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A Sacchi Abramo Isacco Giacobbe Padri Di
A Sacchi Abramo Isacco Giacobbe Padri Di
termine. Essi però hanno influenzato profondamente la storia del po Alessandro Sacchi
polo ebraico. Le antiche tradizioni che li riguardavano sono state rilette
dopo l’esilio in modo da far loro esprimere il senso profondo della
religione israelitica, come l’avevano riformulata i giudei deportati in
Mesopotamia. Essi vi hanno ritrovato le origini dell’alleanza tra
e Israele, nonché dell’elezione del popolo e del suo diritto al possesso
della terra di Canaan. Ma al tempo stesso nelle vicende di quei lontani
ABRAMO ISACCO GIACOBBE
progenitori hanno colto l’esigenza di una fede austera, che mette Dio
al primo posto ed esige una vita conforme alla sua volontà.
PADRI DI EBREI CRISTIANI E MUSULMANI
Ciò che rende interessante ancora oggi lo studio dei racconti patriarcali
consiste anche nel fatto che i loro protagonisti sono considerati come
tre religioni in dialogo
padri nella fede dai seguaci di tre grandi religioni che per questo sono
dette «abramitiche»: ebraismo, cristianesimo e islam. Si prospetta dun
que, a partire da questi testi, la possibilità di un serrato dialogo interre
ligioso che permetta di cogliere l’insegnamento specifico di ciascuna di (Genesi 12-50)
esse in rapporto con le altre e con la cultura moderna ormai incalzante
in tutto il globo.
ISBN | 978-88-92672-65-9
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(Genesi 12-50)
Milano
2017
Youcanprint Self-Publishing
I morti non sono morti
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Prefazione
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I
INTRODUZIONE
a. Cronologia biblica
Secondo la Bibbia, Giacobbe, il terzo dei patriarchi,
scese in Egitto con la sua famiglia quattrocentotrent’anni
prima dell’esodo degli israeliti (cfr. Es 12,40-41; invece,
secondo Gn 15,13, l’oppressione in Egitto è durata 400
anni). Egli aveva allora centotrent’anni (Gn 47,9.28) ed era
nato quando suo padre Isacco ne aveva una cinquantina
(Gn 25,20); questi a sua volta era nato quando Abramo
aveva cent’anni (Gn 21,5). Tenendo conto che l’esodo
dall’Egitto è solitamente situato nel 1250 a.C., risulta
quindi che Abramo sarebbe vissuto verso il 1850 a.C.
b. Agganci storici
La datazione indicata dalla Bibbia sembra confermata
dal fatto che nei racconti patriarcali appaiono dati che si
armonizzano con la situazione geopolitica di quel tempo.
In essi si afferma che i progenitori di Israele non erano
originari della terra di Canaan ma della Mesopotamia. Te-
rach, padre di Abramo, proveniva da Ur dei Caldei (Gn
11,28.31; 15,7; cfr. Ne 9,7): a parte l’uso anacronistico del
termine «caldei», la città di Ur, che si trova nella Mesopo-
tamia meridionale, presso la confluenza del Tigri e
dell’Eufrate, era fiorente proprio all’inizio del II millennio.
Nella sua migrazione verso la terra di Canaan egli giunge a
Carran, nella Mesopotamia settentrionale (11,31), una cit-
tà anch’essa fiorente nello stesso periodo e collegata a Ur
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sia commercialmente sia religiosamente. Alcuni familiari
di Abramo portano nomi di città allora esistenti in Meso-
potamia (Aran, Serug, Nacor e Terach). Anche il nome di
Abramo appare sotto la forma di Abarama («Egli ama il
padre») e di Abi-ram («Mio padre è esaltato», oppure
«Grande in rapporto a suo padre»).
c. Usi e costumi
I costumi dei patriarchi sono molto arcaici. Essi sono
pastori seminomadi che si muovono ai margini del deserto
e allevano greggi di capre e di pecore. Vivono raggruppati
in clan o famiglie, percorrono i bordi della Mezzaluna fer-
tile in cui trovano pascoli e rifornimento di acqua e hanno
rapporti solo sporadici con gli abitanti delle città dove si
recano a vendere i loro prodotti. Durante la stagione secca
si spostano verso i terreni coltivati, nei quali le pecore
possono nutrirsi di ciò che resta dopo la mietitura.
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La religione dei patriarchi è caratterizzata dal culto
del «dio dei padri», cioè del dio che era venerato dai loro
antenati. In questa forma di religione, ogni clan adora una
certa divinità a motivo del rapporto speciale che con essa
aveva avuto il proprio progenitore: a essa sono attribuite
particolari promesse, come quella di una discendenza
numerosa o del possesso delle terre nelle quali il clan ten-
deva a sedentarizzarsi. Una volta entrati nella terra di Ca-
naan, i clan israelitici identificano il dio dei padri con «<El»
(forma singolare di <Elohîm, Dio), il capo del pantheon ca-
naneo, che era venerato con diversi nomi nei vari santuari
locali; ad esso viene associato come tipico del periodo pa-
triarcale il nome El Shaddaj, che probabilmente significa
«dio della montagna» (cfr. Gn 17,1; Es 6,3). Diverse usanze
dei patriarchi si differenziano da quelle codificate in segui-
to nella Bibbia, come la venerazione della divinità in san-
tuari diversi, l’assenza di sacrifici, la venerazione di ogget-
ti sacri come alberi, stele, i rapporti normalmente sereni
con le popolazioni residenti in Canaan.
Alcune usanze dei patriarchi non si ritrovano nella le-
gislazione ebraica o sono in contrasto con essa, ma sono
attestate in documenti medio-orientali del II millennio.
Fra questi, si possono ricordare le trattative per l’acquisto
da parte di Abramo della grotta di Macpela (Gn 23,1-20) o
il matrimonio di Giacobbe con due sorelle (Gn 29,15-30; in
contrasto con Lv 18,18).
Da questi dati risulta che le storie riguardanti i pa-
triarchi contengono ricordi antichi e i loro protagonisti
non sono personaggi inventati ma individui che hanno
svolto un ruolo speciale alle origini dei clan che formeran-
no in seguito il popolo di Israele. Ma ciò non autorizza il
lettore a cercare in questi racconti il ricordo di eventi
straordinari che dimostrino un intervento divino nella
storia umana.
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2. LA FORMAZIONE DEI TESTI
3. LA COMPOSIZIONE LETTERARIA
b. Espedienti narrativi
Il narratore si serve spesso di procedimenti letterari
diversi da quelli a cui è abituato il lettore moderno. Anzi-
tutto è significativa la concatenazione, che consiste nel fat-
to che a volte due o più episodi sono saldamente collegati
in modo che l'uno appaia come la causa dell’altro. Ciò è
messo spesso in risalto mediante un grande numero di
elementi ad essi comuni che rafforzano la percezione di
una connessione causale. Per esempio, tutto ciò che ac-
cade a Giacobbe deriva dal momento fatale in cui egli
compra la primogenitura da Esaù per un piatto di lentic-
chie. Questo fatto del resto era stato prefigurato dalla lotta
intrauterina fra i gemelli ed è seguito, sia sul piano causale
che su quello analogico, da tutta una catena di eventi: il
furto della benedizione, la fuga di Giacobbe, i suoi scontri
con le due sorelle rivali che sono le sue mogli, i litigi con lo
scaltro cognato, la sua lotta con l’angelo; dal suo errore
iniziale derivano persino i guai che avrà con i figli, i quali
lo inganneranno con un indumento, la tunica di Giuseppe,
proprio come lui, travestendosi da Esaù, aveva ingannato
suo padre con un vestito.
Un altro metodo spesso usato dai narratori è la ripeti-
zione, che si ha quando vengono proposte versioni diverse
del medesimo racconto. Così due volte YHWH conclude
un’alleanza con Abramo, Agar lascia due volte la casa di
Abramo, la nascita di Isacco è annunziata due volte; i pre-
parativi per l'incontro di Giacobbe con Esaù sono descritti
in due tempi; addirittura l’episodio della moglie fatta pas-
sare come sorella è ripetuto due volte in riferimento ad
Abramo e una a Isacco. In certi casi è ragionevole ipotizza-
re che lo scrittore abbia fatto ricorso a fonti diverse. Fino a
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tempi molto recenti l’interesse dei commentatori era ri-
volto specialmente alla ricerca di queste fonti, identificate
come tre grandi documenti o tradizioni (yahwista, elohi-
sta, sacerdotale). Attualmente si preferisce chiedersi per-
ché l’autore abbia fuso racconti diversi, qualunque sia la
fonte da cui sono ripresi.
Un altro procedimento letterario caro ai narratori bi-
blici è quello del discorso diretto e del dialogo. I rapporti
tra i personaggi e le vicende che li riguardano si snodano
proprio mediante le parole che essi dicono. L'intervento
del narratore apparentemente è ridotto al minimo, ma
non è così. È lui infatti che ha scelto sapientemente il mo-
mento in cui il personaggio rivela se stesso mediante un
discorso; a volte mette in scena personaggi che fingono di
dialogare senza veramente darsi una risposta; altre volte
riporta un dialogo che s’interrompe bruscamente, senza
riportare la replica dell'interlocutore. Infine capita che un
personaggio ripeta ad altri, quasi alla lettera, intere frasi o
persino intere serie di frasi che si era scambiato con un
suo precedente interlocutore.
A volte può capitare che espressioni o frasi intere, usa-
te in un primo momento dal narratore, non rivelino il loro
significato pieno finché non sono ripetute, o fedelmente o
con alterazioni, e sempre in discorso diretto, da uno o più
personaggi. A volte i personaggi fingono di dialogare sen-
za veramente darsi una risposta l’un all’altro.
