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OMICIDIO IN CASA WHITE

Dunque, tutto procedeva piuttosto bene. Anzi, direi che da un sei mesi succedevano praticamente
solo cose belle, finché l’azienda in cui lavoravo chiuse e fui costretta a cambiare lavoro. La ricerca
fu straziante, non trovavo nulla che mi piacesse e anche lavorare in ufficio, come già facevo prima,
non mi interessava più, non volevo tornare a quella vita. Passarono due lunghi mesi ma un giorno
un amico, presa coscienza della mia situazione, si presentò sotto casa con aria felice. Ci salutammo
e Mauro saltò subito al punto “Ti ho trovato lavoro!” disse con tono euforico, “Qui in caserma un
mio collega è stato licenziato, ora puoi finalmente mettere un punto a questo periodo difficile.”.
Potreste pensare che quello del carabiniere non sia un lavoro che si può proporre con così tanta
insistenza ad una persona qualunque, ma si dà il caso che io non lo sia. Era esattamente il lavoro
che cercavo, non potevo chiedere di meglio, sapevo non sarebbe stato possibile inserirsi come se
niente fosse ma ero disposta a tutto pur di cogliere al meglio questa possibilità e infatti riuscii in non
molto ad avverare il mio sogno. La tragedia che voglio raccontarvi però non ha a che vedere
direttamente con me, ma è la storia di uno dei più intricati omicidi che l’Italia abbia mai visto.
Era appena calata la notte quando durante un mio turno in caserma ricevemmo una telefonata da
parte della signora Anna White che chiedeva il nostro intervento in seguito al ritrovamento di suo
figlio Henry sdraiato senza vita sul tappeto di casa sua. Quando arrivammo sulla scena la prima
cosa che vidi furono due donne, una visibilmente più triste dell’altra, che si consolavano a vicenda.
“Buonasera signore sono l’agente Sabrina D’Agostino, sono sicura che porteremo giustizia a questa
vittima innocente. Condoglianze.”. Dissi loro. “Salve io sono Lucia, grazie mille agente, ma vede io
non ero nessuno per quel ragazzo se non la sua vicina è lei quella a cui dovrà rivolgersi d’ora in
avanti” diceva mentre indicava la donna che stava abbracciando “sa, il giovane in quella casa era
suo figlio.”. Era più bassa di quella che aveva vicino, con i capelli quasi totalmente bianchi e dei
grossi occhiali rossi, attraverso i quali si vedevano due occhi colmi di lacrime e le parole venivano
fuori a mala pena. L’altra signora, evidentemente più curata, ma non tanto più giovane della prima
era lì impalata che guardava la casa di suo figlio. Dopo il discorso di Lucia girò solo la testa e mi
disse un semplice grazie, in seguito fece un ampio sorriso e la sua espressione si spese di nuovo
mentre tornava a guardare l’edificio. “Sarà sconvolta…”, pensai mentre entravo nella casa degli
orrori. Il povero Henry era sdraiato a pancia in su, sembrava quasi dormire ma guardando i suoi
vestiti la maglietta che indossava era piena di tagli e tutta sporca di sangue. Non ci voleva tanto per
capire che era stato un attacco brutale, infatti la prima ipotesi era che fosse stato un “delitto
passionale”, cioè che fosse stato qualcuno vicino alla vittima a compiere quello spregevole gesto,
forse dopo un pesante torto. Qualche giorno dopo avevamo già steso alcune delle possibili mosse
dell’assassino: egli sarebbe entrato dalla finestra del bagno, che era stata presumibilmente lasciata
aperta da Henry stesso perché non presentava forzature e non era neanche rotta, ma ciò che
confermava questa teoria era che il vaso appoggiato sul davanzale di quella finestra è stato ritrovato
sul pavimento del bagno in tanti piccoli pezzi. Le sue prossime mosse sarebbero state aspettare
l’arrivo di Henry, che si ipotizza abbia portato in casa una cassa d’acqua che infatti è stata trovata
sul tavolo della cucina, la prima stanza subito dopo la porta d’ingresso. Quando Henry mise piede in
casa sua si diresse verso la cucina per appoggiare la cassa e una volta arrivato in salotto è stato
aggredito selvaggiamente dal suo assassino con un coltello da cucina. Purtroppo quest’ultima
informazione derivò solamente dall’autopsia, dopo aver analizzato la lama di tutti i coltelli in casa
White e dopo aver cercato per tutto l’edificio, dell’arma del delitto non c’era nemmeno l’ombra
quindi era probabile che l’assassino l’avesse fatta sparire. Per quanto riguarda eventuali sospettati, il
killer è stato talmente tanto abile da non lasciare alcuna traccia che potrebbe rivelare la sua identità,
quindi poteva essere stato chiunque. Un pomeriggio, però, alle mie orecchie arrivò una nuova
informazione da parte di Mauro, che era venuto da me a prendere un caffè. Mi rivelò che
l’operatore che ricevette la chiamata della signora Anna White, gli aveva confidato che il suo tono
era molto strano, a tratti sembrava disperata, a tratti cambiava totalmente e pareva quasi estraniata,
come se nulla fosse successo, a ogni domanda la sua voce era diversa. Interessata gli domandai
“Perché mi dici questo?”
