Sei sulla pagina 1di 106

H.P.

Lovecraft
La musica di Erich Zann e altri racconti
di D.D. Bastian e Sergio Vanello
© 2019 © per questa edizione
Edizioni NPE
Tutti i diritti riservati.
Collana Horror, 6

Direttore Editoriale: Nicola Pesce


Ordini o informazioni: info@edizioninpe.it
Caporedattore e Ufficio stampa: Stefano Romanini
ufficiostampa@edizioninpe.it
Coordinamento Editoriale: Valeria Morelli
Copertina e quarta di copertina: Nino Cammarata

Si ringrazia Roberto Ferraresi


per l'adattamento dei testi

Stampato presso
MIG srl - Bologna
nel mese di maggio 2019

Edizioni NPE – Nicola Pesce Editore


è un marchio in esclusiva di Solone srl
Via Aversana, 8 – 84025 Eboli (SA)

edizioninpe.it
facebook.com/EdizioniNPE
twitter.com/EdizioniNPE
instagram.com/EdizioniNPE
#edizioninpe
H.P. Lovecraft
La musica di Erich Zann
e altri racconti
di D.D. Bastian e Sergio Vanello
Ringraziamenti
D.D. Bastian
a Padmé

Sergio Vanello
A Nicola Pesce e Stefano Romanini,
per aver creduto in me.

Al mio amore Francesca.


pre faz i one

La musica di Erich Zann


e altri racconti
di Giovanni Masi

Howard Phillips Lovecraft è nato il 20 agosto del 1890 a Providence e, sempre


a Providence, è morto il 15 marzo 1937. La sua tomba riporta solo il nome, le
date e un’epigrafe: “I am Providence”, tanto forte fu il suo amore per quel New
England in cui ha ambientato la maggior parte dei suoi racconti migliori e in
cui passò quasi tutta la vita. Praticamente ignorato dal grande pubblico mentre
scriveva e pubblicava sulle riviste pulp che andavano di moda in quegli anni,
è ormai riconosciuto come uno degli autori più importanti del XX secolo per
quanto riguarda la letteratura fantastica e non solo.
Ma perché lo è diventato?
Perché ancora oggi è così amato, tanto che state leggendo questa prefazione
all’adattamento di due tra le sue storie più famose?
Sono state date molte risposte a queste domande di ordine psicologico (rac-
contando della triste situazione familiare in cui è cresciuto il Lovecraft bam-
bino), sociali (in cui viene posta l’attenzione sul passaggio del secolo e sui
cambiamenti della società americana in quegli anni), psicanalitiche (vista l’im-
portanza dei sogni nel suo lavoro) ma, visti i due racconti contenuti in questa
raccolta, mi concentrerò su due aspetti particolari del Lovecraft uomo che for-
se possono dare una chiave di lettura diversa.
La leggenda che è cresciuta intorno al suo nome negli anni successivi alla
sua dipartita ce lo racconta come un uomo schivo, nascosto nella sua stanzetta
che dava sui tetti della sua amata cittadina a scrivere di orrori innominabili.
Potremmo quasi definirlo un “fallito” per i moderni standard di successo della
nostra società, con pochi soldi, pochi amici, poco successo e un matrimonio
durato a malapena due anni.

7
La sua storia personale, che emerge dall’enorme mole di corrispondenza che
ci è rimasta, ce lo descrive però diversamente. Sempre circondato dal rispetto
e dall’affetto di amici scrittori, il ritratto che ne viene fuori è quello di un’ani-
ma piena di contraddizioni. Convinto di essere l’ultimo gentiluomo del Rhode
Island, sposa Sonia Green, una vedova di origine ebraica nel 1924 e si trasferi-
sce a New York con lei. Il matrimonio durò solo un paio d’anni e nel 1926 Lo-
vecraft era già tornato nell’amata Providence. Howard ricorderà di aver vissuto
la Grande Mela, la città cosmopolita per eccellenza, come un incubo. Il suo
strisciante razzismo e antisemitismo emerge spesso nelle lettere di quegli anni,
mentre la moglie si trasferisce in California. Potremmo definirla come la pri-
ma sconfitta per Lovecraft, dove l’uomo si rende conto di non essere adatto alla
vita moderna e i suoi racconti si popolano di stranieri sempre più mostruosi,
sempre più alieni. Ci sono pagine scure nell’epistolario, in cui H.P. si avvicina
a dottrine odiose e razziste, in alcuni casi apprezzando persino il fascismo e
il nazismo con le loro contorte idee sulla razza. A onor del vero, bisogna dire
che quello che gli arriva di quelle dottrine è una versione molto edulcorata,
in cui i giornali americani riprendevano più la propaganda che i fatti di quei
regimi totalitari che martellavano di bugie mediatiche le popolazioni sotto il
loro giogo.
Negli ultimi anni della sua vita, quando già le notizie provenienti dall’Europa
rispecchiavano di più la realtà, Lovecraft rivide le proprie posizioni. Eppure,
questa espressione, di una irriducibile alterità, nei suoi lavori è rimasta. Love-
craft cercava di spiegare e di mettere in scena la paura dell’ignoto, perché per
primo lui non riusciva ad aprirsi agli altri o alla realtà che lo circondava o a
capire cosa stesse succedendo nel mondo che diventava “moderno”.
Credo che molta della sua fortuna, nei cento anni successivi, derivi proprio
dall’aver rappresentato così bene una paura tipicamente contemporanea, quel-
la dell’altro, ma non inteso solo come ciò che ci differenzia dagli altri esseri
umani: l’alterità intesa come tutto ciò che NON ci rende umani.
In Lovecraft questa paura si sublima. Si disincarna
in mostri allucinanti, ben oltre la nostra compren-
sione. Così irriducibilmente alieni che tutta la raz-
za umana ne viene sconvolta e annichilita. I suoi
eroi senza nome – tra poche pagine ne conoscerete
due – si scontrano spesso con orrori indescrivibili
a rischio della propria sanità fisica e, soprattutto,
mentale. Questa costruzione di un orrore assolu-
to, Lovecraft la riassunse così: «Il sentimento più
forte e più antico dell’animo umano è la paura, e
la paura più grande è quella dell’ignoto». E credo
che non solo si riferisse all’artificio letterario di
una letteratura dell’orrore che gli deve tantissimo,
ma anche l’orrore che aveva provato lui stesso nella
sua vita e la sua paura per l’ignoto che ogni volta
l’ha riportato a Providence. Lui era Providence, nel
bene e nel male.
Altro aspetto della sua vita che viene raccontato
sempre dai biografi è quello della sua indigenza.
Lovecraft non guadagnava abbastanza dai suoi rac-
conti, tanto da dover fare il ghost writer o il revisore
di testi a pagamento. Weird Tales (rivista mitica degli
anni ’30 dove venivano pubblicati il Conan di Robert
E. Howard e che vide l’esordio di Robert Bloch, l’au-
tore di Psycho, per citare solo due tra gli autori che
poi sarebbero diventati amici di penna con lo stesso
Lovecraft) spesso gli rifiutò alcune tra le sue storie
migliori. Le lettere del circolo di autori che facevano
capo a Lovecraft, tra cui ci fu anche Clark Ashton
Smith, ce li mostrano mentre si lamentano degli edi-
tori, dei pagamenti scarsi, delle revisioni editoriali,
ci raccontano di uomini la cui fantasia ha plasmato
il mondo dell’immaginario fino a noi con una no-
ta di umanità vivissima. Quello che però emerge di
meno è che Lovecraft fu sul punto di cambiare com-
pletamente la sua fortuna. Non avrebbe dovuto più
scrivere racconti per altri, come spesso faceva per
arrotondare lo stipendio, perché gli venne offerta la
direzione di Weird Tales, proprio quella rivista che
nel corso degli anni fu la sua gioia e il suo tormento.

