Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
11 Linguaggio Trujillo (273-292)
11 Linguaggio Trujillo (273-292)
1. Introduzione al tema
1
Una disciplina antichissima che studia le regole del giudicare e del ragionare, la cui de-
clinazione aristotelica, detta Organon, cioè strumento, resta insuperabile. Aristotele si occupa
per esempio dei concetti, delle proposizioni, dell’interpretazione, dei ragionamenti, delle opi-
nioni e delle fallacie.
274 STRUTTURE
2
R. Sacco, Antropologia giuridica, Utet, Torino 2007.
3
N. Bobbio, Teoria generale del diritto, Giappichelli, Torino 1993, p. 50.
4
F. Carnelutti, Matematica e diritto, in Id., Discorsi intorno al diritto, II, Cedam, Padova
1953, p. 223.
Linguaggio 275
5
E. Anscombe, On Brute Facts, in “Analysis”, 18, 1958, pp. 69-72.
276 STRUTTURE
6
È stata fondata da Georg von Wright (1916-2003) con l’articolo Deontic Logic, in
“Mind”, 60, 237, 1951, pp. 1-15.
Linguaggio 277
7
Il concetto di diritto (1961), Einaudi, Torino 1991.
8
Il partecipante è chi all’interno di un sistema giuridico prende parte ad una argomenta-
zione su ciò che in questo sistema è ordinato, vietato o permesso (R. Alexy, Concetto e validi-
tà del diritto, Einaudi, Torino 1997, p. 22).
9
Essa entra nel ragionamento pratico ovviamente con le sue prerogative, cioè con la sua
autorità. Per questo Joseph Raz definisce le regole giuridiche ragioni di esclusione (J. Raz,
The Authority of Law, Clarendon Press, Oxford 1979).
10
Una versione estrema della concezione espressiva delle norme è quella della Scuola di
Buenos Aires. Si veda C.E. Alchourrón-E. Buligyn, The expressive conception of Norms, in R.
Hilpinen (ed.), New Studies in Deontic Logic. Synthese Library, Springer, Dordrecht 1981. Altre
versioni meno radicali hanno insistito sulla possibilità di distinguere tra frastico e neustico, cioè
tra la parte rappresentazionale delle norme e la modalità deontica delle regole giuridiche.
11
Il tipo di problematica cui questa concezione risponde riguarda la relazione tra la se-
mantica e la pragmatica. Si pone cioè il problema se il carattere prescrittivo del diritto intera-
gisca in alcun modo con il significato rappresentazionale. A questa questione hanno risposto
in modo diverso il realismo giuridico e la scuola analitica. Il presupposto comune è però una
278 STRUTTURE
La differenza tra queste due diverse letture del diritto non sta nell’esistenza
di autorità o di regole autoritative, ma nel modo di comprendere il linguag-
gio, da un lato, e l’autorità, dall’altro. L’alternativa è tra ritenere che conti
soltanto il soggetto principale parlante (chi ha autorità) e il suo linguaggio,
oppure che rilevi la comunicazione complessivamente considerata, tenuto
conto anche di chi deve seguire il diritto. Questa alternativa fa il paio con
quella che riguarda il rapporto tra significato e forza: se sia la forza a dare
significato al diritto, oppure se siano i significati a dare forza al diritto. In
altre parole, la concezione espressiva delle norme mostra di concepire il lin-
guaggio in senso strumentale. In ultima istanza ciò che conta è la volontà di
chi comanda. Per la riuscita della pratica giuridica conta certamente il sog-
getto che detiene l’autorità e la forza con cui sostiene le regole, ma conta
anche chi opera obbedendo alle regole. Da questo secondo punto di vista il
linguaggio deve rispettare certe condizioni, per esempio che tale linguaggio
esprima significati comprensibili e praticabili. I soggetti coinvolti nella co-
municazione sono anche attivi, ed in questo senso il diritto implica un coin-
volgimento in un’azione comunicativa comune.
