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Riccardo Pagano - Il valore del gruppo

Indice

1 IL VALORE DEL GRUPPO ..................................................................................................................................... 2


BIBLIOGRAFIA ............................................................................................................................................................. 9

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da
copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e
per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633).

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1 Il valore del gruppo

Un gruppo è molto più di una squadra: questa è unita solo nel momento del lavoro o della

competizione, è tenuta unita da un fine esterno. Diversamente, un gruppo vive anche di legami

sociali e affettivi interni. Quando è unito e coeso, un gruppo è molto più intelligente ed efficace

della somma delle sue singole parti. Il noi è sempre più ricco dell’insieme dei singoli componenti. Lo

si può comprendere quando c’è da risolvere un problema: dalle idee di tutti, accolte senza alcun

preconcetto e senza svilenti censure, può venir fuori l’idea giusta. Questo può avvenire,

chiaramente, quando non c’è un’autorità che blocchi, ma una sollecitazione partecipativa da

parte di chi, nella specifica situazione, è chiamato a coordinare.

In un vero gruppo tutti possono e devono trovare giovamento. Si può parlare del QE di un

gruppo, inteso come l’insieme di tutte le potenzialità sociali e affettive dei talenti dei suoi membri,

soprattutto sotto l’aspetto emotivo e relazionale.

Per tutto ciò bisogna riconoscere il valore della individual accountability, attitudine che

responsabilizza il singolo sia rispetto al proprio compito individuale sia rispetto al successo del

gruppo. Il modello cooperativo, costituito da un sistema a rete e su di esso basato, rappresenta la

modalità relazionale e organizzativa che permette l’attivazione, da parte di tutti, del senso della

condivisione e dell’atteggiamento della corresponsabilità.

La forza di un gruppo è nella sua coesione e nell’entusiasmo della cooperazione. Ciò che si

apprende in un gruppo, in minima parte riguarda l’aspetto cognitivo, in gran parte concerne

l’aspetto affettivo- relazionale. Attraverso il modello cooperativo si possono ridurre al minimo gli

effetti negativi del gruppo gerarchico, dove si delega a chi - per ruolo e per designazione - ricopre

una funzione più elevata. Tale divisione gerarchica determina il passivo atteggiamento

dell’eseguire ciò che è stato comandato. Diversamente - seguendo le indicazioni di Roger

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Cousinet1 — in situazione didattica, quando il maestro rinuncia al programma e gli allievi scelgono

non solo il lavoro da fare ma anche l’ordine col quale eseguirlo, questi diventa un «buon

collaboratore» e la disciplina scompare quasi del tutto dalla classe, dato che il gruppo non deve

più lottare contro l’insegnante.

Dalla considerazione e constatazione del valore e della funzione del gruppo discendono

l’utilità e la necessità di dover apprendere i vari modi della vita sociale, in situazioni culturali e

lavorative di cooperazione. Il cooperative learning costituisce, per questo, una forma sociale di

apprendimento di regole e di modalità operative, attraverso la condivisione di un progetto e la

collaborazione alla sua realizzazione. In tale azione si forgiano gli atteggiamenti delineati come

competenze sociali. Attraverso il cooperative learning si può attivare un sistema a rete.

Nel sistema a rete i rapporti e le relazioni sono sia verticali sia orizzontali. C’è una

collaborazione fra tutti, ma, a seconda delle situazioni e delle problematiche, alla fine il prendere

scelte e assumerne le responsabilità spetta a un centro decisionale. L’importante è che ciò av-

venga, a seconda delle situazioni e delle necessità, con l’apporto di coloro che possono fornire

informazioni, idee e ipotesi.

In secondo luogo, quando si vive una situazione di rete, ci deve essere la possibilità, o

l’opportunità a seconda dei casi, di passare da un sottogruppo ad un altro con una certa libertà

(chiaramente, previo riconoscimento delle competenze personali e delle esigenze dell’orga-

nizzazione). Tale impostazione diventa fondamentale per la carriera e la mobilità del personale di

fronte alle diverse esigenze dei servizi, che possono cambiare richiedendo revisioni e adeguazioni,

affinché nel tempo il sistema organizzativo resti funzionale, efficiente e efficace.

