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ORGANIZZAZIONE

DEL SISTEMA MODA


La supply chain della moda. Strumenti per la gestione globale dell’impresa: dallo sviluppo del
prodotto al negozio (V. Bini)

Introduzione
Complessità e velocità
Il tessile abbigliamento deve ideare, industrializzare, vendere, produrre e consegnare un prodotto, la
dinamica però è particolare perché il suo ciclo di vita è limitato a pochi mesi, se non a settimane. Un
marchio di moda inoltre può avere in vendita nello stesso momento centinaia di articoli. Non c’è moda
senza velocità nel capire il mercato, nel creare, nel produrre e distribuire. La velocità nel capire il
mercato è patrimonio degli stilisti, delle donne e degli uomini di marketing e degli imprenditori; la
rapidità nel creare, produrre e distribuire è competenza delle supply chain, delle operation e della
logistica. Essere veloci significa dare a un mercato mutevole ciò che vuole nel momento in cui lo vuole.
Il termine “moda” indica poi categorie molto diverse: significa breve durata, emozione transitoria,
ricerca di novità e di immagine, abiti dalle fogge particolari e colori di tendenza. “Abbigliamento”
invece è tradizione e durata, il capo classico sempre attuale. Si tratta di articoli della stessa categoria
merceologica, ma che seguono logiche completamente diverse: più veloci e rischiose le prime, più lente
e sicure le seconde. Anche il tipo di cliente a cui si rivolgono è diverso, come diverse sono esigenze e
situazioni d’uso: chi acquista un capo alla moda lo fa nella consapevolezza che smetterà di usarlo in
tempi brevi, chi sceglie invece un capo d’abbigliamento lo fa per dotarsi di un prodotto non
emozionale ma necessario, per il lungo periodo. Nel primo caso è fondamentale il contenuto
emozionale del prodotto, mentre nel secondo lo sono l’aspetto tecnico e il rapporto qualità/prezzo.

Outsourcing
Un altro aspetto che distingue il settore moda è il notevole cambiamento produttivo che ha subito
negli ultimi vent’anni, passando dalla struttura a fabbriche integrate all’outsourcing quasi totale. La
maggior parte delle aziende commissiona i capi finiti a enti esterni che si occupano di tutta la catena
produttiva. Spesso il processo avviene anche nel paese d’origine dell’azienda ideatrice del prodotto,
presso laboratori locali: il fenomeno, spinto dalla volontà di ridurre i costi, non comporta
necessariamente una dislocazione in paesi lontani e non si traduce a prescindere in una riduzione di
qualità. L’outsourcing in paesi del Far East è necessario a volte per evitare i dazi di ingresso che
renderebbero troppo cara l’esportazione dei prodotti. Fino agli anni ’80 i grandi attori del sistema
moda erano Europa e Stati Uniti, entrambi, anche se in diversa misura, produttori e mercati di sbocco
finali; a questo duopolio si aggiunse il Giappone come mercato cliente, non ancora come
ideatore/produttore, mentre il resto del mondo praticamente non esisteva. Oggi il baricentro si è
spostato radicalmente a Est, e il Far East è diventata area di grande produzione e inizia ad assumere
anche una certa rilevanza in quanto a mercato di sbocco. L’india diventerà sicuramente uno dei player
più importanti del futuro, e tutto ciò non può che avere conseguenze sull’assetto produttivo e
distributivo delle aziende occidentali.

Distribuzione
Anche la distribuzione è molto cambiata: anni fa la vendita avveniva attraverso boutique private
multimarca e department stores, che continuano ad esistere, mentre adesso si sono affermati negozi
monomarca e e-commerce. Quest’ultimo sta crescendo prepotentemente, così la vendita sul web ha
richiesto un forte miglioramento delle operation e la certezza di poter contare su una catena
produttiva molto più veloce e affidabile, in quanto i tempi di consegna diventano un fattore
competitivo decisivo. Le esigenze del mercato odierno si traducono progressivamente in metodi di
gestione.

Operation, logistica, supply chain
• Logistica: attività che segue lo stoccaggio, la movimentazione e la distribuzione delle merci, che
siano esse materie prime, semilavorati o prodotti finiti;
• Operation: fasi di lavoro necessarie per la creazione di un prodotto/servizio, ovvero
l’industrializzazione, gli acquisti di materie prime e la produzione;
• Supply chain: attività di pianificazione, coordinamento e controllo di ogni fase del ciclo di vita
di un prodotto. Le operation e la logistica sono quindi sottocategorie della supply chain.
Nella moda sono finiti i tempi in cui il cliente cercava il prodotto: ora è quest’ultimo che deve
accaparrarsi i clienti. Il perfezionamento della supply chain ha permesso miglioramenti in termini di
efficienza interna, consistenti riduzioni di costi e perfino veri successi commerciali. Il mercato di oggi
si impone di lavorare su quantità più ridotte e frazionate, ma per farlo in maniera efficiente ed
economico è necessaria una forte attenzione alla supply chain. La qualità è un altro aspetto
fondamentale in molti campi, risultato di procedure e sistemi di operation chiari e definiti. Inoltre, fino
a vent’anni fa non si parlava di globalizzazione, le aziende trainanti godevano di una sorta di
“supremazia territoriale” nei paesi in cui erano insediate e la concorrenza internazionale aveva
difficoltà a “invadere” territori altrui. Ogni azienda oggi deve misurarsi con le performance dei
concorrenti stranieri. Una supply chain è un ordine logico, prima mentale poi fisico, all’interno
dell’azienda, e creare ordine non è facile quando sono i mercati ad essere “disordinati” e la domanda è
imprevedibile. In questi casi, velocità e flessibilità produttiva possono essere gli strumenti per
ottenere ottimi risultati.

Prodotto, mercati e supply chain
• Servizio: capacità di fornire il prodotto giusto nei tempi e modi adeguati;
• Comunicazione: quella più formale e tradizionale che avviene attraverso i media;
• Distribuzione: capillarità, ossia la diffusione dei punti vendita;
L’Ovest e l’Est oggi rappresentano grandi blocchi di consumatori con culture e situazioni diverse, i
mercati alti richiedono sia prodotti tecnicamente ed esteticamente perfetti che un ottimo servizio, i
mercati economici privilegiano il prezzo, la facilità di reperimento, la durata e sono sensibili alla
comunicazione e al marchio, perciò sono disposti a sacrificare specificità tecniche innovative. L’uomo
ama il prodotto tecnicamente notevole e duraturo ed è poso sensibile alla comunicazione, la donna
invece privilegia il look, la vestibilità, è sensibile al marchio e alla comunicazione, il prezzo per lei
conta ed è disposta a spendere tempo per cercare il prodotto giusto. Le valenze universalmente più
importanti risultano quindi il look, il prezzo e la distribuzione. La base di ogni supply chain è
provvedere a un accurato studio e definizione del progetto e del processo produttivo di ogni prodotto.
La qualità e la quantità delle consegne derivano direttamente dall’efficienza e dalla velocità della
supply chain, quindi essa è connessa in modo diretto anche al servizio e alla distribuzione. Sul prezzo
infine la supply chain influisce altrettanto profondamente, perché gestisce ogni aspetto produttivo, i
cui costi sono la componente più sensibile del prezzo. La supply chain è evidentemente determinante
per tutte le caratteristiche che determinano a loro volta il successo di un prodotto.

Il futuro
Molti credono che il futuro della moda e dell’abbigliamento sarà in Oriente: già esistono in queste zone
realtà notevoli, ma dalle culture profondamente diverse, caratterizzate da grande capacità produttiva,
pragmatismo e nazionalismo negli affari. Solo un brand forte e seduttivo potrà orientare diversamente
le scelte dei consumatori in questi paesi: la moda e l’abbigliamento prosperano, infatti, quando le
società sono attraversate da desideri edonistici e quando l’apparire condiziona l’essere. Altro aspetto
interessante è la vendita sul web: esso è un mezzo che sta dando ottimi risultati, ma non è né un
prodotto né un mercato. Il mercato del futuro sarà positivo nei confronti di chi saprà comprendere
ogni variazione emotiva che possa giustificare la produzione industriale di un capo, saprà tradurre in
abbigliamento specifico (ovvero dedicato a target precisi sui quali si investono risorse e attenzione) le
istanze, saprà produrre velocemente (produzione, rischio, riassortimento rapido) e distribuire
capillarmente (distribuzione precisa ed estesa a seconda del pubblico di riferimento). Le supply chain
possono fare molto per queste tre esigenze: la velocità è per definizione uno dei cardini delle supply
chain, e la capillarità può essere ottenuta solo con un’adeguata capacità logistica, flessibile alle
esigenze del contesto.

Parte prima: distinzioni preliminari
1 L’abbigliamento e la moda
All’interno del concetto di abbigliamento troviamo categorie molto diverse per funzione d’uso,
clientela e motivazioni di acquisto. Tutte queste categorie di abbigliamento possono essere
interpretate secondo moda: gli aspetti più importanti di essa in termini di gestione aziendale sono:
• Assoluta priorità del contenuto estetico ed emozionale del prodotto: lo stile è fondamentale e ad
esso si deve adeguare il resto della catena operativa aziendale. Le fortune delle imprese di
questo settore sono in mano allo stile e alla capacità di centrare il prodotto giusto nella
stagione giusta. Il compito delle operation è quello di agevolare lo stile e rendere producibili
industrialmente le sue creazioni;
• Transitorietà: il prodotto di moda dura poco e viene rinnovato in continuazione. Le aziende
devono essere strutturate in modo da poter rinnovare costantemente le attività connesse alla
genesi e alla gestione di prodotti diversi. Velocità e flessibilità non sono più semplici obiettivi,
ma necessità giornaliere concrete e costose;
• Rischio: la moda è imprevedibile, perciò le aziende che fanno moda devono avere una solidità
economica che possa sopportare forti perdite. L’imprevedibilità riguarda i volumi di vendita, e
un’azienda deve essere in grado di variare la propria capacità produttiva in brevissimo tempo;
Velocità, flessiilità, reattività richiedono organizzazioni e persone particolari, distinguibili in strutture
aziendali, macchine e attrezzi, dipendenti, dirigenti, proprietà.

Il continuativo
Una distinzione interna all’ambito dell’abbigliamento deve essere fatta tra moda e continuativo. La
moda ha le caratteristiche appena affrontate, e il continuativo ne ha altre completamente diverse,
soprattutto in relazione alle operation. Il continuativo è un prodotto che è continuamente in vendita,
fino a quando la domanda non si esaurisce. Classico e continuativo sono oggi quasi sinonimi, e
continuativo non è solo un abito ma anche un colore, o un tessuto, e il concetto non esiste solo
nell’abbigliamento. Dato che nell’arco di pochi mesi un successo di vendita può ridursi a zero, la
gestione dei prodotti continuativi dà facilitazioni alle operation: la produzione può avvenire per il
magazzino, ciò significa che non si produce su dati di vendita effettivi ma per fare scorta di prodotto
finito e averlo disponibile quando il mercato ne farà richiesta. La produzione non è direttamente legata
alla vendita, ma si basa sugli andamenti medi del capo in passato per decidere i volumi da realizzare e
versare. Un prodotto continuativo è stato già venduto in passato, quindi se ne conoscono le vendite
trascorse, mentre un prodotto stagionale non esisteva in precedenza, perciò non c’è un venduto
storico da usare per decidere quanto fabbricarne. L’elaborazione e l’analisi dei dati di vendita è
materia complessa, ma se confrontiamo l’articolo continuativo con quello stagionale, la facilità
gestionale del primo è evidente: gli eventuali surplus possono essere conservati in magazzino e
rimessi in vendita, mentre le scorte del prodotto stagionale devono essere le minori possibile perché la
sua vendita si esaurisce nel breve periodo. Altro vantaggio del prodotto continuativo è che esso
talvolta è venduto più dello stagionale, questo probabilmente perché i prodotti sono conosciuti,
oppure perché essi rappresentano i capi classici e istituzionali per cui l’azienda produttrice è più
apprezzata. Un’azienda potrebbe suddividere la propria proposta commerciale in diverse linee di
vendita, formate da articoli continuativi, collezioni stagionali e flash/pre-collezioni.

2 Il programmato
Col termine “programmato” si intendono i capi il cui flusso segue il processo creazione-presentazione-
vendita ai distributori-produzione-consegna ai distributori. Quando si parla di collezioni, ci si riferisce
a questo modello produttivo, le cui caratteristiche sono: produzione sul venduto e time-to-market
(tempo che intercorre tra creazione e consegna) elevato.

I tempi del programmato
Il programmato ha tempi lunghi, l’intero ciclo dallo studio della collezione fino alla sua consegna fino
alla sua consegna si svolge in circa un anno. Produrre dopo aver acquisito gli ordini dal mercato
allunga i tempi, ma è giustificato per marchi di alto livello i cui articoli sono raffinati e costosi. Le
aziende del programmato svolgono uno studio creativo importante su collezioni di dimensioni
considerevoli, e i tempi del programmato possono essere:
• Tempo di gestazione di una collezione programmata: alcuni mesi per capire trend, sviluppare
proposte originali e provare le creazioni;
• Tempo di approvvigionamento dei materiali del programmato: settimane/mesi, in quanto si
utilizzano materiali e lavorazioni particolari;
• Tempo di produzione programmato: settimane, poiché la qualità produttiva è importante, e la
stagionalità della moda fa sì che le unità produttive siano oberate di lavoro in certi periodi, per
cui si creano attese che allungano ulteriormente i tempi;

La continuità di produzione
Le produzioni possono assicurare qualità quando sono dotate di know-how tecnico, ma tale
patrimonio si sviluppa solo in presenza di continuità: solo le aziende che hanno la possibilità di
ripetere i processi facendo pratica e correggendo gli errori sono in grado di assicurare conoscenza
tecnica. Teoricamente sarebbe possibile ridurre i tempi del programmato ampliando la capacità
produttiva a un livello tale da produrre tutto il necessario in poco tempo e a ridosso delle consegne,
questo però non è accettabile perché significherebbe avere risorse ferme e inutilizzate per mesi ogni
anno. Si rende necessario estendere il periodo produttivo al massimo possibile per contenere i costi
industriali. Si ritiene erroneamente che l’outsourcing permetta di risolvere questo problema, ma chi fa
outsourcing è comunque un’organizzazione industriale la cui unica differenza consiste nell’essere
esterna all’azienda. Per risolvere il problema del necessario livellamento di produzione le vie sono
sostanzialmente quattro, anche se nessuna pienamente risolutiva:
• Anticipare la produzione senza attendere i dati finali di vendita;
• Posticipare le produzioni destinate ai clienti con consegne più tarde;
• Ricorrere alla flessibilità del personale tramite ferie e dismissione dei collaboratori stagionali
nelle fasi di bassa attività;
• Creazione di flash e pre-collezioni al cui confezione avvenga nei periodi di minor carico;

Le fasi di lavoro
Nel programmato il ciclo del prodotto è diviso in azioni dalle scadenze e durate precise: presentazione
della collezione, vendita, acquisto dei materiali, produzione e consegna. Le informazioni necessarie per
realizzare una programmazione efficacie sono: tempi di approvvigionamento dei materiali utilizzati,
tempi di produzione e modalità produttive dei capi finiti, capacità produttiva disponibile, dati del
venduto man mano che il cliente ordina, e date di consegna al cliente. Per ovvie ragioni climatiche la
moda è vincolata a fasi di lavoro legate alle stagioni, le durate valgono quindi come indicazione
massima al variare del tipo di collezione, del paese, della situazione aziendale ecc… e possono essere
diverse. Ciò è dovuto sia alle necessità operative della fase, sia perché nella tabella ogni fase
comprende il timing di diverse tipologie di prodotto che hanno scadenze diverse.

Creazione della collezione
È il periodo in cui gli stilisti impostano la nuova collezione in termini di quantità e tipologia di modelli
da inserire, scelgono i materiali, disegnano i capi, creano accoppiamenti di tessuti e accessori, si
decidono colori, varianti e taglie. La scelta dei materiali, dei colori e dei modelli non può essere troppo
anticipata perché le tendenze stagionali si manifestano o si elaborano solo pochi mesi prima della
stagione relativa.

Presentazione
Presentazione e vendita sono circa coincidenti, in quanto la prima avvia la seconda. Le presentazioni
hanno date piuttosto rigide che coincidono con le maggiori fiere specializzate ed eventi legati alla
moda. Le aziende organizzano eventi in showroom in cui la collezione è esibita ai buyer, ai negozi
cliente, agli agenti di vendita, ai giornalisti e altri interessati. È l’occasione per avere uno spunto
iniziale sul gradimento del prodotto da parte degli addetti al settore. La presentazione è breve e
veloce, avviene in un unico giorno oppure è limitata ai giorni fieristici, e gli addetti devono spesso
spostarsi da un evento all’altro in tempi rapidissimi.

Vendite ai negozi
Le vendite del programmato hanno tempi lunghi, da un minimo di un mese fino anche a tre mesi.
Questo tempo è dedicato alle vendite wholesale, cioè a una clientela privata che acquista il prodotto.
Non si può obbligarla a fare l’ordine al più presto, è necessario perciò concederle del tempo. Diverso il
caso degli ordini del retail: l’azienda può organizzare la raccolta degli ordini in tempi molto brevi, e ciò
è importante per avviare al più presto il processo di produzione. Gli ordini retail occupano solitamente
la prima casella della fase “vendite”.

Acquisti di materie prime e produzione
Una collezione composta da pochi articoli e pochi materiali piò richiedere tempi produttivi molto
ridotti, mentre le collezioni di maggior contenuto stilistico e qualitativo usano materie prime e
lavorazioni sofisticate, spesso patrimonio di pochi fornitori molto richiesti e con una capacità
produttiva limitata. Ciò porta a tempi di attesa consistenti che allungano il processo. Il time-to-market
(tempo tra ideazione del prodotto e consegna dello stesso) è uno dei punti su cui c’è maggior interesse
ed evoluzione, in quanto il mercato no accetta più attese lunghe. La riduzione del time-to-market è
diventata un’esigenza sensibile e un fattore di successo.

Consegne dall’azienda ai negozi
Questa fase si sviluppa nell’arco di mesi per più ragioni, le principali sono dovute ad aree geografiche
diverse con climi e usi commerciali differenti che per questo richiedono consegne in momenti
differenti, al fatto che i negozi desiderino essere forniti con articoli consoni alle temperature del
momento, al fatto che l’emisfero meridionale della Terra abbia le stagioni opposte alle nostre, e per
questo le collezioni vengono normalmente distribuite prima al nord poi al sud del mondo, infine i
negozi stagionali in località turistiche hanno periodi di apertura limitati, quindi le consegne possono
essere anche molto diverse in termini di tempistica.

Vendite dei negozi al cliente finale
I periodi di vendita sono anch’essi stagionali, vanno da febbraio-marzo fino a luglio agosto per la P/E e
da fine giugno-luglio fino a gennaio per la A/I. le vendite terminano con i saldi, che portano alti volumi
d’affari ma spesso riducono fortemente i margini di guadagno dei dettaglianti. Oggi per variare la
proposta quasi tutte le aziende introducono lotti di prodotto nuovo durante tutte le stagioni. Si
possono identificare tre sistemi diversi di offerta di prodotto: programmato standard (prevede due
collezioni), programmato più “attuale”, che riduce i volumi delle collezioni a favore di flash e pre-
collezioni, infine il modello “Zara”, che sostituisce le collezioni con un’offerta continua.