All’estremo opposto alla concezione espressiva delle norme si trova la
teoria secondo cui il discorso giuridico si può spiegare solo under the guise
of the good 12, cioè in riferimento a ciò che il diritto si propone di ottenere,
alle sue finalità, ai suoi obiettivi, come le regole per fare un caffè con la
macchinetta si comprendono solo alla luce di quello che quelle regole mi-
rano a realizzare (un caffè, appunto: non basta che il libretto delle istruzio-
ni dia indicazioni di un certo tipo). Da questo punto di vista, una teoria del
diritto e della sua autorità deve contenere anche una giustificazione (accet-
tabile, date le caratteristiche della impresa giuridica) del perché l’autorità è
legittimata a comandare e i destinatari hanno un dovere di obbedire. Tale
giustificazione si comprende unicamente nell’ottica di un’attività comune
da compiere o, anche genericamente, nell’ottica della necessità di una coor-
dinazione. Il presupposto inoltre è la struttura razionale degli agenti coin-
volti: sia di quelli che hanno il compito di comandare, sia di quelli che han-
no il dovere di obbedire. Da questo punto di vista, la concezione espressiva
delle norme è portatrice solo di una parziale comprensione della normativi-
tà del diritto, non certo da trascurare, ma da considerare limitata. La conce-
zione pratica invece può spiegare facilmente l’interazione comunicativa, an-
che se deve affrontare la sfida di dare conto dell’elemento della forza.
Bisogna notare infine che il linguaggio è uno degli elementi più tangibili
concezione atomistica del linguaggio. Si tornerà sulla questione in senso storico nella seconda
parte del capitolo.
È un’espressione di Verónica Rodríguez-Blanco, autrice del volume Law and Authority
12
13
Spesso si cade nell’errore di pensare che il giusnaturalismo sia una teoria che rivendica
l’esistenza del diritto naturale a scapito del diritto positivo. È invece fondamentale sapere che
anche il giusnaturalismo valorizza la dimensione della positività del diritto, ma ad esso acco-
sta anche il diritto naturale. Quest’ultimo serve a criticare o ispirare il primo.
280 STRUTTURE
14
L. Lombardi Vallauri, Norme vaghe e teoria generale del diritto, in “Ars Interpretandi”,
3, 1998, pp. 155-164.
15
Il primato del detto è conseguenza della importanza del soggetto parlante dotato di au-
torità. La rivalutazione del soggetto sottoposto all’autorità non è in contrasto con tale princi-
pio, ma piuttosto complementare, proprio perché il diritto è dialogico e non monologico.
16
L. Gianformaggio collega l’analogia alla proporzione tipica della giustizia: L’analogia
giuridica, in “Studi Senesi”, XCVII, 3, 1985, pp. 430-451.
17
Il maggiore teorico moderno della rule of law è Lon Fuller (1902-1978), che ha elencato
queste caratteristiche come espressive di una moralità interna al diritto. Si veda L. Fuller, La
moralità del diritto (1964), Giuffrè, Milano 1986.
282 STRUTTURE
Lo sviluppo storico del rapporto tra diritto e linguaggio può essere di-
stinto da due punti di vista e diviso in due periodi fondamentali. I punti di
vista sono quello dei giuristi in senso stretto, da un lato, e quello dei teorici
e filosofi del diritto, dall’altro. L’attenzione dei giuristi per il linguaggio è
stata costante: si pensi alla codificazione delle leggi, alle XXII Tavole, al
Corpus Iuris Iustinianeum, al Concordia discordantium canonum, alla codifi-
cazione Napoleonica, oppure alla problematica dell’interpretazione dei te-
sti giuridici e allo sviluppo degli strumenti per realizzarla (i cosiddetti cano-
ni dell’interpretazione): dai glossatori, alla scuola dell’esegesi, ai movimenti
antiformalisti. Tutte queste vicende storiche hanno ad oggetto lo stretto rap-
porto tra diritto e linguaggio.
