chiameresti “bravi ragazzi”, hanno smesso di essermi amici, e i miei
voti sono scesi al minimo. La verità è che quando ho cominciato non
avevo idea del guaio in cui mi stavo cacciando. Pensavo che fosse
innocuo. Non più pericoloso delle sigarette.»
«E che cosa ti ha fatto smettere?»
«Barry Gifford, un compagno di scuola. Dopo essere andato a una
festa dove tutti si facevano è andato a sbattere con la macchina contro
un albero. È finito all’ospedale con la milza spappolata. Così, pochi
giorni dopo, ci hanno costretto a partecipare a un programma in cui
venivano illustrati tutti gli effetti delle droghe, e ci hanno consegnato
degli opuscoli. A quel punto ho deciso che non ne valeva la pena.»
«Ma dài, probabilmente cercavano solo di spaventarti.»
«Lo pensavo anch’io. Ma non ho letto tutto l’opuscolo. Alcune cose
le sapevo già, ma ce n’erano un sacco che non sapevo proprio.»
«Per esempio?»
«Per esempio che l’erba può permanere nell’organismo per giorni,
dopo che l’hai fumata. Che ti incasina la memoria e la coordinazione,
e persino il ciclo mestruale. E che è persino peggio delle sigarette. Non
avevo idea che la marijuana contenesse più sostanze cancerogene del
tabacco. Una grande sorpresa, per me.»
D’un tratto Rachel mi è sembrata preoccupata. Le ho messo un
braccio attorno alle spalle, dicendole: «Ascoltami, figlia mia, se potessi
ti seguirei giorno e notte, per essere sicura che nessuno ti dia o ti
venda qualcosa che ti possa far male. Ma sarebbe un’autentica follia.
Quindi devo contare sulla tua capacità di essere abbastanza in gamba
da proteggerti da tutta la schifezza che c’è in giro. E io credo che tu lo
farai. Credo che tu farai quello che è giusto per te, a dispetto delle
insistenze degli altri».
Sembrava ancora preoccupata. L’ho abbracciata forte e la cosa è
finita lì. Non ne abbiamo più parlato.
Secondo me le mie parole hanno lasciato il segno, ma non ho
intenzione di affidarmi alla sorte. I ragazzi mentono ai genitori sulla
droga (lo so, perché io lo facevo) e quindi, anche se nutro sentimenti
contrastanti riguardo allo spiare, controllerò di quando in quando la
sua stanza.
GAIL
Neil, mio figlio quindicenne, mi ha chiesto se Julie, sua amica
dall’infanzia, poteva restare a dormire il sabato sera. I genitori della
ragazza andavano a un matrimonio fuori città e la nonna, che doveva
andare da lei, si era ammalata e non poteva venire.
Ho pensato: “Perché no?”. Mio figlio minore avrebbe trascorso la
notte a casa del padre, quindi Julie avrebbe potuto dormire nella sua
stanza.
Ovviamente ho chiamato la madre di Julie per sapere se fosse
d’accordo. Ha accettato immediatamente, sollevata all’idea che una
persona adulta e responsabile si sarebbe presa cura della figlia.
All’arrivo di Julie, le ho mostrato dove avrebbe dormito. Poi noi tre
abbiamo fato una bella cenetta e abbiamo guardato un film.
La mattina seguente la madre di Julie ha chiamato per avvertire che
era tornata a casa e che desiderava parlare con la figlia.
Sono andata di sopra a chiamarla: la porta della stanza era
socchiusa, e nessuno aveva dormito in quel letto! I cuscini che il
giorno prima avevo sistemato con tanta cura erano esattamente come
li avevo lasciati. Mentre stavo lì, a bocca aperta, ho sentito una risata
dalla stanza da letto di Neil.
Ho bussato con forza alla porta, urlando che la madre di Julie era al
telefono e voleva parlarle.
Quando, finalmente, la porta si è aperta, Julie è uscita, in disordine
e imbarazzata. Evitando il mio sguardo, è corsa di sotto per
rispondere alla madre, poi è risalita a prendere il suo zainetto, mi ha
ringraziato “per tutto” ed è andata a casa.
Non appena è uscita, sono esplosa. «Neil, ma come hai potuto farmi
questo? Avevo dato alla madre di Julie la mia parola che sarei stata
responsabile della figlia. Che sarebbe stata al sicuro, protetta!»
Neil ha replicato: «Ma, mamma, lei…».
L’ho interrotto subito. «Niente “ma, mamma”. Quello che hai fatto
non ha scusanti.»
«Ma, mamma, non è successo niente.»
«Oh, certo. Due ragazzi passano la notte insieme nello stesso letto e
non succede niente. Probabilmente mi ritieni una stupida. Bene, ti dico
qualcosa che non succederà il prossimo weekend. Non andrai in gita
sulla neve con la tua classe.»
Mentre lo dicevo, avevo la sensazione che fosse esattamente quello
che Neil meritava. Poi sono uscita dalla stanza, per non doverlo stare
ad ascoltare mentre continuava a concionare sulla mia
irragionevolezza.
Qualche minuto dopo ho cambiato idea. In che modo impedire a
Neil di andare in gita in montagna avrebbe potuto aiutarlo a capire
che non avrebbe dovuto fare quello che aveva fatto? Così sono tornata
in camera sua. «Ascoltami bene, Neil, dimentica quello che ho detto
sulla gita. Ecco quello che volevo davvero dirti: so che il sesso è una
parte normale, sana della vita. Ma il fatto è che quando si tratta dei
figli i genitori si preoccupano. Hanno paura che le figlie restino
incinte, che i figli diventino padri. Hanno paura per l’AIDS e per tutte
le altre…»
Non mi ha lasciato finire. «Mamma, basta così! Non ho bisogno di
prediche sull’educazione sessuale. Tutta roba che già so. E poi sto
cercando di dirti che non è successo niente! Siamo rimasti solo stesi a
letto, a guardare la tele.»
Be’, forse era stato così e forse no.
Ho deciso di concedergli il beneficio del dubbio. Così gli ho detto:
«Sono lieta di saperlo, Neil. Perché quando hai invitato Julie a dormire
a casa nostra, ti sei assunto una responsabilità, nei confronti di Julie e
di sua madre… e nei miei confronti. Una responsabilità che dovevi
rispettare».
Neil non ha detto niente, ma dalla sua espressione era evidente che
le mie parole avevano colpito nel segno. E questo mi è bastato. Per me
la questione era chiusa.
