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Il libro

A
dele Faber e Elaine Mazlish, esperte nella comunicazione
intergenerazionale, sono note al pubblico di tutto il mondo
per il loro manuale Come parlare perché i bambini ti ascoltino &
come ascoltare perché ti parlino, considerato una vera «bibbia» per i
genitori, un bestseller da oltre tre milioni di copie vendute. E quando
i bambini non sono più bambini? Con ragazzi e adolescenti la
comunicazione, si sa, è ancora più difficile. Ma questo manuale, con il
suo stile affabile e il taglio pratico, arricchito da vignette e
testimonianze, mostra come comportarsi anche durante la cosiddetta
«età ingrata», tanto più complessa nel mondo digitalizzato e
perennemente connesso in cui vivono i nostri figli. Una guida sicura
che vi spiegherà come affrontare, tra l’altro, questioni spinose tipo:

il senso delle punizioni;


l’importanza di rispettare gli orari;
i pericoli delle «cattive compagnie»;
l’uso di fumo, alcol, droghe;
i sentimenti e il sesso;
i pericoli di Internet.
Le autrici

Adele Faber, laureata in arte drammatica, ha preso una


specializzazione in pedagogia e ha insegnato per otto anni nelle
scuole superiori di New York.
Elaine Mazlish, laureata in arte drammatica, ha diretto i
programmi per l’infanzia di importanti istituzioni newyorkesi.
Entrambe allieve del celebre psicologo infantile Haim Ginott, sono
ritenute autorità indiscusse nel campo della comunicazione genitore-
figlio; hanno scritto numerosi libri in USA e in Canada, tra cui Come
parlare perché i bambini ti ascoltino & come ascoltare perché ti parlino
(Mondadori 2014).
Adele Faber
Elaine Mazlish

COME PARLARE PERCHÉ I


RAGAZZI TI ASCOLTINO &
COME ASCOLTARE PERCHÉ TI
PARLINO
Traduzione di Chiara Libero
Prefazione
La genesi di questo libro

Ne sentivamo il bisogno, ma per molto tempo non ce ne siamo


accorte. Poi hanno iniziato ad arrivare lettere come questa:

Care Adele e Elaine,


AIUTO! Quando i miei bambini erano piccoli Come parlare ai bambini…

è stato la mia bibbia. Ma adesso hanno undici e quattordici anni, e mi


ritrovo ad affrontare tutta un’altra serie di problemi. Avete mai pensato
di scrivere un libro per i genitori di adolescenti?

Poco dopo è arrivata una telefonata:

La nostra associazione comunale sta organizzando l’annuale conferenza


per il Family Day, e speriamo che siate disponibili a darci un’idea di
base su come gestire gli adolescenti.

Eravamo esitanti. Non avevamo mai presentato un progetto che si


concentrasse esclusivamente sui teenager. Eppure l’idea ci affascinava.
Perché no? Potevamo proporre un’idea generale dei principi di base
sulla comunicazione efficace, ma questa volta avremmo usato degli
esempi con adolescenti, e per mostrare le abilità avremmo svolto a
turno i diversi ruoli.
Presentare del materiale nuovo è sempre una sfida. Non si può mai
essere sicuri che il pubblico entri in sintonia. Ma fu proprio così. Le
persone ascoltavano con grande attenzione e reagivano con
entusiasmo. Al momento delle domande del pubblico ci chiesero il
nostro punto di vista su mille cose, dall’ora del coprifuoco alle
compagnie, al rispondere male, al non far uscire con gli amici per
punizione. Al termine ci circondò un gruppetto di genitori che
volevano parlarci in privato.

Sono una mamma single, e mio figlio di tredici anni ha cominciato a


frequentare alcuni tra i peggiori ceffi della sua scuola. Usano droghe e
chissà che altro fanno. Continuo a ripetergli di stare alla larga da quelli,
ma non mi ascolta. Mi sembra di combattere una battaglia già persa.
Come posso farmi capire da lui?

Sono così agitata. Ho visto una email che mia figlia, undici anni, ha
ricevuto da un compagno di classe: «Voglio fare sesso con te. Voglio
mettere il mio coso nella tua fichetta». Non so che cosa fare. Dovrei
chiamare i suoi genitori? Dovrei contattare la scuola? Che cosa dovrei
dire a mia figlia?

Ho appena scoperto che mia figlia, dodici anni, fuma erba. Come
posso affrontare l’argomento con lei?

Sono terrorizzata. Stavo pulendo la stanza di mio figlio e ho trovato


una poesia che ha scritto. Parlava del suicidio. A scuola va bene, ha
degli amici, non mi sembra infelice. Ma forse c’è qualcosa che io non
riesco a vedere. Dovrei dirgli che ho trovato la sua poesia?

Ultimamente mia figlia trascorre molto tempo in chat con un ragazzo


di sedici anni. O almeno lui dice di avere sedici anni, ma chi può
saperlo? Adesso lui la vuole incontrare, e secondo me dovrei
accompagnarla. Che ne pensate?

Quella sera, tornando a casa in auto, non smettevamo di parlare:


«Ma pensa che cosa stanno affrontando quei genitori!... Oggi viviamo
davvero in un mondo diverso!... Ma i tempi sono proprio tanto
cambiati? Quando i nostri figli stavano attraversando l’adolescenza
non eravamo anche noi preoccupate per il sesso e la droga e
l’influenza dei coetanei, o persino per il suicidio?». Ma chissà perché
quello che avevamo sentito quella sera sembrava peggiore, più
spaventoso. C’erano molte più cose di cui preoccuparsi. E i problemi
iniziavano più precocemente. Forse perché la pubertà arrivava prima.

Qualche giorno dopo giunse un’altra telefonata, questa volta da


una preside.

In questo periodo stiamo svolgendo un programma sperimentale per un


gruppo di studenti delle medie e delle superiori. Abbiamo dato una
copia di Come parlare… a ciascuno dei genitori del programma. Il vostro
libro è stato di grande aiuto, e ci chiedevamo se foste disposte a un
incontro con i genitori e a condurre per loro alcuni seminari.

Dicemmo alla preside che ci avremmo pensato e le avremmo fatto


sapere.

Nei giorni seguenti ci abbandonammo ai ricordi sui teenager che


conoscevamo meglio: i nostri figli. Tornammo con la memoria agli
anni dell’adolescenza dei nostri ragazzi, ricordi che avevamo messo
nel dimenticatoio: i momenti difficili, quelli belli, e i momenti in cui
avevamo trattenuto il fiato. A poco a poco tornammo emotivamente ai
tempi andati, riprovando le stesse ansie. Ancora una volta ci
ritrovammo a riflettere su ciò che aveva reso così difficile quella fase
della vita.
Non che non ci avessero avvertito. Fin dal giorno della nascita dei
bambini ci avevano detto: «Godeteveli adesso che sono piccini»…
«Bimbi piccoli, problemi piccoli: ragazzi grandi, problemi grandi». Ci
continuavano a ripetere che un giorno quel dolce angioletto si sarebbe
trasformato in un adolescente imbronciato che avrebbe criticato i
nostri gusti, messo in discussione il nostro ruolo e rifiutato i nostri
valori.
Ma anche se in qualche modo eravamo preparati ai cambiamenti
nel comportamento dei nostri figli, nessuno ci aveva preparato alla
sensazione di perdita che si configurava così:

perdita di una relazione più intima come nel periodo dell’infanzia


(Chi è questa creatura ostile che vive in casa mia?);
perdita di sicurezza (Perché fa queste scene? È per qualcosa che ho
fatto… o che non ho fatto?);
perdita della soddisfazione di essere indispensabili a qualcuno
(«No, non devi venire. Mi accompagnano gli amici»);
perdita della sensazione di essere dei difensori dagli immensi
poteri, in grado di tenere i nostri figli al riparo da ogni male («È
già passata mezzanotte. Dov’è? Che cosa sta facendo? Perché non è
ancora tornata a casa?»);
infine, paura (ancora più grande della sensazione di perdita)
(Come possiamo aiutare i nostri ragazzi a superare questi anni difficili?
E noi, come possiamo superarli?).

Se le cose andavano così una generazione fa, come saranno le cose


per le mamme e i papà di oggi? Stanno crescendo i loro figli in una
cultura più cattiva, più esplicita, più materialistica, più erotizzata, più
violenta che mai. Perché i genitori di oggi non dovrebbero sentirsi
incapaci di affrontare la situazione? Perché non dovrebbero sentirsi al
limite della sopportazione?
Non è difficile capire perché alcuni reagiscano diventando
estremamente severi: stabiliscono delle regole, puniscono qualsiasi
trasgressione, anche la più lieve, e tengono i ragazzi a un guinzaglio
molto corto. Possiamo capire anche perché altri cedono le armi, si
arrendono, guardano da un’altra parte e sperano nella buona sorte.
Eppure entrambi gli atteggiamenti («Fai quello che dico» o «Fai quello
che vuoi») interrompono la possibilità di comunicare.
Perché mai un ragazzo dovrebbe essere aperto e sincero con un
genitore che lo punisce? Perché dovrebbe chiedere che cosa deve fare
a un genitore troppo permissivo? Eppure il benessere dei nostri
adolescenti (e a volte la loro stessa sicurezza) sta proprio nell’avere
accesso ai pensieri e ai valori dei genitori. I teenager devono essere in
grado di esprimere i loro dubbi, confidare le loro paure, e discutere
delle possibili opzioni con un adulto che sia disposto ad ascoltarli
senza giudicare, aiutandoli a prendere decisioni responsabili.
Chi, se non mamma e papà, sarà lì, giorno dopo giorno, per tutti gli
anni critici per aiutarli a controbattere ai messaggi seduttivi dei
media? Chi li aiuterà a resistere alle pressioni da parte dei coetanei?
Chi li aiuterà ad affrontare le “cattive compagnie” e i bullismi, il
desiderio ansioso di essere accettati, la paura di essere respinti, i
terrori, l’eccitazione, e la confusione che caratterizzano l’adolescenza?
Chi li aiuterà a lottare contro la spinta a conformarsi e per il diritto di
essere sempre se stessi?
Vivere con gli adolescenti può essere devastante. Lo sappiamo
bene. Lo ricordiamo. Ma ricordiamo anche che in quegli anni
turbolenti ci siamo affidate alle abilità che avevamo imparato, che ci
hanno aiutato a navigare per le acque più turbolente senza affogare.
Ora era il momento di trasmettere agli altri quello che per noi aveva
significato tanto. E di imparare dai ragazzi della generazione attuale
che cosa può essere importante per loro.
Chiamammo la preside, stabilendo quando tenere il nostro primo
seminario per genitori di adolescenti.
Adele Faber e Elaine Mazlish
Nota delle autrici

Questo libro è basato sui vari seminari che abbiamo tenuto in molti
luoghi e su quelli che abbiamo condotto per genitori e teenager, sia
separatamente sia insieme, a New York e a Long Island. Per
raccontare la nostra storia nel modo più semplice possibile, abbiamo
condensato la nostra esperienza con molti gruppi rivolgendoci a un
solo gruppo e noi due siamo diventate una persona unica. Anche se
abbiamo cambiato i nomi e riorganizzato gli eventi, siamo rimaste
fedeli alla verità essenziale del nostro lavoro.
Come parlare perché i ragazzi ti ascoltino & come
ascoltare perché ti parlino

Come genitori, abbiamo bisogno che abbiano bisogno di noi; come


adolescenti, hanno bisogno di non avere bisogno di noi.
È un conflitto reale; lo sperimentiamo ogni giorno, aiutando le
creature che amiamo a diventare indipendenti da noi.
HAIM G. GINOTT, Between Parent and Teenager, 1969
1
Come gestire i sentimenti

Non sapevo che cosa aspettarmi.


Mentre correvo dal parcheggio all’ingresso della scuola, tenendomi
stretta l’ombrello sbattuto dal vento, mi chiedevo perché una persona
normale dovesse lasciare la sua casa calda in una serata così fredda e
umida per partecipare a un seminario sugli adolescenti.
Il consigliere d’orientamento scolastico mi accolse alla porta e mi
accompagnò in un’aula dove mi aspettavano una ventina di genitori.
Mi presentai, congratulandomi con loro per il coraggio dimostrato
nell’affrontare il maltempo, e distribuii delle targhette in modo che
ciascuno scrivesse il proprio nome. Mentre scrivevano e
chiacchieravano tra loro, ebbi il tempo di studiare il gruppo. Era molto
eterogeneo: più o meno metà donne e metà uomini, provenienze
etniche diverse, alcuni in coppia, altri da soli, alcuni in giacca e
cravatta, altri in jeans.
Quando tutti si furono accomodati, chiesi loro di presentarsi e di
dire qualcosa dei figli.
Non esitarono un istante. Uno dopo l’altro, i genitori descrissero i
ragazzi, che andavano dai dodici ai sedici anni. Quasi tutti dissero
quanto fosse difficile avere a che fare con i teenager nel mondo di
oggi. Eppure, avevo l’impressione che fossero guardinghi, che si
trattenessero, assicurandosi di non rivelare troppo, e troppo in fretta,
in una sala piena di estranei.
«Prima di procedere» dissi «voglio assicurarvi che tutto ciò di cui
discuteremo in questa sede sarà confidenziale. Ogni cosa che si dice
entro queste quattro mura rimane qui. Non è affare di nessuno se il
figlio di qualcuno fuma, beve, marina la scuola, o fa sesso molto prima
di quanto vorremmo. Su questo siamo tutti d’accordo?»
Tutti annuirono.
«Dobbiamo considerarci soci in un’avventura eccitante» continuai.
«Il mio lavoro consiste nel farvi conoscere dei metodi di
comunicazione che possono portare a una relazione più soddisfacente
tra genitori e adolescenti. Il vostro lavoro consiste nel provare questi
metodi, metterli in atto a casa vostra, per poi raccontare al gruppo che
cosa è successo. Che cosa è stato utile e che cosa no? Che cosa ha
funzionato, e che cosa no? Unendo le nostre forze, stabiliremo i modi
più efficaci per aiutare i nostri ragazzi a compiere la difficilissima
transizione dall’infanzia all’età adulta.»
Mi interruppi, per saggiare la reazione del gruppo. «Perché deve
essere una “difficilissima transizione”?» intervenne un papà. «Io non
ricordo di essermela passata male, da adolescente. E non ricordo di
aver fatto passare dei brutti momenti ai miei genitori.»
«Perché eri un ragazzo facile da gestire» disse la moglie,
sogghignando e dandogli un colpetto sul braccio.
«Be’, sì, forse era più facile essere “facili” quando noi eravamo
adolescenti» aggiunse un altro padre. «Al giorno d’oggi succedono
cose di cui allora non si sentiva nemmeno parlare.»
«Immaginiamo di tornare tutti “a quei tempi”» continuai. «Secondo
me ci sono cose imparate durante l’adolescenza che potrebbero darci
qualche indizio su ciò che i nostri figli stanno sperimentando adesso.
Cominciamo cercando di ricordare la parte migliore di quel periodo
della nostra vita.»
Michael, l’uomo che era stato un “ragazzo facile da gestire”, parlò
per primo. «Per me era lo sport e andare in giro con gli amici.»
Qualcun altro continuò: «Per me era la libertà di andare e venire.
Salire sulla metropolitana da solo. Andare in città. Salire su un
autobus per la spiaggia. Spasso totale!».
Altri aggiunsero: «Avere il permesso di mettere tacchi alti e trucco,
e poi tutta quella eccitazione sui ragazzi. Io e le mie amiche ci
prendevamo una cotta per lo stesso tipo ed era tutto un “Credi che gli
piaccio io o che gli piaci tu?”».
«La vita era così facile. Il fine settimana potevo dormire fino a
mezzogiorno. Non c’era la preoccupazione di cercare un lavoro,
pagare l’affitto, mantenere la famiglia. E nessuna paura del domani.
Sapevo di poter sempre contare sui miei genitori.»
«Per me era il momento di esplorare chi ero e di sperimentare
identità differenti e di sognare sul futuro. Ero libera di fantasticare, ma
avevo anche la sicurezza della mia famiglia.»
Una donna scrollò la testa. «Per me» disse con tristezza «la parte
migliore dell’adolescenza è stata venirne fuori.»
Lessi il suo nome sulla targhetta. «Karen, a quanto sembra non è
stato il periodo migliore della tua vita.»
«A dirla tutta» rispose «fu un sollievo farla finita.»
«Farla finita con che cosa?» chiese qualcuno.
Prima di rispondere Karen scrollò le spalle, come a minimizzare.
«Farla finita con la preoccupazione di essere accettata… e di provarci e
riprovarci… e sforzarmi di sorridere così sarei piaciuta agli altri… e
non sentirmi mai davvero a mio agio… sentendomi sempre come
un’estranea, una di troppo.»
Subito altri aggiunsero ricordi sullo stesso tema, e tra questi anche
alcuni che appena pochi minuti prima avevano parlato della loro
adolescenza come di un periodo meraviglioso.
«Mi immedesimo perfettamente in quello che dici. Mi sentivo così
goffo e insicuro. All’epoca ero in sovrappeso e detestavo il mio
aspetto.»
«So di aver detto che ero tutta eccitata per i ragazzi, ma a dire la
verità era più un’ossessione: mi piacevano, e poi ci lasciavamo, e
perdevo le amiche per questo. Non facevo che pensare ai ragazzi, e la
pagella ne era la dimostrazione. Ho corso il rischio di non passare la
maturità.»
«All’epoca il mio problema era la pressione che subivo dagli altri
ragazzi; mi spingevano a fare cose che sapevo essere sbagliate o
pericolose. Ho fatto un sacco di stupidaggini.»
«Mi sentivo sempre confusa. Chi sono? Che cosa mi piace? Che
cosa non mi piace? Sono autentica o un’imitazione? Posso essere
quello che sono ed essere comunque accettata?»
Questo gruppo mi piaceva, ne apprezzavo l’onestà. «Ditemi» chiesi
«in quegli anni di alti e bassi, c’è stato qualcosa che i vostri genitori
hanno detto o fatto che vi è stato d’aiuto?»
Tutti si fermarono a pensare.
«I miei genitori non mi rimproveravano mai di fronte ai miei amici.
Se facevo qualcosa di sbagliato, come tornare a casa molto tardi, e gli
amici erano con me, di solito la mamma e il papà aspettavano che si
fossero allontanati. E poi partiva la ramanzina.»
«Mio padre mi diceva spesso cose come: “Jim, devi difendere ciò in
cui credi… Quando hai dei dubbi, chiedi alla tua coscienza… Non
aver mai paura di aver torto, altrimenti non avrai mai ragione”. Allora
io pensavo: “Eccolo che ricomincia”, ma a volte le sue parole mi sono
state di grande sostegno.»
«Mia madre mi spingeva sempre a migliorare: “Puoi fare meglio…
Controlla di nuovo… Rifallo”. Non mi permetteva mai di passarla
liscia. Mio padre, d’altro canto, mi riteneva perfetta. Così sapevo a chi
rivolgermi nelle diverse circostanze. Avevo a disposizione un buon
mix.»
«I miei genitori insistevano perché imparassi a fare mille cose diverse,
per esempio come gestire un libretto di assegni, cambiare una gomma.
Mi facevano anche leggere ogni giorno cinque pagine in spagnolo.
All’epoca mi seccava, ma ho finito per ottenere un buon lavoro
proprio perché conosco lo spagnolo.»
«So che non dovrei dirlo, perché probabilmente qui ci sono tante
mamme che lavorano, me compresa, ma mi piaceva molto trovare mia
madre a casa quando tornavo da scuola. Se durante la giornata mi era
successo qualcosa di brutto potevo parlargliene.»
«Dunque» dissi «molti di voi hanno avuto dei genitori che sono
stati di grande sostegno, negli anni dell’adolescenza.»
«Ma questo è solo un lato della medaglia» disse Jim. «Mio padre
non diceva soltanto quelle frasi positive, ma anche tante altre che
facevano male. Niente di ciò che facevo era abbastanza, per lui. E me
lo faceva sapere.»
Le parole di Jim aprirono le cateratte. Un fiume di ricordi infelici.
«Ho avuto ben poco sostegno da parte di mia madre. Avevo
tantissimi problemi e un gran bisogno che qualcuno mi guidasse, ma
da lei non ottenevo altro che le solite vecchie storie: “Quando avevo la
tua età…” Dopo un po’ ho imparato a tenermi tutto dentro.»
«I miei genitori mi affliggevano con i sensi di colpa: “Non abbiamo
altri che te… Ci aspettiamo di più da te… Non stai sfruttando tutto il
tuo potenziale”.»
«Le esigenze dei miei genitori venivano sempre prima delle mie. I
loro problemi diventavano i miei problemi. Ero la maggiore di sei figli
e si aspettavano che cucinassi, pulissi e mi prendessi cura dei miei
fratelli e sorelle. Non ho avuto tempo di essere una teenager.»
«Per me è stato l’opposto. Mi trattavano come una bambina, ero
iperprotetta. Mi sembrava di non essere capace di prendere una
qualsiasi decisione senza l’approvazione dei miei genitori. Ci sono
voluti anni di terapia per cominciare ad avere un po’ di fiducia in me
stessa.»
«I miei genitori venivano da un altro Paese, con una cultura
completamente diversa. A casa mia tutto era severamente proibito.
Non potevo comprare quello che volevo, andare dove volevo,
indossare ciò che volevo. Anche quando ormai ero all’ultimo anno di
liceo dovevo chiedere il permesso per ogni cosa.»
L’ultima a parlare fu Laura.
«Mia madre era esattamente all’opposto. Era decisamente troppo
permissiva. Non faceva rispettare nessuna regola, io andavo e venivo
a mio piacimento. Potevo restare fuori fino alle due o alle tre di notte e
nessuno diceva niente. Mai avuto il coprifuoco o un intervento di
qualsiasi genere. Mi permetteva persino di farmi di qualcosa in casa.
A sedici anni sniffavo coca e bevevo. La parte più brutta è la rapidità
con cui mi sono rovinata: sono ancora furibonda con mia madre, che
non ha nemmeno tentato di darmi un’impostazione. Mi ha rovinato
molti anni di vita.»
Il gruppo rimase in silenzio, riflettendo su quello che avevano
appena sentito. Infine Jim intervenne: «Accidenti, i genitori possono
avere le migliori intenzioni, ma possono proprio mandare a rotoli la
vita di un ragazzino».
«Però siamo tutti sopravvissuti» protestò Michael. «Siamo cresciuti,
ci siamo sposati, abbiamo messo su famiglia. In un modo o nell’altro,
siamo riusciti a diventare adulti che se la cavano.»
«Può essere vero» disse Joan, la donna che si era riferita alla sua
terapia «ma quanto tempo e quante energie per superare i momenti
brutti.»
«E ci sono cose che non si superano mai» aggiunse Laura. «Ecco
perché sono qui. Mia figlia sta cominciando a mostrare
comportamenti che mi preoccupano, e non voglio ripetere con lei gli
errori che mia madre ha fatto con me.»
Il commento di Laura riportò il gruppo al presente. A poco a poco,
le persone cominciarono a esprimere le loro ansie a proposito dei figli.
«Quello che mi preoccupa è l’atteggiamento di mio figlio in questi
ultimi tempi. Non vuole seguire le regole, da chiunque vengano. È un
ribelle, come ero io a quindici anni. Ma mentre io lo nascondevo, lui lo
fa a viso aperto. Cerca sempre di superare i limiti.»
«Mia figlia ha solo dodici anni, ma ha un disperato bisogno di
essere accettata, specie dai ragazzi. Ho paura che un giorno o l’altro
finisca in una situazione compromettente, solo per l’ansia di essere
popolare.»
«Sono preoccupata per i risultati scolastici di mio figlio. Non si
impegna più. Non so se dipenda dal fatto che si dedica troppo agli
sport o se sia semplicemente pigro.»
«A mio figlio importa soltanto dei suoi nuovi amici e di fare il fico.
Non mi piace che se ne vada in giro con loro, credo che abbiamo una
cattiva influenza su di lui.»
«È come se mia figlia fosse due persone diverse. Fuori casa è un
angelo, dolce, accomodante, educata. Ma a casa… un disastro. Non
appena le dico che non può fare una cosa o avere qualcosa, diventa
odiosa.»
«Proprio come mia figlia. Ma l’unica con la quale diventa odiosa è
la sua nuova matrigna. È una situazione estremamente tesa, specie
quando passiamo tutti insieme il fine settimana.»
«Mi preoccupa tutto il mondo degli adolescenti. Oggigiorno i
ragazzi non sanno che cosa fumano o bevono. Ho sentito fin troppe
storie di feste con tizi che mettono di nascosto delle droghe nel
bicchiere delle ragazze e di appuntamenti che finiscono con uno
stupro!»
L’aria si era fatta pesante per l’ansia collettiva del gruppo.
Karen rise, nervosamente. «Bene, adesso che sappiamo quali sono i
problemi, ci servono delle risposte. Subito!»
«Non esistono soluzioni immediate» risposi. «Non quando si ha a
che fare con gli adolescenti. Potete proteggerli da tutti i pericoli del
mondo d’oggi, o risparmiargli il subbuglio emotivo negli anni più
difficili, o eliminare la cultura di massa che li bombarda di messaggi
malsani. Ma se a casa riuscite a creare un clima nel quale i ragazzi si
sentono liberi di esprimere i loro sentimenti, ci sono buone probabilità
che saranno più disposti ad ascoltare ciò che voi provate. Più disposti
a prendere in considerazione il vostro punto di vista. Più capaci di
accettare i limiti che stabilite. Ed è più probabile che i vostri valori li
proteggano.»
«Intendi dire che c’è ancora speranza!» esclamò Laura. «Non è già
troppo tardi? La settimana scorsa mi sono svegliata in preda a un
tremendo panico. Riuscivo a pensare soltanto che mia figlia non è più
una bimba, e che non c’è modo di tornare indietro. Sono rimasta lì,
paralizzata, pensando a tutti gli errori che ho commesso con lei,
sentendomi depressa e in colpa.
«Poi, una folgorazione. Ehi, non sono ancora morta. Lei non è
ancora uscita di casa. E sarò sempre sua madre. Forse posso imparare
a essere una madre migliore. Per favore, ditemi che non è troppo
tardi.»
«Secondo la mia esperienza» la rassicurai «non è mai troppo tardi
per migliorare la relazione con un ragazzo.»
«Davvero?»
«Davvero.»
Era il momento di cominciare con il primo esercizio.

«Immaginate che io sia un’adolescente!» dissi al gruppo. «Ora vi dirò


alcune cose che ho in mente, chiedendovi di reagire in un modo che
sicuramente allontanerebbe la maggior parte dei ragazzi.
Cominciamo.»

«Non so se voglio andare all’università.»


I miei “genitori” non si fecero pregare:
«Non essere ridicolo. Ovviamente andrai all’università.»
«Questa è la cosa più stupida che abbia mai sentito.»
«Non posso credere che tu abbia detto una cosa del genere. Vuoi
forse spezzare il cuore ai tuoi nonni?»
Tutti scoppiarono a ridere. Io continuai con le mie ansie e le mie
lamentele.

«Perché tocca sempre a me portare fuori la spazzatura?»


«Perché in questa casa non fai niente altro, se non mangiare e
dormire.»
«Ma devi essere sempre tu l’unico che si lamenta?»
«Come mai tuo fratello non mi fa penare quando gli chiedo di
darmi una mano? Me lo spieghi?»

«Oggi è venuto un poliziotto a farci una lunga predica sulle droghe.


Quante fesserie! Non ha fatto altro che spaventarci.»
«Spaventarvi? Sta cercando di cacciarvi un po’ di sale in zucca.»
«Se ti becco a usare droghe, allora sì che avrai motivo di
spaventarti.»
«Sai qual è il problema con voi ragazzi di oggi? Che credete di
sapere tutto. Be’, lascia che te lo dica: avete ancora un sacco di cose da
imparare.»

«Non me ne frega niente se ho la febbre. Non mi perdo quel concerto per


niente al mondo!»
«Questo lo credi tu. Stasera non vai da nessuna parte, se non a
letto.»
«Ma perché dovresti fare una cosa così stupida? Sei ancora malato.»
«Non sarà la fine del mondo, ci saranno altri mille concerti. Guarda,
metti su l’ultimo CD della band, chiudi gli occhi, e fai finta di essere al
concerto.»

Michael sbottò: «Oh, sicuro, questo sì che li fa sballare!».


«In effetti» replicai «nei panni dei vostri figli niente di quello che ho
appena sentito mi farebbe sballare. Avete negato i miei sentimenti,
messo in ridicolo quello che penso, criticato le mie opinioni, e mi avete
dato un consiglio non richiesto. E l’avete fatto con la massima facilità.
Che ne dite?»
«Perché è quello che avevamo in testa» rispose Laura. «È quello che
abbiamo sentito da ragazzi, ci viene spontaneo.»
«Anch’io penso che ai genitori venga spontaneo ignorare i
sentimenti dolorosi o che possono turbare» dissi. «Per noi è dura
ascoltare i nostri ragazzi che esprimono confusione, risentimento,
delusione o scoraggiamento. Non sopportiamo di vederli infelici. E
quindi, con le migliori intenzioni, ignoriamo i loro sentimenti e
imponiamo la nostra logica adulta. Vogliamo mostrargli il modo
“giusto” di sentire. Eppure, è ascoltandoli che possiamo farli sentire
accettati e capiti. È accettando la loro infelicità che possiamo rendergli
più facile superarla.»
«Accidenti!» esclamò Jim. «Se stasera mia moglie fosse qui, direbbe:
“Ecco, è proprio quello che cercavo di spiegarti. Non me ne faccio
niente della logica. Non farmi tante domande. Non dirmi dove ho
sbagliato o che cosa dovrei fare la prossima volta. Ascoltami e basta”!»
«Sapete, mi rendo conto adesso di una cosa» aggiunse Karen. «Io,
in effetti, ascolto quasi sempre. Ascolto tutti, eccetto i miei figli. Se uno
dei miei amici fosse triste e nervoso, non mi verrebbe mai in mente di
dirgli che cosa deve fare. Ma con i miei ragazzi è tutta un’altra
faccenda. Passo all’attacco. Forse perché li ascolto nei panni del
genitore. Da genitore, credo di avere il dovere di sistemare le cose.»
«Ecco la grande sfida» dissi. «Cambiare il nostro pensiero: da
“Come posso sistemare io le cose?” a “Come posso far sì che i miei
figli sistemino le cose da soli?”»
Presi dalla mia valigetta le illustrazioni che avevo preparato per il
nostro primo incontro. «Ecco qua, espressi in fumetti, alcuni dei
principi di base e delle abilità che saranno utili ai nostri ragazzi
quando saranno nei guai o infelici. In ciascun caso vedrete il contrasto
tra il genere di frasi che può aumentare il loro disagio e quello che li
può aiutare ad affrontarlo. Non ci sono garanzie che le nostre parole
possano dare gli stessi risultati positivi illustrati qui, ma almeno non
faranno danni.»