In relazione più specificatamente al pensiero giusfilosofico, cioè nella pro-
spettiva della comprensione della natura del diritto, risultano rilevanti quel-
le teorie che hanno preso in considerazione il linguaggio come elemento
per definire il diritto. Questa tematica appartiene alla filosofia del diritto in
senso stretto e non in senso ampio: è cioè da collocare in quello spazio tem-
porale nel quale è possibile parlare di filosofia del diritto moderna 18. Da
questo punto di vista, occorre distinguere due momenti o due fasi impor-
tanti. Il primo momento risale alla temperie culturale dell’illuminismo ed è
coevo alla nascita del giuspositivismo e a quella della ideologia della codifi-
cazione napoleonica. In questo contesto il linguaggio serve ad identificare
più facilmente il diritto attraverso le sue fonti (il linguaggio del parlante do-
tato di autorità) e il linguaggio è strumento di controllo del diritto (in un te-
sto unico, per intenderci). Il secondo momento riguarda quello che viene
indicato come linguistic turn o svolta linguistica 19, cioè quel preciso svilup-
po della filosofia e della cultura occidentale del ventesimo secolo in cui as-
sume centralità filosofica l’elemento linguistico per la conoscenza e per la
scienza, ma anche per la comprensione del mondo e dell’essere umano, e
dunque anche per il diritto.
Tenuto conto di queste distinzioni, la trattazione storica dei rapporti tra
diritto e linguaggio, non potendo essere completa, sarà divisa in tre parti.
La prima riguarderà il fenomeno storico e giuridico della codificazione na-
18
Intendo per filosofia del diritto in senso ampio la riflessione sui contenuti della filosofia
del diritto, che ha una tradizione millenaria e che ha privilegiato come problema il rapporto
tra la giustizia e il diritto. In senso stretto la filosofia del diritto appare nell’Ottocento con la
comparsa di Rechtsphilosophie, Philosophie des Rechts, Jurisprudence, e si dedica alla rifles-
sione sulla natura e definizione del diritto. Questa distinzione in parte corrisponde a quella di
M. Barberis, Breve storia della filosofia del diritto, il Mulino, Bologna 2004, pp. 7-9.
19
L’espressione linguistic turn è resa popolare da Richard Rorty in un volume collettaneo
del 1967, intitolato per l’appunto The Linguistic Turn: Recent Essays in Philosophical Method.
Linguaggio 283
20
Sulla dogmatica giuridica e sulla sua trasformazione dopo la linguistic turn, si veda il
bel saggio di Luigi Mengoni, Dogmatica giuridica, in Id., Ermeneutica e dogmatica giuridica,
Giuffrè, Milano 1996, pp. 25-65, che mostra anche in che modo si possa riconoscere un ruolo
alla dogmatica nel diritto costituzionalizzato.
284 STRUTTURE
21
A parlare di linguaggio-oggetto è U. Scarpelli, Filosofia analitica e giurisprudenza, Nu-
voletti, Milano 1953, p. 163. A definire la giurisprudenza come un’analisi del linguaggio in
cui si esprime il legislatore è N. Bobbio, Scienza del diritto e analisi del linguaggio, in U. Scar-
pelli (a cura di), Diritto e analisi del linguaggio, Edizioni di Comunità, Milano 1976, pp. 287-
324.
22
«Nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese
dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legi-
slatore. Se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione, si ha riguar-
do alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe; se il caso rimane ancora dub-
bio, si decide secondo i principi generali dell’ordinamento giuridico dello Stato».
Linguaggio 285
getto comune che si esprime nella costituzione e che fissa parametri di le-
gittimità per la stessa attività legislativa.
Dello stesso periodo della scuola dell’esegesi – e in polemica con quella
e con l’estensione della codificazione francese in Europa – è il paragone del
diritto con la lingua di un popolo, insegnato dalla cosiddetta Scuola Storica
del diritto e dal suo principale rappresentante, Friedrich Carl von Savigny
(1779-1861). Tale paragone viene proposto non tanto per enfatizzare l’ele-
mento linguistico del diritto, quanto per sottolineare la specificità di ogni
ordinamento giuridico. Il diritto di un popolo sarebbe come la sua lingua,
cioè ha origine nel popolo attraverso processi storici determinati e radicati,
e non attraverso atti formali come sono le decisioni del legislatore. In que-
sta scuola si sostiene, fra l’altro, che il diritto ha bisogno dell’opera dei giu-
risti, come il linguaggio ha bisogno dei grammatici. Questi ultimi sono
quelli che studiano, comprendono e controllano le strutture linguistiche pro-
fonde. L’analogia tra grammatici e giuristi ripropone un ruolo fondamenta-
le per questi ultimi nella pratica giuridica. Rispetto alla centralità del sog-
getto parlante o produttore del diritto, questa idea apre ad altri soggetti ed
alla loro rilevanza per comprendere il discorso complessivo.