JIM
Quando abbiamo comprato il computer nuovo, mia moglie e io
pensavamo di aver sistemato le cose in modo da essere sicuri al cento
per cento. Lo abbiamo sistemato in soggiorno (con il parere contrario
di Nicole, dodici anni, che aveva fatto il possibile e l’impossibile per
tenerlo in camera sua); abbiamo installato il più sofisticato software di
filtro (abbiamo sentito dire che ci sono almeno tre milioni di siti porno
a cui un ragazzo può arrivare per caso); e abbiamo messo a punto una
tabella oraria, abbastanza elastica, per cercare di venire incontro alle
necessità di tutti i membri della famiglia. Abbiamo inoltre chiarito con
Nicole che l’uso del computer è severamente vietato dopo le nove di
sera e che si può utilizzare soltanto per ricerche scolastiche o per
mettersi in contatto con gli amici.
Mica male, vero?
Be’, qualche notte fa mi sono svegliato poco dopo mezzanotte, ho
visto una luce in soggiorno, mi sono alzato per spegnerla, e ho trovato
Nicole incollata al computer. Era così intenta che non mi ha nemmeno
sentito entrare. Mi sono messo alle sue spalle e ho letto quello che
stava scrivendo: «Courtney, sembri così simpatico e divertente e sexy.
Quando possiamo incontrarci?». Nell’istante in cui si è resa conto che
ero lì, ha scritto “pos” (in seguito ho saputo che significa parent over
shoulder, ossia “genitore alle spalle”) e ha spento il monitor.
Ho cominciato a sudare freddo. Ho letto fin troppi resoconti di
quello che accade alla ragazzine che conoscono ragazzi nelle chat. Il
ragazzo lusinga la ragazzina, le dice quante cose hanno in comune, la
fa sentire speciale, e a poco a poco riesce a convincerla a incontrarlo. E
poi si scopre che non è un simpatico ragazzo ma un tizio ben più
vecchio, un predatore sessuale pronto a fare chissà cosa con lei.
Le ho detto: «Nicole, che diavolo credi di fare? Hai la più pallida
idea del genere di pericolo al quale ti esponi? Dovrei impedirti per
sempre di usare di computer!».
Lei si è messa immediatamente sulle difensive. Ha detto che non
era il caso di scaldarsi tanto, che si stava solo divertendo un po’, che
non aveva nemmeno usato il suo vero nome, e che era abbastanza in
gamba da capire la differenza tra un “malato disgustoso” e una
persona normale.
«Nicole, ascoltami» le ho detto. «Non hai la minima possibilità di
capire la differenza! I peggiori “malati” sono capacissimi di sembrare
del tutto normali e affascinanti. Sanno esattamente come comportarsi
per ingannare una ragazzina. Hanno un bel po’ d’esperienza.» Poi le
ho detto che volevo la sua password perché da quel momento in poi
sua madre e io avremmo controllato regolarmente per capire con chi si
connetteva.
La sua reazione? Che non mi fidavo di lei... che non avevo il
diritto… che stavo violando la sua privacy... eccetera eccetera. Ma
quando ha finito di ascoltare alcune delle storie dell’orrore che avevo
saputo su come questi tizi “normali” si rivelano essere stalker, rapitori,
stupratori o peggio, tutto quello che è riuscita a replicare è stato, con
una vocina piccola piccola: «Be’, non si può credere a tutto quello che
si sente».
Probabilmente stava cercando di salvare la faccia. Ma credo che
una parte di lei era in effetti sollevata all’idea che suo padre si
prendesse cura di lei e che non si facesse prendere per il naso.
Un rapido ripasso...
Alternative alla punizione
RAGAZZO Avevi promesso che avresti smesso di fumare, e fumi ancora! Sei
solo capace di dire balle. Sei pieno di balle!
GENITORE E tu, lingua lunga, sei in punizione per tutto il weekend!
Invece:
D’un tratto Karen uscì dal suo ruolo. «Lo so… lo so che non
abbiamo ancora finito, e che dovremmo analizzare tutti i suggerimenti
e poi decidere quali sono i migliori e bla bla, ma devo dirti quello che
provavo quando interpretavo Stacey. È stato davvero sorprendente.
Mi sono sentita così rispettata… che mia madre mi stesse ascoltando
davvero… che potessi tranquillamente dirle come mi sentivo e che
non mi sarebbe saltata alla gola… e che fossi proprio in gamba a
trovare io stessa delle idee, e che mia madre e io fossimo una vera
squadra.»
Sorrisi a Karen con tutto il cuore. Nel suo modo inimitabile e
personale, aveva espresso il nucleo di quello che avevo sperato di
comunicare.
La ringraziai per essersi immersa così profondamente nella parte e
per aver condiviso con noi i sentimenti che aveva provato. Parecchi
altri genitori applaudirono.
Karen fece un sorrisetto. «Non applaudite ancora» disse. «Il grande
spettacolo deve ancora arrivare. Adesso la vera madre deve andare a
casa e metterlo in scena con la vera Stacey. Fatemi tutti gli auguri.»
E da tutta la sala si alzarono gli auguri: «Buona fortuna, Karen!»
E su quella nota positiva, l’incontro terminò.
I racconti
Dopo che i genitori ebbero avuto l’opportunità di parlare
tranquillamente con i figli e di provare alcune delle abilità del
problem-solving, si resero conto di cose che non avevano mai notato.
Ecco i punti principali dei loro racconti.
Un rapido ripasso...
GENITORE Questa è la seconda volta che torni dopo l’ora stabilita! Bene,
sabato prossimo ti puoi scordare di uscire. Sei in castigo per tutto il
weekend.
Invece:
Fase 1
Invitate vostra figlia a spiegarvi il suo punto di vista.
Fase 2
Affermate il vostro punto di vista.
GENITORE Mi preoccupo quando so che dovresti essere a casa a una certa ora
e non ti vedo arrivare. Immagino le peggio cose.
Fase 3
Invitate vostra figlia a trovare insieme una soluzione.
GENITORE Vediamo se ci sono delle idee che possiamo trovare insieme che
permettano di trascorrere un po’ di tempo in più con gli amici e mi
lascino tranquillo.
Fase 4
Scrivete tutte le idee, senza giudicarle:
Fase 5
Rivedete insieme l’elenco e stabilite quali idee volete mettere in pratica.
Secondo te, che cosa intende la gente quando dice cose come: «Oh, be’, è
solo un ragazzino»?
«Che siamo immaturi, che siamo tutti mocciosi e una gran rottura
di scatole. Ma secondo me non è così. Tutti possono comportarsi da
ragazzini, a qualsiasi età.»
