La supply chain della moda. Strumenti per la gestione globale dell’impresa: dallo sviluppo del prodotto al negozio (V. Bini)
Introduzione Complessità e velocità Il tessile abbigliamento deve ideare, industrializzare, vendere, produrre e consegnare un prodotto, la dinamica però è particolare perché il suo ciclo di vita è limitato a pochi mesi, se non a settimane. Un marchio di moda inoltre può avere in vendita nello stesso momento centinaia di articoli. Non c’è moda senza velocità nel capire il mercato, nel creare, nel produrre e distribuire. La velocità nel capire il mercato è patrimonio degli stilisti, delle donne e degli uomini di marketing e degli imprenditori; la rapidità nel creare, produrre e distribuire è competenza delle supply chain, delle operation e della logistica. Essere veloci significa dare a un mercato mutevole ciò che vuole nel momento in cui lo vuole. Il termine “moda” indica poi categorie molto diverse: significa breve durata, emozione transitoria, ricerca di novità e di immagine, abiti dalle fogge particolari e colori di tendenza. “Abbigliamento” invece è tradizione e durata, il capo classico sempre attuale. Si tratta di articoli della stessa categoria merceologica, ma che seguono logiche completamente diverse: più veloci e rischiose le prime, più lente e sicure le seconde. Anche il tipo di cliente a cui si rivolgono è diverso, come diverse sono esigenze e situazioni d’uso: chi acquista un capo alla moda lo fa nella consapevolezza che smetterà di usarlo in tempi brevi, chi sceglie invece un capo d’abbigliamento lo fa per dotarsi di un prodotto non emozionale ma necessario, per il lungo periodo. Nel primo caso è fondamentale il contenuto emozionale del prodotto, mentre nel secondo lo sono l’aspetto tecnico e il rapporto qualità/prezzo.
Outsourcing Un altro aspetto che distingue il settore moda è il notevole cambiamento produttivo che ha subito negli ultimi vent’anni, passando dalla struttura a fabbriche integrate all’outsourcing quasi totale. La maggior parte delle aziende commissiona i capi finiti a enti esterni che si occupano di tutta la catena produttiva. Spesso il processo avviene anche nel paese d’origine dell’azienda ideatrice del prodotto, presso laboratori locali: il fenomeno, spinto dalla volontà di ridurre i costi, non comporta necessariamente una dislocazione in paesi lontani e non si traduce a prescindere in una riduzione di qualità. L’outsourcing in paesi del Far East è necessario a volte per evitare i dazi di ingresso che renderebbero troppo cara l’esportazione dei prodotti. Fino agli anni ’80 i grandi attori del sistema moda erano Europa e Stati Uniti, entrambi, anche se in diversa misura, produttori e mercati di sbocco finali; a questo duopolio si aggiunse il Giappone come mercato cliente, non ancora come ideatore/produttore, mentre il resto del mondo praticamente non esisteva. Oggi il baricentro si è spostato radicalmente a Est, e il Far East è diventata area di grande produzione e inizia ad assumere anche una certa rilevanza in quanto a mercato di sbocco. L’india diventerà sicuramente uno dei player più importanti del futuro, e tutto ciò non può che avere conseguenze sull’assetto produttivo e distributivo delle aziende occidentali.
Distribuzione Anche la distribuzione è molto cambiata: anni fa la vendita avveniva attraverso boutique private multimarca e department stores, che continuano ad esistere, mentre adesso si sono affermati negozi monomarca e e-commerce. Quest’ultimo sta crescendo prepotentemente, così la vendita sul web ha richiesto un forte miglioramento delle operation e la certezza di poter contare su una catena produttiva molto più veloce e affidabile, in quanto i tempi di consegna diventano un fattore competitivo decisivo. Le esigenze del mercato odierno si traducono progressivamente in metodi di gestione.
Operation, logistica, supply chain • Logistica: attività che segue lo stoccaggio, la movimentazione e la distribuzione delle merci, che siano esse materie prime, semilavorati o prodotti finiti; • Operation: fasi di lavoro necessarie per la creazione di un prodotto/servizio, ovvero l’industrializzazione, gli acquisti di materie prime e la produzione; • Supply chain: attività di pianificazione, coordinamento e controllo di ogni fase del ciclo di vita di un prodotto. Le operation e la logistica sono quindi sottocategorie della supply chain. Nella moda sono finiti i tempi in cui il cliente cercava il prodotto: ora è quest’ultimo che deve accaparrarsi i clienti. Il perfezionamento della supply chain ha permesso miglioramenti in termini di efficienza interna, consistenti riduzioni di costi e perfino veri successi commerciali. Il mercato di oggi si impone di lavorare su quantità più ridotte e frazionate, ma per farlo in maniera efficiente ed economico è necessaria una forte attenzione alla supply chain. La qualità è un altro aspetto fondamentale in molti campi, risultato di procedure e sistemi di operation chiari e definiti. Inoltre, fino a vent’anni fa non si parlava di globalizzazione, le aziende trainanti godevano di una sorta di “supremazia territoriale” nei paesi in cui erano insediate e la concorrenza internazionale aveva difficoltà a “invadere” territori altrui. Ogni azienda oggi deve misurarsi con le performance dei concorrenti stranieri. Una supply chain è un ordine logico, prima mentale poi fisico, all’interno dell’azienda, e creare ordine non è facile quando sono i mercati ad essere “disordinati” e la domanda è imprevedibile. In questi casi, velocità e flessibilità produttiva possono essere gli strumenti per ottenere ottimi risultati.
Prodotto, mercati e supply chain • Servizio: capacità di fornire il prodotto giusto nei tempi e modi adeguati; • Comunicazione: quella più formale e tradizionale che avviene attraverso i media; • Distribuzione: capillarità, ossia la diffusione dei punti vendita; L’Ovest e l’Est oggi rappresentano grandi blocchi di consumatori con culture e situazioni diverse, i mercati alti richiedono sia prodotti tecnicamente ed esteticamente perfetti che un ottimo servizio, i mercati economici privilegiano il prezzo, la facilità di reperimento, la durata e sono sensibili alla comunicazione e al marchio, perciò sono disposti a sacrificare specificità tecniche innovative. L’uomo ama il prodotto tecnicamente notevole e duraturo ed è poso sensibile alla comunicazione, la donna invece privilegia il look, la vestibilità, è sensibile al marchio e alla comunicazione, il prezzo per lei conta ed è disposta a spendere tempo per cercare il prodotto giusto. Le valenze universalmente più importanti risultano quindi il look, il prezzo e la distribuzione. La base di ogni supply chain è provvedere a un accurato studio e definizione del progetto e del processo produttivo di ogni prodotto. La qualità e la quantità delle consegne derivano direttamente dall’efficienza e dalla velocità della supply chain, quindi essa è connessa in modo diretto anche al servizio e alla distribuzione. Sul prezzo infine la supply chain influisce altrettanto profondamente, perché gestisce ogni aspetto produttivo, i cui costi sono la componente più sensibile del prezzo. La supply chain è evidentemente determinante per tutte le caratteristiche che determinano a loro volta il successo di un prodotto.
Il futuro Molti credono che il futuro della moda e dell’abbigliamento sarà in Oriente: già esistono in queste zone realtà notevoli, ma dalle culture profondamente diverse, caratterizzate da grande capacità produttiva, pragmatismo e nazionalismo negli affari. Solo un brand forte e seduttivo potrà orientare diversamente le scelte dei consumatori in questi paesi: la moda e l’abbigliamento prosperano, infatti, quando le società sono attraversate da desideri edonistici e quando l’apparire condiziona l’essere. Altro aspetto interessante è la vendita sul web: esso è un mezzo che sta dando ottimi risultati, ma non è né un prodotto né un mercato. Il mercato del futuro sarà positivo nei confronti di chi saprà comprendere ogni variazione emotiva che possa giustificare la produzione industriale di un capo, saprà tradurre in abbigliamento specifico (ovvero dedicato a target precisi sui quali si investono risorse e attenzione) le istanze, saprà produrre velocemente (produzione, rischio, riassortimento rapido) e distribuire capillarmente (distribuzione precisa ed estesa a seconda del pubblico di riferimento). Le supply chain possono fare molto per queste tre esigenze: la velocità è per definizione uno dei cardini delle supply chain, e la capillarità può essere ottenuta solo con un’adeguata capacità logistica, flessibile alle esigenze del contesto.
Parte prima: distinzioni preliminari 1 L’abbigliamento e la moda All’interno del concetto di abbigliamento troviamo categorie molto diverse per funzione d’uso, clientela e motivazioni di acquisto. Tutte queste categorie di abbigliamento possono essere interpretate secondo moda: gli aspetti più importanti di essa in termini di gestione aziendale sono: • Assoluta priorità del contenuto estetico ed emozionale del prodotto: lo stile è fondamentale e ad esso si deve adeguare il resto della catena operativa aziendale. Le fortune delle imprese di questo settore sono in mano allo stile e alla capacità di centrare il prodotto giusto nella stagione giusta. Il compito delle operation è quello di agevolare lo stile e rendere producibili industrialmente le sue creazioni; • Transitorietà: il prodotto di moda dura poco e viene rinnovato in continuazione. Le aziende devono essere strutturate in modo da poter rinnovare costantemente le attività connesse alla genesi e alla gestione di prodotti diversi. Velocità e flessibilità non sono più semplici obiettivi, ma necessità giornaliere concrete e costose; • Rischio: la moda è imprevedibile, perciò le aziende che fanno moda devono avere una solidità economica che possa sopportare forti perdite. L’imprevedibilità riguarda i volumi di vendita, e un’azienda deve essere in grado di variare la propria capacità produttiva in brevissimo tempo; Velocità, flessiilità, reattività richiedono organizzazioni e persone particolari, distinguibili in strutture aziendali, macchine e attrezzi, dipendenti, dirigenti, proprietà.
Il continuativo Una distinzione interna all’ambito dell’abbigliamento deve essere fatta tra moda e continuativo. La moda ha le caratteristiche appena affrontate, e il continuativo ne ha altre completamente diverse, soprattutto in relazione alle operation. Il continuativo è un prodotto che è continuamente in vendita, fino a quando la domanda non si esaurisce. Classico e continuativo sono oggi quasi sinonimi, e continuativo non è solo un abito ma anche un colore, o un tessuto, e il concetto non esiste solo nell’abbigliamento. Dato che nell’arco di pochi mesi un successo di vendita può ridursi a zero, la gestione dei prodotti continuativi dà facilitazioni alle operation: la produzione può avvenire per il magazzino, ciò significa che non si produce su dati di vendita effettivi ma per fare scorta di prodotto finito e averlo disponibile quando il mercato ne farà richiesta. La produzione non è direttamente legata alla vendita, ma si basa sugli andamenti medi del capo in passato per decidere i volumi da realizzare e versare. Un prodotto continuativo è stato già venduto in passato, quindi se ne conoscono le vendite trascorse, mentre un prodotto stagionale non esisteva in precedenza, perciò non c’è un venduto storico da usare per decidere quanto fabbricarne. L’elaborazione e l’analisi dei dati di vendita è materia complessa, ma se confrontiamo l’articolo continuativo con quello stagionale, la facilità gestionale del primo è evidente: gli eventuali surplus possono essere conservati in magazzino e rimessi in vendita, mentre le scorte del prodotto stagionale devono essere le minori possibile perché la sua vendita si esaurisce nel breve periodo. Altro vantaggio del prodotto continuativo è che esso talvolta è venduto più dello stagionale, questo probabilmente perché i prodotti sono conosciuti, oppure perché essi rappresentano i capi classici e istituzionali per cui l’azienda produttrice è più apprezzata. Un’azienda potrebbe suddividere la propria proposta commerciale in diverse linee di vendita, formate da articoli continuativi, collezioni stagionali e flash/pre-collezioni.
2 Il programmato Col termine “programmato” si intendono i capi il cui flusso segue il processo creazione-presentazione- vendita ai distributori-produzione-consegna ai distributori. Quando si parla di collezioni, ci si riferisce a questo modello produttivo, le cui caratteristiche sono: produzione sul venduto e time-to-market (tempo che intercorre tra creazione e consegna) elevato.
I tempi del programmato Il programmato ha tempi lunghi, l’intero ciclo dallo studio della collezione fino alla sua consegna fino alla sua consegna si svolge in circa un anno. Produrre dopo aver acquisito gli ordini dal mercato allunga i tempi, ma è giustificato per marchi di alto livello i cui articoli sono raffinati e costosi. Le aziende del programmato svolgono uno studio creativo importante su collezioni di dimensioni considerevoli, e i tempi del programmato possono essere: • Tempo di gestazione di una collezione programmata: alcuni mesi per capire trend, sviluppare proposte originali e provare le creazioni; • Tempo di approvvigionamento dei materiali del programmato: settimane/mesi, in quanto si utilizzano materiali e lavorazioni particolari; • Tempo di produzione programmato: settimane, poiché la qualità produttiva è importante, e la stagionalità della moda fa sì che le unità produttive siano oberate di lavoro in certi periodi, per cui si creano attese che allungano ulteriormente i tempi;
La continuità di produzione Le produzioni possono assicurare qualità quando sono dotate di know-how tecnico, ma tale patrimonio si sviluppa solo in presenza di continuità: solo le aziende che hanno la possibilità di ripetere i processi facendo pratica e correggendo gli errori sono in grado di assicurare conoscenza tecnica. Teoricamente sarebbe possibile ridurre i tempi del programmato ampliando la capacità produttiva a un livello tale da produrre tutto il necessario in poco tempo e a ridosso delle consegne, questo però non è accettabile perché significherebbe avere risorse ferme e inutilizzate per mesi ogni anno. Si rende necessario estendere il periodo produttivo al massimo possibile per contenere i costi industriali. Si ritiene erroneamente che l’outsourcing permetta di risolvere questo problema, ma chi fa outsourcing è comunque un’organizzazione industriale la cui unica differenza consiste nell’essere esterna all’azienda. Per risolvere il problema del necessario livellamento di produzione le vie sono sostanzialmente quattro, anche se nessuna pienamente risolutiva: • Anticipare la produzione senza attendere i dati finali di vendita; • Posticipare le produzioni destinate ai clienti con consegne più tarde; • Ricorrere alla flessibilità del personale tramite ferie e dismissione dei collaboratori stagionali nelle fasi di bassa attività; • Creazione di flash e pre-collezioni al cui confezione avvenga nei periodi di minor carico;
Le fasi di lavoro Nel programmato il ciclo del prodotto è diviso in azioni dalle scadenze e durate precise: presentazione della collezione, vendita, acquisto dei materiali, produzione e consegna. Le informazioni necessarie per realizzare una programmazione efficacie sono: tempi di approvvigionamento dei materiali utilizzati, tempi di produzione e modalità produttive dei capi finiti, capacità produttiva disponibile, dati del venduto man mano che il cliente ordina, e date di consegna al cliente. Per ovvie ragioni climatiche la moda è vincolata a fasi di lavoro legate alle stagioni, le durate valgono quindi come indicazione massima al variare del tipo di collezione, del paese, della situazione aziendale ecc… e possono essere diverse. Ciò è dovuto sia alle necessità operative della fase, sia perché nella tabella ogni fase comprende il timing di diverse tipologie di prodotto che hanno scadenze diverse.
Creazione della collezione È il periodo in cui gli stilisti impostano la nuova collezione in termini di quantità e tipologia di modelli da inserire, scelgono i materiali, disegnano i capi, creano accoppiamenti di tessuti e accessori, si decidono colori, varianti e taglie. La scelta dei materiali, dei colori e dei modelli non può essere troppo anticipata perché le tendenze stagionali si manifestano o si elaborano solo pochi mesi prima della stagione relativa.
Presentazione Presentazione e vendita sono circa coincidenti, in quanto la prima avvia la seconda. Le presentazioni hanno date piuttosto rigide che coincidono con le maggiori fiere specializzate ed eventi legati alla moda. Le aziende organizzano eventi in showroom in cui la collezione è esibita ai buyer, ai negozi cliente, agli agenti di vendita, ai giornalisti e altri interessati. È l’occasione per avere uno spunto iniziale sul gradimento del prodotto da parte degli addetti al settore. La presentazione è breve e veloce, avviene in un unico giorno oppure è limitata ai giorni fieristici, e gli addetti devono spesso spostarsi da un evento all’altro in tempi rapidissimi.
Vendite ai negozi Le vendite del programmato hanno tempi lunghi, da un minimo di un mese fino anche a tre mesi. Questo tempo è dedicato alle vendite wholesale, cioè a una clientela privata che acquista il prodotto. Non si può obbligarla a fare l’ordine al più presto, è necessario perciò concederle del tempo. Diverso il caso degli ordini del retail: l’azienda può organizzare la raccolta degli ordini in tempi molto brevi, e ciò è importante per avviare al più presto il processo di produzione. Gli ordini retail occupano solitamente la prima casella della fase “vendite”.
Acquisti di materie prime e produzione Una collezione composta da pochi articoli e pochi materiali piò richiedere tempi produttivi molto ridotti, mentre le collezioni di maggior contenuto stilistico e qualitativo usano materie prime e lavorazioni sofisticate, spesso patrimonio di pochi fornitori molto richiesti e con una capacità produttiva limitata. Ciò porta a tempi di attesa consistenti che allungano il processo. Il time-to-market (tempo tra ideazione del prodotto e consegna dello stesso) è uno dei punti su cui c’è maggior interesse ed evoluzione, in quanto il mercato no accetta più attese lunghe. La riduzione del time-to-market è diventata un’esigenza sensibile e un fattore di successo.
Consegne dall’azienda ai negozi Questa fase si sviluppa nell’arco di mesi per più ragioni, le principali sono dovute ad aree geografiche diverse con climi e usi commerciali differenti che per questo richiedono consegne in momenti differenti, al fatto che i negozi desiderino essere forniti con articoli consoni alle temperature del momento, al fatto che l’emisfero meridionale della Terra abbia le stagioni opposte alle nostre, e per questo le collezioni vengono normalmente distribuite prima al nord poi al sud del mondo, infine i negozi stagionali in località turistiche hanno periodi di apertura limitati, quindi le consegne possono essere anche molto diverse in termini di tempistica.
Vendite dei negozi al cliente finale I periodi di vendita sono anch’essi stagionali, vanno da febbraio-marzo fino a luglio agosto per la P/E e da fine giugno-luglio fino a gennaio per la A/I. le vendite terminano con i saldi, che portano alti volumi d’affari ma spesso riducono fortemente i margini di guadagno dei dettaglianti. Oggi per variare la proposta quasi tutte le aziende introducono lotti di prodotto nuovo durante tutte le stagioni. Si possono identificare tre sistemi diversi di offerta di prodotto: programmato standard (prevede due collezioni), programmato più “attuale”, che riduce i volumi delle collezioni a favore di flash e pre- collezioni, infine il modello “Zara”, che sostituisce le collezioni con un’offerta continua.
