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Ciò che sei conta più di ciò che sai

Gianluigi Olivari

TECNICHE DI VENDITA INCONSCE


(Release 2.0)

Come utilizzare la forza dell’inconscio, e metterla al servizio di


risultati di vendita eccellenti

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Premessa

Questo testo è nato con lo scopo di fornire a chi esercita


l’attività di vendita uno strumento efficace, adatto a tutte le fasce di
esperienza (dal venditore di fresca nomina a chi ha già acquisito anni
di esperienza) e dall’applicabilità immediata.
Il background deriva dalle più recenti scoperte sul
funzionamento della mente, unito all’esperienza maturata dall’autore
in molti anni di gestione di reti di vendita di ogni dimensione, e di
vendita in prima persona.
Volutamente si è deciso, per rendere il testo stesso agile e di
semplice fruizione, di non affrontare le tecniche di vendita tradizionali,
ipotizzando che il lettore sia già ben formato in tal senso.
Il taglio che è stato dato all’opera prevede l’esplorazione di aree
solitamente quasi completamente trascurate dagli autori che scrivono
di vendita, aree che (dai neurobiologi e dagli psicologi più avanzati)
sono ritenute responsabili del 95% dei risultati, personali e
professionali, che l’individuo è in grado di ottenere nel corso della
propria vita.
Queste abilità inconsce possono essere sviluppate ed utilizzate
per consentire a chiunque eserciti la professione della vendita di
ottenere risultati eccellenti, senza per questo aumentare il tempo e gli
sforzi (in molti casi già estremamente elevati) investiti nella propria
attività. Anzi, utilizzando quanto evidenziato in questo testo, i risultati
diventano una fluida e proficua conseguenza di attività inconsce

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estremamente efficaci e in grado di elevare in modo a volte addirittura


inaspettato fatturati, profitti, fidelizzazione dei clienti.
Alcune delle tecniche qui presentate, oggi, rappresentano una
sfida aperta ai consueti schemi mentali della cultura occidentale,
tuttavia sono state e sono tuttora utilizzate (a volte consapevolmente,
a volte inconsciamente) da alcuni dei più grandi scienziati, atleti
olimpionici, medici, artisti e venditori che il mondo abbia avuto.
Personaggi di grande notorietà (non solo nel loro ambito
specifico) come Albert Einstein, Laura Wilkinson, Wolfgang A. Mozart,
Thomas Edison, Carl Simonton, Wilma Rudolph, Emile Couè, Richard
Bach, Charles Howard ne sono la più evidente testimonianza.
L’intelligenza emozionale, il potere delle credenze, la
consapevolezza della “potenza di calcolo” della parte inconscia
dell’individuo, la riprogrammazione dei consueti percorsi neuronali
della mente, mettono a disposizione strumenti di efficacia massima
che, utilizzati con flessibilità, persistenza, mente aperta ed
entusiasmo, sono in grado di cambiare per sempre i risultati della
maggior parte dei professionisti della vendita.
Una domanda che spesso mi viene posta è il perchè questo
manuale (che potrebbe sostenere un posizionamento attorno ai 50 €)
venga distribuito in migliaia di copie gratuitamente. La risposta è molto
semplice: la sua efficacia si scarica direttamente sulla mia notorietà
ed immagine, e ciò rappresenta il mio payback.

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In tutti i modi, consiglio al lettore di leggerlo come se fosse stato


realmente pagato 50 sudati €, e di applicare ciò che raccomanda.
Per finire, debbo mettere in guardia il lettore su alcuni aspetti di
questo manuale che, come detto, contraddicono apertamente ciò che,
sino ad ora, il lettore stesso ha probabilmente creduto assolutamente
vero. Il consiglio è quindi di leggerlo con mente aperta, sospendendo
ogni giudizio in proposito, e di applicare coscenziosamente ciò che
raccomanda. I risultati che si otterranno ripagheranno
abbondantemente degli sforzi profusi.

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L’attività dell’inconscio

Una rapida intuizione; il desiderio di bere Coca Cola anzichè


Pepsi Cola; un senso di familiarità con una persona mai vista nè
conosciuta; la preferenza per Bmw anzichè Mercedes; una repentina
certezza su una decisione da prendere; un acquisto importante
effettuato d’impulso.
Apparentemente sono tutti eventi non correlati, tuttavia sono
elementi rivelatori di un continuo e serrato lavorio della mente
inconscia, che attraverso la propria continua attività influenza in
maniera importante le decisioni coscienti e, di conseguenza, le azioni,
i comportamenti, la risposta agli stimoli dell’ambiente esterno.
Oggi, molto dopo che Sigmund Freud ha diffuso la sua teoria
secondo la quale i comportamenti agiti dalle persone sono una
conseguenza di misteriosi ricordi e potenti pulsioni inconsce, i
moderni neuroscienziati sondano la profondità della mente ed i suoi
meccanismi, fornendo quadri precisi dell’attività delle cellule neuronali
che formano la massa encefalica, e rendendo disponibili preziose

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informazioni sui meccanismi (consci e inconsci) alla base delle


decisioni e dei comportamenti degli individui.
“La maggior parte di ciò che facciamo ogni minuto della vita è
inconscio” sostiene Paul Whelan, neuroscienziato dell’Università del
Wisconsin. In questa istituzione d’avanguardia le domande a
proposito di ciò che motiva, ciò che si decide, cosa soddisfa e cosa
no, anzichè trovare risposta su un divano da psicanalista la trovano
attraverso complesse apparecchiature, in grado di “leggere” gli stati di
eccitazione dei neuroni in particolari zone del cervello. Questi
scienziati d’avanguardia hanno reso evidenti i profondi legami tra
l’attività del cervello che non ricade sotto l’influenza della mente
conscia e i relativi comportamenti nelle attività quotidiane.
La comprensione dei meccanismi che regolano l’attività
dell’inconscio ha profonde implicazioni nella vita privata così come
nell’attività lavorativa anche se, a tratti, rappresenta una sfida per tutto
ciò che fino ad ora è stato ritenuto vero. In effetti, ciò che le moderne
neuroscienze stanno rivelando appare come una rivoluzione rispetto
al modo di pensare logico, razionale, sequenziale tipico della cultura
occidentale.
Il riporre fiducia assoluta nei processi logici del proprio intelletto,
assegnando loro il compito di guidare ogni aspetto della vita, è stata
una delle correnti di pensiero tipiche dell’Illuminismo, che ancora oggi,
nel mondo occidentale, rappresenta un ispiratore di comportamenti
molto potente. Tuttavia, questa fede profonda nell’adeguatezza del

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raziocinio per risolvere i problemi dell’esistenza è stata messa in


discussione da numerose scoperte scientifiche nell’ambito delle
neuroscienze cognitive, che oggi sostengono con forza che il 95%
della nostra attività mentale sia inconscia. Pertanto la maggior
parte delle noste idee, decisioni, azioni, emozioni e comportamenti
dipenderebbe da quel 95% dell’attività mentale che non ricade nel
dominio della nostra coscienza cosiddetta diurna.
Per molti anni, i ricercatori sono stati riluttanti ad approfondire
gli studi sull’inconscio, soprattutto per le difficoltà correlate
all’assegnare valore scientifico ai risultati delle sperimentazioni di
laboratorio.
Oggi, i tempi sono cambiati. Sono stati sviluppati nuovi percorsi
per lo studio sistematico dell’inconscio, molto diversi dalle
metodologie della psicoanalisi classica che poneva il paziente sul
divano, chiedendogli di associarsi spontaneamente. Le metodologie
oggi adottate comprendono sofisticati strumenti come la fMRI
(risonanza magnetica funzionale), l’analisi dei processi di base della
percezione, dell’apprendimento e dell’attenzione (l’esporre a soggetti
partecipanti ai test del materiale così velocemente che non possa
essere percepito dalla mente conscia), le moderne neuroscienze (che
indagano i meccanismi di attivazione neuronale).
Attraverso queste ricerche sono state confermate alcune delle
idee basilari delle teorie freudiane; altre, sono state confutate.

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Nella prima parte del secolo scorso, l’inconscio era percepito


come un sinistro luogo di conflitti primordiali. Lussuria, gelosia,
fallimenti, timori, rabbia, segreti desideri, e peggio, si riteneva che
segretamente dimorassero in una oscura regione della mente, che
inizia appena oltre la nostra consapevolezza. Tali pulsioni, emergenti
sporadicamente durante l’attività onirica, sarebbero state “invisibili” (o,
per usare un moderno termine informatico, “trasparenti”) alla
consapevolezza diurna, e dotate di una forza molto maggiore rispetto
a quella della volizione tradizionalmente esercitata dalla
consapevolezza cosciente. In seguito, soprattutto per merito di Carl
Jung (in origine molto legato a Sigmund Freud) ed al suo lavoro di
accostamento delle teorie psicoanalitiche, in voga all’epoca, alle
culture orientali, un crescente numero di ricercatori iniziò ad attribuire
all’inconscio una valenza spirituale, di liberazione e di intierezza, in
aggiunta alle connotazioni relative agli impulsi e alle pulsioni
primordiali.
Ad esempio, una delle premesse essenziali della psicoanalisi –
il fatto che gli individui posseggano delle barriere difensive inconsce
deputate a preservare l’autostima – è stata largamente confermata.
Tuttavia l’idea di Freud sull’esistenza di un inconscio infantile,
primitivo, si è dimostrata largamente insufficiente alle prove di
laboratorio: l’inconscio è molto più sofisticato e potente di quanto egli
avesse immaginato. In quest’area gli esseri umani posseggono abilità
straordinarie e potentissime, critiche nei processi decisori a qualunque

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livello comportamentale, e che operano al di là del sipario della mente


cosciente

L’inconscio adattivo:
Questi processi, denominati collettivamente “inconscio adattivo”
definiscono il modo nel quale si percepisce il mondo esterno, si
affrontano le situazioni impegnative, ci si relaziona con altri individui,
si agisce un determinato comportamento, si stabiliscono i propri
obiettivi e si strutturano determinate azioni per raggiungerli.
Numerosi esperimenti di laboratorio hanno dimostrato che la
maggior parte delle decisioni dipendono dall’ inconscio adattivo, in
pratica la parte di noi che opera costantemente, e con grande velocità
ed efficacia, sotto la soglia della coscienza.
L’inconscio adattivo è dotato di una “potenza di calcolo”
infinitamente superiore rispetto a quella della mente conscia (circa
8.000 volte maggiore), opera a più livelli contemporaneamente, non è
limitato dai consueti vincoli di spazio / tempo, e ragiona a livello
associativo.
L’inconscio adattivo rende possibile, per esempio, effettuare
una curva in auto senza dover affrontare, consciamente, una serie di
complessi calcoli riguardo alla velocità del mezzo, al raggio di sterzata
della traiettoria da impostare, alla distanza dal marciapiede, al fattore
di tenuta delle gomme sull’asfalto, e così via.

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L’inconscio adattivo aiuta nella scelta d’impulso dei prodotti da


acquistare, spesso sollevando la mente conscia da complesse e
lunghe valutazioni incrociate circa l’utilità d’uso, il rapporto
prezzo/qualità, la serietà e l’affidabilità del marchio, la diffusione e la
sicurezza del prodotto stesso.
L’inconscio adattivo è anche ciò che spinge ad avere piena
fiducia in uno sconosciuto, senza dover per forza analizzare
linearmente ogni movimento che effettua, ogni parola che pronuncia,
l’esatta intonazione del suo eloquio, i dettagli dell’abbigliamento che
indossa, come interloquisce, che know-how dimostra di possedere, la
coerenza che emerge comparando il suo linguaggio verbale a quello
non verbale. Tutti questi aspetti vengono valutati
contemporaneamente ed a più livelli, generando velocemente
attrazione o repulsione per lo “sconosciuto” in esame.
Timothy Wilson (professore di psicologia all’Università della
Virginia di Charlottesville) in un suo noto testo (Strangers to
ourselves) propone una valutazione dell’inconscio nè buona nè
cattiva, nè particolarmente spirituale. Il suo ruolo sarebbe
semplicemente quello di aiutare nelle decisioni e nei comportamenti
relativi alla vita quotidiana.
Wilson dimostra che questo inconscio gestisce la maggior parte
dei processi di livello “inferiore” che si verificano senza
consapevolezza, ed egli stesso definisce l'inconscio come quella serie
di processi mentali che sono inaccessibili alla coscienza, ma che

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influenzano le scelte quotidiane.


Tuttavia, Wilson sostiene, non dobbiamo commettere l’errore di
ritenere che l'inconscio ci accomuni ad un automa o ad un
“homunuculus”. In un capitolo intitolato "Who's in Charge?” (Chi ha la
responsabilità?) Wilson osserva che l'inconscio sembra svolgere un
ruolo centrale nell’assumere importanti decisioni, come ad esempio
quelle relative alla propria attività lavorativa, quelle relative alla
persona giusta da sposare, e se, pur nella foga del momento, sia
davvero una buona idea sottolineare in pubblico le carenze del proprio
capo.
In aggiunta, a proposito della nota catena pensiero – azione
(l’azione segue il pensiero che l’ha generata) Wilson propone una
affascinante variante: entrambi sarebbero originati e preceduti da un
processo inconscio (causa) che a sua volta origina il pensiero conscio
(primo effetto) che per finire sfocia nell’azione (secondo effetto).
Sarebbe solo l’apparente coordinamento temporale tra pensiero
cosciente e azione (entrambi a livello consapevole) che fornisce
l’illusione che l’azione sia figlia soltanto del pensiero cosciente.
Uno dei campi privilegiati per l’applicazione di questi concetti è
sicuramente rappresentata dalla professione della vendita, attività
estremamente complessa che non può prescindere (sia dal lato
venditore che da quello cliente) da una serie di processi inconsci che,
in ossequio alla legge del 95% / 5%, finiscono per determinarne il
successo al di là delle tecniche di vendita coscientemente utilizzate.

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Spesso si ritiene che applicando moderne, avanzate ed efficaci


tecniche al processo di vendita i successi debbano arrivare per forza.
Pur non contestando la validità di ciò (i venditori eccellenti debbono
per forza utilizzare modelli efficaci per raggiungere un successo
duraturo) le tecniche “convenzionali” rappresentano il 5% del
potenziale dei venditori, e l’eccellenza si raggiunge utilizzando
l’ulteriore 95% delle “super-competenze” che ognuno di loro
possiede, e delle quali spesso non è consapevole.
L’aspetto straordinario è che tuttto ciò che serve per migliorare
è già posseduto da ogni lettore, che deve solo apprendere come
“governare” e utilizzare a proprio vantaggio l’enorme “potenza di
calcolo” che la propria mente inconscia già possiede!
Nel prosieguo di questo e-book, attraverso alcune informazioni
sul funzionamento della mente, su quali siano e come nascano i
comportamenti autosabotanti che spesso i venditori agiscono,
sull’enorme potere delle convinzioni profonde, su come gli stati
d’animo condizionino le proprie prestazioni, verranno esplorati i
meccanismi inconsci che consentono di:
• Accedere, in qualsiasi momento, alle proprie
energie psicofisiche più possenti;
• Acquisire la massima autorevolezza e coerenza
comportamentale al cospetto del cliente;
• Potenziare la propria azione di vendita molto al di
là delle proprie aspettative attuali;

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• Raggiungere i propri obiettivi di vendita in


qualunque contesto competitivo, anche il più acceso.
A questo punto, una domanda: come utilizzare in pieno la
consapevolezza che sarà acquisita con la lettura di questo testo, a
proprio vantaggio?
Arrivando alla fine del testo, il lettore si accorgerà che il modo
migliore è adottare un comportamento del tipo “come se”, che
significa agire come se fosse già il professionista che desidera
diventare. Pertanto, chi desidera raggiungere l’eccellenza nelle
vendite, pensi, si comporti, agisca come se l’eccellenza fosse già
raggiunta, in modo da ottenere il massimo di coerenza tra obiettivi e
comportamenti agiti.
Il prosieguo di questo testo dimostrerà (con esercitazioni ed
esempi) come riprogrammare la propria mente per raggiungere
risultati di vendita eccellenti e definitivi.
Prima di terminare questo capitolo, desidero proporre un’ultima
riflessione ai lettori: le conquiste importanti sono sempre frutto di
impegni importanti. Attraverso l’utilizzo di questo testo tu, che eserciti
una attività di vendita, sarai in grado di raggiungere risultati
straordinari, a patto che sia disposto ad effettuare le esercitazioni
consigliate, pagandone il relativo prezzo in termini di impegno e
dedizione. Chi non desidera “sporcarsi le mani”, farebbe bene ad
abbandonare ora la lettura.

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Come lavora la mente

Tra i computer più potenti al mondo, Big Blue è riuscita a


riappropriarsi della posizione di vertice con il modello Blue Gene/L da
70,72 teraflops, un prototipo che è stato installato presso il Lawrence
Livermore National Laboratory del Department of Energy americano.
Al secondo posto della Top500 troviamo Columbia, il
supercomputer installato recentemente da SGI presso l'Ames
Research Center della NASA.
Il sistema, basato su processori Itanium 2 di Intel, è entrato in
classifica con una performance di 51,87 teraflops, dunque
sensibilmente superiore a quella di 42,7 teraflops inizialmente
annunciata da SGI.
La medaglia di bronzo va al cervellone di NEC, che con i suoi 35,86
teraflops può ancora lasciarsi alle spalle gli altri 497 avversari presenti
in classifica.

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La quarta posizione regala un'altra soddisfazione a IBM: qui si trova


infatti MareNostrum, un supercomputer commissionato dal Governo
spagnolo che con i suoi 20,5 teraflops rappresenta il più potente
elaboratore d'Europa.
Assemblato a Madrid in meno di due mesi, il sistemone è stato
trasferito presso il Centro Nacional de Supercomputación
dell'Universidad Politécnica de Barcelona.
Il quinto posto va ad un altro sistema basato su Itanium 2, questa
volta sviluppato da California Digital Corporation.
Tuttavia, in quanto a flessibilità di utilizzo e capacità di
apprendere, queste macchine sono ampiamente superate dal cervello
umano, un apparecchio meraviglioso e potentissimo, di cui tutti quanti
possediamo un esemplare unico, una specie di prototipo.
Questa macchina perfetta e con potenzialità illimitate, con un
piccolo rifornimento di carburante (l’ossigeno del sangue ed un po’ di
glucosio) ha la capacità di elaborare più di 30 miliardi di informazioni
al secondo, e può immagazzinare 28018 bit di informazioni, molto più
di qualsiasi supercomputer.
In genere non conosciamo molto riguardo al suo
funzionamento; perciò, in questa sezione, viene proposto un viaggio
affascinante alla scoperta di questa magnifica macchina, senza
scendere troppo in particolari (spiegare come è fatto il cervello, per la
sua complessità, sarebbe cosa assai ardua per la quale si rimanda
alle pubblicazioni specialistiche), ma senza tralasciare niente che

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possa essere utile a capire veramente a quale miracolo di potenza di


calcolo ci troviamo di fronte.
Comprendere i meccanismi fondamentali del cervello umano
potrà portare alla consapevolezza di quanto esso sia importante, anzi
fondamentale, in tutti i giorni della vita, di come la diriga e, perchè no,
di come poter imparare ad utilizzarlo nel modo migliore.
Prima di tutto cominciamo con il dire che il cervello è la nostra
centrale operativa.
Riceve i segnali provenienti dagl organi percettori (orecchie, mani,
lingua, occhi etc.) ed invia i comandi destinati alle varie parti del
corpo.
Nel suo modo di operare, assomiglia alla cpu di un computer o
alla centralina di comando degli aerei, e così come queste sono
composte da chip e fili elettrici il nostro cervello è composto da
neuroni e fibre nervose.
I neuroni funzionano come tanti piccoli computer indipendenti,
che elaborano le informazioni provenienti dagli organi percettori e
inviano i relativi comandi alle parti del corpo.
I neuroni (circa 100 miliardi) sono collegati da circa 160 Km di
fibre nervose, che trasportano i segnali.
Ogni neurone comunica con altri 100.000 suoi pari in meno di
20 millisecondi (più o meno 1/10 del tempo impiegato per un batter
d’occhio!).

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Questa straordinaria potenza di calcolo fa si che i neuroni,


operando praticamente all’unisono, riescano ad affrontare un
problema tutti praticamente nello stesso istante, funzionando in
parallelo e consentendoci, ad esempio, di riconoscere un viso
familiare in meno di mezzo secondo, di effettuare una partita a
scacchi, oppure di pilotare un jet supersonico.

La specializzazione degli emisferi:


A livello della corteccia, il cervello evidenzia una divisione tra
emisfero destro ed emisfero sinistro, i quali corrispondono a funzioni e
specializzazioni differenti.
L’emisfero sinistro è razionale, pratico, logico, lineare, analitico,
matematico. È la sede delle funzioni preposte al calcolo, alla corretta
gestione del linguaggio, al pensiero logico e sequenziale. Controlla la
parte destra del corpo.
L’emisfero destro è emotivo, creativo, immaginativo, infantile,
intuitivo, atemporale, olistico. È la sede delle emozioni, della
creatività, del pensiero associativo e dei pensieri relativi alle arti e ai
colori. Controlla la parte sinistra del corpo.
I due emisferi sono uniti dal corpo calloso, e comunicano per
suo tramite; per via del fatto che ognuno svolge dei compiti unici,
possiamo definirli gli specialisti del cervello.

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L’emisfero sinistro, essendo quello razionale, è idealmente


sede della mente conscia, riconosce i fatti ed elabora quindi le
informazioni che soggiacciono ad un rapporto di causa-effetto.
All’emisfero destro è invece associato l’inconscio, riconosce gli
schemi ed elabora le informazioni di breve termine, regolando gli
aspetti neurologici, biochimici e subconsci dei processi vitali.
Pur adoperando, in misura maggiore o minore, entrambi gli
emisferi, ognuno di noi ne utilizza principalmente uno: chi segue in
misura maggiore linee di pensiero logico ed analitico, è attratto dalla
precisione, dai rapporti di causa ed effetto, utilizza soprattutto la parte
sinistra. Viceversa chi è più attratto dall’arte, dal bello, ragiona per
immagini, si lascia guidare dall’istinto, ha mente sintetica,
tendenzialmente utilizza più della media l’emisfero destro.
I due emisferi non guidano nella stessa misura la nostra
fisiologia ed i nostri pensieri: da uno studio degli anni ‘60 di George
Miller scaturì la regola del “7 più o meno 2” relativamente all’emisfero
sinistro, che significa che abbiamo a disposizione, in ogni istante, da 5
a 9 unità (7 + o – 2) di attenzione conscia. Da studi analoghi è emerso
che l’emisfero destro riesce a gestire, nello stesso istante, oltre
63.000 attività diverse, per lo più inconsce (processi ghiandolari,
circolazione sanguigna, respirazione, equilibrio biochimico, movimenti
istintivi).

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Da ciò discende l’idea che, fatto 100 il potenziale di guida del


nostro cervello, il 5% dipenda dalla parte conscia, il 95% dalla
parte inconscia.
Pertanto, la mente inconscia pare essere dotata di un
potenziale enorme, quasi illimitato.
In pratica agisce come se fosse il nostro pilota automatico.

