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Riassunto del

programma di
italiano
Leopardi, la Scapigliatura (Boito,
Tarchetti), il Positivismo, il
Naturalismo francese (Zola), il
Verismo italiano (Capuana, Verga),
Carducci, il Decadentismo, il
Simbolismo, d’Annunzio, Pascoli, il
Futurismo (Marinetti), Svevo,
Pirandello e Ungaretti.
Indice
Giacomo Leopardi ...................................................................................................... 2
L’età postunitaria ....................................................................................................... 4
La Scapigliatura .......................................................................................................... 5
Il Positivismo .............................................................................................................. 6
Il Naturalismo francese .............................................................................................. 7
Emile Zola ................................................................................................................... 7
Il Verismo italiano ...................................................................................................... 8
Luigi Capuana ............................................................................................................. 9
Giovanni Verga ........................................................................................................... 9
Giosue Carducci ....................................................................................................... 15
Il Decadentismo ....................................................................................................... 16
Charles Baudelaire ................................................................................................... 20
Il simbolismo ............................................................................................................ 22
Il romanzo decadente .............................................................................................. 23
Joris-Karl Huysmans ................................................................................................. 24
Oscar Wilde .............................................................................................................. 25
Gabriele d’Annunzio ................................................................................................. 26
Giovanni Pascoli ....................................................................................................... 35
Ideologie e nuove mentalità ..................................................................................... 42
Il Futurismo .............................................................................................................. 42
Italo Svevo................................................................................................................ 43
Luigi Pirandello ......................................................................................................... 52
Giuseppe Ungaretti .................................................................................................. 60

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Giacomo Leopardi
(Recanati 1798 – Napoli 1837)

La vita
Giacomo Leopardi nasce a Recanati nel 1798. Era figlio di un conte, ma la famiglia era in
decadenza. Leopardi crebbe in un ambiente conservatore caratterizzato dall’indifferenza del padre
e dall’eccessiva severità della madre che pensava piuttosto a risanare il patrimonio familiare.
Passa sette anni di studio “matto e disperato” nella biblioteca del padre, che lo cambia anche
fisicamente, in quanto si ammala di scoliosi. In breve tempo impara il latino, il greco e l’ebraico, si
appassiona ai poeti classici (conversione dall’erudizione al bello) e comincia a leggere i moderni.
Divenne amico dell’intellettuale Pietro Giordani (con il quale mantiene un rapporto epistolare) e si
intromette nel dibattito tra classicisti e romanticisti opponendosi alle tesi di Madame de Stael. Nel
1819 tenta la fuga da Recanati, ma il suo piano viene scoperto e sventato. Avviene un altro
passaggio della sua vita: dal “bello” al “vero”, infatti pensava che il mondo non è bello, ma
illusorio (inoltre abbandona la fede religiosa e si professa ateo). Più tardi inizia a scrivere lo
Zibaldone (“piatto misto”), raccolta di pensieri e riflessioni di vari argomenti messi alla rinfusa. Si
reca a Roma, ma viene deluso dallo Stato Pontificio e torna a Recanati. Scrive quindi le operette
morali a cui affida l’espressione del suo pensiero pessimistico (la natura “matrigna”).
L’ultima parte della sua vita la trascorse a Napoli e nel 1833 conosce Antonio Ranieri. Muore a
Napoli nel 1837, poco prima di compiere 39 anni.

Il pensiero
La natura benigna
Tutta la sua poetica è basata sul PESSIMISMO. Il suo primo interesse è capire perché l’uomo è
infelice. La prima risposta che dà, è che l’uomo cerca il piacere permanente, infinito, il che è
irraggiungibile, e per questo cercherà sempre altri piaceri da soddisfare.
Ma la natura, che in questa prima fase è concepita come “benigna”, offre all’uomo un rimedio:
quello dell’immaginazione e delle illusioni che nascondono agli uomini la loro condizione infelice.
Il pessimismo storico
Però, mentre gli antichi greci e romani erano più vicini alla natura, più soggetti alle illusioni e, di
conseguenza, più felici, l’uomo moderno, attraverso il progresso della civiltà, si è allontanato dalla
via tracciata dalla natura benigna divenendo sempre più infelice. Questa fase del pensiero
leopardiano viene definita come “pessimismo storico” perché la condizione negativa del presente
viene vista come effetto di un processo storico perché l’uomo si è allontanato dalla condizione
iniziale di felicità.
La natura malvagia
La concezione della natura benigna entra in crisi perché Leopardi si rende conto che la natura ha
fatto nascere l’uomo con il desiderio di felicità infinita, senza dargli i mezzi per soddisfarlo.
Leopardi, quindi, concepisce la natura come un meccanismo cieco, indifferente alla sorte delle sue
creature.

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Il pessimismo cosmico
Se la causa dell’infelicità è la natura stessa, allora tutti gli uomini, anche gli antichi, sono stati
infelici. Al pessimismo storico della prima fase subentra così un pessimismo cosmico, perché
l’infelicità dell’uomo non è più legata ad una condizione storica e relativa dell’uomo, ma ad una
condizione assoluta, diviene un dato eterno e immutabile di natura.

Raccolte
 Lo Zibaldone (1817-1832)
Lo Zibaldone (piatto misto) è un insieme di pensieri, appunti e riflessioni su temi di vario
genere scritti in prosa (circa 4000 pagine).
 Le Lettere
Insieme di lettere (epistole) scritte in prosa a Pietro Giordani (in cui Leopardi trova un sostituto
della figura paterna), al fratello, alla sorella e al padre.
 Le Operette morali
o Sono prose scritte sotto forma di dialogo.
o I personaggi sono mitici o storici.
o I temi riguardano l’infelicità dell’uomo, la noia, il dolore, l’impossibilità del piacere.
 I Canti (1831)
o Opera che raccoglie tutte le poesie di Leopardi. L’ordine delle opere non è
cronologico, ma è stato scelto dall’autore stesso. Il libro ha una logica e racconta la
sua vita ed il suo pensiero poetante (oltre che opere liriche sono autobiografie).
o I Canti sono un libro interamente lirico perché Leopardi parla sempre di sé in prima
persona e anche i personaggi che usa condividono il suo pensiero.
o Libertà di strutture metriche (predilige il settenario e l’endecasillabo).
o La lingua è nuova, vicina al parlato, colloquiale.
 Gli Idilli
Componimenti che trattano tematiche semplici e autobiografiche utilizzando un linguaggio
colloquiale (es: “L’Infinito”).

Componimenti
 L’infinito (1819) pag.962
 Canto notturno di un pastore errante dell’Asia (1830) pag.991
 Dialogo della natura e di un islandese (1824) pag.1029

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L’età postunitaria
Informazioni utili a pag. 17-25-26

Il nuovo assetto politico


Nel 1861 l’Italia viene unificata, creando uno stato guidato da una monarchia costituzionale,
regolata dallo statuto Albertino (1848). Governo della:
 Destra Storica (1861):
 In tutta l’Italia viene diffusa la legislazione piemontese (piemontesizzazione) per
regolare la scuola, l’amministrazione, l’apparato fiscale e l’esercito.
 La vita politica era vissuta da una piccola minoranza della popolazione, infatti solo il
2% poteva votare (suffragio censitario);
 Intraprese una politica economica liberoscambista che favoriva l’agricoltura e
impediva all’industria di svilupparsi.
 Sinistra storica liberale (1876):
 Viene data più importanza all’ industria, soprattutto a quella siderurgica, in quanto
il regno è entrato a far parte della triplice alleanza con Prussia e Austria e, di
conseguenza, ha iniziato una corsa agli armamenti.
 Le tasse doganali vengono aumentate, distruggendo del tutto la già debole
economia contadina, la quale sarà letteralmente spazzata via dalla crisi del 1880
con l’arrivo del grano americano. A causa di questi avvenimenti si è creato un
grande divario di ricchezza tra nord e sud, ancora oggi esistente (questione
Meridionale).
 Allargamento della base elettorale (introduzione del suffragio universale maschile
nel 1913).
La struttura sociale è composta da aristocrazia (nobiltà), borghesia (industriali, banchieri) e ceto
medio (commercianti e professionisti che sono in uno stato di povertà a causa della crisi agraria).

Le ideologie
Nella seconda metà dell’Ottocento l’orientamento culturale prevalente in Europa è rappresentato
dal Positivismo, che si basa sul culto della scienza, sullo sviluppo industriale e sulla fede assoluta
nel progresso. Poiché il metodo scientifico è l’unico che possa condurre alla vera conoscenza, ogni
aspetto della vita deve essere sottoposto ad un’indagine di tipo scientifico (utilizzando il metodo
sperimentale).
Mito del progresso: si sviluppa un clima di fiducia nelle forze dell’uomo e nelle possibilità del
sapere scientifico.

Le istituzioni culturali
Editoria e giornalismo: Ora che l’Italia è stata unificata, non c’è più il problema delle innumerevoli
tasse doganali e giornali, periodici e riviste sì diffondono.
Scuola: Istruzione elementare obbligatoria con la riforma Coppino (1877 – istruzione obbligatoria
fino a 9 anni).
Teatro: Spettacoli sui problemi etici e civili.

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Gli intellettuali
Per potersi mantenere, poeti e scrittori sono costretti a cercare un impiego pubblico o a
collaborare con i giornali e le case editrici.
Ci sono due tipi di scrittori:
 Chi rifiuta di scrivere libri solo per accontentare il pubblico, ma invece segue i propri
obbiettivi (gli Scapigliati, Verga);
 Chi accetta il nuovo mercato e scrive per il piacere del pubblico (D’Annunzio).

La lingua
Nel 1861, il 78% della popolazione era analfabeta. Il Meridione era la parte più debole del regno
appena nato, il quale non era unito nemmeno linguisticamente. Manzoni, per risolvere questo
problema, vide nella scuola il mezzo migliore di diffusione della cultura e scelse come lingua
ufficiale il dialetto toscano: il fiorentino. I maestri dovevano andare a Firenze a formarsi. Manzoni
inventò anche il dizionario.
Altri fattori che hanno aiutato la diffusione della lingua sono stati:
 La leva militare obbligatoria: i giovani dovevano spostarsi in altre regioni.
 Emigrazione all’ estero: gli analfabeti entravano in contatto con società più evolute.
 Diffusione dei giornali e della stampa periodica.
 Comparsa dei Mass-media: radio, cinema, televisione, ecc.

La Scapigliatura
(Milano 1860 - 1870)
La Scapigliatura è un sinonimo di sregolatezza ed è l’equivalente italiano del termine francese
“bohème”, ovvero vita zingaresca; non è un movimento letterario perché riguardava solo pochi
autori e perché nessuno di essi ha mai scritto un programma con gli obbiettivi del movimento. Si
sviluppa a Milano perché era un grande centro intellettuale e perché era vicino alla Francia (dove
c’erano Baudelaire e i poeti simbolisti da cui prenderanno spunto). Gli scapigliati erano un gruppo
di intellettuali milanesi che, non avendo trovato un mercato per vendere le proprie opere,
vivevano ai margini della società tra gli eccessi. Prendono come esempio i poeti maledetti francesi
e analizzano la realtà come degli anatomisti. La Scapigliatura recupera tutta una serie di temi
romantici come il nero, il macabro e il satanismo. La loro poesia copre il vuoto letterario italiano
degli anni ‘60-70 e tra di loro ci sono autori di diversa condizione sociale.
Concetto di dualismo: il progresso economico e scientifico va distruggendo valori del passato quali
Bellezza, Arte e Natura; per questo, gli Scapigliati da una parte provano repulsione e orrore, ma
dall’altra si rendono conto che ormai quegli ideali sono perduti per sempre; essi, quindi, si
rassegnano, delusi, a rappresentare “vero” e a usare il linguaggio dell’anatomista e del chimico.
Essi si sentono divisi tra Ideale e Vero, bene e male, virtù e vizio, bello e brutto.

Arrigo Boito
Nasce a Padova nel 1842 e riceve una formazione essenzialmente musicale. Grazie all’amico Praga
si avvicina alla Scapigliatura e scrive componimenti come “Re Orso”, “Il Libro dei versi” e “Lezione
di anatomia (1865)”. Per lui la Scapigliatura fu soltanto una parentesi giovanile. È stato il librettista
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di Giuseppe Verdi (grande scrittore di opere teatrali liriche). Viene nominato senatore del regno di
Italia nel 1912 e muore a Milano nel 1918.

 Lezione d’anatomia (1865) pdf


La poesia, del 1865, appartiene al “Libro dei versi” e presenta una lezione del medico di anatomia
agli studenti: l’anatomista sta sezionando una giovane morta di tubercolosi all’ospedale. La poesia
è divisa in quartine, ognuna formata da sei versi quinari. Nella prima strofa l’autore sembra
prendere di mira il medico che profana il corpo della giovane donna a cui non era stato riservato
nemmeno un funerale. La decisione di sezionarla viene vista come un delitto dall’autore: la scienza
non ha rispetto non solo per la morte, ma anche per la bellezza. Però, le aspirazioni ideali del
poeta (che immagina una fanciulla purissima profanata dalla scienza medica) svaniscono quando
viene trovato un feto di 30 giorni e si contrappongono al vero, alla cruda e brutale realtà (la
fanciulla era incinta).

Ugo Tarchetti
Nasce nel 1839 e intraprende la carriera militare ma, per motivi di salute, la abbandona e si
stabilisce a Milano. Muore nel 1869 (a soli trent’anni) a causa della miseria e della tisi e, nello
stesso anno, esce anche la sua opera più importante: il romanzo Fosca, lasciato incompiuto.
 Fosca (1869) pag.43
Nel ritratto fisico di Fosca è evidente l’idea di evocare l’immagine della morte. Emerge anche il
legame morboso che unisce ormai il protagonista (Giorgio) alla donna, che egli, narrando,
giustifica ciò con l’alibi della pietà per l’inferma e del timore di provocare in lei una crisi mortale
contrariandola. Il narratore definisce questo rapporto con il termine “tortura”: ciò che a Giorgio
piace è proprio il piacere di essere torturato e, dell’altro lato, Fosca gode nell’imporre il suo
dominio. Si delinea, così, l’immagine della donna vampiro. A causa di questo legame, la salute
fisica e psichica del protagonista viene minata (il “vampiro” gli ha trasmesso la sua malattia).
Questo legame morboso porterà Giorgio ad un pensiero fisso: quello della morte che lo trascina
con sé.

Il Positivismo
Il Positivismo è un movimento di pensiero che si diffonde a metà dell’ottocento ed è stato fondato
dal francese August Comte. È l’espressione della nuova organizzazione industriale della società
borghese e del conseguente sviluppo della ricerca scientifica. Essa porta al rifiuto di ogni visione di
tipo religioso e alla convinzione che la realtà sia governata da leggi meccaniche spiegabili
scientificamente.
Il Positivismo si basa sull’utilizzo del metodo sperimentale:
 Osservazione del fenomeno.
 Ipotizzo la legge
 Si sperimenta
 Si convalida la legge/ si riformula

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Utilizzando il metodo sperimentale, ogni aspetto del mondo può essere studiato e tradotto in
Leggi Universali al fine di prevedere o prevenire il futuro (l’uomo aveva paura della natura).

Il Naturalismo francese
Il Naturalismo è un movimento letterario nato in Francia intorno al 1870 come applicazione diretta
del pensiero positivista e il massimo esponente è Emile Zola. Lo scrittore cerca di esprimere la
realtà nel modo più oggettivo ed impersonale possibile, lasciando alle cose e ai fatti stessi narrati
il compito di denunciare lo stato della situazione sociale, evidenziando il degrado e le ingiustizie
della società. Gli scrittori naturalisti abbandonano la scelta narrativa del narratore onnisciente, che
sa tutto dei personaggi e che racconta la storia in terza persona, sostituendola con una voce
narrante che assiste ai fenomeni descritti, così come accadono. Lo scrittore naturalista, quindi,
sceglie un caso e lo analizza come fa uno scienziato in laboratorio. I romanzi naturalisti sono
realisti e sono ambientati nei sobborghi di Parigi.
Realismo: opera che racconta una storia vera, che potrebbe essere veramente accaduta (come i
promessi sposi). Mentre nelle opere di Manzoni c'è il cattolicesimo (provvidenza), in quelle di Zola
c'è la fiducia nell'uomo.
Un manifesto del Naturalismo (da Germinie Lacerteux – 1864) pag.60
La Prefazione del romanzo è uno dei primi e più significativi “manifesti” del Naturalismo francese,
scritto dai fratelli Goncourt nel 1864. Il romanzo è la storia di una serva, malata di isteria, che si
degrada progressivamente, fino alla morte, per una passione amorosa. Fu ispirato da un caso vero,
quello di una domestica dei due fratelli.

Emile Zola
(Parigi 1840 – 1902)

La vita
Emile Zola nasce a Parigi nel 1840 e si dedica al giornalismo, che non abbandonerà nemmeno
quando si dedicherà all’opera di romanziere. All’inizio scrisse racconti di impronta romantica ma fu
poi attratto dalle idee positiviste. Secondo Zola, il romanzo deve essere trasformato in uno
strumento scientifico e deve rappresentare la realtà in tutte le sue forme, anche quelle più crude.
Zola sostiene che l’autore, come un chimico in un laboratorio, prende un carattere (che per lui
erano ereditari), lo mette in un ambiente e, utilizzando il metodo sperimentale, può prevedere
l’esito dei personaggi. I personaggi dei suoi racconti vengono presi dall’ambiente popolare
parigino (il romanticismo diceva di prendere personaggi dalla quotidianità). I suoi romanzi, quindi,
hanno la funzione di denuncia sociale al fine di migliorare le condizioni di vita (al contrario, Verga
si limiterà ad osservare la realtà perché pensa che il destino non possa essere cambiato). Zola
vuole dare dei suggerimenti ai politici francesi per migliorare le condizioni di vita dei cittadini e per
informare questi ultimi. Nel 1877 scrive l’Assommoir che ottiene un grande successo grazie allo
scandalo che suscitò con le sue crude descrizioni della degradazione umana degli operai parigini.
Nel 1880 scrive “Il romanzo sperimentale”, volume contenente tutte le concezioni che stanno alla

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base della narrativa zoliana. Tra il 1871 e il 1893, Zola scrive "I Rougon-Macquart", un ciclo
narrativo comprendente 20 romanzi in cui traccia un quadro della società francese del secondo
Impero attraverso le vicende dei membri di una famiglia (1° impero: Napoleone Bonaparte, 2°
impero: Napoleone III 1848-1870). Per questo ciclo, lo scrittore, non solo prende spunto dalle
teorie scientifiche come il darwinismo, ma anche al principio dell’ereditarietà. Infatti, ogni
personaggio dei "Rougon-Macquart" porta con sé delle tare fisiche, dei difetti caratteriali molto
profondi, di generazione in generazione. Esploso “l’affare Dreyfus”, dal nome dell’ufficiale ebreo
accusato ingiustamente di spionaggio, Zola si impegna a far venire a galla la verità e, nel 1898,
scrive un articolo di enorme risonanza: “J’accuse”, dove faceva nomi e cognomi delle persone
coinvolte nell’affare. A causa di ciò, fu condannato ad un anno di prigione e si dovette rifugiare in
Inghilterra. Lo scrittore tornò in Francia e morì misteriosamente nel 1902 (si sospetta un attentato
per vendetta in conseguenza delle posizioni assunte da Zola nell’affare Dreyfus).

L’alcol inonda Parigi (da L’Assommoir - 1877) pag.64


Il romanzo è ambientato nella Parigi operaia e narra una storia di alcolismo, di miseria e di
degradazione umana. È anche un esperimento stilistico, poiché Zola vuole riprodurre il
caratteristico gergo dell’ambiente proletario (il modo di parlare). Qualche volta, nel romanzo, la
voce narrante diviene l’interprete del “coro” dei personaggi popolari, regredisce e riproduce la
loro mentalità ed il loro modo di esprimersi (questa tecnica influenzerà Verga suggerendogli la
“regressione” del narratore). “Assommoir” significa mattatoio e deriva dal nome dell’osteria dove
si beve l’acquavite. La storia è incentrata su Gervaise che, venuta a Parigi con l’amante Lantier, è
da questi abbandonata con due figli piccoli e vive stentatamente facendo la lavandaia. Conosce
Coupeau, un operaio onesto e laborioso, e lo sposa. La famiglia prospera finché Coupeau non cade
dal tetto dove lavora a una grondaia. Dopo l’incidente trascura il lavoro e si dà al bere; la famiglia
sopravvive grazie al duro lavoro di Gervaise, che ha aperto una lavanderia. Ritorna Lantier e
riallaccia la relazione con Gervaise, mentre Coupeau si degrada sempre di più. La figlia Anna (la
futura protagonista del romanzo Nana in veste di prostituta) comincia a corrompersi
nell’ambiente dei sobborghi proletari. Anche Gervaise cade preda dell’alcolismo e muore in
conseguenza di esso, dopo aver sperimentato la miseria più atroce e l’abbruttimento totale.

Il Verismo italiano
Il Verismo è un movimento letterario che si diffonde in Italia negli ultimi decenni dell'Ottocento e
che ha le sue radici nel Naturalismo francese. Il termine Verismo deriva dalla parola “vero”:
secondo i veristi, infatti, lo scrittore ha il compito di riprodurre la realtà in modo oggettivo e di far
emergere la verità senza esprimere giudizi né partecipare emotivamente, rimanendo imparziali. I
fondatori di questo movimento sono Luigi Capuana e Giovanni Verga, due proprietari terrieri
meridionali conservatori, entrambi sostenitori di Zola. I veristi riprendono dal Naturalismo
francese l’impersonalità dei testi, ma rinnegano il romanzo sperimentale. Con il verismo
assistiamo all’eclissi dell’autore, cioè alla scomparsa dal testo del tradizionale narratore
onnisciente che interviene, commenta e giudica: secondo Verga, infatti, l’opera d’arte doveva dare
l’idea di essersi scritta da sé. Verga non esercitò mai larga influenza sulla cultura contemporanea,
non creò una “scuola verista”, non costituì un modello a lungo imitato come era avvenuto con
Manzoni. Il romanzo verista verrà a mano a mano soppiantato da quello psicologico di d’Annunzio.
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Riviste dei movimenti letterali (utilizzate come strumento di propaganda):
 Illuminismo: “Il Caffè” - rivista illuminista, gestita da nobili (i fratelli Verri e Cesare Beccaria)
e rivolta all’élite aristocratica, tentava una collaborazione con i governi assoluti illuminati
per promuovere riforme dall’alto (il 700 è il secolo dell’Illuminismo).
 Romanticismo: “Il Conciliatore” - rivista romantica che si rivolge ad un pubblico borghese
ed è fiduciosa nell’azione autonoma della nazione, che deve portare ad una profonda
trasformazione dell’assetto politico.
 Verismo: nessuna

Luigi Capuana
(Catania 1839 – 1898)

La vita
Nasce a Mineo (Catania) nel 1839 e fu anch’egli, al pari di Verga, un agiato possidente terriero.
Collaborò come critico letterario e teatrale a vari giornali e riviste (tra cui il Corriere della Sera), fu
un ampio divulgatore del Naturalismo francese e contribuì con Verga a creare la poetica del
Verismo italiano (è lui il teorico del Verismo, non Verga). Negli ultimi anni di vita insegnò
all’Università di Catania; morì nel 1915.
Recensione ai Malavoglia di Verga (1881) pag.75
Nel recensire il romanzo di Verga, Capuana fa riferimento a Zola, ribadendo il suo rifiuto per il
romanzo sperimentale, ma elogia l’impersonalità dell’opera che sembra essersi fatta da sé.
Secondo Capuana, la letteratura non deve diventare scienza, ma perseguire i suoi fini artistici; al
massimo, la letteratura può avvicinarsi allo spirito della scienza nel metodo con cui rappresenta la
realtà (impersonalità del testo). Si parla anche della “lotta per la vita” (Darwinismo sociale) e del
Ciclo dei Vinti di Verga, in cui i personaggi sono vinti dalla vita. Rispetto al ciclo dei Rougon
Macquart di Zola, parla di famiglie e classi sociali differenti. I personaggi di Verga non sfidano il
destino, non cercano di cambiarlo, ma accettano la vita così com’è.

Giovanni Verga
(Catania 1840 - 1922)

La vita
Verga nasce a Catania nel 1840 da una famiglia di proprietari terrieri. Inizia gli studi alla facoltà di
Legge ma li interrompe per dedicarsi alla letteratura e al giornalismo. Nel 1872 si trasferisce a
Milano dove entra in contatto con la Scapigliatura. Qui scrive “Eros”, “Eva” e “Tigre reale” (periodo
preverista) ancora legati ad un clima romantico. Dal 1880 scrive le novelle di Vita dei Campi
(Fantasticheria, Rosso Malpelo), nel 1881 inizia il Ciclo dei Vinti (I Malavoglia, Mastro Don
Gesualdo) e nel 1883 le Novelle rusticane (Libertà). Nel periodo della prima guerra mondiale
prende posizioni politiche conservatrici ed interventiste. Torna a Catania abbandonando la
letteratura per gestire la sua proprietà; muore nel 1922.

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I romanzi preveristi
Il primo testo importante di Verga fu “Una peccatrice”, un testo molto autobiografico, il quale
narra la storia di un borghese siciliano che si suicida a causa di un amore impossibile. Pochi anni
dopo scrive “Storia di una capinera”, il romanzo che gli garantisce il successo. Successivamente
scrive “Eva”, “Eros” e “Tigre reale”, romanzi che vengono considerati come esempi di realismo ma
che in realtà contengono ancora elementi romantici.

La svolta verista
Il primo racconto verista di Verga è Rosso malpelo, nel quale vediamo le prime tracce
dell’impersonalità tipica di Verga composto da un linguaggio nudo e scabro tipico dei popolani.
Ora ha iniziato il suo percorso di maturazione che lo porterà alla conquista di strumenti concettuali
e stilistici più maturi: la concezione materialistica della realtà e l’impersonalità. In questo
momento Verga vuole tornare ad analizzare i meccanismi della società partendo dagli ambienti
popolari (i Malavoglia) fino a tornare a quelli dell’alta società, con l’aiuto del metodo verista. Verga
scrive per sperimentare (es. tecnica della regressione), non per vendere le proprie opere perché
era già un nobile e non ne aveva bisogno.