«Che tutti gli adolescenti sono un guaio. Ma non è vero. È un modo
per denigrare. Non esiste un solo tipo di adolescente. Siamo tutti uno
diverso dall’altro.»
«Dicono sempre: “Dovresti mettere giudizio” oppure “Comportati
come uno della tua età”. Ma questa è la nostra età.»
«Ci sentiamo umiliati e insultati quando gli adulti hanno
un’opinione così bassa delle nostre capacità.»
«Credono di conoscerci. Dicono: “Abbiamo avuto gli stessi
problemi quando eravamo giovani”. Ma non si rendono conto che i
tempi sono cambiati e che i problemi sono cambiati.»
Secondo te, qual è il vantaggio di avere la tua età, per te o per i tuoi amici?
«Avere più privilegi. Meno limiti e confini.»
«Divertirmi e fare quello che mi piace.»
«Avere dei ragazzi.»
«Stare fuori fino a tardi nel fine settimana e andare al centro
commerciale con gli amici.»
«Godermi la vita senza responsabilità. So che più avanti ne avrò.»
«Avvicinarmi al momento di prendere la patente.»
«C’è la libertà di sperimentare, ma anche la sicurezza e l’affetto
della tua famiglia dove tornare quando qualcosa va per il verso
sbagliato.»
C’è qualcosa che i tuoi genitori dicono o fanno e che non ti aiuta?
«Mi accusano di cose che non sono vere. E poi, quando gli racconto
qualcosa che mi fa uscire dai gangheri, dicono: “Dacci un taglio” o
“Lascia perdere”. Mi fa davvero girare le scatole!»
«Io odio quando mi dicono che ho un atteggiamento negativo.
Perché nessun bambino viene al mondo con un atteggiamento
negativo. Non è una cosa che hai dentro, a volte è colpa dei genitori.
Possono essere un esempio negativo.»
«I miei genitori criticano il mio modo di studiare, il che è ingiusto
perché a scuola vado bene.»
«Odio quando mi sgridano urlando.»
«I miei lavorano troppo. Non c’è mai abbastanza tempo per parlare.
Cioè, delle cose normali, di tutti i giorni.»
«I genitori non dovrebbero stare sempre a criticare e punire i figli.
Mio fratello è stato tirato su così. E adesso ha dei problemi ad
accettare l’autorità. Si dimette da tutti gli impieghi perché non riesce a
gestirla. E anch’io sono così. Non riesco ad ascoltarli quando mi
puniscono. Io odio le punizioni.»
Se tu potessi dare un consiglio ad altri ragazzi della tua età, che cosa
diresti?
«Di non fare scemenze, come drogarsi, solo per piacere agli altri
ragazzi.»
«Di essere cordiali con tutti, anche con i ragazzi che non sono
popolari.»
«Di non mettersi dalla parte di quelli che fanno i bulli.»
«Di non mettere nei guai gli altri ragazzi scrivendo robaccia su di
loro su Facebook o altri social.»
«Di sviluppare rapporti d’amicizia veri, solidi. Quando la vita si fa
dura e non c’è nessun altro su cui contare, gli amici ci saranno.»
«Se vuoi che i genitori ti lascino stare fuori di più, comincia a
tornare a casa in orario.»
«Se il tuo ragazzo ti dice che ti molla se non fai sesso con lui, allora
sei tu che dovresti mollarlo.»
«Non credere di poter fumare qualche sigaretta di tanto in tanto e
che vada bene così. Una mia amica ha cominciato in quel modo, e
adesso di fa un pacchetto al giorno.»
«Se bevi o ti droghi, devi sapere che puoi incasinarti la salute e il
futuro. Ci sono ragazzi che dicono: “Chi se ne frega. Il corpo è mio e ci
faccio quello che voglio”. Ma sbagliano. Non fanno male soltanto a se
stessi. Tutte le persone che gli vogliono bene saranno deluse e
infelici.»
Che cosa vorresti cambiare nella tua vita, a casa, a scuola o con gli amici?
«Vorrei che i miei genitori si rendessero conto che non sono più un
bambino piccolo e che mi lasciassero fare più cose, come andare in
città con gli amici.»
«Vorrei che i miei insegnanti ci andassero più calmi con i compiti a
casa. Si comportano tutti come se la loro materia fosse l’unica. La sera
dobbiamo restare alzati fino a tardi per finire tutto. Nessuna
meraviglia che poi, in classe, siamo stanchi.»
«Vorrei non avere così tanti impegni tra studio e lezioni di musica,
e avere più tempo libero per starmene fuori con gli amici.»
«Vorrei che i ragazzi non facessero i carini davanti a te e poi ti
sparlassero alle spalle.»
«Vorrei che tutti i miei amici andassero d’accordo tra loro, senza
cercare di tirarmi da una parte o dall’altra.»
«Vorrei che le persone non ti giudicassero per l’aspetto o per quello
che indossi. Ecco perché mi piace stare on line: lì non importa anche se
sembri strano o sei brutto.»
«Vorrei che le ragazze non litigassero su scemenze come: “Ti ho
visto con il mio ragazzo”. Le baruffe non risolvono niente. Finisce
sempre che ti sospendono da scuola, e poi ti puniscono anche i
genitori.»
«Vorrei che i genitori non stessero troppo addosso ai figli perché
siano perfetti. Insomma, abbiamo solo una vita da vivere, e allora
perché non possiamo metterci un po’ comodi e goderci la nostra età?
Perché dobbiamo sempre eccellere in tutto? Certo, abbiamo degli
obiettivi e dei sogni, ma perché non possiamo raggiungerli senza tutto
questo stress?»
Quando una persona sta male, domande e critiche possono farla sentire ancora peggio.
… date nella fantasia quello che non potete dare nella realtà
È più facile accettare la realtà se un amico ti dà nella fantasia ciò che desideri.
Un rapido ripasso...
Quella sera era un debutto per tutti noi. Mentre ciascuna famiglia
entrava nella sala e prendeva posto, si percepiva una sotterranea
corrente di tensione. Nessuno sapeva che cosa aspettarsi. Io men che
meno. I genitori sarebbero stati inibiti dalla presenza dei loro figli? I
ragazzi si sarebbero trattenuti, sapendo che i genitori li osservavano?
E io potevo aiutare entrambe le generazioni a sentirsi a proprio agio?