3 Il fast fashion o pronto moda Caratteristiche del settore Il pronto moda prima produce i capi e poi li vende, mentre il programmato prima presenta la collezione, poi vende e in base alle vendite produce e consegna i capi. Fra i due modelli si nota un’inversione tra vendite e fabbricazione. Tranne casi particolari, come i colossi del settore, da sempre la struttura del pronto moda è frammentata in tante piccole aziende concentrate in distretti: si tratta di aziende locali sia per le risorse produttive utilizzate, sia per la distribuzione e i mercati di vendita. Il programmato è un processo che nasce prima della stagione in cui sarà in negozio, mentre il pronto moda nasce durante la stagione di vendita, attraverso un processo creativo e produttivo velocissimo, e su rose di articoli ridotti. Il pronto permette totale immediatezza tra acquisto e vendita. La motivazione di questo dell’anticipo del programmato è dovuta al tempo richiesto dalla maggior cura e ricerca stilistica impiegata in questo modello. È opinione diffusa che il pronto sia veloce perché copia il programmato, pur non essendo sempre vero, è oggettivo dire che la copia dei modelli più riusciti sia una delle sue ragioni di esistere. I prontisti capiscono i fenomeni, copiano e riproducono i capi di maggior successo poi li offrono ai negozianti che in questo modo non restano mai sforniti e non perdono vendite. Il pronto si avvantaggia dell’incapacità di alcune aziende del programmato nel comprendere i gusti del momento e nel riassortire velocemente i punti vendita. In generale, la velocità del pronto è determinata dall’uso di materiali standard, lavorazioni semplici ed essenziali, perciò eseguibili da un numero alto di produttori, e dal livello di qualità e di prezzo che non richiede grandi cautele e controlli nella produzione. Il servizio offerto dal pronto moda sarebbe inutile se le aziende di programmato potessero riassortire la loro clientela in tempi brevissimi e su un vasto raggio di modelli: questo però, per le ragioni che conosciamo, è pressoché impossibile. Il pronto è caratterizzato da un processo più breve e concentrato nei tempi rispetto al programmato, l’unica coincidenza tra i due è l’essere in vendita negli stessi periodi. Da un punto di vista qualitativo il livello dei capi del pronto non è quasi mai elevato in quanto la qualità non è un requisito fondamentale, lo è piuttosto l’aderenza alla stagionalità e alle tendenze stilistiche del momento, il pronto deve avere tempi di esecuzione brevissimi, perciò incompatibili con la ricerca di materiali raffinati: la rapidità è ottenibile solo attraverso l’uso di fattori di produzione molto standard. Il prontista poi non può permettersi prezzi elevati perché non ha un brand, vende un capo non esclusivo e molto imitato, infine egli ha alle spalle una struttura industriale spesso limitata. Tutto questo è stato in parte rivoluzionato dall’avvento di Zara e H&M che sono riusciti a fare pronto moda in modo industriale e su scala mondiale, sono i più conosciuto ma non certo gli unici. La base concettuale di entrambe risiede nella prolificità della proposta, sono plasmate per ideare capi in continuazione durante tutto l’anno e produrli velocemente. Zara è un’azienda vasta e integrata verticalmente, per questo è un’organizzazione solida e monolitica, H&M invece si affida più a collaborazioni esterne e contractors privati, è più snella rispetto alla concorrente spagnola. La distribuzione avviene attraverso una vasta rete di negozi monomarca di proprietà: quelli di Zara sono meno numerosi ma più grandi, e il vantaggio della proprietà consiste nella possibilità di ottenere feedback immediati sulle reazioni del mercato ai propri prodotti. Le informazioni sulle vendite infatti sono la linfa vitale di queste aziende. Molta attenzione è posta da entrambe alla ricerca delle tendenze: non lavorano sul venduto, perciò devono saper prevedere cosa e quanto produrre in totale assenza di dati certi. Zara ha un’organizzazione stilistica interna, mentre H&M si basa su un vasto numero di professionisti indipendenti. Entrambe le aziende distinguono basico e moda, Zara sfrutta e governa strutture proprie, mentre H&M si affida a un gran numero di fornitori e produttori esterni, attribuendo il lavoro di volta in volta a chi è libero al momento. La velocità e la flessibilità si ottengono usando la capacità produttiva sotto la sua potenzialità massima. Diverse aziende di programmato stanno iniziando a comportarsi come prontisti, mentre questi ultimi cercano di spostarsi sul programmato, inserendo collezioni vere e proprie. Chi fa programmato si è reso conto che è il mondo è cambiato e che il mercato esige prodotti nuovi più di due volte l’anno. Il prontista invece, legato a un prodotto veloce ed economico, deve mantenere un prezzo poco elevato e pertanto poco elevati saranno anche i suoi margini. Chi fa pronto inoltre si deve adeguare a ciò che già esiste sul mercato, è perciò poco propositivo e non può sviluppare un brand vero con caratteristiche di stile e di ricerca individuali. Zara e H&M, infatti, hanno guadagnato la fama di cui godono non sulla base di stile e qualità dei prodotti, bensì grazie a una vasta e organizzata distribuzione monomarca.
Parte seconda: Struttura generale di un’azienda di abbigliamento Lo schema di base delle funzioni e attività che si svolgono in un’azienda di abbigliamento sono: 1. Stile 2. Sviluppo prodotto 3. Vendite 4. Acquisti 5. Produzione 6. Logistica 7. Customer service (attivo già a partire dalla fase di vendita) 8. Wholesale/Retail 9. Outlets Lo stile creai il prodotto, poi questo viene industrializzato, ovvero definito in ogni sua caratteristica. Sulla base di queste informazioni viene creata la distinta base. Quando il prodotto è definito esattamente vengono calcolati i prezzi e creati i campionari, il passaggio successivo sono le vendite effettive per il wholesale e ordini interni per il retail. Il primo consiste in un canale di distribuzione/vendite formato da negozi indipendenti come boutique o department stores, non vi è nessuna dipendenza o comproprietà tra azienda fornitrice e negozio e il rapporto è esclusivamente di compravendita; il secondo invece è un canale di distribuzione/vendita formato da negozi prevalentemente monomarca e di proprietà dell’azienda, non si tratta di una vera e propria transazione economica, quanto piuttosto di una distribuzione del prodotto in punti vendita propri. Il franchising, invece, consiste in una formula mista tra le precedenti ed è data dai negozi dove il franchisee (negozio) può acquistare totalmente o in parte, oppure gestire in conto vendita i capi del franchisor (azienda madre). I tipi di contratto sono vari e prevedono diverse forme di suddivisione dei costi. In base alle vendite vengono avviati gli acquisti, l’arrivo dei materiali attiva la produzione, la quale consegna il proprio lavoro alla logistica, da cui il customer service attinge i capi per spedirli al cliente. Questo servizio opera su più punti del flusso: prende in carico gli ordini dei clienti, partecipa alle vendite effettive assistendo la rete commerciale e spedisce gli ordini a clienti wholesale e retail. Molte aziende hanno outlet per smaltire l’invenduto, in quanto una certa rimanenza è sempre presente. Il prodotto continuativo può essere rimesso in vendita nella stagione successiva, mentre il prodotto moda stagionale deve essere smaltito a prezzi ribassati. Oggi gli outlet costituiscono dei veri e propri negozi in cui spesso è messa in vendita una gamma completa di prodotti dedicati, e non solo l’invenduto.
4 Lo stile Caratteristiche e specificità dell’attività stilistica Lo stile è l’anima della moda, è il primo anello della catena: tutto inizia da qui, e da questo dipendono molti aspetti dell’attività aziendale, come successo commerciale (uno stile innovativo e coerente alle tendenze è fondamentale per le aziende di moda), costi, prezzo e redditività (dalla scelta dei materiali alle lavorazioni dipendono i costi di produzione e i prezzi finali dei capi), qualità (dipende dalla scelta di materiali e fornitori), timing delle attività (ogni ritardo dello stile si ripercuote su vendite e avvio della produzione), successo a lungo termine del brand in termini di coerenza nel tempo. Nella moda le aziende del settore investono anche più del 10% dei costi, perciò la moda italiana può dirsi in linea con gli investimenti necessari per competere con successo. Esistono tanti stili quanti sono i mercati di riferimento e in base a questi può variare la componente essenziale che deve prevalere.
Stile e operation Tra stile e operation confronto e collaborazione non sono sempre facili: lo stile inventa, le operation realizzano, e spesso il primo vede le obiezioni tecniche delle seconde come ostacoli alla creatività, mentre le seconde considerano spesso il primo come fonte di difficili problemi tecnici da risolvere. Poche aziende oggi possono permettersi prezzi proibitivi, lunghi tempi di consegna o scarsa praticità del prodotto solo perché stilisticamente avanzato. Si è assistito a un processo di transizione da fonte di soddisfazione a commodity: questa tendenza è sensibile nei mercati occidentali, mentre l’Oriente è ancora molto permeabile ai caratteri simbolici ed emozionali di brand e stile. Sicuro è, comunque, che questa spinta emotiva duri meno rispetto al passato.
Il processo di creazione stilistica Le fasi dell’attività stilistica sono: 1. Studio delle tendenze di mercato e creatività nel rispetto dei canoni stilistici del marchio; 2. Definizione della struttura della collezione 3. Scelta dei materiali, disegno dei modelli e prototipia; 4. Scelta finale e fabbricazione campionari;
Studio delle tendenze di mercato e creatività Esistono canali diretti e indiretti per capire come si muoverà il mercato, uno dei primi è la consultazione dei fornitori di materiali e tessuti: loro si attivano mesi in anticipo rispetto alle collezioni che li useranno, sono quindi in grado di identificare molto prima cosa il mercato dei confezionisti stia scegliendo, che stili, materiali, colori. Le fiere specializzate di fornitori sono uno dei principali momenti di definizione delle tendenze della stagione a venire. Il design è lasciato invece all’inventiva dello stilista e alla verifica del venduto di maggiore successo nel passato. Questi modelli vengono spesso replicati con modifiche: ogni collezione ha una base di novità, ma viene accompagnata dalla ripetizione di modelli di successo già sperimentati. Le creazioni che si vedono durante le sfilate e riprese dai media spesso sono create appositamente per richiamare attenzione, mentre il vero business si basa sulla vendita di articoli più normali e quotidiani. Ogni brand ha la propria personalità e un suo modo di intendere lo stesso prodotto.
Definire la struttura della collezione Una collezione dovrebbe avere un tema di base che leghi i modelli presentati e ne faccia una proposta dal carattere unitario. Non si può definire il numero di articoli che un’azienda deve presentare, ogni realtà ha la propria storia ed è fine a se stessa, in linea di massima si può comunque affermare che molte collezioni oggi risultano ridotte rispetto al passato sia per limitare i costi, sia per soddisfare i buyer che non amano esaminare campionari eccessivamente vasti. Anche la struttura della collezione dipende dall’azienda che la produce, e da ognuna ci si attendono alcuni capi base. Oltre a questi capi fondamentali, il tipo di articoli da presentare può essere individuato con l’esame delle vendite storiche dell’azienda: i modelli che hanno riscosso maggior successo vengono reinventati e riproposti. Molte aziende dispongono di un archivio storico dove vengono conservati esemplari delle collezioni passate e percentuali di venduto, la cui consultazione può aiutare nella definizione delle nuove collezioni. Ovviamente ogni collezione deve includere tanti articoli completamente nuovi, sui quali gioca la concezione personale e l’inventiva dello stilista. Da lui ci si aspetta che resti nei canoni di base dell’azienda e che sia in grado di creare novità nel rispetto dello stile di fondo del marchio. Può accadere a volte che si voglia modificare radicalmente il contenuto stilistico, questa è una scelta spesso opportuna, ma comunque difficile e rischiosa. Deve poi essere definito il numero di articoli da presentare, i materiali e ogni nota e informazione di supporto. Queste informazioni vengono raccolte in tabelle, e sono la bussola dell’impostazione dello stile. Si definiscono in questa fase anche i coordinati, ovvero gruppi di articoli che hanno caratteristiche di stile o materiali simili.
Scelta dei materiali, disegno dei modelli e prototipia L’ufficio stile disegna i modelli, sceglie i materiali e li associa, studiando le migliori combinazioni. Successivamente vengono decise anche le altre componenti accessorie che completano il capo. A questo punto si realizzano i prototipi che verranno provati per trovare misure e proporzioni ideali. La prototipia è una delle fasi più delicate per il suo costo e per la qualità finale del prodotto, essa dovrebbe essere condotta con l’assistenza della direzione di produzione. Prima di definire un articolo vengono studiati diversi aspetti, per fa sì che le scelte siano coerenti ad essi. I principali temi da analizzare sono: specificità e limiti dei materiali scelti, tecniche di produzione necessarie e possibili conseguenze, funzione d’uso e durata prevista, livello dell’articolo ed esigenze del consumatore. È importante e spesso basta capire quali sono gli aspetti che il mercato predilige e saperli tradurre in caratteristiche tecniche, mentre in altri casi il prodotto desiderato può essere ottenuto solo attraverso alti livelli di professionalità. La modellazione è il processo con cui si determina la vestibilità del capo, e ha particolare rilevanza in certi prodotti che devono rivestire perfettamente il corpo, come l’intimo. Riguardo ai prodotti per il mercato più tradizionale del capo classico, le parole d’ordine sono durata e affidabilità.
Scelta finale e fabbricazione dei campionari dopo aver terminato le fasi precedenti, l’ufficio stile presenta le sue proposte alle direzioni generali e commerciali dell’azienda, che possono essere completamente accettate oppure filtrate, e si decide cosa immettere nella collezione definitiva. Questo avviene in base a considerazioni di prezzo e di opportunità commerciale. Dopodiché vengono prodotte le ricopie/ripetizioni di campionario, ossia i capi che replicano fedelmente i modelli creati, e per ogni modello previsto si crea un esemplare in un unico colore e taglia a cui verrà associata la scala delle taglie e la cartella dei colori. Le ricopie servono per presentare la collezione ai clienti.
Programmazione dei tempi e delle risorse dello stile L’attività dello stile è la prima della catena produttiva, e la sua attenta programmazione è fondamentale affinché tutte le altre si svolgano correttamente. Il metodo di lavoro generale si basa sulla schedulazione delle attività e sulle risorse necessarie. Le attività principali sono la ricerca e la scelta dei materiali, lo schizzo dei modelli e la creazione dei prototipi, mentre le risorse sono gli stilisti, gli assistenti e le modelliste. Anche i fornitori e la direzione di produzione svolgono un ruolo fondamentale, perché con il loro contributo tecnico possono evitare errori costruttivi, questa fase di lavoro è vincolata dalla data di presentazione delle collezioni, che non è flessibile perché dettata da un mercato che non tollera ritardi. Per questo è così importante programmare il lavoro, ed è possibile procedere a ritroso per decidere quando sia più opportuno iniziare lo studio della collezione. Ricapitolando, la collezione viene impostata, vengono decise le tipologie e il numero di capi da inserire, oltre che il tema, si scelgono i materiali e i fornitori, facendo attenzione ai costi e all’affidabilità. Vengono realizzati gli schizzi dei nuovi capi, decise le lavorazioni più opportune e associati i materiali scelti, infine si definiscono le misure dei capi per ottenere la migliore vestibilità. Vengono effettuate diverse prove di prototipia per apportare eventuali rettifiche, poi a questo punto la rosa finale dei possibili nuovi modelli è pronta e deve essere deciso quali inserire in collezione. Questa fase strategica coinvolge lo stile, il commerciale e la direzione, e la sua fase successiva è la definizione dei prezzi e la creazione del materiale accessorio alla vendita. Per rispettare i tempi è necessario valutare e programmare le risorse disponibili: lo stile segue sia il design che la scelta dei materiali, e sarà necessario disporre di risorse stilistiche sufficienti per entrambe le attività. Molte di queste fasi non sono conseguenti, ma in parte sovrapposte: ciò è logico perché non è necessario che tutti i disegni siano pronti per avviare la modellazione, è sufficiente che solo alcuni lo siano per iniziare. La scelta dei fornitori e il design possono procedere in parallelo perché si tratta di fasi indipendenti. Solo quando queste considerazioni sono ultimare è possibile creare uno schema temporale che parta dalla data di consegna della collezione e indentifichi quando deve iniziare lo studio della nuova.
Bilanciamento delle risorse dello stile La programmazione dipende anche dai cosiddetti bilanciamenti delle linee produttive, il cui obiettivo è comprendere quali e quante risorse produttive sono necessarie per portare a termine ogni lavorazione.
5 Industrializzazione del prodotto L’industrializzazione è un’attività fondamentale per tutti i beni industriali complessi, perché influisce direttamente sui costi e sulla qualità del prodotto, e sull’economia ed efficienza del processo produttivo. Il processo di base dell’industrializzazione deve rispondere a diverse domande, come “quali caratteristiche vuole il mercato?”, “questo prodotto è coerente con quello che l’azienda sa/può fare?”. Le domande sono molte, e tutte le volte che viene fatto un briefing di collezione per mettere a fuoco cosa debba essere creato, molti di questi temi vengono dibattuti. In questa fase i ruoli principali sono lo stile, il commerciale/marketing, gli acquisti e la produzione. Le domande da porsi e le risposte influiscono pesantemente sul risultato finale, e quasi sempre ci si troverà in situazioni di contrapposizione: la differenza la fa la capacità dell’azienda nel trovare metodi o alternative per risolvere le controversie. Dall’esito del lavoro dipenderanno qualità e affidabilità del prodotto, che deve essere studiato nei suoi componenti fondamentali, costo e velocità del processo produttivo.
Documenti di industrializzazione Dopo aver deciso il prodotto, devono essere realizzati una serie di prototipi definiti in ogni loro parte perché dovranno essere ricreati in modo standard dalla produzione. L’industrializzazione, al fine di definire precisamente le caratteristiche del capo, deve produrre: • Codici per ogni materia prima e prodotto finito; • La misurazione di ogni componente del prodotto per ogni taglia; I codici servono a determinare univocamente ogni elemento del processo produttivo, in quanto è necessario poterli riconoscere in modo veloce e certo: vengono utilizzati codici alfanumerici assistiti da bar code. Oltre che per poter replicare fedelmente ogni capo, la misurazione delle sue componenti per taglia è fondamentale per assicurarne la vestibilità, che è sia una necessità produttiva, sia una grande possibilità di distinzione sul mercato. L’identificazione di tali misure è prerogativa della modellista, che sa dove e come può intervenire per dare a un abito l’aspetto adeguato una volta indossato. Vengono studiati anche i drop, ossia variazioni di alcune misure all’interno della medesima taglia, e diverse aziende creano modellazioni specifiche per alcuni mercati. Quando tutte le misure sono definite viene redatta la scheda tecnica, ossia una tabella dove esse sono riportate in riferimento a ogni taglia. La scheda tecnica indica le misure giuste riferite alla taglia per ogni parte del capo, ed è la base per determinare i consumi di tessuto. Da essa si passa a un secondo documento fondamentale, la distinta base, che contiene tutti i materiali necessari per la costruzione del capo e i loro fabbisogni per taglia e colore. Alcune distinte base riportano anche il prezzo delle componenti, informazione necessaria per costruire il costo finale, quindi il prezzo, dell’articolo. Tutti i componenti vengono prima codificati in modo che ognuno goda di una propria identità univoca. Altra attività base dell’industrializzazione è il costruire indicazioni precise sul come fabbricare l’articolo, oltre a descriverne le misure specifiche (scheda tecnica) e quali/quanti materiali utilizzare (distinta base). Le informazioni su “come fare” un capo sono definite dai tecnici di produzione in un terzo documento chiamato scheda di produzione: le operazioni vengono inserite in sequenza, vere e proprie “istruzioni di montaggio” del modello.
Tempi e costi di produzione Le schede di produzione perfezionate contengono anche l’indicazione delle macchine/attrezzi necessari alle operazioni e il tempo da dedicare a ogni fase, ma solo le aziende più organizzate godono di questo servizio. I tempi produttivi sono importanti, perché su di essi si basano le trattative per fissare i prezzi di manifattura con i produttori esterni e si pianifica il fabbisogno di produzione di un’azienda. Attraverso queste informazioni l’azienda può programmare il fabbisogno produttivo per ogni reparto, definire la necessità di risorse e stabilire una pianificazione, la quale deciderà quando e cosa produrre in base alle date di consegna. A questi calcoli va poi aggiunto lo studio dell’efficienza produttiva che verrà affrontato più avanti. Ultima ragione importante per cui è opportuno conoscere il tempo di produzione è il calcolo del costo totale di produzione per articolo, fondamentale per la gestione e la definizione del prezzo finale del prodotto. Sommato lo stesso procedimento per tutti gli articoli da produrre si ottiene il costo totale industriale diretto al netto di altri costi. Questo, sommato a sua volta ad altre voci, è la base per calcolare i prezzi finali. Le aziende spesso producono in nazioni diverse in cui il costo del lavoro non è uguale, e inserendo nella scheda di lavorazione il valore del costo al minuto di un certo paese, avremo il costo totale effettivo del capo nel paese considerato. Altre attività a cui fa capo l’industrializzazione sono: controllo delle ricopie da campionario, stampa dei copia commissione (moduli su cui redigere l’ordine), cartelle dei colori e listino prezzi.