9
E qui c’è il secondo “fallimento” dell’uomo Lovecraft.
Scelse un’altra volta la sua Providence di fronte alla possi-
bilità di uno trasferimento a Chicago e uno stipendio come
direttore. Rispose a Henneberger, l’editore che gli offriva il
lavoro: «Pensa alla difficoltà di un tale spostamento per un
vecchio antiquario». Aveva solo 34 anni.
E così in quel suo angolo di mondo così riparato dalla mo-
dernità, dai grandi eventi del secolo che gli arrivavano solo
dai giornali, appassionato di scienza, tanto da essere un ot-
timo astronomo dilettante, scrisse moltissimo. Il suo orrore
è indicibile, innominabile, impossibile. Le sue trame spesso
inverosimili si cristallizzano in immagini potenti, che fanno
appello direttamente al subconscio del lettore, ma che effet-
tivamente non sono descritte. Sono evocate. È uno scrittore
stranamente moderno nelle idee sulla scienza e sulla reli-
gione, eppure così vetusto nella scelta della vita che ha vo-
luto condurre... una contraddizione, appunto. E per me qui
si annida la fascinazione di Lovecraft come scrittore: è un
uomo che ha preso molte scelte “sbagliate” e riesce a esse-
re tutt’ora un ingranaggio “sbagliato” nel meccanismo della
cultura moderna.
La sua fortuna postuma, che deriva soprattutto dai suoi amici che ne hanno tenu-
to in vita la memoria, è esplosa nel corso del ’900 e in questo nostro nuovo secolo.
Le sue creazioni sono stranamente perniciose. Buona parte della cultura di
massa è attraversata in maniera più o meno sotterranea da richiami alla sua
opera. Dalla canzone The Call of Ktulu dei Metallica, ai richiami in Game of
Thrones, ai film di Guillermo del Toro, ai moltissimi videogiochi come i vari
Call of Cthulhu, ai fumetti di Hellboy, solo per fare qualche esempio, tutti bene
o male affondano le radici in quello che è l’enorme calderone che sono i Miti.
I Miti di Cthulhu, questo gioco iniziato fin da quando Lovecraft era in vita,
in cui i suoi amici e colleghi scrittori usavano le sue creazioni – a volte con
risultati eccellenti – come Robert E. Howard che ha scritto dei grandi racconti
lovecraftiani – sono forse il lascito inconsapevo-
le più importante del bardo di Providence. Ecco,
forse è proprio il ciclo dei Miti di Cthulhu che
ha tenuto in vita il nome e le opere di Lovecraft
più che le opere stesse. Questo bagaglio di crea-
zioni stratificate che crescono come frutti maturi e
deformi dall’albero principale che è il corpus dei racconti
di Lovecraft e in cui si racconta una cosmogonia così orrenda
che non si può descrivere. I Miti di Cthulhu hanno prosperato, in
quello che forse è uno degli esempi più affascinanti di creazione che è
cresciuta ben oltre il suo stesso creatore.
E anche questo adattamento a fumetti di D.D. Bastian e Sergio Vanello ri-
entra in questo gioco immenso, in questa ragnatela di rimandi, interpretazioni,
aggiunte e adattamenti. Vi troverete due racconti molto particolari, raramente
adattati, La musica di Erich Zann e Un’illustrazione e una vecchia casa, oltre a
un terzo Samsara, che riprende le atmosfere allucinate del miglior Lovecraft.
I due racconti sono due esempi giovanili di Lovecraft. Ne La musica di
Erich Zann sarete costretti ad ascoltare una melodia che viene da oltre lo spa-
zio-tempo, forse addirittura quella che ascolta Azatoth alla fine del tempo.
Ma non attardatevi nella Parigi di sogno che troverete nelle tavole calcinate di
Vanello, potreste non riuscire mai più ad allontanarvi dalla finestra della sof-
fitta di Erich Zann.
Nel secondo, Un’illustrazione e una vecchia casa, farete una passeggiata nel
New England che Lovecraft non ha voluto mai lasciare. Ne scoprirete le bellez-
ze molto, molto particolari.