Dopo aver dato a tutti il benvenuto, dissi: «Stasera siamo qui per
imparare dei modi di parlare e di ascoltare che possano essere d’aiuto
a tutti i membri della famiglia. Forse non sembra poi così difficile, ma
talvolta lo è. Soprattutto per il semplice fatto che in famiglia non
esistono due persone uguali. Siamo tutti individui unici. Abbiamo
interessi, temperamenti, gusti differenti, e necessità diverse che spesso
entrano in collisione e in contrasto gli uni con gli altri. Basta
trascorrere un po’ di tempo in una casa qualsiasi per sentire frasi
come:
«Ora immaginate di aver appena fatto quello che fate di solito per
stemperare la rabbia e di essere un po’ più in grado di esprimervi in
modo proficuo» dissi. «Riuscite a farlo? Riuscite a dire all’altro quello
che volete, o sentite, o di cui avete bisogno, invece di dargli la colpa e
di accusarlo? Ovviamente sì. Ma richiede una certa riflessione, e fare
un po’ di esercizio aiuta.
«Nei fogli che vi ho appena consegnato ho usato degli esempi tratti
da situazioni avvenute a casa mia. Ora vorrei chiedere a tutti voi di
provare a ricordare qualcosa che accade a casa vostra e che vi
disturba, vi irrita o vi fa arrabbiare. Non appena ci avete pensato,
scrivetelo, per favore.»
La mia richiesta parve sorprendere il gruppo. «Può essere una cosa
grande o piccola» aggiunsi. «Accaduta veramente o che voi
immaginiate che possa accadere.»
I genitori e i ragazzi si scambiarono delle occhiate imbarazzate.
Qualcuno ridacchiò, e dopo qualche istante tutti cominciarono a
scrivere.
«Ora che avete individuato il problema proviamo due modi
differenti di affrontarlo» dissi. «Prima scrivete quello che potreste dire
e che secondo voi potrebbe solo peggiorare la situazione.» Mi
interruppi per dare a tutti il tempo di scrivere. «E adesso quello che
potrebbe rendere possibile, per l’altro, ascoltarvi e prendere in
considerazione il vostro punto di vista.»
Nella sala cadde il silenzio mentre tutti affrontavano la sfida che
avevo proposto. Quando sembrarono essere pronti, dissi: «Ora, per
favore, ciascuno di voi prenda il suo foglio e trovi un genitore o un
ragazzo che non sia il suo e si sieda accanto a lui o a lei».
Dopo qualche minuto di confusione generale, tra sedie spostate e
grida di «Mi serve un ragazzo!» e «Chi vuole essere mio padre?»,
finalmente tutti si accomodarono accanto ai nuovi partner.
«E adesso» dissi «siamo pronti per il prossimo passo. Per favore,
leggete a turno, uno all’altro, le vostre affermazioni contrastanti, e
osservate le reazioni. Poi ne parleremo.»
Tutti parvero esitare; ci furono parecchie discussioni su chi dovesse
iniziare la scenetta. Ma una volta presa la decisione, genitori e ragazzi
assunsero i rispettivi ruoli con convinzione. All’inizio si parlavano a
voce bassa, e a poco a poco si animarono e presero a discutere con
tono più alto. Tra Michael e Paul (il figlio di Tony) scoppiò un finto
litigio, che fece girare tutti verso di loro.
«Ma tu continui a rimandare e rimandare fino all’ultimo!»
«Non è vero! Ti ho detto che lo farò dopo.»
«Quando? »
«Dopo cena.»
«È troppo tardi.»
«No, non è tardi.»
«E invece sì! »
«E piantala di seccarmi e lasciami in pace!»
D’un tratto entrambi si interruppero, consapevoli che nella sala era
sceso il silenzio e che erano al centro dell’attenzione.
«Sto cercando di convincere mio figlio a iniziare prima a fare i
compiti» spiegò Michael «ma mi dà del filo da torcere.»
«Perché non vuole lasciarmi un po’ in pace» disse Paul. «Non si
rende conto che più mi rompe perché lo faccia, più io rimando.»
«Okay, mi arrendo» disse Michael. «Ora proviamo nell’altro
modo.» Face un bel respiro e disse: «Figliolo, ci ho riflettuto… Ti ho
spronato a iniziare presto i compiti a casa perché è quello che sembra
giusto a me. Ma d’ora in poi, intendo fidarmi di te; inizierai quando ti
sembra giusto. Tutto ciò che ti chiedo è terminare entro le nove e
mezzo o dieci di sera, al massimo, in modo da poterti fare una buona
notte di sonno.»
Paul si aprì in un gran sorriso. «Ehi, “papino”, così va molto
meglio! Così mi piace.»
«Allora sono andato bene» disse Michael, con fierezza.
«Sì» replicò Paul. «E vedrai, anch’io andrò bene. Farò i compiti a
casa. Non dovrai ricordarmelo tu.»
Il gruppo sembrava galvanizzato dalla dimostrazione a cui aveva
appena assistito. Parecchie coppie di genitori e ragazzi si offrirono di
leggere a voce alta le loro affermazioni contrastanti. E tutti ci
accingemmo ad ascoltare con attenzione.
RAGAZZA (con tono accusatorio) Perché non sei come le altre madri?
Tutte le mie amiche vanno al centro commerciale da sole. Tu mi
tratti come una mocciosa.
RAGAZZA (descrive quello che prova) Detesto restare a casa il sabato sera
mentre tutte le mie amiche si divertono al centro commerciale. Mi
sembra di essere abbastanza grande da cavarmela da sola.
Lodare i ragazzi
Invece di valutare…
... descrivete quello che provate
Lodi di diverso tipo possono condurre i ragazzi a conclusioni molto differenti su loro stessi.
Invece di valutare…
Lodare i genitori
Invece di valutare…
... descrivete quello che provate
Le persone tendono a respingere le lodi che esprimono una valutazione. Una descrizione
sincera, entusiastica, è più facile da accettare.
Invece di valutare…
Un rapido ripasso...
dite quello che provate: «Mi disturba molto il pensiero che chiunque
sarebbe potuto entrare in casa in nostra assenza»;
dite quello che vi piace e/o che vi aspettate: «Mi aspetto che l’ultima
persona che esce di casa si accerti che la porta sia chiusa a chiave».
dite quello che provate: «Non mi piace essere sgridato di fronte ai miei
amici. È imbarazzante»;
dite quello che vi piace e/o che vi aspettate: «Se sto facendo qualcosa
che ti disturba, dimmi soltanto “Devo parlarti per un secondo”, e poi
dimmelo in privato».
