Sei sulla pagina 1di 10

Dispensa 13 - Primo Principio della Termodinamica

I. TRASFORMAZIONI TERMODINAMICHE

Il concetto di trasformazione termodinamica è già stato introdotto nella dispensa 13. Si chiarisce ora questo
importante concetto con alcuni esempi.
Un sistema termodinamico inizialmente in uno stato di equilibrio A può subire un processo termodinamico che lo
porta ad un altro stato di equilibrio B. Gli stati intermedi possono essere stati di equilibrio o no.

Esempio 1
Due corpi inizialmente alla temperatura T1 e T2 sono messi a contatto. Nel tempo raggiungono lo stato di equilibrio
termico con temperatura Tf . Tuttavia, prima di quel momento, le temperature dei due corpi nel sistema sono diverse
per cui non c’è equilibrio termico ovvero, il sistema non è caratterizzato da un unico valore di temperatura.

Esempio 2
Un contenitore adiabatico è suddiviso in due parti separate da una parete rigida. Nella parte sinistra c’è un gas,
mentre la parte destra è inizialmente vuota. All’istante iniziale, un piccolo foro viene creato nella parete. Dopo
qualche tempo, il gas è uniformemente distribuito nelle due metà del contenitore. Tuttavia, prima del raggiungimento
dell’equilibrio, la pressione è diversa nelle due metà, ovvero gli stati intermedi non sono stati di equilibrio (non c’è
alcun equilibrio meccanico interno).

Esempio 3
Un contenitore chiuso da un pistone è in contatto termico con un termostato. Se il gas è fatto espandere lentamente
(per es. rimuovendo i pesi sul pistone uno per uno), si può pensare che la pressione sia la stessa in tutto il contenitore,
e che la temperatura sia uniforme. In questa condizione, qualsiasi stato del sistema può essere considerato come uno
stato di equilibrio.

Quest’ultimo esempio chiarisce che, per ottenere un processo in cui ogni stato intermedio sia uno stato di equilibrio,
dobbiamo procedere con una serie di successivi piccoli (infinitesimi) cambiamenti nelle coordinate termodinamiche.
Tale processo viene detto quasistatico.
Ovvero, un processo quasistatico è un processo termodinamico infinitamente lento. In pratica, questi processi possono
essere approssimati eseguendoli ”molto lentamente”. Un processo quasistatico spesso assicura che il sistema passerà
attraverso una sequenza di stati che sono infinitamente vicini all’equilibrio.
Possiamo allora precisare meglio cosa si intende per trasformazione reversibile o irreversibile:

Un processo termodinamico è reversibile se:

• ogni punto intermedio del processo è in uno stato di equilibrio

• non ci sono forze dissipative

• il processo può essere fermato ed invertito in ogni momento cambiando leggermente le condizioni esterne
2

Per esempio i cambiamenti di fase possono essere invertiti cambiando la temperatura esterna.

Un processo termodinamico è irreversibile se:


• almeno uno stato intermedio è uno stato di non-equilibrio
• ci sono forze dissipative
• non è possibile definire lo stato del sistema perché almeno una delle variabili di stato non è ben definita
Per esempio lo scambio di calore tra due corpi a differenti temperature è sempre irreversibile.

In generale un processo che porta l’universo termodinamico dallo stato A allo stato B è reversibile se può essere
completamente invertito, cioè tutti i sistemi dell’universo possono essere ricondotti dallo stato 2 allo stato 1 senza
effetti residui.

II. LE QUANTITÀ DI CALORE NELLE TRASFORMAZIONI: δQ NON È UN DIFFERENZIALE


ESATTO.

