Sei sulla pagina 1di 368

Titolo

originale
Periodization training for sports / Tudor Bompa, Carlo Buzzichelli. -- Third Edition
ISBN: 978-1-4504-6943-2
Copyright © 2015 by Tudor O. Bompa and Carlo Buzzichelli
Human Kinetics (USA)

All rights reserved. Except for use in a review, the reproduction or utilization of this work in any form or by any
electronic, mechanical, or other means, now known or hereafter invented, including xerography, photocopying, and
recording, and in any information storage and retrieval system, is forbidden without the written permission of the
publisher.

Titolo italiano
PERIODIZZAZIONE DELL’ALLENAMENTO SPORTIVO - SECONDA EDIZIONE ITALIANA

COPYRIGHT 2017
Roberto Calzetti Editore
Via del Sottopasso, 7
06089 Ferriera di Torgiano (PG)

E-mail: info@calzetti-mariucci.it
www.calzetti-mariucci.it
Tel. +39 075/5997310
Fax. +39 075/5997310

Segui Calzetti & Mariucci Editori su:

Traduzione: Carlo Buzzichelli


Revisione tecnica: Agostino Tibaudi
Revisione linguistica: Francesca Vignoli
Grafica di copertina: Sara Belia
Foto di copertina: kentoh @123RF Archivio Fotografico
Impaginazione: Daniele Calzoni
Fotografie: Archivio Roberto Calzetti Editore, 123rf.com

È severamente vietata la riproduzione totale o parziale dei contenuti di questo volume anche con supporti informatici,
senza l’autorizzazione degli autori e dell’Editore
INDICE

PARTE 1
FONDAMENTA DELL’ALLENAMENTO DELLA FORZA

CAP 1 Forza, potenza e resistenza muscolare negli sport


CAP 2 Risposta neuromuscolare all’allenamento della forza
CAP 3 L’allenamento dei sistemi energetici
CAP 4 Fatica e recupero
CAP 5 Nutrizione sportiva
CAP 6 Periodizzazione come pianificazione e programmazione dell’allenamento sportivo
CAP 7 Leggi e principi dell’allenamento della forza per lo sport

PARTE 2
PROGRAMMAZIONE

CAP 8 Manipolazione delle variabili di allenamento


CAP 9 Pianificazione e programmazione del microciclo
CAP 10 Il piano annuale

PARTE 3
PERIODIZZAZIONE DELLA FORZA

CAP 11 Fase 1: adattamento anatomico


CAP 12 Fase 2: ipertrofia
CAP 13 Fase 3: forza massima
CAP 14 Fase 4: conversione a forza specifica
CAP 15 Fase 5-6-7: mantenimento, cessazione e compensazione

Bibliografia

Gli autori
PREFAZIONE

Il mercato è saturo di libri sull’allenamento della forza, per la maggior parte molto tradizionali e quasi
uguali gli uni agli altri. Quasi tutti discutono un po’ di fisiologia di base, descrivono vari esercizi e
suggeriscono alcuni metodi d’allenamento. La pianificazione dell’allenamento è raramente affrontata e la
periodizzazione (lo strutturare l’allenamento in fasi) di rado viene menzionata, semplicemente perché
pochi autori ne capiscono l’importanza.

L’allenamento della forza è fondamentale nello sviluppo degli atleti, ma deve consistere in qualcosa di più
che il mero sollevare pesi senza uno scopo specifico. Infatti lo scopo di qualsiasi allenamento della forza
dovrebbe essere la preparazione degli atleti per la competizione, che è il test ideale del livello di
performance raggiunto, delle loro abilità fisiche e dei loro tratti psicologici. Per raggiungere i migliori
risultati, gli atleti devono essere sottoposti a un programma periodizzato, ossia a delle variazioni sport-
specifiche e fase-specifiche nel processo d’allenamento.

La terza edizione di “Periodizzazione dell’allenamento sportivo” mostra come usare la periodizzazione


nella stesura di un programma d’allenamento della forza per gli atleti di vari sport e indica quali sono i
metodi più adatti in ogni fase d’allenamento. Questa edizione include anche un capitolo più vasto
sull’allenamento dei sistemi energetici e suggerisce come integrare in maniera ottimale l’allenamento
della forza e l’allenamento metabolico per vari sport. Le fasi sono pianificate in funzione del calendario
competitivo e ognuna di esse ha un obiettivo specifico per lo sviluppo della potenza o della resistenza
muscolare. L’intero programma d’allenamento ha come obiettivo il raggiungimento del picco di forma per
le gare più importanti dell’anno.
Questa strategia di pianificazione, che chiamiamo periodizzazione della forza, stabilisce il tipo di forza
sviluppato in ciascuna fase dell’allenamento per assicurare il raggiungimento del più alto livello di
potenza o resistenza muscolare. Lo sviluppo delle abilità sport-specifiche prima della fase competitiva è
essenziale perché esse costitituiscono il fondamento fisiologico sul quale si appoggia la prestazione
atletica. L’elemento chiave nella periodizzazione della forza per lo sviluppo della potenza o della resistenza
muscolare è la sequenza con la quale i vari metodi di allenamento della forza sono pianificati.

Bisogna anche tenere conto degli obiettivi delle varie fasi d’allenamento e considerare come integrare
l’allenamento della forza con l’allenamento sport-specifico per sviluppare il potenziale motorio e
migliorare la prestazione. Questa edizione di “Periodizzazione dell’allenamento sportivo” offre una
metodica per il raggiungimento degli obiettivi dell’allenamento al fine della competizione, attraverso l’uso
della periodizzazione, e approfondisce la strutturazione dei programmi di allenamento della forza in base
alle caratteristiche fisiologiche dello sport e alle caratteristiche dell’atleta. Il libro propone anche una
visione critica su molti metodi di allenamento usati attualmente nell’allenamento sportivo.

Qualunque figura sportiva, preparatore atletico, allenatore sportivo, istruttore, personal trainer, atleta, o
studente universitario, potrà beneficiare di questo libro migliorando la propria conoscenza
sull’allenamento periodizzato e sulle sue fondamenta fisiologiche.

Una volta applicato questo concetto metodologico, sarà evidente che è il modo migliore di organizzare un
programma di allenamento della forza per migliorare gli adattamenti fisiologici di uno sportivo e quindi, in
ultima analisi, per migliorarne le prestazioni.
Il picco della prestazione avviene perché lo pianifichi!

La seconda edizione di “Periodizzazione dell’allenamento sportivo” fu pubblicata nel 2005. Questa terza
edizione ne rappresenta l’evoluzione derivata dalla ricerca e dal lavoro sul campo della metodologia
dell’allenamento da allora fino ad adesso. La lettura di questa edizione permetterà di riconoscere
l’eccellenza di questo metodo. Si potranno imparare:

◊ i semplici concetti fisiologici che permettono lo sviluppo della forza sport-specifica;


◊ le abilità richieste per raggiungere gli obiettivi di prestazione per ogni sport, come la velocità
massima, la potenza e la resistenza muscolare;
◊ il ruolo dell’allenamento della forza nello sviluppo complessivo delle abilità fisiologiche
richieste per il raggiungimento del più alto livello possibile in vari sport;
◊ il concetto di periodizzazione e la sua applicazione specifica all’allenamento della forza per gli
sport;
◊ il concetto di allenamento di sistemi energetici e la sua integrazione con l’allenamento della
forza per gli sport;
◊ metodi pratici di divisione del piano annuale in fasi di allenamento della forza, ognuna delle
quali con obiettivi specifici;
◊ come sviluppare diversi tipi di forza in una sequenza specifica, in modo da garantire il
raggiungimento del più alto livello di potenza o resistenza muscolare in un periodo
particolare dell’anno;
◊ come manipolare gli schemi di carico in ogni fase per creare gli adattamenti fisiologici
necessari al raggiungimento del picco della prestazione.

La parte I (capitoli dall’1 al 7) si occupa della teoria dell’allenamento della forza e mostra come la potenza
e la resistenza muscolare siano qualità fisiche combinate. Essa spiega inoltre perché alcuni gesti atletici
richiedano un certo tipo di forza e come il semplice atto di sollevare pesi non sia sufficiente per migliorare
la prestazione.
Un programma di allenamento della forza di successo dipende dal livello di conoscenza della fisiologia
della forza. Le informazioni nel capitolo 2, “Risposta neuromuscolare all’allenamento della forza”, sono
presentate in maniera semplice, in modo che le persone con qualsiasi livello di conoscenza scientifica le
possano capire.
Una novità di questa terza edizione è il vasto capitolo 3, “Allenamento dei sistemi energetici”, che fornisce
esempi pratici su come integrare allenamento della forza e allenamento metabolico per vari sport.
Maggiore è la conoscenza in quest’area, maggiore è la facilità con cui si potranno prescrivere allenamenti
che permettano un transfer dell’allenamento di forza sulle abilità sport-specifiche.

I capitoli 4 e 5 sottolineano l’importanza del recupero nel processo d’allenamento e contengono


informazioni per velocizzare il recupero dopo gli allenamenti e per massimizzare gli adattamenti
all’allenamento, in particolar modo attraverso un’adeguata alimentazione. Un’altra aggiunta a questo
libro, il capitolo 7, spiega tutti i concetti metodologici pertinenti alla periodizzazione dell’allenamento;
questo capitolo permette di analizzare e progettare piani annuali per i più diversi sport. La parte I termina
con una spiegazione dei principi dell’allenamento e come essi si applichino all’allenamento della forza.

La parte II (capitoli dall’8 al 10) inizia con una discussione sugli elementi che compongono la
progettazione di un programma di allenamento della forza, ossia la manipolazione delle variabili
d’allenamento, e su come essa influisca sull’effetto allenante. La pianificazione, sia a breve che a lungo
termine, concentrandosi principalmente sui programmi settimanali e sulla periodizzazione dei piani
annuali, è spiegata nel dettaglio per aiutare il lettore a comprendere come applicare questo concetto alla
progettazione dei programmi d’allenamento. È presentata anche una breve storia del concetto di
periodizzazione.

La parte III (capitoli dall’11 al 15) si occupa di tutte le fasi che compongono la periodizzazione della forza.
Per ogni fase sono presentati i metodi migliori e più coerenti per il raggiungimento dell’obiettivo finale del
miglioramento della prestazione atletica.
In “Periodizzazione dell’allenamento sportivo” si troverà una metodica d’allenamento più efficace e più
efficiente.
RINGRAZIAMENTI

Un ringraziamento speciale va al mio mentore e co-autore, Prof. Tudor Bompa.

Ringraziamenti anche per il Dott. Giovanni Altomari e il Dott. Michele di Stefano per l’eccellente lavoro di
revisione linguistica. Al collega Dott. Emanuele Caratelli per i proficui scambi negli anni e l’inossidabile
amicizia; al fraterno amico M° Christian Rossato, presidente dell’International Strength & Conditioning
Institute, in particolar modo per il supporto morale durante la stesura iniziale del libro; ai corsisti e
collaboratori dell’ISCI, nonché eccellenti preparatori: Dott. Marco Sist (basket), Dott. Simone Fornari
(calcio, pallavolo), Dott. Patrizio Pacifico (pallamano), Diego Cocchetti (bmx), Dott. Marco Savino (calcio),
Davide Giannini (powerlifting), Giovanni Spinelli (fitness), Stefano Canicattì (crossfit), Armando Vinci
(kinesiologia applicata), Dott. Iulian Steriu (pallamano, ISCI-Romania), Dott. Brandon McCary (atletica
leggera, ISCI-USA), Dott. Darko Krsman (basket, ISCI-Serbia) e Dott. Casey Garrison (strongman, ISCI-
USA).
Una speciale menzione per quattro allenatori che hanno avuto un’influenza fondamentale nella mia
crescita come preparatore: Dan Pfaff (atletica leggera), Roberto Bicchierai (calcio), Paolo Gattimolo
(pallavolo) e Francesco Marini (karate-do).

Ringrazio anche la federazione cubana di atletica leggera nella persona del team manager Jorge Aguilera,
e la commissione tecnica dell’atletica leggera cubana nella persona della Dott.ssa Mayra Villa. Questo
libro è dedicato a tutti i preparatori atletici, allenatori e fisiologi dell’esercizio che si impegnano nel
creare un ponte tra la scienza e la pratica dell’allenamento sportivo.

Esprimo i miei ringraziamenti più sinceri all’intera squadra della Calzetti & Mariucci per il duro lavoro e
l’impegno nell’assemblare la terza edizione di questo libro.

Carlo Buzzichelli
PARTE
1

FONDAMENTA DELL’ALLENAMENTO DELLA FORZA


FORZA, POTENZA E RESISTENZA MUSCOLARE NEGLI SPORT
Primo capitolo

Quasi tutte le attività fisiche incorporano forza, velocità, resistenza o flessibilità, secondo diverse
combinazioni di questi elementi. Gli esercizi di forza implicano vincere una resistenza; quelli di velocità
massimizzano rapidità e alta frequenza di movimento; gli esercizi di resistenza implicano lunghe distanze,
lunga durata o molte ripetizioni; e quelli di flessibilità massimizzano il range articolare. Gli esercizi di
coordinazione presuppongono movimenti complessi.
Certo, la capacità di eseguire alcuni esercizi varia da atleta ad atleta e la capacità di un atleta di
competere ad alti livelli è influenzata dalle sue doti genetiche per quanto riguarda la forza, la velocità e la
resistenza. Queste possono essere chiamate capacità motorie condizionali, qualità fisiche generali o
abilità biomotorie. Motorio si riferisce al movimento e il prefisso bio indica la natura biologica (il corpo) di
queste abilità.
Il successo nell’allenamento e nella competizione, comunque, non è determinato unicamente dal
potenziale genetico di un atleta. A volte, coloro che si impegnano per raggiungere la perfezione in
allenamento, attraverso la determinazione e una pianificazione metodica basata sulla periodizzazione,
raggiungono il podio o aiutano la propria squadra a vincere un torneo importante. Sebbene il talento sia
molto importante, l’abilità di un atleta di concentrarsi in allenamento e di rilassarsi nel momento della
gara può fare la differenza sul risultato finale. Per sfruttare al massimo il proprio potenziale genetico, un
atleta deve prestare molta attenzione agli adattamenti fisiologici derivanti dall’allenamento.

1.1 SEI METODI DI ALLENAMENTO DELLA FORZA

Atleti e allenatori in vari sport usano sei principali metodi per l’allenamento della forza: il bodybuilding,
l’high-intensity training (HIT), le alzate olimpiche, l’allenamento della potenza per tutto l’anno, il
powerlifting e la periodizzazione della forza. Nel complesso, comunque, la periodizzazione della forza è la
metodica più utilizzata in ambito sportivo.

Bodybuilding

Il bodybuilding è uno sport creativo nel quale l’atleta e il suo allenatore manipolano le variabili
dell’allenamento (serie, ripetizioni, tempi di recupero e velocità di esecuzione) per produrre il più alto
livello di esaurimento muscolare, a cui fa seguito un periodo di recupero e di rigenerazione. La trofìa e la
forza muscolare incrementano a seguito degli adattamentiche derivano dalla supercompensazione dei
substrati energetici e dall’incremento delle proteine muscolari.
La principale preoccupazione dei bodybuilder è l’incremento della massa muscolare. Per questo motivo,
eseguono serie da 6 a 12 o più ripetizioni fino all’esaurimento. Tuttavia, l’incremento della massa
muscolare raramente porta vantaggi nella prestazione atletica (le poche eccezioni possono includere gli
atleti giovani o di basso livello, i giocatori di football americano e coloro che praticano le specialità di
lancio nell’atletica leggera).
Più specificamente, le contrazioni lente e ripetitive del bodybuilding consentono un transfer positivo
piuttosto limitato nei confronti dei movimenti esplosivi tipici degli sport.
Per esempio, mentre le tecniche sportive sono eseguite rapidamente, generalmente in intervalli compresi
tra 100 e 180 millisecondi, la fase concentrica alla leg extension in un allenamento di bodybuilding può
richiedere non meno di 600 millisecondi (tabella 1.1).
Ci sono, tuttavia, delle eccezioni. Alcuni metodi del bodybuilding, come le superserie e i drop set, sono
impiegati durante la fase d’ipertrofia per alcuni sport nei quali l’incremento della massa muscolare è
importante. In ogni caso, poiché gli adattamenti neuromuscolari non sono vitali nel bodybuilding, esso non
include solitamente l’esecuzione di contrazioni concentriche esplosive o l’impiego di alti carichi con lunghi
tempi di recupero. Per questa ragione, il metodo del bodybuilding non dovrebbe essere usato
nell’allenamento della forza per lo sport.

Evento Durata (millisecondi)


100 m (fase di contatto a terra) 90–200
Salto in lungo (stacco) 150–180
Salto in alto (stacco) 150–180
Volteggio della ginnastica (stacco) 100–120
Leg extension (bodybuilding) 600+

Tabella 1.1
Durata del tempo di contatto

Adattato da D. Schmidtbleicher, “Sportliches krafttraining und motorische grundlagenforschung”. In W. Berger, V. Dietz,


A, Hufschmidt, et al., Haltung und bewegung beim menschen: Physiologie, pathophysiologie, gangentwicklung und
sporttraining, Springer-Verlag Berlin Heidelberg, 1984, pagg. 155-188.

High Intensity Training (HIT)

L’High Intensity Training (HIT) implica l’utilizzo di alti carichi di allenamento per tutto l’anno e la
realizzazione di serie di lavoro che conducano almeno all’esaurimento nella fase concentrica. I sostenitori
di questo metodo asseriscono che lo sviluppo della forza può essere raggiunto con allenamenti della
durata di 20 o 30 minuti. Essi non considerano l’allenamento di forza a volume elevato neanche per eventi
di lunga durata, come il nuoto di media e lunga distanza, il canottaggio e lo sci di fondo.
I programmi di allenamento HIT non sono organizzati in funzione del calendario delle competizioni.
L’allenamento della forza, invece, dovrebbe essere periodizzato in base alle caratteristiche fisiologiche
necessarie alla disciplina in questione, alle sue fasi di allenamento e al momento per il raggiungimento del
picco di prestazione. Gli atleti che utilizzano il metodo HIT spesso guadagnano forza molto rapidamente,
ma tendono a perderla, insieme con la resistenza, con il progredire della stagione competitiva. Inoltre,
l’alto livello di dolori muscolari e affaticamento nervoso causati dai metodi intensi utilizzati nei programmi
HIT (come le ripetizioni forzate o le ripetizioni negative) interferisce con il lavoro fisico più specifico e con
il lavoro tecnico o tattico settimanale dell’atleta.
Le alzate olimpiche

Le alzate olimpiche hanno esercitato un’influenza importante agli albori dell’allenamento della forza.
Tutt’oggi molti allenatori utilizzano gli esercizi del sollevamento pesi tradizionale, come lo slancio, lo
strappo e la girata, indipendentemente dal fato che essi coinvolgano o meno i muscoli motori primari,
ossia i principali gruppi muscolari utilizzati nei gesti motori specifici dello sport.

Poiché gli esercizi che allenano i muscoli motori primari dovrebbero essere enfatizzati in un programma di
allenamento della forza specifico, gli allenatori devono analizzare attentamente i movimenti eseguiti nella
propria disciplina per decidere se le alzate olimpiche possano essere effettivamente efficaci. Per esempio,
i linemen del football americano possono trarre beneficio da questi esercizi, ma i canottieri e i nuotatori, i
quali usano spesso le alzate come parte dei loro programmi d’allenamento per la forza, probabilmente no.

Per evitare infortuni, è anche essenziale monitorare attentamente la tecnica di esecuzione, specialmente
con gli atleti giovani o che non abbiano esperienza di allenamento della forza. È certamente vero che il
processo di perfezionamento della tecnica del sollevamento pesi richiede molto tempo, ma una maestria
tecnica almeno sufficiente è necessaria per l’impiego di carichi che possano generare un effetto allenante.
Riassumendo, sebbene le alzate olimpiche possono essere un buon modo per migliorare la forza e la
potenza, i preparatori atletici devono valutarne sia la specificità, sia l’efficienza.
L’allenamento della potenza per tutto l’anno

Con questo approccio si allena la potenza per tutto l’anno, attraverso l’utilizzo continuo di esercizi di balzi
esplosivi, lanci con la palla medica e alzate olimpiche, senza considerare le fasi del ciclo annuale
d’allenamento. Alcuni allenatori, specialmente nell’atletica leggera e in alcuni sport di squadra, credono
che l’allenamento della potenza debba essere realizzato dal primo giorno di raduno fino all’ultimo giorno
di gara. Essi teorizzano che, se la potenza è l’abilità dominante, deve essere allenata tutto l’anno, tranne
che durante la fase di transizione (off-season).

Sicuramente, la potenza migliora allenandola in maniera specifica tutto l’anno. L’elemento chiave,
comunque, non è se l’atleta migliora, bensì il suo tasso di incremento, sia durante l’anno, sia di anno in
anno. È stato dimostrato che l’allenamento della forza apporta risultati migliori rispetto al solo
allenamento della potenza, specialmente quando le due qualità sono integrate con la periodizzazione.
Poiché la potenza è una funzione della forza massima, il suo miglioramento richiede il miglioramento della
forza massima stessa. Come risultato finale, l’allenamento della forza permette miglioramenti della
potenza più rapidi e consente agli atleti di raggiungere livelli superiori.
Powerlifting

Quella del powerlifting è l’ultima moda nella preparazione atletica. Si tratta di uno sport affascinante, che
cresce in popolarità, i cui atleti si allenano per massimizzare la forza negli esercizi di squat, panca piana e
stacco. Negli ultimi vent’anni sono emersi molti metodi di allenamento del powerlifting, alcuni dei quali
sono estremamente specifici e richiedono l’utilizzo di ausili per massimizzare le alzate (fasce, corpetti e
cinture). Altri metodi sono stati adattati per allenare gli atleti in vari sport.

Il problema di fondo, comunque, è che i powerlifter si allenano per massimizzare una singola abilità
biomotoria, la forza. Al contrario, un atleta solitamente deve allenare tutte le abilità biomotorie, più
precisamente molte delle sub-qualità, in una combinazione sport-specifica. Come risultato, un allenatore
sportivo o un preparatore atletico solitamente non possono dedicare all’allenamento della forza lo stesso
tempo d’allenamento di un powerlifter, sia in termini di frequenza settimanale, sia in termini di durata
della seduta di allenamento. Inoltre, sebbene lo squat, la panca e lo stacco siano gli esercizi fondamentali
per lo sviluppo della forza generale, un atleta necessita di eseguire anche esercitazioni con una maggiore
specificità biomeccanica, in base al gesto sport specifico, specialmente durante la fase finale della
preparazione e nel periodo di gara. Oltre a ciò, egli ha bisogno di convertire la sua forza massima in forza
specifica, sia essa definita potenza, potenza resistente o resistenza muscolare.

Come si vede nella tabella 1.2, i powerlifter allenano la forza molto più spesso durante la settimana e per
tutta la durata dell’anno rispetto agli atleti di altri sport individuali o di sport di squadra.

Questa differenza è un’altra ragione per la quale un allenatore non può semplicemente applicare un
programma di powerlifting all’allenamento di altre tipologie di atleti.

Tabella 1.2
Differenza tra piani annuali del powerlifting e di altri sport

Periodizzazione della forza

La periodizzazione dell’allenamento della forza deve essere basata sulle richieste fisiologiche specifiche di
un dato sport e deve anche portare al più alto sviluppo della potenza, della potenza resistente e della
resistenza muscolare. Inoltre, l’allenamento della forza deve adattarsi ai bisogni della periodizzazione
dello sport considerato e impiegare i metodi più adeguati per ogni fase del processo di allenamento.
L’obiettivo è raggiungere il picco della prestazione nel momento delle gare più importanti dell’anno.

Tutti i programmi di forza periodizzati iniziano con una fase generale di adattamento anatomico che
prepara il corpo per i cicli successivi. A seconda dei requisiti della disciplina, potrebbe essere utile
pianificare uno o due macrocicli di ipertrofia. Uno degli obiettivi della periodizzazione è portare l’atleta al
più alto livello possibile di sviluppo della forza massimale entro i limiti di tempo del piano annuale,
cosicché i guadagni di forza diventino guadagni di potenza, di potenza resistente o di resistenza
muscolare. La pianificazione dei periodi è unica per ogni sport e dipende anche dal livello di maturità
fisica dell’atleta, dal calendario delle gare e dalle date in cui si deve raggiungere il picco della forma.

Il concetto di periodizzazione della forza per gli sport è nato da due bisogni fondamentali:
1. integrare l’allenamento della forza all’interno del piano annuale e delle sue fasi d’allenamento;
2. incrementare lo sviluppo della forza sport-specifica di anno in anno. Il primo esperimento
utilizzando la periodizzazione della forza è stato condotto con Mihaela Penes, oro nel giavellotto
ai Giochi Olimpici di Tokyo del 1964. I risultati furono presentati nel 1965 a Bucarest e Mosca
(Bompa 1965a, 1965b).
Il modello originale di periodizzazione della forza fu poi modificato per soddisfare i bisogni degli sport di
durata che richiedono resistenza muscolare (Bompa 1977). Questo libro attuale discute i modelli di
periodizzazione della forza sia per sport di potenza, sia per sport di resistenza, così come i metodi di
allenamento. Il modello di base della periodizzazione della forza è stato proposto all’interno del libro
Periodizzazione. Teoria e metodologia dell’allenamento (Bompa 1999).
Nel 1984, Stone e O’Bryant hanno presentato un modello teorico di allenamento della forza, nel quale la
periodizzazione si componeva di quattro fasi: ipertrofia, forza di base, forza e potenza, picco e
mantenimento. Un libro approfondito sulla periodizzazione, Periodizzazione della forza: il nuovo
Movimento nell’allenamento della forza (Bompa 1993a), fu seguito da Periodization Breakthrough (Fleck e
Kraemer 1996), che dimostrava ancora che la periodizzazione della forza è il metodo scientificamente più
giustificato per l’ottimizzazione dell’allenamento di questa qualità in funzione della prestazione sportiva.

1.2 COMBINAZIONI SPORT-SPECIFICHE DI FORZA, VELOCITÀ E RESISTENZA

Forza, velocità e resistenza sono le abilità importanti per una prestazione atletica di successo. L’abilità
dominante è quella che contribuisce di più alla performance sportiva: per esempio, la resistenza è l’abilità
dominante nella corsa di lunga durata. La maggior parte degli sport, comunque, richiede un alto livello di
sviluppo in almeno due capacità. Inoltre la relazione tra forza, velocità e resistenza crea le qualità fisico-
atletiche peculiari. Se i preparatori atletici capiscono questa relazione, possono creare programmi di
allenamento della forza sport-specifici efficaci.

Alcuni esempi vengono mostrati qui di seguito. Come illustrato nella figura 1.1, la combinazione di forza e
resistenza crea la resistenza muscolare, ossia l’abilità di eseguire molte ripetizioni contro una data
resistenza per un periodo prolungato. Una combinazione diversa, quella tra forza massimale e velocità
massima, genera la potenza, ossia l’abilità di eseguire un movimento esplosivo nel minor tempo possibile.
Un’altra combinazione, quella tra resistenza e velocità, è chiamata velocità resistente, ossia l’abilità di
muoversi velocemente per un tempo prolungato.
Figura 1.1
Interdipendenza tra le abilità biomotorie

In un esempio più complesso, la combinazione di velocità, coordinazione, flessibilità e potenza produce


l’agilità, un’abilità biomotoria fondamentale, per esempio, nella ginnastica, nella lotta, nel football
americano, nel calcio, nella pallavolo, nel baseball, nella boxe, nei tuffi e nel pattinaggio artistico. È stato
osservato che l’agilità migliora in modo significativo tramite l’aumento della forza massimale
(Schmidtbleicher et al. 2014). A sua volta, la flessibilità, ossia l’arco di movimento di un’articolazione, ha
un’importanza nell’allenamento a sé stante. Sport diversi richiedono gradi di flessibilità diversi, per
prevenire gli infortuni e promuovere una prestazione ottimale.

La fase sport-specifica di allenamento specialistico che avviene dopo gli anni iniziali di allenamento, i
quali sono caratterizzati da un’attività multilaterale, è cruciale per tutti quegli atleti di livello nazionale o
di élite che necessitano di adattamenti molto precisi. Gli esercizi specifici durante questo periodo
permettono agli atleti di adattarsi alla loro specializzazione. Per gli atleti d’élite, la relazione tra forza,
velocità e resistenza dipende sia dallo sport, sia dalle necessità individuali.

La figura 1.2 illustra tre esempi nei quali, di volta in volta, la forza, la velocità o la resistenza sono
dominanti. In ciascun caso, quando un’abilità biomotoria domina, le altre due non si esprimono a un livello
simile. Il luogo comune secondo cui un‘abilità domina totalmente sulle altre, però, è pura teoria e si
applica a pochi sport. Nella maggior parte delle discipline, ciascuna capacità contribuisce in parte alla
prestazione sportiva. La figura 1.3 mostra la combinazione dominante di forza, velocità e resistenza in
diversi sport. Allenatori e atleti possono usare questa figura per determinare le combinazioni dominanti
nel proprio sport.

Ciascuno sport ha il proprio profilo fisiologico specifico e le proprie caratteristiche. Tutti i preparatori che
progettino e applichino programmi di allenamento sport-specifici devono conoscere i sistemi energetici
dell’organismo e capire come essi funzionano nell’attività sportiva. Sebbene lo scopo di questo libro sia
discutere in termini specifici la scienza, la metodologia e gli obiettivi dell’allenamento della forza per lo
sport, la complessità fisiologica di ciascuna disciplina richiede anche un livello di comprensione elevato
dei sistemi energetici dominanti e come essi vadano allenati.
Il corpo produce l’energia richiesta sia per l’allenamento neuromuscolare (forza, potenza, velocità) che
metabolico, scomponendo il cibo e convertendolo in una forma di combustibile utilizzabile, l’adenosina
trifosfato (ATP). Poiché l’ATP deve essere costantemente risintetizzata e riusata, il corpo si affida a tre
principali sistemi di produzione di energia per sostenere l’attività di allenamento: il sistema anaerobico
alattacido (ATP-CP), il sistema anaerobico lattacido (LA) e il sistema aerobico (O2). I tre sistemi non sono
indipendenti l’uno dall’altro, ma collaborano a seconda delle richieste fisiologiche dell’attività sportiva. Un
programma di sviluppo sport-specifico dovrebbe sempre concentrarsi sull’allenamento dei sistemi
energetici dominanti nella disciplina praticata.

Lo sviluppo specifico di una qualità fisica determinata deve essere metodico. Inoltre, lo sviluppo di
un’abilità dominante direttamente o indirettamente influisce sulle altre; il livello al quale ciò accade
dipende strettamente dalla somiglianza tra i metodi impiegati e le specifiche dello sport. Ne consegue che
lo sviluppo di un’abilità biomotoria dominante può produrre un transfer sia positivo, sia - più raramente -
negativo. Per esempio, quando un atleta sviluppa la forza, egli può esperire un transfer positivo sulla
velocità e sulla resistenza.

D’altro canto, un programma di allenamento della forza indirizzato solamente allo sviluppo della forza
massima può influenzare negativamente lo sviluppo della resistenza aerobica. Allo stesso modo, un
programma di allenamento volto esclusivamente allo sviluppo della resistenza aerobica può produrre un
transfer negativo sia sulla forza, sia sulla velocità. Poiché la forza è un’abilità atletica cruciale, deve
essere sempre allenata in sinergia con le altre capacità.

Figura 1.2
Relazione tra le abilità biomotorie principali quando (a) forza (F), (b) velocità (V) o (c) resistenza (R) sono
dominanti
Figura 1.3
Composizioni delle abilità biomotorie dominanti di vari sport

Alcune teorie infondate e fuorvianti hanno suggerito che l’allenamento della forza rallenti gli atleti e
influisca negativamente sullo sviluppo della resistenza e della flessibilità. Ma sono state screditate dalla
ricerca (Atha 1984, Dudley e Fleck 1987, Hickson et al. 1988, MacDougall et al. 1987, Micheli 1988,
Nelson et al. 1990, Sale et al. 1990). Per esempio, uno studio recente sugli sciatori di fondo ha scoperto
che il solo allenamento della forza massima non solo migliorava questa qualità, ma produceva anche un
transfer positivo sull’economia del gesto, incrementando il tempo a esaurimento (Hoff, Gran e Helgerud
2002). In modo analogo, un altro recente studio eseguito su corridori e ciclisti ha trovato un
miglioramento sia nell’economia di corsa, sia nell’economia della pedalata, nonché nell’espressione di
potenza, attraverso la combinazione dell’allenamento di resistenza con l’allenamento di forza con
sovraccarichi elevati (Ronnestad e Mujika 2013).
L’utilizzo combinato dell’allenamento della forza e della resistenza con parametri di carico sport-specifici
non influenza negativamente il miglioramento della potenza aerobica o della forza muscolare, cioè non
produce alcun transfer negativo. Allo stesso modo, l’allenamento della forza non pone alcun rischio per la
flessibilità, se le routine di stretching sono integrate all’interno del programma generale. Perciò, gli atleti
delle discipline di resistenza, come il ciclismo, il canottaggio, lo sci di fondo e la canoa, possono impiegare
l’allenamento della forza e l’allenamento della resistenza simultaneamente nei loro allenamenti. Negli
sport di velocità, di fatto, la potenza rappresenta una grande fonte di miglioramento. Un velocista
performante è anche un velocista forte. I muscoli che sono forti si contraggono rapidamente e con potenza
permettono un’elevata accelerazione, un movimento veloce degli arti e un’alta frequenza. Può accadere,
però, che carichi di forza al livello massimo influenzino negativamente la velocità: ad esempio quando
l’allenamento della velocità è programmato dopo una sessione esaustiva di allenamento con sovraccarichi
elevati. In questo caso, l’affaticamento sia del sistema nervoso che muscolare impedisce la trasmissione
degli impulsi e la prestazione. Per questa ragione, i macrocicli dedicati allo sviluppo della forza massima
dovrebbero includere del lavoro di sviluppo dell’accelerazione e del lavoro di velocità submassimale,
mentre la velocità massima è sviluppata al meglio in congiunzione con il lavoro di potenza. All’interno di
una sessione d’allenamento, il lavoro di velocità dovrebbe sempre essere eseguito prima dell’allenamento
della forza (si veda il capitolo 9).
La maggior parte delle azioni e dei movimenti hanno una complessità maggiore di quanto discusso finora
in questo capitolo. Perciò, la forza negli sport dovrebbe essere vista come il meccanismo necessario per
eseguire azioni tecniche e atletiche. Gli atleti non sviluppano la forza fine a se stessa. L’obiettivo
dell’allenamento della forza è soddisfare i bisogni specifici di un dato sport e lo sviluppo della sua
espressione specifica, in modo da incrementare la prestazione atletica al più alto livello possibile. La
combinazione di forza (F) e resistenza (R) genera resistenza muscolare (RM). Le diverse discipline
sportive possono richiedere una resistenza muscolare di lunga, media o breve durata. Prima di discutere
ulteriormente questo argomento, si devono brevemente chiarire due termini: ciclico e aciclico.
I movimenti ciclici sono ripetuti continuamente: gli esempi includono la corsa, la camminata, il nuoto, il
canottaggio, il pattinaggio, lo sci di fondo, il ciclismo e la canoa. Per tali attività, appena un ciclo dell’atto
motorio è appreso, può essere ripetuto con la stessa successione, un’azione dopo l’altra. I movimenti
aciclici, diversamente, rappresentano una combinazione di schemi motori diversi. Esempi di attività
acicliche sono le discipline di lancio nell’atletica leggera, la ginnastica, la lotta, la scherma e molti gesti
tecnici negli sport di squadra.
Con l’eccezione del settore della velocità, gli sport ciclici sono solitamente di resistenza, il che significa
che la resistenza è dominante o contribuisce in modo significativo alla prestazione. Gli sport aciclici,
invece, sono spesso sport di potenza. Molte discipline, comunque, sono più complesse e richiedono
velocità, potenza e resistenza contemporaneamente: per esempio, il basket, il calcio, l’hockey su ghiaccio,
la lotta e la boxe. Di conseguenza la seguente analisi può essere riferita ad alcune abilità utilizzate in una
data disciplina, ma non allo sport nel suo complesso.
La figura 1.4 analizza varie combinazioni di forza, velocità, resistenza. Gli elementi sono qui discussi in
senso orario, partendo dall’asse F-R (Forza-Resistenza). Ogni combinazione di forza genera una freccia
che indica un determinato punto dell’asse tra due abilità biomotorie. Una freccia posta più vicina alla F
indicherà che la forza gioca un ruolo dominante in quello sport o in quell’espressione tecnica. Una freccia
posta nella parte mediana dell’asse indicherà un contributo equo, o quasi equo, di entrambe le abilità
biomotorie. Più lontana sarà la freccia dalla F, meno importante sarà F, suggerendo che l’altra abilità sia
maggiormente dominante; tuttavia, la forza influenza comunque la prestazione in quello sport.

Figura 1.4
Combinazioni sport-specifiche delle abilità biomotorie
Asse F-R

L’asse F-R si applica agli sport nei quali la resistenza muscolare è la combinazione dominante della forza
(la freccia interna). Non tutti gli sport richiedono la stessa ripartizione di forza e resistenza. Per esempio,
le specialità del nuoto vanno dai 50 ai 1500 m. I 50 m sono dominati dalla velocità resistente e dalla
potenza resistente (ossia, parlando dal punto di vista metabolico, dalla potenza lattacida). In ogni caso, la
resistenza muscolare (o, dal punto di vista metabolico, la potenza e la capacità aerobica) diviene sempre
più importante all’aumentare della distanza.

La potenza resistente (PE-s) si trova nella parte alta dell’asse F-R a causa dell’importanza della forza in
attività quali il rimbalzo nel basket, la schiacciata nella pallavolo, il salto per afferrare la palla nel football
australiano e nel rugby e il colpo di testa nel calcio. Queste azioni sono tutte a dominanza di potenza. Lo
stesso vale per alcune abilità nel tennis, nella boxe, nella lotta, nelle arti marziali. Per eseguire tali azioni
ripetutamente e in maniera efficace, gli atleti si devono allenare sia per la potenza che per la resistenza,
dato che tali azioni sono eseguite da 50 a 200 volte in una gara.

Per esempio, un giocatore di basket non deve solamente saltare in alto per catturare un rimbalzo, deve
anche ripetere tale azione per 200 volte circa in una partita. Ne consegue che egli debba allenarsi sia per
la potenza, sia per la potenza resistente. Le variabili volume e intensità sono manipolate per adattare il
corpo all’esecuzione ripetuta di gesti a elevata potenza. In ogni caso, si deve distinguere tra brevi azioni
ad alta potenza ripetute molte volte (come accade negli sport di squadra) e azioni continue, a potenza
elevata e di maggior durata (come avviene nei 100 e nei 200 m dell’atletica leggera o nei 50 m del nuoto).
Entrambe queste modalità richiedono una combinazione di potenza e resistenza; la prima, però, utilizza
come sistema energetico principale quello alattacido (usato ripetutamente) e successivamente quello
lattacido, qualora i tempi di recupero tra le brevi e intense azioni non siano sufficienti a ripristinare i
substrati energetici del meccanismo alattacido. Diversamente, la seconda si affida principalmente alla
potenza del sistema lattacido (ossia, alla sua possibilità di produrre ATP al suo massimo rateo).
La resistenza muscolare di breve durata (MES) è la qualità necessaria per le discipline che vanno da 40
secondi a due minuti, utilizzando un mix di capacità lattacida e potenza aerobica. Nella disciplina dei 100
m del nuoto, per esempio, la partenza è un’azione a elevata potenza, così come lo sono le prime 20
bracciate. Da metà gara in poi, però, la resistenza muscolare contribuisce al risultato finale almeno tanto
quanto la potenza. Negli ultimi 30-40 metri, l’elemento cruciale è l’abilità di mantenere la forza di
trazione delle braccia al fine di mantenere la velocità o addiritura incrementarla nel finale. Perciò, la
resistenza muscolare è determinante per il risultato finale negli eventi come i 100 m nel nuoto, i 400 m
nell’atletica leggera, i 500 e 1000 m nel pattinaggio di velocità e i 500 m nella canoa.
La resistenza muscolare di media durata (MEM) è tipica degli sport ciclici la cui durata cade fra i due e gli
otto minuti e che richiedono un alto livello di potenza aerobica, come i 200 e i 400 m nel nuoto, i 3000 m
nel pattinaggio di velocità, il mezzofondo nell’atletica leggera, i 1000 m nella canoa, la lotta, le arti
marziali, il pattinaggio artistico, il nuoto sincronizzato, il ciclismo su pista (inseguimento).
La resistenza muscolare di lunga durata (MEL) è la capacità di applicare forza contro una resistenza
pressoché costante per un lungo periodo (più di otto minuti; dalla potenza aerobica alla capacità
aerobica). Le attività che richiedono resistenza muscolare di lunga durata sono il canottaggio, lo sci di
fondo, il ciclismo su strada, la corsa, il nuoto, il pattinaggio e la canoa sulle lunghe distanze.

Asse V-R

L’asse V-R (Velocità-Resistenza) è in relazione con la resistenza necessaria per la maggior parte degli
sport. La velocità resistente è la capacità di mantenere la velocità per 10-20 secondi (per esempio, i 50 m
nel nuoto, i 100 e 200 metri nell’atletica leggera), mentre la resistenza alla velocità è la capacità di
ripetere azioni ad alta velocità più volte nel corso di una partita, come succede ad esempio nel football
americano, nel baseball, nel basket, nel rugby, nel calcio e nell’hockey su ghiaccio. Di conseguenza, gli
atleti di questi sport si devono allenare per sviluppare la velocità resistente o la resistenza alla velocità. I
restanti quattro tipi di combinazioni tra velocità e resistenza cambiano in funzione della proporzione tra le
due qualità fisiche all’incrementare della distanza, come mostrato nella tabella 1.3.
Tabella 1.3
Combinazioni di velocità e resistenza

Asse F-V

L’asse F-V (Forza-Velocità) si riferisce principalmente agli sport in cui la potenza è l’abilità dominante. Per
esempio, la potenza generata con l’atterraggio da un salto (potenza reattiva) rappresenta una componente
fondamentale in diversi sport, come il pattinaggio artistico, la ginnastica e alcuni sport di squadra. Un
allenamento adeguato può prevenire gli infortuni, ma molti atleti si allenano soltanto per la fase di stacco,
senza preoccuparsi che l’atterraggio sia controllato ed equilibrato. In realtà, però, la tecnica di
atterraggio corretta richiede un elemento fisico importante, in particolare per gli atleti avanzati. Gli atleti
devono, infatti, allenare la fase eccentrica per essere capaci di controllare l’atterraggio, assorbire lo shock
e mantenere l’equilibrio corretto per eseguire immediatamente un altro movimento.

La potenza richiesta per controllare l’atterraggio dipende dall’altezza del salto, dal peso dell’atleta e da
come egli esegue l’atterraggio, ammortizzando l’impatto con gli arti inferiori o mantenendoli rigidi. I test
hanno mostrato che, con un atterraggio morbido, gli atleti esprimono una forza da tre a quattro volte il
peso corporeo, mentre un atterraggio con le articolazioni bloccate genera una forza da sei a otto volte il
peso corporeo. Per esempio, un atleta che pesa 60 chilogrammi esprime una forza equivalente a 180-240
chilogrammi per assorbire l’impatto piegando in modo coordinato le gambe. Lo stesso atleta genererebbe
una forza da 360 a 480 chilogrammi atterrando con le articolazioni bloccate. Allo stesso modo, quando un
atleta atterra su una sola gamba, come accade nel pattinaggio artistico, la forza al momento del contato a
terra raggiunge dalle tre alle quattro volte il peso corporeo con un atterraggio che prevede
l’ammortizzazione e dalle cinque alle sete volte il peso corporeo con un atterraggio con le articolazioni
bloccate.
Un lavoro specifico di potenza reattiva nell’atterraggio da un salto può essere pianificato in modo da
permettere all’atleta di esprimere gradualmente un livello di tensione muscolare molto più alto di quanto
otterrebbe con il solo allenamento sport-specifico. Attraverso la periodizzazione dell’allenamento di forza
è possibile sviluppare la potenza al contato con il terreno in modo più efficace, più efficiente e più
consistente. Essa migliora generando una tensione muscolare più alta. Inoltre, un allenamento specifico,
in particolare il lavoro eccentrico, permette agli atleti di costruire una riserva di potenza, ossia un livello
di forza maggiore di quello richiesto per un atterraggio corretto e controllato. Più alta è la riserva di
potenza, più facile sarà per l’atleta controllare l’atterraggio, rendendolo quindi più sicuro.
La potenza reattiva è la capacità di generare forza per il salto, immediatamente dopo l’atterraggio (da cui
la parola reattiva, che scientificamente si riferisce alla diminuzione del “tempo d’accoppiamento”, cioè il
tempo necessario al passaggio dall’azione eccentrica a quella concentrica). Questo tipo di potenza è
necessaria per le arti marziali, la lotta, la boxe e per i repentini cambi di direzione in altri sport, come il
football americano, il calcio, il basket, il lacrosse e il tennis. La forza necessaria per un salto reattivo
dipende dall’altezza di caduta e dal peso dell’atleta.
Generalmente i salti reattivi necessitano di un livello di forza da sei a otto volte il peso corporeo. Un salto
reattivo da un plinto di un metro richiede una forza reattiva da otto a dieci volte il peso corporeo.
La potenza di lancio si riferisce alla forza applicata rapidamente a un attrezzo, come un pallone, una palla
da baseball o un giavellotto. Inizialmente l’atleta deve superare l’inerzia dell’attrezzo, che è proporzionale
alla sua massa, dopodiché deve continuare ad accelerare lungo tutto il range articolare, in modo da
raggiungere la massima velocità al momento del rilascio. Il gradiente di accelerazione dipende
direttamente dalla forza e dalla velocità di contrazione espresse.