Un rapido ripasso...
descrivete quello che ha fatto: «Accidenti, hai passato metà del tuo
sabato libero per montare quel cesto da basket per me»;
descrivete quello che provate: «Lo apprezzo moltissimo».
8
Sesso e droga
Joan alzò la mano. «Mia madre non avrebbe mai e poi mai sollevato
uno di questi argomenti con me. Sarebbe morta di imbarazzo. Però
fece una cosa. Quando avevo circa dodici anni, mi diede un libro sui
“fatti della vita”. Io finsi di non essere interessata, invece lo lessi dalla
prima all’ultima pagina. E ogni volta che le amiche venivano a casa
mia, chiudevamo la porta della mia stanza da letto, prendevamo “il
Libro” e lo rileggevamo, ridacchiando sulle illustrazioni.»
Jim intervenne: «Mi piace l’idea di usare un libro perché concede al
ragazzo un po’ di intimità, la possibilità di esaminare il materiale
senza che qualcuno stia lì a controllarlo. Ma nessun libro può
sostituire un genitore. I ragazzi vogliono sapere quello che i genitori
pensano, che cosa si aspettano da loro».
«Ecco quello che mi preoccupa» disse Laura. «La parte delle
“aspettative”. Insomma, se parli ai tuoi figli di sesso, e dai loro dei
libri con illustrazioni, non si faranno l’idea che tu ti aspetti che facciano
sesso, e di avere ottenuto il tuo permesso?»
«Assolutamente no!» disse Michael. «Non se tu hai chiarito che
quello che stai fornendo è informazione, non permesso. Inoltre, a me
sembra che se non spieghiamo ai ragazzi alcuni dati di fatto,
potremmo metterli in pericolo. Se c’è qualcosa che, secondo noi,
dovrebbero sapere, per la loro stessa sicurezza, l’unico modo in cui
possiamo essere certi che lo sappiano è informarli noi stessi.»
A questo punto Michael si interruppe, cercando di farsi venire in
mente un esempio. «Per esempio, quanti ragazzi sanno come si usa un
preservativo in modo sicuro, come infilarlo e come toglierlo? E quanti
sono consapevoli che devono controllare la data di scadenza sul
pacchetto? Perché un preservativo che non è più lubrificato non è più
un buon preservativo.»
«Accidenti» intervenne Laura «questo non lo sapevo nemmeno io…
E mi chiedo quante ragazze si rendano conto che, a dispetto di quello
che possano dire le loro amiche, è possibile restare incinte con il primo
rapporto, anche se hanno appena finito le mestruazioni.»
Michael annuì con vigore. «Questo è proprio il genere di cosa che
intendevo dire. E c’è dell’altro. Scommetto che alla maggior parte dei
ragazzi non passa per l’anticamera del cervello che anche se fanno
sesso con una persona che potrebbe averlo fatto soltanto con un altro,
quest’altro potrebbe essere stato con tanti altri. E chissà quali malattie
si sono trasmessi!»
Tony si accigliò. «Tutto quello che avete detto finora è molto
importante. Cioè, avete ragione. Dovete assolutamente parlare ai
vostri figli dei pericoli. Ma non dovreste anche spiegare che c’è
qualcosa di buono nel sesso? Che è normale, naturale… uno dei
piaceri della vita. Insomma, è grazie al sesso che siamo qui!»
Quando le risate si spensero, dissi. «Tuttavia, Tony, quei sentimenti
“normali, naturali” possono a volte essere troppo intensi per i nostri
figli e mandare in tilt la loro capacità di discernimento. Gli adolescenti
di oggi sono sottoposti a un’enorme pressione, esercitata non soltanto
dagli ormoni e dai coetanei, ma anche da una cultura di massa
erotizzata, che li bombarda di immagini esplicite e volgari in
televisione, nei film, nei video musicali, e su Internet.
«Quindi certo, è normale che i ragazzi desiderino sperimentare, o
mettere in pratica quello che hanno visto o sentito. E ovviamente
vogliamo comunicare l’idea che il sesso è “uno dei piaceri della vita”.
Ma dobbiamo anche aiutare i nostri ragazzi a stabilire dei limiti.
Dobbiamo condividere i nostri valori adulti e fornire ai figli linee
guida alle quali attenersi.»
«Per esempio?» chiese Tony.
Mi fermai un istante a riflettere. «Be’… per esempio, io ritengo che
ai giovani si dovrebbe dire che non è mai giusto permettere che
qualcuno li costringa a fare qualcosa di sessuale che non li fa sentire a
loro agio. Non è necessario essere sgarbati, ma possono spiegare
all’altro quello che provano. Possono semplicemente dire: “Questo
non lo voglio fare”.»
«Sono d’accordo al cento per cento» esclamò Laura. «E chiunque
non rispetti questa opinione non è una persona che dovrebbero
continuare a frequentare… E penso anche che ai ragazzi andrebbe
fatto capire che il sesso non è qualcosa che fai soltanto perché credi
che tutti lo facciano. Devi fare quello che è giusto per te. Inoltre, chi
può sapere che cosa sta succedendo davvero? Forse alcuni ragazzi
fanno davvero sesso, ma scommetto che molti altri non lo fanno e
raccontano balle.»
«E a proposito di “fare quello che è giusto per te”» aggiunse Joan
«prima ancora che i ragazzi pensino di affidarsi anima e corpo a
qualcun altro, dovrebbero chiedersi: “Questa persona ci tiene davvero
a me?”… “Mi posso fidare di lei?”… “È una persona con la quale
posso essere veramente me stesso?»
Intervenne Karen: «Per me il principale messaggio che i ragazzi
dovrebbero ricevere dai genitori è: “Vacci piano. Non c’è bisogno di
fare tutto e subito”. Credo che per loro sia un grave errore avere
rapporti o mettersi insieme a qualcuno o comunque lo chiamino oggi,
quando sono ancora tanto giovani».
«Non potrei essere più d’accordo!» esclamò Joan. «Questi sono gli
anni in cui dovrebbero concentrarsi sullo studio e farsi coinvolgere da
diversi tipi di attività, come sport, hobby, associazioni, e fare
volontariato nella comunità. Non è il momento per complicarsi la vita
con delle relazioni sessuali. So che non vogliono sentirselo dire, ma
comunque dovremmo spiegare che ci sono cose per le quali vale la
pena di aspettare.»