Un sistema può subire una trasformazione per scambi di calore, per azioni meccaniche da o sull’ambiente, per effetti
chimici ed altro.
Conviene analizzare separatamente i primi due casi e considerare:
• Solo scambi termici tenendo fisse le pareti (cioè operando a volume costante);
• Solo scambi meccanici considerare pareti adiabatiche che escludano scambi di calore.
Il concetto di calore è stato introdotto operativamente ma ora vogliamo precisare che questa grandezza non è una
variabile di stato. Prendiamo in esame un sistema che passa da uno stato 1 ad uno stato 2 ma con trasformazioni
diverse e dimostrando che Q è diversa nei vari casi.
Per semplicità consideriamo come sistema una mole di gas ideale che esegue una espansione reversibile da uno stato
iniziale A (pA , VA , TA ) ad uno finale B (pB , VB , TB ) con VB > VA e con pA > pB . Tra gli infiniti modi di eseguire la
trasformazione consideriamone tre particolarmente semplici:
1. Trasformazione AC isobara e poi CB isocora:
QAC = cp (TC − TA ) e QCB = cV (TB − TC ), e cio per definizione di calore molare a pressione costante e a
volume costante. E poi è Q1 = QAC + QCB .
2. Trasformazione AD isocora e poi DB isobara.
Si vede analogamente che sarà QAD = cV (TD − TA ) e QDB = cp (TB − TD ) e poi Q2 = QAD + QDB .
3. Trasformazione isoterma AB. Vedremo che il calore scambiato in questa trasformazione è uguale al lavoro svolto
dal gas sul sistema: Q3 = LAB . D’altra parte questo lavoro corrisponde all’area sottesa dalla trasformazione e
vale Q3 = RT ln(VB /VA ) (vedi Disp. 13).
3

Siccome in generale (e quindi anche nel caso di un gas ideale) cp > cV e ancora che per un gas ideale il prodotto
pressione-volume è proporzionale alla temperatura secondo le relazione P V = n R T (vedi Disp. 15), si avrà

1 pA 1 VB
TC − TA = (pC VC − pA VA ) = ∆V TB − TC = (pB VB − pC VC ) = ∆p , (1)
nR nR nR nR
1 VA 1 pB
TD − TA = (pD VD − pA VA ) = ∆p TB − TD = (pB VB − pD VD ) = ∆V , (2)
nR nR nR nR
segue che
cp cV cp cV
Q1 = pA ∆V + VB ∆p Q2 = pB ∆V + VA ∆p , (3)
nR nR nR nR
e quindi, in generale, Q1 ̸= Q2 ̸= Q3 . Naturalmente, se avessimo scelto trasformazioni AB più complicate di quelle
qui usate non sempre saremmo stati in grado di calcolare il calore corrispondente: ma una misura con un calorimetro
ci darebbe in generale misure di calore differenti al variare della trasformazione considerata. In altre parole possiamo
dire che il calore esterno non è una funzione di stato oppure che δQ non è differenziale esatto: perciò si è usato il
simbolo δQ anzichè dQ.

Dire che il Q non è un differenziale esatto significa che in genere non esiste una funzione di stato Q(p, V, T, ....)
dipendente dalle sole variabili di stato da cui si possa ottenere per differenziale il calore scambiato.
Da ciò si può dedurre che il calore specifico di un sistema termodinamico dipende dalla particolare trasformazione
subita dal sistema, essendo
 
1 δQ
c= , (4)
n dT

come si era già anticipato.


Poichè un sistema termodinamico può eseguire infinite trasformazioni diverse tra di loro, ne segue che un sistema
termodinamico ha infiniti calori specifici.
4

III. LAVORO NELLE TRASFORMAZIONI TERMODINAMICHE: δL NON È UN DIFFERENZIALE


ESATTO.

In termodinamica per lavoro non si intende solo il lavoro meccanico di una forza esterna, ma più in generale l’energia
spesa per operare sul sistema dall’esterno, anche se è energia di natura non meccanica (ma elettrica, chimica ecc.).
E’ poi sempre possibile idealmente trasformare se si vuole questa energia in energia meccanica (riducendosi sempre
ad un sollevamento o abbassamento di pesi).

Ci limitiamo per ora al caso di un sistema idrostatico descrivibile con le tre sole variabili termodinamiche p, V e T
considerando, per esempio, l’espansione di un gas. Sia V il volume del gas ed S la superficie che lo delimita: essa sia
adiabatica e deformabile.

Il gas esercita su ogni elemento dS della superficie una pressione p, normale alla superficie. Se dh è lo spostamento
infinitesimo subito dalla superficie stessa, il lavoro infinitesimo compiuto dal gas sull’elemento dS sarà
⃗ · d⃗h ,
p dS (5)
⃗ = dS n̂ e su tutta la superficie il lavoro elementare fatto dal gas (se n̂ è la normale esterna a dS) sarà
dove dS
Z
L= p dS n̂ · d⃗h . (6)
S

Ora, in generale, p è costante su tutta la superficie ed inoltre è uguale alla pressione che si esercita all’interno del gas.
Quindi si ha
Z
L=p dS n̂ · d⃗h = p dV , (7)
S

ove dV è l’incremento di volume del gas.