La potenza di stacco riveste un ruolo cruciale nelle specialità in cui gli atleti devono proiettare il proprio
corpo alla massima altezza, sia che essi saltino al di sopra di un’asticella (come nel salto in alto), sia che
cerchino di raggiungere l’altezza ottimale per eseguire un’azione tecnica (come afferrare o colpire una
palla). L’altezza del salto dipende direttamente dalla forza verticale applicata al suolo per vincere la forza
di gravità. Nella maggior parte dei casi, la forza verticale al momento dello stacco è almeno il doppio del
peso corporeo dell’atleta. Più alto è il salto, maggiore dovrà essere la potenza delle gambe. La potenza
degli arti inferiori si incrementa attraverso la periodizzazione dell’allenamento, come illustrato nei capitoli
13 e 14.
La potenza alla partenza è necessaria in quegli sport che richiedono un’elevata capacità di accelerazione
per coprire la distanza di uno o due passi nel più breve tempo possibile. Per ottenere un’alta accelerazione
iniziale, un atleta deve essere capace di generare un elevato gradiente di forza all’inizio della contrazione
muscolare. Dal punto di vista fisiologico, tale capacità dipende dall’attivazione volontaria di un elevato
numero di unità motorie e dal tasso di sviluppo della forza. La capacità di vincere rapidamente l’inerzia
del corpo dipende dalla forza e dalla potenza relative (la forza e la potenza massima in rapporto al peso
corporeo). Per queste ragioni una partenza esplosiva, eseguita da una posizione bassa come nelle
discipline di velocità dell’atletica leggera o dalla posizione di placcaggio, come nel football americano,
dipende dalla potenza istantanea che l’atleta riesce a generare e, ovviamente, dal suo tempo di reazione.
La potenza di accelerazione è riferita alla capacità di incrementare rapidamente la velocità. Come per la
velocità massima, l’accelerazione dipende dalla potenza e dalla velocità della contrazione muscolare, per
raggiungere la massima frequenza di movimento degli arti inferiori e di quelli superiori, dal minor tempo
di contato del piede e dalla più elevata forza di propulsione dell’arto inferiore a terra per muoversi molto
velocemente in avanti. Studi recenti dimostrano che questa caratteristica, cioè la forza reattiva durante la
spinta contro il terreno, è la variabile più importante per il raggiungimento di alte velocità (Weyand et al.
2000, Kyrolaynen et al. 2001, Belli et al. 2002, Kyrolaynen et al. 2005, Nummela et al. 2007, Brughelli et
al. 2011, Morin 2011, Morin et al. 2012, Kawamori et al. 2013). La capacità dell’atleta di accelerare
dipende, pertanto, dalla potenza sia degli arti inferiori, sia di quelli superiori.
Un lavoro di forza specifico per l’accelerazione migliorerà la performance della maggior parte degli atleti
degli sport di squadra, dal wide receiver del football americano, all’ala del rugby, agli attaccanti del calcio
(tab. 1.4).
La potenza di decelerazione è importante in quegli sport nei quali gli atleti corrono velocemente dovendo
cambiare spesso direzione. Ad esempio il calcio, il basket, il football americano, l’hockey su ghiaccio e
l’hockey su prato. Tali atleti sono esplosivi e forti nell’accelerazione, così come lo sono nella fase di
decelerazione. Le dinamiche di questi giochi cambiano improvvisamente. Per questo motivo, i giocatori
che si stanno muovendo a elevata velocità in una direzione devono essere in grado di modificarla
all’istante con una perdita di velocità minima, per poi riaccelerare rapidamente con un’altra traiettoria di
corsa.
Sia l’accelerazione che la decelerazione richiedono un elevato grado di potenza a livello di arti inferiori e
spalle. Gli stessi muscoli responsabili dell’accelerazione (quadricipite, ischiocrurali e tricipite surale)
vengono utilizzati per la decelerazione, con la differenza che si contraggono in modo eccentrico. Per
migliorare l’abilità di decelerare e poi cambiare rapidamente direzione, occorre allenare la potenza in
maniera specifica.
© Jaroslav Ozana/CIK Photobank/ age fotostock

I calciatori possono contare su una combinazione di potenze - reattiva, di salto, di accelerazione e


decelerazione - per padroneggiare le numerose tecniche necessarie nelle situazioni di gioco

Sport/evento Tipo/i di forza richiesta

Atletica

Velocità breve P reattiva, P alla partenza, P in accelerazione, PE

Velocità prolungata P in accelerazione, ME breve


Mezzo fondo P in accelerazione, ME media

Fondo ME lunga

Salto in lungo P in accelerazione, P allo stacco, P reattiva

Salto triplo P in accelerazione, P reattiva, P allo stacco

Salto in alto P allo stacco, P reattiva

Lanci P di lancio, P reattiva


Baseball P di lancio, P in accelerazione
Basketball P allo stacco, PE, P in accelerazione, P di decelerazione
Biathlon ME lunga
Boxe PE, P reattiva, ME media e ME lunga
Canoa e kayak
500 m ME breve, P in accelerazione, P alla partenza

1000 m ME media, P in accelerazione, P alla partenza

10000 m ME lunga
Cricket P di lancio,
P in accelerazione
Ciclismo
Pista, 200 m P in accelerazione, P reattiva

4000 m inseguimento ME media,

Su strada ME lunga
Calcio
Portiere P reattiva

Difensore P in accelerazione, P di decelerazione

Centrocampista P in accelerazione, P di decelerazione, ME media

Attaccante P d’accelerazione, P di decelerazione, P reattiva


Pattinaggio su ghiaccio
Sprint P in partenza, P in accelerazione, ME breve

Media distanza ME media, PE

Lunga distanza ME lunga


Squash P reattiva, PE
Tuffi P allo stacco, P reattiva
Giochi equestri ME media
Scherma P reattiva, PE
Hockey su erba P in accelerazione, P di decelerazione, ME media
Pattinaggio artistico P allo stacco, P in atterraggio, PE
Football (americano)
Linemen P alla partenza, P reattiva
Linebackers, P alla partenza,
Quarterbacks, P in accelerazione,
Running backs, P reattiva Inside receivers
Wide receivers, P in accelerazione, P alla partenza
Defensive Backs P reattiva,
Tailbacks P alla partenza
Football (Australiano) P in accelerazione,
P allo stacco,
P all’ atterraggio, ME breve,
ME media
Ginnastica P reattiva, P allo stacco,
P all’atterraggio
Pallamano (Europea) P di lancio,
P in accelerazione,
P di decelerazione
Hockey su ghiaccio P in accelerazione, P di decelerazione, PE
Arti marziali P alla partenza, P reattiva, PE

Ginnastica ritmica P reattiva, P allo stacco, ME breve


Canottaggio ME breve, ME lunga, P alla partenza
Rugby P in accelerazione, P alla partenza, ME media
Vela ME lunga, PE
Tiro al bersaglio ME lunga, PE
Sci
Alpino P reattiva, ME breve
Nordico ME lunga, PE
Nuoto
Sprint P alla partenza,
P in accelerazione,
RM breve, ME breve

Sincronizzato ME media, PE

Tennis PE, P reattiva,


P in accelerazione,

Pallavolo P reattiva, PE, P di lancio

Pallanuoto ME media, P d’accelerazione, P di lancio

Lotta PE, P reattiva, ME media

Legenda:
ME = resistenza muscolare,
P = potenza,
RP = potenza resistente.

Tabella 1.4
Sviluppo della forza sport-specifica

1.3 IL RUOLO DELLA FORZA NEGLI SPORT ACQUATICI

Per quanto riguarda le discipline sportive che si svolgono in acqua, come il nuoto, il nuoto sincronizzato,
la pallanuoto, il canottaggio, il kayak e la canoa, il corpo o l’imbarcazione si muovono in avanti per effetto
della forza. Quando una forza viene applicata sull’acqua, quest’ultima esercita a sua volta una reazione
uguale ma contraria sul corpo, oppure sull’imbarcazione, comunemente definita resistenza idrodinamica.
Un’imbarcazione o il nuotatore che si muovono sull’acqua subiscono questa resistenza che rallenta lo
scivolamento e il movimento. Per vincere la resistenza idrodinamica è necessario che gli atleti producano
costantemente una pari quantità di forza per mantenere la velocità, oppure una forza maggiore per
aumentarla.

La misura della resistenza idrodinamica esercitata su un corpo che si muove in acqua può essere
determinata mediante la seguente equazione (Hay 1993):

Fd=CdPAV2/2

in cui Fd = resistenza dell’acqua, Cd = coefficiente idrodinamico, P = densità del fluido, A = area frontale
esposta allo scivolamento e V = velocità del corpo in relazione all’acqua.
I coefficienti della resistenza idrodinamica si riferiscono alla natura e alla forma del corpo, incluso il suo
orientamento rispetto al flusso dell’acqua. Imbarcazioni lunghe e strete quali canoe e kayak, oppure
imbarcazioni da gara di canottaggio, possiedono un Cd minore nel caso che l’asse longitudinale si trovi
esattamente parallelo alla corrente.

Una versione semplificata dell’equazione sopra esposta, più facile da comprendere e da applicare, è la
seguente:

D∼V2

in cui la resistenza idrodinamica risulta proporzionale alla velocità di avanzamento al quadrato.

Negli sport acquatici la velocità aumenta quando gli atleti applicano forza contro l’acqua. All’aumentare
della forza il corpo si muove più velocemente. Incrementando la velocità, la resistenza idrodinamica
aumenta, in modo proporzionale al quadrato della velocità. Il seguente esempio spiega meglio questa
affermazione. Consideriamo che un atleta nuoti o remi con la velocità di 2 metri al secondo. Ne consegue:

D ∼ V2= 22= 4 chilogrammi

In altre parole: l’atleta applica una forza di 4 chilogrammi per bracciata o per colpo in acqua. Per
raggiungere un maggior livello competitivo, l’atleta deve incrementare la sua velocità, per esempio
arrivare a 3 metri al secondo, quindi:

D ∼ V2= 32= 9 chilogrammi

Con un avanzamento a una velocità di 4 metri al secondo, la resistenza idrodinamica equivarrebbe a 16


chili. Ovviamente, per incrementare la forza della bracciata occorre prima aumentare la forza massima.
Un corpo non è in grado di aumentare la velocità senza incrementare la forza applicata in ogni singolo
gesto.

Le implicazioni per l’allenamento sono chiare. Non bisogna aumentare soltanto la forza massima.
L’allenatore si deve assicurare che l’atleta eserciti quasi la stessa forza in tutti i movimenti, per tutta la
durata della gara: di conseguenza, in tutti gli sport acquatici la resistenza è una componente importante.

Questo significa che sarà necessario includere nell’allenamento annuale sia una fase per la forza massima,
sia una fase per la resistenza muscolare, come suggerito nel capitolo 14.
RISPOSTA NEUROMUSCOLARE ALL’ALLENAMENTO DELLA
FORZA
Secondo capitolo

Per migliorare lo sviluppo della forza e la qualità della prestazione, è importante comprendere le basi
scientifiche dell’allenamento e imparare come l’anatomia e la fisiologia siano alla base del movimento
umano. Ad esempio, la conoscenza dei meccanismi della contrazione muscolare e la teoria dello
scorrimento dei filamenti (discussa in questo capitolo) permettono di comprendere perché la velocità
dell’accorciamento sia legata all’entità del sovraccarico e perché la forza sia più grande all’inizio che non
alla fine di una contrazione. In modo simile, gli allenatori che conoscono la distribuzione delle diverse
fibre muscolari e il ruolo giocato dall’ereditarietà, possono capire perché alcuni atleti siano più adatti a
determinate discipline piuttosto che ad altre (di velocità e potenza anziché di resistenza, per esempio).
Sfortunatamente, nonostante l’importanza di tali conoscenze al fine di pianificare un allenamento efficace,
molti atleti e molti allenatori non leggono testi accademici sulla fisiologia dell’esercizio o altre
pubblicazioni di divulgazione delle ricerche scientifiche. Con questo libro, dunque, si è cercato di spiegare
le basi scientifiche dell’allenamento della forza in maniera chiara e semplice.
Capire gli adattamenti neuromuscolari e la loro dipendenza dal carico e dai metodi d’allenamento rende
più facile comprendere perché un certo tipo di carico, un esercizio o un metodo di allenamento sia più
indicato per certe discipline sportive invece che per altre. Un allenamento efficace dipende dalla
conoscenza delle diverse espressioni di forza e dei metodi per il loro miglioramento, nonché dei tipi di
contrazione e della loro importanza in un dato sport. Questa conoscenza aiuta sia gli allenatori, sia gli
atleti a capire il concetto di periodizzazione della forza in maniera più veloce e più facile e a trarne i
benefici desiderati.

2.1 LA STRUTTURA DEL CORPO

Il corpo umano è costruito sullo scheletro osseo. Il punto di connessione di due o più ossa costituisce
un’articolazione, la cui struttura è stabilizzata tramite resistenti fibre di tessuto, denominate legamenti.
Lo scheletro è ricoperto da 656 muscoli, equivalenti a circa il 40% del peso corporeo totale. Un denso
tessuto connettivale, il tendine, fissa le estremità del muscolo all’osso. Attraverso i tendini la tensione
muscolare viene trasmessa alle ossa. Con l’aumento della tensione muscolare incrementa la forza di
trazione che agisce sui tendini e sulle ossa e, di conseguenza, l’arto si muove con maggiore potenza.
L’allenamento periodizzato proposto in questo libro stimola costantemente il sistema neuromuscolare,
affinché il carico di lavoro e il tipo di allenamento producano quegli adattamenti fisiologici che
consentono di generare forza e potenza a un livello più elevato. Il corpo umano è molto plastico e si adatta
alle sollecitazioni a cui è esposto. Se lo stimolo è adeguato, il risultato è un adattamento fisiologico
ottimale.

2.2 APPORTO NERVOSO AI MUSCOLI

Nei muscoli sono presenti nervi motori e nervi sensitivi. I primi sono responsabili del movimento: tramite
ciascuno di essi, gli impulsi inviati dal sistema nervoso centrale (SNC) raggiungono l’estremità di una
fibra muscolare (placca motrice), provocandone la contrazione. I nervi sensitivi forniscono al sistema
nervoso centrale informazioni sul dolore e sull’orientamento del corpo.

La struttura della cellula muscolare

Il muscolo è costituito da fibre specifiche, la cui lunghezza varia da pochi centimetri a più di 1 m, capaci
di estendere il muscolo fino alla sua massima lunghezza. Queste fibre si raggruppano in fascicoli, tenuti
insieme da una membrana denominata perimisio. Ogni fibra muscolare contiene un gran numero di
filamenti proteici, le miofibrille, a loro volta costituite da unità contrattili o sarcomeri. In ogni sarcoma
scorrono specifiche proteine contrattili, la miosina (filamenti più spessi) e l’actina (filamenti sottili),
responsabili della contrazione muscolare. La capacità di un muscolo di contrarsi e di esprimere forza
viene determinata dalla sua struttura, dalla superficie della sua sezione trasversa, dalla lunghezza e dal
numero di fibre in esso presenti. Il numero delle fibre è geneticamente prestabilito e non varia con
l’allenamento, mentre gli altri fattori possono invece essere influenzati. Un allenamento specifico aumenta
lo spessore dei filamenti e, quindi, il volume del muscolo e la sua forza di contrazione.

Il meccanismo di contrazione muscolare per scorrimento dei filamenti (“sliding


filament theory”)

La contrazione muscolare coincide con una serie meccanica di eventi in cui i miofilamenti di actina e
miosina si spostano per reciproco scorrimento. Ogni filamento di miosina scorre rispetto a sei circostanti
filamenti di actina. I filamenti di miosina sono forniti di ponti trasversi, minuscole proiezioni che si
estendono verso i filamenti di actina. Impulsi trasmessi dal nervo motorio stimolano l’intera fibra, creando
modificazioni chimiche che permettono ai filamenti di actina di congiungersi con i ponti trasversi della
miosina. Nel momento in cui si ha interazione tra i ponti trasversi della miosina e l’actina, si libera
energia, causando un cambio di conformazione dei ponti trasversi e un loro movimento a ruota, che
trascina il miofilamento di miosina facendolo scivolare lungo i filamenti di actina.

Questo processo permette al muscolo di accorciarsi (contrazione) e quindi di produrre forza. Quando si
esaurisce lo stimolo, i filamenti di actina e miosina si separano, permettendo al muscolo di rilassarsi fino
alla sua lunghezza di riposo, e la contrazione finisce. L’attività dei ponti trasversi spiega perché la forza
muscolare prodotta dipenda dalla lunghezza iniziale del muscolo e cioè da quella che precede la
contrazione. La lunghezza ottimale per la contrazione muscolare è quella di riposo (o poco più), perché in
questo stato tutti i ponti trasversi sono liberi di collegarsi con i filamenti di actina, producendo così il
massimo livello di tensione (fig. 2.1).

Nel caso in cui la lunghezza muscolare prima della contrazione sia notevolmente inferiore a quella di
riposo (cioè nel caso in cui ci sia già una contrazione parziale) si verifica una diminuzione della forza
contrattile, poiché all’interno di un muscolo accorciato i filamenti di actina e miosina sono già sovrapposti,
riducendo quindi la possibilità di escursione dei ponti trasversi liberi e la loro azione di “tiraggio” sui
filamenti di actina. Minore è il numero di ponti trasversi disponibile e minore saranno tensione e forza
prodotte (fig. 2.1). Il potenziale di forza risulta altrettanto limitato anche nel caso contrario, cioè quando il
muscolo si estende oltre la lunghezza di riposo: in questa evenienza, infatti, i filamenti di actina vengono a
trovarsi troppo distanti dai ponti trasversi per potersi congiungere con essi e permettere un
accorciamento muscolare. Di conseguenza, la forza diminuisce sia quando la lunghezza del muscolo è
inferiore, sia quando è superiore alla lunghezza a riposo. Il massimo livello di forza si sviluppa invece nel
caso in cui la contrazione avvenga con un angolo a livello articolare di 110-120 gradi circa.

Figura 2.1
Reclutamento sequenziale delle unità motorie in una serie concentrica portata all’esaurimento

2.3 LE UNITÀ MOTORIE

Ogni motoneurone (o nervo motorio) che agisce sul muscolo è in grado di stimolare da una ad alcune
migliaia di fibre muscolari. Tutte le fibre coinvolte in questo processo si contraggono e si rilasciano
contemporaneamente. Per questo motivo, chiamiamo unità motoria l’insieme del singolo motoneurone e di
tutte le fibre muscolari da esso innervate.

La stimolazione di un motoneurone da parte del sistema nervoso centrale provoca un impulso che agisce
sulle fibre muscolari di un’intera unità motoria e questo impulso viene trasmesso a tutte le fibre o non
viene trasmesso affatto (principio del “tutto o nulla”). La tensione generata all’interno di un’unità motoria
è uguale sia quando un impulso è debole, sia quando è forte.

Il principio del “tutto o niente” non è comunque valido per il muscolo nella sua interezza. Sebbene
all’interno della singola unità motoria tutte le fibre rispondano alla stimolazione da parte del nervo
motorio, ciò non significa che durante una contrazione muscolare vengano attivate tutte le singole unità
motorie. Il numero di unità motorie coinvolte nel processo di contrazione dipende dal carico imposto al
muscolo, che influenza direttamente anche la forza che viene prodotta. Un carico leggero, ad esempio,
recluta soltanto un numero limitato di unità motorie e quindi la forza di contrazione risulta bassa.

Carichi estremamente pesanti agiscono su tutte le unità, provocando così il massimo livello di forza
(McDonagh e Davies 1984). Siccome le unità motorie vengono reclutate in maniera sequenziale, l’unico
modo di allenare l’intero muscolo consiste nell’utilizzo di carichi di lavoro submassimali e massimali,
assicurando così il coinvolgimento di ogni unità motoria.
La forza dei muscoli dipende dal numero di unità motorie che partecipano alla contrazione e dalla
quantità di fibre presenti all’interno di un’unità, variabile tra 20 e 500 (la media si stabilisce intorno a
200). Maggiore è il numero di fibre presenti in un’unità, maggiore sarà la forza prodotta. La quantità di
fibre è determinata geneticamente, e questo spiega perché esistano persone in grado di aumentare
facilmente il volume e la forza dei muscoli, mentre altre sono costrette a impegnarsi molto per ottenere
anche solo un minimo miglioramento. Alla stimolazione da parte di un impulso nervoso, l’unità motoria
risponde con una contrazione, seguita da rilassamento.

I diversi tipi di fibre muscolari

Non tutte le fibre muscolari svolgono le stesse funzioni biochimiche (metaboliche): quindi, mentre alcune
risultano fisiologicamente più adatte al funzionamento in fase anaerobica, altre lo sono in quella aerobica.
Con il termine “fibre aerobiche” si indicano le fibre che necessitano di ossigeno per produrre energia;
esse sono anche dette di Tipo I, rosse, o fibre a contrazione lenta (ST, slow twitch). Le fibre che non
richiedono ossigeno si chiamano “fibre anaerobiche”, oppure di Tipo II, bianche, o fibre a contrazione
rapida (FT, fast twitch). Le fibre a contrazione rapida si dividono a loro volta in IIA e IIX (alle quali talvolta
ci si riferisce come IIb, sebbene il fenotipo IIB sia praticamente inesistente negli umani; Harrison et al.
2011). Ambedue i tipi sono presenti in quantità pressapoco uguali nel corpo umano e un allenamento di
potenziamento non dovrebbe influenzare questo rapporto paritario, ma solo incrementare la grandezza
delle fibre. Comunque, a seconda della loro funzione, alcuni gruppi muscolari (per esempio, i bicipiti e gli
ischiocrurali) sembrano avere una più alta proporzione di fibre a contrazione rapida, mentre altri (per
esempio il soleo) hanno una percentuale maggiore di fibre a contrazione lenta. La tabella 2.1 mette a
confronto le caratteristiche delle fibre a contrazione lenta con quelle delle fibre a contrazione veloce.

Slow-TwiTCh FaST-TwiTCh
Rosse, tipo I, aerobiche Bianche, tipo II, anaerobiche
Si affaticano lentamente Si affaticano velocemente
Motoneurone piccolo - innerva da 10 a 180 fibre Motoneurone grande - innerva da 300 a 500 (o più) fibre
muscolari muscolari
Sviluppa contrazioni lunghe e continue Sviluppa contrazioni brevi e forti
Utilizzate per la resistenza Usate per potenza e velocità
Reclutate a bassa e alta intensità di esercizio Reclutate soltanto durante l’esercizio intenso

Tabella 2.1
Comparazione tra fibre a contrazione veloce (fast-twitch) e a contrazione lenta (slow-twitch)

Queste caratteristiche possono essere influenzate dall’allenamento. Alcuni studi condotti dai ricercatori
danesi Andersen e Aagaard (1994, 2008, 2010, 2011) hanno dimostrato che le fibre di tipo IIX sviluppano
le caratteristiche delle fibre di tipo IIA quando sono sottoposte a un allenamento di volume o a un
allenamento di natura lattacida. Nello specifico, la catena pesante della miosina di queste fibre diviene più
lenta e più efficiente durante il lavoro lattacido. Questo cambiamento può essere invertito riducendo il
volume di lavoro (come nel tapering pre-gara), in modo che le fibre di tipo IIX riacquisiscano le loro
caratteristiche originali di fibre a contrazione rapida (Andersen e Aagaard 2000).

La contrazione di un’unità motoria a contrazione rapida è più veloce e più potente di quella di una unità
motoria a contrazione lenta. Nella muscolatura degli atleti di sport di velocità e potenza si osserva una
proporzione maggiore di fibre a contrazione rapida. Viceversa, gli atleti con un maggior numero di fibre a
contrazione lenta avranno maggior successo negli sport di resistenza, in quanto riescono a eseguire un
lavoro di minore intensità per una durata superiore.
Il reclutamento delle fibre muscolari segue il “principio della dimensione”, conosciuto anche come il
principio di Hennemann (1965), secondo il quale le unità motorie sono reclutate in ordine dalla più piccola
alla più grande, iniziando sempre dalle unità motorie costituite da fibre a contrazione lenta.

Se il carico è di intensità bassa o moderata, saranno le unità motorie costituite dalle fibre a contrazione
lenta a essere reclutate. Se viene utilizzato un carico elevato, verranno reclutate sia le unità motorie
costituite da fibre a contrazione lenta, sia le unità motorie costituite da fibre a contrazione rapida.

Quando una serie di ripetizioni con un carico moderato è portata fino all’esaurimento, le unità motorie
composte dalle fibre a contrazione rapida sono gradualmente reclutate per mantenere l’output di forza,
mentre le unità motorie precedentemente reclutate raggiungono l’affaticamento (fig. 2.1).
La differente distribuzione dei tipi di fibre muscolari risulta chiara se si mettono a confronto atleti che
praticano discipline diverse. Le figure 2.2 e 2.3 illustrano un profilo generale in relazione alla percentuale
di fibre rapide nell’ambito di alcuni sport. Ci si rende subito conto della drastica differenza tra velocisti e
maratoneti e questo chiaramente indica che il successo in certe discipline dipende, almeno parzialmente,
dalla distribuzione delle fibre all’interno dei muscoli.
Quindi, il picco di potenza generato da un atleta è anche correlato alla distribuzione dei vari tipi di fibre:
maggiore è la percentuale di fibre a contrazione veloce, maggiore sarà la potenza espressa. La
percentuale di fibre a contrazione rapida è correlata anche alla velocità massima che un soggetto riesce a
esprimere. Tali individui sono dei potenziali velocisti o saltatori e con questo talento naturale dovrebbero
essere indirizzati verso sport a predominanza di velocità e potenza. Provare a farli diventare, ad esempio,
corridori di lunghe distanze sarebbe uno spreco di talento, poiché in queste discipline otterrebbero
soltanto successi modesti, mentre potrebbero diventare velocisti o giocatori di baseball o di football
eccellenti, tanto per citare solo alcuni degli sport di velocità e potenza.
Figura 2.2
Distribuzione dei vari tipi di fibre muscolari negli atleti di sesso maschile. Si noti la prevalenza di fibre a
contrazione lenta negli atleti di sport di resistenza e di fibre a contrazione rapida negli atleti di sport di
potenza e di velocità

Da D. L. Costill, J. Daniels, W. Evans, W. Fink, G. Krahenbuhl e B. Saltin, “Skeletal muscle enzymes and fiber composition
in male and female track athletes,” Journal of Applied Physiology, 40 (2), pagg. 149-154, 1976; P. D. Gollnick, R. B.
Armstrong, C. W. Saubert, K. Piehl e B. Saltin, “Enzyme activity and fiber composition in skeletal muscle of untrained and
trained men,” Journal of Applied Physiology 33(3), pagg. 312-319, 1972
Figura 2.3
Distribuzione dei vari tipi di fibra muscolare nelle atlete

Da D. L. Costill, J. Daniels, W. Evans, W. Fink, G. Krahenbuhl e B. Saltin, “Skeletal muscle enzymes and fiber com- position
in male and female track athletes”, Journal of Applied Physiology 40 (2), pagg. 149-154; P. D. Gollnick, R. B. Armstrong,
C. W. Saubert, K. Piehl e B. Saltin, “Enzyme activity and fiber composition in skeletal muscle of untrained and trained
men” Journal of Applied Physiology, 33 (3), pagg. 312-319, 1972

2.4 MECCANISMI DELLA CONTRAZIONE MUSCOLARE

Come descritto precedentemente, la contrazione muscolare deriva da una serie di eventi che coinvolgono i
filamenti proteici conosciuti come actina e miosina. La teoria della contrazione muscolare a scorrimento
dei filamenti descritta precedentemente dà una visione generale su come i muscoli generino forza. La
teoria sottintende un certo numero di meccanismi che permettono un’efficace contrazione muscolare. Ad
esempio, il rilascio dell’energia elastica accumulata e l’adattamento dei riflessi sono elementi
fondamentali per la prestazione atletica, ma tali adattamenti avvengono soltanto se si impiega uno stimolo
adeguato nel processo d’allenamento; l’abilità dell’atleta nell’usare l’energia elastica accumulata per
saltare più in alto o proiettare un peso più lontano è migliorabile attraverso l’utilizzo di movimenti
esplosivi come quelli dell’allenamento pliometrico. In ogni caso, le componenti muscolari, come le
componenti elastiche in serie (i tendini, le fibre muscolari e i ponti trasversi), non possono ottimizzare il
trasferimento dell’energia al movimento se l’atleta non rinforza i legamenti e le strutture di collagene che
forniscono stabilità articolare e protezione dagli infortuni. Poiché il corpo deve sopportare gli impatti e le
forze generate dall’atleta per ottimizzare le proprietà elastiche dei muscoli, è necessaria una fase di
adattamento anatomico propedeutica alla fase di conversione a potenza.

Un riflesso è una contrazione muscolare involontaria causata da uno stimolo esterno (Latash 1998). Le
due componenti principali del controllo dei riflessi sono i fusi neuromuscolari e gli organi tendinei del
Golgi. I fusi neuromuscolari rispondono all’entità e alla rapidità dell’allungamento muscolare (Brooks,
Fahey e White 1996), mentre gli organi tendinei del Golgi (localizzati nella giunzione muscolo-tendinea;
Latash 1998) rispondono alla tensione muscolare. Quando si ha un alto livello di tensione muscolare, gli
organi tendinei del Golgi rilassano il muscolo per proteggerlo dall’infortunio; allo stesso modo quando un
muscolo è sottoposto a un allungamento forte e improvviso, i fusi neuromuscolari ne favoriscono la
contrazione.
Quando un meccanismo inibitorio come quello degli organi tendinei del Golgi è limitato, la prestazione
atletica migliora. L’unico modo per cui questo avvenga è attraverso un adattamento graduale a tensioni
muscolari sempre maggiori, in modo da elevare la soglia di attivazione di tale riflesso. Questo tipo di
adattamento può essere raggiunto attraverso l’allenamento della forza massimale che impiega carichi
progressivamente più elevati (fino al 90% dell’1RM o anche più), sottoponendo il sistema neuromuscolare
a un livello di tensione sempre crescente. Inoltre questo tipo di allenamento permette di aumentare il
contenuto proteico (la massa) delle fibre a contrazione veloce, migliorando i livelli di forza.
La maggior parte dei gesti sportivi segue uno schema motorio conosciuto come “ciclo allungamento-
accorciamento”, caratterizzato dai tre tipi di contrazione: eccentrico (allungamento), isometrico (statico) e
concentrico (accorciamento). Per esempio, un giocatore di pallavolo che fa un’accosciata rapida e poco
profonda per saltare a muro ha completato un ciclo allungamento-accorciamento. Lo stesso vale per un
atleta che porta il bilanciere al peto e lo spinge in maniera esplosiva estendendo le braccia.

Per beneficiare massimamente del riflesso scaturente dai fusi neuromuscolari, detto riflesso miotatico, il
muscolo deve passare rapidamente dall’allungamento all’accorciamento (Schmidtbleicher 1992).

Il potenziale motorio è ottimizzato soltanto quando il sistema neuromuscolare è stimolato strategicamente


con una sequenza adeguata. Per questo motivo la periodizzazione della forza prende in considerazione le
caratteristiche fisiologiche di un dato sport. Una volta stabilita l’ergogenesi, cioè il contributo dei vari
sistemi energetici della disciplina sportiva, e quindi la sua forza specifica, si procede con la pianificazione
delle fasi dell’allenamento, poste in sequenza, e utilizzando un approccio progressivo all’aumento del
carico si riesce a trasferire gli adattamenti neuromuscolari positivi alla prestazione specifica. Per questo
motivo capire la fisiologia dell’esercizio e avere chiari gli obiettivi di ciascuna fase aiuta i preparatori
atletici a integrare i principi della fisiologia nella pianificazione e nella metodologia dell’allenamento.
Tornando di nuovo a quanto detto in precedenza, la struttura scheletrica e muscolare del corpo umano
consiste in un insieme di ossa, congiunte tra loro all’interno delle articolazioni tramite legamenti. I
muscoli che passano attraverso queste articolazioni producono la forza necessaria per permettere i
movimenti. I muscoli scheletrici non si contraggono in modo isolato, ma in modo sinergico, ognuno
adempiendo a una funzione specifica.
Con il termine muscolo agonista o sinergico si intendono i muscoli che si contraggono insieme
nell’esecuzione di un movimento.

Gli antagonisti agiscono in opposizione agli agonisti durante il movimento. Nella maggior parte dei casi,
soprattutto per quanto riguarda gli atleti abili ed esperti, i muscoli agonisti si rilassano, permettendo così
un movimento più fluido. Poiché le prestazioni atletiche sono influenzate direttamente dall’interazione tra
gruppi muscolari agonisti e antagonisti; movimenti bruschi oppure eseguiti in modo rigido potrebbero
derivare dall’interazione scorretta tra i due gruppi.
Per questa ragione, la co-contrazione (la simultanea attivazione di agonisti e antagonisti per stabilizzare
un’articolazione) è auspicabile solamente durante le prime fasi della riabilitazione dopo un infortunio. Un
atleta sano, al contrario, specialmente se di uno sport di potenza, non dovrebbe eseguire esercizi (come
quelli su superfici instabili) che provochino co-contrazioni. Per esempio, una caratteristica distintiva dei
velocisti di élite è una bassissima attività mioelettrica dei muscoli antagonisti in ogni fase della falcata
(Wysotchin 1976; Wiemann e Tidow 1995).
I muscoli motori primari sono quei muscoli principalmente responsabili del movimento di un’articolazione
all’interno di un gesto motorio più complesso, sia esso tecnico sport-specifico o di un esercizio di forza.
Per esempio, durante una flessione del gomito con sovraccarico (curl per i bicipiti), i muscoli motori
primari sono i bicipiti, mentre i tricipiti adempiono alla funzione di antagonisti e dovrebbero rilassarsi per
facilitare una flessione del gomito più agevole.

Con il termine di stabilizzatori o fissatori si indicano di solito gruppi muscolari più piccoli che si
contraggono in modo isometrico per stabilizzare un’articolazione, in modo che i muscoli motori primari
dispongano di una solida base per effettuare l’azione di trazione. Ad esempio, quando un judoka trae
l’avversario verso se stesso tenendolo per il judogi, i muscoli della sua schiena, delle sue gambe e del suo
addome si contraggono isometricamente per fornire una base stabile all’azione dei flessori del gomito
(bicipiti), agli estensori della spalla (deltoidi posteriori) e agli adduttori e depressori della scapola (trapezi
e dorsali).
2.5 TIPI DI FORZA E LORO SIGNIFICATO METODOLOGICO

L’allenamento può implicare l’espressione di vari tipi di forza, ciascuno dei quali riveste un significato
particolare per determinate discipline sportive e per i diversi atleti. Si possono distinguere vari tipi di
forza in termini di qualità, di curva forza-tempo, di tipo di azione muscolare, di rapporto con il peso
corporeo dell’atleta e di grado di specificità.

Qualità della forza

L’effetto che si ricerca con l’allenamento della forza cade sempre in una delle seguenti tre categorie: forza
massima, potenza, resistenza muscolare.

Forza massima
La forza massima è il più alto livello di forza generata dal sistema neuromuscolare durante una
contrazione. Questa qualità è incrementata attraverso una combinazione di adattamenti strutturali
(ipertrofia) e, in misura maggiore, adattamenti neurali (principalmente nella forma di un miglioramento
della coordinazione intermuscolare e intramuscolare). Con tale definizione ci si riferisce anche al carico
massimo che un atleta può sollevare per una ripetizione ed è espresso come 100% del massimale o 1RM.
Ai fini degli obiettivi dell’allenamento, gli atleti devono conoscere la propria forza massima negli esercizi
più importanti (fondamentali), poiché ciò fornisce la base per calcolare i carichi per quasi tutti i cicli della
periodizzazione.

Potenza
La potenza è il prodotto di due qualità, forza e velocità, e consiste nell’abilità di applicare il più alto livello
di forza nel minor tempo possibile. Diversamente dal powerlifting, nel quale l’atleta esprime forza
(massima) senza limiti di tempo, gli atleti di tutti gli altri sport si trovano ad affrontare una limitazione
temporale nell’applicazione della maggior forza possibile. I possibili esempi riguardano il tempo di
contatto del piede a terra degli atleti che corrono negli sport individuali e di squadra, il tempo per portare
un pugno e un calcio negli sport da combattimento e il tempo di lancio e di battuta nel baseball. La
potenza viene allenata usando metodi che incrementino l’espressione rapida della forza, migliorando
quindi la frequenza di scarica del sistema nervoso sulle unità motorie attive. La potenza può essere
massimizzata solamente usando metodiche specifiche, dopo una fase di allenamento della forza massima.

Resistenza muscolare
La resistenza muscolare è la capacità del muscolo di sostenere un determinato output di potenza per un
tempo prolungato. La maggior parte degli sport implicano una componente di resistenza e i metodi per la
resistenza muscolare allenano sia l’aspetto neurale che quello metabolico specifici di uno sport. Si
distinguono quattro metodi diversi di allenamento della resistenza muscolare sport-specifica: potenza
resistente (da 10 a 30 secondi, o meno di 15 secondi con un recupero incompleto; potenza lattacida),
resistenza muscolare di breve durata (da 30 secondi a 2 minuti; capacità lattacida), resistenza muscolare
di media durata (da 2 a 8 minuti; potenza aerobica), resistenza muscolare di lunga durata (oltre otto
minuti; capacità aerobica).

La forza nella curva forza-tempo

Se si analizza la curva forza-tempo (fig. 2.4), si possono distinguere i seguenti tipi di espressione della
tensione muscolare: forza iniziale, forza esplosiva (tasso di sviluppo della forza o RFD), potenza (forza
iniziale più forza esplosiva) e forza massima.
Figura 2.4
Curva forza-tempo

La forza iniziale
La forza iniziale è espressa nei primi istanti dell’azione concentrica ed è solitamente misurata a 50
millisecondi. Il suo livello dipende dall’abilità di reclutare volontariamente più unità motorie possibili
(coordinazione intramuscolare) all’inizio del movimento.

Forza esplosiva o tasso di sviluppo della forza


La forza esplosiva rappresenta il tasso di incremento con il quale la forza aumenta all’inizio dell’azione
concentrica. Il suo livello dipende dall’abilità di reclutare più unità motorie nel minor tempo possibile o di
incrementare la frequenza di scarica sulle unità motorie attive, in modo da incrementare l’output di forza.

Potenza
Considerate assieme, la forza iniziale e la forza esplosiva rappresentano ciò che si definisce potenza o,
secondo alcuni autori, “forza veloce”. Un alto livello di potenza è solitamente necessario per eccellere
negli sport, a causa del tempo limitato disponibile per l’applicazione della forza nei gesti sportivi.

Forza massima
La forza massima è il più alto livello di tensione che un atleta può generare in un gesto.

Forza e regimi di contrazione

Si possono distinguere tre tipi di forza in accordo con le azioni muscolari: concentrica, isometrica ed
eccentrica.

La forza concentrica
In un’azione concentrica, i muscoli creano tensione e si accorciano, generando il movimento di
un’articolazione. In ambito sportivo, la forza massima è normalmente misurata con il massimo carico che
può essere sollevato in modo concentrico, preceduto o seguito da un’azione eccentrica.

La forza isometrica
In un’azione isometrica, i muscoli creano tensione senza accorciamento o allungamento; ciò accade
quando la forza generata è pari alla resistenza esterna o quando la resistenza esterna è inamovibile. Un
alto numero di azioni isometriche dei muscoli motori primari è presente negli sport motoristici, così come
nella BMX, nella vela e negli sport da combattimento. La presenza di tali azioni deve essere tenuta in
conto nella stesura del programma di allenamento della forza degli atleti coinvolti in questi sport. La forza
isometrica può essere fino al 20% superiore a quella concentrica.

La forza eccentrica
In un’azione eccentrica, i muscoli sviluppano una forza minore rispetto alla resistenza esterna e di
conseguenza si allungano. Un alto livello di forza eccentrica è auspicabile per gli sport che richiedono
salti, scatti e cambi di direzione. La forza eccentrica può essere fino al 40% superiore a quella
concentrica.

La forza in rapporto al peso corporeo

I metodi di allenamento della forza massima comportano adattamenti sia neurali, sia muscolari. Come
verrà descritto nei capitoli seguenti, i parametri di carico possono essere manipolati in modo tale da
incrementare sia il peso corporeo dell’atleta, sia la sua forza, o solamente i livelli di forza mantenendo il
peso corporeo stabile. Per questa ragione, si distingono due tipi di forza: assoluta e relativa.

La forza assoluta
La forza assoluta rappresenta la forza massima di un atleta indipendentemente dal peso corporeo. Un suo
alto livello è richiesto per eccellere in alcuni sport (per esempio, nel lancio del peso e nelle categorie dei
pesi massimi della lotta e del sollevamento pesi). Per gli atleti che seguono un programma di allenamento
indirizzato all’incremento della forza assoluta, gli incrementi sono accompagnati da un aumento del peso
corporeo.

La forza relativa
La forza relativa è il rapporto tra la forza massima espressa in un esercizio e il peso corporeo dell’atleta.
Un alto livello di forza relativa è necessario nella ginnastica, negli sport nei quali gli atleti sono divisi in
categorie di peso (come la lotta, la boxe, il judo, il jiu-jitsu brasiliano e le arti marziali miste) e in quelli di
squadra che richiedono frequenti cambi di direzione, nella velocità e nei salti dell’atletica leggera. Per
esempio, un ginnasta potrebbe essere incapace di eseguire la croce agli anelli fintanto che la forza
relativa dei muscoli coinvolti non sia almeno uno a uno; in altre parole, la forza assoluta deve essere
almeno sufficiente a eguagliare il peso corporeo dell’atleta. Questo rapporto è modificato nel caso di un
incremento di peso: al crescere del peso corporeo, la forza relativa diminuisce, a meno che essa non
aumenti di pari passo. Per questa ragione, i programmi di allenamento della forza nello sport sono
perlopiù volti a provocare adattamenti neurali, anziché a incrementare la massa muscolare e il peso
corporeo dell’atleta.
Il grado di specificità della forza

Si distinguono due tipi di forza in base al grado di sport-specificità dal punto di vista biomeccanico e
fisiologico dei mezzi d’allenamento e dei metodi impiegati: forza generale e forza specifica.

La forza generale
La forza generale è il fondamento dell’intero programma di allenamento e dovrebbe essere il punto focale
nei primi anni di attività sportiva. Un basso livello di forza generale può limitare i progressi dell’atleta.
Questi, infatti, aumenterebbe la suscettibilità agli infortuni e potenzialmente anche le asimmetrie,
limitando la capacità di incrementare la forza nel tempo, così come lo sviluppo delle abilità sport-
specifiche.
I macrocicli dedicati all’adattamento anatomico, all’ipertrofia e alla forza massima contribuiscono allo
sviluppo delle qualità di forza generale di un atleta. L’adattamento anatomico è mirato allo sviluppo della
forza del core, all’equilibrio muscolare e alla prevenzione degli infortuni attraverso il rinforzo dei tendini.
Come implica la definizione, l’adattamento anatomico prepara il corpo alle più difficili fasi che seguiranno.
La forza generale è ulteriormente incrementata attraverso i cambiamenti strutturali in seguito ai
macrocicli di ipertrofia e tramite gli adattamenti neurali risultanti dai macrocicli di forza massima.

La forza specifica
L’allenamento della forza specifica tiene conto delle caratteristiche dello sport considerato, come
l’ergogenesi (contributo dei sistemi energetici), i piani del movimento, i muscoli motori primari, il range
articolare specifico e le azioni muscolari dominanti. Come suggerisce il termine, questo tipo di forza è
specifico per ciascuno sport e richiede un’analisi approfondita. Quindi, non ha senso comparare i livelli di
forza di atleti praticanti sport diversi. L’allenamento della forza specifica dovrebbe essere introdotto
progressivamente verso la fine della fase preparatoria.

La riserva di forza
La riserva di forza è la differenza tra la forza massima e la forza richiesta per eseguire un gesto motorio in
condizioni di gara. Per esempio, uno studio ha misurato la forza media per colpo di remo dei canottieri
durante una gara, che è risultata essere di 56 kg (Bompa, Hebbelinck e Van Gheluwe 1978). Gli stessi
soggetti avevano una forza assoluta nella girata di 90 kg. Sottraendo la forza media nella gara (56 kg) da
quella assoluta (90 kg), si arriva a una riserva di forza pari a 34 kg. Il rapporto tra forza media e forza
assoluta è 1/1,6. Utilizzando tecniche di misura simili, si è scoperto che altri atleti disponevano di una
riserva di forza maggiore, espressa dal rapporto 1/1,85. Ovviamente questi ultimi ottenevano prestazioni
migliori nelle gare di canottaggio. Ne deriva che l’aumento della riserva di forza comporta un
miglioramento della prestazione sportiva. Un preparatore atletico, dunque, deve puntare a far
raggiungere ai propri atleti il più alto livello possibile di forza massimale, considerando il tempo a
disposizione per settimana, in un rapporto razionale con le sessioni sport-specifiche, in modo da prevenire
un transfer negativo.

L’allenamento della forza e gli adattamenti neuromuscolari

Un allenamento sistematico della forza comporta cambiamenti strutturali e funzionali del corpo, chiamati
adattamenti morfo-funzionali. Il livello di adattamento si concretizza nelle dimensioni e nella forza dei
muscoli. Il grado di questi adattamenti è direttamente proporzionale alle richieste poste all’organismo
attraverso il volume (quantità), la frequenza e l’intensità (carico) dell’allenamento praticato, nonché alla
capacità del corpo di tollerare tali richieste. L’allenamento adatta l’organismo a stressors sempre
maggiori. In altre parole, se il corpo è sottoposto a un lavoro che rompe l’omeostasi e se viene accordato
un tempo di recupero sufficiente ai sistemi fisiologici coinvolti, esso si adatterà allo stressor diventando
più forte.

Fino ad alcuni anni fa, si pensava che la forza fosse determinata principalmente dalla sezione trasversa
del muscolo (CSA). Di conseguenza, l’allenamento con i pesi veniva usato per incrementare “la cilindrata
del motore”, ossia per ricercare l’ipertrofia muscolare. Tuttavia, nonostante che la CSA sia il migliore
elemento predittore della forza di un individuo (Lamb 1984), la ricerca sull’allenamento della forza fin
dagli anni ‘80 (e autori come Zatsiorsky e Bompa) ha spostato l’attenzione sulle componenti neurali
dell’espressione della forza. Infatti, il ruolo primario del sistema nervoso nell’espressione della forza è
stato ben documentato da una review del 2001 (Broughton).

Gli adattamenti neurali all’allenamento includono la disinibizione dei meccanismi inibitori, così come
miglioramenti della coordinazione intra e inter-muscolare. La disinibizione coinvolge i seguenti apparati:

• gli organi tendinei del Golgi, i recettori sensoriali localizzati vicino alla giunzione miotendinea, da
cui partono i riflessi inibitori della contrazione muscolare quando il muscolo raggiunge una
tensione eccessiva;
• le cellule di Renshaw, interneuroni inibitori che si trovano nel midollo spinale e che hanno la
funzione di ridurre la frequenza di scarica ai motoneuroni alfa, prevenendo così un danno
muscolare derivante dalla contrazione tetanica;
• i segnali inibitori sovraspinali, segnali inibitori consci o inconsci provenienti dal cervello.

Le componenti della coordinazione intramuscolare sono:

• sincronizzazione: la capacità di contrarre le unità motorie simultaneamente o con una latenza


minima (cioè con un ritardo inferiore ai 5 millisecondi);
• reclutamento: la capacità di reclutare volontariamente le unità motorie in maniera simultanea;
• frequenza di scarica: la capacità di incrementare la frequenza di scarica al fine di esprimere più
forza.

Gli adattamenti nella coordinazione intramuscolare si trasferiscono da un esercizio all’altro, nel caso in
cui lo schema motorio sia acquisito (ossia ci sia già coordinazione intermuscolare). Per esempio, il
reclutamento massimo volontario delle unità motorie sviluppato attraverso l’allenamento della forza
massima può essere trasferito a un gesto motorio specifico se la tecnica esecutiva di questo è conosciuta
dall’atleta (Blazevich 2012). L’obiettivo dei macrocicli di forza massima è quello di migliorare il
reclutamento delle unità motorie dei muscoli motori primari, mentre i macrocicli di potenza allenano
principalmente la frequenza di scarica. Contrariamente a quanto si pensa, questi due aspetti della
coordinazione intramuscolare (reclutamento e frequenza di scarica) giocano un ruolo molto più
determinante della sincronizzazione nella produzione della forza muscolare.
La coordinazione intermuscolare, d’altro canto, è la capacità del sistema nervoso di coordinare gli “anelli”
della catena cinetica, rendendo il gesto più efficiente. Con il tempo, acquisita da parte del sistema nervoso
l’abilità di realizzare un gesto determinato, sarà attivato un numero inferiore di unità motorie a parità di
carico, lasciando più unità disponibili da attivare con un carico superiore (figg. 2.5a, 2.5b). Ne consegue
che per incrementare il carico sollevato in un dato esercizio, nel lungo periodo, la chiave è rappresentata
dall’allenamento della coordinazione intermuscolare (allenamento della tecnica).

Attivitazione delle unità motorie per un carico assegnato, PRIMA dell’allenamento di


coordinazione intermuscolare Allenamento di forza massima
Attivitazione delle unità motorie per un carico assegnato, DOPO dell’allenamento di
coordinazione intermuscolare Allenamento di forza massima

Figura 2.5
L’allenamento della forza massima incentrato sulla coordinazione intermuscolare riduce l’attivazione delle
unità motorie necessaria per sollevare un dato carico, lasciando ulteriori unità motorie disponibili per
carichi maggiori

Nonostante che la risposta ipertrofica all’allenamento sia immediata (Ploutz et al. 1994), l’accrescimento
delle proteine muscolari diviene evidente solo dopo sei o più settimane (Moritani e de Vries 1979;
Rasmussen e Phillips 2003). Queste proteine, che rappresentano la risposta adattativa specifica
all’allenamento realizzato, stabilizzano gli adattamenti raggiunti a livello neurale. Questo è un modo di
leggere il famoso studio di Sale (fig. 2.6), poiché gli adattamenti neurali, una volta concretizzati, non sono
comunque né al loro pieno potenziale, né assolutamente stabili. Ne consegue che, per incrementare la
forza nel lungo periodo, si debba continuare ad allenare i suddetti fattori. Questo è particolarmente vero
per la coordinazione intermuscolare, che permette un incremento dei carichi nel medio e lungo periodo
sulla base di un’efficienza sempre maggiore del sistema neuromuscolare, così come dell’ipertrofia
specifica.