«Ma ci saranno sempre ragazzi che non aspetteranno» fece notare
Michael. «E in questo caso, se sono determinati ad “andare fino in
fondo”, dovrebbero sentire dai genitori discorsi chiari ed espliciti. Io
glieli farò. Dirò che devono parlare molto seriamente con il loro
possibile partner, in modo da poter decidere insieme quale tipo di
contraccezione ciascuno di loro pensa di utilizzare. Poi entrambi devono
consultare un medico. A mio parere, se i ragazzi credono di essere
abbastanza grandi da fare sesso, allora devono essere pronti a
comportarsi da adulti. E questo significa pensare alle conseguenze e
assumersi delle responsabilità.»
Jim annuì, in segno di apprezzamento. «Accidenti, Michael, questo
sì che è parlar chiaro. E, naturalmente, tutto quello che hai appena
detto è valido per tutti i ragazzi, che siano etero o gay.»
Cadde il silenzio. Parecchie persone sembravano a disagio.
«Sono lieta che tu abbia fatto questa precisazione, Jim» dissi.
«Dobbiamo ammettere la possibilità che un giovane possa essere
omosessuale e che tutte le precauzioni che Michael ha appena
raccomandato si applichino allo stesso modo anche a lui o a lei.»
Jim sembrò esitare. «Probabilmente il motivo per il quale ho
sollevato l’argomento è che stavo pensando a mio nipote» disse. «Ha
appena compiuto sedici anni, e giusto qualche settimana fa mi ha
confidato di essere gay. Ha detto che me lo stava dicendo perché,
conoscendomi, era abbastanza sicuro che non avrei avuto problemi,
ma che era preoccupato per come l’avrebbero presa i suoi genitori. A
quanto pare era parecchio tempo che voleva dirglielo, ma aveva
paura. Non tanto della reazione di sua madre. Ma non sapeva che
cosa avrebbe fatto suo padre, se lo avesse scoperto.
«Abbiamo parlato a lungo delle possibili conseguenze, e a un certo
punto lui ha detto: “Lo voglio fare, zio Jim, ho intenzione di dirglielo”.
«Bene, lo ha fatto. Lo ha detto ai genitori. All’inizio erano molto
turbati. Suo padre voleva mandarlo da uno psicoterapeuta. Sua madre
ha cercato di rassicurarlo, spiegando che non era così insolito, per un
adolescente, provare a volte attrazione per una persona del suo stesso
sesso, ma che probabilmente era solo una fase passeggera.
«Allora il ragazzo le ha spiegato che non era una fase passeggera:
ormai provava questi sentimenti da molto tempo, e che sperava che
loro avrebbero capito. Per loro deve essere stato molto difficile sentire
queste parole, ma a poco a poco hanno cambiato idea. Alla fine la vera
sorpresa è stato il padre. Ha detto che, qualsiasi cosa succeda, lui
sarebbe sempre stato loro figlio, e che avrebbe sempre potuto contare
sul loro affetto e sul loro sostegno.
«Posso assicurarvi che il ragazzo era davvero sollevato. E io come
zio mi sono sentito molto sollevato. Perché se suo padre e sua madre
gli avessero voltato le spalle in questa situazione, non so che cosa
sarebbe accaduto. Ho sentito fin troppe storie a proposito di ragazzi
che cadono in grave depressione o che arrivano persino al suicidio
perché i genitori li hanno rifiutati a causa della loro omosessualità.»
«Tuo nipote è stato fortunato» dissi. «Venire a patti con
l’omosessualità di un adolescente non è facile, per nessun genitore.
Ma se riusciamo ad accettare i nostri figli per quello che veramente
sono, allora facciamo loro un grande dono: la forza di essere se stessi e
il coraggio per cominciare ad affrontare il pregiudizio del mondo
esterno.»
Seguì un altro lungo silenzio. «C’è dell’altro» disse lentamente
Joan. «Che siano etero o gay, dobbiamo rendere i nostri figli
consapevoli che quando decidono di introdurre il sesso in una
relazione, le cose cambiano. Tutto diventa molto più complicato, tutti i
sentimenti si intensificano. Se qualcosa va storto, se c’è una rottura (il
che accade di continuo, tra ragazzi) possono sentirsi distrutti.
«Ricordo che cosa accadde con la mia migliore amica del liceo. Era
cotta marcia di un ragazzo, si è lasciata convincere ad andare a letto
con lui e quando lui l’ha scaricata per un’altra, è andata in mille pezzi.
I suoi voti sono peggiorati, per un bel po’ di tempo non ha più
mangiato, dormito, studiato, non riusciva a concentrarsi.»
Jim alzò le mani in segno di resa. «Bene» annunciò «dopo aver
ascoltato tutto ciò, sto cominciando a pensare che sia il caso di
appoggiare l’astinenza. Diciamo la verità, è l’unico metodo sicuro al
cento per cento. So che qualcuno sta per dirmi che i ragazzi oggi
raggiungono la pubertà prima e si sposano più tardi, e che non è
realistico aspettarsi che si astengano dal sesso per così tanti anni, ma
la castità non significa che non possano frequentarsi. Possono
continuare a tenersi per mano, ad abbracciarsi, a baciarsi, o magari
anche arrivare a quello che noi chiamavamo limonare. Questo sarebbe
okay… cioè, okay per tutti fatta eccezione per mia figlia.»
Tutti sorrisero, ma Laura sembrava preoccupata. «Per noi è facile
starcene qui, seduti attorno a un tavolo, e decidere che cosa
dovremmo dire ai nostri figli riguardo a quello che possono o non
possono fare. Ma non possiamo, in nessun modo, stargli appresso
ventiquattro ore al giorno. E possiamo dirgli quello che vogliamo, ma
chi dice che ci ascolteranno?»
«Hai ragione, Laura» concordai. «Non ci sono garanzie. Qualsiasi
cosa dica un genitore, alcuni ragazzi vorranno vedere fin dove
possono spingersi e alcuni supereranno i limiti. Tuttavia, tutte le
abilità che avete messo in pratica negli ultimi mesi renderanno molto
più probabile che i vostri figli saranno capaci di ascoltarvi. Ma cosa
ancora più importante, avranno la fiducia in se stessi sufficiente ad
ascoltarsi e a stabilire i loro stessi limiti.»
«Che Dio ti ascolti!» esclamò Tony. «Sicuro come l’oro, io spero che
quello che hai appena detto si applichi anche alla droga, perché ho
una gran brutta sensazione a proposito di alcuni dei ragazzi che mio
figlio sta cominciando a frequentare. Non hanno una gran bella
reputazione (uno di loro è stato sospeso per essersi fatto a scuola), e
non voglio che mio figlio ne sia influenzato. Insomma, se stanno
cercando di convincerlo a usare la droga, voglio sapere che cosa posso
fare per impedirglielo. Per esempio, che cosa dovrei dirgli?»