La poetica dell’impersonalità e la tecnica narrativa


Secondo Verga l’opera deve sembrare di essersi fatta da sé, in quanto l’autore deve eclissarsi fino
a trovarsi faccia a faccia con i fatti nudi e crudi, e potersi mettere nei panni dei personaggi; in
sostanza il narratore non deve comparire nel racconto con le sue reazioni soggettive e le sue
riflessioni. Di conseguenza, gli attori si fanno conoscere con le proprie azioni e parole e non
dovranno essere introdotti dagli autori, in maniera tale da eliminare ogni artifizio letterario. Il
punto di vista dello scrittore non si avverte mai nelle opere di Verga perché il narratore si
mimetizza nei personaggi stessi, adotta il loro modo di pensare, di esprimersi ed è come se a
raccontare fosse uno di loro. Verga definisce l’impersonalità un procedimento tecnico espressivo
utilizzato per dar una certa forma all’opera, così da ottenere certi effetti artistici, in questo caso
l’impossibilita di avvertire la presenza del narratore. Se proprio l’autore deve intervenire, lo farà
con una visione rozza tipica della collettività popolare e usando un linguaggio povero. La poetica di
Verga viene associata ad una fotografia (lui ne era un appassionato).

Il pessimismo
Verga ha una visione scientifica del mondo (è un positivista) e alla base delle sue visioni ci sono
posizioni pessimistiche, in quanto per lui la società umana è dominata dal meccanismo della lotta
per la vita, in cui il più forte schiaccia il più debole. Questa è una legge universale che è sempre
esistita e sempre esisterà in ogni ambito, in più in quanto ateo esclude anche ogni tipo di
consolazione religiosa. Verga dice che questa legge è immutabile, quindi per un autore è inutile
tentare di cambiare la realtà e perciò deve solo limitarsi a raccontare la sua storia senza effettuare
alcuna correzione ad essa (regressione del narratore, Verga ne parlerà solo nella prefazione al
racconto l’amante di Gramigna). Questo è il motivo per cui Verga utilizza la tecnica
dell’impersonalità. La letteratura non può contribuire a modificare la realtà, ma può solo avere la
funzione di studiarla, di riprodurla fedelmente. Riassumendo, Verga rappresenta con grande
acutezza l’oggettività delle cose, e le cose parlano da sé.
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Il verismo di Verga e il naturalismo zoliano
Per Zola l’impersonalità significa assumere il distacco dello “scienziato”, che si allontana
dall’oggetto per osservarlo dall’esterno e dall’alto. Per Verga, invece, significa immergersi,
“eclissarsi” nell’oggetto. Zola interviene a commentare dall’alto del suo punto di vista “scientifico”
perché crede che la scrittura letteraria possa contribuire a cambiare la realtà. Invece, dietro la
“regressione” di Verga vi è il pessimismo di chi ritiene che la realtà data sia immodificabile, che la
letteratura non possa in alcun modo incidere su di essa e che quindi lo scrittore non abbia il diritto
di giudicare. Queste differenze di pensiero derivano anche dal diverso clima sociale: Zola è uno
scrittore borghese democratico (è di sinistra) che ha di fronte a sé una realtà dinamica, una
società già sviluppata dal punto di vista industriale. Verga, invece, è il tipico galantuomo del Sud
che ha ereditato la visione fatalistica di un mondo agrario arretrato e immobile, estraneo alla
visione dinamica del capitalismo moderno. L’ideologia di Zola è che la società è regolata da leggi
spiegabili scientificamente (positivismo), mentre quella di Verga è che la società è regolata da
rapporti di sopraffazione immutabili (meccanismo della lotta per la vita) (Schema pag. 164).

Produzione
 Romantica o preverista
o Eva, Eros, Tigre Reale
 Verista
o Vita dei Campi
 Rosso Malpelo (1868)
 Fantasticheria (1869)
o Ciclo dei Vinti
 I Malavoglia (1881)
 Mastro Don Gesualdo (1889)
 La duchessa di Leyra
 L’onorevole Scipioni
 L’uomo di lusso
o Novelle Rusticane
 Libertà (1882)

Raccolte
 Vita dei Campi
È una raccolta di novelle pubblicate su differenti riviste (svolgevano una funzione culturale)
dove si nota la presenza della tecnica dell’impersonalità, ma è ancora presente un
atteggiamento romantico, quindi si può dire che ancora in Verga è viva contraddizione tra lo
stile romantico e verista. In queste novelle ricorre anche un motivo tipicamente romantico
come il conflitto fra l’individuo “diverso” e il contesto sociale che lo rifiuta e lo espelle (es.
Rosso Malpelo). Di questa raccolta fanno parte le novelle “Rosso Malpelo” e “Fantasticheria”.

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 Il Ciclo dei Vinti
Contemporaneamente alle novelle, Verga scrive anche un ciclo di romanzi di stampo
puramente verista (riprendendo il modello dei Rougon-Macquart di Zola), con l’intento di
tracciare un quadro sociale basato sulla lotta per la vita. Il criterio unificante dei romanzi è il
principio della lotta per la sopravvivenza, che lo scrittore ricava dalle teorie di Darwin
sull’evoluzione delle specie animali applicandole alla società umana: tutta la società è
dominata da conflitti di interesse, ed il più forte schiaccia il più debole. Verga, però, non
intende soffermarsi sui vincitori di questa guerra universale e sceglie come oggetto della
narrazione i “vinti” (dalla vita). I romanzi previsti inizialmente sono: I Malavoglia (1881),
Mastro Don Gesualdo (1889), La duchessa di Leyra (di cui abbiamo solo una piccola bozza),
L’onorevole Scipioni (non iniziato), L’uomo di lusso (non iniziato).

 Novelle Rusticane
Le novelle parlano delle vite e degli ambienti delle campagne siciliane, mettendo in primo
piano il dominio esclusivo dei movimenti economici nell’agire umano.
Differenza tra novella e racconto: mentre la novella narra una piccola parte della storia di un
personaggio (è un “tranche de vie, un pezzo di vita), il racconto prende in considerazione un
arco temporale più ampio (la novella potrebbe trattare anche una sola settimana di vita,
mentre il racconto anche qualche anno). La novella si diffuse nel 1400 con il Decameron di
Boccaccio.

Componimenti
 Rosso Malpelo (1878) pag.170
Temi trattati: punto di vista del narratore popolare – descrizione delle condizioni di lavoro –
lotta per la vita – pessimismo
Riassunto: Rosso Malpelo è il protagonista, il quale vieni ignorato e maltrattato da tutti, anche
dai suoi stessi familiari, al punto che la madre ha quasi dimenticato il suo nome; in tutto ciò
solo il padre (Mastro Misciu) lo difende e gli dimostra un grande affetto. Un giorno il padre
muore durante un lavoro alla cava nonostante Malpelo abbia fatto di tutto per liberarlo dalle
macerie dopo l’incidente. Adesso Malpelo accetta quello che il suo aspetto dice di lui e quindi
inizia a comportarsi in maniera cattiva e crudele. Questo suo nuovo io, però, non è destinato a
durare in quanto arriva un ragazzo, Ranocchio, molto esile che verrà contemporaneamente
maltrattato e aiutato dal protagonista (diverranno amici durante questo periodo). Purtroppo
nemmeno questa situazione durerà, infatti, Ranocchio si ammalerà e morirà di tifo. Ora
Malpelo è solo, senza nemmeno la presenza, per quanto inutile, della famiglia; a questo punto
decide di accettare tutti i lavori, anche quelli più pericolosi, e durante uno di questi morirà
portando con sé gli attrezzi paterni. Di lui rimarrà solo una leggenda: il suo spettro infesta la
cava dove è morto aggirandosi con i suoi capelli rossi e gli occhi grigi.
Analisi: Questo può essere considerato il primo racconto verista di Verga, in cui possiamo
notare la presenza della tecnica dell’impersonalità in cui il narratore regredisce ad uno stadio
pari a quello popolano e non è onnisciente, ma si fa influenzare da miti popolani (considera
Malpelo malvagio solo per il colore dei capelli. Chiaramente non è il vero pensiero di Verga, ma
della mentalità popolare). Punto fondamentale del brano è il valore dell’amicizia e della
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giustizia dimostrata dal protagonista che, contrariamente a cosa diceva il narratore, si è
trovato ad aiutare in più occasioni le persone da lui amate (il narratore interpreta male le sue
intenzioni). Se si analizza il punto di vista di Malpelo è possibile notare in lui il tipico pensiero
pessimistico di Verga riguardo alla lotta per la vita nella società: Rosso, infatti, baserà su questa
legge immutabile il proprio stile di vita.

 Fantasticheria (da Vita dei Campi – 1879) pag.166


L’opera ha la forma di una lettera rivolta a una dama che si era fermata nel paesino di
Acitrezza affascinata da esso, ma dopo due giorni scappa annoiata. Si nota nell’autore un
conflitto interno combattuto tra romanticismo e verismo. È assente, infatti, il procedimento
della regressione perché la voce narrante rappresenta direttamente l’autore stesso e il suo
mondo. Non mancano neppure atteggiamenti polemici e moralistici contro il bel mondo e di
pietà umanitaria per gli umili.
La concezione della vita – Il Verga ebbe una concezione dolorosa e tragica della vita. Pensava
che tutti gli uomini fossero sottoposti a un destino crudele, che li condanna non solo
all’infelicità e al dolore, ma ad una condizione di immobilismo nell’ambiente familiare, sociale
ed economico in cui sono venuti a trovarsi nascendo. Chi cerca di uscire dalla condizione in cui
il destino lo ha posto, non trova la felicità sognata, ma va incontro a sofferenze maggiori (come
succede a ’Ntoni nei Malavoglia). Verga non crede nella possibilità di un qualsiasi cambiamento
o riscatto, quindi non rimane altro che la rassegnazione eroica e dignitosa al proprio destino.
La visione verghiana del mondo è confortata da tre elementi positivi:
1. Il primo è quel sentimento della grandezza e dell’eroismo che porta il Verga ad
assumere verso i "vinti" un atteggiamento misto di pietà e di ammirazione: pietà per le
miserie e le sventure che li travagliano, ammirazione per la loro rassegnazione.
2. Il secondo elemento positivo è la fede in alcuni valori che sfuggono alle dure leggi del
destino e della società: la religione, la famiglia, la casa.
3. Il terzo elemento è la saggezza che ci viene dalla coscienza dei nostri limiti e ci porta a
sopportare le delusioni (nelle opere di Verga si intravede la saggezza popolare
attraverso l’uso di proverbi).
La famiglia e l’ideale dell’ostrica – Giovanni Verga torna più e più volte su un tema preciso:
quello dell'attaccamento alla famiglia, alla casa; è facile comprendere, quindi, i sentimenti di
amarezza e dolore di chi è costretto a vendere la propria abitazione per pagare i debiti di un
affare sfortunato, come nel caso dei Malavoglia. Il bene della famiglia sembra il supremo
valore: è questo il principale senso dell'ideale dell'ostrica. Se l’ostrica si distacca dallo scoglio è
destinata a morire divorata dai pesci, così chi si distacca dalla famiglia è destinato a trovare
molte difficoltà e va incontro a mali peggiori. Per i Malavoglia la "roba" consiste nella
Provvidenza e nella casa del nespolo. Quando entrambe si perdono, i membri della famiglia
sentono di aver perduto le radici stesse della loro esistenza. Solo alla fine del romanzo, Alessi
riesce a recuperare la casa e con essa il legame con il passato e gli affetti familiari.

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 I Malavoglia (dal Ciclo dei Vinti – 1881) pag.195
Temi: il mondo arcaico (popolare) contro quello modernizzato – opposizione tra i Malavoglia e
il villaggio
Riassunto: La storia parla della famiglia Toscano (chiamati Malavoglia perché nell’uso popolare
i soprannomi sono spesso il contrario delle qualità di chi li porta) e del nipote maggiore ‘Ntoni
che è stato chiamato alle armi (introduzione della leva militare obbligatoria che destabilizza
l’equilibrio iniziale facendo partire ‘Ntoni), di come reagiscono i familiari, e della sua effettiva
partenza in treno. La provvidenza naufraga con il carico di lupini e Bastianazzo muore. Gli
abitanti del paese si recano alla casa del morto per portare conforto alla famiglia. Alessi
riscatta la casa del Nespolo, padron ‘Ntoni muore in ospedale e ‘Ntoni, uscito di prigione, torna
a casa per una notte e poi la lascia per sempre (riassunto storia pag. 190).
Analisi: La storia dura 15 anni (dal 1863 al 1878). Il narratore fa parte del mondo stesso, in
quanto utilizza modi di dire e termini tipici di quella cultura di basso livello, quindi si parla della
tecnica dell’impersonalità e della regressione del narratore, supportata dal fatto che i
personaggi si presentano da soli. Un fattore importante presente nel testo è la religione della
famiglia, riconducibile a quando padron ‘Ntoni dice che la famiglia è come le dita di una mano
e che tutti devono rimanere uniti. I Malavoglia non sono un cerchio che si chiude alla fine, ma
una spirale perché non si può ripristinare ciò che è cambiato.

Padron ‘Ntoni
(compera i lupini da zio
Crocifisso)

sposa
Bastianazzo La Longa
(muore con il carico di lupini) (Maruzza, muore di colera)

‘Ntoni Luca Mena


(frequenta le osterie e (muore nella battaglia (non può più sposarsi
accoltella una guardia) di Lissa del 1866) per il disonore)

Alessi
(riscatta la casa del Lia
Nespolo) (diventa una prostituta)

 Libertà (da Novelle Rusticane – 1882) pag.217


Temi: Punti di vista sulla rivolta – trionfo della lotta per la vita – pessimismo di Verga
Analisi: Il testo è diviso in tre parti: la prima dove si parla della rivolta, la seconda ovvero il
giorno successivo in cui si parla dei problemi e la terza sulla repressione da parte dei
garibaldini. Il narratore si alterna, in alcune parte è un narratore al livello della folla mentre in
altre è al livello dei nobili e borghesi. Durante il racconto si nota di come si cerca di far provare
compassione per quei poveri innocenti e di come viene rimproverata la folla popolare, d’altro
canto vengono rimproverati anche i borghesi o più in generale chi è in grado di esercitare
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potere per come si sono comportati. Dopo la rivolta Verga pone l’attenzione sul
comportamento dei rivoltosi, in quanto ora ognuno secondo la legge del più forte/lotta per la
vita cerca di ottenere il più possibile sovrastando anche i propri vecchi compagni, in più i
popolani si rendono conto di come con l’assenza dei galantuomini non fossero in grado di
vivere. Nell’ ultimo parte del brano la pietà rivolta prima ai borghesi passa ora ai popolani che
sono stati in parte fucilati, e i rimanenti vengono processati ritrovandosi con un cuore pieno di
dubbi e paure.
Riassunto: Vengono rivissuti gli avvenimenti di Bronte dopo la rivolta della povera gente ai
danni dei ricchi. Racconta l’uccisione di Don Antonio che fu ammazzato davanti a casa sua, di
fronte alla famiglia mentre aspettava il cibo, durante la sua morte si chiedeva il perché di
questo. Successivamente fu ucciso anche Nedda, il figlio del notaio; vicino alla morte supplicò
per la sua vita ma fu completamente ignorato. Poi passarono alla baronessa che si era
fortificata nella sua abitazione insieme ai suoi 3 figli, ma fu inutile, anche loro perirono. Solo
con la sera la folla si calmò. La domenica successiva al posto di celebrare la messa si cercò di
dividere le terre conquistate, ma non c’era nessuno in grado di farlo, ne notai ne periti, e così
via. Il giorno dopo si venne a sapere che il generale Nino Bixio stava venendo a fare giustizia,
molti scapparono, ma chi rimase andò in contro al rischio di essere fucilati, come
effettivamente si rivelerà essere la sorte di molti. Per i sopravvissuti fu fatto un processo di cui
i giudici erano ricchi e nobili, il processo andò per le lunghe e tutti gli imputati furono ascoltati.
I rivoltosi alla fine non assaporarono la libertà di cui avevano sentito parlare.

Giosue Carducci
(Valdicastello 1835 – Bologna 1907)

La vita
Carducci nacque a Valdicastello nel 1835, studiò alla Scuola Normale di Pisa e si laureò in lettere.
Nel 1860 tenne la cattedra di Letteratura italiana all’università di Bologna e nel 1890 divenne
senatore del Regno d’Italia. Nel 1906 ottenne il premio Nobel per la Letteratura. Morì nel 1907 a
Bologna. (Carducci non si studia molto perché, in epoca fascista, venne preso come modello).

Il pensiero
Negli anni giovanili Carducci fu di idee democratiche e repubblicane e subì una grande delusione
alla fine del processo di unificazione italiano con il trionfo della monarchia e della Destra storica.
Nei confronti del nuovo governo assunse atteggiamenti di violenta opposizione; fu anche un
massone (organizzazione anticlericale) e un ateo (quindi non credeva nell’aldilà). Successivamente
si avvicinerà alla monarchia e il suo patriottismo si colorerà di nazionalismo:
 Patriottismo --> Mazzini, rispettare la propria patria e quella degli altri.
 Nazionalismo --> Corradini, la propria patria è superiore alle altre.
In campo letterario assunse posizioni antiromantiche (quindi sosteneva i classicisti) e scriveva solo
poesie, disdegnando il romanzo e sperimenterà metriche classiche (può essere collocato nel
Decadentismo). Nella sua evoluzione subì l’influenza della tematica baudelairiana dello spleen
(uno stato di depressione cupa, di noia, di disgusto per la vita moderna: TEDIO di Carducci 
SPLEEN di Baudelaire).
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Raccolte
 Odi barbare (1877)
Libro in cui il poeta cerca di riprodurre i metri classici utilizzando il sistema accentuativo
italiano (in modo, quindi, “barbaro”).

Componimenti
 Alla stazione in una mattina d’autunno (da Odi barbare – 1875) pag. 138
La poesia ha una struttura classica: le strofe sono quartine e i versi sono sempre dello stesso
tipo (i primi due sono doppi quinari, il terzo è un novenario e il quarto è un decasillabo). Il
contenuto della poesia è innovativo perché il poeta tratta un argomento della quotidianità. La
poesia è incentrata sulla “fantasia” (il ricordo) del poeta che, in una cupa mattina autunnale,
accompagna alla stazione la donna amata, che si allontana da lui. Ciò che colpisce il lettore è
soprattutto il luogo dove la poesia è ambientata: una stazione ferroviaria non ha nulla di
poetico e il poeta insiste su una serie di particolari quotidiani banali (il controllore che fora il
biglietto, i frenatori che percuotono i freni). La donna viene chiamata Lidia, ma non è il suo
vero nome (Lina), è solo un riferimento al poeta latino Orazio. Il treno, simbolo della
modernità, viene rappresentato come un essere malefico perché porta via la donna amata (si
ha anche paura della tecnologia perché l’uomo potrebbe non essere in grado di controllarla).
Sebbene quest’opera possa far pensare il contrario, Carducci è a favore del progresso della
scienza. Alla fine della poesia viene ribadito il concetto del “tedio” perché il poeta è annoiato
dalla vita moderna (quindi ha ripensato a questo ricordo per allietarsi).

Il Decadentismo
Il Decadentismo è una corrente di pensiero nata in Francia alla fine dell’ottocento. Il termine
“decadente” fu inizialmente usato in senso dispregiativo da parte della critica tardo-ottocentesca
per identificare una nuova generazione di poeti considerati al di fuori della norma, sia nella
produzione artistica sia nella pratica della vita, i cosiddetti “poeti maledetti”, che apparivano alla
gente comune come dei decadenti, cioè corrotti e dissoluti. Le loro idee si contrapponevano alla
mentalità borghese e manifestavano atteggiamenti “bohémien” e pensieri deliberatamente
provocatori ispirati al modello “maledetto” di Baudelaire. Questi intellettuali, tuttavia, non si
offesero e usarono questo appellativo come simbolo per indicare la propria diversità ed estraneità
nei confronti della società. Il teorico del Decadentismo fu il poeta francese Paul Verlaine che, nel
1883, presentò le personalità più significative del gruppo in una serie intitolata “Poeti maledetti”
comprendente Rimbaud, Mallarmé e Huysmans. Esponenti del Decadentismo:
 in Italia d’Annunzio (prima con l’esteta e poi con il superuomo) e Pascoli (con il fanciullino);
 in Francia i poeti maledetti (o simbolisti) come Rimbaud, Verlaine e Mallarmé (sono i
capiscuola del movimento simbolista francese);
 in Inghilterra Oscar Wilde (con il ritratto di Dorian Gray).

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La visione del mondo decadente
Il Decadentismo rifiuta la visione positivistica e la scienza come strumento per conoscere il mondo
e l’uomo e anche il progresso, considerato come miglioramento generale dell’umanità, perché non
basta. Il decadente ritiene, al contrario, che la ragione e la scienza non possano dare la vera
conoscenza del reale, perché l’essenza di esso è al di là delle cose, misteriosa ed enigmatica, per
cui solo rinunciando all’ambito razionale si può tentare di attingere all’ignoto. L’anima decadente
è sempre protesa verso il mistero e l’inconoscibile.La visione decadente propone una somiglianza
tra io e mondo, tra soggetto e oggetto. Una corrente profonda li unisce al di là della realtà, in una
zona in cui l’individualità scompare e si fonde con il tutto. La scoperta dell’inconscio, grazie agli
studi di Freud, è il dato fondamentale della cultura decadente perché senza di essa non sarebbe
possibile capire niente della concezione del decadentismo.

Ideali e movimenti di pensiero


Il Decadentismo è caratterizzato da alcuni importanti ideali e movimenti di pensiero, tra cui:
 Attenzione all’interiorità dell’individuo e alla sua psiche profonda (Freud).
 Estetismo: l’esaltazione della bellezza come valore supremo, al di sopra anche dei valori
morali. In un’epoca in cui la società borghese è dominata dalle leggi del progresso e del
mercato, il letterato decadente si sente emarginato, incompreso nella sua sensibilità; a
causa di questo, si isola dalla società, conduce una vita raffinata e anticonformista,
dominata dal culto della bellezza, si circonda di opere d’arte, oggetti preziosi e ricercati con
l’obbiettivo di fare della propria vita un’opera d’arte (il cosiddetto “dandy”). Di solito i
personaggi dei romanzi escono sconfitti da questa ricerca esasperata e la loro vita,
inizialmente dominata da un senso di superiorità nei confronti della società, si risolve
spesso in un fallimento in cui emerge un grande senso di solitudine.
 Mito del Superuomo: è stato teorizzato dall’intellettuale tedesco Nietzsche (l’oltre uomo)
e ripreso da d’Annunzio. Di fronte alla crisi delle certezze positiviste, che domina in questo
periodo, può emergere solo l’individuo eccezionale, il superuomo, che, libero dai vincoli
morali, afferma la propria volontà, il proprio potere, vivendo la vita attimo per attimo e
compiendo azioni “grandi” e gloriose.
 Simbolismo: affermatosi in Francia intorno al 1870, è una corrente poetica specifica
interna al più vasto ambito del Decadentismo europeo. Sul modello di Baudelaire, i
simbolisti intendono la poesia come rivelazione dell’essenza più profonda e misteriosa
delle cose, non conoscibile né comunicabile attraverso gli strumenti della logica. Essi
rinunciano pertanto a raffigurare realtà ben precise e a costruire il discorso in modo
razionale, preferendo un linguaggio indefinito, evocativo e allusivo, basato su procedimenti
espressivi di tipo analogico e fonosimbolico. I principali esponenti di tale poetica sono Paul
Verlaine, Arthur Rimbaud e Stéphane Mallarmé.

Gli strumenti irrazionali della conoscenza


Se il mistero non può essere colto attraverso la ragione e la scienza, il decadente utilizza altri mezzi
per cercare di attingere ad esso. Come strumenti privilegiati del conoscere vengono indicati gli
stati anomali e insensati dell’esistere: la malattia, la follia, la nevrosi, il delirio, il sogno e l’incubo,
l’allucinazione. Gli stati d’alterazione possono essere provocati artificialmente, attraverso l’uso
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dell’alcol, dell’assenzio o delle droghe, l’hashish, l’oppio o la morfina. Infatti, si ritiene che l’uso di
stupefacenti potenzi all’infinito le facoltà umane, sottraendole al meccanismo delle abitudini
quotidiane e ai limiti della ragione, che accresca le facoltà conoscitive e fantastiche, che provochi
stati di estasi e che quindi permetta di entrare in contatto con l’assoluto. Vi sono poi altre forme di
estasi: il panismo (ovvero la tendenza a confondersi e mescolarsi con il Tutto e con l’assoluto, in
particolar modo con la natura) e l’epifania (rivelazione), che consiste nell’analisi di un qualsiasi
particolare delle realtà, il quale si carica di un misterioso significato, che affascina come un
messaggio proveniente da un'altra dimensione.

L’estetismo
Tra gli strumenti privilegiati della conoscenza per i decadenti, vi è l’arte. Il pittore, il poeta e il
musicista sono considerati dei "veggenti", capaci di spingere lo sguardo dove l'uomo non vede più
nulla, di rivelare l'assoluto. Quindi l’arte appare come il valore più alto collocato al di sopra di tutti,
anzi, deve assorbire tutti quanti in sé. Questo culto dell'arte ha dato origine al fenomeno
dell'estetismo. L'esteta è colui che assume come principio della sua vita non i valori morali, bensì il
bello, ed in base ad esso agisce e giudica la realtà. Va alla ricerca di rare sensazioni e di oggetti
preziosi, non gli piace la volgarità e la banalità della gente. Arte e vita per lui si mescolano: la sua
vita è un’opera d’arte (dandy). Queste posizioni vengo teorizzate da Huysmans in Francia e
avranno la massima risonanza con Oscar Wilde e d’Annunzio. L’arte e la poesia diventano pure,
senza ideali morali e civili (l’arte fugge dalla realtà storica). Si determina una rivoluzione del
linguaggio poetico: alle immagini nitide e distinte si sostituisce il vago, l’indefinito, che da solo è
capace di evocare sensi misteriosi e di rivelare l’ignoto.

L’oscurità del linguaggio


La poesia diventa oscura, al limite dell'incomprensibilità. Il poeta comunica con forme cifrate,
allusive, enigmatiche, rivolte a pochi iniziati, perché solo gli iniziati sono in grado di accedere al
mistero e di comprenderlo. In alcune situazioni la poesia diventa pura auto comunicazione e il
poeta non parla ad altri che a sé stesso. L’artista si rifiuta di rivolgersi al pubblico borghese,
ritenuto mediocre e volgare e sente così il bisogno di difendersi, di differenziarsi, e si rifugia nel
linguaggio cifrato per salvare l'arte "vera" (la sintassi si fa vaga e indefinita). Nella visione
decadente la musica è la suprema fra le arti, proprio perché è la più indefinita, perché svincolata
da ogni significato logico e provoca vere e proprie estasi.