Per anni i metodologi e gli allenatori dell’Europa dell’Est hanno usato le percentuali di 1RM divise per
zone di intensità, al fine di progettare e analizzare i programmi d’allenamento della forza. Se si analizza la
maggior parte della letteratura sulla metodologia dell’allenamento della forza, le zone considerate
migliori per incrementare la forza massima sono la n° 2 e la n° 1 (carichi superiori all’85%). In anni più
recenti, però, l’attenzione si è spostata dai carichi della zona 1 (oltre il 90%) a quelli della zona 3 (70-
80%). Questo cambiamento è avvenuto sulla base dell’esperienza dei sollevatori di peso (ad eccezione
delle scuole bulgara e greca e dei loro cloni nordamericani, che hanno usato intensità molto alte, molto
frequentemente e, non casualmente, hanno avuto una triste sequela di test antidoping positivi), così come
dei powerlifter russi e italiani.

Figura 2.6
Il modello degli adattamenti neuromuscolari secondo Sale (1988)

Riproduzione autorizzata da Sale, D. G. (1988). “Neural adaptation to resistance training.” Med Sci Sports Exerc 20 (5
Suppl): S135-45.

In sostanza, l’analisi dei programmi dei migliori sollevatori di peso (Roman 1986) e powerlifter ha
mostrato una concentrazione dei carichi d’allenamento nella zona 3. Di nuovo, identificare la zona 3 come
la più importante per lo sviluppo della forza massima è un cambiamento fondamentale, in quanto quasi
tuta la letteratura classica sull’allenamento della forza ha indicato per anni che i carichi per lo sviluppo
della forza massima sarebbero dovuti essere dell’85% di 1RM o superiori.

L’applicazione pratica sul campo ha mostrato che:

a. la maggior parte degli adattamenti del sistema neuromuscolare necessari a incrementare la forza
massima prevede carichi inferiori al 90% di 1RM;
b. il tempo di esposizione a carichi del 90% o superiori (necessari per stimolare gli adattamenti
specifici a quel range di intensità) deve essere molto breve.

La tabella 2.2 sintetizza gli adattamenti neuromuscolari per ogni zona di intensità. Da essa si apprende
che:
• la maggior parte dei miglioramenti della coordinazione intramuscolare prevede carichi superiori
all’80%;
• la maggior parte dei miglioramenti della coordinazione intermuscolare prevede carichi inferiori
all’80%;
• si deve usare l’intero spettro di intensità per massimizzare gli adattamenti neuromuscolari e, di
conseguenza, la forza massima.

Dalla tabella, prendendo in considerazione la metodologia dell’allenamento, si possono dedurre i seguenti


punti:
• nella fase preparatoria, con un tempo limitato per lo sviluppo della forza massima, o quando
l’allenamento di un gruppo di atleti dura per una sola stagione, l’intensità media utilizzata nel
macrociclo di forza massima sarà più alta (80-85% di 1RM). Questo approccio è solitamente
utilizzato negli sport di squadra (ad eccezione del settore giovanile);
• nella fase preparatoria per uno sport individuale, con un periodo di tempo ampio per lo sviluppo
della forza massima e specialmente quando la prospettiva di un progetto pluriennale fa pensare a
una progressione continua nel medio e lungo termine, il programma di forza periodizzato si
concentrerà principalmente sulla coordinazione intermuscolare. Perciò le intensità medie, non i
picchi, utilizzate nei macrocicli di forza massima saranno più basse (70-80% di 1RM);
• comunque, per lo sviluppo della forza massima, ogni programma periodizzato inizia con intensità
più basse, tempi sotto tensione per serie più alti (il che favorisce l’adattamento anatomico) e si
concentra sulla tecnica esecutiva, cosicché le intensità più alte utilizzate successivamente possano
creare tensioni muscolari superiori, senza compensi.

Poiché sono possibili diversi tipi di adattamenti, la periodizzazione della forza consiste in un approccio a
sete fasi che segue il ritmo fisiologico della risposta del sistema neuromuscolare all’allenamento della
forza. Le sete fasi sono: l’adattamento anatomico, l’ipertrofia, la forza massima, la conversione a forza
specifica, il mantenimento, la cessazione e la compensazione.

A seconda delle esigenze fisiologiche dello sport, la periodizzazione della forza prevede la combinazione,
in sequenza, di almeno quattro delle suddette fasi: adattamento anatomico, forza massima, conversione a
forza specifica e mantenimento. Qualsiasi modello di periodizzazione della forza inizia con la fase di
adattamento anatomico. Cinque delle sette possibili fasi sono discusse brevemente nei paragrafi seguenti.
Le due ulteriori fasi, da impiegarsi durante i periodi di taper e transizione, saranno discusse nei capitoli
successivi.
Tabella 2.2
Adattamenti neuromuscolari in accordo con le zone d’intensità della forza

Stimolo all’adattamento: **** = molto alto; *** = alto; ** = medio; * = basso Tutti i carichi si presume siano sollevati con
la fase concentrica più esplosiva possibile e tecnicamente in modo corretto

Fase 1: adattamento anatomico

La fase d’adattamento anatomico pone le fondamenta per le fasi successive. Il suo nome deriva dal fato
che l’obiettivo principale dell’allenamento non è raggiungere immediatamente degli alti sovraccarichi, ma
piuttosto un progressivo adattamento delle strutture anatomiche dell’atleta. Essa enfatizza la
“preabilitazione”, nel tentativo di prevenire gli infortuni. I principali obiettivi fisiologici di questa fase
sono:

1. il rafforzamento dei tendini, dei legamenti e delle articolazioni, ottenibile attraverso un volume di
allenamento più alto rispetto al resto dell’anno;
2. l’incremento del contenuto minerale delle ossa e la proliferazione del tessuto connettivo. Inoltre,
indipendentemente dallo sport, in questa fase si migliora l’efficienza cardiovascolare, si
incrementa progressivamente la forza muscolare e si insegna all’atleta a eseguire correttamente
gli schemi motori degli esercizi di forza. Non ci si concentra invece sull’incremento della sezione
trasversa del muscolo, che comunque sarà una conseguenza del lavoro svolto.

I tendini sono rafforzati programmando un tempo sotto tensione per ciascuna serie compreso tra i 30 e i
70 secondi (con questi tempi il sistema anaerobico lattacido sarà quello principalmente sollecitato per la
produzione di energia). Gli ioni di idrogeno liberati dall’acido lattico stimolano il rilascio dell’ormone della
crescita e quindi la sintesi del collagene, il cui incremento è sollecitato anche dal carico eccentrico
(Crameri et al. 2004; Miller et al. 2005; Babraj et al. 2005; Kjaer et al. 2005; Doessing e Kjaer 2005; Kjaer
et al. 2006; Langberg et al. 2007). Per questa ragione, la maggior parte del tempo sotto tensione è speso
nella fase eccentrica dell’esercizio (da 3 a 5 secondi per ripetizione). L’equilibrio muscolare è raggiunto
sia utilizzando un volume di allenamento uguale tra muscoli agonisti e antagonisti di un’articolazione, sia
facendo maggior uso di esercizi unilaterali rispetto a quelli bilaterali.

Fase 2: ipertrofia

L’ipertrofia, ossia l’ingrossamento delle fibre muscolari, è uno dei segni più visibili di adattamento
all’allenamento della forza. I due principali obiettivi fisiologici di questa fase sono:
1. l’incremento della sezione trasversa del muscolo attraverso l’incremento del contenuto delle
proteine muscolari;
2. l’incremento della capacità di immagazzinamento dei substrati energetici e degli enzimi. Molti
metodi utilizzati nella fase di ipertrofia sono simili a quelli del bodybuilding, però ci sono anche
differenze.

Nello specifico, i programmi d’allenamento dell’ipertrofia per lo sport utilizzano un numero medio di
ripetizioni per serie più basso, un carico medio più alto e un tempo di recupero tra le serie mediamente
più lungo. Inoltre, gli atleti dovrebbero sempre cercare di sollevare i pesi il più velocemente possibile
durante la fase concentrica. I bodybuilder si allenano fino all’esaurimento muscolare utilizzando carichi
relativamente bassi o moderati, mentre gli atleti devono utilizzare carichi più alti e concentrarsi sulla
velocità del movimento nella fase concentrica, recuperando più a lungo tra le serie. Sebbene le
modificazioni a livello ipertrofico avvengano sia nelle fibre a contrazione rapida, sia nelle fibre a
contrazione lenta, con l’allenamento specifico per lo sport si verificano più cambiamenti nelle fibre rapide
(Tesch, Thorsson e Kaiser 1984; Tesch e Larsson 1982).

Quando l’allenamento per l’ipertrofia produce cambiamenti cronici, costituisce una forte base fisiologica
per l’allenamento del sistema nervoso.
Se un muscolo si contrae contro resistenza, come succede nell’allenamento della forza, il flusso sanguigno
cresce velocemente. Questo incremento transitorio, conosciuto con il nome di “pompaggio”, aumenta
temporaneamente la dimensione del muscolo stesso. Questa ipertrofia a breve termine è esperita durante
ogni sessione di allenamento e solitamente dura da una a due ore dopo il termine dell’esercizio. Sebbene i
benefici di una singola sessione di allenamento della forza siano persi velocemente, gli effetti accumulati
in più sessioni conducono verso l’ipertrofia atletica, risultante da cambiamenti strutturali a livello delle
fibre muscolari. Poiché queste modificazioni sono causate da un incremento della dimensione dei
miofilamenti, il loro effetto è più duraturo. Questo tipo di ipertrofia è auspicabile per gli atleti che usano
l’allenamento della forza per migliorare la propria prestazione atletica. In questo modo gli adattamenti si
traducono in un “motore” muscolare più forte, pronto a ricevere i segnali del sistema nervoso.

Fase 3: forza massima

Per la maggior parte degli sport, lo sviluppo della forza massima è probabilmente la variabile singola più
importante. La forza massima dipende dalla sezione trasversa del muscolo, dalla capacità di reclutare le
fibre a contrazione veloce, dalla loro frequenza di attivazione e dalla capacità di coinvolgere
simultaneamente tutti i muscoli motori primari responsabili di un dato movimento (Howard et al. 1985).
Tali fattori presuppongono cambiamenti sia strutturali, sia neurali, i quali si concretizzano a seguito
dell’allenamento con carichi submassimali sollevati in maniera esplosiva, così come con elevati carichi
(90% di 1RM o anche più). Queste risposte adattative possono essere stimolate anche dall’allenamento
eccentrico con carichi superiori al 100% di 1RM, sebbene la sua applicazione pratica sia limitata a poche
situazioni.
La popolarità dell’allenamento per la forza massima si fonda sui concomitanti miglioramenti della forza
relativa. Infatti molti sport, come la pallavolo, la ginnastica e la boxe, richiedono un incremento della
capacità di generare forza senza un parallelo aumento del peso corporeo. Un incremento della forza
massima senza un incremento associato del peso corporeo caratterizza la fase della forza massima come
allenamento del sistema nervoso centrale (Schmidtbleicher 1984).
I giocatori di football americano si affidano all’ipertrofia specifica per migliorare potenza, velocità e
agilità

Un atleta può beneficiare anche dei metodi tradizionali di allenamento della forza massima, ossia
utilizzando carichi elevati con recuperi molto lunghi tra le serie (da tre a cinque minuti). Comunque, per
incrementare i carichi in un esercizio nel lungo periodo, la chiave è l’allenamento della coordinazione
intermuscolare (allenamento della tecnica). Con il tempo, man mano che il sistema nervoso centrale
apprende i corretti parametri del gesto, vengono attivate meno unità motorie a parità di carico,
risparmiandone alcune che diventano disponibili nel caso di sovraccarichi maggiori. Inoltre, la fase
concentrica dovrebbe essere esplosiva per attivare le unità motorie a contrazione rapida responsabili
della più elevata e della più veloce espressione di forza e per raggiungere il più alto livello di ipertrofia
specifica.

Per questo motivo l’allenamento della coordinazione intermuscolare è il metodo d’elezione per la forza
generale. Esso costituisce la base per i macrocicli successivi, nei quali la coordinazione intramuscolare
verrà allenata utilizzando carichi più alti, con tempi di recupero più lunghi. Inoltre, la periodizzazione
della forza prevede un adattamento continuo del sistema nervoso attraverso la variazione dei carichi,
delle serie e dei metodi d’allenamento.

I benefici fisiologici per la prestazione sportiva risiedono nell’abilità dell’atleta di convertire i guadagni
forza, ed eventualmente l’aumento della massa muscolare, nella forza specifica richiesta dalla sua
particolare disciplina. La costruzione delle fondamenta prepara per il picco di forma, l’incremento della
massa muscolare aumenta la forza e l’adattamento dell’organismo all’uso di sovraccarichi alti migliora la
capacità di reclutare volontariamente le unità motorie di maggiori dimensioni (le fibre a contrazione
rapida). Una volta stabilita la connessione mente-muscolo, i requisiti fisici dello sport determinano la fase
successiva.
Fase 4: conversione a forza specifica

In base alla disciplina sportiva, la fase della forza massima può essere seguita da una di tre opzioni
fondamentali: conversione in potenza, in potenza resistente o in resistenza muscolare. La conversione in
potenza o in potenza resistente si ottiene usando carichi relativamente moderati o elevati (dal 40 all’80%
di 1RM), con l’intenzione di spostare il peso il più velocemente possibile; la differenza è nella durata delle
serie e nel sovraccarico impiegato.

Coinvolgendo il sistema nervoso, metodi come l’allenamento balistico e la pliometria per la parte
superiore o inferiore del corpo migliorano l’espressione della forza ad alta velocità, ossia l’abilità di
reclutare le unità motorie a contrazione rapida e inviargli treni d’impulsi ad alta frequenza.

Una solida base di forza massima è necessaria per ottimizzare il tasso di sviluppo della forza. Infatti,
anche l’allenamento della forza massima con carichi alti sollevati a bassa velocità si è dimostrato efficace
nel migliorare la potenza, se l’atleta ricerca comunque la massima velocità di esecuzione (Behm e Sale
1993).

A seconda dei requisiti dello sport, la resistenza muscolare può essere allenata per una breve, media o
lunga durata. La resistenza muscolare si dice di breve durata quando il sistema energetico dominante è
quello anaerobico lattacido, mentre la resistenza muscolare di media e lunga durata è prevalentemente
aerobica. La conversione in resistenza muscolare richiede di più che eseguire 15 o 20 ripetizioni; infatti
essa necessita fino a 400 ripetizioni per serie, integrate con l’allenamento metabolico.

Bisogna ricordarsi che il corpo ripristina i substrati energetici per la contrazione muscolare attraverso
l’attività combinata dei tre sistemi energetici: anaerobico alattacido, anaerobico lattacido e aerobico.

L’allenamento per la conversione in resistenza muscolare richiede un elevato adattamento dei sistemi
aerobico e anaerobico lattacido. Gli obiettivi principali dell’allenamento aerobico includono il
miglioramento:
• di alcuni parametri fisiologici, come l’efficienza cardiaca;
• di alcuni parametri biochimici, come una maggiore densità mitocondriale e capillare, che
determinano una maggiore diffusione e utilizzo dell’ossigeno;
• di alcuni parametri metabolici, che consentono un maggiore utilizzo degli acidi grassi come fonte di
energia e una maggiore rimozione e riutilizzo dell’acido lattico.

L’adattamento fisiologico, biochimico e metabolico dei sistemi neuromuscolare e cardiovascolare


rappresenta un beneficio inestimabile per gli atleti di molti sport di durata. Per massimizzare la
prestazione negli sport di resistenza, l’allenamento per la forza massima deve essere seguito da una
combinazione di allenamento metabolico specifico e allenamento della forza specifico, per preparare il
corpo alle esigenze delle diverse discipline.

Fase 5: mantenimento

Una volta che il sistema neuromuscolare si è adattato ai fini della prestazione massima, è tempo di testare
tali guadagni. Sfortunatamente, la maggior parte degli allenatori e degli atleti lavora duramente e in
maniera strategica fino all’inizio della stagione competitiva, per poi abbandonare del tutto l’allenamento
della forza una volta che essa è iniziata. In realtà mantenere forte e stabile la base formata durante la fase
preparatoria richiede che l’atleta continui ad allenare la forza anche durante la fase competitiva. Non
pianificare almeno una sessione settimanale dedicata all’allenamento della forza porta a un
peggioramento della performance o all’insorgenza precoce della fatica con il progredire della stagione.

Mantenere i guadagni di forza raggiunti è sempre più facile che doverli riguadagnare una volta che si
sono persi. La periodizzazione della forza prevede la pianificazione delle fasi in modo da ottimizzare gli
adattamenti fisiologici e il mantenimento di tali adattamenti per tuta la durata della stagione agonistica.
Al termine, gli atleti possono prendersi da due a quattro settimane di riposo per rigenerarsi nella mente e
nel corpo.

Preparare il corpo per la prestazione ottimale richiede tempo, pianificazione e persistenza.

La fisiologia ci viene in aiuto nella pianificazione del processo d’allenamento, ma il miglioramento della
prestazione è raggiunto attraverso l’applicazione pratica dei molti principi e metodi di allenamento
inerenti alla periodizzazione della forza.
L’ALLENAMENTO DEI SISTEMI ENERGETICI
Terzo capitolo

Questo libro tratta, in modo specifico, la scienza, la metodologia e gli obiettivi dell’allenamento della forza
per lo sport. Ogni disciplina sportiva, però, ha il proprio profilo fisiologico e tutti i preparatori atletici che
progettano e applicano programmi sport-specifici devono conoscere i sistemi energetici del corpo umano
e come questi influiscono sull’allenamento sportivo. Più specificamente, la complessità fisiologica di
ciascuno sport richiede che i preparatori capiscano quale sia il sistema energetico dominante e come
questo si relazioni con l’allenamento della forza. Coloro che separano l’allenamento della forza e i
requisiti della sua programmazione dalle caratteristiche fisiologiche dello sport in cui lavorano fanno un
errore che, nel tempo, può influenzare il loro successo. Questo capitolo illustra come integrare
l’allenamento della forza con lo sviluppo dei sistemi energetici specifici necessario in diversi sport.

3.1 I SISTEMI ENERGETICI


L’energia è la capacità di compiere un lavoro che, a sua volta, è l’applicazione di una forza che genera uno
spostamento, ossia la contrazione dei muscoli che applica forza contro una resistenza. Ne consegue che,
ovviamente, c’è bisogno di energia per eseguire il lavoro fisico durante un’attività sportiva. Il corpo ricava
l’energia dalla conversione, da parte delle cellule muscolari, dei componenti dei macronutrienti in un
composto ad alta energia chiamato adenosina trifosfato (ATP), che viene immagazzinato nelle cellule
muscolari. Come suggerisce il suo nome, l’ATP è formata da una molecola di adenosina e da tre molecole
di fosfato. L’adenosina difosfato (ADP), invece, è costituita da una molecola di adenosina e da due
molecole di fosfato. Nel processo di produzione dell’energia, l’ATP è scisso in ADP+P (fosfato). Per
assicurare un apporto costante di ATP e quindi di energia, l’ADP si combina con un’altra molecola di
fosfato per riformare ATP. Questo fosfato extra è donato dalla fosfocreatina, anch’essa stoccata dentro la
cellula muscolare. Quando l’atleta si allena con i pesi o esegue un’esercitazione metabolica, l’energia
richiesta dalla contrazione muscolare è rilasciata dalla conversione dell’ATP in ADP+P. Attraverso questa
energia avviene il movimento. Per continuare l’attività di allenamento, l’organismo deve continuamente
ripristinare il livello di ATP delle cellule muscolari, perché esse possono immagazzinarne solo una
quantità limitata (da 5 a 6 millimoli per chilogrammo di muscolo) e perché una cellula non può usare
completamente il proprio ATP (utilizzato fino al 60, massimo 70%).

3.2 I TRE SISTEMI ENERGETICI

Il corpo può ripristinare i suoi livelli di ATP utilizzando ciascuno dei tre sistemi energetici, a seconda del
tipo di allenamento: il sistema anaerobico alattacido (o ATP-PC), il sistema anaerobico lattacido o il
sistema aerobico.

Il sistema anaerobico alattacido (ATP-CP)

I muscoli possono immagazzinare solamente una quantità limitata di adenosina trifosfato (ATP). Per
questa ragione, i livelli energetici sono depleti rapidamente durante un allenamento intenso. Per esempio,
l’ATP immagazzinato nei muscoli può sostenere solamente i primi due secondi di uno scatto massimale o
le prime 2-5 ripetizioni di una serie a esaurimento che ne prevede 12-15. Se l’atleta sente una sensazione
di bruciore nei muscoli allenati alla fine delle 15 ripetizioni, questo indica che sono stati coinvolti nella
produzione di energia durante la serie sia il sistema ATP-CP, sia il sistema anaerobico lattacido.

In risposta alla deplezione di ATP nel muscolo, la fosfocreatina (PC) viene scissa in creatina (C) e fosfato
(P). Come l’ATP, la fosfocreatina è contenuta nella cellula muscolare. La trasformazione di PC in C e P non
rilascia energia immediatamente utilizzabile per la contrazione muscolare. L’organismo usa questa
energia per risintetizzare - dall’ADP e da un gruppo fosfato – l’ATP che, come si è visto, rappresenta il
substrato energetico per la contrazione muscolare. Poiché la quantità di fosfocreatina è limitata, il sistema
ATP-PC può fornire energia solamente per un tempo breve, fino a 8-10 secondi di sforzo massimale
(l’energia necessaria a uno sforzo submassimale può essere fornita per un tempo leggermente superiore).
Questo sistema rappresenta la principale fonte di energia del corpo per le attività estremamente rapide ed
esplosive, come lo sprint sui 60 m, i tuffi, il sollevamento pesi, le discipline di salto e lancio dell’atletica
leggera. Poiché la creatina nella dieta può incrementare il volume cellulare (aumentando l’idratazione
cellulare e sostenendo la sintesi proteica) così come la capacità di fornire energia da parte del sistema
anaerobico alattacido, gli integratori di creatina sono divenuti popolari sin dalla fine degli anni 90 tra gli
atleti che perseguono incrementi di massa muscolare, forza e potenza nelle discipline di velocità, nei
lanci, nell’hockey e nel calcio.

Il sistema anaerobico lattacido

L’organismo risponde diversamente agli esercizi intensi di maggiore durata (da 10 a 60 secondi), come gli
sprint di 200 e 400 m e le serie con i pesi fino a 50 ripetizioni rapide, come avviene nella fase di
conversione in resistenza muscolare di breve durata. Per i primi 8-10 secondi è principalmente il sistema
anaerobico alattacido a fornire l’energia. Nonostante raggiunga il suo picco di potenza di produzione di
ATP dopo 5-6 secondi, solo dopo circa 10 secondi il sistema anaerobico lattacido diviene il maggior
fornitore di energia (Hultman e Sjoholm 1983).
Il sistema anaerobico lattacido fornisce energia scomponendo una sostanza chiamata glicogeno (la forma
di stoccaggio del glucosio, cioè dello zucchero, nel corpo), che si trova all’interno delle cellule muscolari e
nel fegato e che rilascia l’energia per risintetizzare ATP da ADP+P. L’assenza di ossigeno durante la
scissione del glicogeno crea un metabolita chiamato acido lattico. Quando un esercizio ad alta intensità si
prolunga per molto tempo, viene accumulato acido lattico nei muscoli, causando affaticamento e,
gradualmente, impedendo all’organismo di mantenere lo stesso livello di produzione di potenza.
L’utilizzo continuo del glicogeno durante l’esercizio porta alla sua deplezione. Il glicogeno può essere
facilmente ripristinato introducendo nell’oganismo dei carboidrati semplici subito dopo l’allenamento
(specialmente nella forma in polvere, come le maltodestrine e l’amilopectina) e poi, nelle ore successive,
mangiando carboidrati complessi (amidi), frutta e verdura e riposandosi adeguatamente.
Il sistema aerobico

Il sistema aerobico necessita di 60-80 secondi per iniziare a produrre energia per la risintesi dell’ATP.
Diversamente dagli altri due sistemi energetici, il sistema aerobico permette la sintesi dell’ATP solo in
presenza di ossigeno. Ciò significa che può risintetizzare i composti altamente energetici attraverso la
scomposizione di glicogeno, grassi e proteine. Affinché questo processo avvenga, deve essere trasportata
alle cellule muscolari un’adeguata quantità di ossigeno, processo che richiede un incremento delle
frequenze cardiaca e respiratoria. Sia il sistema anaerobico lattacido (glicolisi anaerobica) che aerobico
(glicolisi aerobica) utilizzano il glicogeno come substrato energetico per la risintesi dell’ATP. Tuttavia,
diversamente dal sistema anaerobico lattacido, quello aerobico non produce acido lattico, permettendo
all’organismo di continuare l’esercizio.
Ne risulta che il sistema aerobico è la fonte di energia primaria per gli eventi che durano da poco più di
un minuto a tre ore. Un lavoro prolungato oltre le due ore può portare alla degradazione di grassi e
proteine, sostanze necessarie al ripristino dell’ATP quando le scorte di glicogeno sono deplete.

Le atlete nelle gare oltre gli 800 metri adottano prevalentemente il sistema energetico aerobico per
utilizzare glicogeno, grassi e proteine come carburante per il corpo

In ogni caso, la degradazione di glicogeno, acidi grassi o aminoacidi genera anidride carbonica e acqua
come prodotti di scarto, che sono eliminati dal corpo attraverso la respirazione e la sudorazione. Al
migliorare della capacità aerobica di una persona, migliora anche la sua capacità di utilizzare gli acidi
grassi come substrato energetico.

Il ponte tra la teoria e la pratica dell’allenamento dei sistemi energetici

Gli allenatori che non hanno una conoscenza approfondita dei sistemi energetici spesso sviluppano in
maniera intuitiva dei programmi per allenare il sistema energetico dominante nel proprio sport. Per
esempio, gli allenatori dei velocisti allenano basandosi sull’intuizione i propri atleti con distanze brevi,
anche se non sono a conoscenza dei benefici di tale allenamento sul sistema nervoso e sui sistemi
energetici anaerobici. L’allenamento dei sistemi energetici dovrebbe tenere in considerazione anche il
reclutamento dei vari tipi di unità motorie. Il miglioramento dell’efficienza dei sistemi energetici dipende
dall’abilità del sistema neuromuscolare di sopportare lo sviluppo della tensione e l’accumulo di fatica
derivanti dall’allenamento cronico. Per esempio, un allenamento costante del sistema anaerobico lattacido
rende le fibre a contrazione rapida capaci di generare forza in presenza di un forte accumulo di acido
lattico. Questo risultato è ottenuto attraverso un incremento del reclutamento delle unità motorie e un
miglioramento del riutilizzo dell’acido lattico da parte delle fibre a contrazione lenta. Il metabolismo
anaerobico può essere particolarmente migliorato combinando l’allenamento della forza massima e della
potenza resistente con prove di sprint su distanze comprese tra 150 e 400 metri. Il sistema utilizzato in
modo preponderante per produrre energia durante un’attività atletica dipende direttamente dall’intensità
e dalla durata dell’attività stessa. Il sistema anaerobico alattacido è il sistema energetico primario per
tutti gli sport di breve durata (fino a 8-10 secondi), nei quali la velocità e la potenza sono le abilità
dominanti. Gli sport in cui il sistema alattacido è dominante sono gli sprint brevi, i lanci e i salti
nell’atletica leggera, il salto con gli sci, i tuffi, il volteggio nella ginnastica e il sollevamento olimpico. I
movimenti in questi sport sono esplosivi e di breve durata, con una resistenza esterna da moderata a
elevata; in altre parole, questi sport richiedono forza massimale e potenza. Ne consegue che il sistema
anaerobico alattacido si accompagna al reclutamento di un alto numero di unità motorie a contrazione
rapida (per la forza massima) e a un incremento nella frequenza di scarica di quelle fibre (per la potenza).
Il sistema anaerobico lattacido, invece, è il principale fornitore di energia per le attività ad alta intensità
di durata superiore (da 15 a 60 secondi). Una lista, solamente parziale, di sport in cui il sistema
anaerobico lattacido è dominante include i 200 e i 400 m nell’atletica leggera, i 50 m nel nuoto, il ciclismo
su pista e i 500 m nel pattinaggio di velocità. La prestazione in questi sport richiede la potenza massima
di entrambi i sistemi anaerobici, alattacido e lattacido. La massima capacità del metabolismo anaerobico è
richiesta per gli sport di durata leggermente superiore, come gli eventi del mezzo fondo nell’atletica
leggera, i 100 e i 200 m nel nuoto, i 500 m nella canoa e nel kayak, i 1000 m nel pattinaggio di velocità, la
maggior parte degli eventi nella ginnastica, lo sci alpino, la ginnastica ritmica e l’inseguimento nel
ciclismo su pista.

La finalità dell’allenamento di forza per questi sport è sviluppare la potenza resistente, oppure la
resistenza muscolare di breve durata. L’atleta deve essere in grado non solo di incrementare la frequenza
di scarica delle fibre a contrazione rapida, ma anche di mantenere tale frequenza per una durata
maggiore (da 10 a 120 secondi). Bisogna ricordare che i guadagni in termini di potenza resistente e di
resistenza muscolare di breve durata sono possibili solamente sulla base di un incremento della forza
massima. Ne deriva che gli atleti in questi sport devono sviluppare una solida base di forza massima.
Come menzionato precedentemente, il sistema aerobico è utilizzato per produrre energia negli sport la
cui durata va da un minuto a più di tre ore. Molti allenatori hanno difficoltà a capire come allenare nelle
discipline di resistenza, dato un range di durata così vasto. Come linea guida generale, più la durata
dell’evento è breve, più basso sarà il contributo alla prestazione del sistema aerobico.

Lo stesso tipo di ragionamento si applica qualora si voglia differenziare tra la potenza e la capacità del
sistema energetico aerobico. Il power output raggiunto al massimo consumo di ossigeno può essere
solitamente sostenuto per 6 minuti (Billat et al. 2013), mentre la massima potenza aerobica può essere
mantenuta fino a 15 minuti aggiustando il power output (una volta raggiunto, il VO2max può essere
sostenuto anche con valori di potenza leggermente inferiori; Billat et al. 1999). Ne consegue che ogni
evento la cui durata sia tra 1 e 15 minuti richiede un alto livello di potenza aerobica. Per gli eventi di
durata superiore, è maggiore il contributo della potenza aerobica quanto più si rimane vicini ai 15 minuti;
man mano che ci si allontana diventa preponderante l’importanza della capacità del sistema aerobico.
Molti sport appartengono alla categoria di “dominanza aerobica”: le specialità di fondo nell’atletica
leggera, le distanze superiori ai 200 m nel nuoto, i 1000 m nella canoa e nel kayak, la lotta, il pattinaggio
artistico, il nuoto sincronizzato, il canottaggio, lo sci di fondo, il ciclismo su strada e il triathlon. Gli atleti
di tutte queste discipline possono beneficiare, dal punto di vista fisiologico, dell’allenamento della
resistenza muscolare di media o lunga durata.

Sebbene la maggior parte degli sport ricada in qualche punto nel continuum del contributo dei sistemi
energetici, particolare attenzione deve essere posta nell’analisi degli sport di squadra, della boxe, delle
arti marziali e degli sport con racchetta; cioè gli sport caratterizzati da un’attività intermittente. Per
queste discipline, tutti i tre sistemi energetici sono utilizzati in accordo con l’intensità, il ritmo e la durata
delle azioni e della competizione. La maggior parte di questi sport utilizza i sistemi anaerobici durante le
fasi attive della gara e si affida a una potenza aerobica elevata per un recupero rapido tra le azioni, poiché
essa favorisce la risintesi della fosfocreatina, attraverso la fosforilazione aerobica (Bogdanis et al. 1996).
Perciò questi sport richiedono che una buona parte dell’allenamento sia dedicata al miglioramento della
forza massima, della potenza e della resistenza alla potenza.

La tabella 3.1 illustra la relazione tra sistemi energetici e il tipo di allenamento della forza consigliato per
gli sport in ognuna delle categorie elencate. Essa mostra chiaramente la necessità di allenare la forza
massima per tutto lo spettro dei sistemi energetici. Indipendentemente dal fato che lo sport sia
primariamente anaerobico, aerobico o caratterizzato da un contributo uguale dei sistemi energetici, lo
sviluppo della forza massima fornisce la base sulla quale le altre abilità dominanti possono essere
massimizzate.

Più specificamente, una maggiore densità delle fibre e un miglior schema di reclutamento delle unità
motorie rendono il muscolo più efficiente in quegli sport che richiedono un alto power output (a
dominanza anaerobica), mentre in quelli di lunga durata la maggiore dimensione delle fibre a contrazione
lenta fornisce una superficie più ampia per la capillarizzazione e favorisce un incremento della densità
mitocondriale.

Tabella 3.1
Relazione tra sistemi energetici e metodi d’allenamento della forza

Legenda: MEL= resistenza muscolare di lunga durata, MEM = resistenza muscolare di media durata, MES = resistenza
muscolare di breve durata, M×S M×S = forza massima, P = potenza, PE = potenza resistente

Riassumendo: ogni disciplina ha il proprio profilo fisiologico e la propria combinazione specifica


relativamente alle abilità biomotorie. Di conseguenza, i bravi allenatori capiscono bene ciò che distingue
uno sport dall’altro e applicano con successo questi principi fisiologici nel processo d’allenamento di tutti i
giorni. Per contribuire a creare un allenamento sport-specifico, nei paragrafi seguenti verrà discusso
come l’allenamento metabolico vada programmato in funzione dei sistemi energetici e come le sei zone di
intensità possano essere usate per la maggior parte dell’allenamento sportivo in combinazione con
l’allenamento della forza.

Per capire meglio la relazione tra la durata dello sforzo e il contributo dei diversi sistemi alla produzione
di energia è utile fare riferimento alla tabella 3.2. Come si evince da essa, la transizione dalla dominanza
anaerobica a quella aerobica avviene quando lo sforzo è superiore a un minuto (vedi anche figura 3.1).

La tabella 3.2 mostra che molti sport richiedono il coivolgimento di tutti i tre sistemi energetici. In questo
caso, la fisiologia applicata e l’allenamento specifico sono più complessi. Tutto lo spettro dell’allenamento
dei sistemi energetici, le caratteristiche fisiologiche e metodologiche, è ben rappresentato da sei zone di
intensità illustrate nella tabella 3.3. Quest’ultima indica il tipo di allenamento per ogni intervallo di
intensità, la durata delle ripetizioni e degli esercizi, il numero di ripetizioni consigliato, il tempo di
recupero necessario per raggiungere l’effetto ricercato, la concentrazione di acido lattico dopo una
ripetizione e la percentuale dell’intensità massima necessaria per stimolare un dato sistema energetico.

L’applicazione pratica delle sei zone d’intensità deve, tuttavia, essere pianificata in base al potenziale
dell’atleta, alla sua capacità di lavoro e alle specifiche di una particolare fase di allenamento. La breve
analisi delle zone d’intensità che segue mostra i dettagli di ciascun tipo di allenamento dei sistemi
energetici. L’applicazione delle zone d’intensità all’allenamento di un atleta è un concetto più familiare
agli allenatori degli sport individuali di quanto lo sia a quelli degli sport di squadra. La metodologia
utilizzata per applicare questo sistema all’allenamento in qualsiasi sport determina l’efficacia
dell’allenamento e la prestazione che ne risulta.
Tabella 3.2
Contributo dei sistemi energetici alla prestazione nell’atletica leggera

Fonti: K. A. van Someren, “The physiology of anaerobic endurance training”. In The physiology of training, 2006, edited
by G. Whyte (Oxford, UK: Elsevier), pag. 88; E. Newsholme-A. Leech-G. Duester, Keep on running: The science of training
and performance, 1994 (West Sussex, UK: Wiley).

Figura 3.1
Contributo alla produzione di energia dei diversi sistemi energetici
Tabella 3.3
Caratteristiche fisiologiche dell’allenamento dei sistemi energetici e le sue sei zone di intensità

Zona di intensità 1

Il sistema anaerobico alattacido è il sistema energetico specifico di tutti quegli sport nei quali la velocità e
l’esplosività sono dominanti. Per beneficiare dell’allenamento nella zona di intensità 1, gli atleti devono
utilizzare ripetizioni o esercitazioni tecnico-tattiche molto brevi (al di sotto degli 8 secondi), veloci ed
esplosive. Per fare questo devono programmare livelli di intensità degli esercizi specifici oltre il 95% della
propria prestazione massima, con un intervallo di recupero abbastanza lungo da permettere un completo
ripristino dei substrati energetici (fosfocreatina).
Lo scopo principale di questo tipo di allenamento è allenare l’accelerazione, la velocità massima, un primo
passo esplosivo, il tempo di reazione e azioni tecnico-tattiche rapide, brevi, utilizzando l’ATP e la
fosfocreatina (PC) nei muscoli come substrato energetico. Per ripristinare completamente la scorta dei
fosfati altamente energetici, l’atleta ha bisogno di tempi di recupero lunghi tra le ripetizioni. Se questo
non accade, come nel caso degli sport di squadra e nelle arti marziali, il ripristino della fosfocreatina non
è completo. Ne risulta che la glicolisi anaerobica diviene gradualmente la maggiore fonte di energia
(passaggio dalla capacità alattacida alla potenza lattacida di breve durata). Questa condizione porta ad
accumulare alti livelli di acido lattico che obbligano l’atleta a fermarsi o a rallentare l’azione (e, nel
peggiore dei casi, ad aumentare il rischio di infortunio).

Negli atleti principianti, un improvviso incremento di acido lattico è spesso seguito da rigidità muscolare e
dolore, così come da una forte riduzione dell’intensità di lavoro. Ciò può essere evitato attraverso un
recupero completo, che solitamente richiede un tempo di riposo di un minuto per ogni secondo di sforzo
massimale tra gli sprint in accelerazione o in velocità e da tre a otto minuti tra le serie per la forza
massima (in funzione della percentuale di 1RM utilizzata, del peso corporeo dell’atleta, dei livelli di forza
e di efficienza neuromuscolare). È possibile favorire il recupero inserendo tra una serie e l’altra un
leggero allungamento dei muscoli antagonisti e il massaggio dei muscoli agonisti.

Zona di intensità 2

L’allenamento lattacido incrementa la capacità dell’atleta di mantenere la performance durante sforzi


intensi che sollecitino fortemente la glicolisi anaerobica, tollerando l’accumulo di acido lattico; esso è utile
per prestazioni di velocità, di durata compresa tra 15 e 90 secondi. Con ripetizioni ad alta intensità della
durata tra 40 e 50 secondi si misurano le concentrazioni massime di acido lattico, sebbene il tasso di
accumulo più elevato si registri con sforzi massimali della durata di 12-16 secondi. L’espressione di
potenza durante gli sforzi lattacidi migliora attraverso l’incremento dell’attività degli enzimi metabolici
del sistema glicolitico, il miglioramento dei sistemi tampone dell’acidità muscolare e gli adattamenti del
sistema nervoso. Infatti, la prestazione negli eventi di potenza lattacida (massima intensità per una durata
compresa tra 10 e 20 secondi) non sembra essere soggetta tanto a una limitazione di origine metabolica,
quanto a una di origine neurale, cioè dalla capacità del sistema nervoso di mantenere la frequenza di
scarica ai muscoli (Vittori 1991).

La tolleranza all’acido lattico incrementa come risultato della sua continua rimozione dal circolo
sanguigno da parte dei muscoli scheletrici non direttamente impegnati durante l’attività.
Studi recenti hanno mostrato che i trasportatori del lattato incrementano di numero in funzione
all’allenamento ad alta intensità (Bonen 2001). L’abilità di smaltire l’acido lattico dal flusso sanguigno e
trasportarlo all’interno delle fibre a contrazione lenta per essere utilizzato come substrato è una risposta
adattativa che ritarda l’affaticamento e inevitabilmente migliora la prestazione negli sport che richiedono
tolleranza al lattato.

Un atleta può avere una prestazione migliore per una durata maggiore se il suo sistema nervoso è allenato
a mantenere la frequenza di scarica per la durata dello sforzo o se riesce a tollerare il dolore determinato
dall’acidosi (alta concentrazione di acido lattico nel muscolo e nel sangue). Quindi, lo scopo
dell’allenamento nella zona di intensità 2 è adattare l’atleta allo sforzo nervoso per sostenere ripetute
lunghe alla massima intensità, a tamponare l’effetto acidificante dell’acido lattico, a incrementare la
rimozione del lattato dai muscoli principalmente coinvolti dall’esercizio e ad accrescere la tolleranza
fisiologica e psicologica dell’atleta al dolore dell’allenamento e delle condizioni di gara.

L’allenamento nella zona di intensità 2 può essere eseguito secondo tre varianti.
1. Potenza lattacida di breve durata: si programmano serie di ripetute ed esercizi di breve durata
(da 3 a 10 secondi) a intensità quasi massimale o massimale, con recuperi brevi (da 15 secondi a
4 minuti, in funzione dalla durata dello sforzo, del numero delle ripetizioni e dell’intensità
relativa) che determinano quindi una rimozione solamente parziale dell’acido lattico.
L’adattamento fisiologico a questo tipo di allenamento consiste in una maggiore tolleranza ai
livelli più alti di acido lattico, mantenendo un’elevata produzione di potenza. Questo metodo è
spesso utilizzato all’avvicinarsi della stagione competitiva per sollecitare i sistemi dell’organismo
al massimo livello.
2. Potenza lattacida di lunga durata: si utilizzano serie di ripetute ed esercizi di maggior durata
(da 10 a 20 secondi) a intensità quasi massimale o massimale, che sollecitino il sistema
anaerobico lattacido al suo massimo tasso di produzione di energia. Questo metodo è uno dei più
stressanti per il sistema neuromuscolare. Affinché la qualità delle ripetizioni sia sempre elevata,
l’atleta necessita di pause molto lunghe (da 12 a 30 minuti, dipendendo dal livello di prestazione
e dal numero delle ripetizioni) per facilitare la completa rimozione dell’acido lattico e il recupero
del sistema nervoso centrale. Se i tempi di recupero non sono sufficientemente lunghi, il recupero
è incompleto e il rischio di infortunio elevato.
3. Capacità lattacida: si programmano ripetizioni ad alta intensità di lunga durata (da 20 a 60
secondi) che determinino un elevato accumulo di acido lattico (ben oltre 12 mmol). Affinché la
qualità delle ripetizioni sia sempre elevata, l’atleta necessita di tempi di recupero lunghi (da 4 a 8
minuti, in base alla durata dello sforzo, al numero delle ripetizioni e all’intensità relativa), per
facilitare la quasi completa rimozione dell’acido lattico. Se la pausa non è abbastanza lunga, la
rimozione dell’acido lattico è insufficiente e può risultare in una severa acidosi nella ripetizione
successiva. In tal caso l’atleta è obbligato a diminuire l’intensità dello sforzo, al di sotto
dell’intensità prevista e non raggiungendo l’obiettivo dell’allenamento, ossia una maggiore
tolleranza all’accumulo di acido lattico. In queste condizioni, verso la fine della seduta sarà
addirittuta sollecitato maggiormente il sistema aerobico.

Psicologicamente l’obiettivo dell’allenamento della tolleranza al lattato è quello di spingere l’atleta oltre la
soglia del dolore. In ogni caso, questo tipo di lavoro non dovrebbe essere utilizzato più di due volte alla
settimana, poiché espone l’atleta a livelli di affaticamento critici. L’uso eccessivo di questo tipo di
allenamento può causare effetti indesiderati come l’infortunio, l’overreaching o l’overtraining.

Zona di intensità 3

L’allenamento al massimo consumo di ossigeno stimola adattamenti fisiologici come l’incremento del
volume plasmatico e della gittata cardiaca, la capillarizzazione e ovviamente il miglioramento della
capacità di utilizzo dell’ossigeno stesso. In altre parole questi adattamenti favoriscono una maggiore
efficienza nel trasporto dell’ossigeno ai muscoli e nel suo impiego per la produzione di energia. Questi
miglioramenti sono importanti perché sia l’allenamento, sia la competizione impegnano fortemente il
corpo a livello centrale (cuore e polmoni) e periferico (muscoli, capillari e mitocondri). Di conseguenza, un
miglior trasporto alle cellule muscolari e soprattutto una migliore efficienza nell’utilizzo dell’ossigeno
migliorano la prestazione negli sport nei quali il sistema aerobico è dominante o molto importante.

Per ottenere questo effetto è necessario effettuare ripetizioni della durata di 1-6 minuti a una percentuale
compresa tra il 90 e il 100% del massimo consumo d’ossigeno, utilizzando l’intensità più alta per le
ripetizioni più brevi e un’intensità inferiore per le ripetizioni più lunghe. Il numero di ripetizioni eseguite
in una sessione d’allenamento dipende dalle richieste specifiche della disciplina: maggiore la durata,
minore il numero delle ripetizioni, che però saranno più lunghe.

Quindi, in una data sessione d’allenamento, un atleta potrebbe ottenere benefici simili eseguendo sei
ripetizioni di tre minuti ciascuna al 100% del VO2max, oppure otto ripetizioni di cinque minuti ciascuna al
95% del VO2max. Questa zona di intensità è molto popolare in quegli sport (ad esempio l’hockey) che
alternano movimenti ad alta intensità con pause di riposo dovute ai cambi.

Zona di intensità 4

L’allenamento alla soglia anaerobica si riferisce al lavoro svolto a un’intensità tale per cui il tasso di
diffusione dell’acido lattico nel sangue equivale al tasso di rimozione (da 4 a 6 mmol).

L’obiettivo dell’allenamento in questa zona è incrementare l’intensità di esercizio alla quale si raggiunge il
livello di 4 mmol di lattato, cioè aumentare la soglia anaerobica, cosicché l’atleta possa mantenere uno
sforzo intenso senza accumulare eccessivamente acido lattico.

Questo allenamento può prevedere ripetizioni brevi, nell’ordine di 1-6 minuti, con un’intensità compresa
tra l’85 e il 90% del VO2max, ossia tra il 92-96% della massima frequenza cardiaca, ma con tempi di
recupero leggermente più lunghi (rapporto di lavoro-recupero tra 1:0.5 e 1:1).
Il lavoro nella zona 4 è spesso utilizzato in combinazione con il lavoro in zona 2 (nel microciclo), poiché
stimola l’atleta a tollerare la concentrazione di acido lattico sulla base dell’incremento della soglia alla
quale lo stesso inizia ad accumularsi. Bisogna ricordare che, se non si espone l’atleta a uno stimolo
fisiologico nuovo, il suo organismo non può mettere in atto la supercompensazione o incrementare la
prestazione fisica oltre il precedente livello di adattamento.

Zona di intensità 5

L’allenamento alla soglia aerobica è necessario per incrementare la capacità aerobica dell’atleta, che è
vitale in molti sport, specialmente quelli in cui l’apporto di ossigeno è un fattore limitante della
prestazione, come il mezzo fondo e il fondo dell’atletica, le discipline di lunga distanza nel nuoto e il
canottaggio. Questo tipo di allenamento sviluppa l’efficienza funzionale del sistema cardiorespiratorio e
del sistema metabolico, e incrementa la capacità dell’atleta di tollerare lo sforzo per un tempo prolungato.
Come e più di ogni altra zona di intensità, per l’allenamento in zona 5 è necessario un livello di
idratazione adeguato. Un’idratazione insufficiente può ridurre il flusso di sangue verso l’epidermide e la
sudorazione, riducendo la dispersione di calore e determinando quindi l’ipertermia (Coyle 1999). Questo
effetto, ovviamente, potrebbe ridurre drasticamente la prestazione, in seguito all’alterazione della gittata
cardiaca e del flusso sanguigno ai muscoli coinvolti nel lavoro.