Invece di negare i sentimenti…

La mamma non vuole che Abby si senta triste. Ma negando i sentimenti della figlia, senza
volerlo, la fa sentire peggio.
… identificate i pensieri e i sentimenti

La mamma non può eliminare tutta la tristezza di Abby, ma dando voce ai suoi pensieri e ai
suoi sentimenti aiuta la figlia ad affrontare la realtà e a trovare il coraggio per andare oltre.

Invece di ignorare i sentimenti…


La mamma ha le migliori intenzioni. Vuole che suo figlio vada bene a scuola.
Ma criticando il suo comportamento, negando la sua preoccupazione e dicendogli che cosa
deve fare gli rende più difficile fargli capire da solo che cosa deve fare.

… riconoscete i sentimenti con una parola o un monosillabo («Oh…


mmm… capisco»)
Le risposte minimaliste ed empatiche della mamma aiutano il figlio a sentirsi compreso e gli
danno modo di concentrarsi su quello che deve fare.

Invece di logica e spiegazioni…


Quando il papà risponde alle richieste irragionevoli della figlia con una spiegazione
ragionevole, la ragazza si sente ancora più frustrata.

… dategli nella fantasia quello che non potete dargli nella realtà
Dando alla figlia ciò che desidera nella fantasia, il papà le rende un po’ più facile accettare
la realtà.

Invece di andare contro il buonsenso…


Per far felice il figlio ed evitare uno scontro, la mamma ignora il buonsenso e prende la via
più facile.

… accettate i sentimenti, incanalando il comportamento


inaccettabile nella giusta direzione
Mostrando empatia per la situazione difficile del figlio, la mamma gli rende un po’ più
facile accettare le limitazioni che lei non ha intenzione di cambiare.

I commenti iniziarono ancora prima che tutti avessero finito di


leggere i fumetti.
«Devi essere passata da casa mia! Tutto quello che non si dovrebbe
dire sembra uscito dalla mia bocca!»
«Mi disturba il lieto fine di tutte queste situazioni. I miei figli non
cedono e non smettono così facilmente.»
«Ma qui non si tratta di ragazzi che smettono o cedono. Si tratta di
cercare di ascoltare davvero quello che stanno provando.»
«Sì, ma per farlo, devi ascoltare in maniera differente.»
«E parlare in maniera differente. È come imparare un linguaggio
del tutto nuovo.»
«E abituarsi a usare con disinvoltura un linguaggio nuovo in modo
da farlo tuo richiede esercizio» dissi. «Cominciamo subito. Io farò di
nuovo la parte di vostro figlio adolescente. Esprimerò le stesse
preoccupazioni, ma questa volta voi, mamme a papà, reagirete
utilizzando una qualsiasi delle abilità che avete appena visto
illustrate.»
Immediatamente tutti iniziarono a sfogliare le pagine dei fumetti.
Diedi loro qualche istante prima di partire con la mia sfilza di
lamentele. Alcune repliche giunsero rapidamente; altre richiesero del
tempo. Cominciavano, si fermavano, ci riprovavano, fino a trovare
finalmente le parole che ritenevano adatte.

«Non so se voglio andare all’università.»


«Mi sembra che tu abbia dei seri dubbi in proposito.»
«Ti stai chiedendo se l’università sia la scelta giusta per te.»
«Sai che cosa sarebbe fico? Poter guardare nella sfera di cristallo e
capire come sarebbe la tua vita se tu non andassi all’università… o se
tu ci andassi.»

«Perché tocca sempre a me portare fuori la spazzatura?»


«Accidenti, ti secca proprio.»
«Non è la tua attività preferita. Domani parleremo dei turni nelle
faccende domestiche. Per ora ho bisogno del tuo aiuto.»
«Ma non sarebbe grandioso se la spazzatura uscisse di casa da
sola?»

«Oggi è venuto un poliziotto a farci una lunga predica sulle droghe.


Quante fesserie! Non ha fatto altro che spaventarci.»
«Secondo te ha esagerato… cercando di spaventare i ragazzi per
farli stare alla larga dalle droghe.»
«Queste tattiche estreme sono respingenti.»
«Forse preferiresti che i ragazzi ricevessero dagli adulti le
informazioni nude e crude, lasciando che siano loro a prendere
decisioni responsabili.»

«Non me ne frega niente se ho la febbre. Non mi perdo quel concerto per


niente al mondo!»
«Ma che razza di scarogna stare male, e proprio oggi! Sono
settimane che aspetti questo concerto.»
«Lo so, ormai eri convintissimo di andare. Il problema è che con la
febbre a trentotto devi stare a letto.»
«Anche se sai che ci saranno mille altri concerti, certamente vorresti
non dover perdere proprio questo.»

Quando, infine, l’esercizio terminò, tutti sembravano compiaciuti.


«Secondo me sto cominciando a capire» esclamò Laura. «L’idea è
cercare di esprimere a parole quello che, secondo te, il ragazzo sta
pensando, ma trattenerti su ciò che tu stai provando.»
«Su questo avrei un’obiezione da fare» intervenne Jim. «Quand’è
che posso parlare dei miei sentimenti, dire ciò che io voglio dire? Per
esempio, “Fare le faccende domestiche è un contribuito alla vita
familiare”; “Drogarsi è da scemi; ti può rovinare la vita”.»
«Esatto» concordò Michael «dopotutto, noi siamo i genitori.
Quando possiamo finalmente parlare di ciò in cui noi crediamo e di
quali sono i nostri valori?»
«Ci sarà sempre il tempo per far giungere il vostro messaggio» dissi
«ma avete molte più probabilità di essere ascoltati se cominciate
facendo capire ai vostri figli che li ascoltate. Anche se non ci sono
garanzie. Potrebbero accusarvi di non capire, di essere irragionevoli o
vecchio stampo. Ma non commettete errori. Anche se vi lanceranno
frecciatine e protesteranno, i ragazzi vogliono sapere esattamente qual
è la vostra posizione. I vostri valori e ciò in cui credete svolgono un
ruolo fondamentale nel determinare le loro scelte.»
Respirai a fondo. Quella sera avevamo fatto molta strada. Per i
genitori era il momento di tornare a casa e mettere alla prova ciò che
avevano imparato. Fino a quel momento si erano basati soltanto sulla
forza delle mie convinzioni. Solo mettendo in atto le abilità con i loro
figli e osservando in prima persona i risultati avrebbero potuto
sviluppare le loro convinzioni.
«Ci vediamo la settimana prossima» dissi. «Non vedo l’ora di
conoscere le vostre esperienze.»

I racconti
Non sapevo quali sarebbero stati i risultati del primo incontro. Una
cosa è cercare di applicare nuovi principi a problemi ipotetici quando
si è seduti tranquillamente con altri genitori, nel corso di un
seminario. È tutt’altra cosa quando sei solo a casa, alle prese con
ragazzi in carne e ossa e problemi reali. Eppure, molti di quei genitori
l’avevano fatto.
Ecco di seguito, con pochissime modifiche, un saggio delle loro
esperienze. (Noterete che la maggior parte delle vicende è raccontata
dalle stesse persone che avevano partecipato attivamente alla classe.
Tuttavia, alcune sono di genitori che si univano di rado alla
discussione ma che volevano comunque condividere, scrivendolo, in
che modo le loro nuove capacità avevano influenzato la relazione con
i figli adolescenti.)

JOAN
Mia figlia Rachel ultimamente sembrava molto depressa. Ma ogni
volta che le chiedevo di dirmi quale fosse il problema, lei rispondeva:
«Niente». Allora replicavo: «Ma come posso aiutarti se non mi
racconti niente?». E lei: «Non ne voglio parlare». E io: «Forse se tu ne
parlassi ti sentiresti meglio». A quel punto mi lanciava un’occhiata e la
faccenda terminava lì.
Ma dopo la nostra discussione in classe della settimana scorsa ho
deciso di provare il “nuovo approccio”. Così le ho detto: «Rachel,
ultimamente sembri così infelice. Qualsiasi sia il problema, è qualcosa
che ti fa stare veramente male».
Be’, le lacrime hanno cominciato a scorrerle lungo le guance, e a
poco a poco è venuta fuori tutta la faccenda. Le due ragazze che sono
state sue amiche per tutte le elementari e le medie adesso sono entrate
a far parte del gruppo delle “popolari”, e la stavano escludendo. Non
le tenevano più il posto in mensa, come facevano prima, e non la
invitavano alle loro feste. Quando la incontravano nell’atrio della
scuola la salutavano a malapena. E lei era più che sicura che una delle
due avesse mandato una email ad altri ragazzi a proposito dei vestiti
“sfigati” che porta, che la fanno sembrare grassa e che non sono
nemmeno firmati.
Ero sconvolta. Avevo sentito dire che a scuola succedevano cose di
quel genere, e sapevo quanto possono essere crudeli certe ragazze, ma
non avrei mai immaginato che potesse capitare a mia figlia.
Avrei voluto solo alleviare il suo dolore, dirle di infischiarsene di
quelle ragazze, cattive, maligne. Che si sarebbe fatta altre amiche.
Amiche migliori. Amiche che l’avrebbero apprezzata per la ragazza
fantastica che è. Ma non le ho detto niente del genere. Invece le ho
parlato soltanto dei suoi sentimenti. «Oh, tesoro, che brutta cosa.
Scoprire che delle persone di cui ti fidavi e che ritenevi amiche non
sono davvero tali, be’, può far molto male.»
«Come hanno potuto essere così cattive!» ha detto, continuando a
piangere. Poi mi ha raccontato di un’altra ragazza della loro classe che
le due stavano insultando on line, dicendo che sudava da schifo e
puzzava di pipì.
Non riuscivo quasi a credere a quello che sentivo. Ho detto a
Rachel che quel genere di comportamento dice tutto su che genere di
persone siano, e niente su chiunque altro. Evidentemente l’unico
modo che quelle ragazze conoscono per sentirsi speciali, parte del
gruppo “in”, consiste nell’essere certe che tutti gli altri ne restino
fuori.
Lei ha annuito, e poi ne abbiamo parlato a lungo: delle amiche
“vere” e di quelle “false”, e di come distinguerle. Dopo un po’ mi sono
accorta che stava cominciando a sentirsi un po’ meglio.
Ma non potevo dire lo stesso di me. Così il giorno seguente, dopo
che Rachel è andata a scuola, ho contattato l’insegnante
rappresentante di classe, le ho spiegato che la telefonata era
confidenziale, ma che secondo me doveva sapere quello stava
succedendo.
Non avevo idea di quale risposta avrei ottenuto, ma lei è stata
grande. Ha detto di essere molto lieta della mia chiamata, perché
ultimamente ha sentito sempre più episodi di quello che ha definito
“cyberbullismo”, e che aveva intenzione di discutere del problema con
gli altri insegnanti, per trovare un modo per aiutare gli studenti a
comprendere quanto potessero essere pericolosi gli abusi e le molestie
on line.
Al termine della conversazione mi sono sentita decisamente meglio.
Anzi, mi sono ritrovata a pensare: “Chi lo sa? Forse da tutto questo ne
uscirà qualcosa di buono”.

JIM
Mio figlio maggiore ha un lavoretto part-time in un fast food. Sabato
scorso, quando è tornato a casa dal lavoro, ha sbattuto lo zaino sul
tavolo e ha cominciato a lanciare insulti sul suo capo. Una parola su
due che gli usciva di bocca cominciava con una c o con una v.
È venuto fuori che quando il capo gli aveva chiesto se era disposto
a fare delle ore di straordinario nel weekend, mio figlio gli aveva
risposto: «Forse». Ma quando, il sabato mattina, stava per dirgli che le
avrebbe fatte di sicuro, il “bastardo” (per citare mio figlio) le aveva già
affidate a qualcun altro.
Be’, quel ragazzino è stato fortunato perché non mi sono lasciato
scappare quello che avrei voluto dirgli veramente: “Ma perché ti
sorprendi? Che cosa ti aspettavi? E cresci! Come credi che si possa
gestire un’impresa se un impiegato ti dice che ‘forse’ lavorerà? ‘Forse’
non vuol dire niente”.
Invece mi sono guardato dallo strapazzarlo per bene. E (per questa
volta) non ho nemmeno accennato alle parolacce. Mi sono limitato a
dire: «Quindi secondo te non gli dovevi dare immediatamente una
risposta definitiva». Lui ha risposto: «No, ci dovevo pensare su!».
«Uh uh.»
E lui: «Ho una vita da vivere oltre al lavoro, sai?».
Io ho pensato: “Questa faccenda non funzionerà mai”.
Poi, in modo del tutto inaspettato, lui ha aggiunto: «Probabilmente
ho fatto una cavolata. Avrei dovuto chiamarlo appena arrivato a casa,
e non lasciarlo lì nell’incertezza».
Che ne dite? Gli ho mostrato un po’ di comprensione, e lui ha
confessato quello che avrebbe dovuto fare fin dal principio!

LAURA
Qualche giorno dopo il nostro seminario ho portato mia figlia a
comprare dei jeans. Grave errore. Niente di ciò che provava era
“giusto”. Non era del taglio giusto, o del colore giusto, o della marca
giusta. Finalmente ne ha trovato un paio che le piaceva: un modello a
vita bassa, strizzatissimo, che riusciva a malapena a chiudere e che le
sottolineava ogni dettaglio del sedere.
Non ho detto una parola. L’ho lasciata nel camerino di prova e sono
andata a prendere una taglia in più. Quando sono tornata, lei si stava
ancora ammirando allo specchio. Ha dato un’occhiata ai pantaloni che
le porgevo e si è messa a strillare: «Non li provo nemmeno! Vuoi che
sembri una sfigata! Solo perché tu sei cicciona, credi che tutti debbano
portare roba larga. Be’, non intendo nascondere il mio corpo come fai
tu».
Ero così ferita, così arrabbiata, che sono andata molto vicino a dirle
che era solo una piccola stronza. Ma non l’ho fatto. Le ho detto: «Ti
aspetto fuori». Era il massimo che potessi fare.
«E i miei jeans?» ha chiesto lei.
«Ti aspetto fuori» le ho ripetuto, lasciandola nel camerino.
Quando, finalmente, è uscita, l’ultima cosa che mi andava di fare
era “riconoscere i suoi sentimenti”, ma comunque l’ho fatto. «So che
quei jeans ti piacevano. E so che sei arrabbiata perché io non ti ho
permesso di comprarli.» Poi le ho spiegato come mi sentivo io.
«Quando mi parlano come hai fatto tu, qualcosa dentro di me si
chiude a riccio. Non ho più voglia di fare shopping o di essere gentile
e non mi va nemmeno di parlare.»
Tornando a casa nessuna di noi ha detto una parola. Ma appena
prima di entrare lei ha borbottato: «Scusa».
Come scuse non erano un granché, ma sono stata comunque felice
di sentirle. E sono stata felice anche di non averle rivolto parole per le
quali poi avrei dovuto chiedere scusa.

LINDA
Non so se il rapporto con mio figlio sia migliorato, ma secondo me sto
facendo dei progressi con i suoi amici. Sono due gemelli di tredici
anni, Nick e Justin, entrambi molto brillanti, ma scatenati. Fumano (e
ho il sospetto che non si tratti soltanto di sigarette), fanno l’autostop, e
una volta che i genitori li hanno messi in punizione sono scappati
dalla finestra della loro camera da letto e sono andati al centro
commerciale.
Mio figlio è lusingato dall’interesse che provano per lui, ma io sono
preoccupata. E anche se lui lo nega, sono sicura che fa l’autostop con
loro. Fosse per me, gli proibirei di vederli al di fuori della scuola. Ma
secondo mio marito non farei che peggiorare la situazione, perché lui
troverebbe comunque la maniera di incontrarli e poi racconterebbe
delle bugie.
Quindi nei mesi scorsi la nostra strategia è consistita nell’invitare i
gemelli a cena ogni sabato. Insomma, se stanno a casa nostra,
possiamo tenerli tutti d’occhio e accompagnarli dove vogliono andare.
Almeno per una sera siamo sicuri che non stanno in un incrocio male
illuminato con i pollici in fuori, in attesa di qualche sconosciuto in
auto che li tiri su.
Comunque, il risultato di tutta questa fatica è che fino a ora non
siamo mai riusciti a intavolare una conversazione con nessuno dei
gemelli. Ma dopo il seminario della settimana scorsa abbiamo fatto
qualche passo avanti.
I due stavano insultando alla grande l’insegnante di scienze,
definendolo uno stupido rompiscatole. Normalmente avremmo difeso
l’insegnante. Ma non questa volta. Questa volta abbiamo cercato di
riconoscere quello che i gemelli sentivano per lui. Mio marito ha detto:
«Ecco un insegnante che proprio non vi va giù». E loro hanno
continuato, aggiungendo: «È una tale barba. E poi ti urla sempre
addosso senza motivo. E se ti interroga e non sai la risposta, ti umilia
davanti a tutti».
Ho detto: «Nick, scommetto che se tu e Justin foste degli insegnanti,
non urlereste ai ragazzi, e non li umiliereste solo perché non sanno
una risposta».
Ed entrambi hanno risposto, quasi contemporaneamente: «Esatto!».
Mio marito ha aggiunto: «E nessuno di voi due sarebbe una barba. I
ragazzi sarebbero fortunati ad avervi come insegnanti».
Si sono guardati e sono scoppiati a ridere. Mio figlio stava lì, a
bocca aperta. Non poteva credere che i suoi amici così “fichi” stessero
proprio conversando con i suoi genitori, decisamente “non-fichi”.

KAREN
Ieri sera Stacey e io stavamo sfogliando un vecchio album di
fotografie. Le ho indicato una foto di lei sulla bici, a circa sei anni, e ho
detto: «Ma guarda quanto eri carina!».
«Già» ha risposto «allora.»
«Ma che cosa vuol dire allora?» ho replicato.
«Adesso non sono così bella.»
«Ma non essere sciocca. Stai benissimo.»
«No, non è vero. Sono goffa e sgraziata. Ho i capelli troppo corti, le
tette troppo piccole, e il sedere troppo grosso.»
Mi dà sui nervi quando parla di sé a questo modo. Mi ricorda le
mie insicurezze quando avevo la sua età; mia madre mi stava sempre
addosso con consigli su come migliorarmi: «Non stare tutta curva…
Tieni le spalle dritte… Fai qualcosa per i capelli… Mettiti un po’ di
trucco. Sembri uno spaventapasseri!».
Così ieri, quando Stacey ha cominciato a farsi a brandelli, il mio
primo istinto è stato di rassicurarla: «Non c’è assolutamente niente che
non vada nel tuo sedere, i capelli cresceranno, e anche il tuo seno. E se
non accadesse, potrai sempre usare un reggiseno imbottito».
Ecco, questo è il genere di cose che avrei detto. Ma stavolta ho
pensato: “Okay, accetterò i suoi sentimenti”. Le ho messo un braccio
attorno alle spalle, dicendo: «Non mi sembri del tutto soddisfatta del
tuo aspetto… Sai che cosa vorrei? Vorrei che la prossima volta che ti
troverai davanti a uno specchio potessi vedere quello che vedo io».
D’un tratto è sembrata interessata. «Che cosa vedi?»
Le ho detto la verità. «Vedo una ragazza bella, dentro e fuori.»
«Oh, ma tu sei mai madre» ha replicato, andandosene.
Un minuto dopo l’ho vista mettersi in posa davanti allo specchio a
figura intera dell’ingresso. Teneva una mano sul fianco e sì, sorrideva
a se stessa.

MICHAEL
Ricordate? Avevo accennato all’atteggiamento negativo di mio figlio
verso la scuola. Bene, la mattina dopo il nostro seminario è sceso a fare
colazione con il consueto malumore. Andava avanti e indietro in
cucina, lamentandosi di essere sotto pressione. Deve fare due
importanti verifiche (spagnolo e geometria). Tutte e due lo stesso
giorno.
Stavo per dirgli quello che gli dico sempre quando va avanti a quel
modo: «Se tu facessi i compiti e studiassi come dovresti, non ti
preoccuperesti per le verifiche». Ma mia moglie mi ha dato una
gomitata e mi ha scoccato un’occhiataccia, così mi è venuta in mente
quella faccenda della fantasia. Gli ho detto: «Ma non sarebbe
grandioso se a un tratto ci fosse un annuncio alla radio: “Oggi neve!
Prevista grande bufera. Chiuse le scuole di ogni ordine e grado”».
Questo lo ha colto di sorpresa. Ha sorriso, e allora ho messo il
turbo. «E sai che cosa sarebbe davvero grandioso? Se tutti i giorni in
cui hai una verifica si trasformasse in un giorno di neve».
Ha fatto una mezza risatina e ha detto: «Sì… magari!». E quando è
uscito per andare a scuola, il suo umore era migliorato.

STEVEN
Mi sono risposato da più di un anno e Amy, mia figlia di quattordici
anni, non ha mai sopportato la mia nuova moglie. Ogni volta che vado
a prenderla a casa della madre per trascorrere il weekend con Carol e
me, è la stessa storia. Non appena sale in macchina trova qualcosa da
ridire su Carol.
Qualsiasi cosa io le dica, sembra che non faccia la minima
differenza. Le faccio notare che è molto ingiusta con Carol, che non le
dà mai una possibilità, che Carol si è data un gran daffare per esserle
amica. Ma più parlo, più lei cerca di dimostrarmi che ho torto.
Per fortuna la scorsa settimana sono venuto al seminario, perché la
domenica dopo, quando sono andato a prenderla, Amy ha
ricominciato subito: «Odio venire a casa tua. Carol è sempre tra i
piedi. Ma perché l’hai sposata?».
Non potevo gestire questa situazione e continuare a guidare, così
ho accostato e ho spento il motore. L’unica cosa che riuscivo a pensare
era: “Stai calmo. Non discutere con lei. Non provare nemmeno a
ragionarci. Questa volta limitati ad ascoltarla. Lascia che si sfoghi”.
Così le ho detto: «Okay, Amy a quanto pare stai provando dei
sentimenti molto forti. C’è dell’altro?».
«Non vuoi sentire quello che devo dire. Non lo fai mai» ha risposto.
«Adesso ti sto ascoltando. Perché è evidente che sei molto
arrabbiata e infelice.»
Bene, è bastato questo per far emergere un lungo elenco di
lamentele: «Lei non è dolce quanto credi tu… è un po’ ipocrita… a lei
interessi soltanto tu… finge solo che io le piaccia».
Non ho mai preso le parti di Carol, o cercato di convincere Amy
che si sbagliava. Mi sono limitato ad annuire e ad ascoltare.
Infine, ha fatto un sospirone, dicendo: «Oh, ma tanto a cosa serve».
«Invece serve. Perché per me è importante sapere quello che provi.»
Mi ha guardato, con le lacrime agli occhi. «Vuoi sapere un’altra cosa?»
ho aggiunto. «Nei weekend dobbiamo fare in modo di passare un po’
più di tempo insieme, noi due soli.»
«E Carol?» ha chiesto. «Non si arrabbierà?»
«Carol capirà.»
Comunque, più tardi Amy e io abbiamo portato il cane a fare una
lunga passeggiata al parco. Be’, non posso dimostrare che le due cose
siano collegate, ma quel fine settimana è stato il migliore che Carol,
Amy e io abbiamo mai passato insieme.
Un rapido ripasso...

Riconoscete i sentimenti dei vostri figli

RAGAZZA Oh no! E adesso che cosa faccio? Avevo detto ai Gordon che gli
avrei fatto da baby-sitter sabato, ma Lisa mi ha invitato a restare a
dormire da lei!
GENITORE Ecco che cosa dovresti fare…

Invece di ignorare i sentimenti di vostro figlio e di dargli dei consigli:

identificate pensieri e sentimenti: «È come se tu fossi presa tra due


fuochi. Vuoi andare da Lisa, ma non vuoi deludere i Gordon»;
riconoscete i sentimenti con una espressione o un monosillabo:
«Mmm!»;
date nella fantasia ciò che non potete dare nella realtà: «Non sarebbe
fantastico che tu potessi clonarti? Una copia di te potrebbe fare da
babysitter e l’altra andare a dormire dall’amica»;
accettate i sentimenti, mentre lo portate a comportarsi nel modo giusto:
«È evidente che preferiresti di gran lunga andare da Lisa. Il problema è
che hai dato ai Gordon la tua parola. Contano su di te».
2
E continuiamo a “controllare”

Ero ansiosa di iniziare l’incontro di quella sera.


Al termine della nostra ultima sessione, Jim mi aveva presa da
parte per esprimere la sua frustrazione: non riusciva a far sì che i suoi
figli adolescenti facessero quello che lui voleva e quando lui voleva.
Non potevo negare la difficoltà e gli avevo detto che, se avesse potuto
partecipare per un’altra settimana, avrei approfondito l’argomento.
Non appena tutti arrivarono, scrissi sulla lavagna l’argomento della
serata:

ABILITÀ CHE FAVORISCONO LA COLLABORAZIONE

«Cominciamo dall’ABC » dissi. «Quando i nostri ragazzi erano


piccoli, spendevamo la maggior parte del tempo che trascorrevamo
con loro a “controllare”. Controllavamo che si lavassero le mani, si
lavassero i denti, mangiassero la verdura, andassero a letto all’ora
stabilita, si ricordassero di dire per favore e grazie.
«Controllavamo anche che non facessero certe cose, come correre in
strada, arrampicarsi sul tavolo, lanciare la sabbia, picchiare, sputare o
mordere.
«Ci aspettavamo che, una volta arrivati all’adolescenza, avessero
imparato buona parte di queste lezioni. Ma, con nostra massima
frustrazione ed esasperazione, ci siamo ritrovati ancora a
“controllare”.
«Certo, i nostri ragazzi non mordono più e non si arrampicano più
sul tavolo, ma quasi tutti hanno bisogno che qualcuno gli ricordi di
fare i compiti, dare una mano in casa, mangiare cibi sani, fare
regolarmente il bagno, dormire a sufficienza e alzarsi per tempo. E
continuiamo a controllare che non facciano certe cose. “Non pulirti la
bocca con la manica” … “Non buttare i vestiti per terra“ … “Non stare
tutto il giorno al telefono”… “Non usare quel tono con me!”
«Ogni famiglia è diversa. Ogni genitore è diverso. Ogni ragazzo è
diverso. Quali sono le cose che, secondo voi, dovete “controllare” che
vostro figlio faccia o non faccia durante la giornata? Cominciamo dal
mattino.»
Senza un attimo di esitazione, i partecipanti all’incontro
cominciarono a elencare:

«controllo che non si riaddormenti dopo che la sveglia ha


suonato»;
«che non salti la colazione»;
«che non metta gli stessi vestiti per tre giorni di fila»;
«che non monopolizzi il bagno così che nessuno possa usarlo»;
«che non arrivi tardi alla prima ora perché ha perso di nuovo
l’autobus»;
«che non attacchi briga con sua sorella»;
«che non si scordi le chiavi e i soldi per la merenda».

«E nel pomeriggio?» chiesi. «Qual è il vostro elenco di “controlli”?»:

«chiamami al lavoro non appena arrivi a casa»;


«porta fuori il cane»;
comincia a fare i compiti»;
«non mangiare schifezze»;
«non portare a casa amici del sesso opposto quando io non ci
sono»;
«non scordarti di fare gli esercizi (di violino, di sassofono...)»;
«non uscire di casa senza dirmi dove vai»;
«non tormentare tua sorella».

«Adesso è sera» dissi. «Allora, quali sono gli ordini e i divieti per i
vostri ragazzi?» Dopo un attimo di riflessione arrivarono le risposte:

«non rintanarti in camera tua. Stai un po’ in famiglia»;


«non tamburellare sul tavolo»;
«non dondolarti sulla sedia»;
«non stare al telefono tutta la sera. Finisci i compiti»;
«non stare al computer tutta la sera. Finisci i compiti»;
«per una volta, prova a dire sì quando ti chiedo di fare una cosa»;
«per una volta, rispondimi quando ti chiedo che cosa c’è che non
va»;
«non consumare tutta l’acqua calda quando fai la doccia»;
«non dimenticarti di mettere l’apparecchio per i denti prima di
andare a letto»;
«non stare alzato fino a tardi. Domani mattina sarai uno straccio».

«Sono uno straccio solo per aver ascoltato questi elenchi»


commentò Laura. «Non mi stupisce di ritrovarmi esausta alla fine
della giornata.»
«E non finisce mai» aggiunse un’altra mamma, Gail. «Sto sempre
dietro ai miei figli: a spronarli, a spingerli, a incoraggiarli a fare questo
e quest’altro. E dopo il divorzio la situazione è peggiorata. A volte mi
sembra di essere un sergente istruttore.»
«Io ho un’altra spiegazione» disse Michael. «Credo che tu sia una
mamma responsabile. Fai il tuo lavoro, quello che un genitore
dovrebbe fare.»
«E allora come mai i miei figli non fanno quello che dovrebbero
fare?» chiese Gail, mestamente.
«Mia figlia crede che il suo dovere sia far vedere i sorci verdi a sua
madre» disse Laura. «Discute con me per ogni più piccola cosa. Per
esempio, le dico: “Per favore, porta i tuoi vestiti sporchi fuori dalla tua
stanza”, e lei risponde: “Piantala di controllarmi. Mi stai sempre
addosso”.»
Dal gruppo si levarono mormorii di comprensione.
«Dunque» intervenni «con gli adolescenti a volte anche la richiesta
più semplice e ragionevole può scatenare una breve discussione o una
lunga battaglia. Per capire meglio il punto di vista dei nostri ragazzi,
proviamo a metterci nei loro panni. Vediamo come reagiremmo ad
alcuni metodi tipici usati per far sì che gli adolescenti facciano quello
che noi desideriamo. Immaginiamo che io sia uno dei vostri genitori.
Mentre mi ascoltate con le vostre “orecchie adolescenti”, vi prego di
cercare di esprimere la vostra reazione immediata, viscerale, senza
censure.»
Ecco alcuni dei diversi approcci che portai a esempio e il modo in
cui reagirono i miei “ragazzi”.

– Rimproverare e accusare
«L’hai fatto di nuovo! Hai messo l’olio nella padella, hai alzato la
fiamma al massimo, e te ne sei andato via. Ma te ne rendi conto o no?
Avresti potuto dar fuoco alla casa!»
«Piantala di urlare con me.»
«Non sono stato via tanto.»
«Dovevo andare in bagno.»

– Insultare
«Ma come hai potuto dimenticarti di mettere il lucchetto alla bici
nuova? È proprio da stupidi. Non mi sorprende che l’abbiano rubata.
Non posso credere che tu sia così irresponsabile.»
«Sono stupido.»
«Sono irresponsabile.»
«Non faccio mai niente di giusto.»

– Minacciare
«Se tu non credi che sia abbastanza importante fare il tuo dovere in
casa, allora io credo che non sia abbastanza importante darti la
paghetta.»
«Stronza!»
«Ti odio.»
«Non vedo l’ora di andarmene da questa casa.»