4. STRUTTURA GENERALE
***
22
II
CICLO DI ABRAMO
(Gn 12,1–25,18)
Alza gli occhi e, dal luogo dove tu stai, spingi lo sguardo ver-
so il settentrione e il mezzogiorno, verso l’oriente e l’occi-
dente. Tutta la terra che tu vedi, io la darò a te e alla tua di-
scendenza per sempre. Renderò la tua discendenza come la
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polvere della terra: se uno può contare la polvere della terra,
potrà contare anche i tuoi discendenti. Alzati, percorri la ter-
ra in lungo e in largo, perché io la darò a te (vv. 14-17).
d. Liberazione di Lot e
benedizione di Melchisedek (Gn 14,1-20)
I guai di Lot cominciano subito dopo la sua separazio-
ne da Abramo. Egli viene coinvolto in un grosso evento di
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carattere geopolitico che riguarda cinque re di altrettante
città che si trovavano nella valle di Siddim, cioè del Mar
Morto: Bera re di Sodoma, Birsa re di Gomorra, Sinab re di
Adma, Semeber re di Seboim e Soar il re di Bela. Tutti co-
storo per dodici anni erano stati sottomessi a Chedorlao-
mer, re dell’Elam, ma il tredicesimo anno si ribellano. Allo-
ra Chedorlaomer e altri tre re dell’Oriente, cioè Amrafel re
di Sinar, Arioc re di Ellasar e Tidal re di Goim, muovono
guerra contro di loro (vv. 1-4).
Nell’anno seguente Chedorlaomer e i re che erano con
lui invadono la Palestina e sconfiggono diverse popolazio-
ni che vi abitano (vv. 5-7). Allora i re di Sodoma, di Go-
morra, di Adma, di Seboim e di Bela si schierano contro di
loro nella valle di Siddim. Questa era piena di pozzi di bi-
tume; messi in fuga, il re di Sodoma e il re di Gomorra vi
cadono dentro, mentre gli altri fuggono sulla montagna.
Gli invasori prendono tutti i beni di Sodoma e Gomorra
nonché tutti i loro viveri e se ne vanno. Fra gli altri cattu-
rano anche Lot e si impossessano dei suoi beni (vv. 8-12).
Ma un fuggiasco va ad avvertire Abramo l’ebreo, che si
trovava alle Querce di Mamre l’Amorreo, fratello di Escol e
fratello di Aner, suoi alleati. La qualifica di «ebreo» viene
data agli israeliti solo da stranieri e deriva dal termine
hapiru che, nei documenti egiziani e mesopotamici, indica
non una etnia ma gli appartenenti a uno stato sociale
normalmente povero o emarginato: senza dubbio Abramo
era così designato perché apparteneva ad esso e non per-
ché discendente di Eber (cfr 11,14-15). Quando Abramo
viene a sapere che Lot è stato fatto prigioniero, organizza i
suoi uomini esperti nelle armi, schiavi nati nella sua casa.
Egli li divide in squadre, insegue i rapitori, li sconfigge e li
insegue fino a Coba, a settentrione di Damasco. Recupera
così tutti i beni e anche Lot suo fratello, i suoi beni, con le
donne e il popolo (vv. 13-16).
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È impossibile scoprire l’origine di questo racconto e
l’identità dei suoi protagonisti: si può ritenere che in esso
sia contenuto qualche ricordo storico, ma gli anacronismi,
le contraddizioni e i dettagli inverosimili ne fanno un pez-
zo più di fantasia che di storia. Esso è l’unico nel quale
Abramo appare in vesti bellicose. Il numero dei suoi uo-
mini, trecento diciotto, è certamente simbolico, ma il suo
significato non è chiaro. I nemici contro cui combatte ven-
gono dalle regioni dell’Oriente, da dove sarebbero venuti
un giorno coloro che avrebbero deportato i suoi discen-
denti. Abramo è superiore a loro, nonostante l’esiguità
delle forze a sua disposizione. Egli però non combatte per
appropriarsi dei beni altrui, ma solo per liberare le vittime
della guerra. Il narratore si serve di questo racconto per
esaltare la figura di Abramo, presentando i suoi beni come
effetto della benedizione divina. Al tempo stesso però
mette in luce che, se i suoi discendenti dovranno affronta-
re delle guerre, queste dovranno avere solo uno scopo di-
fensivo.
Quando Abramo è di ritorno, il re di Sodoma, che qui
riappare illeso nonostante quello che gli era capitato (se-
gno del sovrapporsi di tradizioni diverse), gli esce incon-
tro nella valle di Save, cioè la valle del Re. Qui il racconto si
interrompe per lasciare il posto all’episodio di Melchise-
dek, re di Salem. Questo personaggio, anche lui venuto dal
nulla (cfr. Eb 7,3), offre pane e vino: egli era sacerdote del
Dio altissimo. Melchisedek poi benedice Abramo con que-
ste parole: «Sia benedetto Abram dal Dio altissimo, crea-
tore del cielo e della terra, e benedetto sia il Dio altissimo,
che ti ha messo in mano i tuoi nemici». Dopo di ciò Abra-
mo gli dà la decima di tutto (vv. 17-20). Si suppone quindi
che la spedizione gli avesse fruttato un ingente bottino.
Dopo l'inciso riguardante Melchisedek, il narratore ri-
prende il filo del racconto che era stato interrotto. Il re di
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Sodoma dice ad Abramo: «Dammi le persone; i beni pren-
dili per te» (v. 21). Abramo risponde:
1) La vocazione
La vocazione di Abramo segna l’inizio e lo svolgimento
di tutte le vicende riguardanti i patriarchi. Essa viene si-
tuata dopo la storia primordiale, dove si narra l’estendersi
in diverse tappe del peccato dell’umanità a cui si oppone
ogni volta la misericordia di Dio. Dopo l’episodio della tor-
re di Babele, presentato come l’ennesima ribellione
dell’umanità, la vocazione di Abramo e del popolo che da
lui nascerà viene vista come un argine che Dio oppone al
dilagare del peccato.
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zare. La consapevolezza di essere chiamati in Abramo per
compiere una missione era molto importante per i giudei
reduci da Babilonia: per loro la ricostituzione della nazio-
ne giudaica doveva essere in funzione di un progetto di
Dio che voleva realizzare la salvezza di tutta l’umanità.
Ogni volta che nella Bibbia si parla di vocazione, questa
deve essere intesa non come un privilegio ma come il con-
ferimento di una missione di carattere universale.
La chiamata di Abramo è accompagnata da tre grandi
promesse: essere il progenitore di un popolo, ricevere in
dotazione una terra in cui abitare e ottenere una benedi-
zione che in qualche modo riguarderà anche tutte le na-
zioni. Le difficoltà che si frappongono alla realizzazione di
queste promesse sono molte: l’età avanzata, la moglie ste-
rile, l’insicurezza dovuta a un distacco radicale dai suoi, il
fatto che la terra promessa è già abitata da altre popola-
zioni, ma soprattutto l'inadeguatezza del prescelto. Uma-
namente parlando il compito che Dio assegna ad Abramo è
irrealizzabile. Ma proprio questa constatazione deve far
comprendere che si tratta di un progetto che non viene
dagli uomini ma da Dio. Solo questa convinzione poteva
spingere gli esuli a reinsediarsi nella terra promessa, no-
nostante le difficoltà che si frapponevano alla ricostituzio-
ne della nazione giudaica.
2) La fede di Abramo
Al Dio che lo chiama Abramo non chiede ulteriori
spiegazioni ma si mette in cammino. Con questa obbe-
dienza silenziosa Abramo manifesta la sua fede. Egli appa-
re subito all'inizio come un migrante, immagine e modello
dei suoi lontani discendenti. È nel corso delle loro pere-
grinazioni che Abramo e i patriarchi scoprono sempre
meglio il progetto di Dio. Nonostante la sua prontezza nel
rispondere alla chiamata di Dio, la fede di Abramo è anco-
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ra vacillante. A volte egli fa delle scelte sbagliate: discende
in Egitto per un interesse materiale; cede la moglie sterile
al faraone in vista di vantaggi materiali. Dio non interviene
per riprendere Abramo. Il giudizio viene lasciato allo svol-
gersi degli eventi, dai quali egli dovrà capire, e il lettore
con lui, in che cosa ha sbagliato. Ma l’importante è la cer-
tezza che Dio non lo abbandona anche quando sbaglia.
La benedizione divina si manifesta prima di tutto me-
diante il benessere materiale. Per grazia di Dio, Abramo
diventa molto ricco. Egli è così potente da vincere i re
orientali, che hanno sequestrato Lot e un giorno porte-
ranno in esilio gli israeliti. Dio si serve addirittura di un
sacerdote straniero, Melchisedek, per benedirlo, affer-
mando così che gli uomini di buona volontà non possono
non riconoscere la missione che gli è affidata. È questa la
base su cui gli esuli tornati in patria dovranno regolare i
loro rapporti con la popolazione ivi residente. Il benessere
è un dono di Dio, ma non deve diventare il motivo di una
scelta religiosa. Abramo non se ne appropria in modo
egoistico, ma dimostra il suo disinteresse nella separazio-
ne da Lot, nel pagamento della decima a Melchisedek e nel
rifiutare qualsiasi vantaggio dalla vittoria sui re nemici. Il
rapporto con Dio all’interno di un’esperienza comunitaria
è un fattore di progresso anche materiale. Per i giudei ri-
tornati in Palestina era importante realizzare migliori
condizioni di vita, ma non doveva essere questo lo scopo
primario a cui tendere.
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2,21) accompagnato da terrore, segno dello smarrimento
provocato dalla presenza di Dio (vv. 1-12).