6 Le vendite Organizzazione generale Il processo di vendita è diverso in base al tipo di prodotto e al canale distributivo che utilizza: nel programmato esso si svolge prima della produzione, tra azienda fornitrice e distributore; nel pronto moda esso avviene dopo la produzione e la vendita è tra azienda e negozio; nel retail non si ha una vendita reale, bensì una decisione aziendale riguardante quali e quanti capi immettere nei suoi negozi, e la vendita effettiva si avrà tra negozio e consumatore finale. La distribuzione nella moda si divide in wholesale (negozi privati multimarca) e retail (punti vendita aziendali o in franchising). Nel programmato le vendite sono gestite negli showroom aziendali e avvengono anche tramite agenti di vendita, dotati loro stessi di showroom o che si recano col campionario presso i clienti. Il customer service riceve gli ordini e li inserisce nel sistema informativo gestionale come base di dati per le operation. Il periodo di vendita di una collezione programmata dura alcuni mesi: questi periodi non brevi servono per dare alle aziende il tempo di servire tutti i clienti wholesale e a questi ultimi il tempo di prendere visione delle varie offerte. All’inizio l’azienda decide i propri ordini retail, e non è detto che una sola gestisca contemporaneamente le due modalità di vendita, magari preferendone una all’altra.
Budget di vendita Il processo di distribuzione di una collezione è preceduto dalla determinazione di un budget di vendita, ossia la previsione delle vendite aziendali. È normalmente espresso in capi che moltiplicati per i propri prezzi medi danno una previsione di fatturato. È prodotto dalla direzione commerciale, ed è redatto non appena la collezione e i prezzi sono disponibili. È un dato di grande importanza perché serve per la programmazione economico finanziaria, in quanto a previsione di fatturato, costituisce l’obiettivo di vendita ed è la base per prevedere la capacità produttiva necessaria e i volumi di ordine ai fornitori. I dati richiesti per poterlo elaborare sono la presa visione della collezione, del suo impatto sul mercato e i prezzi medi a capo, i dati storici di venduto della collezione precedente, numero di punti vendita wholesale e retai e venduto stagionale, investimento previsto in comunicazione. È raro che vi siano differenze di vendite tra un anno e l’altro, mentre sono normali flessioni/incrementi dovuti all’impatto della collezione, ai prezzi e alla situazione di mercato. Il dato più importante in questa fase è il sell out, ossia la percentuale dei capi venduti dai negozi calcolata sul totale dei capi acquistati: il venduto aziendale finale è la sommatoria degli ordini di tutti i negozi, questi decidono quanto comprare anche in base a quanto hanno venduto nella stagione precedente, perciò maggiore è stato il sell out precedente, maggiore sarà la previsione futura. Un articolo dall’alto sell out può essere riproposto tale e quale, oppure con variazioni, ma sempre con buone previsioni. Ogni azienda può sviluppare il proprio budget secondo criteri propri, in generale però la previsione della domanda è una scienza che attinge a studi statistici.
Fissazione delle date di inizio/chiusura vendite Le date di vendita sono decise dal mercato, quindi le aziende godono di poca flessibilità in merito. Riguardo all’autunno/inverno le collezioni uomo e baby vengono generalmente presentate a gennaio, a febbraio/marzo le collezioni donna e in coda calzature/accessori/pelletteria. Per la primavera estate si hanno a giugno uomo e baby, e a luglio/settembre la donna, sempre in cosa calzature e accessori (ciò avviene perché in linea di massima questi articoli dovrebbero essere scelti dopo l’abbigliamento). Il negozio cliente o buyer vuole capire bene le tendenze del mercato prima di rischiare acquisti costosi o aleatori, oggi il mercato è scandito dalle settimane della moda, ovvero date in cui tutte le aziende presentano i campionari e iniziano le vendite. Presentare in ritardo significa perdere possibilità di vendita, in quanto i clienti potrebbero non essere più disponibili per visionare la collezione. In alcuni casi le aziende tendono a posticipare le chiusure vendite programmate per raccogliere gli ultimi ordini di clienti ritardatari: ciò è utile ad acquisire fatturato aggiuntivo, ma riduce il tempo disponibile per gli acquisti di materiale e la produzione. Spesso le aziende accettano ordini tardivi con riserva: si riservano di verificare se gli ordini sono comunque producibili regolarmente, oppure ciò comporta un ritardo di consegna che il cliente deve accettare.
Analisi delle date di consegna richieste dalla clientela Le consegne avvengono su un arco di tempo che dura mesi: i clienti vengono serviti “a saldo”, cioè spedendo tutto l’ordinato in un’unica soluzione, oppure “in acconto”, ovvero frazionandolo in più invii in momenti diversi. I periodi di consegna ai negozi sono da fine gennaio a marzo per la PE e da fine giugno a settembre per l’AI. Ogni cliente ha diritto a ricevere la consegna nel periodo che preferisce, e le date di consegna sono un’importante informazione di base per la gestione: rappresentano un impegno commerciale che l’azienda assume nei confronti del cliente, sulla base del quale verranno valutati servizio e affidabilità dell’azienda stessa; sono importanti per gli incassi dell’azienda, in quanto consegne posticipate possono portare a resi o richieste di sconti; sono fondamentali per il retail, infatti un negozio monomarca vende unicamente il prodotto dell’azienda madre; infine sono le scadenze su cui si imposta la programmazione operativa interna. Non è raro che le aziende dividano la produzione in base alle diverse date di consegna, ciò è necessario quando il 100% del fabbisogno di materiali non è ancora disponibile, oppure quando si deve utilizzare un periodo di produzione più ampio perché la capacità non è sufficiente. Si lasciano in coda le spedizioni più posticipate, e ci si dedica a quelle più vicine. Alcuni clienti gradiscono consegne frazionate, soprattutto chi ordina grandi volumi, tali divisioni avvengono anche a seconda del clima atmosferico e del peso dei capi, o a esigenze di vetrina. I negozi nel mondo possono avere esigenze di presentazione ed esposizione molto diverse.
Gli strumenti di vendita Il momento della vendita coinvolge due attori: il personale commerciale dell’azienda venditrice e il buyer del distributore che sta acquistando. Nel caso del retail, quest’ultimo può essere un funzionario interno che ha la responsabilità di approvvigionare correttamente i negozi della società. Il personale commerciale si presenta con campionario, cartella colori/varianti, listino prezzi e copia commissioni, strumenti che oggi sono stati in gran parte informatizzati. Il buyer dispone di un’analisi storica del venduto nei suoi punti vendita per tipo, colore e fascia prezzo, in modo da riuscire a pilotare le proprie decisioni. Il campionario è una copia fisica dei capi della collezione, in un solo colore e taglia, in modo da dare al cliente la possibilità di visionare cosa sta comprando. La cartella colori contiene la rosa di varianti, spesso è presente anche un campione di tessuto o una sua rappresentazione grafica. Oggi molte aziende si basano sulle immagini nei loro siti web in cui il prodotto può essere visibile in ogni sua variante e angolazione. Il copia commissioni è il modulo in cui vengono inserite le quantità scelte dal cliente per ogni articolo, variante e taglia, qui vengono riportate le condizioni di pagamento, la data e la modalità di consegna, e altre informazioni. Dopo essere stato firmato da entrambe le parti e confermato dall’azienda produttrice, esso assume valore legale. Spesso le taglie vengono acquistate in proporzioni diverse e a seconda della destinazione dell’ordine, concentrandosi sulle misure centrali che godono di maggior diffusione.
Canali di vendita Department stores Sono negozi/organizzazioni private multimarca, una delle distribuzioni più efficaci e a lungo hanno rappresentato l’unica organizzazione commerciale esistente che operasse su volumi considerevoli. Gli ordini avvengono tramite buyer professionisti divisi per categoria merceologica, e spesso i grandi volumi che acquistano giustificano la richiesta di lavori aggiuntivi (come personalizzazione degli oggetti). Nei nostri mercati locali, la grande distribuzione tende ad imporre il proprio marchio comprando prodotti unbranded e personalizzandoli col suo logo: ciò significa che molte aziende perdono ogni potere commerciale e vengono declassate a puri fornitori, e solo le grandi aziende storicamente conosciute e che investono fortemente in pubblicità hanno ancora il potere di distinguersi, esporsi e qualificarsi. Chi non è noto al consumatore può vendere solo accettando i formati, qualità, packaging e prezzo decisi dal committente.
Corner o shop in shop Sono piccoli negozi all’interno di negozi più grandi, solitamente department stores. Questi spazi sono affittati e gestiti autonomamente nell’offerta, nella vendita e nell’immagine, i costi sono elevati ma comunque inferiori rispetto all’apertura di un negozio vero e proprio. Per le operation lavorare con queste strutture richiede molta attenzione nelle spedizioni, perché essi non dispongono di magazzini separati.
Boutique multimarca Madre di ogni organizzazione di vendita di abbigliamento, gli atelier francesi erano piccoli esercizi dove il prodotto veniva confezionato e venduto. Con l’avvento del prét-à-porter essi sono divenuti negozi multimarca veri e propri, sebbene specializzati in categorie merceologiche. In Italia, Francia e altri paesi le boutique hanno a lungo dominato il mercato, e oggi soffrono di diversi problemi: diminuzione generale delle vendite e dei margini del settore, politiche delle aziende produttrici sempre più tese all’apertura di punti vendita monomarca, costo delle location, progressiva diminuzione dell’importanza dell’abbigliamento classico e di un pubblico che sappia riconoscere un’alta valenza al vestire, e politiche restrittive dei grandi brand nei confronti di esercizi multimarca. Nelle grandi città, le concentrazioni di negozi monomarca sono ristrette in poche vie cittadine o in shopping centre specifici. Si tratta di singoli aggregati multimarca di dimensioni maggiori rispetto al passato e con proprietà di esercizio differenti. Un singolo monomarca lontano da altri oggi riuscirebbe di rado ad avere successo.
Negozi monomarca o company store Oggi un brand conosciuto dispone di centinaia di punti vendita di proprietà o in franchising in tutto il mondo. La genesi di queste struttura va ricercata nella volontà di affermare il proprio marchio, di ricercare maggiori volumi di vendita, di proporre al pubblico la propria gamma completa di prodotti e di affrancarsi dal volere del dettagliante. Molti brand hanno deciso di proporsi direttamente al consumatore per evitare l’impoverimento che comporta l’inserimento in un department stores, in modo che l’identità dei propri prodotti non venga mischiata come avviene nei complessi multimarca. È poi più facile, anche se rischioso, tentare una maggior penetrazione nel mercato con una distribuzione propria e con una gamma completa di articoli, non solo quelli scelti dai multibrand: il produttore gode così di maggior potere su prezzi, politiche di sconto, esposizione del prodotto ecc. i negozi monomarca presentano ovviamente anche rischi notevoli, per esempio gli elevati costi di avviamento, affitto e gestione, che rendono necessari alti volumi di vendita e una forte redditività per essere compensati, raramente ottenibili vendendo una sola marca; inoltre, a gestione di negozi propri non è cosa facile e richiede esperienza, attenzione e un buon assortimento. Le operation, per poter gestire centinaia di negozi sparsi nel mondo, devono saper raccogliere ed elaborare i dati di vendita storici perché siano di supporto e devono essere reattive nel riassortire. Per i clienti l’azienda non esiste, essa si identifica con i propri negozi: se uno di questi risulta poco assortito e malamente gestito, i visitatori assoceranno quella sensazione al marchio. Perciò, i negozi monomarca sono un’arma a doppio taglio: se curati è garantita un’immagine positiva, se man condotti risultano a dir poco controproducenti. La distribuzione monomarca è e resterà leader nella vendita dell’abbigliamento, ma solo per quelle aziende che vantano un ampio portafoglio di prodotti, solidità finanziaria e grandi capacità di controllo della rete e delle proprie operation.
Outlet Si tratta dell’evoluzione dei vecchi spacci aziendali, locali in cui venivano svendute le rimanenze. È fisiologico che i punti vendita abbiano rimanenze a fine stagione, e quando gli esercizi diventano centinaia l’invenduto assume proporzioni tali da rendere necessario un sistema efficace per il suo smaltimento: da qui la nascita dell’outlet. Molte aziende oggi completano l’invenduto con i colori e le taglie mancanti, ma anche con altri articoli, completando la gamma. Per le operation avere una catena di outlet è un’opportunità, gli articoli prodotti non sono particolarmente fashion o stagionali, possono essere fabbricati senza scadenza e per essi vengono spesso usate materie prime di rimanenza. Alimentare gli outlet può quindi aumentare l’efficienza interna e ridurre gli sprechi, e anche per i negozi outlet vale quanto espresso in precedenza sulla qualità della gestione di prima linea.
Siti web La vera novità distributiva dei nostri giorni, in cui le operation sono fondamentali. Gli ordini web possono avere decine di migliaia di destinazioni, e i clienti vogliono ricevere il proprio acquisto in tempi brevissimi. Le aziende che vendono sul web devono eseguire invii di uno o pochi pezzi a moltissimi clienti, e i resi sono numerosi. Per questo motivo i magazzini devono essere estremamente veloci nella gestione delle spedizioni, della domanda e delle scorte.
Le diffusioni Sono così chiamati i centri di vendita gestiti da prontisti e destinati ai negozianti: qui si trovano le proposte per i commercianti che hanno necessità di rifornirsi per le vendite in corso. La richiesta del pronto moda è spesso imprevedibile, per questo il prontista deve recepire i segnali e ricostruire immediatamente la disponibilità, dato che la durata dei successi di vendita è limitata e su questi si fonda il suo business.
Diverse forme di vendita e loro dinamica Alcune importanti forme di vendita o di ordine sono: • Campagna vendita per collezioni programmate; • Riassortimenti di collezioni programmate; • Ordini di negozi monomarca; • Riassortimenti di negozi monomarca; Per organizzare la campagna vendite per collezioni programmate si stila la lista dei clienti a cui sottoporla, preparata dalla sede centrale o dai vari agenti o filiali di zona. Il secondo passo è contattare i clienti e prendere un appuntamento, è bene essere flessibili e cercare di servire prima i clienti più importanti, che sono punto di riferimento del mercato, in modo da ottenere giudizi affidabili sulla collezione. Questi giudizi permettono di avviare con maggiore fiducia i primi acquisti di materiali e di orientare e consigliare nelle loro scelte i clienti meno esperti. Prima di modificare qualcosa in una collezione è consigliabile attendere che una valutazione venga condivisa da un buon numero di professionisti. Le vendite avvengono su due-tre mesi per stagione, ed è impensabile avere personale addetto esclusivamente a queste: spesso le aziende delegano a questa importante attività le migliori risorse dei customer service. Spesso le aziende accolgono ordini tardivi, molto meglio è considerare chiusa la campagna vendite informando che un certo numero di ordini potrà ancora pervenire, così da poter avviare il processo produttivo. I riassortimenti della collezione programmata sono possibili solo se un certo stock di articoli è stato prodotto anticipatamente, oppure se i tempi di realizzazione sono brevi. Un’azienda non può riassortire tutti i modelli, si limita a quelli che hanno avuto maggior successo di vendita.
Procedimento di acquisto dei buyer Gli ordini di negozi monomarca vengono redatti dai buyer centrali dell’azienda o dagli shop manager: i primi hanno una visione chiara della collezione, i secondi conoscono le specificità locali in cui si opera, quindi spesso dalla loro azione comune emerge il risultato migliore. È fondamentale un esame approfondito delle vendite storiche per concentrarsi sui modelli che hanno ottenuto migliore riscontro e che possono quini godere di più successo. Questo esame deve essere corredato dall’estrapolazione dei trend, confronto possibile solo sugli articoli continuativi che vengono replicati, ma non su quelli nuovi. Quando si dispone di un network di negozi monomarca è necessario ripartire il budget generale tra di essi, secondo le percentuali di venduto del passato. La fase successiva è distribuire il quantitativo totale previsto per ogni negozio nelle sue diverse tipologie: è opportuno identificare le categorie di prodotto che l’azienda gestisce ed esaminare il venduto di ogni negozio insieme ai trend. Moltiplicando i venduti storici percentuali per merceologia e per stile si ottiene un’ipotesi di quantità per ogni categoria di capo. Infine, basterà applicare il budget totale destinato al negozio alle percentuali per avere un’indicazione di quanti capi prevedere.
Riassortimenti Prevedere uno stock di capi da mantenere a disposizione di riassortimenti è un rischio commerciale, e maggiori sono le dimensioni della rete distributiva maggiore è il rischio. Non disporre di riassortimenti, però, equivale a perdere vendite. Un riassortimento dovrebbe concentrarsi sugli articoli continuativi e basici più venduti, sui modelli preferiti dalla clientela wholesale, sui modelli specificatamente graditi dalla clientela locale e su quelli per cui si prevede una campagna pubblicitaria. Gli articoli poi non sono tutti uguali: si deve calcolare il margine di ogni articolo, dato dalla differenza tra ricavo e costo, e moltiplicare questo valore per il suo venduto. Alcuni capi contribuiscono più di altri al margine totale, questi devono ovviamente essere privilegiati nel controllo della loro qualità e nella loro velocità di consegna, in quanto danno un reddito più elevato.
7 La previsione e l’analisi della domanda La moda è estremamente variabile e soggetta a influenze di vario tipo. i metodi e le tecniche per prevedere le vendite future sono molti e diversi.
Previsioni su dati storici noti e ignoti Il livello di difficoltà e la possibilità di previsione cambiano se il prodotto è basico/continuativo oppure stagionale, e anche le caratteristiche della clientela influiscono sulle possibilità di previsione: è semplice ipotizzare gli acquisti di clienti consolidati di cui si conoscono i criteri di scelta, più complesso farlo con clienti nuovi di cui non si sa nulla. È possibile capire di più solo esaminando il tipo di negozio e di prodotto gestito. Queste considerazioni valgono per la vendita wholesale, cioè per tutti quei clienti esterni all’azienda. Per il retail invece, organizzazione distributiva che dipende direttamente dall’azienda, non si parla di previsioni di vendita ma di criteri di scelta interni: l’azienda e il negozio lavorano congiuntamente per prevedere i gusti del consumatore finale e definire l’assortimento giusto per ogni punto vendita. Nel caso wholesale è necessario prevedere cosa comprerà il titolare o buyer del negozio, mentre nel caso retail devono essere previsti gli acquisti del cliente finale. Nel franchising, in quanto formula mista, la definizione degli ordini dipende o dal franchisee (negoziante) o dal franchisor (azienda madre) o congiunta. Più il franchisee gode di autonomia secondo contratto, più si avvicinerà al cliente wholesale.
Previsioni e proiezioni Per le collezioni programmate, prima della fine delle vendite le aziende possiedono dati effettivi di venduto, anche se parziali. Nel programmato a volte si devono prevedere le vendite quando queste non sono ancora iniziate, oppure sfruttare i venduti parziali disponibili per prevedere i risultati finali. Nel primo caso parliamo di previsioni, nel secondo di proiezioni effettuate sulla base dei dati già disponibili. Nella moda, per fare un paragone con le elezioni, i “risultati precedenti” sono i dati storici di cui si dispone, le “intenzioni di voto” corrispondono al giudizio di clienti le cui collezioni vengono mostrate in anteprima, mentre le proiezioni si effettuano sul venduto ricevuto dai clienti che hanno già fatto l’ordine. Quando si stimano previsioni senza l’aiuto di dati di vendita effettivi si parla di “buio”, e gli eventuali ordini sono detti “ordini al buio”.
Diversità tra domanda e venduto Spesso si parla di venduto quando sarebbe più corretto parlare di domanda, essi infatti non sono la stessa cosa. La domanda potrebbe essere superiore al venduto (un articolo ha successo, il negozio termina l’assortimento e l’azienda non è in grado di rifornirlo). Altro caso quello in cui un’azienda vende un certo quantitativo di capi ma non riesce a consegnarlo: il venduto è inferiore a causa dell’azienda, non del mercato che sarebbe stato disponibile ad acquistare. Il problema sta nel quantificare la domanda inevasa, e una soluzione potrebbe essere sommare il venduto effettivo al riassortimento richiesto dai negozi e non soddisfatto. Esiste anche il caso in cui il venduto sia superiore alla domanda, e in generale il dato giusto da considerare è il sell out netto, ovvero l’effettivo venduto del negozio cliente.