La (7) può essere usata solo se:
5

• la pressione è uniforme nell’intero sistema ed il processo è reversibile. In questo caso, la pressione è ben nota
(almeno misurabile) in tutti gli stati intermedi;
• la pressione esterna è conosciuta (per esempio, questo capita in processi che avvengono a pressione atmosferica).
In questo caso, il processo può anche essere irreversibile ma la formula di cui sopra è ancora valida (ma ora p è
la pressione esterna).
Per una trasformazione isobara finita il lavoro compiuto dal gas diventa
L = p ∆V , (8)
mentre per una isocora sarà sempre
L=0, (9)
perchè, per dfinizione, ∆V = 0.
Se il volume finale è maggiore di quello iniziale (espansione) il lavoro è positivo; il lavoro è invece negativo per
compressioni, mentre ogni volta che il volume non cambia (processo isocoro), il lavoro fatto dal sistema è nullo!
E’ fondamentale notare che in generale il lavoro esterno non dipende solo dallo stato iniziale e finale del sistema, ma
anche dal modo in cui la trasformazione è avvenuta..
In altre parole possiamo dire che il lavoro esterno non è una funzione di stato oppure che δL non è differenziale
esatto: perciò si è usato il simbolo δL anzichè dL. Ciò si vede immediatamente nel piano pV : il lavoro elementare
δL = p dV è rappresentato dall’areola tratteggiata in figura. Il lavoro finito è invece rappresentato dall’area compresa
fra la curva AB, le due ordinate estreme e l’asse delle ascisse.

Se si considerano tre diverse trasformazioni che collegano il punto iniziale 1 con il punto finale 2 si vede chiaramente
come il lavoro scambiato con l’ambiente dipende dal tipo di trasformazione.
Se la trasformazione è poi un ciclo, il lavoro ottenuto è rappresentato dall’area racchiusa dal ciclo. Pertanto
I
L = δL = ̸ 0, (10)

ovvero la circuitazione del lavoro elementare non è nulla e dipende dal cammino ⇒ il lavoro elementare non
è un differenziale esatto.
6

A. Convenzione sui segni

Descriveremo le relazioni energetiche in qualsiasi processo termodinamico in termini di calore Q scambiato dal
sistema e di lavoro L compiuto dal sistema.
Si conviene definire positivo un flusso di calore entrante nel sistema, con corrispondente ingresso di energia in esso;
negativo un flusso di calore uscente dal sistema. Diversamente, un lavoro positivo rappresenta lavoro fatto dal sistema
nei confronti dell’ambiente, come, per esempio, il lavoro fatto da un gas in espansione, e quindi corrisponde a energia
che lascia il sistema mentre un lavoro negativo rappresenta il lavoro fatto dall’ambiente nei confronti del sistema e
rappresenta energia che entra nel sistema.

IV. EQUIVALENZA TRA LAVORO E QUANTITÀ DI CALORE.

A. Il principio di equivalenza.

Il teorema di conservazione dell’energia, enunciato in meccanica, non sembra trovare conferma sperimentale. Ad
esempio, un pendolo dovrebbe continuare ad oscillare indefinitamente, mentre invece vediamo che le sue oscillazioni
sono smorzate ed alla fine tutta l’energia meccanica del pendolo risulta scomparsa. Ma se il pendolo fosse posto
all’interno di un calorimetro, noteremmo la concomitante creazione di una certa quantità di calore: cioè la scomparsa
di energia meccanica è accompagnata dalla creazione di calore.
D’altra parte sappiamo che il calore può essere creato o distrutto. Però la creazione o la scomparsa di una certa
quantità di calore è sempre accompagnata da un concomitante fenomeno energetico. Ad esempio:
a) un gas contenuto in un cilindro si espande muovendo un pistone: nell’esperienza il gas si raffredda. Però in tal
caso le forze di pressione del gas eseguano un lavoro sull’esterno.
b) in un urto anelastico l’energia cinetica diminuisce ma i due corpi urtati si riscaldano.
c) la scomparsa o la creazione del calore nei passaggi di fase e nelle modificazioni di struttura è accompagnata da
concomitanti fenomeni energetici, in questi casi cambia l’energia di legame delle varie particelle tra loro. Questi fatti
ci portano a chiederci se ci sia possibile accertare una ”equivalenza” tra lavoro e calore scambiati in un dato processo
termodinamico.
7