«Tu che cosa vorresti dirgli?» chiesi.
«Quello che mio padre ha detto a me.»
«Cioè?»
«Che se mi avesse beccato a usare la droga mi avrebbe spezzato
tutte le ossa.»
«E questo ti ha fermato?»
«No. Ho solo fatto di tutto per non farmi beccare.»
Risi. «Quindi almeno ora sai che cosa non devi fare.»
Laura saltò su. «Che ne dici di dirgli: “Ascolta, se qualcuno cerca di
convincerti a farti, digli di no e basta”.»
Tony mi scoccò un’occhiata interrogatoria.
«Il problema con questo tipo di approccio è che non è sufficiente»
risposi. «I ragazzi hanno bisogno di qualcosa di più di un semplice “dì
di no e basta”. Oggigiorno subiscono un’enorme pressione a dire di sì.
Può essere difficile resistere alla combinazione tra i mille messaggi che
arrivano dalla cultura di massa, la facilità a procurarsi la droga e i
pressanti inviti dei coetanei. “Devi proprio provare questo”… “È un
vero sballo!”… “Wow, mi sento in orbita”… “Ti aiuta a rilassarti”…
“E dai, non fare la lagna”.»
«E come se non bastasse, oggi la scienza ci informa che anche se un
adolescente può sembrare maturo dal punto di vista fisico, il suo
cervello è ancora in formazione. La parte che controlla gli impulsi ed
esercita il giudizio è una delle ultime aree cerebrali a svilupparsi.»
«È una situazione spaventosa» disse Laura.
«Sì, è vero» concordai. «Ma la buona notizia è che tutti voi
disponete di più potere di quanto crediate. Ai vostri figli importa
moltissimo della vostra opinione. Magari non sempre lo dimostrano,
ma i vostri valori e le vostre convinzioni sono molto importanti per
loro e possono essere il fattore determinante al momento di decidere
se cedere alle droghe e all’alcol oppure no. Per esempio, Tony, puoi
dire a tuo figlio: “Spero davvero che il tuo amico non si faccia più. È
un ragazzo simpatico, e odio pensare che stia mandando all’aria il suo
futuro per quello che si mette in corpo oggi”. E non sono soltanto le
nostre parole a poter tenere i ragazzi alla larga dai comportamenti a
rischio, ma anche il nostro esempio. È soprattutto quello che i figli ci
vedono fare o non fare a parlare forte e chiaro.»
«Hai colpito nel segno» commentò Joan. «Una volta mio padre mi
ha messa in castigo perché aveva scoperto che mi ero fatta un goccetto
a una festa. Ma io tutte le sere lo vedevo con il suo cocktail prima di
cena e bere birra a tavola, quindi avevo pensato che, se andava bene
per lui, andava bene anche per me.»
«Almeno tuo padre aveva un’idea di quello che ti stava
succedendo» disse Laura «e cercava di essere responsabile. Oggi
moltissimi genitori non hanno il minimo indizio. Immaginano che se i
figli sembrano fare tutto per il verso giusto, allora tutto va bene. Ma
non si può mai esserne del tutto sicuri. Di recente ho letto un articolo
su un gruppo di adolescenti, i classici ragazzi di buona famiglia.
Erano tra i primi della classe, membri di tutte le squadre sportive, e
ogni fine settimana si davano al binge drinking, si riempivano di alcol
fino a scoppiare. E i genitori non ne avevano la più pallida idea, fino a
quando alcuni di loro non sono finiti all’ospedale, e uno ci ha quasi
lasciato la pelle.»
«Questa storia è un campanello d’allarme» dissi. «Il “g” si pratica in
molti gruppi. È una enorme preoccupazione per i genitori, specie da
quando ci hanno spiegato che per gli adolescenti l’alcol è più
pericoloso di quanto si credesse una volta. E tutti gli ultimi studi
dimostrano che il cervello dell’adolescente si trova in una fase dello
sviluppo delicata. L’alcol distrugge le cellule cerebrali, provoca danni
neurologici, perdita di memoria, problemi dell’apprendimento, e
mette a rischio la salute generale del ragazzo. Ci sono anche nuove
prove che prima si inizia a bere, maggiore è la probabilità di diventare
alcolisti da adulti.»
«Fantastico!» intervenne Tony. «Ora che lo sappiamo, come
possiamo farlo entrare nelle capocce di quei tonti dei nostri figli? Sono
convinti che a loro non possa succedere niente. Vanno a una festa e si
sfidano a chi riesca a bere di più prima di vomitare o perdere i sensi.»
«Ecco perché dobbiamo essere molto chiari e molto precisi quando
parliamo ai nostri figli» dissi. «Il binge drinking ti può uccidere.
Introdurre nell’organismo una grande quantità di alcol tutto insieme
può portare ad avvelenamento da alcol. E l’avvelenamento da alcol
può portare al coma o alla morte. È un dato clinico.»
Joan si portò le mani alla testa. «Questo per me è troppo» gemette.
«Già l’alcol in sé è abbastanza brutto, ma secondo tutto quello che ho
letto, i ragazzi che bevono tanto si fanno anche di droga. E là fuori c’è
una tale quantità di sostanze nuove di cui non ho mai sentito parlare
in vita mia. Non è più solo erba, crack o LDS . Adesso c’è l’ecstasy e…»
Gli altri si affrettarono a completare la lista di Joan: «… e il roipnol,
la droga dello stupro».
«E una cosa che chiamano chetamina o Special K.»
«E che mi dite delle metanfetamine? A quando pare danno ancora
più dipendenza della cocaina.»
«Ho sentito parlare di una cosa nuova che i ragazzi inalano per
sballare. La chiamano popper o oro liquido.»
«Accidenti» disse Tony, scuotendo il capo «c’è un casino di roba da
sapere, vero?»
«Può sembrare troppo da affrontare da soli» dissi «ma abbiamo a
disposizione tutte le informazioni del caso: libri, riviste, Internet.
Potete chiamare la linea diretta relativa a una determinata sostanza e
chiedere il materiale informativo più aggiornato. Potete parlare con gli
altri genitori e scoprire quello che sanno. E dato che ci siete, potete
chiedere a vostro figlio se sa che cosa stanno usando in questo periodo
i ragazzi della sua scuola.»