Livello di rischio per tipo di prodotto e cliente Esistono diversi livelli di rischio nella previsione/proiezione a seconda che si disponga di dati storici, si conosca il cliente wholesale o la clientela retail, si proceda a una previsione al buio oppure ci si basi su una proiezione di dati di vendita reali. Nel caso dei negozi retail non si parla di proiezione, se non limitata ai riassortimenti: la proiezione infatti è un’ipotesi di venduto finale eseguita sul venduto parziale alla clientela indipendente, presumendo che questo sia rappresentativo del totale. Nel retail è l’azienda stessa che decide gli ordini per i suoi negozi, non c’è nulla da prevedere. Nel wholesale le proiezioni vengono eseguite sugli ordini “di primo impianto”, dal negozio cliente alla casa madre, mesi prima della loro consegna e vendita, l’azienda cerca così di capire quali capi siano i più comprati dai negozi. Nel retail invece la proiezione avviene a stagione in corso, durante la vendita al consumatore finale, per capire se gli assortimenti siano giusti, eccessivi o inferiori rispetto ai trend di vendita.
Metodi di elaborazione dei budget per wholesale e retail Le previsioni avvengono a più livelli di dettaglio: • Budget generale di vendita: previsione del volume di venduto complessivo; • Budget per tipologia di prodotto/settore di collezione: suddiviso per famiglie di prodotto; • Budget per articolo; • Budget per colore taglia; I procedimenti per definire i budget sono diversi, alla base di tutti vi è però l’analisi dei dati storici di vendita. Si tratta di elaborazioni teoriche che non danno garanzia di precisione, anche se costituiscono una base di ragionamento accettabile. Il budget così espresso serve a diversi scopi: ipotizzare la capacità produttiva necessaria all’azienda, fornire agli enti finanziari una previsione di fatturato necessaria per budget di cassa e per risultati economici attesi, calcolare gli obiettivi per la forza vendita. Il budget totale previsto viene moltiplicato per le percentuali di venduto storiche per tipo- capo, per ipotizzare quale sarà il venduto futuro, supponendo ovviamente che la struttura della collezione sia la medesima. Ogni dato viene incrementato o ridotto per ogni articolo secondo le valutazioni della direzione commerciale. La previsione dei colori si effettua normalmente a totale, senza entrare nel dettaglio: il budget totale viene moltiplicato per le percentuali di venduto storico per categoria di colore, ottenendo le quantità per i colori della nuova collezione. Il colore di tendenza non sarà più lo stesso, ma viene utilizzata la percentuale del colore trendy della stagione scorsa. Quest’analisi è generale e spesso imprecisa, ma è utile per informare i fornitori delle previsioni di massima dei quantitativi di materiale/colore che verranno ordinati. Errori di sopravvalutazione negli ordini possono portare a giacenze, mentre sottovalutazioni comportano il rischio di perdere vendite.
Elaborazione dei dati storici Le previsioni di venduto possono essere costruite in molti modi, si va dalle opinioni personali e ricerche di mercato all’applicazione di algoritmi statistici sofisticati. Le opinioni personali non devono essere intese negativamente, anzi sono valide quando espresse da persone che conoscono approfonditamente un prodotto/mercato. Alcuni procedimenti combinano esperienza e opinione con l’analisi statistica e sono spesso i più precisi. Un metodo utilizzato è quello di costruire previsioni elaborando dati storici in modo scientifico, sottoponendoli poi ai direttori commerciali: un mix di intuito ed esperienza combinati con un’analisi rigorosa dei numeri. La prima operazione è scegliere i dati storici più opportuni, e basarsi particolarmente sulle informazioni più recenti. L’obiettivo è prevedere l’andamento futuro di un fenomeno sulla base di informazioni registrate fino al momento della previsione. Nella moda abbiamo due categorie di previsioni fondamentali: • Previsioni per periodi in sequenza: es) prevedere il venduto di luglio in base ai dati effettivi dei mesi precedenti; • Previsioni per periodi ciclici: es) prevedere luglio 2011 in base a luglio 2010, 2009 ecc. lo stesso si può fare per confrontare la stessa settimana di più mesi o lo stesso giorno di diverse settimane; Questi tipi di previsioni sono fondamentali in presenza di fenomeni ripetitivi, e si possono applicare a tantissimi ambiti di vendita: in ogni situazione esiste infatti un venduto storico e la necessità di prevedere la sua evoluzione. Uno dei metodi più semplici è la media matematica, che attribuisce lo stesso peso a tutti i mesi considerati, anche se è possibile che quelli più vicini siano maggiormente rappresentativi del futuro. Altro modo per dare valore diversi ai dati è quello di ponderarli: se ottobre e gennaio, per esempio, sono più influenti sulle previsioni di novembre si potrebbe sfruttare la loro media, oppure fare la media totale considerando questi mesi influenti due volte (il totale aumenterebbe di 2 unità e ogni mese rappresenterebbe 2/tot). È possibile variare a piacimento il peso dei mesi.
Stagionalità La stagionalità è un fenomeno che presenta un andamento ripetitivo. I dati storici hanno notevole importanza, ma non devono essere considerati come entità da riapplicare con gli stessi valori. Le vendite di un mese possono essere ipotizzate sulla base dello stesso mese negli anni precedenti, così come il fatturato di un sabato di vendite può essere previsto considerando quello dei sabati precedenti. Avremo medie matematiche e ponderate non più su eventi in sequenza, ma ripetuti a distanza. Se un’azienda ritiene che la previsione di un mese risenta sia delle variazioni dell’anno in corso, sia della stagionalità dello stesso periodo negli anni passati, essa può dare valore ai dati più recenti dell’anno in corso, senza trascurare la stagionalità stessa. Possiamo costruire due medie ponderate, una sulla sequenza continua e una sulla stagionalità: nel primo caso effettuiamo una ponderazione, e possiamo considerare doppio l’apporto di alcuni mesi che si ritengono più influenti di altri; nel secondo caso si effettua la ponderazione del dato mese sulla base dello stesso mese negli anni trascorsi (anche in questo caso un anno può valere più di altri). In certe situazioni, però, x+1 può essere completamente diverso da x, e solo la conoscenza di stagionalità e trend può evitare errori.
Depurazione da dati fuorvianti È bene isolare e non considerare dati anomali dovuti a situazioni particolari e contingenti, in quanto rappresentano anomalie che non possono essere prese ad esempio per prevedere il futuro. Il corretto procedimento da applicare in questi casi è eliminare il dato evidentemente anomalo, calcolare il totale e la media dei dati restanti, inserire il dato medio al posto di quello anomalo, ricalcolare il totale. Un altro modo per effettuare previsioni è la media esponenziale, il cui intento è ridurre l’errore in modo da giungere a budget sempre più precisi. Essa necessità di tre dati: budget dell’ultimo periodo trascorso, vendite reali dell’ultimo periodo, un coefficiente statisticamente definito tra 0,1 e 0,5 (C)
Il coefficiente è costruito in modo tale che minore è la variabilità attesa delle vendite tra un anno e un altro, più vicino a 0,1 deve essere il suo valore. Se invece si prevedere un’alta variabilità, si sostituisce al coefficiente nella formula il valore 0,5. Quando non si è in grado di valutare questa variabilità si può considerare la media tra le due variabilità estreme, utilizzando il coefficiente medio 0,25.
Proiezioni Le proiezioni sono diverse dalle previsioni, partono da un dato reale che si sta evolvendo e tramite procedimenti razionali ne prevedono la sua entità definitiva. Necessitano di due dati: una base di partenza da elaborare e un termine del fenomeno che può essere espresso in vari modi (settimane di vendita, clienti visitati e venduto parziale sul budget totale). Applichiamo la regola matematica per cui:
se A = x% di B, allora B = A/x%
Se dividiamo i dati di venduto parziali per le percentuali indicate, troveremo i loro totali. I risultati cambiano ovviamente a seconda delle diverse percentuali, relative ai parametri considerati. Ogni azienda sfrutta il parametro più affidabile secondo la propria esperienza. Questa tecnica di proiezione può assumere maggiore o minore attendibilità in base a tre fattori: • Tipologia di capo e di colore a cui è applicata: più il modello/colore è standard e continuativo, più la proiezione potrà essere affidabile; • Base di partenza: la qualità e la quantità del venduto reale è fondamentale per l’attendibilità delle proiezioni, anche se si lavora su una base di dati ancora lontana dal totale previsto. Anche la qualità del venduto è importante, e alcuni clienti rispecchiano più di altri i gusti complessivi del mercato: questo fenomeno statistico è detto correlazione. Questo dato si basa su quanto gli ordini di un cliente siano in linea con la distribuzione globale e generale del mercato prevista dall’azienda, e quest’ultima dovrà disporre al più presto del venduto di clienti di questo tipo in quanto saranno una base qualitativamente valida. È consigliabile anche effettuare proiezioni distinte per i mercati che manifestano significative differenze di vendita; • Attendibilità del dato finale su cui proiettare: sia periodo residuo di vendita, che numero di clienti da visitare, sia il budget totale devono essere precisi, se non lo sono si effettueranno proiezioni inaffidabili basate su valori irreali.
Le previsioni e le proiezioni degli articoli moda e la loro utilità La gestione degli articoli moda e di tutte le novità è complicata in quanto essi non hanno un passato nelle statistiche aziendali, perciò è rischioso fare ipotesi di vendita che riguardano articoli nuovi e va tenuto in considerazione anche un eventuale aumento o diminuzione della percentuale di articoli moda in campionario prima di effettuare valutazioni. È giustificato matematicamente fermarsi alla macrocategoria quando la variabilità è molto alta, come nel caso del settore della moda: il mercato è volubile, e notare grandi differenze di vendita negli articoli da un periodo a un altro è normale. La funzione principale delle previsioni è anticipare il lavoro dell’azienda, ciò permette di ridurre costi, di migliorare l’efficienza interna e il servizio alla clientela, inoltre esse sono alla base della definizione dei budget finanziari, commerciali e produttivi. Nel caso del prodotto moda è estremamente rischioso applicare la proiezione percentuale della base venduta a livello di articolo, mentre a livello di settore può portare a valori più prossimi alla realtà. Il prodotto moda è troppo imprevedibile e per ridurre l’errore non ci si spingerà a livello di modello ma solo a quello di comparto. Gli errori da evitare durante le vendite sono: effettuare previsioni in base ai venduti invece che sulla domanda, effettuare previsioni o proiezioni includendo dati straordinari difficilmente ripetibili, non esaminare la presenza/portata di eventuali stagionalità di vendita, fare affidamento su proiezioni eseguite su basi di venduto limitate.
8 Gli acquisti L’MRP La gestione dei fabbisogni e dei fornitori è un punto fondamentale delle operation e dell’azienda in generale, considerato che il costo delle materie prime incide in modo rilevante sul costo finale del prodotto. Alcuni termini sono fondamentale nella gestione delle materie prime: • Fabbisogno: tutti i componenti necessari per produrre un bene, espressi in qualità e quantità (materie, energia e personale richiesto); • Distinta base: documento che contiene la lista di tutti i materiali necessari alla produzione di un articolo; • MPS, Master Production Schedule: piano principale di produzione. È il programma di produzione complessivo, diviso in mesi, settimane o giorni, che l’azienda elabora per realizzare i suoi prodotti finiti. Esso dipende dalla quantità di questi ultimi e dalla loro data di consegna; • MRP, Material Requirement Planning: analisi dei fabbisogni necessari per produrre l’elaborato che contiene la risposta alle domande Quali materiali deve ricevere l’azienda per produrre quanto in programma?, Che quantità di essi deve ricevere?, Quando e da chi deve riceverli?... Altra domanda: Quando li deve ordinare? La risposta deriva dalla data di consegna, si considera a ritroso il tempo di approvvigionamento previsto e così si definisce la data giusta di ordine. Per consegnare puntualmente un prodotto spesso è necessario anticipare gli acquisti senza dati di vendita definitivi, e altrettanto spesso i fornitori concedono riduzioni di prezzo se il volume di ordinato è alto. In aziende integrate verticalmente diversi materiali o semilavorati necessari possono essere prodotti anche dall’azienda stessa, oppure da aziende consorelle: in questo caso non si tratta di acquisti veri e propri ma di trasferimenti intercompany. La grande maggioranza dei fabbisogni però è prodotta da fornitori indipendenti, quindi deve essere acquistata. L’MRP non è altro che la moltiplicazione della distinta base per i fabbisogni finali dei prodotti finiti. Nella realtà il processo è più complesso, perché gli articoli e i materiali sono decine/centinaia, e i fabbisogni cambiano in continuazione. La determinazione del fabbisogno è un’attività molto dinamica che comprende diverse variabili. Il processo relativo all’MPR è diviso in tre momenti diversi: 1. Previsione della domanda data dagli ordini dei clienti (effettivi e previsti) e da eventuali quantità che l’azienda vuole predisporre come scorta. La domanda deve essere nettificata dalle giacenze di magazzino e dagli ordini di produzione di capi finiti in corso; 2. MPS: pianificazione dei capi da produrre in base alla capacità produttiva dell’azienda e alle date di consegna; 3. MRP: calcolo dei fabbisogni per la produzione, deriva dalla moltiplicazione delle distinte base di ogni articolo per le quantità di capi da produrre. La data di consegna di ogni fabbisogno da richiedere ad ogni fornitore viene definita in base al programma di produzione espresso dall’MPS. Per evitare surplus il fabbisogno lordo dei materiali deve essere nettificato dalle eventuali materie prime in giacenza e dagli ordini di materiali emessi e non ancora ricevuti;
ERP Il concetto di MRP si è allargato nel tempo fino all’attuale ERP (Enterprise Resource Planning), ossia la pianificazione delle risorse aziendali (deriva dal primo). L’MRP analizza unicamente i fabbisogni produttivi, mentre l’ERP è un sistema che calcola le conseguenze e razioni di un cambiamento in molte delle funzioni aziendali. L’ERP inoltre può indicare che implicazioni ciò ha su redditività e cash flow aziendali, gestione del magazzino, budget commerciali, statistiche di vendita… Gli ERP sono strumenti software, la loro implementazione è lunga e costosa, ma garantiscono un’organizzazione del lavoro e una certezza dei dati superiore, evitando errori.
JIT L’MRP e il just-in-time sono sistemi alternativi che possono però essere complementari. Il JIT è un metodo utilizzato in tanti business che aumenta decisamente la qualità e la reattività delle aziende. L’MRP funziona elaborando un fabbisogno totale prima della sua necessità, il fabbisogno stesso è quindi una risultante di un calcolo tra distinta base e volumi complessivi da produrre. Il JIT elabora il fabbisogno singolo per ogni fase del processo produttivo durante la produzione e sono quando esso è necessario: funziona segnalando alle fasi a monte che quelle a valle devono essere rifornite per poter lavorare (il segnale è detto kanban). L’MRP è fondato su un calcolo di fabbisogno globale, mentre il JIT consiste in un sistema/procedura di riapprovvigionamento minimo e continuo. È uno strumento pratico e concreto, che si basa su presupposti però non sempre accettati dalla nostra cultura industriale (definizione di una programmazione certa, lotti produttivi ridotti e continui, ridotte variazioni della domanda e dei volumi produttivi, forte riduzione delle scorte, fiducia e collaborazione tra fasi a monte e fasi a valle). Esso può essere adottato gradualmente a seconda delle esigenze delle diverse realtà industriali.
Determinazione delle quantità da ordinare in base a venduto e scorta di magazzino Gli ordini di qualsiasi articolo si emettono per soddisfare una domanda specifica oppure per creare una scorta di magazzino, per MRP è indifferente che il fabbisogno provenga da una richiesta del primo o del secondo tipo. Alcune aziende hanno articoli che restano in vendita nel tempo senza essere legati alle collezioni stagionali, quindi le loro eventuali scorte non perdono valore nel tempo: sono i cosiddetti continuativi o “stock service”, ovvero capi che possono essere ordinati in qualsiasi momento e stagione. In questi casi le aziende producono per il magazzino, ossia fabbricano una scorta da cui attingere man mano che i clienti richiedono il capo. Questi articoli possono essere prodotti nei momenti in cui i reparti sono scarichi di lavoro, ma è comunque necessario definire quando essi debbano essere prodotti e in che quantità, e per fare ciò è opportuno conoscere le quantità medie di vendita e i tempi di produzione. Non appena la disponibilità scende sotto tale livello, deve essere ricostruita con un nuovo ordine. Se un’azienda vende in media X capi alla settimana/mese, e il tempo di produzione per questi è di Y settimane/mesi, allora la scorta minima sarà uguale a X * Y.
Determinazione della domanda finale su cui calcolare il fabbisogno Il problema principale è determinare e tenere sotto controllo i venduti medi, anche se in molte situazioni le medie non sono sufficienti per prevedere il futuro. Vi sono però alcune situazioni prevedibili che aiutano l’analisi, come i trend e le stagionalità. Il trend è un fenomeno tendenzialmente costante, indicato in aumento, in diminuzione o stabile attraverso il grafico di una retta inclinata. In caso di trend positivo, il venduto passato sarà inferiore al futuro e viceversa, e il valore X*Y dovrà essere sovrastimato o sottostimato di conseguenza. La stagionalità è invece un fenomeno ciclico conosciuto che si ripete nel tempo, se si è in grado di riconoscere una stagionalità, al momento in cui si calcola la media del fabbisogno si saprà come evolverà a breve termine. Il problema è dato da quanto la media deve considerarsi maggiore o minore rispetto al fabbisogno prossimo: nel caso dei trend, maggiore è l’inclinazione della retta, maggiore è l’errore dato dalla media; nel caso della stagionalità, l’errore è maggiore quando le oscillazioni sono più marcate.
Determinazione delle date di ordine per ordine su venduto o per il magazzino La produzione per il magazzino degli articoli più stagionali deve avere attenzioni: in alcuni casi, come quello di prodotti nuovi, o basici ma in tonalità di tendenza, è sconsigliata la produzione di magazzino ed è meglio limitarsi alla domanda effettiva del mercato. Quando e quanto produrre sul venduto e quando e quanto produrre per il magazzino? I capi a basso rischio si ordinano e si producono prima e per il magazzino, i capi fashion dal venduto meno prevedibile si producono dopo, a chiusura vendite e su dati finali.
Caratteristiche dei fornitori La distinzione principale si ha tra fornitori esterni, enti autonomi, e fornitori interni, in qualche modo collegati all’azienda. Nel secondo caso si parla di integrazione verticale: le aziende che possono integrarsi acquisendo i propri fornitori godono di vantaggi di coordinamento produttivo e di controllo della qualità, perché il potere che hanno su di essi è superiore, esse possono però risentirne sul piano dell’innovazione. Sovente infatti la ricerca e la volontà innovatrice sono più sviluppate nei fornitori indipendenti, mentre un’azienda acquisita si conforma a ciò che vuole l’azienda acquirente. Questo pericolo è degno di attenzione nella moda, ambito in cui fantasia e creatività non possono e non devono seguire canali prestabiliti. D’altro canto, l’integrazione permette un controllo delle forniture e una maggiore qualità delle stesse: il controllo è più approfondito, preciso e sistematico di quello presso enti esterni e autonomi, e può essere effettuato a priori. Un controllo svolto a priori può evidenziare fin da subito errori e permette maggiori risparmi in termini di tempi, costi ed efficienza. Un’altra distinzione va fatta tra fornitori vicini e fornitori lontani: con i primi si riesce a stabilire una collaborazione continua, che può aumentare la velocità e la precisione di informazioni e scambi. Solo la conoscenza diretta tra committente e fornitore spesso si traduce in una comunità di vedute. Scelta fondamentale è quella se affidarsi a un numero elevato o limitato di fornitori: concentrare gli acquisti su pochi permette di creare rapporti solidi e importanti, ma maggiore è il numero di fornitori possibile, maggiore può essere la flessibilità dell’azienda, che può contare su più opzioni e variare. È opportuno ricercare una collaborazione unica e continuativa per i prodotti comuni di uso costante, mentre per quelli più innovativi può essere utile testare numerose fonti. Ultima distinzione è quella tra fornitori grandi e piccoli: i primi sono più organizzati e affidabili, ma spesso meno flessibili dei secondi. Rivolgersi a un fornitore grande è opportuno se si è in grado di emettere ordini importanti coerenti con le sue dimensioni, il rischio è quello di essere considerati clienti marginali e ricevere poca attenzione.