3 Il fast fashion o pronto moda
Caratteristiche del settore
Il pronto moda prima produce i capi e poi li vende, mentre il programmato prima presenta la
collezione, poi vende e in base alle vendite produce e consegna i capi. Fra i due modelli si nota
un’inversione tra vendite e fabbricazione. Tranne casi particolari, come i colossi del settore, da sempre
la struttura del pronto moda è frammentata in tante piccole aziende concentrate in distretti: si tratta
di aziende locali sia per le risorse produttive utilizzate, sia per la distribuzione e i mercati di vendita. Il
programmato è un processo che nasce prima della stagione in cui sarà in negozio, mentre il pronto
moda nasce durante la stagione di vendita, attraverso un processo creativo e produttivo velocissimo, e
su rose di articoli ridotti. Il pronto permette totale immediatezza tra acquisto e vendita. La
motivazione di questo dell’anticipo del programmato è dovuta al tempo richiesto dalla maggior cura e
ricerca stilistica impiegata in questo modello. È opinione diffusa che il pronto sia veloce perché copia il
programmato, pur non essendo sempre vero, è oggettivo dire che la copia dei modelli più riusciti sia
una delle sue ragioni di esistere. I prontisti capiscono i fenomeni, copiano e riproducono i capi di
maggior successo poi li offrono ai negozianti che in questo modo non restano mai sforniti e non
perdono vendite. Il pronto si avvantaggia dell’incapacità di alcune aziende del programmato nel
comprendere i gusti del momento e nel riassortire velocemente i punti vendita. In generale, la velocità
del pronto è determinata dall’uso di materiali standard, lavorazioni semplici ed essenziali, perciò
eseguibili da un numero alto di produttori, e dal livello di qualità e di prezzo che non richiede grandi
cautele e controlli nella produzione. Il servizio offerto dal pronto moda sarebbe inutile se le aziende di
programmato potessero riassortire la loro clientela in tempi brevissimi e su un vasto raggio di modelli:
questo però, per le ragioni che conosciamo, è pressoché impossibile. Il pronto è caratterizzato da un
processo più breve e concentrato nei tempi rispetto al programmato, l’unica coincidenza tra i due è
l’essere in vendita negli stessi periodi. Da un punto di vista qualitativo il livello dei capi del pronto non
è quasi mai elevato in quanto la qualità non è un requisito fondamentale, lo è piuttosto l’aderenza alla
stagionalità e alle tendenze stilistiche del momento, il pronto deve avere tempi di esecuzione
brevissimi, perciò incompatibili con la ricerca di materiali raffinati: la rapidità è ottenibile solo
attraverso l’uso di fattori di produzione molto standard. Il prontista poi non può permettersi prezzi
elevati perché non ha un brand, vende un capo non esclusivo e molto imitato, infine egli ha alle spalle
una struttura industriale spesso limitata. Tutto questo è stato in parte rivoluzionato dall’avvento di
Zara e H&M che sono riusciti a fare pronto moda in modo industriale e su scala mondiale, sono i più
conosciuto ma non certo gli unici. La base concettuale di entrambe risiede nella prolificità della
proposta, sono plasmate per ideare capi in continuazione durante tutto l’anno e produrli velocemente.
Zara è un’azienda vasta e integrata verticalmente, per questo è un’organizzazione solida e monolitica,
H&M invece si affida più a collaborazioni esterne e contractors privati, è più snella rispetto alla
concorrente spagnola. La distribuzione avviene attraverso una vasta rete di negozi monomarca di
proprietà: quelli di Zara sono meno numerosi ma più grandi, e il vantaggio della proprietà consiste
nella possibilità di ottenere feedback immediati sulle reazioni del mercato ai propri prodotti. Le
informazioni sulle vendite infatti sono la linfa vitale di queste aziende. Molta attenzione è posta da
entrambe alla ricerca delle tendenze: non lavorano sul venduto, perciò devono saper prevedere cosa e
quanto produrre in totale assenza di dati certi. Zara ha un’organizzazione stilistica interna, mentre
H&M si basa su un vasto numero di professionisti indipendenti. Entrambe le aziende distinguono
basico e moda, Zara sfrutta e governa strutture proprie, mentre H&M si affida a un gran numero di
fornitori e produttori esterni, attribuendo il lavoro di volta in volta a chi è libero al momento. La
velocità e la flessibilità si ottengono usando la capacità produttiva sotto la sua potenzialità
massima. Diverse aziende di programmato stanno iniziando a comportarsi come prontisti, mentre
questi ultimi cercano di spostarsi sul programmato, inserendo collezioni vere e proprie. Chi fa
programmato si è reso conto che è il mondo è cambiato e che il mercato esige prodotti nuovi più di due
volte l’anno. Il prontista invece, legato a un prodotto veloce ed economico, deve mantenere un prezzo
poco elevato e pertanto poco elevati saranno anche i suoi margini. Chi fa pronto inoltre si deve
adeguare a ciò che già esiste sul mercato, è perciò poco propositivo e non può sviluppare un brand
vero con caratteristiche di stile e di ricerca individuali. Zara e H&M, infatti, hanno guadagnato la fama
di cui godono non sulla base di stile e qualità dei prodotti, bensì grazie a una vasta e organizzata
distribuzione monomarca.

Parte seconda: Struttura generale di un’azienda di abbigliamento
Lo schema di base delle funzioni e attività che si svolgono in un’azienda di abbigliamento sono:
1. Stile
2. Sviluppo prodotto
3. Vendite
4. Acquisti
5. Produzione
6. Logistica
7. Customer service (attivo già a partire dalla fase di vendita)
8. Wholesale/Retail
9. Outlets
Lo stile creai il prodotto, poi questo viene industrializzato, ovvero definito in ogni sua caratteristica.
Sulla base di queste informazioni viene creata la distinta base. Quando il prodotto è definito
esattamente vengono calcolati i prezzi e creati i campionari, il passaggio successivo sono le vendite
effettive per il wholesale e ordini interni per il retail. Il primo consiste in un canale di
distribuzione/vendite formato da negozi indipendenti come boutique o department stores, non vi è
nessuna dipendenza o comproprietà tra azienda fornitrice e negozio e il rapporto è esclusivamente di
compravendita; il secondo invece è un canale di distribuzione/vendita formato da negozi
prevalentemente monomarca e di proprietà dell’azienda, non si tratta di una vera e propria
transazione economica, quanto piuttosto di una distribuzione del prodotto in punti vendita propri. Il
franchising, invece, consiste in una formula mista tra le precedenti ed è data dai negozi dove il
franchisee (negozio) può acquistare totalmente o in parte, oppure gestire in conto vendita i capi del
franchisor (azienda madre). I tipi di contratto sono vari e prevedono diverse forme di suddivisione dei
costi. In base alle vendite vengono avviati gli acquisti, l’arrivo dei materiali attiva la produzione, la
quale consegna il proprio lavoro alla logistica, da cui il customer service attinge i capi per spedirli al
cliente. Questo servizio opera su più punti del flusso: prende in carico gli ordini dei clienti, partecipa
alle vendite effettive assistendo la rete commerciale e spedisce gli ordini a clienti wholesale e retail.
Molte aziende hanno outlet per smaltire l’invenduto, in quanto una certa rimanenza è sempre
presente. Il prodotto continuativo può essere rimesso in vendita nella stagione successiva, mentre il
prodotto moda stagionale deve essere smaltito a prezzi ribassati. Oggi gli outlet costituiscono dei veri
e propri negozi in cui spesso è messa in vendita una gamma completa di prodotti dedicati, e non solo
l’invenduto.

4 Lo stile
Caratteristiche e specificità dell’attività stilistica
Lo stile è l’anima della moda, è il primo anello della catena: tutto inizia da qui, e da questo dipendono
molti aspetti dell’attività aziendale, come successo commerciale (uno stile innovativo e coerente alle
tendenze è fondamentale per le aziende di moda), costi, prezzo e redditività (dalla scelta dei materiali
alle lavorazioni dipendono i costi di produzione e i prezzi finali dei capi), qualità (dipende dalla scelta
di materiali e fornitori), timing delle attività (ogni ritardo dello stile si ripercuote su vendite e avvio
della produzione), successo a lungo termine del brand in termini di coerenza nel tempo. Nella moda le
aziende del settore investono anche più del 10% dei costi, perciò la moda italiana può dirsi in linea con
gli investimenti necessari per competere con successo. Esistono tanti stili quanti sono i mercati di
riferimento e in base a questi può variare la componente essenziale che deve prevalere.

Stile e operation
Tra stile e operation confronto e collaborazione non sono sempre facili: lo stile inventa, le operation
realizzano, e spesso il primo vede le obiezioni tecniche delle seconde come ostacoli alla creatività,
mentre le seconde considerano spesso il primo come fonte di difficili problemi tecnici da risolvere.
Poche aziende oggi possono permettersi prezzi proibitivi, lunghi tempi di consegna o scarsa praticità
del prodotto solo perché stilisticamente avanzato. Si è assistito a un processo di transizione da fonte di
soddisfazione a commodity: questa tendenza è sensibile nei mercati occidentali, mentre l’Oriente è
ancora molto permeabile ai caratteri simbolici ed emozionali di brand e stile. Sicuro è, comunque, che
questa spinta emotiva duri meno rispetto al passato.

Il processo di creazione stilistica
Le fasi dell’attività stilistica sono:
1. Studio delle tendenze di mercato e creatività nel rispetto dei canoni stilistici del marchio;
2. Definizione della struttura della collezione
3. Scelta dei materiali, disegno dei modelli e prototipia;
4. Scelta finale e fabbricazione campionari;

Studio delle tendenze di mercato e creatività
Esistono canali diretti e indiretti per capire come si muoverà il mercato, uno dei primi è la
consultazione dei fornitori di materiali e tessuti: loro si attivano mesi in anticipo rispetto alle
collezioni che li useranno, sono quindi in grado di identificare molto prima cosa il mercato dei
confezionisti stia scegliendo, che stili, materiali, colori. Le fiere specializzate di fornitori sono uno dei
principali momenti di definizione delle tendenze della stagione a venire. Il design è lasciato invece
all’inventiva dello stilista e alla verifica del venduto di maggiore successo nel passato. Questi modelli
vengono spesso replicati con modifiche: ogni collezione ha una base di novità, ma viene accompagnata
dalla ripetizione di modelli di successo già sperimentati. Le creazioni che si vedono durante le sfilate e
riprese dai media spesso sono create appositamente per richiamare attenzione, mentre il vero
business si basa sulla vendita di articoli più normali e quotidiani. Ogni brand ha la propria personalità
e un suo modo di intendere lo stesso prodotto.

Definire la struttura della collezione
Una collezione dovrebbe avere un tema di base che leghi i modelli presentati e ne faccia una proposta
dal carattere unitario. Non si può definire il numero di articoli che un’azienda deve presentare, ogni
realtà ha la propria storia ed è fine a se stessa, in linea di massima si può comunque affermare che
molte collezioni oggi risultano ridotte rispetto al passato sia per limitare i costi, sia per soddisfare i
buyer che non amano esaminare campionari eccessivamente vasti. Anche la struttura della collezione
dipende dall’azienda che la produce, e da ognuna ci si attendono alcuni capi base. Oltre a questi capi
fondamentali, il tipo di articoli da presentare può essere individuato con l’esame delle vendite storiche
dell’azienda: i modelli che hanno riscosso maggior successo vengono reinventati e riproposti. Molte
aziende dispongono di un archivio storico dove vengono conservati esemplari delle collezioni passate
e percentuali di venduto, la cui consultazione può aiutare nella definizione delle nuove collezioni.
Ovviamente ogni collezione deve includere tanti articoli completamente nuovi, sui quali gioca la
concezione personale e l’inventiva dello stilista. Da lui ci si aspetta che resti nei canoni di base
dell’azienda e che sia in grado di creare novità nel rispetto dello stile di fondo del marchio. Può
accadere a volte che si voglia modificare radicalmente il contenuto stilistico, questa è una scelta spesso
opportuna, ma comunque difficile e rischiosa. Deve poi essere definito il numero di articoli da
presentare, i materiali e ogni nota e informazione di supporto. Queste informazioni vengono raccolte
in tabelle, e sono la bussola dell’impostazione dello stile. Si definiscono in questa fase anche i
coordinati, ovvero gruppi di articoli che hanno caratteristiche di stile o materiali simili.

Scelta dei materiali, disegno dei modelli e prototipia
L’ufficio stile disegna i modelli, sceglie i materiali e li associa, studiando le migliori combinazioni.
Successivamente vengono decise anche le altre componenti accessorie che completano il capo. A
questo punto si realizzano i prototipi che verranno provati per trovare misure e proporzioni ideali. La
prototipia è una delle fasi più delicate per il suo costo e per la qualità finale del prodotto, essa
dovrebbe essere condotta con l’assistenza della direzione di produzione. Prima di definire un articolo
vengono studiati diversi aspetti, per fa sì che le scelte siano coerenti ad essi. I principali temi da
analizzare sono: specificità e limiti dei materiali scelti, tecniche di produzione necessarie e possibili
conseguenze, funzione d’uso e durata prevista, livello dell’articolo ed esigenze del consumatore. È
importante e spesso basta capire quali sono gli aspetti che il mercato predilige e saperli tradurre in
caratteristiche tecniche, mentre in altri casi il prodotto desiderato può essere ottenuto solo attraverso
alti livelli di professionalità. La modellazione è il processo con cui si determina la vestibilità del capo,
e ha particolare rilevanza in certi prodotti che devono rivestire perfettamente il corpo, come l’intimo.
Riguardo ai prodotti per il mercato più tradizionale del capo classico, le parole d’ordine sono durata e
affidabilità.

Scelta finale e fabbricazione dei campionari
dopo aver terminato le fasi precedenti, l’ufficio stile presenta le sue proposte alle direzioni generali e
commerciali dell’azienda, che possono essere completamente accettate oppure filtrate, e si decide cosa
immettere nella collezione definitiva. Questo avviene in base a considerazioni di prezzo e di
opportunità commerciale. Dopodiché vengono prodotte le ricopie/ripetizioni di campionario, ossia i
capi che replicano fedelmente i modelli creati, e per ogni modello previsto si crea un esemplare in un
unico colore e taglia a cui verrà associata la scala delle taglie e la cartella dei colori. Le ricopie servono
per presentare la collezione ai clienti.

Programmazione dei tempi e delle risorse dello stile
L’attività dello stile è la prima della catena produttiva, e la sua attenta programmazione è
fondamentale affinché tutte le altre si svolgano correttamente. Il metodo di lavoro generale si basa
sulla schedulazione delle attività e sulle risorse necessarie. Le attività principali sono la ricerca e la
scelta dei materiali, lo schizzo dei modelli e la creazione dei prototipi, mentre le risorse sono gli stilisti,
gli assistenti e le modelliste. Anche i fornitori e la direzione di produzione svolgono un ruolo
fondamentale, perché con il loro contributo tecnico possono evitare errori costruttivi, questa fase di
lavoro è vincolata dalla data di presentazione delle collezioni, che non è flessibile perché dettata da un
mercato che non tollera ritardi. Per questo è così importante programmare il lavoro, ed è possibile
procedere a ritroso per decidere quando sia più opportuno iniziare lo studio della collezione.
Ricapitolando, la collezione viene impostata, vengono decise le tipologie e il numero di capi da
inserire, oltre che il tema, si scelgono i materiali e i fornitori, facendo attenzione ai costi e
all’affidabilità. Vengono realizzati gli schizzi dei nuovi capi, decise le lavorazioni più opportune e
associati i materiali scelti, infine si definiscono le misure dei capi per ottenere la migliore vestibilità.
Vengono effettuate diverse prove di prototipia per apportare eventuali rettifiche, poi a questo punto la
rosa finale dei possibili nuovi modelli è pronta e deve essere deciso quali inserire in collezione. Questa
fase strategica coinvolge lo stile, il commerciale e la direzione, e la sua fase successiva è la definizione
dei prezzi e la creazione del materiale accessorio alla vendita. Per rispettare i tempi è necessario
valutare e programmare le risorse disponibili: lo stile segue sia il design che la scelta dei materiali, e
sarà necessario disporre di risorse stilistiche sufficienti per entrambe le attività. Molte di queste fasi
non sono conseguenti, ma in parte sovrapposte: ciò è logico perché non è necessario che tutti i disegni
siano pronti per avviare la modellazione, è sufficiente che solo alcuni lo siano per iniziare. La scelta dei
fornitori e il design possono procedere in parallelo perché si tratta di fasi indipendenti. Solo quando
queste considerazioni sono ultimare è possibile creare uno schema temporale che parta dalla data di
consegna della collezione e indentifichi quando deve iniziare lo studio della nuova.

Bilanciamento delle risorse dello stile
La programmazione dipende anche dai cosiddetti bilanciamenti delle linee produttive, il cui obiettivo è
comprendere quali e quante risorse produttive sono necessarie per portare a termine ogni
lavorazione.

5 Industrializzazione del prodotto
L’industrializzazione è un’attività fondamentale per tutti i beni industriali complessi, perché influisce
direttamente sui costi e sulla qualità del prodotto, e sull’economia ed efficienza del processo
produttivo. Il processo di base dell’industrializzazione deve rispondere a diverse domande, come
“quali caratteristiche vuole il mercato?”, “questo prodotto è coerente con quello che l’azienda sa/può
fare?”. Le domande sono molte, e tutte le volte che viene fatto un briefing di collezione per mettere a
fuoco cosa debba essere creato, molti di questi temi vengono dibattuti. In questa fase i ruoli principali
sono lo stile, il commerciale/marketing, gli acquisti e la produzione. Le domande da porsi e le risposte
influiscono pesantemente sul risultato finale, e quasi sempre ci si troverà in situazioni di
contrapposizione: la differenza la fa la capacità dell’azienda nel trovare metodi o alternative per
risolvere le controversie. Dall’esito del lavoro dipenderanno qualità e affidabilità del prodotto, che
deve essere studiato nei suoi componenti fondamentali, costo e velocità del processo produttivo.

Documenti di industrializzazione
Dopo aver deciso il prodotto, devono essere realizzati una serie di prototipi definiti in ogni loro parte
perché dovranno essere ricreati in modo standard dalla produzione. L’industrializzazione, al fine di
definire precisamente le caratteristiche del capo, deve produrre:
• Codici per ogni materia prima e prodotto finito;
• La misurazione di ogni componente del prodotto per ogni taglia;
I codici servono a determinare univocamente ogni elemento del processo produttivo, in quanto è
necessario poterli riconoscere in modo veloce e certo: vengono utilizzati codici alfanumerici assistiti
da bar code. Oltre che per poter replicare fedelmente ogni capo, la misurazione delle sue componenti
per taglia è fondamentale per assicurarne la vestibilità, che è sia una necessità produttiva, sia una
grande possibilità di distinzione sul mercato. L’identificazione di tali misure è prerogativa della
modellista, che sa dove e come può intervenire per dare a un abito l’aspetto adeguato una volta
indossato. Vengono studiati anche i drop, ossia variazioni di alcune misure all’interno della medesima
taglia, e diverse aziende creano modellazioni specifiche per alcuni mercati. Quando tutte le misure
sono definite viene redatta la scheda tecnica, ossia una tabella dove esse sono riportate in riferimento
a ogni taglia. La scheda tecnica indica le misure giuste riferite alla taglia per ogni parte del capo, ed è la
base per determinare i consumi di tessuto. Da essa si passa a un secondo documento fondamentale, la
distinta base, che contiene tutti i materiali necessari per la costruzione del capo e i loro fabbisogni per
taglia e colore. Alcune distinte base riportano anche il prezzo delle componenti, informazione
necessaria per costruire il costo finale, quindi il prezzo, dell’articolo. Tutti i componenti vengono prima
codificati in modo che ognuno goda di una propria identità univoca. Altra attività base
dell’industrializzazione è il costruire indicazioni precise sul come fabbricare l’articolo, oltre a
descriverne le misure specifiche (scheda tecnica) e quali/quanti materiali utilizzare (distinta base). Le
informazioni su “come fare” un capo sono definite dai tecnici di produzione in un terzo documento
chiamato scheda di produzione: le operazioni vengono inserite in sequenza, vere e proprie “istruzioni
di montaggio” del modello.

Tempi e costi di produzione
Le schede di produzione perfezionate contengono anche l’indicazione delle macchine/attrezzi
necessari alle operazioni e il tempo da dedicare a ogni fase, ma solo le aziende più organizzate godono
di questo servizio. I tempi produttivi sono importanti, perché su di essi si basano le trattative per
fissare i prezzi di manifattura con i produttori esterni e si pianifica il fabbisogno di produzione di
un’azienda. Attraverso queste informazioni l’azienda può programmare il fabbisogno produttivo per
ogni reparto, definire la necessità di risorse e stabilire una pianificazione, la quale deciderà quando e
cosa produrre in base alle date di consegna. A questi calcoli va poi aggiunto lo studio dell’efficienza
produttiva che verrà affrontato più avanti. Ultima ragione importante per cui è opportuno conoscere il
tempo di produzione è il calcolo del costo totale di produzione per articolo, fondamentale per la
gestione e la definizione del prezzo finale del prodotto. Sommato lo stesso procedimento per tutti gli
articoli da produrre si ottiene il costo totale industriale diretto al netto di altri costi. Questo,
sommato a sua volta ad altre voci, è la base per calcolare i prezzi finali. Le aziende spesso producono in
nazioni diverse in cui il costo del lavoro non è uguale, e inserendo nella scheda di lavorazione il valore
del costo al minuto di un certo paese, avremo il costo totale effettivo del capo nel paese considerato.
Altre attività a cui fa capo l’industrializzazione sono: controllo delle ricopie da campionario, stampa
dei copia commissione (moduli su cui redigere l’ordine), cartelle dei colori e listino prezzi.