A questo punto il narratore interrompe il resoconto
della tradizione che sta riportando e introduce un brano in
cui YHWH spiega un dettaglio non ancora menzionato:
2) La circoncisione
In ambedue i racconti che la riguardano, l’alleanza è
strettamente connessa con un rito. La prima volta si tratta
di un rito di passaggio con il quale viene confermato
l’impegno di Dio nei confronti di Abramo. È Dio che si im-
pegna, l’uomo non deve far altro che lasciarsi coinvolgere.
La seconda volta l’alleanza comporta un segno che non
consiste semplicemente in un rito transitorio, ma in un
marchio impresso nella carne. La circoncisione è impor-
tante perché contraddistingue la persona e ne indica
l’identità. Essa è incancellabile, e di conseguenza non
permette che l’identità giudaica sia perduta o venga na-
scosta quando può essere causa di discriminazioni.
Questo rito ha avuto una forte sottolineatura al tempo
dell’esilio, quando è stato considerato, insieme con l’osser-
vanza del sabato e delle norme alimentari, come il segno
distintivo del popolo dell’alleanza. La sua pratica è diven-
tata sorgente di grandi sofferenze nei periodi di persecu-
zione, come è avvenuto al tempo dei Maccabei.
3) Il ruolo femminile
Abramo pensa di poter dare origine da solo a un gran-
de popolo e ritiene superflua la partecipazione della mo-
glie. Già all’inizio era stato disposto a sacrificare Sara alle
voglie del faraone. Poi pensa di poter avere una discen-
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denza tramite uno schiavo senza la partecipazione della
moglie. Essendosi chiusa questa strada, egli pensa che an-
che da una schiava gli sia possibile avere il figlio della
promessa. Per lui l’unica preoccupazione è quella di avere
un erede. Egli sbaglia perché cerca di attuare il progetto di
Dio con mezzi umani. Pensa che sia determinante la sua
iniziativa e si serve persino della debolezza altrui per rag-
giungere i suoi scopi. Come avveniva normalmente in una
società patriarcale, Sara è succube del marito e per farsi
valere non teme neppure di rinunziare provvisoriamente
al suo diritto di moglie. Abramo dal canto suo si dimostra
incapace di comprendere il dramma delle due donne.
La vicenda di Abramo e Agar mostra come, nonostante
tutto, fino all’ultimo il patriarca sia impreparato ad accet-
tare il ruolo di Sara nell’adempimento delle promesse. Ma
il fallimento della sua iniziativa dimostra che i modi e i
tempi dell’uomo non sempre sono quelli di Dio. Sarà pro-
prio lei, Sara, sebbene novantenne, ad avere un figlio. La
promessa riguarda dunque fin dall’inizio non solo Abramo
ma anche Sara: una famiglia infatti sta in piedi soltanto se
marito e moglie aderiscono insieme a un progetto più
grande, che ha come scopo il bene non solo loro e della
loro famiglia ma di tutta l’umanità. In una cultura patriar-
cale come quella di Abramo, ma non solo in essa, il ricono-
scimento che il ruolo della donna non è solo la procrea-
zione ma un impegno nella società e nel mondo è vera-
mente rivoluzionario.
54
1) Intercessione di Abramo (18,16-33)
Gli uomini che erano andati da Abramo si alzano e
vanno a contemplare Sodoma dall’alto e Abramo li accom-
pagna per congedarli. YHWH allora gli dice:
59
bandona la moglie nelle mani di un principe locale, che
questa volta è Abimelec, re di Gerar (cfr. Gn 12,10-20).
Questo racconto è qui chiaramente fuori posto perché
spezza la trama della narrazione e riguarda una donna,
Sara, che ormai è molto vecchia. Il nuovo racconto però
presenta numerose novità rispetto al precedente: ciò
spiega come mai il narratore non abbia voluto tralasciarlo.
So bene che hai agito così con cuore retto e ti ho anche im-
pedito di peccare contro di me: perciò non ho permesso che
tu la toccassi. Ora restituisci la donna di quest’uomo, perché
è un profeta: pregherà per te e tu vivrai. Ma se tu non la re-
stituisci, sappi che meriterai la morte con tutti i tuoi (vv. 6-
7).
60
grande? Tu hai fatto a mio riguardo azioni che non si fan-
no». Abramo risponde:
62
fronti di quella popolazione ma di tutte quelle che viveva-
no in quell’area geografica. Non bisogna dimenticare che
in esse erano comuni i culti basati sulla sessualità, con la
pratica della prostituzione sacra, che era vista dagli israe-
liti come qualcosa di abominevole. Questo giudizio viene
però corretto dall’esempio di Abimelec il quale, contra-
riamente a quanto Abramo stesso pensava, ha un forte
senso morale che lo spinge a rispettare la donna d’altri e a
considerare l’adulterio come un peccato esecrabile. Egli
ricava il proprio orientamento morale dalla sua coscienza.
In ciò egli rappresenta un monito nei confronti di Abramo,
che non teme di cedere la propria moglie a un estraneo.
Anche i giudei dovranno saper capire che non tutti coloro
che non appartengono al loro popolo sono corrotti e vio-
lenti.
Infine bisogna sottolineare come la storia di Lot sfoci
nella nascita di due popoli, gli ammoniti e i moabiti. An-
ch'essi, nonostante i rapporti difficili che hanno avuto con
gli israeliti, sono loro parenti e come tali devono essere
considerati.
69
dicherò» (vv. 1-2). L’olocausto era il sacrificio per eccel-
lenza, nel quale tutta la carne della vittima veniva bruciata
sull’altare (cfr. Lv 1,1-9). Secondo la Bibbia, nella religione
cananea vigeva l’uso di sacrificare alla divinità i primoge-
niti (cfr. Lv 18,21; 20,2-5; 2Re 3,27; Mi 6,7; Ez 16,20-21).
Anche in Israele i primogeniti appartengono a Dio: essi
però non devono essere sacrificati, ma vengono riscattati
e al loro posto è offerto il sacrificio di una vittima (cfr. Es
13,1-2.11-16; 34,20). Il luogo del sacrificio di Isacco è
identificato con il monte Moria (22,2), dove un giorno sor-
gerà il tempio di Gerusalemme (cfr. 2Cr 3,1).
La richiesta fatta ad Abramo è chiaramente assurda:
dopo che la promessa di avere un figlio si era realizzata fra
tante difficoltà, non aveva senso chiederne l'uccisione. Il
narratore lo sottolinea osservando che si tratta del suo
figlio unigenito e quindi molto amato: Ismaele ormai non è
più in questione. Perciò si dà premura di avvertire il letto-
re che si tratta di una prova. Nell’AT a volte è Dio che met-
te alla prova tutto il popolo (cfr. Es 15,27; 20,20; Dt 8,2.16;
13,4); altre volte è il serpente (Gn 3) oppure satana che,
con il permesso di Dio, tenta un singolo individuo (cfr.
2Sam 24,1; 1Cr 21,1; Gb 1). Nel NT Gesù è condotto nel
deserto dallo Spirito per essere tentato da satana (cfr. Mt
4,1 e par.) e il discepolo deve chiedere a Dio di non essere
indotto in tentazione (cfr. Mt 6,13).
Giuro per me stesso: perché tu hai fatto questo e non hai ri-
sparmiato tuo figlio, il tuo unigenito, io ti colmerò di benedi-
zioni e renderò molto numerosa la tua discendenza, come le
stelle del cielo e come la sabbia che è sul lido del mare; la tua
discendenza si impadronirà delle città dei nemici. Si diranno
benedette nella tua discendenza tutte le nazioni della terra,
perché tu hai obbedito alla mia voce (vv. 15-18).
3) La terra promessa
L’accordo di Abramo con Abimelec mette in luce il
progressivo attuarsi, anche se in modo ancora simbolico,
della promessa secondo cui i discendenti di Abramo pos-
sederanno la terra di Canaan. Non si deve trattare di una
conquista violenta, come altre tradizioni affermeranno,
ma di una convivenza pacifica tra nuovi arrivati e la popo-
lazione residente: un modello per i giudei che ritorneran-
no dall’esilio.
L’acquisto della grotta di Macpela vuole significare
che, se non altro dopo la morte, i patriarchi hanno il privi-
legio di riposare in un lembo di terra che già appartiene a
loro. Anche la promessa della terra si sta già realizzando.
80
Questa terra non è però un assoluto da rivendicare ma il
segno di un dono che va al di là del fattore geografico. Essa
è il luogo in cui Israele potrà risiedere solo se sarà fedele
al suo Dio, come lo era stato il suo progenitore Abramo. E,
di riflesso, per chi osserva la legge di Dio ogni luogo geo-
grafico è la terra promessa.
* * *
La storia di Abramo mette in luce diversi temi che
erano importanti per i giudei ritornati dall’esilio. Essi sono
presentati in modo narrativo e di conseguenza si ripetono
e si intersecano l’uno con l’altro. Ciò che emerge in primo
piano è la concezione di un Dio che guida la storia umana
attraverso vie che spesso non sono a prima vista com-
prensibili neppure a coloro che ne sono coinvolti in prima
persona. Perciò quello che è importante è la fede, che con-
siste nel fidarsi di Colui che ha creato il mondo e lo assiste
con saggezza nel suo continuo evolversi.
La fede consiste nel credere in un progetto superiore
che va al di là di tutti gli interessi umani, spesso contin-
genti ed egoistici. Questo progetto riguarda non singole
persone o particolari gruppi umani, ma il bene di tutta
l’umanità. Il vero credente è colui che si mette a disposi-
zione per la realizzazione di questo progetto e impegna
per questo scopo tutte le sue risorse. Pur avendo colto e
accettato il progetto di Dio, l’uomo può capire in che modo
esso si realizzerà solo in una prospettiva a lunga scadenza.