23
J. Bentham, Of Laws in General, 1782, 1.
286 STRUTTURE
La terza fase dei rapporti tra diritto e linguaggio è quella che si sviluppa
in seguito alla svolta linguistica, cioè a quella epoca della filosofia occiden-
tale che ha portato a concentrare l’attenzione della filosofia e delle scienze
umane sul linguaggio. Come si è detto, tale svolta è all’origine di una diva-
ricazione che ancora oggi divide la filosofia del diritto contemporanea tra
analitici, da un lato, e filosofi fenomenologi ed ermeneutici, dall’altro, e di
cui occorre comprendere la rilevanza per la comprensione del diritto. A
differenza della codificazione, questa volta non siamo di fronte ad un fe-
nomeno giuridico caratterizzato dall’attenzione al linguaggio, ma siamo di
fronte a due tendenze della filosofia del diritto, ognuna portatrice di un
modo di intendere il linguaggio e il diritto, ma che hanno in comune ap-
punto la centralità dell’elemento linguistico.
La svolta linguistica è variegata ed abbraccia una pluralità di autori e di
direzioni di ricerca. Per semplificare, si possono distinguere due grandi tra-
dizioni. La prima inizia con gli studi di Gottlob Frege (1848-1925), per il
quale il pensiero può essere studiato solo attraverso il linguaggio in cui si
esprime. Questa direzione di sviluppo troverà il suo principale animatore in
Ludwig Wittgenstein (1889-1951), sia a motivo del suo contributo alla for-
mazione del cosiddetto circolo di Vienna – un cenacolo di studiosi che pro-
muoverà il cosiddetto neopositivismo logico – con il suo Tractatus Logico-
Philosophicus (1922), sia grazie alla sua successiva teoria dei giochi lingui-
stici, proposta nelle Ricerche filosofiche (1953). D’accordo con il neopositi-
vismo logico, il linguaggio è lo specchio della realtà ma, mentre la realtà
non può essere studiata e controllata, il linguaggio sì. Ed infatti dal punto
di vista epistemologico (cioè della conoscenza), la scienza deve sostituire i
fatti con il linguaggio e dunque occuparsi di quest’ultimo. In una seconda
fase del suo pensiero, quella dei giochi linguistici, Wittgenstein ridimensio-
nerà la funzione referenziale del linguaggio e promuoverà una sorta di re-
gionalizzazione dei linguaggi, appunto, una loro diversificazione in giochi
diversi. Come esistono tanti giochi e ognuno ha le proprie regole, così esi-
stono tanti linguaggi, ognuno con regole diverse. Il significato non è altro
Linguaggio 287
che l’uso che del linguaggio si fa nel gioco di riferimento. Il significato di-
pende dunque dal gioco che si sta giocando, non ha più basi referenziali.
La filosofia analitica italiana ha tratto ispirazione soprattutto dal Witt-
genstein del neopositivismo logico, sostenendo che un discorso è scientifico
nella misura in cui è costruito rigorosamente. Norberto Bobbio, di cui ab-
biamo ricordato la definizione della scienza giuridica come metalinguaggio
su un linguaggio oggetto, ha sostenuto che la scientificità della giurispru-
denza è data dal suo metodo: l’analisi del linguaggio. La dottrina giuridica
avrebbe il compito di purificare, completare e ordinare il linguaggio del le-
gislatore.