I programmi della mente inconscia:


Così come ogni computer, anche la nostra mente inconscia, per
funzionare, ha bisogno di istruzioni, ovverossia di programmi. Le
istruzioni, i programmi, sono rappresentati dal nostro vissuto, dalle
nostre esperienze, dalle nostre idee sul mondo e su noi stessi, dalle
nostre convinzioni, dai nostri studi, e in parte sono genetiche.
La maggior parte sono informazioni che abbiamo incamerato
durante la nostra vita, a volte consciamente, molto più spesso
inconsciamente. Proprio come un computer il nostro cervello ha il bios
(basic input output system) rappresentato idealmente dalle istruzioni
genetiche; possiede un sistema operativo (istruzioni in parte
genetiche in parte esperienziali); utilizza gli applicativi (programmi
completamente legati ad esperienze di vita).
Nel momento in cui decidiamo di fornire un’istruzione al nostro
emisfero destro (mente inconscia), con l’obiettivo di ottenere un certo
risultato, dobbiamo tenere conto di alcune regole fondamentali:
• L’emisfero destro è letterale, infantile e acritico

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• L’emisfero destro è categorico e autoconvalidante


• L’emisfero destro non riconosce immediatamente
le negazioni (no, non)
• L’emisfero destro non distingue tra realtà e
fantasia.

L’emisfero destro è letterale, infantile e acritico


Ciò significa che non si mette a fare calcoli, ad avanzare
proposte, a verificare teorie, o a valutare il pro e il contro di qualcosa:
prende le cose esattamente come gliele forniamo.
Sarà capitato a tutti almeno qualche volta, arrivando a casa la
sera, di mettere le chiavi della macchina in un posto diverso dal solito
cassetto, magari su una mensola, dall’altra parte della stanza. Il
mattino dopo, guardando nel solito cassetto, le chiavi ovviamente non
si trovano. Allora inizia una fase di ricerca (la frenesia della quale, di
solito, è direttamente proporzionale al ritardo accumulato fino a quel
momento) mentre le chiavi giacciono in bella vista sulla mensola; le si
guardano, magari più di una volta, senza riuscire a vederle.
Alla fine, come svegliandosi da un certo torpore, la persona se
le trova d'incanto avanti agli occhi.
Perché? Perché l’istruzione che si è inviata all’emisfero destro
è: “le chiavi non possono essere sulla mensola, le metto sempre nel
cassetto”.

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Questo processo funziona con le chiavi e, ovviamente, anche


con tutto il resto. Se si hanno resistenze per svolgere un certo
compito, magari perchè si teme di non riuscire, si fornisce
un’istruzione autosabotante alla nostra mente inconscia. Se,
viceversa, si è certi di riuscire, l’istruzione “passata” all’emisfero
destro è un’istruzione di successo, potenziante.
Quindi attenzione a quando ci azzardiamo ad avanzare
considerazioni su noi stessi: ogni parola che diciamo ed ogni pensiero
che abbiamo vengono recepiti dall’emisfero destro come istruzioni e
quindi esso farà del proprio meglio per eseguirle alla perfezione.

L’emisfero destro è categorico e autoconvalidante


Tendenzialmente il pensiero inconscio tende a vedere tutto o
bianco o nero, senza considerare le eventuali sfumature presenti. Mi
piace o non mi piace, è bello o è brutto, va bene o va male, e così via.
Inoltre, tende a sopprimere o ignorare i fatti che potrebbero
confutare le proprie convinzioni, accogliendo invece completamente
ciò che le conferma.
Le convinzioni della mente conscia sono esperienziali: un
nuovo fatto oggettivo può smentire una vecchia convinzione,
sostituendola con un’altra. La mente inconscia, invece, considera le
proprie convinzioni assolutamente vere, e perciò rifiuta ogni prova
contraria.

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E’ facile rendersi conto come ciò, nella vendita, possa


rappresentare un’area di rischio molto elevata, non gestibile a livello
conscio.

L’emisfero destro non riconosce immediatamente le negazioni


(no, non):
Anche se ci sono delle piccole eccezioni, nella quasi totalità dei
casi l’emisfero destro non riconosce le negazioni, e non ubbidisce ai
comandi che le contengano.
Se chiedessi a te, lettore, di non pensare, mi raccomando, di
non pensare alla luna, cosa succederebbe?
Nella tua mente, apparirebbe immediatamente l’immagine della
luna stessa!
Perchè? Proprio perchè il cervello non accetta, in prima battuta,
i termini negativi.
Così non fumerò si ritorcerà in fumerò, non mangerò diventerà
mangerò, non litigherò cambierà in litigherò, e così via. Quante volte
ci siamo ripromessi, anche con un’elevata dose di convinzione, di non
fare più qualcosa? Bene, chi l’ha fatto, avrà senz’altro notato che,
nonostante la grande forza di volontà, le ricadute ci sono spesso
state, eccome.
È dipeso in larga misura dal modo di leggere le istruzioni del
nostro emisfero destro. E inoltre, più è stata elevata la convinzione
che si è espressa a sè stessi di non ricascare in una certa abitudine,

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probabilmente maggiore è stata la frequenza con la quale l’abitudine


si è ripresentata. Questo perché, in un caso del genere, si è fornita
inconsciamente, un’istruzione contraria alle proprie intenzioni.
Per questo motivo è bene ricordare che le istruzioni all’emisfero
destro devono essere inviate in modo affermativo.

L’emisfero destro non distingue tra realtà e fantasia:


Per esso, pensare e agire sono quasi la stessa cosa. Facciamo
un esempio: ti chiedo di immaginare davanti a te un grosso gelato,
che emana un profumo inebriante.
Ti chiedo inoltre di immaginare di tenerlo con una mano davanti
agli occhi e di cominciare a leccarlo voluttuosamente, assaporandone
la dolcezza; mentre lo assapori, godi anche della frescura che lascia
in bocca, in questa giornata così afosa. Dopo, le leccate si
susseguono e, quando è quasi finito, ti avvicini alla gelateria per
comperarne un altro.
Ma cosa succede? Ti è mica venuta l'acquolina in bocca?
Certo che si, e il motivo è che il cervello è abilissimo nelle
evocazioni e non fa, in linea di massima, distinzioni tra realtà e
fantasia!
È sufficiente immaginare l’atto di gustare un magnifico gelato,
per attivare, almeno in parte, quella serie di processi anche fisiologici
che si sarebbero attivati se lo si avesse mangiato veramente.

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Proprio per questo motivo, se immaginiamo delle difficoltà a


svolgere un determinato compito, quelle saranno probabilmente le
difficoltà che incontreremo; viceversa, se si pensa a sè stessi,
vividamente, concretamente, emotivamente, nell’atto di compiere con
successo lo stesso compito, le possibilità di riuscita aumenteranno
molto.
È provato che immaginando e visualizzando intensamente
un’azione, a livello neurologico si manifestano gli stessi effetti
(leggermente più ridotti in termini di intensità) di quando si effettua
concretamente quell’azione. Per convincersene, basta ricordare che,
per esempio, quando ci si sofferma su pensieri o ricordi che evocano
intense ondate emotive (simili a quelle provate nella situazione reale)
la nostra fisiologia cambia. La frequenza respiratoria ed il ritmo
cardiaco aumentano, inizia il processo di sudorazione, le pupille si
dilatano maggiormente, il tono muscolare aumenta, le ghiandole
surrenali rilasciano adrenalina e noradrenalina. Accadono quasi gli
stessi fenomeni fisiologici di quando l’esperienza è stata realmente
vissuta.
Queste peculiarità nei programmi inconsci del cervello possono
essere utilizzate in pieno in qualsiasi momento, a patto che nell’inviare
le istruzioni alla parte inconscia del cervello stesso se ne rispettino
metodologie e sintassi. Così facendo l’enorme potere dell’inconscio
può essere messo al servizio degli obiettivi di vendita.

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Nel prosieguo del testo ti descriverò come utilizzare


correttamente metodologie e sintassi per riprogrammare i propri
percorsi neuronali.

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L’intelligenza emozionale

L’ultima decade del XX secolo ha visto proliferare moltissimi


studi scientifici sulle emozioni delle persone, resi possibili anche da
innovative macchine, tra le quali le apparecchiature per la fMRI
(risonanza magnetica funzionale) e per l’elettroencefalografia
computerizzata con 256 sensori.
Queste tecnologie, che consentono di ottenere immagini del
cervello in attività di un individuo vivente, hanno fornito una massa di
dati neurobiologici che ci consentono di capire più chiaramente le
modalità con cui i centri emotivi del cervello ci spingano ale lacrime
od alla gioia, al timore o al coraggio, all’odio o all’amore.
Questi dati costituiscono una vera e propria sfida per chi
sostiene una concezione dell’intelligenza limitata al Qi (quoziente di
intelligenza razionale) e che ritiene il successo nelle vendite (e più in
generale, nella vita) largamente generato da tale presupposto.

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Il quoziente d'intelligenza o QI è un punteggio ottenuto tramite


uno dei test atti a misurarlo, ed è espresso mediante il rapporto tra
l’età mentale (definita dal test stesso) e l’età anagrafica. Misura lo
sviluppo intellettuale dell’individuo. Per esempio, in un bambino con
età mentale di 12 anni ed età anagrafica di 10, il Qi risulta di (12/10)x
100, ovvero 125,
Lo psicologo francese Binet, attorno al 1905, pubblicò il primo
test d’intelligenza moderno, noto come “Binet – Simon intelligence
scale”. Nel tempo, ne sono stati presentati molti altri (Wisc, Wais,
Wais – III).
Questi test hanno quasi tutti in comune la loro struttura, che
tipicamente richiede la soluzione, sotto supervisione, di un certo
numero di problemi.
Ad esempio, il Wais III, tra i più utilizzati oggi, si articola su 14
prove, 7 verbali (informazione, comprensione, ordinamento di numeri
e lettere, memoria di cifre, vocabolario, analogie, ragionamento
aritmetico) e 7 di abilità (codificazione di cifre e simboli,
completamento di immagini, block design, matrici di Raven,
riordinamento di storie figurate, ricerca di simboli e assemblaggio di
oggetti tra di loro).
E’ molto interessante un recente studio nel quale Richard Haier,
professore di psicologia al Dipartimento di Pediatria della University of
California, con alcuni suoi colleghi alla University of New Mexico, ha
effettuato una risonanza magnetica per ottenere immagini strutturali

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del cervello di un panel di uomini che avevano sostenuto il test del Qi.
Gli studi hanno dimostrato che l'intelligenza umana generale risulta
essere basata sul volume e la dislocazione del tessuto di materia
grigia nel cervello. Gli studi hanno inoltre evidenziato che solo il 6%
circa della materia grigia sembra essere collegata al quoziente
intellettivo razionale.
Studi ulteriori hanno acclarato che il successo (personale e
professionale) è più largamente dipendente da altri fattori, ed in
particolare dall’Intelligenza emozionale.
Daniel Goleman, probabilmente il maggior esperto di questa
branca della psicologia, descrive l’intelligenza emozionale (Qe) come
una forma di intelligenza che consente di provare emozioni istintive, e
di usarle consciamente nella relazione con gli altri e con sè stessi.
Queste emozioni modificano il comportamento non cosciente
degli interlocutori, che le riflettono, e questo fatto permette a coloro
che ne sono dotati in misura abbondante, di rendersi maggiormente
desiderabili dall’ambiente circostante.
Infatti, la misura del Qi riferita alle tradizionali capacità logico-
matematiche, verbali e spaziali, effettuata tramite gli usuali test di
intelligenza, mostra i suoi limiti quando viene utilizzata come indice
per prevedere il successo che un dato individuo otterrà nella vita
professionale e, più in generale, in quella sociale. Talvolta, infatti, a
elevati quozienti intellettivi, corrispondono risultati modesti o
addirittura scadenti nel campo del lavoro e della riuscita sociale.

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L’utilità del Qe:


In una famosa serie di articoli della fine degli anni ’90, pubblicati
dalla Harvard Business Review, risulta che
• il Qe da solo è responsabile in circa il 60% dei casi dei
successi professionali;
• il 90% dei top performers, lavorativamente parlando,
possiede un elevato Qe;
• solo il 20% dei low performers possiede un elevato Qe.
In aggiunta, una serie di studi svolti negli Stati Uniti all’inizio del
nuovo secolo hanno scoperto relazioni importanti tra un elevato Qe ed
il successo in campo commerciale:
• La rete di vendita di Hallmark Communities, che sviluppò
delle sessioni di training specifico sull’intelligenza
emozionale, riusciva a produrre il 25% di profitti in più dei
colleghi ai quali non era stato somministrato il training
(Broadberry, 2003);
• In AT&T, il 91% dei manager commerciali con le massime
prestazioni erano dotati di un alto Qe (Broadberry, 2002);
• L’Oreal realizzò oltre 91.000 $ di fatturato in più a venditore,
selezionati in base all’elevato Qe (Cherniss, 2003);
• Su un panel multiaziendale, le funzioni che beneficiavano di
più in termini di produttività dall’avere un alto Qe erano le
vendite ed il customer service.

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Di fatto, il bisogno maggiore di intelligenza emozionale si


verifica in quelle funzioni aziendali che, per la loro natura, devono
interagire con altri individui e pertanto fanno della relazione
interpersonale un elemento chiave di successo.
In un noto report dei tardi anni ’90, condotto alla Johnson &
Johnson da Cavallo e Brienza, i manager commerciali con le
prestazioni di maggior livello erano quelli dotati di un più elevato
quoziente di intelligenza emozionale, e questo fatto spinse l’azienda a
far partecipare tutto il personale a sessioni di training specifico.
Alcuni studi dimostrano che la maggior parte delle nostre scelte
e decisioni non sono solo il risultato di una attenta disamina razionale
dei pro e dei contro relativi alle diverse alternative possibili. In molti
casi, infatti, le facoltà razionali verrebbero affiancate dall'apparato
emotivo, il quale costituirebbe una sorta di "percorso abbreviato",
capace di farci raggiungere una conclusione adeguata in tempi più
brevi rispetto a quelli necessari seguendo un processo logico e
conscio.
La componente emozionale coinvolta nelle decisioni sarebbe
determinante nei casi in cui queste ultime riguardino la nostra persona
o coloro che ci sono vicini. A riprova di questa tesi, Antonio Damasio
(uno dei più noti neuroscenziati viventi) riporta i casi di alcuni pazienti
che, in seguito a danni neurologici subiti in determinate zone
cerebrali, erano divenuti completamente incapaci di prendere una

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decisione, pur essendo perfettamente in grado di effettuare una


valutazione corretta e razionale di tutti i fattori implicati.
Il Qe (e le emozioni correlate) risultano pertanto fondamentali
nella presa di decisioni, così come nell’interazione tra gli individui. Il
processo di vendita, il successo del quale è in larga misura figlio
della relazione che si instaura tra le parti (tranne, a volte, i casi di
mercati monopolistici) è forse l’ambito lavorativo per eccellenza nel
quale un elevato Qe è un sicuro passaporto verso prestazioni elevate.
La scoperta del Qe permette pertanto di rispondere a domande
del tipo “Come mai alcuni venditori con elevato Qi ottengono risultati
mediocri, mentre altri con Qi modesti riescono a raggiungere
l’eccellenza?”.

I componenti del Qe:


La nozione di intelligenza emozionale, già descritta da
Howard Gardner nelle due forme, intrapersonale e interpersonale, si
compone di diverse abilità molto importanti che sostengono (nella
maggior parte dei casi inconsciamente) la salute mentale e il
benessere psico-sociale, oltre che le prestazioni professionali.
E’ stata sviluppata nei suoi molteplici componenti e
conseguenze pratiche da Daniel Goleman, il quale distingue due
principali sottocategorie:
Le competenze personali, riferite alla capacità di cogliere i diversi
aspetti della propria vita emozionale;

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le competenze sociali, relative alla maniera con cui comprendiamo


gli altri e ci rapportiamo ad essi.

L'intelligenza emotiva personale:


Comprende la consapevolezza di sé, che ci porta a dare un
nome e un senso alle nostre vite, aiutandoci a comprendere le
circostanze e le cause che le popolano; più in generale essa permette
una autovalutazione obiettiva delle proprie capacità e delle proprie
aree di crescita, così da riuscire a proporsi mete realistiche,
scegliendo poi le risorse personali più adeguate per raggiungerle.
Anche l'autocontrollo fa parte delle competenze personali.
Esso implica la capacità di dominare le proprie emozioni, il che non
vuol dire negarle o soffocarle, bensì esprimerle in forme socialmente
accettabili. L'incapacità di gestire le proprie emozioni può portare
infatti ad agire in maniera inopportuna, e magari a forme di esagerata
aggressività nei confronti degli altri, offrendo di sé un'immagine ben
poco lusinghiera. Chi è padrone di sé, riesce di solito a comportarsi in
maniera appropriata alla situazione, tenendo conto delle regole del
vivere sociale, riconoscendo le proprie responsabilità e i propri errori,
rispettando gli impegni presi e portando a compimento i compiti
assegnati.
Tra le competenze personali può essere inoltre collocata la
capacità di alimentare la propria motivazione, mantenendola anche
di fronte alle difficoltà o quando le cose non vanno come si era

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previsto o sperato
La capacità di motivarsi è formata da una giusta dose di ottimismo e
dallo spirito di iniziativa, che spingono a perseguire i propri obiettivi,
reagendo attivamente agli insuccessi e alle frustrazioni. Quest’ultimo
aspetto, nell’esercizio della professione della vendita, è di particolare
rilevanza, in quanto talvolta il venditore permette che qualche affare
non andato a buon fine lo “scoraggi” e lo “demotivi”. Questo si verifica,
soprattutto, perchè ad un affare non concluso spesso vengono
associate idee di inadeguatezza professionale, incompetenza,
mancanza di esperienza. Questi giudizi, nell’inconscio, lavorano sodo
e diventano motore di decisioni e atteggiamenti depotenzianti
(siccome non sono adeguato, non ce la posso fare).
Chi, viceversa, è in possesso di un buon grado di
automotivazione ha appreso a non considerare il cosiddetto
insuccesso come una carenza di abilità professionali, ma
semplicemente alla stregua di un’informazione sul comportamento da
evitare e non agire più, per ottenere finalmente il successo la volta
successiva. Ciò avviene in quanto il venditore, analizzando il perchè
del risultato negativo, ne trae un’informazione chiave: ciò che occorre
evitare per facilitare l’ottenimento del risultato atteso.

L'intelligenza emotiva sociale:

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E' costituita da quell'insieme di caratteristiche che ci permettono


di relazionarci positivamente con gli altri e di interagire in modo
costruttivo con essi.
Una delle componenti più importanti di questo aspetto
dell'intelligenza è costituita dall'empatia, ossia dalla capacità di
riconoscere le emozioni e i sentimenti negli altri, ponendoci
idealmente nei loro panni e riuscendo a comprendere i rispettivi punti
di vista, gli interessi e le difficoltà interiori. Essere empatici significa
percepire il mondo interiore dell'altro come se fosse il nostro,
mantenendo tuttavia la consapevolezza della sua eventuale differenza
rispetto ai nostri punti di vista.
La comunicazione, altra attitudine "sociale", è invece la
capacità di parlare agli altri, facendo coincidere il contenuto esplicito
dei messaggi (trasmesso dalle parole) con le proprie convinzioni ed
emozioni (involontariamente rivelate attraverso il linguaggio del
corpo). Comunicare in maniera efficace è anche saper ascoltare e
fare domande, mantenendo una reale attenzione alle risposte emotive
dei nostri interlocutori.
Secondo Goleman, l'intelligenza emotiva si può sviluppare
attraverso un adeguato allenamento, diretto soprattutto a cogliere i
sentimenti e le emozioni, nostri e altrui, indirizzandoli in senso
costruttivo. Se, infatti, l'intelligenza legata al Qi tende a stabilizzarsi
dopo l’età puberale (per incominciare lentamente a declinare negli

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anni della maturità), l'intelligenza emotiva può essere migliorata nel


corso di tutta la vita.

Come il Qe aiuta la vendita:


A questo punto è legittimo chiedersi come mai le emozioni
abbiano un peso così importante nel successo non solo personale ma
anche professionale degli individui, soprattutto nel campo della
vendita.
I neuroscienziati e i sociobiologi rispondono che il motivo deriva
dal fatto che, nei momenti più critici delle attività svolte dalle persone
(il processo di vendita / acquisto entra a ragione in questa categoria)
si è programmati affinchè spesso il “cuore” affianchi la “mente”, e
talvolta prevalga addirittura. Detto in altre parole, quando una parte
della persona (di solito quella inconscia) giudica che la decisione che
si sta per assumere sia importante, oltre il motore del raziocinio
inserisce anche quello dell’emozione.
Gli scienziati sostengono che le nostre emozioni ci guidano
nell’affrontare situazioni troppo complesse e importanti perchè
possano essere affidate al solo intelletto (Qi). Come ognuno, dalla
propria esperienza sa, quando è il momento che decisioni e azioni
prendano forma, le sensazioni contano almeno quanto (se non di più)
del pensiero razionale.
Ad esempio, nel processo d’acquisto (e più è alto il valore del
bene in esame più questa dinamica si intensifica) la decisione viene

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presa molto spesso sulla base di pulsioni inconsce, emotive, e poi


giustificata razionalmente.
Chi acquista un bene oggi abbastanza comune, una bella casa
in montagna, si fa frequentemente guidare (perlopiù inconsciamente)
da bisogni emotivi del tipo:
• Anch’io possiederò una casa in montagna, come il mio
collega (invidia)
• Da ora posso dimostrare maggior benessere economico
(ostentazione)
• Se me la posso permettere, vuol dire che ho raggiunto il
successo (orgoglio)
• Farò felice la mia fidanzata (amore)
A decisione presa, di solito si va alla ricerca di motivazioni
razionali che la giustifichino:
• Il prezzo a m2 è molto favorevole
• La zona si sta apprezzando
• Risparmio soldi rispetto all’albergo
• E’ comoda perchè vicina ai campi da sci
L’intelligenza emozionale (Qe), pertanto, è chiave oltre che
nello stabilire le relazioni con gli altri, anche nel processo decisionale.
Queste competenze, che si manifestano in larga misura
inconsciamente, scolpiscono il comportamento degli individui,
impattando su aspetti quali la capacità di ascolto, l’eloquio, la
considerazione per l’altro, la gestione della relazione, la disponibilità,

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la ricerca della cooperazione, le capacità di riprendersi da un


insuccesso, la perseveranza nel perseguire le proprie mete.
Tutti questi comportamenti rivestono un ruolo chiave nel
processo di vendita, basato sul rapporto positivo, conscio e inconscio,
tra due o più persone.
Il rapporto positivo, a livello conscio, si raggiunge mediante
l’utilizzo consapevole di strumenti “tecnici” quali le metodologie di
vendita più attuali (tecniche di influenzamento e persuasione indiretti,
utilizzo di forme di linguaggio avanzato, presidio efficace delle fasi del
processo). Facendo ciò si utilizza circa il 5% del proprio potenziale. La
relazione positiva a livello inconscio si raggiunge utilizzando il
rimanente 95% del proprio potenziale, tra cui l’intelligenza
emozionale.