Se siete viaggiatori esperti come Randolph Carter, già sapete a cosa andate
incontro. Altrimenti, lasciate che D.D. Bastian e Sergio Vanello vi facciano
conoscere la paura dell’ignoto.

Ma fate attenzione, potrebbe andarne della vostra sanità mentale.


La Musica di Erich Zann
(Titolo originale: “The Music of Erich Zann” – 1921)
La rue d'Auseil… Ho controllato le carte della città
con la massima attenzione, ma non ho ritrovato la
rue d'Auseil. Credo d'aver percorso tutte le vie,
indipendentemente dal nome, che potevano corrispon-
dere a quella che cercavo. Ma, a dispetto dei miei
sforzi, non sono riuscito a individuare né la casa né
la zona dove, trascorrendo gli ultimi tempi della mia
modesta vita di studente universitario in metafisica,
ho avuto modo di ascoltare la musica di Erich Zann.

15
Ricordo che era al di là di un fiume scuro, ai cui lati sorgevano magazzini
di mattoni con piccole finestre cieche e attraversato da un grande ponte di
pietra scura. Dal fiume esalava un miscuglio di odori raccapriccianti che mai
ho avvertito altrove e che un giorno potrebbe portarmi a identificarlo.

poi iniziava una


salita, graduale
ma molto ripida
Al di là del ponte si aprivano una quando si
serie di stradine con l'acciotto- arrivava in
lato in pietra e piccoli parapetti… rue d'Auseil.

16
Mai avevo visto una strada così stretta e ripida; interdetta a tutti i
veicoli, era composta da una serie di gradinate che si succedevano a
intervalli brevi e terminava con un alto muro coperto di rampicanti.

17
il manto stradale era irregolare, a volte lastre di arenaria, a volte cubetti
di porfido e a tratti semplicemente terra su cui cresceva una vegetazione
verde-grigiastra. Le abitazioni erano alte, molto vecchie, con i tetti a spiovente.

18
Ho abitato spesso in quartieri
La sera del mio primo
poveri, scelti sempre per
giorno in quella casa
scarsità di denaro, e penso
sentii della musica
di essere capitato in rue
provenire dalla mansarda
d'Auseil per combinazione; in
e il giorno seguente chiesi
quella strada presi alloggio
informazioni a Blandot.
nella bicocca del paralitico
Blandot. Era la terza
partendo dall'inizio della
via e certamente la più alta.

La mia era l'unica


stanza occupata
al quinto piano,
poiché la casa era
quasi vuota.

il paralitico disse che ci abitava


un vecchio suonatore di viola, un
tedesco muto di nome Erich Zann che
la sera suonava in un'orchestrina;
dopo il lavoro gli piaceva suonare
qualcosa di notte, per questo motivo
aveva scelto l'alta e solitaria mansarda,
dalla cui finestra d'abbaino in tutto
il quartiere si poteva guardare
oltre il muro d'edera e vedere il
panorama che si stendeva oltre.

19
Da quel giorno ascoltai ogni sera le
melodie di Zann, e nonostante mi
tenessero sveglio, ero incuriosito
dalla loro singolarità. Ne ero
affascinato a tal punto che, passata
una settimana, decisi di volerlo
conoscere. Una notte lo incontrai
in corridoio e gli dissi che avrei
gradito assistere quando suonava.

Salimmo le scale alte, cigolanti


e buie che portavano all'attico.

Era un uomo, magro, curvo, abbigliato


poveramente e con due occhi azzurri che
brillavano in un volto da satiro; la testa
era quasi calva e alle mie parole reagì con
irritazione e spavento. Rassicurato dalle
mie intenzioni amichevoli, senza nascondere
un certo fastidio, mi fece segno di seguirlo.

20
Era una stanza grande, eccezionalmente
vuota e trascurata: gli unici mobili erano un
piccolo letto di ferro, un lavabo scheggiato,
un tavolino, una libreria abbastanza ampia,
un leggìo per musica e tre vecchie sedie.
il pavimento era ingombro di spartiti.

Mi indicò una sedia e


chiuse la porta con un
pesante lucchetto, poi
accese una candela
per dare forza a Estrasse la viola dalla custodia
quella che aveva rovinata dalle tarme e si sedette
portato con sé. sulla sedia più comoda.

Non lesse lo spartito,


ma senza permettermi di
scegliere, e suonando a
orecchio, mi incantò per
un'ora con composizioni
inaudite, certamente
invenzioni sue.

21
Cercare di descriverle è
impossibile per chi non ha
predisposizione alla musica:
riconoscevo una sorta di
fughe, con passaggi ricorrenti
di fattura straordinaria, ma
quello che attrasse la mia
attenzione fu l'assenza di
quegli accordi fantastici che
avevo ascoltato dalla mia
stanza in altre occasioni.

22
Avevo stampate nella
mia mente quelle note
misteriose, quante
volte le avevo can-
ticchiate o fischiate
tra me senza farci
caso; così, quando il
musicista posò l'arco,
gli chiesi se volesse
farmele ascoltare.

La faccia solcata dalle


rughe perse l'espressione
tranquilla e annoiata che
aveva mantenuto durante il
concerto e tornò ad espri-
mere il miscuglio di fastidio
e di tensione che avevo
notato presentandomi.