«A quanto pare ho un bel po’ di lavoro da fare» disse Tony.
«Tutti i genitori di teenager hanno un bel po’ di lavoro da fare»
concordai. «Tutti noi dobbiamo chiarire ai figli che le loro madri e i
loro padri sono informati, coinvolti, pronti a fare tutto il necessario
per proteggerli.
«E ancora una volta, un’unica predica non servirebbe a niente. I
ragazzi hanno bisogno di conoscere la vostra opinione sulla droga in
modi e in momenti diversi. Devono sentirsi così a loro agio da potervi
fare domande, rispondere ai vostri dubbi, e riflettere su quello che
loro stessi pensano e provano.
«E adesso… pronti per l’ultima sfida? Come possiamo approfittare
di una piccola opportunità che si può presentare nel corso di una
giornata per affrontare con i ragazzi un discorso sulla droga? Che tipo
di conversazione possiamo immaginare di intrattenere con i nostri
figli adolescenti?»
Dopo molti botta e risposta, il gruppo immaginò le seguenti
situazioni.
Leggendo un giornale
Un rapido ripasso...
Sesso e droga
Abbigliamento
giudicare gli altri in base a
sentimenti sul modo di vestire
problem-solving
Accettazione
amici
bisogno di
preoccupazioni sull’individualità
Accusare
descrivere i sentimenti invece di
Aggredire verbalmente
Agire
droga
Aiuto professionale
Alcol
occasioni per parlarne
permissività
problem-solving
uso
Amici
comunicare con loro
conflitti
critiche dei genitori agli
paura di perderli
Amore e affetto, come esprimerli
Apprezzamento, come esprimerlo
Ascoltare
Aspettative
Aspetto
complimentarsi per
giudicare gli altri in base a
insicurezza
“Assicurarsi”
Assillare
Astinenza sessuale
Attenzione, come focalizzarsi
Autostop
Avvertimenti
Biglietto
chiedere scusa
per comunicare
Binge drinking
Body piercing
Brainstorming
Bugie
Bullismo
on line
Castigo
mettere in
per uso di alcol
risentimento
uscire di casa dopo essere stati messi in
Coetanei, pressione da parte di
per fare sesso
per usare droghe
Collaborazione
favorirla
tecniche
usando abilità comunicative
Combriccole
crudeltà
Compiti a casa
aiutare a farli
ansia
irritazione
non farli
Complimenti
Comportamento inaccettabile
Concerti
partecipare a
problem-solving
Condiscendenza, con il broncio
Conflitti, evitare i
Consiglio, non richiesto
e critiche
e insicurezze
Coprifuoco
mancanza
non rispettarlo
Correggersi da soli
Critiche
dagli amici, reciproche
dei genitori sugli amici dei figli
giudizio
sostituirle con l’umorismo
staccare la spina
Cyberbullismo
Denigrare
Descrizione
dei problemi
di sentimenti
lodi descrittive
Desideri, negazione
Difensive, mettersi sulle
Differenze
irritazione riguardo alle
problem-solving
Disapprovazione, essere sensibili alla
Disciplina e punizione
Disordine, problem-solving
Disturbi alimentari
Droghe
agire
alternative alla punizione
occasioni per parlarne
pressione dei coetanei
permissività
uso
Email
e bullismo
Empatia
per gli amici
Esigenze
dei genitori e degli adolescenti
scelte per soddisfarle entrambe
Faccende domestiche
collaborazione
risentimento
Fantasia, dare nella
da parte degli amici
Fare/non fare
Fiducia
guadagnarla
mancanza di
perdita di
Fratelli e sorelle
Fumo
marijuana
occasioni per parlarne
problem-solving
Genitori single
Giudizio e critiche
Ignorare
critiche
prediche
Impaurire, come tattica
Inaspettato, fare qualcosa di
Incolpare
Infelicità
negarla
identificarne le cause
Influenze, cattive
punizioni per essersi cacciati nei guai
tecniche per allontanarle
Informazioni
sull’abuso di alcol
sul body piercing
sulle droghe
sul sesso
Insicurezza
Insulti, reagire agli
tra amici
verbali
Internet
chat room
per trovare informazioni
Irritazione, come esprimerla
Limiti, accettarli
Linguaggio umiliante
tra amici
Litigi
Lodi, tramite la valutazione
Logica
Madri
lavoratrici
single
Maltrattamenti fisici
Martire, fare il
Minacce
sfida come reazione
Morale, fare la
Musica ad alto volume
favorire la collaborazione
problem-solving
Paragoni,
Parolacce
Patrigni e matrigne,
Perdita, sentimenti di
Permissività
Piercing
Prediche
Problem-solving
metodo in cinque passaggi
ricorrere all’aiuto professionale
interpretare un ruolo
usare le abilità di comunicazione
Problemi, descriverli
Profezia
Protettivo, esserlo troppo
Punizioni
alternative
conseguenze
usare le abilità di comunicazione
Punti di vista, affermare
problem-solving
da parte degli adolescenti
Sarcasmo
Scelte, proporre delle
Scortesia
Scrivere
apprezzamenti
nel problem-solving
sentimenti negativi
scuse
Scuola
atteggiamento negativo
droga
pressioni
Sentimenti
affermarli
comunicarli con gli amici
descriverli
negarli
negativi
riconoscerli
di perdita
usare le abilità comunicative
Sesso
informazioni
Internet e preoccupazioni sul
occasioni per parlarne
orale e adolescenti
Sfida
Sicurezza
mancanza
perdita
Silenzio
Solleciti
brevi
continui
scritti
Spiegazioni
Stress negli adolescenti
Stupro
droga
Suicidio
Supportare e sostenere
Tempo
degli adolescenti con i genitori
non tenerne conto
per il problem-solving
Umorismo
Università
Valori
Vandalismo
Via più facile, prendere la
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www.librimondadori.it
Come parlare perché i ragazzi ti ascoltino & come ascoltare perché ti parlino
di Adele Faber, Elaine Mazlish
Copyright © 2005 by Adele Faber and Elaine Mazlish
All rights reserved
Published by arrangement with HarperCollins Publishers
Titolo originale dell’opera: How to Talk So Teens Will Listen & Listen So Teens
Will Talk
© 2015 Mondadori Libri S.p.A., Milano
Illustrazioni di Kimberly Ann Coe
Per saperne di più di Adele Faber e Elaine Mazlish, dei loro libri, workshop e
della loro produzione audiovideo visitate il
sito www.fabermazlish.com
Ebook ISBN 9788852063022