6 Le vendite
Organizzazione generale
Il processo di vendita è diverso in base al tipo di prodotto e al canale distributivo che utilizza: nel
programmato esso si svolge prima della produzione, tra azienda fornitrice e distributore; nel pronto
moda esso avviene dopo la produzione e la vendita è tra azienda e negozio; nel retail non si ha una
vendita reale, bensì una decisione aziendale riguardante quali e quanti capi immettere nei suoi negozi,
e la vendita effettiva si avrà tra negozio e consumatore finale. La distribuzione nella moda si divide in
wholesale (negozi privati multimarca) e retail (punti vendita aziendali o in franchising). Nel
programmato le vendite sono gestite negli showroom aziendali e avvengono anche tramite agenti di
vendita, dotati loro stessi di showroom o che si recano col campionario presso i clienti. Il customer
service riceve gli ordini e li inserisce nel sistema informativo gestionale come base di dati per le
operation. Il periodo di vendita di una collezione programmata dura alcuni mesi: questi periodi non
brevi servono per dare alle aziende il tempo di servire tutti i clienti wholesale e a questi ultimi il tempo
di prendere visione delle varie offerte. All’inizio l’azienda decide i propri ordini retail, e non è detto che
una sola gestisca contemporaneamente le due modalità di vendita, magari preferendone una all’altra.

Budget di vendita
Il processo di distribuzione di una collezione è preceduto dalla determinazione di un budget di
vendita, ossia la previsione delle vendite aziendali. È normalmente espresso in capi che moltiplicati
per i propri prezzi medi danno una previsione di fatturato. È prodotto dalla direzione commerciale, ed
è redatto non appena la collezione e i prezzi sono disponibili. È un dato di grande importanza perché
serve per la programmazione economico finanziaria, in quanto a previsione di fatturato, costituisce
l’obiettivo di vendita ed è la base per prevedere la capacità produttiva necessaria e i volumi di ordine
ai fornitori. I dati richiesti per poterlo elaborare sono la presa visione della collezione, del suo impatto
sul mercato e i prezzi medi a capo, i dati storici di venduto della collezione precedente, numero di
punti vendita wholesale e retai e venduto stagionale, investimento previsto in comunicazione. È raro
che vi siano differenze di vendite tra un anno e l’altro, mentre sono normali flessioni/incrementi
dovuti all’impatto della collezione, ai prezzi e alla situazione di mercato. Il dato più importante in
questa fase è il sell out, ossia la percentuale dei capi venduti dai negozi calcolata sul totale dei capi
acquistati: il venduto aziendale finale è la sommatoria degli ordini di tutti i negozi, questi decidono
quanto comprare anche in base a quanto hanno venduto nella stagione precedente, perciò maggiore è
stato il sell out precedente, maggiore sarà la previsione futura. Un articolo dall’alto sell out può essere
riproposto tale e quale, oppure con variazioni, ma sempre con buone previsioni. Ogni azienda può
sviluppare il proprio budget secondo criteri propri, in generale però la previsione della domanda è una
scienza che attinge a studi statistici.

Fissazione delle date di inizio/chiusura vendite
Le date di vendita sono decise dal mercato, quindi le aziende godono di poca flessibilità in merito.
Riguardo all’autunno/inverno le collezioni uomo e baby vengono generalmente presentate a gennaio,
a febbraio/marzo le collezioni donna e in coda calzature/accessori/pelletteria. Per la primavera estate
si hanno a giugno uomo e baby, e a luglio/settembre la donna, sempre in cosa calzature e accessori
(ciò avviene perché in linea di massima questi articoli dovrebbero essere scelti dopo l’abbigliamento).
Il negozio cliente o buyer vuole capire bene le tendenze del mercato prima di rischiare acquisti costosi
o aleatori, oggi il mercato è scandito dalle settimane della moda, ovvero date in cui tutte le aziende
presentano i campionari e iniziano le vendite. Presentare in ritardo significa perdere possibilità di
vendita, in quanto i clienti potrebbero non essere più disponibili per visionare la collezione. In alcuni
casi le aziende tendono a posticipare le chiusure vendite programmate per raccogliere gli ultimi ordini
di clienti ritardatari: ciò è utile ad acquisire fatturato aggiuntivo, ma riduce il tempo disponibile per gli
acquisti di materiale e la produzione. Spesso le aziende accettano ordini tardivi con riserva: si
riservano di verificare se gli ordini sono comunque producibili regolarmente, oppure ciò comporta un
ritardo di consegna che il cliente deve accettare.

Analisi delle date di consegna richieste dalla clientela
Le consegne avvengono su un arco di tempo che dura mesi: i clienti vengono serviti “a saldo”, cioè
spedendo tutto l’ordinato in un’unica soluzione, oppure “in acconto”, ovvero frazionandolo in più invii
in momenti diversi. I periodi di consegna ai negozi sono da fine gennaio a marzo per la PE e da fine
giugno a settembre per l’AI. Ogni cliente ha diritto a ricevere la consegna nel periodo che preferisce, e
le date di consegna sono un’importante informazione di base per la gestione: rappresentano un
impegno commerciale che l’azienda assume nei confronti del cliente, sulla base del quale verranno
valutati servizio e affidabilità dell’azienda stessa; sono importanti per gli incassi dell’azienda, in
quanto consegne posticipate possono portare a resi o richieste di sconti; sono fondamentali per il
retail, infatti un negozio monomarca vende unicamente il prodotto dell’azienda madre; infine sono le
scadenze su cui si imposta la programmazione operativa interna. Non è raro che le aziende dividano la
produzione in base alle diverse date di consegna, ciò è necessario quando il 100% del fabbisogno di
materiali non è ancora disponibile, oppure quando si deve utilizzare un periodo di produzione più
ampio perché la capacità non è sufficiente. Si lasciano in coda le spedizioni più posticipate, e ci si
dedica a quelle più vicine. Alcuni clienti gradiscono consegne frazionate, soprattutto chi ordina grandi
volumi, tali divisioni avvengono anche a seconda del clima atmosferico e del peso dei capi, o a esigenze
di vetrina. I negozi nel mondo possono avere esigenze di presentazione ed esposizione molto diverse.

Gli strumenti di vendita
Il momento della vendita coinvolge due attori: il personale commerciale dell’azienda venditrice e il
buyer del distributore che sta acquistando. Nel caso del retail, quest’ultimo può essere un funzionario
interno che ha la responsabilità di approvvigionare correttamente i negozi della società. Il personale
commerciale si presenta con campionario, cartella colori/varianti, listino prezzi e copia commissioni,
strumenti che oggi sono stati in gran parte informatizzati. Il buyer dispone di un’analisi storica del
venduto nei suoi punti vendita per tipo, colore e fascia prezzo, in modo da riuscire a pilotare le proprie
decisioni. Il campionario è una copia fisica dei capi della collezione, in un solo colore e taglia, in modo
da dare al cliente la possibilità di visionare cosa sta comprando. La cartella colori contiene la rosa di
varianti, spesso è presente anche un campione di tessuto o una sua rappresentazione grafica. Oggi
molte aziende si basano sulle immagini nei loro siti web in cui il prodotto può essere visibile in ogni
sua variante e angolazione. Il copia commissioni è il modulo in cui vengono inserite le quantità scelte
dal cliente per ogni articolo, variante e taglia, qui vengono riportate le condizioni di pagamento, la data
e la modalità di consegna, e altre informazioni. Dopo essere stato firmato da entrambe le parti e
confermato dall’azienda produttrice, esso assume valore legale. Spesso le taglie vengono acquistate in
proporzioni diverse e a seconda della destinazione dell’ordine, concentrandosi sulle misure centrali
che godono di maggior diffusione.

Canali di vendita
Department stores
Sono negozi/organizzazioni private multimarca, una delle distribuzioni più efficaci e a lungo hanno
rappresentato l’unica organizzazione commerciale esistente che operasse su volumi considerevoli. Gli
ordini avvengono tramite buyer professionisti divisi per categoria merceologica, e spesso i grandi
volumi che acquistano giustificano la richiesta di lavori aggiuntivi (come personalizzazione degli
oggetti). Nei nostri mercati locali, la grande distribuzione tende ad imporre il proprio marchio
comprando prodotti unbranded e personalizzandoli col suo logo: ciò significa che molte aziende
perdono ogni potere commerciale e vengono declassate a puri fornitori, e solo le grandi aziende
storicamente conosciute e che investono fortemente in pubblicità hanno ancora il potere di
distinguersi, esporsi e qualificarsi. Chi non è noto al consumatore può vendere solo accettando i
formati, qualità, packaging e prezzo decisi dal committente.

Corner o shop in shop
Sono piccoli negozi all’interno di negozi più grandi, solitamente department stores. Questi spazi sono
affittati e gestiti autonomamente nell’offerta, nella vendita e nell’immagine, i costi sono elevati ma
comunque inferiori rispetto all’apertura di un negozio vero e proprio. Per le operation lavorare con
queste strutture richiede molta attenzione nelle spedizioni, perché essi non dispongono di magazzini
separati.

Boutique multimarca
Madre di ogni organizzazione di vendita di abbigliamento, gli atelier francesi erano piccoli esercizi
dove il prodotto veniva confezionato e venduto. Con l’avvento del prét-à-porter essi sono divenuti
negozi multimarca veri e propri, sebbene specializzati in categorie merceologiche. In Italia, Francia e
altri paesi le boutique hanno a lungo dominato il mercato, e oggi soffrono di diversi problemi:
diminuzione generale delle vendite e dei margini del settore, politiche delle aziende produttrici
sempre più tese all’apertura di punti vendita monomarca, costo delle location, progressiva
diminuzione dell’importanza dell’abbigliamento classico e di un pubblico che sappia riconoscere
un’alta valenza al vestire, e politiche restrittive dei grandi brand nei confronti di esercizi multimarca.
Nelle grandi città, le concentrazioni di negozi monomarca sono ristrette in poche vie cittadine o in
shopping centre specifici. Si tratta di singoli aggregati multimarca di dimensioni maggiori rispetto al
passato e con proprietà di esercizio differenti. Un singolo monomarca lontano da altri oggi riuscirebbe
di rado ad avere successo.

Negozi monomarca o company store
Oggi un brand conosciuto dispone di centinaia di punti vendita di proprietà o in franchising in tutto il
mondo. La genesi di queste struttura va ricercata nella volontà di affermare il proprio marchio, di
ricercare maggiori volumi di vendita, di proporre al pubblico la propria gamma completa di prodotti e
di affrancarsi dal volere del dettagliante. Molti brand hanno deciso di proporsi direttamente al
consumatore per evitare l’impoverimento che comporta l’inserimento in un department stores, in
modo che l’identità dei propri prodotti non venga mischiata come avviene nei complessi multimarca. È
poi più facile, anche se rischioso, tentare una maggior penetrazione nel mercato con una distribuzione
propria e con una gamma completa di articoli, non solo quelli scelti dai multibrand: il produttore gode
così di maggior potere su prezzi, politiche di sconto, esposizione del prodotto ecc. i negozi monomarca
presentano ovviamente anche rischi notevoli, per esempio gli elevati costi di avviamento, affitto e
gestione, che rendono necessari alti volumi di vendita e una forte redditività per essere compensati,
raramente ottenibili vendendo una sola marca; inoltre, a gestione di negozi propri non è cosa facile e
richiede esperienza, attenzione e un buon assortimento. Le operation, per poter gestire centinaia di
negozi sparsi nel mondo, devono saper raccogliere ed elaborare i dati di vendita storici perché siano di
supporto e devono essere reattive nel riassortire. Per i clienti l’azienda non esiste, essa si identifica con
i propri negozi: se uno di questi risulta poco assortito e malamente gestito, i visitatori assoceranno
quella sensazione al marchio. Perciò, i negozi monomarca sono un’arma a doppio taglio: se curati è
garantita un’immagine positiva, se man condotti risultano a dir poco controproducenti. La
distribuzione monomarca è e resterà leader nella vendita dell’abbigliamento, ma solo per quelle
aziende che vantano un ampio portafoglio di prodotti, solidità finanziaria e grandi capacità di controllo
della rete e delle proprie operation.

Outlet
Si tratta dell’evoluzione dei vecchi spacci aziendali, locali in cui venivano svendute le rimanenze. È
fisiologico che i punti vendita abbiano rimanenze a fine stagione, e quando gli esercizi diventano
centinaia l’invenduto assume proporzioni tali da rendere necessario un sistema efficace per il suo
smaltimento: da qui la nascita dell’outlet. Molte aziende oggi completano l’invenduto con i colori e le
taglie mancanti, ma anche con altri articoli, completando la gamma. Per le operation avere una catena
di outlet è un’opportunità, gli articoli prodotti non sono particolarmente fashion o stagionali, possono
essere fabbricati senza scadenza e per essi vengono spesso usate materie prime di rimanenza.
Alimentare gli outlet può quindi aumentare l’efficienza interna e ridurre gli sprechi, e anche per i
negozi outlet vale quanto espresso in precedenza sulla qualità della gestione di prima linea.

Siti web
La vera novità distributiva dei nostri giorni, in cui le operation sono fondamentali. Gli ordini web
possono avere decine di migliaia di destinazioni, e i clienti vogliono ricevere il proprio acquisto in
tempi brevissimi. Le aziende che vendono sul web devono eseguire invii di uno o pochi pezzi a
moltissimi clienti, e i resi sono numerosi. Per questo motivo i magazzini devono essere estremamente
veloci nella gestione delle spedizioni, della domanda e delle scorte.

Le diffusioni
Sono così chiamati i centri di vendita gestiti da prontisti e destinati ai negozianti: qui si trovano le
proposte per i commercianti che hanno necessità di rifornirsi per le vendite in corso. La richiesta del
pronto moda è spesso imprevedibile, per questo il prontista deve recepire i segnali e ricostruire
immediatamente la disponibilità, dato che la durata dei successi di vendita è limitata e su questi si
fonda il suo business.

Diverse forme di vendita e loro dinamica
Alcune importanti forme di vendita o di ordine sono:
• Campagna vendita per collezioni programmate;
• Riassortimenti di collezioni programmate;
• Ordini di negozi monomarca;
• Riassortimenti di negozi monomarca;
Per organizzare la campagna vendite per collezioni programmate si stila la lista dei clienti a cui
sottoporla, preparata dalla sede centrale o dai vari agenti o filiali di zona. Il secondo passo è contattare
i clienti e prendere un appuntamento, è bene essere flessibili e cercare di servire prima i clienti più
importanti, che sono punto di riferimento del mercato, in modo da ottenere giudizi affidabili sulla
collezione. Questi giudizi permettono di avviare con maggiore fiducia i primi acquisti di materiali e di
orientare e consigliare nelle loro scelte i clienti meno esperti. Prima di modificare qualcosa in una
collezione è consigliabile attendere che una valutazione venga condivisa da un buon numero di
professionisti. Le vendite avvengono su due-tre mesi per stagione, ed è impensabile avere personale
addetto esclusivamente a queste: spesso le aziende delegano a questa importante attività le migliori
risorse dei customer service. Spesso le aziende accolgono ordini tardivi, molto meglio è considerare
chiusa la campagna vendite informando che un certo numero di ordini potrà ancora pervenire, così da
poter avviare il processo produttivo. I riassortimenti della collezione programmata sono possibili solo
se un certo stock di articoli è stato prodotto anticipatamente, oppure se i tempi di realizzazione sono
brevi. Un’azienda non può riassortire tutti i modelli, si limita a quelli che hanno avuto maggior
successo di vendita.

Procedimento di acquisto dei buyer
Gli ordini di negozi monomarca vengono redatti dai buyer centrali dell’azienda o dagli shop manager: i
primi hanno una visione chiara della collezione, i secondi conoscono le specificità locali in cui si opera,
quindi spesso dalla loro azione comune emerge il risultato migliore. È fondamentale un esame
approfondito delle vendite storiche per concentrarsi sui modelli che hanno ottenuto migliore riscontro
e che possono quini godere di più successo. Questo esame deve essere corredato dall’estrapolazione
dei trend, confronto possibile solo sugli articoli continuativi che vengono replicati, ma non su quelli
nuovi. Quando si dispone di un network di negozi monomarca è necessario ripartire il budget generale
tra di essi, secondo le percentuali di venduto del passato. La fase successiva è distribuire il
quantitativo totale previsto per ogni negozio nelle sue diverse tipologie: è opportuno identificare le
categorie di prodotto che l’azienda gestisce ed esaminare il venduto di ogni negozio insieme ai trend.
Moltiplicando i venduti storici percentuali per merceologia e per stile si ottiene un’ipotesi di quantità
per ogni categoria di capo. Infine, basterà applicare il budget totale destinato al negozio alle
percentuali per avere un’indicazione di quanti capi prevedere.

Riassortimenti
Prevedere uno stock di capi da mantenere a disposizione di riassortimenti è un rischio commerciale, e
maggiori sono le dimensioni della rete distributiva maggiore è il rischio. Non disporre di
riassortimenti, però, equivale a perdere vendite. Un riassortimento dovrebbe concentrarsi sugli
articoli continuativi e basici più venduti, sui modelli preferiti dalla clientela wholesale, sui modelli
specificatamente graditi dalla clientela locale e su quelli per cui si prevede una campagna pubblicitaria.
Gli articoli poi non sono tutti uguali: si deve calcolare il margine di ogni articolo, dato dalla differenza
tra ricavo e costo, e moltiplicare questo valore per il suo venduto. Alcuni capi contribuiscono più di
altri al margine totale, questi devono ovviamente essere privilegiati nel controllo della loro qualità e
nella loro velocità di consegna, in quanto danno un reddito più elevato.

7 La previsione e l’analisi della domanda
La moda è estremamente variabile e soggetta a influenze di vario tipo. i metodi e le tecniche per
prevedere le vendite future sono molti e diversi.

Previsioni su dati storici noti e ignoti
Il livello di difficoltà e la possibilità di previsione cambiano se il prodotto è basico/continuativo oppure
stagionale, e anche le caratteristiche della clientela influiscono sulle possibilità di previsione: è
semplice ipotizzare gli acquisti di clienti consolidati di cui si conoscono i criteri di scelta, più
complesso farlo con clienti nuovi di cui non si sa nulla. È possibile capire di più solo esaminando il tipo
di negozio e di prodotto gestito. Queste considerazioni valgono per la vendita wholesale, cioè per tutti
quei clienti esterni all’azienda. Per il retail invece, organizzazione distributiva che dipende
direttamente dall’azienda, non si parla di previsioni di vendita ma di criteri di scelta interni: l’azienda e
il negozio lavorano congiuntamente per prevedere i gusti del consumatore finale e definire
l’assortimento giusto per ogni punto vendita. Nel caso wholesale è necessario prevedere cosa
comprerà il titolare o buyer del negozio, mentre nel caso retail devono essere previsti gli acquisti del
cliente finale. Nel franchising, in quanto formula mista, la definizione degli ordini dipende o dal
franchisee (negoziante) o dal franchisor (azienda madre) o congiunta. Più il franchisee gode di
autonomia secondo contratto, più si avvicinerà al cliente wholesale.

Previsioni e proiezioni
Per le collezioni programmate, prima della fine delle vendite le aziende possiedono dati effettivi di
venduto, anche se parziali. Nel programmato a volte si devono prevedere le vendite quando queste
non sono ancora iniziate, oppure sfruttare i venduti parziali disponibili per prevedere i risultati finali.
Nel primo caso parliamo di previsioni, nel secondo di proiezioni effettuate sulla base dei dati già
disponibili. Nella moda, per fare un paragone con le elezioni, i “risultati precedenti” sono i dati storici
di cui si dispone, le “intenzioni di voto” corrispondono al giudizio di clienti le cui collezioni vengono
mostrate in anteprima, mentre le proiezioni si effettuano sul venduto ricevuto dai clienti che hanno già
fatto l’ordine. Quando si stimano previsioni senza l’aiuto di dati di vendita effettivi si parla di “buio”, e
gli eventuali ordini sono detti “ordini al buio”.

Diversità tra domanda e venduto
Spesso si parla di venduto quando sarebbe più corretto parlare di domanda, essi infatti non sono la
stessa cosa. La domanda potrebbe essere superiore al venduto (un articolo ha successo, il negozio
termina l’assortimento e l’azienda non è in grado di rifornirlo). Altro caso quello in cui un’azienda
vende un certo quantitativo di capi ma non riesce a consegnarlo: il venduto è inferiore a causa
dell’azienda, non del mercato che sarebbe stato disponibile ad acquistare. Il problema sta nel
quantificare la domanda inevasa, e una soluzione potrebbe essere sommare il venduto effettivo al
riassortimento richiesto dai negozi e non soddisfatto. Esiste anche il caso in cui il venduto sia
superiore alla domanda, e in generale il dato giusto da considerare è il sell out netto, ovvero l’effettivo
venduto del negozio cliente.