Ciò comporta naturalmente dubbi e difficoltà che sono
comprensibili nella misura in cui uno non perde di vista la
meta a cui tendere.
L'esperienza di Abramo mette in luce l’identità del po-
polo che da lui ha avuto origine. Esso non ha il monopolio
della divinità ma è chiamato a esercitare un servizio a fa-
vore di tutto il consesso delle nazioni. In questo impegno
81
per un bene superiore è implicito un nuovo modo di con-
cepire le realtà della vita quotidiana: la sessualità, il rap-
porto di coppia, la dignità della donna e dei bambini. La
fede comporta anche il superamento delle barriere de-
terminate dalla razza e dalla religione. Da Abramo deriva-
no non solo Israele ma anche un grande numero di popoli.
Per tutti egli è destinato a essere una benedizione. Perciò
nei loro confronti non si deve avere un senso di superiori-
tà e tanto meno di disprezzo. La corruzione diffusa fra loro
non deve chiudere gli occhi nei confronti dei propri limiti
morali, segnalati dalle vicende stesse dei patriarchi. Inol-
tre è importante riconoscere che anche tra gli altri popoli
vi sono persone oneste, dalle quali c’è molto da imparare.
82
III
CICLO DI GIACOBBE
(Gn 25,19–36,43)
85
aveva cotto una minestra; Esaù, arrivando sfinito dalla
campagna, gli chiede di poterne mangiare. Il narratore os-
serva che Esaù dal colore rosso di questa minestra fu
chiamato anche Edom, nome che richiama anche il colore
dei suoi peli. Giacobbe ne approfitta e chiede in cambio di
quel cibo la sua primogenitura: questa non riguarda qui le
promesse fatte ad Abramo ma solo la leadership del clan.
Esaù brontola che la primogenitura non gli serve a nulla
dal momento che sta per morire di fame. E così gliela ven-
de con giuramento. Esaù mangia il pane e la minestra, poi
si alza e se ne va. Il narratore osserva che così facendo egli
ha disprezzato la primogenitura (vv. 29-34). Indiretta-
mente il narratore lascia intendere che l’errore commesso
da Esaù giustifica in qualche modo il comportamento, non
certo encomiabile, di Giacobbe.
86
di testa sua Abramo in un'analoga circostanza (cfr. 12,10).
Ma YHWH interviene e lo ferma con queste parole:
87
gioco di parole con il nome di Isacco) con Rebecca e capi-
sce che è sua moglie, lo chiama e gli dice: «Sicuramente
ella è tua moglie. Perché dunque hai detto: “È mia sorel-
la”?». Isacco risponde: «Perché mi son detto: "Che io non
abbia a morire per causa di lei!"». Abimelec allora lo rim-
provera dicendo: «Poco ci mancava che qualcuno del po-
polo si unisse a tua moglie e tu attirassi su di noi una col-
pa». Egli poi dà a tutto il popolo quest’ordine: «Chi tocca
quest’uomo o sua moglie sarà messo a morte!». Anche qui
si attribuisce ad Abimelec un forte senso morale; al tempo
stesso si esclude la possibilità stessa che qualcuno abbia
disonorato Rebecca.
93
ingenuo e disimpegnato nei confronti della famiglia al
punto di vendere su due piedi la primogenitura per un
piatto di lenticchie. Egli sposa due donne cananee, senza
rendersi conto dell’amarezza che suscita ai genitori, e
quando si accorge di essere stato ingannato armeggia per
togliere di mezzo il fratello. Giacobbe invece è un imbro-
glione, attaccato alle gonne della madre, desideroso di
prendere il posto del fratello, anche a costo di un inganno.
I rapporti tra questi personaggi degenerano al punto di far
prevedere un omicidio.
Questo racconto mette in luce i rapporti difficili e
complessi che a volte si creano nelle famiglie. Spesso pre-
valgono i limiti delle persone che danno origine a situa-
zioni difficilmente gestibili. Neppure gli uomini scelti da
Dio sono esenti da vicende drammatiche e dolorose.
2) Il piano di Dio
Ancora più problematico è il comportamento di YHWH.
Apparentemente egli non interviene in queste vicende fa-
migliari né con rimproveri né con esortazioni. Tuttavia
appare chiaro che, dietro le quinte, egli guida le vicende
umane verso il fine che lui ha prestabilito. La cosa più
strana è che Dio rifiuti il primogenito, il quale aveva più
titoli per essere l’erede delle promesse, e scelga quello che
umanamente è il meno raccomandabile. Il narratore in
questo modo vuol mostrare che le scelte di Dio non dipen-
dano dai meriti degli uomini. Infatti deve essere chiaro che
è Dio ad attuare il suo progetto, e il fatto che scelga perso-
ne inadatte dimostra ancora più chiaramente che è lui ad
avere l’iniziativa e non i protagonisti con le loro discutibili
decisioni. Ciò deve valere soprattutto per Israele, la cui
elezione non è dovuta ai suoi meriti ma alla libera volontà
divina (cfr. Dt 7,7-8). Da qui deriva la fiducia in una rina-
scita dopo l'esilio.
94
2. L’ESILIO IN ORIENTE (Gn 28,1–30,43)
95
confronti dei matrimoni misti, tipica del periodo postesili-
co, viene qui chiaramente affermata.
97
c. Il matrimonio di Giacobbe (Gn 29,1-30)
Dopo l’esperienza di Betel, Giacobbe si rimette in
cammino verso Oriente. Non si dice qual è la destinazione
precisa, ma il lettore sa che si tratta di Carran, il luogo da
cui proveniva Abramo. Circa il suo viaggio il narratore non
ha nulla da raccontare mentre invece avrà molto da dire
circa il suo ritorno.
105
re, accanto alla propria moglie, anche delle concubine.
Queste usanze non devono essere considerate come una
degenerazione della famiglia o come un allontanamento
dal progetto iniziale di Dio, ma come la risposta ad esigen-
ze tipiche di una certa struttura sociale. Si tratta però di
una scelta discutibile, di cui i racconti patriarcali mettono
chiaramente in luce le debolezze e i limiti. D'altra parte
però nelle tradizioni patriarcali non si nascondono le diffi-
coltà anche delle coppie monogamiche. Certo dal punto di
vista sociologico la famiglia monogamica rappresenta uno
stadio più avanzato in quanto preserva meglio la dignità
della donna. Il successo di una famiglia non dipende per-
ciò dalla sua struttura, ma dai valori che uniscono i coniugi
nella ricerca di un bene che va al di là di essa.
3) Fecondità e sterilità
La possibilità di avere figli appare come la suprema
ambizione di una donna. Ciò è dovuto al fatto che una fa-
miglia numerosa era necessaria per fare fronte alla morta-
lità infantile in un contesto agricolo in cui la sopravviven-
za era condizionata dal numero delle braccia lavorative.
Nei racconti patriarcali la fecondità è vista come un dono
di Dio che viene elargito dopo periodi di sterilità. Attra-
verso questa esperienza dolorosa sono passate le mogli di
Giacobbe, come d’altronde Sara e Rebecca. Con questo
espediente letterario si vuole far comprendere che i figli
sono un dono di Dio per il bene di una comunità e di tutta
la società e non un mezzo per ottenere più benessere.
107
loro denaro. Allora Giacobbe carica i figli e le mogli sui
cammelli e prende tutti i beni che si era acquistato in Pad-
dan-Aram, per ritornare da Isacco, suo padre, nella terra
di Canaan. Rachele prende con sé gli idoli del padre. Elu-
dendo l’attenzione di Labano Giacobbe si dirige verso i
monti di Galaad.
109
que agire con prudenza: anzitutto sono menzionati i suoi
preparativi (32,1-22); viene poi riportato il racconto della
lotta con Dio (32,23-33) e infine è descritto l'incontro con
Esaù (33,1-20).
1) I preparativi (32,1-22)
Labano si alza di buon mattino, bacia le figlie e i nipoti
e li benedice. Poi parte e ritorna a casa. Anche Giacobbe
parte e lungo la via incontra dei misteriosi personaggi che
identifica come messaggeri di Dio. Perciò chiama quel luo-
go Macanaim che da lui viene spiegato come «Accampa-
menti di Dio»: mediante questa etimologia popolare il nar-
ratore vuole sottolineare la continua assistenza di Dio nei
confronti del suo eletto.
115
i suoi. Essi arrivano a Luz, cioè Betel, nella terra di Canaan.
Qui egli costruisce un altare al Dio che gli era apparso,
quando fuggiva da suo fratello. Allora muore Debora, la
nutrice di Rebecca, e viene sepolta ai piedi di una quercia
che per questo è stata chiamata Quercia del Pianto. Dio
appare un’altra volta a Giacobbe e lo benedice dicendo:
118
In realtà le cose vanno meglio del previsto ed Esaù ha ver-
so di lui un comportamento amichevole.
* * *
121
IV
STORIA DI GIUSEPPE
(Gn 37,1–50,26)
1) La famiglia di Giacobbe
La storia di Giacobbe è veramente sconcertante. Egli è
stato scelto a preferenza del fratello Esaù per essere il
progenitore del popolo promesso ad Abramo, che da lui
prende il nome di Israele. Egli però è un uomo debole, il
cui comportamento è molto problematico: all'inizio deno-
ta una forte dipendenza dalla madre, poi dimostra una
preferenza per una delle due mogli e infine ha un atteg-
giamento discriminatorio nei confronti dei figli.