Lo scopo dell’allenamento alla soglia aerobica è quello di incrementare la capacità aerobica attraverso
l’applicazione di un alto volume di lavoro, eseguito sia in forma continua e ad andatura uniforme che
attraverso l’interval training con ripetute lunghe (oltre 10 minuti) a velocità moderata o medio-elevata
(con una concentrazione di acido lattico di 2-3 mmol e una frequenza cardiaca di 130-150 bpm). Il
momento ideale per migliorare la capacità aerobica degli atleti è durante la fase preparatoria.

Gli atleti degli sport di squadra, di combattimento e di racchetta rispondono meglio quando l’allenamento
aerobico non è programmato nella forma tradizionale, cioè con corse di lunga durata a bassa intensità.
Queste discipline richiedono ripetizioni di interval training durante la preparazione generale ed
esercitazioni tattiche sport-specifiche ad alta intensità nella seconda parte della fase preparatoria. Gli
atleti degli eventi di lunga durata, invece, devono utilizzare l’allenamento alla soglia aerobica anche
durante il periodo di gara, in modo che si continuino a mantenere gli adattamenti fisiologici necessari
all’utilizzo degli acidi grassi come fonte di energia primaria.

Zona di intensità 6

L’allenamento aerobico di compensazione facilita il recupero dell’atleta dopo la gara o una sessione di
allenamento ad alta intensità, tipica delle zone 2 e 3. Più specificamente, per aiutare a eliminare i
metaboliti e accelerare il recupero e la rigenerazione, gli allenamenti devono essere programmati con
un’intensità molto bassa (45-60% di VO2max).

L’allenamento di resistenza ad alta intensità è una componente necessaria per l’incremento della
prestazione. L’esercizio strenuo, però, spesso richiede un tempo prolungato prima che l’organismo possa
recuperare e divenire più forte. Il recupero e la rigenerazione possono essere favoriti dai metodi di
recupero attivo come pedalare o correre per 5-20 minuti al 50% circa della massima intensità.

Diversamente, utilizzare il riposo passivo (rimanere sdraiati o seduti) dopo un allenamento di resistenza
molto impegnativo può ritardare la rigenerazione dei sistemi fisiologici e la rimozione dei metaboliti. Il
recupero e la rigenerazione sono rallentati da elevati livelli di cortisolo plasmatico e adrenalina, nonché
da una bassa concentrazione di globuli bianchi e di altri catalizzatori del sistema immunitario, come i
neutrofili e i monociti (Hagberg et al. 1979; Jezova et al. 1985; Wigernaes et al. 2001).

È stato dimostrato invece che il recupero attivo, assieme a un’adeguata nutrizione post-allenamento,
consente di controbilanciare l’incremento di cortisolo e adrenalina, contrastare la riduzione della conta
dei globuli bianchi ed eliminare la caduta nella conta dei neutrofili e dei monociti (Hagberg et al. 1979;
Jezova et al. 1985; Wigernaes et al. 2001). In altre parole, il recupero attivo riaccende le funzioni del
sistema immunitario dopo l’allenamento strenuo, cosa che a sua volta permette al corpo di rigenerarsi più
velocemente.

Quindi, alla fine della sessione di allenamento, la parte più difficoltosa è stata completata, ma gli atleti che
vogliono massimizzare gli adattamenti e i miglioramenti della prestazione devono dedicare altri 15-20
minuti al recupero e alla rigenerazione. In caso contrario, il processo di recupero sarà più lento, con una
potenziale ripercussione negativa sull’allenamento successivo; nel caso di un microciclo di carico elevato
ciò può portare all’overreaching e all’infortunio.

Durante i microcicli molto impegnativi, il lavoro in zona 6 può anche essere utilizzato per 1-3 minuti tra le
ripetizioni di maggiore intensità.

Le sei zone di intensità per lo sviluppo dei sistemi energetici si applicano non solo agli sport di resistenza,
ma anche a quelli di squadra, di combattimento e con racchetta, nei quali è possibile migliorare
significativamente la prestazione grazie a questa metodologia di allenamento. Ognuno di questi sport
utilizza i tre sistemi energetici in proporzioni specifiche. Quindi, tali proporzioni devono essere riprodotte
e allenate utilizzando esercitazioni tecniche e tattiche specifiche, sulla base della conoscenza dei
parametri delle sei zone di intensità.
Per esempio, per allenare il sistema anaerobico alattacido, gli atleti non devono pianificare solamente
sprint brevi alla massima intensità. Essi possono ottenere risultati ancora più specifici utilizzando
esercitazioni tecnico-tattiche brevi alla massima intensità. Quanto più simili saranno queste esercitazioni
rispetto a ciò che accade nelle situazioni di gara, tanto più specifici saranno gli adattamenti. Particolare
attenzione deve essere posta all’allenamento nella zona di intensità 5, che tradizionalmente prevede corse
a bassa intensità e di lunga distanza. Gli atleti di questi sport ottengono risultati migliori se utilizzano
esercitazioni tecnico-tattiche a bassa intensità, ma con durata, numero di ripetizioni e tempi di recupero
come suggeriti nella tabella 3.3.

L’allenamento in zona di intensità 6 (allenamento di compensazione aerobica) è normalmente


programmato dopo una partita, un torneo o una sessione di allenamento particolarmente impegnativa. I
benefici della compensazione desiderati possono essere raggiunti attraverso esercitazioni tattiche a bassa
intensità e di maggior durata, specialmente se la seduta è divertente e incorpora momenti di rilassamento
psicologico e tecniche fisioterapiche come il massaggio e lo stretching.

3.3 COME INTEGRARE L’ALLENAMENTO DELLA FORZA CON L’ALLENAMENTO DEI


SISTEMI ENERGETICI

Ora che sono state affrontate le sei zone di intensità per l’allenamento dei sistemi energetici, il problema
è come integrarle con i programmi di allenamento della forza per i diversi sport. Nei prossimi paragrafi
saranno illustrati alcuni esempi focalizzati principalmente su due livelli di pianificazione: il piano annuale
e il microciclo, poiché questi sono gli elementi più importanti, dal punto di vista pratico, della
pianificazione l’uno e della programmazione l’altro, nella metodologia dell’allenamento. Maggiori
informazioni sui microcicli e sui piani annuali saranno presentate rispettivamente nei capitoli 9 e 10.

Il piano annuale

L’allenamento sportivo è complesso perché ogni sport richiede del tempo affinché l’atleta sviluppi tutte le
capacità di cui necessita: abilità tecniche e tattiche, velocità, resistenza, forza, potenza, agilità e rapidità
sport-specifiche, così come relazioni sociali e psicologiche. La questione è come integrare questi
complessi elementi del processo di allenamento per ottenere la migliore prestazione possibile e facilitare
il recupero e la rigenerazione dopo le gare e tra le sessioni di allenamento.

Per rispondere a questa domanda, con le tabelle da 3.4 a 3.9 viene illustrata l’applicazione della
periodizzazione della forza e dell’allenamento dei sistemi energetici in vari tipi di piani annuali e di
microcicli. Generalmente, l’allenamento dei sistemi energetici ha una progressione che inizia dalla fase
preparatoria e culmina nella fase competitiva, in modo da poter raggiungere il migliore stato di
adattamento nel momento della competizione o delle competizioni più importanti. I miglioramenti sono
possibili solamente se l’adattamento incrementa di anno in anno.
La tabella 3.4 mostra un piano annuale di una squadra di pallacanestro universitaria, utilizzabile anche
per pianificare l’allenamento di altri sport di squadra. Le prime due righe indicano i mesi dell’anno e le
fasi del piano annuale. Le due righe successive presentano la periodizzazione della forza e la
periodizzazione della velocità e della resistenza. Sono suggerite le seguenti fasi per la periodizzazione
della forza: adattamento anatomico, forza massima e conversione della forza massima in potenza e
potenza resistente sport-specifiche, le quali, a loro volta, migliorano l’agilità e la rapidità. L’ordine con il
quale le zone dei sistemi energetici sono scritte indica l’enfasi posta nell’allenamento di ognuna di esse.

Tabella 3.4
Linee guida per l’integrazione dell’allenamento della forza e dei sistemi energetici in un piano annuale per
il basket universitario

Legenda: AA = adattamento anatomico, M×S = forza massima, P = potenza, PE = potenza resistente

Per esempio, nei primi due microcicli è suggerito un volume di lavoro più alto per la zona di intensità 4
(allenamento a soglia anaerobica) rispetto alla zona di intensità 3.

La progressione dagli allenamenti aerobici (zone di intensità 4 e 3) agli allenamenti lattacidi e alattacidi
(zona 1, accelerazioni, rapidità e agilità) dovrebbe seguire il naturale sviluppo del piano annuale,
iniziando con la fase preparatoria per poi arrivare alla fase competitiva. In ogni fase dell’allenamento le
zone di intensità seguono un ordine e la prima intensità indicata è sempre l’obiettivo principale
dell’allenamento.

Durante la prima fase preparatoria (luglio e inizio agosto), possono essere utilizzati dei metodi di
allenamento aspecifici; dalla seconda parte di agosto in poi, però, le esercitazioni sport-specifiche devono
avere la priorità. L’allenatore deve programmare esercitazioni alle intensità specifiche di gara, in
preparazione della fase competitiva (zone di intensità 1, 2 e 3).

Diversamente da quelli di squadra, molti sport individuali di resistenza prevedono un piano annuale con
uno o due picchi di forma:
1. piano annuale con un picco di forma (tabella 3.5): gli sport con questo tipo di piano annuale sono la
corsa di fondo, il canottaggio, lo sci di fondo, il triathlon, il ciclismo su strada, la maratona della
canoa e le distanze più lunghe del pattinaggio di velocità. Con questo tipo di piano, l’integrazione
dei sistemi energetici e dell’allenamento della forza è realizzato in modo da facilitare la migliore
prestazione durante la fase competitiva (mesi dall’8 all’11 o da maggio ad agosto per coloro che
vivono nell’emisfero nord). La prima fase di transizione (T) dura una settimana, mentre la
seconda un mese;
2. piano annuale con due picchi di forma (tabella 3.6): gli sport con questo tipo di piano annuale sono
quelli con una stagione indoor e una outdoor (come l’atletica leggera) o con campionati invernali
ed estivi (la vasca corta e la vasca lunga del nuoto). Per questo l’allenamento dei sistemi
energetici e della forza è periodizzato per raggiungere il picco di forma nelle due fasi
competitive. La durata della prima fase di transizione (T) è di due settimane. Una fase di
transizione di una settimana può essere programmata al termine dei macrocicli di forza massima
in entrambe le fasi di preparazione. La seconda fase preparatoria (Prep. 2) è più breve in alcuni
sport, come il mezzo fondo e il fondo nell’atletica leggera. In questi casi gli atleti devono allenare
la base di resistenza aerobica durante la fase preparatoria 1 e mantenere i livelli raggiunti
durante la prima fase competitiva (Comp. 1). Agire diversamente comprometterebbe la
prestazione al termine della fase competitiva 2, quando sono programmate le gare più importanti.

Tabella 3.5
Piano annuale con un picco di forma unico, consigliato per sport di resistenza con una sola fase
competitiva

Key: AA = adattamento anatomico, CO = compensazione, M = mantenimento, MEL = resistenza muscolare lunga, M×S
= forza massima, T = transizione

Tabella 3.6
Piano annuale con picco di forma doppio, consigliato per sport di resistenza con due fasi competitive

Legenda: AA = adattamento anatomico, ME = resistenza muscolare (media o lunga, in base all’evento), M×S = forza
massima, T = transizione

Si può notare come le intensità di allenamento consigliate per gli sport aerobici nelle tabelle 3.5 e 3.6 non
includano la zona di intensità 1 (allenamento del sistema anaerobico alattacido). Gli specialisti
dell’allenamento nordamericani potrebbero trovare questa scelta sorprendente, poiché essi considerano
l’allenamento della velocità (ossia l’allenamento del sistema anaerobico alattacido) essenziale per una
prestazione ottimale in questi sport a dominanza aerobica. In realtà per gli sport a dominanza aerobica,
come il ciclismo su strada, il triathlon, la corsa di fondo, lo sci di fondo, la maratona e la mezza maratona,
la velocità con sprint da 1 a 10 secondi ha un’influenza minima ai fini della prestazione finale.

Ne consegue che l’elemento chiave per il successo negli sport aerobici non è l’allenamento della massima
velocità tipico della zona di intensità 1, ma il ritmo di gara, che è allenato con il lavoro nelle zone 3, 4 e 5.
Inoltre, l’allenamento nella zona di intensità 1, spesso programmato prima delle competizioni più
importanti, è veramente troppo stressante, sia fisicamente che psicologicamente, per un atleta di
resistenza, con il rischio di farlo gareggiare con una fatica residua a livello dei muscoli e del sistema
nervoso. Quindi, anziché allenarsi nella zona di intensità 1, un atleta di resistenza farebbe meglio a
implementare un allenamento della forza in modo razionale per migliorare la velocità e l’economia di
corsa.

Per le discipline di mezzo fondo, invece, l’allenamento nella zona di intensità 1 è essenziale, assieme
all’allenamento della forza, per incrementare la velocità massima. Nonostante ciò, le zone di intensità 2, 3
e 4 devono essere enfatizzate più della zona 1, ovviamente con le dovute proporzioni, poiché la tolleranza
al lattato, la potenza aerobica e la soglia anaerobica sono elementi fondamentali in queste discipline.

La tabella 3.7 illustra un piano annuale per gli sport da combattimento, come le arti marziali, la boxe e la
lotta.
Poiché il calendario di gara può essere molto diverso tra le varie discipline, i mesi dell’anno sono numerati
anziché nominati. Questo è un piano annuale triciclico, poiché indirizza l’allenamento verso tre
competizioni importanti. Un piano di questo tipo è molto concentrato e relativamente complicato, a causa
del tempo limitato per costruire una base di allenamento.
Questo è il motivo per il quale, se possibile, è utile pianificare un primo ciclo di maggior durata, in modo
da avere più tempo per sviluppare i fondamenti dell’allenamento, incluso il miglioramento delle abilità
tecniche specifiche.

Tabella 3.7
Piano annuale con integrazione di forza e sistemi energetici, consigliato per gli sport di contatto

Legenda: AA = adattamento anatomico, M = mantenimento, M×S = forza massima, P = potenza, PE = potenza


resistente, T = transizione.

Il microciclo

L’integrazione dell’allenamento della forza e dei sistemi energetici è fondamentale non soltanto nel piano
annuale, ma anche nei microcicli. Come ciò si debba fare è illustrato nei due esempi che seguono. Il primo
esempio, illustrato nella tabella 3.8, mostra un microciclo settimanale per gli sport con racchetta,
applicabile anche agli sport da combattimento e alle arti marziali. Ciascun giorno ha diversi obiettivi di
allenamento, che possono essere tecnico-tattici, così come modalità di allenamento della forza necessarie
per quella disciplina. Tutte le sessioni tecniche e tattiche dovrebbero usare in maggior misura
esercitazioni sport-specifiche in base alla fisiologia di ciascuna zona di intensità. In altre parole, gli
allenatori e i preparatori atletici dovrebbero programmare esercitazioni sport-specifiche per ciascun
livello di intensità in modo da stimolare gli adattamenti più utili.

Si consideri ad esempio la zona di intensità 3: svolgere esercitazioni sport-specifiche di durata compresa


tra uno e sei minuti determina un transfer superiore nei confronti dell’attività di gara rispetto al chiedere
all’atleta di correre 1-6 minuti all’intensità corrispondente. Se la durata e l’intensità delle esercitazioni
tecnico-tattiche, specialmente dalla seconda parte della preparazione in poi, riflettono i requisiti fisiologici
specifici, il transfer è molto superiore a quanto si oterrebbe con mezzi generali. L’allenamento con i mezzi
generali deve essere programmato principalmente durante la prima parte della fase preparatoria.
All’avvicinarsi delle competizioni le esercitazioni sport-specifiche dovrebbero prevalere. Di conseguenza,
per uno sport da combattimento bisogna considerare la durata e il numero (sia di un incontro, sia di un
intero torneo) dei round e in allenamento è necessario utilizzare sia round più brevi con un’intensità
media più alta, sia round più lunghi, per migliorare la preparazione fisica specifica dei combattenti.

Tabella 3.8
Microciclo con integrazione di forza e sistemi energetici consigliato per sport di racchetta

Legenda: M×S = forza massima, P = potenza, PE = potenza resistente

L’allenamento del lunedì prevede un lavoro tecnico-tattico in zona di intensità 1 (allenamento anaerobico
alattacido). Poiché in questa sessione l’enfasi è posta sul sistema anaerobico alattacido, l’allenamento
neuromuscolare è rivolto allo sviluppo di forza massima e potenza. Il martedì è previsto un lavoro di
potenza o di capacità lattacida specifica, combinato con lo sviluppo della potenza resistente in palestra. Il
vantaggio principale di questa strategia è che il sistema lattacido viene sollecitato anche nella parte con i
sovraccarichi, determinando tempi di recupero post-allenamento simili. Sarebbe un errore di
programmazione, dal punto di vista fisiologico, combinare le intensità delle zone 2 e 3 con il lavoro per la
forza massima, per esempio, perché il tempo di recupero e di rigenerazione di ciascun sistema è diverso.
Per una rigenerazione più veloce tra le sessioni, alla fine dell’allenamento è stato programmato un
esercizio in zona di intensità 6 (compensazione aerobica).
Il programma del mercoledì prevede la stimolazione del sistema aerobico, così da alternare i sistemi
energetici e, quindi, facilitare il recupero e la rigenerazione di ciascun sistema nei giorni di allenamento
successivi. L’allenamento del giovedì si concentra sui meccanismi anaerobici, mentre il programma del
venerdì inizia con esercitazioni tattiche specifiche, poi prevede la sollecitazione della potenza aerobica e
si conclude con un lavoro a soglia aerobica di bassa intensità. Alla fine dell’allenamento del venerdì è
consigliabile inserire una sessione per lo sviluppo della potenza resistente, ma con un numero di
ripetizioni per serie alto (30 ripetizioni per due o tre serie).
Il secondo esempio, illustrato nella tabella 3.9, è stato ideato per gli sport a dominanza aerobica, come le
specialità di fondo dell’atletica leggera, i 1500 m nel nuoto, il ciclismo su strada e lo sci di fondo.
Tabella 3.9
Microciclo con integrazione di allenamento di forza e metabolico, consigliato per gli sport di resistenza
(fase finale del periodo di preparazione o fase competitiva)

Legenda: MEL = resistenza muscolare lunga durata, M×S = forza massima, P = potenza

Ognuno dei sei giorni di allenamento specificati nella figura 3.9 è indirizzato verso obiettivi specifici.
Al lunedì, per esempio, l’obiettivo principale è la resistenza aerobica per stimolare adattamenti centrali e
periferici. Questo deve essere uno degli obiettivi principali per ogni atleta in questo tipo di sport, a causa
delle richieste di trasporto e utilizzo dell’ossigeno e della necessità di usare gli acidi grassi come fonte
energetica durante le gare. Queste condizioni sono soddisfatte programmando ripetizioni lunghe (come
sei ripetizioni di 10 minuti ciascuna o quattro ripetizioni di 20 minuti ciascuna) o un allenamento aerobico
continuo di lunga durata. L’allenamento della forza programmato alla fine dell’allenamento stressa lo
stesso sistema energetico, tramite la resistenza muscolare di lunga durata (come illustrato nel capitolo
14).

Al martedì l’obiettivo principale dell’allenamento è il miglioramento del massimo consumo di ossigeno


attraverso ripetizioni della durata di 1-6 minuti, seguite da un lavoro di compensazione (zona di intensità
6). Sebbene il tipo di allenamento di forza programmato (forza massima con carichi al di sotto dell’80%
dell’1RM) non coincida con il sistema energetico dominante allenato in questo giorno, esso è necessario
per mantenere l’efficienza del sistema neuromuscolare, che è a sua volta un aspetto molto utile per il
mantenimento dell’economia di corsa. Se questo tipo di allenamento della forza fosse trascurato (vale a
dire se i livelli di forza massima non fossero mantenuti secondo la necessità) sarebbe difficile sostenere i
livelli di potenza espressa in gara, per tuta la durata del periodo competitivo.

Il programma suggerito per il mercoledì è difficile. Inizia con un lavoro a intensità 2 per allenare il corpo e
la mente a tollerare il dolore causato dall’accumulo di acido lattico, utilizzando un interval training che
alterna intensità alte a intensità basse per 10-20 ripetizioni di 60 secondi ciascuna. I benefici di questo
tipo di allenamento saranno percepiti dall’atleta nella prima parte della gara, in quanto più capace di
tollerare l’accumulo di acido lattico. Il lavoro nella zona 2 è seguito immediatamente dal lavoro nella zona
6, in modo che l’organismo possa compensare dopo un simile stress fisiologico e psicologico. Dopo aver
completato una ripetizione di 10 minuti nella zona 6, l’atleta può eseguire due ripetizioni da 10 minuti in
zona 5, seguite nuovamente da 15 minuti di allenamento in compensazione (zona 6). Talvolta il recupero
in seguito a una serie impegnativa è più importante per l’adattamento che la fase attiva stessa.

Al giovedì si propone ancora una volta di lavorare in zone di intensità 4 e 5 per migliorare l’efficienza del
sistema metabolico, utilizzando gli acidi grassi come substrato energetico e di concludere con una
sessione per la resistenza muscolare di lunga durata. Per il venerdì il piano è più complesso. L’obiettivo
principale di questa sessione è quello di adattare l’atleta a eseguire un lavoro lattacido (zona 2) sulla base
della fatica residua accumulata dopo un lavoro di soglia anaerobica (zona 4). Tale combinazione replica le
richieste fisiologiche a fine gara, quando si deve produrre energia attraverso il sistema anaerobico.
Ancora una volta la sessione termina con 20 minuti di allenamento in compensazione (zona 6). Questo
microciclo finisce al sabato con una sessione aerobica facile (allenamento alla soglia aerobica, zona 5),
seguito da 20 minuti di allenamento per la potenza.
Il numero di sessioni dedicate alla forza consigliate potrebbe sembrare alto; in realtà gli esercizi devono
essere molto specifici e, quindi, in numero limitato (da due a quattro). È possibile che gli atleti completino
tali sessioni in 15-20 minuti, che non è molto tempo, considerando i potenziali adattamenti specifici.
3.4 L’IMPORTANZA DELL’ALLENAMENTO DELLA FORZA PER GLI SPORT DI
RESISTENZA

Molti atleti e molti preparatori atletici hanno delle convinzioni errate riguardo l’utilizzo dell’allenamento
della forza o dell’allenamento metabolico, indipendentemente dal fato che si parli di discipline di potenza
e di velocità, oppure di discipline di resistenza. Alcune di tali convinzioni errate sono discusse qui di
seguito.

Luogo comune: gli sport a dominanza aerobica non necessitano di allenamento della
forza

In molti di questi sport, come la corsa e lo sci di fondo, la forza della fase propulsiva (la spinta al suolo per
proiettare in avanti il corpo) è l’elemento essenziale per migliorare la prestazione. Lo stesso è vero per
l’azione delle braccia nel nuoto, per la forza applicata sui pedali nel ciclismo su strada e per la forza del
remo in acqua nel canottaggio, nella canoa e nel kayak. Pertanto affidarsi unicamente all’allenamento
specifico non è sufficiente per migliorare la prestazione di anno in anno. Un aumento della velocità è
possibile solamente come risultato di un aumento della forza applicata contro resistenza (gravità, neve,
terreno o acqua). Per dimostrare l’importanza dell’allenamento della forza, si prenda in considerazione un
breve esempio riguardante la corsa. La tabella 3.5 mostra l’allenamento della forza periodizzato
necessario a migliorare la fase propulsiva e, di conseguenza, la velocità media in gara. Per migliorare la
propulsione un atleta deve incrementare la forza applicata contro il terreno. Questo incremento è
possibile solo se egli allena la forza massima, come indicato nella tabella 3.5.
Un atleta può soddisfare questa necessità attraverso quattro semplici esercizi: il mezzo squat, le
iperestensioni inverse, il sollevamento delle ginocchia e i sollevamenti sugli avampiedi. Questi esercizi
rinforzano i principali gruppi muscolari coinvolti: i quadricipiti e gli adduttori, attivati soprattutto al
contato a terra; i glutei, gli ischiocrurali, il gastrocnemio e il soleo, attivati principalmente durante la fase
propulsiva, e l’ileopsoas, che viene allenato per sollevare il ginocchio (flessione dell’anca) ripetutamente e
più in alto durante la corsa. Il risultato, “una ritardata attivazione delle fibre meno efficienti di Tipo II, una
maggior efficienza neuromuscolare, la conversione delle fibre a contrazione rapida di Tipo IIX in fibre di
Tipo IIA più resistenti alla fatica e una migliore stiffness muscolo-tendinea” (Ronnestad e Mujika 2013)
permette una maggior velocità di corsa.
Un evento di lunga durata richiede molto di più che il miglioramento della forza per ogni passo utilizzando
elementi di forza massima. Gli atleti devono convertire questi guadagni in resistenza muscolare di lunga
durata, cosicché gli stessi livelli di forza siano applicati per l’intera durata della gara.
Perciò il miglioramento desiderato non è solo un incremento della velocità assoluta, ma un incremento
della velocità media in gara. Supponiamo che il reclutamento di più unità motorie durante la fase
propulsiva aumenti la lunghezza media del passo di 1 cm. Dato che un corridore esegue 50.000 passi
durante una maratona, il guadagno cumulativo per gara è di 500 m. In base al tempo di percorrenza
dell’atleta, questa differenza potrebbe significare correre la gara a un passo da un minuto e mezzo fino a
due minuti più veloce!

Luogo comune: la corsa in salita è sufficiente per sviluppare la forza nelle gambe per
gli atleti di resistenza

Gli atleti di resistenza alla domanda perché facciano le corse in salita generalmente rispondono: “per
aumentare la forza delle gambe”. Affinché un esercizio si possa qualificare come di forza, è necessario che
la riserva di forza incrementi considerevolmente in rapporto all’azione sport-specifica. Questo non è stato
dimostrato nel caso della corsa in salita.
D’altro canto, gli scatti in salita sono utilizzati dagli atleti di potenza per incrementare la potenza di
accelerazione (e migliorarne la tecnica) attraverso il metodo delle ripetizioni. Questo significa che l’atleta
scatta in salita per circa 10-50 m, ossia sfruttando prevalentemente il sistema anaerobico alattacido, per
poi tornare indietro al punto di partenza. Tra una ripetizione e l’altra, recupera da 1 a 6 minuti, a seconda
della distanza. Il carico di allenamento dipende dalla distanza utilizzata, dal tempo di percorrenza e dalla
pendenza della salita (una salita con una pendenza superiore a 10° è considerata molto ripida).
La corsa in salita con la modalità dell’interval training, d’altro canto, può essere utilizzata per
l’allenamento del sistema cardiorespiratorio. A tal fine, l’allenamento utilizza ripetute più lunghe, 25-50
m, intensità inferiori, tempi di recupero più brevi: per esempio, 4 serie × 5 ripetizioni di 50 m, al 60-70%
del miglior tempo in pianura, con 30 secondi di recupero tra le ripetizioni e 3 minuti di recupero tra le
serie.
Quando un atleta corre in salita, la sua frequenza cardiaca oscilla tra 160 e 170 battiti al minuto. Tale
frequenza dimostra che il cuore è fortemente stimolato e che la corsa in salita lo rafforza
incrementandone la gittata. Questo significa che il cuore pompa più sangue ai muscoli che, in questo
modo, sono forniti dei nutrienti e dell’ossigeno necessari a produrre energia. Quindi un allenamento in
salita può seguire le specifiche dell’allenamento dei sistemi energetici. Il periodo più indicato per
utilizzare la corsa in salita come metodo per migliorare il sistema cardiorespiratorio è dalla seconda parte
della fase preparatoria in poi, ossia in seguito allo sviluppo della base aerobica.
Luogo comune: l’allenamento aerobico su lunghe distanze è fondamentale per
sviluppare la resistenza negli sport di squadra, nelle arti marziali, negli sport da
combattimento e in quelli con racchetta

Sebbene la metodologia per lo sviluppo delle capacità motorie sia migliorata costantemente, qualche
metodo antiquato è ancora usato, specialmente nell’area dello sviluppo della resistenza. Per gli sport in
cui dominano potenza e velocità, il ruolo della resistenza aerobica è meno importante (fatta eccezione per
alcuni sport di squadra, come il calcio, il lacrosse e la pallanuoto). Nonostante ciò, per sport come il
football americano, il cricket, il baseball, l’hockey e la pallacanestro, è ancora prescritta la corsa lenta su
lunghe distanze per sviluppare la resistenza aerobica, anche se questo lavoro non corrisponde ai requisiti
della prestazione specifica. Durante una partita, per esempio, un linebacker del football americano esegue
da 40 a 60 accelerazioni brevi di 3-6 secondi ciascuna, con tempi di recupero da 1 a 3 minuti. Questo tipo
di prestazione non migliora correndo 5 km.

Piuttosto, gli atleti di queste discipline dovrebbero essere allenati usando il metodo dell’interval training,
così come la resistenza specifica alla velocità e la resistenza alla potenza. Per esempio, potrebbero
eseguire jump squat seguiti da accelerazioni di 10-15m, per 2-3 set di 4-6 serie di 4-6 ripetizioni, con un
tempo di recupero di 1 minuto tra le ripetizioni, 3 minuti tra le serie e 5 o più minuti di recupero attivo tra
i set. Per raggiungere il livello richiesto, gli atleti necessitano da quattro a sei settimane di questo tipo di
allenamento, iniziando con 16 scatti totali da 15m: 2 set × 2 serie × 4 ripetizioni di 15m, con un recupero
di 1 minuto tra le ripetizioni, 3 minuti tra le serie e 5 minuti tra i set. La tabella 3.10 illustra un
programma periodizzato per la resistenza specifica nella fase preparatoria, per gli atleti che competono in
questo gruppo di sport. Le ripetute lunghe eseguite durante la preparazione generale non sono specifiche.
Dall’inizio della fase preparatoria specifica in poi, però, l’allenamento deve rispettare maggiormente le
caratteristiche della gara. La resistenza anaerobica alattacida e la resistenza anaerobica lattacida devono
essere allenate attraverso esercitazioni tecnico-tattiche specifiche. I preparatori devono programmare
esercitazioni specifiche per ciascuna zona di intensità, cosicché gli atleti siano sollecitati in base al profilo
fisiologico dello sport praticato e del ruolo ricoperto.
Tabella 3.10
Pianificazione e programmazione della fase preparatoria di uno sport di squadra

Il volume totale dell’allenamento (distanza totale) e le distanze delle ripetizioni sono basati sui requisiti fisiologici dello
sport e sulle caratteristiche del ruolo coperto: distanze, tipo di velocità richiesta (cambi di direzione, stop-and-go) e
numero di accelerazioni/decelerazioni per partita. L’intensità delle ripetizioni aerobiche si basa sulle caratteristiche
individuali, così come sono emerse dai test iniziali (ad esempio, 600 metri al 90% della velocità aerobica massima – VAM)

Luogo comune: per l’allenamento della velocità è sufficiente la partita o alcune altre
esercitazioni specifiche

La velocità rappresenta l’abilità di coprire una data distanza il più velocemente possibile e, al contrario
della resistenza, può essere sviluppata anche utilizzando metodi non specifici. A seconda delle distanze
coperte in un dato sport di squadra o di racchetta, per esempio, si dovrà distinguere tra allenamento
dell’accelerazione e allenamento della velocità massima. L’allenamento dell’accelerazione utilizza le
distanze percorse tra 1 e 4 secondi, con angoli più chiusi all’anca e al ginocchio nel momento del contatto
a terra, una maggiore inclinazione in avanti e con una maggiore attivazione dei quadricipiti (estensori del
ginocchio). L’allenamento della velocità massima, invece, utilizza le distanze percorse tra i 4 e i 6 secondi,
con angoli più aperti all’anca e al ginocchio nel contato a terra, una postura più eretta e una maggiore
attivazione dei glutei e degli ischiocrurali (estensori dell’anca).

Quindi per gli sport di squadra e di racchetta, nei quali la maggior parte degli scatti durano meno di
cinque secondi, si dovrebbe parlare di allenamento dell’accelerazione (anziché di velocità). In altri sport,
come le arti marziali e la boxe, la velocità rappresenta l’abilità di eseguire rapidamente un gesto specifico
(come un pugno) o di reagire rapidamente all’attacco dell’avversario. In entrambi i casi la velocità
comprende sia una componente di forza, sia una componente di potenza. Pertanto un atleta non sarà mai
veloce prima di essere forte! L’allenamento della forza e della potenza possono migliorare la velocità. Il
fato che i mezzi di allenamento generali che migliorano la forza e la potenza migliorino anche la velocità è
legato alla diversa allenabilità della velocità stessa rispetto alla resistenza. Infatti, la resistenza è molto
più allenabile della velocità, per la quale, invece, la componente genetica è maggiormente determinante.
Per questa ragione gli atleti di sport di resistenza si allenano soprattutto in modo specifico, fino al 90% del
tempo totale di allenamento annuale. Questo significa che essi corrono, remano, nuotano o pedalano per
la maggior parte del tempo di allenamento. Gli atleti di velocità, al contrario, eseguono un’alta
percentuale di lavoro generale per incrementare la forza e la potenza, che a loro volta migliorano la
velocità. Lo sviluppo della velocità specifica è raggiunto attraverso due fasi di allenamento principali
(tabella 3.11).

Tabella 3.11
Integrazione dell’allenamento di forza con l’allenamento di velocità

Legenda: M = mantenimento, M×S = forza massima, P = potenza, PE = potenza resistente.

Il lavoro specifico (diverse direzioni, cambi di direzione e così via) prevede tempi di recupero lunghi tra le
ripetizioni (1 minuto per ogni 10 m coperti nella singola ripetizione). Si inizia con accelerazioni su
distanze brevi (10-20 m) e si incrementa progressivamente fino a 30, 40 o perfino 50 m. Per stabilire la
massima distanza da percorrere in allenamento, in funzione della discplina o del ruolo del giocatore, il
primo elemento da considerare è il range degli spostamenti alla massima intensità durante la gara. La
maggior parte degli sport di squadra richiede numerose accelerazioni della durata di 1-4 secondi o da 5 a
30m. Qualora fosse necessario allenare la velocità massima, allora le ripetizioni dovrebbero durare 4-6
secondi, ossia da 30 a 50 m.

L’altro elemento critico è la tecnica dell’atleta durante l’esecuzione. Se la tecnica della corsa si deteriora
verso la fine di una ripetizione, l’atleta non ha la potenza necessaria per continuare un lavoro di qualità
sulla velocità. Un altro segno che la distanza è troppo lunga rispetto alle possibilità di un soggetto, che
quindi non riesce a eseguire l’esercizio con una buona tecnica e una potenza adeguata, è la rigidità
durante la corsa (muscoli facciali contratti, digrignamento dei denti, spalle rigide e sollevate).

Per le arti marziali e gli sport da combattimento, la velocità d’esecuzione di un colpo può essere
sviluppata utilizzando attrezzature come le palle mediche e le power ball. Tale programma può essere
periodizzato iniziando con un sovraccarico maggiore e diminuendolo all’avvicinarsi della fase competitiva.
Questo metodo massimizza la capacità dell’atleta di eseguire un’azione offensiva alla massima velocità.
Bisogna evitare l’uso di pesi per polsi e caviglie, poiché alterano lo schema motorio del colpo. Infatti il loro
vettore di forza (la gravità) è perpendicolare al vettore della forza risultante dall’azione offensiva e,
quindi, con una direzione e un verso diversi.
Quando integrati, l’allenamento della forza e l’allenamento dei sistemi energetici possono influenzare
molto gli adattamenti fisiologici di un atleta al proprio sport. Per programmare e applicare in maniera
efficace dei programmi sport-specifici, i preparatori atletici necessitano di un’approfondita conoscenza dei
sistemi energetici, delle fasi dell’allenamento e, ovviamente, dell’applicazione pratica delle zone di
intensità. In linea generale, ciascuna sessione di allenamento dovrebbe essere programmata in modo da
includere attività che utilizzino lo stesso sistema energetico. Questo approccio allena un sistema
energetico alla volta, lasciando gli altri più freschi per i giorni di allenamento successivi.
Inoltre, l’allenamento per zone di intensità può essere utilizzato al meglio in combinazione con le
esercitazioni tecnico-tattiche specifiche. Dall’inizio fino a metà della fase preparatoria, è possibile
utilizzare i metodi tradizionali per l’allenamento metabolico, al fine di migliorare la soglia anaerobica o il
massimo consumo di ossigeno. All’avvicinarsi della fase competitiva, però, gli atleti devono integrare
l’allenamento dei sistemi energetici (attraverso l’utilizzo di esercitazioni sport-specifiche) con
l’allenamento della forza in forma altrettanto specifica (ad esempio, la potenza resistente o la resistenza
muscolare).
FATICA E RECUPERO
Quarto capitolo

Il processo di allenamento è “una serie di stimoli artificiali a cui esponiamo il corpo per stimolare
adattamenti morfo-funzionali” (Verkhoshansky). Questi, però, non possono realizzarsi completamente
quando la maggior parte dell’energia a disposizione è spesa per l’allenamento. Perché gli adattamenti si
concretizzino, i programmi predisposti devono alternare periodi di lavoro con periodi di recupero (per
esempio, pianificando una settimana di scarico alla fine di ogni macrociclo), alternando i livelli di intensità
nel microciclo ed evitando bruschi incrementi nel carico di allenamento. Questa pratica crea un buon
equilibrio tra lavoro e recupero e previene l’accumulo della fatica residua, ossia un eccessivo “carico
interno”.

Per migliorare la prestazione i carichi di lavoro devono essere abbastanza alti da stimolare gli
adattamenti, ma senza portare gli atleti oltre le proprie possibilità e senza sottostimare il recupero
necessario. Queste condizioni ridurrebbero le capacità di adattamento e, in ultima analisi, di
progressione. Il mancato adattamento per questi motivi innesca reazioni biochimiche e neurali che
portano l’atleta dall’affaticamento temporaneo alla fatica cronica e, da ultimo, all’indesiderabile stato di
sovrallenamento. Fortunatamente possono essere impiegate delle tecniche di recupero per permettere al
corpo di adattarsi più rapidamente ai microcicli di volume o molto intensi. Alcuni di questi metodi, come il
massaggio e le docce a contrasto, possono essere utilizzati tutto l’anno (e più frequentemente durante la
tarda fase preparatoria e nella fase competitiva). Altri mezzi possono essere limitati alla sola fase
competitiva, quando l’atleta necessita maggiormente del pieno recupero funzionale e di un basso livello di
carico interno.

4.1 LA FATICA

Gli atleti sono costantemente esposti a vari tipi di carico, alcuni dei quali superano la loro soglia di
tolleranza. Ne risulta che gli adattamenti diminuiscono e la prestazione ne risente. Quando gli atleti
superano i propri limiti fisiologici, rischiano un accumulo di fatica; maggiore è il livello di affaticamento,
maggiori sono gli effetti negativi: minore capacità di recupero, peggiore coordinazione e minore potenza
espressa. L’affaticamento può aumentare anche a causa di fattori esterni all’allenamento, come esperienze
particolarmente stressanti a livello personale.
I fenomeni normalmente associati all’affaticamento indotto dall’esercizio, l’overreaching e l’overtraining
sono condizioni fisiologicamente e psicologicamente molto complesse. La fatica può influenzare
negativamente la capacità di un atleta di generare forza o rendere impossibile mantenerne un certo livello
nel tempo. Sebbene molta ricerca sia stata fatta sulla fatica, i siti e le cause precise non sono ancora stati
ben individuati. Nonostante ciò, gli allenatori e i preparatori devono avere il maggior numero di
informazioni in quest’area, in modo da progettare piani migliori ed evitare l’affaticamento, l’overreaching
e l’overtraining dei propri atleti. Sebbene si pensi che la fatica origini dai muscoli, il sistema nervoso
centrale (SNC) gioca un ruolo fondamentale, poiché il livello dei neurotrasmettitori e, di conseguenza, lo
stato psicologico influiscono fortemente sulla trasmissione neurale, sui livelli ormonali e, in ultima analisi,
sull’affaticamento generale.

Infatti, è oggi ben noto che il sistema nervoso centrale può limitare la prestazione in una misura molto
maggiore di quanto si pensasse prima (Enoka and Stuart 1992, Schillings et al. 2000, Noakes et al. 2005,
Weir et al. 2006). Le cellule del sistema nervoso centrale possono trovarsi in uno di questi due stati:
eccitazione o inibizione. L’eccitazione è uno stato stimolatorio per l’attività fisica, mentre l’inibizione è
limitante. Nell’allenamento questi due stati si alternano. A seguito di una stimolazione, il sistema nervoso
centrale invia impulsi nervosi ai muscoli, determinandone la contrazione. La velocità, la potenza e la
frequenza degli impulsi dipendono direttamente dallo stato del sistema nervoso centrale.

Gli impulsi nervosi sono più efficaci quando prevale uno stato di eccitazione (controllata), permettendo
una prestazione ottimale. Quando la fatica inibisce le cellule nervose, la contrazione muscolare è più lenta
e più debole. Infatti l’attivazione elettrica del sistema nervoso centrale è responsabile del numero di unità
motorie reclutate e della frequenza di scarica, determinando in ultimo la forza della contrazione.

La capacità di lavoro delle cellule nervose non può essere mantenuta per molto tempo quando l’intensità
di lavoro è alta; per questo essa diminuisce durante le fasi stressanti dell’allenamento o della
competizione. Infatti, se si mantiene un’elevata intensità, la cellula nervosa assume uno stato inibitorio,
per proteggersi dagli stimoli esterni. Di conseguenza la fatica dovrebbe essere vista come un meccanismo
di protezione per prevenire danni alle fibre muscolari.

Inoltre, l’allenamento intenso può portare a uno stato di acidosi, causato principalmente dall’accumulo di
acido lattico nella cellula muscolare. L’acidosi influenza il rilascio del calcio necessario per la contrazione
muscolare; pertanto un impulso nervoso eccitatorio potrebbe raggiungere la membrana muscolare, ma
essere bloccato dal mancato rilascio di calcio (Enoka e Stuart 1992).

Gli allenatori dovrebbero notare i sintomi della fatica. Negli sport di potenza e velocità, per un occhio
esperto l’affaticamento è evidente: l’atleta reagisce più lentamente nelle attività esplosive e mostra un
leggero disturbo nella coordinazione, nonché un aumento della durata della fase di contato a terra negli
scatti, nei balzi e nei salti. Queste attività si basano sull’attivazione delle unità motorie a contrazione
rapida, che sono più facilmente suscettibili di affaticamento rispetto alle unità motorie a contrazione
lenta. Quindi anche un leggero affaticamento del sistema nervoso centrale inibisce il loro reclutamento.
Negli sport di resistenza la fatica si mostra principalmente attraverso un deterioramento della tecnica e,
ovviamente, con una graduale diminuzione della velocità di movimento.

I muscoli scheletrici producono forza attraverso l’attivazione delle unità motorie e la regolazione della
frequenza di scarica da parte del sistema nervoso centrale - reclutamento prima e frequenza di scarica poi
- che incrementano progressivamente per aumentare l’output. Con l’instaurarsi dell’affaticamento, il
sistema nervoso centrale modula il reclutamento e la frequenza di scarica. In questo modo, il muscolo può
mantenere il suo output di forza. Però, se la contrazione si prolunga, la frequenza di scarica delle unità
motorie diminuisce, segnalando che si sta instaurando uno stato di inibizione (Bigland-Ritchie et al. 1983,
Hennig e Lomo 1987).
Come hanno dimostrato Marsden, Meadows e Merton (1971), la frequenza di scarica alla fine di una
contrazione massima volontaria di 30 secondi diminuisce dell’80% se comparata con la frequenza iniziale.
Sia De Luca ed Erim (1994), sia Conwit et al. (2000) hanno riportato risultati simili: all’incrementare della
durata della contrazione, l’attivazione delle unità motorie più grosse aumentava, ma la frequenza di
scarica era inferiore alla loro usuale soglia di attivazione.

Questi risultati dovrebbero allarmare coloro che promuovono la teoria (specialmente nel football
americano) che la forza può essere migliorata solamente portando ogni serie fino all’esaurimento. Il fatto
che la frequenza di scarica diminuisca all’aumentare delle ripetizioni, portate all’esaurimento, discredita
questo metodo tanto acclamato.

Con l’aumentare del numero delle ripetizioni, le riserve di substrati energetici vengono deplete, il tempo
di rilassamento delle unità motorie è maggiore e la frequenza di scarica più bassa, con un inevitabile calo
dell’output di potenza. L’affaticamento è la causa di questo comportamento del sistema neuromuscolare.
Questo fatto dovrebbe suggerire ai preparatori che i tempi di recupero brevi (gli 1-2 minuti utilizzati
solitamente) tra due serie ad alto carico neurale sono insufficienti per rilassare e rigenerare il sistema
neuromuscolare, in modo da produrre un’alta attivazione nelle serie successive.
Quando si analizza la capacità funzionale del sistema nervoso centrale in relazione all’affaticamento, si
dovrebbe tenere conto della fatica percepita dall’atleta e della sua capacità di lavoro raggiunta in
allenamento. Quando la capacità di lavoro è superiore ai livelli di fatica esperiti in gara, la motivazione
aumenta e, di conseguenza, aumenta la tolleranza alla fatica stessa. Pertanto, l’abilità di sostenere
l’affaticamento durante la gara deve essere allenata, specialmente per quegli sport nei quali la resistenza
mentale all’affaticamento è fondamentale, come quelli di squadra, di racchetta e da combattimento.

Deplezione dell’adenosina trifosfato, della fosfocreatina e del glicogeno

A seconda dell’attività svolta, la fatica muscolare può dipendere dalla deplezione della fosfocreatina (PC)
o del glicogeno (Sahlin 1986). Il risultato finale è ovvio: il lavoro eseguito dai muscoli diminuisce.

Per le attività ad alta intensità di breve durata, come una serie di poche ripetizioni di scatti brevi, la fonte
immediata di energia per la contrazione muscolare è rappresentata dall’adenosin trifosfato (ATP) e dalla
fosfocreatina (PC).

La deplezione delle riserve di ATP e PC limita la capacità contrattile del muscolo (Karlsson e Saltin 1971).
Durante le pause di recupero, tuttavia, il sistema aerobico lavora intensamente per ripristinare i fosfati
attraverso un processo chiamato fosforilasi aerobica. Ne consegue che un adeguato condizionamento
aerobico è necessario anche per gli sport di velocità e potenza (Bogdanis 1996).

In un muscolo depleto di glicogeno a causa, ad esempio, di un’attività intermittente e prolungata, tipica


degli sport di squadra, l’ATP viene prodotto a un tasso inferiore rispetto a quello con cui viene utilizzato.
Gli studi mostrano che il glicogeno è essenziale per la capacità del muscolo di mantenere la forza di
contrazione (Conlee 1987) e che la capacità di resistenza durante un’attività prolungata da moderata a
pesante è correlata direttamente con l’ammontare del glicogeno presente nei muscoli prima dell’esercizio
(Saltin 1973, Balsom et al. 1999). Per questo la fatica può anche instaurarsi come risultato di una
deplezione del glicogeno muscolare (Bergstrom et al. 1967). In un lavoro submassimale prolungato, come
quello di resistenza muscolare di media o lunga durata, il glucosio e gli acidi grassi sono utilizzati per
produrre energia. Questo processo richiede ossigeno. Quando la disponibilità di ossigeno è limitata, viene
ossidato solo il glicogeno. La massima ossidazione degli acidi grassi è determinata dalla loro liberazione
nel flusso sanguigno e, quindi, dall’uptake da parte delle cellule muscolari nonché dalla condizione
aerobica dell’atleta, poiché l’allenamento aerobico aumenta sia la disponibilità di ossigeno, sia la capacità
di ossidazione degli acidi grassi (Sahlin 1986). Quindi, alla fatica contribuiscono la mancanza di ossigeno,
la scarsa capacità nel suo trasporto e un flusso sanguigno inadeguato (Bergstrom et al. 1967).