In terzo luogo, attraverso la rete ogni membro può apportare nelle sedi e momenti opportuni

il proprio contributo. In tal modo ci può essere la valorizzazione di ogni persona, all’interno di una

1
R. Cousinet, Un metodo di lavoro libero per gruppi, tr. it., La Nuova Italia, Firenze 1975, pp. 39-43.

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dinamica dettata dalla necessità dell’innovazione e dal bisogno di cambiamento 2. Infine, deve

sempre esistere un centro della rete, dove convergono le idee di tutti e si prendono le decisioni da

parte della leadership. Tale centro può spostarsi anche nei diversi settori di un sistema, perché la

partecipazione sia diffusa e la decisionalità sia condivisa. Al centro possono essere chiamati, di

volta in volta, coloro che per esperienza e riconoscimento sociale sono in grado di offrire in-

dicazioni e ipotesi di soluzioni.

Esistono alcune condizioni di fondo, da intendersi come prerequisiti per la costituzione stessa

di un sistema a rete.

La prima è una visione d’insieme. Un’azienda non è un insieme di reparti per produrre

prodotti, come una scuola non è un insieme di classi per produrre istruzione e far acquisire diplomi.

Bisogna comprendere le finalità da perseguire, per potere valutare in ogni momento di difficoltà la

situazione su cui intervenire. Questo richiede, anche, che gli obiettivi da raggiungere e i livelli da

acquisire siano accettati consapevolmente e reputati adeguati e consoni.

La seconda condizione è la comprensione, per ogni persona che partecipi al sistema, del

valore e della funzione del proprio contributo. Da tale consapevolezza deriva la soddisfazione del

lavoro svolto e la dignità dello stesso. Il rispetto dovuto ne è la conseguenza.

La terza condizione è il coinvolgimento nei processi decisionali, con il conseguente impegno

e responsabilità. Sta, infatti, a chi coordina i vari settori il creare un clima di partecipazione e di

corresponsabilità, tale da valorizzare di volta in volta anche coloro che apportano idee,

distendono il clima lavorativo, indicano soluzioni e migliorano l’efficienza del sistema stesso.

Diversamente avviene nel sistema piramidale. In questo modello i rapporti gerarchici sono

solo verticali. Ogni livello risulta ben distinto dagli altri. Nella scala professionale - caratterizzata,

spesso, anche da una scandalosa forbice nel trattamento economico - le distinzioni sono nette.

Spesso, per la sua stessa struttura, la comunicazione tra i vari livelli risulta scarsa. La stessa

2
Per attivare e diffondere il valore della funzione di una leadership etica sono necessari corsi di formazione, per giovani impegnati e
particolarmente dotati di senso sociale, volti a far acquisire e affinare una mentalità cooperativa, dove condivisione, compartecipazione e
corresponsabilità siano le condizioni di un autentico modello a rete. A questo sono finalizzati i corsi di “Nova Res” (http:llwww.nova-res.it/).

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collocazione lavorativa, a volte, non facilita scambi e confronti. Inoltre, per la così rigida sud-

divisione dei compiti e la mancanza di relazioni personalizzate, si tende alla deresponsabilizzazione

personale.

Il cooperative learning può cambiare il senso del lavorare assieme: un posto di lavoro non è

solo un luogo dove svolgere una funzione per percepire uno stipendio e dove si produce ricchezza

o si offrono servizi, bensì una realtà ambientale, in grado di generare autentica crescita sociale per

la qualità della vita di tutte persone che vi partecipano. In tal senso un’azienda funziona al meglio,

quando promuove l’impegno alla trasformazione sia personale sia sociale. È così che il lavoro

rappresenta l’opportunità di esteriorizzare il prodotto del proprio fare, ma anche la possibilità di

scoprire la propria identità, come «potere essere» e «dover essere» 3.

È dall’unione del volere, del potere e del dovere che sorge il senso etico del compito.

Kerschensteiner, a tale riguardo, sostiene che il lavoro, come attività spirituale, è creativo quando

riesce a fissare dei compiti di vita4. I compiti di vita sono caratterizzati da tutto ciò che permette a

ogni persona di realizzarsi pienamente, a prescindere dal corrispettivo economico e dalla

considerazione sociale generale. Sono importanti il riconoscimento e la considerazione delle

persone cui è rivolta l’attività e l’impegno profuso. Quest’aspetto sociale è fondamentale. La

gratificazione è essenziale per continuare a impegnarsi e trovare soddisfazione in ogni attività. Solo

poche persone, ispirate da idealità superiori e dal forte carattere, possono avanzare nell’impegno

sociale verso gli altri, senza alcuna forma di appoggio relazionale.