Livello di rischio per tipo di prodotto e cliente
Esistono diversi livelli di rischio nella previsione/proiezione a seconda che si disponga di dati storici,
si conosca il cliente wholesale o la clientela retail, si proceda a una previsione al buio oppure ci si basi
su una proiezione di dati di vendita reali. Nel caso dei negozi retail non si parla di proiezione, se non
limitata ai riassortimenti: la proiezione infatti è un’ipotesi di venduto finale eseguita sul venduto
parziale alla clientela indipendente, presumendo che questo sia rappresentativo del totale. Nel retail è
l’azienda stessa che decide gli ordini per i suoi negozi, non c’è nulla da prevedere. Nel wholesale le
proiezioni vengono eseguite sugli ordini “di primo impianto”, dal negozio cliente alla casa madre, mesi
prima della loro consegna e vendita, l’azienda cerca così di capire quali capi siano i più comprati dai
negozi. Nel retail invece la proiezione avviene a stagione in corso, durante la vendita al consumatore
finale, per capire se gli assortimenti siano giusti, eccessivi o inferiori rispetto ai trend di vendita.

Metodi di elaborazione dei budget per wholesale e retail
Le previsioni avvengono a più livelli di dettaglio:
• Budget generale di vendita: previsione del volume di venduto complessivo;
• Budget per tipologia di prodotto/settore di collezione: suddiviso per famiglie di prodotto;
• Budget per articolo;
• Budget per colore taglia;
I procedimenti per definire i budget sono diversi, alla base di tutti vi è però l’analisi dei dati storici di
vendita. Si tratta di elaborazioni teoriche che non danno garanzia di precisione, anche se costituiscono
una base di ragionamento accettabile. Il budget così espresso serve a diversi scopi: ipotizzare la
capacità produttiva necessaria all’azienda, fornire agli enti finanziari una previsione di fatturato
necessaria per budget di cassa e per risultati economici attesi, calcolare gli obiettivi per la forza
vendita. Il budget totale previsto viene moltiplicato per le percentuali di venduto storiche per tipo-
capo, per ipotizzare quale sarà il venduto futuro, supponendo ovviamente che la struttura della
collezione sia la medesima. Ogni dato viene incrementato o ridotto per ogni articolo secondo le
valutazioni della direzione commerciale. La previsione dei colori si effettua normalmente a totale,
senza entrare nel dettaglio: il budget totale viene moltiplicato per le percentuali di venduto storico per
categoria di colore, ottenendo le quantità per i colori della nuova collezione. Il colore di tendenza non
sarà più lo stesso, ma viene utilizzata la percentuale del colore trendy della stagione scorsa.
Quest’analisi è generale e spesso imprecisa, ma è utile per informare i fornitori delle previsioni di
massima dei quantitativi di materiale/colore che verranno ordinati. Errori di sopravvalutazione negli
ordini possono portare a giacenze, mentre sottovalutazioni comportano il rischio di perdere vendite.

Elaborazione dei dati storici
Le previsioni di venduto possono essere costruite in molti modi, si va dalle opinioni personali e
ricerche di mercato all’applicazione di algoritmi statistici sofisticati. Le opinioni personali non devono
essere intese negativamente, anzi sono valide quando espresse da persone che conoscono
approfonditamente un prodotto/mercato. Alcuni procedimenti combinano esperienza e opinione con
l’analisi statistica e sono spesso i più precisi. Un metodo utilizzato è quello di costruire previsioni
elaborando dati storici in modo scientifico, sottoponendoli poi ai direttori commerciali: un mix di
intuito ed esperienza combinati con un’analisi rigorosa dei numeri. La prima operazione è scegliere i
dati storici più opportuni, e basarsi particolarmente sulle informazioni più recenti. L’obiettivo è
prevedere l’andamento futuro di un fenomeno sulla base di informazioni registrate fino al momento
della previsione. Nella moda abbiamo due categorie di previsioni fondamentali:
• Previsioni per periodi in sequenza: es) prevedere il venduto di luglio in base ai dati effettivi
dei mesi precedenti;
• Previsioni per periodi ciclici: es) prevedere luglio 2011 in base a luglio 2010, 2009 ecc. lo
stesso si può fare per confrontare la stessa settimana di più mesi o lo stesso giorno di diverse
settimane;
Questi tipi di previsioni sono fondamentali in presenza di fenomeni ripetitivi, e si possono applicare a
tantissimi ambiti di vendita: in ogni situazione esiste infatti un venduto storico e la necessità di
prevedere la sua evoluzione. Uno dei metodi più semplici è la media matematica, che attribuisce lo
stesso peso a tutti i mesi considerati, anche se è possibile che quelli più vicini siano maggiormente
rappresentativi del futuro. Altro modo per dare valore diversi ai dati è quello di ponderarli: se ottobre
e gennaio, per esempio, sono più influenti sulle previsioni di novembre si potrebbe sfruttare la loro
media, oppure fare la media totale considerando questi mesi influenti due volte (il totale
aumenterebbe di 2 unità e ogni mese rappresenterebbe 2/tot). È possibile variare a piacimento il peso
dei mesi.

Stagionalità
La stagionalità è un fenomeno che presenta un andamento ripetitivo. I dati storici hanno notevole
importanza, ma non devono essere considerati come entità da riapplicare con gli stessi valori. Le
vendite di un mese possono essere ipotizzate sulla base dello stesso mese negli anni precedenti, così
come il fatturato di un sabato di vendite può essere previsto considerando quello dei sabati
precedenti. Avremo medie matematiche e ponderate non più su eventi in sequenza, ma ripetuti a
distanza. Se un’azienda ritiene che la previsione di un mese risenta sia delle variazioni dell’anno in
corso, sia della stagionalità dello stesso periodo negli anni passati, essa può dare valore ai dati più
recenti dell’anno in corso, senza trascurare la stagionalità stessa. Possiamo costruire due medie
ponderate, una sulla sequenza continua e una sulla stagionalità: nel primo caso effettuiamo una
ponderazione, e possiamo considerare doppio l’apporto di alcuni mesi che si ritengono più influenti di
altri; nel secondo caso si effettua la ponderazione del dato mese sulla base dello stesso mese negli anni
trascorsi (anche in questo caso un anno può valere più di altri). In certe situazioni, però, x+1 può
essere completamente diverso da x, e solo la conoscenza di stagionalità e trend può evitare errori.

Depurazione da dati fuorvianti
È bene isolare e non considerare dati anomali dovuti a situazioni particolari e contingenti, in quanto
rappresentano anomalie che non possono essere prese ad esempio per prevedere il futuro. Il corretto
procedimento da applicare in questi casi è eliminare il dato evidentemente anomalo, calcolare il totale
e la media dei dati restanti, inserire il dato medio al posto di quello anomalo, ricalcolare il totale. Un
altro modo per effettuare previsioni è la media esponenziale, il cui intento è ridurre l’errore in modo da
giungere a budget sempre più precisi. Essa necessità di tre dati: budget dell’ultimo periodo trascorso,
vendite reali dell’ultimo periodo, un coefficiente statisticamente definito tra 0,1 e 0,5 (C)

Previsione = C * (vendite ultimo periodo) + (1-C) * (budget ultimo periodo)

Il coefficiente è costruito in modo tale che minore è la variabilità attesa delle vendite tra un anno e un
altro, più vicino a 0,1 deve essere il suo valore. Se invece si prevedere un’alta variabilità, si sostituisce
al coefficiente nella formula il valore 0,5. Quando non si è in grado di valutare questa variabilità si può
considerare la media tra le due variabilità estreme, utilizzando il coefficiente medio 0,25.

Proiezioni
Le proiezioni sono diverse dalle previsioni, partono da un dato reale che si sta evolvendo e tramite
procedimenti razionali ne prevedono la sua entità definitiva. Necessitano di due dati: una base di
partenza da elaborare e un termine del fenomeno che può essere espresso in vari modi (settimane di
vendita, clienti visitati e venduto parziale sul budget totale). Applichiamo la regola matematica per cui:

se A = x% di B, allora B = A/x%

Se dividiamo i dati di venduto parziali per le percentuali indicate, troveremo i loro totali. I risultati
cambiano ovviamente a seconda delle diverse percentuali, relative ai parametri considerati. Ogni
azienda sfrutta il parametro più affidabile secondo la propria esperienza. Questa tecnica di proiezione
può assumere maggiore o minore attendibilità in base a tre fattori:
• Tipologia di capo e di colore a cui è applicata: più il modello/colore è standard e continuativo,
più la proiezione potrà essere affidabile;
• Base di partenza: la qualità e la quantità del venduto reale è fondamentale per l’attendibilità
delle proiezioni, anche se si lavora su una base di dati ancora lontana dal totale previsto. Anche
la qualità del venduto è importante, e alcuni clienti rispecchiano più di altri i gusti complessivi
del mercato: questo fenomeno statistico è detto correlazione. Questo dato si basa su quanto gli
ordini di un cliente siano in linea con la distribuzione globale e generale del mercato prevista
dall’azienda, e quest’ultima dovrà disporre al più presto del venduto di clienti di questo tipo in
quanto saranno una base qualitativamente valida. È consigliabile anche effettuare proiezioni
distinte per i mercati che manifestano significative differenze di vendita;
• Attendibilità del dato finale su cui proiettare: sia periodo residuo di vendita, che numero di
clienti da visitare, sia il budget totale devono essere precisi, se non lo sono si effettueranno
proiezioni inaffidabili basate su valori irreali.

Le previsioni e le proiezioni degli articoli moda e la loro utilità
La gestione degli articoli moda e di tutte le novità è complicata in quanto essi non hanno un passato
nelle statistiche aziendali, perciò è rischioso fare ipotesi di vendita che riguardano articoli nuovi e va
tenuto in considerazione anche un eventuale aumento o diminuzione della percentuale di articoli
moda in campionario prima di effettuare valutazioni. È giustificato matematicamente fermarsi alla
macrocategoria quando la variabilità è molto alta, come nel caso del settore della moda: il mercato è
volubile, e notare grandi differenze di vendita negli articoli da un periodo a un altro è normale. La
funzione principale delle previsioni è anticipare il lavoro dell’azienda, ciò permette di ridurre costi, di
migliorare l’efficienza interna e il servizio alla clientela, inoltre esse sono alla base della definizione dei
budget finanziari, commerciali e produttivi. Nel caso del prodotto moda è estremamente rischioso
applicare la proiezione percentuale della base venduta a livello di articolo, mentre a livello di settore
può portare a valori più prossimi alla realtà. Il prodotto moda è troppo imprevedibile e per ridurre
l’errore non ci si spingerà a livello di modello ma solo a quello di comparto. Gli errori da evitare
durante le vendite sono: effettuare previsioni in base ai venduti invece che sulla domanda, effettuare
previsioni o proiezioni includendo dati straordinari difficilmente ripetibili, non esaminare la
presenza/portata di eventuali stagionalità di vendita, fare affidamento su proiezioni eseguite su basi di
venduto limitate.

8 Gli acquisti
L’MRP
La gestione dei fabbisogni e dei fornitori è un punto fondamentale delle operation e dell’azienda in
generale, considerato che il costo delle materie prime incide in modo rilevante sul costo finale del
prodotto. Alcuni termini sono fondamentale nella gestione delle materie prime:
• Fabbisogno: tutti i componenti necessari per produrre un bene, espressi in qualità e quantità
(materie, energia e personale richiesto);
• Distinta base: documento che contiene la lista di tutti i materiali necessari alla produzione di
un articolo;
• MPS, Master Production Schedule: piano principale di produzione. È il programma di
produzione complessivo, diviso in mesi, settimane o giorni, che l’azienda elabora per realizzare
i suoi prodotti finiti. Esso dipende dalla quantità di questi ultimi e dalla loro data di consegna;
• MRP, Material Requirement Planning: analisi dei fabbisogni necessari per produrre l’elaborato
che contiene la risposta alle domande Quali materiali deve ricevere l’azienda per produrre
quanto in programma?, Che quantità di essi deve ricevere?, Quando e da chi deve riceverli?...
Altra domanda: Quando li deve ordinare? La risposta deriva dalla data di consegna, si considera a
ritroso il tempo di approvvigionamento previsto e così si definisce la data giusta di ordine. Per
consegnare puntualmente un prodotto spesso è necessario anticipare gli acquisti senza dati di vendita
definitivi, e altrettanto spesso i fornitori concedono riduzioni di prezzo se il volume di ordinato è alto.
In aziende integrate verticalmente diversi materiali o semilavorati necessari possono essere prodotti
anche dall’azienda stessa, oppure da aziende consorelle: in questo caso non si tratta di acquisti veri e
propri ma di trasferimenti intercompany. La grande maggioranza dei fabbisogni però è prodotta da
fornitori indipendenti, quindi deve essere acquistata. L’MRP non è altro che la moltiplicazione della
distinta base per i fabbisogni finali dei prodotti finiti. Nella realtà il processo è più complesso, perché
gli articoli e i materiali sono decine/centinaia, e i fabbisogni cambiano in continuazione. La
determinazione del fabbisogno è un’attività molto dinamica che comprende diverse variabili. Il
processo relativo all’MPR è diviso in tre momenti diversi:
1. Previsione della domanda data dagli ordini dei clienti (effettivi e previsti) e da eventuali
quantità che l’azienda vuole predisporre come scorta. La domanda deve essere nettificata dalle
giacenze di magazzino e dagli ordini di produzione di capi finiti in corso;
2. MPS: pianificazione dei capi da produrre in base alla capacità produttiva dell’azienda e alle
date di consegna;
3. MRP: calcolo dei fabbisogni per la produzione, deriva dalla moltiplicazione delle distinte base
di ogni articolo per le quantità di capi da produrre. La data di consegna di ogni fabbisogno da
richiedere ad ogni fornitore viene definita in base al programma di produzione espresso
dall’MPS. Per evitare surplus il fabbisogno lordo dei materiali deve essere nettificato dalle
eventuali materie prime in giacenza e dagli ordini di materiali emessi e non ancora ricevuti;

ERP
Il concetto di MRP si è allargato nel tempo fino all’attuale ERP (Enterprise Resource Planning), ossia la
pianificazione delle risorse aziendali (deriva dal primo). L’MRP analizza unicamente i fabbisogni
produttivi, mentre l’ERP è un sistema che calcola le conseguenze e razioni di un cambiamento in molte
delle funzioni aziendali. L’ERP inoltre può indicare che implicazioni ciò ha su redditività e cash flow
aziendali, gestione del magazzino, budget commerciali, statistiche di vendita… Gli ERP sono strumenti
software, la loro implementazione è lunga e costosa, ma garantiscono un’organizzazione del lavoro e
una certezza dei dati superiore, evitando errori.

JIT
L’MRP e il just-in-time sono sistemi alternativi che possono però essere complementari. Il JIT è un
metodo utilizzato in tanti business che aumenta decisamente la qualità e la reattività delle aziende.
L’MRP funziona elaborando un fabbisogno totale prima della sua necessità, il fabbisogno stesso è
quindi una risultante di un calcolo tra distinta base e volumi complessivi da produrre. Il JIT elabora il
fabbisogno singolo per ogni fase del processo produttivo durante la produzione e sono quando esso è
necessario: funziona segnalando alle fasi a monte che quelle a valle devono essere rifornite per poter
lavorare (il segnale è detto kanban). L’MRP è fondato su un calcolo di fabbisogno globale, mentre il JIT
consiste in un sistema/procedura di riapprovvigionamento minimo e continuo. È uno strumento
pratico e concreto, che si basa su presupposti però non sempre accettati dalla nostra cultura
industriale (definizione di una programmazione certa, lotti produttivi ridotti e continui, ridotte
variazioni della domanda e dei volumi produttivi, forte riduzione delle scorte, fiducia e collaborazione
tra fasi a monte e fasi a valle). Esso può essere adottato gradualmente a seconda delle esigenze delle
diverse realtà industriali.

Determinazione delle quantità da ordinare in base a venduto e scorta di magazzino
Gli ordini di qualsiasi articolo si emettono per soddisfare una domanda specifica oppure per creare
una scorta di magazzino, per MRP è indifferente che il fabbisogno provenga da una richiesta del primo
o del secondo tipo. Alcune aziende hanno articoli che restano in vendita nel tempo senza essere legati
alle collezioni stagionali, quindi le loro eventuali scorte non perdono valore nel tempo: sono i
cosiddetti continuativi o “stock service”, ovvero capi che possono essere ordinati in qualsiasi momento
e stagione. In questi casi le aziende producono per il magazzino, ossia fabbricano una scorta da cui
attingere man mano che i clienti richiedono il capo. Questi articoli possono essere prodotti nei
momenti in cui i reparti sono scarichi di lavoro, ma è comunque necessario definire quando essi
debbano essere prodotti e in che quantità, e per fare ciò è opportuno conoscere le quantità medie di
vendita e i tempi di produzione. Non appena la disponibilità scende sotto tale livello, deve essere
ricostruita con un nuovo ordine. Se un’azienda vende in media X capi alla settimana/mese, e il tempo
di produzione per questi è di Y settimane/mesi, allora la scorta minima sarà uguale a X * Y.


Determinazione della domanda finale su cui calcolare il fabbisogno
Il problema principale è determinare e tenere sotto controllo i venduti medi, anche se in molte
situazioni le medie non sono sufficienti per prevedere il futuro. Vi sono però alcune situazioni
prevedibili che aiutano l’analisi, come i trend e le stagionalità. Il trend è un fenomeno tendenzialmente
costante, indicato in aumento, in diminuzione o stabile attraverso il grafico di una retta inclinata. In
caso di trend positivo, il venduto passato sarà inferiore al futuro e viceversa, e il valore X*Y dovrà
essere sovrastimato o sottostimato di conseguenza. La stagionalità è invece un fenomeno ciclico
conosciuto che si ripete nel tempo, se si è in grado di riconoscere una stagionalità, al momento in cui si
calcola la media del fabbisogno si saprà come evolverà a breve termine. Il problema è dato da quanto
la media deve considerarsi maggiore o minore rispetto al fabbisogno prossimo: nel caso dei trend,
maggiore è l’inclinazione della retta, maggiore è l’errore dato dalla media; nel caso della stagionalità,
l’errore è maggiore quando le oscillazioni sono più marcate.

Determinazione delle date di ordine per ordine su venduto o per il magazzino
La produzione per il magazzino degli articoli più stagionali deve avere attenzioni: in alcuni casi, come
quello di prodotti nuovi, o basici ma in tonalità di tendenza, è sconsigliata la produzione di magazzino
ed è meglio limitarsi alla domanda effettiva del mercato. Quando e quanto produrre sul venduto e
quando e quanto produrre per il magazzino? I capi a basso rischio si ordinano e si producono prima e
per il magazzino, i capi fashion dal venduto meno prevedibile si producono dopo, a chiusura vendite e
su dati finali.

Caratteristiche dei fornitori
La distinzione principale si ha tra fornitori esterni, enti autonomi, e fornitori interni, in qualche modo
collegati all’azienda. Nel secondo caso si parla di integrazione verticale: le aziende che possono
integrarsi acquisendo i propri fornitori godono di vantaggi di coordinamento produttivo e di controllo
della qualità, perché il potere che hanno su di essi è superiore, esse possono però risentirne sul piano
dell’innovazione. Sovente infatti la ricerca e la volontà innovatrice sono più sviluppate nei fornitori
indipendenti, mentre un’azienda acquisita si conforma a ciò che vuole l’azienda acquirente. Questo
pericolo è degno di attenzione nella moda, ambito in cui fantasia e creatività non possono e non
devono seguire canali prestabiliti. D’altro canto, l’integrazione permette un controllo delle forniture e
una maggiore qualità delle stesse: il controllo è più approfondito, preciso e sistematico di quello
presso enti esterni e autonomi, e può essere effettuato a priori. Un controllo svolto a priori può
evidenziare fin da subito errori e permette maggiori risparmi in termini di tempi, costi ed efficienza.
Un’altra distinzione va fatta tra fornitori vicini e fornitori lontani: con i primi si riesce a stabilire una
collaborazione continua, che può aumentare la velocità e la precisione di informazioni e scambi. Solo la
conoscenza diretta tra committente e fornitore spesso si traduce in una comunità di vedute. Scelta
fondamentale è quella se affidarsi a un numero elevato o limitato di fornitori: concentrare gli acquisti
su pochi permette di creare rapporti solidi e importanti, ma maggiore è il numero di fornitori
possibile, maggiore può essere la flessibilità dell’azienda, che può contare su più opzioni e variare. È
opportuno ricercare una collaborazione unica e continuativa per i prodotti comuni di uso costante,
mentre per quelli più innovativi può essere utile testare numerose fonti. Ultima distinzione è quella tra
fornitori grandi e piccoli: i primi sono più organizzati e affidabili, ma spesso meno flessibili dei secondi.
Rivolgersi a un fornitore grande è opportuno se si è in grado di emettere ordini importanti coerenti
con le sue dimensioni, il rischio è quello di essere considerati clienti marginali e ricevere poca
attenzione.