Temi della letteratura decadente


I decadenti sono affascinati dalla lussuria (abbandono al piacere sessuale), complicata da
perversione e crudeltà. La nevrosi, e quindi la malattia, è un altro tema decadente: è il simbolo
della società corrotta, ormai prossima alla fine. La malattia decadente diventa però anche una
condizione privilegiata, un segno di nobiltà e di distinzione rispetto alla massa. Alla malattia umana
viene poi associata la malattia delle cose: i decadenti amano tutto ciò che è corrotto e impuro. La
malattia e la corruzione affascinano i decadenti anche perché sono immagini della morte, tema
ossessivo di questo periodo. Al fascino esercitato dalla malattia, dalla decadenza e dalla morte, si
contrappongono però tendenze opposte: il vitalismo, cioè l'esaltazione della pienezza vitale senza
limiti e senza freni, la ricerca del godimento "dionisiaco". Teorico del vitalismo fu Nietzsche e

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dell'applicazione letteraria D'Annunzio. Il vitalismo è tipico infatti del superuomo d'annunziano
che si caratterizza subito come una maschera per allontanare l'attrazione della morte. L'artista
decadente si isola dalla realtà contemporanea, orgoglioso della propria diversità.

Gli eroi decadenti


Nascono alcune figure ricorrenti nella letteratura decadente:
 Innanzitutto il "poeta maledetto", che viola tutti i valori e gli schemi della società, che
sceglie il male e si accontenta di una vita misera, vagabonda, sregolata, condotta sino
all'estremo limite dell'autoannientamento attraverso il vizio della carne, l'uso dell'alcool e
delle droghe. L'artista è affascinato dal proibito ed è sensibile.
 L'altra figura è quella dell'esteta, come il Dorian Gray di Oscar Wilde. È l'uomo che vuol
trasformare la sua vita in un'opera d'arte, sostituendo alle leggi morali le leggi del bello e
andando alla ricerca di belle sensazioni e piaceri raffinati. L'esteta ha l'orrore della vita
comune, della volgarità borghese, di una società dominata dall'interesse materiale e dal
profitto e si isola, circondato dalla bellezza e dall'arte.
 Terza figura è quella del superuomo d’annunziano (liberamente ispirato alle teorie di
Nietzsche), un individuo superiore alla massa, forte e dominatore, che si muove alle
conquiste di mete eroiche ed ha il compito di riportare l'Italia alla grandezza del passato e
ai suoi destini imperiali (i due miti, del fanciullino e del superuomo, sono legati e nascono
dalle stesse basi).
 Altra figura mistica è quella dell'inetto a vivere. L'inetto è escluso dalla vita a cui non sa
partecipare per mancanza di energie vitali; egli può solo rifugiarsi nelle sue fantasie,
vorrebbe provare forti passioni, ma è ormai impotente: più che vivere, osserva vivere. Ed è
proprio la sua qualità di intellettuale che fa raggelare i suoi sentimenti così da isolarlo dalla
vita. L’inetto di Svevo, per esempio, non rimarrà sempre inadeguato, inadatto, ma si
evolverà e alla fine risulterà la soluzione vincente nella coscienza di Zeno. L'inetto a vivere
conosce una variante originale col "fanciullino" pascoliano: il rifiuto della condizione adulta,
della vita di relazione al di fuori del "nido" familiare: il fanciullino è portatore di una visione
fresca e ingenua, che scopre le cose nella loro pura essenza. Tutti gli uomini hanno
un'anima nascosta dentro di sé.
 L’ultima figura è quella della donna fatale, dominatrice del maschio fragile e sottomesso,
lussuriosa e perversa, crudele torturatrice al cui fascino non si può sfuggire, che consuma le
energie vitali dell’uomo, lo porta alla follia e alla distruzione (come nel romanzo “Fosca”).

Decadentismo e Romanticismo
Quasi tutte le tendenze e le tematiche del Decadentismo possono già essere riscontrate anche in
clima romantico, pertanto il Decadentismo può essere ritenuto una seconda fase del
Romanticismo. Ci sono però alcune differenze sostanziali:
 Dallo slancio entusiastico romantico si passa ad un senso di stanchezza, di languore, di
smarrimento nei decadenti;
 Mentre nel romanticismo lo slancio verso l’ideale consentiva agli scrittori di trattare dei
grandi problemi politici e sociali (con la speranza di incidere in qualche modo sulla realtà),

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nel Decadentismo prevale il principio della poesia pura, non contaminata da interessi
morali o politici.
 Il romanticismo poneva come valore supremo la “natura”, ovvero tutto ciò che è
spontaneo e immediato; viceversa, il Decadentismo esalta l’artificio, la complicazione, ciò
che è il prodotto di un lavoro squisito, cerebrale.

La crisi del ruolo intellettuale


Nel contesto della Rivoluzione industriale che ha sconvolto le forme di vita tradizionali, ha ridotto i
rapporti umani a rapporti tra merci, ha creato conflitti di classe con la presenza del proletariato
operaio, ha trasformato l’uomo in un semplice ingranaggio con questo nuovo meccanismo
produttivo impersonale, il poeta si sente smarrito, è in crisi. Lui cerca di rifiutare il mondo esterno
chiudendosi gelosamente in sé stesso oppure abbandonandosi ad impulsi di autoannientamento.
Nell’apparato industriale e finanziario, l’intellettuale tradizionale non trova più posto, è spinto ai
margini, si sente inutile e frustrato. I nuovi processi produttivi lo declassano anche materialmente,
lo relegano a funzioni ripetitive, impiegatizie. Proprio per questo reagisce accentuando la sua
diversità e la sua eccezionalità attraverso l’estetismo, il maledettismo, il superomismo, che
possono essere letti come un tentativo di mascherare questa condizione di declassazione. Nella
logica di mercato l’opera d’arte si riduce sempre di più a merce di scambio; l’artista allora cerca di
reagire rifiutando di rivolgersi al pubblico comune, individuando una cerchia ristrettissima di
iniziati a cui indirizzare le proprie opere, nel tentativo di salvarne l’aura.

Decadentismo e Naturalismo
Decadentismo e Naturalismo sono fenomeni culturali paralleli e compresi lungo gli anni 70-80 e i
primi anni 90 dell’ottocento. Le due correnti sono espressioni di gruppi di intellettuali diversi:
 Gli scrittori naturalisti sono integrati nell’ordine borghese, ne accettano l’orizzonte
culturale costituito da positivismo, scienza, materialismo e fiducia nel progresso;
 Gli scrittori decadenti rifiutano radicalmente l’ordine esistente con i loro atteggiamenti
“maledetti” ed estetizzanti, uscendo totalmente dall’orizzonte culturale borghese con le
loro scelte anti-scientifiche e irrazionalistiche.

Charles Baudelaire
(Parigi 1821 – 1867)
Charles Baudelaire è nato nel 1821 a Parigi da una famiglia di condizione borghese. Tra i diciotto e
i ventun anni vive una vita da bohèmien e, tornato da un viaggio, sperpera tutta l’eredità del padre
conducendo la vita del dandy. Ha una relazione con una mulatta che per lui incarna i valori
dell’esotico, della femminilità tenebrosa e fatale. A causa della sua vita sregolata, la famiglia lo fa
interdire ed è costretto a mantenersi con una piccola somma mensile. Per vivere si dedica all’arte,
guadagnando notevole notorietà. Nel 1848 partecipa agli eventi politici della rivoluzione e nel
1857 pubblica la raccolta “I fiori del male” (nel 1861 la seconda edizione). Nel frattempo, però, il
fisico del poeta viene minato dall’oppio e dall’hashish, nonché da una malattia che lo condurrà alla
morte nel 1867.

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Al confine tra Romanticismo e Decadentismo
La poesia di Baudelaire segna il passaggio dal Romanticismo al Decadentismo. Egli si avventura ad
esplorare il negativo della modernità cogliendo l’oscura malattia che corrode il mondo moderno:
la sua poesia, infatti, canta il vizio, la corruzione, il male di vivere, la disperazione, il vuoto e la noia
(lo spleen). Non fa parte del Simbolismo/Decadentismo (perché è vissuto prima del loro sviluppo),
ma le sue opere anticipano molte tendenze moderne: il suo linguaggio affida alla parola una
funzione evocativa, scioglie la sua poesia in musica e fa ampio uso dei simboli. La poesia
decadente in Italia è rappresentata essenzialmente da d’Annunzio e Pascoli. Essi hanno ben
presente la lezione dei simbolisti francesi e si muovono sulla loro linea: anch’essi puntano sull’uso
di immagini suggestive, che rimandano ad un misterioso al di là delle cose, conferiscono alla
parola valenze musicali che hanno il sopravvento sulla funzione puramente comunicativa,
impiegano il linguaggio analogico che accosta realtà tra loro distanti e sperimentano nuove forme
metriche inedite.

I fiori del male


L’opera è una raccolta di poesie ed è stata suddivisa (nella seconda edizione del 1861) in sei
sezioni: “Spleen e ideale”, “Quadri Parigini”, “Il vino”, “I fiori del male”, “La rivolta” e “La morte”.
L’opera suscitò enorme scandalo nella critica e nel pubblico, tanto che il tribunale ne ordinò il
sequestro e impose la soppressione di sei testi. Nella prima parte, il poeta, per sfuggire allo spleen
(uno stato di depressione cupa, di noia, di disgusto per il mondo in cui vive), si protende verso
l’ideale, la bellezza, la purezza, ma il tentativo risulta vano ed egli ripiomba costantemente in
basso. Nella sezione “Quadri Parigini” si immerge nello squallido spettacolo della città industriale.
Nelle parti successive il poeta cerca una via di evasione da quelle condizioni: la fuga verso
l’esotico, l’alcol e l’oppio (il vino nella terza sezione), il vizio e la sregolatezza dei sensi (quarta
sezione). Sono ancora tentativi vani, allora, esaurite tutte le possibilità, si rivolge al “grande
viaggio” verso una dimensione sconosciuta: la morte, vista come la possibilità di esplorare l’ignoto.
Il carattere provocatorio della poesia è evidente già dal titolo, perché Baudelaire associa i fiori
(simbolo di bellezza e gentilezza) all’idea del male, del vizio, della corruzione, ad indicare
l’impossibilità ormai di attingere a quell’innocenza nella condizione degradata e disperata a cui la
moderna civiltà ha condannato l’uomo. La raccolta si apre con una poesia rivolta al lettore e punta
a provocarlo: il poeta si presenta come gravato da tutti i vizi più ignobili (tra cui la Noia). Alla fine il
poeta riconosce tutti questi vizi anche nel lettore che invece, ipocritamente, se ne ritiene immune.
Il poeta smaschera così il vero volto del mondo borghese moderno, denunciandone il marciume.
Tale miseria non risparmia neppure il poeta, colui che un tempo si riteneva il depositario dei valori,
investito quasi di una dignità sacrale (ha perso la sua aureola). Dalla consapevolezza che la vita
moderna ha ridotto gli uomini a cose e ha svuotato la vita di tutte le sue ragioni, il poeta sente un
grande senso di Noia, perché nulla vale più la pena di essere perseguito. Il poeta, comunque, sente
il bisogno di purezza, di spiritualità, di elevarsi a Dio, ma l’attrazione del vizio è invincibile. Per
questo si sente diviso da un conflitto tra Cielo e Inferno, da cui l’unica via di uscita è la morte
intesa come viaggio verso un mondo ignoto. Non è più possibile nemmeno un riscatto attraverso
l’amore (come nel Romanticismo con la “donna angelica”) perché la donna è vista come un essere
corporeo destinato alla degradazione fisica. Dall’altro lato appare come la donna demonio,
minacciosa e inquietante, in cerca di vittime da divorare.

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Componimenti
 L’albatro (da I fiori del male – 1859) pag. 288
Temi chiave: la concezione romantica del poeta – il conflitto tra l’intellettuale e la società – la
diversità e l’inettitudine dell’artista
Analisi: Nell’allegoria, l’albatro mentre vola è elegante (“il re dell’azzurro”), ma quando si posa a
terra e cammina appare molto goffo a causa delle sue ali. Così il poeta ha le grandi ali della sua
nobiltà spirituale, della sua capacità intellettuale che gli permettono di spaziare nei cieli della
poesia. Ma, una volta mescolatosi agli uomini comuni, proprio il suo privilegio spirituale lo rende
inadatto alla vita comune e lo trasforma in oggetto di scherno da parte della gente normale
(conflitto artista-società). In una società che trasforma l’opera d’arte in merce di scambio, l’artista,
teso verso l’ideale, appare un diverso, un inadatto. La società lo considera inutile e improduttivo,
lo priva del prestigio quasi sacrale, lo relega ai margini e lo guarda con sospetto. Da questa
diversità si sviluppa nell’artista un oscuro senso di colpa che lo fa sentire come un maledetto. Ma
egli reagisce assumendo la propria diversità come segno di superiorità e nobiltà, rifiuta quel
mondo che non lo comprende e si isola in sé stesso disprezzando la mediocrità borghese.

 Spleen (da I fiori del male – 1857) pag. 292


Temi chiave: il mondo esterno e la dimensione interiore del poeta – speranza e angoscia – l’uso di
immagini violente
Analisi: Questa poesia fa parte della sezione “Spleen e ideale”. Lo spleen è uno stato di
depressione cupa, di noia e di disgusto della vita. Il termine inglese significa propriamente “milza”
(le concezioni mediche antiche ritenevano quest’organo sede della cupezza melanconica). Questa
poesia è costruita su due ordini paralleli di immagini: il mondo esterno e la dimensione interiore
del poeta. Il mondo esterno è caratterizzato da un paesaggio autunnale tetro (il cielo grava come
un pesante coperchio sulla città, la terra viene vista come un’umida cella, le strisce lasciate dalla
pioggia imitano le sbarre di una prigione). La dimensione interiore del poeta, invece, viene
rappresentata attraverso l’uso di alcune figure allegoriche (la Speranza è un pipistrello che sbatte
le ali, l’Angoscia è vista come un feroce vincitore che pianta il suo vessillo nero sul cranio del vinto,
lo Spleen viene rappresentato da lunghi cortei funebri che sfilano nell’anima). La tensione sale
progressivamente, divenendo intollerabile, sino ad un punto di rottura (il clamore delle campane).
Poi si ha una forma di rilassamento della tensione che non è però liberatoria: dopo la crisi, l’io
piomba in uno stato di depressione totale a cui alludono i cortei funebri e l’Angoscia che pianta il
suo vessillo nero.

Il simbolismo
Il simbolismo è l’espressione del Decadentismo in poesia, ed è una corrente poetica nata in Francia
intorno al 1870. Il punto di partenza di questa poetica è costituito, nei "Fiori del Male" di
Baudelaire, dal celebre sonetto Corrispondenze, che si può considerare come il manifesto di una
nuova poetica. In esso la natura è rappresentata come un tempio di "viventi pilastri", da cui, tra
"foreste di simboli", escono "confuse parole". Sul modello di Baudelaire, i poeti simbolisti (tra cui
Paul Verlaine, Arthur Rimbaud e Stéphane Mallarmé) rifiutano la scienza, la visione positivista e
la società attuale basata sul materialismo. Secondo i simbolisti dietro la realtà oggettiva

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immediatamente percepibile si nasconde una realtà più profonda e misteriosa, quindi avviene una
crisi delle certezze (valori in cui si era creduto fino ad allora, come la religione e la scienza). Questo
porta ad uno stato d’animo di stanchezza e di malinconia. Le immagini concrete della realtà
diventato simboli di questa dimensione più profonda e misteriosa. Solo attraverso la poesia si può
giungere a questa dimensione e il poeta è l’unico in grado di decifrare questa realtà, di coglierne i
significati nascosti, simbolici attraverso l’intuizione (spesso i poeti decadenti si abbandonano
all’uso di droghe per esaltare i loro sensi). Il compito della poesia, quindi, non è quello di
descrivere la realtà esterna, né di esprimere sentimenti, idee, messaggi civili. Al poeta spetta il
compito di cantare le zone profonde e segrete della realtà, le misteriose presenze che si agitano
all’interno della natura. I simbolisti non valorizzando la ragione, ma l’intuizione, l’unica in grado di
scoprire il senso nascosto delle cose. Le tematiche trattate sono: temi cupi, malattie, nevrosi,
morte, sensualità morbosa, esaltazione dei sensi e della bellezza estetica. Il simbolismo utilizza
nuove tecniche espressive:
 Analogia: accostamento, anche senza una spiegazione, di immagini e sensazioni. Viene
realizzata attraverso l’uso di
o Metafore: visione simbolica del mondo, dove ogni cosa rimanda ad altro. La
metafora decadente non è regolata da un semplice rapporto di somiglianza tra due
oggetti, ma istituisce legami tra realtà fra loro distanti.
o Simboli: Mentre l'allegoria medievale richiamava concetti ben specifici perché
erano stati già definiti, codificati (es. La lupa di Dante per la cupidigia), l'analogia
simbolista, invece, non rimanda ad immagini specifiche, ma ognuno la può
interpretare in modo diverso.
 Musicalità: le parole valgono come puro suono, che si carica di valori magicamente
evocativi. Nella visione decadente la musica è la suprema fra le arti, proprio perché è la più
indefinita, perché svincolata da ogni significato logico e provoca vere e proprie estasi.
 Sinestesia: associazione di termini appartenenti a sfere sensoriali diverse. Per esempio, un
colore (sensazione visiva) suscita sensazioni uditive, tattili o olfattive.
 Esaltazione dei sensi

Il romanzo decadente
Con il Decadentismo si delinea un tipo di romanzo radicalmente innovativo rispetto al romanzo
realistico ottocentesco. Passa infatti in secondo piano l’interesse per l’intreccio dei fatti mentre
prevale l’analisi del mondo interiore di un singolo personaggio, esplorando con attenzione tutta la
sua complessità, indipendente da ogni ambiente esterno (romanzo psicologico). Al narratore
onnisciente che caratterizzava il romanzo naturalista, si sostituisce una forma narrativa che adotta
l’ottica soggettiva e ristretta di un unico personaggio, attraverso la quale tutti i fatti narrati
vengono filtrati. Le tematiche non sono più legate alla rappresentazione oggettiva e allo studio
scientifico della realtà, ma sono ispirate all’irrazionalismo e all’estetismo decadenti. Le principali
espressioni europee di questa nuova forma di romanzo sono “Controcorrente” di Huysmans e “Il
ritratto di Dorian Gray” di Oscar Wilde. In Italia il modello del romanzo psicologico è ripreso da
d’Annunzio nei suoi primi romanzi (es. “Il piacere” del 1889) in cui la narrazione si concentra quasi
esclusivamente sull’analisi dell’interiorità tormentata dei protagonisti e sfrutta una complessa rete
di immagini simboliche, destinate a dissolversi nello scontro con la realtà esterna. In seguito,

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d’Annunzio caricherà i suoi romanzi di messaggi ideologici, esaltando la figura del superuomo
(elaborata reinterpretando Nietzsche in modo del tutto personale). Al modello del romanzo
psicologico possono essere ricondotti anche i due primi romanzi di Svevo (“Una vita” del 1892 e
“Senilità” del 1898) incentrati su figure di inetti ma, per l’assenza di morbidi compiacimenti e per
l’atteggiamento lucidamente critico dello scrittore, con essi siamo già sostanzialmente fuori dal
clima del Decadentismo, così come con i primi romanzi di Pirandello (“L’esclusa” del 1901 e “Il fu
Mattia Pascal” del 1904) che riflettono l’originale percorso di arte umoristica intrapreso
dall’autore.

Romanzo naturalista e romanzo decadente a confronto


Romanzo Naturalista Romanzo Decadente
La realtà è regolata da La realtà è pervasa dal mistero e
IDEOLOGIA meccanismi spiegabili dall'ignoto; non è conoscibile per
razionalmente via razionale
È costruito su una serie di fatti Le vicende tendono a basarsi su una
INTRECCIO oggettivi, logicamente scarna trama, costituita da eventi
concatenati tra loro soggettivi
Le vicende vedono coinvolta una La narrazione tende a concentrarsi
PERSONAGGI
pluralità di personaggi su un unico protagonista
La psicologia è messa in La psicologia, di solito complessa, è
PSICOLOGIA relazione con l’ambiente sociale analizzata in modo autonomo
e con fattori ereditari rispetto all’ambiente
Viene descritto in modo
Sono descritti solo gli aspetti che
oggettivo e dettagliato
AMBIENTAZIONE permettono di precisare la
l’ambiente sociale di un dato
psicologia del personaggio
momento storico
Sono legati all’irrazionale, al
Sono legati alla realtà sociale
TEMI rapporto tra artista e società, alla
contemporanea
psicologia individuale

Joris-Karl Huysmans
(Parigi 1848 – 1907)
Joris-Karl Huysmans nasce a Parigi nel 1848 da una famiglia di origine fiamminga. Frequenta negli
anni giovanili scrittori naturalisti, tra cui Zola, dei quali condivide inizialmente gli orientamenti. Il
distacco dal Naturalismo è sancito dal romanzo “Controcorrente” (A rebours) del 1884, in cui si
possono notare tutti i capisaldi della visione decadente e che diventerà una vera e propria “Bibbia”
del Decadentismo europeo. Negli anni seguenti Huysmans entra in una profonda crisi mistica e si
avvicina alla religione cattolica. Muore a Parigi nel 1907.

Controcorrente
Il protagonista, Des Esseintes, (l’unico personaggio di questo romanzo) è un aristocratico che
respinge la mediocrità del mondo contemporaneo e si ritira nella splendida e artificiosa solitudine,
fatta di arte e letteratura, di una casa che è fuori dalla città, lontana da quel luogo dove trionfano
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la confusione, l’anarchia e dove si è destinati a perdere la propria identità. Il protagonista si dedica
alla ricerca di piaceri squisiti e raffinati; rifiutando la natura, egli crea per sé una realtà artificiale,
alternativa a quella comune. A causa di questo tentativo, però, Des Esseintes impazzisce ed è
costretto ad abbandonare il proprio rifugio. Quindi, sostituire l’arte alla vita ha come esito la follia
e la sconfitta esistenziale.

Componimenti
 La realtà sostitutiva (da Controcorrente – 1884) pag. 317
Temi chiave: il rifiuto della realtà comune – lo scambio tra finzione e realtà – la malattia e la follia
Analisi: il testo mostra il rapporto del protagonista con la realtà. Secondo lui i piaceri più intensi e
raffinati sono il frutto di un processo di astrazione. La realtà comune viene disprezzata per dare
luogo ad una costruzione del tutto artificiale in cui con la fantasia si riesce a concretizzare ogni
desiderio. Secondo Des Esseintes la natura non può competere con l’uomo che è al pari di un
nuovo Dio, in grado di superarla nelle sue creazioni. Questa esperienza assume così un carattere
malato, diabolico, in quanto, con un gesto di disprezzo, l’uomo rifiuta l’opera della creazione
divina ritenendosi ad essa superiore. La letteratura e l’arte possono sostituire la natura (avviene
uno scambio tra finzione e realtà). Interi capitoli del romanzo sono dedicati alla discussione delle
preferenze estetiche di Des Esseintes. La sua estrema raffinatezza impedisce ogni rapporto con la
vita concreta, consumando ogni desiderio nell’immaginazione. Verso la conclusione dell’opera, il
protagonista si prepara a compiere un viaggio in Inghilterra ma, sul punto di imbarcarsi, torna a
casa convinto di aver già assaporato tutte le esperienze che il viaggio gli avrebbe procurato. La
malattia e la follia rappresentano così l’esito estremo della vicenda di Des Esseintes, come trionfo
e sconfitta del genio decadente.

Oscar Wilde
(Dublino 1854 – Parigi 1900)
Oscar Wilde nasce a Dublino nel 1854. Si laurea ad Oxford a pieni voti e si trasferisce a Londra
dove entra in contatto con i salotti mondani più in vista della città. Si atteggia in pose stravaganti e
grazie ad una campagna di autopromozione diventa uno dei personaggi più discussi del paese.
Wilde è il simbolo del nuovo movimento estetico e il bersaglio polemico per eccellenza di quanti
ad esso rimangono estranei. Viaggia negli Stati Uniti e a Parigi; tornato a Londra si sposa e inizia
un’intensa attività giornalistica. Nel 1891 pubblica “Il ritratto di Dorian Gray”, manifesto
dell’estetismo e del Decadentismo. Scrive anche opere di teatro e “Salomé” è la più famosa (tratta
il tema della donna fatale). A causa di una relazione omosessuale viene condannato a due anni di
lavori forzati nel 1895. La vicenda segna a fondo lo scrittore e ne decreta pressoché la fine. Muore
nel 1900 a Parigi, dove si era trasferito subito dopo aver scontato la pena.

Il ritratto di Dorian Gray


Dorian Gray, un giovane bellissimo di cui il pittore Basil Hallward sta eseguendo il ritratto, desta
l’attenzione di Lord Henry Wotton, che gli rivela il senso della bellezza, bene straordinario ma
transitorio, degno quindi di essere intensamente vissuto. Lasciatosi sedurre da queste teorie,
Dorian si abbandona, in compagnia di Wotton, alla ricerca dei più sfrenati e capricciosi piaceri;

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tuttavia, per un sortilegio, ha ottenuto di poter conservare intatto l’aspetto fisico, mentre si
deturpa e invecchia al posto suo il ritratto. Rimproverato duramente da Basil, lo uccide. Il ritratto
assume fattezze sempre più oscene e Dorian, per far tacere l’atto di accusa della coscienza, lo
squarcia con un coltello. A questo punto muore, trasformandosi nel cadavere di un vecchio
disgustoso, mentre il ritratto riprende il suo antico splendore, conservando intatta la bellezza di
Dorian. Il significato allegorico esalta il valore assoluto dell’arte che trionfa su tutte le brutture
della vita.