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Le credenze

Di solito il termine credenza (o convinzioni) viene definito come


una sensazione di certezza riguardo a qualcosa. Ogni persona
possiede delle certezze su alcuni aspetti della vita, che derivano da
un cumulo di circostanze ed esperienze precedenti.
Tuttavia, il significato del termine va al di là di ciò, in quanto le
credenze non sono solo un prodotto del pensiero. Rappresentano, di
fatto, molto di più di ciò che ognuno crede sia vero.
Rappresentano i fondamenti di ciò che ogni persona riesce
(o non riesce) ad ottenere dalla propria vita privata o professionale.

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Ciò in cui ognuno crede è il risultato di una serie di giuramenti,


promesse e validazioni effettuati con sè stesso, e impatta su ogni
parte dell’individuo -emozioni, corpo, mente, coscienza.
Le credenze, a volte, si appoggiano su una base fattuale
oggettiva (ad esempio, la credenza che gli esseri umani non siano in
grado di volare come uccelli perchè non hanno le ali) molte altre volte
sono prodotti di elaborazioni mentali del tutto soggettive (ad esempio,
la convinzione che delle persone non ci si possa mai fidare).
Per esempio, una credenza piuttosto condivisa ai tempi di
Cristoforo Colombo era che la terra fosse piatta e che, navigando
molto oltre lo Stretto di Gibilterra, ci fosse il rischio di precipitare;
un’altra credenza, diffusa in tempi molto più recenti nel mondo
sportivo, era la presunta impossibilità di scendere sotto i 4 minuti per
correre una classica distanza del mezzofondo, il miglio.
Questi potenti “driver” di comportamento condizionano le azioni
sia dei singoli che di intere popolazioni, e spesso non permettono di
accedere alle proprie migliori risorse e di ottenere i migliori risultati.
Infatti, fino al 1492, in Europa del sud, il timore di raggiungere la fine
della superficie terrestre e quindi precipitare nel vuoto ha impedito di
raggiungere nuove terre su altri continenti. Nell’atletica, ritenere che
non fosse possibile scendere sotto un certo tempo di percorrenza ha
impedito a molti atleti di cogliere i meritati successi.

Perchè esistono le credenze:

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Qual è lo scopo di queste forme mentali? Perchè esistono? A


cosa servono?
Per rispondere, bisogna analizzarne l’utilità in chiave di
sopravvivenza.
La mente, come qualsiasi altro computer, per poter funzionare,
oltre a essere dotata di programmi efficaci, deve essere alimentata
continuamente da dati.
Il sistema sensoriale (vista, udito, gusto, olfatto, tatto) provvede
agli imput di quegli elementi che sono alla portata dei sensi. Questi
elementi consentono alla mente di elaborare strategie per consentire
all’individuo prima di tutto di proseguire a vivere, in secondo luogo di
avvicinarsi al piacere e allontanarsi dal dispiacere.
Se il senso della vista rileva un pericolo (un ostacolo improvviso
sull’autostrada) automaticamente la mente elabora una serie di azioni
che consentano all’individuo di evitare il pericolo stesso (si frena, si
sterza). Così, se il senso dell’olfatto rileva un olezzo poco simpatico
(la carne è andata a male) viene elaborata una strategia alternativa
alla deglutizione precedentemente programmata, e la carne viene
gettata nel cesto della spazzatura.
I consueti cinque sensi, ovviamente, sono utilizzabili per
recepire stimoli che siano alla loro portata: oltre certe distanze olfatto,
vista e udito non funzionano; se non c’è contatto fisico, tatto e gusto
non sono in grado di inviare segnali al cervello.

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Occorre pertanto che il luogo nel quale è disponibile un segnale


sia a portata sensoriale, pena l’impossibilità di rilevare il segnale
stesso.
Un’altra barriera alla raccolta di dati dall’ambiente circostante è
rappresentata dal fattore tempo. Ciò significa che il dato deve essere
rilevabile nel momento in cui la rilevazione sia oggettivamente
possibile. I sensi, nella maggior parte dei casi, non possono rilevare
dati del passato o del futuro.
Alcune scoperte tecnologiche (cannocchiale, microfono, radio,
tv, internet) hanno avuto proprio lo scopo di superare questi vincoli di
spazio / tempo, consentendo alla mente umana di registrare elementi
fenomenici normalmente fuori dall’orizzonte fisiologico rilevabile.
Tuttavia, il nostro cervello, per elevare al massimo le possibilità
di sopravvivenza, ha da sempre utilizzato un altro strumento: le
credenze.
La mente inconscia tratta le credenze come una specie di
mappa mentale che rappresenta quelle parti del mondo con le quali
non c’è un contatto sensoriale, e le usa con il compito di integrare i
dati rilevati dai sensi stessi, per consentire all’individuo di muoversi
con successo anche su territori sconosciuti in quanto fuori dalla
portata sensoriale fisiologica.
La credenza che le fiere andassero ad abbeverarsi nottetempo
sulla riva di un certo fiume (essendo il fiume fuori dalla portata
sensoriale fisiologica, la presenza delle belve non poteva essere

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rilevata visivamente, acusticamente, olfattivamente) probabilmente


salvò la vita a molti ominidi, in tempi preistorici. Qualora questi ultimi,
per valutare se fosse possibile prelevare l’acqua dal fiume anche di
notte, avessero tentato di verificare con i sensi l’assenza di pericolo,
non sarebbero sopravissuti a lungo.
Così, in tempi più recenti, la persona che parcheggia l’auto nel
box di casa, la mattina dopo (fidando solo sul supporto dei propri
sensi) non sarebbe in grado di ritrovarla. Infatti, per l’apparato
sensoriale, l’auto ha addirittura cessato di esistere, in quanto nessuno
dei cinque sensi è in grado di percepirla. La possibilità di ritrovarla è
pertanto affidata soltanto alla convinzione che si trovi ancora al suo
posto.
Sensi e convinzioni sono stati progettati per integrarsi,
lavorando autonomamente, in completa indipendenza l’uno dall’altro
(anche se, in determinati casi, le credenze sono originate da dati
rilevati dal sistema sensoriale).
Il completo valore delle credenze, come strumento di
sopravvivenza, non può prescindere da un rifiuto quasi totale di ogni
evidenza contraria, anche se supportata da fatti inoppugnabili.
Quindi la mente inconscia tende a respingere ogni elemento
che metta in discussione le credenze profonde che possiede;
diversamente, se il sistema di credenze di un individuo fosse
modificabile continuamente in funzione dei dati esperienziali ogni volta

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raccolti, il sistema stesso perderebbe ogni efficacia, come “solido”


sistema in grado di agevolare la sopravvivenza.
Infatti, se la credenza nella presenza di una fiera ogni volta che
l’erba ondeggiava, fosse stata sottoposta ad analisi critica (valutando
la presenza di vento, o attendendo di poter verificare con olfatto, udito
o vista) i progenitori della razza umana probabilmente non avrebbero
avuto la possibilità di popolare il pianeta con circa 7 miliardi di esseri
umani.
Una volta che una credenza viene originata, acquisisce un forte
carattere di “impermeabilità” ad ogni evidenza contraria, diventando
pertanto estremamente resistente ad ogni cambiamento.
Questo aspetto spiega il perchè, a volte, alcune persone
evidenzino delle convinzioni assurde, contraddette da fatti concreti, e
cionondimeno manifestino resistenze a cambiare idea.
Inoltre, dato che le credenze delle quali ogni individuo è dotato
sono migliaia, e formano un reticolo fittissimo di interconnessioni,
l’eliminazione anche di una convinzione soltanto rischia di generare
una discontinuità in questi percorsi di comportamento e ciò, ad un
livello profondo, tende ad essere impedito dalla mente inconscia.

L’efficacia delle credenze:


Queste “istruzioni inconscie” agiscono come vere e proprie
“stringhe di programma”, si influenzano a vicenda e condizionano
completamente i comportamenti di ognuno. Le modalità attraverso le

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quali le credenze influenzano il comportamento degli individui non


sono rilevate dalla mente conscia, e sono molto efficaci, in quanto
utilizzano quel 95% di potenziale che è a disposizione solo
dell’inconscio.
Pertanto, guidati dalle proprie credenze, le persone sono in
grado di porre in essere inconsciamente delle strategie
comportamentali estremamente perseveranti (proprio per questo
risultano molto efficaci), che giungono fino a modificare l’oggettività
fisiologica dell’individuo.
Un esempio di ciò è l’effetto placebo, che si appoggia sulla
convinzione che un certo farmaco possa apportare giovamento.
Un precursore dell’effetto placebo è stato un farmacista
francese, Emile Couè.
Esercitando la sua professione di farmacista, Émile Coué aveva
infatti osservato l’enorme potere delle credenze. Bastava che nel
momento in cui consegnava un rimedio dicesse ai suoi clienti: “Vedrà,
le farà certamente bene”, perché gli effetti risultassero più immediati
ed evidenti. E in seguito: “È solo l’inizio; migliorerà di giorno in giorno”,
e la cosa avveniva puntualmente, spesso anche con l’uso di farmaci
privi di reale efficacia.
Un caso molto noto, riportato in molti testi di medicina, è relativo
ad un farmaco antitumorale molto discusso e dalle fortune altalenanti,
Krebiozen, importato negli Stati Uniti attorno agli anni ‘50. Nei test da
parte della Fda (Food and Drug Administration) venne coinvolto un

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oncologo di nome Bruno Klopfer, che aveva un paziente chiamato


Wright, affetto da una grave forma tumorale ai linfonodi. Tutte le
terapie tradizionali erano già state utilizzate senza successo, e Wright
veniva considerato un malato terminale, con pochi giorni di vita. Il suo
collo, le ascelle, il petto, l’inguine evidenziavano masse tumorali della
dimensione di un’arancia, ed ogni giorno era necessario drenargli dal
corpo quasi un litro di liquidi, per consentirgli di sopravvivere.
Quando Wright casualmente apprese dell’esistenza del
Krebiozen, approfondì l’argomento, e chiese con molta insistenza al
Dr. Klopfer di sottoporlo immediatamente al relativo trattamento.
Inizialmente il medico rifiutò, dato che il farmaco non era ancora
testato, ma dopo molte insistenze da parte di Wright, e
considerandolo oramai spacciato, acconsentì. Il primo trattamento
venne effettuato un fine settimana, ed il lunedì successivo Klopfer
ebbe un’enorme sorpresa: vide Wright in piedi, che passeggiava
lungo il corridoio del reparto. Klopfer riportò che le masse tumorali
“erano rimpicciolite come neve al sole” e si erano ridotte di più della
metà.
In capo a dieci giorni dal primo trattamento il paziente fu in
grado di lasciare l’ospedale e, per quanto i medici furono in grado di
osservare, senza più nessun sintomo di cancro.
Wright continuò una vita normale per qualche tempo fino a che,
su un quotidiano, apparve una notizia che metteva in dubbio l’efficacia
del Krebiozen.

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Wright cadde in depressione, i sintomi della malattia


riapparvero, e dovette essere riammesso in ospedale.
A quel punto il Dr. Klopfer decise di tentare un esperimento
molto ardito: disse al suo paziente che l’efficacia della sostanza non
poteva essere messa in dubbio, e che il fallimento di alcuni test era
dovuto ad una partita di medicinale avariato. Continuò dicendo che
aveva un quantitativo di Krebiozen altamente concentrato, e si offerse
di riprendere il trattamento stesso. In realtà il medico si proponeva di
trattare Wright con semplice acqua distillata, arricchita con sostanze
neutre.
Di nuovo il risultato fu stupefacente: le masse tumorali si
ridussero, ed in capo a poco tempo Wright riprese una vita normale.
Dopo alcuni mesi, l’AMA (American Medical Association)
pubblicò un nuovo rapporto che confermava definitivamente come il
Krebiozen fosse privo di ogni valore terapeutico.
Questa volta la fiducia di Wright fu completamente distrutta, la
sua malattia riprese il sopravvento ed in capo a non molto lo portò alla
tomba.
Un altro caso, citato dalla letteratura specialistica psichiatrica, è
il caso di una donna, affetta da doppia personalità, che
periodicamente riteneva di essere tormentata da una grave forma
diabetica.
Nei momenti nei quali la schizofrenia le dava un pò di tregua,
era una persona normalissima e si comportava come tale; quando si

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metteva in testa di essere diabetica, il suo livello glicemico schizzava


a valori tipici di forme diabetiche avanzate, per tornare normale nei
periodi durante i quali la patologia psichica non la affliggeva.
Queste due testimonianze contengono un’informazione
straordinaria: il sistema di credenze di un individuo è talmente potente
da generare cambiamenti fisiologici imponenti, che arrivano persino
alla remissione spontanea di orribili malattie.
Un caso diverso dai precedenti arriva direttamente dal mondo
sportivo.
Per decenni si era creduto che il record dei 100 metri piani non
potesse raggiungere i 10” netti: si parlava di fisiologia dell’atleta, di
sistema cardiovascolare, di resistenza dei tendini, di ritmo respiratorio.
In effetti tale limite non fu raggiunto da nessuno per molto tempo.
Ricordiamo gli americani Tolan, Jarvis, Tewksbury, gli inglesi Lee,
Atcherley, Beaton, il belga De Re’, gli svedesi Andersson e
Westergren, il canadese Williams e molti altri formidabili atleti che,
daiprimi del’900, tentarono invano di raggiungere i 10” netti, senza
riuscirci. La convinzione diffusa era che i 10” fossero un limite
invalicabile.
Il 21 giugno 1960 il tedesco Armin Hary, alle olimpiadi di Roma,
fu il primo velcista nella storia a correre i 100 metri in 10” netti.
Improvvisamente, come per miracolo, altri atleti come lui
eguagliarono la sua prestazione: il canadese Harry Jerome (15-7-60),

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il venezuelano Horacio Esteves, gli americani Robert Lee Hayes e


James Ray Hines.
Abbattuta questa apparentemente invalicabile barriera, in poco
tempo molti velocisti in tutto il mondo riuscirono a correre i 100 metri
piani in 10” netti.
Questa storia fa capire l’influenza limitante delle credenze
generali che, letteralmente, rappresentano una barriera all’accesso
delle migliori energie fisiche e psichiche.
Una volta dimostrato che “si poteva fare”, modificando una
convinzione radicata nel mondo sportivo, automaticamente molti atleti
riuscirono a realizzare un risultato che fino ad allora era ritenuto
impossibile.
Ritenere l’impresa alla portata di un atleta, sia pur
preparatissimo, aveva improvvisamente permesso a molti di loro di
sbloccare le proprie ulteriori risorse fisiche e psichiche, attingendo alle
quali la prestazione era diventata possibile. Risorse che, fino a poco
prima, erano rimaste inutilizzate.
Come visto dagli esempi sopra, esistono delle credenze
limitanti (che limitano ciò che è possibile ottenere) e delle credenze
potenzianti (che amplificano ciò che è possibile ottenere).
Senza sconfinare nella metafisica, si può affermare che i
risultati che le persone ottengono sono funzione diretta di ciò che si
aspettano di ottenere.

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In altre parole si può formulare una regola generale, relativa alle


credenze: ciò che ci si aspetta tende a realizzarsi.

L’utilizzo del proprio potenziale:


Ogni essere umano è dotato di un certo potenziale (le risorse
mentali e fisiche), e i risultati che si ottengono sono la diretta
conseguenza dell’utilizzo di questo potenziale. Tuttavia a determinare
il successo non è tanto la dimensione del potenziale posseduto (ogni
individuo ne possiede in misura enorme, ben al di là di ciò che
normalmente viene ritenuto possibile e di quanto, in condizioni
normali, viene utilizzato), quanto le modalità di utilizzo di questo
potenziale, governate dal sistema di credenze di ognuno.
Nell’ambito del processo di vendita, assumono una particolare
rilevanza due tipi di credenze: quelle autosabotanti o limitanti (che
limitano i risultati che il singolo riesce ad ottenere) e quelle propulsive
o potenzianti, che agevolano il raggiungimento di traguardi elevati.
In particolare, il termine “credenza limitante” si riferisce a una
convinzione che inibisce l’accesso ad energie psicofisiche, a classi di
comportamento, a prestazioni sportive o professionali.
Esempi di credenze limitanti sono osservabili sia nell’uomo, sia
negli animali.
Un esempio che viene dal mondo animale, è relativo alla
cattura ed all’addomesticamento degli elefanti da soma.

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L’addestramento di questi poderosi animali, una volta catturati,


inizia con un periodo di permanenza incatenati con le zampe a enormi
pioli interrati, che non permettono all’animale il minimo movimento.
Dopo alcuni giorni di frenetici e possenti tentativi di liberarsi, in
assenza di cibo e acqua l’animale, completamente spossato, capitola.
Vista la completa inutilità di affrancarsi dai legami, decide di accettare
il fatto di essere impossibilitato a muoversi.
Inizia allora a fase di educazione al lavoro vera e propria. Il
domatore inizia a far muovere l’animale, con circospezione, e
guidandolo con un rampino; contemporaneamente premia i
comportamenti virtuosi con acqua e cibo, completando il
condizionamento.
Ad addestramento terminato, per impedire che l’animale fugga,
è sufficiente legarlo con una cordicella ad un palo o ad un albero: la
credenza che il cappio alla zampa non gli permetta di allontanarsi è
oramai talmente sedimentata in profondità, che l’elefante non tenta
neppure di riprendersi quella libertà dalla quale lo separa solo un
debolissimo pezzo di corda.
Anche nella vendita valgono queste regole: se non si crede di
poter riuscire in qualcosa, è molto probabile che si fallisca; viceversa,
se si ritiene di poter portare a termine un certo compito, è possibile (a
parità di scenario) che si raggiunga il successo.
Una interessante conferma delle conseguenze pratiche di una
credenza deriva dal cosiddetto “teorema di Thomas”, dal nome di un

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sociologo (W.L.Thomas) che, nella prima metà del secolo scorso,


stabilì che quando “...l’uomo definisce una situazione come reale,
anche le sue conseguenze diventano reali”.
In altre parole, l’interpretazione arbitraria di un fatto (una
convinzione) è sufficiente a determinare accadimenti oggettivi che la
confermino.
Thomas asserì inoltre che una serie di convinzioni (le
denominava “situazioni”) sono in grado di influenzare completamente
il piano di vita degli individui e la loro stessa personalità.
Un classico esempio è rappresentato dalla convinzione che la
propria banca stia andando in fallimento. Se molte persone
maturassero la falsa credenza che la propria banca stia per fallire, si
precipiterebbero a ritirare i propri risparmi, causando così nella realtà
il fallimento stesso, anche se i fondamenti della crisi fossero state
soltanto illazioni non supportate da fatti oggettivi.
Dal teorema di Thomas discendono le cosiddette “profezie che
si autoavverano” (self fulfilling prophecies, così come definite dal
sociologo R.K.Merton).
La profezia che si auto-avvera (o autoconvalidante) è, all’inizio,
una falsa definizione di una determinata situazione che richiama un
nuovo comportamento che, agito, rende vero il postulato iniziale.
Un tipico esempio è rappresentato da un giudizio falso e
offensivo, da parte dell’individuo A nei confronti dell’individuo B.
Anche se non supportata da fatti concreti, qualora espressa con

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violenza ed improvvisamente, una frase del tipo: “Sei un bastardo


aggressivo” avrebbe il potere di generare un moto di stizza nello
individuo B, che potrebbe aggredire l’A, validando pertanto la
definizione iniziale.
Tutto ciò si ripercuote non solo sulla vita di ognuno, bensì
anche nell’attività di vendita, contribuendo talvolta a sedimentare
convinzioni fortemente depotenzianti.
Tipiche credenze autolimitanti sono:
• Il tale possiede determinati elementi caratteriali, abilità,
competenze, che non è possibile cambiare;
• Non sono in grado di avere successo, pertanto è inutile
tentare;
• Quell’opinione è corretta, quindi non esistono altre
interpretazioni;
• A questo problema si può applicare solo una data
soluzione, pertanto è inutile cercarne delle altre.
Consciamente, e soprattutto nelle attività di vendita, il non
riuscire a portare a termine un certo compito viene solitamente
giustificato senza chiamare in causa l’eventuale credenza
autosabotante sottostante (della quale spesso non si è neppure
consapevoli). L’insuccesso viene allora motivato con una serie di alibi
che spiegano, utilizzando argomentazioni logiche e apparentemente
coerenti, il perchè dell’accaduto, e che tuttavia nulla hanno a che

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vedere con la ragione di fondo vera (la credenza autolimitante) che è


all’origine del comportamento inefficace.
Dall’esperienza della gestione di molte reti di vendita, più o
meno complesse e articolate (da strutture di poche unità in mercati di
nicchia a reti composte da parecchie centinaia di individui nei mercati
di consumo) sono stati estrapolati una serie di alibi, tra i più ricorrenti
nel giustificare prestazioni mediocri:
• Il mercato è troppo difficile per noi
• Il competitore X è più flessibile
• I prezzi della concorrenza sono più bassi dei nostri
• Il cliente è diventato difficilissimo da accontentare
• La nostra concorrenza ha prodotti migliori
• I nostri termini di pagamento sono i più rigidi del mercato
• I nostri prodotti si rompono troppo spesso
• La concorrenza effettua una maggiore pressione
pubblicitaria

Il ruolo delle credenze nei risultati di vendita:


Applicando tutto ciò al mondo della vendita, è facile
comprendere come una parte importante dei risultati che un venditore
ottiene sia funzione, a parità di perimetro, del proprio sistema di
credenze riguardo alle proprie abilità, al tipo di cliente, alla qualità del
prodotto, al supporto fornito dalla propria azienda.
Queste convinzioni si traducono in comportamenti inconsci che
agevolano o rendono difficile concludere le trattative, spesso

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indipendentemente dal livello di esperienza e dalle abilità possedute


dal venditore stesso.
In una mia precedente esperienza lavorativa, anni fa, avevo il
ruolo di dirigente commerciale in un’azienda di beni durevoli.
Un certo canale distributivo, per una serie di ragioni, era
considerato impossibile da attaccare con successo: alcuni
avvenimenti precedenti avevano radicato nella mente dei sales
manager che quel segmento non potesse essere ricettivo per i nostri
prodotti, e questa mentalità era, inconsciamente, stata trasmessa agli
area manager ed ai venditori.
Gli alibi utilizzati spaziavano dall’assistenza post vendita al
posizionamento del prodotto, dal mtbf (“mean time before failure”, una
misura dell’affidabilità e della durata di un prodotto) alla disponibilità di
magazzino.
Personalmente, anche vedendo i fatturati che venivano
realizzati dai nostri competitori in quel particolare canale, non
concordavo appieno con queste spiegazioni, pur riconoscendo (va
detto) alcune nostre debolezze soprattutto in area tecnica.
Decisi allora di mettere alla prova gli alibi: il canale venne
enucleato dalla rete tradizionale, e personalmente mi occupai di
selezionare un giovane venditore, entusiasta, proattivo, e soprattutto
libero da condizionamenti autosabotanti!