Continuai ad
accennarlo per
pochi secondi, ma
quando il musicista
riconobbe la musica
che fischiavo la sua
faccia si contrasse
in una smorfia
alterata e la mano
destra balzò verso
di me, verso la
Per spronarlo ad eseguirle mia bocca, per
accennai a uno dei motivi che avevo costringermi a
ascoltato la notte precedente. smettere.

i suoi occhi guardavano in direzione della finestra e,


ricordandomi le parole di Blandot, mi venne il capriccio di
ammirare il mare di tetti illuminati dalla luna che si stendeva
oltre la finestra e che, unico tra tutti gli abitanti di rue
d'Auseil, solo lo strano musicista poteva ammirare.

23
Mi avviai in direzione
della finestra e avrei
scostato le tende
sporche se il muto
non mi fosse balzato
addosso fremente
di rabbia e paura
ancora più di prima.

Con un cenno della


testa mi indicò la porta
cercando di trascinar-
mi in quella direzione.

Sbalordito
dall'atteggiamento
incomprensibile del
muto, gli intimai di
lasciarmi, promet-
tendogli di andare
via immediatamente.
La stretta di Zann
diminuì e il musicista
sembrò calmarsi.

24
Mi prese per il braccio, stavolta
con gentilezza, e mi fece sedere.

Con aria contrita, sedette dall'altra parte del


tavolo e cominciò a scrivere un lungo messaggio
a matita, nel francese povero di uno straniero.

25
Gli aveva fatto piacere suonare per me
e sperava di farlo ancora, nonostante
la sua eccentricità. Fino ad oggi non
immaginava che qualcuno potesse
Un piccolo rumore che veniva dalla fine-
sentirlo suonare dalla sua stanza e
Nel foglio che alla fine stra ci interruppe: le imposte dovevano
ora mi pregava di chiedere a Blandot
pose nelle mie mani aver sbattuto contro il vento della
di darmi un'altra camera, magari a
chiedeva di essere notte, ma per qualche motivo sussultai
un piano inferiore.
tollerante e si scusava. con la stessa violenza del suonatore.

Quando ebbi finito di leggere gli


strinsi la mano e me ne andai, lieto che
i nostri contrasti si fossero risolti.

26
Dopo qualche tempo fu chiaro che a Zann non
interessava affatto la mia compagnia, era solo un
pretesto per convincermi a traslocare. Non ricevevo mai
suoi inviti e quando mi decidevo ad andarlo a trovare
sembrava seccato e suonava senza convinzione. Non mi
era simpatico ma la sua stanza d'attico e la musica
misteriosa esercitavano su di me un fascino particolare.

Riuscii, tuttavia, ad ascoltare le sue


esibizioni notturne. Ascoltando di nascosto nel
corridoio, davanti alla porta chiusa, udivo cose
che a volte mi terrorizzavano: una sensazione
indefinibile, il terrore che si accompagna al
meraviglioso e al senso del mistero. Ma una
notte, mentre origliavo di nascosto, il suo
strumento produsse una babele di suoni
Un urlo agghiacciante, inarticolato,
incontrollabili, un pandemonio che mi avrebbe
come solo un muto può emettere nei
fatto pensare che stessi vaneggiando se dalla
momenti di terrore. Bussai ripetuta-
stanza non fosse venuta la prova che l'orrore
mente alla porta ma senza risposta.
era vero e non nella mia immaginazione.

27
Lo sentii chiudere la finestra; poi aprì la porta Stavolta aveva veramente piacere di vedermi,
con mani tremanti per farmi entrare. sul viso stravolto si dipinse un'espressione di
sollievo e mi prese per il bavero come un bambino
quando si attacca alla sottana della madre.

28
Poi, come appagato da quel che aveva
sentito, si avvicinò al tavolo e
scrisse un biglietto che mi porse.

Tremando di paura, il vecchio mi fece sedere


mentre lui si accasciava su un'altra sedia.
Per un po' non fece niente, limitandosi ad
annuire stranamente. dava l'impressione che
ascoltasse intensamente qualcosa, con paura.

29
Passata un'ora lo vidi trasalire come per un terribile
shock. Lo sguardo fisso alla finestra nascosta dalle tende,
le orecchie drizzate. Tremava. Poi un suono, una nota mu-
sicale, bassa e infinitamente lontana. L'effetto Su Zann fu
terribile. Smise di scrivere e si alzò di scatto, afferrò la
viola e suonò alla notte la più bizzarra delle sue esecuzioni.

poi riprese a scrivere, velocemente e


senza sosta. Con il primo biglietto mi
pregava di aspettare che scrivesse, in
tedesco, la sua storia, il racconto
completo dei prodigi e dei terrori
da cui era perseguitato.

30
L'arco volava sulla viola disperata.
Sempre più forte, sempre più febbrile.
Zuppo di sudore e contorcendosi
come un animale, Zann non perdeva
d'occhio la finestra nascosta.

inutile descrivere la musica di quell'orribile notte.


Fu la cosa più spaventosa che avessi mai sentito,
perché adesso sapevo da dove veniva. Veniva dalla
paura. Quale mostruosità si celava fuori dalla
finestra? Erich Zann suonava forte, faceva rumo-
re per tenerla a bada. L'esecuzione, delirante,
isterica, conservò fino in fondo le qualità
geniali che lo strano suonatore possedeva.

31
La musica nella mia mente mi riportava le
immagini di satiri e baccanti che ballavano
ebbri su abissi di nuvole, fumo e fulmini.

Le imposte cominciarono a sbattere violentemente,


si liberarono dal gancio picchiando contro la finestra.
Tale la violenza dell'impatto che il vetro si ruppe e il
vento gelido irruppe nella stanza, minacciando la Le pagine su cui stava vergando
fiamma delle candele e scompigliando le carte di Zann. il suo orribile segreto.