Componimenti
 I princìpi dell’estetismo (da Il ritratto di Dorian Gray – 1891) pag. 322
Temi chiave: il culto della bellezza e della forma – la vita come imitazione dell’arte – il rifiuto della
tradizione letteraria
Analisi: Il brano costituisce la prefazione del romanzo e riassume i princìpi su cui si basa
l’estetismo decadente. Lo stile (pieno di aforismi) non è privo di oscurità anche se i punti essenziali
della concezione di Wilde risultano estremamente chiari. Risalta in primo luogo il culto della
bellezza e della forma, considerati come valori fini a sé stessi. L’arte non ha alcuno scopo
educativo e morale. Solo gli eletti possono capirla ed apprezzarla, costituendo quindi il pubblico
ristretto al quale si rivolge l’artista decadente. Rispetto all’opera lo scrittore deve rimanere celato,
nascondersi, perché la sua vita si identifica completamente con l’opera creata. Si afferma anche
che non è l’arte che imita la vita, ma il contrario (la vita come un’opera d’arte).
 Un maestro di edonismo (da Il ritratto di Dorian Gray – 1891) pag. 325
Temi chiave: il valore della bellezza – l’esaltazione del piacere
Analisi: Il testo è sostanzialmente un monologo in cui Lord Henry parla a Dorian dell’importanza
della bellezza. La bellezza viene definita “manifestazione del genio”, superiore al genio stesso in
quanto non può venire contestata. L’esaltazione del piacere è morbosamente collegata alla
corruzione della decadenza. Il rapporto che si stabilisce fra i due giovani sprigiona da un fascino
denso di riferimenti erotici. Tutto il linguaggio, come le sensazioni che esprime, risulta ricercato e
prezioso. Si tratta anche di una scena di seduzione ed iniziazione diabolica, in cui un maestro cinico
e immorale (Wotton), spinge Dorian sulla via del vizio, facendone insieme il discepolo e la vittima.
Wotton esprime le sue teorie sul fatto che la giovinezza dura poco, che bisogna viverla fino alla
fine, perché un giorno si trasformerà in vecchiaia (paura della morte).
Edonista: colui che ricerca il piacere. Esteta: colui che ricerca il bello.

Gabriele d’Annunzio
(Pescara 1863 – Gardone 1938)

La vita
L’esteta
Prima di parlare della vita di d’Annunzio bisogna precisare che quest’ultimo la ha vissuta seguendo
i principi dell’estetismo che possono essere riassunti con “la vita come opera d’arte”. Nato nel
1863 a Pescara da famiglia borghese (il suo cognome originale era “Rapagnetta”, ma lo cambierà
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con quello dello zio), studiò in una delle scuole più rinomate dell’Italia (collegio Cicognini di Prato)
e già nel 1879 pubblica un libretto in versi intitolato Primo vere, già un successo. A 18 anni si
trasferisce a Roma e in seguito abbandona gli studi universitari per poi scappare a Milano a causa
di debiti, in questo periodo collabora con i giornali e nasce in lui la voglia di vivere tra redazioni
giornalistiche e salotti mondani. Nell’immediato futuro tramite la produzione di versi e opere
narrative (contenuti erotici) e una vita piena di avventure, lusso e duelli acquista notorietà. Questa
parte della sua vita è definita come “fase estetizzante” ed è caratterizzata dalla creazione della
maschera dell’esteta e dal rifiuto della mediocrità borghese. In questa fase il poeta concepisce
l’arte come valore supremo cui devono essere subordinati tutti gli altri, compresi quelli morali.
Il superuomo
Negli anni 90 questa fase entra in crisi, qui nasce il mito del superuomo (Nietzsche) caratterizzato
da bellezza, energia eroica e attivismo. Mentre il superuomo arricchiva la poetica e la narrativa,
nella vita d’Annunzio cercava di creare l’immagine della vita eccezionale “il vivere inimitabile” in
pratica significa rinnegare il modo di vivere comune, esempio perfetto di ciò sono le dimore e le
storie sentimentali dell’autore. In realtà molto di tutto ciò nasce dal fatto che l’autore voleva
ritrovarsi al centro della scena pubblica a causa dell’esigenza del sistema economico in modo tale
da poter vendere meglio la sua immagine e i suoi prodotti. In sostanza si può dire che d’Annunzio
era incredibilmente ostile al modo borghese ma nel col tempo faceva di tutto per lusingarlo e
aggradarlo per scopi economici. Ma più passava il tempo più tutto ciò non era abbastanza, nasceva
in lui il desiderio di attivarsi anche a livello politico.
La ricerca dell’azione: politica e teatro
Per quanto riguarda la carriera politica tentò di farsi strada come deputato di destra denigrando i
principi democratici, puntando i suoi sogni verso la ricostruzione di Roma e del suo impero, ciò
non gli impedì pochi anni dopo di passare alla sinistra senza difficoltà in quanto le sue posizioni
estetizzanti a quanto pare si possono adattare in ogni ambito (ricordiamo che odia la borghesia ma
la aggrada scrivendo per loro). Invece, riguardo al teatro, l’autore tentò di sfruttarlo come mezzo
per raggiungere un pubblico più grande, e così diffondere il suo pensiero, nonostante il successo fu
costretto ad abbandonare la patria a causa di forti debiti e si rifugia a Parigi, continuerà comunque
a tenersi in contatto con la patria “ingrata”.
La guerra e Fiume
Durante la prima guerra mondiale d’Annunzio trova il terreno perfetto per far di nuovo parlare di
sé, infatti è riuscito a influenzare molto il popolo italiano con idee interventiste e durante il
conflitto lo si ricorda per le “imprese” della beffa di Buccari (a bordo di un motoscafo “MAS”) e il
volo su Vienna (in aereo lancia volantini di propaganda antiaustriaca). Nel dopoguerra si fece
carico della rabbia per la Vittoria mutilata e occupò la città di Fiume per poi essere cacciato con le
armi. Nell’ultimo periodo della sua vita l’esteta tenterà di guidare la rivoluzione reazionaria, la
quale però seguirà invece Mussolini, in ogni caso i suoi slogan e i modi di pensare influenzeranno
sia il fascismo che lo stile di vita dei borghesi, ma soprattutto le sue opere ispireranno le forme
della nascente cultura di massa per la scrittura di opere finalizzate unicamente al consumo. Venne
confinato dal fascismo nel “Vittoriale degli Italiani” a Gardone dove vi morì nel 1938.

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L’estetismo e la sua crisi
L’esordio
D’Annunzio esordisce seguendo le scie di Carducci e Verga, le prime opere liriche raccolte in Primo
vere e nel Canto novo si rifanno alle odi barbare di Carducci mentre Terra vergine riprende le idee
di Verga di Vita dei campi, inoltre in queste opere caratterizzate dal vitalismo ci sono parti stanche
e mortuarie che richiamano il fascino della morte legando quindi i due pensieri insieme. Quando
arriviamo a Terra vergine si nota che d’Annunzio come Verga descrive la propria terra ma in
questo caso non si parla della lotta per la vita e non è presente la regressione del narratore
verista, ma bensì il mondo descritto è idilliaco ed è possibile notare come il narratore più e più
volte si intrometta all’interno dell’opera. Anche nelle opere successive raccolte nelle Novelle della
Pescara il presupposto di base è quello verista ma in profondità è evidente il collegamento con la
matrice irrazionalistica del Decadentismo.
I versi degli anni ottanta e l’estetismo
Gli anni ottanta sono il periodo in cui viene applicata la formula del Il verso è tutto frutto
dell’estetismo dannunziano, fase preceduta dall’influenza dei poeti maledetti francesi,
praticamente l’arte è il valore supremo e tutto il resto deve essere subordinato, non ci sono più le
leggi del bene e del male ma solo del bello, nasce il culto dell’arte e della bellezza. Qui prende
effettivamente forma il personaggio dell’esteta che si isola dal mondo della borghesia per entrare
in uno dominato dall’arte e dalla bellezza, una figura nella quale d’Annunzio era perfettamente
ritratto, tutto ciò nasce dall’industrializzazione che sta causando un declassamento radicale del
poeta. Nella realtà d’Annunzio, venuto a contatto con la vita delle metropoli, non si accontenterà
di rifugiarsi nel mondo immaginario della letteratura e essere solo lì un’esteta ma bensì farà di
tutto per diventare egli stesso un’esteta reale sfruttando al massimo la sua vita piena di avventure
(scandali e duelli) combinata alla scrittura di opere destinate all’acquisto di massa. Tramite questa
tattica si vuole proporre una nuova immagine dell’intellettuale che anche in questo periodo di
ascesa borghese riesce a vivere in una condizione di privilegio come in passato.
Il piacere e la crisi dell’estetismo
Purtroppo l’esteta non ha la forza per opporsi alla borghesia, qui ci si rende conto della sua
fragilità, il culto della bellezza era una menzogna, l’estetismo entra in crisi. Tutto ciò si percepisce
nel romanzo Il piacere (1889) nel quale il protagonista Andrea, un artista, controparte di
d’Annunzio si trova in questa situazione di crisi causata dal principio di fare della propria vita come
un’opera d’arte che lo sta distruggendo a causa delle poche volontà. In pratica Andrea si trova ad
un bivio dove deve cercare di conquistare una donna fatale (erotica) ma che lo rifiuta, e una donna
angelo, il protagonista dovrà optare forzatamente per l’angelo che in realtà esercita una
perversione più contorta e profonda, alla fine sarà abbandonato da entrambe. Durante tutta
l’opera verrà sempre criticato dal narratore a causa delle poche volontà e alla conseguente ceduta
nei confronti della lussuria, ma è possibile notare che il protagonista ha sempre quel fascino da
intellettuale, ciò ci fa capire che d’Annunzio ancora non ha completamente rinunciato alla sua
ideologia estetista. In questo romanzo vengono gettate le basi del romanzo psicologico in cui non
ci sofferma sugli eventi a cui prendono parte i personaggi, ma bensì sul loro pensiero, sui loro

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processi interiori (altra tendenza fondamentale nel romanzo è quella di costruire illusioni
simboliche sui fatti reali).
La fase della bontà
Dopo il piacere inizia un periodo di incerte sperimentazioni, d’Annunzio subisce il fascino del
romanzo russo. Una fase in cui si dà più credito alle intenzione dell’autore rispetto alla realtà dei
testi, in questa fase definita come bontà, nella quale è compresa la raccolta del Poema
paradisiaco (1893) dove è presente il desiderio di tornare ad essere fanciulli e ai semplici valori
come la famiglia, in realtà più avanti nel testo è presente una traccia di decadentismo francese con
argomenti come il senso di estenuazione, la morte e le atmosfere sfatte temi che nel futuro
saranno sempre ripresi (decennio successivo 1900). Da ricordare che questa “bontà” è una
soluzione alternativa alla crisi (la soluzione principale arriverà grazie a Nietzsche e il superuomo).

I romanzi del superuomo


D’Annunzio e Nietzsche
D’annunzio prende il pensiero di Nietzsche, lo banalizza, e lo forza nel concetto di rifiuto dei valori
borghesi, dei principi egualitari (democrazia), l’esaltazione dell’ebrezza, il rifiuto dell’altruismo e
della pietà, l’esaltazione della volontà di potenza; si afferma il mito del superuomo, un nuovo
tipo di umanità liberata e gioiosa. Secondo i pensieri elencanti prima una nuova aristocrazia
emergerà che saprà tenere schiava tutto il resto della popolazione immeritevole ovvero gli esseri
comuni, per elevarsi a forme di vita superiore si farà uso del culto del bello e dell’esercizio della
vita eroica e attiva, così facendo la stirpe latina si evolverà fino a raggiungere la perfezione. In
sostanza per d’Annunzio il superuomo deve essere interpretato nel senso del diritto di pochi
esseri eccezionali ad affermare sé stessi, e grazie a loro a guida dell’Italia rinascerà il fiorente
impero.
Il superuomo e l’esteta
Il primo non nega l’esistenza del secondo, infatti lo ingloba in sé. In quanto il culto della bellezza è
fondamentale nell’elevazione della stirpe è necessario che queste due figure si uniscano o
perlomeno collaborino: in tal modo l’estetismo non sarà più il rifiuto sdegnoso della realtà, ma lo
strumento di una volontà di dominio sulla realtà. Quindi possiamo dire che l’eroe d’annunziano
non si accontenta più di vagheggiare la bellezza in una dimensione appartata, rifugiandosi dalla
vita sociale, ma si adopera tramite essa ad imporre il dominio di una élite violenta e raffinata, sul
mondo vile e meschino come quello borghese. Sia il superuomo che l’esteta sono dei tentativi di
reagire alla tendenza della società moderna di emarginare l’autore, solo che il secondo ha un ruolo
più passivo in quanto si chiude nel suo mondo e cerca di condividerlo mentre il primo ha una
funzione di guida nella realtà, eseguendo compiti pratici e seguendo una missione politica precisa
(per adesso alquanto vaga). Un’altra differenza è che l’esteta soccombe alla realtà dominante
mentre il superuomo con la sua violenza antiborghese è in grado piegare la realtà al suo volere,
offrendo idee che si accordano con le tendenze dell’imperialismo, del militarismo aggressivo e del
colonialismo. D’Annunzio rispecchia questa figura dominante ambendo a rovesciare la società e
attribuendosi il ruolo di profeta di un nuovo ordine: l’artista grazie alla sua attività individuale
deve essere in grado di aprire le porte all’élite che porrà fine al caos del liberismo borghese, della
democrazia, dell’egalitarismo, e di tale élite deve egli stesso dovrà farne parte. La differenza
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fondamentale dalla fase dell’estetismo è che l’immaginario non rimane più nella letteratura ma
entra a far parte della vita reale.
Il trionfo della morte
A questo punto esce il trionfo della morte (1894), che rappresenta una fase di transizione dove la
nuova figura mitica non si è ancora realizzata. In questa opera troviamo un esteta che è alla ricerca
di un nuovo senso della vita, che permetta di attingere alla pienezza e all’equilibrio. Si nota che
d’Annunzio cerca per l’intellettuale una nuova definizione che deve essere libera dal peso del
vittimismo e della sconfitta. In prenda alla crisi per trovare la nuova figura mitica, (il superuomo)
l’eroe(l’esteta) cerca conforto nella famiglia dove però riaccende i conflitti con il padre ma allo
stesso tempo ricorda la figura dello zio morto suicida e simile a lui, da qui nasce nell’intellettuale la
voglia di tornare nel paese di origine dove riscopre le sue tradizioni, la sua gente, le credenze
superstiziose e il fanatismo religioso. Da questa riscoperta l’esteta rimane inorridito e turbato,
fallendo cosi la ricerca per trovare soluzione alla crisi. Anche in seguito quando la soluzione
sembra star arrivando col superuomo di Nietzsche, le forze oscure della psiche manifestate in
forma di donna divorano le forze dell’esteta con la lussuria. A questo punto prevalgono in lui le
forze negative della morte, e alla fine del romanzo l’eroe si uccide trascinando con sé anche la
nemica (la donna della lussuria). Il sacrificio dell’eroe funge da rituale per liberale d’Annunzio da
tutte le problematiche negative che lo affliggono, con la soppressione di quell’alter ego in cui
proietta la parte oscura e maledetta di sé, lo scrittore si sente pronto ad affrontare un nuovo
cammino, il cammino del superuomo, colui che non è più vittima tormentata ma energico
dominatore.
Le vergini delle rocce
Con questo romanzo si ha la svolta radicale, si passa dal personaggio debole all’eroe forte che
arriva senza esitazione alla sua meta (è stato definito il manifesto politico del superuomo). Il
protagonista della vicenda, stanco della borghesia e del liberalismo, decide di compiere in sé
l’Ideal tipo latino per generare il superuomo, il futuro re di Roma che guiderà l’Italia. Tutte quelle
tematiche negative come la morte e la decadenza qui si trovano nel lato positivo in quanto sono
elementi che esaltano l’affermazione della vita, all’azione eroica. Oramai l’eroe, il superuomo, è
consapevole che queste forze disgregatrici non possono nulla contro di lui, come al contrario
avevano fatto fallire i precedenti intellettuali del passato, oramai tutto gli è permesso, può
affrontare qualsiasi cosa grazie alla sua volontà. Anzi sono quelle forze negative (come citato
prima) che possono alimentare i suoi disegni. Allora come vediamo nel romanzo il protagonista
che può fare tutto cerca la propria compagna in mezzo alla decadenza, in questo scenario si trova
a dover scegliere quale tra tre sorelle sarà la sua futura meta, l’eroe sicuro di sé, si cala
nell’impresa. Però alla fin fine anche il superuomo esce sconfitto non riuscendo a vincere nessuna
delle tre donne, da qui capiamo che nonostante i loro poteri i protagonisti dannunziani escono
sempre sconfitti e deboli incapaci di tradurre le loro aspirazioni in azioni. Da ricordare che questo
romanzo è il primo di tre (ciclo del giglio), e nei due successivi l’eroe avrebbe dovuto trionfare, ma
non furono scritti quindi l’unico presente si conclude con la disfatta.

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Il fuoco
Il romanzo che può essere considerato manifesto del superuomo d’annunziano, qui il protagonista
(superuomo) vuole creare un nuovo teatro per forgiare la stirpe latina, ma nel suo percorso
incontra un’attrice in decadenza che lo trascina con sé nel baratro (ha preso spunto dalla relazione
con Eleonora Duse). Quindi anche in questo caso il superuomo non è in grado di realizzare i propri
obbiettivi, nonostante ciò, c’è da precisare che qui la forza maligna ovvero la donna si sacrifica
uscendo per sempre dalla vita dell’eroe ma nonostante tutto egli non riuscirà ugualmente a
perseguire i suoi ideali fino a realizzarli.
Forse che si forse che no
Finalmente arriviamo al punto in cui l’eroe riesce a realizzarsi, in questo romanzo celebratore della
macchina il protagonista vuole realizzare il suo desiderio di volare, un desiderio ostacolato ancora
una volta da forze maligne, la donna sensuale e perversa, tuttavia quando il protagonista sembra
soccombere a codesta trova la sua via di liberazione: mentre cerca la morte con un’impresa
impossibile sicuro di precipitare con l’aereo, trova la forza di vivere e riesce a compiere l’impresa
atterrando sulla costa. Finalmente il superuomo è in grado di vincere il destino.
Le nuove forme narrative
 Trionfo della morte: romanzo psicologico incentrato sulla visione soggettiva del
protagonista e sull’esplorazione della sua coscienza. Si può dire che l’interra vicenda si
svolge tutta dentro la mente dell’eroe e se gli eventi risultano esterni vengono offerti solo
mediante la coloratura ad essi conferiti dalla sua ottica. Tale impostazione narrativa è
necessaria per l’eroe scelto da d’Annunzio, debole, che rifiuta il mondo sociale, e si chiude
nel suo io: per questo è necessario che la vicenda si svolga tutta nella sua mente. Questa
forma del romanzo assume dunque che il protagonista sia un inetto corroso nelle sue forze
vitali; inoltre viene utilizzato molto il simbolismo;
 La vergine delle rocce: La narrazione sfuma in un clima mitico e favoloso, lontano da ogni
riferimento reale. Alterna parti oratorie a parti dominate dal simbolismo;
 Fuoco: lunghe discussioni e meditazione dei protagonisti, analisi psicologiche dei rapporti e
uso copioso del simbolismo;
 Forse che si forse che no: riprende moduli più romanzeschi, un intreccio più drammatico.
Anche in questo caso prevale la dimensione simbolica.

Le opere drammatiche
D’Annunzio per rivolgersi alle moltitudini sfrutta il teatro, un più potente strumento di diffusione
del verbo superomistico per dare un contributo a risaldare la coscienza della stirpe latina. Nelle
sue opere rifiuta le ideologie borghesi per invece concentrarsi su quelle drammatiche, infatti
questo è un teatro di poesia che riporta in vita l’antico spirito tragico che rappresenta personaggi
d’eccezione, passioni e conflitti psicologici fuori dal comune, e che al tempo stesso si regga su
una complessa trama simbolica. Gli argomenti delle opere sono spesso attinti dalla storia o dal
mito classico, ma sono anche presenti drammi ambientati nel presente (che si tengono lontani
dalla prosaicità (mancanza di finezza) borghese), ovviamente per quanto d’Annunzio dispregi la
borghesia farà ugualmente opere dedicate a loro recuperando il tragico dal mondo borghese

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moderno. In queste tragedie ricorre sempre la tematica superomistica, abbiamo sempre l’eroe
superuomo pronto all’azione che si scontra contro le forze di segno opposto che si identificano
nella donna che ostacola la sua missione o nella borghesia meschina.

Le laudi
Il progetto
In contemporanea all’approdo dell’ideologia superomistica, d’Annunzio progetta ambiziose
costruzioni letterarie con il fine di diffondere il verbo del vate, vuole affidare la sua visione a sette
libri lirici di Laudi del cielo del mare della terra e degli eroi: un progetto di celebrazione totale
che esaurisce tutto il reale. Ne pubblica immediatamente tre (Maia, Elettra, Alcyone), in seguito
un quarto viene formato (Merope) mettendo insieme le opere dedicate all’impresa della Libia,
postumo fu aggiunto un quinto libro che comprende le poesie della prima guerra mondiale
(Asterope), gli ultimi due non verranno mai scritti.
Maia
In realtà non si tratta di una raccolta di liriche ma bensì di un lungo poema unitario di oltre 8000
versi, tutti liberi. Il carattere intrinseco del poema è profetico, pervaso di slancio dionisiaco e
vitalismo, cerca di racchiudere tutte le diverse forme della vita e del mondo. Il poema è la
trasfigurazione di un viaggio realmente compiuto da d’Annunzio (in Grecia), che tramite
l’immersione nel passato mitico è in grado di trovare la bellezza e la forza d’azione anche nel
mondo moderno delle metropoli, il poeta arriva così ad inneggiare ad aspetti tipici della modernità
quali il capitale, la finanza internazionale, i capitani d’industria, le macchine, poiché esse
racchiudono in sé possenti energie, che possono essere indirizzate a fini eroici e imperiali. Ora
anche le masse operaie vengono inneggiate come serbatoio di energia nelle mani del superuomo.
Una svolta radicale
Dopo Maia, d’Annunzio scopre una segreta bellezza del mondo moderno, l’epica delle grandi
imprese finanziare e industriali, la grandezza degli apparati tecnologici, delle macchine, delle
masse sterminate, la forza travolgente ma grandiosa del capitalismo. Ore il poeta si vuole
proporre come vate della realtà borghese, l’unica paura che lo attanaglia è quella di essere messo
da parte perché questo mondo moderno cerca di emarginarlo e dimenticarlo. Ciò che distingue
d’Annunzio dagli altri poeti della sua epoca che si rifugiavano dalla modernità, è che lui al
contrario su di essa si costruisce infiniti sogni di onnipotenza. Ora l’esteta canta le grandiose gesta
dell’era moderna con entusiasmo, mentre allo stesso tempo lotta contro i processi che tendono ad
annientare la sua figura. Si può dire che d’Annunzio tradisce il vero sé stesso, quello decadente,
auspicando invece di diventare il cantore dell’attivismo eroico della modernità.
Elettra
In questo secondo libro trova posto la propaganda politica diretta. Parlando del passato epico, del
futuro glorioso e del presente da riscattare per l’Italia, d’annunzio si propone come vate di futuri
destini imperiali, coloniali e guerreschi italiani.

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Alcyone
Libro differente dai precedenti, qui al discorso politico si sostituisce il tema lirico della fusione
panica con la natura, e all’azione energica con un comportamento di evasione e contemplazione.
Con questa opera si vuole celebrare l’estate e il suo valore simbolico, ovvero il periodo più
rigoglioso della vita di un uomo e all’energia dell’aspirazione artistica. Il libro è diviso in 5 sezioni,
ognuna delle quali è caratterizzata da un riferimento a un momento stagionale, da
un’ambientazione naturale-paesaggistica e da uno stato d’animo.
 Prima stagione: vengono lodati gli elementi della natura (passaggio da primavera a estate)
 Seconda stagione: celebrazione del rapporto panico tra uomo e natura, il primo si identifica
con il secondo (esplosione dell’estate)
 Terza stagione: panismo e teoria del superuomo si mescolano (estate piena)
 Quarta stagione: tramonto dei miti della ricchezza, sopravvivono solo quelli della poesia e
dell’arte (estate culminante – presagi dell’autunno)
 Quinta stagione: domina l’idea del rimpianto e della fuga del tempo (fine estate)
Il tema principale individuabile è quello del superuomo che ha la capacità di fondersi con la natura,
di perdere la propria identità, circoscritta e limitata, per assumere in modo panico l’identità del
paesaggio circostante.

Il periodo notturno
Dopo un incidente durante un’operazione bellica, d’Annunzio perse temporaneamente la vista. In
questo periodo abbandona le ampie architetture romanzesche e si avvicina alla prosa lirica di
argomento autobiografico e dal registro stilistico più misurato. Quest’ultima fase è caratterizzata
da nuovi temi quali i ricordi di infanzia e le sensazioni fuggevoli, contornati da pensieri
sull’inquietudine, la perplessità e la morte più forti che mai.

Componimenti
 Andrea Sperelli ed Elena Muti (da Il piacere – 1889) pag.351
Temi chiave: la critica dell’estetismo – la sensualità e il vizio
Riassunto: La donna amata dal protagonista lo abbandona a causa del denaro per maritarsi con un
ricco e viziato facoltoso. Il protagonista nel descriverla con pregio, allo stesso tempo descrive
anche sé stesso.
Analisi: inizialmente ci si trova di fronte a un discorso diretto del protagonista, in seguito il
narratore interverrà pronunciando giudizi su di lui. La critica si dirige nei confronti dell’estetismo
con il protagonista che costantemente durante la vita odierna sovrappone ciò che lo circonda con
le costruzioni estetiche, la perversione dell’esteta. Ora il protagonista arriva a mettere a nudo la
menzogna che si cela dietro tali sublimazioni estetizzanti, egli maschere i bisogni erotici della
carne, gli impulsi sensuali più materiali e volgari. Si misura qui con chiarezza come l’immagine
dell’esteta entra in crisi, e d’Annunzio insoddisfatto, voglia prendere le distanze da essa,
denunciandone le mistificazioni e le intime debolezze. In realtà ancora l’autore è fortemente
attratto dall’esteta infatti la critica si mescola a un’ambigua venerazione dell’eroe.