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Seguii questo ragazzo direttamente, nelle fasi iniziali del suo


inserimento, e gli affidai un’area geografica di quel canale specifico
che, sulla carta, era dotata di un potenziale di acquisto medio.
Dopo un periodo di tempo fisiologico, necessario per conoscere
alcune dinamiche specifiche del mercato, alcuni clienti e soprattutto i
prodotti, il venditore iniziò a operare. Pretesi che non ci fossero
contatti di nessun tipo col resto del team (cosa che, confesso, fu un
pò complicata, tuttavia fu realizzata, anche grazie al fatto che,
all’epoca, i telefoni cellulari non esistevano).
Con grande sorpresa dei sales manager (e oggi, credo, anche
con un pò di disappunto) cominciarono ad arrivare dei contratti. Non
molti, a dire il vero, tuttavia in quantità sufficiente a dimostrare che la
cosa si poteva fare. Con l’andar del tempo gli ordini aumentarono, e
terminò la segregazione del venditore, che fu anzi invitato a illustrare i
suoi metodi agli increduli colleghi.
Alla fine la cosa si risolse con il canale presidiato da cinque
persone, quattro delle quali appartenevano alla vecchia squadra, e
con risultati allineati al resto dell’azienda.
Ciò che la maggior parte delle persone sperimenta nel corso
della propria vita è originato dalla rete di credenze sedimentate nel
profondo della mente inconscia, in quel continuum che si trova sotto la
soglia della consapevolezza, e che tuttavia contiene la parte di gran
lunga più importante del potenziale di ogni essere umano.

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Le credenze determinano ogni momento della vita degli


individui e ne giudano i pensieri, le parole, le decisioni, gli atti. Ciò che
un individuo ritiene sia reale condiziona le proprie percezioni e la
propria fisiologia. Le credenze creano la realtà personale di ognuno,
sono dei filtri attraverso i quali i fatti oggettivi della vita assumono
connotazioni e significati diversi per ogni persona.
Sin dall’antichità più remota sprazzi di saggezza senza tempo
hanno sostenuto che le credenze siano un velo attraverso il quale la
realtà viene completamente trasformata; oggi, la fisica dei quanta e le
più recenti scoperte nel campo delle neuroscienze affermano che
l’individuo è l’artefice della propria realtà, e possiede il potere di
cambiarla completamente.
Il fenomeno del trapasso di una persona cara, nel mondo
occidentale, è visto come una cosa tragica, che genera tristezza
estrema e duratura. Lacrime, struggimento, senso di vuoto, mestizia,
abbigliamento nero sono gli elementi di fondo che permeano le
cerimonie civili e religiose che vengono, in questi casi, celebrate.
In alcune culture orientali, in occasione della dipartita di un
familiare, i parenti organizzano grandi feste, con canti, danze, allegria,
abiti colorati e tanta gioia. Questo perchè le credenze locali
asseriscono che il defunto migri in una zona spirituale nella quale
vivrà in stato di felicità estrema, e pertanto i parenti gioiscono per la
raggiunta beatitudine del loro caro. La tristezza viene addirittura
considerata una forma di egoismo.

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Questo esempio è emblematico del fatto che la credenza,


filtrando gli avvenimenti che il vivere quotidiano porta con sè, è
spesso il giudice assoluto e inappellabile di ciò che gli individui
provano, decidono, agiscono, e delle relative emozioni correlate.
Le credenze sono create attraverso un processo olistico, che prende
l’avvio dal vissuto di ognuno; infatti le fonti delle credenze sono molteplici:
• Genetiche (tra queste, le risposte essenziali ed istintive alla
presenza di un pericolo, che scatenano i comportamenti di
attacco o fuga);
• Esperienziali (soprattutto quelle legate ad avvenimenti con
forte contenuto emotivo) ad esempio un bambino che tocca
una stufa rovente;
• Esempi forniti da genitori, insegnanti, personaggi influenti,
gruppo dei pari.
Per esempio, se un insegnante ripete continuamente ad un
bambino che non ce la può fare, alla fine è probabile che il bambino
stesso si convinca di ciò, e limiti inconsciamente le proprie
prestazioni. Se un capo ripete con insistenza ad un venditore che i
suoi risultati sono i più scarsi del reparto, è probabile che alla
lunga il venditore stesso, validando queste asserzioni,
inconsciamente, ponga in essere atteggiamenti autolimitanti e
produca realmente risultati molto al di sotto delle proprie possibilità.

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Ovviamente è vero anche il contrario, rimanendo in un ambito di


ragionevolezza (la lode, il complimento, debbono essere circostanziati
ed oggettivizzati, per produrre credenze potenzianti).
Una forte emozione che accompagni il fatto generatore della
credenza, aiuta molto la credenza stessa a sedimentare.
Se un genitore, alla caduta del figlio dalla bicicletta, lo insulta
violentemente offendendolo (magari di fronte a dei compagni di
scuola) dicendogli che è un buono a nulla, è molto probabile che crei
le condizioni per cui quel bambino non imparerà mai ad usare la
bicicletta stessa.
Tutte le emozioni intense possiedono questo effetto
amplificatore: le emozioni negative (paura, vergogna, odio) nel creare
le convinzioni autosabotanti, quelle positive (amore, felicità,
soddisfazione) nel generare le convinzioni potenzianti.
Tuttavia, queste dinamiche inconsce che, a volte rappresentano
una vera e propria sfida al senso comune, e che tuttavia sono regole
ferree al pari della legge di gravità, creano una credenza solo se il
soggetto è d’accordo e, accettandola come vera, automaticamente la
convalida. Nulla può trasformarsi in una convinzione, a meno che
la persona destinataria del messaggio concordi col messaggio
stesso.
Questo fatto apre uno spiraglio di portata immensa: se la
credenza, a parità di condizioni esterne (livello emotivo, frequenza e
univocità dello stimolo) può crearsi solo con l’accordo dell’interessato,

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si può affermare con certezza che il potere e la responsabilità delle


proprie credenze siano saldamente in mano all’interessato
stesso.
Tuttavia, rimane aperta un’altra questione importante: come si
possono individuare le credenze autosabotanti?
Questo fa parte della conoscenza che le persone hanno di sè
stessi. In questa materia, la maggiore difficoltà sta nel fatto che la
maggior parte delle credenze sono inconscie. Nel tempo, sono state
accettate senza essere state minimamente analizzate.
Queste credenze letteralmente hanno l’effetto di costruire la
realtà dell’individuo nel quale albergano, filtrando e colorando i fatti
della vita con le tinte che derivano da sè stesse.
Cosa succederebbe se tali credenze fossero in contrasto con
ciò che la persona cerca di ottenere? Non sarebbe utile eliminarle,
sostituendole con altre produttive di risultati?
Ci sono varie tecniche che permettono di localizzare le
credenze limitanti. Effettuare dei test psicologici o utilizzare delle
tecniche di meditazione profonda sono due delle tante soluzioni
possibili.
Tuttavia esiste una scorciatoia, in grado di predire con
un’accuratezza elevata quali sono le convinzioni depotenzianti di
ognuno. E’ così semplice che, di solito, gli individui la considerano
poco e, anche di fronte all’incontrovertibilità dei fatti, non sempre
viene accolta. Dopo tutto, la maggior parte delle persone ha accettato

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le proprie credenze come vere, e non ha piacere di ascoltare


qualcosa che contraddica ciò che pensa sia vero.
Guardiamoci attorno: dovunque si evidenzino ripetitività di
risultati negativi, si può star quasi certi che è all’opera una credenza
depotenziante.
Se un atleta viene costantemente sconfitto in una specialità
(magari eccellendo in altre) una moglie litiga sempre col marito su un
certo argomento, uno studente ottiene continuamente risultati negativi
agli esami, un venditore ha un alto tasso di abbandono da parte dei
clienti, si può con ragionevole probabilità ritenere che in quell’area ci
sia una credenza depotenziante subdolamente all’opera.
Quando il problema è ripetitivo, normalmente accade per la
presenza di convinzioni inconsce limitanti.
Nel campo della vendita, ogni venditore si prefigge degli
obiettivi, delle mete, per migliorare i propri guadagni e la
considerazione della quale gode all’interno della propria azienda.
Aumentare le quote di mercato, incrementare il portafoglio clienti,
elevare il profitto della propria attività sono solo alcuni degli obiettivi
tipici di chi esercita questa professione.
L’abbandono di abitudini indesiderate, agite da lungo tempo,
necessita di azioni precise, sistematiche, determinate tuttavia,
frequentemente, l’azione stessa non è sufficiente in quanto a
generare i comportamenti sono le credenze ormai sclerotizzate ed
accettate come vere dalla mente inconscia delle persone.

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Cambiare abitudini e, di conseguenza, risultati è molto di più


che una decisione conscia: coinvolge la rete di credenze
dell’individuo, e necessita di smantellare la barriera che l’inconscio
eleva a protezione delle proprie convinzioni.
Sostituire una credenza potenziante ad una autosabotante
richiede molto di più di un semplice atto di volontà; richiede che la
persona modifichi le proprie convinzioni (che guidano i
comportamenti) ad un livello molto profondo.
Inoltre, ciò che va cambiato per ottenere risultati di gran lunga
migliori, potrebbe non essere ovvio. Ciò che è in superficie, ed appare
come il problema, potrebbe non esserlo per nulla, e rappresentare
solo l’effetto, e non la causa.
La maggior parte dei venditori che non ottengono ancora i
risultati che vorrebbero raggiungere sono probabilmente sotto scacco
delle credenze più gettonate a proposito del mercato e di loro stessi:
ciò che hanno accettato di credere li condiziona completamente!
Tutte le consuete attività legate all’incremento delle proprie
abilità di venditori, soprattutto se progettate tenendo in mente le più
recenti scoperte circa l’efficacia del processo di vendita sono
sicuramente di grande aiuto; tuttavia, se il venditore non analizza
criticamente il proprio rapporto con il mercato, la forza e la pervasività
delle proprie eventuali credenze autosabotanti sono in grado di
minare dalle fondamenta qualunque tentativo di miglioramento.

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Si possono cambiare i propri risultati, cambiando modo di


pensare: il pensiero cambia la decisione, la decisione cambia l’azione,
l’azione cambia il risultato.
Apparentemente, il processo appare semplice, tuttavia se fosse
così, il mondo dovrebbe essere popolato solo di venditori eccellenti,
ed invece così non è.
Occorre non solo comprendere cosa cambiare, ma anche
come cambiarlo. Questo testo rivela la vera natura di ciò che
moltissimi venditori hanno accettato di credere e dimostra, una volta
per tutte, come sostituire le vecchie credenze autosabotanti con
altrettante altamente produttive di risultati eccellenti.
Tempo fa, il titolo di un manuale di vendita mi incuriosì, e
comperai il libro.
In uno dei primi capitoli, l’autore chiedeva al lettore cosa fosse
l’elemento che stava impedendo al lettore stesso di realizzare gli
obiettivi di vendita desiderati. Una domanda posta per generare
consapevolezza e riattivare l’uso di risorse dimenticate. Sicuramente
una domanda importante. Anzi, una domanda formidabile. Peccato
che fosse una domanda sbagliata.
La risposta è: “Nulla!”. Non c’è nulla che impedisca a qualsiasi
venditore di ottenere i risultati che vorrebbe ottenere. Ogni venditore
ottiene già quello che più gli preme (gli obiettivi inconsci che le
proprie credenze hanno definito). Ciò che desidera fortemente a livello
inconscio è rappresentato dalle proprie credenze a proposito di sè

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stesso, del proprio lavoro, del proprio mercato, della propria


concorrenza, dei propri risultati, delle proprie potenzialità. Per
perseguire questi obiettivi inconsci la mente utilizza quel 95% di
potenza di calcolo che è sotto il livello della coscienza. Il rimanente
5% resta a disposizione della mente conscia e, pur indirizzato verso
altri obiettivi consapevoli, soccombe alla massa critica, alla forza
d’urto del potenziale maggiore.
Il primo passo per migliorare è la consapevolezza. Per
effettuare qualsiasi cambiamento occorre sapere cosa cambiare,
bisogna andare al cuore del problema, affrontare chirurgicamente la
causa che tiene la professionalità dell’individuo inchiodata al suolo e
non le permette di veleggiare nel cielo aperto.
Pertanto, chi esercita la professione della vendita e desidera
cambiare in meglio i propri risultati, occorre soprattutto che agisca a
livello di credenze profonde, individuando quelle che lo ostacolano,
eliminandole, e sostituendole con altre che gli consentano di utilizzare
la straordinaria potenza del proprio inconscio, mettendola al servizio
delle proprie mete.
Adottando schemi di pensiero potenziante si forniscono
all’inconscio le istruzioni che gli consentono di guidare l’individuo
proprio là dove desidera andare.
Questo “pilota automatico” è in grado di superare ostacoli, di
creare presupposti facilitanti, di generare motivazione, di non

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permettere che nulla distragga le proprie energie e abilità dalle proprie


mete.
In una parola, possiede tutti gli elementi in grado di consentire,
ad ogni venditore, di raggiungere traguardi eccellenti!

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L’autostima

Educatori, genitori, psicologi, leader politici e di business sono


d’accordo sulla necessità di sviluppare una elevata autostima negli
individui. Accettazione di sè e degli altri, relativo ottimismo,
determinazione, chiara visione delle proprie mete, tolleranza per il
rischio e l’ambiguità dello scenario nel quale si opera, chiarezza sui
propri punti di debolezza e di forza, certezza di riuscire nonostante gli
inevitabili ostacoli, sono tutti attributi delle persone dotate di elevata
autostima.
Viceversa, dubbi sulle proprie capacità, senso di
inadeguatezza, timore di esporsi a fallimenti, incertezza, frequenti
cambiamenti di desideri e obiettivi, titubanza, procrastinazione, sono
tutti sintomi che denotano una carenza di autostima.

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Una delle difficoltà che i ricercatori si trovano a dover affrontare,


nel definire con precisione il concetto di autostima, risiede nel fatto
che questo attributo sia stato approcciato, negli anni, da molti punti di
vista. In alcuni casi è stata percepita come un processo
psicodinamico, in altri (da un punto di vista maggiormente cognitivo e
comportamentale) come un modello da riprodurre, in altri casi ancora
(da un’ottica maggiormente esperienziale) in termini di attitudini. Dal
momento che l’autostima ha obiettivamente attributi sia psicologici sia
sociologici, pervenire ad un’unica definizione è stato piuttosto
complesso.
In tutti i modi, generalmente gli esperti concordano sul fatto che
l’autostima includa elementi cognitivi, affettivi e comportamentali. Gli
elementi cognitivi sarebbero legati al fatto che l’individuo
consciamente valuti le eventuali discrepanze tra il sè ideale, la
persona che desidera essere e la percezione realistica di sè.
L’elemento affettivo generalmente si riferisce alle emozioni che
sorgono nell’individuo, valutando queste discrepanze. Infine, l’aspetto
comportamentale si manifesta attraverso l’agito assertivo e resiliente,
la decisività, il rispetto per sè stesso e gli altri.
In aggiunta a ciò, generalmente l’autostima manifesta una
magnitudine fluttuante, che oscilla tra un minimo ed un massimo, in
funzione degli avvenimenti (e delle loro conseguenze) che impattano
sull’individuo. In quest’ottica, può anche essere definita situazionale.

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Riprendendo la definizione dell’autostima, per il vocabolario


della lingua italiana è “la valutazione di sè, che esprime la misura in
cui una persona si considera capace, importante e di valore”; in
psicologia, come già sottolineato, viene considerata come il modo di
vedere se stessi e rappresenta il grado di fiducia nel proprio valore,
nelle proprie capacità e nella propria importanza.
Tutto sommato, questi due concetti collimano abbastanza.
Da entrambe queste definizioni possiamo notare una cosa di
grande importanza: valutazione di sè e modo di vedere se stessi sono
due definizioni che, da sole, implicano il fatto che l'autostima sia un
qualcosa di soggettivo, non corrisponda quindi a una realtà assoluta
ma, essendo il frutto di una valutazione (spesso, peraltro, legata a
elementi del tutto soggettivi e mutevoli nel tempo), è semplicemente
l’idea che un dato individuo si è creata a proposito di sè stesso in un
particolare momento della vita.
Pertanto, laddove non dovesse soddisfare in pieno le
aspettative, basterebbe cambiarla!
Di fatto, l’autostima è una delle credenze (una di quelle
fondamentali, peraltro) che inconsciamente modella i risultati delle
persone. Cambiando la propria autostima, cambiano i segnali che
vengono trasmessi al proprio sistema nervoso ed al mondo esterno.
Cambiando i segnali, cambiano i risultati che l’individuo produce.

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Tuttavia, di solito l’autostima (e la figlia di quest’ultima, la fiducia


in sè) sono spesso piuttosto radicate all’interno del sistema di
credenze di ognuno, quindi modificarle è cosa a volte complessa.

Una definizione autorevole di autostima:


Il Dr. Nathaniel Branden, uno dei più noti psicoterapeuti
statunitensi, il precursore di una serie di studi sull’autostima, l’ha
definita anni fa come “l’attitudine a vivere sè stessi come individuo
competente ed in grado di affrontare con successo le sfide della vita,
ritenendosi meritevole di benessere e felicità”. Successivamente, il Dr.
Christopher Mruk, professore di psicologia alla Bowling Gree
University, ha dichiarato che tale definizione ha superato con
successo il test del tempo in termini di accuratezza e completezza.
Questo concetto di autostima è profondamente connessa con
un senso di completezza e valore della propria vita; tale valore viene
talvolta confuso con una semplice sensazione positiva a proposito di
sè stessi, quando invece è provato che incarni un elevato grado di
soddisfazione e dì appagamento, maggiormente legato a valori umani
fondamentali.
Il valore di questa definizione risiede anche nel fatto che risulta
utile nell’effettuare la distinzione tra un’ autostima autentica ed
un’altra solo apparente. Un senso di valore personale senza il
possesso di competenze sociali è altrettanto limitante quanto la
presenza di competenze sociali senza il senso di valore.

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Inoltre, la sensazione di un forte valore evita che la


consapevolezza della propria competenza debordi verso l’arroganza,
se è in grado di mantenere l’individuo focalizzato su modelli etici; di
contro, la consapevolezza delle proprie competenze non sfocia nel
narcisismo qualora sia mitigata dalla consapevolezza di altrettanti
valori relativi agli altri.
Pertanto, modelli comportamentali definiti come egotistici,
egoistici, autoreferenziali, tendenti al vanto e al bullismo spesso
possono denotare atteggiamenti difensivi tipici della mancanza di
autostima.
Un’ultima riflessione è relativa alla questione se sia possibile
che l’autostima venga posseduta in quantità eccessiva. La risposta è
negativa, in quanto una buona autostima equivale ad una buona
salute, che può essere posseduta in misura troppo elevata.

Autostima e vita sociale:


Anche se risulta difficoltoso, sperimentalmente, isolare la
mancanza di autostima correlandola esattamente ai più comuni disagi
sociali, da un punto di vista prettamente clinico sono stati accertati dei
legami tra bassa autostima e problematiche quali violenza, abuso di
sostanze dannose o di cibo, abbandoni scolastici, insuccessi
lavorativi. Pertanto, pur non essendo ad oggi provato che la bassa
autostima sia sempre l’unica causa di tali anomalie comportamentali, i

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ricercatori hanno raggiunto la certezza che sia una delle cause


principali per le quali determinati individui evidenzino tali disturbi.
Di contro, sempre gli stessi ricercatori, analizzando i profili di
persone attive, vitali, ottimiste, determinate, che hanno raggiunto il
successo, hanno sempre riscontrato la presenza di un buon grado di
autostima.
L’autostima e la fiducia in sè è estremamente importante in ogni
fase della vita. Purtroppo, molte persone non la posseggono in misura
adeguata. Quando ciò si verifica, si crea un circolo vizioso: la
mancanza di autostima genera comportamenti coerenti con il pensiero
di “non potercela fare” (indecisione, tentennamenti, procrastinazione,
sfiducia, tristezza, scarso entusiasmo, rinuncia) e ciò sabota il
raggiungimento del successo. Ciò a sua volta genera, nell’individuo
che non riesce, un ulteriore decremento di autostima, che produce
altri risultati negativi. Viceversa, una buona dose di autostima innesca
comportamenti coerenti con il pensiero di “potercela fare”
(entusiasmo, energia, decisione, allegria, fiducia, perseveranza) che
agevola il raggiungimento delle mete prefisse. Ciò, a sua volta,
rinforza l’autostima.
L’autostima è la differenza tra sentirsi inarrestabili e, viceversa,
sentirsi alla mercè degli eventi negativi della vita. La percezione che
un individuo ha di sè stesso ha un impatto enorme nel formare
l’impressione degli altri su di lui. Infatti, il successo di qualunque

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individuo non dipende tanto da ciò che gli altri pensano di lui,
quanto da ciò che lui pensa di sè stesso.

Come si manifesta l’autostima:


Il livello di autostima di una persona si rende evidente in molte
maniere: il comportamento, il linguaggio del corpo, il tipo di eloquio, il
portamento.
Pertanto, la persona con elevata autostima “comunica” con
grande forza e chiarezza (anche se inconsciamente) un messaggio
preciso all’interlocutore, un messaggio di autorevolezza, di energia, di
coerenza, di successo. Ovviamente, dato che il comportamento
genera comportamento, l’interlocutore probabilmente (anch’egli
inconsciamente) validerà il messaggio ricevuto, rispondendo con altri
messaggi di accettazione e ponendosi sulla stessa lunghezza d’onda.
Viceversa, la persona con bassa autostima mette in atto un
modello comunicativo inconscio che “fa passare” un messaggio di
insicurezza, tentennamento, incoerenza, fragilità, spingendo
l’interlocutore, anche in questo caso, a rispondere con comportamenti
ricusatori.
Nella tabella a seguire sono evidenziati alcuni pensieri e
comportamenti tipici delle due polarità opposte.
ALTA AUTOSTIMA BASSA AUTOSTIMA

Fare ciò che si ritiene giusto, Governare il proprio

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anche in presenza di critiche da comportamento in base alle idee


parte degi altri degli altri

Essere disposti ad assumere dei Rimanere all’interno della propria


ragionevoli rischi e perseverare zona di sicurezza, temendo
sino al raggiungimento della meta l’insuccesso

Ammettere i propri errori, ed Lavorare duro per nascondere gli


imparare da essi errori agli occhi degli altri, e
augurarsi di risolverli prima che
qualcuno li rilevi
Attendere tranquillamente che Esaltare le proprie virtù al
qualcuno si congratuli per maggior numero di persone
un’attività svolta bene possibili

Accettare graziosamente Rifiutare decisamente eventuali


eventuali complimenti: “Grazie, complimenti: “Oh, questo
ho lavorato molto sodo su questo progetto non è stato nulla di che,
progetto, e sono lieto che tu lo chiunque avrebbe potuto far
apprezzi” addirittura meglio”

Se nella vita di tutti i giorni l’autostima è importante, nell’attività


di vendita diventa addirittura un fattore critico di successo, tra l’altro
spesso al di là delle possibilità di gestione a livello cosciente. Infatti il
venditore che non è in grado di inviare messaggi positivi al proprio
interlocutore, rischia di compromettere in maniera irrimediabile le

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proprie abilità di influenzamento, semplicemente perchè manca


l’allineamento tra comunicazione conscia e inconscia. Questa distonia
nel messaggio smorza enormemente l’efficacia di qualunque azione di
vendita, producendo risultati spesso scoraggianti.