32
Mi venne in mente il mio vecchio
Guardai il vecchio, era incosciente. desiderio di guardare dalla
Gli occhi vitrei, sporgevano ciechi; finestra, l'unica in rue d'Auseil
la musica era diventata un'orgia di ad avere il privilegio di guardare
suoni meccanici e irriconoscibili il fianco della collina e la distesa
impossibile da descrivere. della città sottostante.

33
Mi affacciai a quell'altissima finestra
d'abbaino, illuminato dalla fioca luce delle
candele alle spalle e la viola impazzita che
gareggiava con l'ululato del vento.
Non vidi nessuna città.

34
Nessuna luce amichevole, né strade familiari.
Solo la tenebra dello spazio illimitato, vivo di
musica e movimento. Niente che potesse avere
affinità con ciò che è terrestre. Mentre il
terrore m'inchiodava, il vento spense le candele,
lasciandomi nel buio fantastico e impenetrabile,
tra il caos del pandemonio di fronte a me e alle mie
spalle la follia della viola scatenata nella notte.
Ebbi la sensazione di
essere sfiorato da
indietreggiai, senza poter accendere una qualcosa di freddo,
candela e andai a sbattere contro il urlai, ma l'urlo non
tavolo. Mi diressi verso il punto in cui riuscì a sovrastare il
le tenebre si gonfiavano di musica. frastuono della viola.

36
Gli presi la testa e riuscii a fermare i cenni meccanici che faceva nel
Nel buio fui colpito dall'arco
buio; gridai che dovevamo fuggire dalla minaccia sconosciuta della notte.
impazzito e capii di essere accanto
Non mi badò e continuò la sua esecuzione frenetica, mentre oscure
al musicista. toccai lo schienale
correnti d'aria sembravano danzare nel buio e nel pandemonio. Quando
della sedia di Zann e lo strattonai
gli toccai la faccia rabbrividii, era fredda e immobile, la faccia rigida
alla spalla per cercare di
e senza respiro e gli occhi che sporgevano inutilmente nel nulla.
farlo tornare in sé.

37
Allora capii. Al buio trovai la porta e liberai
il lucchetto precipitandomi fuori, lontano dal
cadavere e dalla macabra sonata della viola,
la cui furia aumentava sempre di più.

Volai per le scale buie,


gettandomi a precipizio nella
stradina fiancheggiata dalle
case sgangherate.

38
Scesi i gradini correndo verso le strade più basse Al limite della resistenza, attraversai il ponte di pietra
fino al fiume putrescente, incassato fra gli argini. e finalmente ritrovai i più larghi e salutari boulevard.

L'ultima cosa che ricordo di


quella raccapricciante avventura
è che non c'era vento, la luna
splendeva e le luci della città
brillavano come al solito.

Non sono mai riuscito a rintracciare la rue d'Auseil.


Meglio così, come meglio è stato che sia andata persa in
abissi inimmaginabili la confessione che, sola, avrebbe
potuto spiegare la musica di Erich Zann.

39
Samsara
Testi e disegni di Sergio Vanello
43
l’origine della sofferenza…

44
vivi molte vite. in qualsiasi momento
vedi il tuo doppio e perdi la testa…
sei doppio e dimentichi la tua felicità.

45
corri… ma non puoi scappare…
come un parassita mordi il tuo collo…
vampirizzi te stesso
e distruggi la tua
vera natura…

47
e uccidi! poco alla volta, benché sai di essere
condannato, provi una gioia profonda che ti dona
nuova forza. hai la sensazione di essere stato
creato soltanto per compiere, per una sola volta
nella tua vita, quell’unico gesto…

48
se dovessi desiderare la grande tranquillità,
preparati a sudare gocce bianche. hakuin (1685-1768)
non sei più in grado di
fare nulla, non riesci a
dimenticare il tuo dolore.

i demoni dell’angoscia hanno


innestato in te la loro voce. hai
ucciso, hai cannibalizzato
la tua essenza, e per cosa?

nonostante il tuo egoismo,


l’attaccamento al tuo ego,
non sei in grado di ascoltare
il tuo cuore…

sei fuggito lontano,


hai cambiato paese, ma
non hai ancora trovato
la tua medicina…

è l’abisso…

50
un ragno divora il tuo cervello, nutri i tuoi demoni… rimani immobile. senti il sangue pulsare
sordamente alle tempie. i secondi si
sgranano, lunghi come secoli.

51
non raggiungerai il grande vuoto
prima che corpo e mente si perdano
insieme. paradiso e inferno: un filo
di paglia. hakuin (1685-1768)

52
non si tratta che di un gioco. un gioco mortale che
hai imparato ad amare. ma cosa stai cercando?
il potere, il dominio sul prossimo? convinto di
vincere ti ritrovi sconfitto e solo. devi uscire,
trovare quella donna che, per un solo momento,
hai immaginato come fonte di salvezza.

donna - com’è calda la


pelle che ella circonda.
sute-jo (1633-1698)

53
54
55
una prostituta…

speri di trovare in lei quell’amore che


non hai mai avuto… dischiudi le soglie
della tua facoltà di immaginazione…

56
la realtà.

57
parole, concetti inutili.
vomiti il tuo ego e non vedi la
persona che sta di fronte…

il grande albero ti ascolta e sorride…

58
59
malato durante un viaggio - sui campi
riarsi i sogni vanno errando.
basho (1644-1694)

60
non controlli le tue emozioni, e così colpisci! il tuo sé è estremamente debole,
sei in preda al panico… è molto fragile… non sei un organismo, sei una macchina…

61
la paura e l’alienazione hanno compromesso la tua
capacità di relazionarti con i tuoi simili. sei perduto.
devi prendere la tua vita nelle tue mani: devi avere
coraggio e andare in quel luogo.