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 Una fantasia “in bianco maggiore” (da Il piacere – 1889) pag.354
Temi chiave: la donna sensuale e la donna pura – le fantasie erotiche del protagonista espresse in
termini sacrali – una trama simbolica – l’interiorità del personaggio
Riassunto: incontro in carrozza tra Andrea e Elena su invito di quest’ultima (Andrea attende
vanamente la donna).
Analisi: ritorna la critica fatta alle perversioni dell’esteta. Emerge la doppia prospettiva, ovvero
quella del narratore che descrive dall’esterno l’interiorità del personaggio e la prospettiva del
personaggio stesso. Contrariamente a prima (un ritratto allo specchio) le parole dell’autore non
sono una ferrea critica ma emerge in d’Annunzio nei confronti del suo eroe una sintonia che dà
credito alle sue menzogne, legittimandole in quanti poesia. Anche in questo caso d’Annunzio
risulta essere ancora affascinato dalla figura dell’esteta. L’autore e l’eroe si trovano in sincronia nei
loro pensieri. È presente anche la perversione religiosa per la profanazione sacrilega della donna
angelo, un peccato.

 Il programma politico del superuomo (da Le vergini delle rocce – 1895) pag.365
Situazione: riflessioni del protagonista sulla società presente e sul compito dell’élite aristocratica e
degli intellettuali
Temi chiave: l’intellettuale superuomo – la critica alla società borghese – la potenza imperiale di
Roma – la difesa della bellezza
Analisi: Il brano è caratterizzato dall’orazione singola del protagonista, che mira a proporre un
programma politico. Il suddetto protagonista non è più solo un esteta, vuole essere anche uomo
d’azione. Per d’Annunzio l’artista non si deve più isolare ma deve lanciarsi nella folla finalizzare la
sua elevazione spirituale e modellare la realtà a suo piacimento. Quindi l’estetismo non viene
eliminato ma viene ripreso e inserito in una nuova struttura ideologica. Nell’oratorio il
protagonista esprime il suo disprezzo per la realtà borghese, la democrazia e l’egualitarismo. Viene
vagheggiata una società gerarchica e autoritaria dove un’élite aristocratica domina sui plebei, e
che grazie ad essa, per mezzo dello stato come strumento per garantire il dominio della classe,
possa risaldare lo stato stesso, per poi ridare a Roma la sua potenza imperiale. Gli intellettuali in
tutto questo devono difendere attivamente gli ideali di bellezza e aiutare questa élite a prendere il
comando per poi entrare a farne parte

 La pioggia nel pineto (da Alcyone – 1902) pag.384


Temi chiave: la trasformazione della poesia in musica – la corrispondenza tra la parola poetica e
l’essenza segreta delle cose – l’intima fusione tra uomo e natura – il richiamo di una vita
oltreumana
Analisi: La destinataria della poesia è Eleonora Duse (chiamata Ermione nel brano). Al centro di
tutto il discorso si pone il tema panico dell’identificazione del soggetto umano con la vita vegetale,
che torna insistente, sviluppato con numerose variazioni. Le rime sono libere, la parola è usata più
per la sua musicalità che per il significato, e la corrispondenza parola-natura è realizzata in un
accordo di suoni, di rime interne.

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Giovanni Pascoli
(San Mauro di Romagna 1855 – Bologna 1912)

La vita
Nasce nel 1855 in una piccola famiglia borghese rurale, la vita procede tranquilla fino alla morte
del padre per assassinio, una morte di cui non saranno mai svelati i colpevoli, da qui nasce in
Pascoli un potente senso di ingiustizia bruciante. Successivamente iniziarono una serie di
spostamenti in varie città per motivi economici infatti i fratelli di Pascoli cominciarono a lavorare.
Purtroppo la sfortuna continua e muoiono la madre, una sorella e due fratelli. Studiò al collegio
degli Scolopi di Urbino dove ottenne una formazione rigorosamente classica, purtroppo per le
difficoltà economiche dovette lasciare il collegio ma grazie alla generosità di uno dei suoi
professori fu in grado di continuare i suoi studi nel collegio degli scolpi di Firenze. Nel 1973 grazie
al brillante esito di un esame (nella commissione c’era Carducci) ottenne una borsa di studio per
l’università di Bologna. Durante l’università si avvicino al socialismo e durante una rivolta fu
arrestato, in questo periodo decide di lasciar stare la politica militante restando comunque fedele
agli ideali umanistici socialisti: la fraternità tra gli uomini (e la bontà). Dopo essersi laureato inizia
a insegnare nei licei e vive con le due sorelle ricreando il nido famigliare andato distrutto con la
morte del padre. La chiusura gelosa nel nido rivela la fragilità della struttura psicologica del poeta,
che fissato nei traumi infantili cerca riparo nel nido da quel mondo esterno ricco di minacce, il
mondo degli adulti. In tutto ciò rimangono vivi anche i legami con i morti che non gli permettono
di relazionarsi con la realtà esterna. Tutta questa serie di legami inibisce anche il rapporto con
“l’altro” non permettendo al poeta di creare il vero nido della sua famiglia in quanto è ancora
troppo legato al nido infantile. Ogni esigenza affettiva è soddisfatta dal rapporto con le sorelle
infatti quando una di esse si sposa, Pascoli lo vive come un tradimento creando in lui depressione.
Dopo il matrimonio si trasferisce in campagna che ai suoi occhi rappresenta l’eden, con l’ultima
sorella, cosi da scappare dalla vita cittadina di cui aveva terrore, in questo periodo esternamente il
poeta sembra tranquillo e rilassato ma internamente è pieno di timori e angosce per gli imminenti
cataclismi storici in arrivo (prima guerra mondiale), creando nella sua mente una presenza
ossessiva della morte. La fama di Pascoli inizia a crescere in modo esponenziale dal 1892
vincendo per ben 12 anni di fila la medaglia d’oro al concorso di poesia latina di Amsterdam.
Negli ultimi anni iniziò a gareggiare con Carducci e d’Annunzio nella funzione di poeta civile come
vate scrivendo testi politici/civili e tenendo discorsi in pubblico. Mori successivamente di cancro
nel 1912 a Bologna.

La visione del mondo


La crisi della matrice positivistica
La formazione fu essenzialmente positivistica, ciò è comprensibile in quanto nei suoi versi usa
spesso nomenclature ornitologiche botaniche, nei testi sull’astronomia si ispira alla cognizione
scientifica del tempo e nei testi sugli uccelli trae informazioni sulla loro vita da fonti scientifiche.
Anche in Pascoli si riflette la crisi della scienza di fine secolo, segnata dell’esaurirsi del positivismo
e dall’affermarsi di tendenze spiritualistiche e idealistiche. Per il poeta oltre i limiti dell’indagine
scientifica si apre l’ignoto, il mistero, inconoscibile, verso cui l’anima si pretende ansiosa, tesa a

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captare i messaggi enigmatici che ne provengono. A questo punto la visione del mondo
pascoliana appare frammentata e disgregata. Le sue componenti (del mondo) si allineano nella
pagina in modo casuale e non si compongono mai in un disegno unitario e coerente. Non
esistono neppure gerarchie d’ordine fra gli oggetti (il piccolo si mescola con il grande – il
particolare viene ingigantito e viceversa), ciò ha riflessi di grande portata sulla costruzione dei
testi, sulle strutture logico-sintattiche e ritmiche, sulle parole scelte per disegnare oggetti.
I simboli
Gli oggetti materiali hanno un rilievo fortissimo nella poesia pascoliana, i particolari fisici, sensibili
sono filtrati attraverso la peculiare visione soggettiva del poeta e in tal modo si caricano di valenze
allusive e simboliche, rimandano sempre a qualcosa che è al di là di essi, all’ignoto di cui sono
come messaggi misterioso e affascinanti. Data questa soggettivazione del reale si può dire che
allora il mondo è visto attraverso il velo del sogno e perde ogni consistenza oggettiva, le cose
sfumano le une nelle altre, in un gioco di metamorfosi tra apparenze labili e illusorie. Si
instaurano cosi legami segreti fra le cose che solo abbandonando la logica positivistica possono
essere colti. La conoscenza del mondo avviene attraverso strumenti interpretativi non razionali.
Per Pascoli tra io e mondo esterno, tra soggetto e oggetto non sussiste quindi vera distinzione, la
sfera dell’io si confonde con quella della realtà oggettiva.

La poetica
Il fanciullino
Da questa visione scaturisce la poetica pascoliana, che trova la sua formulazione nel saggio Il
fanciullino del 1897. L’idea centrale è che il poeta coincide con il fanciullo che sopravvive
all’interno di ogni uomo, un fanciullo vede tutte le cose con ingenuo stupore e meraviglia. Il
fanciullo deve dare il nome alle cose come Adamo, e in presenza di questo mondo novello deve
usare novelle parole (nuove), un linguaggio che si sottragga ai meccanismi mortificanti della
comunicazione abituale e sappia andare nell’intimo delle cose. Da questa metafora si scorge una
concezione ancora romantica ma che Pascoli piega ormai in direzione decadente. L’atteggiamento
irrazionale e intuitivo del fanciullo consente quindi una conoscenza profonda della realtà,
permette di cogliere direttamente l’essenza segreta delle cose, e le relazioni più ingegnose tra di
esse. Il poeta, il fanciullo è praticamente un veggente.
La poesia “pura”
In questo quadro culturale si colloca anche la concezione della poesia “pura”: per Pascoli il poeta
non deve avere fini pratici ma deve cantare solo per cantare. Tuttavia precisa il poeta che la
poesia senza aggettivi ovvero poesia pura, assolutamente spontanea, può ottenere effetti di
utilità morale e sociale. Il sentimento poetico infatti, dando voce al fanciullo, esso sopisce gli odi e
induce alla bontà. Nella poesia pura del fanciullino è quindi implicito un messaggio sociale di
utopia umanitaria, che invita all’affratellamento di tutti gli uomini. Questo rifiuto della lotta tra
classi si trasferisce al livello dello stile infatti Pascoli ripudia i principi aristocratici del classicismo
(che accetta solo gli oggetti elevati aulici) e dice che la poesia è anche nelle piccole cose. A questo
principio Pascoli si attiene fedelmente nella sua attività poetica, proponendosi sia come cantore
delle realtà umili sia come celebratore della gloria nazionale.

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L’ideologia politica
L’adesione al socialismo
In Pascoli è presenti una concezione di tipo socialista umanitario e utopico, che affida alla poesia
la missione di diffondere amore e fratellanza. Durante gli anni universitari subì l’influenza delle
ideologie anarchico-socialiste. L’adesione all’anarchismo e al socialismo era un fenomeno diffuso
tra gli intellettuali del tempo. Essi si sentivano minacciati dallo sviluppo industriale e alla tradizione
culturale umanistica si sostituivano i nuovi saperi scientifici e tecnologici. A ciò si univa il
risentimento e la frustrazione per i processi di declassazione a cui il ceto medio tradizionale era
sottoposto dall’organizzazione moderna della produzione. In questo quadro sociale rientrava la
figura del giovane Pascoli, proveniente dalla piccola borghesia rurale, declassato e impoverito che
trasformava in rabbia e in impulsi ribelli contro la società, l’emarginazione di cui era vittima.
Pascoli sentiva gravare su di sé anche il peso di una grande ingiustizia, l’uccisione del padre, al
quale si aggiunse lo smembramento della famiglia, i lutti e la povertà. Tutto ciò gli sembrava fosse
l’effetto di un meccanismo sociale contro cui era necessario lottare; aderì quindi
all’internazionale socialista. Questo movimento politico non aveva basi ideologiche
particolarmente definite, il suo impegno politico obbediva più al “cuore” che alla “mente”. Dopo
l’adesione di Pascoli, la sua militanza attiva si scontrò ben presto con la repressione poliziesca.
Venne arrestato per una manifestazione antigovernativa, tenuto qualche mese in carcere e
successivamente processato. Per lui fu un’esperienza terribile, quando venne assolto decise di
abbandonare ogni forma di milizia attiva.
Dal socialismo alla fede umanitaria
Nel 1879 Pascoli abbandonò il pensiero di Bakunin per affiancarsi a quello di Marx. Però l’animo di
Pascoli che rifiutava i conflitti violenti e sognava un affratellamento di tutti gli uomini di tutte le
classi non poteva tollerare alcuni principi marxisti come la lotta di classe e lo scontro violento. Il
poeta non rinnegò gli ideali socialisti, ma rifiutando la dottrina marxista, li trasformò in una fede
umanitaria, nutrita di elementi provenienti dal cristianesimo; per lui il socialismo era un appello
alla bontà, all’amore, alla fraternità, alla solidarietà fra gli uomini. Alla base c’era un pessimismo
radicale, la convinzione che la vita umana non è che dolore e sofferenza, che sulla terra domina
solo il male, per questo gli uomini devono cessare di farsi del male fra di loro, amarsi e soccorrersi
a vicenda. Dal cristianesimo primitivo Pascoli traeva la concezione del valore morale della
sofferenza, che purifica ed eleva. Le vittime del male del mondo sono creature privilegiate, perché
la sofferenza le rende moralmente superiori. Per questo non bisogna abbandonarsi agli odi, ai
rancori e al desiderio di vendetta: il dolore deve insegnare il perdono.
La mitizzazione del piccolo proprietario rurale
Tali principi dovevano valere tra gli individui e nei rapporti tra le classi; ogni classe doveva
conservare la sua fisionomia e la sua collocazione nella scala sociale, ma doveva collaborare con
le altre. Bisogna quindi evitare il desiderio di ascesa sociale, che poteva generare scontri,
frustrazione e infelicità. Secondo Pascoli il segreto dell’armonia sociale consiste nel fatto che
ciascuno si accontenti di ciò che ha; il suo ideale di vita si incarna nell’immagine del proprietario
rurale, che coltiva la terra e guida con saggezza la sua famiglia. La proprietà per il poeta è un
valore sacro e intangibile; ma il poco è preferibile al molto e il piccolo al grande; la felicità è

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possibile solo nella dimensione del piccolo podere, Pascoli mitizza il mondo dei piccoli proprietari
agricoli come mondo sereno e saggio, fortezza dei valori fondamentali come la famiglia,
solidarietà e laboriosità. Era un mondo che negli anni di Pascoli stava scomparendo, sostituito dal
capitalismo. Il piccolo proprietario era sostituito da banche e grandi società.
Il nazionalismo
Il fondamento dell’ideologia di Pascoli è la celebrazione del nucleo familiare, che si raccoglie
entro la piccola proprietà, cementato dagli effetti, dai dolori e dai lutti. Ma questo senso della
proprietà del “nido”, si allarga ad inglobare l’intera nazione, si collocano qui le radici del
nazionalismo pascoliano. Per questo egli sente con tanta partecipazione il dramma
dell’emigrazione, che in quegli anni tocca cifre altissime. La tragedia dell’immigrazione induce
Pascoli a far proprio un concetto, esistono nazioni ricche e potenti (capitalistiche) e nazioni
deboli e povere (proletarie), tra cui l’Italia, che deve esportare mano d’opera nei paesi stranieri ed
essere schiavizzata, le nazioni “proletarie” hanno il diritto di cercare la soddisfazione dei loro
bisogni, anche con la forza. Pascoli arriva ad ammettere la legittimità delle guerre delle nazioni
proletarie per le conquiste coloniali, in modo da dar terra a lavoro ai loro figli più poveri. In tal
caso, si tratta di guerra di difesa, e pertanto sacrosante. Sulla base di questi principi Pascoli arriva a
celebrare la guerra di Libia come un momento di riscatto della nazione italiana. In tal modo
Pascoli fonde insieme socialismo umanitario e nazionalismo colonialistico.

I temi della poesia pascoliana


Gli intenti pedagogici e predicatori
Nonostante Pascoli sia inserito perfettamente nell’ambito culturale del decadentismo, egli sia
nella figura di intellettuale che nella sua vita quotidiana, è l’esatto contrario del poeta “maledetto”
che rifiuta la normalità borghese ed esibisce atteggiamenti di rottura nei confronti dei suoi
valori. Pascoli incarna l’immagine del piccolo borghese, chiuso nella sfera degli affetti domestici e
degli studi. Una parte consistente della poesia di Pascoli è destinata alla funzione di proporre una
visione di vita basata sulla celebrazione del piccolo proprietario rurale soddisfatto per la sua
piccola proprietà che vive contento nella sua piccola casa; in questa poesia, che ha un intento
pedagogico, moralistico e sociale, Pascoli invita ad accontentarsi del poco, senza che ci siano de
conflitti tra le classi sociali, ma che ci sia un clima di cooperazione e concordia fraterna. A questo
filone “ideologico” della poesia pascoliana appartiene anche la produzione sociale e umanitaria, il
sogno di un’umanità affratellata, che nella solidarietà trovi anche consolazione al male di vivere.
I miti
Questa predicazione si avvale anche di miti, impiegati per il loro valore suggestivo; il fanciullo che
rappresenta la nostra parte più ingenua e buona può garantire la fraternità degli uomini; il nido
familiare protettivo, in cui i componenti si possono stringere per trovare conforto e riparo.
Affrontando in poesia questi temi Pascoli interpretava la visione della vita e i sentimenti di
larghi strati della popolazione italiana; la prova di questa sintonia tra poeta è la sua fortuna
scolastica; data la leggerezza dei temi, l’insistenza su figure e situazioni infantili e il linguaggio
spesso semplice, il poeta fu prediletto dalla scuola elementare e tanti bambini impararono a
memoria i suoi versi. Questa immagine di Pascoli fu accolta dalla critica, che parlò a lunga di poeta
delle piccole cose, della natura campestre e degli affetti familiari, del poeta fanciullo.
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Il grande Pascoli decadente
Al di là del poeta pedagogo (persona incaricata dell’istruzione dei fanciulli) si delinea un
grandissimo poeta dell’irrazionale, capace di raggiungere profondità mai viste prima. In questo,
Pascoli è più radicale di d’Annunzio, le cui intuizioni sono soffocate dal peso degli intenti
ideologici e propagandistici, dalla soggezione ad una tradizione di dignità formale ed aulica; perciò
il poeta fanciullo può essere ritenuto il nostro scrittore più decadente, riconoscendo al termine
un valore culturale del tutto positivo.

Le soluzioni formali
Il modo nuovo di partecipare il reale si traduce, nella poesia pascoliana, in soluzioni formali
innovative che aprono la strada alla poesia novecentesca.
La sintassi
L’aspetto che colpisce di più è quello sintattico. La sintassi di Pascoli è diversa da quella
tradizionale poetica italiana, che era modellata sui classici e fondata su gerarchie di proposizioni
principali, coordinate e subordinate; nei suoi testi poetici, invece, la coordinazione prevale sulla
subordinazione, ci sono brevi frasi allineate senza rapporti gerarchici tra loro, spesso collegate
per asindeto. Di frequente le frasi mancano del soggetto, o del verbo, o assumono la forma dello
stile nominale. La frantumazione pascoliana rivela il rifiuto di una sistemazione logica
dell’esperienza, il prevalere della sensazione immediate, dell’intuizione, dei rapporti analogici e
suggestivi. È una sintassi che traduce la visione del mondo pascoliana, una visione alogica. La
conseguenza è che gli oggetti comuni, visti attraverso quest’ottica, appaiono come immersi in un
sogno.
Il lessico
Al livello del lessico si possono osservare fenomeni analoghi. Pascoli mescola tra loro codici
linguistici diversi, allinea termini dai settori più disparati. Troviamo nei suoi testi termini preziosi
e aulici, della lingua dotta, o ricavati dai modelli antichi; termini gergali e dialettali, tratti dal
linguaggio dei contadini; una minuziosa terminologia botanica ad indicare le verità di alberi, fiori e
uccelli; termini quotidiani del parlato colloquiale; parole provenienti da lingue straniere.
Gli aspetti fonici
Grande rilievo hanno poi gli aspetti fonici, cioè i suoni che compongono le parole. In prevalenza
sono riproduzioni onomatopeiche di versi d’uccelli o suoni di campane; al di là delle vere e
proprie onomatopee, i suoni usati da Pascoli possiedono un valore fonosimbolico, tendono ad
assumere un significato di per sé stessi, senza rimandare al significato della parola.
La metrica
La metrica pascoliana è apparentemente tradizionale, nel senso che impiega i versi più usati nella
poesia italiana, endecasillabi, decasillabi, novenari, settenari, ecc., e gli schemi di rime e le strofe,
rime baciate, alternate, incatenate, terzine, quartine. Ma col sapiente gioco degli accenti Pascoli
sperimenta cadenze ritmiche inedite; anche il verso è frantumato al suo interno, è interrotto da
numerose pause. La frantumazione del discorso è accentuata dall’uso degli enjambement.

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Le figure retoriche
Al livello delle figure retoriche, Pascoli usa un linguaggio analogico. Il meccanismo è quello della
metafora, la sostituzione del termine proprio con uno figurato, che ha col primo un rapporto di
somiglianza. Ma l’analoga di Pascoli non si accontenta di una somiglianza facilmente
riconoscibile: accosta in modo impensato due realtà tra loro remote, eliminando tutti i passaggi
logici intermedi. Un procedimento affine all’analogia è la sinestesia, che possiede un’intensa
carica allusiva e suggestiva, fondendo insieme diversi ordini di sensazioni.
Pascoli e la poesia del novecento
Queste soluzioni formali, che introducono innovazioni nel linguaggio poetico italiano, aprono la
strada alla poesia del Novecento. Troveremo soprattutto negli ermetici scelte espressive analoghe
a quelle pascoliane.

Le raccolte poetiche
I componimenti pascoliani furono raccolti in una serie di volumi, pubblicati tra 1891 e 1911. Le
poesie nate nello stesso periodo confluirono in raccolte come Myricae, Poemetti, Canti di
Castelvecchio, Poemi conviviali, Odi ed inni. La distribuzione nelle varie raccolte non segue
l’ordine cronologico, ma la natura stilistica e metrica. Quindi in un volume del 1903 possono
comparire testi recenti e testi risalenti ad anni più lontani. La poesia di Pascoli è sincrona: sono
riconoscibili approfondimenti e arricchimenti di temi, mutamenti di soluzioni stilistiche nel corso
del tempo, ma svolte veramente radicali, che possono far parlare di fasi distinte non possono
essere individuate.

Myricae
Pascoli cominciò a pubblicare le sue poesie nel corso degli anni Ottanta; la prima raccolta vera e
propria fu Myricae, uscita nel 1891 in edizione fuori commercio e contente 22 poesie dedicate alle
nozze di amici. Il volume si ampliò nella seconda edizione del 1892, che conteneva 72
componimenti, ma iniziò ad avere la sua fisionomia definitiva solo a partire dalla quarta del 1897,
in cui i testi salivano a 116. Il titolo è una citazione virgiliana, tratta dall’inizio della IV Bucolica,
dove il poeta latino proclama l’intenzione di voler innalzare il tono del suo canto; Pascoli assume
invece le umili piante come simbolo delle piccole cose che egli vuole porre al centro della poesia,
secondo i principi di quella poetica che di lì a qualche anno esporrà nel fanciullino. Si tratta in
prevalenza di componimenti molto brevi, che si presentano come quadretti di vita campestre,
ritratti con gusto impressionistico. Spesso le atmosfere che avvolgono queste realtà evocano l’idea
della morte; ed uno dei temi più presenti nella raccolta è il ritorno dei morti familiari. Già a partire
da Myricae, Pascoli delinea quel romanzo familiare che è il nucleo doloroso della sua visione del
reale. Compaiono poi quelle soluzioni formali che costituiscono la profonda originalità della poesia
pascoliana.

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Componimenti
 Una poetica decadente (da Il fanciullino – 1897) pag. 418
Temi chiave: la conoscenza immaginosa del poeta fanciullino – l’utilità morale e sociale della
poesia – le corrispondenze segrete tra le cose – la poetica delle piccole cose
Analisi: In queste pagine risaltano i punti essenziali della teoria della poesia, che contiene al
tempo stesso un programma politico. Tali punti sono: il tipo di conoscenza prerazionale e
immaginoso, la verginità primigenia della parola poetica, la scoperta delle corrispondenze segrete
fra le cose, il poeta che spinge lo sguardo oltre i limiti della realtà visibile, la poesia pura che si
propone senza fini ma che per questo ha effetti benefici, il rifiuto della separazione classica degli
stili e la dignità poetica che va anche scoperta delle cose piccole e umili. Quest’ultimo concetto è
espresso attraverso le metafore floreali (care a Pascoli). Oltre a distaccarsi dal gusto aulico della
tradizione italiana, qui l’autore prende anche le distanze dalla poesia di d’Annunzio, sontuosa e
preziosa nel suo estetismo superomistico, che punta verso un’aulicità sublime nelle scelte
tematiche e stilistiche.

 Lavandare (da Myricae – 1894) pag. 438


Temi chiave: Il valore simbolico della natura – il senso di malinconia
Analisi: Essenzialmente è una poesia descrittiva che si concentra su dei dettagli di un paesaggio
immobile. Il quadro appare a prima vista realistico, ma in realtà cela significati più profondi.
Inizialmente si ha una registrazione di dati oggettivi, veristici e bozzettistici, tutti questi dati
assumono in realtà valori simbolici. Quello che gli oggetti esprimono durante tutta la lirica sono
la malinconia della lontananza, del passare del tempo, dell’attesa inutile, della solitudine e
dell’abbandono. Dal punto di vista stilistico e metrico la semplicità del dettato cela sottili artifici, i
quali non sono fini a sé stessi, ma ciascuno di essi rivesti un preciso valore espressivo (es: il ritmo
del verso che ricorda quello del ritmo monotono del lavoro delle lavandaie).

 L’assiuolo (da Myricae – 1897) pag. 445


Temi chiave: l’angoscia della morta – il linguaggio allusivo
Analisi: Esteriormente la poesia è solo la descrizione di un notturno lunare, reso attraverso
sensazioni visive e uditive, in seguito il quadro si rivela essere intrinseco di atmosfera arcana.
Durante la lirica inizialmente si ha un’atmosfere più incantata ma via via verso la fine si converte
in angoscia. Tale processo è reso possibile grazie alla struttura verbale prevalentemente
anaforica, che dà appunto l’idea di un affilarsi ripetitivo e incalzante. L’effetto è inoltre ribadito
dalla costruzione sintattica, sistematicamente fondata sula paratesi: si ha l’allinearsi in parallelo
di brevi membri tra loro coordinati, quasi tutti collegati per asintoto, cioè senza congiunzione. La
struttura sintattica non è complessa, i membri si succedono semplicemente uno dietro l’altro: il
reale si frantuma in impressioni isolate, e il legame che le unisce non è logico ma analogico,
simbolico, allusivo, segreto.