L’accumulo di acido lattico

Dopo alcuni secondi di contrazioni massimali, il sistema anaerobico inizia a utilizzare il glicogeno
muscolare per produrre ATP e il lattato inizia ad accumularsi. Nel loro insieme, la diminuzione della
fosfocreatina e l’accumulo dell’acido lattico diminuiscono la capacità del muscolo di contrarsi a livello
massimale (Fox, Bowes e Foss 1989). Questo è importante per le azioni sportive che richiedono rapidità o
forza di contrazione, poiché esse si basano sul reclutamento delle unità motorie rapide. Tali azioni sono
anaerobiche, ossia sfruttano i substrati energetici in assenza di ossigeno, determinando una maggiore
produzione e quindi un maggior accumulo di acido lattico. Se si esegue una serie a esaurimento con un
carico elevato, a meno che il tempo totale sotto tensione della serie non sia inferiore a otto secondi, le
fibre a contrazione rapida produrranno un’elevata concentrazione di lattato, bloccando gli impulsi
eccitatori del sistema nervoso centrale. Perciò, la serie successiva potrà essere eseguita solamente dopo
un tempo di recupero più lungo (vedi la sezione intitolata “tempi di recupero” nel capitolo 7).
Gli scambi biochimici durante la contrazione muscolare portano alla liberazione degli ioni di idrogeno che,
a loro volta, producono l’acidosi, ossia la non ancor ben definita “fatica lattacida”, che sembra
determinare il punto di esaurimento (Sahlin 1986).

Più è attivo il muscolo, maggiore è la concentrazione di ioni idrogeno al suo interno e, quindi, maggiore è
il livello di acidosi nel sangue. Gli ioni di idrogeno stimolano anche il rilascio dell’ormone della crescita
dall’ipofisi anteriore (Roemmich e Rogol 1997, Takarada et al. 2000, Godfrey et al. 2003, Kaemer e
Ratamess 2005). A dispetto del suo nome, l’effetto principale del picco dell’ormone della crescita
stimolato dall’allenamento metabolico intensivo è l’aumento della lipolisi (Wee et al. 2005, Yarasheski et
al. 1992, Goto et al. 2007, Jorgensen et al. 2003), che è una delle ragioni per le quali gli allenamenti
lattacidi sono così efficaci per la perdita di grasso. Le altre sono l’alto dispendio calorico per minuto e
l’EPOC (il consumo di ossigeno in eccesso al termine dell’esercizio), che determinano un incremento del
metabolismo fino alle 24 ore successive. Nonostante la diffusa convinzione che l’ormone della crescita
(GH) abbia un ruolo rilevante nella crescita, il picco di questo ormone indotto dall’allenamento (così come
quello del testosterone, White et al. 2013) non ha alcun effetto sulla crescita muscolare (Helms 2010).
L’acidosi inibisce anche la capacità del calcio di legarsi attraverso l’inattivazione della troponina, un
composto proteico presente nei filamenti muscolari. Poiché la troponina è fondamentale nella contrazione
muscolare, la sua inattivazione può spiegare l’affaticamento muscolare (Fabiato e Fabiato 1978).

Il dolore causato dall’acidosi potrebbe anche contribuire alla fatica mentale (Brooks e Fahey 1985).
L’accumulo di ioni H+, però, non è la causa dei dolori muscolari accusati dopo una sessione di
allenamento. Infatti, come mostrato dalla tabella 4.1, la rimozione del lattato è piuttosto veloce, dato che
viene ossidato dalle fibre muscolari e convertito in glucosio dal fegato (attraverso il ciclo di Cori).

Percentuale Tempo (min)


25–30 10
50–60 25
90–100 75

Tabella 4.1
Tempo necessario per la rimozione del lattato da muscoli e sangue

Da T. O. Bompa-F. Claro, Periodization in rugby, Aachen, Germany, Meyer & Meyer Sport, 2009, pag. 33

4.2 IL DOLORE MUSCOLARE

Quando si esegue un allenamento di forza con esercizi ai quali non si è abituati, sollecitando muscoli
normalmente non utilizzati, oppure quando si impiegano carichi più pesanti di quelli soliti o si accentua la
fase eccentrica di un esercizio, è possibile che dopo l’allenamento si verifichi dolore muscolare. Anche i
principianti che utilizzano sovraccarichi elevati senza un adeguato adattamento precedente sono soggetti
a questo fenomeno. Un allenamento impegnativo può produrre danni attraverso due processi
fondamentali: il disturbo delle funzioni metaboliche e la lesione meccanica della cellula muscolare.

Il meccanismo metabolico del danno muscolare si attiva con l’esercizio con carichi submassimali condotto
a esaurimento, tipico di alcuni metodi del bodybuilding. Il carico a cui il muscolo è sottoposto, soprattutto
durante la fase di contrazione eccentrica, può provocare danni, che in seguito si aggraveranno a causa
delle alterazioni metaboliche. Il danno più evidente è l’alterazione della membrana della cellula muscolare
(rigonfiamento mitocondriale, lesioni della membrana plasmatica, distorsione delle componenti
miofibrillari, distruzione del sarcolemma, ecc.; Friden e Liber 1992).
Monitorare l’allenamento permette di prevenire l’affaticamento eccessivo, l’infortunio e l’overtraining

Le contrazioni eccentriche creano una tensione muscolare maggiore rispetto a quelle concentriche, una
disattivazione selettiva delle unità motorie a contrazione lenta e una maggior attivazione delle unità
motorie a contrazione rapida (Nardone et al. 1989). Alcuni allenatori cercano di accelerare gli incrementi
di forza dei propri atleti adoperando il metodo eccentrico, senza assicurarsi che essi dispongano di
sufficiente esperienza di allenamento per tollerare tale tipo di stress e senza accertarsi che sia già stato
raggiunto un certo adattamento del tessuto connettivo. In questi casi, inevitabilmente, gli atleti
accuseranno discomfort e danni muscolari.

Le contrazioni eccentriche producono più calore di quelle concentriche, a parità di sovraccarico. Una
temperatura più elevata può danneggiare le componenti strutturali e funzionali all’interno della cellula
muscolare (Amstrong 1986, Ebbing e Clarkson 1989). Ambedue i meccanismi di danno muscolare sono
presenti nelle fibre sollecitate, il che si riflette nella presenza di un alto livello dell’enzima creatin-fosfo-
kinasi (CPK), un marker del danno muscolare, fino a 48 ore post allenamento. Il dolore si instaura tra le
24 e le 48 ore successive all’allenamento ed è per questo che in lingua inglese viene chiamato “delayed
onset muscle soreness” (DOMS).
Comunque, le fibre muscolari tornano velocemente al loro stato iniziale. Se lo stress è elevato, il muscolo
può risentirne per più tempo. Quindi, una sessione d’allenamento che è troppo intensa o troppo
voluminosa può causare una sensazione di un forte dolore sordo, associato a un aumento di sensibilità e
rigidità, che tenderà a diminuire entro cinque-sette giorni dall’allenamento che lo ha provocato. La
prevenzione della dolenza muscolare può assumere varie forme, dall’allenamento alla nutrizione. Tuttavia,
la strategia preventiva più importante che un allenatore dovrebbe prendere in considerazione è il
principio dell’aumento progressivo del carico d’allenamento.

La periodizzazione della forza eviterà, inoltre, il verificarsi di indisposizioni, dolori muscolari e altre
conseguenze negative dell’allenamento. Inoltre, un adeguato programma di riscaldamento aiuta a
preparare l’organismo allo sforzo. Al contrario, un riscaldamento superficiale può determinare un
infortunio. Si raccomanda fortemente, inoltre, di eseguire lo stretching alla fine di ogni seduta poiché,
dopo le potenti contrazioni muscolari tipiche dell’allenamento della forza, i muscoli si accorciano
leggermente. Affinché ritornino alla loro lunghezza dello stato di riposo occorrono diverse ore. Un
allungamento di 1-3 minuti aiuta il muscolo a tornare alla sua lunghezza fisiologica, favorendo gli scambi
biochimici a livello delle fibre. Infine, lo stretching sembra ridurre gli spasmi muscolari.

La prevenzione del dolore muscolare e il recupero sono favoriti anche da un’adeguata nutrizione post-
allenamento (spiegata nel capitolo 5) e da una corretta alimentazione. Gli atleti esposti ad alti carichi
nell’allenamento di forza necessitano di più proteine e carboidrati e potrebbero beneficiare dell’utilizzo di
alcuni integratori alimentari, come gli aminoacidi. Una nutrizione post-allenamento non adeguata può
ritardare il recupero dopo lo sforzo strenuo. Tradizionalmente, si pensa che il massaggio possa lenire il
dolore muscolare; sicuramente esso riduce il tono muscolare (inteso come attività elettrica a riposo) e
favorisce il flusso sanguigno e il recupero.
Gli allenatori e gli atleti devono tenere a mente, però, che la migliore strategia è quella preventiva. E la
migliore prevenzione è la progressività nell’uso delle contrazioni eccentriche. Bisogna ricordare che
rallentare la fase eccentrica, così come l’aumento dei carichi di lavoro, favorisce il danneggiamento delle
fibre muscolari. Di questo bisogna tenere conto nella pianificazione dell’allenamento.

4.3 L’OVERTRAINING

I sintomi del sovrallenamento sono il segnale che un atleta ha difficoltà ad adattarsi o che non si sta
adattando per niente al regime di allenamento. Il sovrallenamento non si instaura solitamente dal giorno
alla note, piuttosto è un lento processo risultante da un programma di allenamento lungo, che manca di
sessioni per il recupero e di periodi di rigenerazione. Senza un adeguato riposo, rilassamento e recupero,
l’atleta va incontro a uno stato di affaticamento cronico e a una bassa motivazione al lavoro.

I segni tipici del sovrallenamento includono una frequenza cardiaca più alta del solito, irritabilità,
problemi a dormire, perdita di appetito e, ovviamente, muscolatura affaticata, dolente e rigida. Talvolta i
segni del sovrallenamento appaiono durante il recupero da una sessione intensa. Se essi persistono per
alcuni giorni dopo una o due sessioni intense, indicano uno stato di overreaching piuttosto che di
overtraining.

Con un riposo e un recupero adeguati, l’atleta supererà con successo la fatica e sarà nuovamente pronto
per allenarsi intensamente. L’assenza di un recupero adeguato, però, può rapidamente portare l’atleta
dallo stato di overreaching a quello di overtraining.

Riconoscere l’overtraining

Di seguito vengono descritte alcune strategie per cercare di determinare se l’atleta stia entrando in uno
stato di sovrallenamento.

Registrare la frequenza cardiaca


L’atleta o l’allenatore possono registrare la frequenza cardiaca al risveglio per determinare se i carichi di
allenamento sono adeguati. La frequenza cardiaca appena svegli è indicativa, perché l’atleta è riposato e
non ancora influenzato dagli stress della giornata. Un’aumentata frequenza cardiaca a riposo per due o
tre giorni può essere un sintomo di overreaching. In questo caso l’allenatore dovrebbe ridurre il livello di
intensità del programma di allenamento (pianificando possibilmente delle sessioni di “compensazione
aerobica”) e ricontrollare attentamente la frequenza nelle 24-48 ore successive.

Tenere un diario di allenamento


Un concetto così semplice spesso causa molte lamentele tra gli atleti. Essi normalmente non hanno
problemi a registrare i carichi o i tempi dei loro allenamenti, ma sono restii a indicare il livello di intensità
percepita di una sessione o il loro stato di affaticamento. Gli atleti si allenano e si sacrificano per essere al
meglio e ammettere che una sessione di allenamento è stata troppo intensa non fa parte della loro natura.
Per questo motivo l’allenatore deve stare particolarmente attento e comunicare all’atleta l’importanza di
non esagerare. L’allenatore stesso potrebbe tenere un diario specifico nel quale descrivere l’impatto
fisiologico dell’allenamento sull’atleta. Questo diario dovrebbe includere come l’atleta si è sentito subito
dopo l’allenamento, dopo alcune ore e la mattina successiva.

Usare un dinamometro per misurare la forza della presa


Un dinamometro (un apparecchio che si stringe con la mano, registrando la forza della pressione) offre un
modo rapido ed efficace per misurare oggettivamente l’affaticamento giornaliero o l’overtraining. Esso
può anche servire come buon indicatore dell’affaticamento del sistema nervoso centrale. Prima di ogni
allenamento, l’atleta stringe il dinamometro con una mano alla volta e registra il livello di forza. Se
quest’ultimo diminuisce costantemente o un giorno è particolarmente basso, è possibile che l’atleta stia
esperendo un affaticamento del sistema nervoso centrale e abbia bisogno di recuperare.
Gli allenatori dovrebbero ricordare che anche lo stress psicologico può influenzare la risposta dell’atleta
all’allenamento, sebbene non produca segni visibili. Il mero fato che il programma pianificato preveda una
seduta ad alta intensità non significa che l’allenatore o l’atleta stesso non possano aggiustare il
programma in accordo con lo stato fisico o emotivo del momento. Talvolta fare meno è meglio e certe volte
il riposo ha un effetto maggiore sull’adattamento rispetto all’allenamento.

Registrare la variabilità cardiaca


La variabilità cardiaca (HRV, secondo l’acronimo in inglese) è un fenomeno fisiologico e indica le
variazioni nell’intervallo di tempo tra i battiti cardiaci (chiamato intervallo R-R). Esso varia in risposta a
fattori come la fatica, il rilassamento, lo stato emotivo, i pensieri e, ovviamente, lo stress dell’allenamento.
Infatti, la frequenza cardiaca è regolata velocemente in base a tutti questi fattori, in modo da adattare al
meglio le funzioni dell’organismo alla situazione ambientale.
Tali cambiamenti sono indipendenti dal controllo del nostro sistema nervoso centrale. Infatti, essi sono
controllati dal sistema nervoso autonomo e, più specificamente, riflettono l’interazione tra i sistemi
simpatico e parasimpatico. Il sistema simpatico è il sistema dell’attivazione e produce una serie di effetti,
come l’aumento della frequenza cardiaca e della pressione sanguigna, la vasocostrizione periferica, la
dilatazione dei bronchi, la dilatazione delle pupille, l’aumento della sudorazione, il rilascio dei substrati
energetici nel flusso sanguigno, la riduzione della digestione e l’inibizione dell’appetito, in definitiva la
risposta di “lotta o fuga”. I mediatori chimici di questa serie di risposte sono la noradrenalina,
l’adrenalina, la corticotropina e diversi corticosteroidi.
Diversamente, quando il sistema parasimpatico è dominante, esso produce una frequenza cardiaca più
bassa, una riduzione della pressione sanguigna, una respirazione lenta e profonda, il rilassamento
muscolare, la costrizione delle pupille e un aumento dell’appetito e della digestione. Questo sistema
utilizza come messaggero chimico l’acetilcolina. La sua dominanza è la risposta del corpo a una situazione
di calma, di riposo, di tranquillità e all’assenza di pericolo e stress.
Lo stato dell’organismo di una persona in un dato momento è determinato dall’equilibrio tra i sistemi
simpatico e parasimpatico (equilibrio neurovegetativo). Un fattore critico è l’abilità del corpo umano di
cambiare il suo equilibrio verso l’uno o l’altro sistema. In pratica, dopo una notte di riposo, se si è
programmata una seduta ad alto carico per quel giorno, si vorrebbe che l’organismo fosse in uno stato di
recupero (dominanza parasimpatica). Un alto tono simpatico a riposo, invece, indica che c’è un’alta
richiesta di ossigeno per la produzione dell’ATP necessario per il recupero e si correla con bassi livelli del
neuro steroide DHEAS (Chen et al. 2011). In questo caso dovrebbe essere programmata una sessione a
basso carico.
È stato provato che le sessioni di compensazione aerobica accelerano il recupero abbassando il tono del
sistema simpatico. Diversi giorni consecutivi di ipertonia simpatica sono un segno di overreaching che può
portare all’overtraining se non vengono prese le misure necessarie per ridurre il carico interno.
Oggi fortunatamente esistono degli strumenti economici di controllo della variabilità cardiaca (ad
esempio, il Bioforce o l’Omegawave) per misurare la risposta all’allenamento e prevenire l’overtraining.
Tali strumenti possono essere d’aiuto nei seguenti modi: confermare le dinamiche del carico interno
(fatica residua) nel microciclo o nel macrociclo; aumentare le conoscenze riguardo la risposta del corpo ai
metodi di allenamento; aiutare a individualizzare il volume, l’intensità e la frequenza di allenamento,
ottimizzando così il programma per ogni atleta; infine, aiutare a individuare e quantificare l’effetto degli
stressor esterni all’ambiente di allenamento (come il lavoro, la scuola, la famiglia e lo stile di vita).

Implementazione delle tecniche di recupero

Il dolore muscolare cronico e l’infiammazione delle articolazioni possono essere segnali da considerare
per ridurre il volume o l’intensità d’allenamento. Se la risposta all’allenamento sembra intollerabile nelle
ore e nei giorni immediatamente successivi, l’allenatore può provare a utilizzare alcune tecniche di
recupero dopo le sessioni. Per esempio, lo stretching rappresenta un buon modo per ripristinare la
mobilità e diminuire la suscettibilità all’infortunio, così come aiutare a rilassare il corpo alla fine di un
allenamento. Degli allungamenti passivi, con l’aiuto di un compagno, sono ideali per allungare
completamente muscoli e rilassarsi. Oltre a utilizzare delle tecniche di recupero per ridurre o eliminare i
sintomi del sovra-allenamento, l’allenatore dovrebbe anche modificare il programma per facilitare la
rigenerazione.
Un altro modo per favorire il recupero dopo il lavoro è eseguire 5-10 minuti di attività aerobica a bassa
intensità, come lo jogging o una pedalata leggera, in modo da rimuovere in maniera attiva alcune sostanze
accumulate durante l’allenamento, come l’acido lattico e i metaboliti muscolari, che possono rallentare il
recupero. È possibile promuovere il recupero di muscoli e tendini anche attraverso le docce a contrasto,
alternando l’acqua calda all’acqua fredda, un eccellente modo per incrementare il flusso sanguigno dalla
pelle agli organi ed eliminare i prodotti di scarto dai muscoli, così come ridurre l’infiammazione. L’atleta
dovrebbe alternare da 30 a 60 secondi di acqua calda con da 30 a 60 secondi di acqua fredda per due o
tre serie. Sicuramente questa tecnica richiede un po’ di tempo per abituarvisi, ma è estremamente
efficace.
Per recuperare dall’overreaching si dovrebbe iniziare con l’interruzione dell’allenamento per tre-cinque
giorni. Dopo questo periodo di riposo, l’atleta dovrebbe riprendere ad allenarsi alternando a ogni sessione
di allenamento un giorno di riposo. Se il sovrallenamento invece è severo, l’atleta necessita di più tempo
per recuperare: per ogni settimana persa saranno necessarie circa due settimane di lavoro per ottenere il
precedente livello di forma (Terjung e Hood 1986).

4.4 IL RECUPERO

Esistono varie tecniche per recuperare dalla fatica. Capire come utilizzarle durante il processo
d’allenamento è importante tanto quanto sapere come allenare. I programmi di allenamento utilizzano
costantemente nuovi carichi e livelli di intensità, ma le tecniche di recupero spesso non tengono il passo.
Questo gap può compromettere l’adattamento post allenamento e il raggiungimento da parte dell’atleta
del picco della forma. Circa il 50% della prestazione finale di un atleta dipende dalla sua capacità di
recupero; se esso è inadeguato, non c’è adattamento.

Non c’è un singolo fattore da cui dipenda il recupero, ma diversi fattori che contribuiscono a vario grado. I
fattori principali sono l’età, l’esperienza di allenamento, il genere, l’ambiente, la disponibilità di substrati
energetici e lo stato emotivo. Gli atleti veterani solitamente necessitano di più tempo per recuperare
rispetto ai più giovani. D’altro canto gli atleti più allenati, generalmente, necessitano di minor tempo per
recuperare rispetto agli atleti meno esperti, poiché hanno una capacità di adattamento più rapida a un
dato stimolo allenante. Anche il genere può influenzare il tempo di recupero per via delle differenze nel
sistema endocrino. In particolare, le donne tendono a recuperare più lentamente rispetto agli uomini. I
fattori ambientali che hanno un’influenza includono il fuso orario, l’altitudine e il clima. Il recupero è
influenzato anche dal ripristino dei nutrienti a livello cellulare. In particolare, il ripristino delle proteine,
dei grassi, dei carboidrati e dell’ATP-PC nei muscoli interessati è necessario per il metabolismo cellulare e
per la produzione di energia (Fox et al. 1989, Jacobs et al. 1987). Infine, il recupero può essere
compromesso dalla paura, dall’insicurezza o della mancanza di volontà.

La risposta neuroendocrina è una componente importante nel recupero dall’allenamento della forza.
Come menzionato nel capitolo 5, subito dopo una sessione di allenamento della forza l’organismo si trova
in un equilibrio negativo, perché il catabolismo è maggiore della sintesi proteica. Inoltre, il rapporto
testosterone/cortisolo è più basso e ciò contribuisce all’instaurarsi del catabolismo. Il disequilibrio può
essere contrastato ingerendo un mix di proteine e carboidrati in forma liquida, immediatamente dopo
l’allenamento. In questo modo il corpo può tornare in uno stato di equilibrio positivo abbassando il livello
di cortisolo, velocizzando il ripristino del glicogeno muscolare e favorendo la sintesi di nuove proteine
muscolari, che è fondamentale nel processo di recupero e rigenerazione.
Il recupero è un processo lento correlato direttamente al carico utilizzato nell’allenamento. Inoltre, la
curva del recupero, che rappresenta la capacità dell’organismo di raggiungere l’omeostasi (il suo stato
biologico normale), non è lineare (figura 4.1). Nel primo terzo del processo, avviene il 70% del recupero
stesso; nei seguenti due terzi il 20% e il 10% rispettivamente. Il tempo di recupero necessario dipende dal
sistema energetico allenato. La tabella 4.1 mostra i tempi di necessari ai diversi sistemi fisiologici.
Per ottenere i maggiori benefici, gli atleti dovrebbero utilizzare delle tecniche di recupero dopo ogni
sessione di allenamento e ancora di più durante la preparazione specifica nella fase competitiva (Fry,
Morton e Keast 1991; Kuipers e Keizer 1988). Di seguito vengono presentati alcuni metodi che possono
essere utilizzati in un microciclo per favorire l’adattamento all’allenamento e il recupero.
Figura 4.1
Dinamica di una curva di recupero divisa in tre fasi

Processo di recupero Tempo di recupero


Ripristino dell’ATP-PC 2–8 min
Ripristino del glicogeno muscolare:
Dopo un esercizio prolungato 10–48 ore
Dopo un esercizio intermittente breve 5–24 ore
Rimozione del lattato da muscoli e sangue:
Con recupero attivo 30 min–1 ora
Con recupero passivo 1–2 ore

Tabella 4.2
Tempi di recupero dopo un allenamento esaustivo

Adattato da M. L. Foss-S. J. Keteyian, Fox’s physiological basis for exercise and sport, 6th ed. (New York: McGraw Hill),
1998, pag. 67

Il recupero attivo

Il recupero attivo aiuta a eliminare rapidamente i prodotti di scarto e i metaboliti (ad esempio l’acido
lattico), attraverso un’esercitazione di compensazione aerobica. Per esempio, il 62% dell’acido lattico è
rimosso durante i primi 10 minuti di jogging in forma continua e un ulteriore 26% è rimosso nei seguenti
10 minuti. Per questo motivo è vantaggioso svolgere recupero attivo di 10-20 minuti dopo una sessione
lattacida (Bonen e Belcastro 1977, Fox et al. 1989).

Il recupero passivo

Il riposo assoluto, detto anche recupero passivo, è forse una delle necessità che tutti gli atleti hanno in
comune. Per recuperare al massimo, la maggior parte degli atleti necessita di circa 10 ore di sonno al
giorno, una parte delle quali è solitamente costituita da brevi pisolini. Gli atleti dovrebbero anche andare
a dormire più o meno sempre alla stessa ora ed essere a letto non più tardi delle 23. Inoltre, praticare
delle tecniche di rilassamento prima di addormentarsi permette alla mente di raggiungere uno stato di
maggior quiete (Gauron 1984). Recentemente alcune applicazioni per i cellulari, come SleepAsAndroid,
vengono usate dagli atleti per automonitorare le proprie modalità di sonno e aggiustarle in modo da avere
uno stile di vita più sano e conforme all’obiettivo della prestazione.

Il massaggio

Il massaggio consiste nella manipolazione sistematica dei tessuti molli del corpo a fini terapeutici ed è il
trattamento preferito dalla maggior parte degli atleti (Cinique 1989, Yessis 1990). Per ottenere i migliori
risultati dalla massoterapia, gli atleti dovrebbero rivolgersi a specialisti certificati. Gli effetti fisiologici del
massaggio sono il risultato sia della componente meccanica, sia della stimolazione sensoriale.

L’effetto meccanico del massaggio dà sollievo all’affaticamento muscolare, favorendo il flusso sanguigno e
il drenaggio linfatico. Il massaggio può essere particolarmente utile quando viene impiegato per trattare
alcuni tipi di infiammazione. Esso consente anche di eliminare piccole aderenze miofasciali. Infatti, la
pressione meccanica e l’allungamento dei tessuti aiuta a mobilizzare tali aderenze, rimuovendole in
seguito all’attivazione del sistema circolatorio. Inoltre, il massaggio migliora la circolazione del sangue. La
pressione sui muscoli rilassati svuota le vene nella direzione secondo cui viene applicata, stimolando i
piccoli capillari ad aprirsi e incrementando il flusso sanguigno nell’area massaggiata. A riposo circa il 4%
dei capillari sono aperti e questo numero può essere incrementato fino al 35% attraverso il massaggio
(Bergeron 1982). Il risultato è una maggiore disponibilità di sangue fresco nell’area trattata e, quindi, un
maggiore scambio di sostanze tra i capillari e le cellule dei tessuti. Il massaggio incrementa anche la
circolazione linfatica. Esso aiuta la circolazione delle vene e il ritorno dei fluidi (linfa) dai tessuti.
Diversamente dalle vene, che hanno valvole unidirezionali, i vasi linfatici non ne hanno, per cui la linfa
può muoversi in qualsiasi direzione, in base alla pressione esterna. I fattori principali dello spostamento
dei fluidi sono la gravità e la contrazione muscolare (inclusa l’attività coinvolta nella respirazione). Il
massaggio è il mezzo esterno più efficace per mobilizzare i fluidi extravascolari verso i vasi linfatici e,
attraverso quest’ultimi, nel sistema circolatorio. Questo processo potrebbe essere descritto come una vera
e propria azione di pulizia. L’effetto sensoriale del massaggio è principalmente riflessivo e non ancora
compreso appieno.
Esso consente di alleviare il dolore e il rigonfiamento attraverso un aumento graduale dell’input
sensoriale al sistema nervoso centrale. Per ottenere questo effetto bisogna massaggiare gradualmente
sempre più vicino alla zona dolorosa. Anche il picchettio sulla pelle risulta in una dilatazione temporanea
dei capillari. Più forti sono i colpi, maggiore e più prolungata sarà la vasodilatazione. Il massaggio ha un
effetto sul metabolismo solamente localizzato, dovuto principalmente all’aumentata circolazione
sanguigna nell’area massaggiata. Lo smaltimento dei prodotti di scarto e il loro assorbimento nel sistema
circolatorio può essere incrementato fino a due volte e mezzo il livello a riposo.
Il massaggio allevia anche gli spasmi muscolari. Il leggero picchettio su un muscolo contrattosi
involontariamente, come nel caso dello spasmo, può favorire il rilassamento attraverso i meccanismi
riflessi. Gli spasmi muscolari dovrebbero essere inizialmente trattati con piccoli colpi in direzione
parallela alle fibre muscolari. Nel caso questo approccio fallisca, con entrambe le mani si deve applicare
una forte pressione sul ventre muscolare. Se anche questa tecnica dovesse fallire, potrebbe servire
concentrare tutta la pressione con il pollice sul ventre del muscolo. In ogni caso, il muscolo in spasmo
deve essere allungato con cautela, altrimenti la severità della contrattura potrebbe essere incrementata
da una pressione troppo forte o da un allungamento rapido e brusco.

Il massaggio profondo dovrebbe essere pianificato per il giorno precedente una sessione intensiva o due o
tre giorni prima della gara. Le tecniche di rilascio miofasciale, molto importanti per il picco della
prestazione negli sport di velocità e potenza, possono essere complementari al massaggio ed essere usate
il giorno prima o, addirittura, il giorno stesso della gara.

Terapia del caldo e freddo


Il rilassamento e la rigenerazione possono essere favoriti anche attraverso la terapia del caldo, in forma di
bagni di vapore, saune e impacchi caldi. Sebbene gli impacchi caldi innalzino principalmente la
temperatura della pelle e non dei tessuti sottostanti, questa modalità è comunque utile. Se applicato per
un tempo sufficiente (almeno 20 minuti), il calore può aumentare la circolazione intorno al muscolo.
L’unico difetto è che la pelle può divenire troppo calda prima che il tessuto muscolare sia riscaldato. Il
miglior uso che si può fare del calore è per aiutare l’atleta rilassarsi e per riscaldare la superficie dei
tessuti, ma non i tessuti muscolari profondi.
La terapia del freddo può apportare dei benefici fisiologici importanti per il recupero. Tra le modalità
impiegate si possono citare bagni nel ghiaccio di 5-10 minuti, idromassaggio con ghiaccio o impacchi
freddi per 10-15 minuti. L’applicazione di ghiaccio su un muscolo appena infortunato può ridurre il
gonfiore. Poiché la terapia con il ghiaccio può cancellare la traccia metabolica (una parte della quale è
rappresentata dallo stato infiammatorio) dell’allenamento, il suo utilizzo dopo una sessione intensa è
consigliato soprattutto nella fase competitiva, quando gli adattamenti morfologici e metabolici sono stati
già quasi completamente realizzati.

Alimentazione e integrazione alimentare

Idealmente, gli atleti dovrebbero mantenere un equilibrio energetico giornaliero: l’introito calorico
dovrebbe essere equivalente alla spesa energetica. Gli atleti possono capire piuttosto facilmente se la loro
dieta è adeguata in termini calorici. Infatti, se perdono peso al termine di un macrociclo di allenamento,
probabilmente non stanno assumendo abbastanza calorie.
Secondo Fahey (1991), l’alimentazione può giocare un ruolo importante nel recupero del tessuto
muscolare. A parte l’ovvio bisogno di proteine (in particolare di origine animale), anche i carboidrati sono
necessari. Per esempio, è stato dimostrato che il recupero da un infortunio muscolare viene ritardato in
caso di scorte di glicogeno inadeguate; pertanto, sia nell’ottica del dispendio energetico che in quella del
recupero, gli atleti devono porre molta attenzione all’alimentazione.

Anche nel caso in cui un atleta abbia una dieta bilanciata e sufficiente dal punto di vista calorico, egli non
deve temere di usare integratori di vitamine e minerali. Non importa quanto una dieta sia equilibrata,
solitamente non può fornire tutte le vitamine e i minerali necessari a un soggetto che si allena e compete.

Infatti, quasi tutti gli atleti presentano dei deficit rispetto a tutte le vitamine eccetto la vitamina A (Yessis
1990). Durante i periodi di allenamento intenso, gli integratori dovrebbero essere parte dell’alimentazione
esattamente come ogni altro nutriente.

Nel pianificare un programma di integrazione alimentare, allenatori e atleti dovrebbero considerare le


diverse fasi del piano annuale e aggiustare l’integrazione in funzione di quest’ultime. Per esempio,
durante la fase di transizione, il bisogno di grandi dosi di vitamine (in particolare le vitamine B6, B12 e C
e alcuni minerali) è molto inferiore a causa del ridotto carico di allenamento. La pianificazione
dell’integrazione alimentare può essere semplificata inserendo una riga specifica nel piano annuale che
evidenzi i vari macrocicli.
Secondo Clark (1985) e Yessis (1990), anche l’orario dei pasti può influenzare la velocità del recupero.
Questi autori ritengono che gli atleti debbano sviluppare uno schema dei pasti che ne preveda almeno
quattro piccoli anziché tre grandi. Il ragionamento di questi autori è che tale distribuzione permette al
corpo di assimilare e digerire meglio il cibo. Essi raccomandano che circa il 20-25% dell’introito calorico
giornaliero sia consumato a colazione, il 15-20% alla seconda colazione, il 30-35% a pranzo e il 20-25% a
cena. Gli atleti dovrebbero mangiare al massimo ogni quattro ore e non lasciar passare più di 12 ore tra la
cena e la colazione.
Clark (1985) e Yessis (1990) ritengono anche che gli atleti non dovrebbero mangiare immediatamente
prima della sessione di allenamento, perché uno stomaco pieno alza il diaframma, obbligando i sistemi
cardiovascolare e respiratorio a lavorare più duramente. Gli atleti dovrebbero anche evitare di mangiare
un pasto solido subito dopo l’allenamento, poiché in quel momento vengono secreti pochi succhi gastrici.
Piuttosto, subito dopo l’allenamento gli atleti dovrebbero consumare solamente un pasto fluido che
contenga carboidrati, proteine e aminoacidi. Il pasto solido post-allenamento può essere consumato 30-60
minuti più tardi.

Recupero psicologico

Il recupero psicologico coinvolge fattori come la motivazione e la forza di volontà, che possono essere
influenzati dallo stress di stimoli sia fisici, sia psicologici. La velocità di reazione dell’organismo a vari
stimoli esterni e interni influenza fortemente la prestazione atletica. Più l’atleta è concentrato, meglio
reagisce alle sollecitazioni dell’allenamento e maggiore risulta la capacità di lavoro. Non è sorprendente,
dunque, che lo stile di vita quasi sempre influisca sulla capacità di recupero. Il processo di recupero può
essere influenzato negativamente, per esempio, da una cattiva relazione con una persona importante, il
compagno o la compagna, un parente, un amico, un compagno di squadra o l’allenatore. Se un atleta ha
profondi problemi emozionali che influiscono sulla sua motivazione e sulla forza di volontà, può essere
utile che veda uno psicologo sportivo.
Inoltre, le tecniche di rilassamento possono migliorare in modo significativo l’abilità di concentrazione
dell’atleta. Se il cervello è rilassato, tutte le altre parti del corpo assumono lo stesso stato (Gauron 1984).
Forse il momento migliore per impiegare tali tecniche è subito prima di dormire. Ad esempio, un bagno o
una doccia calda prima di andare a letto può indurre uno stato di maggior rilassamento.

Recupero da un infortunio

Durante la fase acuta di un infortunio muscolare (da due a quattro ore dopo), il miglior trattamento
è costituito da ghiaccio, compressione, elevazione e, a seconda dell’entità della lesione, riposo
attivo o passivo. Per gli stiramenti di primo grado si possono eseguire dei movimenti leggeri al di
sotto della soglia del dolore, già dopo due ore dall’infortunio, e poi a intervalli regolari di alcune
ore, per ridurre l’inibizione neurale di protezione e accelerare, quindi, il recupero della forza nei
giorni successivi.

La prima ora successiva all’infortunio è molto importante per il recupero: infatti è fondamentale
comprimere l’area e porvi del ghiaccio il prima possibile, in modo da ridurre il gonfiore. Non fare
questo può ritardare di alcuni giorni il recupero completo. Il ghiaccio dovrebbe essere applicato per
15-20 minuti ogni 2-3 ore e la compressione mantenuta il più a lungo possibile per le prime 36 ore.
Come per gli antinfiammatori non steroidei, anche l’uso del ghiaccio dovrebbe essere limitato alle
prime 48 ore, per contrastare l’eccessiva risposta infiammatoria iniziale senza impedire il recupero
dei tessuti (Hubbard et al. 2004, Takagi et al. 2011, Haiyan et al. 2011).

Negli ultimi anni, la “R” del tradizionale acronimo RICE (riposo, ghiaccio, compressione,
elevazione) è stata modificata da “riposo” ad “attività controllata”, tenendo conto dell’impatto del
movimento nel favorire il recupero. Inoltre, dopo le prime 72 ore possono essere usati esercizi con
sovraccarichi molto leggeri, per poi utilizzare esercizi di potenziamento veri e propri nei giorni
successivi. Nello specifico, azioni eccentriche-concentriche al di sotto e al di sopra dell’arco di
movimento che crea dolore, così come contrazioni isometriche sotto la soglia del dolore, possono
essere usate per rinforzare il muscolo colpito e velocizzarne il recupero funzionale. Nel caso di un
arto infortunato, l’atleta non dovrebbe trascurare l’allenamento dell’arto opposto (non infortunato).

Infatti, allenare l’arto sano può apportare benefici all’arto lesionato grazie al “cross-training effect”
e renderne il recupero funzionale più rapido (Hellebrandt et al. 1947, Gregg e Mastellone 1957,
Devine et al. 1981, Kannus et al. 1992, Zhou 2003, Lee 2007, Sariyildiz et al. 2011).

Il riposo assoluto è controindicato, specialmente per gli atleti, perché i fattori fondamentali per la
riparazione dei tessuti sono la circolazione sanguigna e il suo effetto di nutrimento dei tessuti, così
come gli ormoni anabolici endocrini, autocrini e paracrini stimolati dall’esercizio.
Alcuni fisioterapisti illuminati hanno mutuato dalla medicina cinese l’espressione “accerchiare il
dragone”, per indicare un approccio alla riabilitazione nel quale soltanto il gruppo muscolare
interessato dall’infortunio è allenato in maniera speciale, mentre il resto del corpo è allenato, sia
dal punto di vista neuromuscolare che metabolico, per mantenere le abilità biomotorie al livello pre-
infortunio. Per gli atleti che non possono correre per via di un infortunio, per esempio, Dan Pfaff,
allenatore di molti medagliati olimpici e mondiali nell’atletica leggera e direttore del centro di alta
prestazione “ALTIS” (AZ, USA), consiglia l’utilizzo degli allenamenti sulla cyclette (alattacido,
lattacido breve, lattacido lungo) per mantenerne la condizione metabolica.

Per concludere, riconoscendo lo speciale stato fisiologico di un atleta, la riabilitazione di questi


dovrebbe seguire il più possibile un approccio attivo che si fondi sui traguardi di competenza
motoria raggiunti, anziché quello usato per i normali pazienti, basato sul riposo completo e sugli
step temporali.
NUTRIZIONE SPORTIVA
Quinto capitolo

L’alimentazione è spesso argomento di discussione negli spogliatoi e nelle palestre del Nord America e di
tutto il mondo. Ad esempio, si parla spesso di quante proteine assumere o di quali integratori prendere.
Sebbene questo capitolo non voglia rappresentare un’illustrazione dettagliata delle richieste della
nutrizione sportiva, esso fornisce delle linee guida per l’alimentazione prima, durante e dopo una partita o
una sessione di allenamento.

La dieta abituale di un atleta determina quali ulteriori nutrienti egli necessiti per soddisfare i bisogni
specifici del programma di allenamento. La maggior parte degli atleti consuma un’ingente quantità di
calorie per coprire il bisogno energetico e per promuovere il recupero dopo una sessione d’allenamento.
Qualunque esercizio venga svolto in allenamento comporta il depauperamento delle scorte di glicogeno e
aumenta il catabolismo muscolare. Che cosa e quando un atleta mangi dopo una sessione di allenamento o
dopo una gara è quindi fondamentale per il recupero, la rigenerazione e il miglioramento fisiologico, così
come sono fondamentali il riposo e l’uso di tecniche per il recupero attivo (capitolo 4).
5.1 CHE COS’È UN’ALIMENTAZIONE CORRETTA

Nel 2003 il Comitato Olimpico Internazionale ha rilasciato una position statement nella quale si afferma:
“La quantità, la composizione e il momento nel quale viene assunto il cibo può influire profondamente
sulla prestazione sportiva. Una buona pratica nutrizionale aiuta l’atleta ad allenarsi duramente, a
recuperare velocemente e ad adattarsi in maniera più efficace all’allenamento, con un minore rischio di
infortunio o di malattia” (International Olympic Committee 2010).

Infatti, come affermato da John Berardi, PhD in Biochimica nutrizionale dell’esercizio e consulente di
diverse squadre olimpiche canadesi e americane, nonché di professionisti di vari sport, l’alto volume e
l’elevata frequenza di allenamento di un atleta agonista implicano che egli debba consumare sia molte
calorie, sia quantità precise di macro e micro nutrienti (Berardi e Andrews 2009). Questi nutrienti servono
a ripristinare le scorte di substrati energetici, sostengono gli adattamenti morfo-funzionali stimolati
dall’allenamento e supportano il sistema immunitario dell’atleta, contribuendo a mantenere il peso e la
percentuale del tessuto adiposo.

Un’alimentazione corretta si dovrebbe basare sui seguenti cinque principi (Berardi e Andrews 2009):

Principio 1: mangiare ogni due-quattro ore

La ricerca dimostra che mangiare a intervalli regolari stimola il metabolismo, equilibra il glucosio
ematico, aiuta a prevenire gli eccessi dovuti alla fame e contribuisce a bruciare più grasso mantenendo la
massa magra. Questo principio assicura che le persone attive, che hanno un bisogno calorico maggiore,
possano soddisfare queste esigenze senza mangiare cibi eccessivamente calorici che promuovono
l’aumento della massa grassa.

Principio 2: assumere proteine magre complete a ogni pasto

Delle buone fonti di proteine sono la carne rossa magra, il salmone, le uova, lo yogurt bianco magro e gli
integratori proteici come le proteine isolate del latte e del siero. Alcuni esperti affermano che un apporto
alto di proteine sia inutile o addiritura dannoso. La ricerca, invece, è piuttosto chiara: una dieta ad alto
contenuto di proteine è sicura e può essere importante per raggiungere il miglior stato di salute, una
composizione corporea ottimale e la migliore prestazione atletica. Seguendo questo principio, gli atleti si
assicurano un apporto proteico adeguato stimolando il metabolismo, migliorando la massa muscolare
magra, il recupero e la riduzione del grasso corporeo.

Principio 3: mangiare verdure a ogni pasto

La scienza ha dimostrato che le verdure contengono numerosi micronutrienti (vitamine e minerali). Sono
anche una fonte importante di principi fitochimici (molecole di origine vegetale), essenziali per il
funzionamento fisiologico ottimale. Inoltre, le verdure e la frutta forniscono al sangue il carico alcalino
che equilibra il carico acido delle proteine e dei cereali. Un equilibrio acido determina la perdita di calcio
delle ossa e la riduzione della massa muscolare. Un buon equilibrio può essere assicurato dal consumo di
due porzioni di frutta o verdura a ogni pasto.

Principio 4: per la perdita di peso, assumere fonti di carboidrati diverse dalla frutta e
dalla verdura soltanto dopo l’esercizio

Questa strategia funziona bene per le persone che hanno depositi di grasso difficili da smaltire. Essa
funziona altrettanto bene anche per minimizzare l’aumento del grasso per coloro che sono interessati a
guadagnare massa muscolare.

Principio 5: assumere grassi sani giornalmente

I grassi sani includono i grassi monoinsaturi (che si trovano nell’olio extra-vergine d’oliva, nelle noci e
nell’avocado) e polinsaturi (che si trovano nelle noci, in alcuni oli vegetali, nel grasso dei pesci e negli
integratori di olio di pesce).
Ovviamente queste raccomandazioni devono essere modificate in base al fenotipo dell’atleta (ectomorfo,
mesomorfo o endomorfo), ai suoi obiettivi in termini di composizione corporea, all’ergogenesi dello sport e
alla fase attuale del piano annuale (più avanti nel capitolo verrà spiegata la periodizzazione
dell’alimentazione).
Un ectomorfo, ossia un atleta che ha bisogno di costruire massa muscolare, può assumere carboidrati
semplici e proteine ad alta digeribilità prima, durante e dopo la sessione di allenamento. Egli può anche
mangiare cibo ad alta densità di carboidrati a ogni pasto, come la pasta e i cereali integrali. Un
mesomorfo può usare i carboidrati semplici e le proteine ad alta digeribilità durante e dopo la sessione di
allenamento e mangiare cibo ad alta densità di carboidrati nel pasto principale dopo l’allenamento. Un
endomorfo, ossia un atleta che ha bisogno di ridurre il grasso corporeo, può consumare una bevanda
durante l’allenamento che contenga aminoacidi glucogenetici (BCAA, glutamina, glicina e alanina) e
posporre di un’ora il pasto principale dopo l’allenamento, per massimizzare l’effetto lipolitico dell’ormone
della crescita rilasciato durante l’allenamento.
Migliorare la composizione corporea dell’atleta

Il cambiamento della composizione corporea è definito come positivo quando la massa magra
aumenta e la massa grassa diminuisce. Bisogna tenere a mente i seguenti principi di base:
◊ la dieta è il fattore più importante nella variazione della composizione corporea;
◊ la riduzione e l’aumento di peso sono funzioni del bilancio energetico, ossia la differenza tra
le calorie assunte e le calorie consumate. La sola perdita di peso non garantisce che la
composizione corporea sia migliorata;
◊ il rapporto tra i macronutrienti assunti determina la qualità (definita come la differenza tra
massa magra e massa grassa) dell’aumento o della perdita di peso. Eventuali cambiamenti
nell’introito di carboidrati e grassi dovrebbero essere inversamente proporzionali tra loro;
◊ a parità di deficit calorico, la combinazione di dieta ed esercizio fisico con sovraccarico
determina sempre un miglioramento della percentuale di massa magra (con tutti i benefici
che ne derivano), rispetto alla sola dieta;
◊ è possibile incrementare contemporaneamente la massa magra e ridurre la massa grassa.
Questo, infatti, avviene normalmente con i soggetti ben allenati – ossia quegli atleti i cui
allenatori usano concetti metodologici quali l’alternanza dei sistemi energetici e la
periodizzazione della forza – che seguono una dieta adeguata per migliorare la propria
composizione corporea.

5.2 LINEE GUIDA PER I CARBOIDRATI, LE PROTEINE E L’IDRATAZIONE

La famosa “piramide alimentare” fu creata nel 1992 dal Dipartimento dell’agricoltura degli Stati Uniti e
rispecchia la filosofia della vecchia dietologia che basava il controllo del peso sulla riduzione delle calorie,
soprattutto attraverso la diminuzione del consumo dei grassi. Da quella piramide si evinceva che i
carboidrati contenuti in pane, pasta, riso e prodotti cerealicoli in genere costituivano un nutrimento di
buona qualità e che i grassi, indistintamente di origine animale o vegetale, saturi o insaturi, erano una
cattiva scelta. Quella piramide fu modificata nel 2005 ma, rinominata MyPiramid, fu criticata poiché
troppo influenzata dagli interessi dell’industria alimentare. Ciò spinse, nello stesso anno, Walter Willet e
Patrick Skerrett della Harvard School of Public Health a pubblicarne una versione migliorata, che venne
definita Harvard Healthy Eating Pyramid. La piramide migliorata mostrava le seguenti modifiche:
riduzione del consumo di prodotti derivanti dalla lavorazione di cereali, maggior consumo di cereali
integrali, incremento del consumo di frutta e verdura, incremento del consumo di carne e fagioli e
inclusione del consumo di grassi “buoni” (insaturi, per lo più di origine vegetale) distinti dai grassi saturi
(che dovevano essere limitati). Restava comunque la mancanza di indicazioni nella selezione degli
alimenti, non distinguendo tra carboidrati a basso e alto indice glicemico, tra carni grasse e carni magre,
tra olii ricchi in omega 3 e in omega 6; e la mancanza di indicazioni sul momento della giornata in cui
mangiare determinati alimenti (Berardi e Andrews 2009).
I seguenti paragrafi si occupano delle linee guida relative all’apporto di carboidrati, proteine e
sull’idratazione da noi consigliate.