– Ordinare
«Voglio che tu spenga la tele e ti metta a fare i compiti. Piantala di
cincischiare. Fallo subito!»
«Adesso non mi va di farlo.»
«Smettila di seccarmi.»
«Farò i compiti quando ne avrò voglia.»

– Fare prediche e ostentare del moralismo


«C’è una faccenda della quale dobbiamo parlare. I tuoi rutti a tavola.
A te possono sembrare uno scherzo, ma in effetti sono solo un segno
di maleducazione. E che ci piaccia o no, gli altri ci giudicano dalla
nostra educazione. Quindi se devi ruttare, almeno copriti la mano con
il tovagliolo e di’: “Chiedo scusa”.»
«Che hai detto? Ho smesso di ascoltare un milione di anni fa.»
«Ho voglia di ruttare.»
«Che superficialità. Le buone maniere possono essere importanti
per te, ma non per me.»

– Avvertire
«Ti avverto: se cominci a uscire con quella gentaglia, ti troverai in
grossi guai.»
«Non sai un accidente dei miei amici.»
«E che cosa hanno di così fantastico i tuoi amici? »
«Non me ne frega niente di quello che dici. So quello che faccio.»

– Fare il martire
«Ti chiedo solo di fare una piccola cosa per me, ma per te è troppo.
Non riesco a capire. Lavoro sodo per darti tutto quello che ti serve, ed
ecco il ringraziamento che ottengo.»
«Okay, è vero, sono un ragazzo viziato.»
«Colpa tua se sono così. Sei stato tu a rovinarmi.»
«Mi sento molto in colpa.»

– Fare paragoni
«C’è un motivo se tutti cercano tua sorella al telefono. Forse se ti
sforzassi di essere cordiale e aperta agli altri come lei anche tu avresti
tanti amici.»
«Quella è una grande ipocrita.»
«Odio mia sorella.»
«Lei è sempre stata la tua preferita.»
– Fare del sarcasmo
«Dunque, hai intenzione di andare dall’allenamento di basket alla
discoteca senza fare la doccia. Bene, avrai un profumo meraviglioso!
Le ragazze faranno la fila per starti vicino.»
«Ah ah… credi di essere mooolto spiritoso.»
«Anche tu non hai un gran buon odore.»
«Perché non parli chiaro? »

– Fare profezie
«Non fai altro che accusare gli altri per i tuoi problemi. Non te ne
assumi mai la responsabilità. Ti posso garantire che, se continui così, i
tuoi problemi non faranno che peggiorare, e non dovrai incolpare altri
che te stesso.»
«Evidentemente sono solo un perdente.»
«Non ho speranza.»
«Sono fottuto.»

«Basta! Mi sta venendo un attacco di senso di colpa!» esclamò


Laura. «Tutto questo assomiglia moltissimo alle frasi che dico a mia
figlia. Ma adesso, ascoltandole come se fossi io una ragazzina, ho
odiato ogni parola. Tutto quello che ho ascoltato mi ha fatto sentire
molto delusa di me stessa.»
Jim sembrava depresso.
«Che cosa stai pensando?» gli chiesi.
«Sto pensando che molto di quanto hai espresso mi risultava
dolorosamente familiare. Come dicevo la settimana scorsa, mio padre
non esitava mai, quando si trattava di umiliarmi. Io cerco di essere
diverso con i miei ragazzi, ma a volte sento le sue parole uscirmi
involontariamente di bocca.»
«Esatto! A volte ho l’impressione di starmi trasformando in mia
madre» disse Karen. «E avevo giurato che non l’avrei mai fatto.»
«Okay, allora adesso sappiamo che cosa non dire» intervenne Gail.
«Quando impariamo quello che possiamo dire?»
«Subito» risposi, mostrando loro le illustrazioni che avevo
preparato. «Ma prima che ve le distribuisca, vi prego di tenere sempre
presente che nessuna delle abilità comunicative che vedrete funziona
sempre e comunque. Non esistono parole magiche adatte a ogni
ragazzo, in ogni situazione. Ecco perché è importante conoscere bene
e applicare diversi tipi di abilità. Tuttavia, mentre date un’occhiata a
questi fogli, vedrete che il principio che sta alla base degli esempi è il
rispetto. L’atteggiamento rispettoso e il linguaggio rispettoso fanno sì
che gli adolescenti ci ascoltino e collaborino.»

Invece di dare degli ordini…


Spesso gli ordini danno luogo a risentimento e resistenza.

… descrivete il problema
Descrivendo il problema, invitiamo i nostri figli a diventare parte della soluzione.

Invece di aggredire…
Quando siamo arrabbiati, a volte investiamo i nostri figli con parole che li aggrediscono o li
umiliano. Risultato? Loro si chiudono a riccio o contrattaccano.

… descrivete quello che provate


Quando descriviamo quello che sentiamo, per i ragazzi è più facile ascoltarci e reagire
mostrandosi disponibili.

Invece di rimproverare…
Quando i ragazzi vengono accusati, di solito si mettono sulle difensive.

… fornite delle informazioni


Quando ricevono informazioni in modo semplice e rispettoso, è più probabile che i ragazzi
si assumano la responsabilità per ciò che si deve fare.

Invece di minacce e ordini…


Molti teenager reagiscono alle minacce con un atteggiamento di sfida o obbedendo di
malavoglia.

… proponete una scelta


Le nostre probabilità di ottenere la loro collaborazione migliorano se possiamo proporre una
scelta che soddisfi le nostre e le loro necessità.

Invece di una lunga predica…


Gli adolescenti tendono a non ascoltare le lunghe prediche.

… ditelo con una parola


Rammentare quello che va fatto con una breve frase concentra la loro attenzione, ed è più
probabile che li spinga a collaborare.

Invece di puntare il dito su quello che non va…


Di solito gli adolescenti reagiscono alle critiche difendendo il loro comportamento.

… affermate i vostri valori e/o le vostre aspettative


Quando i genitori affermano le loro aspettative, in modo chiaro e rispettoso, è più probabile
che i ragazzi ascoltino e cerchino di essere all’altezza.

Invece di lavate di capo furibonde…


Gli adolescenti possono essere particolarmente sensibili alla disapprovazione dei genitori.

… fate qualcosa di inaspettato


Sostituendo alle critiche l’umorismo, cambia lo stato emotivo e si favorisce lo spirito giocoso
di tutti.

Invece di assillare…
Alcuni adolescenti non reagiscono con prontezza a un invito razionale.

… mettetelo per iscritto


Spesso le parole scritte possono riuscire là dove quelle dette non arrivano.

I commenti arrivarono copiosi mentre i partecipanti all’incontro


sfogliavano le pagine e osservavano i disegni.
«Ma questo non vale soltanto per i ragazzi. Non mi dispiacerebbe
se mio marito usasse un po’ di questa roba su di me.»
«Su di te?»
«Okay, con me. Per me. Il fatto è che probabilmente migliorerebbe
un bel po’ di matrimoni.»
«Scommetto che ci sono persone che di fronte a queste abilità
direbbero: “Ma non sono una novità. È soltanto normale buonsenso”.»
«Ma non è così. In quel caso non ci troveremmo qui, stasera.»
«Non mi ricorderò mai tutte queste cose. Incollerò questi fogli
dentro al mio armadio.»
Un padre che partecipava per la prima volta al gruppo e che non
era mai intervenuto alzò la mano. «Ciao, sono Tony, e so che
probabilmente dovrei tenere la bocca chiusa perché non c’ero la
settimana scorsa. Ma per me questi esempi dimostrano solamente
come gestire situazioni normali, quotidiane: uno zainetto sporco, una
maglietta strappata, la maleducazione a tavola. Io stasera sono venuto
perché credevo di scoprire come gestire il genere di cose che i ragazzi
fanno e che spaventa a morte i genitori, come fumare, bere, fare sesso,
drogarsi.»
«Sono preoccupazioni enormi» concordai. «Ma è proprio il modo in
cui gestiamo le “situazioni normali, quotidiane” a creare il terreno sul quale
costruire la gestione delle “cose grosse”. È il modo in cui affrontiamo lo
zainetto sporco, la maglietta strappata o la maleducazione a tavola che
può migliorare un rapporto oppure peggiorarlo. È il modo in cui
reagiamo agli alti e bassi dei nostri figli a spingerli ad allontanarsi o
ad avvicinarsi. È come noi reagiamo a quello che hanno o che non
hanno fatto che può portarli al risentimento o creare un clima di
fiducia e rafforzare il loro legame con noi. E a volte è soltanto quel
legame a tenere al sicuro i ragazzi. Quando saranno preda di
tentazioni, incerti o confusi, sapranno a chi rivolgersi per sapere che
cosa fare. Quando le malsane sirene della cultura di massa li
tenteranno, dentro di loro sentiranno un’altra voce, la vostra, con i
vostri valori, il vostro affetto, la fiducia che riponete in loro.»
Dopo un lungo silenzio, Tony chiese: «L’incontro è finito?».
Controllai il mio orologio. «Quasi.»
«Bene» disse lui, sventolando i suoi fogli con i fumetti. «Perché ho
intenzione di provare alcune di queste tecniche stasera, e voglio
arrivare a casa prima che i ragazzi vadano a letto.»
I racconti
Nelle prossime storie, vedrete come i genitori hanno usato le nuove
abilità da sole, in combinazione, e a volte in situazioni che andavano
oltre la “normale quotidianità”.

GAIL
L’ultima sessione sembrava fatta su misura per me. Ho divorziato da
poco, ho appena cominciato un lavoro a tempo pieno, e se c’è una cosa
della quale ho un disperato bisogno è la collaborazione. I miei figli
sono entrambi adolescenti, ma non hanno mai dato una mano in casa.
E so che è stata colpa mia perché detesto essere assillante, così finisco
sempre per fare tutto da sola.
Comunque, sabato mattina li ho convocati e ho spiegato che non
sarò assolutamente in grado di gestire il mio nuovo lavoro
continuando a fare tutto in casa, come prima. Ho detto che avevo
bisogno che facessero la loro parte, e che dobbiamo lavorare tutti
insieme, come una famiglia. Poi ho elencato tutte le faccende che
devono essere sbrigate, chiedendo a ciascuno di loro di sceglierne tre
per cui assumersi la responsabilità. Soltanto tre. Potevano anche
scambiarsi le faccende al termine di ogni settimana.
La loro prima reazione è stata da manuale. Grandi lamentele sul
fatto che erano sottoposti a una forte pressione a scuola e che «non
avevano mai tempo per fare niente». Ma alla fine ciascuno di loro ha
scelto tre faccende. Ho attaccato l’elenco al frigorifero, dicendo che era
un gran bel sollievo pensare che, al ritorno dal lavoro, avrei trovato il
bucato fatto, la lavastoviglie svuotata, il tavolo sgombro e
apparecchiato per la cena.
Be’, non è esattamente quello che è successo. Ma hanno sbrigato
parte delle faccende, a volte. E quando non lo hanno fatto, mi sono
limitata a indicare l’elenco, e si sono dati una mossa.
Se solo l’avessi saputo anni fa…

LAURA
Mia figlia ha un nuovo modo di farmi sapere che ho fatto qualcosa che
la “scontenta”. Chiude i contatti. Se oso chiedere che cosa c’è che non
va, si stringe nelle spalle e alza gli occhi al cielo, cosa che mi fa
infuriare.
Ma dopo l’incontro della scorsa settimana, ero piena di entusiasmo,
determinata a tentare qualcosa di diverso. Quando sono tornata a casa
mia figlia era in cucina a farsi uno spuntino. Ho avvicinato una sedia
al tavolo e le ho detto: «Kelly, non mi piace quello che sta succedendo
tra noi».
Lei ha incrociato le braccia e ha distolto lo sguardo. Non mi sono
fatta scoraggiare e ho detto: «Io faccio una cosa che ti fa infuriare; tu
smetti di parlarmi, il che fa infuriare me. Allora io urlo e te ne dico di
tutti i colori, e questo ti rende ancora più furibonda. Dunque, Kelly,
ora mi rendo conto che ho bisogno che tu mi dica direttamente quello
che ti disturba».
Lei si è stretta nelle spalle e ha distolto ancora lo sguardo. Quella
ragazzina non aveva intenzione di facilitarmi le cose. «E se è troppo
difficile» ho continuato «allora dammi almeno un segnale di qualche
genere. Non mi interessa quale. Batti sul tavolo, agita un asciugapiatti,
mettiti in testa un pezzo di carta igienica. Qualsiasi cosa.»
Lei ha detto: «Ma dài, mamma, non fare la scema» e se n’è andata.
Io ho pensato: “In effetti sembro una scema”, ma pochi minuti
dopo è tornata in cucina con un’espressione buffa sulla faccia e
qualcosa di bianco in testa. «Che cos’è quella cosa sulla tua… oh,
certo… carta igienica» le ho detto, e siamo scoppiate entrambe a
ridere. E per la prima volta da molto tempo abbiamo veramente
parlato.

JOAN
Ieri sera mia figlia, quindici anni, ha annunciato di volere un piercing
al naso.
Non ci ho visto più e ho cominciato a urlare: «Ma sei fuori di testa?
Dio ti ha dato un bellissimo naso. Perché mai ci vuoi fare un buco?
Perché ti vuoi mutilare? È l’idea più stupida che abbia mai sentito in
vita mia!».
Anche lei si è messa a gridare. «Ma voglio soltanto un anellino al
naso! Dovresti vedere che cosa si sono fatte le altre ragazze. Kim ha un
chiodo nella lingua, e Briana un anello al sopracciglio, e Ashley ne ha
uno all’ombelico!»
«Bene, anche loro sono stupide.»
«Con te non si può parlare. Non capisci niente» ha urlato, uscendo
dalla stanza, indignata.
Io sono rimasta lì a pensare: “E io sarei proprio la madre che
frequenta delle lezioni sulla comunicazione. Fantastico!”. Ma non
avevo intenzione di arrendermi. Mi serviva soltanto un modo più
efficace per arrivare a mia figlia.
Così sono andata su Internet per trovare qualcosa sui piercing.
Bene, ho scoperto che nel mio Stato è illegale per chiunque abbia
meno di diciotto anni praticare sul proprio corpo piercing,
marchiature, tatuaggi senza un’autorizzazione scritta e autenticata da
parte di un genitore o di chi ne fa le veci. L’unica eccezione riguarda i
piercing all’orecchio. Inoltre c’era tutta una sezione sulle malattie che
si possono contrarre a causa di strumenti non sterilizzati o di
condizioni antigieniche: epatite, tetano, infezioni, follicoliti…
Bene, quando finalmente è uscita dalla sua stanza, le ho detto che
mi dispiaceva moltissimo per quello che avevo detto su di lei e le sue
amiche, ma che avevo anche trovato su Internet delle informazioni
che, secondo me, doveva vedere. Poi le ho indicato il monitor.
Lei ha dato un’occhiata e ha detto: «Be’, nessuno di quelli che
conosco si è ammalato. E comunque, sono disposta a correre il
rischio».
«Il problema è che io non ho nessuna intenzione di farlo» ho
replicato. «La tua salute è troppo importante per me.»
«Okay, allora andrò da un medico e lo farò fare a lui. Non devi far
altro che darmi il permesso scritto.»
«Non posso darti il consenso, la mia prima obiezione è ancora
valida. Inoltre, io mi conosco. Vedere mia figlia che se ne va in giro
con un anello che le spunta dalla narice mi disturberebbe moltissimo.
E non voglio essere arrabbiata ogni volta che ti guardo. Quando avrai
diciotto anni, se sarà ancora importante per te, potrai decidere se farlo
oppure no.»
Non era esattamente entusiasta della mia decisione, ma sembra che
l’abbia accettata. Almeno finora.

TONY
Mio figlio di quattordici anni, Paul, se ne va in giro per casa come se
fosse su Marte. Se gli chiedo di fare qualcosa, dice «Sì, certo, papà» e
la cosa finisce lì. Gli entra da un orecchio e gli esce dall’altro. Così lo
scorso weekend ho “fatto l’inaspettato”. Due volte.
Prima volta: con una voce sonora, da conte Dracula, ho detto,
«Esiko ke tu porti fuori la spazzatura». Lui mi ha guardato
strabuzzando gli occhi. «E non fare aspettare me!» ho continuato.
«Aspettare mi rende molto kattifo!!!!»
Lui è scoppiato a ridere e ha ribatutto: «Bene, allora meglio ke io
fare ciò!».
Seconda volta: ho notato una scodella con un avanzo di cereali in
camera sua, per terra. L’ho indicata e con la mia voce normale ho
chiesto: «Paul, sai che cos’è quello?».
«Sì, una scodella.»
«Sbagliato» ho detto. «È l’invito a una festa.»
«Cosa?»
«Un invito per tutti gli scarafaggi del vicinato a venire a fare festa
nella stanza di Paul.»
Lui ha sorriso. «Okay papà, ho recepito il messaggio» e subito ha
preso la scodella e l’ha portata in cucina.
So che la corda “buffa” non funzionerà sempre. Ma è bello, quando
funziona.

MICHAEL
Questa settimana mia figlia mi ha lanciato una vera bomba. «Allora,
papà, sto per chiederti una cosa e non voglio che tu vada in paranoia e
dica di no. Ascoltami e basta.»
«Sto ascoltando.»
«Per la festa dei miei sedici anni voglio servire del vino. Allora,
prima che tu vada fuori di matto, devi sapere che un sacco di ragazzi
della mia età servono vino alle loro feste di compleanno. È un modo
per rendere speciale la serata.»
Deve aver letto la disapprovazione sulla mia faccia, perché ha
portato avanti la sua campagna. «Okay, magari non vino, ma se non ci
sarà almeno la birra, non ci vorrà venire nessuno. Guarda, papà, non
devo procurarla io, andrebbe bene anche se i miei amici se la
potessero portare. Dài, papino. Non è poi questa gran cosa. Non si
ubriacherà nessuno, lo prometto. Ci divertiremo e basta.»
Stavo per dirle no, punto e basta, ma invece le ho detto: «Jenny,
capisco che per te è importante. Ci devo riflettere sopra».
Quando ho detto a mia moglie quello che Jenny voleva fare, è
andata subito a rileggere i suoi appunti della settimana scorsa e ha
indicato l’abilità “mettere per iscritto”. Mi ha così ricordato che «se lo
scrivi, lei lo leggerà. Se lo dici, si metterà a litigare con te».
Ecco la lettera che le ho scritto:

Cara Jenny,
tua madre e io abbiamo pensato seriamente alla tua richiesta di
servire del vino alla tua festa di compleanno. Non possiamo
accontentarti, per le seguenti ragioni:
- in questo Stato è illegale servire alcol a persone di età inferiore ai
ventun anni;
- se dovessimo ignorare la legge e qualche invitato avesse un
incidente d’auto tornando a casa, noi, come tuoi genitori, saremmo
ritenuti legalmente responsabili. Ma soprattutto, ci sentiremmo
moralmente responsabili.
- se facessimo finta di niente, permettendo ai tuoi amici di portarsi la
birra, sarebbe come se dicessimo: “Voi, ragazzi, potete benissimo
infrangere la legge, basta che noi genitori facciamo finta di non sapere
che cosa sta succedendo”. Sarebbe un comportamento disonesto e
ipocrita.
Il tuo sedicesimo compleanno è un evento importante. Parliamo di
come possiamo celebrarlo in modo sicuro, legale e divertente, per tutti.
Baci,
papà

Ho fatto scivolare la lettera sotto la sua porta. Lei non ne ha mai


parlato. Tuttavia, più tardi, quello stesso giorno, dopo qualche
telefonata con i suoi amici, è venuta da noi con alcune proposte che
«potrebbero compensare la mancanza di “roba vera da bere”: un
imitatore di Elvis, una gara di karaoke o qualcuno che faccia gli
oroscopi».
Siamo ancora nella fase di discussione. Ma mia moglie e io
sappiamo per certo che, qualsiasi decisione prenderemo, quella sera
saremo nei paraggi. Abbiamo sentito dire che a volte i ragazzi escono,
prendono delle lattine che hanno nascosto in auto e tornano in casa,
tutti sorridenti e con l’aria più innocente del mondo. Abbiamo sentito
parlare anche di ragazzi che si portano alle feste la loro acqua
minerale, peccato solo che l’acqua sia in effetti vodka o gin. No, non
vogliamo essere invadenti. Cercheremo di essere discreti. Ma terremo
gli occhi aperti.

LINDA
Ricordate? Avevo detto che avrei attaccato i fumetti dentro al mio
armadio. Be’, è quello che ho fatto. Ed è stato di grande aiuto. Questa
settimana ogni volta che ero sul punto di urlare con i miei figli mi
sono trattenuta, sono andata in camera mia, ho aperto l’armadio, dato
un’occhiata ai fumetti, e anche se la mia situazione era diversa, ho
trovato un modo migliore per gestire le cose.
Ma venerdì scorso mio figlio era in ritardo per la scuola, il che
significa che io ero in ritardo per il lavoro. E ho perso la testa. «A
tredici anni non hai ancora il senso del tempo. Ma perché me lo fai
sempre? Ti ho comprato un orologio nuovo. Te lo metti mai? No. E
non osare filartela mentre ti sto parlando!»
Lui si è fermato, mi ha lanciato un’occhiata e ha detto: «Mamma,
vai a leggere il tuo armadio!».
Un rapido ripasso...

Per favorire la collaborazione di un adolescente

Invece di ordinare («Abbassa lo stereo! Subito!») potete:

descrivere il problema: «Con la musica a tutto volume non riesco a


pensare o a parlare con gli altri»;
descrivere quello che provate: «Mi fanno male le orecchie»;
fornire informazioni: «L’esposizione frequente a suoni ad alto volume
può danneggiare l’udito»;
proporre una scelta: «Che cosa preferisci fare, abbassare decisamente il
volume o abbassarlo un po’ e chiudere la porta di camera tua?»;
dirlo con una parola: «Il volume!»;
affermare i vostri valori e/o le vostre aspettative: «Dobbiamo tutti
adattarci alla tolleranza degli altri riguardo al volume della musica»;
fare qualcosa di inaspettato: «Mettetevi le mani sulle orecchie, fate il
gesto di abbassare il volume, giungete le mani e inchinatevi in un
gesto di gratitudine»;
metterlo per iscritto:

Volume troppo alto


Va bene per un palco
Ma se siamo tu e io
Col volume basso
Stiamo da dio.
3
Punire o non punire

La nostra terza sessione non era ancora iniziata. I partecipanti erano


ancora riuniti in gruppetti, immersi nelle loro conversazioni. Mi
arrivavano frammenti di frasi.
«Dopo quello che ha fatto, la terrò in punizione per tutto il mese.»
«Così mi sono detto, basta con il ruolo del “simpaticone”. Con
questo ragazzino ci sono andato fin troppo piano. Questa volta sarà
punito.»
“Bene” pensai tra me e me “finora non abbiamo ancora parlato di
punizioni, ma a quanto pare parecchie persone qui sono più che
pronte a farlo.”
«Laura, Michael» dissi «sareste disposti a far sapere a noi tutti che
cosa hanno fatto i vostri ragazzi per farvi arrabbiare tanto?»
«Non ero soltanto arrabbiata» esordì Laura. «Ero spaventata a
morte! Kelly avrebbe dovuto trovarsi al compleanno della sua amica
Jill alle sei del pomeriggio. Alle sette mi ha chiamato la madre di Jill:
“Dov’è Kelly? Sapeva che dovevamo essere al bowling alle sette e
mezzo, era scritto sul biglietto d’invito. Siamo tutti qui ad aspettarla,
già con il cappotto addosso”.
«Il cuore ha cominciato a martellarmi in petto. “Non capisco” ho
risposto. “È uscita di casa con un buon anticipo. Avrebbe dovuto
essere già lì da un bel po’ di tempo.”
«“Be’, sono sicura che non c’è motivo di preoccuparsi. Spero solo
che arrivi presto” ha detto la madre di Jill e ha riappeso.
«Mi sono imposta di aspettare quindici minuti prima di
richiamarla. Jill ha risposto al telefono. “No, Kelly non è arrivata. E
proprio oggi a scuola le ho raccomandato di non tardare.”
«A quel punto sono stata presa dal panico. Mi sono passate per la
mente immagini orribili. Dopo venti minuti d’inferno ha squillato il
telefono. Era la madre di Jill: “Pensavo le facesse piacere sapere che
Kelly è finalmente arrivata. A quanto pare venendo qui ha incontrato
un ragazzo ed è stata così assorbita dalla conversazione da scordare
che la stavamo aspettando. Speriamo solo di non aver perso la
prenotazione al bowling”.
«Mi sono scusata per mia figlia e l’ho ringraziata per aver chiamato.
Ma quando, dopo la festa, Kelly è tornata a casa, l’ho fatta a fette: “Ma
ti rendi conto di che cosa mi hai fatto passare? Come hai potuto essere
così sconsiderata? Così irresponsabile? Non hai mai pensato
nemmeno per un istante agli altri, ma solo a te stessa. Era il
compleanno di Jill. Ma hai sentito forse un obbligo verso la tua amica?
No! Ti interessano solo i ragazzi e divertirti. Bene, il divertimento è
finito, signorina. Sei in punizione per il resto del mese! E non credere
che cambierò idea, perché non lo farò”.
«Ecco che cosa le ho detto. Ma adesso non so… Forse sono stata
troppo dura.»
«Secondo me Kelly ha avuto esattamente quello che si meritava»
commentò Michael. «Proprio come mio figlio.»
Tutti ci voltammo a guardarlo. «Che cosa è successo?» chiese
qualcuno. «Che cosa ha fatto?»
«È piuttosto quello che non ha fatto» rispose Michael. «Vale a dire i
compiti a casa. Fin da quando è riuscito a entrare in squadra non gli
interessa altro che il calcio. Ogni giorno torna a casa tardi
dall’allenamento, sparisce in camera sua dopo cena, e quando gli
chiedo se sia in pari con i compiti risponde: “Non ti preoccupare,
papà, ho la situazione in pugno!”.
«Bene, domenica, mentre Jeff era fuori, sono entrato in camera sua e
ho notato una lettera per terra, vicino alla porta. L’ho raccolta e ho
visto che era diretta a me. Era stata aperta e portava la data di una
settimana fa. Indovinate un po’? Era un messaggio da parte
dell’insegnante di matematica. Jeff non aveva consegnato nessun
compito a casa, nemmeno uno, nelle due settimane precedenti. A quel
punto ho dato fuori di matto.
«Non appena ha varcato la soglia di casa, ero già pronto.
Mostrandogli la lettera ho detto: “Mi hai mentito sui compiti a casa.
Hai aperto la posta indirizzata a me. E non mi hai mai mostrato questa
nota dell’insegnante. Bene, vuoi sapere una cosa, giovanotto? Basta
calcio, fino alla fine della scuola. Domani chiamerò l’allenatore”.
«Jeff ha protestato: “Ma papà, non puoi farmi questo!”.
«“Io non ti faccio proprio niente, Jeff. Te lo sei fatto tu, da solo. Il
caso è chiuso”.»
«Ma è veramente chiuso?» chiese Laura.
«Secondo Jeff, no. È tutta la settimana che mi lavora ai fianchi per
farmi cambiare idea. Così come mia moglie.» Michael le lanciò
un’occhiata che diceva più di mille parole. «Lei crede che io sia stato
troppo duro. Non è così, tesoro?»
«Ma tu che cosa pensi?» chiesi a Michael.
«Penso che ora Jeff sa che faccio sul serio.»
«Esatto» intervenne Tony. «A volte la punizione è l’unico modo per
rimettere in riga un ragazzino, per renderlo più responsabile.»
A quel punto chiesi al gruppo: «Ma sarà vero che la punizione
rende un ragazzo più responsabile? Riflettete per un po’ sulle vostre
esperienze quando avevate quell’età».
Karen fu la prima a rispondere. «La punizione mi rendeva meno
responsabile. Quando avevo tredici anni mia madre mi ha beccata con
una sigaretta e mi ha tolto la possibilità di fare telefonate. E così io ho
fumato ancora di più, però lo facevo in cortile, dove nessuno poteva
vedermi. Poi rientravo, mi lavavo i denti e dicevo “Ciao mammina”,
con un sorriso da un orecchio all’altro. L’ho fatta franca per anni.
Purtroppo, continuo ancora a fumare.»
«Non saprei» disse Tony. «Secondo il mio modo di pensare, ci sono
un tempo e un luogo per la punizione. Prendete me, per esempio.
Uscivo con una banda di ragazzi che si cacciava sempre nei guai.
Eravamo un gruppo di selvaggi. Uno di noi è finito in galera. Giuro,
se mio padre non mi avesse punito per alcune delle cose che facevo,
non so che fine avrei fatto.»
«Non so che fine avrei fatto io» intervenne Joan «se non fossi andata
in analisi per annullare gli effetti di tutte le volte in cui sono stata
punita.»
Il suo commento parve sorprendere Tony. «Non riesco a capire» le
disse.
«Sia mia madre sia mio padre» spiegò Joan «erano convinti che se
una ragazza faceva una cosa sbagliata e i genitori non la punivano,
quei genitori non si stavano comportando in modo responsabile. E mi
continuavano a ripetere che mi punivano per il mio bene. Ma non era
così. Sono diventata un’adolescente arrabbiata, depressa, senza un
briciolo di fiducia in me stessa. E a casa non potevo parlarne con
nessuno. Mi sentivo molto sola.»
Mi ritrovai a sospirare. I partecipanti non avevano fatto altro che
descrivere le ricadute negative delle punizioni che conoscevo molto
bene. Alcuni ragazzi erano talmente scoraggiati dalle punizioni e si
sentivano così impotenti da cominciare a perdere fiducia in loro stessi.
E certo, alcuni ragazzi, come Tony, arrivavano alla conclusione di
essere veramente “cattivi” e che dovevano essere puniti per diventare
“bravi”.
E certo, alcuni, come Karen, diventavano così arrabbiati e pieni di
risentimento da continuare a comportarsi come prima, individuando
però dei sistemi per non essere beccati. Non diventavano più onesti,
ma più cauti, più riservati, più furbi.
Eppure la punizione è ampiamente accettata come metodo
privilegiato di educazione. In effetti, molti genitori vedono
l’educazione e la punizione come uguali ed equivalenti. Come potevo
condividere la mia convinzione che in una relazione basata sull’affetto
non c’è spazio per la punizione?
Dissi a voce alta: «Se fossimo in qualche modo costretti a eliminare
la punizione come metodo educativo, ci ritroveremmo completamente
indifesi? Sarebbero i nostri figli ad avere il coltello dalla parte del
manico? Diventerebbero mocciosi selvaggi, indisciplinati, egocentrici,
viziati, privi di qualsiasi concetto di giusto e sbagliato, che trattano i
genitori a pesci in faccia? Oppure potrebbero esistere dei metodi
diversi dalla punizione che potrebbero motivare i nostri ragazzi a
comportarsi responsabilmente?».
Scrissi sulla lavagna:
ALTERNATIVE ALLA PUNIZIONE:

esprimete i vostri sentimenti;


esprimete le vostre aspettative;
spiegate come rimediare;
proponete una scelta;
agite.