 La grande proletaria si è mossa (dai discorsi – 1912) pdf


Analisi: Discorso pronunciato in occasione della campagna di Libia. La guerra è presentata come
un’esigenza necessaria alla sopravvivenza degli italiani che, dopo anni trascorsi come lavoratori
emigrati oltremare o oltralpe (oltre le alpi), dopo anni di sfruttamento e ingiurie, dovevano
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assolutamente procurarsi terre fertili da cui trarre il proprio sostentamento. Inoltre il paese
aveva bisogno di dimostrare il proprio valore militare, e la campagna di Libia sembrava
un’occasione ideale per potersi riscattare agli occhi dell’Europa. Questo tentativo di presentare la
campagna di Libia come una guerra difensiva e non di attacco, unica modalità accettata dai
socialisti, ignorava completamente il fatto che i libici avessero diritto alla autodeterminazione.
La Libia è descritta da Pascoli come un paese naturalmente favorevole alla colonizzazione
italiana, perché vicina geograficamente e molto fertile. Le potenzialità che questa terra offriva
erano però sprecate dall’inerzia e dall’arretratezza delle popolazioni locali, e gli italiani avevano il
dovere “civilizzatore” d’intervenire per sfruttare a pieno il territorio, portandovi cultura e
progresso. La Libia diveniva così, nelle parole di Pascoli, una seconda patria a tutti gli effetti per il
nostro paese. La penisola italica dell’epoca appare nelle sue parole fortemente unita dal punto
di vista militare, e in quest’unità scompare addirittura la lotta di classe.

Ideologie e nuove mentalità


Il tramonto del Positivismo
Le ideologie del primo Novecento sono condizionate da:
 Teoria della relatività: Albert Einstein dimostra che anche le scienze “esatte” si fondano su
presupposti convenzionali e relativi;
 Irrazionalismo: Nietzsche contesta la cultura tradizionale, razionalista e cristiana, negando
l’esistenza di una verità oggettiva;
 Vitalismo e intuizionismo: la realtà dinamica è conoscibile solo attraverso l’intuizione;
 Idealismo: l’opera d’arte è intuizione pure ed espressione del sentimento;
 Teoria dell’inconscio: Freud introduce il concetto di “inconscio”, una zona della psiche che
sfugge alla conoscenza.

Il Futurismo
Il futurismo è un movimento artistico e culturale che sorge in Italia nei primi anni del Novecento.
Viene presentato come un’avanguardia (deriva dal lessico militare, e si riferisce alle truppe che
stanno in avanti), ovvero come una novità. L’aspetto più vistoso di questo movimento
“rivoluzionario” è il rifiuto totale dei valori tradizionali del passato, in quanto espressione di
ignoranza e di superstizione. I futuristi si fanno da interpreti di una nuova concezione della vita
basata sulla fede nel futuro e nel progresso tecnologico. Esaltano gli ideali della velocità, del
dinamismo, della forza materiale, della violenza, della guerra concepita come sola igiene del
mondo. Al culto dei sentimenti, dell’analisi interiore, alla meditazione e al silenzio contrappongono
lo slancio vitale, aggressivo e prepotente, il chiasso, la luce abbagliante. È evidente che tali principi
generano fanatismi e ideologie di potere e di forza che porteranno alla Prima guerra mondiale e
ispireranno il fascismo. Per interpretare questi nuovi atteggiamenti i futuristi ricorrono a un
linguaggio caratterizzato dall’uso delle cosiddette parole in libertà a un linguaggio cioè che rifiuta
le strutture sintattiche e grammaticali tradizionali a favore di una libera associazione delle parole. I
futuristi sanno già che non piaceranno a tutti e che desteranno scalpore. Rifiutano il
parlamentarismo, il socialismo (si rivolgevano ai borghesi) e il femminismo. Fondatore di questo

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movimento è Filippo Tommaso Marinetti, autore dal manifesto futurista, relativo ai principi
ispiratori del movimento, e del Manifesto Tecnico della letteratura futurista, relativo alle
caratteristiche del linguaggio.

Filippo Tommaso Marinetti


Nato ad Alessandria d’Egitto nel 1876, si laureò in Legge. Stabilitosi a Parigi, nella capitale francese
iniziò a dedicarsi alla poesia, all’arte e alla letteratura. Nel 1909 pubblicò sul giornale francese Le
Figaro il Manifesto del Futurismo, al quale seguì nel 1912 il Manifesto tecnico della Letteratura
Futurista. Fu giornalista, poeta, drammaturgo e scrittore. Aderì al Fascismo nel 1919 e fu
accademico d’Italia e poeta di regime, fedele a Mussolini fino al tragico epilogo della repubblica di
Salò. Morì nel 1944 a Bellagio, in piena guerra di Liberazione.

Componimenti
 Manifesto del Futurismo (1909) pag. 519
Analisi: Il Manifesto ha un contenuto ideologico più che artistico: è una esaltazione della
modernità, della macchina, della tecnica, della città industriale, della folla, delle rivoluzioni urbane.
L’immaginario della modernità trova qui la sua piena espressione. Nello stesso tempo, vi compare
un’ideologia volta a celebrare gli istinti, i giovani, la danza, la gioia della distruzione, l’amore per la
guerra, la velocità, l’aggressività, l’azione violenta, gli atteggiamenti militareschi, virili ed eroici
(con il conseguente disprezzo della donna e del femminismo). Sul piano culturale ed artistico,
mentre si propone provocatoriamente la distruzione della tradizione e del passato, delle
accademie, delle biblioteche, dei musei, delle città antiche e «venerate», si afferma un nuovo
criterio di bellezza, da ritrovare nella velocità e nella macchina, nella tecnologia e nella industria e,
dunque, nel moderno. Il moderno è, in quanto tale, estetico. Lo stile è composto da frasi brevi e da
affermazioni successive, prive di sviluppo logico, martellanti sempre sugli stessi concetti. Le
dichiarazioni mirano a stupire e a scandalizzare, a provocare un effetto di shock violento. Si tratta
di uno stile-azione, di una scrittura che riproduce il gesto violento ed è dunque omogenea al
proprio messaggio.

 Manifesto tecnico della letteratura futurista (1912) pag. 522


Analisi: Marinetti enuncia qui - da un punto di vista operativo e appunto tecnico - i procedimenti
su cui intende basare la nuova letteratura futurista. Il punto da cui iniziare deve essere la
distruzione della sintassi, intesa come impalcatura o impianto concettuale, che rende possibile,
attraverso un'articolazione logica del pensiero, la trasmissione e la ricezione della stessa
comunicazione letteraria. Di qui la necessità di avanzare delle proposte alternative e sostitutive
(es. verbi solo all’infinito, abolizione di aggettivi e avverbi, eliminazione della punteggiatura). Il
discorso tende poi progressivamente ad estremizzarsi: dall'analogia si passa a una "gradazione di
analogie sempre più vaste”; dalla distruzione della sintassi si giunge a teorizzare le "parole in
libertà" che rendono possibile il trionfo dell'immaginazione senza fili.

Italo Svevo
(Trieste 1861 –Treviso 1928)

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La vita
La declassazione e il lavoro impiegatizio
Italo Svevo (è uno pseudonimo) nasce a Trieste nel 1861 (allora territorio austriaco) da un’agiata
famiglia borghese ebrea. Viene mandato in collegio in Germania per avviarsi alla carriera di
commerciante (come il padre) e impara il tedesco. La sua aspirazione, però, era di diventare
scrittore. Dal 1880 collabora al giornale triestino “L’indipendente” di orientamento irredentista.
Svevo era politicamente vicino alle posizioni irredentistiche e socialiste. In seguito ad un
investimento industriale sbagliato il padre fallisce e Svevo conosce l’esperienza della
declassazione sociale. È costretto ad un lavoro (per lui opprimente) come impiegato presso una
banca e, per questo, cerca un’evasione nella letteratura. Nel 1892 pubblica il romanzo “Una vita”
dove riporta la sua attuale esperienza nel personaggio di Alessandro Nitti (avrà uno scarso
successo).
Il salto di classe sociale e l’abbandono della letteratura
Dopo la morte della madre, Svevo si innamora in una sua cugina più giovane di lui, Livia Veneziani,
e la sposa e ha una figlia. Grazie al matrimonio, “l’inetto”, pieno di insicurezze, trova un terreno
solido su cui poggiare e può identificarsi nella figura di “padre di famiglia”. La famiglia di Livia è
formata da industriali e Svevo abbandona l’impiego della banca per entrare nella ditta dei suoceri.
Da una condizione di piccolo borghese, Svevo si trova nel mondo dell’alta borghesia a dirigere
operai e a compiere numerosi viaggi per affari in Francia e in Inghilterra. Divenuto un uomo
d’affari, lascia la letteratura pensando che potesse compromettere la sua nuova vita (l’intellettuale
si sente escluso dalla società borghese). Alla decisione contribuì probabilmente anche l’insuccesso
del secondo romanzo “Senilità” del 1898.
Il permanere degli interessi culturali
In realtà Svevo non abbandonò mai veramente il campo letterario sostenendo la sua utilità nel
“capirsi meglio”. Negli anni tra il suo ingresso nell’attività industriale e lo scoppio della Prima
Guerra mondiale, si verificano due eventi importanti per la formazione di Svevo. Innanzitutto
incontra James Joyce che gli insegna l’inglese (utile nei suoi viaggi) e diventa suo amico. Joyce
sottopone a Svevo le sue poesie e quest’ultimo i suoi romanzi ottenendo un incoraggiamento nel
continuare la carriera letteraria. Un altro evento cardine è l’incontro con la psicoanalisi: il cognato
di Svevo aveva sostenuto una terapia a Vienna con Freud e questo è il tramite attraverso cui
l’autore viene a conoscenza delle teorie psicoanalitiche.
La ripresa della scrittura
Scoppiata la guerra, la fabbrica viene requisita dagli austriaci e Svevo è libero di continuare
l’attività letteraria. Nel 1923 pubblica il suo terzo romanzo “La coscienza di Zeno” che anche
questa volta riscuote poca risonanza. A causa di questo invia il romanzo all’amico Joyce a Parigi
che lo pone all’attenzione degli intellettuali francesi. Viene promossa una traduzione francese del
romanzo e Svevo diviene popolare in Francia. Quasi tutti gli italiani, invece, sono disinteressati a
Svevo, tranne Montale che gli dedica un ampio saggio nel 1925. Il riconoscimento della fama
costituisce per lui uno stimolo alla scrittura, progettando negli anni successivi un quarto romanzo

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sempre con protagonista Zeno. Non fece in tempo a concluderlo a causa di un incidente d’auto
che lo portò alla morte nel 1928 a Treviso.
La fisionomia intellettuale di Svevo
Svevo è diverso dai soliti letterati italiani perché ha vissuto a Trieste, città di confine in cui
convergono la civiltà italiana, tedesca e slava. Pur non essendo religioso, è di origine ebraica ed è
stato affermato che la figura dell’inetto è simile a quella dell’ebreo in Europa. L’ambiente in cui si
forma permette a Svevo di assumere una prospettiva più ampia di quella degli scrittori italiani del
suo tempo e gli consente uno stretto rapporto con la cultura dell’Europa centrale. Al contrario del
letterato italiano puro, poi, Svevo non ha come obbiettivo principale la letteratura ma per lui era
un’attività parallela a quella quotidiana (fu prima un banchiere e poi un uomo d’affari).

La cultura di Svevo
I maestri di Svevo furono:
 Schopenhauer, che per lui è il negatore del libero arbitrio (l’uomo non è libero di scegliere);
 Nietzsche, da cui poté trarre l’idea del soggetto come pluralità di stati in fluido divenire (lo
lesse nei testi originali, non attraverso la “ridicola concezione del superuomo
d’annunziano”);
 Darwin, che indurrà l’autore a presentare il comportamento dei suoi eroi come prodotto di
leggi immodificabili non dipendenti dalla volontà;
 Marx, da cui trasse la chiara percezione dei conflitti di classe che percorrono la società
moderna e la consapevolezza che la psicologia individuale è condizionata dalla realtà delle
classi. Per questo i conflitti e le ambiguità dei suoi eroi non sono quelli dell’uomo assoluto,
ma del borghese di un determinato periodo della storia sociale;
 Freud, di cui ammirò la psicoanalisi non come terapia, ma come strumento per conoscere
ed indagare più a fondo la realtà psichica.
 Zola e i naturalisti francesi da cui riprese la minuziosa descrizione degli ambienti
(soprattutto nel primo romanzo);
 Joyce, che con i suoi giudizi positivi contribuì a rafforzare nello scrittore la fiducia nelle
proprie forze intellettuali e nella validità delle opere già scritte.

Una vita
All’inizio Svevo voleva pubblicarlo con il titolo di “Un inetto”, ma l’editore glielo sconsigliò ed uscì
nel 1892 come “Una vita” suscitando scarsissima attenzione nella critica e nel pubblico.
La vicenda
Lo scrittore narra le vicende di Alfonso Nitti, uomo colto che si sente diverso e fuori luogo nella
società in cui vive. Egli lavora presso una banca e seduce la figlia del suo capo, Annetta. Alla figura
di Alfonso, che viene definito “inetto” (cioè incapace di compiere la scalata sociale e diventare
finalmente qualcuno) si contrappone Macario, giovane bello e disinvolto, insomma esattamente
l’opposto di Alfonso. Nel momento in cui ad Alfonso si presenta la possibilità di compiere la tanto
attesta scalata sociale, cioè quando ha la possibilità di sposare la figlia del suo capo egli scappa e
perciò viene definito da Svevo “inetto”. Alfonso scappa e scrive una lettera ad Annetta che viene

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mal interpretata dai familiari della ragazza (che si è ormai innamorata di Macario), soprattutto dal
fratello che sfida a duello Alfonso, questi essendo inetto preferisce il suicidio al confronto. Il
fallimento del protagonista, la sua inettitudine, è il carattere dominante del romanzo.
I modelli letterali
“Una vita” rivela legami con i modelli più illustri del romanzo moderno, tra cui il romanzo della
“scalata sociale” in cui un giovane ambizioso si propone di conquistare il successo nella società
cittadina (anche se Alfonso si limita a sognare il successo senza mai muovere un dito per
conquistarlo, anzi fuggendo dinanzi alle occasioni che gli si presentano). È visibile anche l’influenza
di Zola nella volontà di ricostruire un determinato quadro sociale. Al centro della narrazione,
comunque, si colloca l’analisi della coscienza del protagonista.
L’inetto e i suoi antagonisti
Il protagonista, Alfonso, inaugura un nuovo tipo di personaggio, “l’inetto”, che ritornerà
regolarmente nei romanzi successivi. L’inettitudine è sostanzialmente una debolezza,
un’insicurezza psicologica che rende l’eroe incapace alla vita. Svevo non si limita a ritrarre la
condizione psicologica, ma sa anche individuare le radici sociali di quella debolezza. Alfonso è un
piccolo borghese declassato da una condizione più elevata ed è un intellettuale. Il combinarsi di
questi due fattori sociali lo rende un diverso nella società borghese i cui unici valori riconosciuti
sono il profitto e la produttività. L’impotenza sociale diviene impotenza psicologica e Alfonso ha
bisogno di crearsi una realtà compensatoria: la vocazione letteraria che lo rendono inadatto alla
vita si trasformano ai suoi occhi in motivo di orgoglio (evade nei sogni costruendosi una maschera
fittizia, un’immagine di sé consolatoria).

Senilità
Il secondo romanzo di Svevo, Senilità, esce nel 1898 sempre a spese dell’autore ed incorre in un
insuccesso peggiore di quello precedente. Per “senilità” si intende l’età della vecchiaia, quindi
all’aggettivo “senile” si associano concetti come malattie, rammollimento e demenza.
La vicenda
Il protagonista è Emilio Brentani, uomo anch’esso come Alfonso Nitti inetto e senile, grigio, cupo
che nonostante la sua giovane età si presenta come un vecchio. Sono tre i personaggi che fanno da
“cornice” a questo romanzo: Amalia, la sorella di Emilio, Angiolina, la donna della quale Emilio si
innamora e Stefano, migliore amico del protagonista. Il protagonista vive con la sorella Amalia che
lo cura come un figlio. Emilio si innamora di Angiolina la cui vita è caratterizzata da numerose
esperienze sessuali. Egli viene consigliato da Stefano, amico fidato che non si rivelerà tale in
quanto verrà sorpreso da Emilio a corteggiare Angiolina. Amalia si innamora di Stefano che la
rifiuta, di conseguenza questa si ammala e muore. Emilio rimane solo, perde la sua amata
(considerata non adatta a lui) e perde anche il suo amico che viene accusato di “infedeltà”. Nella
sua solitudine Emilio ritorna ad essere quell’uomo senile e vecchio che era all’inizio del romanzo.
La struttura psicologica
In questo romanzo non sono più affrontati direttamente i problemi di natura sociale e l’intreccio
romanzesco e la descrizione di ambienti fisici hanno poco rilievo: è la dimensione psicologica che

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l’autore si preoccupa di indagare. Emilio, dal punto di vista psicologico, è un inetto, un debole che
ha paura di affrontare la realtà e per questo si è costruito un sistema protettivo, conducendo
un’esistenza cauta che gli garantisce calma e sicurezza, ma implica la rinuncia al godimento della
vita.

La coscienza di Zeno
Il terzo romanzo di Svevo appare dopo venticinque anni dopo Senilità, nel 1923, e nella struttura
appare molto diverso dai precedenti sia a causa dell’evoluzione interiore dello scrittore in quegli
anni, che delle trasformazioni avvenute nell’assetto europeo (si pensi alla Prima guerra mondiale).
Questo romanzo è costituito da un memoriale o confessione autobiografica che il protagonista
Zeno Cosini scrive su invito del suo psicoanalista, il dottor S., a scopo terapeutico per agevolare la
cura vera e propria. Svevo finge che il manoscritto venga pubblicato dal dottor S. stesso per
vendicarsi del paziente che si è sottratto alla cura frodando al medico il frutto dell’analisi (tutto ciò
viene spiegato nella prefazione del libro). Al memoriale si aggiunge una sorta di diario di Zeno in
cui questi spiega il suo abbandono della terapia e si dichiara sicuro della propria guarigione in
coincidenza con i successi commerciali ottenuti durante la guerra con fortunate speculazioni. Il
romanzo è dunque narrato dal protagonista stesso dietro la finzione narrativa dell’autobiografia e
del diario.
Il trattamento del tempo
Il racconto non presenta gli eventi nella loro successione cronologica lineare, inseriti in un tempo
oggettivo, ma in un tempo tutto soggettivo (chiamato tempo misto) in cui il passato (il tempo del
vissuto) riaffiora continuamente e si intreccia con il presente (il tempo del racconto). La narrazione
va continuamente avanti e indietro nel tempo, seguendo la memoria del protagonista che si
sforza, per obbedire allo psicoanalista, di ricostruire il proprio passato.
Le vicende
Il protagonista/narratore è una figura di inetto che Svevo stesso definisce fratello di Alfonso e
Emilio. Già dal nome si può intuire questo: Zeno rimanda alla parola “zero” e Cosini sembra voler
intendere qualcosa che conta poco. Zeno negli anni giovanili conduce una vita oziosa e scioperata,
passando da una facoltà di laurea ad un’altra senza mai giungere ad una laurea. Il padre, facoltoso
commerciante, non ha la minima stima per il figlio e nel testamento lo consegna in custodia al
fidato amministratore Olivi, sancendo così la sua irrimediabile immaturità e la sua irresponsabilità
infantile. Il padre ama sinceramente Zeno, ma lui gli procura amarezza e delusioni con il suo ozio e
la sua inconcludenza negli studi. Il vizio del fumo a cui Zeno collega intollerabili sensi di colpa ha
nel suo fondo inconscio l’ostilità contro il padre. Quando sul letto di morte il padre lascia cadere
uno schiaffo su Zeno, quest’ultimo resta nel dubbio se il gesto sia il prodotto dell’incoscienza
dell’agonia o per punirlo e cerca quindi di costruirsi alibi per pacificare la propria coscienza, per
dimostrare di essere privo di colpe per la morte del padre (in realtà nel suo inconscio la desiderava
fortemente). Privato della figura paterna, l’inetto va subito in cerca di una figura sostitutiva e la
trova in Giovanni Malfenti, uomo d’affari borghese dalle poche ma incrollabili certezze. Malfenti è
dunque il modello di uomo con cui l’inetto Zeno non riesce più a coincidere e diventa così
l’Antagonista. Zeno decide di sposare una delle sue figlie per “adottarlo” come padre, ma viene
respinto sia da Ada (la più bella), che da Alberta. La scelta ricade allora sulla più brutta, Augusta,
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che in realtà era la moglie che Zeno aveva scelto inconsciamente. Si rivela, infatti, la donna di cui
egli ha bisogno, amorevole come una madre, capace di creargli intorno un clima di dolcezza e di
sicurezza. Augusta è l’antitesi di Zeno, che invece è irrimediabilmente diverso, incapace di
integrarsi nel sistema borghese, anche se vi aspira con tutte le sue forze, in un disperato desiderio
di normalità e “salute”. Zeno è malato: la sua malattia è la nevrosi ed egli vi proietta la propria
inettitudine ed attribuisce la colpa dei propri malanni al fumo. Nella sua esistenza prova varie volte
a guarire dal vizio, nella convinzione che così potrà avviarsi verso la “salute” e diventare un
borghese degno di questo nome, ma questi tentativi finiscono nel nulla. Alla moglie Zeno affianca
la giovane amante Carla, una ragazza povera che egli finge di proteggere in modo paterno. Il
rapporto però è reso difficile dai sensi di colpa di Zeno verso la moglie, sicché Carla lo abbandona
per un uomo più giovane. Zeno aspira ad entrare nella normalità borghese non solo divenendo un
buon padre di famiglia, ma anche un uomo d’affari. Fonda perciò un’associazione commerciale
con il cognato Guido che ha sposato Ada. Questi è un bell’uomo, sicuro di sé, quindi l’antitesi di
Zeno ed è quindi il Rivale. Anche verso di lui Zeno prova un odio profondo che si manifesta ai
funerali di Guido (morto suicida per un dissesto finanziario): Zeno sbaglia corteo funebre. Zeno,
ormai anziano, decide di intraprendere la cura psicoanalitica e qui ha inizio la stesura del
memoriale. Zeno però si ribella alla diagnosi dello psicoanalista che individua in lui il classico
complesso di Edipo. Lo scoppio della guerra favorisce alcune speculazioni commerciali che
trasformano paradossalmente l’inetto Zeno in un abile uomo d’affari (in realtà, come rivela il
quarto romanzo, Zeno perderà tutto con la fine della guerra). Zeno si proclama così perfettamente
guarito. Noi sappiamo bene che non è vero e che queste resistenze sono un sintomo tipico della
malattia, ma Zeno nelle pagine finali sottolinea il confine tra malattia e salute nelle condizioni
attuali in cui la vita è “inquinata alle radici”. Il romanzo termina così in chiave apocalittica, con una
riflessione di Zeno sull’uomo costruttore di ordigni che finiranno per portare ad una catastrofe
cosmica.
L’inattendibilità di Zeno narratore
Zeno, l’inetto malato immaginario e nevrotico è chiaramente un narratore inattendibile di cui non
ci si può fidare. Lo denuncia subito all’inizio del libro il dottor S. che insiste sulle tante verità e
bugie accumulate nel memoriale. L’autobiografia stessa è un gigantesco tentativo di
autogiustificazione di Zeno che vuole dimostrarsi innocente da ogni colpa nei rapporti con il
padre, con la moglie, con l’amante e con Guido. In realtà ad ogni pagina traspaiono i suoi impulsi
reali, a volte persino omicidi. Ma non si tratta di menzogne intenzionali, sono autoinganni
determinati da processi profondi e inconsapevoli con i quali Zeno cerca di far tacere i sensi di
colpa che tormentano il suo inconscio. Per tutto il romanzo ogni gesto sia dello Zeno personaggio,
che di quello che narra gli eventi a distanza di anni, rivela motivazioni ambigue, sempre diverse o
addirittura opposte rispetto a quelle dichiarate consapevolmente. Per cui la coscienza di Zeno
appare come una cattiva coscienza, una coscienza falsa.
La funzione critica di Zeno
A differenza dei protagonisti dei due romanzi precedenti, Zeno non è solo oggetto di critica
(l’opera non ha solo il fine di smascherare gli inganni di Zeno e della sua falsa coscienza), ma è
anche soggetto: il romanzo è percorso dal distacco ironico con cui Zeno guarda il mondo che lo
circonda. La “malattia” di Zeno, che gli impedisce di coincidere con il normale mondo borghese,

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porta alla luce il dubbio se gli altri “sani” (la moglie, il padre) non siano loro stessi malati. Zeno
nella sua inettitudine è disponibile alle trasformazioni, a cambiare, mentre i “sani” sono
cristallizzati in una forma rigida, immutabile. Zeno ha un disperato bisogno di salute, di normalità,
di essere un buon padre di famiglia, ma non riesce mai a coincidere con quella forma perciò il suo
sguardo mette in dubbio le certezze del mondo. Zeno finisce per scoprire che la salute degli altri è
in realtà la vera malattia (l’inetto quindi, al contrario dei due romanzi precedenti, si dimostrerà la
soluzione ideale, quindi nel corso del tempo ha subito un’evoluzione in Svevo).
L’inettitudine e l’apertura del mondo
Nel saggio incompiuto “L’uomo e la teoria darwiniana”, l’inetto appare come un essere in
divenire, che può ancora evolversi verso altre forme proprio grazie alla sua mancanza di uno
sviluppo in un qualsiasi senso, mentre i “sani” sono incapaci di evolversi ulteriormente.
L’inettitudine ormai non è più considerata un marchio di inferiorità, ma una condizione aperta
disponibile ad ogni forma di sviluppo. Nei primi due romanzi il narratore era esterno e giudicava in
modo negativo i personaggi smascherandone gli inganni, nella coscienza di Zeno, invece, è il
protagonista stesso a narrare in prima persona perché è diventato un eroe buono disponibile a
cambiare a fronte di un mondo immobile. Mentre le voci di Alfonso e Emilio potevano essere
smentite dal narratore esterno, quella di Zeno no perché è l’unica. Ciò che dice Zeno può essere
verità o bugia, o tutte e due le cose insieme.