La preferenza di Giacobbe per Giuseppe getta lo
scompiglio nella famiglia fino al punto di provocare un
tentato omicidio: in realtà è proprio lui la vera causa del
tentativo criminale dei figli. Presentandolo in questo mo-
do poco onorevole, il narratore vuol mostrare come, al di
là di qualsiasi dubbio, il popolo eletto non abbia avuto ori-
gine da uomini particolarmente virtuosi ma da una deci-
sione libera di Dio e quindi al di fuori di qualsiasi merito
da parte loro. Ciò era importante per gli esuli, che attri-
buivano le loro sventure ai peccati commessi da loro e dai
loro padri. Se da una parte Abramo è il modello di quella
fede che li avrebbe riportati nella terra promessa, i limiti
di Giacobbe li aiutano a non perdersi d’animo per le pro-
prie colpe. Nella sua misericordia Dio li ha accolti e ha
cancellato le loro colpe.
130
2) Il progenitore dei giudei
La vicenda di Giuda è ugualmente fallimentare. Egli
sposa una donna che non appartiene al suo popolo. Anche
al suo primogenito, che sarebbe stato il capo del clan, egli
sceglie una moglie straniera. Il suo secondo figlio non vuo-
le dare una discendenza al fratello defunto, dimostrando
così un eccesso di egoismo e, probabilmente il desiderio di
diventare lui il capo del clan. Giuda stesso è pronto a sacri-
ficare il diritto del primogenito di avere un discendente. In
questa storia appare chiaramente il ruolo della legge del
levirato, la cui applicazione era determinante per stabilire
gli equilibri all’interno della famiglia. L’unica che si salva è
Tamar, una straniera, che dimostra di essere fedele al ma-
rito defunto più di quanto lo fosse Giuda nei confronti del
suo primogenito. Ella però, per raggiungere il suo scopo, è
costretta a far ricorso a un incesto. Non è questo un titolo
d’onore per la tribù di Giuda e per il re Davide, discenden-
te di Peres (cfr. Rt 4,18-22), da cui dovrà nascere il Messia.
131
2. GIUSEPPE E I SUOI FRATELLI (Gn 39,1–50,21)
136
cinque rappresentanti dei suoi fratelli al faraone, il quale
permette al clan di Giacobbe di rimanere nella terra di Go-
sen (Gn 47,1-12).
137
alla sua destra ed Efraim, il minore, alla sinistra: al primo
spetta, infatti, la benedizione più efficace, quella data, cioè,
con la mano destra.
Ma Giacobbe, incrociando le braccia, pone la mano de-
stra sul capo di Efraim e la sinistra su quello di Manasse, e
così pronunzia la benedizione. Resosi conto dello scambio
di persone, Giuseppe cerca di far cambiare la posizione
delle mani, ma Giacobbe gli spiega che dal figlio minore
nascerà una discendenza più grande che dal maggiore. E
soggiunge: «Di voi si servirà Israele per benedire, dicendo:
Dio ti renda come Efraim e come Manasse!» (cfr. la bene-
dizione di Abramo in Gn 12,3b) (48,8-20). Poi dice a Giu-
seppe che Dio sarà con tutti loro e li farà tornare al paese
dei loro padri. Infine gli lascia in eredità un «dorso (šekem,
spalla) di monte», che aveva tolto agli amorrei (48,21-22;
cfr. Gn 33,18): con queste parole egli allude a Sichem, che
sarà il centro più importante delle tribù di Efraim e di Ma-
nasse (cfr. Gs 24,32). È questo un secondo aggancio della
storia di Giuseppe a quella dei patriarchi.
140
una saggezza profondamente umana, che non ha bisogno
di rivelazioni o di ordini divini.
Giuseppe continua poi ad abitare in Egitto con la fami-
glia di suo padre: egli vive fino all’età di centodieci anni.
Così vede i figli di Efraim fino alla terza generazione e an-
che i figli di Machir, figlio di Manasse, nascono sulle sue
ginocchia (vv. 22-23). Infine anche per Giuseppe giunge il
momento di lasciare questo mondo. Egli allora dice ai suoi
fratelli: «Io sto per morire, ma Dio verrà certo a visitarvi e
vi farà uscire da questo paese verso il paese che ha giurato
di dare ad Abramo, a Isacco e a Giacobbe» (v. 24). Con
queste parole, la vicenda di Giuseppe è ricollegata nuova-
mente alla storia dei patriarchi: Dio non è intervenuto
semplicemente per salvare una popolazione dalla rovina
ma per attuare le promesse fatte ad Abramo.
Ciò comporta però che i figli di Israele soggiornino per
un certo periodo in Egitto, dopo il quale la terra di Canaan
sarà effettivamente concessa ai loro discendenti (cfr. Gn
15,13-16). Inoltre Giuseppe fa giurare ai suoi fratelli che,
quando Dio li farà uscire dall’Egitto, porteranno con sé le
sue ossa. Poi anche Giuseppe muore all’età di centodieci
anni, viene imbalsamato e sepolto in Egitto (vv. 25-26).
Queste aggiunte danno alla storia di Giuseppe un’in-
terpretazione più profonda che si sovrappone all’origina-
ria riflessione sapienziale: attraverso di lui, Dio non si è
limitato a salvare dalla carestia un piccolo gruppo di pa-
stori seminomadi, ma ha preservato dalla rovina tutto il
popolo che in Abramo aveva scelto come strumento di una
salvezza universale. È precisamente questa la meta verso
cui si proietta la benedizione di Giuda (49,8-12). La fami-
glia di Giacobbe si trova ora in Egitto. Sarà questo il luogo
in cui si moltiplicherà prodigiosamente, fino a diventare
un grande popolo. Viene così preparato il terreno per il
dramma dell’oppressione, da cui prenderà l’avvio una
141
grande liberazione che farà dei figli di Israele il popolo
dell’alleanza.
1) La religione di Giuseppe
Nella storia di Giuseppe, Dio non entra mai diretta-
mente in scena. Tuttavia è lui che guida le vicende di que-
sto mondo e manifesta i suoi progetti mediante sogni che
possono essere interpretati solo da chi egli vuole. Dio ap-
pare così come una potenza benefica che conduce a buon
fine i destini di tutta l’umanità, senza alcuna preclusione.
Giuseppe è un uomo religioso. Egli stesso afferma di «te-
mere Dio» (Gn 42,18). La sua fede però non gli impedisce
di inserirsi in una corte straniera, sposare una donna del
luogo, adattandosi anche a costumi paganeggianti come
quello di usare una coppa per la divinazione (cfr. Gn 44,5):
ben diverso sarà l’atteggiamento di Daniele alla corte ba-
bilonese (cfr. Dn 1,1-21).
Egli si trova a un crocevia fra religioni e culture diver-
se, tra le quali si muove con grande rispetto e adattamen-
to, senza con ciò abbandonare la sua fede nel Dio dei suoi
padri. Sa scoprire l'azione di Dio nelle circostanze con-
traddittorie della vita e sa saggiamente adeguarsi agli
eventi in cui è coinvolto. Il suo modo di intendere il rap-
porto con Dio può fornire un ottimo punto di partenza per
il dialogo interreligioso.
142
2) Un modello di saggezza
Nella storia di Giuseppe sono chiaramente riflesse le
caratteristiche tipiche della ricerca sapienziale. Egli è pre-
sentato come il modello del giovane saggio, esperto delle
cose di questo mondo. In lui si trovano in massimo grado
le virtù più apprezzate dai saggi: l’arte della parola, la di-
sciplina e la padronanza di sé. Esemplare, a questo propo-
sito, è il suo atteggiamento verso la donna tentatrice. Il
narratore afferma che YHWH era con Giuseppe e faceva riu-
scire tutto ciò che egli faceva: in tal modo egli sottolinea
come solo il senso religioso della vita comporti un vero
progresso per tutti.
La saggezza di Giuseppe appare soprattutto nel modo
di comportarsi con i fratelli: egli non porta verso di loro
nessun rancore, ma prima di perdonarli mette saggiamen-
te alla prova le loro disposizioni d’animo. Il suo compor-
tamento può essere preso come esempio quando si tratta
di comporre liti, recuperare chi compie azioni devianti o
riconciliare parti sociali in contrasto tra loro.
143
In questo contesto la politica agraria di Giuseppe viene
presentata in chiave positiva, come il tentativo di assicu-
rare a tutti l'esercizio di un diritto fondamentale, quello
dell'accesso al cibo necessario per la sussistenza propria e
della propria famiglia. Naturalmente il narratore non con-
sidera il risvolto negativo della sua politica, in forza della
quale un'intera popolazione viene privata della proprietà
delle sue terre e sottoposta all'arbitrio dello stato.
***
144
La storia di Giuseppe, nella sua duplice valenza di rac-
conto sapienziale e di anello della storia della salvezza,
svolge un ruolo molto importante nella Bibbia in quanto
segna il punto di incontro tra la corrente sapienziale e
quella profetica. Nella persona di Giuseppe si compie un
forte processo interculturale e interreligioso, in forza del
quale la fede israelitica, pur mantenendo integra la sua
identità, si fonda armonicamente con la cultura egiziana.
Con il suo esempio egli mostra che i valori del Dio biblico
si possono trovare anche in una religione diversa. Il carat-
tere esclusivista che la religione giudaico-cristiana ha as-
sunto in diversi momenti della sua storia è nettamente
superato. La capacità di perdonare che Giuseppe ha dimo-
strato nei confronti dei suoi fratelli indica ancor oggi la
strada per sanare le ferite provenienti da sopraffazioni e
violenze e per impedire che i conflitti sociali provochino
odi e rancori insuperabili.