Chiesi a Laura e a Michael se fossero disposti a provare ad


applicare queste abilità alla situazione che stavano vivendo con i figli.
Accettarono la sfida. Nelle prossime pagine vedrete, in forma di
fumetti, i risultati dei nostri sforzi di elaborare delle situazioni che si
accordassero alle nuove linee guida. Per cominciare prendemmo in
considerazione in che modo Laura potesse affrontare la figlia Kelly,
che ignorando gli orari aveva causato alla madre un’enorme
preoccupazione.

Alternative alle punizioni

Esprimete i vostri sentimenti

Esprimete le vostre aspettative


Spiegate come rimediare

Proponete una scelta


Immaginiamo ora che Kelly lo faccia di nuovo. E che la madre
riceva un’altra telefonata per sapere dove sia finita la figlia.
Quando Kelly vorrà andare di nuovo a trovare un’amica...

Agite
Il gruppo era molto colpito, e i commenti fioccarono.
«Quando hai accennato alle alternative alla punizione pensavo che
ti riferissi a una specie di approccio “simpatico”: i genitori danno un
buffetto alla ragazzina che se la cava a buon mercato. Ma questa
soluzione è forte. Tu esprimi quello che provi e quello che ti aspetti e
dai modo alla ragazzina di assumersi la responsabilità per il suo
comportamento.»
«Sì, il nemico non sei tu, il genitore. Tu stai dalla parte della
ragazza, ma comunque la inviti a migliorare il suo comportamento.»
«E le spieghi in che modo può riuscirci.»
«E il messaggio che le comunichi non è: “Ho io il coltello dalla parte
del manico. Non ti permetto di fare questa cosa… Ti porto via
quest’altra”. Invece, rimetti la responsabilità nelle mani
dell’adolescente. La palla è sul campo di Kelly. Dipende da lei
scoprire esattamente che cosa può fare per ridare tranquillità a sua
madre: per esempio chiamare se è in ritardo, chiamare quando arriva
e accertarsi di telefonare di nuovo quando esce per rientrare a casa.»
Laura sospirò e alzò la mano per intervenire. «Non saprei» disse.
«Facendo esercizio qui, insieme a tutti voi, mi sento quasi sicura di
me, ma che cosa accade quando mi trovo davanti alla situazione reale?
Questo approccio richiede moltissimo ai genitori. Significa che devi
cambiare completamente il tuo atteggiamento. La verità è che punire
un ragazzino è molto più facile.»
«È facile al momento» concordai. «Ma se il tuo scopo è aiutare tua
figlia ad assumersi la responsabilità e al tempo stesso mantenere con
lei un buon rapporto, allora punirla sarebbe controproducente. Però in
una cosa hai ragione, Laura. Questo approccio richiede un
cambiamento radicale nel modo di pensare. Facciamo ancora un po’ di
pratica. Vediamo in che modo le abilità si possono applicare al
problema che Michael sta affrontando con suo figlio.»

Alternative alle punizioni

Esprimete i vostri sentimenti


Esprimete le vostre aspettative

Spiegate come rimediare


Proponete una scelta

Immaginiamo ora che Jeff faccia i compiti, si rimetta in pari ma che


a poco a poco cominci a trascurare di nuovo gli impegni scolatici. A
quel punto...

Agite
Tony scosse il capo. «Forse mi sta sfuggendo qualcosa, ma io non
vedo tanto la differenza tra “agire” e punire Jeff. In entrambi i casi il
padre lo tiene fuori dalla squadra.»
«Aspetta, forse finalmente comincio a capire il punto» intervenne
Laura, rivolta a Tony. «Quando punisci un ragazzo, gli chiudi la porta
in faccia. Non sa dove andare, l’affare è concluso. Ma quando agisci,
forse al ragazzo non piacerà quello che fai, ma tu lasci la porta aperta.
Lui ha ancora una possibilità di scelta. Può affrontare quello che ha
fatto e cercare di rimediare. Può trasformare un errore in un’azione
corretta.»
«Mi piace il modo in cui ti sei espressa, Laura» replicai. «Il nostro
scopo, quando agiamo, non è soltanto mettere fine a un
comportamento inaccettabile, ma anche dare ai nostri figli la
possibilità di imparare dai loro errori. La possibilità di rimediare agli
sbagli. La punizione può forse frenare il comportamento, ma può
anche impedire ai ragazzi di acquisire la capacità di correggere da soli
i propri errori.»
Lanciai un’occhiata a Tony. Sembrava ancora scettico. Continuai,
determinata a farmi capire da lui. «Secondo me l’adolescente che è
stato messo in punizione per una settimana non se ne sta lì, steso sul
suo lettino, pensando: “Oh, ma come sono fortunato. Ho dei genitori
meravigliosi. Mi stanno dando una lezione di incalcolabile valore.
Non lo farò mai più!”. È molto più probabile che il giovanotto stia
pensando: “Sono cattivi”, oppure “Sono ingiusti”, oppure “Io li odio”,
o ancora “Gliela farò pagare” o “Lo rifarò, ma stavolta col cavolo che
mi beccano”».
Ora il gruppo ascoltava con la massima attenzione. Cercai di
riassumere i concetti. «Per come la vedo io, quando si tratta di
punizioni il problema è che rendono troppo facile, per il ragazzo,
ignorare quello che ha combinato e concentrarsi invece su quanto
sono irragionevoli i suoi genitori. Peggio ancora, lo priva
dell’elaborazione necessaria per maturare. Per diventare più
responsabile. Che cosa speriamo che accada dopo che un ragazzo ha
trasgredito? Speriamo che rifletta sugli errori che ha commesso. Che
capisca perché si tratta di errori. Che si rammarichi per ciò che ha
fatto. Che trovi un modo per assicurarsi che non accada più. E che
rifletta seriamente su come può rimediare. In altre parole, perché si
verifichi un vero cambiamento, i nostri ragazzi devono impegnarsi
emotivamente. E la punizione interferisce con questo fondamentale
processo di maturazione.»
La sala era silenziosa. Che cosa stavano pensando? Avevano ancora
dei dubbi? Ero stata chiara? Potevano accettare quello che avevano
sentito? Diedi un’occhiata all’orologio. Era tardi. «Stasera abbiamo
lavorato tanto e duramente» dissi. «Ci rivediamo la settimana
prossima.»
Tony alzò la mano. «Un’ultima domanda» chiese.
«Spara» risposi annuendo.
«Che si fa se dopo aver usato tutte le abilità su cui abbiamo fatto
esercizio stasera, il ragazzo non si rimette in riga? Immaginiamo che
non sappia come rimediare da solo ai propri errori. Che si fa?»
«È un segnale che bisogna lavorare di più su quel problema. Che il
problema è più complesso di quanto sembrava all’inizio e che devi
riservargli più tempo, raccogliendo più informazioni.»
Tony sembrava confuso. «Come?»
«Attraverso il problem-solving.»
«Problem-solving?»
«È un metodo di cui parleremo la settimana prossima. Ci
eserciteremo su come genitori e figli possono unire le forze, analizzare
le diverse possibilità, e risolvere insieme i problemi.»
Per la prima volta in tutta la serata Tony sorrise. «Non mi sembra
male» disse. «Di sicuro non mi perderò l’incontro della settimana
prossima.»

I racconti
Nella settimana successiva alla sessione sulle alternative alle
punizioni, parecchi partecipanti raccontarono in che modo avevano
messo in pratica le loro nuove abilità.
La prima storia venne raccontata da Tony, a proposito di Paul, il
figlio di quattordici anni.

TONY
Paul e il suo amico Matt sono arrivati di corsa dal vialetto del
giardino, con un sorriso da un orecchio all’altro. «Che c’è, ragazzi?»
ho chiesto. «Niente» hanno risposto, si sono guardati e sono scoppiati
a ridere. Poi Matt ha bisbigliato qualcosa all’orecchio di Paul e se n’è
andato.
«Che cosa ti ha raccomandato di non dirmi?» ho chiesto a Paul. Lui
non ha risposto. «Dimmi la verità e basta. Non ti punirò.»
Alla fine sono riuscito a saperlo. Dunque, lui e Matt erano andati in
bici alla piscina del quartiere per una nuotata, ma quel pomeriggio era
chiusa. Allora hanno provato tutti gli ingressi, ne hanno trovato uno
che non era chiuso a chiave, e sono entrati. Poi hanno acceso tutte le
luci e sono corsi in giro, urlando come matti, rovesciando tutte le
poltrone del solarium, gettando ovunque i cuscini… persino in
piscina. E per loro non era altro che uno scherzo coi fiocchi.
Il ragazzo è stato fortunato che avessi promesso di non punirlo
perché, credetemi, quando ho sentito che cosa aveva fatto, avevo una
gran voglia di fargliela pagare cara: via la paghetta, basta computer, in
punizione per un tempo indefinito… qualsiasi cosa pur di levargli
dalla faccia quel sorrisetto idiota.
«Ascoltami bene, Paul» gli ho detto. «Questa è una faccenda seria.
Quello che hai fatto ha un nome preciso. Si chiama vandalismo.»
È diventato paonazzo e ha urlato: «Ecco, lo sapevo che non te lo
dovevo dire. Lo sapevo che ne avresti fatto una questione. Non
abbiamo rubato niente, né fatto la pipì in piscina!».
«Bene, congratulazioni per non averlo fatto. Però, Paul, è davvero
una questione grave. Tante persone di questa comunità si sono date
molto da fare per mettere insieme i soldi necessari a costruire una
piscina per le loro famiglie. Ne sono fiere, e lavorano sodo per
mantenerla. Inoltre è proprio la piscina dove tu hai imparato a
nuotare.»
Paul ha replicato: «Che cosa stai cercando di fare? Farmi sentire in
colpa?».
«Ci puoi scommettere. Perché quello che hai fatto è sbagliato e
adesso devi rimediare.»
«Che cosa vuoi che faccia?»
«Voglio che tu torni alla piscina, adesso, e che rimetti tutto come lo
avevi trovato.»
«Adesso?... Ma dài, sono appena tornato a casa!»
«Sì, adesso. Ti accompagno in macchina.»
«E Matt? È stata un’idea sua. Dovrebbe venire anche lui! Adesso lo
chiamo.»
Be’, lo ha chiamato, e da principio Matt ha risposto «Te lo sogni» e
che sua madre lo avrebbe ammazzato se lo avesse saputo. Così ho
preso la cornetta. «Matt, siete stati voi due a farlo, e voi due dovete
rimediare. Ti passo a prendere tra dieci minuti.»
Insomma, ho riportato i ragazzi alla piscina. Per fortuna la porta era
ancora aperta. Ho detto ai ragazzi: «Voi sapete che cosa dovete fare.
Vi aspetto in macchina».
Una ventina di minuti dopo sono usciti dicendo: «Tutto fatto. Vuoi
vedere?». «Certo» ho risposto, e sono entrato a controllare.
Be’, era tutto in ordine, le sdraio del solarium allineate, i cuscini di
nuovo al loro posto. «Molto bene, sembra tutto normale. Spegnete le
luci e andiamo.»
Tornando a casa i ragazzi erano silenziosi. Non so come l’ha presa
Matt, ma credo che Paul alla fine abbia capito perché non avrebbe
dovuto fare quello che ha fatto. E credo che sia stato felice di avere
avuto la possibilità di “rimediare”, come dici tu.

JOAN
Stavo preparando la cena quando Rachel è entrata in cucina. Le ho
dato un’occhiata: aveva gli occhi arrossati e un sorriso imbambolato,
ed era chiaro che era “fatta”. Non ero sicura che si trattasse di
marijuana, ma speravo che non fosse qualcosa di peggio.
«Rachel, sei fatta» le ho detto.
«Stai sempre a immaginarti cose su di me» ha risposto, prima di
sparire in camera sua.
Sono rimasta di sasso. Non ci potevo credere. Questa era la stessa
ragazzina che appena un mese prima mi aveva confidato: «Giura che
non lo dici a nessuno, ma Louise ha cominciato a fumare erba. Riesci a
crederci? Non è terribile?».
Ricordo di aver pensato: “Grazie a dio, non è mia figlia”. E adesso
eccoci qui! Non sapevo che cosa fare. Dovevo metterla in castigo?
Proibirle di andare da qualsiasi parte dopo la scuola? (e certamente di
andare da Louise!) Insistere perché da allora in poi tornasse subito a
casa dopo la scuola? No, non avrebbe fatto altro che scatenare litigi e
pianti. Inoltre, non era un’ipotesi realistica.
Però non potevo nemmeno far finta che niente fosse. E sapevo che
non aveva senso cercare di parlarle mentre era ancora sotto gli effetti
di quello che aveva preso o fumato, qualsiasi cosa fosse. Avevo
bisogno di tempo per pensare. Dovevo parlare degli “esperimenti”
che avevo fatto io da ragazza? E in questo caso, quanto dovevo
rivelarle? Le sarebbe stato d’aiuto sapere tutto? Oppure lo avrebbe
usato come una scusa per giustificare ciò che stava facendo («Tu l’hai
fatto e stai benone»)? In ogni caso, nelle ore seguenti ho avuto una
dozzina di conversazioni immaginarie con mia figlia. Infine, dopo
cena, quando mi sembrava tornata più o meno in sé, abbiamo parlato.
Ecco come si è svolta la conversazione.
«Rachel, non mi interessa una confessione, ma so che cosa ho visto
e so ciò che so.»
«Oh, mamma, come sei melodrammatica! Era solo un po’ d’erba.
Non dirmi che non l’hai mai provata quando avevi la mia età.»
«In effetti, ero molto più grande. Avevo sedici anni, non tredici.»
«Vedi… e stai benone.»
«Ma allora non stavo tanto bene. I miei vecchi amici, quelli che
chiameresti “bravi ragazzi”, hanno smesso di essermi amici, e i miei
voti sono scesi al minimo. La verità è che quando ho cominciato non
avevo idea del guaio in cui mi stavo cacciando. Pensavo che fosse
innocuo. Non più pericoloso delle sigarette.»
«E che cosa ti ha fatto smettere?»
«Barry Gifford, un compagno di scuola. Dopo essere andato a una
festa dove tutti si facevano è andato a sbattere con la macchina contro
un albero. È finito all’ospedale con la milza spappolata. Così, pochi
giorni dopo, ci hanno costretto a partecipare a un programma in cui
venivano illustrati tutti gli effetti delle droghe, e ci hanno consegnato
degli opuscoli. A quel punto ho deciso che non ne valeva la pena.»
«Ma dài, probabilmente cercavano solo di spaventarti.»
«Lo pensavo anch’io. Ma non ho letto tutto l’opuscolo. Alcune cose
le sapevo già, ma ce n’erano un sacco che non sapevo proprio.»
«Per esempio?»
«Per esempio che l’erba può permanere nell’organismo per giorni,
dopo che l’hai fumata. Che ti incasina la memoria e la coordinazione,
e persino il ciclo mestruale. E che è persino peggio delle sigarette. Non
avevo idea che la marijuana contenesse più sostanze cancerogene del
tabacco. Una grande sorpresa, per me.»
D’un tratto Rachel mi è sembrata preoccupata. Le ho messo un
braccio attorno alle spalle, dicendole: «Ascoltami, figlia mia, se potessi
ti seguirei giorno e notte, per essere sicura che nessuno ti dia o ti
venda qualcosa che ti possa far male. Ma sarebbe un’autentica follia.
Quindi devo contare sulla tua capacità di essere abbastanza in gamba
da proteggerti da tutta la schifezza che c’è in giro. E io credo che tu lo
farai. Credo che tu farai quello che è giusto per te, a dispetto delle
insistenze degli altri».
Sembrava ancora preoccupata. L’ho abbracciata forte e la cosa è
finita lì. Non ne abbiamo più parlato.
Secondo me le mie parole hanno lasciato il segno, ma non ho
intenzione di affidarmi alla sorte. I ragazzi mentono ai genitori sulla
droga (lo so, perché io lo facevo) e quindi, anche se nutro sentimenti
contrastanti riguardo allo spiare, controllerò di quando in quando la
sua stanza.

GAIL
Neil, mio figlio quindicenne, mi ha chiesto se Julie, sua amica
dall’infanzia, poteva restare a dormire il sabato sera. I genitori della
ragazza andavano a un matrimonio fuori città e la nonna, che doveva
andare da lei, si era ammalata e non poteva venire.
Ho pensato: “Perché no?”. Mio figlio minore avrebbe trascorso la
notte a casa del padre, quindi Julie avrebbe potuto dormire nella sua
stanza.
Ovviamente ho chiamato la madre di Julie per sapere se fosse
d’accordo. Ha accettato immediatamente, sollevata all’idea che una
persona adulta e responsabile si sarebbe presa cura della figlia.
All’arrivo di Julie, le ho mostrato dove avrebbe dormito. Poi noi tre
abbiamo fato una bella cenetta e abbiamo guardato un film.
La mattina seguente la madre di Julie ha chiamato per avvertire che
era tornata a casa e che desiderava parlare con la figlia.
Sono andata di sopra a chiamarla: la porta della stanza era
socchiusa, e nessuno aveva dormito in quel letto! I cuscini che il
giorno prima avevo sistemato con tanta cura erano esattamente come
li avevo lasciati. Mentre stavo lì, a bocca aperta, ho sentito una risata
dalla stanza da letto di Neil.
Ho bussato con forza alla porta, urlando che la madre di Julie era al
telefono e voleva parlarle.
Quando, finalmente, la porta si è aperta, Julie è uscita, in disordine
e imbarazzata. Evitando il mio sguardo, è corsa di sotto per
rispondere alla madre, poi è risalita a prendere il suo zainetto, mi ha
ringraziato “per tutto” ed è andata a casa.
Non appena è uscita, sono esplosa. «Neil, ma come hai potuto farmi
questo? Avevo dato alla madre di Julie la mia parola che sarei stata
responsabile della figlia. Che sarebbe stata al sicuro, protetta!»
Neil ha replicato: «Ma, mamma, lei…».
L’ho interrotto subito. «Niente “ma, mamma”. Quello che hai fatto
non ha scusanti.»
«Ma, mamma, non è successo niente.»
«Oh, certo. Due ragazzi passano la notte insieme nello stesso letto e
non succede niente. Probabilmente mi ritieni una stupida. Bene, ti dico
qualcosa che non succederà il prossimo weekend. Non andrai in gita
sulla neve con la tua classe.»
Mentre lo dicevo, avevo la sensazione che fosse esattamente quello
che Neil meritava. Poi sono uscita dalla stanza, per non doverlo stare
ad ascoltare mentre continuava a concionare sulla mia
irragionevolezza.
Qualche minuto dopo ho cambiato idea. In che modo impedire a
Neil di andare in gita in montagna avrebbe potuto aiutarlo a capire
che non avrebbe dovuto fare quello che aveva fatto? Così sono tornata
in camera sua. «Ascoltami bene, Neil, dimentica quello che ho detto
sulla gita. Ecco quello che volevo davvero dirti: so che il sesso è una
parte normale, sana della vita. Ma il fatto è che quando si tratta dei
figli i genitori si preoccupano. Hanno paura che le figlie restino
incinte, che i figli diventino padri. Hanno paura per l’AIDS e per tutte
le altre…»
Non mi ha lasciato finire. «Mamma, basta così! Non ho bisogno di
prediche sull’educazione sessuale. Tutta roba che già so. E poi sto
cercando di dirti che non è successo niente! Siamo rimasti solo stesi a
letto, a guardare la tele.»
Be’, forse era stato così e forse no.
Ho deciso di concedergli il beneficio del dubbio. Così gli ho detto:
«Sono lieta di saperlo, Neil. Perché quando hai invitato Julie a dormire
a casa nostra, ti sei assunto una responsabilità, nei confronti di Julie e
di sua madre… e nei miei confronti. Una responsabilità che dovevi
rispettare».
Neil non ha detto niente, ma dalla sua espressione era evidente che
le mie parole avevano colpito nel segno. E questo mi è bastato. Per me
la questione era chiusa.

JIM
Quando abbiamo comprato il computer nuovo, mia moglie e io
pensavamo di aver sistemato le cose in modo da essere sicuri al cento
per cento. Lo abbiamo sistemato in soggiorno (con il parere contrario
di Nicole, dodici anni, che aveva fatto il possibile e l’impossibile per
tenerlo in camera sua); abbiamo installato il più sofisticato software di
filtro (abbiamo sentito dire che ci sono almeno tre milioni di siti porno
a cui un ragazzo può arrivare per caso); e abbiamo messo a punto una
tabella oraria, abbastanza elastica, per cercare di venire incontro alle
necessità di tutti i membri della famiglia. Abbiamo inoltre chiarito con
Nicole che l’uso del computer è severamente vietato dopo le nove di
sera e che si può utilizzare soltanto per ricerche scolastiche o per
mettersi in contatto con gli amici.
Mica male, vero?
Be’, qualche notte fa mi sono svegliato poco dopo mezzanotte, ho
visto una luce in soggiorno, mi sono alzato per spegnerla, e ho trovato
Nicole incollata al computer. Era così intenta che non mi ha nemmeno
sentito entrare. Mi sono messo alle sue spalle e ho letto quello che
stava scrivendo: «Courtney, sembri così simpatico e divertente e sexy.
Quando possiamo incontrarci?». Nell’istante in cui si è resa conto che
ero lì, ha scritto “pos” (in seguito ho saputo che significa parent over
shoulder, ossia “genitore alle spalle”) e ha spento il monitor.
Ho cominciato a sudare freddo. Ho letto fin troppi resoconti di
quello che accade alla ragazzine che conoscono ragazzi nelle chat. Il
ragazzo lusinga la ragazzina, le dice quante cose hanno in comune, la
fa sentire speciale, e a poco a poco riesce a convincerla a incontrarlo. E
poi si scopre che non è un simpatico ragazzo ma un tizio ben più
vecchio, un predatore sessuale pronto a fare chissà cosa con lei.
Le ho detto: «Nicole, che diavolo credi di fare? Hai la più pallida
idea del genere di pericolo al quale ti esponi? Dovrei impedirti per
sempre di usare di computer!».
Lei si è messa immediatamente sulle difensive. Ha detto che non
era il caso di scaldarsi tanto, che si stava solo divertendo un po’, che
non aveva nemmeno usato il suo vero nome, e che era abbastanza in
gamba da capire la differenza tra un “malato disgustoso” e una
persona normale.
«Nicole, ascoltami» le ho detto. «Non hai la minima possibilità di
capire la differenza! I peggiori “malati” sono capacissimi di sembrare
del tutto normali e affascinanti. Sanno esattamente come comportarsi
per ingannare una ragazzina. Hanno un bel po’ d’esperienza.» Poi le
ho detto che volevo la sua password perché da quel momento in poi
sua madre e io avremmo controllato regolarmente per capire con chi si
connetteva.
La sua reazione? Che non mi fidavo di lei... che non avevo il
diritto… che stavo violando la sua privacy... eccetera eccetera. Ma
quando ha finito di ascoltare alcune delle storie dell’orrore che avevo
saputo su come questi tizi “normali” si rivelano essere stalker, rapitori,
stupratori o peggio, tutto quello che è riuscita a replicare è stato, con
una vocina piccola piccola: «Be’, non si può credere a tutto quello che
si sente».
Probabilmente stava cercando di salvare la faccia. Ma credo che
una parte di lei era in effetti sollevata all’idea che suo padre si
prendesse cura di lei e che non si facesse prendere per il naso.

Un rapido ripasso...
Alternative alla punizione

RAGAZZO Avevi promesso che avresti smesso di fumare, e fumi ancora! Sei
solo capace di dire balle. Sei pieno di balle!
GENITORE E tu, lingua lunga, sei in punizione per tutto il weekend!

Invece:

esprimete i vostri sentimenti: «Questo modo di parlare mi fa


arrabbiare»;
esprimete le vostre aspettative: «Se cerco di smettere di fumare, mi
aspetto che mio figlio mi sostenga, non che mi attacchi»;
proponete una scelta: «Gli insulti possono far male. Puoi spiegarmi che
cosa, secondo te, potrebbe aiutarmi a smettere, oppure puoi
scrivermelo»;
spiegate come rimediare: «Quando ti rendi conto di aver offeso
qualcuno, è una buona idea chiedere scusa».

E se il ragazzo continua a parlare in modo irrispettoso?

agite: «Questa conversazione termina qui. Non sono disposto a farmi


insultare».
4
Trovare insieme una soluzione

Karen iniziò la sessione ancora prima che ci fossimo accomodati.


«Stasera non vedevo l’ora di venire qui. Ricordi la scorsa settimana,
quando Tony ha chiesto che cosa fare se non funziona nessuna delle
alternative alla punizione? Hai detto qualcosa a proposito del
problem-solving. Comunque, in questi giorni sto affrontando un
grosso problema con Stacey, e non ho idea di come risolverlo.»
«La buona notizia» dissi «è che non devi farlo da sola. Il metodo in
cinque passaggi che imparerete oggi spiega in che modo genitori e
figli possono mettersi seduti tranquillamente per affrontare insieme il
problema.»
«Mettersi seduti tranquillamente?» esclamò Laura. «Ma chi ha
tempo per farlo? A casa mia tutti sono sempre di corsa per fare questo
o quest’altro. Ci parliamo di scappata.»
«Di questi tempi in effetti tutti sono impegnatissimi» concordai.
«Trovare il tempo non è facile. Eppure questo procedimento richiede
proprio tempo. Non potete ragionare creativamente insieme se uno di
voi è di corsa o agitato. Perché questo approccio ottenga dei risultati è
meglio aspettare fino a quando entrambe le parti in causa sono in un
momento abbastanza tranquillo.»
«Già» intervenne Tony «ma non appena fai capire a un ragazzino che
gli vuoi parlare di qualcosa che ha fatto e che a te non piace, per
quanto tu sia tranquillo in proposito, lui non sarà più così tranquillo.»
«E questo» dissi «è il motivo per il quale il tuo primissimo passo,
dopo aver sollevato il problema, è invitare tuo figlio a raccontare la
sua versione della faccenda. Questo significa mettere in sospeso i tuoi
sentimenti, per il momento, e ascoltare i suoi. Sapendo che il suo
punto di vista sarà ascoltato e compreso, aumentano le probabilità che
ascolti quello che tu hai da dire.»
«E poi?» chiese Karen, impaziente.
«E poi si tratta di mettervi insieme per cercare di individuare una
soluzione che possa funzionare per entrambi. Ve lo spiegherò con un
esempio tratto dalla mia vita familiare.
«Quando mio figlio aveva circa quattordici anni, ha scoperto
l’heavy metal. Suonava quella musica (se si può definirla tale) a
volume così alto da far tremare i vetri. Gli chiedevo continuamente di
abbassare il volume in maniera calma. Niente da fare. Una sera gli
urlai di abbassare. Ancora niente. Provai tutte le abilità di cui abbiamo
parlato nella sessione dedicata a favorire la collaborazione: descrivere
la situazione, fornire informazioni, proporre alternative, scrivere un
biglietto… Provai anche con l’umorismo, convinta di essere molto
divertente. Lui non mi considerò affatto divertente.
«A un certo punto persi del tutto le staffe. Entrai come una furia in
camera sua, staccai la corrente allo stereo, e minacciai di sequestrarlo
per sempre. Potete ben immaginare che razza di baruffa venne fuori.
«Quella sera non mi fu facile addormentarmi. Il giorno seguente
decisi di tentare con l’approccio che non avevo provato, il problem-
solving. Aspettai che avesse fatto colazione prima anche solo di
accennare all’argomento. Ma non appena pronunciai la parola musica
si mise sulle difensive. “Oh no, di nuovo questa storia!”. “Esatto, di
nuovo questa storia” replicai. “Però questa volta voglio provare a
vederla dal tuo punto di vista… Vorrei davvero capire da dove viene
fuori.”
«Questo lo prese alla sprovvista. “E sarebbe ora!” disse. Poi mi
spiegò esattamente come si sentiva: “Secondo me tu sei decisamente
troppo sensibile. La musica non è poi così alta: deve essere abbastanza
alta da sentire il ritmo e ascoltare il testo. Perché i testi sono una
bomba, anche se tu li detesti. Ma se provi ad ascoltarli davvero,
magari piacciono anche a te”.
«Invece di contraddirlo, accettai tutto quello che mi diceva, e poi gli
chiesi se fosse disposto a sentire il mio punto di vista.
«“So già come ti senti. Secondo te il volume è troppo alto” rispose.
«“Esatto. Ci provo a farmelo andare giù, ma non ci riesco.”
«“E allora mettiti i tappi alle orecchie.”
«Anche in questo caso non lo contraddissi. Mi limitai a scrivere il
suo suggerimento, dicendo: “Questa è la nostra prima idea! Vediamo
che altro possiamo escogitare che possa funzionare sia per te sia per
me”.
«Be’, ci vennero in mente idee di ogni genere, dall’usare cuffie a
isolare acusticamente la sua stanza al mettere sul pavimento un
tappeto all’abbassare il volume un pochettino al chiudere le porte della
cucina e della sua camera da letto.
«Quando, infine, rivedemmo insieme l’elenco, eliminammo subito i
tappi alle orecchie per me (non avevo intenzione di starmene tutto il
giorno con quei cosi), le cuffie per lui (il volume troppo alto poteva
danneggiargli l’udito) e isolare acusticamente la sua stanza (troppo
costoso). Però ci trovammo d’accordo sul fatto che sarebbe stato utile
mettere un tappeto sul pavimento di camera sua, chiudere le porte e
abbassare il volume (anche solo un po’). Ma scoprii che quello che lui
voleva davvero era che ascoltassi con lui la sua musica preferita, che
almeno “gli dessi una possibilità”.
«Be’, la ascoltai, e dopo un po’ riuscii, più o meno, a capire perché
quella musica potesse piacergli tanto. Cominciai anche a capire perché
le parole delle canzoni, che io trovavo tanto sgradevoli, potessero
colpire i ragazzini. Probabilmente gli adolescenti si immedesimano
con canzoni che esprimono la loro rabbia e la loro frustrazione.
«No, non ho imparato a farmi piacere l’heavy metal. Però ho
imparato ad accettarlo di più. E probabilmente proprio perché mi
sono mostrata più disposta a trascorrere un po’ di tempo con lui, nel
suo mondo, mio figlio si è mostrato più disposto a venirmi incontro. A
volte mi chiedeva persino: “Mamma, la musica è troppo alta per te?”.
«Bene, questa è la mia esperienza. Ora vedremo come lo stesso
approccio si possa applicare a una situazione che probabilmente è
familiare a molti di voi: il disordine, il caos, il casino, chiamatelo come
volete, nella stanza di un ragazzo.»
Tutti scoppiarono a ridere, ben sapendo di che cosa stavo parlando.
Michael disse: «Io lo chiamo “la discarica”».
«A casa nostra» aggiunse Laura «lo chiamiamo “il buco nero”: tutto
quello che entra viene inghiottito per sempre.»
«E come chiamate i vostri figli?»
Da tutta la sala arrivarono le risposte: «Sudicione»… «Maiale»…
«Vivi come un animale»… «Visto come tieni la tua stanza, chi mai
vorrà sposarti?»…
Presi dei fogli dalla mia valigetta. «Ecco un’alternativa a questo tipo
di frasi» dissi, porgendo le illustrazioni che mostravano in processo di
problem-solving in azione, passo a passo.
Nelle prossime pagine vedrete quello che distribuii al gruppo.