Componimenti
 Il fumo (da La coscienza di Zeno – 1923) pag. 653
Temi chiave: la malattia come alibi dell’inetto – l’origine psicologica del vizio del fumo – la rivalità
virile con il padre e i sensi di colpa – la psicoanalisi come strumento conoscitivo
Riassunto: È l’inizio del memoriale nello studio del dottor S. dove Zeno riporta alla mente i ricordi
giovanili riguardanti il fumo: la prima volta che ha fumato, quando rubava i soldi al padre per
comprare le sigarette, quando fumava i suoi sigari lasciati in giro per la casa, quando passava da
una facoltà universitaria ad un’altra promettendo di smettere di fumare. Poi si chiede se il legame
al fumo è così forte perché, in caso di guarigione, dovrebbe verificare di essere un uomo forte
(Zeno ha posto il vizio del fumo come alibi della sua inettitudine). Successivamente chiede un
consiglio ad un amico per smettere di fumare e lui gli dice che in Zeno vivono due persone: una
che comanda (di smettere di fumare), l’altra vogliosa di libertà che, appena il controllore abbassa
la guardia, incita a fumare. Secondo l’amico, Zeno non dovrebbe combattere la “malattia” del
fumo, ma ignorarla e smetterla di fare propositi (tipo l’ultima sigaretta). Zeno però non ci riesce,
allora prova con una scommessa con l’amministratore Olivi: il primo che avrebbe fumato avrebbe
pagato una somma di denaro. Zeno ovviamente cade di nuovo nel vizio e perde la scommessa.
Analisi: Zeno è un inetto che non ha mai completato gli studi e che, per crearsi un alibi che lo
giustifichi, dà la colpa al fumo della sua situazione. Aspira però a diventare “normale” e cerca di
smettere di fumare ma è sfiorato dal dubbio che lui fuma per non verificare di essere veramente
un uomo forte. Si capisce che il fumo non è un’innocente mania, ma ha radici profonde nella sua
personalità. Rubando da piccolo i soldi per le sigarette e i sigari del padre, cercava di appropriarsi
della forza del padre (rappresentata simbolicamente dalle sigarette). Ma la rivalità con il padre
implica la nascita di impulsi aggressivi nei suoi confronti, che si ritorcono in sensi di colpa, i quali a

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loro volta si concentrano su un oggetto simbolico: il fumo. Come aveva diagnosticato l’amico, in
Zeno vi sono due persone: quella che comanda non è che l’immagine del padre severo, sfidato
continuamente dall’io che vuole la libertà disobbedendo. Però sfidando il padre i sensi di colpa
riaffiorano e il ciclo continua. È il senso di colpa che induce Zeno a vedere nel fumo la malattia
della sua vita e della sua inettitudine. Oscuramente Zeno avverte che il vizio del fumo è
dipendenza infantile, esistenza bloccata ad uno stadio immaturo, incapace di scelte e proprie
responsabilità.

 La morte del padre (da La coscienza di Zeno – 1923) pag. 658


Temi chiave: il conflitto con la figura paterna – la rimozione della colpa nei confronti del padre e
l’affermazione di innocenza di Zeno
Riassunto: Zeno ricorda il momento della morte del padre. Senza di lui si sente perso, l’inetto
aveva sempre avuto il proposito di divenire un uomo migliore agli occhi del padre, ma alla sua
morte tutto diventa vano. Zeno, poi, riconosce che il padre diffidava di lui (lo considerava un
inetto), ma anche lui diffidava del padre. Quest’ultimo aveva anche tradito la moglie con la sarta,
ma era riuscito a farsi perdonare. Il padre diceva che Zeno rideva delle cose più serie: un giorno gli
aveva detto che lo riteneva pazzo perché aveva cambiato nuovamente facoltà, allora Zeno è
andato da un medico per ottenere un certificato di sanità mentale. Una sera, dopo essere andato
a dormire, si manifesta nel padre la malattia cerebrale che lo porterà alla morte. Il dottore visita il
padre e gli fa applicare delle sanguisughe per ridurre la pressione e per fargli prendere coscienza,
però lo avvisa che potrebbe impazzire. Zeno si arrabbia e chiede se sia giusto riportarlo alla
coscienza solo per mostrargli le sue condizioni da malato (in realtà il timore nasce dal suo senso di
colpa: ha paura che il padre, riprendendo coscienza, lo possa sgridare per aver desiderato la sua
morte). Il medico si arrabbia insinuando che Zeno lo volesse morto, ma quest’ultimo tenta di
giustificarsi. Tornati al letto del padre, gli infermieri lo alzano e lui apre leggermente gli occhi. Zeno
in quel momento ha paura che il padre possa vedere i suoi istinti omicidi, ma poi si rimette a
dormire. Una delle sere successive, il padre si rianima per un istante e sferra uno schiaffo a Zeno
per poi morire. Zeno, disperato, cerca di pacificare i suoi sensi di colpa e la sua coscienza, di
trovare scuse e alibi per non ammettere che la colpa della morte del padre era sua.
Analisi: Gli eroi di Svevo sono sempre in conflitto con figure paterne antagoniste che
rappresentano il contrario della loro inettitudine e debolezza. Nel primo passo viene presentato
un ritratto di un padre cattivo e rivela tutti gli impulsi del protagonista. Qui si può cogliere la radice
dell’inettitudine di Zeno: lui vuole inconsciamente essere inetto per contrapporsi al padre
borghese e alle sue incrollabili certezze. Accentuare la propria diversità, la propria bizzarria, per
Zeno, è un modo per ferire il padre. Naturalmente Zeno rifiuta di ammettere questi impulsi e li
rimuove cercando di affermare la propria innocenza. Le sue affermazioni non possono mai essere
prese per vere ma il racconto non offre alcuna fonte sicura, nessuno che smentisce le affermazioni
sospette di Zeno (come invece succede nei primi due romanzi).
 La salute “malata” di Augusta (da La coscienza di Zeno – 1923) pag. 667
Temi chiave: il perfido ritratto della moglie, campione di “normalità borghese” – la somiglianza tra
il padre e la moglie di Zeno – la mutevolezza di Zeno
Riassunto: Dopo aver ricostruito il percorso che lo ha condotto a sposare Augusta Malfenti, Zeno
illustra i primi tempi del suo matrimonio e li definisce belli e sereni. Analizzando la salute di

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Augusta, Zeno dice di non riuscirci perché la converte in malattia. Parla anche del viaggio di nozze
attraverso l’Italia fatto con la moglie. A Firenze aveva paura di essere aggredito da qualcuno, che la
gente lo odiasse e che lo volesse denunciare alla polizia per furto (erano solo congetture).
Analisi: Zeno, l’inetto, ha un disperato bisogno di integrarsi con l’ordine borghese e, quindi, vuole
essere come la moglie Augusta e diventare un buon padre di famiglia e un uomo d’affari. In realtà,
la sensazione di felicità dell’eroe deriva dal fatto che ha trovato in Augusta una figura materna,
rivelando tutte le sue immutate debolezze (il sorgere di dubbi sulla salute di Augusta, la paura di
essere aggredito o accusato di furto, il terrore di morire). Dietro le frasi di amore e ammirazione
per la moglie, Zeno traccia una figura perfida e corrosiva e rivela diffidenza e ostilità. Augusta
appare un perfetto campione di normalità borghese piena di solide sicurezze, un ritratto simile al
padre di Zeno, quindi è una figura immobile. Sappiamo già come per Svevo l’immobilità sia
pericolosa: se ci si stabilisce in un punto dell’universo si finisce per inquinarsi. Ebbene, i solidi
borghesi come il padre di Zeno e Augusta sono proprio inquinati da questo veleno. Zeno è proprio
il suo opposto: in quanto inetto è mutevole, quindi può divenire uno strumento di critica delle
limitate certezze del mondo borghese.

 La profezia di un’apocalisse cosmica (da La coscienza di Zeno – 1923) pag. 683


Temi chiave: la malattia dell’umanità – il problema del futuro – l’incombere della bomba atomica
Riassunto: Questa è l’ultima pagina del diario, in cui Zeno paragona la vita alla malattia perché
procede migliorando e peggiorando, ma a differenza di quest’ultima è mortale e non sopporta
cure. Dice che, con l’aumentare della popolazione, l’uomo vivrà peggio. Soltanto gli animali
possono adattarsi alla vita evolvendo il proprio corpo, gli uomini, invece, possono solo costruire
ordigni. E l’ordigno crea la malattia, perché con esso chi sopravvive non è il più forte (legge di
Darwin) ma colui che possiede più ordigni. Zeno trova la soluzione a questa malattia nella
distruzione totale.
Analisi: Il tema conduttore di questa riflessione è la malattia, identificata da Zeno con la vita
stessa, in particolare con la vita attuale inquinata alle radici. L’uomo con l’espansione delle città ha
occupato gli spazi che erano della natura e ha inquinato l’aria con i suoi fumi. Zeno prospetta un
futuro in cui la crescita del genere umano arriverà ad occupare tutto lo spazio disponibile. Soltanto
gli animali conoscono l’evoluzione del corpo e l’adattamento ad ambienti diversi. L’uomo, invece,
compensa la mancanza creando ordigni (dalla clava primitiva alle macchine moderne). Ma non
facendo evolvere il suo organismo diventa sempre più debole: gli ordigni hanno cancellato la legge
della selezione naturale in cui il più forte sopravvive: ora domina colui che ha più ordigni. Di
conseguenza, dato l’indebolimento generale dell’umanità, si moltiplicheranno malattie e
ammalati. L’unica soluzione data da Zeno a questa situazione è l’apocalisse distruttiva che
purificherà il mondo dalle malattie. La corsa agli ordigni sboccherà nella costruzione di uno
incomparabile che per la follia di qualche uomo provocherà un’esplosione immane. Solo così la
terra, tornata allo stato di nebulosa, errerà nello spazio finalmente libera da malattie. Se la vita
umana è malattia solo la scomparsa dell’uomo potrà eliminarla.

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Luigi Pirandello
(Girgenti 1867 – Roma 1936)

La vita
Gli anni giovanili
Luigi Pirandello nasce nel 1867 presso Girgenti (Agrigento), da una famiglia di agiata condizione
borghese e di tradizioni risorgimentali e garibaldine. Dopo gli studi liceali si iscrive all’università di
Palermo, poi alla facoltà di lettere all’università di Roma e poi a quella di Bonn (in Germania) dove
entra in contatto con autori europei (Goethe, Schopenhauer, Nietzsche) e con il decadentismo.
Tornato a Roma, scrive il suo primo romanzo, “L’esclusa”, nel 1893 e diviene docente di lettere.
Il dissesto economico
Nel 1903 un allagamento della miniera di zolfo in cui il padre aveva investito tutto il suo
patrimonio e la dote stessa della nuora provoca il dissesto economico della famiglia. Il fatto ebbe
conseguenze drammatiche nella vita dello scrittore: alla notizia del disastro la moglie, il cui
equilibrio mentale era già fragile, ha una crisi che la fa sprofondare irreversibilmente nella follia.
Con la perdita delle rendite, Pirandello è costretto ad integrare al suo stipendio di professore i
ricavi di novelle e romanzi intensificandone la produzione. Anche l’esistenza di Pirandello, come
quella di Svevo, è segnata dall’esperienza della declassazione, del passaggio da una vita da agio
borghese ad una condizione da piccolo borghese. Nel 1904 pubblica a puntate su una rivista il suo
romanzo “Il fu Mattia Pascal”.
L’attività teatrale
Dal 1910 Pirandello diventa soprattutto scrittore per il teatro anche se non abbandonò mai la
narrativa. Erano anche gli anni della guerra e Pirandello aveva visto con favore l’intervento
considerandolo come una sorta di compimento del processo risorgimentale, ma suo figlio Stefano
viene catturato dagli austriaci e lui tenta invano con ogni mezzo di riportarlo a casa. A causa di
questo, la malattia mentale della moglie si aggrava, tanto che lo scrittore è costretto a farla
ricoverare in una casa di cura. Il teatro di Pirandello comincia a conoscere il successo del pubblico
e nel 1921 scrisse i “Sei personaggi in cerca d’autore”, un’opera che rivoluzionava il linguaggio
drammatico. Abbandona poi la vita del piccolo borghese lasciando nel 1922 la cattedra
universitaria, dedicandosi completamente al teatro. Dal 1925 assume la direzione del Teatro
d’Arte a Roma e si lega sentimentalmente (ma in modo platonico) ad una giovane attrice della
compagnia, Marta Abba, per la quale scrive vari drammi.
I rapporti con il fascismo
L’esperienza del Teatro d’Arte fu resa possibile anche dal finanziamento dello Stato. Dal 1924
Pirandello si iscrive al partito fascista per ottenere appoggi da parte del regime. La scelta è stata
contestata e criticata, ma ha diverse spiegazioni: probabilmente vedeva nel fascismo una garanzia
di ordine, ma potrebbe essere stata anche una scelta opportunistica per ottenere l’appoggio di
Mussolini e diventare direttore del teatro. Ben presto, però, si rende conto della vera natura del
fascismo e diventa sempre più critico nei confronti del regime. Negli ultimi anni di vita lo scrittore

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raccoglie la sua produzione novellistica nella raccolta “Novelle per un anno” e nel 1934 riceve il
Premio Nobel per la Letteratura. Muore a Roma nel 1936.

La visione del mondo


Il vitalismo
Alla base della visione del mondo pirandelliano vi è una concezione vitalistica, che è affine a quella
di varie filosofie contemporanee: la realtà tutta è “vita”, “perpetuo movimento vitale”, come lo
scorrere di un magma vulcanico. Tutto ciò che si stacca da questo flusso, e assume “forma”
distinta e individuale, si irrigidisce, comincia, secondo Pirandello, a “morire”. Così avviene
all’identità personale dell’uomo. In realtà noi non siamo che parte indistinta dell’universale ed
eterno fluire della vita, ma tendiamo a cristallizzarci in forme individuali, a fissarci in una realtà che
noi stessi ci diamo, in una personalità che vogliamo coerente e unitaria. Ciascuna di queste
“forme”, è una costruzione fittizia, una maschera che noi stessi ci imponiamo e che ci impone il
contesto sociale (l’uomo quindi si costruisce più immagini di sé in base al contesto in cui vive: es. il
padre, il lavoratore, il marito fedele). L’uomo non ha più un’identità unica, ma frammentata,
scomposta in base a come si vede lui, come lo vedono gli altri e i contesti nei quali vive. Alla fine,
l’uomo non è nessuno, si riduce ad un insieme di maschere. L’avvertire di non essere nessuno
genera un senso di solitudine tremendo. L’uomo ha quindi la necessità di avere un’immagine
univoca, coerente e organica di sé, ma è impossibile secondo Pirandello perché non si può fissare
il flusso vitale ma non si può neanche vivere senza convenzioni. Per cui, l’uomo rimane
intrappolato in un eterno conflitto tra forma e vita. Nelle sue opere Pirandello parla di questo
conflitto e, attraverso i suoi personaggi, cerca possibili soluzioni:
 La follia
 L’immaginazione come evasione fantastica (il treno ha fischiato)
 amara consapevolezza dell’insensatezza della vita (maschera nuda)
Relativismo conoscitivo
Oltre che sulla visione della società, dal vitalismo pirandelliano scaturiscono importanti
conseguenze sul piano conoscitivo. Il reale è multiforme, non esiste una prospettiva privilegiata da
cui osservarlo; al contrario le prospettive possibili sono infinite e tutte equivalenti. Ognuno ha la
sua verità, che nasce dal suo modo soggettivo di vedere le cose. Ne deriva un’inevitabile
incomunicabilità fra gli uomini: essi non possono intendersi, perché ciascuno fa riferimento alla
realtà com’è per lui, e non sa né può sapere come sia per gli altri. La perdita di fiducia nella
possibilità di sistemare il reale in precisi moduli d’ordine, il relativismo conoscitivo. Il
soggettivismo assoluto collega Pirandello a quel clima culturale europeo del primo Novecento in
cui si consuma la crisi delle certezze positivistiche, della fiducia in una coscienza oggettiva della
realtà mediante gli strumenti della razionalità scientifica.

La poetica
Dalla visione complessiva del mondo scaturiscono anche la concezione dell’arte e la poetica di
Pirandello. Possiamo trovarle enunciate in vari saggi, tra cui il più importante e il più famoso è
L’umorismo, che risale al 1908. Si tratta di un testo chiave per penetrare nell’universo
pirandelliano. L’arte non deve più, come in passato, costruire personaggi coerenti e vicende
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lineari, ma analizzare le contraddizioni dell’esistenza mettendo a nudo la falsità delle convenzioni
sociali e le maschere dell’individuo e mettere in luce il contrasto tra ciò che appare e ciò che è.
Tutto questo viene realizzato attraverso l’umorismo che Pirandello definisce il sentimento del
contrario: si osservano e si descrivono i comportamenti paradossali dei personaggi che dapprima
ci fanno ridere (“avvertimento del contrario  COMICITÀ). Esempio: si vede una vecchia signora
vestita e acconciata in modo troppo sfarzoso, ridicolo per una persona della sua età (ci viene da
ridere avvertendo il contrario di quanto ci aspetteremmo da una normale signora). Ma se poi a
questa prima osservazione si fa seguire una riflessione sulle cause di quei comportamenti e si
finisce per partecipare emotivamente alla situazione di quei personaggi, si arriva al sentimento del
contrario  UMORISMO. Esempio: se pensiamo che la signora di prima si veste in quel modo
magari perché ha un marito molto più giovane di lei e tenta di farlo innamorare ancora, stiamo
partecipando emotivamente alla sua situazione. Pirandello rappresenta personaggi inetti e deboli
che cercano una soluzione per vivere nel conflitto tra forma e realtà utilizzando un linguaggio
vicino al parlato, comprensibile a tutti.

Le novelle
Le novelle per un anno
Pirandello scrisse novelle per tutto l’arco della sua carriera e venivano pubblicate su quotidiani o
riviste. Nel 1922 progettò una sistemazione globale in 24 volumi col titolo complessivo di “Novelle
per un anno”. Durante la vita dell’autore solo 14 volumi furono pubblicati, a cui si aggiunse
postumo “Una giornata”, nel 1936. A differenza delle raccolte classiche di Boccaccio o dei
novellieri rinascimentali, nella raccolta pirandelliana non si riesce a individuare un ordine
determinato (le novelle non sono collegate tra di loro in alcun modo). Lo stesso titolo “sembra
alludere allo sperpero casuale dei giorni e delle vicende”. Il “corpus” sembra quasi riflettere la
visione globale del mondo che è propria di Pirandello, un mondo non ordinato e armonico, ma
disgregato in una miriade di aspetti precari e frantumati, il cui senso complessivo sembra
irraggiungibile.
Le novelle “siciliane”
Le novelle siciliane possono a prima vista ricordare il clima verista, ma ad un’osservazione più
attenta rivelano di appartenere già ad una dimensione diversa e inconciliabile. Pirandello diverge
dal Verismo in due direzioni:
 da un lato riscopre il sostrato mistico, ancestrale e folklorico della terra siciliana;
 dall’altro lato quelle figure di un arcaico mondo contadino sono deformate da una carica
grottesca, che le trasforma in immagini bizzarre, stravolte, allucinate, e le vicende, prive di
ogni riferimento ad un contesto sociale, estremizzati sino all’assurdo.
Le novelle “piccolo borghesi”
Su una linea affine si collocano anche le novelle per così dire “romane”. Nelle pagine pirandelliane
si allinea una successione sterminata di figure umane che rappresentava la condizione piccolo
borghese una condizione meschina, grigia, frustrata. Queste figure avvilite e dolenti non sono che
la metafora di una condizione esistenziale assoluta: il rapprendersi del movimento vitale in
“forme” che lo irrigidiscono. La “trappola” in cui questi esseri sono prigionieri è costituita

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sistematicamente da una famiglia oppressiva e soffocante o da un lavoro monotono e
meccanico, che mortifica e fa intristire.

I romanzi
L’esclusa
Nel 1893 Pirandello scrisse il suo primo romanzo “Marta Ajala”; lo pubblicò solo nel 1901 nelle
appendici del quotidiano romano “La Tribuna”, col titolo L’Esclusa. È la storia, ambientata in Sicilia,
di una donna accusata ingiustamente di adulterio, che viene cacciata di casa dal marito e vi verrà
riammessa solo dopo aver compiuto effettivamente l’adulterio. Il romanzo ha ancora legami con il
Naturalismo sia nella materia, sia nell’impianto narrativo. Al centro, come nella narrativa verista, ci
è ancora apparentemente un “fatto” dal forte potere condizionale, l’adulterio, ma la realtà il fatto
non ha vera consistenza oggettiva, Marta non è colpevole, contro le apparenze che l’accusano.
Il fu Mattia Pascal
Ormai decisamente al di là dell’ambito naturalistico è il terzo romanzo di Pirandello, Il fu Mattia
Pascal, che presentava già in forme pienamente mature i temi più tipici dello scrittore e
sperimenta soluzioni narrative nuove. È la storia paradossale di un piccolo borghese, imprigionato
come sempre nella “trappola” di una famiglia insopportabile e di una misera condizione sociale,
che per un caso fortuito, si trova improvvisamente libero e padrone di sé: diviene
economicamente autosufficiente grazie ad una cospicua somma a Montecarlo e apprende di
essere ufficialmente morto, in quanto la moglie e la suocera lo hanno riconosciuto nel cadavere di
un annegato. In un primo momento lo stupore lo assale ma un’idea gli fa immediatamente
cambiare prospettiva: questa è l’occasione giusta per fuggire da quella vita piena di frustrazione e
miseria. Mattia è deciso a dare una svolta alla propria vita, che considera inconcludente e poco
felice e perciò, cogliendo questa occasione caduta dal cielo, sceglie per sé il nuovo nome di
Adriano Meis, convinto di poter sfuggire ad ogni miseria e a tutte le insoddisfazioni che lo
affliggono. Trascorre il primo periodo viaggiando tra Italia e Germania, e alla fine si trasferisce a
Roma, prendendo una casa in affitto. Ben presto si accorge che la sua nuova vita ha dei limiti
pesantissimi, causati dal fatto di non esistere veramente. Tutte le convenzioni sociali gli sono
precluse: non ha documenti d’identità, subisce un furto e non lo può denunciare e soprattutto non
può sposare la figlia del proprietario di casa, di cui si è innamorato. Adriano non esiste e Mattia si
ritrova più frustrato di prima. Decide così di abbandonare la nuova identità e inscena un suicidio.
Con questo trucco Mattia riprende la sua vecchia, e unica, identità reale venendo al mondo una
seconda volta come Mattia Pascal. Pascal torna nel suo paese natio ma trova una situazione
completamente diversa da quella che aveva lasciato: sua moglie, si è risposata e ha avuto una
figlia con un suo vecchio amico. Tutto è cambiato, la gente del paese è andata avanti mentre lui
era intento a crearsi una nuova vita e questo che determina il suo isolamento: ormai Mattia Pascal
non può più riprendersi ciò che era suo perché intorno a lui l’assetto sociale che regolamenta
l’esistenza lo ha depennato da tempo. Il nome e il cognome, la famiglia, il matrimonio, che sono
cardini della vita di ognuno, per lui non sono punti fissi. Di solido c’è solo la sua tomba, o meglio, la
lapide di quell’uomo morto di cui aveva approfittato per cambiare vita, con inciso il suo nome
sopra. Non ha più niente ed è per questo che è condannato a riprendere il suo impiego di
bibliotecario, vivendo ritirato in una vita solitaria con un’unica distrazione: fare visita, di tanto in

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tanto, alla sua tomba. Nel Il fu Mattia Pascal si assiste anche ad una prima prova altamente
significativa della poetica dell’umorismo, che Pirandello teorizzerà quattro anni dopo nel volume
omonimo. La realtà, attraverso il gioco paradossale del caso, grottescamente distorta, ridotta a
meccanismo bizzarro, ma al di là delle risate che questo suscita vi è l’autentica sofferenza del
protagonista, sia quando è imprigionato nella trappola della vita sociale, sia quando ne è escluso e
ne prova una disperata nostalgia. Scatta dunque il “sentimento del contrario”: tragico e comico,
serio e ridicolo nella vicenda di Mattia Pascal sono indissolubilmente congiunti. Il romanzo è
raccontato dal protagonista, in forma retrospettiva, in quanto Mattia Pascal, al termine della sua
vicenda, affida ad un memoriale la sua esperienza; inoltre il racconto è focalizzato non sull’io
narratore, ma sull’io narrato, sul personaggio mentre vive i fati. Al punto di vista oggettivo della
narrazione naturalistica si sostituisce quindi un punto di vista soggettivo, parziale, che non fornisce
una prospettiva certa sugli eventi, e contribuisce a dare il senso della relatività del reale. In poche
parole la vicenda scorre sotto la lente di Mattia in forma retrospettiva. Pirandello ha chiara
coscienza dell’impossibilità di scrivere un romanzo tradizionale, in un’età che ha visto crollare le
certezze in una totalità ordinata del reale, per cui alla narrazione unisce la riflessione su di essa: in
una prefazione “metanarrativa” il Mattia Pascal narratore scarta ironicamente tutti i modelli di
racconto tipicamente ottocenteschi.
Uno, nessuno, centomila
Uno, nessuno e centomila si collega al “fu Mattia Pascal”, riprendendo il tema centrale della
visione pirandelliana, la crisi dell’identità individuale. Il protagonista, Vitangelo Moscarda, scopre
casualmente che gli altri si fanno di lui un’immagine diversa da quella che egli si è creato di sé
stesso, scopre cioè di non essere “uno”, come aveva creduto sino a quel momento, ma di essere
“centomila”, nel riflesso delle prospettive degli altri, e quindi “nessuno”. Vitangelo ha orrore delle
“forme” in cui lo chiudono gli altri e non vi si riconosce, ma ha anche orrore della solitudine in cui
piomba allo scoprire di non essere “nessuno”. Decide perciò di distruggere tutte le immagini che
gli altri si fanno di lui, in particolare quella dell’usuraio, per cercare di essere “uno per tutti”. Ferito
gravemente da un’amica della moglie, colta da un raptus inspiegabile di follia, al fine di evitare lo
scandalo cede tutti i suoi averi per fondare un ospizio per i poveri, ed egli stesso vi si fa ricoverare,
estraniandosi totalmente dalla vita sociale. Si tratta anche qui di una narrazione retrospettiva da
parte del protagonista, ma essa non si concreta più nella forma organica del memoriale scritto o
del diario, come negli altri romanzi, bensì resta allo stato puramente magmatico e informale di un
ininterrotto monologo.