145
V
I PATRIARCHI NELLE RELIGIONI
ABRAMITICHE
1. L'EBRAISMO
147
(Gdt 8,26). Nel Deuteroisaia Abramo riceve l'appellativo di
«amico di Dio» (Is 41,8; cfr. Dn 3,35; Gc 2,21-23). Di lui si
dice: «Guardate ad Abramo, vostro padre, a Sara che vi ha
partorito; poiché io chiamai lui solo, lo benedissi e lo mol-
tiplicai» (Is 51,2). In Michea si legge questa preghiera:
«Conserverai a Giacobbe la tua fedeltà, ad Abramo il tuo
amore, come hai giurato ai nostri padri fin dai tempi anti-
chi» (Mi 7,20). Secondo Malachia Dio, riferendosi ai fatti
narrati nella Genesi, dice: «Vi ho amati. E voi dite: “Come ci
hai amati?”. Non era forse Esaù fratello di Giacobbe? Ep-
pure ho amato Giacobbe e ho odiato Esaù» (Ml 1,2-3). In
Ger 9,3 si accenna al carattere di ingannatore attribuito a
Giacobbe, mentre in Os 12,13 si ricordano le sue peripezie
nella regione di Aram. Davide ricorda che tutto proviene
dalla mano del Signore «perché davanti a te noi siamo fo-
restieri residenti (gerîm wetôshebîm) come tutti i nostri
padri» (1Cr 29,15). La stessa espressione viene applicata a
se stesso dal salmista (Sal 39,13). Nel libro di Daniele Aza-
ria invoca la misericordia di Dio appellandosi al suo amore
per Abramo, Isacco e Israele, ai quali ha promesso di mol-
tiplicare la loro stirpe come le stelle del cielo e la sabbia
del mare (Dn 3,35-36).
I patriarchi sono dunque ricordati per il loro rapporto
speciale con Dio, in forza del quale i loro discendenti sono
stati scelti come popolo eletto. Perciò solo imitando il loro
esempio gli israeliti potranno ottenere il favore divino e
risiedere stabilmente, anche se come forestieri, nella terra
che era stata loro promessa.
c. Il sacrificio di Isacco
Un altro tema ampiamente sfruttato nel giudaismo è
quello della prova che Abramo ha dovuto superare quan-
do gli è stato chiesto di sacrificare Isacco (Gn 22,1-19). Nel
libro dei Giubilei si evita la difficoltà suscitata dal fatto che
Dio «tenta» Abramo raccontando che il principe dei de-
moni chiamato Mastema scommette con Dio che il patriar-
ca è più attaccato al proprio figlio che a lui. Dio accetta la
sfida e così inizia la prova di Abramo (Giub 17; cfr. Gn
22,2). Chiaramente il libro dei Giubilei si è ispirato all'ini-
zio del libro di Giobbe (Gb 1,9-12). Sulla stessa linea i mi-
drashîm attribuiscono la tentazione a Mastema, il principe
dei demoni, o a satana o ad angeli invidiosi del patriarca
che ne mettono in dubbio la fedeltà e la dedizione al vero
Dio. Durante la prova, satana interviene a più riprese per
far fallire il patriarca. Sotto le spoglie di un vegliardo si
avvicina ad Abramo, interpella padre e figlio, giunge sino a
rivelare a Sara che Abramo va a sacrificare il loro unico
figlio. Tutti i suoi sforzi però sono vani.
151
La tradizione ebraica innova anche su un altro punto
essenziale. Mentre nel testo biblico il padre e il figlio anco-
ra bambino rimangono completamente in silenzio (cfr. Gn
22,9-10), secondo il Targum, Isacco era già adulto al mo-
mento del sacrificio. Abramo, ricevuto il comando divino,
avverte il figlio che prontamente accetta di essere sacrifi-
cato per poter ottenere al popolo di Israele la benedizione
promessa da Dio. Anzi, Isacco stesso chiede di essere sal-
damente legato per essere immolato al primo colpo: da
qui deriva l'appellativo di >Aqedah (legamento) dato a
questo evento. Infatti, se il padre lo avesse soltanto ferito,
Isacco sarebbe divenuto inadatto per un sacrificio rituale,
poiché la vittima dev'essere senza difetti, e una ferita era
considerata come un difetto (cfr. Lv 1,3; 3,1.6; 22,21-22).
Quando poi si trova con la faccia rivolta al cielo, ha una
visione di angeli e ode una voce che dice: «Ecco i miei due
unici: uno sacrifica e l’altro è sacrificato. Colui che sacrifica
non esita e colui che è sacrificato tende la gola» (cfr. Tg Gn
22,10). Il termine «figlio unico» (yahîd), che in Gn 22,2 si
riferisce a Isacco, è tradotto in greco agapêtos, amato. Se-
condo 1Mac 2,52 la fede che giustificò Abramo non è la
fiducia nella promessa divina ma l’obbedienza al comando
divino che gli imponeva di sacrificare il figlio Isacco.
L'obbedienza di Abramo trova dunque il suo equiva-
lente nella disponibilità e nella sottomissione del figlio.
Questi poi rappresenta Israele che è chiamato ad offrirsi a
Dio nell’obbedienza alla sua volontà. L’atto meritorio di
ambedue è una garanzia di fedeltà per tutte le generazioni
future del popolo d'Israele.
2. LA LETTERATURA CRISTIANA
a. I vangeli sinottici
Nel più antico dei vangeli sinottici, quello di Marco, il
nome dei patriarchi appare solo una volta nell’espressione
«Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe» (Mc 12,26). Ciò
non significa però che i racconti patriarcali siano scono-
sciuti. Marco infatti riporta tre volte un’allusione a Isacco.
La prima è contenuta nella scena del battesimo di Gesù
156
dove la voce dal cielo dà a Gesù l’appellativo di figlio
«amato» (agapêtos) (cfr. Mc 1,11 e par.). Questo aggettivo,
come si è visto, è la traduzione greca del termine «unico»
(yahîd), che viene attribuito a Isacco in Gn 22,2 e nella
tradizione giudaica. Lo stesso aggettivo viene ripreso nella
scena della trasfigurazione (Mc 9,7; Mt 17,5) e in quella
dei vignaioli omicidi (cfr. Mc 12,6; Lc 20,13).
Nei testi comuni a Matteo e Luca si deve notare la sua
presenza nella genealogia di Gesù, che in Matteo inizia
precisamente con Abramo (Mt 1,1-2), mentre in Luca risa-
le ad Adamo (Lc 3,34). Inoltre in ambedue viene riportata
la predicazione di Giovanni il Battista, il quale rimprovera
i giudei dicendo: «Fate opere di conversione e non comin-
ciate a dire in voi stessi: Abbiamo Abramo per padre! Per-
ché io vi dico che Dio può far nascere figli a Abramo da
queste pietre» (Mt 3,8-9; Lc 3,8). L’appartenenza alla stir-
pe di Abramo non può da sé garantire la salvezza.
Secondo Matteo e Luca Gesù, lodando la fede del cen-
turione, aggiunge un commento in cui estende la salvezza
ai non israeliti: «Molti verranno da oriente e da occidente
e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel
regno dei cieli, ma i figli del regno saranno gettati fuori...»
(Mt 8,11; cfr. Lc 13,28).
Fra i testi propri al solo Luca, i due cantici che aprono
il vangelo presentano l'azione misericordiosa che Dio sta
compiendo come l'adempimento delle promesse fatte ad
Abramo. Maria afferma: «Ha soccorso Israele suo servo
ricordandosi della sua misericordia, come aveva promesso
ai nostri padri, ad Abramo e alla sua discendenza» (Lc
1,55). Anche Zaccaria esalta il compimento della promessa
giurata al patriarca: «Si è ricordato della sua santa allean-
za, del giuramento fatto ad Abramo nostro padre» (1,72).
Anche a lui, come ad Abramo, Dio ha promesso un figlio
(1,13) e, come avvenne per Isacco (cfr. Gn 17,19), anche in
157
questo caso Dio stabilisce in anticipo il nome del bambino:
«Lo chiamerai Giovanni», cioè YHWH fa grazia.
Sempre in Luca, nella parabola del ricco epulone (Lc
16,22-30), Lazzaro alla sua morte è accolto nel «seno di
Abramo» mentre il ricco precipita nell’inferno: due luoghi
tra i quali, secondo quanto Abramo stesso dichiara, è im-
possibile comunicare. Inoltre solo «ascoltando Mosè e i
profeti», cioè la Scrittura, si apre l'ingresso nella benedi-
zione promessa ad Abramo. A Zaccheo infine è assicurata
la salvezza in quanto, convertendosi, ha dimostrato di es-
sere vero figlio di Abramo (Lc 19,9). Il nome di Abramo
ritorna nel discorso che, secondo gli Atti degli apostoli,
Pietro fa agli abitanti di Gerusalemme dopo la guarigione
dello storpio: egli si rivolge a loro con l'appellativo di «figli
dell'alleanza» e annuncia che lo stesso Dio che ha concluso
il patto con Abramo ha ora «risuscitato» il suo servo Gesù,
che è venuto a «benedire» la «discendenza», secondo le
promesse fatte al patriarca (At 3,25-26).