La performance dei fornitori La teoria generale delle operation identifica cinque aspetti che costituiscono il livello di eccellenza ed efficienza di ogni ente produttivo in qualsiasi business. Gli aspetti sono: • Velocità: tempo impiegato per fornire il prodotto/servizio; • Affidabilità: rispetto costante delle richieste del cliente; • Qualità: capacità di mantenimento dello standard produttivo a livelli adeguati; • Flessibilità: possibilità di variare volumi, tempi, tipologie di fornitura; • Costo: capacità di fornire tutti i precedenti aspetti a costi adeguati; A questi viene aggiunta la creatività, ovvero la capacità di studiare e creare prodotti nuovi e diversi. Con affidabilità si intende la coerenza della fornitura nel suo complesso ai tempi, alle condizioni contrattuali, alle quantità convenute e alla capacità di mantenere nel tempo i livelli richiesti; la qualità consiste nel saper mantenere standard adeguati a quanto richiesto, e contribuisce a questi due aspetti anche la situazione economico-finanziaria del fornitore. Utilizziamo il termine “adeguato” e non “alto” perché ciò che magari risulta eccellente per un’azienda può essere appena sufficiente per altre. Un concetto relativo all’analisi del valore importante nella progettazione di prodotti e servizi è il seguente: il marketing di ogni azienda deve conoscere quali aspetti tecnici, funzionali, estetici e di servizio la sua clientela reputa essenziali, graditi o ininfluenti. Solo allora si potrà progettare il prodotto/servizio evitando sprechi su caratteristiche di poca importanza, concentrando gli investimenti su quelle principali, e studiare la composizione dei costi dei fornitori.
La valutazione dei fornitori La scelta del fornitore non è cosa facile, e spesso l’attenzione e lo studio dei tempi più complessi viene delegato agli uffici qualità e commerciale, direzione oppure anche a consulenti esterni: gli acquisti dovrebbero essere gestiti da persone con una competenza tecnica, responsabilizzazione e potere maggiori di quanto spesso accade.
Velocità Essa dipende da alcuni aspetti: • Qualità, affidabilità e velocità dei fornitori del fornitore, il quale si approvvigiona a sua volta dai fornitori di materie prime; • Grado di efficienza e di utilizzazione degli impianti del fornitore, insieme alla qualità/quantità della sua manodopera: gli impianti devono essere moderni ed efficienti, e la manodopera sufficiente. Al variare di queste situazioni è facile che varino sensibilmente i tempi di fornitura; • Importanza strategica del cliente per il fornitore;
Qualità Legge fondamentale della qualità: la qualità dei componenti è assolutamente necessaria, anche se non sufficiente, a determinare la qualità del prodotto finito. Altre componenti della qualità totale sono la bontà del progetto e del processo produttivo utilizzato. La possibilità di difetto non è data dalla media delle percentuali di qualità relative a ogni singola componente, ma dal loro prodotto. Se si pretende un alto livello di qualità da un prodotto finito, esso deve impiegare componenti pressoché perfetti, in quanto difettosità anche basse moltiplicate fra loro portano a un’alta difettosità totale possibile, inoltre maggiore è il numero delle componenti, maggiore è la possibilità di difettosità totale, quindi maggiore deve essere il livello qualitativo delle singole parti. Henry Ford disse “ciò che non c’è, non si rompe”, a sottolineare quanto sia importante la semplicità nei progetti costruttivi al fine di evitare malfunzionamenti.
Affidabilità Una bassa affidabilità è uno dei maggiori costi cosiddetti “sommersi” di un’azienda, ossia difficile da valutare a priori a prescindere dalle operazioni sbagliate che portano al costo stesso. In caso questa inaffidabilità del fornitore non sia rimediabile, essa viene pagata dal committente e dal cliente.
Flessibilità Aspetto fondamentale del settore, essa è inversamente proporzionale all’utilizzazione della capacità produttiva: se ci si rivolge a un fornitore che opera al massimo della sua capacità, non possiamo aspettarci forniture diverse dai suoi standard di prodotto, quantità e tempo. Solo chi è sovradimensionato rispetto ai propri volumi di lavoro ha risorse disponibili da impiegare in modo diverso rispetto a quello standard. Si pensa erroneamente che maggiore sia la dimensione del fornitore, maggiore possa essere la sua flessibilità, ma nella realtà non funziona così: le grandi dimensioni sono spesso talmente costose che se chi le possiede non opera al 100% delle proprie potenzialità si trova costretto a ridurle, piuttosto che mantenere capacità produttiva inutilizzata. Se la flessibilità è indispensabile, è necessario rivolgersi a chi non è totalmente impegnato, oppure dotarsi di fonti proprie da mantenere sottoutilizzate e quindi flessibili all’occorrenza.
Creatività Uno dei parametri fondamentali delle operation. Un fornitore è creativo quando è in grado di proporre con continuità materiali o servizi innovativi dal punto di vista tecnico, funzionale o estetico, in grado di essere prodotti industrialmente. Ciò che separa l’arte dall’industria è proprio la possibilità di replicare un oggetto/servizio su larga scala in modo pratico ed efficiente. Fornitore creativo è colui che riesce a rendere producibile con sufficienti standard di qualità, affidabilità e costo ogni innovazione da lui proposta, o richiesta dagli uffici stile delle aziende. Etimologicamente “creatività” significa “generare dal nulla”, e quella vera nella moda deve partire da un foglio bianco o da svariate intuizioni, non da fenomeni già esistenti (studiati dalla ricerca e sviluppo in molti settori): essi sono legittimi, ma si tratta appunto di sviluppo di fenomeni già noti, e non di slancio creativo. La prima cosa che un’azienda dovrebbe domandarsi è se ha bisogno di creatività, se la risposta è sì, allora essa dovrà dotarsi di un ufficio tecnico preparato e in grado di comprendere se e come determinate particolarità e innovazioni siano riproducibili industrialmente; un ufficio acquisti articolato che collabori con ogni possibile fornitore e valuti le innovazioni da introdurre; risorse e volontà finanziaria in grado di sostenere queste attività a lungo termine, che potrebbero non riscuotere successo e comportare tempi di gestazione e implementazione lunghi; accettare i fallimenti come parte inevitabile della procedura.
Costo Il fornitore più vantaggioso non è quello che vende al prezzo più basso, ma colui che fornisce il rapporto più basso tra prezzo e livello di performance desiderate dal committente. Il metodo più utilizzato per valutare la convenienza di un fornitore è richiedere a tutti un preventivo e compararli, a parità di caratteristiche. Se esse invece differiscono, si lavora attraverso i cosiddetti capitolati, ovvero ogni specifica minima del prodotto/servizio da fornire descritta fino al minimo dettaglio.
Valutazione complessiva del fornitore Nel caso in cui fornitori e committente abbiano già lavorato insieme in passato, l’esperienza pregressa può fornire una base di valutazione. In caso contrario, la valutazione può essere ricavata dalla reputazione che il fornitore ha sul mercato. Un’azienda può poi valutare alcune caratteristiche come più importanti di altre, è quindi opportuno che tale analisi venga effettuata per parametri di importanza che variano da azienda ad azienda. In base a essi quest’ultima deciderà se privilegiare performance assolute o parametrarle ai costi della fornitura.
Determinazione del livello di fornitura adeguato È utile conoscere la struttura dei costi del fornitore per capire se alcuni aspetti del suo lavoro possono essere economizzati per ininfluenti sul prodotto finito. Lo studio di tali costi è uno degli aspetti su cui è possibile ottenere sensibili economie se esiste un rapporto trasparente e collaborativo. A volte è possibile valutare quali caratteristiche dell’offerta del fornitore determinano il suo prezzo, e se esse non sono fondamentali per il cliente possono essere ridotte e il prezzo finale con loro. Il cliente può anche rivolgersi a un fornitore dalle performance medie e insegnarli dove e come può migliorarsi.
Determinazione dei quantitativi di fornitura opportuni I minimi di fornitura sono il quantitativo minimo che è possibile acquistare sotto il quale il fornitore non accetta l’ordine o applica sovrapprezzi. I direttori acquisti tendono a non acquistare quando questi minimi non sono raggiunti dal fabbisogno: se un’azienda vende un basso quantitativo di un capo, tanto limitato da non raggiungere il minimo di fornitura dei materiali necessari per produrlo, a volte può cancellare i pochi ordini ricevuti, in quanto preferisce non ordinare materiale che andrebbe sprecato anche se ciò comporta una perdita di utile nelle vendite. La cosa migliore è confrontare il costo dei minimi di fornitura alla eventuale perdita di utile e vedere quale cifra risulta minore. Quando si trattano acquisti a lungo termine, destinati a prodotti che resteranno in vendita a lungo, i fornitori non sono facilmente rimpiazzabili ed è bene fissare i prezzi di fornitura o parametrizzarli a indici di comune accordo, ciò per ridurre al minimo i cambiamenti di prezzo ed evitare rialzi. Essi spesso sono giustificati da complessità produttive emerse, mentre in altri casi costituiscono veri e propri ricatti a cui il committente è costretto a cedere.
Quantità e frequenza degli ordini Le direzioni produttive preferiscono fabbricare pochi grandi volumi dello stesso articolo, principalmente per maggiore efficienza e minori costi, nonostante le controindicazioni (bassa flessibilità, scarso servizio al cliente e coordinamento generale). Allo stesso modo le direzioni acquisti preferiscono emettere pochi grandi ordini anziché piccoli e ripetuti. Ciò è logico quando si possono ottenere sconti su quantità importanti e per limitare il lavoro di ufficio, e anche i fornitori preferiscono ricevere ordini di questo tipo. A volte questa scelta è però un errore, le motivazioni a favore di ordini più frazionati sono: spesso i magazzini di materie prime restano pieni di materiale inutilizzato; controllare sistematicamente tanti piccoli arrivi è più efficace del controllo di grandi invii e migliora il generale livello di qualità; ordinare volumi maggiori del necessario richiede esborsi finanziari maggiori del dovuto; questo modo di lavorare è contrario al just-in-time (vedremo perché); infine, abituare i fornitori a ricevere molti ordini di bassa entità migliora la flessibilità dell’intera supply chain.
Le informazioni al fornitore La trasmissione delle informazioni al fornitore è un altro aspetto importante: le aziende hanno tutto l’interesse a informare i fornitori sul lavoro che verrà loro commissionato, in modo da migliorare qualità, affidabilità e velocità generali del processo. Oggi grazie a Internet basta rendere accessibili ai fornitori i dati del sistema informativo aziendale che sono di loro pertinenza, e più l’informazione è corredata da altre valutazioni, più essa vale. Importante è la percentuale di vendite su cui è stato calcolato il fabbisogno in confronto al totale atteso. Il fornitore così può avere una buona visione di insieme dell’attività che dovrà eseguire nei suoi limiti massimi e minimi, e ciò lo agevola notevolmente. Non è difficile costruire un sistema informativo adatto anche ai fornitori, domandandosi che informazioni servano loro, chi sia in grado di fornirla e come integrarla al sistema stesso.
9 La produzione Un tema così vasto verrà suddiviso in: • Organizzazioni produttive • Tecnologia di base della produzione di abbigliamento • Programmazione del lavoro • Controllo della produzione • Coordinamento dell’attività produttiva con il resto della supply chain Oggi nell’abbigliamento la produzione è gestita da linee di macchine da cucire secondo i concetti tayloristici della catena di montaggio: il taglio del tessuto si è assai evoluto, ma la logica di produzione è rimasta quella di cento anni fa. I problemi che ostacolano lo sviluppo tecnologico nell’abbigliamento riguardano il fatto di lavorare su materiali deformabili e flessibili, quindi non facilmente manipolabili da macchine, e la varietà di materiali, lavorazioni e prodotti finiti che riduce fortemente la ripetitività. Sarebbero necessarie macchine estremamente flessibili e versatili, dato che i prodotti di abbigliamento cambiano continuamente.
Le organizzazioni produttive A prescindere dal settore, esistono diverse organizzazioni produttive variabili secondo la complessità del prodotto e i volumi da fabbricare. I sistemi produttivi variano in base alla numerosità e diversità delle fasi di lavoro, al numero e natura degli impianti e attrezzi necessari e alle competenze richieste. È teoricamente possibile produrre un singolo articolo usando un unico operatore che conosce tutte le fasi del processo e utilizzi una sola volta tutte le attrezzature necessarie, il che però sarebbe poco efficiente, perché egli dovrebbe effettuare molte operazioni diverse, perdendo in velocità e sottoutilizzando i singoli impianti. Meglio sarebbe che gli operatori lavorassero in continuazione grazie a una diversa organizzazione del lavoro e a un flusso costante di prodotti di prodotti, che richiederebbe manodopera numerosa. Per organizzare il lavoro in un flusso continuo è necessario conoscere il tempo di produzione, come si svolge il lavoro stesso e il numero di fasi in cui è possibile scomporlo, così si potrà organizzare e distribuire la manodopera. Il tempo di produzione è studiato dai reparti di “Tempo e Metodi”, che grazi ad osservazioni fatte in condizioni di lavoro diverse definiscono quale sia il tempo medio di produzione di un articolo: questo tempo può essere definito osservando la produzione dall’inizio alla fine oppure grazie a una somma dei tempi delle operazioni elementari che la compongono, a seconda delle situazioni. Si giungerà poi a una media delle possibili durate in condizioni diverse, che diverrà il tempo standard relativo alla produzione. Nella realtà, sono da tenere in conto anche aspetti come bilanciamenti di linea, efficienze e perdite di produttività, e la possibilità tecnica di dividere il lavoro in fasi.
Job shop Con job shop si intende la classica officina dove attrezzi e macchinari sono raggruppati in aree divise secondo il tipo di operazioni che essi svolgono, qui il prodotto viene lavorato restando in una posizione fissa, oppure spostato presso le aree secondo l’operazione in atto. Ciò che distingue questa organizzazione è l’alta varietà delle lavorazioni possibili, unita a bassi volumi produttivi. Meglio sarebbe spostare il prodotto in costruzione verso le strumentazioni e lavorazioni di cui ha bisogno, e meglio sarebbe riunire in settori (appunto job shop) le professionalità e gli strumenti. Esiste una sorta di organizzazione di questo tipo anche nell’abbigliamento, dove si usa il termine “a pacco”: le diverse operazioni con le loro macchine e addetti sono divise in isole, e ogni isola produce il suo componente poi riunito e assemblato ai restanti nel capo finito. Questo sistema, se comparato alla classica catena di montaggio, comporta vantaggi e svantaggi: i primi riguardano la possibilità di specializzare ogni isola in una lavorazione e controllarne la qualità senza bloccare la linea, i secondi invece riguardano il dover coordinare e movimentare molti semilavorati verso isole diverse. Una legge storica della produzione afferma che produttività e affidabilità aumentano all’aumentare della ripetitività.
Bilanciamenti dei tempi di produzione Per potenziare le isole è bene che il tempo di esecuzione di ogni fase sia lo stesso, in modo che il flusso del prodotto scorra senza accumuli. Ciò significa bilanciare la produzione, concetto valido sia nel caso delle isole di produzione sia della catena di montaggio. Un operatore è detto jolly quando funge da appoggio ad altri per un tempo limitato. Per risolvere altri problemi relativi ai bilanciamenti di linea si usa il concetto aritmetico di massimo comune divisore: si identificano i tempi di fase di ogni sequenza; si trova il massimo comune divisore di questi tempi, si dividono i tempi di fase per il massimo comune divisore, trovando così il numero di risorse necessarie; si applicano tali risorse ai tempi di fase, che ora risultano essere gli stessi. Il problema si crea quando il massimo comune divisore non corrisponde a un tempo tecnicamente possibile (es. 1 min), perché il minimo tempo tecnico è maggiore. A questo punto la soluzione può essere costruire più prodotti (es. 10) invece che uno solo: il tutto avrà 10 come massimo comune divisore, e in questo modo si ottengono numeri finiti di risorse. Questo è un altro motivo per cui le direzioni di produzione preferiscono lotti produttivi elevati: essi permettono bilanciamenti delle linee più semplici ed efficaci.
Produzione a lotti La produzione di abbigliamento avviene a lotti di capi dello stesso modello in più varianti di colore e taglie. Per evitare errori, il lotto viene lavorato taglia per taglia, oppure colore per colore. Questo tipo di produzione è a metà strada tra un jon shop e la produzione di massa: la complessità è alta e i volumi sono cospicui, c’è alta variabilità ma le operazioni risultano molto ripetitive. Ciò permette di organizzare gli strumenti e le attività di produzione in base al prodotto da processare, non come nel job shop dove è il prodotto a muoversi attraverso le attrezzature. Esso passa direttamente per fasi collegate, senza dover essere spostato tra i reparti. La linea singola prevede macchine in sequenza, spesso collegate da un nastro trasportatore, la linea doppia abbina le macchine, mentre la linea scalare assume la forma di una scala vera e propria.
Set up delle linee di produzione I lotti produttivi devono essere cospicui per ridurre i costi di produzione, e questo è dovuto a due fattori di efficienza: il settaggio della linea e le curve di apprendimento. Con il primo si intendono le operazioni necessarie per passare dalla produzione di un articolo a quella di un altro. Queste attività devono essere organizzate con attenzione per non causare lunghi tempi improduttivi e ridurre l’efficienza totale di produzione, aumentandone i costi. I direttori di produzione tendono a ridurre i settaggi al minimo indispensabile producendo lotti molto elevati, ma questo spesso si scontra con altre svariate esigenze aziendali. La produzione spesso non accetta di frammentarsi, in quanto ciò significherebbe più settaggi al posto dell’unico necessario. Il tempo del settaggio della linea, ovvero il tempo necessario per disporre le macchine e alimentarle in base al capo da produrre, è uno dei problemi di produzione più sensibili. Più articoli diversi un’azienda ha, più lotti produttivi deve emettere, più set up dovrà eseguire.
Riduzione dei tempi di set up Alimentare una linea significa porre i semilavorati e i componenti presso gli operatori che dovranno utilizzarli: più tempo si perde in questo, minore risulta l’efficienza complessiva della produzione. Questo problema esiste soprattutto nelle aziende di programmato, mentre il pronto moda di solito produce lotti unici. Questo problema può essere ridimensionato attraverso un’accurata preparazione dei materiali, in modo che il rifornimento sia veloce e unico, il posizionamento dei materiali del lotto successivo vicino alle macchine, mentre quello precedente è ancora in lavoro, il ritiro progressivo delle produzioni ultimate, una logistica di produzione studiata per ridurre al minimo gli spostamenti tra i materiali e le macchine e la suddivisione del lavoro. Un metodo semplice ed efficace per risparmiare tempo consiste nell’impostare tutte queste attività mentre la linea sta ancora lavorando il modello precedente, è possibile avvicinare alla linea tutti i componenti del nuovo modello da produrre in modo da poterlo iniziare subito, quando ancora il primo è in fase di esecuzione. In questo modo l’attività di preparazione e allestimento della catena non inizia solo alla chiusura di un modello, ma avviene progressivamente fase per fase.
Bilanciamento delle fasi di produzione nell’abbigliamento Per bilanciare le attività di una catena è necessario studiare le fasi in modo che la loro durata sia uguale. Possono essere utilizzati i metodi visti precedentemente, riguardanti la massima operazione elementare comune, dividendo le fasi per essa in modo da individuare di conseguenza le risorse necessarie. È possibile bilanciare una linea anche ponendo in parallelo più risorse nelle fasi lente, in modo che l’output complessivo risulti più veloce: esse vengono potenziate in base al loro tempo di smaltimento del lavoro. Un altro bilanciamento possibile viene applicato quando le macchine non sono diverse e le operatrici sono in grado di compiere più lavorazioni: si possono abbinare le fasi più veloci a quelle lente, in modo che quando le prime si scaricano di lavoro possano assistere le seconde, velocizzando il flusso totale delle fasi accoppiate. Per fare ciò è necessario che le operatrici siano il più possibile vicine fra loro. Si evidenzia che esiste una forte differenza di costo tra un set up di linea e un errato bilanciamento: quest’ultimo può essere molto più oneroso, è quindi conveniente perdere più tempo nel settaggio per bilanciare perfettamente una linea piuttosto che affrettare il set up e avere successivi squilibri nel flusso produttivo. Il costo del set up di linea è reale ma limitato, e maggiore è il numero di capi da produrre, maggiore deve essere anche l’attenzione al bilanciamento di una linea.
La produzione di massa La produzione di massa è usata quando si devono produrre pochi tipi di prodotto in alti volumi. Costruire linee dedicate risulta economico, in quanto i risparmi di tempo e di efficienza su volumi molto elevati superano il costo della linea stessa (es. la produzione automobilistica). Quando esiste una variabilità contenuta si inseriscono in linea, durante il processo o al termine di esso, alcuni macchinari o operai in grado di modificare il modello base.