Alla base di tale impostazione ci deve essere un modello di istruzione collaborativa. In ambito

didattico la classe può essere concepita e vissuta come un luogo d’apprendimento collaborativo,

dove i contributi sono differenziati, a seconda dei vari livelli di conoscenze e competenze.

Secondo questo nuovo modo di pensare e di apprendere, l’intelligenza perde il suo connotato

individualistico e competitivo, per andare a costituire la continua risultante di un’esperienza condi-

3
Hegel, per questo, sostiene che «attraverso il lavoro, la coscienza servile ha superato la propria soggezione di fronte
all’essere immediato» (W.F. Hegel, Fenomenologia dello spirito, tr. it.. Vita e Pensiero, Milano 1977, voi. n, p. 66).
4
G.M. Kerschensteiner, l'educazione dell’uomo e del cittadino, tr. it., La Scuola, Brescia 1961, p. 28.

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visa da tutti coloro che partecipano ad una situazione d’apprendimento. Si potrebbe parlare di

un’intelligenza etico-sociale, avente intrinsecamente connotati etici. Da ciò il prodursi di un effetto

non solo propulsivo e di supporto reciproco, se vogliamo condividere con Pietro Ubaldi l’idea che

«col riunirsi dei singoli elementi in un gruppo, si forma una nuova individuazione dell’essere, un

organismo diverso in cui appare un principio direttivo diverso, una nuova legge che lo regge, che

non è quella che prima reggeva i singoli componenti»5.

Da tali organismi discende il formarsi della coscienza collettiva, costruzione fondamentale

per la convivenza umana. Come rileva Emile Durkheim, una società composta da una miriade di

individui disorganizzati costituisce una mostruosità sociologica: «una Nazione sussiste soltanto se tra

lo Stato e i privati cittadini si intercala tutta una serie di gruppi secondari, abbastanza vicini agli

individui per attirarli nel loro campo d’azione, e per coinvolgerli così nel torrente generale della loro

vita sociale»6.

Bisogna, quindi, far sì che si costituisca questa serie di gruppi secondari, da intendersi e viversi

come comunità di partecipazione e di corresponsabilità. Solo in tal modo la distanza tra individuo

e società può essere colmata. La partecipazione alla vita di una società civile richiede la

mediazione di tali spazi accomunanti in cui ritrovare gli autentici rapporti interpersonali,

caratterizzati dalla fiducia reciproca e dallo spirito di cooperazione. Durkheim prospettava la

costituzione di corporazioni - un tempo unità di base dell’organizzazione comunale - legate dai

comuni interessi professionali e rappresentanti, in tal senso, delle vere forze collettive. Nella sua

prospettiva, le stesse assemblee politiche - esprimendo la diversità degli interessi sociali e i loro

rapporti - potrebbero rappresentare un più fedele riassunto della vita sociale nel suo insieme,

magari organizzando i collegi elettorali per professioni e non per circoscrizioni territoriali.

Tutto ciò potrebbe portare a una compartecipazione etica, solidale con l’insieme di tutte le

professionalità di un Paese, se tali gruppi secondari fossero formati al valore del giusto e del

confronto, accomunati dal desiderio di condivisione e dal senso di corresponsabilità. Questo

5
P. Ubaldi, Il Sistema, Edizioni del centro italiano di parapsicologia, Genova 2005, pp.142-143.
6
E. Durkheim, La divisione del lavoro sociale, tr. it., Edizioni di comunità 1999, p.33.

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potrebbe rappresentare la costituzione di una nuova rete sociale, con al centro lo spirito di

cooperazione e il senso del rispetto dell’equità. E l’opportunità per far sentire ogni membro di una

comunità partecipe, nella contemporanea considerazione del merito e della solidarietà.