Cosa fare per elevare l’autostima:


In aggiunta a quanto visto nel capitolo delle credenze, esistono
una serie di suggerimenti efficaci per raggiungere questo obiettivo.
Chi decide di utilizzarli, ne può trarre grandi benefici.
Vesti bene e cura il tuo corpo: nonostante l’abito non faccia il
monaco, certamente l’abbigliamento e la cura di sè influenzano la
percezione sia dell’individuo stesso nei propri confronti, sia quella
degli altri. Quando una persona è trasandata, muta (anche se a volte
impercettibilmente) l’idea che si fa di sè stessa, ed il proprio modo di
interagire con gli altri. Accade l’opposto quando l’individuo cura il
proprio aspetto fisico ed il proprio abbigliamento. Ciò non significa che
si debbano spendere fortune in abiti e cosmetici. Una regola d’oro è
“spendi il doppio e compra la metà”. Anzichè acquistare molti vestiti
economici, conviene acquistarne di meno, ma di qualità più elevata.
Tra l’altro, sul lungo termine si risparmia in quanto la qualità ha
solitamente una maggior durata.
Cammina con decisione: Uno degli elementi tipici per percepire
cosa un individuo pensi di sè stesso è osservarne l’incedere. E’ lento?
Stanco? Sofferente? O è energico e deciso? Le persone che ben

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considerano sè stesse, solitamente camminano svelte. Hanno


impegni, posti dove andare, cose importanti da fare. Anche se non si
ha premura, si può accrescere la fiducia in sè stessi mettendo un pò
di pepe nella propria camminata. Aumentare del 25% la velocità dei
propri passi fa sentire maggiormente importanti.
Adotta una buona postura: Come per la camminata, le posizioni
che un individuo assume sono molto rivelatrici. Individui con spalle
cascanti e movimenti letargici dimostrano un basso livello di autostima
e fiducia in sè. Probabilmente non sono entusiasti di sè stessi e non si
considerano importanti. Viceversa, movimenti decisi e postura eretta
evidenziano considerazioni opposte riguardo a sè stessi. Assumendo
posizioni erette ed aperte (mento e sguardo sufficientemente alti,
contatto oculare con l’interlocutore, spina dorsale verticale, torace
leggermente prominente, arti inferiori leggermente divaricati se si sta
fermi o passi leggermente più lunghi del consueto se si è in
movimento), automaticamente si genera un più elevato senso di
autostima e di fiducia in sè stessi. In aggiunta, si farà migliore
impressione sugli altri.
Fai uno spot pubblicitario di te stesso: uno dei modi migliori per
generare fiducia è assistere ad un discorso motivazionale.
Sfortunatamente le occasioni per fare ciò sono piuttosto infrequenti. Si
può ottenere lo stesso effetto creando uno spot personale. Scrivi un
discorso motivante di 30-60 secondi che sottolinei i tuoi punti di forza

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e i risultati che hai raggiunto, quindi recitalo ad alta voce di fronte allo
specchio, ogni volta che desideri aumentre la tua autostima.
Esercita gratitudine: quando ci si focalizza troppo su ciò che si
desidera, la mente crea motivi per i quali tali desideri non possono
avverarsi. Ciò porta a soffermarsi sulle proprie debolezze. Uno dei
modi migliori di evitare ciò è rappresentato dall’esercitare gratitudine.
Dedica alcuni minuti al giorno per elencare mentalmente tutto ciò che
possiedi e hai ottenuto, e siine grato. Ricorda i tuoi successi, le tue
abilità, i tuoi momenti positivi, e ringrazia per ciò (te stesso, i tuoi
genitori, la società, una divinità). Sarai sorpreso di quanto ciò
contribuirà ad elevare la tua autostima, e ne ricaverai ulteriore forza
per proseguire sul tuo cammino.
Complimentati con gli altri: quando un individuo pensa in
negativo su sè stesso, spesso proietta tale percezione anche su chi lo
circonda, sotto forma di malignità o pettegolezzi. Per spezzare questo
ciclo di negatività assumi l’abitudine di lodare gli altri, per tutto ciò che
di buono hanno fatto o stanno facendo. Così facendo diventerai
benvoluto e ciò aumenterà la tua autostima. Inoltre, nel processo del
cercare il buono negli altri aumenteranno le tue capacità di trovare il
buono in te stesso.
Siedi in prima fila: spesso nelle scuole, alle conferenze, alle
assemblee le persone tendono a sedersi in fondo alla sala. Molte
persone preferiscono le ultime file in quanto desiderano evitare di farsi
notare. Ciò riflette frequentemente una mancanza di autostima.

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Decidendo di sedersi in prima fila, si supera questo timore irrazionale


e si costruisce l’autostima e la fiducia nelle proprie capacità. Si è
anche maggiormente visibili alle persone importanti che intervengono
in qualità di insegnanti od oratori.
Parla: talvolta, durante discussioni di gruppo, alcune persone
rimangono in silenzio, per il timore che i loro argomenti siano giudicati
sciocchi o poco pertinenti. Questo timore non è giustificato: di solito le
persone sono più orientate alla benevolenza di quanto normalmente si
ritenga. Facendo uno sforzo per parlare in ogni discussione di gruppo,
si migliora il proprio eloquio, si diventa più fiduciosi e ci si fa
maggiormente apprezzare. Tutto ciò contribuisce all’autostima.
Fai esercizio fisico: seguendo lo stesso principio della cura per
l’aspetto esteriore, la propria forma fisica ha un impatto importante sul
livello di autostima. Chi è fuori forma generalmente avverte
insicurezza, si sente respinto, e vive con un livello di energia inferiore.
Viceversa l’esercizio fisico migliora l’aspetto, rende maggiormente
energici, e consente di svolgere meglio i propri compiti. Esercitare la
disciplina per svolgere esercizio fisico non solo fa star meglio
fisicamente, crea anche un benessere psicologico che si riflette
sull’immagine di sè.
Contribuisci: spesso le persone si trovano intrappolate
all’interno dei propri desideri. Ci si concentra troppo su sè stessi e
troppo poco sui bisogni degli altri. Se si smette di pensare a sè stessi,
focalizzandosi nel contempo su come si può contribuire al benessere

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degli altri si smette anche di preoccuparsi dei propri difetti. Più si


contrubuisce al benessere generale, più si è gratificati per ciò, e
questo genera decisi incrementi nel proprio livello di autostima.
Evita i paragoni: un basso livello di autostima può anche essere
prodotto da un ambiente che ponga troppo enfasi sul successo e sul
raggiungimento personale, secondo parametri che a volte possono
essere del tutto arbitrari (carriera, ricchezza, possesso di beni
materiali). In realtà, ogni persona è diversa da tutte le altre, e
possiede attributi unici; ogni individuo è un prototipo. Su questa base,
si può rinforzare la propria autostima evitando di comparare sè stessi
con altri individui (che magari, apparentemente, appaiono come
persone di maggior caratura) valorizzando invece i propri punti di
forza ed i propri successi, di qualunque dimensione siano e in
qualunque area siano stati conseguiti.
Sorridi spesso: prova a sorridere e, contemporaneamente, ad
avere pensieri negativi o pessimistici. Ti accorgerai che non è
possibile, se il sorriso è sincero. La mente conscia riesce a
concentrarsi solo su pochi elementi per volta, ed il sorriso
monopolizza queste unità di attenzione, sottraendo risorse ad altre
emozioni. Inoltre, chi sorride spesso vive letteralmente in un ambiente
biochimico diverso da chi sorride raramente, in quanto la gaiezza
libera neuropeptidi che elevano ulteriormente il livello del benessere.
A sua volta, ciò incide positivamente sull’autostima e sulla fiducia in
sè stessi.

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Concentrati sui tuoi punti di forza: ripeti spesso a te stesso tutte


le tue qualità positive, i successi che hai ottenuto, le volte che ti sei
trovato in situazioni difficili per gli altri, ma facili per te. Ciò
contribuisce a focalizzare la tua attenzione su tutto ciò che di
importante e positivo sei stato in grado di conquistare, ed eleva
decisamente l’autostima.
Non prendere le critiche come fatti personali: dissociati, prendi
le cose come vengono. Non dare mai la possibilità a nessuno di
sentirsi bene facendoti sentire male. La bassa autostima è, purtroppo,
contagiosa. Coltiva una visione oggettiva dei fatti, e fattene guidare
per dissociare te stesso da eventuali problematiche che puoi avere, in
qualche modo, causato. L’essere umano non è il proprio
comportamento.
Impara dai tuoi errori: spesso, in ciò che le persone svolgono
(specialmente per quanto riguarda l’attività lavorativa, ed in particolare
la vendita) non tutto va sempre per il verso giusto. Si sbaglia a fare un
acquisto, si prende una decisione sbagliata, si rovina una relazione, si
perde un cliente. In tutti questi casi, l’atteggiamento più frequente è
quello della colpevolizzazione, della ricerca del capro espiatorio, delle
autoaccuse.
In realtà, ciò che viene chiamato “errore” è semplicemente un
passaggio obbligato verso l’apprendimento, una informazione di
grande valore su cosa non fare più, in quanto non produce i risultati
attesi. Soprattutto nella vendita, è frequente l’innescarsi di circoli

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viziosi, scatenati da elementi del tutto casuali. Il venditore effettua


alcune visite, nel corso delle quali, per vari motivi, non vende, ed ecco
che inizia a mentalizzarsi su una serie di pensieri pessimistici, che
minano alla radice la propria autostima. “Non sono più capace a
convincere i clienti, il mercato è oramai troppo cambiato per la mia
esperienza, la concorrenza mi sta schiacciando, sono diventato
troppo morbido nelle trattative”. Tutto questo ha un effetto deleterio
sull’autostima del venditore stesso, le prestazioni del quale iniziano a
calare. Nuove accuse a sè stesso, nuovo ribasso di autostima, e così
via.
L’approccio efficace è casomai quello che parte da un’analisi
fredda e sincera dei motivi che non hanno consentito di chiudere gli
ordini (il cliente non ha liquidità, il prodotto è nuovo e non ancora
sufficientemente testato, non sono riuscito ad anticipare il mio
concorrente, questa volta non sono stato efficace nell’effettuare la
chiusura al momento giusto). La mossa successiva è rimuovere gli
ostacoli (ovviamente quelli che dipendono in prima persona dal
venditore) e riaffrontare la situazione, con entusiasmo e
determinazione a concludere positivamente la vendita successiva.

Il timore del fallimento:


A questo punto, una sezione a parte viene dedicata a una delle
dinamiche più frequenti che si riscontrano nei venditori, direttamente

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collegata con la mancanza di autostima: il cosiddetto timore del


fallimento.
La società occidentale ha posto così tanta enfasi sul successo
materiale, che il cosiddetto fallimento è diventato un termine che
genera un elevato livello di repulsione.
Il fallimento (inteso come il non raggiungimento degli obiettivi
che ci si era prefissi) è sicuramente una pillola amara da deglutire,
tuttavia ogni persona deve fallire, ad un certo punto della propria vita,
per apprendere qualcosa di nuovo.
La cosa importante non è il fatto che l’individuo abbia fallito,
bensì la maniera con la quale ha accettato e metabolizzato il
fallimento stesso. Un individuo può permettere a sè stesso di sentirsi
distrutto dal fallimento, oppure usarlo per rinforzare le proprie abilità e
determinazione a raggiungere mete più elevate.
Chi teme il fallimento dovrebbe ricordare che le persone di
maggior successo al mondo hanno spesso dovuto fallire molte volte,
nel corso della loro vita. Tuttavia, cosa ha fatto la differenza è stato la
loro volontà di imparare dagli errori commessi e utilizzarli sotto forma
di apprendimento, per raggiungere il successo.
Il timore del fallimento crea ansia, e ingigantisce l’eventuale
problema. Un venditore con il timore di fallire può diventare troppo
competitivo o peggio, aggressivo, in quanto inizia a vedere ogni
cliente come una potenziale trappola. Ciò sottrae emozioni positive ad
un’attività che, di per sè (almeno per chi la ama) è gioiosa e

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divertente. Inoltre il timore del fallimento rende nervoso ed ansioso il


venditore stesso, e diventa un ostacolatore di prestazioni elevate,
rendendo il professionista erratico ed animato da un basso livello di
energia.
Per vincere questo comportamento fortemente autolimitante, il
primo passo è accettare le proprie imperfezioni. Nessuno è perfetto e
ogni persona, amando sè stessa e gli altri, dovrebbe tollerare le
cadute di tono in una determinata occasione, per usarle come
trampolino di lancio (modificando il proprio comportamento)
nell’occasione successiva.
E in tutti i casi, ricordare sempre che il fallimento è solo un
successo (spesso ancora più grande) rimandato.

L’eccesso (apparente) di autostima:


Per chi esercita la professione della vendita, esiste un’altra
trappola mortale per le proprie prestazioni, questa volta legata ad un
aspetto che potrebbe essere in parte spiegato con un eccesso di
autostima,a carattere non del tutto equilibrato: l’egotismo.
Tecnicamente viene definito come l’assegnare eccessiva
importanza a sè stessi ed alle proprie esperienze di vita. E’ associato
alla vanità ed all’autocentratura. E’ molto pregiudizievole per l’attività
di vendita in quanto un classico “sottoprodotto” dell’egotismo è
rappresentato da una bassa capacità di ascolto.

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L’egotismo ha le basi sulla convinzione che chi ne è affetto sia


migliore degli altri, che sia un gradino sopra.
In realtà i concetti di inferiorità e superiorità rappresentano una
dicotomia creata dall’essere umano. Non appartengono alle leggi
dell’universo e, tenendoli a mente, si rischia di andare incontro a
emozioni comunque negative. In aggiunta, la continua critica agli altri
(che talvolta deriva da atteggiamenti narcisistici) è una delle cause
maggiori di disaccordo tra le persone.
Ci sono alcuni segnali che indicano che si è affetti da questo
malessere:
• Pensare ai mendicanti come a esseri inferiori, anzichè come
a individui bisognosi di amore;
• Avere un vocabolario infarcito di “me” e “io”;
• Pensare sempre e solo al proprio tornaconto;
• Pensare che la perdita degli altri sia il proprio guadagno.
Tutto ciò sfocia in basse attitudini all’ascolto degli altri che, se
sono pregiudizievoli per le relazioni quotidiane, nel caso del mestiere
della vendita si trasformano in veri e propri assassini di qualunque
risultato positivo.
Che fare allora, se si ritiene di avere un atteggiamento egotista?
Una buona cura consiste nel lavorare su sè stessi,
concentrandosi su come si può contribuire al benessere degli altri
prima ancora che al proprio, abituarsi a lasciare spazi di dialogo agli
interlocutori anzichè monopolizzare la conversazione, focalizzarsi sui
bisogni dell’altro anzichè sui propri, non ragionare in termini di
differenze bensì di uguaglianze, specialmente con i clienti.

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Faq sull’autostima:
1. Quali sono i principali indicatori per valutare la propria
autostima?
• Possesso di un cronico buon umore.
• Si è felici e in pace per la maggior parte del tempo. Il
malumore è raro e passeggero.
• Spesso si ride, ed il proprio sistema di credenze supporta
un comportamento positivo.
• Si possiede molta energia, e si è in grado di completare
la maggior parte dei propri compiti.
• Si è amicali, si ha piacere di stare con altre persone.
• Si è in grado di attrarre gli altri; le proprie relazioni sono di
lungo termine.
• Si guardano gli altri negli occhi; si è degni di fiducia e si
ispira simpatia.
• Si è in grado di assumere un certo rischio, si è
indipendenti e autonomi.
• I comportamenti agiti da una persona dotata di elevata
autostima, e che a loro volta influenzano gli atteggiamenti
di altri, includono: dialogo positivo con sè stessi,
coerenza e verità, mantenimento della parola data,
gratitidine per essere ciò che si è, capacità di perdonare,
empatia, compassione e valori etici.

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2. L’autostima è una prerogativa di pochi, oppure chiunque può


svilupparla? Chiunque sia dotato di un quoziente medio di
intelligenza razionale può sviluppare l’autostima sino ad un
grado molto elevato. In questo percorso si è facilitati dai
genitori, dagli insegnanti, dai colleghi di lavoro e dal gruppo
dei pari. Talvolta, in presenza di traumi rimasti irrisolti, risulta
difficile accedere a livelli elevati di autostima. Tuttavia,
qualunque siano le condizioni di partenza, è comunque
possibile migliorarla.
3. L’autostima significa sentirsi bene a proposito di sè stessi?
L’autostima va molto oltre ciò. E’ un modo particolare di
percepire il sè e coinvolge elementi valutativi, emotivi e
cognitivi. Presuppone determinati comportamenti: muoversi
verso ciò che si desidera anzichè allontanarsi da ciò che si
teme, trattare i fatti con rispetto anzichè rimuoverli, operare
su basi di autoresponsabilità anzichè addebitare agli altri
l’eventuale mancato raggiungimento delle proprie mete. E’
l’esperienza di vivere sè stessi come persone in grado di far
fronte alle tradizionali sfide della vita, la fiducia di essere in
grado di imparare ed applicare, di essere in grado di
effettuare scelte appropriate, rispondendo proattivamente al
cambiamento. E’ inoltre la consapevolezza che successo,
appagamento, benessere e gioia sono naturali e possibili per
ogni individuo.

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4. Focalizzarsi molto sull’autostima incoraggia atteggiamenti


troppo spinti di autocentratura? Razionalmente, non ci si
dovrebbe focalizzare sull’autostima solo per il piacere del
gesto in sè; sarebbe meglio focalizzarsi su quelle attività che
le consentono di crescere e svilupparsi, come l’abitudine di
vivere nel qui e ora, l’accettazione di sè, l’assertività,
l’empowerment, l’energia nel perseguire le proprie mete, la
resilienza di fronte ad eventuali ostacoli, la ricerca
dell’integrità e della coerenza. L’autostima richiede un forte
orientamento alla realtà, ed è radicata in un grande rispetto
per i fatti concreti e la verità. Un’eccessiva autocentratura è
sintomatica di bassa autostima. Se siamo certi di qualcosa,
non abbiamo necessità si sottolinearla continuamente con
comportamenti arroganti, poco rispettosi degli altri,
pressanti, coercitivi: semplicemente la viviamo nel corso
delle nostre giornate.
5. E’ possibile avere un’autostima troppo elevata? No,
soprattutto se si parla di autostima basata sulla realtà dei
fatti. Non è possibile godere di troppa autostima come non lo
è di godere di troppa buona salute: si è del tutto sani, e
basta. Tuttavia, talvolta, quando le persone mancano di
autostima si servono di arroganza, orgoglio eccessivo,
vanteria, come di un meccanismo di compensazione.

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Spesso, il loro problema non è avere un ego troppo grande,


bensì l’opposto.
6. Che aspetti influenzano l’autostima? Ci sono molti fattori in
gioco. Certamente i genitori sono uno dei più importanti; essi
possono agevolare o rendere più difficoltosa l’acquisizione di
una autostima sana, tuttavia non hanno la possibilità di
determinare il livello dell’autostima finale dei loro figli. Ogni
contesto sociale ed avvenimento vissuto dall’individuo ha il
potere di costruire o smantellare l’autostima. In tutto ciò non
va dimenticato il ruolo che l’individuo stesso riveste,
attraverso le scelte che effettua e le decisioni che prende
giornalmente. Non siamo comparse sul palcoscenico della
vita, siamo attori della commedia, e abbiamo la diretta
responsabilità di ciò che ci accade.
7. L’autostima è la conseguenza dell’approvazione da parte di
persone importanti? La risposta è no. Se vivessimo in
regime di non responsabilità, senza coerenza, senza mete
chiare e senza la forza per perseguirle, forse l’autostima
sarebbe proporzionale all’approvazione ottenuta da altri,
seppur autorevoli o importanti. Quando le persone
tradiscono sè stesse ed i propri ideali, per guadagnare
l’approvaizione di altri, sperimentano uno scossone alla
propria autostima. Che profitto potrebbe dare guadagnare
l’approvazione del mondo, contemporaneamente perdendo

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la propria? E’ di dominio pubblico il fatto che, spesso, tra i


ragazzi, sia di estrema importanza guadagnare
l’approvazione di altre persone, magari ritenute influenti o
con una posizione di predominio all’interno della loro cerchia
di amicizie, e che questo influenzi in maniera diretta la loro
autostima. Tuttavia bisognerebbe considerare che questo
genere di autostima è molto fragile, e solitamente crolla non
appena, per qualsiasi motivo, l’approvazione faticosamente
guadagnata dovesse essere ritirata o negata.
8. Il possesso di oggetti lussuosi, di popolarità e di benessere
materiale garantisce automaticamente un elevato livello di
autostima? Talvolta chi manca di autostima è convinto che la
risposta sia affermativa, tuttavia la verità è che al mondo
esistono persone che hanno raggiunto celebrità, ricchezza,
fama, possiedono fattezze incantevoli, sono seguiti da
migliaia di ammiratori, e ciononostante si sentono vuoti
dentro. Questi individui, come strategia di compensazione
per un’esistenza all’insegna dell’ansietà e della depressione,
spesso non sono in grado di trascorrere un’intera giornata
senza assumere sostanze dannose. Fama, ricchezza,
bellezza, successo non garantiscono nulla se non sono
supportate dall’autostima. In casi del genere, la mancanza di
quest’ultima fa spesso sentire le persone alla stregua di

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“impostori”, sempre col timore di essere “scoperti”, perdendo


così di colpo i vantaggi acquisiti.
9. Lodare ed incoraggiare comportamenti appropriati consente
di coltivare l’autostima? Questo dipende da ciò che si
intende per “lodare” e “incoraggiare”. Se parliamo di un
bambino che agisce consapevolmente e responsabilmente,
il cui comportamento è lodato e incoraggiato, la risposta è
positiva. Inoltre, in un caso del genere, possiamo ritenere
che tale comportamento venga nuovamente adottato. Se
ignorato, ridicolizzato o punito è probabile che il bambino
non ripeta gli stessi schemi comportamentali. In entrambi i
casi, la propria autostima può venire influenzata. Tuttavia,
per essere davvero efficace, la lode ( o meglio, il
riconoscimento) deve essere basato sulla realtà oggettiva
(quindi non deve essere stravagante o esagerata) e diretta
al comportamento più che al proprio carattere. Utilizzare
frasi come “sei un angelo”, “sei sempre così bravo”, oppure
“sei molto carino e amabile” può generare ansia, in quanto il
bambino sa benissimo che in molti casi ciò non è vero. Lodi,
incoraggiamenti e riconoscimenti vanno attentamente dosati,
per non creare nel bambino la dipendenza dall’approvazione
degli altri. L’obiettivo è quello di far sì che il bambino stesso
diventi la propria sorgente di approvazione, piuttosto che si
senta dipendente da altri per essere lodato. Pertanto è

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necessario evitare di “bombardare” il bambino con continui


giudizi.
10. E’ vero che nulla è in grado di preoccupare chi è dotato di
elevata autostima? Alcuni entusiasti dell’autostima ritengono
che essa risolva tutti i problemi dell’esistenza. Ciò,
probabilmente, non risponde del tutto al vero: la lotta è una
componente fondamentale della vita. Prima o poi tutti
sperimentano l’ansia e la pena, e mentre l’autostima può
rendere l’individuo molto meno suscettibile alle
intemperanze della vita, non è in grado di vaccinarlo del
tutto. Bisognerebbe pensare all’autostima come ad un
sistema immunitario, che non è in grado di preservare
completamente l’organismo dalle malattie, tuttavia ne
diminuisce decisamente il numero e la gravità.
11. Un elevato livello di autostima, se raggiunto, dura per
sempre? Ogni valore che pertiene alla vita necessita di una
continua manutenzione per essere preservato. Se non
continuiamo a respirare, la boccata d’aria di pochi secondi fa
non è in grado di mantenerci in vita per sempre. Lo stesso
principio si applica all’autostima: se, attraverso le tecniche
illustrate oltre si raggiunge un buon livello di autostima, ciò
non significa che il loro repentino abbandono non causi una
diminuzione del livello di autostima precedentemente
raggiunto. Nulla, nemmeno l’autostima, può essere

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mantenuto vitale ed in salute senza svolgere particolari


attività deputate a ciò.
12. Cosa arriva prima, l’autostima o il successo? Esiste
l’evidenza di numerosi studi che dimostrano come l’individuo
debba essere dotato di un buon livello di autostima per
avere la forza di perseverare abbastanza a lungo per essere
in grado di raggiungere il successo. Tali studi suggeriscono
che il successo sia il sintomo, e non la causa, di una buona
autostima. In tutti i modi, il successo sicuramente rinforza
l’autostima, pertanto gli aspetti sono intimamente legati. La
questione potrebbe essere posta in termini diversi: come
agire affinchè l’incremento del livello di autostima ed il
successo siano raggiunti contemporaneamente? La risposta
a questa domanda si trova nell’ultima parte del testo.