La produzione continua La produzione continua si applica quando un’azienda è monoprodotto e tutta la sua impiantistica è costruita per esso, non esiste variabilità e la produzione è illimitata. Alcuni produttori di cotone e tessuti standard adottano questo metodo.
Tecnologia di base della produzione di abbigliamento Le fasi consuete in cui si divide il processo produttivo dell’abbigliamento sono: • Fornitura dei materiali; • Controllo dei materiali; • Taglio (confezione) / tessitura (maglieria); • Cucito; • Controllo finale, stiro e imbusto; Vi sono forti differenze tra maglieria e confezione che richiedono modalità costruttive molto diverse. La maglieria sfrutta i telai, mentre la confezione le macchine da cucire.
Materiali Il procedimento della concia delle pelli è antichissimo, e oggi viene effettuata industrialmente. Anche la produzione di filati e tessuti ha una storia antica, sebbene più recente dell’uso della pelle. Il cotone fu scoperto e importato dall’India da Alessandro Magno nel 300 a.C. circa, mentre la seta fu importata in Italia dalla Cina solo verso il 1200. Il bottone sembra essere nato in Giappone, mentre la cerniera lampo è stata inventata negli USA nel 1893.
Fibre e filati Ogni tessuto nasce da un filato, e ogni filato nasce da una fibra. La fibra è un pelo che deve essere lungo almeno un centimetro per poter essere filato. Le fibre solitamente si presentano sotto forma di fiocco, il quale deve essere dipanato con la pettinatura (se la fibra è lunga) oppure con la cardatura (se corta). Entrambi i processi puliscono le fibre dalle impurità e le dispongono nello stesso verso, rendendole lavorabili. Esse vengono poi compattate attraverso dei rulli fino ad essere ridotte a stoppini, i quali vengono filati. La filatura è un processo sia di torsione che di stiratura: la prima rende le fibre più robuste perché le arrotola su di esse, inoltre attraverso questi processi vengono unite tra loro le singole fibre creando la lunghezza del filato. La sezione del filato è detta titolo. La natura della fibra di partenza, il grado di torcitura del filato e il titolo sono le principali caratteristiche tecniche del filato stesso. Le fibre possono essere animali (lana, seta), vegetali (cotone, lino), artificiali (viscosa, nylon, poliestere) o sintetiche. Tra le lane più pregiate vanno citate il mohair, la lana Merino’s e il cashmere. La seta si ottiene dipanando il bozzolo del baco, essa infatti è la bava che l’insetto ha prodotto. Il cotone è una fibra tessile a fiocco che copre il seme della pianta da cui proviene. La lana “scalda” più del cotone perché i due materiali creano un diverso isolamento del corpo rispetto all’esterno, dovuta all’alta percentuale di aria (pessimo conduttore di calore) trattenuta nel filato di lana. Le fibre artificiali sono ottenute partendo da materiali naturali, vegetali o anche minerali. Le fibre sintetiche sono sintesi da derivati del petrolio, il pile per esempio proviene dal riciclo della plastica usata per le bevande. Le fibre possono utilizzarsi in molti tipi di filato, che variano in base ai procedimenti con cui sono costruiti: esistono filati ritorti tra loro, altri usati per cucire capi finiti (cucirini), filati moulinè (singoli e di diverso colore, ritorti tra loro per dare un effetto policromo) e filati melange in cui la policromia è ottenuta a partire da fibre multicolore.
I tessuti L’industrializzazione della produzione di tessuti si deve al telaio automatico di Northrop, inventato a fine Ottocento. Il concetto fondamentale della tessitura consiste nel fatto che gli incastri donano solidità al manufatto. La tessitura infatti si ottiene tramite l’intreccio di un filo verticale chiamato ordito con uno orizzontale detto trama: le trame incrociano gli orditi attraverso un meccanismo detta navetta, passando sopra ad alcuni e sotto ad altri. Gli orditi vengono alzati e abbassati dai licci (denti del telaio) per permettere il passaggio della trama. Essa non sempre intreccia ogni filo di ordito: a volte ne salta alcuni, e in questo caso di parla di diversi tipi di armatura. Quando il tessuto è completato può essere soggetto al finissaggio, ovvero a trattamenti conclusivi per conferirgli aspetti o consistenze diverse. Il tessuto può essere pettinato per togliere pelurie di fibra che escono dalla superficie, oppure al contrario può essere garzato per sollevare i peli e dare un aspetto più morbido e vaporoso. Altre volte il tessuto può essere goffrato, ossia passato tra cilindri con motivi stampati in rilievo, la cui pressione unita al calore fa sì che il fondo assuma in modo permanente l’impronta.
Controllo dei materiali, qualità e determinazione del campione corretto I migliori processi di controllo della qualità richiedono che essa sia verificata prima e durante la produzione. Quando un materiale è difettoso è importante scoprirlo immediatamente, perché è raro che più avanti nel processo vi sia tempo per rifarlo/correggerlo. Il controllo a prodotto ultimato è utile solo per ottenere sconti o rimborsi da chi ha causato il difetto, o per evitare di consegnare articoli sbagliati. Esso è uno spreco di tempo e risorse, dato che il controllo preventivo e durante la produzione permette di evitare scarti e rilavorazioni. Molti fornitori non gradiscono controllo quando vanno in produzione, e alcune aziende hanno risolto il problema acquisendoli. Alcuni strumenti per assicurarsi la qualità possono essere: definire in estremo dettaglio insieme al produttore le caratteristiche che la fornitura dovrà avere; creare articoli campione da prendere come paragone in caso di contestazioni; farsi inviare campione di come la produzione stia procedendo quando i suoi tempi sono molto lunghi; controllare la fornitura ricevuta. Nell’abbigliamento le penali in caso di fallosità adottate dai clienti per salvaguardarsi non sempre sono efficaci, e spesso riguardano aspetti non oggettivamente giudicabili. Se i controlli fossero effettuati a inizio fabbricazione vi sarebbe il tempo materiale per intervenire, ma quando i controlli finali sono l’unica possibilità esso può essere eseguito sul totale della fornitura o a campione. Definire il campione significa capire quale percentuale di controllo sia sufficiente per valutare con attendibilità la qualità l’intera fornitura, ovvero ogni tipo di bene che un’azienda può ricevere e di cui la qualità è importante. Un calcolo probabilistico non esclude però la possibilità di tralasciare difetto, la rende solo meno probabile. La statistica si concentra su alcuni aspetti che definiscono quali dimensione debba avere un campione affinché esso sia rappresentativo di un fenomeno, come la varianza del fenomeno stesso (possibilità che le caratteristiche di un prodotto si discostino da una certa media) e il livello di affidabilità che si desidera. Nel nostro caso, la varianza è data dalla maggiore/minore affidabilità gestita dal fornitore, dalla conoscenza ed esperienza nella lavorazione richiesta, e dalla maggiore o minore difficoltà. Le dimensioni più opportune del campione dipendono da parametri diversi e dal livello di difettosità che si è disposti a tollerare. Nella realtà, è buona norma usare campioni molto alti quando si è di fronte a fornitori nuovi e lavorazioni poco conosciute. Questi ragionamenti portano a quantificare solo la difettosità attesa e il campione di riferimento, e non a individuare dove essa si celi. Un metodo usato è quello del controllo progressivo: viene controllato un campione abbastanza elevato di una partita, se questo evidenzia una difettosità entro i limiti tollerati allora viene accettato, se invece la difettosità è alta si divide la partita in più parti e per ognuna si ripete il controllo, e così via dividendo sempre in parti più piccole e ripetendo il procedimento in caso di persistenze di alte percentuali di difettosità. La grandezza dei campioni, la percentuale ammessa e il numero di parti e di volte in cui si ripete il procedimento dipendono dalla quantità della partita di partenza e dalla precisione che si vuole raggiungere. È sempre opportuno prelevare qualche campione da diversi punti del cartone quando si riceve la merce. Una regola fondamentale è che il controllo di qualità è efficiente ed efficace solo se rilevazioni vengono registrate e conservate per poter procedere a futuri raffronti e riscontri. I giudizi devono essere quantitativi e non qualitativi, la tenuta di questi dati permette di identificare le tendenze, ossia se i livelli di difettosità del fornitore x stanno migliorando o peggiorando, e di effettuare confronti. Il controllo dei tessuti avviene con le specule (telai che li svolgono, oggi in gran parte automatizzati e muniti di software in grado di riconoscere le fallosità).
Il taglio Dopo il controllo, il tessuto viene tagliato nei diversi pezzi che compongono il capo finito. Le dimensioni variano a seconda delle taglie contenute della scheda tecnica del prodotto precedentemente compilata durante il processo di l’industrializzazione del capo. Il taglio viene effettuato da una macchina composta da un piano di taglio, la superficie dove verrà steso il tessuto da tagliare, un dispositivo di taglio e un software di tipo CAD in cui vengono inserite le misure dei pezzi da tagliare. Per procedere al taglio è necessario conoscere le dimensioni del piano di taglio, l’altezza del tessuto, la quantità dei capi da tagliare, i pezzi che li compongono e le loro dimensioni. Il CAD così è in grado di programmare il taglio cercando di utilizzare al meglio il tessuto evitando sprechi, inserendo il maggior numero di pezzi possibili da tagliare. Nella realtà, vengono tagliati molti più capi di quanti possano essere contenuti sulla superficie di un piano di taglio: si creano i materassi, ovvero si sovrappongono diversi strati di tessuto che vengono tagliati per mezzo dello stesso grafico di taglio. I capi contenuti nel grafico moltiplicati per gli strati di tessuto sovrapposti danno il totale di capi tagliati. Successivamente i pezzi vengono riuniti per tipologia nelle mazzette e avviati al cucito. Il taglio laser è preciso e veloce rispetto alla sega a nastro, anche se più costoso e spesso rischia di bruciare i bordi di alcuni tessuti particolari. Altro problema riguarda la rigidità di alcuni fondi, difficilmente sovrapponibili a più strati e per questo da tagliare uno alla volta.
La tessitura nella maglieria Nella confezione prima si tesse un tessuto, poi lo si taglia e lo si cuce per formare il capo finito, nella maglieria invece il capo si ottiene dalla tessitura stessa. Altra differenza tra confezione e maglieria è che la prima utilizza linee di macchine da cucire gestite dal personale, mentre la seconda telai meccanici in cui il fabbisogno di manodopera è ristretto. I telai della maglieria sono grandi pettini automatici dotati di linee di aghi attraverso cui il filato passa e viene annodato, creando la maglia. Essi possono essere rettilinei (maglie piane) o tubolari (maglie circolari). I telai rettilinei possono produrre pezze di maglia lunghe, o già sagomate secondo le forme del campo: in questo caso di parla di maglia calata o diminuita. La maglia in trama è costituita da un unico filo che si annoda su se stesso, mentre la maglia in catena è prodotta con nodi tra più fili che le donano rigidità. È un errore associare univocamente la maglia alla lana: la maglieria è un processo produttivo, non un materiale.
Il cucito Nel settore dell’abbigliamento questa fase si basa ancora sulla macchina da cucire. La prima ad avere una certa diffusione fu inventata in Francia nel 1830, ma fu nel 1851 che Isaac Singer inventò la prima con caratteristiche industriali. Esistono macchine da cucire rettilinee, a zig-zag, a due aghi o travettatrici (che eseguono cuciture forti nei punti in cui è necessaria una maggiore tenuta del capo).
La programmazione del lavoro Ogni attività produttiva deve programmare il lavoro futuro sulla base di 4 parametri: 1. Volume di lavoro da eseguire (noto o ignoto); 2. Scadenze di consegna da rispettare (diverse se si produce per cliente o per magazzino); 3. Capacità produttiva disponibile (finita o flessibile, se non si può ampliare è opportuno sfruttarla al 100% per non avere costi di lavoro improduttivo. Sarebbe inoltre buona cosa disporre di strumenti e competenze differenti); 4. Disponibilità di materie prime (non si produce nulla senza materiali, la programmazione varia a seconda che si possieda una scorta o se essi devono essere ordinati); Dopo la definizione die campionari e in base alle quantità previste dal budget di vendita si studia una previsione di massima dei volumi di acquisto dei materiali necessari e della capacità produttiva richiesta. I fabbisogni di materiale per un campo vengono moltiplicati per il budget previsto, dando luogo alla previsione totale dei materiali. I tempi in minuti di lavorazione per fase di un capo vengono moltiplicato per il budget, ipotizzando il carico di lavoro. Con questi dati, che sono comunque da verificare, si può programmare il lavoro dei fornitori e dei centri produttivi. Questo processo viene ripetuto per ogni articolo compreso in campionario, e la loro sommatoria creerà i fabbisogni complessivi. Vengono programmati prima gli ordini retail attraverso il medesimo meccanismo, contemporaneamente le vendite wholesale crescono, il monte di ordini incrementa così come i dati certi su cui limare la programmazione. Il timing (rispettare i tempi commerciali dell’azienda) è fondamentale. È necessario che la capacità produttiva aziendale sia adeguata al carico di lavoro e al tempo disponibile, e va bilanciato il tempo di attesa che i clienti sono disposti ad aspettare per la consegna di un prodotto con il tempo per fabbricarlo e spedirlo. A questo scopo possono tornare utili le previsioni di vendita e le priorità di consegna: in generale, più un articolo è imprevedibile, più tardi è opportuno produrlo, e viceversa. Il continuativo è il tipo di articolo ideale da far produrre nel Far East: la produzione di Cina, India, Vietnam ecc. oggi ha sovente livelli di qualità adeguati agli standard europei, anche se richiede lunghi tempi di spedizione e sdoganamento, inoltre è organizzata per fabbricare lotti elevati. La priorità di spedizione è un altro aiuto alla programmazione: l’arco di consegne è ampio e ogni cliente ha esigenze proprie, la scadenza non è mai univoca per tutti, e per questo la consegna può essere organizzata, posticipata o unificata per data per livellare il carico di lavoro per periodo.
Criteri di priorità di produzione e di consegna Più un articolo è conosciuto e continuativo, meno sarà rischioso produrlo in anticipo, mentre più è di tendenza più sarà soggetto a variabilità, ed è perciò opportuno produrlo il più tardi possibile. Più un articolo è costoso, maggiore è il suo rischio in caso di produzione errata rispetto alle vendite effettive. Normalmente la priorità di consegna di un cliente è data dalla sua richiesta, ma anche dalla sua importanza: è bene soddisfare in anticipo i clienti principali e vip. Moltiplicando fra loro i valori di priorità dei clienti per quelli di priorità dei capi all’interno di tabelle apposite, otterremo le indicazioni di priorità complessivi per capo/cliente. Va detto che le priorità frammentano la produzione, pertanto sono controproducenti, ma si rivelano l’unica opzione possibile quando si lavora con limitata disponibilità di materiali, di tempo e di capacità produttiva, perché non si può fare tutto insieme.
Produzione in linea e in parallelo Fino a qui si è ragionato in una logica sequenziale del lavoro, dove i diversi modelli sono prodotti uno dopo l’altro. Molto spesso però si lavora in parallelo e contemporaneamente su più articoli. Entrambe le opzioni godono di vantaggi e svantaggi, e la scelta dipende dalla realtà tecnica e di mercato della singola azienda. La lavorazione in linea comporta vantaggi di costo, è semplice da gestire e controllare ed è meno sottoposta a rischi di inattività. Le linee in parallelo comportano duplicazioni di strumenti e persone e rischiano di essere sottoalimentate per mancanza di lavoro, esse però permettono la fabbricazione simultanea di più articoli. Nell’abbigliamento è imperativo che la consegna dei modelli avvenga in modo coordinato, e la lavorazione in parallelo è in grado di ridurre drasticamente i tempi di consegna. Altro argomento a favore della seconda è che si rivela più sicura in caso di problemi: se si crea qualche inconveniente, esso compromette un solo articolo e non l’intera catena di produzione.
Produzione per il magazzino e per il pronto moda Produrre per il magazzino significa produrre capi da mettere a scorta e da vendere e consegnare quando richiesti. In questo caso l’elasticità è maggiore, e i tempi e le scadenze non sono stringenti, si può produrre quando è disponibile una certa percentuale di capacità produttiva senza dipendere da informazioni di vendita. È comunque necessaria una buona conoscenza del mercato per capire quali dimensione dare al lotto di produzione per lo stock. Una terza modalità di consegna rispetto a quella per il magazzino e a quella relativa ad ordini ricevuti è quella del pronto moda: si produce senza dati di vendita alla mano e non capi continuativi da tenere in magazzino, bensì capi stagionali da consegnare al più presto nei negozi. Questa è la modalità produttiva più difficile e rischiosa, per questo è bene produrre lotti ridotti, e riprodurre i modelli che riscuotono maggiore successo a seconda delle necessità. Vista la loro imprevedibilità, questi articoli devono essere prodotti il più vicino possibile ai periodi di vendita per far sì che siano aderenti alle ultime tendenze.
Come gestire la variabilità dei volumi produttivi La condizione ideale per ogni sistema produttivo sarebbe poter contare su volumi di produzione costanti e invariabili: il just-in-time, metodo giapponese, è basato proprio sulla ricerca di stabilità dei suddetti volumi. Ovviamente nel settore moda questo desiderio non è esaudibile. La capacità produttiva di un’azienda può essere fissa o variabile, e spesso si crede erroneamente che l’outsourcing, ossia l’utilizzo di fornitori esterni, aumenti la flessibilità. In realtà, flessibilità e alta utilizzazione degli impianti non si conciliano: un’azienda che lavori vicino al 100% delle sue possibilità non può modificare i propri ritmi/prodotto se non creando code di lavoro in attesa. Quando si lavora in condizioni che richiedono flessibilità è necessario essere produttivamente sovradimensionati. La flessibilità inoltre costa. Attente gestioni e suddivisioni possono migliorare la flessibilità di un’azienda, e un’altra legge fondamentale riguarda la specializzazione, che riduce la flessibilità, mentre la standardizzazione la aumenta. Più il personale è specializzato, più le macchine sono specifiche, meno flessibile sarà l’azienda, meno capace cioè di variare sia i suoi ritmi produttivi che le specifiche dei suoi prodotti. La flessibilità può essere ottenuta quindi standardizzando le lavorazioni, i materiali, i capi finiti, ampliando le competenze delle persone, le possibilità dei macchinari e gli utilizzi delle materie prime. La flessibilità produttiva è conseguente a: • Tipo e capacità produttiva: più essa saprà dimostrarsi versatile, più flessibile sarà la produzione; • Capacità di previsione: maggiore è l’orizzonte temporale che si può prevedere, maggiore è la possibilità di variare efficacemente i volumi e tipologie di prodotti; • Standardizzazione: maggiore è l’uniformità, maggiore è la facilità di cambiare le produzioni;
Programmazione di produzione in base alle disponibilità e agli ordini di materie prime Ultimo aspetto fondamentale nella programmazione è la disponibilità di materie prime. Il loro fabbisogno viene quantificato grazie all’MRP, generato dal confronto tra le distinte basi degli articoli e la loro domanda. Disporre al più presto dei materiali è la condizione primaria per agevolare la programmazione del flusso produttivo. Esistono diversi modi di ordinare i materiali in relazione al momento in cui si agisce: • Ordini al “buio”: sono fatti senza disporre di dati di vendita e perciò pericolosi. Sono decisi non appena la collezione è definita e solo per i materiali meno rischiosi; • Ordini su proiezione: eseguiti proiettando i dati di vendita emergenti da venduti parziali. Il rischio è minore perché si parte da una base di venduto effettivo; • Ordini a consuntivo: vengono redatti a chiusura vendite, il loro margine di rischio è praticamente nullo; • Ordini bulk: sono impegni di acquisto di determinate quantità di materiali o capi finiti di cui si specifica solo il quantitativo, senza dettagliare i colori o gli articoli precisi. Sono utili quando i fornitori devono approvvigionarsi di materie base o programmare produzioni in anticipo;
Una produzione concentrata, in generale, costa più di una diluita. Maggiore è la capacità di previsione, maggiore è il tempo di produzione disponibile, minore sarà il volume di produzione per periodo e di conseguenza anche il costo di produzione. I vincoli della pianificazione delle operation sono quini la quantità da produrre, capacità produttiva a diposizione, scadenze di consegna ai clienti finali e disponibilità di materie prime. Si tratta di costruire un’equazione quasi matematica a quattro variabili che deve dare una soluzione che meglio le ottimizzi. Il problema è che al momento della pianificazione, due di queste quattro variabili sono ignote: ogni azienda conosce solo la propria capacità produttiva e i tempi di consegna dei materiali. La quantità da produrre e le scadenze di consegna si apprendono solo durante le vendite, quindi l’informazione completa si ha solo alla chiusura di queste ultime.