Per verificare sperimentalmente tale equivalenza bisogna eseguire un’esperienza nella quale si compia un lavoro
dall’esterno sul sistema e misurare la quantità di calore che in conseguenza il sistema cede ad un calorimetro.
Ma non basta: naturalmente bisogna essere sicuri che tutto il calore che si è ”creato” in seguito al lavoro eseguito
sul sistema, sia stato interamente ceduto al calorimetro alla fine della esperienza. In altre parole bisogna assicurarsi
che durante l’esperienza non si siano verificati fenomeni capaci di trattenere all’interno del sistema del calore (per
esempio un passaggi di stato).
Il modo migliore per evitare tali inconvenienti è fare eseguire al sistema una trasformazione ciclica con lavoro esterno
(positivo o negativo). L’identità dello stato iniziale e finale del sistema ci garantisce che il sistema non ha tenuta
”imprigionata” nessuna quantità di calore.
Se esiste equivalenza tra lavoro e quantità di calore, in tutte le esperienze di questo genere (cioè ove si confronta il
lavoro meccanico eseguito su di un sistema con la concomitante quantità di calore sviluppata per attrito e ceduta al
calorimetro) dovrebbe risultare che il rapporto:
I I
δL/ δQ = J , (11)

H
dove J è una costante. Il segno indica la somma algebrica di tutti i lavori infinitesimi δL e di tutte le quantità di
calore infinitesimo δQ, che sono entrate in gioco durante il ciclo: cioè l’integrale è esteso a tutte il ciclo.
Sperimentalmente ciò è stato verificato da Joule (1848) variando il fluido termodinamico e il tipo di ciclo; si è ottenuto
per J il valore costante:

J = 4.186 joule/caloria ⇒ 1/J = 0.273 caloria/joule , (12)

noti, rispettivamente, come equivalente meccanico del calore e equivalente termico del lavoro che assume il carattere
di costante universale.
Cioè sperimentalmente è stato verificato che per ogni quantità di calore scomparsa (o creata) si ottiene (o si perde)
una ben definita quantità di lavoro (principio di equivalenza di Mayer-Joule).
La fondamentale importanza di questo principio è che ci induce a considerare il calore come una forma di energia,
l’energia calorifica o termica.
In altre parole il calore non è che una particolare forma di energia misurata abitualmente in calorie invece che in joule.
Per passare dalle calorie alle unità meccaniche basta moltiplicare le calorie per J, poichè 1 caloria vale J joule. Nel
seguito pertanto useremo anche per la quantità di calore le unità meccaniche: le formule cosı̀ si semplificano e la (11)
si scriverà più semplicemente:
I I
δQ = δL , (13)

B. L’esperienza di Joule

L’esperienza di Joule per determinare J consiste nel dissipare un lavoro noto L in una certa massa di liquido, la
quale all’inizio e alla fine dell’esperienza si trova sempre nello stesso stato p, V, T . Dalla misura della quantità di
calore Q che il liquido cede a un calorimetro; a causa del lavoro meccanico L in essa dissipato si può determinare J.
In un calorimetro è contenuta una certa quantità di acqua. Alla puleggia T è fissato un mulinello M fornito di alette.
Attorno alla puleggia è avvolta una fune che passa poi su due carrucole C, in modo che, quando i pesi P sono liberi di
cadere per gravità, la puleggia e il mulinello si pongono in rotazione. Il mulinello pesca nell’acqua (o più in generale
nel liquido) contenuta nella provetta del calorimetro. Per eliminare l’effetto degli attriti meccanici, svitando la vite V ,
si può fare in modo che la puleggia si ponga in rotazione senza che ciò accada per il mulinello M . In queste condizioni,
si equilibri il sistema con pesi zavorra Z in modo che essi cadano con moto uniforme: cosı̀ uguagliando la forza di
attrito delle carrucole e della puleggia.
Ai due estremi della fune, si fissano ora due pesi motori uguali P e si lasciano cadere contemporaneamente sotto
l’azione della loro forza peso. Dopo una certa fase iniziale, i due pesi saranno dotati di moto uniforme con velocità
v, facilmente misurabile. Le alette fisse alla provetta impediscono all’acqua e al mulinello M di assumere notevole
velocità di rotazione di insieme, ma solo moto turbolento. Se h è l’altezza di caduta dei pesi; il lavoro della forza di
gravità è L = 2mgh. L’energia cinetica, posseduta in quantità sensibile solo dai pesi a fondo corsa, vale K = 2 · 21 mv 2 .
Il lavoro meccanico compiuto sul sistema termodinamico è quindi noto e dato da
I
1
L = δL = L − K = 2mgh − 2 · mv 2 (14)
2
8