Carboidrati

Durante la digestione i carboidrati sono scomposti e assorbiti come monosaccaridi e disaccaridi, per lo più
glucosio, la fonte primaria di energia della maggior parte delle cellule umane. È consigliabile concentrare
la più alta percentuale di apporto giornaliero di carboidrati intorno alla sessione di allenamento e
mantenere le proporzioni tra i macro nutrienti al 55% di carboidrati, 30% di proteine e 15% di grassi.
Possono esserci periodi nel piano annuale nei quali questo rapporto può essere modificato per favorire gli
adattamenti all’allenamento. Si discuterà questo argomento nella sezione che riguarda la periodizzazione
dell’alimentazione. Questo rapporto tra macronutrienti dovrebbe essere utilizzato sia dagli atleti di sport
di potenza, sia da quelli di sport di resistenza che, tradizionalmente, impiegano invece un rapporto molto
più alto con il 70% di carboidrati, 15% di proteine e 15% di grassi. Il rapporto qui suggerito migliora la
sensibilità insulinica rispetto a un apporto con carboidrati cronicamente alti. Una maggiore sensibilità
all’insulina, oltre ad avere effetti benefici sulla salute dell’atleta così come sulla sua composizione
corporea, di fato amplifica gli effetti della carica di carboidrati che avviene cambiando il rapporto a 70%
carboidrati, 15% proteine e 15% grassi per tre o quattro giorni prima della gara.

Questa strategia è raccomandata per aumentare il glicogeno stoccato nei muscoli per la maggior parte
degli sport aerobici e glicolitici, ma non per gli sport anaerobici alattacidi di potenza e velocità, poiché
non utilizzano il glicogeno come fonte primaria di energia e questo approccio potrebbe portare a dei
cambiamenti sfavorevoli nella composizione corporea.

Si ricordi che non tutte le fonti di carboidrati sono uguali. I carboidrati semplici, spesso chiamati zuccheri,
sono digeriti più velocemente e raggiungono il flusso sanguigno sotto forma di glucosio più rapidamente
rispetto ai carboidrati complessi, costituiti da catene più lunghe di saccaridi e, quindi, digeriti più
lentamente. Il grado di complessità di un carboidrato presente in un alimento ne determina l’indice
glicemico, cioè la sua capacità di elevare il livello di glucosio nel sangue. Un indicatore più preciso di
questa capacità è il carico glicemico, cioè l’indice glicemico moltiplicato per la frazione di carboidrati
presente in una porzione di un dato alimento.

Le tabelle 5.1 e 5.2 mostrano la differenza tra l’indice glicemico e il carico glicemico di vari alimenti. La
tabella 5.3 suggerisce il momento giusto per il consumo durante la giornata, un fattore importante per
un’alimentazione adeguata. Infatti, un rapido incremento di glucosio nel sangue, causato dall’ingestione
di carboidrati semplici, stimola il pancreas a rilasciare più insulina, che possiamo definire come un
ormone di stoccaggio. Il suo rilascio subito dopo una sessione di allenamento comporta una serie di effetti
positivi per l’adattamento, mentre una serie di picchi insulinici durante la giornata influenzerebbe in
maniera negativa la composizione corporea dell’atleta e la sua salute. Per questo un atleta dovrebbe
consumare per lo più carboidrati complessi.
Tabella 5.1
Indice glicemico e carico glicemico di alcuni alimenti comuni

Tabella 5.2
Classificazione dell’indice glicemico e del carico glicemico
Tabella 5.3
Linee guida per il consumo dei carboidrati in base al carico glicemico

Legenda:
* = consigliato a dosaggio molto basso (50 milligrammi per chilogrammo di massa magra [LBM]),
** = consigliato a dosaggio basso (250 milligrammi per chilogrammo di massa magra),
*** = consigliato a dosaggio moderato (400 milligrammi per chilogrammo di massa magra),
**** = consigliato a dosaggio alto (800 milligrammi per chilogrammo di massa magra).

Proteine

Le proteine, che consistono in catene di aminoacidi, sono estremamente importanti per la costruzione del
tessuto muscolare e per sostenere una grande quantità di funzioni fisiologiche. Un apporto proteico
ottimale varia da atleta ad atleta e dipende in parte dal volume dell’allenamento eseguito con i
sovraccarichi e dagli obiettivi della fase di allenamento. Generalmente, però, la maggior parte degli atleti
dovrebbe assumere da 1,2 a 2 grammi di proteine al giorno per kilogrammo di massa magra nelle fasi di
adattamento anatomico, di conversione e di mantenimento. Per essere più precisi, un atleta di resistenza
dovrebbe solitamente consumare un quantitativo di proteine orientato verso il limite inferiore, mentre un
atleta di potenza dovrebbe consumare un quantitativo che si avvicina a quello superiore.

Durante le fasi di ipertrofia e forza massima, gli atleti dovrebbero considerare un apporto proteico tra i 2
e i 3 grammi per kilogrammo di massa magra, poiché queste fasi presuppongono un allenamento della
forza ad alta intensità (Tipton e Wolfe 2004). Come discusso precedentemente in questo capitolo,
l’apporto proteico dovrebbe derivare da una varietà di fonti: carne rossa magra, uova, yogurt bianco
magro o formaggio, pollame, pesce, frullati proteici e, occasionalmente, barrette proteiche.

L’idratazione

L’acqua rappresenta circa il 60% del peso del corpo umano. Perdendo dall’1 al 2% del peso corporeo a
causa della perdita di liquidi, una persona sente la sete, ma ciò implica già una diminuzione della
prestazione negli sport di resistenza. Una disidratazione del 4% causa crampi, preceduti da una riduzione
della forza e della coordinazione. Per questo la sensazione di sete non è un buon indicatore dello stato di
idratazione dell’atleta e, quindi, è meglio prevenirla.
Per fare questo gli atleti devono bere acqua abbondantemente, prima, durante e dopo l’allenamento e la
gara. Un corpo ben idratato è in grado di gestire meglio sia la fatica muscolare, sia quella
cardiovascolare. Come linea generale si ha bisogno di introdurre circa 3 l di liquidi al giorno, uno dei quali
è solitamente acquisito con il cibo. Un ulteriore mezzo litro è necessario se ci si trova in un clima caldo; se
ci si allena in tale clima, il fabbisogno giornaliero può raddoppiarsi. La strategia di idratazione da adottare
è la seguente: 500 ml di fluidi 30 minuti prima dell’allenamento più 250 ml ogni 15 minuti. Se si vogliono
aggiungere carboidrati, la soluzione non deve eccedere una concentrazione del 10%, per evitare un
ritardo nell’assorbimento e per prevenire problemi gastrointestinali (la percentuale dovrebbe essere
ridotta al 4% in un clima molto caldo). Gli elettroliti possono essere aggiunti in una proporzione di 2:1:1
tra sodio, potassio e magnesio, per un totale massimo di 500 mg (250, 125 e 125 mg, rispettivamente). Per
quegli atleti che competono in eventi che durano più di 45 minuti, può essere utile l’utilizzo di bevande
sportive che ripristinino l’equilibrio elettrolitico. La ricerca mostra che sorseggiare circa 150 ml di una
bevanda sportiva, a intervalli di 20 minuti, può aiutare a ridurre l’utilizzo delle scorte di glicogeno
muscolare e quindi ritardare l’insorgere della fatica (Davis, Jackson et al. 1997; Davis, Welsh et al. 1999).

Alcune aziende produttrici di bevande sportive sul mercato, però, fanno affermazioni che non sono
validate dalla scienza (Coombes e Hamilton 2000); quindi gli atleti farebbero bene a fare acquisti
ragionati. Inoltre, le bevande sportive non sono generalmente di alcuna utilità agli atleti degli sport che
richiedono brevi scatti in velocità e potenza, come gli sprint, i lanci e i salti, dato che essi non sudano
quanto gli atleti di resistenza e non utilizzano la stessa quantità di glicogeno (Powers et al. 1990). D’altro
canto, gli atleti che eseguono attività intermittenti ad alta intensità, come succede in molti sport di
squadra, possono beneficiare del consumo di bevande sportive che offrono un mix di carboidrati ed
elettroliti (Welsh et al. 2002).
Per combattere la fatica da disidratazione, un atleta dovrebbe bere prima, durante e dopo la gara

La disidratazione solitamente deriva dall’allenamento intenso o dalla competizione in un ambiente


moderatamente caldo o caldo. Gli atleti che si esercitano intensamente in un clima caldo perdono liquidi
sotto forma di sudore a un ritmo di 2-3 litri ogni ora. Per questo l’idratazione è importante per il recupero
dopo l’allenamento. Quando un atleta è disidratato, però, l’acqua da sola è insufficiente per riportare il
corpo allo stato di idratazione pre-esercizio. Infatti, bere solamente acqua inganna il corpo a pensare di
essere super-idratato e quindi stimola i reni per incrementare la produzione di urina, causando però
un’ulteriore perdita di liquidi. La ricerca mostra che se la concentrazione di sodio è più alta, come
suggerito precedentemente, l’ammontare di urina prodotta nelle ore successive all’allenamento è inferiore
(Maughan et al. 1993).
Dopo l’allenamento un atleta dovrebbe bere un volume di liquidi simile o anche maggiore rispetto a quello
perduto attraverso la traspirazione. Questa quantità varia a seconda degli atleti; essa può essere calcolata
pesando l’atleta prima e dopo l’allenamento o la gara. Come regola generale, un atleta dovrebbe bere
circa 1,5 litri per ogni kilogrammo di peso perso. Pianificando un’idratazione e un’alimentazione adeguate
(in forma liquida o solida, con i giusti integratori alimentari), l’atleta inizia il processo di recupero e si
prepara al carico di lavoro dell’allenamento o della gara che lo aspettano.

PERIODIZZAZIONE DELLA NUTRIZIONE

La tabella 5.4 mostra una possibile periodizzazione della nutrizione per un atleta di velocità e di
potenza. Durante la fase di forza massima, le proteine e le calorie sono aumentate per favorire uno
stimolo anabolico, mentre i carboidrati sono incrementati durante la preparazione specifica che
stressa pesantemente il sistema anaerobico lattacido. Durante la fase competitiva, l’introito calorico
viene ridotto, poiché la riduzione del carico d’allenamento diminuisce il consumo di energia da
parte dell’atleta.

*introito proteico giornaliero di 2 g per chilogrammo di massa magra (LBM). Proporzioni tra i macronutrienti:
3:2:1 (carboidrati:proteine:grassi). Per esempio, per un atleta di potenza di 80 kg di LBM: 2320 kilocalorie tramite
240 g di carboidrati, 160 g di proteine e 80 g di grassi.
** Proteine a 2,5 g per chilogrammo di LBM. Proporzioni macronutrienti: 3:2:1 (carboidrati:proteine:grassi). Per
esempio, per un atleta di 80 kg, 2900 kilocalorie derivate da: 2,5 grammi di proteine × 80 kg = 200 grammi di
proteine × 4 kilocalorie per grammo di proteine = 800 kilocalorie dalle proteine; 200 grammi di proteine × 1,5
(con rapporto 3:2:1) = 300 grammi di carboidrati × 4 kilocalorie per grammo di carboidrati = 1200 kilocalorie dai
carboidrati; 200 grammi di proteine : 2 = 100 grammi di grassi × 9 kilocalorie per grammo di grassi = 900
kilocalorie dai grassi; perciò un totale di 800 (proteine) + 1200 (carboidrati) + 900 (grassi) = 2900 kilocalorie.
*** Proteine a 2 grammi per chilogrammo di LBM. Proporzioni macronutrienti: 4:2:0,5
(carboidrati:proteine:grassi). Per esempio, per un atleta di 80 kg, 2280 kilocalorie derivate da 320 grammi di
carboidrati, 160 grammi di proteine e 40 grammi di grassi. Le calorie vengono ridotte durante la fase di taper,
principalmente attraverso una riduzione dei grassi, in linea con la minor spesa energetica, così da mantenere una
composizione corporea ottimale per la prestazione specifica.

5.3 LA NUTRIZIONE PERI-ALLENAMENTO

Nel mondo sportivo si dice spesso che un allenamento è buono quanto il recupero che lo segue. Questo
detto si applica anche alla nutrizione. L’allenamento ad alta intensità di forza, velocità e resistenza intacca
le riserve energetiche del corpo, consumando le riserve di glicogeno e causando il catabolismo muscolare.
Tuttavia, con un’alimentazione adeguata immediatamente dopo l’esercizio, è possibile velocizzare il
recupero.

Negli ultimi anni ha ricevuto sempre più attenzione, da parte dei ricercatori, degli allenatori, dei
preparatori e dei medici sportivi, la cosiddetta “nutrizione peri-allenamento”, ossia l’alimentazione nelle
ore immediatamente precedenti e immediatamente successive all’allenamento, nonché in concomitanza
con l’esercizio fisico stesso (Hawley J. A.-Tipton K. D.-Millard-Stafford M. L. 2006, Hoffman et al. 2010,
Kramer et al. 2006). Questa attenzione, ad esempio, è scaturita in una position statement
dell’International Society of Sports Nutrition (Kerskick 2008) e in un documento congiunto dei medici
sportivi e dei dietologi nord-americani (American College of Sport Medicine, American Dietetic
Association e Dietitians of Canada 2000), che suggeriscono la nutrizione post-allenamento come mezzo di
incremento del recupero muscolare e dell’adattamento dell’organismo.

Poiché l’allenamento comporta un forte disturbo all’omeostasi, con conseguenti e importanti alterazioni
fisiologiche, è parso sempre più evidente che l’approccio nutrizionale allo sport dovesse tenere conto di
tali alterazioni per sfruttarle a favore di una maggiore qualità della prestazione e di un accelerato e
amplificato adattamento all’allenamento. Per esempio, nel ciclo giornaliero i muscoli passano da uno stato
di produzione di energia a uno di recupero delle energie spese e a uno di adattamento; quest’ultimo può
determinare la crescita dei muscoli stessi, se è stato applicato uno stimolo allenante in quella direzione.

Si capisce come ogni differente stato muscolare necessiti di un apporto di macronutrienti (carboidrati,
proteine e grassi) in misura diversa. Questo significa che l’apporto nutrizionale corretto al momento
giusto può velocizzare il recupero e migliorare gli adattamenti in forza, potenza e crescita dei muscoli.
Adottiamo, modificandone appena la terminologia, la distinzione di tre fasi dello stato muscolare:
energetico, anabolico e di adattamento, proposta da Ivy e Portman (2004). Il primo stato coincide con
l’allenamento, il secondo con i 45 minuti immediatamente successivi a esso e il terzo con il periodo di
tempo che intercorre tra un allenamento e il successivo.

Le ricerche indicano che consumare un mix di carboidrati semplici nella misura di 300-400 mg per
chilogrammo di massa corporea magra (o metà dosaggio o nessun carboidrato per le sessioni alattacide, a
seconda dell’obiettivo dell’allenamento) e proteine “veloci” (siero isolato o, ancor meglio, idrolizzato), in
rapporto 4-5:1 durante l’allenamento, apporta benefici. Infatti, così facendo si riduce l’utilizzo del
glicogeno muscolare del 50% (Haff et al. 2000) e il catabolismo muscolare (minore secrezione di
cortisolo), si limita la soppressione del sistema immunitario (che avviene perlopiù attraverso la deplezione
della glutammina, sempre mediata dai livelli di cortisolo; Bishop, Blannin, Walsh et al. 2001), si riduce il
danno muscolare (marker infiammatori inferiori del 50%; Bishop, Blannin, Rande et al. 1999; Ready,
Seifert e Burke 1999), si incrementa la resistenza muscolare e si velocizza il recupero post-allenamento
(Ivy et al. 2003).
Questi effetti positivi possono essere estesi alla fase anabolica, momento in cui la nutrizione ha un impatto
determinante sugli effetti dello stimolo allenante (Tipton e Wolfe 2001), assumendo lo stesso mix, ma in
maggior dosaggio (600-800 mg di carboidrati per kg di massa magra) e in rapporto 3:1 con le proteine.
Per una seduta che ha l’obiettivo di stimolare il meccanisno anaerobico alattacido, è consigliata una dose
dimezzata. In questo modo si sostiene al meglio il ripristino del glicogeno (+70% nell’attività dell’enzima
glicogeno sintetasi a seguito di uno spike insulinico post-allenamento; Zawadzki, Yaspelkis e Ivy 1992) in
un momento di aumentata sensibilità cellulare all’insulina. Tale sensibilità inizia a ridursi già dopo 30
minuti dalla cessazione dell’allenamento, fino a divenire “resistenza all’insulina” dopo le due ore. Così
facendo si ottimizza la sintesi proteica: +200% dell’uptake aminoacidico cellulare e +25% della sintesi
proteica con integrazione carbo-proteica immediatamente post-allenamento (Biolo, Tipton et al. 1997;
Okamura et al. 1997; Biolo, Fleming e Wolfe 1995; Tipton et al. 1999; Biolo, Williams et al. 1999).

Bisogna sottolineare come il post-allenamento sia l’unico momento nel quale uno spike nella secrezione di
insulina non comporta una riduzione dei livelli dell’ormone della crescita (mentre al contempo riduce i
livelli di cortisolo e di catabolismo muscolare; Grizard et al. 1999, Bennet e Rennie 1991, Rennie e
Millward 1983). Questo sta indicare come l’organismo sia teso a compensare il prima possibile sia i
substrati energetici utilizzati, sia le alterazioni di tipo strutturale indotte dall’allenamento. Inoltre, una
meno nota caratteristica del picco insulinico è la capacità di incrementare il flusso sanguigno muscolare
del 100%, favorendo la rimozione dei metaboliti e l’apporto di nutrienti e di ossigeno, per un più rapido
recupero e un miglior adattamento. Ivy e Portman (2004) hanno diviso la fase di adattamento in
“segmento rapido” e “segmento prolungato”. Il primo segmento dura fino alle 4 ore post-allenamento e
prevede un ulteriore apporto di carboidrati (60-80 mg/kg di massa magra) e proteine (200-300 mg/kg di
massa magra) a due e quattro ore dall’allenamento. Il secondo segmento, invece, prevede un ritorno alle
proporzioni di macronutrienti tipiche della dieta seguita. Per gli atleti di potenza è consigliato un apporto
proteico di circa 1,8-2,5 gr/kg di massa magra. Questo dosaggio proteico è stato dimostrato essere
necessario nelle fasi di lavoro a intensità particolarmente elevata (Lemon et al. 1997, Forslund et al.
2000). Ivy e Portman hanno commentato: “molti nutrizionisti di tipo tradizionale […] evitano di
considerare nei loro programmi alcuni studi scientifici di base che negli ultimi due decenni hanno
dimostrato come la nutrizione potrebbe migliorare la prestazione sportiva. […]

Questo abisso di informazione rappresenta una vera sfida per l’atleta di forza serio, nel momento in cui
egli prova a navigare tra le inesattezze e i modi di pensare datati” (p. 83).

Il digiuno o il ritardo di alcune ore nel pasto post-allenamento esaurisce ulteriormente l’organismo,
ritarda la compensazione e rende l’atleta impreparato alla sessione d’allenamento seguente
eventualmente pianificata entro le 24 ore successive. Sebbene a molti atleti, specialmente quelli delle
discipline di resistenza, piaccia assumere carboidrati invece di proteine dopo l’allenamento di forza,
questa consuetudine non sostiene l’elevato tasso della sintesi proteica che segue l’allenamento (Borsheim
et al. 2004). Inoltre, l’allenamento a elevato volume e ad alta intensità talvolta eseguito dagli atleti di
resistenza non solo intacca le scorte di glicogeno, ma stimola anche il catabolismo muscolare. Per questo
motivo è importante che anche questi atleti integrino la loro dieta con le proteine subito dopo l’esercizio.
Dopo l’allenamento, gli atleti più avanzati possono utilizzare un mix di carboidrati (ad esempio, il Vitargo
S2) e proteine a rapido assorbimento (proteine del siero isolate o, ancor meglio, idrolizzate, poiché i di- e
tripeptidi delle proteine del siero idrolizzate sono assorbiti ancor più velocemente degli aminoacidi in
forma libera). Il recupero e l’adattamento possono essere ulteriormente sostenuti con l’aggiunta di
aminoacidi (ad esempio, L-glutamina, taurina e L-leucina) e peptidi (creatina monoidrato).

LINEE GUIDA PER I PASTI PRE-GARA

Gli atleti dovrebbero consumare un pasto completo da tre a quattro ore prima della competizione;
mangiare in prossimità della gara può causare problemi gastrointenstinali. Per stabilire cosa e
come mangiare in queste situazioni è possibile seguire le seguenti linee guida:
◊ il pasto dovrebbe essere composto almeno per il 50% di carboidrati complessi, per fornire
all’atleta le energie per la gara. Egli dovrebbe evitare i carboidrati semplici, spesso
contenuti, per esempio, negli alimenti trasformati. Le bevande dolci (come la cola) non
dovrebbero essere consumate. Questo è un esempio di un buon pasto pre-competizione: un
piatto piccolo o medio di pasta al pomodoro, un petto di pollo o un filetto di pesce magro
(fonti di proteine con pochi grassi) e un contorno di insalata con un misto di verdure
fresche;
◊ gli atleti che sono affamati una-tre ore prima della gara non dovrebbero mangiare barrette di
cioccolato o caramelle. Gli zuccheri contenuti in questi alimenti sono digeriti velocemente,
ma il livello di energia dell’atleta calerà velocemente subito dopo. Infatti, tali alimenti,
classificati come cibi ad alto indice glicemico (si faccia riferimento alla tabella 5.1) sono
assorbiti dal flusso sanguigno tanto velocemente quanto vi entrano e lasciano l’atleta in uno
stato di deficit energetico. La sonnolenza non è una buona sensazione prima della
competizione! Dopo una gara, tuttavia, i cibi ad alto indice glicemico possono essere
consumati per ripristinare le riserve di glicogeno (Burkes, Collier e Hargreaves 1998);
◊ durante la gara è possibile ingerire una bevanda ipotonica o isotonica (a seconda della
temperatura esterna) ricca di carboidrati digeribili velocemente, con proteine a rapido
assorbimento o amminoacidi (come suggerito precedentemente), per favorire uno stato di
idratazione e mantenere elevati i livelli di glucosio nel sangue, aiutando così l’atleta a
mantenere l’espressione di potenza durante tutta la competizione (Fritzsche e al. 2000).
Nel corso dell’esercizio le cellule muscolari possono ricevere glucosio dal flusso ematico
indipendentemente dai livelli di insulina; pertanto, anche se assume dei carboidrati ad alto
indice glicemico, l’atleta non è a rischio di ipoglicemia reattiva (calo del glucosio nel sangue
a causa di un innalzamento repentino dell’insulina). Per le competizioni di lunga durata
(oltre i 45 minuti) si possono anche aggiungere carboidrati a basso indice glicemico, come
l’isomaltulosio e l’amido ceroso (waxy maize);
◊ sia l’alcool, sia la caffeina possono disidratare il corpo. L’alcool, inoltre, attiva il sistema di
disintossicazione del corpo fino a 48 ore dalla sua digestione. Per questo motivo, gli atleti
dovrebbero evitare il consumo di alcool nelle 48 ore precedenti l’inizio della gara. Se la
temperatura ambientale è particolarmente alta e l’evento è di media o lunga durata, la
caffeina dovrebbe anch’essa essere limitata nel giorno precedente la competizione;
◊ i cibi molto grassi e con molto olio sono digeriti lentamente e con uno sforzo maggiore da
parte dell’apparato digerente. Per questo motivoi cibi tipici dei fast food dovrebbero essere
esclusi dai piani nutrizionali degli atleti, i quali dovrebbero prestare attenzione anche ad
assumere alimenti a cui il loro organismo è abituato. Il pasto pre-gara non è il momento
opportuno per provare nuove ricette o alimenti a cui non si è abituati.

5.4 INTEGRATORI ALIMENTARI

Fitonutrienti, vitamine, aminoacidi essenziali e acidi grassi essenziali sono necessari per il normale
funzionamento fisiologico del corpo, ma non possono essere prodotti dall’organismo: per questo è
necessario apportarli attraverso il normale regime alimentare o attraverso la sua integrazione. Alcuni
aminoacidi si definiscono “condizionalmente essenziali” poiché il loro fabbisogno è fortemente
incrementato in talune situazioni (ad esempio la glutammina in periodi di allenamento intenso).
Nessun campo con il quale un professionista legato allo sport abbia a che fare ha subito campagne di
disinformazione e mistificazione come quello degli integratori alimentari. Questo significa che la maggior
parte delle informazioni che “si sentono dire” sono scorrete o addirittura completamente false. La
disinformazione è disinformazione, da chiunque provenga, quindi bisogna diffidare e verificare tramite gli
studi scientifici. Non solo: una volta letta una ricerca, bisogna considerare chi ha finanziato lo studio
(talvolta sono le stesse dite produttrici di integratori), il tipo di soggetti studiati (esseri umani o animali), il
loro numero (maggiore è, meglio è), le loro caratteristiche (uomini o donne, età, grado di allenamento,
patologie eventuali), se è stato fato in doppio cieco (ossia i soggetti non sapevano cosa stavano assumendo
e il gruppo di controllo è stato invertito a metà studio), i dosaggi impiegati, la forma di somministrazione
impiegata e così via.
Si possono trovare gli studi scientifici sui principi attivi degli integratori sul sito PubMed, gestito dallo US
National Institute of Health (http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed). In questo sito eccezionale, archivio
della conoscenza scientifica mondiale, è possibile anche trovare tutti gli studi sull’allenamento. La tabella
5.5 mostra una lista di integratori di nutrienti essenziali e non essenziali che si possono utilizzare per
migliorare la qualità dell’allenamento, la prestazione di gara o accelerare il recupero e l’adattamento.
Tabella 5.5
Integratori di nutrienti essenziali e non essenziali
INTEGRATORI E SPORT

Nel 2001 è stato condotto uno studio su 634 integratori alimentari presenti sul mercato americano;
di questi, 94 contenevano ingredienti presenti nella lista delle sostanze proibite della WADA
(Agenzia Mondiale Anti-Doping - www.wada-ama.org), mentre altri 66 contenevano sostanze
“dubbie” (Schanzer 2002). Se a questo si aggiungono le notizie di alcuni atleti risultati positivi ai
test antidoping a causa di integratori contaminati da pro-ormoni, prodotti venduti negli Stati Uniti
come “integratori” fin dai primi anni 2000, si capirà l’avversione di tante federazioni sportive verso
gli integratori in genere. Fortunatamente in Italia non esiste quel tipo di prodotti. Infatti, sempre
secondo lo stesso studio, i prodotti acquistati in Italia, Francia, Svizzera, Belgio, Spagna e Norvegia
avevano la probabilità più bassa di contaminazione o di ingredienti non riportati in etichetta.
Questo non significa che si debbano escludere del tutto gli integratori di origine americana; tra la
fine degli anni 90 e i primi anni 2000 i fratelli Bill e Shawn Phillips hanno pubblicato diverse review
di prodotti presenti sul mercato americano, facendoli analizzare e fornendo una fotografia piuttosto
precisa di come operino le ditte su quel mercato e di quali, quindi, ci si possa fidare. Se non si
riuscono a trovare queste Supplement Review, si possono consultare i seguenti siti che si occupano
di analizzare gli integratori alimentari: NSF (www.nsf.org) e ConsumerLab
(www.consumerlab.com).
In genere le ditte affidabili sono quelle che nel business da più tempo, che non commercializzano
pro-ormoni, che hanno una reputazione di qualità del prodotto, che non spendono soldi per un
marketing fatto di affermazioni “estreme” e che hanno prodotti con pochi ingredienti (ditte come
NOW Food, Prolab, Isatori, Met-Rx ed EAS).
Nell’analizzare la composizione degli integratori, bisogna ricordare che gli ingredienti sono in
ordine di quantità presente e che le proprietary blend sono un trucco per far “saltare la fila” a uno o
più ingredienti importanti e/o costosi che sono presenti in scarsa quantità. Più che per proteggere
un mix di ingredienti in rapporti precisi, è un modo per far sembrare il prodotto migliore,
contenendone il costo.
PERIODIZZAZIONE COME PIANIFICAZIONE E
PROGRAMMAZIONE DELL’ALLENAMENTO SPORTIVO
Sesto capitolo

Il termine periodizzazione si riferisce a due aspetti importanti: la periodizzazione del piano annuale e la
periodizzazione delle abilità biomotorie.

La periodizzazione del piano annuale implica la suddivisione temporale del programma in unità più
piccole, al fine di una migliore gestione del processo di allenamento e di adattamento, nonché del
raggiungimento del picco di forma nelle gare più importanti dell’anno, qualora necessario.

La periodizzazione del piano annuale è particolarmente utile per le seguenti ragioni:


◊ aiuta gli allenatori a creare sistemi di allenamento strutturati razionalmente;
◊ rende gli allenatori più consapevoli riguardo al tempo disponibile per ogni fase e alla necessità
dell’alternanza del carico di lavoro per permettere gli adattamenti morfo-funzionali positivi;
◊ integra, al momento giusto, i mezzi tecnico-tattici, i mezzi per lo sviluppo delle abilità biomotorie, la
strategia nutrizionale, le tecniche psicologiche per il miglioramento ottimale del potenziale
motorio dell’atleta e il raggiungimento della sua prestazione di picco;
◊ permette la gestione della fatica e l’esposizione a un maggior volume di lavoro di elevata qualità;
◊ aiuta gli allenatori a pianificare una razionale alternanza di periodi di carico e scarico nelle fasi di
allenamento, massimizzando così l’adattamento e la prestazione, ed evitando l’accumulo della
fatica a livelli critici e l’overtraining.

La periodizzazione delle abilità biomotorie permette di sviluppare a un livello ottimale la forza, la


velocità e la resistenza, come fondamento per prestazioni sportive più elevate. Questa forma di
periodizzazione si basa sulle seguenti premesse:
◊ il miglioramento della prestazione è fondato sull’incremento del potenziale motorio di un atleta
(specie se di alto livello);
◊ gli adattamenti morfo-funzionali (cioè gli adattamenti positivi in termini di struttura e funzioni
dell’organismo) necessitano di un certo tempo, nonché di alternanza tra lavoro e recupero per
manifestarsi;
◊ lo sviluppo delle abilità biomotorie e il miglioramento della tecnica e della tattica richiedono un
approccio progressivo, in cui l’intensità degli stimoli è incrementata gradualmente e sulla base di
adattamenti morfologici e funzionali indotti precedentemente;
◊ l’atleta non può mantenere il picco di forma per un tempo prolungato, tantomeno indefinito.

6.1 PIANIFICAZIONE, PROGRAMMAZIONE E PERIODIZZAZIONE

I termini pianificazione, programmazione e periodizzazione vengono spesso impiegati come sinonimi. In


realtà non è così: la pianificazione è il processo di organizzazione di un programma d’allenamento in fasi
lunghe e brevi per raggiungere gli obiettivi d’allenamento e di gara, mentre la programmazione è l’atto di
riempire tale struttura con il contenuto nella forma di metodi e mezzi di allenamento.

La periodizzazione incorpora sia la pianificazione, sia la programmazione, in altre parole la struttura del
piano annuale e il suo contenuto (consistente in metodi e mezzi d’allenamento) che cambia nel tempo.
Quindi, la periodizzazione del piano annuale rappresenta la definizione della struttura del processo di
allenamento, e la periodizzazione delle abilità biomotorie la definizione del contenuto. In altre parole,
tutte le volte che si divide l’anno in fasi e si stabilisce una sequenza di sviluppo delle abilità biomotorie, si
stila un piano periodizzato.

Alcuni critici della periodizzazione affermano che non è applicabile agli sport di squadra, poiché è stata
creata per quelli individuali, caratterizzati da poche gare e quindi da periodi preparatori molto lunghi, con
l’obiettivo del raggiungimento del picco di forma in uno o più momenti dell’anno ben definiti. Queste
caratteristiche, periodo preparatorio lungo e stagione competitiva breve, vengono a mancare in taluni
sport di squadra, in particolare dopo l’avvento del professionismo e delle stagioni competitive
particolarmente lunghe. Questa critica avrebbe ragion d’essere se gli elementi che compongono un piano
periodizzato potessero essere messi assieme in una sola combinazione. In realtà, si possono progettare
tanti piani periodizzati quanti sono necessari e per tutto lo spettro delle possibili situazioni che si possono
incontrare nel processo dell’allenamento sportivo. Inoltre, se si dovesse analizzare cosa questi critici
fanno o suggeriscono di fare, si vedrebbe che la loro pianificazione mantiene ancora la divisione dell’anno
in periodi più brevi e una periodizzazione delle abilità biomotorie, qualificandola, quindi, come piano
periodizzato. Infatti, ciò che generalmente cambia per uno sport con una stagione competitiva lunga con
gare frequenti (come nel caso degli sport di squadra) è la durata delle fasi, la periodizzazione delle abilità
biomotorie e il rapporto tra lavoro generale e lavoro specifico.

La figura 6.1 illustra gli elementi che compongono ogni teoria sulla pianificazione dell’allenamento. La
stessa periodizzazione, d’altra parte, è un’ampia dottrina metodologica che include una molteplicità di
concetti teorici e metodologici. Prima di discutere di quale metodo di pianificazione e di programmazione
sia migliore per un determinato sport, è necessario trovare un consenso sulla terminologia e, ancor più
importante, sui concetti che formano la teoria della periodizzazione dell’allenamento.
Figura 6.1
Schema di tutte le componenti di ogni teoria della pianificazione e della programmazione dell’allenamento

6.2 TERMINOLOGIA DELLA PERIODIZZAZIONE

Il libro di Lev Matveyev Il problema della periodizzazione del processo d’allenamento, edito nel 1964,
nacque dall’analisi dei diari di allenamento degli olimpionici sovietici che presero parte ai Giochi del
1952. Non deve meravigliare, quindi, che negli stessi anni Tudor Bompa stesse già applicando la
periodizzazione dell’allenamento ai suoi atleti, tra i quali Mihaela Penes (oro alle olimpiadi di Tokyo 1964
nel giavellotto), in particolare sviluppando quello che sarà poi il suo concetto di periodizzazione della
forza. È però solo nel 1983 che egli inizia la sua opera divulgativa, che porterà la periodizzazione alla
popolarità, in particolare in Nord America, grazie al libro “Periodizzazione. Teoria e metodologia
dell’allenamento”.

La terminologia di Bompa diferisce da quella dei sovietici, i quali parlano di microciclo, mesociclo e
macrociclo, quest’ultimo di varie durate: semestrale, annuale, quadriennale (ciclo olimpico). I concetti
impiegati da Bompa utilizzano, invece, la seguente terminologia (tabella 6.1):

◊ piano annuale (il macrociclo annuale degli autori sovietici): suddivisione dell’anno in fasi, sub-fasi,
macrocicli e microcicli, al fine di gestire meglio il processo d’allenamento. I piani annuali sono
caratterizzati dal numero delle fasi competitive e sono di conseguenza definiti monociclici, biciclici
o triciclici;
◊ fasi (macrociclo degli autori sovietici): preparatoria, competitiva e transitoria;
◊ sub-fasi: l’ulteriore specificazione delle fasi, che prendono il nome di preparazione generale,
preparazione specifica, pre-competitiva, competitiva propriamente detta e transitoria. Sono gruppi
di macrocicli che rispettano la direzione dell’allenamento definita dalla sub-fase, la cui durata può
variare da una settimana (una breve fase transitoria) a ventiquattro settimane (una lunga fase di
preparazione generale);
◊ macrociclo (mesociclo degli autori sovietici): gruppo di microcicli con lo stesso obiettivo
d’allenamento, in accordo con il macrociclo, la cui durata può variare da due settimane (un
macrociclo di scarico pre-competitivo, detto taper) a sei settimane (un lungo macrociclo
introduttivo in preparazione generale), ma più frequentemente tre o quattro settimane;
◊ microciclo: sequenza ciclica di unità d’allenamento che perseguono lo stesso obiettivo
d’allenamento del macrociclo, di durata che varia da cinque a quattordici giorni, ma più
frequentemente di una settimana;
◊ unità d’allenamento: è la singola sessione di allenamento con pause al suo interno inferiori a 45
minuti.

Qui va fatta una distinzione: gli strumenti per la pianificazione sono il piano annuale, le fasi e le sub-fasi,
mentre il macrociclo, il microciclo e le unità d’allenamento sono gli strumenti per la programmazione. Il
primo gruppo permette all’allenatore di stendere un piano d’azione a lungo termine, mentre il secondo
permette di definire nel dettaglio il contenuto del processo d’allenamento. Generalmente, il processo di
pianificazione e programmazione inizia dallo strumento a lungo termine (il piano annuale) e termina con
quello a breve termine (l’unità d’allenamento). Il piano annuale completo include, quindi, sia gli elementi
della pianificazione (fasi e sub-fasi), sia gli elementi della programmazione (macrocicli e microcicli, che
rappresentano la periodizzazione delle abilità biomotorie); esso descrive, pertanto, l’intero processo
d’allenamento (tabella 6.2). Si noti che il valore dell’intensità dei microcicli è riferito ai mezzi e ai metodi
in generale e non al sistema energetico dominante.

La programmazione del processo di allenamento prende forma nel microciclo, attraverso l’impiego di
concetti metodologici come l’alternanza del carico e dei sistemi energetici. Gli allenatori e i preparatori
fisici dovrebbero utilizzare le sessioni di allenamento e i test come elementi di feedback e di previsione
per modificare prontamente il programma d’allenamento ai fini dell’individualizzazione e
dell’ottimizzazione dell’intero processo.
Tabella 6.1
Divisione del piano annuale nelle fasi e nei cicli di allenamento
Tabella 6.2
Piano annuale completo di uno sprinter in preprazione delle Olimpiadi del 2004

6.4 PERIODIZZAZIONE DELLE ABILITÀ BIOMOTORIE

L’obiettivo dell’allenamento delle abilità biomotorie è migliorare le prestazioni dell’atleta sulla base degli
adattamenti morfologici e funzionali specifici. La caratteristica più importante nell’allenamento delle
abilità biomotorie è la progressività del carico. Sebbene il potenziale motorio di un atleta sia scritto nel
suo codice genetico, la sua piena espressione richiede che il processo d’allenamento sia composto da
mezzi generali e specifici, non solo per il principio della varietà dell’allenamento, ma anche per rispettare
l’allenabilità delle abilità biomotorie stesse. Per esempio, l’allenabilità determina che l’allenamento della
resistenza negli sport di lunga durata debba essere per lo più specifico, fino a raggiungere il 90% del
tempo totale di allenamento annuale. Diversamente, la minore allenabilità della velocità richiede una
maggiore concentrazione sui mezzi generali (come la forza nelle sue varie espressioni).

Quattro elementi differenziano le varie metodologie di pianificazione e programmazione dell’allenamento


nella periodizzazione della forza, della velocità e della resistenza:
1. l’integrazione tra le varie abilità biomotorie;
2. lo sviluppo di ciascuna abilità biomotoria nel piano annuale;
3. il grado di specificità dei mezzi di allenamento impiegati nel piano annuale;
4. la progressione del carico negli elementi della programmazione a breve termine (microciclo e
macrociclo).

L’integrazione delle abilità biomotorie

Per integrazione tra le abilità biomotorie nel processo d’allenamento si intende il modo in cui forza,
velocità e resistenza siano allenate in rapporto l’una con l’altra. All’atto della programmazione, il
preparatore atletico dovrà considerare le dinamiche per le quali l’allenamento di ognuna delle capacità
influisce sull’allenamento delle altre e come la sommatoria degli stimoli influisca sull’adattamento
strutturale e funzionale dell’atleta. Dalla sezione del piano annuale dedicata alla periodizzazione delle
abilità biomotorie, è possibile capire come le abilità motorie siano integrate tra di loro, osservando il
contenuto dell’allenamento della forza, della velocità e della resistenza in ciascun macrociclo (tabella 6.3).
A seconda di come le capacità motorie sono integrate tra loro, è possibile individuare due schemi:
integrazione complessa e integrazione sequenziale.
Tabella 6.3
La lettura verticale del piano annuale illustra l’integrazione tra le abilità biomotorie (in questo caso
adattamento anatomico, velocità e resistenza generale nel ciclo di preparazione generale)

Integrazione complessa
Con questo approccio forza, velocità e resistenza sono allenate tutte contemporaneamente, durante tutto
l’anno. Il carico di ciascuna abilità è distribuito per la durata del piano annuale. Questo tipo di
integrazione è indicata per qualsiasi tipo di sport, inclusi quelli (come quelli di squadra) in cui la fase
preparatoria è breve e quella competitiva è lunga, senza necessità di particolari picchi di forma. Questo è
anche l’unico modo di integrazione indicato per gli atleti giovani, che necessitano di un approccio
multilaterale, e per gli atleti con poca esperienza sportiva in genere.

Integrazione sequenziale
Con questo approccio, spesso definito come “periodizzazione a blocchi”, i carichi per la forza, la velocità e
la resistenza sono concentrati in blocchi che si susseguono nel piano annuale. Poiché, ad esempio, il
blocco di forza è dedicato quasi esclusivamente allo sviluppo di questa abilità, ilproblema principale
dell’integrazione sequenziale risiede nella difficoltà del mantenimento sia delle abilità tecniche, sia delle
altre abilità motorie specifiche. Per questa ragione, questa soluzione è di più facile applicazione per atleti
di potenza e velocità (non necessariamente di alto livello) con esperienza, che possono mantenere con più
facilità le altre abilità. Un altro possibile limite di questo metodo di pianificazione è che, durante il blocco
di velocità o di resistenza, non è previsto un mantenimento della forza, cosa che potrebbe portare alla
riduzione della potenza se la fase competitiva è lunga. Una versione più breve di integrazione sequenziale
è indicata per gli sport con racchetta e per gli sport da combattimento, nei quali le competizioni sono
concentrate in diversi e brevi periodi dell’anno.
In alcune discipline, durante la fase preparatoria, gli allenatori perseguono lo sviluppo di molti aspetti
della preparazione fisica, come la potenza aerobica, la forza massima, la resistenza muscolare, lo sviluppo
dell’accelerazione e la resistenza specifica. Ognuno di questi elementi implica adattamenti morfo-
funzionali e psicologici che talvolta sono in conflitto tra loro. Per esempio, gli adattamenti ricercati con
l’allenamento per l’ipertrofia (sia a livello di struttura muscolo scheletrica, sia a livello neurale) sono
limitati dal dispendio metabolico e neurale dell’allenamento di resistenza. Quindi, è consigliabile stabilire
il contributo di questi due elementi al potenziale motorio dell’atleta, in accordo con lo sport praticato e
con le caratteristiche individuali. In questo modo è possibile dare la priorità a un elemento rispetto
all’altro e sviluppare le abilità biomotorie secondo le caratteristiche specifiche di uno sport, senza dover
per forza separare l’allenamento di un’abilità motoria da quello dell’altra, rischiando di deallenare la
prima.

Sviluppo delle abilità biomotorie

Per sviluppo si intende la modalità con la quale si vuole allenare, o sviluppare, un‘abilità biomotoria nel
piano annuale.
Nella parte del piano annuale dedicata alla periodizzazione delle abilità biomotorie, lo sviluppo è
rappresentato dalla riga orizzontale dedicata a ciascuna di esse (tabella 6.4).
Tabella 6.4
Sviluppo sequenziale della forza nel piano annuale

Lo sviluppo delle abilità biomotorie può essere complesso, sequenziale o pendolare. Ognuna di queste
opzioni è spiegata nei seguenti paragrafi.

Sviluppo complesso
Nello sviluppo complesso di un‘abilità biomotoria, due espressioni della medesima sono allenate
contemporaneamente (per esempio forza massima e potenza o forza resistente). I mezzi allenanti
impiegati sono sia di natura generale sia di natura specifica. Questo approccio può essere utilizzato a
diversi livelli della programmazione:
• unità d’allenamento: la forza massima e la potenza o la resistenza muscolare sono allenate nella
singola unità d’allenamento;
• microciclo: la forza massima e la potenza o la resistenza muscolare sono allenate nello stesso
microciclo, ma in unità d’allenamento diverse;
• macrociclo: la forza massima e la potenza o la resistenza muscolare sono allenate nello stesso
macrociclo, ma in microcicli diversi;
• se due qualità vengono allenate in maniera alternata nel macrociclo (ad esempio, un microciclo di
forza massima, seguito da uno di potenza, seguito a sua volta nuovamente da uno di forza
massima, per terminare con un altro microciclo di potenza), si ha quello che viene chiamato un
macrociclo “a pendolo”.

Si vedrà più avanti com’è possibile organizzare in modo razionale una programmazione di tipo complesso,
sia nel microciclo, sia nell’unità di allenamento, sebbene quest’ultima opzione abbia applicazioni piuttosto
limitate (nell’allenamento giovanile e in quello di alcuni sport di squadra a livello diletantistico, o per il
mantenimento della forza massima e della forza specifica in fase competitiva: tutte situazioni nelle quali il
numero di unità d’allenamento settimanali è molto ridotto).

Si noti che quando la durata del periodo in cui si applica uno sviluppo complesso di un’abilità biomotoria è
breve (da quattro a sei settimane), gli effeti positivi a livello funzionale sono molto marcati, mentre la loro
durata è piuttosto ridotta per la mancanza di tempo per l’adattamento morfologico. Ad esempio, si
consideri una squadra di calcio dilettantistico il cui allenatore pensa che la preparazione fisica termini con
l’inizio del campionato. Durante la preparazione, la squadra si allena secondo un’integrazione e uno
sviluppo complessi delle abilità biomotorie. In altre parole, tutte le abilità sono allenate
contemporaneamente in tutti i loro aspetti: potenza, resistenza muscolare, resistenza aerobica, potenza
lattacida breve e velocità. Al termine di questa fase, però, l’allenatore si affida soltanto all’allenamento
specifico e la squadra lentamente perde gli adattamenti ottenuti a inizio stagione.

Sviluppo sequenziale
Nello sviluppo sequenziale, come implica la definizione, gli aspetti di un’abilità biomotoria sono allenate
una dopo l’altra, in maniera sequenziale. Per esempio, l’adattamento anatomico è seguito dalla forza
massimale, seguita a sua volta dalla potenza. La sequenza è tale per cui ogni elemento è propedeutico allo
sviluppo di quello successivo, come ad esempio la forza massimale come base per la potenza e la potenza
come base per la velocità. La durata di ogni stimolo allenante è determinata dal tempo necessario
all’adattamento morfo-funzionale a tale stimolo.

La tabella 6.5 mostra come ciascuna abilità biomotoria venga sviluppata per stimolare il massimo sviluppo
del potenziale motorio di un velocista. Per un velocista che corre i 100 metri, la forza specifica è la
potenza resistente e il mix specifico di velocità e resistenza è la velocità resistente (potenza lattacida).

Tabella 6.5
Continuum degli adattamenti morfo-funzionali per un velocista dei 100 m

Legenda: M = mantenimento, M×S = forza massima, P = potenza, PE = potenza resistente.

Una volta terminato il macrociclo di adattamento anatomico, viene allenata la forza massima per poi
massimizzare la potenza. L’accelerazione è la base tecnica e di output di potenza per la velocità e un basso
volume di lavoro di potenza aerobica aiuta l’atleta nel recupero tra le sessioni di lavoro anaerobico. Nella
fase successiva la potenza è allenata come base neurale della potenza resistente e della velocità e
l’allenamento di resistenza diviene capacità lattacida per creare gli adattamenti metabolici necessari per
la massimizzazione della resistenza specifica: la potenza lattacida. In seguito, la velocità massima e
successivamente la potenza resistente sono allenate per creare gli adattamenti fisiologici per
massimizzare la velocità resistente. Questo esempio mostra come lo sviluppo e l’integrazione delle abilità
biomotorie possano essere pianificati razionalmente per incrementare la prestazione.

Realizzazione immediata e ritardata


Per quanto concerne la periodizzazione sequenziale, i parametri di carico possono essere manipolati per
produrre una realizzazione immediata o ritardata. Con la realizzazione immediata si persegue il massimo
miglioramento dell’abilità biomotoria in questione in concomitanza con la fine del macrociclo. Più
specificamente, il volume di lavoro di un‘abilità biomotoria è tale da permettere un miglioramento della
qualità allenata già dopo un periodo di scarico limitato (solitamente una settimana). Con questo approccio
è possibile allenare la velocità e gli elementi tecnico-tattici in contemporanea con l’allenamento della
forza.
Con l’approccio a realizzazione ritardata, invece, l’entità della concentrazione del carico sarà tale da
decrementare temporaneamente gli indici utilizzati per valutare l’abilità biomotoria allenata o l’abilità
biomotoria specifica al termine del macrociclo (chiamato anche “overreaching pianificato”). Solo
successivamente essi miglioreranno in concomitanza con un macrociclo successivo caratterizzato da un
lavoro maggiormente specifico in funzione della disciplina sportiva praticata. Per questo motivo è
necessario che le esercitazioni tecniche, di velocità o di gara siano temporalmente successive al periodo di
concentrazione di carico, per poi sfruttarne l’effetto di allenamento a lungo termine (periodizzazione a
blocchi).