Il controllo della produzione Spesso controllo e qualità sono concetti assimilati, e si pensa che si effettuino controlli solo per assicurarsi della qualità. Il che è vero, ma non esaustivo: il controllo deve vigilare sull’intero processo affinché sia i tempi sia i costi siano ridotti e in linea con le attese. Maggiore è il tempo di processo di un prodotto/servizio, maggiore è anche il suo costo. Dal punto di vista finanziario, il tempo intercorrente tra il pagamento delle risorse necessarie per produrre un articolo e l’incasso per la vendita è sensibile: questo tempo ha un costo dato dal capitale immobilizzato in quel prodotto. Ogni prodotto infatti ha un costo finanziario dato dal costo del capitale richiesto per produrlo, moltiplicato per il tempo necessario finché esso non determina reddito: costo del prodotto x costo del denaro per l’azienda x 1/(12/mesi di stock) Quando il tempo di pagamento concesso dai fornitori è maggiore del tempo di stock più il tempo di incasso dai clienti, si ha addirittura un ricavo positivo. La regola base della dinamica finanziaria è: maggiore è il tempo di produzione, di stoccaggio e di incasso e minore è il tempo di pagamento ai fornitori, maggiore risulta il fabbisogno finanziario dell’azienda.
Produttività Quando si parla di produttività la si associa spesso all’impiego nel lavoro della manodopera e degli addetti. Ciò è certamente una condizione necessaria, ma non sufficiente: se gli impianti non sono efficienti o se l’organizzazione del lavoro non è efficace, la produttività resterà bassa a prescindere dall’impegno dei lavoratori. La produttività può essere espressa in numero di capi prodotti nell’unità di tempo oppure throughput time, il tempo di transito di un prodotto/servizio nel suo processo produttivo, cioè quanto tempo il prodotto/servizio impiega per essere realizzato. Oltre all’aspetto economico e finanziario, va ricordato che la produzione nella moda deve anche rispettare requisiti di velocità.
Riduzione dei tempi improduttivi La riduzione dei tempi improduttivi delle risorse è un altro aspetto fondamentale. Vanno eliminati i tempi morti, ossia le fasi improduttive in cui il prodotto attende che la fase successiva venga eseguita. Il ciclo di vita di ogni articolo è formato da tanti passaggi: alcuni produttivi, che aggiungono valore al manufatto, e altri improduttivi. Il tempo passato in attese improduttive è spesso dominante, ma è possibile ridurre i tempi morti attraverso un attento coordinamento del processo e della logistica che deve coinvolgere tutti i settori. Il problema è come eseguire tale coordinamento. Esiste un aspetto fondamentale che rallenta la produzione su cui intervenire: si tratta dei colli di bottiglia, ossia fasi di produzione più lente di altre che rallentano il processo complessivo. Se il processo è costituito da più fasi in sequenza dove una o più di esse sono più veloci di altre, allora il tempo totale del processo viene compromesso. Queste problematiche assumono dimensioni e costi rilevanti quando si producono lotti industriali di capi, e possono essere risolte attraverso bilanciamenti di linee, quindi inserendo postazioni con maggiore o minore potenzialità secondo la fase di lavoro. Un’altra legge fondamentale delle operation è che in un processo che consta di più fasi in sequenza a durata diversa il tempo di esecuzione complessivo è dato dalla fase più lenta. Molto spesso i tempi di lavorazione si dilatano, ciò accade per svariate ragioni: difficoltà di dividere il lavoro tra i lavoratori (spesso non è possibile spartire i minuti in modo eguale tra gli operatori tecnici); tempi persi nella preparazione della linea; mancanza di organizzazione interna (accade quando una linea viene interrotta per produrre qualcosa di urgente, per revisionare una macchina, per correggere un difetto… questi sono casi di gestione che compromettono il lavoro, e più un lotto è cospicuo e più persone impiega, più è necessario che proceda senza interruzioni o rallentamenti, sia per il costo che per l’efficienza della produzione); errato concetto di efficienza utilizzato (quando si definisce il tempo standard di produzione di un qualsiasi bene si eseguono più prove in ambienti e condizioni diverse, poi si rileva la media e a questa si applica un margine definito efficienza). La riduzione dell’efficienza può presentarsi in diversi momenti o fasi del processo, e ad essa è sempre associato un flusso di lavoro. Il fenomeno è molto rilevante, e l’efficienza va tenuta sotto controllo riducendo al massimo le differenze tra diverse performance durante il flusso complessivo, evitando così che le fasi a monte lavorino meno di quelle a valle, compromettendone la produttività. In qualsiasi processo in cui più fasi siano in sequenza è inutile che le ultime siano più veloci (più efficienti) delle prime: meno lo sono le fasi a monte, più negativo sarà il loro influsso sulle performance di tutto il processo. Questo problema è comune a tutti i processi di produzione di beni, e ha influenze e conseguenze su servizi e tempi di attesa.
L’efficienza come prodotto delle performance Sappiamo che quando un evento dipende da una serie di fattori legati tra loro, il suo esito complessivo non sarà pari alla media delle performance dei singoli fattori, ma al loro prodotto (come nel caso della difettosità).
Il coordinamento dell’attività produttiva con il resto della supply chain Quando per la produzione di un capo sono necessari più fornitori che hanno diverse affidabilità, la probabilità di avviare la produzione nel rispetto di quanto programmato è il prodotto delle affidabilità di consegna dei fornitori stessi. Nell’abbigliamento a volte si avviano produzioni senza disporre di tutti i componenti e si produce coi cosiddetti mancanti: ciò permette di avviare il processo, ma è difficile da controllare e può provocare caos.
Quanto e quando produrre Il budget di vendita/le vendite effettive alimentano sia gli acquisti di materie prime dei fornitori che i programmi dei centri di produzione. Il quanto produrre sarà da rettificare secondo le efficienze e i bilanciamenti di linea, da calcolare in base alla realtà produttiva e alla possibilità di suddivisione delle fasi di fabbricazione. Il quando invece dipende da diversi fattori: data di arrivo dei materiali, data di consegna dei prodotti finiti, natura dei capi da produrre e loro destinazione. I capi ultimati vengono versati a magazzino, da cui verranno prelevati per la spedizione al cliente. I tempi di permanenza dei capi e delle materie prime sono indici di efficienza della supply chain complessiva. Se i capi destinati a un cliente restano in giacenza molto tempo significa che potevano essere prodotti dopo, quindi qualcosa non ha funzionato nella programmazione. Stessa cosa dicasi per le materie prime, che potevano essere ordinate successivamente. Spesso le giacenze sono dovute a errate previsioni di vendita: il volume di merce presente nel magazzino può essere un indicatore della capacità aziendale nel programmarsi.
Controllo della supply chain complessiva Un controllo efficace del processo complessivo deve verificare che i flussi avvengano secondo le scadenze, che quantità e qualità siano rispettate, prevedere opzioni alternative in caso di disfunzioni, istituire priorità di lavoro, evitare giacenze inutilizzate e colli di bottiglia. La funzione stessa del controllo è verificare che la programmazione sia corretta e venga rispettata: programmare significa prevedere i fattori di produzione necessari per fabbricare i capi nei tempi richiesti dal mercato e compatibilmente con gli arrivi dei materiali dai fornitori. La programmazione deve creare una schedulazione di attività che soddisfi i vincoli, mentre il controllo deve verificare che essa venga rispettata. Il controllo più efficacie si esprime durante il lavoro, e le attività da controllare spesso sono di più rispetto alle risorse aziendali disponibili per il controllo. È importante perciò istituire priorità di controllo basate sull’importanza delle posizioni da controllare nell’ambito del processo produttivo. Il rispetto delle quantità, dei tempi di consegna e della qualità sono altri aspetti fondamentali, ed eventuali errori e mancanze devono essere segnalati tempestivamente, altrimenti si crea un precedente, il fornitore non riceve osservazioni e si rischia che un modo di fare sbagliati diventi generalizzato, non si comprenderebbe più quali sono gli errori e dove si sono verificati, causando la perdita di controllo del processo intero. Inoltre, spesso i pochi che segnalano inconveniente vengono percepiti come ostili: la segnalazione di una disfunzione a monte non deve essere esposta e recepita come una critica, se così avviene si crea conflittualità e chiusura tra reparti e questo è uno dei peggiori rischi a cui può essere esposta l’efficienza di una supply chain. Non devono esistere accuse o difese, ma solo informazioni e soluzioni. Un basso servizio al cliente nasce sempre da un basso servizio che si è verificato tra gli operatori della supply chain o da un errore progettuale. Prepararsi a possibili problemi è altrettanto importante in quanto ognuno di essi provoca conseguenze sensibili sulla qualità e/o sui tempi di consegna. Nel settore la maggioranza di essi è dovuta o alla performance dei fornitori o alle caratteristiche costruttive del prodotto. Esiste una sorta di Legge di Murphy nella moda, ossia che più il cliente è importante, più il suo ordine sarà tardivo. Infatti, più le previsioni sono effettuate in anticipo rispetto al momento della vendita e più alta è la probabilità di errore, e anche i compratori ne sono a conoscenza. Chi deve programmare o eseguire il lavoro si trova spesso a dover gestire impegni imprevisti e urgenti. Le aziende in queste situazioni devono prevedere una certa flessibilità, ottenibile soltanto mantenendo la propria capacità produttiva al di sotto del 100%. Infine, la velocità è l’anima della moda e la stagnazione di merci e informazioni si rivela il principale ostacolo alla rapidità di esecuzione.
Analisi delle scorte La cultura produttiva giapponese ha affrontato e in parte risolto il problema delle scorte studiando come ridurle prima, durante e dopo il processo. Le scorte infatti aumentano il tempo di permanenza di un prodotto/servizio nel processo produttivo e nascondono l’inefficienza del processo stesso. Una scorta si crea quando due fasi lavorano a ritmi differenti, quando gli acquisti sono più veloci della produzione o superiori alle vendite. Tutte queste sono situazioni negative per l’efficienza e l’economia di un’azienda, e la riduzione di scorte costringe i settori a una maggiore integrazione. Questa è l’essenza della teoria della riduzione delle scorte: vietare o ridurre le scorte migliora il processo, perché lo costringe a esaminarsi per meglio tararsi e coordinarsi. Gli utenti in attesa possono essere visti come “scorte umane”. In rari casi le scorte sono opportune e giustificate: quando si fa scorta di continuativi per il magazzino, quando si possono avere forti sconti per l’acquisto di quantità superiori al fabbisogno o quando si prevede un aumento del prezzo. Esiste un dibattito su quali scorte siano giuste e quali invece debbano essere eliminate o ridotte. Le scorte sono un costo, in quanto più un prodotto resta nel ciclo produttivo, più il capitale impiegato per la sua produzione non viene remunerato; sono un rischio, soprattutto per le aziende ad alta variabilità di vendita. D’altro canto, possono anche migliorare la reattività aziendale creando un serbatoio di materiali pronti per essere utilizzati nel momento del bisogno. Il coordinamento del processo non può prescindere quindi dal monitoraggio delle scorte, e interrogarsi su come ridurle (tema già affrontato in diversi punti).
La lentezza decisionale Anche le scorte di informazioni devono essere ridotte, ed è meglio disporre di un’informazione grossolana ma tempestiva piuttosto che di una precisa e dettagliata, ma non attuale. Non comunicare fa sì che rimangano scorte di informazioni inutilizzate. La più importante di queste riguarda le decisioni: una delle più gravi cause di rallentamento di ogni processo è la lentezza nel decidere. Il ritardo nel prendere provvedimenti rallenta tutte le azioni che scaturiscono da esso, e un buon metodo per evitare questi ritardi è studiare a priori e identificare con precisione quali sono le informazioni necessarie per prendere una decisione, raccoglierle e non appena sono disponibili prendere una decisione. Analisi corretta delle informazioni Il controllo della supply chain complessiva comprende tutta la catena, dai fornitori ai negozi clienti. Diventa fondamentale quindi la gestione delle informazioni, ed esse vanno distinte in base a qualità e quantità. Pur giungere a valutazioni utili e corrette è necessario prelevare e associare solo le informazioni rilevanti: qualità di informazione significa saper scegliere e associare i dati rilevanti secondo le diverse valutazioni e decisioni da prendere.
Bilanciamento delle attività di supply chain complessiva Il problema della diversità di output tra le fasi è tanto maggiore quanto lo è la divisione e la specializzazione del lavoro tra di esse. Esiste un’altra legge fondamentale: se si vogliono migliorare i risultati di una catena è necessario modificare i suoi componenti più lenti, perché in presenza di essi è inutile incrementare quelli più veloci. Molto meglio aumentare il livello dell’intero complesso, intervenire sugli sprechi, potenziare le fasi più lente e ridurre quelle più veloci.
Aspetti organizzativi del controllo Esistono due scuole di pensiero che studiano come ottenere alti livelli di controllo, produttività ed efficienza: una è americana, l’altra giapponese. L’americana è basata sylla tayloristica frammentazione e standardizzazione del lavoro; quella giapponese al contrario propone l’ampliamento delle mansioni del lavoratore come condizione di base per aumentarne il coinvolgimento e la motivazione. Esistono lavoratori che non ambiscono o che non sono in grado di svolgere impegni complessi, mentre altri lavorano bene solo in questa situazione.
10 La lean production nell’abbigliamento La lean production è un metodo di gestione della supply chain che ha dato grandi risultati all’industria giapponese e che poi si è diffuso in tutto il mondo. La sua filosofia di base è semplice, ma l’implementazione è complicata. Di solito i metodi di gestione sono studi generali oppure procedure tecniche specifiche: la lean è un insieme di entrambi, dove i primi si concretizzano nelle seconde. Non è un procedimento da adottare in pieno oppure da ignorare: essa può essere implemetata gradualmente anche solo su qualche aspetto aziendale. Un’azienda che applichi la lean può dare: coordinamento, velocità, qualità, affidabilità, economia, e per ottenere ciò necessita di ordine, domanda prevedibile, flessibilità di produzione, studio dei processi produttivi e collaborazione. La lean è un sistema teso a semplificare e fluidificare l’intero processo, evitando sprechi, tempi morti e accumuli di prodotto in attesa. Essa si prefigge di eliminare gli sprechi o di ridurli, ed è perciò anche un sistema per risparmiare. Quelli più consistenti riguardano: • Sovra-lavorazione: più lavorazioni di quelle richieste; • Sovra-produzione: si producono più unità di quelle richieste; • Ri-lavorazione: compiere più volte un processo per eliminare errori; • Giacenze; • Intelletto: non utilizzare al meglio le idee migliorative e le capacità degli operatori; • Trasporto: spostamento inutile di materiale; • Movimento: spostamenti inutili; • Attesa; Spesso si fa confusione tra lean production e just-in-time: la prima è l’unione tra una filosofia e un metodo pratico, quindi è la filosofia mentre il secondo è il metodo pratico tramite cui essa si realizza. La lean può essere applicata sia alla produzione di beni che ai servizi. È più facile capirla partendo da cosa non è: i sistemi produttivi occidentali sono basati sulla produzione a lotti dello stesso articolo in grandi quantità, il che permette produzioni veloci ed economiche perché la ripetizione continuata dello stesso lavoro aumenta l’esperienza e la velocità di esecuzione. La lean afferma che possono essere ottenuti risultati migliori e costi inferiori con l’esatto contrario, ossia attraverso la produzione ripetuta di piccoli lotti, cioè non produrre in un’unica soluzione lo stesso articolo e poi passare ad altri, bensì creare un flusso produttivo distribuito su tutti gli articoli da produrre. In questo modo si ha una voluta frammentazione dei lotti produttivi e una continuità di produzione sul lungo termine di tutti gli articoli. La lean afferma che questa continuità evita scorte inutili, colli di bottiglia e produzioni sbilanciate, anche il tempo totale di produzione si riduce, e con esso i costi. La lean asserisce anche che adottando questo metodo la qualità del prodotto risulta migliore che con la produzione a lotti, perché si opera su quantità di prodotti diversi, perciò l’attenzione degli operatori e l’evidenza di eventuali problemi sono maggiori. Le obiezioni principali all’introduzione della lean riguardano le cosiddette curve di apprendimento e i costi di avviamento di nuove produzioni: le prime indicano la maggiore abilità e velocità che un addetto acquisisce facendo in continuazione la medesima azione, mentre i secondi sono i costi necessari per passare da un prodotto a un altro. La lean sostiene che la produzione a grandi lotti di prodotti è economica solo per il lotto stesso, non per l’azienda nel suo complesso, per questo è meglio produrre insieme più articoli su un arco di tempo più lungo. Inoltre, la produzione esclusiva di grandi lotti dello stesso articolo genera alienazione, quindi minore attenzione, difetti ed errori, pertanto costi. Infine, i costi di avviamento possono essere ridotti al minimo agendo sulla preparazione preventiva. La lean preferisce spalmare la produzione degli articoli in modo uniforme per l’intero periodo, e in questo modo si ritiene si poter ridurre gli sprechi e gli errori: l’attenzione aumenta, un eventuale errore è perciò riscontrabile fin da subito e l’operaio viene stimolato e reso partecipe del processo.
Lean production come coordinamento Il sistema a lotti si avvia con l’MRP che, in base a una certa produzione prevista, pianifica il lavoro necessario di ogni reparto. Gli acquisti apprendono dall’MRP cosa deve essere fornito e quando, lo stesso fa la produzione, e l’obiettivo è fornire tutto ciò che è stato richiesto. La lean è impostata diversamente: la programmazione centrale definisce il lavoro di massima che ogni reparto dovrà produrre, facendo sì che le diverse capacità siano coerenti al programma generale. Questo è un macro- obiettivo, e il lavoro quotidiano si svolge in modo diverso e coordinato. Il processo è molto diretto e tarato sulla domanda effettiva, e la catena è collegata da un’interdipendenza molto stretta. C’è chi afferma che questo sistema non sia adatto alla moda per la caratteristica fondamentale di variabilità che quest’ultima presenta. In realtà, è vero il contrario perché la lean prevede e programma un certo volume di lavoro per periodo, nell’ambito di questo programma vengono eseguiti articoli diversi, non pochi in grandi lotti, quindi se la domanda subisce variazioni la lean può provvedere alla modifica in modo efficiente. È un ottimo sistema per produrre immediatamente l’esatta domanda proveniente dal mercato, senza bisogno di previsioni a lungo termine o stock di merci.
Lean production e servizi Quando si parla di beni materiali è possibile adeguarsi alla domanda creando degli stock di prodotto, ciò non è possibile nei servizi, dove il prodotto è dato dall’attività umana. Una delle caratteristiche fondamentali della lean è il saper soddisfare una domanda variabile senza stock, il chè è ciò che di più auspicabile si può avere nei servizi. Per farlo, si utilizzano con le persone le stesse norme che la lean applica ai beni materiali. Il processo si basa sulle fasi a monte che richiedono solo il necessario alle fasi a valle, e ciò può contribuire davvero a migliorare l’efficienza (quindi la redditività) dei servizi. La gestione attenta della supply chain comprende una cultura e un insieme di metodologie che possono essere applicate a molti ambiti diversi.