Riflessioni attraverso personaggi famosi:


Per concludere questo capitolo, ecco alcuni elementi di
riflessione, su come alcuni personaggi siano stati in grado di
perseverare sino al successo, nonostante i fallimenti che hanno
incontrato nel corso della loro vita, e come il raggiungimento dei loro
traguardi sia stato supportato da un’autostima incrollabile:
• Albert Eistein, nel 1895, fu bocciato all’esame di abilitazione
del politecnico di Zurigo. Inoltre, imparò a parlare solo a tre
anni ed a leggere dopo i sette.

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• Al Neuhart iniziò a lavorare da ragazzino come raccoglitore


di escrementi, fino a che in età adulta fondò il più grande
quotidiano degli Stati Uniti (Usa Today).
• Lev Tolstoij fu definito “incapace e non disposto ad
imparare” dai suoi insegnanti, e si ritirò precocemente
dall’università.
• Walt Disney fu licenziato dal suo datore di lavoro per
mancanza di idee, ed inoltre andò in fallimento diverse volte
prima di costruire Disneyland.
• Fred Astaire, nel 1933 fece un provino per la Mgm, che lo
stroncò con un giudizio poco lusinghiero sulle sue abilità di
ballerino.
• Johnny Weissmuller, affetto da una grave forma di
poliomielite fin da bambino, era convinto di poter diventare
un campione di nuoto. Nonostante la malattia che lo aveva
afflitto, non solo vinse 5 ori olimpici e 52 titoli nazionali
statunitensi, ma stabilì anche 64 record mondiali, e diventò il
Tarzan più famoso del cinema.
• Moltissime case editrici rifiutarono il breve racconto su un
gabbiano che volava alto nel cielo, Il gabbiano Jonathan
Livingston, prima che lo pubblicasse la McMillan, nel 1970.
Nel 1975, dopo sette milioni di copie vendute nei soli Stati
Uniti il suo autore, Richard Bach, venne considerato uno dei
più noti scrittori del XX secolo.

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Come tutto ciò si manifesta

Chi si trova in presenza di altri individui, comunica. Comunica


sia che parli, sia che taccia. Anzi, a volte il silenzio rappresenta
un’informazione ancora più esplicita ed eloquente che la parola.
Il processo della comunicazione tra individui, in ogni maniera,
avviene prevalentemente attraverso una modalità parlata, attraverso
le parole (linguaggio verbale), attraverso il ritmo, il tono, la velocità, le
interruzioni della voce (linguaggio paraverbale), attraverso gesti,
mimica facciale, postura, movimenti degli arti (linguaggio corporeo).
Questi tre elementi concorrono, con pesi diversi, al processo
cosiddetto della comunicazione.
Da uno studio del 1967 dello psicologo armeno Albert
Mehrabian è emerso che il linguaggio verbale contribuisce a
qualificare il messaggio per il 7%, il linguaggio paraverbale per il
38%, il linguaggio corporeo per il 55%.

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Quindi, secondo questo studio, solo il 7% del contenuto


informativo di un argomento trattato verbalmente è affidato alle parole
utilizzate, il 38% è affidato ad elementi vocali, e la parte più
importante (55%) è affidata alle espressioni del viso e al movimento di
testa, braccia, mani, torso, gambe, piedi.
Pertanto, qualora mancassero le parole, rimarrebbe un altro
93% di contenuto informativo, inviato da un emittente ad uno o più
riceventi.
Lo studio si riferisce ovviamente al processo di comunicazione
viso a viso.
Quindi il “come lo dico”, ai fini della comprensione del
messaggio inviato, conta almeno dieci volte tanto il “cosa dico”.
In realtà, queste percentuali possono variare, in più e in meno,
a seconda del particolare scenario, ma non in maniera sostanziale.
Ognuno di questi tre componenti del messaggio ha contenuti
consci e contenuti inconsci. Ad esempio, la scelta delle parole è in
linea di massima controllata dalla mente cosciente; tuttavia, vivendo
emozioni intense, una parte della scelta delle parole è inconscia, e
segue i moti dell’animo.
Così, il paraverbale è in misura significativa gestito dalla mente
inconscia; tuttavia possono darsi dei casi (un esperto conferenziere)
nei quali viene esercitato un certo controllo conscio delle componenti
paraverbali stesse.

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Per finire, il linguaggio corporeo, in tutte le sue manifestazioni, è


in larghissima misura affidato alla mente inconscia.
Quindi, nel processo del comunicare, possiamo dire con buona
approssimazione che la mente conscia controlla il 10, forse il 20% del
messaggio, mentre il resto è più o meno affidato all’inconscio.
Ciò significa che le credenze, l’autostima, l’intelligenza
emozionale governano la parte di messaggio di gran lunga più
importante. Traslato in un colloquio di vendita, ciò significa che un
venditore non comunica quello che vorrebbe, bensì quello che pensa
veramente. Di sè stesso, del proprio prodotto, della propria azienda,
dei competitori, del mercato, del cliente che ha di fronte.
Ci sono contesti a scarsa emotività (un discorso a contenuto
tecnico, ad esempio) dove risulta più facile esercitare un controllo
cosciente sul messaggio; nella vendita, che è un processo dove
l’emotività gioca un ruolo importante, la difficoltà nel controllare il
messaggio viene molto accentuata.
Questo è uno dei motivi per i quali il mestiere della vendita è
considerato un mestiere dannatamente difficile.
Quale è quel cliente che acquista da un venditore che
comunica, per esempio, che ha una scarsa stima di sè, o della propria
azienda, o del proprio prodotto, o addirittura del cliente stesso? E
quale è quel cliente che acquista da un venditore che comunica di
ritenersi l’unico in grado di capire le specificità di un prodotto, oppure
di ritenere di nessuna importanza eventuali pareri diversi dai propri,

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oppure che manifesta timore nel momento di enunciare il prezzo,


oppure ancora che dimostra insofferenza per i bisogni del cliente
stesso?

Il potere del non verbale:


Questo strapotere degli elementi non verbali, rispetto a quelli
verbali, ha molte cause.
La causa di fondo è che, nel corso dell’esistenza, l’inconscio è
molto più potente del conscio nel controllarne gli elementi salienti
(95% contro 5%). Un altro motivo è rappresentato dal fatto che, nel
corso di un processo di comunicazione viso a viso, il corpo invia
continuamente segnali, mentre la durata dei flussi di parole è molto
frammentaria (si dice una cosa, si tace mentre si ascolta la risposta, il
tutto a volte inframmezzato da silenzi). Un terzo motivo è che i
responsabili del movimento e della postura del nostro corpo sono
circa 600 muscoli diversi (solo 90 nel viso), assolutamente impossibili
da controllare contemporaneamente. In aggiunta esistono molti altri
elementi legati all’equilibrio biochimico del corpo (l’ansia immette
endorfine nel sangue e fa accelerare la velocità dell’eloquio, la
serenità diminuisce la frequenza cardiaca e rilassa le corde vocali) e
la nostra mente conscia (l’emisfero sinistro) ha a disposizione in ogni
momento al massimo 9 unità di attenzione; pertanto oltre 590 muscoli
(più tutte le ghiandole surrenali deputate all’emissione degli enzimi)
non possono essere tenuti sotto controllo dalla mente conscia, e

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conseguentemente ricadono sotto il dominio dell’inconscio, che li


movimenta in funzione delle proprie regole. Queste regole sono
dettate soprattutto dalle credenze, delle emozioni dominanti da queste
scatenate, dall’autostima, dall’intelligenza emozionale, tutte cose che,
nella maggior parte dei casi, travalicano il controllo cosciente.

Il potere della metacomunicazione:


La metodologia adottata per comunicare, al di fuori delle parole,
è detta metacomunicazione. Questo termine letteralmente significa
comunicare a proposito della comunicazione stessa.
La più importante conseguenza di ciò è relativa alla “genuinità”
della metacomunicazione, che esprime esattamente ciò che
l’individuo ha nell’animo, senza i consueti filtri sociali e di convenienza
razionale del momento.
Pertanto la metacomunicazione si può controllare solo agendo
sulle cause delle quali essa stessa è effetto. Ogni altro tentativo
sarebbe destinato al fallimento, proprio per il fatto che la mente
conscia non possiede le risorse per esercitare il controllo su un
numero di parametri così elevato.
Il tentativo di controllare comunque la comunicazione non
verbale, allineandola alle parole pronunciate genera, nella migliore
delle ipotesi, una serie di incoerenze tra il verbale e il non verbale,
incoerenze che il ricevente capta immediatamente, e che fanno
declinare rapidamente il livello di credibilità dell’emittente.

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Spesso, per indicare i termini usati nel processo di


comunicazione si parla di contenuto, tutto il resto viene chiamato
relazione.
Quindi un venditore molto sicuro di sè, del proprio prodotto, del
fatto di riuscire comunque a concludere la vendita, motivato,
perseverante, e che nello stesso tempo consideri importante il cliente
e i suoi bisogni, adotterà aspetti relazionali naturalmente allineati ai
contenuti verbali, risultando aperto, coerente ed autorevole.
Viceversa, a parità di altre condizioni, un altro venditore
titubante, dubbioso circa le proprie abilità, la bontà del prodotto, che si
arrenda facilmente ai primi ostacoli, che nutra timori circa l’interesse
del cliente, tenderà a fare grandi sforzi per mascherare queste
debolezze, nel tentativo fallimentare di convincere il cliente del
contrario di ciò che il suo corpo sta comunicando con enfasi e
continuamente. Oltre tutto, le energie spese per controllare il
metalinguaggio vanno a detrimento della qualità del proprio eloquio, e
quindi anche su questo fronte risulterà molto meno preparato del suo
collega precedente. La naturale conclusione della sua trattativa sarà
probabilmente il rifiuto all’acquisto da parte del cliente

I componenti del corpo che comunicano:.


Proprio per il fatto che tutta la muscolatura del corpo è coinvolta
nel metalinguaggio, le parti anatomiche che metacomunicano sono:

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• Capo (occhi, bocca, lingua, denti, sopracciglia)


• Braccia (dita, mani, gomiti, spalle)
• Torso (collo, petto, schiena, stomaco, pancia,
posteriore)
• Gambe (coscie, ginocchia, caviglie, piedi)
Premesso che i singoli segnali corporei inviati da un singolo
arto o da un particolare componente anatomico (occhi, bocca, dita)
considerati da soli possono non essere completamente
rappresentativi della reale emozione o dello stato mentale che vive il
soggetto (occorrerebbe valutare la metacomunicazione nella sua
intierezza, per coglierne i significati profondi), esistono degli elementi
che, generalmente, descrivono i moti dell’animo in maniera piuttosto
chiara.
Inoltre, uno dei segreti di una lettura razionale e precisa del
metalinguaggio è legata all’esame di fatti che accadono nello stesso
istante. Per esempio, se ad una data domanda il soggetto
contemporaneamente incrocia gambe, braccia, distoglie lo sguardo e
tende ad allontanarsi col torso, tutti questi segnali si possono
certamente interpretare come segnali di chiusura. Viceversa, uno
solo degli elementi citati potrebbe avere anche altre cause (ricerca di
una posizione più comoda o un attimo di distrazione dovuto alla
stanchezza).
In tutti i modi, certi segnali “fondamentali” trasmettono spesso
messaggi abbastanza univoci.

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Verranno, a seguire, trattati alcuni dei più comuni segnali


corporei extraverbali. Puoi facilmente renderti conto di quali siano, di
questi, quelli che ti agevolano e quelli che invece ti ostacolano. I
secondi, se rilevati nel proprio comportamento, sono probabilmente il
sintomo di qualche causa depotenziante, che andrebbe eliminata dal
proprio sistema di credenze, sostituendola con un’altra maggiormente
propulsiva. A seguito di ciò, potrai rilevare dei nuovi segnali emessi
dal tuo corpo, questa volta in grado di sostenere comportamenti
maggiormente produttivi di risultati.
Il capo è considerato un emittente di metasegnali tra i più
genuini (infatti, l’area del capo è la sezione corporea che riceve la
parte maggiore di attenzione da parte del destinatario del
messaggio). Contemporaneamente è una parte che non mente,
proprio per la grande motilità e quantità di muscoli che la
compongono, che ne rendono quasi impossibile il controllo cosciente
(si può simulare un sorriso, tuttavia impegnando solo alcuni delle
molte decine di muscoli deputati a formare un sorriso sincero, e
pertanto sorridendo in maniera palesemente artificiale e forzata).
I segnali principali emessi dal capo sono:
• Capo abbassato: il capo abbassato viene
generalmente considerato un segnale di sottomissione o difesa
(lo sguardo va in basso, il mento copre la carotide); può anche
esere interpretato come un segno di stanchezza. Un’eccezione
è rappresentata da un movimento verso il basso, compiuto una

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sola volta, per assentire. Ciò può essere interpretato come un


segnale di autorità o autorevolezza (mi basta assentire una
sola volta, non occorre che ripeta il segnale).
• Capo alzato: quando è a livello di equilibrio,
generalmente viene interpretato come un segno di interesse
(gli occhi puntano verso la persona che parla). Se il capo (e lo
sguardo) puntano molto in alto, potrebbe essere un segnale di
noia.
• Oscillazioni laterali: di solito segnala indecisione,
necessità di ulteriori chiarimenti. La posizione laterale
mantenuta può anche essere un segno di interesse.
• Oscillazioni verticali: in linea di massima interpretati
come segno di interesse e soprattutto assenso continuo. In
quest’ultimo caso è spesso accompagnato da sorriso. Questo
movimento, mentre si parla, tende a incoraggiare l’assenso
nell’interlocutore.
• Rotazione a destra e sinistra: indica quasi sempre
disaccordo, e rappresenta un forte segnale di chiusura.
• Bocca:
o Apertura per respirazione: una inspirazione
ampia o veloce (di solito, nel corso di un normale
colloquio di vendita, si respira solo col naso) quasi
sempre è indice di un elevato livello d’ansia (il corpo
necessita di più ossigeno per prepararsi alla reazione di

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combattimento o fuga). L’inspirazione molto ampia


(sbadiglio) è un forte segnale di noia, ancora di più se è
in atto un tentativo di repressione di tale gesto; brevi e
frequenti inalazioni possono essere segnali di forte
tristezza repressa.
o Copertura per mezzo di una mano: in
occidente, consuetudine sociale per evitare di mostrare
l’incavo della bocca e bloccare esalazioni o emissioni di
saliva; in altri casi, la mano che copre può essere legata
al desiderio di sopprimere una forte emozione (sorpresa,
grande tristezza). In qualche caso (bisogna però
confermare ciò anche con la presenza di altri segnali) la
bocca viene coperta dall’emittente in caso stia
mentendo.
o Estremi verso l’alto: il sorriso è di solito un
indicatore di piacere e contentezza (andrebbe
confermato anche dalla lettura di altri segnali del viso e
degli occhi, per accertarsi che sia sincero). Un mezzo
sorriso (più frequentemente dal lato sinistro) può indicare
cinismo, sarcasmo e incertezza.
o Estremi verso il basso: quasi sempre
indicano tristezza, scoramento, frustrazione, rabbia.
• Occhi: sono uno degli indicatori più frequentemente
considerati nel linguaggio non verbale.

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o Sguardo verso l’alto: può essere dovuto alla


ricerca di ispirazione e al richiamo di un ricordo, oppure
evidenziare noia (si cerca sul soffitto qualcosa di più
interessante). Sguardo in alto con capo abbassato
solitamente indica sottomissione mista a desiderio.
o Sguardo verso il basso: spesso segnala
sottomissione o colpevolezza.
o Sguardo laterale: in generale può essere
interpretato come un allontanamento da qualcosa
considerato negativo, oppure (se è una occhiata rapida)
la valutazione veloce di un elemento di distrazione. Se lo
sguardo è prolungato, può anche segnalare irritazione. Il
movimento continuo da lato a lato potrebbe indicare
menzogna (la persona sta cercando una via di fuga nel
caso fosse scoperta), oppure cospirazione (si accerta
che nessun altro stia ascoltando).
o Il brandeggio dello sguardo dal basso all’alto
e viceversa, viene considerato solitamente un segnale di
superiorità; è piuttosto fastidioso da subire e può indicare
valutazione e “pesatura” dell’interlocutore, sia per
valutarne la pericolosità, come nemico, o l’utilità, come
preda.
o Occhiate fugaci: solitamente sono un
segnale di desiderio (rapide occhiate ad una porta o

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anche a una finestra possono segnalare desiderio di


fuga).
o Contatto oculare: il contatto oculare nei
confronti di un interlocutore è solitamente interpretato
come un segnale di interesse, particolarmente se è
rivolto agli occhi dell’altro. Un contatto oculare troppo
prolungato può essere vissuto come inquisitorio; la
rottura del contatto oculare da parte di un interlocutore
solitamente segnala disaccordo, tentativo di chiusura, o
percezione di aggressione. Il rapido movimento dello
sguardo da un occhio all’altro dell’interlocutore può
essere interpretato come una ricerca di consenso. Un
contatto oculare sporadico solitamente segnala
insicurezza e tentativo di manipolazione, se non di
menzogna.
Gli arti superiori sono considerati solo parzialmente attendibili,
in quanto il loro controllo cosciente presenta un certo grado di facilità
(rispetto alle gambe e al viso); le mani sono uno degli indicatori più
letti, e andrebbero sempre interpretate assieme ad altri segnali, per
accertarne la veridicità.
• Mani: a coppa sovrapposte: possono essere
interpretate come cura, protezione, fragilità (anche di un’idea
appena presentata). Tenersi le mani una con l’altra può
indicare attesa ma anche insicurezza (ci si dà autoconforto)

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oppure l’atto di trattenere sè stessi dal compiere qualcosa di


riprovevole, in caso di ira o rabbia. Il nascondere le mani dietro
la schiena (così come il tenerle immobili l’una nell’altra) può
evidenziare un tentativo di controllarle, quindi questi segnali
potrebbero essere indicatori di tentativi di manipolazione.
Tenere con due mani un oggetto può essere interpretato come
un segnale di chiusura; giocherellare con oggetti è spesso una
modalità per dare sfogo innocuo a ansia e tensione interna.
Stretta di mano: la mano porta con la palma in alto, indica
solitamente sottomissione; tentativo di dominio se porta con la
palma in basso, magari accompagnando la stretta di mano
stessa con una presa dell’avambraccio destro
dell’interlocutore, ad opera della propria mano sinistra. Strette
prolungate e forti (e/o con molti scuotimenti) vengono
solitamente interpretate come un tentativo di dominio, strette
veloci e deboli come un’ammissione di sudditanza, o un
tentativo di ritirata. La stretta di mano equilibrata prevede una
posizione a coltello della mano stessa, una stretta di media
intensità e durata, ed un limitato numero di scuotimenti (molto
meglio se il tutto viene accompagnato da un sincero sorriso).
Il tronco e gli arti inferiori sono considerati importanti nella
lettura dei segnali extraverbali. In particolare le posture (sia in piedi,
sia seduti) forniscono indicazioni importanti circa gli stati d’animo
dell’emittente. Anche le gambe e i piedi lanciano segnali potenti, in

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quanto sono di difficile controllo. In caso di conflitti tra i segnali degli


arti superiori e degli arti inferiori, questi ultimi sono spesso indicatori
più attendibili, in quanto più difficilmente controllabili.
• Postura: da fermi, una postura diritta, con testa
alta, petto leggermente prominente e gambe lievemente
divaricate (ad altezza spalle) è generalmente considerata come
un indicatore di sicurezza, fiducia in sè stessi, decisione.
Viceversa, una postura curva, con la testa abbassata e il collo
rientrante nelle spalle, gambe molto vicine o addirittura
incrociate (a patto che l’individuo non sia appoggiato ad un
sostegno come tavolo o parete) è solitamente percepita come
un segnale di insicurezza, fragilità, indecisione, timore,
timidezza, senso di inadeguatezza. Così dicasi per l’incedere:
postura eretta, passi mediamente lunghi e abbastanza veloci
solitamente inviano segnali positivi all’interlocutore. Viceversa,
passi brevi e frequenti, capo reclinato, spalle cascanti sono
spesso interpretati come mancanza di decisione, insicurezza,
scarsa fiducia di sè. Nelle posizioni sedute, una postura eretta
in linea di massima indica attenzione e interesse; sprofondare
nella poltrona potrebbe inviare segnali di grande rilassatezza
ed attenzione (occorre confermare con altri segnali) oppure,
allontanandosi dall’interlocutore, segnalare disinteresse e
chiusura. Una seduta “in punta di seggiola” nella maggior parte

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dei casi evidenzia fretta, scarso interesse, desiderio di andar


via.
• Gambe / piedi: in posizione seduta, le ginocchia
leggermente divaricate per i maschi sono spesso interpretate
come un segno di relax e apertura verso l’interlocutore (si
espone il cavallo); gambe accavallate possono significare
ricerca di maggior comodità ma anche un desiderio di non
rivelare all’altro qualcosa di sè, oppure di non accettazione di
quanto esposto. Per il sesso femminile l’accavallamento è
molto più frequente, e perde un pò il senso di chiusura di cui
sopra. Per entrambi i sessi, gambe e caviglie attorcigliate
solitamente segnalano scarsa disponibilità nei confronti
dell’interlocutore. Sempre per entrambi, le punte dei piedi
rivolte verso una via d’uscita (porta o finestra) spesso indicano
desiderio di fuga (per disinteresse o per timore). Per finire, il
frequente cambio di posizione da seduti (così come l’agitare un
piede o una gamba) spesso segnalano nervosismo,
disinteresse, chiusura.