Sviluppo pendolare
Nello sviluppo pendolare due qualità sono allenate in alternanza. Per esempio, un macrociclo di forza
massima è seguito da un macrociclo di potenza, seguito a sua volta da un altro macrociclo di forza
massima, seguito da un altro macrociclo di potenza. Questo approccio è particolarmente indicato per gli
sport con racchetta e gli sport da combattimento, per i quali una fase troppo lunga di forza massima
potrebbe influenzare negativamente l’espressione di potenza negli esercizi specifici e il cui calendario
delle gare, talvolta imprevedibile, richiede che l’atleta non riduca troppo la propria prontezza a
competere.

Specificità dei mezzi di allenamento

Anche per l’utilizzo dei mezzi di allenamento si può distinguere tra un approccio complesso e uno
sequenziale. Nel primo caso si osserva un utilizzo simultaneo e immediato di mezzi generali, specifici, di
intensità moderata e di intensità alta. Data la breve preparazione e la lunga stagione competitiva, questo
approccio è oggi comune negli sport di squadra.

Nell’approccio sequenziale, invece, sia la specificità, sia l’intensità degli stimoli sono progressivamente
maggiori. Questo perché il potenziale allenante dei diversi mezzi diminuisce nel tempo, ossia
all’aumentare della preparazione dell’atleta che con essi è stato allenato. Utilizzando i mezzi
maggiormente specifici e intensi, applicati successivamente sulle tracce degli adattamenti morfo-
funzionali indotti dai mezzi generali, si riesce ad aumentare costantemente le abilità biomotorie nel lungo
periodo (Verkhoshansky 2008).

Questo approccio è particolarmente indicato per sviluppare il potenziale motorio degli atleti negli sport
individuali con una fase di preparazione lunga.

Andamento del carico

Diversi allenatori utilizzano un carico di allenamento costante durante l’anno, definito come carico
“standard”. Alcune squadre si allenano 6-12 ore alla settimana per tutto l’anno, mantenendo i contenuti
dell’allenamento pressoché invariati.

Il carico standard porta miglioramenti iniziali che stallano precocemente e vengono persi durante la fase
competitiva. D’altra parte, è stato dimostrato, sia scientificamente, sia empiricamente, che una
progressione lineare del carico, sebbene sia un modo efficace di incrementare gli stimoli per i principianti,
non è un metodo ottimale per gli atleti intermedi e avanzati.

È piuttosto improbabile, infatti, che un sistema biologico progredisca in maniera meccanica o matematica
nel tempo. Per stimolare degli adattamenti morfo-funzionali continui e positivi, invece, un approccio
migliore è rappresentato dall’utilizzo di un modello ciclico, ondulatorio, che si auto-regola. Tali
caratteristiche possono, anzi devono essere prese in considerazione nella realizzazione di un piano
periodizzato.

Ondulazione a livello del macrociclo


L’ondulazione del carico può avvenire sia a livello del macrociclo, sia a livello del microciclo. Come
mostrato nella figura 6.2, l’andamento ondulatorio del carico all’interno del macrociclo si ottiene in
seguito all’alternanza di microcicli con carico diverso. Il primo esempio in figura mostra una sequenza di
carico medio-alto, medio, alto e basso, utilizzata talvolta dalla nazionale di sollevamento pesi cubana. Il
secondo esempio mostra una sequenza di carico alto, medio, medio-alto e basso. Il carico nel macrociclo
può ondulare anche in seguito a un microciclo di scarico alla fine del macrociclo stesso. L’esempio n° 3
mostra questo approccio in un macrociclo tipico della preparazione generale, con un andamento del
carico “a step” (medio, medio-alto, alto e basso), mentre il quarto esempio mostra questo approccio in un
macrociclo tipico della preparazione specifica, con un andamento del carico “flat” (alto, alto, basso). Il
microciclo di scarico posto alla fine del macrociclo determina un andamento ondulatorio del carico da un
macrociclo all’altro (figura 6.3).
Figura 6.2
Quattro modi per ottenere un macrociclo ondulatorio

Figura 6.3
La programmazione di un microciclo di scarico al termine del macrociclo massimizza gli adattamenti e dà
un carattere ondulatorio alla progressione del carico

Ondulazione a livello del microciclo


L’ondulazione del carico all’interno del microciclo segue i concetti metodologici fondamentali
dell’alternanza dei sistemi energetici e dell’alternanza del carico (figure 6.4 e 6.5). Nel pianificare i
microcicli competitivi, dobbiamo considerare anche la necessità dello scarico pre-gara e del recupero
post-gara (figura 6.6).

Figura 6.4
Alternanza dei carichi all’interno del microciclo in un programma per il powerlifting ad alta frequenza
Figura 6.5
Alternanza dei carichi all’interno del microciclo in un programma per la forza massima per uno sport
individuale

L’autoregolazione del carico d’allenamento è ottenuta attraverso molteplici mezzi: controllo costante
dell’attività motoria, dati oggettivi raccolti durante le sessioni, prontezza a cambiare il programma
giornaliero in base al feedback degli atleti e test di controllo nel microciclo di scarico posto al termine del
macrociclo. La periodizzazione non è scolpita nella pietra. La rigidità meccanicistica spesso associata al
concetto di periodizzazione è forse derivata dalla periodizzazione lineare della forza resa popolare in Nord
America negli anni 80 e che richiedeva fasi di allenamento molto lunghe, durante le quali l’organismo era
sottoposto a una progressione praticamente aritmetica.

Tale approccio ha poco a che fare con le più sofisticate e intelligenti strategie dei migliori allenatori, che
basano la regolazione del carico d’allenamento su un processo continuo di feedback, feedforward e
regolazione, proprio come dovrebbe essere. La periodizzazione è, infatti, un insieme di concetti
metodologici applicati di volta in volta in funzione del contesto specifico. Per questa ragione essa può
assumere diverse forme. I preparatori atletici dovrebbero essere consapevoli dell’esistenza di diversi
modelli di pianificazione, ognuno dei quali è più indicato per certi sport o per un dato livello di sviluppo
sportivo dell’atleta.

Dal punto di vista della programmazione, la conoscenza della metodologia dell’allenamento e della
fisiologia dell’esercizio dovrebbe permettere loro di prevedere come l’organismo dei propri atleti risponda
agli stimoli di allenamento, in modo da realizzare gli adattamenti morfo-funzionali desiderati. In ogni caso,
l’ottenimento dei migliori risultati richiede un controllo costante, l’uso dei test e l’adattamento del
programma.
LEGGI E PRINCIPI DELL’ALLENAMENTO DELLA FORZA PER LO
SPORT
Settimo capitolo

L’applicazione corretta delle leggi e dei principi dell’allenamento assicura una migliore organizzazione del
lavoro, con una probabilità d’errore inferiore. Le sete leggi descritte nella sezione successiva
costituiscono la base per qualsiasi programma d’allenamento della forza. I principi dell’allenamento
(affrontati verso la fine del capitolo) rappresentano l’applicazione pratica delle leggi all’interno dei
programmi di forza.
Una casa è forte quanto le sue fondamenta. Le sette leggi dell’allenamento della forza collaborano alla
costruzione di un atleta forte, flessibile e stabile, che può sostenere lo stress indotto dall’attività sportiva.
Questo risultato passa attraverso il rinforzo dei tendini, dei legamenti e delle ossa, il rafforzamento del
“core” e l’adattamento progressivo dell’organismo alle azioni specifiche dello sport. Le leggi sono valide
per tutti gli atleti, indipendentemente dalle caratteristiche fisiologiche di ogni sport.
I principi dell’allenamento favoriscono un incremento continuo della forza e delle altre abilità attraverso
l’adattamento del programma alle esigenze specifiche della disciplina e, soprattutto, alle caratteristiche
dell’atleta. Le leggi e i principi funzionano in maniera sinergica al fine di sviluppare il miglior programma
di forza. Questi principi, assieme alla periodizzazione della forza e all’integrazione dell’allenamento della
forza con l’allenamento dei sistemi energetici, sono essenziali per ottenere risultati di successo.

7.1 LE SETTE LEGGI DELL’ALLENAMENTO DELLA FORZA

Qualsiasi programma di allenamento della forza dovrebbe essere progettato partendo dalle sette leggi, in
modo da assicurare sia l’adattamento positivo, sia la prevenzione degli infortuni. Queste nozioni sono
particolarmente importanti per gli atleti giovani o, in genere, per i principianti, poiché assicurano una
buona base sulla quale costruire un allenamento più specifico nelle tappe successive dello sviluppo
atletico.

Legge n°1: sviluppo della mobilità articolare

Per lo sviluppo simultaneo della forza e della mobilità, gran parte degli esercizi per il potenziamento
muscolare dovrebbero essere eseguiti utilizzando un range di movimento completo per tutte le
articolazioni principali, specialmente le caviglie, le ginocchia e le anche. Una buona mobilità articolare
previene le distorsioni e i dolori alle articolazioni, così come gli infortuni da sovraccarico. Dovrebbe essere
posta particolare attenzione alla mobilità della caviglia, alla flessione dorsale e a quella plantare
(movimento del dorso del piede verso la tibia e movimento in allontanamento da essa) da parte di tutti gli
atleti, specie i principianti. Essi dovrebbero sviluppare la flessibilità della caviglia in fase di prepubertà e
durante la pubertà, in modo che nel periodo successivo sia sufficiente mantenerla.

Due ottimi metodi per migliorare la flessibilità sono lo stretching passivo e lo stretching PNF. Nel caso di
presenza di aderenze miofasciali (la miofascia rappresenta il 41% della resistenza passiva al movimento di
un’articolazione; Johns e Wright 1962), alcuni metodi efficaci sono l’utilizzo di foam roller, gli esercizi di
Kelly Starrett con gli elastici per il rilascio della miofascia e le sedute di rilascio miofasciale con un
operatore certificato.

Il rilascio miofasciale incrementa la flessibilità muscolare e la mobilità articolare senza influenzare


negativamente la prestazione (Sullivan et al. 2013, McDonald et al. 2013, Healey et al. 2014). Infatti, per
raggiungere la massima prestazione, la miofascia deve essere rilasciata prima di una gara, specie negli
sport di velocità e potenza.

Legge n°2: rinforzo dei tendini e dei legamenti

La forza muscolare migliora più rapidamente rispetto a quella dei tendini e dei legamenti. Un uso
improprio del principio di specificità o la mancanza di una pianificazione a lungo termine inducono molti
allenatori e preparatori a trascurare il rafforzamento di tendini e legamenti, nonostante sia ben noto come
la maggior parte degli infortuni muscolari avvenga non nel ventre del muscolo, ma alla giunzione
miotendinea. Le cause vanno ricercate nel fatto che, in assenza di un adattamento anatomico adeguato,
un allenamento intenso potrebbe provocare danni proprio a livello di queste strutture. Una sollecitazione
corretta, invece, determina un aumento del diametro del tessuto connettivo che costituisce tendini e
legamenti, elevandone la capacità di resistenza alla tensione e agli strappi.

I legamenti, che sono costituiti da filamenti proteici di collagene, hanno l’importante ruolo di collegare le
estremità delle ossa che formano un’articolazione. Le fibre di collagene sono distribuite secondo diverse
angolazioni, per resistere agli incrementi di carico. La forza di un legamento dipende direttamente dalla
sua sezione trasversa. Esso si può lesionare a causa di un eccesso di forza su una particolare
articolazione, specie ad angolazioni estreme o con rotazioni non fisiologiche. Durante una normale
attività, i legamenti si allungano facilmente per permettere il movimento articolare. Quando invece il
carico sull’articolazione incrementa, come in un’attività ad alta intensità o di gara, lo stesso accade alla
stiffness dei legamenti, al fine di evitare un’eccessiva mobilità dei capi ossei. Se il carico è eccessivo, il
legamento si può danneggiare.

Il miglior modo di prevenire questo tipo di infortunio è quello di preparare gradualmente l’organismo a
sopportare questo tipo di stress. Per adattare i tendini e i legamenti a sopportare stimoli elevati, gli atleti
devono incrementare progressivamente il carico e alternarlo a periodi di scarico, così come avviene nella
fase di adattamento anatomico. La progressività migliora le caratteristiche viscoelastiche dei legamenti e
permette di sopportare le grandi forze in trazione generate durante i movimenti dinamici, nel corso
dell’allenamento per la forza massima e nell’esecuzione degli esercizi pliometrici.

I tendini, d’altra parte, uniscono i muscoli alle ossa e trasmetono la forza dai primi alla struttura
scheletrica, in modo da permettere il movimento. I tendini immagazzinano anche l’energia elastica, una
caratteristica essenziale per i movimenti balistici, come quelli usati nella pliometria. Più resistente è il
tendine, maggiore è la sua capacità di immagazzinare energia elastica. I tendini forti sono quindi una
caratteristica dei velocisti e dei saltatori.

Sia i legamenti, sia i tendini sono allenabili. La loro composizione e le loro proprietà strutturali cambiano
in risposta all’allenamento, diventando più spessi, più forti e con una stiffness maggiore, fino al 20% in più
(Frank 1996). Inoltre, i legamenti e i tendini sono capaci di ripararsi, anche se talvolta non possono
tornare allo stato pre-infortunio. Tenendo a mente tutto ciò, l’esercizio, in particolare quello eseguito
durante la fase di adattamento anatomico, può essere considerato un metodo di prevenzione degli
infortuni. Se il rafforzamento di legamenti e tendini è trascurato, i primi non assicurano più l’integrità
delle articolazioni e i secondi non potranno garantire una trasmissione ottimale della forza. Ad esempio,
coloro che usano gli steroidi incrementano la forza del ventre muscolare, a scapito delle proprietà dei
tendini e dei legamenti (Woo et al. 1994). Più in generale, l’aumento della forza senza il contemporaneo
rafforzamento dei legamenti e dei tendini può portare all’infortunio di queste strutture, come succede
spesso ai giocatori di football americano.
© AP Photo/Danny Moloshok

Durante la schiacciata i muscoli del core si contraggono per stabilizzare il tronco, in modo che le gambe
possano eseguire uno stacco potente, e le braccia colpire la palla

Legge n°3: sviluppo della forza del core

Gli arti superiori e quelli inferiori sono tanto forti quanto forte è il core. In altre parole, muscoli del tronco
poco sviluppati non costituiscono un supporto adeguato per sostenere il lavoro molto intenso di braccia e
gambe. Un programma di allenamento della forza a lungo termine dovrebbe innanzitutto sviluppare i
muscoli del tronco, prima di dedicarsi agli arti inferiori e a quelli superiori. I muscoli del tronco sono
attivati in particolar modo durante le attività come salti e balzi. Essi stabilizzano il corpo e fungono da
collegamento tra gambe e braccia. Muscoli del tronco deboli non possono svolgere questi ruoli essenziali,
limitando così la prestazione. La maggior parte di questi gruppi muscolari è costituita da fibre a
contrazione lenta, dato il loro ruolo nel mantenimento della postura e la loro continua attivazione durante
le azioni degli arti. Essi si contraggono continuamente, ma non necessariamente in maniera dinamica, per
creare una solida base di supporto per le azioni degli altri gruppi muscolari.

Molte persone, inclusi alcuni atleti, si lamentano di problemi alla regione lombare, ma nonostante questo
non fanno molto per risolverli. La migliore protezione contro il mal di schiena sono muscoli della schiena e
addominali forti. Questa zona del corpo non dovrebbe essere trascurata dai preparatori e dagli atleti. Allo
stesso tempo, l’allenamento per i muscoli del tronco, o core training, rappresenta una nuova moda i cui
“nuovi esercizi” non sono tutti utili o privi di rischi. In questa sezione viene illustrato il nostro punto di
vista riguardo il potenziamento del core. Si ritiene, infatti, che un eccesso di enfasi sull’allenamento di
questa regione anatomica e funzionale (anche nelle sue forme “ibride” di “forza propriocettiva”) non dia
alcun risultato in termini di prestazione ma, di fato, distragga l’atleta dall’esecuzione di una serie di
esercizi fondamentali ai fini della performance sportiva: quelli che sollecitano i gruppi motori principali.

Muscoli addominali
I muscoli dorsali, i lombari e gli addominali circondano la parte centrale del corpo come una stretta e
potente struttura di supporto, composta da fasci muscolari che si diramano in diverse direzioni. Se gli
addominali sono deboli, il bacino subisce una antiversione, causando un’iperlordosi della colonna lombare.
Il retto addominale è disposto verticalmente e ha un ruolo anti-estensorio della colonna, al fine di
mantenere la postura: ad esempio quando l’anca si flette con le gambe fissate, come succede durante un
sit-up. Gli addominali obliqui interni ed esterni aiutano il retto addominale a flettere il tronco in avanti
(flessione della colonna – piano sagittale) e a eseguire tutti i movimenti di rotazione (piano trasverso) e di
flessione laterale (piano frontale). Questi muscoli aiutano l’atleta a evitare le cadute e sono fondamentali
in molte azioni della lotta, del pugilato e delle arti marziali. I muscoli addominali anteriori e laterali
eseguono i movimenti del tronco con grande precisione. Essi sono sviluppati verticalmente,
diagonalmente e orizzontalmente e hanno grandi dimensioni. Poiché molti atleti presentano uno sviluppo
inferiore degli addominali rispetto ai muscoli del dorso, è consigliato sia un allenamento generale, sia un
allenamento specifico per questi distretti.

Per lavorare con precisione sui muscoli addominali occorrono esercizi che li coinvolgano senza interessare
il movimento delle anche. Gli esercizi che flettono le anche, infatti, sono eseguiti con l’intervento
dell’ileopsoas (un potente flessore dell’anca) e solo in misura minore degli addominali (che in questi casi
lavorano perlopiù isometricamente, per prevenire l’estensione della colonna sul piano sagittale).

Muscoli dorsali
I muscoli dorsali, inclusi i profondi gruppi localizzati ai lati della colonna, sono responsabili di vari
movimenti, come l’estensione e la rotazione del tronco. Il tronco agisce da tramite e da supporto per la
maggior parte dei movimenti effettuati dagli arti. La colonna vertebrale svolge, inoltre, un ruolo protettivo
essenziale del midollo spinale e assorbe gli urti durante l’atterraggio e lo stacco dal suolo. Uno sforzo
eccessivo o irregolare del rachide o un movimento improvviso da una posizione scorretta potrebbero
causare problemi nella zona lombare. I dolori lombari negli atleti sono in genere dovuti a un eccesso, nel
tempo, di movimenti scorretti. La pressione esercitata sui dischi intervertebrali varia a seconda della
posizione del corpo rispetto al carico da sollevare. Per esempio, essa aumenta in posizione seduta o, in
piedi, se si estende la colonna durante un curl con i bicipiti o una tirata al mento. La posizione seduta
provoca una pressione maggiore sui dischi intervertebrali, mentre il livello più basso si registra quando il
corpo è sdraiato, prono o supino (come nelle distensioni o nelle tirate, su panca piana). In molti esercizi
che impegnano i muscoli dorsali, gli addominali si contraggono isometricamente, stabilizzando il corpo.

I flessori dell’anca
L’ileopsoas è un muscolo essenziale per la flessione delle anche e nella corsa. Sebbene non sia di grosse
dimensioni, è il flessore dell’anca più potente (gli altri sono il retto femorale, il sartorio e il tensore della
fascia lata) ed è il responsabile dell’innalzamento del ginocchio nella corsa e nel salto. Flessori dell’anca
ben sviluppati sono necessari per gli sport eseguiti sul suolo o sul ghiaccio. Questi importanti muscoli
possono essere allenati con esercizi di sollevamento degli arti inferiori con sovraccarico, sia a ginocchio
flesso, sia a ginocchio steso. L’ileopsoas è un muscolo essenziale per la stabilizzazione del bacino e per la
flessione delle anche, e quindi fondamentale per la corsa.

IRRADIAZIONE
Quando un atleta esegue un esercizio di forza, molti muscoli del tronco vengono attivati e si
contraggono sinergicamente per stabilizzare il corpo e agire da supporto, in modo che
l’articolazione interessata possa eseguire il movimento. Questa contrazione sinergica è chiamata,
con la terminologia anglosassone, activation overflow o irradiazione (Enoka 2002; Zijdewind e
Kernell 2001). Il processo è illustrato negli esempi seguenti.

Tirate al mento
Il movimento delle tirate al mento prevede la posizione eretta con i piedi divaricati alla larghezza
delle anche, mentre le braccia, che sostengono il bilanciere, sono abbassate sulle cosce. Quando gli
arti superiori si flettono per sollevare il peso verso il mento, per poi distendersi successivamente
verso il basso, i muscoli addominali e del dorso (muscoli del core), inclusi gli erettori spinali, si
contraggono per stabilizzare il tronco (un’azione di antiflessione sul piano sagittale), cosicché le
braccia possano eseguire il movimento in modo fluido. Senza il supporto dei muscoli del core per
stabilizzare il tronco, i muscoli motori primari non potrebbero eseguire il movimento in modo
efficace. Mentre viene eseguito l’esercizio, tutti i muscoli del core sono attivati (specialmente quelli
del dorso), si contraggono per irradiazione e, come risultato, diventano più forti. Infatti, il livello di
contrazione muscolare può essere più alto durante questo esercizio rispetto a molti altri eseguiti a
corpo libero per lo sviluppo della forza del core. Perciò, usare questo esercizio permette di
rinforzare al meglio i muscoli del core (Hamlyn e al. 2007; Nuzzo 2008; Colado e al. 2011;
Martuscello 2012).

Squat e stacco da terra


Durante ogni movimento contro resistenza delle gambe eseguito in posizione eretta, tutti i muscoli
del core sono fortemente attivati per stabilizzare il tronco e usarlo come supporto (Martuscello
2012). Questa attivazione rinforza i muscoli coinvolti. In particolare, l’esecuzione di 1/4 di squat con
carichi elevati (gli atleti d’élite sono in grado di utilizzare un sovraccarico pari a tre-quattro volte il
peso corporeo), per esempio, genera tensioni particolarmente elevate nei muscoli del core.

Schiacciata
Uno dei gesti atletici più dinamici, la schiacciata della pallavolo, non potrebbe essere eseguita
correttamente senza il supporto diretto dei muscoli del core. Durante la schiacciata, i muscoli del
core si contraggono per stabilizzare il tronco, cosicché le gambe possano eseguire uno stacco
esplosivo e le braccia possano colpire la palla.
I muscoli del core fissano e stabilizzano il tronco in altre situazioni in cui le braccia e le gambe
hanno bisogno di eseguire un gesto atletico: alcuni esempi includono la corsa, il salto, il lancio, gli
esercizi con la palla medica e vari movimenti di agilità e rapidità coi piedi. Di certo il core è
coinvolto in qualsiasi esercizio sport-specifico o di forza in cui debba contrarsi per frenare la
flessione o l’estensione della colonna vertebrale. Come risultato, il volume complessivo degli
esercizi specifici per il rinforzo del core può essere ridotto a poche serie di movimenti essenziali per
sessione di allenamento.
Legge n°4: sviluppo degli stabilizzatori

I muscoli motori primari lavorano con maggior efficacia se coadiuvati da muscoli stabilizzatori, o fissatori,
forti. Gli stabilizzatori si contraggono soprattutto in modo isometrico per stabilizzare un’articolazione, in
modo da permettere il corretto movimento di un’altra parte del corpo. La spalla viene stabilizzata, ad
esempio, durante la flessione del gomito, mentre durante il lancio di una palla sono gli addominali a
fungere da fissatori. Nel canottaggio sono invece i muscoli del tronco ad agire da stabilizzatori,
trasmettendo la potenza delle gambe alle braccia, che a loro volta esercitano forza sull’acqua attraverso il
remo. Uno stabilizzatore debole, quindi, inibisce la capacità di contrarre i muscoli motori primari.

Muscoli stabilizzatori non adeguatamente sviluppati potrebbero dunque ostacolare l’attività di quelli
motori primari. Sottoposti a uno stress prolungato, gli stabilizzatori possono subire uno spasmo
involontario, frenando l’azione dei muscoli motori primari, con conseguente diminuzione della prestazione
atletica. Questa condizione è frequente fra i giocatori di pallavolo che si infortunano a seguito della
debolezza e dello squilibrio muscolare dei muscoli della spalla (Kugler et al. 1996). I muscoli sovraspinato
e sottospinato ruotano la spalla. Il modo più semplice ed efficace per rinforzare questi muscoli è
l’extrarotazione della spalla con i manubri. La resistenza esercitata dal carico rinforza questi due muscoli.
A livello dell’anca, sono i muscoli piriforme e gluteo medio a permettere l’extra rotazione. Per rinforzare
questi muscoli (e il tensore della fascia lata), l’atleta deve sollevare lateralmente la gamba, alla
poliercolina. L’esercizio si esegue in posizione eretta e con il ginocchio bloccato.

Gli stabilizzatori si contraggono isometricamente anche per immobilizzare una parte di un arto e
permettere il movimento di un’altra. Inoltre, essi sono utili per monitorare l’interazione delle ossa lunghe
nelle articolazioni e percepire i rischi di un potenziale infortunio a causa di una tecnica scorretta, di
un’applicazione della forza non adeguata, o da spasmi causati dall’affaticamento. Se si verifica una di
queste condizioni, gli stabilizzatori frenano l’attività dei muscoli motori primari per evitarne stiramenti o
strappi. Per questi motivi i muscoli fissatori giocano un ruolo fondamentale nella prestazione atletica.
Diversi studi hanno mostrato che l’allenamento con le tavolette propriocettive aiuta davvero a ripristinare
la stabilità di una caviglia instabile o infortunata (Caraffa et al. 1996, Westers et al. 1996, Willems et al.
2002). Alcuni studi hanno dimostrato che l’allenamento propriocettivo può diminuire l’incidenza degli
infortuni al ginocchio (Carafa et al. 1996), mentre altri ancora ne hanno negato l’efficacia nella
prevenzione degli infortuni (Soderman et al. 2000). Una recente review, in particolare, ha evidenziato
diversi errori nella strutturazione degli studi sull’allenamento propriocettivo (Thacker et al. 2003). La
teoria ipotizza che, se l’allenamento sulle superfici instabili determina un miglioramento della
propriocezione e della forza dei muscoli fissatori di una struttura anatomica con problemi di stabilità, a
maggior ragione potrebbe potenziare ulteriormente e prevenire gli infortuni a livello di una struttura già
di per sé solida.

Queste ipotesi dovrebbero però essere dimostrate e, in ogni caso, la domanda più concreta è: quanto
tempo dovrebbe essere dedicato all’alleamento dei muscoli stabilizzatori? Ultimamente alcuni preparatori
atletici hanno esagerato nell’allenamento degli stabilizzatori, perlopiù attraverso l’utilizzo
dell’allenamento su superfici instabili. Infatti, l’allenamento su superfici instabili causa una maggiore
attivazione di unità motorie dovuta alla co-contrazione (contrazione simultanea) dei muscoli agonisti e
antagonisti, al fine di stabilizzare un’articolazione; un’eccessiva co-contrazione non porta agli adattamenti
necessari a un atleta di sport di potenza e velocità, che ha bisogno di antagonisti “silenti” (cioè inattivi)
durante l’applicazione della forza da parte dei muscoli agonisti. Inoltre, negli ultimi 10 anni, i preparatori
fisici che hanno completamente abbandonato questa metodica di allenamento negli sport di squadra
(calcio e pallavolo) non hanno osservato alcun incremento degli infortuni di caviglia e di ginocchio.

L’allenamento con le pedane propriocettive o con la swiss ball può comunque essere utile durante la prima
parte della preparazione generale (la fase di adattamento anatomico). Gli esercizi unilaterali sono
certamente la scelta più adatta per migliorare la stabilità articolare mentre si allenano i gruppi motori
principali. In ogni caso, se l’allenamento propriocettivo può essere previsto durante la fase di adattamento
anatomico, le pedane instabili e le swiss ball dovrebbero essere messe da parte nella fase successiva, per
dedicare più tempo all’allenamento con metodi che migliorino il potenziale motorio dell’atleta in forma
specifica, promuovendo l’incremento della forza, della velocità e della resistenza sport-specifiche.
Dopotutto, anche se questi esercizi funzionano per migliorare la propriocezione dell’atleta, la loro
caratteristica di bassa o, al limite, moderata velocità di esecuzione non proteggerà mai le articolazioni nei
movimenti veloci e potenti dello sport (Ashton-Miller et al. 2001). Preparare i muscoli stabilizzatori al
movimento è importante; nello specifico, prepararli ai movimenti tipici dell’attività sportiva con velocità,
potenza e resistenza adeguate è vitale per la prestazione e l’integrità dell’atleta.

La tabella 7.1 mostra un programma di tre settimane per il macrociclo di adattamento anatomico di un
giovane calciatore. Risulta evidente il vasto impiego di esercizi unilaterali, il volume di lavoro uguale tra
agonisti e antagonisti, il tempo sotto tensione per serie che è specifico della zona di capacità lattacida (da
48 a 80 secondi per serie). Inoltre, l’incremento progressivo del carico e la durata breve del macrociclo
sono caratteristiche tipiche per i giovani atleti e i master. I punti seguenti descrivono ciascuna colonna
della tabella:
◊ Serie - Le serie per esercizio eseguite in una data settimana. Per esempio, 2-3-2 significa che la
prima settimana sono eseguite due serie, la seconda tre e la terza ancora due serie.
◊ Ripetizioni - Le ripetizioni per serie eseguite in una data settimana. Per esempio, 20-15-12 significa
che la prima settimana sono eseguite 20 ripetizioni per serie, la seconda 15 e la terza 12.
◊ Tempo di recupero - Il tempo di recupero tra le serie di uno stesso esercizio in una data settimana.
Per esempio, 1-1-1.5 significa che la prima e la seconda settimana il tempo di recupero tra le serie
di uno stesso esercizio è di un minuto, mentre nella terza è di un minuto e mezzo.
◊ Tempo - Il primo numero indica la durata in secondi della fase eccentrica, il secondo indica i secondi
di pausa tra la fase eccentrica e la fase concentrica, mentre il terzo indica la durata in secondi
della fase concentrica (la “X” significa “esplosiva”).
◊ Carico - Queste colonne dovrebbero essere usate per registrare il carico impiegato di settimana in
settimana per ogni serie di ciascun esercizio.
Tabella 7.1
Macrociclo di adattamento anatomico di tre settimane utilizzando una split routine per un calciatore del
settore giovanile

* Per ogni terzina di numeri in questa colonna: il primo si riferisce alla prima settimana, il secondo alla seconda
settimana e il terzo alla terza settimana.
** Per ogni terzina di numeri in questa colonna, il primo si riferisce alla durata in secondi della fase eccentrica, il secondo
alla pausa tra eccentrica e concentrica e il terzo alla durata della fase concentrica (una “X” significa “esplosiva”).

ALLENAMENTO PROPRIOCETTIVO CON LA PALLA

Come ogni cosa nell’allenamento specifico, la stability ball (nota anche come swiss ball) non è
nuova. Comparve negli anni ‘60 ed è divenuta molto popolare, specialmente nel mondo della
riabilitazione. Dagli anni ‘90 in poi si è diffusa prima nel fitness e poi anche in ambito sportivo. La
sua diffusione nel campo del fitness è comprensibile, data la varietà e la frenesia che caratterizzano
quell’ambiente.
Molti esercizi eseguiti sulla stability ball permettono di allenare la forza e la flessibilità per la parte
superiore e inferiore del corpo e, naturalmente, di rinforzare il core. Tuttavia, alcuni preparatori
fisici tendono a sovrasti mare i benefici di questi esercizi, asserendo che i miglioramenti
propriocettivi e dell’equilibrio si traducono in miglioramenti nella performance atletica. In realtà,
l’equilibrio non è un fattore limitante per la performance; questo, pertanto, non è annoverabile
nella stessa categoria delle capacità biomotorie quali la velocità, la forza e la resistenza. Infatti, il
corpo si adatterà all’ambiente instabile dello sport praticato attraverso lo stimolo fornito dalla
pratica della disciplina stessa, così come attraverso la pratica di azioni tecniche e tattiche. Alcuni
esercizi possono essere eseguiti sulla palla, ma dovrebbero limitarsi alla fase di adattamento
anatomico o alle fasi di transizione, quando l’adattamento generale ha la priorità sull’adattamento
fisiologico specifico.
Oltre a questi dettagli, gli atleti e gli allenatori dovrebbero essere consapevoli che utilizzare la
stability ball nell’allenamento della forza massima può limitarne i benefici. Infatti, la palla limita la
quantità di peso che l’atleta può sollevare, perché una parte dell’impegno nervoso è diretta a
stabilizzare il corpo, così come le articolazioni coinvolte nel movimento, riducendo in questo modo
l’attivazione delle unità motorie a contrazione rapida dei muscoli motori primari. Perciò, gli unici
esercizi consigliati con la swiss ball sono quelli mirati al rinforzo dei muscoli addominali, che
permettono all’atleta di allungarli completamente prima della fase concentrica dell’esercizio. Gli
altri gruppi muscolari, invece, possono essere allenati con altri mezzi.
La stability ball può essere utilizzata nel modo e al momento debiti. L’irradiazione spiega come tutti
i muscoli siano coinvolti in un movimento per supportarsi l’un l’altro. Il corpo umano è
estremamente plastico e ha una capacità di adattamento straordinaria nei confronti dei metodi di
allenamento classici. La cosa più importante nello sport, infine, è il fatto che un atleta ha una
prestazione migliore quando i suoi adattamenti funzionali sono specifici: in questo modo migliora
anche la propria stabilità in modo spontaneo, senza l’uso di attrezzi specifici.

Legge n°5: allenare i movimenti, non i singoli muscoli

Lo scopo dell’allenamento della forza per uno sport è utilizzare i sovraccarichi per allenare i muscoli
motori primari nei movimenti che avvengono durante il gesto specifico. Gli atleti dovrebbero evitare di
allenare i muscoli in isolamento, come avviene ad esempio nel bodybuilding. Dai suoi albori il
bodybuilding ha promosso l’allenamento dei muscoli in isolamento, un conceto che si è mostrato efficace
per generazioni. Gli esercizi di isolamento, però, non si applicano alla preparazione atletica, poiché i gesti
atletici sono nella quasi totalità movimenti multiarticolari eseguiti in un certo ordine, formando quella che
viene chiamata “catena cinetica”.
Un salto per afferrare una palla, ad esempio, impiega la seguente catena cinetica nella parte inferiore del
corpo, al fine di applicare la forza a terra necessaria per sollevare il corpo: estensione delle anche,
estensione delle ginocchia e, infine, estensione delle caviglie. Questa potente sequenza, tipica di molti
gesti atletici, è chiamata “tripla estensione”.
In accordo con il principio di specificità, specialmente nella fase di conversione (a forza specifica), la
posizione del corpo e gli angoli degli arti dovrebbero essere simili a quelli richiesti nei movimenti tecnici
della disciplina. Quando un atleta si allena in un movimento specifico, i muscoli coinvolti sono integrati e
rafforzati in modo da eseguire l’azione con maggiore potenza. Per questo motivo gli atleti non dovrebbero
far ricorso soltanto all’allenamento con i pesi, ma ampliare i mezzi e i metodi di allenamento includendo le
palle mediche, gli elastici (per gli sport acquatici o per adattare la resistenza nell’allenamento della
potenza con il bilanciere), i pesi del getto del peso, i plinti e gli ostacoli per la pliometria. Gli esercizi
eseguiti con il supporto di tali attrezzi permettono di potenziare le abilità specifiche. Il capitolo 14
fornisce ulteriori esempi di come questi attrezzi debbano essere usati per migliorare il rendimento
specifico nelle varie discipline.
© Berc/Dreamstime.com

Quello dell’accelerazione è uno schema motorio complesso. Gli estensori di ginocchia e anche, e i flessori
plantari spingono il corpo in concerto con un’azione vigorosa della muscolatura degli arti superiori

Gli esercizi multiarticolari come lo squat, lo stacco, la panca piana, il lento avanti, le trazioni, le alzate
olimpiche, così come i lanci e i salti, sono stati impiegati nell’allenamento sportivo da quando si è iniziato
a usarli nei primi anni ‘30 in atletica leggera, prima dei Giochi Olimpici del 1936. La maggior parte degli
atleti segue ancora questa tradizione. Tali esercizi sono fondamentali per l’efficacia dell’allenamento della
forza. Alcuni esercizi di isolamento (chiamati anche “accessori”) possono però essere impiegati per
migliorare la trofìa di una serie di gruppi muscolari il cui sviluppo è in ritardo, per incrementare l’apporto
di sangue (necessario per la salute dei tendini) e per sostenere il contenuto proteico dei muscoli motori
primari durante i periodi in cui si utilizzano basse ripetizioni.
In ultima analisi, non bisogna chiedersi “dov’è l’esercizio per i bicipiti all’interno di questo programma”.
Piuttosto è necessario domandarsi se la flessione del gomito è parte del gesto specifico richiesto nello
sport in esame e, se così è, con quale altro movimento è integrata.

Legge n°6 non concentratevi su ciò che è nuovo, ma su ciò che è necessario

Negli ultimi anni il mercato dello sport e del fitness in nord America è stato invaso da molti prodotti che si
suppone servano a migliorare la prestazione atletica. Spesso, però, non è così. Infatti, la conoscenza della
biomeccanica e della fisiologia dell’esercizio rivela che molti prodotti promossi a tale scopo possono avere
l’effetto contrario. Due metodi che hanno catturato l’attenzione di allenatori, preparatori e atleti sono
l’allenamento sulle superfici instabili e l’overspeed. L’allenamento sulle superfici instabili è sicuro perché
non prevede né permette l’utilizzo di grossi sovracccarichi, ma è anche abusato nel campo
dell’allenamento sportivo. L’overspeed, invece, assieme ad altri attrezzi utilizzati al fine di migliorare
velocità e potenza, altera la tecnica di corsa dell’atleta e ne diminuisce il tasso di espressione della forza.

In molti casi, il mezzo promozionale prediletto per queste nuove idee è il seminario. Il relatore spesso
mostra nuovi esercizi e promette miglioramenti miracolosi. Non molto spesso, però, il relatore affronta il
tema degli adattamenti neuromuscolari, che sono il nocciolo del miglioramento della prestazione atletica e
che dovrebbero essere il fondamento di ogni programma d’allenamento sport-specifico.

Certamente, è importante conoscere un vasto numero di esercizi; però un esercizio è essenziale solo se
coinvolge i muscoli motori primari utilizzati nei gesti atletici specifici, né più, né meno. Non fa alcuna
differenza, ad esempio, se un atleta fa le distensioni su una panca o su una swiss ball. È molto più
importante che la fase concentrica sia eseguita con la maggiore esplosività possibile. All’inizio del
movimento vengono reclutate le unità motorie a contrazione rapida per superare l’inerzia del carico del
bilanciere. Come l’atleta continua a spingere il bilanciere verso l’alto, dovrebbe cercare di generare la
maggiore accelerazione possibile. In questo modo la frequenza di scarica incrementa. Nel caso di un
esercizio balistico, la massima velocità viene raggiunta proprio alla fine dell’azione, prima del rilascio
dell’attrezzo o della proiezione del corpo dell’atleta.

Allo stesso modo, se è necessario raggiungere un alto livello di forza degli arti inferiori, un atleta
dovrebbe fare squat, squat e squat. L’idea è creare il più alto livello di forza e di adattamento: in altre
parole, fare ciò che è necessario. Incrementare la varietà dell’allenamento utilizzando esercizi diversi può
andar bene, purché i muscoli motori primari lavorino in modo specifico.

Legge n°7: periodizzare la forza nel lungo termine

Anziché concentrarsi nei guadagni immediati di forza massimale, i preparatori atletici dovrebbero
pianificare la progressione dell’allenamento della forza in modo da massimizzare il potenziale motorio
dell’atleta a lungo termine. Questo si traduce nel fatto di non utilizzare immediatamente sovraccarichi
elevati, soprattutto in esercizi tecnicamente complessi non pienamente acquisiti. Come detto nel capitolo
2, la base per il miglioramento della forza generale nel lungo termine dovrebbe essere costituita
dall’allenamento della coordinazione intermuscolare: un lavoro tecnico ed esplosivo con pesi da leggeri a
submassimali, mai a esaurimento, pianificato al termine della fase di adattamento anatomico o di quella
per l’ipertrofia quando presente.
Diversamente, l’allenamento sulla coordinazione intramuscolare, con pesi submassimali e massimali,
ancora possibilmente non a esaurimento, a meno che non si desiderino dei guadagni in forza assoluta,
aiuta a raggiungere il picco di forza massimale, ma non può essere impiegato per lunghi periodi (non più
di sei settimane consecutivamente).
La forza specifica, che sia potenza, potenza resistente o resistenza muscolare, può essere massimizzata
soltanto sulla base di una precedente fase di forza massima ben pianificata. Questo concetto si applica sia
al piano annuale, sia al piano pluriennale. La tabella 7.2 mostra un esempio di sequenza di macrocicli per
lo sviluppo della coordinazione intermuscolare e della coordinazione intramuscolare per l’incremento
della forza massima all’interno del piano annuale; essi sono pianificati prima dei macrocicli di forza
specifica (potenza). La tabella 7.3 mostra la progressione del lavoro di forza di un atleta principiante per
un periodo di quattro anni.

Tabella 7.2
Progressione dell’allenamento della forza nel piano annuale per uno sport individuale, per il quale la
potenza rappresenta l’espressione di forza specifica

Legenda: AA = adattamento anatomico, M×S (coordinazione intermuscolare) = forza massima (con carichi dal 70 all’80%
dell’1RM), M×S (coordinazione intramuscolare) = forza massima (con carichi dall’85 al 90% dell’1RM), P = potenza, 3+1
= struttura del macrociclo con 3 settimane di carico e 1 settimana di scarico, 2+1 = struttura del macrociclo con 2
settimane di carico e 1 settimana di scarico.
Tabella 7.3
Distribuzione e progressione dell’allenamento della forza in un piano pluriennale

Legenda: AA = adattamento anatomico, M×S = forza massima (coordinazione intermuscolare con carichi dal 70 all’80%
dell’1RM o coordinazione intramuscolare con carichi dall’80 al 90% dell’1RM).

7.2 I PRINCIPI DELL’ALLENAMENTO DELLA FORZA

Lo scopo di qualsiasi programma di allenamento della forza è produrre un incremento continuo della
capacità fisica dell’atleta. I principi dell’allenamento della forza forniscono le linee guida su come
individualizzare il programma d’allenamento in base alle caratteristiche dell’atleta e della disciplina
sportiva che egli pratica. Per questo motivo qualsiasi programma dovrebbe essere progettato in accordo
con questi principi.

Principio dell’incremento progressivo del carico

Secondo la mitologia greca, la prima persona che applicò il principio dell’aumento progressivo del carico
fu Milone di Crotone. Per diventare l’uomo più forte al mondo, fin da ragazzo Milone si caricò sulle spalle
un vitello. Man mano che il vitello cresceva, Milone diventava più forte; quando il vitello divenne un toro
adulto, Milone era l’uomo più forte al mondo, secondo il principio della progressione del carico a lungo
termine.

Detto in termini più scientifici, l’allenamento stimola progressivamente gli adattamenti strutturali e
funzionali del corpo dell’atleta, incrementandone il potenziale motorio e, di conseguenza, la prestazione.
L’organismo reagisce fisiologicamente e psicologicamente all’incremento del carico di lavoro (cioè alla
sommatoria del volume e dell’intensità di tutti gli stimoli allenanti). Analogamente, le funzioni e le
reazioni nervose, la coordinazione neuromuscolare e la capacità psicologica per far fronte allo stress
vengono acquisite altrettanto gradualmente.

L’intero processo richiede tempo e una competente direzione tecnica. Come detto nel capitolo 6, alcuni
allenatori impiegano un carico di lavoro sempre uguale durante tutto l’anno, metodo definito “del carico
standard”. Questo approccio può causare un decremento della prestazione verso la parte finale della fase
competitiva, poiché le basi fisiologiche della prestazione sono ridotte (figura 7.1). Adattamenti positivi e,
di conseguenza, prestazioni superiori, sono possibili soltanto applicando costanti variazioni del carico.

Un altro approccio tradizionale nell’allenamento della forza applica il principio del “sovraccarico
continuo”. I primi sostenitori di questo principio asserivano che la forza e l’ipertrofia sarebbero
aumentate soltanto se i muscoli avessero sostenuto più ripetizioni con carichi di lavoro più elevati di quelli
normalmente utilizzati (Lange 1919; Hellebrand & Houtz 1956). I sostenitori contemporanei di questa
teoria, invece, asseriscono che è il carico a dover essere aumentato ogni volta, per tutta la durata del
programma (Fox, Bowes e Foss, 1989). Quindi, la curva del carico di lavoro dovrebbe incrementare
costantemente (figura 7.2).

Figura 7.1
Un carico standard consente il realizzararsi di miglioramenti soltanto nella prima parte del piano annuale
Figura 7.2
Incrementi di carico continui in accordo con il principio del sovraccarico

Adattato da Phys Ther Rev 1956; 36(6): 371-383. Copyright © 1956 American Physucak Therapy Association.

I sostenitori del sovraccarico continuo suggeriscono due strade per incrementare la forza:
1. carichi massimali a esaurimento per incrementare direttamente la forza;
2. carichi submassimali a esaurimento per incrementare l’ipertrofia. Quest’ultimo approccio è
popolare tra i bodybuilder, ma è assolutamente inadatto alla preparazione atletica.

Non ci si può aspettare che gli atleti sollevino pesi fino all’esaurimento ogni volta che si allenano in
palestra. Questo è particolarmente vero a partire dalla fase di preparazione specifica in poi, quando la
maggior parte delle energie degli atleti deve essere dedicata alle attività specifiche e l’organismo deve
recuperare al meglio per eseguire le esercitazioni in modo ottimale. Una tale tensione psicologica e
fisiologica determinerebbe infatti rigidità muscolare, peggioramento della tecnica e affaticamento
generale e incrementerebbe il rischio di infortuni e di overtraining.

Per essere veramente efficace, un allenamento della forza applicato allo sport dovrebbe seguire il
concetto di periodizzazione, secondo il quale vengono fissati degli obiettivi per ogni fase, in modo da
condurre l’atleta al massimo della forma in corrispondenza delle gare annuali più importanti o, nel caso di
lunghi periodi competitivi, in modo da fargli ottenere la migliore prestazione possibile per l’intera durata
del campionato. Per raggiungere questi obiettivi un approccio più efficace è quello del “carico a gradini”
(figura 7.3).

La capacità dell’atleta di tollerare carichi di lavoro migliora come risultato dell’adattamento alle
sollecitazioni prodotte dall’allenamento della forza (Councilman 1968, Harre 1982). Il metodo a gradini
richiede un aumento graduale delle richieste del carico, seguito da uno scarico durante il quale il corpo si
adatta, si rigenera e si prepara a un successivo ulteriore incremento.
Figura 7.3
Illustrazione di un macrociclo nel quale ogni colonna rappresenta il carico settimanale, che aumenta a
gradini

La frequenza di questi microcicli di scarico è determinata dai bisogni individuali di ogni atleta, dal suo
tasso di adattamento e dal calendario competitivo. Gli aumenti del carico di allenamento sono determinati
dal tasso di miglioramento dell’atleta; più in generale, però, gli incrementi di intensità tra i gradini
(settimane) di un macrociclo sono normalmente pari al 2-5%. Un incremento repentino potrebbe superare
la capacità di adattamento dell’atleta e, quindi, influenzare negativamente il suo equilibrio fisiologico.
L’approccio a gradini non implica necessariamente un incremento lineare del carico per ogni sessione.
Inoltre, una singola sessione di allenamento non è sufficiente per produrre degli adattamenti apprezzabili
nell’organismo. Per ottenere un adattamento, uno stesso esercizio deve essere ripetuto più volte durante
la settimana, ma con intensità diverse, seguite da un incremento nella settimana successiva.