Il teatro
Gli esordi teatrali e il periodo grottesco
L’interesse di Pirandello per il teatro ha radici lontane (dal 1910). Il contesto teatrale in cui
Pirandello veniva a inserirsi era quello del dramma borghese di impianto naturalistico, che, come
si è visto, si incentrava sostanzialmente sui problemi della famiglia e del denaro, vale a dire
sull’adulterio e sulle difficoltà economiche. Nel “Così è (se vi pare)” e nel “Piacere dell’onestà”,
Pirandello sconvolge due capisaldi del teatro borghese naturalistico, la verosimiglianza e la
psicologia. Gli spettatori non hanno l’illusione di trovarsi di fronte un mondo “naturale”, del tutto
simile a quello in cui sono abituati a vivere, ma vedono un mondo stravolto, ridotto alla parodia e

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all’assurdo, in cui i casi della vita “normale” sono forzati all’estremo e deformati, assumendo una
fisionomia stranita, artificiosa, meccanica, che lascia sconcertati e sbalorditi dalla loro forma
dirompente. Inizialmente, per questi motivi, il teatro di Pirandello ebbe scarso successo di
pubblico ed ottenne tiepidi giudizi da parte dei recensori.
Il “teatro nel teatro”
Nel 1921, Pirandello scrive “Sei personaggi in cerca d’autore. I sei personaggi a cui allude il titolo,
un padre, una madre, un figlio, una figliastra, una bambina, un giovinetto, sono nati vivi dalla
mente di un autore, che si rifiuta di scrivere il loro dramma. Pertanto si presentano su un
palcoscenico dove una compagnia sta provando una commedia (“Il giuoco delle parti” di
Pirandello), affinché gli attori diano loro dramma quella forma che l’autore non volle fissare. Così
Pirandello, invece del dramma dei personaggi, mette in scena la sua impossibilità di scriverlo,
emerge però anche l’impossibilità da rappresentarlo: non solo per la mediocrità degli attori, ma
per l’incapacità intrinseca del teatro di rendere sulla scena ciò che uno scrittore ha concepito. I sei
personaggi costituiscono un testo “metateatrale”, dove, attraverso l’azione scenica, si discute del
teatro stesso. Il dramma, suscitò l’indignazione furibonda del pubblico, impreparato a un discorso
d’avanguardia che sconvolgeva le convenzioni del teatro corrente.
Dramma borghese e dramma pirandelliano a confronto
DRAMMA BORGHESE DRAMMA PIRANDELLIANO
Quotidianità della vita borghese, con i suoi
La quotidianità della vita borghese
ruoli stereotipati, ma i casi della vita
Temi contemporanea, con i suoi problemi economici
“normale” sono forzati all’estremo e
e conflitti interni
deformati
Gli eventi sono inverosimili, assurdi e il
Costruzione degli Verosimiglianza degli eventi rappresentati e
meccanismo che li regola sfugge alla logica
intrecci logica consequenzialità tra cause ed effetti
convenzionale
Personaggi scissi, sdoppiati, contraddittori,
Personaggi Personalità a “tutto tondo” unitarie e coerenti oppure lucidamente consapevoli
dell’irrazionalità e dell’insensatezza del reale
“Grottesco”: fusione di serio e ridicolo, di
Tono Serio
tragico e di comico
Concitato, convulso, fatto di continue
Linguaggio Prosaico e realistico interrogazioni, esclamazioni, sospensioni,
sottintesi, frasi interrotte
Interpreta e diffonde i valori borghesi
Atteggiamento Critica le convenzioni della vita borghese e le
fondamentali: la famiglia, la rispettabilità, il
ideologico certezze comunemente condivise
lavoro
Irrazionalismo e vitalismo, teorie
Retroterra Positivismo sul versante filosofico e
psicologiche che mettono in discussione
culturale Naturalismo su quello letterario
l’unità dell’io (Alfred Binet)

Componimenti
 Il treno ha fischiato (da Novelle per un anno – 1914) pag. 732
Riassunto: Un contabile, molto mite e dedito al lavoro, di nome Belluca, sottomesso da tutti, viene
ricoverato in ospedale perché inizia a comportarsi in un modo non consone al suo carattere.
L’uomo difatti, il giorno prima del ricovero, giunto in ufficio in ritardo, non svolge regolarmente il

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suo lavoro non sembrando nemmeno lui. Quando il capo ufficio entra nella stanza per esaminare il
lavoro svolto dal Belluca, si accorge che non aveva eseguito il lavoro richiesto e sorpreso, gli
domanda per quale motivo non ha lavorato. Il contabile reagisce urlando contro il suo capo,
dicendo più volte che un treno ha fischiato nella notte portandolo in luoghi lontani. A questo
punto viene creduto pazzo e ricoverato in un ospedale psichiatrico. Giunto in ospedale continua a
parlare di questo treno; i suoi occhi hanno una luce particolare, come quelli di un bambino felice, e
frasi prive di senso escono dalla sua bocca. All’improvviso un uomo che lo conosce inizia a gridare
che lo stesso non è impazzito ma che si deve conoscere la vita che egli conduce. Infatti oltre a
lavorare, subendo angherie da tutti i suoi colleghi e dal suo capoufficio, è angustiato da una
squallida vita familiare, dovendo mantenere oltre alla propria moglie altre 11 persone di cui tre
non vedenti. Avendo tutte queste persone che dipendono da lui deve anche svolgere un secondo
lavoro di notte, che lo sfinisce portandolo all’esaurimento. Quando il Belluca riceve la visita del suo
amico, che gli dice che lo credono impazzito, lui stesso gli racconta di quella sera che, talmente
stanco, non riuscendo a dormire, sente da lontano un fischio di un treno e, quindi, la sua mente lo
riporta indietro nel tempo quando anche lui aveva una vita “normale” e che da tempo non ci
pensava più; e quello che gli è accaduto è stato un ritorno al passato che lo ha fatto evadere della
vita misera che conduce. Dimesso dall’ospedale si scusa con il capoufficio e ritorna alla sua vita da
contabile.
Analisi: la novella ha la struttura dell’inchiesta, della ricerca della verità dietro al comportamento
di Belluca. L’inizio è in medias res, ovvero non vengono presentati prima i personaggi o la
situazione, ma ci si trova già catapultati all’interno della storia. La novella ritrae un piccolo
ambiente borghese, ma è ovvio che in Pirandello non vi è alcun intento naturalistico di ricostruire
un ambiente sociologicamente definito. Belluca rappresenta l’uomo imprigionato nella trappola
della “forma”, la quale assume le vesti della squallida condizione impiegatizia. Pirandello porta
all’assurdo la descrizione della condizione di Belluca (tre cieche e due figlie vedove con complessivi
sette figli) scatenando una reazione umoristica (il sentimento del contrario). La causa che ha
scatenato la follia di Belluca e ha quindi determinato la rottura del meccanismo della “forma” è
stato il fischio di un treno, ma questo basta per far assumere all’eroe coscienza della vita che
scorre fuori dalla trappola. Belluca, dopo i gesti folli iniziali, tornerà alla sua vita impiegatizia, ma
stavolta avrà una valvola di sfogo: la fantasia.
 La carriola (da Novelle per un anno – 1917) pdf
Riassunto: La novella ci presenta un uomo, un avvocato e professore di diritto, che vuole
raccontare in maniera misteriosa una sua recente mania che lo tormenta. È un uomo tutto d’un
pezzo, devoto al lavoro che non indulge mai in distrazioni. Un giorno mentre sta tornando da
Perugia in treno, non riuscendo a concentrarsi sul lavoro, comincia a guardare l’incanto della
campagna, senza però vedere nulla in realtà. Questo perché non riesce a vedere ciò che c’è fuori,
bensì vede la vita che per via della maschera che il mondo gli ha imposto non potrà mai vivere,
vede i desideri che sono spariti prima ancora di nascere. Da qui comincia a trovare insopportabile
la vita che finora ha sempre vissuto. Tornato a casa, l’uomo si mette a fissare la targa con i titoli e il
suo nome e sgomento si rende conto di non riconoscerla più, non è più sua. Si convince così di
essere diverso dall’uomo che fino a poche ore prima abitava in quella casa, si vede come un
nemico di sé stesso. Viene quasi invaso da un desiderio di distruzione contro gli oggetti e i
famigliari, ma uno strano sentimento d’angoscia lo blocca e ritorna alla sua solita esistenza.

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L’uomo non modifica le proprie abitudini, mostra agli altri la maschera falsa che ha sempre
portato. Si concede tuttavia una trasgressione: ogni giorno, nel suo studio fa fare la carriola alla
cagna che dorme nel suo studio, facendole fare qualche passo sollevandola per le zampe
posteriori. La paura che vede negli occhi della cagna lo convince che non è possibile emergere dal
ruolo che il mondo ci ha assegnato.
Analisi: La novella è raccontata in prima persona sfruttando la figura della reticenza: l’autore,
tramite la voce del personaggio, accenna inizialmente a una misteriosa creatura femminile e allo
strano atto che compie, svelando solo alla fine il proprio segreto. Per quanto possa sembrare una
novella ironica, in realtà ci troviamo di fronte a un umorismo amaro. Il narratore è assolutamente
serio quando parla della sua mania e della sua angoscia e l’umorismo scaturisce
dall’interpretazione del lettore, che capisce il divario esistente fra l’uomo che il protagonista è e
l’uomo che vorrebbe essere, ma non sarà. Pirandello parla della repressione che cerca di essere
bypassata dalla follia, solo che questo gesto crea ancora più instabilità perché la società (in questo
caso la cagna dallo sguardo impaurito) rifiuta tali comportamenti. E anche lo stesso protagonista
rifiuta questo comportamento seguendo la teoria del Super-io di Freud. Il treno in questo caso
rappresenta lo scorrere del tempo, palcoscenico per la crisi di identità dell’avvocato che davanti
alla porta di casa ha l’epifania: la società gli ha dato un ruolo da ricoprire, ma dietro quel ruolo c’è
il nulla, lui non ha mai vissuto realmente. Solo che non può fuggire da quel ruolo, quindi per
riuscire a tollerare questa scoperta deve continuare a indossare la maschera e a sfogarsi in un altro
modo. C’è tutto il mondo di Pirandello nella carriola: l’uomo vive in una realtà nel quale interpreta
un ruolo nascondendosi dietro maschere che non può mai togliere pena un senso di angoscia. E
allora non ci rimane che rivolgerci alla follia.
 La costruzione della nuova identità (da Il fu Mattia Pascal – 1904) pag. 748
Riassunto: Mattia Pascal, dopo che la moglie e la suocera lo avevano riconosciuto nel cadavere di
un altro, decide di crearsi una nuova identità modificando il proprio aspetto fisico e assumendo il
nome di Adriano Meis. Successivamente si adopera per creare un passato immaginario, una
famiglia, una serie di memorie il più possibile verosimili ad Adriano Meis e comincia a viaggiare per
l’Europa. Dopo un po’ vuole stabilirsi in qualche città e avere una casa propria ma, non avendo
documenti e non “esistendo” veramente, non poteva permettersela.
Analisi: la prima reazione dell’eroe di fronte alla liberazione dalla “trappola” è un senso di euforia
e di libertà. Ma proprio qui Mattia commette il suo errore più fatale: creando Adriano Meis si
chiude in una nuova trappola. È illusoria, perciò, l’immagine della sua futura libertà: già da quando
cerca di comprare una casa ma si rende conto che senza documenti e senza identità non può,
riflette sul fatto di aver commesso un errore.
 Lo “strappo nel cielo di carta” (da Il fu Mattia Pascal – 1904) pag. 756
Riassunto: Anselmo Paleari, il padrone di casa di Adriano Meis, discute con lui di alcune
stravaganti teorie. Mattia Pascal decide di eliminare l’ultimo legame che lo unisce alla sua
precedente identità, l’occhio storto, facendosi operare. Dopo l’intervento deve restare quaranta
giorni al buio e il signor Paleari cerca di convincere il protagonista che il buio era immaginario.
Analisi: La metafora delle marionette all’inizio del testo allude al fatto che per Pirandello la nostra
personalità è una costruzione fittizia, una maschera che indossiamo, al di sotto della quale non c’è
nulla.

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Giuseppe Ungaretti
(Alessandria d’Egitto 1888 – Roma 1970)

La vita
Dall’Egitto all’esperienza parigina
Nasce nel 1888 ad Alessandria d’Egitto, rimarrà orfano di padre. Nella giovane età viene
influenzato da Leopardi e Nietzsche, di questi anni rimarrà in lui anche la memoria di un
paesaggio fantastico e irreale. Nel 1912 si reca a Parigi per frequentare il college dove viene
influenzato dalla poesia decadente simbolista, soprattutto da Baudelaire, inoltre frequenta
anche gli ambienti dell’avanguardia. Nel 1914 va in Italia dove prende contatti con i gruppi
futuristi e grazie a quali inizia a pubblicare le sue prime opere, in più si prepara con entusiasmo
alla guerra. Combatterà la guerra come fante volontario. Dopo la guerra torna a Parigi dove si
sposa.
L’affermazione letteraria e le raccolte poetiche della maturità
In seguito di trasferisce a Roma dove aderirà poi al fascismo, sicuro che la dittatura potesse
rafforzare quella solidarietà nazionale dalla quale si era sentito escluso. Nel 1936 inizia a
insegnare all’università. Con la seconda guerra mondiale e i lutti familiari segnano in Ungaretti la
crescita di una nuova dolorosa consapevolezza, da qui in poi nelle opere si sentirà il suo dolore.
Morirà nel 1970.

L’allegria
La funzione della poesia
Volle sottolineare il carattere autobiografico dell’opera, proponendo tutta la sua opera poetica
come una sorta di nuova e versificati ricerca del tempo perduto. Il carattere autobiografico
dell’opera tuttavia non va inteso nel senso tradizionale di una narrazione che ricopre la vita
dell’autore, ma va spiegato attraverso la concezione dell’arte elaborata da Ungaretti. Per il poeta
letteratura e vita sono strettamente collegati e la letteratura assumendo valore religioso, ha il
compito di svelare il senso nascosto delle cose. La poesia ha dunque il compito di illuminare e
illustrare il senso della vita stessa.
L’analogia
Le liriche della raccolta tendono a escludere le componenti più propriamente realistiche,
attraverso un’estrema riduzione della frase alle funzioni essenziali della sintassi e della parola.
Questa capacità di sintesi della poesia è inscindibile rispetto all’essenza profonda e misteriosa
dei contenuti che intende comunicare ed è conseguita di Ungaretti attraverso il mezzo espressivo
dell’analogia. Tale procedimento va oltre la simbologia e le metafore utilizzate dalla letteratura
precedente. Ungaretti sostiene che la letteratura dell’800 aveva cercato di conoscere il reale in
modo analitico, istituendo collegamenti chiari tra gli oggetti o i concetti, ma così si possono
rivelare solo gli aspetti superficiali della realtà. Il nuovo procedimento di fare poesia rapida sa
mettere in contatto immagini lontane, che non hanno un rapporto immediato. Così facendo la
poesia supera il immediatamente il mondo della realtà, per entrare in un mondo superiore in
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grado di rivelare il senso delle cose. Quindi la strada che percorre è quella di cogliere il valore
evocativo della parola, isolandola nella sua purezza.
La poesia come illuminazione
Seguendo tale concetto, risulta chiaro come per Ungaretti il poeta è un sacerdote della parola, un
essere privilegiato che sa cogliere i nessi delle cose, questa direzione attribuisce alla poesia un
significato magico ed esoterico. In sostanza la parola è una rara fonte di conoscenza preziosa,
essa assume il valore di una improvvisa e folgorante “illuminazione”, in cui, per un attimo, la
poesia riesce a raggiungere la totalità e la pienezza dell’essere.
Gli aspetti formali
Per la versificazione abbiamo la distruzione del verso tradizionale e l’adozione di versi liberi per
lo più brevi, contribuendo a dare l’impressione di un dettato fatto di parte staccate, isolate l’una
dall’altra. La sintassi rifiuta le costruzioni complesse, adeguandosi, nella sua linearità allo sforzo di
voglie l’attimo, di illuminare un momento dell’essere. La strofa è spesso costituita solo dalla frase
principale, e di solito si incontro lo stile nominale. La parola viene fatta risuonare nella sua
autonomia e nella sua purezza (isolata nel verso. Sul piano lessicale la poesia appartiene a un
sistema rigorosamente mono linguistico.
Le vicende editoriali e il titolo dell’opera
Nell’opera è possibile distinguere 3 fasi (dal punto di vista editoriale): un primo gruppo di poesie
del 1916 con il titolo di Il porto sepolto (prima fase), in seguito vengono ripubblicati nel 1919 con
altri con il titolo Allegrie di naufragi (seconda fase), successivamente i testi vengono corretti, tolti e
aggiunti, pubblicati con il titolo di Allegria nel 1942 (terza fase). Il primo titolo allude a “ciò che
segreto rimane in noi, indecifrabile”, quindi il porto sepolto equivale così al segreto della poesia,
nascosto nel fondo di un abisso nel quale il poeta deve immergersi. Il secondo titolo, allegrie di
naufragi, è un ossimoro, il primo termine parla dell’esultanza d’un attimo mentre il secondo
dell’effetto distruttivo ella morte. Nel terso con l’eliminazione di un termine è motivata dalla
volontà di sottolineare maggiormente l’elemento positivo dell’opposizione.
La struttura e i temi
L’opera è suddivisa in 5 sezioni: dalla prima, Ultime, Il porto sepolto, Naufragi, Girovago e Prime.
È presente una componente autobiografica per così dire trasfigurata,in quanto i singoli eventi
assumono il valore di un’esperienza paradigmatica in cui l’uomo incontra la verità, il senso
profondo e ultimo della propria esistenza. Un gruppo di temi e immagini si legano all’infanzia e
all’adolescenza del poeta, in cui Ungaretti proietta la propria di uomo senza patria. Un momento
di transizione è costituito dall’esperienza del fronte, ma la guerra in ogni caso gli consente anche
di stabilire un contatto con la propria gente e di avvertire la consapevolezza di una ritrovata
identità. La guerra infine, come fonte di ispirazione, costringe a vivere nel precario confine fra
vita e morte, dove ogni cosa può rovesciarsi nel suo opposto e scomparire per sempre
all’improvviso, essa si traduce così in immagini nitide e sofferte, quella poetica dell’attimo. Altra
tematica importante che nasce è quella del viaggio, come simbolo di morte sempre presente.

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Il sentimento del tempo
Il secondo tempo d’esperienza umana
Le poesie scritte a partire dal 1919 e inserite nel Sentimento del tempo, rappresentano un
sostanziale mutamento di prospettiva rispetto all’Allegria. Qui il poeta vuole evidenziare un altro
modo possibile di intendere il tempo, esso è infatti sentito qui come durata, come causa del
mutare di tutte le cose, in un processo continuo di distruzione e rinascita.
Roma, luogo della memoria
Lo scenario ella maggior parte di liriche qui raccolte è Roma, questo perché Ungaretti associa un
significato alla città che si collega al tema fon mentale del tempo, infatti essa è il luogo della
memoria, quindi lo strumento che permette di cogliere il tempo come durata (edifici antichi in
decadimento). Su questa base si sviluppa la poesia di metamorfosi del tempo, nell’incessante
scorrere delle ore e delle stagioni. Da qui derivano suggestioni che agiscono sul pensiero religioso
di Ungaretti: la vita come incessante processo di creazione e distruzione, genera nell’uomo una
drammatica condizione di divisione tra “l’infallibilità della creazione divina” e la “fragilità delle
creature terrene”.
I modelli e i temi
Sul piano tecnico si ha un recupero delle strutture sintattiche e delle forme metriche tradizionali,
da ciò si comprende così il vero significato dell’operazione compiuta nell’Allegria: una distruzione
del verso non polemica e fine a sé stessa, ma condotta consapevolmente allo scopo di risentirlo
di nuovo, ingenuo, per poi ricomporlo e farlo rinascere a vita nuova, come accade nel
Sentimento del tempo. Inoltre sono presenti altri temi minori: l’amore per la morte, del viaggio e
della nave, dell’insopportabile esaltazione dei sensi e il perenne destino di espiazione.

Il dolore e le ultime raccolte


Il dolore
Nel 1947 pubblicò Il dolore, in cui sono comprese le poesie scritte dopo il 1933. La raccolta si va
voce del tormento personale (morte del fratello e del figlio) e collettivo (guerra). Per la sofferte
partecipazione a queste esperienze, i testi non sono accompagnati da alcuna note dell’autore,
che si limita ad osservare. Sono presenti sia poesie dedicate al fratello che al figlio, in seguito
entrano a far parte della raccolta anche testi che trasformano il dolore personale in nazionale, le
immagini della guerra danno la dimensione di uno sconvolgimento apocalittico, in cui gli stessi toni
biblici ed evangelici del linguaggio ripropongono il valore di una fede religiosa o la richiesta di una
umana solidarietà, ora offesa, a cui affidare le sorti de un’intera civiltà minacciata.
La terra promessa e il taccuino del vecchio
La raccolta successiva, La terra promessa, viene pubblicata nel 1950 e comprende frammenti di un
più ampio progetto, iniziato nel 1935: la composizione di un melodramma, con personaggi,
musica e cori. La vicenda avrebbe dovuto rappresentare lo sbarco di Enea, le sue imprese gloriose,
l’amore di Didone e la morte dell’eroina, con un disegno allegorico capace di riflettere le
tematiche di fondo della poesia Ungarettiana (ricerca di una nuova terra per sfuggire alla legge del

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tempo, il contrasto tra il dovere e la passione, e l’approdo finale nella morte). Il taccuino del
vecchio pubblicato nel 1961 comprende le poesie 1952-60 ed è per la maggior parte composta
dagli Ultimi cori per la terra promessa, che stabiliscono un ideale rapporto di continuità con
l’opera precedente. L’ottica è tuttavia mutata: da un lato la terra promessa tende sempre più a
identificarsi con la fine delle stagioni e della vita; dall’altro lo schermo della mitologia viene a
cadere, per lasciare nuovamente il posto alla prima persona del poeta, che cerca un bilancio
definitivo della propria esperienza umana e poetica.

Componimenti
 Veglia (da L’allegria – 1915) pag. 173
Temi chiave: l’orrore della guerra – la deformazione espressionistica – l’istinto dell’attaccamento
alla vita
Analisi: La prima parte è costituita da un unico e ininterrotto fluire del discorso poetico, che
insiste, in maniera implacabile, sulla crudezza della guerra. Il senso di orrore è ribadito più e più
volte durante l’intera poesia, mentre la seconda parte è caratterizzata dalla riscoperta dell’amore:
le ragioni di un attaccamento alla vita che nascono dall’orrore e dal dolore, in una parola la morte,
come prepotente riaffermazione di un istinto naturale, ma anche come riconquista dei valori di
un’umana solidarietà.
 San Martino del Carso (da L’allegria – 1916) pag. 181
Temi chiave: gli effetti distruttivi della guerra – la pietosa memoria di che è sopravvissuto
Analisi: Sono presenti immagini di desolazione e di morte, legate alla guerra. In particolare ci
sofferma sul pensiero dei compagni caduti, la loro totale scomparsa è segno di una distruzione
profonda e dolorosa, in quanto non ammette risarcimento e rinascita (al contrario degli edifici). A
impedire che vengano del tutto cancellati non resta che la commossa e pietosa memoria di chi è
sopravvissuto, un ricordo fatto di tante croci, che trasformano il cuore in un cimitero. In tutta la
poesia viene utilizzato un linguaggio agevole e piatto, fatto di parole comuni. La compattezza che
la caratterizza è dovuta al rigore molto calibrato della costruzione e alla capacità di collocare le
parole secondo calcolate simmetrie.
 Soldati (da L’allegria – 1918) pag. 184
Temi chiave: il senso di solitudine desolata e di abbandono – la precarietà e la fragilità
dell’esistenza
Analisi: Il titolo della poesia è parte integrante del testo, risultando un elemento essenziale per la
sua comprensione, esso costituisce il punto di riferimento del processo analogico, che assimila la
vita del soldato alla fragilità della foglia. L’intera poesia è formata da un complemento di
paragone, retto da un verbo comune, il cui uso impersonale (si sta) sottolinea una condizione di
anonimato, ad accentuare il senso acuto di solitudine desolata e di abbandono che pure
accomuna la vita dei soldati. Il paragone rende la sensazione di precarietà e angoscia dovuta a
qualcosa che potrebbe in ogni momento accadere, per un impercettibile movimento o scarto
potatore di morte.

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 Fratelli (da L’allegria – 1943) pdf
Analisi: verte sul tema della fraternità degli uomini nella sofferenza, nel caso specifico è la
fraterna solidarietà che lega i soldati nella condizione di fragilità imposta dalla guerra. Gli uomini
legati dal comune destino di morte uniscono si uniscono nel comune sentimento di precarietà non
solo legato alla situazione contingente ma riferito anche alla condizione umana nel suo complesso.
La solidarietà rappresenta l’istintiva reazione alla constatazione della precarietà umana.
 Allegria di naufraghi (da L’allegria – 1942) pdf
Analisi: Il tema della guerra è dominante, la parola diventa un simbolo, i versi sono brevi e
frantumati e la punteggiatura eliminata: tutti punti che caratterizzano lo stile innovativo di
Ungaretti. Il titolo della poesia, Allegria di naufragi, è quindi un ossimoro: cosa c’è di allegro nella
condizione di un naufrago? I naufraghi sono gli uomini, che restano tali per colpa del dolore della
guerra, ma il poeta vuole sottolineare che, anche se essi hanno vissuto momenti terribili, è
possibile ancora che abbiano uno slancio vitale positivo. a poesia è composta da sei versi
brevissimi, a volte formati anche da una sola parola. Tutto ruota intorno alla similitudine, espressa
con il “come” messo in evidenza perché collocato in modo solitario nel terzo verso. La condizione
dell’uomo, che sta vivendo la dolorosa esperienza della guerra, viene paragonata a quella del lupo
di mare sopravvissuto ad un naufragio, che riprende il largo. La metafora del naufragio viene
ripresa dalla più grande tradizione poetica, ovvero autori quali Leopardi, Mallarmé, Baudelaire. La
bellezza della poesia Allegria di naufragi va ricercata soprattutto nel senso, al di là degli espedienti
stilistici e retorici. Ungaretti vuole dare un messaggio positivo a tutti gli uomini: nonostante essi
abbiano vissuto un momento durissimo, come un vero e proprio naufragio, devono riprendere il
viaggio e cercare di andare avanti seguendo lo slancio positivo della vita.

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