Trovare insieme una soluzione


Passaggio 1

Invitate vostro figlio a spiegare il suo punto di vista


Passaggio 2

Dichiarate il vostro punto di vista


Passaggio 3

Invitate vostro figlio a ragionare con voi sul problema


Passaggio 4

Scrivete tutte le idee (assurde o sensate), senza giudicarle


Passaggio 5

Rivedete insieme l’elenco. Stabilite quali idee possono andare bene


a entrambi e come metterle in pratica
«Non vorrei essere negativa» disse Karen «perché capisco come
questo approccio potrebbe funzionare con un ragazzino con la stanza
nel caos. Ma non è un problema serio. Questa settimana Stacey ha
fatto una cosa che mi ha preoccupato a morte. E so che mi sono agitata
e ho peggiorato la situazione. Ma continuo a non capire come avrei
potuto mettere in pratica questa soluzione.»
«Che cosa ha fatto?» chiese Laura. «Non tenerci in ansia.»
Karen inspirò a fondo. «Okay, ecco qua. Venerdì scorso mio marito
e io siamo andati a cena e poi al cinema. Prima che uscissimo Stacey,
che ha tredici anni, ci ha chiesto se potevano venire da noi due sue
amiche, e ovviamente abbiamo detto di sì. Il film è finito presto, e
quando siamo tornati a casa, abbiamo visto due ragazzini che
scappavano dalla porta sul retro. Mio marito li ha inseguiti. Io sono
entrata.
«Quando ho aperto la porta, ho capito che c’era qualcosa che non
andava. Le finestre erano spalancate, in casa faceva un freddo cane,
c’era puzza di sigaretta e Stacey era con le sue amiche in cucina, tutte
prese a nascondere in fondo al sacco della spazzatura delle lattine di
birra, coprendole con fogli di giornale.
«Non appena mi ha vista, ha detto: “Non è stata colpa mia”.
«“Noi ne parliamo dopo” le ho detto, mandando a casa le altre due
ragazzine. Una volta uscite, Stacey ha cominciato a raccontarmi tutta
una lunga storia, con una sfilza di scuse di ogni genere.
«Le ho detto che non me la bevevo, che conosceva bene le regole e
le aveva infrante deliberatamente. Poi le ho spiegato che per suo
padre e me la faccenda non era ancora terminata. Ecco perché sono
qui, stasera. Ma usare il problem-solving? Non saprei. Davvero, non
so in che modo potrebbe aiutarci.»
«Non lo sappiamo, se prima non proviamo» risposi. «Avresti voglia
di fare un gioco di ruolo con me?»
Karen parve incerta. «E io che ruolo avrei?»
«Quello che preferisci.»
Dopo un attimo di riflessione decise: «Penso che dovrei fare la parte
di Stacey, perché so che cosa potrebbe dirmi. Allora, come devo
cominciare?».
«Visto che io sono la tua mamma» dissi «e che sono io a essere
preoccupata per il problema, tocca a me iniziare la conversazione.»
Avvicinai la sedia a Karen. «Spero che questo sia un buon momento
per te, Stacey, perché dobbiamo parlare di quello che è successo ieri
sera.»
Karen (che ora interpretava Stacey) si accasciò sulla sedia alzando
gli occhi al cielo: «Ci ho provato a parlare con te, ma tanto tu non mi
ascolti!».
«Lo so. E può essere frustrante. Ma adesso sono pronta ad
ascoltarti.» Ecco come proseguì il dialogo.
Come ti ho detto, non sapevo che sarebbero venuti quei
S TA C E Y
ragazzi. Non li conosco nemmeno. Non sono in classe mia. Sono
più grandi.
MAMMA Quindi i ragazzi sono stati una vera sorpresa, per te.
STACEY Esatto! Quando ho aperto la porta a Jessie e Sue, quei due tizi
erano lì con loro. Non li ho mai invitati a entrare. Ho detto a Jessie
che i miei genitori si sarebbero imbufaliti se avessi fatto entrare in
casa i ragazzi.
MAMMA Quindi hai detto chiaramente che volevi che se ne andassero.
STACEY Già, ma hanno detto che si sarebbero fermati solo per pochi
minuti.
MAMMA E secondo te erano sinceri.
STACEY Esatto. Insomma, non lo sapevo che si sarebbero messi a bere o
a fumare. Quando gli ho detto di non farlo, hanno riso. Non sapevo
nemmeno che Jessie fuma.
MAMMA Quindi hai fatto tutto il possibile per fermarli, ma qualsiasi
cosa tu dicessi, nessuno ti ascoltava. Ti sei trovata in una posizione
difficile, Stacey.
STACEY Molto difficile!
MAMMA Stacey, ti spiego che cosa ho provato io. Per me è stato uno
shock tornare a casa e vedere dei ragazzi che scappavano dalla
porta e sentire la puzza di fumo in casa e trovare delle lattine di
birra nella spazzatura e…
STACEY Ma mamma, ti ho appena detto che non è stata colpa mia!
MAMMA Adesso lo capisco. Ma voglio essere assolutamente certa che
non succederà di nuovo. Quindi per me il grande problema è: come
fare in modo che tu possa stare tranquilla quando ricevi delle
amiche a casa, e come papà e io possiamo essere sicuri che le nostre
regole saranno rispettate, che siamo a casa oppure no.
STACEY Mamma, la stai facendo troppo grossa. Non devo far altro che
dire a Sue e Jessie di non portare più dei ragazzi a casa quando voi
non ci siete.
M A M M A Okay, allora scrivo il tuo suggerimento. È il primo della
nostra lista. Adesso mi viene un’idea: installare uno spioncino alla
porta. Così potrai vedere chi c’è fuori prima di aprire.
STACEY E se qualcuno vuole fumare, gli dico che deve andare fuori.
M A M M A Potremmo fare dei cartelli VIETATO FUMARE e sistemarli in
casa. Potresti dire a tutti che è stata quell’odiosa di tua madre a
costringerti a farlo… Che altro?

D’un tratto Karen uscì dal suo ruolo. «Lo so… lo so che non
abbiamo ancora finito, e che dovremmo analizzare tutti i suggerimenti
e poi decidere quali sono i migliori e bla bla, ma devo dirti quello che
provavo quando interpretavo Stacey. È stato davvero sorprendente.
Mi sono sentita così rispettata… che mia madre mi stesse ascoltando
davvero… che potessi tranquillamente dirle come mi sentivo e che
non mi sarebbe saltata alla gola… e che fossi proprio in gamba a
trovare io stessa delle idee, e che mia madre e io fossimo una vera
squadra.»
Sorrisi a Karen con tutto il cuore. Nel suo modo inimitabile e
personale, aveva espresso il nucleo di quello che avevo sperato di
comunicare.
La ringraziai per essersi immersa così profondamente nella parte e
per aver condiviso con noi i sentimenti che aveva provato. Parecchi
altri genitori applaudirono.
Karen fece un sorrisetto. «Non applaudite ancora» disse. «Il grande
spettacolo deve ancora arrivare. Adesso la vera madre deve andare a
casa e metterlo in scena con la vera Stacey. Fatemi tutti gli auguri.»
E da tutta la sala si alzarono gli auguri: «Buona fortuna, Karen!»
E su quella nota positiva, l’incontro terminò.

I racconti
Dopo che i genitori ebbero avuto l’opportunità di parlare
tranquillamente con i figli e di provare alcune delle abilità del
problem-solving, si resero conto di cose che non avevano mai notato.
Ecco i punti principali dei loro racconti.

KAREN: IL PROBLEM-SOLVING TI PUÒ AIUTARE A CAPIRE CHE COSA STA


SUCCEDENDO VERAMENTE.
La scorsa settimana, quando sono uscita dall’incontro, non sapevo
nemmeno se Stacey sarebbe stata mai più disposta a parlare con me.
Tra noi c’erano state troppe incomprensioni. Ma non appena ho fatto
il primo passo del “metodo” (ossia ascoltare veramente il suo punto di
vista e accettare tutti i suoi sentimenti) si è trasformata in un’altra
persona. D’un tratto ha cominciato a raccontarmi cose che prima non
mi avrebbe mai detto.
Ho scoperto che uno dei due ragazzi era il nuovo ragazzo di Jessie,
e che lei con lui era tutta risatine e faceva la scemetta e gli stava
addosso, e che quando lui le ha offerto una sigaretta lei l’ha presa e
l’ha fumata.
Non ho detto una parola. Mi sono limitata ad ascoltare e ad
annuire. Poi mi ha detto che i ragazzi avevano sei lattine di birra, e che
dopo averle finite hanno cominciato a guardarsi attorno, in cerca di
qualcos’altro da bere. Uno di loro ha trovato l’armadietto dei liquori, e
i due ragazzi si sono bevuti un po’ di scotch. Hanno provato a
convincere le ragazze a farsi “un goccetto”, ma solo Jessie ha accettato.
Ragazzi, è stato un bell’esercizio di autocontrollo! Ma sono felice di
esserci riuscita, perché più parlavamo, più capivo la situazione di
Stacey. Era evidente che una parte di lei era eccitata da
quell’esperienza, ma soprattutto, secondo me, era spaventata e
sopraffatta da quello che stava accadendo.
Questo è bastato per rendere molto più semplice il resto della
conversazione. Non ho dovuto stare lì a spiegare a Stacey come mi
sentivo (lei sapeva già come la penso su fumo e alcol), e di lì a poco
abbiamo tirato fuori una serie di soluzioni. Ecco quelle sulle quali
abbiamo concordato:

nessun ragazzo può entrare in casa se i genitori non sono


presenti;
gli alcolici non sono permessi;
tutti quelli che proprio non possono fare a meno di fumare devono
andare in giardino;
la mamma spiegherà a Sue e Jessie (in modo amichevole) quali
sono le nuove regole della casa;
papà metterà una serratura all’armadietto dei liquori;
se c’è bisogno dell’intervento di un adulto e i genitori non sono
contattabili, Stacey chiamerà uno dei numeri attaccati sullo
sportello del frigo.

Una volta terminata la nostra lista, ci siamo sentite entrambe


piuttosto soddisfatte. Avevamo risolto insieme il problema. Invece di
lasciare a me il compito di stabilire la legge, Stacey aveva detto la sua
in proposito.

LAURA: NON È SEMPRE NECESSARIO SEGUIRE TUTTI I PASSAGGI DEL


PROBLEM-SOLVING PER GIUNGERE A UNA SOLUZIONE.
Quando Kelly è arrivata a passo di danza in camera mia per
mostrarmi come si era vestita, era fuori di sé dall’eccitazione.
«Mamma, guarda che cosa mi sono comprata con le mance del mio
compleanno! Non è uno sballo? È all’ultimissima moda! Ma non ti fa
impazzire?»
Le ho dato un’occhiata e ho pensato: “Grazie al cielo nella sua
scuola ci sono delle regole per l’abbigliamento”. E subito dopo ho
pensato: “Okay, forse questo è il momento giusto per un po’ di
problem-solving tra madre e figlia”. Ho cominciato dal primo stadio: i
suoi sentimenti. «Ti ho sentito, Kelly. Ti piace da morire quella
maglietta striminzita con quei jeans a vita bassa.»
Poi ho espresso quello che provavo io. «A mio parere, è un look
troppo sfacciato. Non voglio che mia figlia se ne vada in giro in
pubblico esponendosi mezza nuda e mostrando l’ombelico. Secondo
me invia un messaggio sbagliato.»
La mia opinione non le è piaciuta. Si è lasciata cadere su una sedia e
ha detto: «Oh, mamma, non capisci proprio niente di queste cose».
«Potrebbe essere vero» ho ammesso «ma non possiamo elaborare
qualche soluzione che potrebbe…» Prima ancora che potessi
terminare la frase, lei ha detto: «E allora non me li metterò “in
pubblico”. Soltanto a casa, quando vengono qui le mie amiche.
Okay?!!»
«Okay» ho risposto. E la faccenda è finita lì. Almeno per ora. Perché
so già che cosa succederà oggi. Le ragazze usciranno di casa con l’aria
di quelle che mia madre definirebbe “perfette signorine”. Ma appena
svoltato l’angolo, su le magliette, giù i jeans e, di nuovo, ombelico in
bella mostra.

JIM: NON RESPINGETE NESSUNO DEI SUGGERIMENTI DI VOSTRO FIGLIO.


A VOLTE LE IDEE PEGGIORI POSSONO PORTARE ALLA SOLUZIONE
MIGLIORE.
Jared, quattordici anni, ha improvvisamente cominciato a lamentarsi
che sua sorella, dodici anni, lo sta tirando scemo. Ogni volta che i suoi
amici vengono a casa, lei trova una scusa per entrare in camera sua e
mettersi in mostra. Io capisco che cosa sta accadendo, ma Jared si
infuria. Le urla di tutto e poi urla a mia moglie perché tenga la
bambina lontana da lui.
Una sera, dopo cena, ho deciso di provare a mettere in atto con
Jared il problem-solving. Il primo passo ha richiesto un po’ di
autocontrollo. Mi sono costretto a starmene lì seduto a sentire tutte le
sue lamentele sulla sorella. E una volta cominciato, non si fermava
più. «È una vera rompipalle… Quando ci sono i miei amici sta sempre
lì a gironzolare… Trova tutte le scuse per entrare in camera mia… E le
serve un foglio o mi deve mostrare qualcosa… E poi non bussa mai…
E poi quando le dico di andarsene se ne sta lì come una scema.»
Ho ammesso che questa situazione doveva essere molto frustrante
per lui, ma ho deciso di non dire quanto era frustrante per me stare lì
a sentirlo mentre parlava a quel modo di sua sorella. Sapevo che non
era dell’umore giusto per ascoltare ciò che provavo io.
La prima cosa che ha detto, quando ho spiegato che ci servivano
delle idee creative per risolvere la faccenda, è stata: «Spediscila su
Marte».
L’ho scritta, e lui si è aperto in un gran sorriso. Il resto della lista è
arrivato subito dopo:

appendere alla porta della mia stanza un cartello con scritto


VIETATO ENTRARE (Jared);
papà potrebbe dirle che non può entrare mai in camera mia senza la
mia approvazione (Jared);
Jared dovrebbe dire alla sorella, con modi calmi e diplomatici, che
desidera che la sua privacy sia rispettata quando vengono a
trovarlo gli amici (papà);
fare un patto con lei: se mi lascia in pace con i miei amici, non
prenderò in giro le sue amiche quando vengono a casa (Jared).

La cosa è finita lì. Tutto questo è successo qualche giorno fa. Da


allora, Jared ha parlato con Nicole, e anch’io l’ho fatto. Ma il test vero
e proprio deve ancora avvenire: domenica gli amici di Jared vengono
a casa per le prove della loro band.

MICHAEL: QUANDO USI L’APPROCCIO PROBLEM-SOLVING CON GLI


ADOLESCENTI, AUMENTANO LE PROBABILITÀ CHE TENTINO LO STESSO
APPROCCIO CON TE
Avevo per caso sentito Jeff che diceva al telefono ai suoi amici di
questo “incredibile” concento rock al quale dovevano assolutamente
andare. Quando ha riattaccato, ha detto: «Papà, dovrei proprio parlare
con te».
Ho pensato: “Oh-oh, rieccoci da capo. Adesso discuteremo come al
solito: ‘Tu non mi lasci mai andare da nessuna parte. Non succederà
niente di terribile. Nessun altro padre…’ eccetera eccetera”.
Ma, con mio grande stupore, ha detto: «Papà, Keith vuole che vada
a un concerto sabato sera. È in centro. Ma prima che tu dica qualcosa,
voglio sentire tutte le tue obiezioni. Tutte le ragioni per le quali tu non
vuoi che ci vada. Io le scriverò. Sai, come hai fatto con me la settimana
scorsa».
Be’, avevo una lista bella lunga.
Gli ho detto che mi preoccupa l’idea di due ragazzi di quindici anni
che stanno lì, da soli, a notte fonda, alla fermata dell’autobus. Mi
preoccupano le droghe che circolano durante i concerti. Mi
preoccupano i rapinatori e i borsaioli a caccia di facili prede. Mi
preoccupa che si possano far male quando i ragazzi si mettono a fare
quella cosa, il mosh pit, che è peggio del pogare, perché si lanciano dal
palco e gli altri li prendono al volo. Forse. E poi ho qualcosa da dire
sulle parole delle canzoni che istigano all’odio, o insultano le donne, la
polizia, i gay e le minoranze.
Quando ho finito, ha guardato gli appunti che aveva preso e ha
analizzato una per una tutte le mie preoccupazioni.
Ha detto che avrebbe fatto in modo che lui e Keith si unissero ad
altre persone alla fermata dell’autobus; avrebbe tenuto il portafogli
nella tasca interna della giacca, con la zip chiusa; lui e i suoi amici non
usano droghe; non sapeva se ci sarebbe stato un mosh pit, ma che in
quel caso si sarebbe limitato a guardare; e ha detto che non è così poco
intelligente da permettere che delle parole idiote di una canzone lo
trasformino in un bigotto.
Ero così colpito dalla sua maturità che ho accettato di lasciarlo
andare, a certe condizioni: invece di lasciare che i ragazzi prendessero
l’autobus, sua madre e io li avremmo accompagnati in città, saremmo
andati al cinema mentre loro assistevano al concento, e li avremmo
riaccompagnati al termine. «Se questo piano per te funziona» gli ho
detto «allora non devi far altro che chiamare la biglietteria e farti dire
a che ora termina il concerto.»
Mi ha ringraziato. E io l’ho ringraziato per aver preso sul serio le
mie preoccupazioni. Gli ho detto che il modo in cui si era rivolto a me
mi aveva aiutato a riflettere bene sulla situazione.

JOAN: CI SONO PROBLEMI PER I QUALI IL PROBLEM-SOLVING NON


BASTA. A VOLTE SI HA BISOGNO DELL’AIUTO DI UN ESPERTO.
All’inizio avevo pensato che Rachel avesse perso peso perché
ultimamente faceva molta attività fisica. Ma non riuscivo a capire
perché fosse sempre così stanca o perché non avesse appetito.
Qualsiasi cosa le preparassi, anche i suoi piatti preferiti, mangiava una
o due forchettate, giocherellava sul piatto con il resto, e quando la
spingevo a mangiare di più, diceva: «Non ho proprio fame» oppure,
«E comunque, sono troppo grassa».
Poi una mattina sono entrata casualmente in bagno mentre usciva
dalla doccia e non riuscivo a credere ai miei occhi. Il suo corpo era
emaciato. Era tutta pelle e ossa.
Ero sconvolta. Non sapevo se quello fosse il genere di problemi per il
quale potevamo metterci a parlare e a trovare la soluzione, ma dovevo
provarci. Il primissimo passo (riconoscere i suoi sentimenti) mi si è
ritorto contro. Le ho detto: «Tesoro, so che ultimamente ti sono stata
addosso perché non mangi abbastanza, e so che può essere irritante, e
posso capire perché tu stai…».
Prima che riuscissi a pronunciare un’altra parola, mi si è rivoltata
contro. «Non voglio parlare di questa storia. Non sono affari tuoi. È il
mio corpo e quello che mangio sono fatti miei!» Poi è andata in camera
sua sbattendo la porta.
A quel punto ho chiamato il nostro medico di famiglia. Gli ho
raccontato quello che stava succedendo e lui mi ha sollecitato a
portarla da lui per una visita di controllo. Quando, infine, mia figlia è
uscita dalla camera, le ho detto: «Rachel, so che secondo te quello che
mangi non dovrebbe riguardarmi. Ma il fatto è che mi riguarda. Sei mia
figlia e ti voglio bene, e desidero aiutarti, ma non so come. Ecco
perché ti ho preso un appuntamento con il dottore».
Be’, è stata davvero dura («Non ho bisogno d’aiuto! Sei tu ad avere
un problema, non io!»). Ma non ho ceduto. E quando, finalmente, è
andata dal medico, lui ha confermato i miei peggiori timori. Rachel
soffriva di un disturbo dell’alimentazione. Aveva perso quasi sei chili,
saltato alcune mestruazioni, e aveva la pressione bassa.
Il dottore le ha parlato molto chiaramente. Le ha detto che aveva un
problema di salute potenzialmente grave, che richiedeva cure
immediate, che per fortuna era stato diagnosticato in tempo, e che
l’avrebbe indirizzata a un programma apposito. Quando lei ha chiesto
«Che genere di programma?» lui le ha spiegato che si trattava di un
approccio multidisciplinare, una combinazione di counseling
individuale, di gruppo e nutrizionale.
Mentre stavamo per uscire dall’ambulatorio, Rachel sembrava
sopraffatta. Il dottore le ha sorriso e le ha preso la mano, dicendo:
«Rachel, ti conosco da quando eri piccola. Sei una ragazza coraggiosa.
Ho una grande fiducia in te. Quando parteciperai al programma, farai
in modo che funzioni, che sia giusto per te».
Non so se Rachel è stata in grado di capire che cosa il medico
intendesse, ma io gli sono stata grata per le sue parole, e sollevata.
Non dovevo affrontare questo problema da sola. Potevo farmi aiutare.

Un rapido ripasso...

Trovare insieme una soluzione

GENITORE Questa è la seconda volta che torni dopo l’ora stabilita! Bene,
sabato prossimo ti puoi scordare di uscire. Sei in castigo per tutto il
weekend.

Invece:

Fase 1
Invitate vostra figlia a spiegarvi il suo punto di vista.

GENITORE C’è qualcosa che ti rende difficile rispettare l’orario di rientro.


RAGAZZO Sono l’unica della compagnia che deve rientrare per le dieci. Devo
sempre andarmene mentre gli altri si stanno divertendo.

Fase 2
Affermate il vostro punto di vista.

GENITORE Mi preoccupo quando so che dovresti essere a casa a una certa ora
e non ti vedo arrivare. Immagino le peggio cose.

Fase 3
Invitate vostra figlia a trovare insieme una soluzione.

GENITORE Vediamo se ci sono delle idee che possiamo trovare insieme che
permettano di trascorrere un po’ di tempo in più con gli amici e mi
lascino tranquillo.

Fase 4
Scrivete tutte le idee, senza giudicarle:

mi lasci stare fuori quanto voglio e non mi aspetti sveglio (ragazza);


non ti lascio più uscire fino a quando ti sposi (genitore);
sposti il coprifuoco alle undici (ragazza);
allungo l’ora del rientro fino alle dieci e mezza – per ora (genitore).

Fase 5
Rivedete insieme l’elenco e stabilite quali idee volete mettere in pratica.

RAGAZZA Alle dieci e mezzo è meglio. Ma perché solo per ora?


GENITORE Possiamo farla diventare l’ora di rientro per sempre. Non devi far
altro che dimostrare che d’ora in poi riesci a rientrare all’ora stabilita.
RAGAZZA Affare fatto.
5
Incontriamo i ragazzi

Desideravo incontrare i ragazzi.


Avevo sentito parlare di loro, avevamo parlato di loro, pensato a
loro, e ora volevo conoscerli personalmente. Chiesi ai genitori che cosa
pensassero della mia idea di fissare alcuni incontri con i loro figli: uno
per cominciare a conoscersi, uno per insegnargli alcune delle capacità
di comunicazione di base, e poi uno nel quale ci potevamo riunire
tutti insieme.
La reazione fu immediata: «Sarebbe fantastico!» … «Grande
idea!»… «Non so se riuscirò a convincerla a venire, ma ci proverò con
tutte le mie forze»… «Dimmi solo quando. Ci sarà».
Stabilimmo tre date.

Mentre osservavo i ragazzi che si affollavano nella sala, cominciai


immediatamente ad associare i figli ai genitori, cercando di capire
come fossero formate le coppie. Quel ragazzino alto e magro era Paul,
il figlio di Tony? Gli assomigliava un po’. La ragazza con quel sorriso
cordiale era Kelly, la figlia di Laura? Ma poi pensai: “No, non farlo.
Devi considerare questi ragazzi come individui, non come estensioni
della loro mamma o del loro papà”.
Quando tutti si furono accomodati dissi: «Come probabilmente i
vostri genitori vi hanno spiegato, io insegno metodi di comunicazione
che aiutano le persone, di ogni età, ad andare più d’accordo. Ma come
voi ben sapete, “andare più d’accordo” non è sempre facile. Significa
che dobbiamo essere capaci di ascoltarci l’un l’altro e, infine, fare uno
sforzo per comprendere il punto di vista dell’altro.
«Dunque, sicuramente i genitori capiscono il loro punto di vista.
Ma secondo me quello che sfugge a molti di loro (me compresa) è una
comprensione più profonda del punto di vista della generazione più
giovane. Ed ecco dove intervenite voi. Spero di capire meglio, stasera,
quella che secondo voi è la verità, qualunque sia, per voi o per i vostri
amici.»
Il ragazzo che assomigliava a Tony sogghignò. «E allora, che cosa
vuoi sapere? Chiedi pure. Sono un esperto.»
«Sì, come no» replicò un altro, sghignazzando. «E di che?»
«Lo scopriremo presto» dissi, distribuendo il foglio di domande che
avevo preparato. «Per favore, dategli un’occhiata, vedete a quali
potete rispondere senza sentirvi a disagio, e poi parleremo.»
Vidi una mano alzata.
«Sì?»
«Chi vedrà quello che scriviamo?»
«Soltanto io. Non dovete mettere il vostro nome sul foglio. Nessuno
saprà chi ha scritto cosa. Mi interessa soltanto che siate sinceri nelle
risposte.»
Non ero sicura che avessero voglia di scrivere, dopo una lunga
giornata di scuola, ma lo fecero. Esaminarono ogni domanda,
rimasero a fissare fuori dalla finestra, si chinarono sul foglio e
scrissero, in fretta e sinceramente. Quando tutti ebbero terminato,
esaminammo insieme l’elenco di domande, ragionando su ciascuna.
La maggior parte dei ragazzi lesse a voce alta le sue risposte; altri
aggiunsero spontaneamente le loro riflessioni, e altri ancora
ascoltarono in silenzio, preferendo fornire le risposte per iscritto. Ecco
i punti salienti delle loro opinioni.

Secondo te, che cosa intende la gente quando dice cose come: «Oh, be’, è
solo un ragazzino»?
«Che siamo immaturi, che siamo tutti mocciosi e una gran rottura
di scatole. Ma secondo me non è così. Tutti possono comportarsi da
ragazzini, a qualsiasi età.»
«Che tutti gli adolescenti sono un guaio. Ma non è vero. È un modo
per denigrare. Non esiste un solo tipo di adolescente. Siamo tutti uno
diverso dall’altro.»
«Dicono sempre: “Dovresti mettere giudizio” oppure “Comportati
come uno della tua età”. Ma questa è la nostra età.»
«Ci sentiamo umiliati e insultati quando gli adulti hanno
un’opinione così bassa delle nostre capacità.»
«Credono di conoscerci. Dicono: “Abbiamo avuto gli stessi
problemi quando eravamo giovani”. Ma non si rendono conto che i
tempi sono cambiati e che i problemi sono cambiati.»

Secondo te, qual è il vantaggio di avere la tua età, per te o per i tuoi amici?
«Avere più privilegi. Meno limiti e confini.»
«Divertirmi e fare quello che mi piace.»
«Avere dei ragazzi.»
«Stare fuori fino a tardi nel fine settimana e andare al centro
commerciale con gli amici.»
«Godermi la vita senza responsabilità. So che più avanti ne avrò.»
«Avvicinarmi al momento di prendere la patente.»
«C’è la libertà di sperimentare, ma anche la sicurezza e l’affetto
della tua famiglia dove tornare quando qualcosa va per il verso
sbagliato.»

Quali sono le cose che preoccupano i ragazzi della tua età?


«Non essere all’altezza.»
«Non essere accettato dal gruppo.»
«Perdere gli amici.»
«I ragazzi si preoccupano di quello che pensano di loro gli altri.»
«Ci preoccupiamo del nostro aspetto: vestiti, capelli, scarpe,
marche…»
«Le ragazze devono essere magre e carine, e i maschi devono essere
fichi e atletici.»
«Ci preoccupiamo dei risultati a scuola e di dover fare ogni
pomeriggio una tonnellata di compiti a casa e di non farci rimandare.»
«Il nostro futuro e avere dei bei voti.»
«Mi preoccupo della droga e della violenza e dei terroristi che
possono attaccare e di roba del genere.»
«Mi fa paura che ci possa essere una sparatoria a scuola e che tante
persone restino uccise. È così facile procurarsi un’arma.»
«I ragazzi subiscono molto stress. Forse più dei genitori. Loro
possono dirci tutto quello che vogliono, ma noi non possiamo
assolutamente dire loro quello che vogliamo.»

C’è qualcosa che i tuoi genitori dicono o fanno e che ti aiuta?


«I miei genitori discutono con me delle cose, e cerchiamo di trovare
delle soluzioni.»
«Mia mamma capisce quando sono di cattivo umore e mi lascia in
pace.»
«Mia mamma mi dice sempre che sono carina, anche se secondo me
non è così.»
«Mio papà mi aiuta con i compiti se non capisco qualcosa.»
«Una volta mio papà mi ha raccontato del guaio in cui si è cacciato
da ragazzo. Mi ha fatto sentire meglio quando nei guai ci sono finito
io.»
«Mia madre mi ha spiegato che cosa devo dire se qualcuno vuole
convincermi a provare la droga.»
«I miei genitori mi dicono sempre: “Nella vita devi avere
un’aspirazione, uno scopo. Avere un obiettivo ti terrà sempre sulla
retta via”.»

C’è qualcosa che i tuoi genitori dicono o fanno e che non ti aiuta?
«Mi accusano di cose che non sono vere. E poi, quando gli racconto
qualcosa che mi fa uscire dai gangheri, dicono: “Dacci un taglio” o
“Lascia perdere”. Mi fa davvero girare le scatole!»
«Io odio quando mi dicono che ho un atteggiamento negativo.
Perché nessun bambino viene al mondo con un atteggiamento
negativo. Non è una cosa che hai dentro, a volte è colpa dei genitori.
Possono essere un esempio negativo.»
«I miei genitori criticano il mio modo di studiare, il che è ingiusto
perché a scuola vado bene.»
«Odio quando mi sgridano urlando.»
«I miei lavorano troppo. Non c’è mai abbastanza tempo per parlare.
Cioè, delle cose normali, di tutti i giorni.»
«I genitori non dovrebbero stare sempre a criticare e punire i figli.
Mio fratello è stato tirato su così. E adesso ha dei problemi ad
accettare l’autorità. Si dimette da tutti gli impieghi perché non riesce a
gestirla. E anch’io sono così. Non riesco ad ascoltarli quando mi
puniscono. Io odio le punizioni.»