La performance dei fornitori
La teoria generale delle operation identifica cinque aspetti che costituiscono il livello di eccellenza ed
efficienza di ogni ente produttivo in qualsiasi business. Gli aspetti sono:
• Velocità: tempo impiegato per fornire il prodotto/servizio;
• Affidabilità: rispetto costante delle richieste del cliente;
• Qualità: capacità di mantenimento dello standard produttivo a livelli adeguati;
• Flessibilità: possibilità di variare volumi, tempi, tipologie di fornitura;
• Costo: capacità di fornire tutti i precedenti aspetti a costi adeguati;
A questi viene aggiunta la creatività, ovvero la capacità di studiare e creare prodotti nuovi e diversi.
Con affidabilità si intende la coerenza della fornitura nel suo complesso ai tempi, alle condizioni
contrattuali, alle quantità convenute e alla capacità di mantenere nel tempo i livelli richiesti; la qualità
consiste nel saper mantenere standard adeguati a quanto richiesto, e contribuisce a questi due aspetti
anche la situazione economico-finanziaria del fornitore. Utilizziamo il termine “adeguato” e non “alto”
perché ciò che magari risulta eccellente per un’azienda può essere appena sufficiente per altre. Un
concetto relativo all’analisi del valore importante nella progettazione di prodotti e servizi è il
seguente: il marketing di ogni azienda deve conoscere quali aspetti tecnici, funzionali, estetici e di
servizio la sua clientela reputa essenziali, graditi o ininfluenti. Solo allora si potrà progettare il
prodotto/servizio evitando sprechi su caratteristiche di poca importanza, concentrando gli
investimenti su quelle principali, e studiare la composizione dei costi dei fornitori.

La valutazione dei fornitori
La scelta del fornitore non è cosa facile, e spesso l’attenzione e lo studio dei tempi più complessi viene
delegato agli uffici qualità e commerciale, direzione oppure anche a consulenti esterni: gli acquisti
dovrebbero essere gestiti da persone con una competenza tecnica, responsabilizzazione e potere
maggiori di quanto spesso accade.

Velocità
Essa dipende da alcuni aspetti:
• Qualità, affidabilità e velocità dei fornitori del fornitore, il quale si approvvigiona a sua volta dai
fornitori di materie prime;
• Grado di efficienza e di utilizzazione degli impianti del fornitore, insieme alla qualità/quantità
della sua manodopera: gli impianti devono essere moderni ed efficienti, e la manodopera
sufficiente. Al variare di queste situazioni è facile che varino sensibilmente i tempi di fornitura;
• Importanza strategica del cliente per il fornitore;

Qualità
Legge fondamentale della qualità: la qualità dei componenti è assolutamente necessaria, anche se non
sufficiente, a determinare la qualità del prodotto finito. Altre componenti della qualità totale sono la
bontà del progetto e del processo produttivo utilizzato. La possibilità di difetto non è data dalla media
delle percentuali di qualità relative a ogni singola componente, ma dal loro prodotto. Se si pretende un
alto livello di qualità da un prodotto finito, esso deve impiegare componenti pressoché perfetti, in
quanto difettosità anche basse moltiplicate fra loro portano a un’alta difettosità totale possibile, inoltre
maggiore è il numero delle componenti, maggiore è la possibilità di difettosità totale, quindi maggiore
deve essere il livello qualitativo delle singole parti. Henry Ford disse “ciò che non c’è, non si rompe”, a
sottolineare quanto sia importante la semplicità nei progetti costruttivi al fine di evitare
malfunzionamenti.

Affidabilità
Una bassa affidabilità è uno dei maggiori costi cosiddetti “sommersi” di un’azienda, ossia difficile da
valutare a priori a prescindere dalle operazioni sbagliate che portano al costo stesso. In caso questa
inaffidabilità del fornitore non sia rimediabile, essa viene pagata dal committente e dal cliente.

Flessibilità
Aspetto fondamentale del settore, essa è inversamente proporzionale all’utilizzazione della capacità
produttiva: se ci si rivolge a un fornitore che opera al massimo della sua capacità, non possiamo
aspettarci forniture diverse dai suoi standard di prodotto, quantità e tempo. Solo chi è
sovradimensionato rispetto ai propri volumi di lavoro ha risorse disponibili da impiegare in modo
diverso rispetto a quello standard. Si pensa erroneamente che maggiore sia la dimensione del
fornitore, maggiore possa essere la sua flessibilità, ma nella realtà non funziona così: le grandi
dimensioni sono spesso talmente costose che se chi le possiede non opera al 100% delle proprie
potenzialità si trova costretto a ridurle, piuttosto che mantenere capacità produttiva inutilizzata. Se la
flessibilità è indispensabile, è necessario rivolgersi a chi non è totalmente impegnato, oppure dotarsi
di fonti proprie da mantenere sottoutilizzate e quindi flessibili all’occorrenza.

Creatività
Uno dei parametri fondamentali delle operation. Un fornitore è creativo quando è in grado di proporre
con continuità materiali o servizi innovativi dal punto di vista tecnico, funzionale o estetico, in grado di
essere prodotti industrialmente. Ciò che separa l’arte dall’industria è proprio la possibilità di replicare
un oggetto/servizio su larga scala in modo pratico ed efficiente. Fornitore creativo è colui che riesce a
rendere producibile con sufficienti standard di qualità, affidabilità e costo ogni innovazione da lui
proposta, o richiesta dagli uffici stile delle aziende. Etimologicamente “creatività” significa “generare
dal nulla”, e quella vera nella moda deve partire da un foglio bianco o da svariate intuizioni, non da
fenomeni già esistenti (studiati dalla ricerca e sviluppo in molti settori): essi sono legittimi, ma si tratta
appunto di sviluppo di fenomeni già noti, e non di slancio creativo. La prima cosa che un’azienda
dovrebbe domandarsi è se ha bisogno di creatività, se la risposta è sì, allora essa dovrà dotarsi di un
ufficio tecnico preparato e in grado di comprendere se e come determinate particolarità e innovazioni
siano riproducibili industrialmente; un ufficio acquisti articolato che collabori con ogni possibile
fornitore e valuti le innovazioni da introdurre; risorse e volontà finanziaria in grado di sostenere
queste attività a lungo termine, che potrebbero non riscuotere successo e comportare tempi di
gestazione e implementazione lunghi; accettare i fallimenti come parte inevitabile della procedura.

Costo
Il fornitore più vantaggioso non è quello che vende al prezzo più basso, ma colui che fornisce il
rapporto più basso tra prezzo e livello di performance desiderate dal committente. Il metodo più
utilizzato per valutare la convenienza di un fornitore è richiedere a tutti un preventivo e compararli, a
parità di caratteristiche. Se esse invece differiscono, si lavora attraverso i cosiddetti capitolati, ovvero
ogni specifica minima del prodotto/servizio da fornire descritta fino al minimo dettaglio.

Valutazione complessiva del fornitore
Nel caso in cui fornitori e committente abbiano già lavorato insieme in passato, l’esperienza pregressa
può fornire una base di valutazione. In caso contrario, la valutazione può essere ricavata dalla
reputazione che il fornitore ha sul mercato. Un’azienda può poi valutare alcune caratteristiche come
più importanti di altre, è quindi opportuno che tale analisi venga effettuata per parametri di
importanza che variano da azienda ad azienda. In base a essi quest’ultima deciderà se privilegiare
performance assolute o parametrarle ai costi della fornitura.

Determinazione del livello di fornitura adeguato
È utile conoscere la struttura dei costi del fornitore per capire se alcuni aspetti del suo lavoro possono
essere economizzati per ininfluenti sul prodotto finito. Lo studio di tali costi è uno degli aspetti su cui è
possibile ottenere sensibili economie se esiste un rapporto trasparente e collaborativo. A volte è
possibile valutare quali caratteristiche dell’offerta del fornitore determinano il suo prezzo, e se esse
non sono fondamentali per il cliente possono essere ridotte e il prezzo finale con loro. Il cliente può
anche rivolgersi a un fornitore dalle performance medie e insegnarli dove e come può migliorarsi.

Determinazione dei quantitativi di fornitura opportuni
I minimi di fornitura sono il quantitativo minimo che è possibile acquistare sotto il quale il fornitore
non accetta l’ordine o applica sovrapprezzi. I direttori acquisti tendono a non acquistare quando questi
minimi non sono raggiunti dal fabbisogno: se un’azienda vende un basso quantitativo di un capo, tanto
limitato da non raggiungere il minimo di fornitura dei materiali necessari per produrlo, a volte può
cancellare i pochi ordini ricevuti, in quanto preferisce non ordinare materiale che andrebbe sprecato
anche se ciò comporta una perdita di utile nelle vendite. La cosa migliore è confrontare il costo dei
minimi di fornitura alla eventuale perdita di utile e vedere quale cifra risulta minore. Quando si
trattano acquisti a lungo termine, destinati a prodotti che resteranno in vendita a lungo, i fornitori non
sono facilmente rimpiazzabili ed è bene fissare i prezzi di fornitura o parametrizzarli a indici di
comune accordo, ciò per ridurre al minimo i cambiamenti di prezzo ed evitare rialzi. Essi spesso sono
giustificati da complessità produttive emerse, mentre in altri casi costituiscono veri e propri ricatti a
cui il committente è costretto a cedere.

Quantità e frequenza degli ordini
Le direzioni produttive preferiscono fabbricare pochi grandi volumi dello stesso articolo,
principalmente per maggiore efficienza e minori costi, nonostante le controindicazioni (bassa
flessibilità, scarso servizio al cliente e coordinamento generale). Allo stesso modo le direzioni acquisti
preferiscono emettere pochi grandi ordini anziché piccoli e ripetuti. Ciò è logico quando si possono
ottenere sconti su quantità importanti e per limitare il lavoro di ufficio, e anche i fornitori preferiscono
ricevere ordini di questo tipo. A volte questa scelta è però un errore, le motivazioni a favore di ordini
più frazionati sono: spesso i magazzini di materie prime restano pieni di materiale inutilizzato;
controllare sistematicamente tanti piccoli arrivi è più efficace del controllo di grandi invii e migliora il
generale livello di qualità; ordinare volumi maggiori del necessario richiede esborsi finanziari
maggiori del dovuto; questo modo di lavorare è contrario al just-in-time (vedremo perché); infine,
abituare i fornitori a ricevere molti ordini di bassa entità migliora la flessibilità dell’intera supply
chain.

Le informazioni al fornitore
La trasmissione delle informazioni al fornitore è un altro aspetto importante: le aziende hanno tutto
l’interesse a informare i fornitori sul lavoro che verrà loro commissionato, in modo da migliorare
qualità, affidabilità e velocità generali del processo. Oggi grazie a Internet basta rendere accessibili ai
fornitori i dati del sistema informativo aziendale che sono di loro pertinenza, e più l’informazione è
corredata da altre valutazioni, più essa vale. Importante è la percentuale di vendite su cui è stato
calcolato il fabbisogno in confronto al totale atteso. Il fornitore così può avere una buona visione di
insieme dell’attività che dovrà eseguire nei suoi limiti massimi e minimi, e ciò lo agevola notevolmente.
Non è difficile costruire un sistema informativo adatto anche ai fornitori, domandandosi che
informazioni servano loro, chi sia in grado di fornirla e come integrarla al sistema stesso.

9 La produzione
Un tema così vasto verrà suddiviso in:
• Organizzazioni produttive
• Tecnologia di base della produzione di abbigliamento
• Programmazione del lavoro
• Controllo della produzione
• Coordinamento dell’attività produttiva con il resto della supply chain
Oggi nell’abbigliamento la produzione è gestita da linee di macchine da cucire secondo i concetti
tayloristici della catena di montaggio: il taglio del tessuto si è assai evoluto, ma la logica di produzione
è rimasta quella di cento anni fa. I problemi che ostacolano lo sviluppo tecnologico nell’abbigliamento
riguardano il fatto di lavorare su materiali deformabili e flessibili, quindi non facilmente manipolabili
da macchine, e la varietà di materiali, lavorazioni e prodotti finiti che riduce fortemente la ripetitività.
Sarebbero necessarie macchine estremamente flessibili e versatili, dato che i prodotti di abbigliamento
cambiano continuamente.

Le organizzazioni produttive
A prescindere dal settore, esistono diverse organizzazioni produttive variabili secondo la complessità
del prodotto e i volumi da fabbricare. I sistemi produttivi variano in base alla numerosità e diversità
delle fasi di lavoro, al numero e natura degli impianti e attrezzi necessari e alle competenze richieste. È
teoricamente possibile produrre un singolo articolo usando un unico operatore che conosce tutte le
fasi del processo e utilizzi una sola volta tutte le attrezzature necessarie, il che però sarebbe poco
efficiente, perché egli dovrebbe effettuare molte operazioni diverse, perdendo in velocità e
sottoutilizzando i singoli impianti. Meglio sarebbe che gli operatori lavorassero in continuazione
grazie a una diversa organizzazione del lavoro e a un flusso costante di prodotti di prodotti, che
richiederebbe manodopera numerosa. Per organizzare il lavoro in un flusso continuo è necessario
conoscere il tempo di produzione, come si svolge il lavoro stesso e il numero di fasi in cui è possibile
scomporlo, così si potrà organizzare e distribuire la manodopera. Il tempo di produzione è studiato dai
reparti di “Tempo e Metodi”, che grazi ad osservazioni fatte in condizioni di lavoro diverse definiscono
quale sia il tempo medio di produzione di un articolo: questo tempo può essere definito osservando la
produzione dall’inizio alla fine oppure grazie a una somma dei tempi delle operazioni elementari che
la compongono, a seconda delle situazioni. Si giungerà poi a una media delle possibili durate in
condizioni diverse, che diverrà il tempo standard relativo alla produzione. Nella realtà, sono da tenere
in conto anche aspetti come bilanciamenti di linea, efficienze e perdite di produttività, e la possibilità
tecnica di dividere il lavoro in fasi.

Job shop
Con job shop si intende la classica officina dove attrezzi e macchinari sono raggruppati in aree divise
secondo il tipo di operazioni che essi svolgono, qui il prodotto viene lavorato restando in una
posizione fissa, oppure spostato presso le aree secondo l’operazione in atto. Ciò che distingue questa
organizzazione è l’alta varietà delle lavorazioni possibili, unita a bassi volumi produttivi. Meglio
sarebbe spostare il prodotto in costruzione verso le strumentazioni e lavorazioni di cui ha bisogno, e
meglio sarebbe riunire in settori (appunto job shop) le professionalità e gli strumenti. Esiste una sorta
di organizzazione di questo tipo anche nell’abbigliamento, dove si usa il termine “a pacco”: le diverse
operazioni con le loro macchine e addetti sono divise in isole, e ogni isola produce il suo componente
poi riunito e assemblato ai restanti nel capo finito. Questo sistema, se comparato alla classica catena di
montaggio, comporta vantaggi e svantaggi: i primi riguardano la possibilità di specializzare ogni isola
in una lavorazione e controllarne la qualità senza bloccare la linea, i secondi invece riguardano il dover
coordinare e movimentare molti semilavorati verso isole diverse. Una legge storica della produzione
afferma che produttività e affidabilità aumentano all’aumentare della ripetitività.

Bilanciamenti dei tempi di produzione
Per potenziare le isole è bene che il tempo di esecuzione di ogni fase sia lo stesso, in modo che il flusso
del prodotto scorra senza accumuli. Ciò significa bilanciare la produzione, concetto valido sia nel
caso delle isole di produzione sia della catena di montaggio. Un operatore è detto jolly quando funge da
appoggio ad altri per un tempo limitato. Per risolvere altri problemi relativi ai bilanciamenti di linea si
usa il concetto aritmetico di massimo comune divisore: si identificano i tempi di fase di ogni sequenza;
si trova il massimo comune divisore di questi tempi, si dividono i tempi di fase per il massimo comune
divisore, trovando così il numero di risorse necessarie; si applicano tali risorse ai tempi di fase, che ora
risultano essere gli stessi. Il problema si crea quando il massimo comune divisore non corrisponde a
un tempo tecnicamente possibile (es. 1 min), perché il minimo tempo tecnico è maggiore. A questo
punto la soluzione può essere costruire più prodotti (es. 10) invece che uno solo: il tutto avrà 10 come
massimo comune divisore, e in questo modo si ottengono numeri finiti di risorse. Questo è un altro
motivo per cui le direzioni di produzione preferiscono lotti produttivi elevati: essi permettono
bilanciamenti delle linee più semplici ed efficaci.

Produzione a lotti
La produzione di abbigliamento avviene a lotti di capi dello stesso modello in più varianti di colore e
taglie. Per evitare errori, il lotto viene lavorato taglia per taglia, oppure colore per colore. Questo tipo
di produzione è a metà strada tra un jon shop e la produzione di massa: la complessità è alta e i volumi
sono cospicui, c’è alta variabilità ma le operazioni risultano molto ripetitive. Ciò permette di
organizzare gli strumenti e le attività di produzione in base al prodotto da processare, non come nel
job shop dove è il prodotto a muoversi attraverso le attrezzature. Esso passa direttamente per fasi
collegate, senza dover essere spostato tra i reparti. La linea singola prevede macchine in sequenza,
spesso collegate da un nastro trasportatore, la linea doppia abbina le macchine, mentre la linea scalare
assume la forma di una scala vera e propria.

Set up delle linee di produzione
I lotti produttivi devono essere cospicui per ridurre i costi di produzione, e questo è dovuto a due
fattori di efficienza: il settaggio della linea e le curve di apprendimento. Con il primo si intendono le
operazioni necessarie per passare dalla produzione di un articolo a quella di un altro. Queste attività
devono essere organizzate con attenzione per non causare lunghi tempi improduttivi e ridurre
l’efficienza totale di produzione, aumentandone i costi. I direttori di produzione tendono a ridurre i
settaggi al minimo indispensabile producendo lotti molto elevati, ma questo spesso si scontra con altre
svariate esigenze aziendali. La produzione spesso non accetta di frammentarsi, in quanto ciò
significherebbe più settaggi al posto dell’unico necessario. Il tempo del settaggio della linea, ovvero il
tempo necessario per disporre le macchine e alimentarle in base al capo da produrre, è uno dei
problemi di produzione più sensibili. Più articoli diversi un’azienda ha, più lotti produttivi deve
emettere, più set up dovrà eseguire.

Riduzione dei tempi di set up
Alimentare una linea significa porre i semilavorati e i componenti presso gli operatori che dovranno
utilizzarli: più tempo si perde in questo, minore risulta l’efficienza complessiva della produzione.
Questo problema esiste soprattutto nelle aziende di programmato, mentre il pronto moda di solito
produce lotti unici. Questo problema può essere ridimensionato attraverso un’accurata preparazione
dei materiali, in modo che il rifornimento sia veloce e unico, il posizionamento dei materiali del lotto
successivo vicino alle macchine, mentre quello precedente è ancora in lavoro, il ritiro progressivo delle
produzioni ultimate, una logistica di produzione studiata per ridurre al minimo gli spostamenti tra i
materiali e le macchine e la suddivisione del lavoro. Un metodo semplice ed efficace per risparmiare
tempo consiste nell’impostare tutte queste attività mentre la linea sta ancora lavorando il modello
precedente, è possibile avvicinare alla linea tutti i componenti del nuovo modello da produrre in modo
da poterlo iniziare subito, quando ancora il primo è in fase di esecuzione. In questo modo l’attività di
preparazione e allestimento della catena non inizia solo alla chiusura di un modello, ma avviene
progressivamente fase per fase.

Bilanciamento delle fasi di produzione nell’abbigliamento
Per bilanciare le attività di una catena è necessario studiare le fasi in modo che la loro durata sia
uguale. Possono essere utilizzati i metodi visti precedentemente, riguardanti la massima operazione
elementare comune, dividendo le fasi per essa in modo da individuare di conseguenza le risorse
necessarie. È possibile bilanciare una linea anche ponendo in parallelo più risorse nelle fasi lente, in
modo che l’output complessivo risulti più veloce: esse vengono potenziate in base al loro tempo di
smaltimento del lavoro. Un altro bilanciamento possibile viene applicato quando le macchine non sono
diverse e le operatrici sono in grado di compiere più lavorazioni: si possono abbinare le fasi più veloci
a quelle lente, in modo che quando le prime si scaricano di lavoro possano assistere le seconde,
velocizzando il flusso totale delle fasi accoppiate. Per fare ciò è necessario che le operatrici siano il più
possibile vicine fra loro. Si evidenzia che esiste una forte differenza di costo tra un set up di linea e un
errato bilanciamento: quest’ultimo può essere molto più oneroso, è quindi conveniente perdere più
tempo nel settaggio per bilanciare perfettamente una linea piuttosto che affrettare il set up e avere
successivi squilibri nel flusso produttivo. Il costo del set up di linea è reale ma limitato, e maggiore è il
numero di capi da produrre, maggiore deve essere anche l’attenzione al bilanciamento di una linea.