“Perché forse potrebbe essere un’informazione rilevante per le indagini.”
“Sospetti di lei?”. Gli chiesi.
“No, quella vecchietta disperata che ho visto davanti all’abitazione non credo proprio sia capace di
compiere un gesto simile.”. Questa risposta mi spiazzò, effettivamente Mauro non aveva parlato con
le due donne quella notte e non poteva sapere che l’anziana sofferente non era la signora White.
“Cosa c’è? Sembri strana, è per caso passato un fantasma e non me ne sono accorto?” Mi domandò
scherzoso. “Guarda che l’anziana che piangeva non era la madre di Henry, io ho parlato con quelle
due signore, quella alta e mora è la signora White.”. Gli comunicai, Mauro fece un’espressione più
sconvolta della mia. “Non tutti reagiscono al lutto nello stesso modo, magari lei è rimasta
traumatizzata dalla vista del corpo senza vita di suo figlio e mostra la sua tristezza in questi modi
bizzarri. Comunque non si possiedono neanche abbastanza prove per avere un solo sospettato,
quindi non c’è motivo di basarsi su cose del genere per formulare ipotesi.” Aggiunsi e con questo
non toccammo più l’argomento. Passò un anno e mezzo, i detective ebbero ormai seguito tutte le
strade possibili e ognuna finì per guidarli ad un vicolo cieco, finché decisero di archiviare il caso.
Avevo seguito senza sosta tutti i passaggi delle indagini e quando lo scoprii andai su tutte le furie.
Sapevo non fosse il mio campo ma non potevo sopportare l’idea che un assassino girasse a piede
libero per le strade della città a cui ero tanto legata. I giorni passavano ma non riuscivo a non
pensarci così decisi di mettere un punto a quella situazione con le mie mani, se non fossi riuscita a
risalire ad una conclusione avrei lasciato finalmente perdere. La casa l’avevo vista, sapevo bene
della cassa d’acqua in cucina, della porta chiusa del bagno dietro la quale c’erano il vaso rotto e la
finestra aperta, mi mancava solo sentire le testimonianze, anche se alcune informazioni su esse
erano già state condivise, ma non per intero. La prima persona che mi interessò ascoltare era proprio
la signora Lucia, come vicina di casa del ragazzo avrebbe sicuramente avuto informazioni su di lui
e su eventuali attività sospette avvenute il giorno della sua morte. Bussai alla sua porta, l’anziana
aprì e mi disse che si ricordava di me e che immaginava che la mia visita avesse a che fare con
l’omicidio. “Ha indovinato, vorrei sapere da lei qualche informazione in più se è possibile.”, le
dissi. Mi rispose che potevo farle qualsiasi domanda e così iniziai a interrogarla. Da questo
colloquio vennero fuori tante informazioni utili innanzitutto sulla vita della vittima: era un ragazzo
di 25 anni originario dell’Inghilterra che si era recentemente trasferito in Italia perché suo padre era
ricoverato in gravi condizioni e aveva trovato un monolocale in affitto proprio di fianco alla casa di
Lucia. Da quando abitava lì sua madre Anna lo veniva a trovare tutti i giorni e per questo anche le
due signore si conobbero e divennero presto buone amiche. L’orario degli incontri era solitamente
dalle 13:00 alle 15:00 e anche il giorno dell’omicidio Anna era andata a trovarlo e addirittura Lucia
era stata invitata a bere un caffè. Finito l’interrogatorio tornai a casa, non avevo motivo per
sospettare di Lucia, ma mentre guidavo un brivido mi corse lungo la schiena, ripensai ad una frase
in particolare pronunciata dalla signora: “Che peccato per quel vaso.”. Ciò che mi scosse così tanto
fu che non c’era modo che l’anziana sapesse del vaso rotto, gli unici a conoscere
quest’informazione erano quelli delle forze dell’ordine che erano entrati in bagno quel giorno.