Se tu potessi dare un consiglio ai genitori, quale sarebbe?


«Non dite: “Tu puoi dirmi tutto”, e poi, quando lo facciamo, andare
nel panico e farci la paternale.»
«Non dite cose come: “Ma sei ancora attaccato al telefono?” oppure
“Stai mangiando di nuovo?” quando è ovvio che lo stiamo facendo.»
«Non dirci di non fare una cosa e poi farla voi, come bere o fumare
sigarette.»
«Se tornate a casa di cattivo umore, non rovesciateci addosso i
vostri guai e non dateci la colpa se avete avuto una giornataccia.»
«I genitori non dovrebbero fare i carini fuori e poi a casa dircene di
ogni e picchiarci e privarci del rispetto. Se i ragazzi si comportano
male è per quello che vedono a casa. E allora se i genitori si sentono
frustrati e vogliono dirci una cattiveria dovrebbero proprio cercare di
trattenersi.»
«I genitori dovrebbero credere in noi. Anche se facciamo un errore,
non significa che siamo delle persone cattive.»
«Non criticate i nostri amici. Non li conoscete nemmeno.»
«Non fateci sentire in colpa se preferiamo star fuori con gli amici
invece di stare con la nostra famiglia.»
«Se volete che i figli vi dicano la verità, non metteteli in punizione
per ogni sciocchezza.»
«Anche se i vostri figli non sono più piccoli, ditegli sempre che gli
volete bene.»
«Se esiste un modo per far sì che i vostri figli sperimentino la vita
senza mettersi in pericolo, trovatelo e seguitelo, perché è quello che ci
serve.»

Se tu potessi dare un consiglio ad altri ragazzi della tua età, che cosa
diresti?
«Di non fare scemenze, come drogarsi, solo per piacere agli altri
ragazzi.»
«Di essere cordiali con tutti, anche con i ragazzi che non sono
popolari.»
«Di non mettersi dalla parte di quelli che fanno i bulli.»
«Di non mettere nei guai gli altri ragazzi scrivendo robaccia su di
loro su Facebook o altri social.»
«Di sviluppare rapporti d’amicizia veri, solidi. Quando la vita si fa
dura e non c’è nessun altro su cui contare, gli amici ci saranno.»
«Se vuoi che i genitori ti lascino stare fuori di più, comincia a
tornare a casa in orario.»
«Se il tuo ragazzo ti dice che ti molla se non fai sesso con lui, allora
sei tu che dovresti mollarlo.»
«Non credere di poter fumare qualche sigaretta di tanto in tanto e
che vada bene così. Una mia amica ha cominciato in quel modo, e
adesso di fa un pacchetto al giorno.»
«Se bevi o ti droghi, devi sapere che puoi incasinarti la salute e il
futuro. Ci sono ragazzi che dicono: “Chi se ne frega. Il corpo è mio e ci
faccio quello che voglio”. Ma sbagliano. Non fanno male soltanto a se
stessi. Tutte le persone che gli vogliono bene saranno deluse e
infelici.»

Che cosa vorresti cambiare nella tua vita, a casa, a scuola o con gli amici?
«Vorrei che i miei genitori si rendessero conto che non sono più un
bambino piccolo e che mi lasciassero fare più cose, come andare in
città con gli amici.»
«Vorrei che i miei insegnanti ci andassero più calmi con i compiti a
casa. Si comportano tutti come se la loro materia fosse l’unica. La sera
dobbiamo restare alzati fino a tardi per finire tutto. Nessuna
meraviglia che poi, in classe, siamo stanchi.»
«Vorrei non avere così tanti impegni tra studio e lezioni di musica,
e avere più tempo libero per starmene fuori con gli amici.»
«Vorrei che i ragazzi non facessero i carini davanti a te e poi ti
sparlassero alle spalle.»
«Vorrei che tutti i miei amici andassero d’accordo tra loro, senza
cercare di tirarmi da una parte o dall’altra.»
«Vorrei che le persone non ti giudicassero per l’aspetto o per quello
che indossi. Ecco perché mi piace stare on line: lì non importa anche se
sembri strano o sei brutto.»
«Vorrei che le ragazze non litigassero su scemenze come: “Ti ho
visto con il mio ragazzo”. Le baruffe non risolvono niente. Finisce
sempre che ti sospendono da scuola, e poi ti puniscono anche i
genitori.»
«Vorrei che i genitori non stessero troppo addosso ai figli perché
siano perfetti. Insomma, abbiamo solo una vita da vivere, e allora
perché non possiamo metterci un po’ comodi e goderci la nostra età?
Perché dobbiamo sempre eccellere in tutto? Certo, abbiamo degli
obiettivi e dei sogni, ma perché non possiamo raggiungerli senza tutto
questo stress?»

Udite le risposte anche all’ultima domanda, tutti si rivolsero a me,


in attesa. Dissi: «Sapete che cosa vorrei? Vorrei che genitori e ragazzi
di tutto il mondo potessero aver sentito quello che avete detto oggi
pomeriggio, vorrei che potessero aver colto alcuni importanti
suggerimenti che potrebbero aiutarli».
I ragazzi parvero compiaciuti del mio commento. «Prima di
concludere» chiesi «c’è qualcosa di cui non abbiamo parlato e di cui,
secondo voi, i vostri genitori dovrebbero essere a conoscenza?»
Una mano si alzò con qualche incertezza, poi venne abbassata, poi
si alzò di nuovo. Era il ragazzo che assomigliava a Tony. «Sì, digli che
a volte noi gridiamo e diciamo cose che li mandano in bestia. Ma non
dovrebbero prenderla sul personale. Moltissime volte non parliamo
sul serio.»
«Esatto» aggiunse la ragazza con un sorriso molto simile a quello di
Laura. «E digli anche di non diventare matti se non riordiniamo la
nostra stanza o non diamo una mano in casa. Non è perché siamo
mocciosi viziati. A volte siamo troppo stanchi oppure abbiamo
qualcosa in testa oppure abbiamo bisogno di parlare con gli amici.»
Un’altra ragazza intervenne, con vivacità. «E chiedi ai genitori se
gli piacerebbe sentirsi dire, non appena mettono piede in casa: “Hai
dimenticato di nuovo i piatti sporchi nel lavello!” oppure “Voglio che
cominci a preparare la cena in questo preciso istante!” oppure “Niente
tele se prima non hai pagato tutte le bollette!”.»
Tutti scoppiarono a ridere.
«In effetti» aggiunse «mia madre non strilla più tanto da quando
viene alle tue riunioni. Non so che cosa impari qui, ma non esce più
dai gangheri come prima.»
«Tua madre e tutti gli altri genitori stanno imparando le stesse
abilità nella comunicazione che non vedo l’ora di condividere anche
con voi, la prossima settimana» dissi. «Analizzeremo delle idee che
possono aiutare le persone ad andare più d’accordo in tutti i loro
rapporti.»
«Tutti?» chiese una delle ragazze. «Inclusi quelli con i nostri
amici?»
«Anche con i vostri amici» le assicurai. Eppure c’era qualcosa, nel
modo in cui aveva posto la domanda, che mi fece interrompere.
Non avevo progettato di concentrare la sessione seguente
sull’amicizia, ma d’un tratto mi resi conto che forse avrei dovuto farlo.
Forse dovevo prendere spunto dai ragazzi. Ascoltare tutti i loro
commenti sull’importanza dell’amicizia mi aveva reso
improvvisamente consapevole di quante emozioni gli adolescenti
investono nell’interazione con i coetanei.
«Che ne direste» chiesi al gruppo «di usare la nostra prossima
sessione per capire in che modo queste abilità comunicative possano
essere applicate alle relazioni d’amicizia?»
Nessuno rispose immediatamente. I ragazzi si guardarono l’un
l’altro e poi guardarono me. Infine, qualcuno disse: «Fico». Tutti
annuirono.
«Allora è quello che faremo» dissi. «Ci vediamo la settimana
prossima.»
6
A proposito di sentimenti, amici e famiglia

«E muovi quel culo, deficiente.»


«Chiudi il becco, morto di fame!»
Le parole mi colpirono mentre mi facevo strada tra capannelli di
ragazzi che si accalcavano ai loro armadietti, al termine delle lezioni.
Il consigliere d’orientamento mi venne incontro nel corridoio.
«Come sono contenta di averti trovato!» esclamò. «Oggi la riunione è
nell’aula 307. Non preoccuparti, ho contattato tutti i ragazzi per
avvertirli del cambiamento.»
La ringraziai e mi affrettai su per le scale, cercando di evitare la
massa selvaggia di ragazzini che, scendendo di corsa, spingevano e
spintonavano.
«E guarda dove vai, stronzo.»
«Stai in campana, sfigato.»
«Ehi, coglione, aspettami fuori e vedrai!»
Che stava succedendo? Era quello il modo in cui i ragazzi si
parlavano, oggi?
Quando arrivai all’aula 307, la maggior parte dei ragazzi stava già
aspettando fuori dalla porta. Li feci entrare e, mentre si
accomodavano, descrissi quello che avevo appena sentito. «Ditemi»
chiesi «è il modo di parlare normale?»
Risero della mia ingenuità.
«E non vi disturba?» chiesi ancora.
«Ma figurati, si fa per dire. Lo fanno tutti.»
«Non tutti.»
«Ma moltissimi ragazzi sì.»
A quel punto non sapevo bene come procedere. «Come ben sapete,
io mi occupo di relazioni tra persone. Del modo in cui le parole che
usiamo per comunicare influiscono su quello che proviamo gli uni per
gli altri. Quindi ho bisogno di chiedervi, seriamente: mi confermate
che davvero non ve ne importa niente di alzarvi e andare a scuola tutti
i giorni sapendo che ci sono buone probabilità che, entro la fine della
giornata, qualcuno vi chiamerà “sfigato” o “stronzo”, o qualcosa di
peggio?»
Uno dei ragazzi si strinse nelle spalle. «A me non importa.»
«Nemmeno a me» aggiunse un altro.
Non potevo lasciar correre. «Quindi nessuno ha qualcosa da dire
contro questo genere di linguaggio?»
Seguì un breve silenzio.
«A me qualche volta dà fastidio» ammise una ragazza. «E so che
non dovrebbe, perché i miei amici e io ci insultiamo sempre, ed è solo
un modo per scherzare tra noi. Capisci, per divertirsi. Ma se prendi un
brutto voto in un compito in classe e qualcuno ti chiama “deficiente”,
come mi è successo una volta, o come quella volta che mi avevano
fatto un brutto taglio di capelli e la mia amica ha detto che sembravo
scappata dal manicomio, allora non è più così divertente. Ho fatto
finta che non me ne importasse, ma ci sono rimasta male.»
«Secondo te» le chiesi «che cosa sarebbe accaduto se invece di
fingere che niente fosse, avessi spiegato ai tuoi amici come ti sentivi
davvero?»
Lei scosse il capo. «Non sarebbe stata una buona idea.»
«Perché?»
«Perché sarebbe stato peggio o mi avrebbero preso in giro.»
«Già» concordò un’altra ragazza. «Avrebbero pensato che eri
troppo sensibile e che stavi cercando di essere differente o superiore, e
poi non ti sarebbero più stati amici.»
Tanti alzarono la mano. I ragazzi avevano molto da dire.
«Ma quelli non erano amici veri. Insomma, se devi mentire e far
finta che non te ne importi, solo per essere parte del gruppo, allora è
tutto uno schifo.»
«Già, ma un sacco di ragazzi farebbero qualsiasi cosa pur di essere
accettati.»
«Esatto. Conosco uno che si è messo a bere e farsi di altra roba solo
perché lo facevano i suoi amici.»
«Ma è un’idiozia, perché dovresti essere in grado di fare quello che
ritieni giusto e lasciare che gli amici facciano quello che gli pare. Come
dico io: “Vivi e lascia vivere”.»
«Sì, ma nella vita vera non funziona così. Gli amici hanno un sacco
di influenza su di te. E se non fai come loro, potrebbero tagliarti
fuori.»
«E con questo? Chi li vuole, amici del genere? Secondo me un vero
amico è una persona con la quale puoi essere te stesso, non uno che
cerca di cambiarti.»
«Qualcuno che ti ascolta e a cui importa come ti senti.»
«Esatto, qualcuno con cui puoi parlare se hai un problema.»
Ero molto colpita da quello che i ragazzi stavano dicendo. Per loro
gli amici erano così importanti che alcuni di loro erano disposti a
rinunciare a una parte di sé pur di appartenere al gruppo. Eppure tutti
loro sapevano, da una certa prospettiva, che cosa dava significato a
un’amicizia soddisfacente per entrambe le parti.
«Dovremmo essere sulla stessa lunghezza d’onda» dissi. «Fin dal
nostro ultimo incontro ho riflettuto molto su come le abilità che
insegno agli adulti possano funzionare in una relazione tra
adolescenti. Mi avete appena chiarito benissimo che la dote che più
apprezzate in un amico è la capacità di ascoltare, accettare e rispettare
quello che avete da dire. Allora, come possiamo mettere in pratica
questa idea?»
Presi dalla mia valigetta il materiale che avevo preparato. «Vedrete
numerosi esempi di un amico che cerca di mettersi in contatto con un
altro. Vedrete anche il contrasto tra la reazione che può minare alle
fondamenta un’amicizia e quella che invece porta conforto e sostegno.
«Analizziamo insieme queste pagine» dissi, mentre le distribuivo al
gruppo. «Qualcuno di voi è disposto a interpretare i diversi ruoli?»
Non ci fu un momento di esitazione. Volevano tutti “recitare”. Tra
scoppi di risate, lessero le loro parti con energia e impeto drammatico.
Seduta lì, a guardare le illustrazioni ascoltando le voci dei ragazzi in
carne e ossa, mi sembrava di assistere a un cartone animato.
Invece di tirare frecciatine…

Quando una persona sta male, domande e critiche possono farla sentire ancora peggio.

… ascoltate annuendo, rispondendo solo con un monosillabo o una


parola
A volte un suono, un monosillabo, una parola che dimostrino empatia possono aiutare un
amico a sentirsi meglio e a riflettere meglio.

Invece di negare pensieri e sentimenti…


Quando un amico non prende sul serio i tuoi sentimenti, non hai più tanta voglia di
continuare la conversazione.

... esprimete a parole pensieri e sentimenti


È molto più facile parlare con qualcuno che accetta i tuoi sentimenti e ti dà la possibilità di
giungere da solo alle tue conclusioni.

Invece di non prendere in considerazione i desideri…


Quando un amico non prende in considerazione i tuoi desideri e ti critica persino per averli
avuti, ti puoi sentire umiliato e frustrato.

… date nella fantasia quello che non potete dare nella realtà
È più facile accettare la realtà se un amico ti dà nella fantasia ciò che desideri.

«Allora, che ne dite di questi esempi?» chiesi. Le reazioni dei


ragazzi arrivarono dopo qualche esitazione.
«Noi non parliamo così, ma forse sarebbe bello se lo facessimo.»
«Già, perché gli esempi che mostrano il modo “sbagliato” ti fanno
sentire una schifezza.»
«Ma non ti puoi limitare a dire le parole “giuste”. Devi crederci
davvero, altrimenti penseranno che sei un ipocrita.»
«In un certo senso molte di quelle frasi non sembrano naturali. È un
modo di parlare diverso. Ma forse, se ti ci abitui...»
«Potrei abituarmi a sentirlo. Non so se potrei abituarmi a usarlo, e
non so che cosa direbbero i miei amici, se lo facessi.»
«Secondo me è una cosa fantastica. Vorrei che tutti parlassero a
tutti in questo modo.»
«Compresi i ragazzi? Vorresti che parlassero così ai loro genitori?»
chiesi.
La mia domanda li zittì. «Per esempio?» chiese uno di loro.
«Per esempio quando tua madre o tuo padre sono seccati per
qualcosa.»
Era chiaro dalle loro espressioni perplesse che questa era una
prospettiva del tutto nuova.
«Provate a immaginare» continuai «che una sera vostra madre o
vostro padre tornino a casa stanchi morti dal lavoro, lamentandosi
della giornata. Il traffico lento, il computer rotto, il capo che non la
smetteva di urlare, e tutti si sono dovuti fermare fino a tardi in ufficio
per recuperare il tempo perduto.»
«Bene, voi potete reagire dicendo: “E tu credi di aver avuto una
giornataccia? La mia è stata mille volte peggio”. Oppure potete
dimostrare che capite la situazione dicendo, con tono empatico: “Oh”,
oppure dando voce ai pensieri e ai sentimenti dei vostri genitori,
oppure dando loro, nella fantasia, quello che non potete dargli nella
realtà.»
Il gruppo fu incuriosito dalla mia sfida. Dopo una breve pausa, uno
a uno si rivolsero ai loro immaginari genitori.
«Urca, mamma, a quanto pare hai avuto una giornataccia.»
«È un bel guaio quando il computer ti lascia a piedi.»
«Deve essere orribile quando il capo urla.»
«Non è divertente restare imbottigliati nel traffico.»
«Scommetto che ti piacerebbe poter andare al lavoro a piedi.»
«E ti piacerebbe non dover stare di nuovo in ufficio fino a tardi!»
«E che il tuo vecchio capo andasse in pensione e che ne arrivasse
uno nuovo che non urla!»
Adesso tutti mi sorridevano, ovviamente compiaciuti di loro stessi.
«Volete sapere una cosa?» disse una ragazza. «Io ci provo stasera
con mia madre. Si lamenta sempre del suo lavoro.»
«Io ci voglio provare con mio papà» intervenne un ragazzo. «Un
sacco di volte torna a casa tardi e dice che è stanco morto.»
«Ho il sospetto» dissi «che stasera ci saranno alcuni genitori molto
riconoscenti. E non dimenticatevi di portarli al nostro ultimo incontro,
la settimana prossima. Sarà interessante vedere che cosa succede
quando ci mettiamo tutti insieme per trovare una soluzione.»

Un rapido ripasso...

I sentimenti devono essere riconosciuti e accettati

RAGAZZA Alice è una tale snob! Mi è passata a un palmo di naso quando mi


ha visto in corridoio, ma ha salutato solo i ragazzi “fichi”.
AMICA Ma che te ne frega? Perché dovrebbe importarti di lei?

Invece di negare i sentimenti:

riconoscete i sentimenti con un monosillabo o una parola: «Urca!»;


identificate i sentimenti: «Anche se sai che è una gran snob, ci resti
comunque male. A nessuno piace essere ignorato»;
date nella fantasia quello che non potete dare nella realtà: «Non
sarebbe bello che uno dei ragazzi più fichi ripagasse Briana con la sua
stessa moneta? Passarle vicino come se lei non esistesse. Poi sorridere
e salutare con entusiasmo qualcun altro».
7
Genitori e figli

Quella sera era un debutto per tutti noi. Mentre ciascuna famiglia
entrava nella sala e prendeva posto, si percepiva una sotterranea
corrente di tensione. Nessuno sapeva che cosa aspettarsi. Io men che
meno. I genitori sarebbero stati inibiti dalla presenza dei loro figli? I
ragazzi si sarebbero trattenuti, sapendo che i genitori li osservavano?
E io potevo aiutare entrambe le generazioni a sentirsi a proprio agio?
Dopo aver dato a tutti il benvenuto, dissi: «Stasera siamo qui per
imparare dei modi di parlare e di ascoltare che possano essere d’aiuto
a tutti i membri della famiglia. Forse non sembra poi così difficile, ma
talvolta lo è. Soprattutto per il semplice fatto che in famiglia non
esistono due persone uguali. Siamo tutti individui unici. Abbiamo
interessi, temperamenti, gusti differenti, e necessità diverse che spesso
entrano in collisione e in contrasto gli uni con gli altri. Basta
trascorrere un po’ di tempo in una casa qualsiasi per sentire frasi
come:

“Fa un gran caldo qui dentro. Apro la finestra.”


“No! Non farlo! Sto gelando!”

“Abbassa la musica. È troppo alta!”


“Alta? Ma se non la sento nemmeno.”

“Datti una mossa! Siamo in ritardo!”


“E rilassati, abbiamo un mucchio di tempo.”

«E negli anni dell’adolescenza si possono sviluppare altre


differenze. I genitori vogliono tenere i figli al sicuro, protetti da tutti i
pericoli del mondo esterno. Ma i ragazzi sono curiosi. Vogliono la
possibilità di esplorare il mondo esterno.
«La maggior parte dei genitori vuole che i figli si comportino
secondo le loro idee riguardo a che cosa è giusto o sbagliato. Alcuni
ragazzi contestano tali idee e vogliono seguire quello che secondo i
loro amici è giusto o sbagliato.
«E come se non ci fosse materiale a sufficienza per infiammare le
tensioni familiari, si deve anche affrontare il fatto che di questi tempi i
genitori sono più occupati che mai, e sottoposti a forti pressioni.»
«Puoi dirlo forte» intervenne Tony.
Il ragazzo seduto accanto a lui borbottò: «E di questi tempi i ragazzi
sono più occupati che mai, e sottoposti a forti pressioni».
Dagli altri adolescenti si levò un coro di «esatto», «bravo».
Risi. «Quindi non è un mistero» continuai «il motivo per il quale
persone della stessa famiglia, che si vogliono bene, possano anche
irritarsi, disturbarsi e a volte infuriarsi le une con le altre. E allora, che
cosa vogliamo fare con tutti questi sentimenti negativi? A volte non
riusciamo proprio a trattenerli. Mi sono sentita dire ai miei figli: “Ma
perché continui a fare così?... Non imparerai mai!... Ma cosa c’è in te
che non va?”. E ho sentito i miei figli dirmi: “Che stupidaggine!... Sei
così ingiusta!... Le madri di tutti gli altri li lasciano…”»
Vidi sorrisi di riconoscimento sui volti di genitori e figli.
«In qualche modo» continuai «anche se queste parole ci sfuggono
di bocca, noi tutti sappiamo, dentro di noi, che è un linguaggio che
rende le persone ancora più rabbiose, le mette più sulle difensive, e
diminuisce la loro capacità di considerare il punto di vista dell’altro.»
«Ecco perché» sospirò Joan «a volte ignoriamo i nostri sentimenti e
non diciamo niente, solo per amor di pace.»
«E a volte» concordai «decidere di “non dire niente” non è una
cattiva idea. Almeno non peggioriamo la situazione. Ma per fortuna, il
silenzio non è la nostra unica opzione. Anche se ci accorgiamo che
stiamo per seccarci o arrabbiarci con un membro della famiglia,
dobbiamo fermarci, fare un bel respiro, e porci una domanda cruciale:
“Come posso esprimere quello che davvero provo in un modo che
renda possibile all’altra persona ascoltarmi e persino prendere in
considerazione il mio punto di vista?”.»
«So bene che quello che vi propongo non è facile. Significa che
dobbiamo prendere la decisione consapevoli di non dire all’altro che
cosa non vada in lui o in lei, che cosa non ci piace, o che cosa ci
piacerebbe.»
A questo punto feci una pausa. I genitori mi avevano già sentito
esporre questi argomenti parecchie volte. I ragazzi li stavano sentendo
per la prima volta. Alcuni di loro mi guardarono con aria
interrogativa.
«Vi distribuirò alcune semplici illustrazioni» continuai «che vi
spiegheranno che cosa intendo dire. Per me, dimostrano il potere che
genitori e ragazzi hanno di inasprire oppure ridimensionare i
sentimenti negativi. Concedetevi qualche minuto per guardare questi
esempi e ditemi che cosa ne pensate.»
Ecco i disegni che distribuii al gruppo.

A volte i ragazzi fanno arrabbiare i genitori


Quando i genitori sono frustrati, a volte lanciano accuse colleriche.

Invece di accusare… esprimete quello che provate e/o dite quello


che vi piacerebbe
È più probabile che i ragazzi ascoltino quando gli si spiega come ci sentiamo, invece di dire
quanto sono maleducati o in torto.

A volte i genitori fanno arrabbiare i ragazzi


Quando i ragazzi sono insultati, a volte hanno la tentazione di insultare a loro volta.

Invece di contrattaccare… dite quello che provate e/o quello che vi


piacerebbe
È più probabile che i genitori ascoltino quando gli si spiega come ci sentiamo, invece di dire
quanto sono in torto.

Osservai attentamente i volti dei partecipanti mentre leggevano i


fogli. Dopo qualche minuto chiesi: «Che ne pensate?».
Paul, il figlio di Tony, fu il primo a rispondere (esatto, il ragazzo
alto e magro era figlio di Tony). «Credo che sia ok» disse «ma quando
mi arrabbio davvero non penso a quello che dovrei o non dovrei dire.
Apro la bocca e sputo fuori i rospi.»
«Già» concordò Tony. «È proprio come me. Prende subito fuoco.»
«Capisco» dissi. «È molto difficile pensare o parlare razionalmente
quando si è arrabbiati. A volte i miei figli, da adolescenti, si sono
comportati in modi che mi hanno fatto talmente infuriare da farmi
urlare: “In questo momento sono così fuori di me da non rispondere
di quello che posso dire o fare! Meglio che mi stiate alla larga!”
probabilmente questo li metteva al sicuro e mi dava un po’ di tempo
per calmarmi.»
«E poi?» chiese Tony.
«Poi andavo a farmi un giro dell’isolato oppure prendevo
l’aspirapolvere e passavo di fino tutta casa… qualsiasi cosa che mi
impegnasse fisicamente, che mi facesse muovere. Che cosa vi aiuta a
calmarvi quando siete molto, ma molto arrabbiati?»
Vidi alcuni sorrisetti imbarazzati. I ragazzi furono i primi a
rispondere.
«Mi chiudo in camera e metto la musica a palla.»
«Sparo parolacce a bassa voce.»
«Vado a farmi un lungo giro in bici.»
«Mi scateno con la batteria.»
«Faccio addominali fino a quando crollo.»
«Litigo con mio fratello provocandolo.»

Feci cenno ai genitori. «E voi?»


«Vado dritto al freezer e mi sparo mezzo chilo di gelato.»
«Piango.»
«Urlo con il primo che mi capita a tiro.»
«Chiamo mio marito al lavoro e gli racconto che cosa è successo.»
«Prendo un’aspirina.»
«Scrivo una lunga lettera piena di cattiverie, poi la strappo in mille
pezzi.»

«Ora immaginate di aver appena fatto quello che fate di solito per
stemperare la rabbia e di essere un po’ più in grado di esprimervi in
modo proficuo» dissi. «Riuscite a farlo? Riuscite a dire all’altro quello
che volete, o sentite, o di cui avete bisogno, invece di dargli la colpa e
di accusarlo? Ovviamente sì. Ma richiede una certa riflessione, e fare
un po’ di esercizio aiuta.
«Nei fogli che vi ho appena consegnato ho usato degli esempi tratti
da situazioni avvenute a casa mia. Ora vorrei chiedere a tutti voi di
provare a ricordare qualcosa che accade a casa vostra e che vi
disturba, vi irrita o vi fa arrabbiare. Non appena ci avete pensato,
scrivetelo, per favore.»
La mia richiesta parve sorprendere il gruppo. «Può essere una cosa
grande o piccola» aggiunsi. «Accaduta veramente o che voi
immaginiate che possa accadere.»
I genitori e i ragazzi si scambiarono delle occhiate imbarazzate.
Qualcuno ridacchiò, e dopo qualche istante tutti cominciarono a
scrivere.
«Ora che avete individuato il problema proviamo due modi
differenti di affrontarlo» dissi. «Prima scrivete quello che potreste dire
e che secondo voi potrebbe solo peggiorare la situazione.» Mi
interruppi per dare a tutti il tempo di scrivere. «E adesso quello che
potrebbe rendere possibile, per l’altro, ascoltarvi e prendere in
considerazione il vostro punto di vista.»
Nella sala cadde il silenzio mentre tutti affrontavano la sfida che
avevo proposto. Quando sembrarono essere pronti, dissi: «Ora, per
favore, ciascuno di voi prenda il suo foglio e trovi un genitore o un
ragazzo che non sia il suo e si sieda accanto a lui o a lei».
Dopo qualche minuto di confusione generale, tra sedie spostate e
grida di «Mi serve un ragazzo!» e «Chi vuole essere mio padre?»,
finalmente tutti si accomodarono accanto ai nuovi partner.
«E adesso» dissi «siamo pronti per il prossimo passo. Per favore,
leggete a turno, uno all’altro, le vostre affermazioni contrastanti, e
osservate le reazioni. Poi ne parleremo.»
Tutti parvero esitare; ci furono parecchie discussioni su chi dovesse
iniziare la scenetta. Ma una volta presa la decisione, genitori e ragazzi
assunsero i rispettivi ruoli con convinzione. All’inizio si parlavano a
voce bassa, e a poco a poco si animarono e presero a discutere con
tono più alto. Tra Michael e Paul (il figlio di Tony) scoppiò un finto
litigio, che fece girare tutti verso di loro.
«Ma tu continui a rimandare e rimandare fino all’ultimo!»
«Non è vero! Ti ho detto che lo farò dopo.»
«Quando? »
«Dopo cena.»
«È troppo tardi.»
«No, non è tardi.»
«E invece sì! »
«E piantala di seccarmi e lasciami in pace!»
D’un tratto entrambi si interruppero, consapevoli che nella sala era
sceso il silenzio e che erano al centro dell’attenzione.
«Sto cercando di convincere mio figlio a iniziare prima a fare i
compiti» spiegò Michael «ma mi dà del filo da torcere.»
«Perché non vuole lasciarmi un po’ in pace» disse Paul. «Non si
rende conto che più mi rompe perché lo faccia, più io rimando.»
«Okay, mi arrendo» disse Michael. «Ora proviamo nell’altro
modo.» Face un bel respiro e disse: «Figliolo, ci ho riflettuto… Ti ho
spronato a iniziare presto i compiti a casa perché è quello che sembra
giusto a me. Ma d’ora in poi, intendo fidarmi di te; inizierai quando ti
sembra giusto. Tutto ciò che ti chiedo è terminare entro le nove e
mezzo o dieci di sera, al massimo, in modo da poterti fare una buona
notte di sonno.»
Paul si aprì in un gran sorriso. «Ehi, “papino”, così va molto
meglio! Così mi piace.»
«Allora sono andato bene» disse Michael, con fierezza.
«Sì» replicò Paul. «E vedrai, anch’io andrò bene. Farò i compiti a
casa. Non dovrai ricordarmelo tu.»
Il gruppo sembrava galvanizzato dalla dimostrazione a cui aveva
appena assistito. Parecchie coppie di genitori e ragazzi si offrirono di
leggere a voce alta le loro affermazioni contrastanti. E tutti ci
accingemmo ad ascoltare con attenzione.

GENITORE(con tono accusatorio) Perché devi sempre avere da ridire


quando ti chiedo di fare qualcosa? Non ti offri mai di dare una
mano. Non fai altro che dire: «Perché io? Perché non lo fa lui? Ho
da fare».
GENITORE (descrive quello che prova) Detesto mettermi a litigare quando
chiedo un aiuto. Mi renderebbe molto felice sentire: «Non
aggiungere altro, mamma, vado a farlo!».