11 Il customer service Funzioni principali Il customer service è uno dei reparti fondamentali di un’azienda di abbigliamento per due motivi: mantiene il contatto diretto con la clientela e gli agenti di vendita ed è coinvolto in alcune importanti fasi strategiche fondamentale per l’azienda, quali l’analisi dei dati di vendita storici, calcolo dei prezzi, presentazioni delle collezioni, raccolta ordini, controllo degli avanzamenti di produzione, controllo dei rientri dei capi, spedizione ai clienti, raccolta e gestione dei dati di marketing, controllo delle giacenze, accettazione di resi ecc. Il customer service è posto dopo la produzione, ma agisce anche prima e durante le vendite, non si isola mai dal processo produttivo e lo segue. Nelle aziende di moda esso è coinvolto nelle attività elencate: in quelle medio-piccole gode di importanza elevata e il suo contributo è alto, in quelle di maggiori dimensioni il suo ruolo può essere limitato e integrato da uffici specifici. Le attività da gestire sono molte, esso perciò spesso viene suddiviso in più settori: uno in Italia e uno all’Estero, suddivisi a loro volta all’interno anche per linea di prodotto. Vi è una notevole differenza tra customer service wholesale e retail: il primo gestisce clienti esterni all’azienda, veri compratori del prodotto, è bene perciò che si doti di diplomazia, tatto, abilità commerciale; il secondo assiste i negozi diretti dall’azienda e gestiti da colleghi, quindi prevalgono doti organizzative e di controllo. I negozi wholesale percepiscono le aziende fornitrici dall’efficienza del loro customer service: esso deve essere in grado di gestire e comunicare informazioni precise e puntuali. Altra funzione seguita dal customer service nelle aziende che hanno una rete di agenti di vendita è la loro assistenza e controllo: l’agente è colui che vende e che assicura fatturato e profitti. Il servizio clienti e il magazzino lavorano quotidianamente a strettissimo contatto, e sono molte le attività comuni svolte coordinatamente. Una di queste è il controllo finale di qualità: in magazzino viene espletato il controllo, eventuali difetti vengono esibiti al customer service che decide che farne o a chi sottoporre il problema.
Aspetti di base dell’attività Gli aspetti della clientela wholesale che influenzano l’attività del customer service sono qualità e quantità degli ordini, date di arrivo e di consegna, modalità di consegna richiesta. Il primo punto riguarda quali articoli e quali quantità il cliente decide di comprare: minore è il numero delle SKU (referenze) da gestire, maggiore è la facilità di gestione dell’azuenda. I clienti che ordinano grandi quantità su poche referenze sono più agevoli da seguire per il customer service rispetto a quelli che effettuano ordini molto minori, ma rarefatti su tante SKU. La complessità del lavoro, i tempi e le risorse necessarie sono direttamente proporzionali al numero di clienti e referenze gestite dall’azienda. Il secondo punto riguarda l’arrivo dell’ordine e la sua data di consegna, e definisce il tempo che ha l’azienda per evadere il suo impegno commerciale. Le modalità di consegna riguardano cosa e quando il cliente vuole ricevere. Ordini cospicui vengono spesso frammentati in più spedizioni su richiesta precisa del cliente, così che si possa riceverli e sistemarli in negozio in modo più ordinato. I customer service che lavorano con i department stores ricevono spesso un ordine complessivo da suddividere per ogni località in cui l’organizzazione acquirente ha i propri punti vendita. Lavorare con questi distributori è positivo, in quanto gli ordini sono spesso notevoli e i clienti solvibili, e necessario, perché la distribuzione commerciale dell’abbigliamento in alcuni paesi è in mano a queste organizzazioni. Le aziende che operano con loro devono quindi dotarsi di customer service e operation affidabili ed efficienti.
L’importanza del customer service per l’assortimento del retail monomarca La distribuzione diretta monomarca richiede una forte efficienza delle operation in quanto il negozio gestisce un solo brand, ed eventuali inefficienze sono evidenti. Alcune di esse, come consegne in ritardo o limitate, bassa qualità o lentezza di riassortimento causano negozi spogli, perdite in termini di vendite e immagine, o negozi disassortiti. I negozi monomarca costituiscono un forte investimento per le aziende e un veicolo potente di comunicazione, nei confronti del cliente questa forza comunicativa finale può essere percepita in modo positivo o negativo. I mezzi per evitare questi imprevisti sono diversi, per esempio seguire le vendite nel loro evolversi, chiedendo di frequente quanto e cosa è stato venduto. Le vendite passate non sempre sono un parametro attendibile del futuro, i dati spesso sono imprecisi, anche se l’esperienza può ridurre i margini di errore e si necessitano comunque continui riassortimenti dalla casa madre. I dati vengono comunicati ai negozi via Internet e sono gestiti da appositi software di controllo vendite. In molte aziende questa è una professione di prima linea in diretto e quotidiano contatto con i protagonisti del business e i loro problemi: il customer service non è un ufficio dell’azienda, ma l’azienda stessa, i clienti si rivolgono a questo dipartimento e ottengono servizi e risposte più o meno adeguate, e in base ad essi valutano e apprezzano o meno l’azienda. È l’ufficio tramite il quale l’azienda è in contatto con il resto del suo mondo.
12 La logistica Organizzazione generale del magazzino Con logistica di intendono le fasi di handling, stoccaggio, movimentazione e trasporto delle merci. Un magazzino di abbigliamento è normalmente suddiviso in: • Area amministrativa: ricezione e controllo dei documenti di arrivo, emissione bolle di uscita, ordini di prelievo da magazzino, fatturazione; • Area di controllo quantitativo/qualitativo del prodotto; • Area di stoccaggio: scaffalature • Linea di imballo: dove i capi vengono inscatolati e preparati per la spedizione; • Area di spedizione: dove gli imballi sostano in attesa dei trasportatori; I capi gestiti da un magazzino d’abbigliamento sono divisi in prodotto steso (tipologia di prodotto imbustato/inscatolato) e prodotto appeso (articolo movimentato appeso a grucce), e l’organizzazione del magazzino può essere per articolo o per cliente: la prima è più frequente e comporta la suddivisione per modello; la seconda implica che ogni spazio contenga i quantitativi ordinati da ogni singolo cliente. Più i movimenti di magazzino sono brevi in termini di tempo e spazio, maggiore risulta la velocità e accuratezza del processo, nonché la sua organizzazione logistica. La logistica si attiva quando la produzione termina la sua attività e versa a magazzino il prodotto finito, esso riceve i capi e li ripone in celle suddivise per ogni referenza, ossia articolo/colore/taglia. Ogni articolo in un colore e taglia specifici viene detto SKU (stock keeping unit, unità di stoccaggio). Il personale ripone i capi nelle celle con due eccezioni: se gli spazi non sono suddivisi per articolo bensì per cliente, e se l’azienda gode di tempi di processo molto veloci, di conseguenza i capi non vengono allocati nelle loro celle ma messi a terra in mezzo al magazzino per poi essere spediti immediatamente ai clienti. L’operazione di prelievo dei capi da magazzino per spedirli è divisa in due fasi: assegnazione e picking. La prima è eseguita da un computer che controlla la disponibilità di SKU a magazzino, confronta questa con gli ordini ancora da evadere e assegna le SKU per ogni cliente. Il secondo invece è la raccolta fisica da magazzino dei capi assegnati. Queste operazioni risultano impegnative perché i volumi di lavoro durante le spedizioni sono molto elevati e concentrati in tempi ristretti.
Mappatura del magazzino Il magazzino deve essere mappato, ovvero deve essere assegnato al suo interno una posizione precisa a ogni SKU, in modo che si sappia sempre con esattezza dove essa sia. Il magazzino viene mappato non appena sono noti i volumi di lavoro che dovrà sostenere, quindi solitamente al termine delle vendite di una stagione. Chi non opera sul programmato, può mappare il magazzino elaborando un piano di lavoro che tenga conto dei volumi storici in entrata e in uscita e dei budget futuri. Le aree di stoccaggio sono divise in corsie e piani, e ad ogni referenza vengono assegnati cella, corsia e piano specifici. Esiste un documento che guida l’immissione delle referenze a magazzino, e un altro che gestisce il prelievo delle referenze (distinta prelievo). Questi documenti sono cartacei, oppure quando il magazzino è informatizzato sono visibili su piccoli terminali portatili degli operatori. Per evitare di mappare in modo errato il magazzino, assegnando a una cella più capi di quanti ne possa contenere, si inseriscono nella distinta base anche le dimensioni del capo, che associate al numero di capi da ricevere vengono confrontate all’ampiezza della cella.
Fasi di lavoro 1. Ricevimento dei campionari, cartelle colori, materiale di vendita e invio degli stessi a showroom, agenzie di vendita e altri; 2. Allestimento degli spazi interni a secondo dell’attesa di SKU; 3. Ricezione e controllo quantitativo/qualitativo; 4. Allocazione dei capi; 5. Assegnazione dei capi in giacenza ai clienti; 6. Picking dei capi; 7. Imballaggio e spedizione degli ordini; 8. Inventari; 9. Ricevimento dei resi da negozi; 10. Preparazione degli stock di rimanenze; Le referenze nella moda variano di continuo, ne consegue che le mappature e la verifica degli spazi devono essere rivisti in continuazione. Attività di magazzino di notevole importanza sono gli inventari: non dovrebbe essercene bisogno, in quanto ogni capo in entrata e uscita dovrebbe essere registrato, ma nella realtà errori e disattenzioni fanno sì che siano quasi fisiologiche le differenze tra la giacenza risultante a computer e quella fisica. Per le aziende dotate di reti di vendita, ogni punto vendita ha rimanenze di fine stagione che, se non rimesse in vendita, devono essere ritirate e veicolate verso altre destinazioni: grandi quantità di capi vengono rese al magazzino e devono essere ricondizionate (lavate/stirate). I cartellini devono essere sostituiti in caso la destinazione muti, e alcuni capi vengono destinati agli stock delle rimanenze e rivenduti a pressi ribassati.
Importanza e programmazione dei magazzini Nei magazzini confluisce tutta la produzione aziendale, gli arrivi della produzione sono scostanti, perciò essi devono essere dimensionati il più possibile vicino al picco di attività. Per programmare l’attività dei magazzini è necessario conoscere il programma dei rientri della produzione, e quello delle spedizioni. La data di completamento di un lotto di capi coincide con quella di consegna al magazzino, e le date di arrivo e le quantità determinano la programmazione del lavoro in entrata nel reparto. La programmazione del lavoro in uscita invece è determinata dalle date di consegna ai clienti e dai volumi degli ordini. Le fasi principali sono ricezione, allocazione, picking, imballaggio, spedizione. La regola fondamentale della supply chain afferma che le attività in sequenza o interdipendenti devono avere stessa capacità: le capacità inferiori rallentano le altre, mentre quelle superiori sono uno spreco in quanto la loro maggiore performance è vanificata dalle più lente. Anche in magazzino le varie attività devono essere bilanciate sulla stessa potenzialità, migliorabile attraverso maggiore manodopera, strumenti di lavoro efficaci, raggruppamento del lavoro movimentando il massimo prodotto possibile con poche operazioni, perfezionamenti di layout e mappatura. La fase di picking risulta essere quella più laboriosa, in quando si devono prelevare i capi di ogni spedizione da ogni cella. La logistica a volte viene terziarizzata, ossia data in concessione a organizzazioni specializzate in questa attività. Le aziende così evitano sia il costo di investimenti in magazzino sia quello del personale, pagando un tanto per ogni capo movimentato. Il vantaggio per la società logistica specializzata è che può gestire più aziende clienti contemporaneamente nella medesima struttura. Il problema che affligge queste collaborazioni è che i tempi e le stagionalità della moda sono gli stessi per tutte le aziende: le società specializzate hanno quindi periodi di altissimi picchi di lavoro e altri di parziale inattività. Un fatto nuovo riguardo alla logistica si sta verificando nel Far East: esso sta diventano un interessante cliente finale, perciò conviene costruire e gestire magazzini in questi paesi direttamente, evitando costosi e lunghi trasferimenti.
Il valore in stock Quando si valuta un’azienda di abbigliamento un’attenzione particolare va rivolta alle giacenze di magazzino. Il loro valore reale si determina attraverso il costo di produzione, quindi manodopera + materiali + una quota di spese generali. Il valore della merce a magazzino è talvolta uno dei più alti espressi nei bilanci delle aziende di abbigliamento. Un buon criterio per giudicare lo stock è dividerlo in merce attuale e merce più datata: nel primo caso essa può essere valutata al costo di produzione e a quello di vendita, anche se è più prudente limitarsi al primo; nel secondo caso un articolo continuativo in un colore standard può ancora essere messo in vendita, mentre quelli superati hanno un valore residuo minimo, inferiore al loro costo. Più alto è il tempo di giacenza del prodotto in magazzino, più elevata sarà la sua svalutazione.
Il sorter Il sorter (distributore) è una macchina simile a una roulette in cui vengono immessi capi da assegnare. Un articolo entra, cade in un vano, il suo bar code viene letto e il sistema viene informato che in un certo vano c’è quell’articolo. Al bordo esterno della roulette vi sono delle bocchette apribili, ad ognuna delle quali viene associato un codice cliente. Così si esegue l’assegnazione: il sorter gira ad alta velocità, quando il vano raggiunge la bocchetta del cliente corrispondente essa si apre e il capo entra. Questo tipo di assegnazione è automatizzata e veloce, anche se il costo di questo dispositivo è molto elevato, perciò solo aziende importanti possono permetterselo.
Sicurezza di magazzino La sicurezza di chi lavora in magazzino va tutelata, in quanto spesso non si tratta di luoghi sicuri. Non sempre sono climatizzati, perciò nei periodi in cui i carichi di lavoro sono molto alti lo stress può influire negativamente sulle performance degli operai, e i due aspetti messi insieme possono essere pericolosi. È fondamentale istruire il personale e affiancargli addetto esperti, controllando perennemente l’attività. Chi lavora dovrebbe dotarsi di casco, scarpe apposite e guanti, e l’illuminazione in questi spazi deve essere eccellente.
Packaging La maggior parte dei prodotti viene imbustata direttamente da chi esegue lo stiro, perciò essi arrivano in magazzino quasi sempre confezionati. I capi inscatolati usato box voluminosi, perciò la spedizione di uno di essi occupa più volume e di conseguenza il suo trasporto costa di più.
Spedizioni: il packing list Il packing list è un documento base di ogni spedizione, internazionale o nazionale, via terra, mare o aria. È una lista dettagliata del contenuto di ogni cartone, pacco o contenitore che viene spedito, il quale deve essere numerato per permetterne l’identificazione. Le spedizioni nazionali o europee avvengono tramite camion, le intercontinentali via nave o per via aerea. Il tempo di spedizione in località nazionali è di 24-48 ore, un po’ di più per le isole. Le spedizioni via nave avvengono in container, sono economiche ma anche lente (20 giorni-1 mese), spesso quindi hanno tempi troppo lunghi per la moda stagionale. Nella durata del trasporto intercontinentale è necessario considerare anche il tempo di sdoganamento. I trasportatori specializzati nella moda viaggiano con mezzi anonimi seguiti da GPS, e le tariffe variano a seconda del volume di lavoro e della destinazione. Possono essere calcolate sul peso o sul volume trasportato, e va sempre chiarito il fuel surcharge, ossia l’adeguamento del costo al prezzo del petrolio. La lunghezza del trasporto incide notevolmente sia sui costi che sui tempi, perciò è importante stabilire i magazzini in posizioni centrali rispetto alle destinazioni da raggiungere.
13 Le operation nel retail La distribuzione monomarca nella moda ha assunto una certa dimensione e rilievo grazie alla volontà di affermare il proprio marchio, di praticare liberamente strategie di prezzo, alla possibilità di presentare un’offerta completa e alla speranza di aumentare le vendite. Il monomarca è un potente veicolo di promozione e comunicazione del marchio e del prodotto, il cui costo è determinato da affitto, investimento in scorte di prodotto (il negozio deve essere sempre allestito), il personale, mobili, impiantistica, manutenzione, e dalla “buona entrata” o key money, una somma che l’azienda intenzionata ad aprire un punto vendita offre all’affittuario di un negozio per subentrargli. L’appeal del negozio, del prodotto e del servizio ricevuto dal cliente devono essere eccellenti, altrimenti è meglio non aprire.
Scelta della location Lo stesso prodotto, esposto in negozi e/o modi differenti, può dare risultati di vendita diversi. La scelta della location infatti influenza il volume di vendita atteso, in base all’affluenza di visitatori, il livello dell’offerta e la sua tipologia in base al target prevalente nell’area. Inoltre, contribuisce ai costi del negozio e alla politica di prezzo. È necessario porre attenzione al punto preciso in cui si decide di aprire un negozio monomarca, oltre che al motivo per cui lo si apre: nel mondo vi sono strade diverse per aspetto e clientela, alcune fatte per esibire e altre per vendere. La location è inoltre correlata alle dimensioni del negozio, che a loro volta dipendono dalla tipologia di prodotto e dal tipo di vendita. Le aree di servizio dei negozi, come magazzino e camerini, sono importanti: maggiore è lo spazio in magazzino, maggiore è la quantità di scorte disponibili, mentre uno dei momenti fondamentali per la decisione del cliente è la prova in camerino. Sono la tipologia di prodotto, di clientela e di vendita che determinano la location adatta e le dimensioni opportune per ogni azienda. Altro aspetto importante che influisce sulla scelta della location è conoscere l’evoluzione della zona ed eventuali cambiamenti urbanistici che possono influenzare la scelta.
Layout di negozio, esposizione, assortimento In passato, il negozio tipo prevedeva la separazione netta tra cliente e merce, quindi egli non aveva accesso al prodotto. Oggi il cliente deve entrare in contatto con il prodotto nel minor tempo possibile e con facilità, perché da questo contatto scaturiscono l’interesse e l’eventuale acquisto. I prodotto che l’azienda vuole vendere di più devono essere immediatamente visibili e testabili: un layout riuscito è quello che convince il visitatore a perlustrare tutto il negozio in modo comodo, agevole e funzionale, e che riesca a mostrare in modo chiaro l’intera proposta. I costi di affitto di un piano terreno sono superiori a quelli degli altri piani, e su questo vengono esposte le merci più redditizie per l’azienda. I negozi di lusso sono fortemente localizzati nei punti più esclusivi, perciò le spese di affitto sono elevate e le dimensioni non sono notevoli: da qui sorge la necessità di mediare tra esposizione efficace del prodotto e sfruttamento del poco spazio disponibile. L’antico metodo degli specchi rende gli ambienti virtualmente più vasi, scaffalature poste longitudinalmente rispetto all’entrata evitano il blocco alla visione, la cassa normalmente è posta vicino all’uscita o al centro del negozio. Spesso si utilizzano vari accorgimenti per dare l’idea di dimensioni maggiori: i layout oggi sono facilmente modificabili, il che potrebbe piacere al cliente oppure infastidirlo in caso non riconoscesse l’ambiente. I pezzi core business dell’azienda sono i più importanti per il negoziante, quindi devono essere privilegiati sia nell’esposizione che nella disponibilità di magazzino, mentre i capi civetta sono articoli molto particolari che vengono posti nelle postazioni più visibili del negozio, con la funzione di incuriosire il cliente. Un buon metodo è quello di collocare accanto ad articoli di grande impatto che richiamano l’attenzione altri capi più vendibili. I negozi dalla vendita emozionale vengono visitati senza idee precise sul cosa acquistare, e devono perciò giocare anche su temi slegati al prodotto specifico. In generale, in questo tipo di attività la discontinuità attira di più rispetto alla linearità, mentre questo non vale per i negozi da uomo in cui il cliente spesso entra consapevole di cosa desidera. Molti negozi risentono della legge di Pareto, secondo cui ad ogni accadimento concorrono numerosissime cause, ma sono poche quelle che fondamentalmente lo determinano: ciò per i negozi significa che la massima parte delle vendite è spesso data da pochi articoli. Un assortimento ampio è garanzia di un’ottima presentazione al cliente, ma i modelli realmente acquistati in volumi considerevoli sono pochi. Alcuni aspetti logistici influenzano direttamente il processo di interessamento e il successivo acquisto del cliente.
Caso degli outlet Gli outlet vanno gestiti come normali negozi per cui valgono le considerazioni effettuate per il retail. L’offerta però è diversa: il prodotto in vendita è un mix di rimanenze dai negozi di prima linea e merce prodotta appositamente per l’outlet. Il cliente è stimolato non solo dal prezzo, ma anche dalla gamma di prodotto completa e dalla facilità di trovare qualche proposta interessante. Queste integrazioni hanno rivoluzionato il comportamento di acquisto dai tempi degli spacci a quelli degli outlet. I capi outlet hanno due vantaggi: possono contribuire a smaltire le giacenze di materie prime, e la loro produzione può concentrarsi in quei periodi di bassa attività, sfruttando capacità produttiva e livellando il flusso produttivo annuale.