62
la cessazione della sofferenza…

passato, presente, futuro: irraggiungibile,


eppure chiaro come il cielo immobile.
hakuin (1685-1768)

63
abituato a non lottare per la tua vita, ti senti
estremamente vulnerabile in questa atmosfera
pesante, impregnata di solitudine. hai la voglia
morbosa di svegliarti; il tuo cuore batte come
un tamburo… alzi la testa e guardi avanti…

64
cerchi quel luogo, è lì vicino… poco alla regna il più assoluto silenzio…
volta, riprendi fiato e ti prepari per
l’ultimo salto… lo spazio riempie le
tue pupille… devi solo andare…

65
uno stretto passaggio ti
separa dalla liberazione.

una nuvola oscura il cielo… …il fiume è freddo alla sua


sorgente. se vuoi vedere,
scala la cima del monte.
hakuyo

66
per la prima volta… respiri!
solo perchè esisto sono
qui… issa (1763-1827)

67
non sei in nessun luogo… hai finalmente trovato il
paesaggio interiore: il paesaggio del tuo vero sé…
sei uno e nessuno… sei colmo di gioia… vivi!

68
continua a respirare, senza ideare concetti, senza
alcuna volontà o interpretazione… non lottare…
e così muti: nessuna separazione, nessun confine
tra il tuo sé e la materia viva…

69
lo spazio e il tempo perdono significato…

70
hai superato la sofferenza, frutto di una
serie di cause ed effetti cominciati al momento
della tua nascita… riposi nella tranquillità:
non una nube, non una macchia.

71
…la forma non è che vuoto, il vuoto non è che forma:
ciò che è forma è vuoto, ciò che è vuoto è forma… tutte
le cose sono vuote apparizioni… non sono nate, non sono
distrutte, non sono macchiate, non sono pure…*

*sutra del cuore.

72
…perciò nella vacuità non c’è forma né sensazione,
né percezione, né discriminazione, né coscienza…

73
…non ci sono occhi né orecchi, naso, lingua, corpo, mente:
non ci sono forma né suono, odore, gusto, tatto, oggetti;
né un regno del vedere, e così via fino ad arrivare
a nessun regno della coscienza…

74
…non vi è conoscenza, né ignoranza, né fine
della conoscenza, né fine dell’ignoranza, e così
via fino ad arrivare a né vecchiaia né morte…

75
…né estinzione di vecchiaia e morte: non c’è sofferenza,
karma, estinzione, via; non c’è saggezza né realizzazione…

76
…la mente non conosce ostacoli;
non si conosce la paura, si è
oltre il pensiero illusorio…

77
…ciò è vero. non è falso.

78
finalmente oltre il limite -
non più legame né dipendenza.
com’è calmo l’oceano, che
sovrasta il nulla… (tessho)

fine

79
Un’illustrazione e una vecchia casa
(Titolo originale: “The Picture in the House” – 1920)
Chi ama l’orrido frequenta sovente luoghi strani e remoti, come le catacombe di Tolemaide e i mausolei notturni dei paesi dell’incubo.
Nelle notti di luna, costoro ascendono le torri dei castelli diroccati del Reno, o si avventurano per i neri gradini ammantati di ragna-
tele sotto i resti delle perdute città dell’Asia.
Ma l’autentico epicureo del terribile, per il quale un nuovo brivido di orrore è il fine principale e la giustificazione dell’esistenza,
apprezza più di ogni altra cosa gli antichi e solitari casolari disseminati nei boschi del New England. La più spaventosa di tutte le visioni
è quella che ci offrono le piccole capanne di legno nudo distanti dalle vie di transito, solitamente addossate ad un umido ed erboso
declivio o abbarbicate a qualche sperone di roccia.
Generazioni di persone eccentriche hanno dimorato in quelle case, gente della quale il mondo non ha mai veduto l’eguale.
Schiava di una fede oscura e fanatica che la costrinse ad appartarsi dalla sua specie, la sua progenie scelse la solitudine di lande sper-
dute per garantirsi la libertà.

83
Fu in una di tali case, frustra e logora di Mi ritrovai così su una strada che, a giudicare dall’aspetto, doveva
vecchiaia, che mi imbattei un pomeriggio di essere abbandonata, e che avevo scelto in quanto era la migliore
novembre del 1896, sospintovi da una pioggia così scorciatoia per Arkham. E fu lì che venni sorpreso dal temporale in
gelida e fitta che qualunque rifugio sarebbe un tratto distante da qualsiasi città, senza possibilità di ricovero,
stato preferibile al restare all’aperto. ad eccezione di quell’antica e repellente costruzione di legno che
mi fissava con le sue finestre opache tra due olmi giganteschi spogli
del fogliame, ai piedi di un’altura rocciosa. Per quanto distante dai
resti della strada, la casa mi risultò sgradevole a prima vista.

84
Avevo dato per scontato
-chissà perché- che la casa
fosse abbandonata; ma
nell’avvicinarmi, non ne fui
più tanto sicuro, perché,
per quanto ricoperti dalle
erbacce, i viottoli avevano
conservato un po’ troppo
bene la loro natura per
supporre un abbandono
totale.

E fu per questo motivo che, Mentre attendevo sulla rozza pietra


invece di provare ad aprire muschiosa che faceva da soglia, lanciai
la porta, bussai, pervaso da un’occhiata alle finestre vicine ed ai vetri
un senso di trepidazione che delle lunette sovrastanti, notando che, per
mi risulta difficile spiegare. quanto fossero vecchi, tremanti e opachi
dallo sporco, non erano tuttavia rotti.
La casa doveva quindi essere abitata a
dispetto dell’isolamento e del senso
di generale abbandono.

85
i miei colpi sulla porta non
suscitarono però alcuna risposta,
e allora riprovai a bussare,
dopodiché tirai il chiavistello
rugginoso, scoprendo che la
porta non era sprangata.