H
Il calorimetro segnala l’acquisto di Q = δQ calorie. Poichè non è variato T (e tantomeno p e V ) lo stato finale
del corpo su cui si sperimenta (l’acqua della provetta e altri fluidi che via via si possono usare) è uguale allo stato
iniziale. L’esperienza permette dunque la misura di L e Q nelle condizioni di ciclo volute per la verifica del principio
dell’equivalenza. Si trova cosı̀ J = 4.186 J/cal, come si è detto, qualunque sia il fluido termo dinamico in esame e
qualunque sia il ciclo che compie (si può cambiare infatti il volume, la pressione del fluido ecc.).

V. PRIMO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA. ENERGIA INTERNA.

Riscriviamo la (13) nella forma


I I
δQ − δL = 0 , (15)

oppure
I
(δQ − δL) = 0 . (16)

Consideriamo un sistema che esegue una trasformazione ciclica qualunque, S1 → S2 → S3 → S4 → S1 .


Quindi possiamo scrivere, tenendo conto del percorso di integrazione:
I ZS3 ZS1
(δQ − δL) = (δQ − δL) + (δQ − δL)
S1 (via S2 ) S3 (via S4 )

ZS3 ZS3
= (δQ − δL) − (δQ − δL) , (17)
S1 (via S2 ) S1 (via S4 )

ove si è cambiato segno all’ultimo integrale invertendone i limiti. Possiamo quindi scrivere
ZS3 ZS3
(δQ − δL) = (δQ − δL) , (18)
S1 (via S2 ) S1 (via S4 )

e ciò mostra che essendo il cammino di integrazione arbitrario il valore dell’integrale dipende esclusivamente dagli
estremi; cioè l’integrando è un differenziale esatto. Allora possiamo scrivere:

δQ − δL = dU , (19)
9

ove dU è il differenziale esatto di una funzione che dipende dallo stato del sistema, (ma non dalla sua storia prece-
dente) ed è cioè una funzione di stato. Essa è di fondamentale importanza in termodinamica, e viene chiamata energia
interna già introdotta nella dispensa 9.
L’Eq. (19) rappresenta la formulazione analitica del 1°principio della termodinamica.

Pertanto, sebbene Q ed L separatamente non sono funzioni di stato la loro differenza Q − L è una funzione
di stato e si identifica con la variazione dell’energia interna del sistema!

• L’energia interna è una grandezza estensiva ed additiva. L’unità nel S.I. è ovviamente il Joule.
• Si giustifica la denominazione di energia interna data alla U immaginando di avere un sistema la cui struttura
sia ignota e supponendo che si riesca a misurare solo le forze che il sistema esercita sull’esterno, il lavoro che
tali forze compiono e le quantità di calore che il sistema scambia con l’esterno.
Se al sistema si fornisce l’energia termica δQ e se ne ottiene il lavoro δL, si può interpretare dU come quella
parte di energia termica che è stata fornita al sistema e da questo trattenuta sotto varie forme nei suo interno
e non ceduta sotto forma di lavoro esterno.
In dU sono compresi in genere anche l’incremento di energia cinetica e potenziale macroscopiche. Tuttavia in
generale è dU ̸= 0 anche quando il sistema non subisce tali variazioni, poichè in dU sono compresi gli incrementi
di energia che bisogna scambiare col sistema per variarne temperatura, stato di aggregazione, ecc.
Questa in sostanza ci dice che il flusso di calore è un trasferimento di energia non meccanica provocata da una
differenza di temperatura.
• In altre parole: finché i processi si svolgono senza alcun cambiamento di temperatura, resta costante in meccanica
la somma delle energie cinetica e potenziale; lo stesso vale in elettrologia per le energie elettrica e magnetica, e
per le combinazioni delle quattro energie ora menzionate.
Il primo principio della termodinamica include ora nella formazione di queste somme anche l’energia scambiata
termicamente.
• Nei sistemi (p, V, T ) la U è si funzione delle tre variabili termodinamiche U (p, V, T ), ma in effetti all’equilibrio
risulta essere funzione solo di due delle tre variabili essendo queste vincolate dall’equazione di stato del sistema.
Pertanto potremo scrivere
           
∂U ∂U ∂U ∂U ∂U ∂U
dU = dT + dV = dT + dp = dV + dp . (20)
∂T V ∂V T ∂T p ∂p T ∂V p ∂p V

• Essendo l’energia interna una funzione di stato, la usa variazione nel passare dallo stato A allo stato B sarà
sempre la stessa qualunque sia il processo termodinamico che connette A con B.