La produzione di massa
La produzione di massa è usata quando si devono produrre pochi tipi di prodotto in alti volumi.
Costruire linee dedicate risulta economico, in quanto i risparmi di tempo e di efficienza su volumi
molto elevati superano il costo della linea stessa (es. la produzione automobilistica). Quando esiste
una variabilità contenuta si inseriscono in linea, durante il processo o al termine di esso, alcuni
macchinari o operai in grado di modificare il modello base.

La produzione continua
La produzione continua si applica quando un’azienda è monoprodotto e tutta la sua impiantistica è
costruita per esso, non esiste variabilità e la produzione è illimitata. Alcuni produttori di cotone e
tessuti standard adottano questo metodo.

Tecnologia di base della produzione di abbigliamento
Le fasi consuete in cui si divide il processo produttivo dell’abbigliamento sono:
• Fornitura dei materiali;
• Controllo dei materiali;
• Taglio (confezione) / tessitura (maglieria);
• Cucito;
• Controllo finale, stiro e imbusto;
Vi sono forti differenze tra maglieria e confezione che richiedono modalità costruttive molto diverse.
La maglieria sfrutta i telai, mentre la confezione le macchine da cucire.

Materiali
Il procedimento della concia delle pelli è antichissimo, e oggi viene effettuata industrialmente. Anche la
produzione di filati e tessuti ha una storia antica, sebbene più recente dell’uso della pelle. Il cotone fu
scoperto e importato dall’India da Alessandro Magno nel 300 a.C. circa, mentre la seta fu importata in
Italia dalla Cina solo verso il 1200. Il bottone sembra essere nato in Giappone, mentre la cerniera
lampo è stata inventata negli USA nel 1893.

Fibre e filati
Ogni tessuto nasce da un filato, e ogni filato nasce da una fibra. La fibra è un pelo che deve essere lungo
almeno un centimetro per poter essere filato. Le fibre solitamente si presentano sotto forma di fiocco,
il quale deve essere dipanato con la pettinatura (se la fibra è lunga) oppure con la cardatura (se corta).
Entrambi i processi puliscono le fibre dalle impurità e le dispongono nello stesso verso, rendendole
lavorabili. Esse vengono poi compattate attraverso dei rulli fino ad essere ridotte a stoppini, i quali
vengono filati. La filatura è un processo sia di torsione che di stiratura: la prima rende le fibre più
robuste perché le arrotola su di esse, inoltre attraverso questi processi vengono unite tra loro le
singole fibre creando la lunghezza del filato. La sezione del filato è detta titolo. La natura della fibra di
partenza, il grado di torcitura del filato e il titolo sono le principali caratteristiche tecniche del filato
stesso. Le fibre possono essere animali (lana, seta), vegetali (cotone, lino), artificiali (viscosa, nylon,
poliestere) o sintetiche. Tra le lane più pregiate vanno citate il mohair, la lana Merino’s e il cashmere.
La seta si ottiene dipanando il bozzolo del baco, essa infatti è la bava che l’insetto ha prodotto. Il
cotone è una fibra tessile a fiocco che copre il seme della pianta da cui proviene. La lana “scalda” più
del cotone perché i due materiali creano un diverso isolamento del corpo rispetto all’esterno, dovuta
all’alta percentuale di aria (pessimo conduttore di calore) trattenuta nel filato di lana. Le fibre
artificiali sono ottenute partendo da materiali naturali, vegetali o anche minerali. Le fibre sintetiche
sono sintesi da derivati del petrolio, il pile per esempio proviene dal riciclo della plastica usata per le
bevande. Le fibre possono utilizzarsi in molti tipi di filato, che variano in base ai procedimenti con cui
sono costruiti: esistono filati ritorti tra loro, altri usati per cucire capi finiti (cucirini), filati moulinè
(singoli e di diverso colore, ritorti tra loro per dare un effetto policromo) e filati melange in cui la
policromia è ottenuta a partire da fibre multicolore.

I tessuti
L’industrializzazione della produzione di tessuti si deve al telaio automatico di Northrop, inventato a
fine Ottocento. Il concetto fondamentale della tessitura consiste nel fatto che gli incastri donano
solidità al manufatto. La tessitura infatti si ottiene tramite l’intreccio di un filo verticale chiamato
ordito con uno orizzontale detto trama: le trame incrociano gli orditi attraverso un meccanismo detta
navetta, passando sopra ad alcuni e sotto ad altri. Gli orditi vengono alzati e abbassati dai licci (denti
del telaio) per permettere il passaggio della trama. Essa non sempre intreccia ogni filo di ordito: a
volte ne salta alcuni, e in questo caso di parla di diversi tipi di armatura. Quando il tessuto è
completato può essere soggetto al finissaggio, ovvero a trattamenti conclusivi per conferirgli aspetti o
consistenze diverse. Il tessuto può essere pettinato per togliere pelurie di fibra che escono dalla
superficie, oppure al contrario può essere garzato per sollevare i peli e dare un aspetto più morbido e
vaporoso. Altre volte il tessuto può essere goffrato, ossia passato tra cilindri con motivi stampati in
rilievo, la cui pressione unita al calore fa sì che il fondo assuma in modo permanente l’impronta.

Controllo dei materiali, qualità e determinazione del campione corretto
I migliori processi di controllo della qualità richiedono che essa sia verificata prima e durante la
produzione. Quando un materiale è difettoso è importante scoprirlo immediatamente, perché è raro
che più avanti nel processo vi sia tempo per rifarlo/correggerlo. Il controllo a prodotto ultimato è utile
solo per ottenere sconti o rimborsi da chi ha causato il difetto, o per evitare di consegnare articoli
sbagliati. Esso è uno spreco di tempo e risorse, dato che il controllo preventivo e durante la
produzione permette di evitare scarti e rilavorazioni. Molti fornitori non gradiscono controllo quando
vanno in produzione, e alcune aziende hanno risolto il problema acquisendoli. Alcuni strumenti per
assicurarsi la qualità possono essere: definire in estremo dettaglio insieme al produttore le
caratteristiche che la fornitura dovrà avere; creare articoli campione da prendere come paragone in
caso di contestazioni; farsi inviare campione di come la produzione stia procedendo quando i suoi
tempi sono molto lunghi; controllare la fornitura ricevuta. Nell’abbigliamento le penali in caso di
fallosità adottate dai clienti per salvaguardarsi non sempre sono efficaci, e spesso riguardano aspetti
non oggettivamente giudicabili. Se i controlli fossero effettuati a inizio fabbricazione vi sarebbe il
tempo materiale per intervenire, ma quando i controlli finali sono l’unica possibilità esso può essere
eseguito sul totale della fornitura o a campione. Definire il campione significa capire quale percentuale
di controllo sia sufficiente per valutare con attendibilità la qualità l’intera fornitura, ovvero ogni tipo di
bene che un’azienda può ricevere e di cui la qualità è importante. Un calcolo probabilistico non esclude
però la possibilità di tralasciare difetto, la rende solo meno probabile. La statistica si concentra su
alcuni aspetti che definiscono quali dimensione debba avere un campione affinché esso sia
rappresentativo di un fenomeno, come la varianza del fenomeno stesso (possibilità che le
caratteristiche di un prodotto si discostino da una certa media) e il livello di affidabilità che si
desidera. Nel nostro caso, la varianza è data dalla maggiore/minore affidabilità gestita dal fornitore,
dalla conoscenza ed esperienza nella lavorazione richiesta, e dalla maggiore o minore difficoltà. Le
dimensioni più opportune del campione dipendono da parametri diversi e dal livello di difettosità che
si è disposti a tollerare. Nella realtà, è buona norma usare campioni molto alti quando si è di fronte a
fornitori nuovi e lavorazioni poco conosciute. Questi ragionamenti portano a quantificare solo la
difettosità attesa e il campione di riferimento, e non a individuare dove essa si celi. Un metodo usato è
quello del controllo progressivo: viene controllato un campione abbastanza elevato di una partita, se
questo evidenzia una difettosità entro i limiti tollerati allora viene accettato, se invece la difettosità è
alta si divide la partita in più parti e per ognuna si ripete il controllo, e così via dividendo sempre in
parti più piccole e ripetendo il procedimento in caso di persistenze di alte percentuali di difettosità. La
grandezza dei campioni, la percentuale ammessa e il numero di parti e di volte in cui si ripete il
procedimento dipendono dalla quantità della partita di partenza e dalla precisione che si vuole
raggiungere. È sempre opportuno prelevare qualche campione da diversi punti del cartone quando si
riceve la merce. Una regola fondamentale è che il controllo di qualità è efficiente ed efficace solo se
rilevazioni vengono registrate e conservate per poter procedere a futuri raffronti e riscontri. I giudizi
devono essere quantitativi e non qualitativi, la tenuta di questi dati permette di identificare le
tendenze, ossia se i livelli di difettosità del fornitore x stanno migliorando o peggiorando, e di
effettuare confronti. Il controllo dei tessuti avviene con le specule (telai che li svolgono, oggi in gran
parte automatizzati e muniti di software in grado di riconoscere le fallosità).

Il taglio
Dopo il controllo, il tessuto viene tagliato nei diversi pezzi che compongono il capo finito. Le
dimensioni variano a seconda delle taglie contenute della scheda tecnica del prodotto
precedentemente compilata durante il processo di l’industrializzazione del capo. Il taglio viene
effettuato da una macchina composta da un piano di taglio, la superficie dove verrà steso il tessuto da
tagliare, un dispositivo di taglio e un software di tipo CAD in cui vengono inserite le misure dei pezzi da
tagliare. Per procedere al taglio è necessario conoscere le dimensioni del piano di taglio, l’altezza del
tessuto, la quantità dei capi da tagliare, i pezzi che li compongono e le loro dimensioni. Il CAD così è in
grado di programmare il taglio cercando di utilizzare al meglio il tessuto evitando sprechi, inserendo il
maggior numero di pezzi possibili da tagliare. Nella realtà, vengono tagliati molti più capi di quanti
possano essere contenuti sulla superficie di un piano di taglio: si creano i materassi, ovvero si
sovrappongono diversi strati di tessuto che vengono tagliati per mezzo dello stesso grafico di taglio. I
capi contenuti nel grafico moltiplicati per gli strati di tessuto sovrapposti danno il totale di capi
tagliati. Successivamente i pezzi vengono riuniti per tipologia nelle mazzette e avviati al cucito. Il taglio
laser è preciso e veloce rispetto alla sega a nastro, anche se più costoso e spesso rischia di bruciare i
bordi di alcuni tessuti particolari. Altro problema riguarda la rigidità di alcuni fondi, difficilmente
sovrapponibili a più strati e per questo da tagliare uno alla volta.

La tessitura nella maglieria
Nella confezione prima si tesse un tessuto, poi lo si taglia e lo si cuce per formare il capo finito, nella
maglieria invece il capo si ottiene dalla tessitura stessa. Altra differenza tra confezione e maglieria è
che la prima utilizza linee di macchine da cucire gestite dal personale, mentre la seconda telai
meccanici in cui il fabbisogno di manodopera è ristretto. I telai della maglieria sono grandi pettini
automatici dotati di linee di aghi attraverso cui il filato passa e viene annodato, creando la maglia. Essi
possono essere rettilinei (maglie piane) o tubolari (maglie circolari). I telai rettilinei possono produrre
pezze di maglia lunghe, o già sagomate secondo le forme del campo: in questo caso di parla di maglia
calata o diminuita. La maglia in trama è costituita da un unico filo che si annoda su se stesso, mentre la
maglia in catena è prodotta con nodi tra più fili che le donano rigidità. È un errore associare
univocamente la maglia alla lana: la maglieria è un processo produttivo, non un materiale.

Il cucito
Nel settore dell’abbigliamento questa fase si basa ancora sulla macchina da cucire. La prima ad avere
una certa diffusione fu inventata in Francia nel 1830, ma fu nel 1851 che Isaac Singer inventò la
prima con caratteristiche industriali. Esistono macchine da cucire rettilinee, a zig-zag, a due aghi o
travettatrici (che eseguono cuciture forti nei punti in cui è necessaria una maggiore tenuta del capo).

La programmazione del lavoro
Ogni attività produttiva deve programmare il lavoro futuro sulla base di 4 parametri:
1. Volume di lavoro da eseguire (noto o ignoto);
2. Scadenze di consegna da rispettare (diverse se si produce per cliente o per magazzino);
3. Capacità produttiva disponibile (finita o flessibile, se non si può ampliare è opportuno
sfruttarla al 100% per non avere costi di lavoro improduttivo. Sarebbe inoltre buona cosa
disporre di strumenti e competenze differenti);
4. Disponibilità di materie prime (non si produce nulla senza materiali, la programmazione
varia a seconda che si possieda una scorta o se essi devono essere ordinati);
Dopo la definizione die campionari e in base alle quantità previste dal budget di vendita si studia una
previsione di massima dei volumi di acquisto dei materiali necessari e della capacità produttiva
richiesta. I fabbisogni di materiale per un campo vengono moltiplicati per il budget previsto, dando
luogo alla previsione totale dei materiali. I tempi in minuti di lavorazione per fase di un capo vengono
moltiplicato per il budget, ipotizzando il carico di lavoro. Con questi dati, che sono comunque da
verificare, si può programmare il lavoro dei fornitori e dei centri produttivi. Questo processo viene
ripetuto per ogni articolo compreso in campionario, e la loro sommatoria creerà i fabbisogni
complessivi. Vengono programmati prima gli ordini retail attraverso il medesimo meccanismo,
contemporaneamente le vendite wholesale crescono, il monte di ordini incrementa così come i dati
certi su cui limare la programmazione. Il timing (rispettare i tempi commerciali dell’azienda) è
fondamentale. È necessario che la capacità produttiva aziendale sia adeguata al carico di lavoro e al
tempo disponibile, e va bilanciato il tempo di attesa che i clienti sono disposti ad aspettare per la
consegna di un prodotto con il tempo per fabbricarlo e spedirlo. A questo scopo possono tornare utili
le previsioni di vendita e le priorità di consegna: in generale, più un articolo è imprevedibile, più tardi
è opportuno produrlo, e viceversa. Il continuativo è il tipo di articolo ideale da far produrre nel Far
East: la produzione di Cina, India, Vietnam ecc. oggi ha sovente livelli di qualità adeguati agli standard
europei, anche se richiede lunghi tempi di spedizione e sdoganamento, inoltre è organizzata per
fabbricare lotti elevati. La priorità di spedizione è un altro aiuto alla programmazione: l’arco di
consegne è ampio e ogni cliente ha esigenze proprie, la scadenza non è mai univoca per tutti, e per
questo la consegna può essere organizzata, posticipata o unificata per data per livellare il carico di
lavoro per periodo.

Criteri di priorità di produzione e di consegna
Più un articolo è conosciuto e continuativo, meno sarà rischioso produrlo in anticipo, mentre più è di
tendenza più sarà soggetto a variabilità, ed è perciò opportuno produrlo il più tardi possibile. Più un
articolo è costoso, maggiore è il suo rischio in caso di produzione errata rispetto alle vendite effettive.
Normalmente la priorità di consegna di un cliente è data dalla sua richiesta, ma anche dalla sua
importanza: è bene soddisfare in anticipo i clienti principali e vip. Moltiplicando fra loro i valori di
priorità dei clienti per quelli di priorità dei capi all’interno di tabelle apposite, otterremo le indicazioni
di priorità complessivi per capo/cliente. Va detto che le priorità frammentano la produzione, pertanto
sono controproducenti, ma si rivelano l’unica opzione possibile quando si lavora con limitata
disponibilità di materiali, di tempo e di capacità produttiva, perché non si può fare tutto insieme.

Produzione in linea e in parallelo
Fino a qui si è ragionato in una logica sequenziale del lavoro, dove i diversi modelli sono prodotti uno
dopo l’altro. Molto spesso però si lavora in parallelo e contemporaneamente su più articoli. Entrambe
le opzioni godono di vantaggi e svantaggi, e la scelta dipende dalla realtà tecnica e di mercato della
singola azienda. La lavorazione in linea comporta vantaggi di costo, è semplice da gestire e controllare
ed è meno sottoposta a rischi di inattività. Le linee in parallelo comportano duplicazioni di strumenti e
persone e rischiano di essere sottoalimentate per mancanza di lavoro, esse però permettono la
fabbricazione simultanea di più articoli. Nell’abbigliamento è imperativo che la consegna dei modelli
avvenga in modo coordinato, e la lavorazione in parallelo è in grado di ridurre drasticamente i tempi di
consegna. Altro argomento a favore della seconda è che si rivela più sicura in caso di problemi: se si
crea qualche inconveniente, esso compromette un solo articolo e non l’intera catena di produzione.

Produzione per il magazzino e per il pronto moda
Produrre per il magazzino significa produrre capi da mettere a scorta e da vendere e consegnare
quando richiesti. In questo caso l’elasticità è maggiore, e i tempi e le scadenze non sono stringenti, si
può produrre quando è disponibile una certa percentuale di capacità produttiva senza dipendere da
informazioni di vendita. È comunque necessaria una buona conoscenza del mercato per capire quali
dimensione dare al lotto di produzione per lo stock. Una terza modalità di consegna rispetto a quella
per il magazzino e a quella relativa ad ordini ricevuti è quella del pronto moda: si produce senza dati di
vendita alla mano e non capi continuativi da tenere in magazzino, bensì capi stagionali da consegnare
al più presto nei negozi. Questa è la modalità produttiva più difficile e rischiosa, per questo è bene
produrre lotti ridotti, e riprodurre i modelli che riscuotono maggiore successo a seconda delle
necessità. Vista la loro imprevedibilità, questi articoli devono essere prodotti il più vicino possibile ai
periodi di vendita per far sì che siano aderenti alle ultime tendenze.

Come gestire la variabilità dei volumi produttivi
La condizione ideale per ogni sistema produttivo sarebbe poter contare su volumi di produzione
costanti e invariabili: il just-in-time, metodo giapponese, è basato proprio sulla ricerca di stabilità dei
suddetti volumi. Ovviamente nel settore moda questo desiderio non è esaudibile. La capacità
produttiva di un’azienda può essere fissa o variabile, e spesso si crede erroneamente che l’outsourcing,
ossia l’utilizzo di fornitori esterni, aumenti la flessibilità. In realtà, flessibilità e alta utilizzazione degli
impianti non si conciliano: un’azienda che lavori vicino al 100% delle sue possibilità non può
modificare i propri ritmi/prodotto se non creando code di lavoro in attesa. Quando si lavora in
condizioni che richiedono flessibilità è necessario essere produttivamente sovradimensionati. La
flessibilità inoltre costa. Attente gestioni e suddivisioni possono migliorare la flessibilità di un’azienda,
e un’altra legge fondamentale riguarda la specializzazione, che riduce la flessibilità, mentre la
standardizzazione la aumenta. Più il personale è specializzato, più le macchine sono specifiche, meno
flessibile sarà l’azienda, meno capace cioè di variare sia i suoi ritmi produttivi che le specifiche dei suoi
prodotti. La flessibilità può essere ottenuta quindi standardizzando le lavorazioni, i materiali, i capi
finiti, ampliando le competenze delle persone, le possibilità dei macchinari e gli utilizzi delle materie
prime. La flessibilità produttiva è conseguente a:
• Tipo e capacità produttiva: più essa saprà dimostrarsi versatile, più flessibile sarà la
produzione;
• Capacità di previsione: maggiore è l’orizzonte temporale che si può prevedere, maggiore è la
possibilità di variare efficacemente i volumi e tipologie di prodotti;
• Standardizzazione: maggiore è l’uniformità, maggiore è la facilità di cambiare le produzioni;

Programmazione di produzione in base alle disponibilità e agli ordini di materie prime
Ultimo aspetto fondamentale nella programmazione è la disponibilità di materie prime. Il loro
fabbisogno viene quantificato grazie all’MRP, generato dal confronto tra le distinte basi degli articoli e
la loro domanda. Disporre al più presto dei materiali è la condizione primaria per agevolare la
programmazione del flusso produttivo. Esistono diversi modi di ordinare i materiali in relazione al
momento in cui si agisce:
• Ordini al “buio”: sono fatti senza disporre di dati di vendita e perciò pericolosi. Sono decisi non
appena la collezione è definita e solo per i materiali meno rischiosi;
• Ordini su proiezione: eseguiti proiettando i dati di vendita emergenti da venduti parziali. Il
rischio è minore perché si parte da una base di venduto effettivo;
• Ordini a consuntivo: vengono redatti a chiusura vendite, il loro margine di rischio è
praticamente nullo;
• Ordini bulk: sono impegni di acquisto di determinate quantità di materiali o capi finiti di cui si
specifica solo il quantitativo, senza dettagliare i colori o gli articoli precisi. Sono utili quando i
fornitori devono approvvigionarsi di materie base o programmare produzioni in anticipo;

Una produzione concentrata, in generale, costa più di una diluita. Maggiore è la capacità di previsione,
maggiore è il tempo di produzione disponibile, minore sarà il volume di produzione per periodo e di
conseguenza anche il costo di produzione. I vincoli della pianificazione delle operation sono quini la
quantità da produrre, capacità produttiva a diposizione, scadenze di consegna ai clienti finali e
disponibilità di materie prime. Si tratta di costruire un’equazione quasi matematica a quattro variabili
che deve dare una soluzione che meglio le ottimizzi. Il problema è che al momento della pianificazione,
due di queste quattro variabili sono ignote: ogni azienda conosce solo la propria capacità produttiva e i
tempi di consegna dei materiali. La quantità da produrre e le scadenze di consegna si apprendono solo
durante le vendite, quindi l’informazione completa si ha solo alla chiusura di queste ultime.