Menzogna e manipolazione:
Nei colloqui di vendita, talvolta, si lascia spazio alla menzogna
ed alla manipolazione. A volte accade che l’interlocutore, nel tentativo
di raggiungere determinati obiettivi, faccia loro ricorso. Talvolta si
manifestano, nel venditore, come atteggiamenti di autodifesa quando

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i sentimenti dominanti sono l’insicurezza e la mancanza di fiducia


nelle proprie capacità.
In tutti i casi è utile saper individuare questi segnali, sia per
difendersi dagli altri, sia per difendersi da sè stessi.
Quando qualcuno mente o intende celare i propri pensieri e i
sentimenti, cerca solitamente di controllarsi e sembrare spontaneo;
proprio questo intento porta a lasciare sfuggire qualcosa, in
particolare se si ignora che un certo comportamento possa tradire.
E’ per questo che l’osservazione dei segnali del corpo può aiutare a
svelare le menzogne: così, se qualcuno racconta frottole, improvvisi
tic al volto, il manipolare qualcosa, il deviare lo sguardo e altri
comportamenti involontari possono far trapelare i suoi veri
atteggiamenti o contraddire ciò che afferma.
Nonostante ci sia la credenza che la bugia sia accompagnata da
determinate azioni istintive (autocontatti, perdita di contatto oculare,
nervosismo generalizzato) in realtà ciò che trapela è solo
un’emozione; per cui, anche se si decide di mentire, quanto più si è
tranquilli o disinteressati, tanto più si riesce a controllarsi
Al contrario, più ci si sente in colpa o in ansia, tanto meno si riesce a
impedire la fuga a segnali che indichino la presenza di queste
emozioni.
Uno delle azioni più frequenti quando si vuole mascherare un
sentimento è il sorriso falso.
Non tutti i sorrisi sono uguali: dall'analisi della mimica è possibile

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individuarne oltre una cinquantina, ognuno con un aspetto e un


messaggio particolare.
Già alla metà del diciannovesimo secolo il neurologo francese
Duchenne de Boulogne aveva individuato le caratteristiche del vero
sorriso sincero che coinvolge, oltre ai muscoli della bocca, anche
quelli degli occhi.
In genere, si è notato che le persone talvolta si lasciano
momentaneamente ingannare dai falsi sorrisi; la causa di questi
temporanei fraintendimenti è l'incapacità (conscia) di distinguere i veri
sorrisi da quelli creati appositamente.
Il tratto comune al sorriso autentico è la modificazione nell’aspetto
prodotto dal muscolo zigomatico maggiore che contraendosi, solleva
gli angoli della bocca inclinandoli verso gli zigomi.
II sorriso genuino è contraddistinto, inoltre, da una contrazione
spontanea di un muscolo dell'occhio noto come pars lateralis, che
crea le cosiddette “zampe di gallina” ai lati dell’occhio. Inoltre si
assiste ad un lieve abbassamento delle sopracciglia, verso le
palpebre.
Lo studioso Paul Ekman, dell’Università del Wisconsin, ha messo in
luce, tramite la misurazione dell'attività cerebrale di varie persone
sorridenti, che solo in presenza della contrazione di questo muscolo
si attivano aree cerebrali che determinano sensazioni di piacere.
Quando invece il sorriso è artefatto le “zampe di gallina” che si
producono a lato degli occhi e il lieve abbassamento delle

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sopracciglia che compaiono nel sorriso autentico non sono presenti.


Quando è usato come una maschera, il sorriso falso copre solo le
azioni della parte inferiore del viso e della palpebra inferiore. Inoltre, il
sorriso falso risulta spesso asimmetrico (più marcato sul lato destro
del volto, che è controllato dall’emisfero sinistro) e caratterizzato da
un tempo di stacco anomalo, per cui può scomparire in modo troppo
veloce e improvviso oppure manifestarsi a singhiozzo.
Anche alcune variazioni della voce e del modo di parlare possono
accompagnare la menzogna o la manipolazione.
Un tratto vocale che contraddistingue chi sta mentendo è un tono che
suona più acuto e stridulo. Se la persona prova del risentimento, ma
vuole nasconderlo, la sua voce tende a diventare più metallica, secca
e di volume più alto.
L’articolazione delle parole subisce un’accelerazione, le parole
vengono di frequente “mangiate” e il discorso appare spezzato;
inoltre, le pause fra le parole si fanno più brevi.
Se la persona è amareggiata o scontenta (come di fronte ad un
regalo deludente) il suo timbro eccheggia più basso, flebile e
sospirato. In questo caso, anche il parlare subisce un rallentamento e
le pause sono più lunghe.
Toccamenti e autocontatti sono in genere buoni "compagni" delle
bugie: spesso chi mente, tende anche a gesticolare meno del solito;
questo sia perché è più concentrato del normale su quello che dice,
sia perché riducendo i gesti, si sente meno esposto.

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Una delle cose che chi mente invece fa di più è manipolare oggetti,
premere qualcosa con le dita, giocherellare con ciò che è a portata di
mano: può così appallottolare un foglietto, stringere il pacchetto di
sigarette o prendere una penna o il telefonino come se dovesse
usarlo, ma limitandosi a giocherellarci e a portare lo sguardo su di
esso.
Quest'azione diventa così un pretesto che consente di allieviare la
tensione dello sguardo diretto quando questo diventa insostenibile.
Quando tutto il resto del corpo "tace", ci pensano le nostre gambe e i
nostri piedi a tradirci: se siamo in ansia o ci sentiamo in colpa, le
estremità saranno dirette verso una potenziale via di fuga, come una
porta, un atrio o una finestra.
Con i piedi possiamo tradirci in molti modi: sollevando i talloni,
torcendo le dita, piegandoli sul lato esterno, calpestandoli, tirandoli
indietro quando siamo seduti.
Come già accennato in precedenza, la metacomunicazione va
colta ed analizzata globalmente, soprattutto quando si rilevano
incongruenze tra linguaggio verbale e metalinguaggio. Infatti la
distonia è un forte indicatore di un tentativo di controllo di sè, spesso
originato dalla volontà di manipolare il messaggio inviato
all’interlocutore.
In questi casi la percezione di chi ascolta è tale per cui, spesso,
dà origine a chiusure, che a loro volta generano ulteriore ansia

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nell’emittente, che cerca di accentuare il controllo, amplificando


pertanto ulteriormente le divergenze.
La cosa migliore da fare è essere spontanei, e caso mai
lavorare sulle cause profonde che generano i sintomi. Così facendo si
acquisisce coerenza tra linguaggio verbale, extraverbale e segnali del
corpo, si eliminano i disallineamenti, e la propria credibilità ed
autorevolezza possono diventare i migliori trampolini di lancio per
prestazioni di vendita eccezionali!

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La riprogrammazione è possibile

Nel linguaggio informatico, la programmazione è intesa come


quell’insieme di attività che un individuo (il programmatore) svolge per
insegnare ad una macchina (spesso un computer) a svolgere un
determinato compito (comunicare, fare calcoli e previsioni, editare un
libro, eseguire un brano musicale, giocare a carte o a scacchi,
disegnare).
La programmazione si è resa necessaria per fornire istruzioni
ad una macchina in un linguaggio che la macchina stessa possa
comprendere e interpretare facilmente, onde consentirle di utilizzare
la propria potenza di calcolo e poter seguire, senza tema di errori, le
istruzioni impartite.
Il cervello dell’essere umano possiede moltissime analogie con
il computer:
• E’ multiprocessore (i neuroni funzionano come veri e propri
centri di calcolo, in un’architettura parallela)

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• E’ cablato (le cellule neuronali sono collegate tra di loro da


oltre 160 Km di fibre nervose)
• Ha il disco fisso (la memoria di lungo termine)
• Ha i moduli ram (la memoria di breve termine)
• Ha i programmi (le credenze, le abitudini)
• Ha compiti da svolgere (mantenere in vita il corpo che lo
ospita e fargli raggiungere determinati traguardi)
• Per funzionare ha bisogno di energia (ossigeno e glucosio)
• Deve essere alimentato da dati, che poi elaborerà
(provenienti dal sistema sensoriale e dalle rappresentazioni
interne).

I “bachi” nei programmi:


Uno dei termini spesso utilizzati nel linguaggio informatico
colloquiale è “bug” (letteralmente, baco) che sta ad indicare un errore
(di logica o di sintassi) presente nele istruzioni del computer. Questo
errore impedisce alla macchina lo svolgimento di una certa istruzione,
o addirittura fa eseguire un compito non voluto dal programmatore.
Per eliminare tali errori, è necessario analizzare le istruzioni
fornite al computer, individuare il baco e correggere la compilazione
della parte di programma che non funziona o, nei casi più radicali,
riprogrammare il computer.
Anche nel cervello umano esistono i bachi, che possiamo
assimilare alle credenze depotenzianti ed agli schemi mentali

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improduttivi di risultati, o addirittura depotenzianti, che impediscono il


raggiungimento degli obiettivi voluti. Vanno rimossi, per consentire a
quel 95% di potenza di calcolo (forse è più pertinente chiamarla
potenza di guida o pilota automatico) di svolgere correttamente il
proprio compito, e condurre l’individuo là dove consciamente
desidera essere condotto.

Il linguaggio di (ri)programmazione
Spesso ciò che non permette di sbloccare le risorse
dell’individuo, accedendo così alle massime prestazioni, è il
linguaggio di programmazione utilizzato consapevolmente, espresso
con una logica ed una sintassi incomprensibile per l’inconscio. Ne
derivano spesso risultati altalenanti e raggiunti con grande fatica,
indecisione, procrastinazione, insoddisfazione.
Contrariamente a ciò che si crede, la volizione soltanto non è
sufficiente per cambiare una credenza depotenziante.
La volizione è un processo conscio che ha scarso effetto nel
dominio della mente inconscia.
Usando solo l’arma della volizione, l’individuo che desideri
cambiare alcuni aspetti profondi di sè stesso, rischia di esporsi a
sentimenti di impotenza e frustrazione, in quanto non comprende
come mai, a fronte di un desiderio conscio anche molto intenso, non
cambino le relative credenze e, con queste ultime, i propri modi di
reagire ad una data situazione.

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Il linguaggio di programmazione compreso dall’inconscio è


composto da sensazioni (stimoli che derivano dai cinque sensi),
emozioni (rabbia, paura, tristezza, gioia, sorpresa, disgusto, attesa,
accettazione sono quelle cosiddette fondamentali), immagini (quanto
più vivide e reali possibili).
Ciò significa che, per cambiare le proprie convinzioni, occorre
utilizzare emozioni, sensazioni e immagini, anzichè solo parole e
ragionamenti di causa ed effetto.
Dato che le credenze profonde, in controllo della vita
dell’individuo, spaziano in ogni ambito (rapporti con gli altri, autostima,
immagine di sè e relativa fiducia nelle proprie abilità, efficacia delle
proprie modalità comportamentali) la tecnica per liberarsi delle
convinzioni limitanti illustrata a seguire è utile per la vendita e anche
per tutti gli altri aspetti della vita privata. Le metodologie che
seguiranno sono piuttosto efficaci per migliorare:
• Credenze profonde
• Autostima
• Intelligenza emozionale
A seguito di questi miglioramenti, il linguaggio del corpo muterà
e diverrà un supporto al successo, in quanto sarà il prodotto di
credenze di successo.
Ovviamente, prima di iniziare le attività tese alla
riprogrammazione, occorre individuare con grande chiarezza quali
sono le aree sulle quali intervenire.

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Questa fase è di grande rilevanza in quanto, una corretta


individuazione delle “zavorre” da eliminare, rende più rapido ed
efficace il lavoro di riorganizzazione del pensiero.
Il miglior suggerimento che si possa dare ad un venditore che
desideri migliorare (sia egli già esperto, sia alle prime armi) è quello di
analizzare con grande accuratezza le proprie prestazioni, per rendersi
conto di quali siano le aree di miglioramento.
Un’attività (relazione col cliente, ottenimento del consenso, fasi
negoziali, emersione dei bisogni, chiamate a freddo) che dia risultati
ricorrentemente negativi, è un indicatore quasi certo della necessità di
intervenire sulla sottostante probabile credenza depotenziante.
In aggiunta, per individuare le aree sulle quali agire, è utile
rilevare la presenza di eventuali riluttanze allo svolgere qualcuna delle
attività tipiche della vendita (ad esempio, eventuali ritrosie a vedere
nuovi clienti). Queste avversioni, quasi certamente, segnalano la
presenza di convinzioni autolimitanti sottostanti.
A questo punto, occorre chiedersi: ”Cosa credo per provare
questa resistenza?”. La risposta, che potrebbe non arrivare
immediatamente, ma solo dopo alcuni tentativi, dovrebbe fornire
l’indicazione di quale sia il blocco da rimuovere.
Inoltre, può essere utile analizzare le prestazioni di venditori ai
quali si vorrebbe assomigliare, cogliendone le credenze di fondo che
ne stanno supportando i risultati. Queste convinzioni andrebbero
acquisite.

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Parimenti, può agevolare la stessa analisi diretta ad individuare


le credenze che sostengono i comportamenti di venditori ai quali non
si vorrebbe assomigliare. Valutare se tali convinzioni non siano attive
anche per sè stessi e, in caso affermativo, abbandonarle.

Eliminare una credenza autosabotante, sostituendola con una


potenziante:
La prima cosa da fare è individuare una convinzione che sta
limitando le prestazioni.
Dopo di che, per iscritto, occorre seguire un protocollo che
associ dispiacere alla credenza autosabotante, ne mini la veridicità,
occorre individuarne un’altra, potenziante, che la sostituisca, è
necessario associare grande piacere a quest’ultima, cercare
riferimenti circa la nuova credenza potenziante, ed infine occorre
viverne in anticipo i risultati.
E’ estremamente importante che il protocollo venga svolto per
iscritto e poi letto a voce alta, anzichè solo mentalmente, perchè in
questo modo si mettono in movimento molti più sensi e facoltà (udito,
tatto, vista, immaginazione) favorendo così il ricordo e la
sedimentazione.
Se lo desideri, puoi prendere un foglio e quindi effettuare, per
iscritto, il protocollo di cui sopra:
• Associare dispiacere alla credenza depotenziante,
elencando:

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o Quante opportunità potrebbe far perdere?


o Quale sarà il costo emotivo ed economico del non
abbandonare tale credenza?
o Quali saranno le ripercussioni negative non solo
per l’individuo, ma anche per familiari, parenti,
amici?
• Indebolirla, con domande opportune e cercando
riferimenti che ne possano mettere in dubbio la veridicità:
o Sono proprio certo che le cose stiano così?
o Gli elementi che confermerebbero la credenza
sono veramente inoppugnabili?
o Chi potrebbe trovare assurda o ridicola questa
convinzione, e perchè?
o Le fonti dalle quali deriva sono completamente
degne di fede?
o Quali fatti oggettivi, se considerati, possono
metterla in discussione?
• Individuare una nuova credenza propulsiva,
possibilmente nella stessa area di quella limitante. Ad
esempio, se ci si sta liberando di una credenza
depotenziante che dice:”Non sono in grado di reperire
nuovi clienti”, la corrispondente credenza propulsiva
potrebbe essere: ”Sono talmente abile ed empatico che

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la ricerca di nuovi clienti è facilissima”. A questo punto la


nuova credenza va scritta.
• Cercare tutti i riferimenti possibili, nei propri ricordi, che
confermino la nuova convinzione (fatti accaduti in
passato, testimonianze di terzi, esperienze fatte). Anche
questi elementi vanno elencati su un foglio, e poi riletti a
voce alta.
o Quante volte si è dimostrato di essere in grado di
fare ciò?
o In quali crcostanze se ne è avuta la prova?
o Chi può trovarla vera?
• Associare grande piacere alla nuova credenza,
vivendone in anticipo i risultati, caricati di contenuti
emotivi.
o Cosa darà vivere con la nuova convinzione
potenziante?
o Quali saranno le implicazioni positive per sè e i
propri cari?
o Che traguardi emotivi e finanziari si potranno
raggiungere vivendo secondo questa nuova
credenza?
Svolto questo importantissimo lavoro per la prima credenza da
abbandonare, sarà molto utile visualizzare frequentemente i risultati
che se ne otterranno con le tecniche che saranno illustrate più avanti.

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In tutti i modi, appresa la metodologia per abbandonare le credenze


limitanti occorre utilizzarla per tutte le convinzioni che, attualmente,
creano ostacoli al raggiungimento dei propri obiettivi.

Lo stato di coscienza attenuata:


Il cervello dell’individuo, nel corso delle 24 ore che compongono
la giornata, svolgendo le attività per le quali è deputato, passa
attraverso una serie di “stati di funzionamento”. A ognuno di questi
stati è associata l’emissione di onde elettromagnetiche, di frequenza e
tensione variabili. Questi stati sono:
• Stato di veglia
• Stato di rilassamento profondo e / o lieve assopimento
• Sonno
• Sonno molto profondo
In ognuno dei quattro casi cambiano alcune caratteristiche
bioelettriche fondamentali del cervello stesso, oltre al fatto che la
coscienza (tipica dello stato di veglia) si attenua fino a sparire del
tutto.
Pur non essendoci pieno accordo tra gli studiosi per quanto
attiene la precisione della frequenza delle varie fascie d’onde
cerebrali, esistono delle definizioni abbastanza diffuse e condivise.
Lo stato di veglia è la condizione nella quale ci si trova durante
la maggior parte delle attività diurne, il lavoro, lo studio, il divertimento,
cioè quando si è concentrati sugli stimoli esterni; la frequenza delle
onde è attorno a 20 cicli al secondo, e la loro tensione va dai 5 ai 10

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microvolts. Le onde elettromagnetiche vengono emesse dai centri del


pensiero cosciente, che rimane in controllo delle attività della mente
anche se le palpebre vengono abbassate per qualche istante. Questo
stato viene definito “Beta” e le relative onde prendono lo stesso nome.
Lo stato di rilassamento profondo o di lieve assopimento
(stato di coscienza attenuata ) viene tipicamente raggiunto a seguito
di un rilassamento profondo della muscolatura del corpo, oppure in
presenza di uno stimolo (uditivo, tattile, visivo) molto monotono. La
frequenza scende attorno agli 8-12 cicli al secondo, ed il voltaggio
raggiunge i 50 microvolts. In questa condizione la cosiddetta
coscienza diurna comincia a perdere il controllo della mente, e lascia
il posto all’inconscio, e l’individuo è portato ad abbassare le palpebre.
Questa condizione è detta anche stato “Alfa”, come le relative onde
elettromagnetiche.
Uno stimolo improvviso (luce, rumore) riporta il cervello allo
stato Beta.
La condizione Alfa è tipica dei momenti che precedono il sonno,
o dei primi istanti dopo essersi svegliati; tuttavia è uno stato al quale si
accede spesso anche durante l’attività giornaliera. Può provocarlo la
visione di un film o una conferenza particolarmente noiosi, un
pensiero molto perseverante, un totale rilassamento muscolare.
Un rilassamento ancora più profondo porta il cervello nello stato
di sonno (o “Theta”) dove gli stimoli provenienti dall’esterno non
vengono più recepiti, l’inconscio si impadronisce della mente e ne

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domina i processi. In questa fase appaiono i sogni, il corpo a volte si


agita, si profferiscono parole, tuttavia gli unici stimoli che contano
provengono dall’inconscio.
Ci si trova in un’altra dimensione, nella quale è attiva una
coscienza completamente diversa da quella della veglia, e che
percepisce gli stimoli con “organi” del tutto inconsci.
Le onde Theta scendono a una frequenza da 6 a 4 cicli al
secondo, e la tensione sale fino ai 100 microvolt.
Proseguendo oltre si raggiunge il sonno molto profondo,
senza sogni, nel corso del quale l’inconscio mantiene le principali
funzioni biologiche al livello minimo, le onde elettromagnetiche
(definite “Delta”) rallentano fino a raggiungere 0,5 –3 cicli al secondo,
ed il voltaggio sale sino ai 200 microvolt.
In questo stato la conoscenza diventa intuitiva, la
consapevolezza cosciente è completamente inibita, lo stato di
rilassamento del corpo è totale, e l’insensibilità agli stimoli esterni
raggiunge il suo più alto grado.
Per gli scopi di questo testo verrà preso in esame lo stato Alfa
(coscienza attenuata) utilizzato per compiere alcune esercitazioni utili
per raggiungere, attraverso l’utilizzo di tecniche efficaci, migliori
risultati nel processo di vendita.
Dal livello di veglia (stato Beta) si può accedere facilmente allo
stato Alfa attraverso comuni tecniche di rilassamento e lieve
autoipnosi, che consentono di attenuare la “vigilanza” della mente

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cosciente e diurna, bypassandone l’attività censoria, facendo


emergere allo stesso tempo l’inconscio, che diventa pertanto
particolarmente permeabile e ricettivo per accogliere gli stimoli che
possono portare il professionista della vendita a livelli di prestazioni
molto superiori rispetto all’ordinario, utilizzando le abilità di autoguida
dell’inconscio stesso.

Esercitazione di rilassamento:
Ci si ponga in posizione sdraiata, dove non si corra il rischio di
essere disturbati, in un ambiente che favorisca il silenzio. Va bene un
divano, il letto, il pavimento.
La posizione ideale è con un cuscino sotto la nuca (in modo che
la colonna vertebrale si distenda anche nella zona terminale), braccia
distese lungo il corpo, arti inferiori distesi, evitando incroci.
Raggiunta la posizione ideale, chiudere gli occhi, effettuare
alcune inspirazioni profonde, in modo da ossigenare bene le cellule
cerebrali, per predisporle all’attività.
Fatto ciò, rimanere immobili per qualche istante, avvertendo un
senso di pace e comodità.
A questo punto si può iniziare il protocollo di rilassamento
profondo.
Occorre passare in rassegna ogni gruppo muscolare,
concentrando la propria attenzione sull’operazione di rilascio di tutte le
tensioni, dietro specifico ordine (meglio mentale che verbale).

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“Muscoli del cranio, rilassati e abbandonati; muscoli facciali,


rilassati e abbandonati, muscoli del collo, rilassati e abbandonati”.
Proseguire così fino ad aver citato tutti i gruppi muscolari del corpo.
Contemporaneamente è utile osservare, con l’occhio della
mente, i muscoli stessi che si afflosciano, avvertendone nello stesso
istante il passaggio da uno stato di tensione a una condizione di
mancanza di tono assoluta.
Arrivati in fondo, il ritmo cardiaco e la frequenza respiratoria
dovrebbero essersi attenuati, e le onde cerebrali dovrebbero essersi
avvicinate allo stato Alfa. A questo punto, per approfondire
ulteriormente lo stato di rilassamento, contare mentalmente sino a
dieci, con lentezza. Ad ogni numero, avvertire il proprio corpo che si
abbandona sempre più.
Alla fine, probabilmente lo stato di abbandono è idoneo a
permettere alla frequenza delle onde elettromagnetiche del cervello di
scendere sino al ritmo Alfa.
Questo stato si raggiunge anche, per vie naturali, la sera prima
di addormentarsi ed il mattino, nel corso del risveglio.
Lo stato Alfa è il momento più propizio per effettuare le
affermazioni e le visualizzazioni. Occorre rimanere in questo stato, nel
quale si è solo debolmente ricettivi per gli stimoli che provengono
dall’esterno, per il tempo necessario ad affermare e / o a visualizzare.
Dopo ciò, si può lentamente ritornare allo stato di veglia,
ridando tonicità ai muscoli e riaprendo gli occhi.