86
Entrai, portando la bicicletta
con me, e richiusi la porta.

Di fronte all’ingresso si alzava una


stretta scala fiancheggiata da una
porticina che probabilmente dava
accesso alle cantine. Verso destra
e verso sinistra vi erano altre due
porte chiuse che davano nelle
stanze del pianterreno.

87
Appoggiata la bicicletta al muro, aprii la
porta alla mia sinistra entrando in una
stanzetta dal soffitto basso, fiocamente
illuminata da due polverose finestre.

il mobilio, spoglio e primitivo come non mai, suggeriva si


trattasse di una specie di soggiorno, essendovi una
tavola circondata da diverse sedie e un immenso camino
sulla cui mensola un’antica pendola scandiva il tempo.
Quel che mi impressionò maggiormente di quel luogo fu
l’atmosfera di uniforme arcaismo che si dispiegava in ogni
particolare visibile, l’antichità possedeva una curiosa
completezza, giacché non scorsi in tutta la stanza
un solo oggetto databile a dopo la Rivoluzione.

88
Riluttante all’idea di
sedermi, preferii
aggirarmi d’attorno
esaminando i diversi
oggetti che avevo
notato. La prima cosa
che attrasse la mia
curiosità, fu un libro
di media grandezza
poggiato sul tavolo.

Mentre ispezionavo quella bizzarra abitazione, sentii


crescere in me il senso di avversione già suscitatomi dalla
desolata facciata esterna. Non saprei definire che cosa in
realtà temessi o mi ripugnasse, ma l’intera atmosfera di
quella casa pareva impregnata di un’eccessiva vecchiezza,
di una crudezza sgradevole e di segreti da dimenticare.

Quando guardai il frontespizio, il


mio stupore aumentò, poiché esso si
rivelò nientemeno che il resoconto di
Pigafetta sulla regione del Congo,
scritto in latino sulla base degli
appunti di viaggio del marinaio Lopez
e stampato a Francoforte nel 1598.

89
Le illustrazioni erano effettivamente
molto interessanti, ricavate com’erano
dalla pura immaginazione e da inaccurate
descrizioni; raffiguravano indigeni con
la pelle bianca e lineamenti europei.

Quello che mi infastidì fu l’ostinata


tendenza del volume ad aprirsi da solo
alla tavola 12, nella quale era raffigura-
ta, con macabra dovizia di particolari, una
macelleria umana dei cannibali Anzique.

90
Passai allo scaffale vicino e quando un inequivocabile rumore di
stavo passando in rassegna passi al piano superiore attirò la mia
il suo magro contenuto. attenzione. Sulle prime ne fui stupito
e sconcertato, perché nessuno mi aveva
risposto quando avevo bussato alla porta;
ma subito dopo conclusi che, evidentemen-
te, la persona che udivo camminare doveva
essersi appena svegliata da un sonno
profondo. E seguii con minore sorpresa il
rumore dei passi sui gradini cigolanti.

91
entrato nella stanza mi chiusi la
porta alle spalle; ora sentii tirare il
chiavistello e vidi la porta rivestita
di pannelli spalancarsi nuovamente.

Sulla soglia apparve una persona dall’aspetto


singolare. Vecchio, coperto di stracci, con la barba
candida, il mio ospite possedeva un fisico e un
portamento che ispiravano in egual maniera rispetto
e meraviglia.Era alto non meno di un metro e novanta
e, malgrado gli anni e la miseria, si mostrava robusto
e vigoroso. La lunga barba, una massa di capelli
bianchi che gli ricadeva sulla fronte spaziosa e gli
occhi azzurri, straordinariamente acuti e ardenti.
A parte l’orribile trasandatezza, il vecchio avrebbe
avuto un aspetto tanto distinto quanto impressionante.
A stento potrei descrivere in che cosa consistessero
i suoi indumenti, giacché essi sembravano un mucchio
di stracci sopra un paio di alti e pesanti stivali e
la sporcizia che lo copriva era indescrivibile.

92
L’apparizione di quell’uomo e la paura
istintiva che suscitava in me sembravano
il preludio a qualche forma di ostilità
da parte sua. invece, con voce sottile
e rispettosa, mi fece cenno di sedermi.

acchiappato dalla
pioggia? Fortuna che stavi
vicino la casa e che ti hai
potuto riparare.

il suo modo di esprimersi era assai


curioso, parlava una forma arcaica
del dialetto americano che credevo
estinta ormai da un pezzo;

93
me fa piacere
incuntrarti, giovane
mio, che le facce
nove so’ poche.

Scommetto che
sei di Boston, eh? Nell’84 ne
tenevamo qui uno che faceva il maestro
de scola, ma se ne è ito all’improvviso
e nessuno l’ha visto più.

Decisi di chiedergli come fosse in possesso di


un libro così raro come il Regnum Congo di
Pigafetta. Per mia fortuna la domanda non lo Ah, il libro
imbarazzò e il vecchio rispose con gentilezza. africano? Nel
sessantotto me lo
dette il Capitano
Ebenezer Holt…
quello che faceje
la guerra.

94
Per molti anni
Ebenezer navigò sopra un
mercantile di Salem, e, in ogni porto,
cumprava le cose più curiose che truvava.
Quello lo cumprò a Londra. Una volta andaje
a la casa sua in muntagna per venderje
cavalli, e vedette sto libro.
Mi piacettero le figure, il vecchio si frugò tra gli stracci
e lui me lo dette. estraendone un paio di occhiali sudici
e antiquati, muniti di piccole lenti
ottagonali e con la montatura di ferro.

Dopo averli inforcati prese


il libro sul tavolo e sfogliò
le pagine delicatamente.

95
Ebenezer
sapeva lu
latino, ma io
no. Tu ci
capisci?

La sua vicinanza era sgradevole, ma non vedevo


Risposi di sì e tradussi modi di allontanarmi senza offenderlo; inoltre
per lui un paragrafo ero divertito dalla fanciullesca tenerezza
verso l’inizio. che il vecchio provava per le illustrazioni.