Il controllo della produzione
Spesso controllo e qualità sono concetti assimilati, e si pensa che si effettuino controlli solo per
assicurarsi della qualità. Il che è vero, ma non esaustivo: il controllo deve vigilare sull’intero processo
affinché sia i tempi sia i costi siano ridotti e in linea con le attese. Maggiore è il tempo di processo di un
prodotto/servizio, maggiore è anche il suo costo. Dal punto di vista finanziario, il tempo intercorrente
tra il pagamento delle risorse necessarie per produrre un articolo e l’incasso per la vendita è sensibile:
questo tempo ha un costo dato dal capitale immobilizzato in quel prodotto. Ogni prodotto infatti ha un
costo finanziario dato dal costo del capitale richiesto per produrlo, moltiplicato per il tempo
necessario finché esso non determina reddito:
costo del prodotto x costo del denaro per l’azienda x 1/(12/mesi di stock)
Quando il tempo di pagamento concesso dai fornitori è maggiore del tempo di stock più il tempo di
incasso dai clienti, si ha addirittura un ricavo positivo. La regola base della dinamica finanziaria è:
maggiore è il tempo di produzione, di stoccaggio e di incasso e minore è il tempo di pagamento ai
fornitori, maggiore risulta il fabbisogno finanziario dell’azienda.

Produttività
Quando si parla di produttività la si associa spesso all’impiego nel lavoro della manodopera e degli
addetti. Ciò è certamente una condizione necessaria, ma non sufficiente: se gli impianti non sono
efficienti o se l’organizzazione del lavoro non è efficace, la produttività resterà bassa a prescindere
dall’impegno dei lavoratori. La produttività può essere espressa in numero di capi prodotti nell’unità
di tempo oppure throughput time, il tempo di transito di un prodotto/servizio nel suo processo
produttivo, cioè quanto tempo il prodotto/servizio impiega per essere realizzato. Oltre all’aspetto
economico e finanziario, va ricordato che la produzione nella moda deve anche rispettare requisiti di
velocità.

Riduzione dei tempi improduttivi
La riduzione dei tempi improduttivi delle risorse è un altro aspetto fondamentale. Vanno eliminati i
tempi morti, ossia le fasi improduttive in cui il prodotto attende che la fase successiva venga eseguita.
Il ciclo di vita di ogni articolo è formato da tanti passaggi: alcuni produttivi, che aggiungono valore al
manufatto, e altri improduttivi. Il tempo passato in attese improduttive è spesso dominante, ma è
possibile ridurre i tempi morti attraverso un attento coordinamento del processo e della logistica che
deve coinvolgere tutti i settori. Il problema è come eseguire tale coordinamento. Esiste un aspetto
fondamentale che rallenta la produzione su cui intervenire: si tratta dei colli di bottiglia, ossia fasi di
produzione più lente di altre che rallentano il processo complessivo. Se il processo è costituito da più
fasi in sequenza dove una o più di esse sono più veloci di altre, allora il tempo totale del processo viene
compromesso. Queste problematiche assumono dimensioni e costi rilevanti quando si producono lotti
industriali di capi, e possono essere risolte attraverso bilanciamenti di linee, quindi inserendo
postazioni con maggiore o minore potenzialità secondo la fase di lavoro. Un’altra legge fondamentale
delle operation è che in un processo che consta di più fasi in sequenza a durata diversa il tempo di
esecuzione complessivo è dato dalla fase più lenta. Molto spesso i tempi di lavorazione si dilatano, ciò
accade per svariate ragioni: difficoltà di dividere il lavoro tra i lavoratori (spesso non è possibile
spartire i minuti in modo eguale tra gli operatori tecnici); tempi persi nella preparazione della linea;
mancanza di organizzazione interna (accade quando una linea viene interrotta per produrre qualcosa
di urgente, per revisionare una macchina, per correggere un difetto… questi sono casi di gestione che
compromettono il lavoro, e più un lotto è cospicuo e più persone impiega, più è necessario che proceda
senza interruzioni o rallentamenti, sia per il costo che per l’efficienza della produzione); errato
concetto di efficienza utilizzato (quando si definisce il tempo standard di produzione di un qualsiasi
bene si eseguono più prove in ambienti e condizioni diverse, poi si rileva la media e a questa si applica
un margine definito efficienza). La riduzione dell’efficienza può presentarsi in diversi momenti o fasi
del processo, e ad essa è sempre associato un flusso di lavoro. Il fenomeno è molto rilevante, e
l’efficienza va tenuta sotto controllo riducendo al massimo le differenze tra diverse performance
durante il flusso complessivo, evitando così che le fasi a monte lavorino meno di quelle a valle,
compromettendone la produttività. In qualsiasi processo in cui più fasi siano in sequenza è inutile che
le ultime siano più veloci (più efficienti) delle prime: meno lo sono le fasi a monte, più negativo sarà il
loro influsso sulle performance di tutto il processo. Questo problema è comune a tutti i processi di
produzione di beni, e ha influenze e conseguenze su servizi e tempi di attesa.

L’efficienza come prodotto delle performance
Sappiamo che quando un evento dipende da una serie di fattori legati tra loro, il suo esito complessivo
non sarà pari alla media delle performance dei singoli fattori, ma al loro prodotto (come nel caso della
difettosità).

Il coordinamento dell’attività produttiva con il resto della supply chain
Quando per la produzione di un capo sono necessari più fornitori che hanno diverse affidabilità, la
probabilità di avviare la produzione nel rispetto di quanto programmato è il prodotto delle affidabilità
di consegna dei fornitori stessi. Nell’abbigliamento a volte si avviano produzioni senza disporre di tutti
i componenti e si produce coi cosiddetti mancanti: ciò permette di avviare il processo, ma è difficile da
controllare e può provocare caos.

Quanto e quando produrre
Il budget di vendita/le vendite effettive alimentano sia gli acquisti di materie prime dei fornitori che i
programmi dei centri di produzione. Il quanto produrre sarà da rettificare secondo le efficienze e i
bilanciamenti di linea, da calcolare in base alla realtà produttiva e alla possibilità di suddivisione delle
fasi di fabbricazione. Il quando invece dipende da diversi fattori: data di arrivo dei materiali, data di
consegna dei prodotti finiti, natura dei capi da produrre e loro destinazione. I capi ultimati vengono
versati a magazzino, da cui verranno prelevati per la spedizione al cliente. I tempi di permanenza dei
capi e delle materie prime sono indici di efficienza della supply chain complessiva. Se i capi destinati a
un cliente restano in giacenza molto tempo significa che potevano essere prodotti dopo, quindi
qualcosa non ha funzionato nella programmazione. Stessa cosa dicasi per le materie prime, che
potevano essere ordinate successivamente. Spesso le giacenze sono dovute a errate previsioni di
vendita: il volume di merce presente nel magazzino può essere un indicatore della capacità aziendale
nel programmarsi.

Controllo della supply chain complessiva
Un controllo efficace del processo complessivo deve verificare che i flussi avvengano secondo le
scadenze, che quantità e qualità siano rispettate, prevedere opzioni alternative in caso di disfunzioni,
istituire priorità di lavoro, evitare giacenze inutilizzate e colli di bottiglia. La funzione stessa del
controllo è verificare che la programmazione sia corretta e venga rispettata: programmare significa
prevedere i fattori di produzione necessari per fabbricare i capi nei tempi richiesti dal mercato e
compatibilmente con gli arrivi dei materiali dai fornitori. La programmazione deve creare una
schedulazione di attività che soddisfi i vincoli, mentre il controllo deve verificare che essa venga
rispettata. Il controllo più efficacie si esprime durante il lavoro, e le attività da controllare spesso sono
di più rispetto alle risorse aziendali disponibili per il controllo. È importante perciò istituire priorità di
controllo basate sull’importanza delle posizioni da controllare nell’ambito del processo produttivo. Il
rispetto delle quantità, dei tempi di consegna e della qualità sono altri aspetti fondamentali, ed
eventuali errori e mancanze devono essere segnalati tempestivamente, altrimenti si crea un
precedente, il fornitore non riceve osservazioni e si rischia che un modo di fare sbagliati diventi
generalizzato, non si comprenderebbe più quali sono gli errori e dove si sono verificati, causando la
perdita di controllo del processo intero. Inoltre, spesso i pochi che segnalano inconveniente vengono
percepiti come ostili: la segnalazione di una disfunzione a monte non deve essere esposta e recepita
come una critica, se così avviene si crea conflittualità e chiusura tra reparti e questo è uno dei peggiori
rischi a cui può essere esposta l’efficienza di una supply chain. Non devono esistere accuse o difese, ma
solo informazioni e soluzioni. Un basso servizio al cliente nasce sempre da un basso servizio che si è
verificato tra gli operatori della supply chain o da un errore progettuale. Prepararsi a possibili
problemi è altrettanto importante in quanto ognuno di essi provoca conseguenze sensibili sulla qualità
e/o sui tempi di consegna. Nel settore la maggioranza di essi è dovuta o alla performance dei fornitori
o alle caratteristiche costruttive del prodotto. Esiste una sorta di Legge di Murphy nella moda, ossia
che più il cliente è importante, più il suo ordine sarà tardivo. Infatti, più le previsioni sono effettuate in
anticipo rispetto al momento della vendita e più alta è la probabilità di errore, e anche i compratori ne
sono a conoscenza. Chi deve programmare o eseguire il lavoro si trova spesso a dover gestire impegni
imprevisti e urgenti. Le aziende in queste situazioni devono prevedere una certa flessibilità, ottenibile
soltanto mantenendo la propria capacità produttiva al di sotto del 100%. Infine, la velocità è l’anima
della moda e la stagnazione di merci e informazioni si rivela il principale ostacolo alla rapidità di
esecuzione.

Analisi delle scorte
La cultura produttiva giapponese ha affrontato e in parte risolto il problema delle scorte studiando
come ridurle prima, durante e dopo il processo. Le scorte infatti aumentano il tempo di permanenza di
un prodotto/servizio nel processo produttivo e nascondono l’inefficienza del processo stesso. Una
scorta si crea quando due fasi lavorano a ritmi differenti, quando gli acquisti sono più veloci della
produzione o superiori alle vendite. Tutte queste sono situazioni negative per l’efficienza e l’economia
di un’azienda, e la riduzione di scorte costringe i settori a una maggiore integrazione. Questa è
l’essenza della teoria della riduzione delle scorte: vietare o ridurre le scorte migliora il processo,
perché lo costringe a esaminarsi per meglio tararsi e coordinarsi. Gli utenti in attesa possono essere
visti come “scorte umane”. In rari casi le scorte sono opportune e giustificate: quando si fa scorta di
continuativi per il magazzino, quando si possono avere forti sconti per l’acquisto di quantità superiori
al fabbisogno o quando si prevede un aumento del prezzo. Esiste un dibattito su quali scorte siano
giuste e quali invece debbano essere eliminate o ridotte. Le scorte sono un costo, in quanto più un
prodotto resta nel ciclo produttivo, più il capitale impiegato per la sua produzione non viene
remunerato; sono un rischio, soprattutto per le aziende ad alta variabilità di vendita. D’altro canto,
possono anche migliorare la reattività aziendale creando un serbatoio di materiali pronti per essere
utilizzati nel momento del bisogno. Il coordinamento del processo non può prescindere quindi dal
monitoraggio delle scorte, e interrogarsi su come ridurle (tema già affrontato in diversi punti).

La lentezza decisionale
Anche le scorte di informazioni devono essere ridotte, ed è meglio disporre di un’informazione
grossolana ma tempestiva piuttosto che di una precisa e dettagliata, ma non attuale. Non comunicare
fa sì che rimangano scorte di informazioni inutilizzate. La più importante di queste riguarda le
decisioni: una delle più gravi cause di rallentamento di ogni processo è la lentezza nel decidere. Il
ritardo nel prendere provvedimenti rallenta tutte le azioni che scaturiscono da esso, e un buon metodo
per evitare questi ritardi è studiare a priori e identificare con precisione quali sono le informazioni
necessarie per prendere una decisione, raccoglierle e non appena sono disponibili prendere una
decisione.
Analisi corretta delle informazioni
Il controllo della supply chain complessiva comprende tutta la catena, dai fornitori ai negozi clienti.
Diventa fondamentale quindi la gestione delle informazioni, ed esse vanno distinte in base a qualità e
quantità. Pur giungere a valutazioni utili e corrette è necessario prelevare e associare solo le
informazioni rilevanti: qualità di informazione significa saper scegliere e associare i dati rilevanti
secondo le diverse valutazioni e decisioni da prendere.

Bilanciamento delle attività di supply chain complessiva
Il problema della diversità di output tra le fasi è tanto maggiore quanto lo è la divisione e la
specializzazione del lavoro tra di esse. Esiste un’altra legge fondamentale: se si vogliono migliorare i
risultati di una catena è necessario modificare i suoi componenti più lenti, perché in presenza di essi è
inutile incrementare quelli più veloci. Molto meglio aumentare il livello dell’intero complesso,
intervenire sugli sprechi, potenziare le fasi più lente e ridurre quelle più veloci.

Aspetti organizzativi del controllo
Esistono due scuole di pensiero che studiano come ottenere alti livelli di controllo, produttività ed
efficienza: una è americana, l’altra giapponese. L’americana è basata sylla tayloristica frammentazione
e standardizzazione del lavoro; quella giapponese al contrario propone l’ampliamento delle mansioni
del lavoratore come condizione di base per aumentarne il coinvolgimento e la motivazione. Esistono
lavoratori che non ambiscono o che non sono in grado di svolgere impegni complessi, mentre altri
lavorano bene solo in questa situazione.

10 La lean production nell’abbigliamento
La lean production è un metodo di gestione della supply chain che ha dato grandi risultati
all’industria giapponese e che poi si è diffuso in tutto il mondo. La sua filosofia di base è semplice, ma
l’implementazione è complicata. Di solito i metodi di gestione sono studi generali oppure procedure
tecniche specifiche: la lean è un insieme di entrambi, dove i primi si concretizzano nelle seconde. Non è
un procedimento da adottare in pieno oppure da ignorare: essa può essere implemetata gradualmente
anche solo su qualche aspetto aziendale. Un’azienda che applichi la lean può dare: coordinamento,
velocità, qualità, affidabilità, economia, e per ottenere ciò necessita di ordine, domanda prevedibile,
flessibilità di produzione, studio dei processi produttivi e collaborazione. La lean è un sistema teso a
semplificare e fluidificare l’intero processo, evitando sprechi, tempi morti e accumuli di prodotto in
attesa. Essa si prefigge di eliminare gli sprechi o di ridurli, ed è perciò anche un sistema per
risparmiare. Quelli più consistenti riguardano:
• Sovra-lavorazione: più lavorazioni di quelle richieste;
• Sovra-produzione: si producono più unità di quelle richieste;
• Ri-lavorazione: compiere più volte un processo per eliminare errori;
• Giacenze;
• Intelletto: non utilizzare al meglio le idee migliorative e le capacità degli operatori;
• Trasporto: spostamento inutile di materiale;
• Movimento: spostamenti inutili;
• Attesa;
Spesso si fa confusione tra lean production e just-in-time: la prima è l’unione tra una filosofia e un
metodo pratico, quindi è la filosofia mentre il secondo è il metodo pratico tramite cui essa si realizza.
La lean può essere applicata sia alla produzione di beni che ai servizi. È più facile capirla partendo da
cosa non è: i sistemi produttivi occidentali sono basati sulla produzione a lotti dello stesso articolo in
grandi quantità, il che permette produzioni veloci ed economiche perché la ripetizione continuata
dello stesso lavoro aumenta l’esperienza e la velocità di esecuzione. La lean afferma che possono
essere ottenuti risultati migliori e costi inferiori con l’esatto contrario, ossia attraverso la produzione
ripetuta di piccoli lotti, cioè non produrre in un’unica soluzione lo stesso articolo e poi passare ad
altri, bensì creare un flusso produttivo distribuito su tutti gli articoli da produrre. In questo modo si ha
una voluta frammentazione dei lotti produttivi e una continuità di produzione sul lungo termine di
tutti gli articoli. La lean afferma che questa continuità evita scorte inutili, colli di bottiglia e produzioni
sbilanciate, anche il tempo totale di produzione si riduce, e con esso i costi. La lean asserisce anche che
adottando questo metodo la qualità del prodotto risulta migliore che con la produzione a lotti, perché
si opera su quantità di prodotti diversi, perciò l’attenzione degli operatori e l’evidenza di eventuali
problemi sono maggiori. Le obiezioni principali all’introduzione della lean riguardano le cosiddette
curve di apprendimento e i costi di avviamento di nuove produzioni: le prime indicano la maggiore
abilità e velocità che un addetto acquisisce facendo in continuazione la medesima azione, mentre i
secondi sono i costi necessari per passare da un prodotto a un altro. La lean sostiene che la produzione
a grandi lotti di prodotti è economica solo per il lotto stesso, non per l’azienda nel suo complesso, per
questo è meglio produrre insieme più articoli su un arco di tempo più lungo. Inoltre, la produzione
esclusiva di grandi lotti dello stesso articolo genera alienazione, quindi minore attenzione, difetti ed
errori, pertanto costi. Infine, i costi di avviamento possono essere ridotti al minimo agendo sulla
preparazione preventiva. La lean preferisce spalmare la produzione degli articoli in modo uniforme
per l’intero periodo, e in questo modo si ritiene si poter ridurre gli sprechi e gli errori: l’attenzione
aumenta, un eventuale errore è perciò riscontrabile fin da subito e l’operaio viene stimolato e reso
partecipe del processo.

Lean production come coordinamento
Il sistema a lotti si avvia con l’MRP che, in base a una certa produzione prevista, pianifica il lavoro
necessario di ogni reparto. Gli acquisti apprendono dall’MRP cosa deve essere fornito e quando, lo
stesso fa la produzione, e l’obiettivo è fornire tutto ciò che è stato richiesto. La lean è impostata
diversamente: la programmazione centrale definisce il lavoro di massima che ogni reparto dovrà
produrre, facendo sì che le diverse capacità siano coerenti al programma generale. Questo è un macro-
obiettivo, e il lavoro quotidiano si svolge in modo diverso e coordinato. Il processo è molto diretto e
tarato sulla domanda effettiva, e la catena è collegata da un’interdipendenza molto stretta. C’è chi
afferma che questo sistema non sia adatto alla moda per la caratteristica fondamentale di variabilità
che quest’ultima presenta. In realtà, è vero il contrario perché la lean prevede e programma un certo
volume di lavoro per periodo, nell’ambito di questo programma vengono eseguiti articoli diversi, non
pochi in grandi lotti, quindi se la domanda subisce variazioni la lean può provvedere alla modifica in
modo efficiente. È un ottimo sistema per produrre immediatamente l’esatta domanda proveniente dal
mercato, senza bisogno di previsioni a lungo termine o stock di merci.

Lean production e servizi
Quando si parla di beni materiali è possibile adeguarsi alla domanda creando degli stock di prodotto,
ciò non è possibile nei servizi, dove il prodotto è dato dall’attività umana. Una delle caratteristiche
fondamentali della lean è il saper soddisfare una domanda variabile senza stock, il chè è ciò che di più
auspicabile si può avere nei servizi. Per farlo, si utilizzano con le persone le stesse norme che la lean
applica ai beni materiali. Il processo si basa sulle fasi a monte che richiedono solo il necessario alle fasi
a valle, e ciò può contribuire davvero a migliorare l’efficienza (quindi la redditività) dei servizi. La
gestione attenta della supply chain comprende una cultura e un insieme di metodologie che possono
essere applicate a molti ambiti diversi.