RAGAZZA (con tono accusatorio) Perché non mi hai riferito il messaggio?


Sia Jessica sia Amy hanno detto di aver chiamato, e tu non me l’hai
detto. Così ho perso la partita ed è tutta colpa tua!
R A G A Z Z A (descrive quello che prova) Mamma, per me è molto
importante ricevere tutti i messaggi. Non ho partecipato alla partita
perché hanno cambiato il giorno e io l’ho scoperto solo quando era
ormai troppo tardi.

GENITORE (con tono accusatorio) Da te non sento altro che: «Dammi...


Comprami… Portami di qua, Portami di là». Qualsiasi cosa faccia
per te, non basta mai. E ricevo forse un grazie? Figuriamoci!
G E N I T O R E (descrive quello che prova) Sono felice di aiutarti quando
posso. Ma quando lo faccio, mi piacerebbe sentire una parola di
apprezzamento.

RAGAZZA (con tono accusatorio) Perché non sei come le altre madri?
Tutte le mie amiche vanno al centro commerciale da sole. Tu mi
tratti come una mocciosa.
RAGAZZA (descrive quello che prova) Detesto restare a casa il sabato sera
mentre tutte le mie amiche si divertono al centro commerciale. Mi
sembra di essere abbastanza grande da cavarmela da sola.

A Laura, che aveva ascoltato con particolare interesse sua figlia


leggere l’ultima affermazione, d’un tratto sfuggì uno strillo. «Oh no,
Kelly Ann! Non mi interessa quello che dici o come lo dici, non lascerò
che una ragazzina tredicenne vada al centro commerciale di sera.
Dovrei essere pazza, con tutto quello che succede al giorno d’oggi.»
Kelly arrossì. «Mamma, ti prego» supplicò.
Ci volle qualche istante per capire che quello che per il gruppo era
un esercizio, per Laura e la figlia era un conflitto vero e proprio.
«Sbaglio, forse?» mi chiese Laura. «Anche se è con le amiche, si
tratta sempre di ragazze. È semplicemente irresponsabile permettere
che delle ragazzine gironzolino tutta la sera per il centro
commerciale.»
«Mamma, nessuna di noi gironzola» rispose piccata Kelly.
«Andiamo per negozi. E poi, è un posto sicuro. Ci sono migliaia di
persone, per tutta la sera.»
«Bene» intervenni «abbiamo qui due punti di vista completamente
diversi. Laura, tu sei convinta che il centro commerciale, di sera, non
sia il posto giusto per una tredicenne non accompagnata. Immagini
troppi potenziali pericoli. Kelly, a te il centro commerciale sembra “un
posto sicuro”, e secondo te dovresti avere il permesso di andarci con
le tue amiche.» Mi rivolsi al gruppo. «Siamo a un punto morto,
oppure possiamo pensare a qualcosa che possa soddisfare sia i bisogni
di Kelly, sia quelli di sua madre?»
Il gruppo non perse nemmeno un istante. Genitori e ragazzi si
lanciarono nell’impresa di trovare una soluzione al problema.

GENITORE (a Laura) Io con mia figlia faccio così. La accompagno in


macchina con le sue amiche e dico che possono starci due ore. Però
mi deve telefonare dopo un’ora e chiamarmi di nuovo quando è
pronta per farsi venire a prendere. So che per lei è una rottura, ma
io così mi sento tranquilla.
RAGAZZA (a Laura) Può comprare a Kelly un telefono cellulare. Così
potrà chiamarla se ha un problema o lei la può contattare in ogni
momento.
UN ALTRO GENITORE (a Laura) Che ne dici di accompagnare le ragazze
in auto? Puoi restare un po’ con loro, poi fare qualche compera da
sola e stabilire un orario e un luogo dove incontrarvi per riportarle
a casa.
RAGAZZO (sedici anni, alto e carino, rivolto a Kelly) Se vuoi andare al
centro commerciale con le amiche, perché non lasci che tua mamma
venga con te?
KELLY Ma scherzi? Le mie amiche andrebbero fuori di matto.
LAURA Perché? Tutte le tue amiche mi trovano simpatica.
KELLY Niente da fare. Sarebbe troppo imbarazzante.
LO STESSO RAGAZZO CARINO (sorridendo a Kelly) Potresti dire alle tue
amiche di sopportarlo, una o due volte, così tua mamma può
rendersi conto della situazione, dove vai, che cosa fai. Magari si
rilassa.
KELLY (incantata dal ragazzo) Sì, è possibile (guardando la madre con aria
interrogativa).
LAURA Io lo farei.

Ero molto colpita da quello a cui avevo appena assistito. E ancora


più impressionante della rapida soluzione del conflitto era il modo in
cui il gruppo aveva reagito alla situazione di stallo tra Laura e Kelly.
Nessuno aveva preso le parti di una o dell’altra. Tutti avevano
mostrato grande rispetto per i sentimenti della madre e della figlia.
«Avete appena dato una chiara dimostrazione di un modo molto
civile di gestire le divergenze» dissi. «A quanto sembra dobbiamo
superare la nostra naturale tendenza a dimostrare che abbiamo
ragione e l’altro ha torto. “Sbagli su questo! E tu sbagli su quest’altro!”
Perché, secondo voi, non ci viene altrettanto naturale sottolineare che
cosa è giusto? Perché non siamo pronti a lodare quanto lo siamo a
criticare?»
Dopo un breve silenzio arrivò un turbinio di risposte. Prima dai
genitori:
«È molto più facile trovare i difetti. Non ci vuole un grande sforzo.
Ma dire qualcosa di carino richiede un po’ di riflessione.»
«Vero. Per esempio ieri sera mio figlio ha abbassato quasi del tutto
la musica quando ha visto che stavo parlando al telefono. Ho
apprezzato il gesto, ma non mi sono mai preoccupato di ringraziarlo
per la sua gentilezza.»
«Non capisco perché i ragazzi dovrebbero essere ringraziati perché
fanno il loro dovere. Nessuno mi loda perché metto la cena a tavola
tutte le sere.»
«Secondo mio padre le lodi facevano male ai ragazzi. Non mi ha
mai fatto un complimento perché non voleva che mi “montassi la
testa”.»
«Mia madre era all’esatto opposto. Non la smetteva mai di dirmi
quanto fossi fantastica: “Sei così carina, così in gamba, così piena di
talento”. Non mi sono montata la testa, perché non le credevo.»
I ragazzi si unirono alla discussione.
«Già, ma anche se una ragazza crede ai genitori e pensa di essere
speciale, poi quando va a scuola e vede come sono le altre, potrebbe
andare incontro a una gran brutta delusione.»
«Secondo me genitori e insegnanti dicono cose come “Fantastico” o
“Gran bel lavoro” perché credono che faccia parte dei loro doveri.
Capisci, per incoraggiarti. Ma a me e ai miei amici sembra una grande
ipocrisia.»
«E a volte gli adulti ti lodano per convincerti a fare quello che
vogliono loro. Avreste dovuto sentire mia nonna quando mi sono
tagliato i capelli quasi a zero. “Jeremy, quasi non ti riconoscevo. Sei
davvero bello! Dovresti tenere sempre i capelli così. Sembri un divo
del cinema!” Sì, come no.»
«Non credo che ci sia niente di sbagliato in un complimento, se è
sincero. Io mi sento alla grande quando me ne fanno uno.»
«Anch’io! Mi piace quando i miei genitori mi dicono in faccia
qualcosa di carino. Anzi, alla maggior parte dei ragazzi un po’ di lodi
farebbero bene, di quando in quando.»
«Ragazzi, ho delle notizie per voi» disse Tony. «Alla maggior parte
dei genitori un po’ di lodi farebbe bene, di quando in quando.»
Uno scoppio di applausi dai genitori.
«Bene» dissi «avete sicuramente espresso una vasta gamma di
sentimenti a proposito delle lodi. Ad alcuni di voi piacciono, e non gli
dispiacerebbe sentirne un bel po’ di più. Eppure alcuni le vivono con
disagio, considerandole ipocrite o manipolatore.
«È possibile che la differenza nelle vostre reazioni abbia qualcosa a
che fare con il modo in cui venite lodati? Secondo me sì. Espressioni
come “Sei grandioso… il migliore… così sincero… in gamba…
generoso…” possono mettere a disagio. D’un tratto ci vengono in
mente situazioni in cui non siamo stati così grandiosi o in gamba o
generosi.
«Che cosa possiamo fare, invece? Possiamo descrivere. Possiamo
descrivere quello che vediamo o ciò che proviamo. Possiamo
descrivere lo sforzo di una persona, oppure quello che è riuscita a
ottenere. E più riusciamo a essere specifici, meglio è.
«Riuscite a percepire la differenza tra “Sei così in gamba!” e “Hai
lavorato un bel po’ a quel problema di algebra, ma non ti sei fermato
né ti sei arreso fino a quando non hai trovato la soluzione”?»
«Sì, certo» rispose Paul. «La seconda cosa che hai detto è senza
dubbio migliore.»
«Che cosa la rende migliore?» chiesi.
«Se mi dici che sono così in gamba, io penso “See, magari”, oppure
“Questa sta cercando di lisciarmi”. Ma con la seconda versione, penso:
“Ehi, probabilmente sono in gamba! So come tenere duro fino a
quando non ho trovato la soluzione”.»
«A quanto pare funziona così» dissi. «Quando qualcuno descrive
quello che abbiamo fatto o stiamo cercando di fare, di solito ci
sentiamo più fieri di noi stessi, nel profondo.
«Nei fogli che vi sto distribuendo adesso, vedrete esempi di
genitori e ragazzi che vengono lodati, prima con una valutazione, poi
con una descrizione. Vi prego di notare la differenza in quello che le
persone pensano come reazione a ogni approccio.»

Lodare i ragazzi

Invece di valutare…
... descrivete quello che provate
Lodi di diverso tipo possono condurre i ragazzi a conclusioni molto differenti su loro stessi.
Invece di valutare…

... descrivete quello che vedete


La valutazione mette i ragazzi a disagio. Ma una descrizione e un apprezzamento dei loro
sforzi o di quello che hanno ottenuto è sempre benvenuta.

Lodare i genitori

Invece di valutare…
... descrivete quello che provate
Le persone tendono a respingere le lodi che esprimono una valutazione. Una descrizione
sincera, entusiastica, è più facile da accettare.
Invece di valutare…

... descrivete quello che vedete


Spesso le parole che descrivono conducono le persone a un maggiore apprezzamento dei loro
punti di forza.

Notai che Michael annuiva, studiando le illustrazioni.


«Che cosa stai pensando, Michael?» gli chiesi.
«Sto pensando che prima di stasera avrei detto che qualsiasi tipo di
lode è meglio di niente. Credo fermamente nel valore di darsi
reciprocamente una pacca sulla spalla. Ma comincio a capire che ci
sono modi differenti di farlo.»
«E modi migliori!» annunciò Karen, tenendo alto il suo foglio.
«Adesso capisco perché i miei figli si irritano tanto quando gli dico
che sono “magnifici” o “fantastici”. Li fa diventare matti. Okay, allora
adesso devo ricordare: descrivere, descrivere!»
«Esatto» intervenne Paul dal fondo della sala. «Eliminate tutte le
smancerie e dite quello che vi piace dell’altro.»
Colsi al volo il commento di Paul. «Immaginiamo di fare
esattamente questo, adesso» dissi. «Vi prego di tornare alla vostra
vera famiglia. Poi prendetevi un po’ di tempo per individuare un
aspetto specifico che vi piace del vostro genitore o di vostro figlio.
Non appena vi viene in mente, scrivetelo. Che cosa potreste davvero
dire per far sì che l’altro capisca che cosa ammirate o apprezzate?»
Nella sala passò un’ondata di risolini nervosi. Genitori e figli si
guardarono l’un l’altro, distolsero lo sguardo, poi si chinarono sui
fogli. Quando tutti ebbero finito di scrivere, chiesi loro di scambiarsi i
fogli.
Restai a osservare, in silenzio, mentre spuntavano sorrisi, gli occhi
si inumidivano, e le persone si abbracciavano. Era una scena molto
tenera. Sentii delle frasi qua e là: «Non sapevo che l’avessi notato»…
«Grazie. Mi rende davvero felice»… «Sono felice che ti sia stato
d’aiuto»… «Anch’io ti voglio bene».
Il bidello fece capolino. «Un momento» mimai con le labbra. Poi
dissi al gruppo: «Cari amici, siamo arrivati alla conclusione della
nostra ultima sessione. Questa sera abbiamo visto come possiamo
esprimere la nostra irritazione gli uni agli altri in un modo che sia
d’aiuto alla comprensione reciproca, e non che ferisca. E abbiamo
anche visto dei modi per esprimere il nostro apprezzamento facendo
sì che ciascun membro della famiglia si possa sentire importante, una
persona di valore.
«A proposito di apprezzamento, voglio che sappiate che per me è
stato un enorme piacere lavorare con tutti voi, in queste settimane. I
vostri commenti, le vostre opinioni, i vostri suggerimenti, la vostra
disponibilità a conoscere nuove idee e a provare a metterle in pratica
hanno reso questa esperienza molto gratificante.»
Tutti applaudirono. Pensavo che a quel punto tutti se ne sarebbero
andati. Ma non fu così. Restarono lì, a parlare tra di loro, poi ciascuna
famiglia si mise in fila per salutarmi personalmente. Volevano farmi
sapere che la serata era stata importante per loro. Ricca di significato.
Anche i ragazzi, come i genitori, mi strinsero la mano,
ringraziandomi.
Quando tutti furono usciti, restai lì immersa nei miei pensieri. Al
giorno d’oggi quasi ogni mezzo d’informazione descrive genitori e
ragazzi come avversari. Eppure lì, quella sera, ero stata testimone di
una dinamica molto diversa. Genitori e figli che formavano una
squadra. Le due generazioni che imparavano e utilizzavano nuove
abilità. Le due generazioni che accoglievano l’opportunità di parlarsi.
Felici di entrare in connessione gli uni con gli altri.
La porta si aprì. «Oh, siamo così felici che non te ne sia ancora
andata!» Erano Laura e Karen. «Credi che si possa fare un altro
incontro mercoledì prossimo, soltanto con i genitori?»
Esitai. Non avevo progettato di continuare.
«Perché stavamo tutti parlando nel parcheggio di un problema che
si sta presentando con i nostri figli e che, secondo noi, non avremmo
dovuto trattare stasera, in loro presenza.»
«E non devi nemmeno preoccuparti di contattare le persone. Ci
pensiamo noi.»
«Sappiamo che è una richiesta dell’ultimo minuto, e qualcuno ha
detto che forse non riuscirà a venire, ma è davvero importante.»
«Allora, per te andrebbe bene? Sappiamo che sei molto impegnata,
ma se avessi tempo…»
Guardai i loro visi ansiosi e riprogrammai mentalmente la mia
agenda.
«Troverò il tempo» risposi.

Un rapido ripasso...

Come esprimere la vostra irritazione


A vostro figlio
Invece di accusare o di dare degli appellativi: «Chi è quel cervello di gallina
che è uscito di casa dimenticando di chiudere a chiave la porta?!»

dite quello che provate: «Mi disturba molto il pensiero che chiunque
sarebbe potuto entrare in casa in nostra assenza»;
dite quello che vi piace e/o che vi aspettate: «Mi aspetto che l’ultima
persona che esce di casa si accerti che la porta sia chiusa a chiave».

A vostro padre o a vostra madre


Invece di dare la colpa o di accusare: «Perché devi sempre sgridarmi di
fronte ai miei amici? Nessun altro genitore lo fa!»

dite quello che provate: «Non mi piace essere sgridato di fronte ai miei
amici. È imbarazzante»;
dite quello che vi piace e/o che vi aspettate: «Se sto facendo qualcosa
che ti disturba, dimmi soltanto “Devo parlarti per un secondo”, e poi
dimmelo in privato».

Un rapido ripasso...

Come esprimere apprezzamento


A vostro figlio
Invece di esprimere una valutazione: «Sei sempre così responsabile!»

descrivete quello che ha fatto: «Anche se ti sentivi molto sotto


pressione per le prove a teatro, ti sei ricordata di chiamare quando ti
sei accorta che saresti arrivata a casa in ritardo»;
descrivete quello che provate: «Quella telefonata mi ha risparmiato
tante preoccupazioni. Grazie!».

A vostra madre o a vostro padre


Invece di esprimere una valutazione: «Ben fatto, papà»

descrivete quello che ha fatto: «Accidenti, hai passato metà del tuo
sabato libero per montare quel cesto da basket per me»;
descrivete quello che provate: «Lo apprezzo moltissimo».
8
Sesso e droga

Quella sera il gruppo era meno numeroso, tanto da permetterci di


spostarci nella biblioteca, seduti comodamente attorno a un grande
tavolo. Parecchi partecipanti cominciarono a parlare dell’incontro
della settimana precedente, di quanto lo avevano apprezzato. Di come
le cose a casa andassero meglio. Di come, da allora, sia loro sia i figli,
se si scoprivano a ripetere alcune delle vecchie frasi negative,
sorridessero con un certo imbarazzo, dicendo: «Rifare, prego» per poi
ricominciare. E anche se le frasi nuove suonavano un po’ goffe o
insolite, erano comunque positive.
Karen provò ad ascoltare con pazienza, ma era evidente che
riusciva a trattenersi a stento. Alla prima pausa della conversazione,
esplose. «Mi spiace di essere così negativa, e sono ancora più
spiacente di dover sollevare l’argomento, ma sono molto turbata per
una cosa accaduta a una festa alla quale Stacey è andata la settimana
scorsa.» A questo punto si interruppe e fece un bel respiro. «Avevo
sentito dire che una delle ragazze della sua classe praticava sesso orale
con qualcuno dei ragazzi. Allora, non sono una puritana, e non credo
di essere un’ingenua. So che al giorno d’oggi tra i ragazzi succedono
una quantità di cose di cui non si sapeva niente quando io avevo la
loro età. Ma a dodici e tredici anni! Nel nostro ambiente! A una festa
di compleanno!»
Molte delle persone attorno al tavolo volevano dire la propria
sull’argomento.
«È difficile da credere, vero? Ma secondo quello che ho letto, accade
dappertutto. Anche con ragazzi ancora più piccoli, e non soltanto alle
feste. Lo fanno nei bagni della scuola, sull’autobus e a casa, prima che
i genitori rientrino dal lavoro.»
«Quello che ritengo più allarmante è che le ragazze non ci danno
un gran peso. Per loro il sesso orale è l’equivalente di quello che per
noi era il bacio nella buonanotte. Non lo considerano nemmeno sesso.
Dopotutto, non è un rapporto completo, e quindi resti vergine. E non
puoi restare incinta, quindi immaginano che sia sicuro.»
«Non è sicuro. Ecco che cosa mi terrorizza. Mio fratello è medico, e
mi ha spiegato che i ragazzi con il sesso orale possono contrarre
alcune delle stesse malattie che si prendono con il rapporto completo,
come l’herpes orale o la gonorrea alla faringe. Dice che l’unica
protezione è il preservativo. E anche così non è sicuro al cento per
cento. Il ragazzo potrebbe avere delle verruche genitali o lesioni allo
scroto, e nessun preservativo sarebbe sufficiente, visto che non copre
quella zona.»
«Mi viene la nausea solo a sentirne parlare. Tutta questa faccenda è
un incubo. Per quanto mi riguarda, l’unica vera protezione è non farlo
proprio.»
«Già, ma guardiamo in faccia la realtà. Il mondo di oggi è diverso.
E secondo quello che ho sentito, è una cosa che le ragazze fanno ai
ragazzi, non il contrario. Alcune lo fanno anche in pubblico.»
«L’ho sentito dire anch’io. Evidentemente le ragazze si sentono
spinte a “esibirsi” per essere popolari. Però non si rendono conto che
le voci corrono, e loro si fanno la fama di tipe “facili” o di “puttane”.»
«Invece la reputazione del ragazzo va alle stelle. Si può vantare alla
grande.»
«Io sono preoccupato sia per le ragazze sia per i ragazzi. Come si
sentono dopo, per esempio quando il giorno dopo si incontrano di
nuovo in corridoio? E in che modo fare questo tipo di sesso (e di sesso
si tratta, perché se coinvolge i genitali è sesso) può influire sulle loro
relazioni future?»
A mano a mano che le persone esprimevano i loro commenti, Karen
sembrava sempre più agitata. «Okay, okay» disse. «Dunque è una
cosa molto diffusa e un sacco di ragazzi lo fanno, ma io che cosa
dovrei fare in proposito? Non posso ignorarla. So che devo parlare
con Stacey di quello che è successo alla festa. Ma non so da che parte
cominciare. A dire la verità mi imbarazza anche solo sollevare
l’argomento con mia figlia.»
Seguì una lunga pausa. Tutti si guardarono l’un l’altro, perplessi,
poi si rivolsero a me. Non era facile.
«L’unica cosa di cui sono sicura è quello che non si deve dire»
esordii. «Non dire “Stacey, so tutto di quello che è successo alla festa
della settimana scorsa, e sono sconvolta e nauseata. È la cosa più
disgustosa di cui abbia mai sentito parlare! C’era una sola ragazza che
faceva tu-sai-cosa ai ragazzi? Ne sei sicura? Qualcuno ti ha chiesto di
farlo? E l’hai fatto? Non mentirmi!”
«Invece di investirla con la tua nausea o un terzo grado, avresti
maggiori probabilità di ottenere una conversazione fruttuosa dicendo
a te stessa di mantenere un tono neutro e le domande generiche, senza
metterle sul personale. Per esempio: “Stacey, ho appena sentito una
cosa che mi ha colta di sorpresa, e vorrei parlarne con te. Qualcuno mi
ha riferito che alle feste di voi ragazzi, anche a quella dove sei andata
la settimana scorsa, si pratica sesso orale”.
«Che lo confermi o che lo neghi, potete continuare la
conversazione, sempre mantenendo un tono acritico: “Dal momento
che l’ho saputo mi sono chiesta se sia qualcosa che le ragazze fanno
perché si sentono messe sotto pressione dai maschi. Oppure pensano
che questo le renderà popolari? Mi sono anche chiesta che cosa
succede se una ragazza si rifiuta di farlo”.
«Dopo che Stacey ti avrà detto quello che si sente di raccontare,
puoi esprimere il tuo punto di vista. Ma dato che l’argomento può
essere difficoltoso per i genitori, forse prima di affrontarlo potresti
prenderti un po’ di tempo per stabilire esattamente che cosa desideri
comunicare.»
«So quello che voglio comunicare» disse Karen mestamente. «Però
non credo proprio che lei sia disposta a sentirlo.»
Laura sembrava confusa. «Che cosa non sarebbe disposta a
sentire?»
«Che secondo me è sbagliato che una persona ne usi un’altra per
soddisfare un bisogno sessuale. O che qualcuno faccia un “servizietto”
a un altro soltanto per essere popolare. Lo ritengo umiliante. Non
mostra rispetto per se stesso. Ed è vero sia per i maschi sia per le
femmine.»
«Mi sembrano considerazioni corrette» disse Laura. «Perché non
potresti dirle a Stacey?»
«Forse potrei» sospirò Karen. «Ma conosco mia figlia.
Probabilmente mi direbbe che sono troppo rigida e all’antica, che
proprio non “capisco” e che per i ragazzi d’oggi non è niente di che. È
soltanto una cosa che fanno a qualche festa. E io che cosa posso
replicare?»
«Potresti cominciare riconoscendo il suo punto di vista» intervenni.
«Dicendole: “Dunque per te e per molti altri ragazzi non è niente di
che”. Poi puoi continuare condividendo con Stacey il tuo punto di
vista, da adulta. “Per come la vedo io, il sesso orale è un gesto molto
personale, intimo. Non un gioco da fare a una festa. Non una cosa che
fai così per fare. E non posso fare a meno di chiedermi se qualcuna
delle ragazze che partecipano poi non si sentano a disagio, e
vorrebbero non averlo fatto.” Qualsiasi cosa Stacey dica a questo
punto, le avrai fornito qualcosa su cui riflettere. E perlomeno lei saprà
qual è l’opinione di sua madre.»
«Giusto!» esclamò Michael. «E dato che ci sei, Stacey dovrebbe
essere anche informata sui rischi per la salute. Delle malattie
sessualmente trasmettibili che i ragazzi possono contrarre con il sesso
orale. O con qualsiasi tipo di attività sessuale, se è per questo. Ha
bisogno di capire che alcune malattie sono curabili, ma altre no.
Alcune possono essere mortali. Non c’è niente su cui scherzare.»
Laura scrollò il capo. «Se mia figlia fosse qui, si sarebbe già tappata
le orecchie. Non sopporta sentirmi ripetere e ripetere di continuo tutte
le orribili malattie che potrebbe prendere.»
«Ma noi siamo i genitori!» esclamò Michael. «Che ai ragazzi piaccia o
no, dobbiamo spiegargli tante cose sul sesso, per la loro stessa
sicurezza.»
Laura sembrava scoraggiata. «So che hai ragione» riconobbe «ma la
verità è che mi terrorizza intavolare il “grande discorso” con mia
figlia.»
«Non sei la sola» ammisi. «Il “grande discorso” può essere
imbarazzante sia per genitori, sia per i figli. Inoltre, l’“argomento
sesso” è decisamente troppo importante e troppo complesso per
cercare di esaurirlo in una sola volta. Invece, individuate delle
occasioni che possano condurre a dei “piccoli discorsi”. Per esempio,
mentre guardate insieme un film o un programma televisivo, o mentre
ascoltate il giornale radio, o leggete un articolo su una rivista, potete
servirvi di ciò che state vedendo o ascoltando per avviare una
conversazione.»
Il mio suggerimento face scattare una reazione immediata.
Evidentemente parecchie persone stavano già utilizzando questo
approccio con i figli. Ecco, sotto forma di illustrazioni, alcuni degli
esempi che hanno condiviso con il gruppo.

Invece di un solo “Grande discorso”…


Per un genitore può essere difficile fare un discorso sul sesso che copre tutti gli aspetti, e
per un ragazzo può essere difficoltoso ascoltarlo.

... cercate le opportunità per fare tanti “piccoli discorsi”