Ormai il sospetto per la signora era alto, “Sono stata fortunata, i miei colleghi non sono riusciti a
cogliere un momento di sfuggita come questo.”, pensai. Ma avevo ancora dubbi sull’innocenza di
un’altra persona, Anna White. Il suo nome si fa spazio nella lista dei sospettati perché dovevo
sapere il motivo della sua presenza a casa del figlio alle 21:00, quando le sue ore di visita erano ben
altre. Allora mi recai proprio da lei, l’indirizzo mi era stato fornito da Mauro, l’unico a conoscenza
della mia indagine personale. La sua casa era enorme, vistosa, una villa da ricchi. Suonai il
campanello e la donna si fermò dietro la porta e domandò: ”Chi è?”, “Sono l’agente Sabrina
D’Agostino, vorrei parlarle dell’omicidio di suo figlio.”, le risposi. Viste le precauzioni sapevo non
sarebbe stato semplice estrarre informazioni sufficienti da lei. Il suo interrogatorio era del tutto
diverso dal precedente: mentre Lucia era un po’ una rana dalla bocca larga sempre persa in dettagli
inutili, Anna era totalmente l’opposto, schiva, sfuggente, attenta a quello che diceva. Le chiesi
perché era lì a quell’ora e lei rispose che poco prima si trovava al supermercato a fare la spesa
quando si ricordò che quel pomeriggio il figlio le chiese di comprarle una cassa di acqua naturale e
così fece e alle 21:00 gliela portò. A questo punto trovò il suo corpo senza vita. Il racconto non
faceva una piega e non avevo altro da chiederle quindi me ne andai. Il giorno dopo avevo in mente
di far confessare la signora Lucia. Quindi mi precipitai a casa sua con un piano a dir poco geniale,
avevo in mente di fingere di avere un mandato di arresto e che se avesse confessato subito le
avrebbero dimezzato la pena e sarebbe uscita dalle sbarre in un batter d’occhio. E così feci ma non
mi diede nemmeno il tempo di comunicarle della diminuzione della pena che scoppiò in un pianto
isterico e mi confessò tutto: gli White erano una famiglia ricchissima finanziata dal lavoro del padre
Richard, imprenditore inglese. I signori White però negli ultimi tempi non vivevano una situazione
stabile come coppia e iniziarono a dividersi sempre di più. Allora a Richard venne in mente di
portare sua moglie nel suo paese natale, l’Italia, per cercare di riappacificare i rapporti, ma è proprio
qui che all’uomo venne diagnosticata una malattia che lo lasciò con aspettative di vita pari massimo
ad un anno. Secondo la legge il 60% della sua eredità sarebbe passato alla moglie, mentre il 40% al
suo unico figlio Henry, ma i due avevano un rapporto padre-figlio invidiabile a tutti e con sua
moglie era tanto se si parlavano ancora, quindi il suo ultimo desiderio fu quello di lasciare la
percentuale più alta di eredità a Henry. Quando Anna lo venne diventò furiosa, le dava fastidio che
suo marito preferisse il figlio a lei, soprattutto uno come Henry che Anna reputava essere un fallito
e con cui aveva ancora rapporti solo perché era sangue del suo sangue. Quando anche il ragazzo si
trasferì in Italia per monitorare la condizione del padre, sua madre era come se avesse messo
improvvisamente da parte ogni divergenza e il loro rapporto fosse tornato come un tempo. Ma in
realtà era solo per guadagnarsi un occhio di riguardo dagli altri cittadini cosicché nessuno avrebbe
mai sospettato di lei una volta assassinato suo figlio. Lucia le era servita da alibi, alle autorità aveva
detto di aver visto la macchina di Anna parcheggiare di fronte all’abitazione del ragazzo e che un
quarto d’ora dopo sono subito arrivate le forze dell’ordine. Questa storia è stata presa per buona
dalle autorità perché effettivamente ci avevamo messo esattamente quindici minuti per raggiungere
casa White. Ma la realtà dei fatti era ben altra: alle 13:00 come suo solito Anna si era recata a casa
del figlio e lei, la vicina e Henry bevvero un caffè. Alle 14:15 la donna tirò fuori un coltello da
cucina dalla borsa, che usò per attaccare il figlio, poi lo pulì e si cambiò i vestiti. Intanto Lucia, che
era a casa con lei si era occupata di aprire la finestra e rompere il vaso. Infine la madre portò arma e
vestiti a casa sua e li fece sparire. Dopo la sua confessione Lucia aggiunse: “Mi sarei consegnata lo
stesso, quando mi hai interrogata ho avuto modo di ripensare a quello che abbiamo fatto e mi sono
sentita malissimo, il senso di colpa è stato troppo forte non riesco più a sopportarlo. Siamo
colpevoli di aver privato ad un giovane di continuare a vivere ed entrambe meritiamo di pagare.”.
Portai Lucia in caserma e non dovette neanche ripetere quello che aveva confessato perché, per
evitare problemi, avevo già registrato tutti gli interrogatori. Non passò molto prima che mi diedero
un mandato d’arresto anche per Anna White. Ora sono passati 3 anni entrambe stanno scontando la
loro pena, ergastolo per Anna e 25 anni, che ora sono 22, per Lucia e io sono passata da normale
carabiniere a poliziotta giudiziaria, cioè incaricata alle indagini. Infine sono ora nota a tutti nella
cittadina come colei che è riuscita a dare giustizia e paace al povero Henry.

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