• Se UA = UB , l’energia totale scambiata durante il processo che connette A e B è nulla. Questo significa che,
qualunque sia il processo che collega A e B, Q = L. Per esempio, se il sistema assorbe un calore Q > 0 deve
compiere un lavoro L > 0. L’energia assorbita come calore viene spesa nuovamente come lavoro svolto dal
sistema.
• Il primo principio non pone limiti alla conversione del calore in lavoro. Si potrebbe immaginare una trasfor-
mazione ciclica in cui tutto il calore assorbito dal sistema è convertito in lavoro (ma questo sarà proibito del
secondo principio!)
• Il primo principio definisce il modo migliore il calore scambiato durante un processo termodinamico:

Q = L + ∆U , (21)

relazione che vale in qualunque caso neanche quando l’equazione Q = m c ∆T non può essere usata (per esempio
durante una transizione di fase).
• In una trasformazione tra A e B, il primo principio consente di calcolare una delle tre grandezze Q, L e U
quando due sono note. Tuttavia, mentre Q e L devono essere calcolati lungo il reale percorso seguito dalla
trasformazione, il ∆U può essere calcolato lungo QUALSIASI processo che connette A e B. Pertanto noti gli
stati iniziale e finale andremo a connetterli attraverso trasformazioni termodinamiche semplici lungo le quali il
calcolo del ∆U risulta essere particolarmente agevole. Il risultato finale, come già detto, non dipenderà dalla
specifica trasformazione/i usata/e.
10

A. Il primo principio nelle principali trasformazioni termodinamiche

1. Trasformazioni isocore

Se un sistema esegue una trasformazione isocora (dV = 0), esso non compie lavoro esterno essendo δL = pdV = 0.
Quindi per il 1° principio si ha
ZB
δQ = dU ≡ n cV dT , ⇒ UB − UA = n cV dT , (22)
A

e cioe, in questo caso isocoro l’energia termica si trasforma tutta in energia interna o viceversa.
Se cV è costante
UB − UA = n cV (TB − TA ) . (23)
E’ da notare che in questo caso particolare la quantità di calore in gioco nella trasformazione si identifica con una
funzione di stato poiché dipende solo dallo stato iniziale e finale del sistema attraverso la sua energia interna.

2. Trasformazioni isobare: entalpia

Anche nelle trasformazioni isobare si può vedere che il δQ si identifica con un differenziale esatto (contrariamente
al caso generale). Infatti se p = cost sarà p dV = d(p V ) e perciò il primo principio si scriverà:
ZB
δQ = δL + dU = d(p V ) + dU = d(p V + U ) = dH ≡ n cp dT , ⇒ HB − HA = n cp dT , (24)
A

ove dH è il differenziale di una funzione di stato H chiamata entalpia


H = pV + U . (25)
Poiché U e p V dipendono solo dalle coordinate termodinamiche dello stato del sistema allora anche l’entalpia è una
funzione di stato (è definita per qualsiasi stato di equilibrio).
Se cp è costante
HB − HA = n cp (TB − TA ) . (26)
Riassumendo, per una generica trasformazione di un gas ideale da A a B, le due funzioni di stato U e H dipendono
solo dagli stati iniziale e finale; diversamente il calore dipende dalla trasformazione. Tuttavia, se la trasformazione è
una isocora o una isobara il calore è uguale alla variazione di U o H che sono funzione di stato.

3. Trasformazioni adiabatiche

In queste trasformazioni, essendo δQ = 0, per il 1° principio si ha


δL = p dV = −dU , (27)
in accordo con quanto visto in diunamica. Si noti che si può interpretare questa relazione come una definizione
operativa di energia interna, la cui variazione viene misurata tramite il lavoro esterno in una trasformazione adiabatica.

4. Trasformazioni isoterma

Se un sistema esegue una trasformazione isoterma (dT = 0) per il 1° principio si ha


δQ − p dV = dU . (28)
ed in generale nulla si può dire sul calore scambiato. E’ da notare che in questo caso δQ non è esprimibile nella forma
δQ = C dT che diversamente sarebbe nullo (adiabatica).

Potrebbero piacerti anche