In questi testi Abramo appare principalmente come il
progenitore del popolo giudaico, che da lui ha ereditato le
promesse che si sono attuate in Cristo.
b. L’epistolario paolino
Paolo vede nelle promesse fatte ad Abramo il prean-
nunzio della nuova economia instaurata da Cristo. Nella
lettera ai Galati, Paolo afferma che la giustificazione di
Abramo avvenne, come si legge in Gn 15,6, per mezzo del-
la fede, in forza della quale egli è modello di tutti coloro
che verranno giustificati. Sono genuini «figli di Abramo»
quanti sono guidati dalla fede. In questo senso Abramo è
stato fatto «padre di molti popoli»: ogni distinzione tra
giudei e gentili è esclusa. Paolo inoltre afferma che il ter-
mine «discendenza» (sperma), che è un singolare colletti-
vo, fa riferimento ad una sola persona, Cristo. Solo cre-
158
dendo in questa «discendenza» si entra in possesso della
benedizione annunciata al capostipite (GaI 3,6-29). Coloro
che si ostinano a cercare salvezza nella legge riflettono la
condizione di Ismaele, figlio della schiava; i credenti in
Cristo si richiamano al figlio della moglie libera, il figlio
della grazia (Gal 4,22-31).
d. La letteratura giovannea
Nel vangelo di Giovanni si trova un’unica allusione ad
Abramo. Gesù invita i presenti a diventare suoi discepoli
perché così conosceranno la verità e la verità li farà liberi.
A queste parole i giudei rispondono: «Noi siamo discen-
denti di Abramo e non siamo mai stati schiavi di nessuno»
(Gv 8,33). Essi concepiscono questa prerogativa non come
un dono, ma come un possesso sicuro di cui gloriarsi e con
cui difendersi davanti alla novità proposta da Gesù. Questi
li contesta perché pretendono di essere figli di Abramo ma
«non fanno le opere di Abramo» (8,38-39). Alla libertà che
essi pretendono di avere in quanto figli del patriarca, Gesù
contrappone una libertà ottenuta mediante la verità, cioè
mediante la rivelazione personale di Dio nel Figlio suo.
Allora i giudei gli chiedono: «Sei tu più grande del no-
stro patriarca Abramo?» (8,53). Questa domanda offre a
Gesù l'occasione per fare del patriarca il più grande elogio:
«Abramo vostro padre esultò nella speranza di vedere il
mio giorno, lo vide e si rallegrò» (Gv 8,56). Non sappiamo
a che cosa si riferisca Gesù, ma le sue parole vogliono
161
semplicemente dire che lui è il vero discendente di Abra-
mo nel quale si attuano le promesse fatte al patriarca.
Nella figura di Abramo i primi cristiani hanno dunque
visto non tanto l'esempio dell’uomo che ha obbedito alla
volontà di Dio quanto piuttosto il modello della fede nelle
promesse di Dio. In forza di questa fede egli è diventato il
padre dei credenti in Cristo, non solo di coloro che prove-
nivano dal giudaismo ma anche di tutti i gentili. Proprio in
forza di questa fede chiunque può ottenere la giustifica-
zione ed entrare così nel popolo di Dio adunato da Gesù.
3. IL CORANO
c. Il pellegrinaggio islamico
Il Corano afferma che la ka'ba, il tempio della Mecca, è
stata ricostruita da Abramo che, insieme a Ismaele, la tolse
al culto politeista ripristinando il culto monoteista (2,125-
129). In tal modo, la figura di Abramo si trova intimamen-
te legata ai riti islamici del pellegrinaggio canonico o hajj,
che è uno dei «cinque pilastri dell'Islam» e rappresenta un
obbligo individuale del musulmano. Nella storia sacra
scandita dal clemente invio dei profeti alle varie comunità,
ogni ciclo profetico riecheggia il ciclo islamico, cioè le vi-
cende di Muhammad e dei primi musulmani. Ed è soprat-
tutto a proposito del pellegrinaggio che Abramo appare
come una retroproiezione di Muhammad in quanto ha
compiuto nel passato ciò che Muhammad eseguirà nuo-
vamente nell'ultima fase della storia sacra. Abramo aveva
pregato Dio di inviare alla Mecca un profeta arabo: «Si-
gnore nostro, fa' che vi sia tra loro un inviato, uno di loro
(... )» (2,129). E la nascita di Muhammad fu la risposta alla
sua preghiera.
Secondo la dottrina islamica, il sacrificio dei montoni,
previsto per il decimo giorno del mese del Pellegrinaggio,
quello che i musulmani in tutto il mondo compiono con-
temporaneamente ai pellegrini, evoca l'immolazione del-
l'animale che la provvidenza sostituì al figlio di Abramo.
Anche il rito della lapidazione del demonio, che lo prece-
de, corrisponde al rifiuto che il profeta ha opposto alla
tentazione di satana che gli suggeriva di rinunciare all'atto
167
sacrificale. Altri riti del cosiddetto «pellegrinaggio mino-
re», da compiersi al di fuori del mese canonico, corrispon-
dono ad alcuni racconti, non coranici ma assai popolari,
sull'arrivo di Ismaele e di Agar alla Mecca e alla loro prov-
videnziale salvezza grazie allo sgorgare di una fonte.
L'importanza di Abramo nel sistema dottrinale dell'I-
slam non va sottovalutata. Di lui si mette in luce soprattut-
to la qualità di profeta che preannunzia la venuta di Mao-
metto, che rivive nella sua vita varie situazioni tipiche del
patriarca. Come tutti i profeti Abramo non appartiene né
all’ebraismo né al cristianesimo, ma è già un musulmano.
***
I racconti che hanno come protagonisti Abramo e gli
altri patriarchi hanno svolto un ruolo determinante nelle
tre religioni «abramitiche». Ciascuna di esse ha sottolinea-
to un aspetto diverso della loro esperienza religiosa. Gli
ebrei hanno messo in luce maggiormente la loro obbe-
dienza a Dio nell'osservanza della legge, i cristiani hanno
dato più importanza al loro cammino di fede, i musulmani
hanno visto in loro dei profeti che hanno prefigurato e in-
carnato i tratti caratteristici dell'Islam.
Al di là di queste diversità, però, i patriarchi restano
portatori di valori condivisi dai credenti della maggior
parte dell'umanità. Soprattutto il loro modo di rapportarsi
a Dio indica la strada maestra per superare quell'esclusi-
vismo di cui tante volte si sono macchiate proprio le reli-
gioni che a essi si rifanno.
È dunque importante che a queste figure di antichi
uomini di Dio si faccia riferimento nel dialogo fra le tre
religioni abramitiche per favorire quella pace tra le reli-
gioni da cui dipende in gran parte la pace nel mondo.
168
VI
CONCLUSIONE
172
Bibliografia
173
Tottoli R., I profeti biblici nella tradizione islamica (Studi
Biblici 121), Paideia, Brescia 1999.
Vogels W., Abraham. L'inizio della fede. Genesi 12,1–25,11,
San Paolo, Cinisello Balsamo 1999.
Von Rad G., Genesi (Antico Testamento 2-4), Paideia, Bre-
scia 21978.
Westermann C., Genesi, Piemme, Casale Monferrato 1989.
Zappella L., Manuale di analisi narrativa biblica, Claudiana,
Torino 2014.
Zilio Grandi I., Abramo nel Corano e nella tradizione islami-
ca, in Egitto Copto (22/12/2010).
174
CRONOLOGIA BIBLICA
175
722 Caduta di Samaria sotto gli assiri. Deportazione
622 Ritrovamento del «Libro della legge» (Deuterono-
mio) da parte del re Giosia (?)