11 Il customer service
Funzioni principali
Il customer service è uno dei reparti fondamentali di un’azienda di abbigliamento per due motivi:
mantiene il contatto diretto con la clientela e gli agenti di vendita ed è coinvolto in alcune importanti
fasi strategiche fondamentale per l’azienda, quali l’analisi dei dati di vendita storici, calcolo dei prezzi,
presentazioni delle collezioni, raccolta ordini, controllo degli avanzamenti di produzione, controllo dei
rientri dei capi, spedizione ai clienti, raccolta e gestione dei dati di marketing, controllo delle giacenze,
accettazione di resi ecc. Il customer service è posto dopo la produzione, ma agisce anche prima e
durante le vendite, non si isola mai dal processo produttivo e lo segue. Nelle aziende di moda esso è
coinvolto nelle attività elencate: in quelle medio-piccole gode di importanza elevata e il suo contributo
è alto, in quelle di maggiori dimensioni il suo ruolo può essere limitato e integrato da uffici specifici. Le
attività da gestire sono molte, esso perciò spesso viene suddiviso in più settori: uno in Italia e uno
all’Estero, suddivisi a loro volta all’interno anche per linea di prodotto. Vi è una notevole differenza tra
customer service wholesale e retail: il primo gestisce clienti esterni all’azienda, veri compratori del
prodotto, è bene perciò che si doti di diplomazia, tatto, abilità commerciale; il secondo assiste i negozi
diretti dall’azienda e gestiti da colleghi, quindi prevalgono doti organizzative e di controllo. I negozi
wholesale percepiscono le aziende fornitrici dall’efficienza del loro customer service: esso deve essere
in grado di gestire e comunicare informazioni precise e puntuali. Altra funzione seguita dal customer
service nelle aziende che hanno una rete di agenti di vendita è la loro assistenza e controllo: l’agente è
colui che vende e che assicura fatturato e profitti. Il servizio clienti e il magazzino lavorano
quotidianamente a strettissimo contatto, e sono molte le attività comuni svolte coordinatamente. Una
di queste è il controllo finale di qualità: in magazzino viene espletato il controllo, eventuali difetti
vengono esibiti al customer service che decide che farne o a chi sottoporre il problema.

Aspetti di base dell’attività
Gli aspetti della clientela wholesale che influenzano l’attività del customer service sono qualità e
quantità degli ordini, date di arrivo e di consegna, modalità di consegna richiesta. Il primo punto
riguarda quali articoli e quali quantità il cliente decide di comprare: minore è il numero delle SKU
(referenze) da gestire, maggiore è la facilità di gestione dell’azuenda. I clienti che ordinano grandi
quantità su poche referenze sono più agevoli da seguire per il customer service rispetto a quelli che
effettuano ordini molto minori, ma rarefatti su tante SKU. La complessità del lavoro, i tempi e le risorse
necessarie sono direttamente proporzionali al numero di clienti e referenze gestite dall’azienda. Il
secondo punto riguarda l’arrivo dell’ordine e la sua data di consegna, e definisce il tempo che ha
l’azienda per evadere il suo impegno commerciale. Le modalità di consegna riguardano cosa e quando
il cliente vuole ricevere. Ordini cospicui vengono spesso frammentati in più spedizioni su richiesta
precisa del cliente, così che si possa riceverli e sistemarli in negozio in modo più ordinato. I customer
service che lavorano con i department stores ricevono spesso un ordine complessivo da suddividere
per ogni località in cui l’organizzazione acquirente ha i propri punti vendita. Lavorare con questi
distributori è positivo, in quanto gli ordini sono spesso notevoli e i clienti solvibili, e necessario, perché
la distribuzione commerciale dell’abbigliamento in alcuni paesi è in mano a queste organizzazioni. Le
aziende che operano con loro devono quindi dotarsi di customer service e operation affidabili ed
efficienti.

L’importanza del customer service per l’assortimento del retail monomarca
La distribuzione diretta monomarca richiede una forte efficienza delle operation in quanto il negozio
gestisce un solo brand, ed eventuali inefficienze sono evidenti. Alcune di esse, come consegne in
ritardo o limitate, bassa qualità o lentezza di riassortimento causano negozi spogli, perdite in termini
di vendite e immagine, o negozi disassortiti. I negozi monomarca costituiscono un forte investimento
per le aziende e un veicolo potente di comunicazione, nei confronti del cliente questa forza
comunicativa finale può essere percepita in modo positivo o negativo. I mezzi per evitare questi
imprevisti sono diversi, per esempio seguire le vendite nel loro evolversi, chiedendo di frequente
quanto e cosa è stato venduto. Le vendite passate non sempre sono un parametro attendibile del
futuro, i dati spesso sono imprecisi, anche se l’esperienza può ridurre i margini di errore e si
necessitano comunque continui riassortimenti dalla casa madre. I dati vengono comunicati ai negozi
via Internet e sono gestiti da appositi software di controllo vendite. In molte aziende questa è una
professione di prima linea in diretto e quotidiano contatto con i protagonisti del business e i loro
problemi: il customer service non è un ufficio dell’azienda, ma l’azienda stessa, i clienti si rivolgono a
questo dipartimento e ottengono servizi e risposte più o meno adeguate, e in base ad essi valutano e
apprezzano o meno l’azienda. È l’ufficio tramite il quale l’azienda è in contatto con il resto del suo
mondo.

12 La logistica
Organizzazione generale del magazzino
Con logistica di intendono le fasi di handling, stoccaggio, movimentazione e trasporto delle merci. Un
magazzino di abbigliamento è normalmente suddiviso in:
• Area amministrativa: ricezione e controllo dei documenti di arrivo, emissione bolle di uscita,
ordini di prelievo da magazzino, fatturazione;
• Area di controllo quantitativo/qualitativo del prodotto;
• Area di stoccaggio: scaffalature
• Linea di imballo: dove i capi vengono inscatolati e preparati per la spedizione;
• Area di spedizione: dove gli imballi sostano in attesa dei trasportatori;
I capi gestiti da un magazzino d’abbigliamento sono divisi in prodotto steso (tipologia di prodotto
imbustato/inscatolato) e prodotto appeso (articolo movimentato appeso a grucce), e l’organizzazione
del magazzino può essere per articolo o per cliente: la prima è più frequente e comporta la
suddivisione per modello; la seconda implica che ogni spazio contenga i quantitativi ordinati da ogni
singolo cliente. Più i movimenti di magazzino sono brevi in termini di tempo e spazio, maggiore risulta
la velocità e accuratezza del processo, nonché la sua organizzazione logistica. La logistica si attiva
quando la produzione termina la sua attività e versa a magazzino il prodotto finito, esso riceve i capi e
li ripone in celle suddivise per ogni referenza, ossia articolo/colore/taglia. Ogni articolo in un colore e
taglia specifici viene detto SKU (stock keeping unit, unità di stoccaggio). Il personale ripone i capi nelle
celle con due eccezioni: se gli spazi non sono suddivisi per articolo bensì per cliente, e se l’azienda
gode di tempi di processo molto veloci, di conseguenza i capi non vengono allocati nelle loro celle ma
messi a terra in mezzo al magazzino per poi essere spediti immediatamente ai clienti. L’operazione di
prelievo dei capi da magazzino per spedirli è divisa in due fasi: assegnazione e picking. La prima è
eseguita da un computer che controlla la disponibilità di SKU a magazzino, confronta questa con gli
ordini ancora da evadere e assegna le SKU per ogni cliente. Il secondo invece è la raccolta fisica da
magazzino dei capi assegnati. Queste operazioni risultano impegnative perché i volumi di lavoro
durante le spedizioni sono molto elevati e concentrati in tempi ristretti.

Mappatura del magazzino
Il magazzino deve essere mappato, ovvero deve essere assegnato al suo interno una posizione precisa
a ogni SKU, in modo che si sappia sempre con esattezza dove essa sia. Il magazzino viene mappato non
appena sono noti i volumi di lavoro che dovrà sostenere, quindi solitamente al termine delle vendite di
una stagione. Chi non opera sul programmato, può mappare il magazzino elaborando un piano di
lavoro che tenga conto dei volumi storici in entrata e in uscita e dei budget futuri. Le aree di stoccaggio
sono divise in corsie e piani, e ad ogni referenza vengono assegnati cella, corsia e piano specifici. Esiste
un documento che guida l’immissione delle referenze a magazzino, e un altro che gestisce il prelievo
delle referenze (distinta prelievo). Questi documenti sono cartacei, oppure quando il magazzino è
informatizzato sono visibili su piccoli terminali portatili degli operatori. Per evitare di mappare in
modo errato il magazzino, assegnando a una cella più capi di quanti ne possa contenere, si inseriscono
nella distinta base anche le dimensioni del capo, che associate al numero di capi da ricevere vengono
confrontate all’ampiezza della cella.

Fasi di lavoro
1. Ricevimento dei campionari, cartelle colori, materiale di vendita e invio degli stessi a
showroom, agenzie di vendita e altri;
2. Allestimento degli spazi interni a secondo dell’attesa di SKU;
3. Ricezione e controllo quantitativo/qualitativo;
4. Allocazione dei capi;
5. Assegnazione dei capi in giacenza ai clienti;
6. Picking dei capi;
7. Imballaggio e spedizione degli ordini;
8. Inventari;
9. Ricevimento dei resi da negozi;
10. Preparazione degli stock di rimanenze;
Le referenze nella moda variano di continuo, ne consegue che le mappature e la verifica degli spazi
devono essere rivisti in continuazione. Attività di magazzino di notevole importanza sono gli inventari:
non dovrebbe essercene bisogno, in quanto ogni capo in entrata e uscita dovrebbe essere registrato,
ma nella realtà errori e disattenzioni fanno sì che siano quasi fisiologiche le differenze tra la giacenza
risultante a computer e quella fisica. Per le aziende dotate di reti di vendita, ogni punto vendita ha
rimanenze di fine stagione che, se non rimesse in vendita, devono essere ritirate e veicolate verso altre
destinazioni: grandi quantità di capi vengono rese al magazzino e devono essere ricondizionate
(lavate/stirate). I cartellini devono essere sostituiti in caso la destinazione muti, e alcuni capi vengono
destinati agli stock delle rimanenze e rivenduti a pressi ribassati.


Importanza e programmazione dei magazzini
Nei magazzini confluisce tutta la produzione aziendale, gli arrivi della produzione sono scostanti,
perciò essi devono essere dimensionati il più possibile vicino al picco di attività. Per programmare
l’attività dei magazzini è necessario conoscere il programma dei rientri della produzione, e quello delle
spedizioni. La data di completamento di un lotto di capi coincide con quella di consegna al magazzino,
e le date di arrivo e le quantità determinano la programmazione del lavoro in entrata nel reparto. La
programmazione del lavoro in uscita invece è determinata dalle date di consegna ai clienti e dai volumi
degli ordini. Le fasi principali sono ricezione, allocazione, picking, imballaggio, spedizione. La regola
fondamentale della supply chain afferma che le attività in sequenza o interdipendenti devono avere
stessa capacità: le capacità inferiori rallentano le altre, mentre quelle superiori sono uno spreco in
quanto la loro maggiore performance è vanificata dalle più lente. Anche in magazzino le varie attività
devono essere bilanciate sulla stessa potenzialità, migliorabile attraverso maggiore manodopera,
strumenti di lavoro efficaci, raggruppamento del lavoro movimentando il massimo prodotto possibile
con poche operazioni, perfezionamenti di layout e mappatura. La fase di picking risulta essere quella
più laboriosa, in quando si devono prelevare i capi di ogni spedizione da ogni cella. La logistica a volte
viene terziarizzata, ossia data in concessione a organizzazioni specializzate in questa attività. Le
aziende così evitano sia il costo di investimenti in magazzino sia quello del personale, pagando un
tanto per ogni capo movimentato. Il vantaggio per la società logistica specializzata è che può gestire
più aziende clienti contemporaneamente nella medesima struttura. Il problema che affligge queste
collaborazioni è che i tempi e le stagionalità della moda sono gli stessi per tutte le aziende: le società
specializzate hanno quindi periodi di altissimi picchi di lavoro e altri di parziale inattività. Un fatto
nuovo riguardo alla logistica si sta verificando nel Far East: esso sta diventano un interessante cliente
finale, perciò conviene costruire e gestire magazzini in questi paesi direttamente, evitando costosi e
lunghi trasferimenti.

Il valore in stock
Quando si valuta un’azienda di abbigliamento un’attenzione particolare va rivolta alle giacenze di
magazzino. Il loro valore reale si determina attraverso il costo di produzione, quindi manodopera +
materiali + una quota di spese generali. Il valore della merce a magazzino è talvolta uno dei più alti
espressi nei bilanci delle aziende di abbigliamento. Un buon criterio per giudicare lo stock è dividerlo
in merce attuale e merce più datata: nel primo caso essa può essere valutata al costo di produzione e a
quello di vendita, anche se è più prudente limitarsi al primo; nel secondo caso un articolo continuativo
in un colore standard può ancora essere messo in vendita, mentre quelli superati hanno un valore
residuo minimo, inferiore al loro costo. Più alto è il tempo di giacenza del prodotto in magazzino, più
elevata sarà la sua svalutazione.

Il sorter
Il sorter (distributore) è una macchina simile a una roulette in cui vengono immessi capi da assegnare.
Un articolo entra, cade in un vano, il suo bar code viene letto e il sistema viene informato che in un
certo vano c’è quell’articolo. Al bordo esterno della roulette vi sono delle bocchette apribili, ad ognuna
delle quali viene associato un codice cliente. Così si esegue l’assegnazione: il sorter gira ad alta velocità,
quando il vano raggiunge la bocchetta del cliente corrispondente essa si apre e il capo entra. Questo
tipo di assegnazione è automatizzata e veloce, anche se il costo di questo dispositivo è molto elevato,
perciò solo aziende importanti possono permetterselo.

Sicurezza di magazzino
La sicurezza di chi lavora in magazzino va tutelata, in quanto spesso non si tratta di luoghi sicuri. Non
sempre sono climatizzati, perciò nei periodi in cui i carichi di lavoro sono molto alti lo stress può
influire negativamente sulle performance degli operai, e i due aspetti messi insieme possono essere
pericolosi. È fondamentale istruire il personale e affiancargli addetto esperti, controllando
perennemente l’attività. Chi lavora dovrebbe dotarsi di casco, scarpe apposite e guanti, e
l’illuminazione in questi spazi deve essere eccellente.



Packaging
La maggior parte dei prodotti viene imbustata direttamente da chi esegue lo stiro, perciò essi arrivano
in magazzino quasi sempre confezionati. I capi inscatolati usato box voluminosi, perciò la spedizione di
uno di essi occupa più volume e di conseguenza il suo trasporto costa di più.

Spedizioni: il packing list
Il packing list è un documento base di ogni spedizione, internazionale o nazionale, via terra, mare o
aria. È una lista dettagliata del contenuto di ogni cartone, pacco o contenitore che viene spedito, il
quale deve essere numerato per permetterne l’identificazione. Le spedizioni nazionali o europee
avvengono tramite camion, le intercontinentali via nave o per via aerea. Il tempo di spedizione in
località nazionali è di 24-48 ore, un po’ di più per le isole. Le spedizioni via nave avvengono in
container, sono economiche ma anche lente (20 giorni-1 mese), spesso quindi hanno tempi troppo
lunghi per la moda stagionale. Nella durata del trasporto intercontinentale è necessario considerare
anche il tempo di sdoganamento. I trasportatori specializzati nella moda viaggiano con mezzi anonimi
seguiti da GPS, e le tariffe variano a seconda del volume di lavoro e della destinazione. Possono essere
calcolate sul peso o sul volume trasportato, e va sempre chiarito il fuel surcharge, ossia l’adeguamento
del costo al prezzo del petrolio. La lunghezza del trasporto incide notevolmente sia sui costi che sui
tempi, perciò è importante stabilire i magazzini in posizioni centrali rispetto alle destinazioni da
raggiungere.

13 Le operation nel retail
La distribuzione monomarca nella moda ha assunto una certa dimensione e rilievo grazie alla volontà
di affermare il proprio marchio, di praticare liberamente strategie di prezzo, alla possibilità di
presentare un’offerta completa e alla speranza di aumentare le vendite. Il monomarca è un potente
veicolo di promozione e comunicazione del marchio e del prodotto, il cui costo è determinato da
affitto, investimento in scorte di prodotto (il negozio deve essere sempre allestito), il personale, mobili,
impiantistica, manutenzione, e dalla “buona entrata” o key money, una somma che l’azienda
intenzionata ad aprire un punto vendita offre all’affittuario di un negozio per subentrargli. L’appeal del
negozio, del prodotto e del servizio ricevuto dal cliente devono essere eccellenti, altrimenti è meglio
non aprire.

Scelta della location
Lo stesso prodotto, esposto in negozi e/o modi differenti, può dare risultati di vendita diversi. La scelta
della location infatti influenza il volume di vendita atteso, in base all’affluenza di visitatori, il livello
dell’offerta e la sua tipologia in base al target prevalente nell’area. Inoltre, contribuisce ai costi del
negozio e alla politica di prezzo. È necessario porre attenzione al punto preciso in cui si decide di
aprire un negozio monomarca, oltre che al motivo per cui lo si apre: nel mondo vi sono strade diverse
per aspetto e clientela, alcune fatte per esibire e altre per vendere. La location è inoltre correlata alle
dimensioni del negozio, che a loro volta dipendono dalla tipologia di prodotto e dal tipo di vendita. Le
aree di servizio dei negozi, come magazzino e camerini, sono importanti: maggiore è lo spazio in
magazzino, maggiore è la quantità di scorte disponibili, mentre uno dei momenti fondamentali per la
decisione del cliente è la prova in camerino. Sono la tipologia di prodotto, di clientela e di vendita che
determinano la location adatta e le dimensioni opportune per ogni azienda. Altro aspetto importante
che influisce sulla scelta della location è conoscere l’evoluzione della zona ed eventuali cambiamenti
urbanistici che possono influenzare la scelta.

Layout di negozio, esposizione, assortimento
In passato, il negozio tipo prevedeva la separazione netta tra cliente e merce, quindi egli non aveva
accesso al prodotto. Oggi il cliente deve entrare in contatto con il prodotto nel minor tempo possibile e
con facilità, perché da questo contatto scaturiscono l’interesse e l’eventuale acquisto. I prodotto che
l’azienda vuole vendere di più devono essere immediatamente visibili e testabili: un layout riuscito è
quello che convince il visitatore a perlustrare tutto il negozio in modo comodo, agevole e funzionale, e
che riesca a mostrare in modo chiaro l’intera proposta. I costi di affitto di un piano terreno sono
superiori a quelli degli altri piani, e su questo vengono esposte le merci più redditizie per l’azienda. I
negozi di lusso sono fortemente localizzati nei punti più esclusivi, perciò le spese di affitto sono elevate
e le dimensioni non sono notevoli: da qui sorge la necessità di mediare tra esposizione efficace del
prodotto e sfruttamento del poco spazio disponibile. L’antico metodo degli specchi rende gli ambienti
virtualmente più vasi, scaffalature poste longitudinalmente rispetto all’entrata evitano il blocco alla
visione, la cassa normalmente è posta vicino all’uscita o al centro del negozio. Spesso si utilizzano vari
accorgimenti per dare l’idea di dimensioni maggiori: i layout oggi sono facilmente modificabili, il che
potrebbe piacere al cliente oppure infastidirlo in caso non riconoscesse l’ambiente. I pezzi core
business dell’azienda sono i più importanti per il negoziante, quindi devono essere privilegiati sia
nell’esposizione che nella disponibilità di magazzino, mentre i capi civetta sono articoli molto
particolari che vengono posti nelle postazioni più visibili del negozio, con la funzione di incuriosire il
cliente. Un buon metodo è quello di collocare accanto ad articoli di grande impatto che richiamano
l’attenzione altri capi più vendibili. I negozi dalla vendita emozionale vengono visitati senza idee
precise sul cosa acquistare, e devono perciò giocare anche su temi slegati al prodotto specifico. In
generale, in questo tipo di attività la discontinuità attira di più rispetto alla linearità, mentre questo
non vale per i negozi da uomo in cui il cliente spesso entra consapevole di cosa desidera. Molti negozi
risentono della legge di Pareto, secondo cui ad ogni accadimento concorrono numerosissime cause, ma
sono poche quelle che fondamentalmente lo determinano: ciò per i negozi significa che la massima
parte delle vendite è spesso data da pochi articoli. Un assortimento ampio è garanzia di un’ottima
presentazione al cliente, ma i modelli realmente acquistati in volumi considerevoli sono pochi. Alcuni
aspetti logistici influenzano direttamente il processo di interessamento e il successivo acquisto del
cliente.

Caso degli outlet
Gli outlet vanno gestiti come normali negozi per cui valgono le considerazioni effettuate per il retail.
L’offerta però è diversa: il prodotto in vendita è un mix di rimanenze dai negozi di prima linea e merce
prodotta appositamente per l’outlet. Il cliente è stimolato non solo dal prezzo, ma anche dalla gamma
di prodotto completa e dalla facilità di trovare qualche proposta interessante. Queste integrazioni
hanno rivoluzionato il comportamento di acquisto dai tempi degli spacci a quelli degli outlet. I capi
outlet hanno due vantaggi: possono contribuire a smaltire le giacenze di materie prime, e la loro
produzione può concentrarsi in quei periodi di bassa attività, sfruttando capacità produttiva e
livellando il flusso produttivo annuale.

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