Strano come ste indicò una creatura fantastica


figure fanno pensare… immaginata dall’artista, un incrocio
Piglia questa. tra un drago degno di una fiaba
e una testa di alligatore.

96
Mo’ ti faccio
vedere il meglio…
qui in mezzo.

La voce del vecchio si fece profonda e gli occhi gli si


illuminarono, mentre le mani, più impacciate di prima,
restavano tuttavia pienamente adeguate allo scopo.

il libro si aprì quasi da sé, come un capitolo visto più e più volte, e mostrò la
ripugnante tavola 12 con la raffigurazione della macelleria dei cannibali Anzique.

Che ne pensi?
mai visto niente di
simile,vero? Qui si
vede tutto quel che
c’è da vedere, forse è
peccato, ma l’omini sono
nati per vivere nel peccato.
Quello lì fatto a pezzi mi
fa venire l’acquolina tutte
le volte che lo vedo...
devo guardarlo... Vedi
come gli ha tagljiato li
piedi il macellaro?
Quella sul banco è
la sua testa e il
braccio sta
per terra.

L’artista aveva raffigurato quegli


africani con l’aspetto di uomini bianchi.
Le cosce e i quarti umani appesi ai muri
della bottega erano di un realismo
rivoltante, mentre il macellaio munito
di mannaia era un personaggio del tutto
fuori posto. Ma il piacere che il mio
ospite provava a quella visione era
pari al disgusto che suscitava in me.

97
Mentre il vecchio godeva
del suo osceno piacere la
sua espressione divenne
indefinibile: il terrore
provato prima tornò ad
impossessarsi di me, mi
sentivo gonfiare di
ferocia e furore.

Mi resi
conto di
odiare quel
vecchio con
un'intensi-
tà omicida.

Ascoltai il rumore della pioggia


sui vetri piccoli e sporchi e a un
tratto sentii il rumore di un
tuono in lontananza, fatto insolito
anche per quella stagione.

All’improvviso, lo scoppio di un
fulmine terrificante scosse la casa
fino alle fondamenta, ma il vecchio,
intento nel suo roco bisbiglio,
parve non accorgersene affatto.

98
Dicono che
la carne fa sangue,
che è forza e vita, così
pensaje che uno poteva
vivere in eterno se ne
magnava de più.

Quando il vecchio sussurrò le parole: «se ne magnava de più», si


udì un suono come quello provocato da una goccia, e qualcosa
apparve sulla carta ingiallita del volume spiegato. Pensai alla
pioggia che filtrava dal tetto, ma la pioggia non è rossa. Sulla
macelleria dei cannibali Anzique una piccola goccia rossa scintillava
vivida, conferendo nuova crudezza all’orrore dell’illustrazione.

il vecchio la vide e alzò gli


occhi al soffitto, cioè al Seguii il suo sguardo e sul soffitto
pavimento della stanza che vidi una macchia rossa che sembrava
aveva lasciato un’ora prima. allargarsi sotto i miei occhi.

99
il vecchio osservava il terrore dipinto sul mio volto. Non urlai, non mi mossi.
Mi limitai a chiudere gli occhi.

100
101
Un momento dopo cadde il fulmine
più forte che abbia mai visto e la
casa maledetta si ridusse in cenere.
Quanto a me, sprofondai nell’oblio che salvò la mia mente.

103
Altri volumi horror già pubblicati:

I Luoghi di Lovecraft – isbn: 978–88–94818–41–3


Cannibal Holocaust 2 – isbn: 978–88–94818–62–8
Edgar Allan Poe – isbn: 978–88–97141–90–7
Lovecraft e altre storie – isbn: 978–88–88893–89–1
La Mummia – isbn: 978–88–88893–97–6
Brigitte – isbn: 978–88–94818–34–5
Edward Mani di Forbice – Qualche anno dopo – isbn: 978–88–94818–43–7
Il Tempio – isbn: 978–88–94818–05–5
Nyarlathotep – isbn: 978–88–97141–78–5
Nero Metafisico – isbn: 978–88–97141–63–1
Nosferatu – isbn: 978–88–94818–37-6
Incubi – isbn: 978–88–94818–73–4
The Black Cat – isbn: 978–88–94818–36–9

Caro lettore, speriamo ti sia piaciuto il nostro dono digitare per aiutarti a
trascorrere questa quarantena. Se ti interessasse possedere fisicamente il volume,
clicca in qualunque punto di questa pagina e verrai indirizzato al nostro sito :) A
presto!

La casa editrice
del fumetto d’autore
edizioninpe.it
Questo volume contiene due tra le storie più intense del solitario di
Providence, il grande scrittore horror H.P. Lovecraft, splendidamente
adattate a fumetti dai meravigliosi acquerelli di Sergio Vanello, più una
terza storia inedita.
Il violinista Erich Zann suona tutta la notte in preda ad una terribile
agitazione, di fronte a una finestra aperta, per tenere lontana l’oscurità
con i suoi mostri indefiniti: notte dopo notte l’intera umanità si regge
sulle fragili note di un uomo stanco.
Nel secondo racconto, Un’illustrazione e una vecchia casa, durante un
temporale il protagonista si rifugia in una piccola casa in campagna,
dove ad accoglierlo ci sarà un contadino davvero inquietante...
Nella terza storia, Samsara, interamente opera di Sergio Vanello, le an-
gosce e la sofferenza prenderanno una forma speculare a quel-
la del protagonista, conducendolo verso l’oblìo della
distorsione dello spazio e del tempo…

ISBN: 978-88-94818-42-0

edizioninpe.it
Edizioni NPE
euro 19,90

Potrebbero piacerti anche