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Affermazioni
Le affermazioni sono riconosciute da molto tempo come uno
strumento potente di trasformazione.
Funzionano come un vero e proprio linguaggio di
programmazione, che è in grado di far eseguire un compito alla mente
inconscia.
Prevedono (attraverso precise modalità che vedremo più
avanti), la ripetizione di un messaggio (verbale, mentale, per iscritto)
in modo che si imprima in profondità nell’inconscio
L’affermazione viene creata ed elaborata nella parte conscia
della mente e poi, attraverso la ripetizione, pervade l’inconscio. Qui,
sedimentando, può operare un cambiamento a livello profondo dei
pensieri dell’individuo, cambiamento che si estrinseca in un nuovo
comportamento, maggiormente produttivo di risultati.
Le modalità di utilizzo possono essere:
• Verbali (l’affermazione viene ripetuta a voce dall’individuo,
meglio se con un volume medio o medio-alto;
• Per iscritto (scrittura dell’affermazione, per 20 – 30 volte, su
foglio. In questo caso la scrittura si può effettuare nello stato
di normale veglia);
• Riproduzione attraverso un cdrom o un riproduttore di files
vocali, previa registrazione.

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L’inconscio è in grado, per la sua potenza di calcolo (quel


famoso 95%) di eseguire praticamente qualsiasi istruzione gli venga
impartita. Infatti, ciò che ogni individuo ottiene in un dato momento
della vita è la diretta conseguenza delle proprie azioni, che a loro volta
derivano da decisioni che hanno alla base un dato sistema di
credenze.
Non è in grado di distinguere tra la realtà e la fantasia
vividamente immaginata e l’individuo, traendo vantaggio da ciò, può
deliberatamente affermare ciò che desidera ottenere.
Di contro, l’unica entità in grado di fornire istruzioni è la mente
conscia (emisfero sinistro) che utilizza, come fedele, infaticabile ed
efficacissimo esecutore la mente inconscia (emisfero destro).
Il ruolo dell’inconscio, come già visto, non è quello di giudicare,
valutare, soppesare, decidere, bensì solo quello di eseguire con la
massima precisione e velocità possibili gli ordini che ha ricevuto.
La tecnica delle affermazioni, nelle sue fasi iniziali, non
necessita di nessuna fiducia sul fatto che funzionerà; è sufficiente
eseguire il protocollo con costanza e tenacia, sino a che la
riprogrammazione sarà operata. L’individuo si renderà conto di ciò dai
risultati che sarà in grado di ottenere.
Per esempio, se si desidera migliorare la propria abilità nelle
visite a freddo, si può affermare:”Io, [nome], possiedo una grande
efficacia nelle visite a freddo”. Ci si renderà conto che l’affermazione
ha attecchito quando verranno meno le eventuali resistenze a

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svolgere questa attività, ed effettivamente la propria azione genererà


risultati migliori.
Le affermazioni sono efficaci strumenti di riprogrammazione e
trasformazione in ogni ambito della vita, tuttavia in questo testo
esploreremo questa tecnica con particolare riferimento allo
svolgimento dell’attività di vendita.
Per ottenere il miglior risultato possibile, le affermazioni
debbono rispettare alcune regole:
-Tempo presente: le affermazioni sono più efficaci se formulate
al presente. Il presente è il tempo dell’azione e del risultato. Evitare
tempi futuri, che sposterebbero al futuro remoto anche i risultati.
-Affermative: creare le affermazioni in forma, appunto,
affermativa; evitare forme negative, affermando pertanto ciò che si
vuole, anziché ciò che non si vuole. Per esempio, evitare ”non voglio
più fare chiusure inefficaci” sostituendo la frase con con “le mie
chiusure sono molto efficaci”.
-Corte e dirette: le affermazioni corte e dirette sono più facili da
pronunciare, ed hanno un impatto molto migliore sull’inconscio,
rispetto a quelle lunghe e verbose. Essere brevi e diretti aggiunge
potenza, in quanto l’idea risulta chiara e non mascherata da elementi
estranei.
-Precise: è necessario verbalizzare esattamente ciò che si
desidera ottenere. L’essere vaghi e imprecisi lascia l’inconscio in

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preda a dubbi e incertezze, sottraendogli efficacia ed allungando i


tempi di realizzazione.
-Ripetizione: l’importanza della ripetizione non sarà mai
abbastanza sottolineata. Ripetendo, l’affermazione si sedimenta più
facilmente e più velocemente nel subconscio.
-Emozioni: è opportuno che la persona che afferma si faccia
coinvolgere dall’obiettivo, sia appassionata, usi completamente la sua
emotività. E’ necessario pensare attentamente al significato delle
parole, mentre vengono declamate, anziché ripeterle a pappagallo.
-Tenacia: la tenacia nel ripetere produce migliori risultati rispetto
alla pratica sporadica.
-Chiamati direttamente in causa: meglio personalizzare le
affermazioni, rendendole specifiche proprio per sè stessi. Iniziarle
con “io, nome, ……”. Più è forte il feeling che l’affermazione genera,
più è profonda la traccia che lascia nella mente, più è veloce il tempo
di raggiungimento del risultato.
-Una alla volta: soprattutto nelle prime fasi di utilizzo del
metodo, è raccomandabile iniziare ad operare su un’area alla volta.
Per esempio, se il venditore ritiene di poter / dover crescere sia
nell’applicazione delle tecniche di ottenimento del consenso, sia
nell’attività di prospezione, sia nella fase di analisi dei bisogni del
cliente, inizi con una di queste aree. Completato il ciclo ed ottenuti i
risultati stabiliti, può affrontare altri ambiti. Solo quando si raggiunge

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una completa esperienza del metodo, è possibile lavorare su più


fronti, in parallelo, facendo ruotare le rispettive affermazioni.
-Tempificare: a parte lo stato di coscienza attenuata, la sera
appena prima di addormentarsi, ed il mattino appena svegli,
rappresentano due eccellenti momenti per la pratica delle affermazioni
verbali. In quegli istanti la consapevolezza cosciente non ha più (di
sera) o non ha ancora (il mattino presto) il completo controllo della
mente dell’individuo, perciò l’affermazione stessa lavora meglio,
sedimentando con maggior facilità nell’inconscio. Si possono inoltre
prevedere altre sessioni giornaliere, preferibilmente da effettuare in
uno stato di coscienza attenuata utilizzando la tecnica di rilassamento
profondo vista prima.
La velocità con la quale si manifesteranno i primi risultati è in
relazione con il numero delle sessioni effettuate, tenendo conto che,
all’inizio, la metodologia manifesta comunque una certa isteresi a
fornire risultati tangibili, anche nel caso di sessioni giornaliere
numerose.
Ogni sessione è bene che preveda dalle 20 alle 30 ripetizioni.
-Alla propria portata: è preferibile iniziare affermando obiettivi
facilmente raggiungibili in quanto eventuali convinzioni contrarie a
questa metodologia rischierebbero di rallentare il processo. Con il
raggiungimento di questi obiettivi iniziali la fiducia nel metodo
aumenterà e pertanto la persona sarà in grado di puntare
maggiormente in alto, e di ottenere risultati con maggiore velocità.

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In tutti i modi, è abbastanza frequente e naturale, seguendo la


pratica delle affermazioni, l’avvertire dubbi o resistenze affermando
qualcosa che, al momento, non sia effettivamente già accaduto.
Quando si comincia ad utilizzare questa tecnica, affermando
che qualcosa nella propria professione è vero, la mente conscia può
presentare una serie di motivi per i quali ciò non risponda a verità.
Per esempio, immaginiamo un venditore che desideri migliorare
nell’area della gestione delle obiezioni, e decida di affermare: “Sono
efficacissimo nel gestire le obiezioni”. La mente conscia potrebbe
formulare pensieri del tipo:”Non dire stupidaggini, appena il cliente
obbietta tu litighi”, oppure “La verità è che ad ogni obiezione ti fai
sempre più piccolo”. Se l’individuo credesse, consciamente, sin
dall’inizio della pratica, ad una data affermazione, significherebbe che
ne ha già ottenuto i benefici.
Alle resistenze va lasciata via libera, bisogna permettere loro di
affiorare, in quanto si tratta di un processo di “sanificazione” e
“smaltimento” delle vecchie paure e dei vecchi dubbi. Pertanto il
giudizio sull’efficacia dell’affermazione va sospeso, e la pratica
continuata. La fiducia nella tecnica sorgerà da sola cogliendo i primi
successi.
Risulta efficace, per affrontare questo particolare fenomeno,
utilizzare un foglio di carta diviso in due colonne. A sinistra si scrive
l’affermazione, a destra si annotano tutti i pensieri contrari che ne
sorgono.

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Eventuali resistenze (apparentemente dettate da un


ragionamento logico e sequenziale) che tendono a mettere in dubbio
l’affermazione stessa, sono il sintomo della presenza di una credenza
profonda che è contraria a ciò che si sta affermando e crea un blocco.
Occorre osservare quali sono i dubbi che si manifestano con
maggiore frequenza, per esempio “Non merito questo tipo di
successo”. In questo caso occorre prima lavorare con un’affermazione
del tipo: “Io, ... merito che la mia efficacia di vendita aumenti sempre
più”.
Quando l’affermazione mette radici (iniziando a modificare i
comportamenti dell’individuo) e produce i primi risultati, solitamente si
notano i primi segni di accettazione, e l’emersione di una serie di
pensieri positivi riguardo l’affermazione stessa. Questo è il miglior
segnale che l’affermazione si sia radicata.
I tempi di risposta dell’inconscio sono variabili, ed a volte i primi
risultati positivi arrivano dopo settimane e settimane di pratica. Ciò è
dovuto al fatto che gli ostacoli da superare sono molti, in quanto le
vecchie credenze autosabotanti e i comportamenti autolimitanti hanno
lavorato sull’individuo per molto tempo. In questi casi occorre
entusiasmo, disciplina e persistenza, per far si che l’affermazione
venga sedimentata correttamente.
Nè aiuta, nella pratica delle affermazioni, un atteggiamento
troppo impaziente, che analizzi continuamente i risultati al momento

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ottenuti, paragonandoli con quelli passati, alla frenetica ricerca di un


segnale positivo che indichi il corretto funzionamento del sistema.
Una continua verifica sarebbe come come un agricoltore che,
piantati i semi di una specifica cultivar che desideri raccogliere, vada
continuamente a dissotterrare i semi stessi per esaminare la presenza
di radici, anzichè affidarsi alle potenti, efficaci e infallibili forze della
natura, come la bontà del terreno, l’umidità, il calore del sole, il ciclo
delle stagioni.
Metodo, pazienza, consapevolezza dei tempi fisiologicamente
necessari, entusiasmo, fiducia e tenacia sono qualità che aprono la
strada alla trasformazione, senza soffocare le nuove dinamiche
positive che cominciano ad operare, sia pure in modo impercettibile
all’inizio, e creano i migliori presupposti per la crescita dei risultati.
Nel mondo della vendita, le affermazioni utili a innescare
incrementi di prestazioni sono tra le più varie e soggettive, in quanto
direttamente legate ai bisogni specifici di ogni professionista.
D’altro canto, la vendita è un fenomeno complesso e composto
da una serie di fasi profondamente interconnesse, che si influenzano
a vicenda.
In aggiunta, l’affermazione deve essere studiata in maniera
chirurgica, in modo da permetterle di agire proprio là dove esiste una
credenza limitante da eliminare.
Per questi motivi, la costruzione delle affermazioni specifiche è
lasciata completamente al lettore. Il testo si limita a fornire una serie di

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esempi, che poi andranno personalizzati completamente, o addirittura


riprogettati.
• Io, ..., ottengo successi di vendita sempre maggiori ogni
giorno che passa
• Io, ..., gestisco in modo efficace la relazione col cliente
• Io, ..., aumento le mie abilità di influenzamento ogni giorno di
più
• Io, ..., presento i prodotti con abilità sempre maggiore
• Io, ..., individuo i bisogni dei clienti con grande
professionalità
• Io, ..., ogni giorno imparo sempre di più dalla mia attività di
vendita
• Io, ..., ricevo sempre più commissioni ogni giorno che passa

Visualizzazioni:
Come già visto, il cervello umano utilizza l’esperienza
vividamente immaginata quasi alla stessa stregua di quella vissuta,
mettendo in moto una serie di meccanismi fisiologici comuni ai due tipi
di eventi.
Infatti, a tutti sarà capitato di ricordare vividamente un
accadimento fortemente emotivo occorso nel passato, e notare che
aumenta la frequenza cardiaca, il ritmo respiratorio varia, la
muscolatura si tende (o si rilassa), proprio come era successo
vivendo l’esperienza stessa.

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Per utilizzare questo strumento di programmazione


dell’inconscio, in pratica si tratta di immaginare, nella maniera più
vivida possibile, un certo avvenimento (per esempio, nel caso di un
venditore, una trattativa condotta in maniera eccellente) utilizzando
quanti più sensi possibili. Anche questa tecnica fornisce il massimo
risultato se praticata in regime di lieve autoipnosi.
L’udito, “ascoltando” le parole proprie e della controparte; il
tatto, “sentendo” sotto i polpastrelli la pelle del folder usato per la
presentazione, la vista, “vedendo” la scena nei minimi dettagli,
l’olfatto, “sentendo” l’odore tipico della fabbrica / dell’ufficio di quel
particolare cliente. Il tutto completato da sensazioni di gioia,
professionalità e potere personale, le stesse provate quando si
conclude magistralmente una vendita.
L’esperienza così vividamente immaginata viene considerata,
dall’inconscio, una vera e propria stringa di programma, che si
imprime nell’inconscio stesso e facilità l’accadimento dell’esperienza
visualizzata.
Questa tecnica indica all’inconscio la direzione che si desidera
seguire e gli obiettivi che si vogliono raggiungere. L’inconscio, così
ben programmato, diventa una specie di pilota automatico che guida
là dove gli è stato indicato.
La tecnica della visualizzazione è oggi utilizzata, tra l’altro, in
campo sportivo, dove fa parte del consueto allenamento di molti atleti
olimpionici.

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A titolo di esempio, cito una nota esperienza effettuata da un


gruppo di scienziati sovietici, su quattro gruppi di preparatissimi atleti,
in vista delle olimpiadi del 1980 a Lake Placid.
Il primo gruppo effettuò il 100% di training fisico; il secondo
gruppo effettuò il 75% di training fisico e il 25% di training mentale; il
terzo gruppo effettuò il 50% di training fisico e il 50% di training
mentale; il quarto gruppo effettuò il 25% di training fisico e il 75% di
training mentale.
I risultati del test furono stupefacenti: il quarto gruppo performò
meglio del terzo, che a sua volta fece meglio del secondo; le
prestazioni meno significative furono prodotte del primo gruppo.
Il Dr. Charles Garfield, un ricercatore della Nasa che esaminò i
risultati, disse: “Durante la visualizzazione, questi atleti crearono
un’immagine mentale di ogni preciso movimento che avrebbero
compiuto, rivivendolo con gli occhi della mente numerose volte, fino a
creare un’abitudine motoria che generò, nella loro materia grigia, una
serie di neuroassociazioni che in seguito facilitarono moltissimo l’atto
sportivo, compiuto dal vivo”.
Così come le affermazioni, anche le visualizzazioni vanno
effettuate al tempo presente. Ciò significa che occorre vivere, con
l’occhio della mente, la scena esatta come accadrebbe in realtà,
nell’attimo presente. Diversamente, visualizzando la stessa scena
come si verificherà in futuro, si andrebbe ad investire sul desiderio,
ottenendo un risultato non parimenti efficace.

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Questa tecnica è ben nota alle persone che sono avvezze ad


effettuare sedute di meditazione. Chi dovesse avere difficoltà nel
visualizzare una certa scena, può ricorrere all’espediente dello
streaming.
In pratica si tratta di effettuare una descrizione verbale della
scena che si sta immaginando, nella maniera più dettagliata possibile.
Descrivendo l’immagine in dettaglio, si aiuta la visualizzazione stessa,
e le immagini si fanno via via più vivide e più durature.
Come detto, è importante “incorporare” quanti più sensi possibili
in questa esperienza mentale, inclusi contenuti emotivi che ricalchino
le sensazioni che si proverebbero laddove l’esperienza fosse reale.
La cosa migliore, durante la visualizzazione, è vivere le
emozioni che si proverebbero qualora l’esperienza fosse
completamente vera.
Apparentemente può sembrare complesso, di fatto si tratta di
emulare l’attività che esercita ogni attore. Infatti, chi svolge questa
professione, recita un copione, immedesimandosi talmente nella
parte, da ricalcarne comportamenti ed emozioni.
Ancoraggi:
Ti sarà certamente capitato (magari più di una volta) di
ascoltare una canzone, e di tornare indietro nel tempo, rivivendo con
dovizia di dettagli situazioni passate. In pratica, la canzone ha avuto il
ruolo di causa scatenante, per farti riprovare determinate emozioni.

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Oppure può trattarsi di un profumo, un piatto particolare, un


luogo.
Tutti questi elementi (la musica, il profumo, il luogo, il piatto)
vengono definiti ancore, proprio perchè hanno ancorato ad uno
stimolo (uditivo, olfattivo, visivo, cinestesico) determinate emozioni. In
pratica, appena si percepisce lo stimolo, automaticamente vengono
nuovamente richiamate le sensazioni che, in origine, e in quel
preciso istante, si sono provate.
Per esempio, immaginiamo che una persona abbia trovato
l’anima gemella una sera, mentre si trovava in una discoteca. Nel
momento in cui avvenne la dichiarazione stava suonando “I feel love”
di Donna Summers.
A seguito di ciò, è probabile che questa persona, ogni volta che
riascolti questo pezzo, riviva quasi integralmente tutte le emozioni
provate quella sera.
Perchè l’ancora funzioni bene, deve essere installata
rispettando alcuni presupposti:
• Lo stimolo (in questo caso la canzone) deve essere
univoco
• Lo stimolo deve agire nel momento esatto in cui la
persona si trova a vivere il picco emotivo (l’emozione
alla sua massima intensità)
• Lo stimolo deve essere ripetuto molte volte, per installare
l’ancora in profondità.

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Nel corso dell’attività di vendita ci sono incontri più importanti di


altri (la visita al cliente più grande, un incontro di valutazione con il
proprio capo, un colloquio di assunzione). Sarebbe bello, in questi
casi, affrontare l’incontro nelle migliori condizioni possibili, per
massimizzarne i risultati.
Per ottenere ciò, è sufficiente ancorare a un dato stimolo (un
gesto, una parola) il miglior stato psicofisico mai vissuto. Il lancio
dell’ancora consentirà di accedere istantaneamente a tale stato,
facilitando il raggiungimento del successo.
Poniamo che tu voglia ancorare una sensazione di grande fiducia
nelle tue competenze di vendita, di abilità nell’affrontare qualunque
situazione con grande professionalità e ottenendo pieno successo.
Il protocollo è il seguente:
1. Siedi su una seggiola comoda, rilassati per qualche istante,
regolarizza la respirazione;
2. Richiama alla mente una volta che ti sei sentito pieno di
energia e di grande successo, perfettamente adeguato, e
colmo di fiducia nelle tue capacità;
3. Richiama alla mente come ti sentivi, che emozioni hai
provato, che postura avevi, come respiravi;
4. Rinforza le emozioni che provavi, falle crescere più che puoi;
5. Ora che avverti che sono cresciute, raddoppiale di intensità,
poi raddoppiale ancora (sentiti libero di saltare, piroettare,
urlare, se ciò ti aiuta a far crescere ancora il loro livello);

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6. Quando l’emozione è giunta al suo culmine, lancia l’ancora.


Può essere una canzone, un gesto, una parola, un
movimento (ovviamente se è qualcosa che puoi riprodurre
facilmente in qualsiasi circostanza, è meglio). Per esempio,
puoi decidere di stringere con forza il pugno sinistro.
7. Dopo un paio di secondi, rilassati, respira profondamente, e
ripeti il protocollo per 5-10 volte (il pugno va stretto, ogni
volta, sempre con la stessa identica forza).
8. Alla fine, se l’ancora è stata installata correttamente, ti
basterà stringere il pugno sinistro per accedere allo stato
mentale che hai ancorato.
Nel momento in cui dovrai affrontare un cliente particolarmente
difficile, basterà lanciare l’ancora e, istantaneamente, ti doterai del
massimo potenziale possibile per concludere al meglio!

Per approfondire gli argomenti di questo e-book, potresti leggere il


mio ultimo libro sulla vendita, dal titolo “Xtreme Sales Power – Libera
la tua potenza di vendita”. Delinea un percorso di crescita e
sviluppo professionale, adatto a qualsiasi venditore (junior o senior)
del quale “Tecniche di vendita inconsce” rappresenta una parte. Lo
trovi nelle migliori librerie tradizionali, in quelle sul web (tra le quali Ibs,
Libreria Universitaria, InMondadori, Deastore, Amazon ...) e puoi
anche scaricarlo, in formato e-pub, utilizzando l’app gratuita “New life,
book” disponibile nell’appStore di Apple.

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Conclusioni
Il potenziale che è racchiuso in ogni individuo è molto più elevato
di quanto, solitamente, non si pensi. I limiti di ciò che le persone sono
in grado di ottenere sono posizionati molto al di là di ciò che
normalmente si creda.
Spesso, determinate mete non vengono raggiunte soltanto perchè,
nell’inconscio lavorano incessantemente una o più convinzioni
autosabotanti, che limitano drasticamente i risultati ottenuti.
Questo è valido anche per la professione della vendita, nella quale
convinzioni, autostima e linguaggio del corpo sono, quasi sempre,
determinanti per raggiungere l’eccellenza.
Attraverso la consapevolezza prima e l’azione successivamente,
ogni persona è in grado di rimuovere i blocchi che le impediscono di
volare alto come merita.
Le tecniche presentate in questo testo, che derivano dalle più
recenti ricerche per quanto riguarda il funzionamento della mente
possono, se utilizzate con costanza e determinazione, agevolare il
raggiungimento nel tempo di qualsiasi traguardo di vendita, anche il
più ambizioso.

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Sommario

Premessa pag. 2
L’attività dell’inconscio pag. 5
Come lavora la mente pag. 14
L’intelligenza emozionale pag. 26
Le credenze pag. 38
L’autostima pag. 65
Come tutto ciò si manifesta pag. 92
La riprogrammazione è possibile pag. 112
Conclusioni pag. 140

“Tecniche di vendita inconsce” by Gianluigi Olivari is licensed under a Creative


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