597 Caduta di Gerusalemme e prima deportazione
587 Caduta e distruzione di Gerusalemme e del tempio
– Seconda deportazione. Esilio
538-333 Impero persiano
538 Editto di Ciro - Ritorno dei giudei in Palestina
515 Ricostruzione del tempio di Gerusalemme
458 Missione di Esdra (se Esd 7,7 si riferisce al 7° anno
di Artaserse I)
445 Prima missione di Neemia
423 Seconda missione di Neemia
428 Missione di Esdra
(se in Esd 7,7 si legge anno 37° invece di 7°)
398 Missione di Esdra
(se Esd 7,7 si parla di Artaserse II)
333 Alessandro Magno conquista la Palestina
Inizio dell'epoca ellenistica
323 La Palestina sotto il dominio dei Lagidi (Egitto)
200 La Palestina sotto il dominio dei Seleucidi (Siria)
167-164 Persecuzione di Antioco IV e rivolta dei Maccabei
63 La Palestina sotto il dominio romano
37-4 Regno di Erode il Grande
176
177
178
179
180
Indice dei temi principali
acqua, 11, 28, 43, 67-68, 75, esuli, 13, 15, 27, 37-38, 40,
88, 89 119, 121, 129-130, 171-172
alleanza, 14-15, 18, 27, 39, 40- famiglia, 8-9, 10, 20, 25-26, 31,
42, 45-51, 64, 68-69, 89, 45, 52, 55, 59, 63-64, 80, 83-
109, 142, 146-147, 157-159, 84, 90, 93-94, 100, 103,
164, 170-171 105-107, 110, 112, 118,
amore, 22, 93, 99, 131, 148 120, 122, 124, 127, 129-
benedizione, 17-18, 25-26, 28, 131, 135, 141, 144, 147,
32, 34-35, 36-38, 47, 76, 81, 149-150, 164
84, 88, 90-93, 95, 112, 123, fecondità, 76, 106, 133
137-139, 141, 152, 156, fede, 7, 8, 22-25, 28, 30, 36-38,
158-159, 161, 169, 172 42, 45, 47-50, 64-65, 72, 78-
benessere, 11, 32, 38, 91, 104, 79, 81, 87, 109, 112, 120,
106, 118-119, 133 130, 142, 145, 146, 150,
carestia, 9, 15, 28, 86, 133-134, 152, 156-162, 169, 172, 174
137, 141, 143 figli, 9, 14-15, 18, 24, 39, 43,
castigo, 56, 58, 65, 150 55, 58, 60-61, 64, 66-67, 73,
circoncisione, 15, 39, 45, 48- 75, 77-78, 84, 89, 91-92, 95,
49, 51 99, 100, 102-103, 106-107,
coppia, 80-81 111, 113-115, 117-118,
discendenza, 12, 24, 27, 30-31, 123-124, 126-128, 130,
39, 41-43, 45-47, 51, 58, 65, 133-138, 140-142, 144, 152,
67, 71, 72, 75, 79, 87, 89, 154, 157-159, 161, 169, 171
95-96, 129, 131, 138, 156- fratello/i, 9, 17, 31, 33, 44, 56,
158, 167, 171 60, 73, 76-78, 83, 85, 91-95,
donna, 8, 28, 44-45, 49, 52, 54, 97, 107, 109-110, 112-132,
59-60, 62, 75, 81, 92, 100, 134-145, 148-149, 173
106, 109, 114, 127-129, giudei, 13-16, 27, 36-38, 49,
131-132, 142-143, 171 50, 57, 63, 65, 74, 79, 80-81,
elezione, 47, 55, 94, 159 87, 104, 115, 119, 121, 131,
esilio, 13, 15-16, 27, 36, 38, 48, 157-158, 161, 169, 171, 176
50-51, 57, 64-65, 74, 79, 80- grazia, 38, 53, 113, 158-159
81, 84, 87, 94-95, 104, 115, guerra, 33-34
120, 123, 140, 144, 169-171 legge, 14, 50, 59, 80, 87, 100,
181
127, 131, 137, 146, 148, 85, 88, 92-93, 105, 112, 114,
152, 154-156, 158, 164, 119-120, 122, 130-131, 141,
167, 172, 176 144, 146-148, 152-156, 158,
levirato, 8, 127, 129, 131 162-163, 169-171
madre, 43, 60, 66-67, 72, 76- primogenitura, 18, 84-86, 90,
77, 90-91, 94, 100-101, 103, 92, 94-95, 161, 170
120, 125, 130, 154, 160, 164 promessa, 15, 24, 26-28, 30-
matrimonio, 12, 15, 24, 45, 65, 32, 37, 39-43, 45-50, 52-53,
73, 75, 77, 79, 89, 95, 98- 65, 67, 69-72, 74-75, 77-78,
100, 102, 129 80, 91, 95, 118-119, 130,
migranti/migrazioni 10, 11, 139, 148, 152, 157-160,
15, 24, 27, 37, 103, 105, 155 163, 171, 173
misericordia, 36, 44, 63, 65, riconciliazione, 107, 134, 185
130, 148, 157, 159, 165 sacrificio, 35, 69, 72, 73, 87,
nazioni, 13, 37, 46-47, 55-56, 89, 109, 146, 151, 152, 153,
62, 71, 78, 81, 85, 87, 105, 155, 159, 165, 167, 170
116, 170-172 sorella/e, 12, 17-18, 24, 28, 29,
obbedienza, 25, 37, 139, 151- 60, 61, 68, 76, 86, 87, 98,
153, 172 100, 102, 105, 114
omosessualità, 8, 62 sterile/sterilità, 24, 26, 37-38,
pace, 41, 166 43, 49, 61, 72, 84, 100-101,
padre, 10-11, 17-18, 20, 24-25, 106, 164
27, 46-47, 49, 58-60, 66, 69, terra, 5, 10-16, 24-28, 30-35,
71, 78-79, 84, 86-92, 96-98, 37, 40-43, 46-47, 53, 55-56,
100, 105, 107-109, 112-113, 61-62, 67-69, 71, 73-74, 77,
117-118, 124-126, 133-137, 80, 87-90, 95-96, 103, 105-
140-141, 144, 148-152, 107, 109, 112-114, 116,
156-162, 169, 171 118-119, 124-125, 130,
peccato, 28, 36, 55-56, 60, 62- 133-134, 137, 141, 143-144,
63, 65, 127 147-148, 153, 160, 163,
perdono, 120, 136, 140 165, 170-172
poligamia, 8, 105 vendetta, 107, 109, 112-113,
popolo, 7, 9, 12, 14, 22, 26, 28, 115
33, 35, 36-37, 47-51, 56, 59, violenza, 59, 62, 107, 113-115,
61, 63-65, 69-70, 73, 79, 81, 139
182
182
INDICE GENERALE
Prefazione .................................................................................... 7
I. INTRODUZIONE ....................................................................... 9
1. L’EPOCA DEI PATRIARCHI ............................................................... 10
a. Cronologia biblica ................................................................... 10
b. Agganci storici .......................................................................... 10
c. Usi e costumi ............................................................................ 11
2. LA FORMAZIONE DEI TESTI............................................................. 13
a. Situazioni e problemi del postesilio ................................ 13
b. L’origine dei racconti patriarcali .................................... 14
3. LA COMPOSIZIONE LETTERARIA .................................................... 16
a. L’uso dei termini ...................................................................... 17
b. Espedienti narrativi.............................................................. 18
4. STRUTTURA GENERALE ................................................................... 20
II. CICLO DI ABRAMO (Gn 12,1–25,18) ............................. 23
1. UNA VOCAZIONE IMPOSSIBILE (Gn 12,1–14,24) ................... 24
a. La chiamata di Abramo (Gn 12,1-9) ............................... 25
b. La moglie abbandonata (Gn 12,10–20) ........................ 28
c. Separazione di Lot da Abramo (Gn 13,1-18). .............. 30
d. Liberazione di Lot e
benedizione di Melchisedek (Gn 14,1-20) .................... 32
Temi e spunti di riflessione ..................................................... 36
2. UNA FEDE ANCORA VACILLANTE (Gn 15,1–17,27) .............. 38
a. Fede e giustizia (Gn 15,1-6) ................................................ 39
b. L’alleanza tra Dio e Abramo (Gn 15,7-21) ................... 40
c. Una maternità surrogata (Gn 16,1-16) ......................... 42
d. Alleanza e circoncisione (Gn 17,1-27)............................ 45
Temi e spunti di riflessione ..................................................... 49
3. IL FIGLIO DELLA PROMESSA (Gn 18,1–20,18)........................ 52
a. La promessa rinnovata (Gn 18,1-15) ............................. 53
b. La distruzione di Sodoma (Gn 18,16–19,38) ............... 54
c. La moglie abbandonata (Gn 20,1-18) ............................ 59
Temi e spunti di riflessione ..................................................... 62
183
183
4. LA PROVA FINALE DELLA FEDE (Gn 21,1–25,18) ................. 65
a. Isacco e Ismaele (Gn 21,1-21) ............................................ 66
b. Abramo e Abimelec (Gn 21,22-34)................................... 68
c. Il sacrificio del figlio (Gn 22,1-24) .................................... 69
d. Morte e sepoltura di Sara (Gn 23,1-20) ......................... 73
e. Il matrimonio di Isacco (Gn 24,1-67) .............................. 75
f. La morte di Abramo (25,1-18) ........................................... 77
Temi e spunti di riflessione ..................................................... 78
III. CICLO DI GIACOBBE (Gn 25,19–36,43) ...................... 83
1. ISACCO, ESAÙ E GIACOBBE (Gn 25,19–27,46) ...................... 84
a. Nascita dei due gemelli (Gn 25,19-26)........................... 84
b. Esaù vende la primogenitura (Gn 25,27-34) ............... 85
c. Intermezzo: vicende di Isacco (Gn 26,1-35) ................. 86
d. Giacobbe carpisce la benedizione
paterna (Gn 27,1-46) ............................................................ 90
Temi e spunti di riflessione ..................................................... 93
2. L’ESILIO IN ORIENTE (Gn 28,1–30,43)................................... 95
a. Partenza di Giacobbe (Gn 28,1-9) .................................... 95
b. Il sogno di Giacobbe (Gn 28,10-22) ................................. 96
c. Il matrimonio di Giacobbe (Gn 29,1-30) ........................ 98
d. I figli di Giacobbe (Gn 29,31–30,24) ............................. 100
e. Giacobbe e Labano (Gn 30,25-43) .................................. 103
Temi e spunti di riflessione .................................................... 104
3. IL RITORNO IN CANAAN (Gn 32,1–36,43) ........................... 106
a. Il distacco da Labano (Gn 31,1-54) ............................... 107
b. Il viaggio verso Canaan (Gn 32,1–33,20).................... 109
c. Violenza a Dina e vendetta
dei fratelli (Gn 34,1-31) ...................................................... 113
d. Ritorno a Betel e morte di Rachele (Gn 35,1-29) .... 115
e. Aggiunte (Gn 35,23–36,43) ............................................... 117
Temi e spunti di riflessione .................................................... 118
185
185
I patriarchi non sono figure storiche, nel senso che assume oggi questo
termine. Essi però hanno influenzato profondamente la storia del po-
polo ebraico. Le antiche tradizioni che li riguardavano sono state rilette
dopo l’esilio in modo da far loro esprimere il senso profondo della
religione israelitica, come l’avevano riformulata i giudei deportati in
Mesopotamia. Essi vi hanno ritrovato le origini dell’alleanza tra yhwh
e Israele, nonché dell’elezione del popolo e del suo diritto al possesso
della terra di Canaan. Ma al tempo stesso nelle vicende di quei lontani
progenitori hanno colto l’esigenza di una fede austera, che mette Dio
al primo posto ed esige una vita conforme alla sua volontà.
Ciò che rende interessante ancora oggi lo studio dei racconti patriarcali
consiste anche nel fatto che i loro protagonisti sono considerati come
padri nella fede dai seguaci di tre grandi religioni che per questo sono
dette «abramitiche»: ebraismo, cristianesimo e islam. Si prospetta dun-
que, a partire da questi testi, la possibilità di un serrato dialogo interre-
ligioso che permetta di cogliere l’insegnamento specifico di ciascuna di
esse in rapporto con le altre e con la cultura moderna ormai incalzante
in tutto il globo.
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