Tuttavia, la filosofia analitica non si sviluppa solo in Italia e non si ali-
menta soltanto di neopositivismo logico. Anzi, la tradizione più forte è
quella anticipata da Bentham e da John Austin (1790-1859), discepolo del
primo anche se meno critico nei confronti del common law, primo docente
di jurisprudence 24. All’interno di questo solco il filosofo del diritto più in-
fluente è Herbert Hart, che però viene maggiormente influenzato dal se-
condo Wittgenstein, cioè quello dei giochi linguistici. In particolare, Hart
usa la teoria dei giochi linguistici per criticare il formalismo interpretativo,
cioè la presupposizione che i termini legali si riferiscono a, e riflettono, cose
oggettive nel mondo. La sua è una teoria interpretativa intermedia tra il for-
malismo e lo scetticismo (cioè la posizione secondo cui il significato delle
proposizioni linguistiche non è accessibile e dunque è deciso dall’interpre-
te). La teoria hartiana fa perno precisamente sulla struttura aperta del lin-
guaggio. Il diritto è una pratica sociale con regole specifiche di funziona-
mento.
La seconda tradizione di pensiero riconducibile pure alla svolta lingui-
stica trova il suo capostipite in Edmund Husserl (1859-1938). Secondo l’ap-
proccio fenomenologico di questo autore, il linguaggio è quella parte della
realtà che ci consente di comprendere il resto (della realtà). Tuttavia, a dif-
ferenza della filosofia analitica, l’attenzione al linguaggio è precisamente giu-
stificata dalla ricerca e dalla comprensione della realtà. Per questa ragione
talvolta si tende a qualificare questa seconda corrente come “speculativa”, a
differenza della prima, che sostituendo i fatti con il linguaggio appare più
“scientifica” perché limitata a dati empirici. La speculatività starebbe nella
tensione verso dimensioni più profonde, in questo caso, la realtà dietro il
linguaggio. Martin Heidegger (1889-1976), allievo di Husserl, ha affermato
che il linguaggio è la casa dell’essere. La metafora esprime con chiarezza la
centralità del linguaggio e il suo rapporto con l’essere. Le sue opere sono
però complesse e poco fruibili per la comprensione del diritto.
Più importante e rilevante per gli studi giuridici è il pensiero di Hans
24
Si tratta della materia equivalente alla filosofia del diritto, introdotta negli studi giuridi-
ci inglesi nella seconda metà dell’Ottocento.
288 STRUTTURE
non ci possa essere una intenzione del legislatore storico, ma piuttosto che
essa acquista effettività quando l’interprete la attualizza in un determinato
contesto ed in relazione a certe azioni da compiere o a certi casi concreti. Il
quarto canone è quello della corrispondenza del significato, cioè l’esigenza
che chi parla e chi riceve il messaggio entrino in qualche modo in sinto-
nia 25, come si fa in un discorso.
Da questo resoconto si comprende la differenza di approccio al linguag-
gio delle due correnti. L’approccio analitico è compatibile con la considera-
zione atomistica ed empirica del linguaggio del diritto e delle sue proposi-
zioni, che in realtà è uno strumento di qualcos’altro: il potere o la forza del
legislatore, per esempio. L’ermeneutica valorizza invece il coinvolgimento
di una pluralità di partecipanti alla pratica giuridica (il legislatore e l’inter-
prete in senso lato: giurista, giudice, partecipante). La considerazione del-
l’intesa linguistica come sfera di comunanza intersoggettiva è la premessa
dell’azione individuale e sociale.
3. Problemi emergenti
25
Teoria generale dell’interpretazione (1955), Giuffrè, Milano 1990.
290 STRUTTURE
4. Conclusioni
Barberis M., Breve storia della filosofia del diritto, il Mulino, Bologna 2004, ca-
pitolo III: La “Jurisprudence”.
Di Lucia P., Introduzione: Tre opposizioni tra diritto e linguaggio, in U. Scarpel-
li-P. Di Lucia (a cura di), Il linguaggio del diritto, Led Edizioni universita-
rie, Milano 1994, pp. 9-23.
Endicott T., Law and Language, in “The Stanford Encyclopedia of Philosophy”
(Summer 2016 Edition), Edward N. Zalta (ed.), URL = https://plato.
stanford.edu/archives/sum2016/entries/law-language/.
Jori M. (a cura di), Ermeneutica e filosofia analitica. Due concezioni del diritto a
confronto, Giappichelli, Torino 1994.
292 STRUTTURE