Mentre ascoltate la radio


Leggendo un giornale

Mentre guardate insieme un telefilm


Mentre siete in auto

Joan alzò la mano. «Mia madre non avrebbe mai e poi mai sollevato
uno di questi argomenti con me. Sarebbe morta di imbarazzo. Però
fece una cosa. Quando avevo circa dodici anni, mi diede un libro sui
“fatti della vita”. Io finsi di non essere interessata, invece lo lessi dalla
prima all’ultima pagina. E ogni volta che le amiche venivano a casa
mia, chiudevamo la porta della mia stanza da letto, prendevamo “il
Libro” e lo rileggevamo, ridacchiando sulle illustrazioni.»
Jim intervenne: «Mi piace l’idea di usare un libro perché concede al
ragazzo un po’ di intimità, la possibilità di esaminare il materiale
senza che qualcuno stia lì a controllarlo. Ma nessun libro può
sostituire un genitore. I ragazzi vogliono sapere quello che i genitori
pensano, che cosa si aspettano da loro».
«Ecco quello che mi preoccupa» disse Laura. «La parte delle
“aspettative”. Insomma, se parli ai tuoi figli di sesso, e dai loro dei
libri con illustrazioni, non si faranno l’idea che tu ti aspetti che facciano
sesso, e di avere ottenuto il tuo permesso?»
«Assolutamente no!» disse Michael. «Non se tu hai chiarito che
quello che stai fornendo è informazione, non permesso. Inoltre, a me
sembra che se non spieghiamo ai ragazzi alcuni dati di fatto,
potremmo metterli in pericolo. Se c’è qualcosa che, secondo noi,
dovrebbero sapere, per la loro stessa sicurezza, l’unico modo in cui
possiamo essere certi che lo sappiano è informarli noi stessi.»
A questo punto Michael si interruppe, cercando di farsi venire in
mente un esempio. «Per esempio, quanti ragazzi sanno come si usa un
preservativo in modo sicuro, come infilarlo e come toglierlo? E quanti
sono consapevoli che devono controllare la data di scadenza sul
pacchetto? Perché un preservativo che non è più lubrificato non è più
un buon preservativo.»
«Accidenti» intervenne Laura «questo non lo sapevo nemmeno io…
E mi chiedo quante ragazze si rendano conto che, a dispetto di quello
che possano dire le loro amiche, è possibile restare incinte con il primo
rapporto, anche se hanno appena finito le mestruazioni.»
Michael annuì con vigore. «Questo è proprio il genere di cosa che
intendevo dire. E c’è dell’altro. Scommetto che alla maggior parte dei
ragazzi non passa per l’anticamera del cervello che anche se fanno
sesso con una persona che potrebbe averlo fatto soltanto con un altro,
quest’altro potrebbe essere stato con tanti altri. E chissà quali malattie
si sono trasmessi!»
Tony si accigliò. «Tutto quello che avete detto finora è molto
importante. Cioè, avete ragione. Dovete assolutamente parlare ai
vostri figli dei pericoli. Ma non dovreste anche spiegare che c’è
qualcosa di buono nel sesso? Che è normale, naturale… uno dei
piaceri della vita. Insomma, è grazie al sesso che siamo qui!»
Quando le risate si spensero, dissi. «Tuttavia, Tony, quei sentimenti
“normali, naturali” possono a volte essere troppo intensi per i nostri
figli e mandare in tilt la loro capacità di discernimento. Gli adolescenti
di oggi sono sottoposti a un’enorme pressione, esercitata non soltanto
dagli ormoni e dai coetanei, ma anche da una cultura di massa
erotizzata, che li bombarda di immagini esplicite e volgari in
televisione, nei film, nei video musicali, e su Internet.
«Quindi certo, è normale che i ragazzi desiderino sperimentare, o
mettere in pratica quello che hanno visto o sentito. E ovviamente
vogliamo comunicare l’idea che il sesso è “uno dei piaceri della vita”.
Ma dobbiamo anche aiutare i nostri ragazzi a stabilire dei limiti.
Dobbiamo condividere i nostri valori adulti e fornire ai figli linee
guida alle quali attenersi.»
«Per esempio?» chiese Tony.
Mi fermai un istante a riflettere. «Be’… per esempio, io ritengo che
ai giovani si dovrebbe dire che non è mai giusto permettere che
qualcuno li costringa a fare qualcosa di sessuale che non li fa sentire a
loro agio. Non è necessario essere sgarbati, ma possono spiegare
all’altro quello che provano. Possono semplicemente dire: “Questo
non lo voglio fare”.»
«Sono d’accordo al cento per cento» esclamò Laura. «E chiunque
non rispetti questa opinione non è una persona che dovrebbero
continuare a frequentare… E penso anche che ai ragazzi andrebbe
fatto capire che il sesso non è qualcosa che fai soltanto perché credi
che tutti lo facciano. Devi fare quello che è giusto per te. Inoltre, chi
può sapere che cosa sta succedendo davvero? Forse alcuni ragazzi
fanno davvero sesso, ma scommetto che molti altri non lo fanno e
raccontano balle.»
«E a proposito di “fare quello che è giusto per te”» aggiunse Joan
«prima ancora che i ragazzi pensino di affidarsi anima e corpo a
qualcun altro, dovrebbero chiedersi: “Questa persona ci tiene davvero
a me?”… “Mi posso fidare di lei?”… “È una persona con la quale
posso essere veramente me stesso?»
Intervenne Karen: «Per me il principale messaggio che i ragazzi
dovrebbero ricevere dai genitori è: “Vacci piano. Non c’è bisogno di
fare tutto e subito”. Credo che per loro sia un grave errore avere
rapporti o mettersi insieme a qualcuno o comunque lo chiamino oggi,
quando sono ancora tanto giovani».
«Non potrei essere più d’accordo!» esclamò Joan. «Questi sono gli
anni in cui dovrebbero concentrarsi sullo studio e farsi coinvolgere da
diversi tipi di attività, come sport, hobby, associazioni, e fare
volontariato nella comunità. Non è il momento per complicarsi la vita
con delle relazioni sessuali. So che non vogliono sentirselo dire, ma
comunque dovremmo spiegare che ci sono cose per le quali vale la
pena di aspettare.»
«Ma ci saranno sempre ragazzi che non aspetteranno» fece notare
Michael. «E in questo caso, se sono determinati ad “andare fino in
fondo”, dovrebbero sentire dai genitori discorsi chiari ed espliciti. Io
glieli farò. Dirò che devono parlare molto seriamente con il loro
possibile partner, in modo da poter decidere insieme quale tipo di
contraccezione ciascuno di loro pensa di utilizzare. Poi entrambi devono
consultare un medico. A mio parere, se i ragazzi credono di essere
abbastanza grandi da fare sesso, allora devono essere pronti a
comportarsi da adulti. E questo significa pensare alle conseguenze e
assumersi delle responsabilità.»
Jim annuì, in segno di apprezzamento. «Accidenti, Michael, questo
sì che è parlar chiaro. E, naturalmente, tutto quello che hai appena
detto è valido per tutti i ragazzi, che siano etero o gay.»
Cadde il silenzio. Parecchie persone sembravano a disagio.
«Sono lieta che tu abbia fatto questa precisazione, Jim» dissi.
«Dobbiamo ammettere la possibilità che un giovane possa essere
omosessuale e che tutte le precauzioni che Michael ha appena
raccomandato si applichino allo stesso modo anche a lui o a lei.»
Jim sembrò esitare. «Probabilmente il motivo per il quale ho
sollevato l’argomento è che stavo pensando a mio nipote» disse. «Ha
appena compiuto sedici anni, e giusto qualche settimana fa mi ha
confidato di essere gay. Ha detto che me lo stava dicendo perché,
conoscendomi, era abbastanza sicuro che non avrei avuto problemi,
ma che era preoccupato per come l’avrebbero presa i suoi genitori. A
quanto pare era parecchio tempo che voleva dirglielo, ma aveva
paura. Non tanto della reazione di sua madre. Ma non sapeva che
cosa avrebbe fatto suo padre, se lo avesse scoperto.
«Abbiamo parlato a lungo delle possibili conseguenze, e a un certo
punto lui ha detto: “Lo voglio fare, zio Jim, ho intenzione di dirglielo”.
«Bene, lo ha fatto. Lo ha detto ai genitori. All’inizio erano molto
turbati. Suo padre voleva mandarlo da uno psicoterapeuta. Sua madre
ha cercato di rassicurarlo, spiegando che non era così insolito, per un
adolescente, provare a volte attrazione per una persona del suo stesso
sesso, ma che probabilmente era solo una fase passeggera.
«Allora il ragazzo le ha spiegato che non era una fase passeggera:
ormai provava questi sentimenti da molto tempo, e che sperava che
loro avrebbero capito. Per loro deve essere stato molto difficile sentire
queste parole, ma a poco a poco hanno cambiato idea. Alla fine la vera
sorpresa è stato il padre. Ha detto che, qualsiasi cosa succeda, lui
sarebbe sempre stato loro figlio, e che avrebbe sempre potuto contare
sul loro affetto e sul loro sostegno.
«Posso assicurarvi che il ragazzo era davvero sollevato. E io come
zio mi sono sentito molto sollevato. Perché se suo padre e sua madre
gli avessero voltato le spalle in questa situazione, non so che cosa
sarebbe accaduto. Ho sentito fin troppe storie a proposito di ragazzi
che cadono in grave depressione o che arrivano persino al suicidio
perché i genitori li hanno rifiutati a causa della loro omosessualità.»
«Tuo nipote è stato fortunato» dissi. «Venire a patti con
l’omosessualità di un adolescente non è facile, per nessun genitore.
Ma se riusciamo ad accettare i nostri figli per quello che veramente
sono, allora facciamo loro un grande dono: la forza di essere se stessi e
il coraggio per cominciare ad affrontare il pregiudizio del mondo
esterno.»
Seguì un altro lungo silenzio. «C’è dell’altro» disse lentamente
Joan. «Che siano etero o gay, dobbiamo rendere i nostri figli
consapevoli che quando decidono di introdurre il sesso in una
relazione, le cose cambiano. Tutto diventa molto più complicato, tutti i
sentimenti si intensificano. Se qualcosa va storto, se c’è una rottura (il
che accade di continuo, tra ragazzi) possono sentirsi distrutti.
«Ricordo che cosa accadde con la mia migliore amica del liceo. Era
cotta marcia di un ragazzo, si è lasciata convincere ad andare a letto
con lui e quando lui l’ha scaricata per un’altra, è andata in mille pezzi.
I suoi voti sono peggiorati, per un bel po’ di tempo non ha più
mangiato, dormito, studiato, non riusciva a concentrarsi.»
Jim alzò le mani in segno di resa. «Bene» annunciò «dopo aver
ascoltato tutto ciò, sto cominciando a pensare che sia il caso di
appoggiare l’astinenza. Diciamo la verità, è l’unico metodo sicuro al
cento per cento. So che qualcuno sta per dirmi che i ragazzi oggi
raggiungono la pubertà prima e si sposano più tardi, e che non è
realistico aspettarsi che si astengano dal sesso per così tanti anni, ma
la castità non significa che non possano frequentarsi. Possono
continuare a tenersi per mano, ad abbracciarsi, a baciarsi, o magari
anche arrivare a quello che noi chiamavamo limonare. Questo sarebbe
okay… cioè, okay per tutti fatta eccezione per mia figlia.»
Tutti sorrisero, ma Laura sembrava preoccupata. «Per noi è facile
starcene qui, seduti attorno a un tavolo, e decidere che cosa
dovremmo dire ai nostri figli riguardo a quello che possono o non
possono fare. Ma non possiamo, in nessun modo, stargli appresso
ventiquattro ore al giorno. E possiamo dirgli quello che vogliamo, ma
chi dice che ci ascolteranno?»
«Hai ragione, Laura» concordai. «Non ci sono garanzie. Qualsiasi
cosa dica un genitore, alcuni ragazzi vorranno vedere fin dove
possono spingersi e alcuni supereranno i limiti. Tuttavia, tutte le
abilità che avete messo in pratica negli ultimi mesi renderanno molto
più probabile che i vostri figli saranno capaci di ascoltarvi. Ma cosa
ancora più importante, avranno la fiducia in se stessi sufficiente ad
ascoltarsi e a stabilire i loro stessi limiti.»
«Che Dio ti ascolti!» esclamò Tony. «Sicuro come l’oro, io spero che
quello che hai appena detto si applichi anche alla droga, perché ho
una gran brutta sensazione a proposito di alcuni dei ragazzi che mio
figlio sta cominciando a frequentare. Non hanno una gran bella
reputazione (uno di loro è stato sospeso per essersi fatto a scuola), e
non voglio che mio figlio ne sia influenzato. Insomma, se stanno
cercando di convincerlo a usare la droga, voglio sapere che cosa posso
fare per impedirglielo. Per esempio, che cosa dovrei dirgli?»
«Tu che cosa vorresti dirgli?» chiesi.
«Quello che mio padre ha detto a me.»
«Cioè?»
«Che se mi avesse beccato a usare la droga mi avrebbe spezzato
tutte le ossa.»
«E questo ti ha fermato?»
«No. Ho solo fatto di tutto per non farmi beccare.»
Risi. «Quindi almeno ora sai che cosa non devi fare.»
Laura saltò su. «Che ne dici di dirgli: “Ascolta, se qualcuno cerca di
convincerti a farti, digli di no e basta”.»
Tony mi scoccò un’occhiata interrogatoria.
«Il problema con questo tipo di approccio è che non è sufficiente»
risposi. «I ragazzi hanno bisogno di qualcosa di più di un semplice “dì
di no e basta”. Oggigiorno subiscono un’enorme pressione a dire di sì.
Può essere difficile resistere alla combinazione tra i mille messaggi che
arrivano dalla cultura di massa, la facilità a procurarsi la droga e i
pressanti inviti dei coetanei. “Devi proprio provare questo”… “È un
vero sballo!”… “Wow, mi sento in orbita”… “Ti aiuta a rilassarti”…
“E dai, non fare la lagna”.»
«E come se non bastasse, oggi la scienza ci informa che anche se un
adolescente può sembrare maturo dal punto di vista fisico, il suo
cervello è ancora in formazione. La parte che controlla gli impulsi ed
esercita il giudizio è una delle ultime aree cerebrali a svilupparsi.»
«È una situazione spaventosa» disse Laura.
«Sì, è vero» concordai. «Ma la buona notizia è che tutti voi
disponete di più potere di quanto crediate. Ai vostri figli importa
moltissimo della vostra opinione. Magari non sempre lo dimostrano,
ma i vostri valori e le vostre convinzioni sono molto importanti per
loro e possono essere il fattore determinante al momento di decidere
se cedere alle droghe e all’alcol oppure no. Per esempio, Tony, puoi
dire a tuo figlio: “Spero davvero che il tuo amico non si faccia più. È
un ragazzo simpatico, e odio pensare che stia mandando all’aria il suo
futuro per quello che si mette in corpo oggi”. E non sono soltanto le
nostre parole a poter tenere i ragazzi alla larga dai comportamenti a
rischio, ma anche il nostro esempio. È soprattutto quello che i figli ci
vedono fare o non fare a parlare forte e chiaro.»
«Hai colpito nel segno» commentò Joan. «Una volta mio padre mi
ha messa in castigo perché aveva scoperto che mi ero fatta un goccetto
a una festa. Ma io tutte le sere lo vedevo con il suo cocktail prima di
cena e bere birra a tavola, quindi avevo pensato che, se andava bene
per lui, andava bene anche per me.»
«Almeno tuo padre aveva un’idea di quello che ti stava
succedendo» disse Laura «e cercava di essere responsabile. Oggi
moltissimi genitori non hanno il minimo indizio. Immaginano che se i
figli sembrano fare tutto per il verso giusto, allora tutto va bene. Ma
non si può mai esserne del tutto sicuri. Di recente ho letto un articolo
su un gruppo di adolescenti, i classici ragazzi di buona famiglia.
Erano tra i primi della classe, membri di tutte le squadre sportive, e
ogni fine settimana si davano al binge drinking, si riempivano di alcol
fino a scoppiare. E i genitori non ne avevano la più pallida idea, fino a
quando alcuni di loro non sono finiti all’ospedale, e uno ci ha quasi
lasciato la pelle.»
«Questa storia è un campanello d’allarme» dissi. «Il “g” si pratica in
molti gruppi. È una enorme preoccupazione per i genitori, specie da
quando ci hanno spiegato che per gli adolescenti l’alcol è più
pericoloso di quanto si credesse una volta. E tutti gli ultimi studi
dimostrano che il cervello dell’adolescente si trova in una fase dello
sviluppo delicata. L’alcol distrugge le cellule cerebrali, provoca danni
neurologici, perdita di memoria, problemi dell’apprendimento, e
mette a rischio la salute generale del ragazzo. Ci sono anche nuove
prove che prima si inizia a bere, maggiore è la probabilità di diventare
alcolisti da adulti.»
«Fantastico!» intervenne Tony. «Ora che lo sappiamo, come
possiamo farlo entrare nelle capocce di quei tonti dei nostri figli? Sono
convinti che a loro non possa succedere niente. Vanno a una festa e si
sfidano a chi riesca a bere di più prima di vomitare o perdere i sensi.»
«Ecco perché dobbiamo essere molto chiari e molto precisi quando
parliamo ai nostri figli» dissi. «Il binge drinking ti può uccidere.
Introdurre nell’organismo una grande quantità di alcol tutto insieme
può portare ad avvelenamento da alcol. E l’avvelenamento da alcol
può portare al coma o alla morte. È un dato clinico.»
Joan si portò le mani alla testa. «Questo per me è troppo» gemette.
«Già l’alcol in sé è abbastanza brutto, ma secondo tutto quello che ho
letto, i ragazzi che bevono tanto si fanno anche di droga. E là fuori c’è
una tale quantità di sostanze nuove di cui non ho mai sentito parlare
in vita mia. Non è più solo erba, crack o LDS . Adesso c’è l’ecstasy e…»
Gli altri si affrettarono a completare la lista di Joan: «… e il roipnol,
la droga dello stupro».
«E una cosa che chiamano chetamina o Special K.»
«E che mi dite delle metanfetamine? A quando pare danno ancora
più dipendenza della cocaina.»
«Ho sentito parlare di una cosa nuova che i ragazzi inalano per
sballare. La chiamano popper o oro liquido.»
«Accidenti» disse Tony, scuotendo il capo «c’è un casino di roba da
sapere, vero?»
«Può sembrare troppo da affrontare da soli» dissi «ma abbiamo a
disposizione tutte le informazioni del caso: libri, riviste, Internet.
Potete chiamare la linea diretta relativa a una determinata sostanza e
chiedere il materiale informativo più aggiornato. Potete parlare con gli
altri genitori e scoprire quello che sanno. E dato che ci siete, potete
chiedere a vostro figlio se sa che cosa stanno usando in questo periodo
i ragazzi della sua scuola.»
«A quanto pare ho un bel po’ di lavoro da fare» disse Tony.
«Tutti i genitori di teenager hanno un bel po’ di lavoro da fare»
concordai. «Tutti noi dobbiamo chiarire ai figli che le loro madri e i
loro padri sono informati, coinvolti, pronti a fare tutto il necessario
per proteggerli.
«E ancora una volta, un’unica predica non servirebbe a niente. I
ragazzi hanno bisogno di conoscere la vostra opinione sulla droga in
modi e in momenti diversi. Devono sentirsi così a loro agio da potervi
fare domande, rispondere ai vostri dubbi, e riflettere su quello che
loro stessi pensano e provano.
«E adesso… pronti per l’ultima sfida? Come possiamo approfittare
di una piccola opportunità che si può presentare nel corso di una
giornata per affrontare con i ragazzi un discorso sulla droga? Che tipo
di conversazione possiamo immaginare di intrattenere con i nostri
figli adolescenti?»
Dopo molti botta e risposta, il gruppo immaginò le seguenti
situazioni.

Approfittate delle piccole opportunità per parlare di droga

Leggendo un giornale

Guardando una pubblicità


Commentando qualcosa che vi ha colpito

Sfogliando una rivista


Dando il vostro esempio

Commentando un programma radiofonico


Mentre discutevamo l’ultimo esempio, Laura alzò bruscamente la
mano. «Fino a ora abbiamo parlato di come impedire ai nostri figli di
drogarsi. E se un ragazzo si sta già facendo? Insomma, che cosa fare se
è già troppo tardi?»
«Non è mai troppo tardi per esercitare il tuo ruolo di genitore»
dissi. «Anche se si è trattato di “una volta e basta, tanto per provare”,
non lo si può ignorare. Dovete affrontare vostro figlio, ribadire i rischi,
e riaffermare i vostri valori e le vostre aspettative.
«Se, tuttavia, sospettate che il ragazzo stia già usando delle droghe
con una certa frequenza, se notate dei cambiamenti nel
comportamento, nei risultati a scuola, nell’aspetto, nell’atteggiamento,
nelle frequentazioni, se dorme o mangia in modo diverso dal solito,
allora è il momento di agire: fategli comprendere che ve ne siete
accorti. Ascoltate la sua versione dei fatti. Cercate di capire il più
possibile quello che sta succedendo. Chiamate il centro antidroga più
vicino per saperne di più. Consultate il medico di famiglia. Scoprite
quali servizi sono disponibili, nel vostro quartiere o nella vostra città,
in grado di proporre aiuto professionale e cure. In altre parole, cercate
aiuto. Non potete farcela da soli.»
«Spero di non doverlo mai fare» sospirò Laura. «Forse avrò fortuna
e i miei ragazzi andranno alla grandissima.»
«Puoi contare su qualcosa oltre la fortuna, Laura» commentai. «Hai
delle abilità. E soprattutto, sai bene come rendere le abilità umane,
affettuose. È così per tutti voi. Nel corso degli ultimi mesi avete
compiuto molti cambiamenti nel modo di comunicare con i figli. E
tutti questi cambiamenti, grandi e piccoli, possono fare un’enorme
differenza nel vostro rapporto con loro.»
«Reagendo positivamente ai sentimenti dei ragazzi, risolvendo
insieme i problemi, incoraggiandoli e lottare per i loro scopi e a
realizzare i loro sogni, ogni giorno gli fate sapere quanto li rispettate,
li amate e li stimate. E i giovani che si sentono stimati dai genitori
hanno maggiori probabilità di stimare se stessi, di fare scelte
responsabili, e hanno meno probabilità di finire coinvolti in
comportamenti che andrebbero contro il loro stesso interesse o
metterebbero a rischio il loro futuro.»
Silenzio. Era stato un incontro molto lungo, eppure tutti
sembravano riluttanti ad andarsene.
«Questi incontri mi mancheranno» sospirò Laura. «Non soltanto
per le abilità, ma anche per il sostegno che ho ricevuto da tutti voi.» I
suoi occhi si riempirono di lacrime. «E mi mancherà sentire parlare
dei vostri figli.»
Karen la abbracciò. Anche Michael si unì.
«Quello che più mi mancherà» aggiunse Joan «è la consapevolezza
che ci sono persone con le quali posso parlare se si presenta un
problema.»
«E come tutti noi ben sappiamo» commentò Jim, con tristezza «con
gli adolescenti i nuovi problemi sono sempre all’ordine del giorno.
Ecco perché è stato fantastico avere un posto dove si possono ottenere
risposte e opinioni da persone che stanno nella tua stessa barca.»
«Ehi,» intervenne Tony «ma chi dice che dobbiamo smettere?
Perché non continuiamo a incontrarci, magari non tutte le settimane,
ma per esempio ogni uno o due mesi?»
Il suggerimento di Tony fu accolto immediatamente con
entusiasmo.
Tutti mi guardarono, in attesa.
Rimasi un attimo a riflettere. Ciò che questi genitori desideravano
per sé era ciò che io desideravo per tutti i genitori di adolescenti: un
sistema di supporto continuo. Il sollievo di non sentirsi più isolati. Il
conforto di avere la possibilità di alleggerirsi di un fardello con
persone che ti avrebbero capito. La speranza che nasce dallo scambio
di idee e dal vedere nuovi orizzonti. Il piacere di condividere piccoli
trionfi.
«Se è tutto ciò che volete» dissi al gruppo «tenetemi informata. Io ci
sarò.»

Un rapido ripasso...

Sesso e droga

Invece di tenere un “Grande discorso” («So che credi di sapere tutto su


sesso e droga, ma ritengo che sia il momento di fare un bel discorso»)

Cercate piccole opportunità per avviare una conversazione:

ascoltando la radio: «Secondo te quello che ha appena detto lo


psicologo è giusto? Per i ragazzi è difficile rifiutare le droghe perché
non vogliono sembrare imbranati o perdere gli amici?»;
guardando la televisione: «Dunque, secondo questa pubblicità, tutto
quello che una ragazza deve fare per attirare un ragazzo è usare il
lipgloss giusto»;
leggendo una rivista: «Tu che cosa ne pensi? Qui dice: “A volte i ragazzi
si drogano solo per sentirsi meglio. Ma poi devono drogarsi solo per
sentirsi normali”»;
guardando un film: «L’ultima scena ti è sembrata realistica? Secondo te
due ragazzini che si sono appena conosciuti finiscono subito a letto?»;
leggendo un giornale: «Quando hai tempo, dai un’occhiata a questo
articolo sugli adolescenti e il binge-drinking. Mi interessa la tua
opinione»;
ascoltando la musica: «Che te ne pare delle parole di questa canzone?
Credi che possano influenzare il modo in cui i maschi trattano le
ragazze?».
Come è continuato il viaggio…

Nei giorni seguenti mi ritrovai a pensare spesso al gruppo.


Avevamo fatto insieme un lungo viaggio. Persone diverse erano
partite con speranze differenti, timori differenti, e avendo in mente
destinazioni differenti. Eppure, qualunque fossero le loro ragioni
originarie per partecipare agli incontri, tutti avevano avuto la
soddisfazione di vedere che le loro nuove abilità avevano migliorato il
rapporto con i figli, e che i ragazzi si comportavano più
responsabilmente. Risultati di cui tutti potevamo essere soddisfatti!
Ero felice all’idea che ci saremmo incontrati di nuovo. Avrei avuto
la possibilità di condividere con i genitori quello che stavo maturando
con sempre maggiore chiarezza: una visione più ampia di quello che
era stato il nostro lavoro insieme.
La prossima volta dirò loro che se è indubbiamente vero che “i
ragazzi imparano quello che sperimentano”, allora quello che i loro
figli avevano sperimentato e imparato nel corso degli ultimi mesi
erano i più elementari principi della comunicazione basata sull’affetto.
Ogni giorno, negli alti e bassi della vita familiare, questi ragazzi
stavano imparando che:
– i sentimenti sono importanti. Non soltanto i tuoi, ma anche quelli
delle persone con le quali non concordi;
– i modi civili sono importanti. Si può esprimere la rabbia senza
insultare;
– le parole sono importanti. Quello che scegli di dire può causare
risentimento o generare buona volontà;
– in una relazione basata sull’affetto non c’è posto per la punizione.
Siamo tutti «lavori in corso», persone che possono commettere errori e
capaci di affrontare i propri errori e rimediare;
– non dobbiamo farci vincere dalle nostre differenze. I problemi che
sembrano insolubili possono condurre a un ascolto rispettoso, alla
creatività e alla perseveranza;
– tutti noi abbiamo bisogno di essere stimati. Non soltanto per quello
che siamo ora, ma per quello che possiamo diventare.
Al nostro prossimo incontro, dirò ai genitori che ogni giorno offre
nuove opportunità. Ogni giorno dà loro la possibilità di mettere in
atto l’atteggiamento e il linguaggio che possono servire ai loro ragazzi
oggi e per tutti gli anni a venire.
I nostri figli sono il nostro dono al futuro. Quello che vivono oggi
nelle nostre case darà loro la forza per portare nel mondo che
erediteranno modi di vivere che affermano la dignità e l’umanità di
tutti.
Ecco che cosa dirò ai genitori, la prossima volta.
Ringraziamenti

Le nostre famiglie e i nostri amici, per essere stati pazienti e


comprensivi durante la lunga stesura del libro e così carini da non
chiedere: «Dunque, quando esattamente pensate di finire?».
I genitori che hanno partecipato ai nostri seminari, per la
disponibilità a provare nuovi modi per comunicare con le loro
famiglie e per aver raccontato al gruppo le loro esperienze. Le storie
che hanno condiviso sono state fonte di ispirazione per noi e per gli
altri partecipanti.
Gli adolescenti con i quali abbiamo lavorato, per tutto quello che ci
hanno raccontato su di loro e sul loro mondo. I loro contributi, onesti e
sinceri, ci hanno fornito una visione impagabile di ciò che li
preoccupa.
Kimberly Ann Coe, la nostra fantastica illustratrice, che ha preso le
nostre figurine stilizzate e le parole che avevamo messo loro in bocca e
le ha trasformate in una galleria meravigliosamente varia di
personaggi che hanno dato vita alle parole scritte.
Bob Markel, nostro agente letterario e carissimo amico, per
l’entusiasmo dimostrato per il nostro progetto, fin dall’inizio, e per il
suo incrollabile sostegno mentre ci districavamo tra le infinite bozze
che hanno dato vita al libro.
Jennifer Brehl, la nostra editor. Proprio come il “genitore perfetto”
ha creduto in noi, ha rafforzato la nostra parte migliore, e ci ha fatto
notare, con rispetto, dove potevamo rendere il “buono” ancora
migliore. Aveva ragione, sempre.
Haim Ginott, il nostro mentore. Dalla sua scomparsa il mondo è
incredibilmente cambiato, ma la sua convinzione che «per
raggiungere risultati umani abbiamo bisogno di metodi umani» è più
che mai vera.
Indice analitico

Abbigliamento
giudicare gli altri in base a
sentimenti sul modo di vestire
problem-solving
Accettazione
amici
bisogno di
preoccupazioni sull’individualità
Accusare
descrivere i sentimenti invece di
Aggredire verbalmente
Agire
droga
Aiuto professionale
Alcol
occasioni per parlarne
permissività
problem-solving
uso
Amici
comunicare con loro
conflitti
critiche dei genitori agli
paura di perderli
Amore e affetto, come esprimerli
Apprezzamento, come esprimerlo
Ascoltare
Aspettative
Aspetto
complimentarsi per
giudicare gli altri in base a
insicurezza
“Assicurarsi”
Assillare
Astinenza sessuale
Attenzione, come focalizzarsi
Autostop
Avvertimenti

Biglietto
chiedere scusa
per comunicare
Binge drinking
Body piercing
Brainstorming
Bugie
Bullismo
on line

Castigo
mettere in
per uso di alcol
risentimento
uscire di casa dopo essere stati messi in
Coetanei, pressione da parte di
per fare sesso
per usare droghe
Collaborazione
favorirla
tecniche
usando abilità comunicative
Combriccole
crudeltà
Compiti a casa
aiutare a farli
ansia
irritazione
non farli
Complimenti
Comportamento inaccettabile
Concerti
partecipare a
problem-solving
Condiscendenza, con il broncio
Conflitti, evitare i
Consiglio, non richiesto
e critiche
e insicurezze
Coprifuoco
mancanza
non rispettarlo
Correggersi da soli
Critiche
dagli amici, reciproche
dei genitori sugli amici dei figli
giudizio
sostituirle con l’umorismo
staccare la spina
Cyberbullismo

Denigrare
Descrizione
dei problemi
di sentimenti
lodi descrittive
Desideri, negazione
Difensive, mettersi sulle
Differenze
irritazione riguardo alle
problem-solving
Disapprovazione, essere sensibili alla
Disciplina e punizione
Disordine, problem-solving
Disturbi alimentari
Droghe
agire
alternative alla punizione
occasioni per parlarne
pressione dei coetanei
permissività
uso

Email
e bullismo
Empatia
per gli amici
Esigenze
dei genitori e degli adolescenti
scelte per soddisfarle entrambe

Faccende domestiche
collaborazione
risentimento
Fantasia, dare nella
da parte degli amici
Fare/non fare
Fiducia
guadagnarla
mancanza di
perdita di
Fratelli e sorelle
Fumo
marijuana
occasioni per parlarne
problem-solving

Genitori single
Giudizio e critiche

Ignorare
critiche
prediche
Impaurire, come tattica
Inaspettato, fare qualcosa di
Incolpare
Infelicità
negarla
identificarne le cause
Influenze, cattive
punizioni per essersi cacciati nei guai
tecniche per allontanarle
Informazioni
sull’abuso di alcol
sul body piercing
sulle droghe
sul sesso
Insicurezza
Insulti, reagire agli
tra amici
verbali
Internet
chat room
per trovare informazioni
Irritazione, come esprimerla

Limiti, accettarli
Linguaggio umiliante
tra amici
Litigi
Lodi, tramite la valutazione
Logica

Madri
lavoratrici
single
Maltrattamenti fisici
Martire, fare il
Minacce
sfida come reazione
Morale, fare la
Musica ad alto volume
favorire la collaborazione
problem-solving

Negatività, come superarla


Negazione
dei sentimenti
dei sentimenti degli amici

Omosessualità negli adolescenti


Ordini
risentimento
obbedire di malavoglia

Paragoni,
Parolacce
Patrigni e matrigne,
Perdita, sentimenti di
Permissività
Piercing
Prediche
Problem-solving
metodo in cinque passaggi
ricorrere all’aiuto professionale
interpretare un ruolo
usare le abilità di comunicazione
Problemi, descriverli
Profezia
Protettivo, esserlo troppo
Punizioni
alternative
conseguenze
usare le abilità di comunicazione
Punti di vista, affermare
problem-solving
da parte degli adolescenti

Rabbia, come esprimerla


Realtà, accettarla
Responsabilità
alternative alla punizione e responsabilità
a proposito del sesso
Ribellione
Richieste, discussioni sulle
Ridicolizzare
Rifiuto, paura del
Rimproveri
Riparare a un danno, chiedere scusa per
Risentimento
per le faccende domestiche
per gli ordini
per le punizioni
Rispetto, atteggiamento e linguaggio
in alternativa alla punizione
dare informazioni con rispetto
nell’affermare valori e aspettative
problem-solving
Ruolo, giochi di
degli adolescenti
problem-solving

Sarcasmo
Scelte, proporre delle
Scortesia
Scrivere
apprezzamenti
nel problem-solving
sentimenti negativi
scuse
Scuola
atteggiamento negativo
droga
pressioni
Sentimenti
affermarli
comunicarli con gli amici
descriverli
negarli
negativi
riconoscerli
di perdita
usare le abilità comunicative
Sesso
informazioni
Internet e preoccupazioni sul
occasioni per parlarne
orale e adolescenti
Sfida
Sicurezza
mancanza
perdita
Silenzio
Solleciti
brevi
continui
scritti
Spiegazioni
Stress negli adolescenti
Stupro
droga
Suicidio
Supportare e sostenere

Tempo
degli adolescenti con i genitori
non tenerne conto
per il problem-solving

Umorismo
Università
Valori
Vandalismo
Via più facile, prendere la
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Come parlare perché i ragazzi ti ascoltino & come ascoltare perché ti parlino
di Adele Faber, Elaine Mazlish
Copyright © 2005 by Adele Faber and Elaine Mazlish
All rights reserved
Published by arrangement with HarperCollins Publishers
Titolo originale dell’opera: How to Talk So Teens Will Listen & Listen So Teens
Will Talk
© 2015 Mondadori Libri S.p.A., Milano
Illustrazioni di Kimberly Ann Coe
Per saperne di più di Adele Faber e Elaine Mazlish, dei loro libri, workshop e
della loro produzione audiovideo visitate il
sito www.fabermazlish.com
Ebook ISBN 9788852063022

COPERTINA || ART DIRECTOR: GIACOMO CALLO | PROGETTO


GRAFICO: GAIA STELLA DESANGUINE

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