La ripresa del senso della comunità deve poter partire dall’ambito lavorativo, nel quale ci si

può sentire tutti come un insieme organico e umano di persone. La modalità attraverso la quale si

apprende a collaborare, seguire regole comuni, partecipare attivamente e farsi corresponsabili di

un ambiente e di una progettualità sociale, rappresenta la stessa forma attraverso la quale si può

diventare cittadini partecipi e uomini consapevoli. Per questo le aziende sane — come rileva Bruno

Rossi7 — sono caratterizzate da un insieme di «elementi soddisfattoti», quali il riconoscimento e

l’apprezzamento personale, il senso dell’utilità sociale, l’essere informati, l’opportunità di conse-

guire obiettivi, la possibilità espressiva e creativa, il diffuso benessere relazionale.

Ritorna centrale il problema delle finalità dell’organizzazione lavorativa. Il lavoro umano non

deve essere determinato dalla mentalità del profitto. Il profitto viene dall’approfittarsi, sia in

riferimento a beni materiali che rispetto alle competenze che si possono vantare e utilizzare per

richiedere spropositati corrispettivi economici. Il problema è quello dell’equità dei compensi e dei

correlativi guadagni.

La metodologia della trasparenza, dell’informazione e della comunicazione è la soluzione,

rispetto al costume immorale dello sfruttamento, della svalorizzazione e della sopraffazione. Il

riscontro del lavoro umano non deve essere il profitto in sé, ma la giusta ricompensa e

l’appagamento dei bisogni personali e collettivi, di natura affettiva e socio-culturale, che

riguardano l’appartenenza, la sicurezza e l’identità8.

Se il lavoro è fatto per l’uomo, allora deve poter rientrare in tutte le attività che permettono a

un essere umano di realizzarsi, di essere soddisfatto della propria azione e, quindi, di poter essere

felice. Realizzazione e felicità sono il vero fine del lavoro sul piano individuale, come il benessere

comune e il progresso lo sono a livello di collettività. Si deve, per questo, poter parlare di un lavoro

7
B. Rossi, Il lavoro felice. La Scuola, Brescia 2012, p. 120.
8
M. Perini, L’organizzazione nascosta, FrancoAngeli, Milano 2007, p. 50.

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felice - come propone Bruno Rossi -, che in quanto tale «è inseparabile dalla volontà e dalla

capacità di abitare centralmente l’organizzazione, di essere presenti emotivamente, di farsi

presenza psicologica nel ruolo»9.

Se è vero che molto dipende dall’organizzazione e da coloro che ne sono maggiormente

responsabili, c’è da dire, anche, che sta anche ad ogni singola persona il poter riuscire ad essere

felice, magari non del proprio lavoro, ma nel proprio lavoro. Infatti, può capitare di non aver scelto

il lavoro che si svolge e di trovarsi in mezzo a persone che non ci rispettino o apprezzino. E allora

che sta a ogni persona riuscire ad accettare tutto ciò, magari finalizzandolo al benessere dei

destinatari od a chi si può aiutare e sostenere con esso, in primis i propri familiari. Con Victor Frankl,

si deve poter pensare che «l’indispensabilità, l’insostituibilità, l’unicità è nella possibilità di qualsiasi

lavoro: ma, tuttavia, non in ciò che si fa, ma nel modo con cui lo si fa»10.

9
B. Rossi, Il lavoro felice, op. cit., p. 161.
10
V. Frankl, Logoterapia e analisi esistenziale, tr. ir., Morcelliana, Brescia 1977, p. 155.

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Bibliografia

• Cousinet R., Un metodo di lavoro libero per gruppi, tr. it., La Nuova Italia,

Firenze 1975.

• Durkheim E., La divisione del lavoro sociale, tr. it., Edizioni di comunità 1999.

• Frankl V., Logoterapia e analisi esistenziale, tr. ir., Morcelliana, Brescia 1977.

• Hegel W.F., Fenomenolo¬gia dello spirito, tr. it.. Vita e Pensiero, Milano 1977.

• Kerschensteiner G.M., l'educazione dell’uomo e del cittadino, tr. it., La

Scuola, Brescia 1961.

• Perini M., L’organizzazione nascosta, FrancoAngeli, Milano 2007.

• Rossi B., Il lavoro felice. La Scuola, Brescia 2012.

• Ubaldi P., Il Sistema, Edizioni del centro italiano di parapsicologia, Genova

2005.

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