Nella figura 7.3 ciascuna linea orizzontale rappresenta una settimana, o microciclo di allenamento.
Ipotizziamo che il carico sia applicato nella giornata di lunedì. Questo carico affatica l’organismo, ma
entro le capacità dell’atleta. L’organismo ha recuperato al mercoledì e si adatta al carico nei due giorni
successivi, cosicché al venerdì l’atleta si sentirà più forte e in grado di sollevare un carico ancora
maggiore. Quindi, la fatica è seguita dall’adattamento e con esso da un rimbalzo che rappresenta il
miglioramento fisiologico. Questo nuovo livello può essere definito un nuovo limite di adattamento. Il
lunedì successivo l’atleta è fisiologicamente e psicologicamente a suo agio. Questo processo spiega le
ragioni per le quali è possibile incrementare il carico di allenamento della forza in maniera lineare
durante il microciclo (se i parametri all’inizio del macrociclo erano al di sotto delle potenzialità del
soggetto) o in forma ondulata (elevato al lunedì, leggero al mercoledì e medio-alto al venerdì).

Il terzo gradino nella figura 7.3 è seguito da uno più basso, il microciclo di scarico. Una riduzione
generale dell’impegno fisico permette all’organismo di rigenerarsi e adattarsi pienamente agli stimoli
dell’allenamento. Durante la settimana di scarico l’atleta recupera quasi completamente dalla fatica
accumulata nelle prime tre, ricarica le riserve di energia e si rilassa psicologicamente. Il corpo accumula
così nuove energie in previsione di ulteriori aumenti del carico di lavoro. Normalmente la prestazione
migliora dopo lo scarico, per cui i test di valutazione vengono eseguiti alla fine di questa settimana.

Più breve è il macrociclo (ad esempio, una struttura 2+1, che prevede due settimane di carico seguite da
una di scarico), minore sarà l’incremento di volume e/o intensità rispetto al carico iniziale. Perciò, un
macrociclo più lungo può permettere un incremento maggiore, anche se generalmente inizia a
un’intensità inferiore. I macrocicli più lunghi (3+1 o addirittura 4+1 settimane) sono impiegati nella fase
di preparazione generale, quando l’intensità all’inizio del macrociclo è bassa, mentre quelli più brevi dalla
fase di preparazione specifica in poi, all’intensificarsi dell’allenamento.

È più difficile, infatti, sostenere un incremento prolungato dell’intensità quando questa è già alta all’inizio
del macrociclo. Sebbene il carico aumenti a scalini, la curva che descrive l’andamento annuale ha una
forma ondulatoria che rappresenta il continuo incremento e decremento per stimolare e realizzare gli
adattamenti (figura 7.4).
Figura 7.4
La curva del carico d’allenamento è ondulatoria, mentre il grado d’allenamento (preparedness) aumenta e
la forma atletica (readiness) ondula in senso opposto al carico. All’avvicinarsi della fase competitiva la
linea della forma atletica si avvicina sempre di più alla linea del grado d’allenamento, a indicare la
prontezza dell’atleta a esprimere il potenziale motorio sviluppato fino a quel momento

Sebbene questo metodo sia applicabile per ogni atleta e a ogni sport, sono possibili due varianti: gradini
inversi e ”flat”. Questi due metodi devono essere applicati con discrezione. Con i gradini inversi (figura
7.5) il carico decresce anziché incrementare tra un microciclo e l’altro. Alcuni sollevatori di peso
dell’Europa dell’Est ritengono che questa forma di progressione (pianificare i carichi più alti
immediatamente dopo il microciclo di scarico) sia più efficace per il loro sport dal punto di vista
fisiologico.

Il metodo a gradini inversi è in uso nel sollevamento pesi sin dalla fine degli anni 60, ma non è stato
utilizzato in nessun altro sport. La ragione è molto semplice: l’obiettivo dell’allenamento della forza per lo
sport è un adattamento progressivo e aumentando in maniera graduale le capacità di un atleta anche la
prestazione specifica migliora. Questo metodo dovrebbe essere usato solo durante il ciclo di picco
precedente una competizione, come sistema di tapering (capitolo 15).
I miglioramenti nella resistenza sono raggiunti molto meglio con i macrocicli a gradini, dato che il fattore
principale è rappresentato dal volume, che può essere aumentato per step durante tutto l’anno.

Figura 7.5
La struttura del macrociclo “a gradini inversi” utilizzata da alcune scuole di sollevamento pesi

Lo schema “flat” (figura 7.6), invece, è appropriato per gli atleti avanzati con un solido background di
allenamento della forza, per quelli che non tollerano un’esposizione prolungata all’alta intensità e,
generalmente, negli sport di potenza durante la fase di preparazione specifica. Questo schema prevede la
realizzazione di due microcicli di carico elevato, perlopiù dello stesso livello, seguiti da una settimana di
recupero con carico ridotto (tre microcicli consecutivi di carico alto non sono raccomandabili, dato
l’elevato livello di fatica accumulata). I due microcicli devono prevedere un alto livello di sollecitazione di
uno o più elementi: tecnica, tattica, forza, velocità, resistenza. Nella pianificazione del microciclo di
scarico tutti gli elementi devono prevedere un carico basso per facilitare il recupero e il rilassamento.

Figura 7.6
Lo schema di carico “flat” è solitamente impiegato durante la preparazione specifica e la fase competitiva
negli sport di potenza

Le dinamiche dello schema di carico per un atleta ben allenato sono stabilite in funzione della fase di
allenamento e del tipo di adattamenti desiderati. Durante la prima parte della fase preparatoria, il metodo
a gradini prevale in tutti gli sport, poiché assicura una progressione migliore (figura 7.7). Lo schema di
carico “flat” è, invece, più adatto per la tarda fase preparatoria, specialmente per gli sport di potenza e
per gli atleti che competono a livello nazionale e internazionale. Lo schema di carico a gradini resta
comunque il preferito per gli sport di resistenza, nei quali lo sviluppo dell’“endurance” (cardiorespiratoria
e muscolare) è particolarmente adatto ad aumenti di carico progressivi e di lunga durata

Figura 7.7
Esempio di progressione dello schema di carico durante la fase preparatoria. Lo schema a gradini è
utilizzato nella prima parte della fase preparatoria, nella quale volume e intensità sono incrementati
progressivamente. Dopo le prime cinque-sei settimane, viene impiegato lo schema “flat” per fare in modo
che l’allenamento sia più intenso e risulti negli adattamenti specifici necessari per il miglioramento della
prestazione
DEFINIZIONE E APPROFONDIMENTO DELLA PROGRESSIONE DEL CARICO
NELL’ALLENAMENTO DELLA FORZA

Il sovraccarico progressivo è la modalità d’elezione per indurre gli adattamenti morfo-funzionali


attraverso un costante incremento nel tempo dello stress muscolare, metabolico e neurale. Ci sono
molti modi per aumentare in modo razionale il carico di lavoro e, quindi, per indurre gli adattamenti
ricercati, come più elevati livelli di ipertrofia, di resistenza muscolare, di forza massima o di
potenza. Per comprendere queste opzioni, è necessario analizzare le variabili del carico e come
queste influiscano sull’effetto di allenamento complessivo.
Nel caso dell’allenamento della forza, i parametri sono illustrati nella figura 7.8.
Durante un macrociclo, uno o più parametri vengono manipolati in base agli effetti (adattamenti)
che si vogliono indurre. I parametri sono descritti in dettaglio nei paragrafi seguenti.
Figura 7.8
Parametri dell’allenamento di forza

Ripetizioni
Il numero di ripetizioni per serie è strettamente legato alla percentuale del massimale (1RM) usata
e al differenziale (buffer) tra il numero programmato (in una serie) e le ripetizioni che potrebbero
essere eseguite a esaurimento, per quella percentuale di 1RM.

Se si prende ad esempio un’intensità del 90%, con la quale un atleta di potenza normalmente
esegue 3 ripetizioni a esaurimento, si potranno fare serie da 3 a esaurimento (buffer 0) per
aumentare la forza assoluta (con recuperi brevi) o la forza relativa (con recuperi lunghi), serie da 2
(il carico a esaurimento per 2 ripetizioni è il 95%, poiché si effettuano 2 ripetizioni con il 90%, e il
differenziale corrisponde al 5%) per aumentare la forza relativa, o serie da 1 (100-90= 10% di
buffer) per aumentare la forza massima o allenare la potenza con carichi alti. Nella tabella 7.4 è
mostrato come, data una percentuale di 1RM, il buffer influenzi l’effetto dell’allenamento.

In un macrociclo, è possibile incrementare le ripetizioni per migliorare la resistenza (più volume),


mantenere lo stesso numero di ripetizioni cambiando altri parametri o ridurre il numero di
ripetizioni per aumentare l’intensità (percentuale di 1RM) o scaricare il volume, mantenendo o
riducendo leggermente l’intensità (nel microciclo di scarico o nei microcicli di taper), per ridurre la
fatica residua e incrementare la prontezza alla prestazione. In questi due ultimi casi, si scarica
aumentando il buffer.

Durante un macrociclo è possibile diminuire il buffer mantenendo lo stesso numero di ripetizioni. In


questo modo l’allenamento sarà sempre più impegnativo, mantenendo lo stesso numero di serie e di
ripetizioni (un metodo molto usato dai powerlifter, ma utilizzabile anche in altri sport). È possibile
anche mantenere il buffer aumentando o diminuendo uno degli altri parametri. Di solito non si
incrementa il buffer durante il macrociclo, a meno che non si stia passando dal macrociclo di
sviluppo della forza massima a un macrociclo di mantenimento, oppure a un macrociclo di potenza.

Le due opzioni più applicate durante un macrociclo, quindi, sono il mantenimento del buffer con
l’incremento dell’intensità (diminuendo le ripetizioni per serie) o la riduzione del buffer
(mantenendo le ripetizioni per serie).
Un buffer elevato permette di eseguire le ripetizioni con una tecnica migliore e, poiché il carico non
è estremamente sollecitante, la fase concentrica può essere più esplosiva, mentre la fatica residua
sarà minore.
Le serie con buffer elevato, quindi, sono utilizzate per migliorare la coordinazione intermuscolare,
per lo sviluppo della potenza e nei microcicli di scarico (tabella 7.4). Un buffer pari a 0 significa
eseguire una serie a esaurimento, modalità tipica per lo sviluppo dell’ipertrofia o della forza
assoluta. Eseguire 1-3 ripetizioni per serie a esaurimento o quasi (5% di buffer) induce guadagni di
forza relativa, ossia un incremento della forza senza un aumento del peso corporeo.

Eseguire serie a esaurimento o quasi con un tempo sotto tensione per serie leggermente maggiore,
eseguendo da 3 a 6 ripetizioni, induce guadagni di forza assoluta, ossia incrementi di forza
accompagnati anche da aumenti del peso corporeo (dimensione dei muscoli). Eseguire serie da 1
fino a 3 ripetizioni con un buffer del 10-20% permette di aumentare la forza relativa e la potenza
(metodo definito a volte come “metodo per la forza esplosiva”). Si ritiene che i termini quali “forza
esplosiva” e “forza rapida” dovrebbero essere sostituiti da allenamento della potenza con carichi
elevati e allenamento della potenza con carichi ridotti, poiché in fisica si parla di potenza e non di
aggettivi per descrivere la forza.

Serie
In tutto il macrociclo è possibile aumentare il numero di serie per accrescere la capacità di lavoro e
la resistenza muscolare (maggior volume). È possibile anche mantenere lo stesso numero di serie e
incrementare uno degli altri parametri, oppure decrementare il numero di serie per scaricare o per
raggiungere il picco di prestazione. Il numero di serie (volume) per sessione è la variabile che più di
tutte le altre influisce sulla fatica residua accumulata con l’allenamento.

Tempo
Concetto introdotto a metà degli anni ‘90 dal preparatore atletico australiano Ian King, il “tempo”
rappresenta la durata di una ripetizione completa; esso influisce, quindi, sulla durata della serie. A
loro volta, sia la durata della singola ripetizione, sia la durata di una serie (descritta anche come
tempo sotto tensione di una serie, Time Under Tension), influenzano direttamente l’effetto allenante
complessivo. Per questo motivo, una volta definiti l’effetto allenante desiderato, il “tempo”
corrispondente e la durata della serie, è consigliabile mantenere stabili questi parametri per tutto il
macrociclo (per un approfondimento, si vedano le tabelle 8.9, 8.10 e 8.11). Cambiando questi
parametri – per esempio, eseguendo una ripetizione più velocemente – si potrebbe avere l’illusione
di un miglioramento, quando in realtà è l’effetto dell’allenamento a essere variato. Il “tempo” viene
indicato con tre o quattro numeri. Il primo indica la durata in secondi della fase eccentrica; il
secondo la pausa tra la fase eccentrica e la fase concentrica; il terzo numero indica la durata della
fase concentrica (la X indica la massima accelerazione/esplosività); il quarto numero la pausa tra la
fase concentrica e la fase eccentrica. 3.1.X.0 riferito a uno squat indica, ad esempio, una discesa in
tre secondi, seguita da una pausa di un secondo, seguita a sua volta da una salita esplosiva e senza
alcuna pausa prima di scendere nuovamente.

Tempo di recupero
Come il “tempo” e la durata della serie, il tempo di recupero influenza direttamente l’effetto finale
di una seduta. L’intervallo di recupero viene aumentato se il macrociclo prevede un decremento
delle ripetizioni e un incremento dell’intensità (percentuale di 1RM). È possibile ridurre il tempo di
recupero per aumentare la resistenza (maggiore densità del lavoro). Oppure, è possibile mantenere
la stessa pausa, cambiando una o più delle altre variabili. Quando si eseguono le “serie di serie” per
l’allenamento della potenza resistente o della resistenza muscolare, ridurre il tempo di recupero tra
le serie (mantenendo costante l’espressione di potenza) permette di incrementare la densità, che
poi si traduce in un’espressione media di potenza più alta per una durata maggiore. È importante
prestare attenzione alla tecnica, che non dovrebbe mai essere compromessa a favore di
miglioramenti illusori. Come ha detto Paul Check, cambiare la tecnica solo per eseguire più
ripetizioni o per completarne una pesante equivale a eseguire “la superserie più veloce del mondo”:
un’azione a rischio di infortuni e ingannevole.

Per un esempio di progressione dei suddetti parametri, è possibile fare riferimento al programma di
allenamento per un calciatore del settore giovanile descritto nella tabella 7.4.
Tabella 7.4
La relazione tra carico (percentuale di 1RM), ripetizioni, buffer ed effetto allenante

Principio della varietà

L’allenamento moderno richiede che l’atleta si alleni molte ore. Talvolta sia il volume, sia l’intensità
aumentano di anno in anno e gli esercizi sono ripetuti numerose volte. Per raggiungere un alto livello di
prestazione, qualsiasi atleta che prenda sul serio l’allenamento deve dedicare da due a quattro ore ogni
settimana all’allenamento della forza, in aggiunta all’allenamento tecnico, tattico e dei sistemi energetici.

Date queste condizioni, la noia e la monotonia possono divenire ostacoli per la motivazione e il
miglioramento. Il miglior modo per superarli è incorporare delle variazioni nelle routine di allenamento.
La varietà migliora la risposta all’allenamento e influisce positivamente sul benessere psicologico
dell’atleta. Per applicare efficacemente il principio di varietà, però, gli allenatori e i preparatori devono
conoscere bene l’allenamento della forza. Un preparatore atletico non dovrebbe, infatti, applicare la
varietà fine a se stessa. Il concetto di periodizzazione della forza include naturalmente delle variazioni
razionali dei metodi e dei mezzi di allenamento per tuta la durata del piano annuale, al fine di stimolare i
migliori adattamenti neuromuscolari.

Le seguenti linee guida aiuteranno a progettare dei programmi di allenamento della forza con variazioni
logiche durante il corso del piano annuale.
◊ Progredire da movimenti a range articolare completo, nella fase di preparazione generale, a
movimenti nel range articolare sport-specifico, durante la fase avanzata della preparazione
specifica e durante la fase competitiva. Bisogna tenere a mente il fatto che gli esercizi a range
articolare completo producono una tensione muscolare maggiore rispetto alle varianti con range
parziale; quindi, un basso volume di tali esercizi dovrebbe essere sempre impiegato per mantenere
la forza massima (Bloomquist et al. 2013, Hartmann et al. 2012, Bazyler et al 2014).
◊ Variare i mezzi usando un maggior numero di esercizi unilaterali o che impiegano manubri durante i
macrocicli di adattamento anatomico e di compensazione.
◊ Variare il carico usando il principio dell’incremento progressivo.
◊ Variare il tipo e la velocità delle contrazioni muscolari. Lo schema usuale va da eccentriche lente
(da tre a cinque secondi) e concentriche controllate (da uno a due secondi) nell’adattamento
anatomico, a eccentriche lente e concentriche veloci (un secondo o meno) nei macrocicli di
ipertrofia e forza massima, a eccentriche veloci e concentriche esplosive nei macrocicli di potenza,
di potenza resistente e di resistenza muscolare di breve durata.
◊ Variare il metodo. È necessario progredire da esercizi a corpo libero, con i manubri e con le
macchine durante i macrocicli di adattamento anatomico e ipertrofia, all’utilizzo quasi esclusivo
dei bilancieri nei macrocicli per la forza massima, la conversione a forza specifica e il
mantenimento.

La varietà nella scelta degli esercizi mantiene l’atleta motivato e stimola nuovi adattamenti. Si possono,
tuttavia, creare dei problemi quando il preparatore fisico o l’atleta sostituiscono un esercizio o cambiano
un metodo solamente con il fine di fare qualcosa di nuovo. Il principio della varietà dovrebbe essere usato
solamente se il cambiamento o la sostituzione mantiene l’atleta sulla via del miglioramento.
Inoltre, quando gli atleti raggiungono un certo livello di prestazione e di forma fisica, certi esercizi non
dovrebbero mai essere eliminati dal loro programma. Il preparatore può modificare il carico o impiegare
un metodo diverso, ma deve continuare a usare gli esercizi che sollecitano al meglio la catena cinetica
utilizzata nello sport o che permettono di raggiungere la soglia di stimolo necessaria per il massimo
miglioramento. Per esempio, sebbene la leg press sia un esercizio efficace per lo sviluppo della
muscolatura delle gambe, non richiede lo stesso impegno neuromuscolare dello squat. Infatti, lo squat è
probabilmente uno dei migliori esercizi per lo sviluppo della forza massima per la parte inferiore del corpo
e non dovrebbe mai essere sostuito solo per evitare la noia.

Gli allenatori e gli atleti dovrebbero ricordare anche che l’allenamento sportivo è diverso dall’allenamento
per il fitness e che le idee che funzionano nel fitness non sempre funzionano nell’allenamento sportivo.
Per esempio, molti preparatori della forza dicono che gli esercizi dovrebbero essere cambiati ogni
settimana. Questo approccio, che può essere efficace quando si allenano clienti di personal training che
richiedono una varietà costante per mantenere la propria motivazione, non è appropriato per gli atleti.
Cambiare gli esercizi per la forza nella preparazione per un determinato sport può essere un’opzione
solamente se i nuovi esercizi stimolano anch’essi i muscoli motori primari. Inoltre, introdurre nuovi
esercizi (o un nuovo metodo d’allenamento) causa rigidità e dolori muscolari, che a loro volta producono
una transitoria riduzione della prestazione (da due a sete giorni) nell’allenamento tecnico-tattico specifico.
Bisogna pianificare l’allenamento, quindi, tenendo a mente questa eventualità.
Poiché l’adattamento è un requisito fisiologico per il miglioramento atletico, lo stesso tipo di allenamento
deve essere ripetuto e gli stessi gruppi muscolari devono essere sollecitati più volte per produrre il
massimo adattamento possibile. Senza un costante incremento dell’adattamento dei sistemi corporei, gli
atleti non possono esperire un miglioramento della loro prestazione. È pur vero, in ogni caso, che ripetere
lo stesso tipo di esercizi di settimana in settimana è molto noioso. Ma allo stesso modo lo è il ripetere i
gesti tecnici della corsa, del nuoto, del ciclismo e del canottaggio, solo per citarne alcuni. Nonostante ciò
nessuno suggerisce ai corridori, ai nuotatori, ai ciclisti e ai canottieri di alterare l’allenamento dei propri
gesti tecnici specifici perché è noioso. I preparatori atletici, quindi, dovrebbero scegliere un certo numero
di esercizi che condividano lo stesso scopo funzionale ma che, allo stesso tempo, aggiungano varietà
all’allenamento. In questo modo possono rendere più interessante il programma di lavoro, senza perdere
di vista l’obiettivo principale: il livello di adattamento fisiologico dell’atleta.

Principio dell’individualizzazione

L’allenamento moderno richiede un’analisi sul piano individuale. Ciascun atleta dovrebbe essere allenato a
seconda delle proprie capacità individuali, del proprio potenziale e della propria esperienza
nell’allenamento della forza. Spesso gli allenatori seguono i programmi di allenamento degli atleti di
successo trascurando i bisogni, l’esperienza e le capacità del loro atleti. La situazione peggiora
ulteriormente se tali programmi vengono incorporati nell’allenamento di atleti giovani: questi ultimi,
infatti, non sono pronti né fisicamente, né psicologicamente per questo tipo di approccio.

Prima di progettare un programma di allenamento, il preparatore fisico dovrebbe sempre testare un


atleta. Soggetti che raggiungono le stesse prestazioni non hanno necessariamente la stessa capacità di
lavoro. La capacità di lavoro individuale è determinata, infatti, da fattori biologici e psicologici, che
devono quindi essere presi in seria considerazione per determinare la quantità di lavoro (volume), la sua
intensità e il tipo di allenamento della forza da proporre a un atleta. Essa è influenzata anche
dall’esperienza di allenamento. Il carico di lavoro dovrebbe basarsi, quindi, sulle esperienze passate.
Anche quando gli atleti mostrano miglioramenti sostanziali, i preparatori dovrebbero comunque fare
attenzione al carico di lavoro da utilizzare. Quando si inseriscono nello stesso gruppo di allenamento atleti
con vissuti ed esperienze diverse, dovrebbero essere sempre prese in considerazione le caratteristiche e
le potenzialità di ciascun soggetto.

Un altro fattore da analizzare nella stesura di un programma d’allenamento è la capacità di recupero di un


atleta. Nel valutare e pianificare il contenuto e l’impegno dell’allenamento, sarà necessario considerare
anche le altre attività che eventualmente egli realizza, il suo stile di vita e i suoi coinvolgimenti emotivi. La
capacità di recupero, infatti, può essere influenzata anche dagli impegni scolastici o da altre attività.
Come aiuto per monitorare lo stato di recupero dell’atleta, i preparatori possono usare, per esempio, uno
strumento per il controllo della variabilità cardiaca.
Anche le differenze tra sessi hanno la loro importanza. Generalmente la forza nelle donne è pari al 63,5%
di quella degli uomini. La forza della parte superiore del corpo in un’atleta di sesso femminile è in media
pari al 55,8% di quella maschile. Per la parte inferiore del corpo, invece, la differenza è minore:
mediamente la forza della donna in questa zona del corpo equivale al 71,9% di quella maschile (Launach
1976). Le donne tendono ad avere una minore ipertrofia e una capacità di lavoro più bassa rispetto agli
uomini, soprattutto perché il livello del loro testosterone è fino a 20 volte inferiore (Wright 1980). Le
atlete possono seguire lo stesso programma di allenamento degli uomini senza preoccuparsi di sviluppare
eccessivamente i muscoli. Possono persino applicare lo stesso schema di carico e usare gli stessi metodi di
allenamento degli uomini senza preoccupazioni, ad eccezione del monitoraggio del loro stato di recupero.

Uno studio ha indagato la differenza in termini di guadagni della forza forza e dell’ipertrofia tra i sessi a
seguito di un programma d’allenamento con i pesi. Sia per gli uomini, sia per le donne, 12 settimane di
allenamento con i pesi per tutto il corpo hanno portato a una maggiore ipertrofia per la parte superiore
del corpo rispetto a quella inferiore; il programma ha anche prodoto dei guadagni di forza e di ipertrofia
con un decorso e con proporzioni simili fra gli uomini e le donne (Eversten et al. 1999). In altre parole
l’allenamento della forza è vantaggioso per le donne quanto per gli uomini. Infatti i guadagni di forza per
le donne avvengono alla stessa velocità che per gli uomini (Wilmore at al. 1978).

L’allenamento della forza per le donne dovrebbe essere costante e sistematico, programmato
rigorosamente e senza interruzioni prolungate. L’allenamento pliometrico dovrà essere svolto con una
progressione conservativa e su di un lungo periodo perché si abbiano gli adattamenti efficaci. Poiché le
donne sono fisicamente più deboli degli uomini, un allenamento della forza efficace può produrre
miglioramenti della prestazione atletica maggiormente visibili (Lephart et al. 2002). Inoltre, l’allenamento
pliometrico favorisce una maggiore capacità di espressione della potenza. Per quanto riguarda
l’allenamento dei sistemi energetici, le donne possono usare gli stessi metodi di allenamento degli uomini.

Una delle questioni più importanti riguardanti la differenza fra i sessi nello sport è relativa agli infortuni.
Le atlete spesso hanno una maggiore incidenza di infortuni alla parte inferiore del corpo, in particolare
all’articolazione del ginocchio. Sono stati compiuti diversi studi per spiegare questo fato dal punto di vista
fisiologico e anatomico. Per esempio, con un’analisi cinematica ed elettromiografica dello squat
monopodalico, è stato riscontrato in un gruppo di atlete universitarie una flessione laterale del tronco e
una flessione dorsale della caviglia inferiori rispetto ai maschi, una pronazione della caviglia,
un’adduzione dell’anca, una flessione e una rotazione esterna dell’anca superiori rispetto alla loro
controparte maschile (Zeller et al. 2003). Inoltre, le atlete che eseguono esercizi di salto e di agilità
mostrano una stiffness a protezione dell’articolazione del ginocchio inferiore rispetto ai maschi (Wojtys et
al. 2003). Le ragazze presentano un valgismo del ginocchio maggiore, un elemento che causa stress
all’articolazione e che può lesionare il legamento crociato anteriore.

Sebbene una pianificazione specifica in funzione del genere non sia propriamente richiesta, queste
differenze indicano che con le atlete si deve dedicare del tempo al miglioramento della forza massima, in
particolare a livello della parte inferiore del corpo. Più specificamente, l’obiettivo di un aumento della
forza dei quadricipiti e degli ischiocrurali al termine della prima fase preparatoria può preparare le atlete
alla realizzazione degli esercizi sport-specifici e per l’allenamento della potenza, che causano maggiore
stress all’articolazione del ginocchio e che possono determinare l’infortunio.

Il principio della specificità

L’allenamento, per essere efficace e raggiungere adattamenti maggiori, dovrebbe essere rivolto allo
sviluppo della forza specifica richiesta da una data disciplina. Per ottenere questo obiettivo, un
preparatore atletico deve fare una semplice analisi del modello prestativo dello sport per il quale viene
creato il programma di allenamento della forza. L’analisi dovrebbe tenere conto dell’ergogenesi (cioè del
contributo di ciascuno dei tre sistemi energetici all’attività sportiva in esame), del range articolare
specifico, dei piani del movimento e dei muscoli motori primari, nonché le loro azioni (eccentrica,
isometrica, concentrica). La specificità dell’allenamento è il meccanismo più importante per gli
adattamenti neuromuscolari utili.

La specificità e il sistema energetico dominante


Un allenatore dovrebbe considerare attentamente il sistema energetico dominante nel suo sport. Per
esempio, l’allenamento della resistenza muscolare è più appropriato per gli sport di resistenza come il
canottaggio, il nuoto sulle lunghe distanze, la canoa e il pattinaggio sul ghiaccio (capitoli 3 e 14).
L’allenatore deve anche prendere in considerazione i gruppi muscolari specifici coinvolti (muscoli motori
primari) e gli schemi motori caratteristici dello sport. Gli esercizi scelti dovrebbero replicare gli schemi
motori dello sport. Essi dovrebbero anche migliorare la forza specifica dei muscoli motori primari.
Normalmente, i miglioramenti nella forza specifica si trasferiscono ai gesti tecnici.

Solo specificità o un approccio metodico?


L’idea che l’allenamento ottimale della forza debba essere massimamente legato alle richieste delle
diverse discipline è stato postulato da alcuni studiosi dell’apprendimento motorio. Mathews e Fox (1976)
tradussero la teoria in un principio d’allenamento. Secondo questo principio, un esercizio o una tipologia
di allenamento che siano specifici rispetto al gesto atletico determinano un transfer maggiore e quindi un
miglioramento superiore della prestazione. Il principio di specificità applicato all’allenamento della forza,
però, dovrebbe essere utilizzato solamente per gli atleti esperti nella fase preparatoria avanzata e/o nella
fase competitiva. Questi atleti, infatti, dedicano molte delle ore di allenamento del piano annuale per
lavorare sulla forza specifica del loro sport.

L’uso scorretto della specificità porta a uno sviluppo asimmetrico e non armonioso del corpo e a
trascurare i muscoli antagonisti e quelli stabilizzatori, ostacolando il miglioramento della forza di quelli
motori primari e causando degli infortuni. Assegnare troppa importanza alla specificità nell’allenamento
può provocare limitazioni nello sviluppo e nelle capacità funzionali della muscolatura. Per questo motivo
nell’allenamento dovrebbero essere inclusi sempre alcuni esercizi di compensazione, specialmente
durante la prima fase preparatoria e durante la fase transitoria del piano annuale. Tali esercizi servono a
riequilibrare la forza dei muscoli agonisti e antagonisti.

Sebbene quello della specificità sia un principio molto importante, la sua applicazione a lungo termine può
determinare programmi stressanti, noiosi, che conducono all’overtraining, a lesioni da sovraccarico e
talvolta all’esaurimento. La specificità è applicata al meglio in alcuni momenti particolari e all’interno di
un programma basato sull’approccio metodico a lungo termine. Un tale programma dovrebbe prevedere
tre fasi principali: la fase generale e multilaterale, la fase specifica di allenamento specializzato e la fase
dell’alta prestazione (tabella 7.3).

Durante la fase generale multilaterale, l’allenamento della forza è programmato per sviluppare tutti i
gruppi muscolari, i legamenti e i tendini in previsione dei carichi di lavoro maggiori e di un allenamento
più specifico. Questo periodo permette di prevenire le lesioni durante l’intera carriera sportiva. La fase
generale e multilaterale, a seconda dell’età e delle capacità dell’atleta, può durare da uno a tre anni.

Gli allenatori devono essere pazienti: lo sviluppo multilaterale è un requisito fondamentale per
raggiungere un alto livello di specializzazione. In questa fase la gran parte dell’allenamento per la forza
massima è dedicata all’allenamento della coordinazione intermuscolare (lavoro tecnico con carichi al di
sotto dell’80% dell’1RM).

Dopo aver posto delle solide basi, l’atleta inizia la fase di specializzazione, che continuerà nel corso di
tutta la sua carriera. Durante questo periodo il programma di allenamento della forza non deve essere
specifico in tutte le fasi del piano annuale, bensì dovrebbe prevedere la periodizzazione, che inizia sempre
con una fase introduttiva di adattamento anatomico (legge n° 7 di questo capitolo). In questa fase viene
introdotto l’allenamento della forza massima con carichi al di sopra dell’80%.

La fase dell’alta prestazione si addice ad atleti di livello nazionale e internazionale. In questo stadio dello
sviluppo atletico, la specificità prevale dall’ultima parte del periodo preparatorio continuando nel periodo
agonistico della stagione. Viene dedicato più tempo alla fase di conversione in forza specifica rispetto agli
anni precedenti.

La specificità degli esercizi per l’allenamento della forza


Per quanto concerne la scelta degli esercizi di forza, specialmente nella seconda parte della fase
preparatoria, gli allenatori devono cercare di simulare la struttura dinamica del gesto atletico, così come
l’orientamento spaziale o la posizione del corpo in relazione all’ambiente circostante. In altre parole, si
dovrebbero scegliere quegli esercizi che posizionano il corpo e gli arti in maniera simile a ciò che avviene
nell’esecuzione del gesto atletico specifico. L’angolo tra gli arti e il busto o tra le altre parti del corpo
determina come i gruppi muscolari si contraggono per eseguire i gesti specifici.

Per esempio, l’estensione delle braccia eseguita dai lanciatori di peso e dai linemen del football americano
utilizza i muscoli tricipiti. Un esercizio del bodybuilding che sviluppa i tricipiti è l’estensione del gomito
con i manubri eseguita con il busto inclinato e il braccio lungo il corpo o con il busto eretto e il braccio
sopra la spalla. In qualunque modo venga eseguito, questo esercizio isola i tricipiti dagli altri muscoli
coinvolti nei gesti del lancio del peso o del placcaggio e, di conseguenza, non è molto efficace per questi
atleti. Un’opzione migliore per loro sono le distensioni su panca inclinata a un angolo di 30-35 gradi, che
fanno esprimere forza all’intera catena di spinta della parte superiore del corpo, che include anche i
muscoli pettorali e i deltoidi, con un angolo tra arti e busto simile a quello dei gesti atletici specifici.
SPECIFICITÀ E ALLENAMENTO FUNZIONALE

La forza specifica viene spesso confusa con la forza funzionale. Il termine forza funzionale è
piuttosto recente. Esso si riferisce agli esercizi realizzati con vari attrezzi, come le palle mediche, le
sandbag, le piattaforme propriocetive, che sono stati progettati per aumentare la difficoltà di
esecuzione e per favorire l’uso dei muscoli stabilizzatori, più piccoli e profondi (Staley, 2005). È
possibile, tuttavia, pensare che eventi come le Olimpiadi e i mondiali di specialità siano stati vinti e
che i record siano stati stabiliti senza che gli atleti abbiano lavorato sulla forza specifica, o che non
lo abbiano fatto in modo ottimale fino al 2000?
Infatti, forza specifica e forza funzionale non sono sinonimi. L’allenamento per la forza specifica
necessaria in una data disciplina richiede che vengano replicate le modalità sport-specifiche con cui
viene utilizzata la forza nei gesti che la compongono, sia dal punto di vista neurale, sia da quello
metabolico. Questo allenamento è svolto utilizzando esercizi che mimano l’azione delle catene
cinetiche nelle abilità motorie specifiche (incluso l’arco di movimento delle articolazioni e i vettori
di forza). Un’enfasi particolare è posta sui muscoli motori primari, senza alterare lo schema motorio
richiesto dalla tecnica dello sport praticato. Il termine forza funzionale, al contrario, piuttosto che
riferirsi ai parametri fisiologici e biomeccanici di un evento o di un’abilità biomotoria specifici, è più
comunemente utilizzato per indicare il modo in cui la forza è allenata – ossia, i mezzi di
allenamento: pesi liberi o cavi, allenamento unilaterale e possibilmente l’uso di esercizi che
implichino l’uso di più piani di movimento (delle eccezioni a questa definizione sono riscontrabili
negli esercizi propedeutici e in alcuni esercizi di stabilizzazione del core). In altre parole, per
parlare di allenamento della forza specifica, gli elementi fondamentali sono la biomeccanica e la
fisiologia dello sport considerato. L’allenamento funzionale al contrario, è semplicemente definito
dall’uso di esercizi con le caratteristiche sopraelencate. Dire che la selezione degli esercizi
definisce completamente il grado di funzionalità di un programma di allenamento della forza è,
ovviamente, metodologicamente sbagliato, ma è anche vero che i migliori allenatori che
propongono la forza funzionale applicano il concetto di periodizzazione ai loro allenamenti. Inoltre,
non solo essi tengono conto della biomeccanica quando selezionano gli esercizi, ma considerano
anche la fisiologia quando scelgono i parametri di carico, senza badare alle preferenze personali di
certi esercizi e metodi. Bisognerebbe chiedersi, tuttavia, fino a che punto i metodi di allenamento
funzionale sono adeguati per lo sviluppo della forza massima necessaria in alcuni sport di potenza
(come per esempio eseguire lo squat monopodalico afferrando una cintura in sospensione). A
questo punto, dovrebbe essere chiaro che la periodizzazione della forza è un concetto molto più
ampio dell’allenamento funzionale e che la forza specifica affonda le sue radici nella biomeccanica e
nella fisiologia, piuttosto che sugli esercizi innovativi e all’ultima moda.
PARTE
2

PROGRAMMAZIONE
MANIPOLAZIONE DELLE VARIABILI DI ALLENAMENTO
Ottavo capitolo

Per creare dei programmi di allenamento della forza di successo, i preparatori fisici manipolano diverse
variabili dell’allenamento, di cui le principali sono il volume e l’intensità. Sia il volume, sia l’intensità
dell’allenamento, così come la sua frequenza, cambiano a seconda del calendario competitivo e degli
obiettivi dell’allenamento. I fattori che le determinano e che qualificano in maniera più specifica le
caratteristiche del programma di allenamento della forza (dette “variabili acute”) sono: il sovraccarico,
che è generalmente espresso come una percentuale della singola ripetizione massimale (1RM), il “buffer”,
le ripetizioni, le serie, il ritmo di esecuzione e il tempo di recupero tra le serie. Manipolare queste variabili
specifiche altera il volume, l’intensità, il grado di sforzo e la densità dell’allenamento: in definitiva l’effetto
allenante.
I programmi di allenamento dovrebbero includere un mix di esercizi generali e sport-specifici. Come
regola fondamentale, la prima parte del programma annuale, che può essere costituita da una fase
preparatoria della durata di 1-6 mesi, dovrebbe prevedere un volume di allenamento maggiore con una
bassa proporzione di esercizi specifici. All’avvicinarsi della stagione competitiva, tuttavia, l’intensità
diviene più importante, il volume decresce e gli esercizi sport-specifici costituiranno la maggior parte del
programma di allenamento.

8.1 VOLUME DI ALLENAMENTO

Il volume, ossia la quantità di lavoro effettuata, può essere misurato in termini di peso totale sollevato,
oppure in termini di serie o ripetizioni totali eseguite per sessione di allenamento, per microciclo o per
macrociclo. I preparatori dovrebbero registrare il tonnellaggio o il numero di serie e di ripetizioni eseguite
per sessione o per ciclo, perché questo li aiuta a pianificare il volume futuro.
Il volume di allenamento varia a seconda dei requisiti fisici specifici per uno sport, del background
nell’allenamento di forza di un atleta e del tipo di allenamento da lui eseguito. Per esempio, per migliorare
la resistenza muscolare degli atleti si utilizza un elevato volume, a seguito delle molte ripetizioni
impiegate. L’allenamento della forza massima, invece, implica un tonnellaggio e una densità più bassi,
nonostante gli alti carichi impiegati, a causa del minor numero di ripetizioni totali e dei tempi di recupero
più ampi. Un volume medio, invece, si addice a chi voglia sviluppare la potenza nei suoi diversi aspetti; in
questo caso, il carico sarà medio-basso e gli intervalli di recupero da brevi a lunghi a seconda
dell’intensità.

Il volume complessivo diventa più importante quando gli atleti raggiungono alti livelli di prestazione. Non
esistono scorciatoie. La prestazione atletica richiede un’alta frequenza settimanale di allenamento che, a
sua volta, determina un maggiore volume di allenamento. Man mano che gli atleti si abituano a una
maggiore frequenza di allenamento, la loro capacità di recupero e il livello dei loro adattamenti strutturali
e neurali migliorano. Questo aumento della capacità di lavoro può tradursi successivamente in una
maggiore facilità di adattamento alle fasi di intensificazione, così come in un miglioramento generale della
prestazione.

Come visto nella tabella 7.3 del precedente capitolo, che mostra la pianificazione pluriennale
dell’allenamento della forza, una volta raggiunto un volume di allenamento ottimale, lo stressor più
importante per gli atleti maturi dovrebbe essere l’intensità. La capacità di lavoro è acquisita con il tempo;
quindi, per incrementare il volume attraverso un incremento della frequenza d’allenamento, è necessario
ridurre inizialmente il volume per unità d’allenamento.
Questa riduzione è possibile dividendo il volume totale per microciclo precedente per il nuovo, più alto
numero di unità d’allenamento. Aumentare il numero di unità di allenamento mantenendo lo stesso
volume settimanale permette un’intensificazione del lavoro grazie a una maggiore possibilità di recupero
derivante dalla riduzione della durata e del volume per unità. Il risultato è una maggiore risposta
adattativa (Bompa e Haff 2009).
La capacità di sopportare carichi di allenamento sempre più elevati, permette ai sollevatori di peso di
raggiungere il livello di forza necessario per la loro disciplina

Successivamente il volume per sessione può essere incrementato, se necessario. Per esempio, supponiamo
che l’obiettivo sia incrementare le unità di allenamento settimanali da tre a quattro e che il punto di
partenza sia un microciclo con tre sessioni di allenamento della forza, ognuna delle quali di 8 tonnellate di
volume (quindi 24 tonnellate di volume totale per microciclo). Per questa situazione si mostrano un
metodo sbagliato e uno corretto.
◊ Metodo sbagliato: aggiungere un’unità d’allenamento di 8 tonnellate, in modo da incrementare
bruscamente il volume totale del microciclo da 24 a 32 tonnellate (incremento del 25%).
◊ Metodo corretto: dividere il volume totale di 24 tonnellate per il nuovo numero totale di unità
d’allenamento, cioè quattro. Il volume totale per microciclo rimane immutato a 24 tonnellate, ma
quello delle singole sessioni è ridotto a 6 tonnellate ciascuna (decremento del 25%), permettendo
così un’intensità media più alta e un miglior recupero. Il volume per sessione può essere
incrementato più avanti, se necessario.

Il volume dell’allenamento di forza dipende dalle caratteristiche fisiologiche dell’atleta, dai requisiti
specifici dello sport e dall’importanza della forza per quella disciplina. Gli atleti più maturi, con un
background di allenamento della forza importante, possono tollerare volumi più alti, ma l’incremento del
volume dell’allenamento di forza non dovrebbe essere fine a se stesso. Piuttosto dovrebbe essere
aumentato se la situazione lo richiede e mai a spese dell’allenamento specifico.

Poiché l’allenamento delle abilità biomotorie (incremento del potenziale motorio dell’atleta) deve essere
integrato con l’allenamento sport-specifico (la prestazione specifica), il punto di partenza dovrebbe essere
il volume minimo efficace (VME) nel migliorare gli indici che descrivono una determinata abilità
biomotoria. In linea di principio, durante la preparazione generale, il volume dell’allenamento delle abilità
biomotorie può essere tale da influenzare temporaneamente in maniera negativa la prestazione specifica.
Durante la preparazione specifica, invece, ci dovrebbe essere una correlazione tra l’aumento degli indici
delle abilità biomotorie e la prestazione di gara. Durante la fase competitiva l’allenamento delle abilità
biomotorie dovrebbe essere tale da permetterne il mantenimento, un leggero miglioramento o il
raggiungimento del picco nella prestazione specifica.

Un incremento improvviso e sostanziale nel volume d’allenamento ha un effetto negativo


indifferentemente da quali siano lo sport e il livello dell’atleta, portando all’affaticamento, a un lavoro
muscolare inefficace e a un’alta probabilità di infortunio.
Una pianificazione progressiva con un metodo adatto di monitoraggio degli incrementi del carico potrà
prevenire l’insorgere di tali inconvenienti. Di seguito alcune linee guida:
a) La durata di una sessione d’allenamento della forza non dovrebbe superare i 75 minuti, a meno che
non sia una sessione di volume elevato per la forza massima con tempi di recupero lunghi tra le
serie, oppure una sessione di resistenza muscolare di lunga durata per un atleta di ultra-
resistenza.
b) Il volume di una sessione di adattamento anatomico dovrebbe rientrare tra le 16 e le 32 serie
totali; il volume di una sessione per l’ipertrofia tra le 16 e le 24 serie totali con una durata
inferiore all’ora; una sessione per la forza massima tra le 16 e le 24 serie totali; una sessione per
la potenza tra le 10 e le 16 serie totali; e una sessione per la potenza resistente o la resistenza
muscolare di breve durata tra le 4 e le 12 serie totali.
c) Una volta stabilito il volume delle serie, esso non dovrebbe variare più del 50% all’interno di un
macrociclo. Per esempio, 2 serie per esercizio nel primo microciclo, 3 serie per esercizio nel
secondo e nel terzo microciclo, 2 serie per esercizio nel quarto microciclo (di scarico).

Il volume totale per microciclo o macrociclo dipende da diversi fattori, il più importante dei quali è il ruolo
della forza nella disciplina in questione. Per esempio, un sollevatore di pesi di livello internazionale spesso
programma sessioni di allenamento di 30 tonnellate e approssimativamente 19.000 tonnellate per anno.
Queste cifre cambiano drasticamente per quanto riguarda altri sport (tabella 8.1). Gli sport in cui si
manifesta una forte dominanza della potenza e della velocità richiedono un volume molto più elevato di
quello impiegato per esempio nella boxe, mentre le discipline che si basano sulla resistenza muscolare,
come il canottaggio o la canoa, prevedono un volume annuo di allenamento della forza anch’esso molto
elevato.
Tabella 8.1
Linee guida per il volume (in tonnellate) dell’allenamento della forza nelle diverse fasi

8.2 L’INTENSITÀ DELL’ALLENAMENTO

Nell’ambito dell’allenamento della forza, l’intensità viene espressa come percentuale del carico massimale
che può essere sollevato in una singola ripetizione (1RM). L’intensità, una funzione della forza degli
stimoli nervosi attivati durante l’allenamento, indica il grado di utilizzo del sistema nervoso centrale
(SNC). La forza degli stimoli dipende dal carico, dalla velocità del movimento e dalle eventuali pause di
recupero tra le ripetizioni. Il carico impiegato, espresso come una percentuale di 1RM, fa riferimento alla
massa sollevata, ossia il peso. Nell’allenamento della forza si utilizzano le zone di intensità indicate nella
tabella 8.2.
Tabella 8.2
Classificazione dell’intensità e carico impiegato nell’allenamento della forza

Un carico sovramassimale supera la forza massima dell’atleta (1RM). Generalmente i carichi tra il 100 e il
120% di 1RM sono impiegati applicando il metodo eccentrico (allungamento del muscolo sotto controllo) o
isometrico (contrazione massimale senza movimento articolare). Solo pochi atleti con un solido
background di allenamento della forza dovrebbero usare i carichi sovramassimali. Tali sollecitazioni
dovrebbero essere impiegate per periodi di tempo limitati e solamente per alcuni gruppi muscolari, in
particolare quelli in cui il cui carico eccentrico è alto durante l’attività specifica in gara (per esempio, i
muscoli ischiocrurali nello sprint o i quadricipiti durante l’atterraggio o il cambio di direzione). Tutti gli
altri atleti dovrebbero limitarsi ai carichi non superiori al 100% di 1RM.

I carichi massimali vanno dal 90 al 100% di 1RM, i carichi pesanti dall’80 al 90%, i carichi medi dal 50
all’80% e i carichi bassi dal 30 al 50%. Ogni zona di intensità stimola adattamenti neuromuscolari
leggermente diversi (capitolo 2) e necessita di una progressione precisa. Le intensità superiori al 90%
dovrebbero essere impiegate con parsimonia, specialmente se portate a esaurimento concentrico, dato il
loro effetto di abbassamento del testosterone (Hakkinen e Pakarinen 1993, Izquierdo et al. 2006) e
nonostante il loro effetto positivo addizionale sugli adattamenti neuromuscolari. Le uniche scuole di
sollevamento pesi che supportavano un uso frequente di carichi superiori al 90% erano la bulgara, la
turca e la greca, squadre che, non sorprendentemente, sono state colpite da un’incidenza
eccezionalmente alta di risultati positivi ai test antidoping (la Bulgaria ebbe tre positivi alle Olimpiadi del
2000, 3 prima delle Olimpiadi del 2004 e 11 prima delle Olimpiadi del 2008; la Grecia ebbe 11 positivi
prima delle Olimpiadi del 2008; entrambe le squadre non vinsero alcuna medaglia alle Olimpiadi di
Pechino del 2008 e alle Olimpiadi di Londra del 2012; la Turchia ha avuto 48 positivi nel 2013). Il test di
1RM ogni tre o quattro settimane, alla fine del macrociclo, è solitamente sufficiente per ottenere gli
eventuali benefici nella zona di intensità tra il 90 e il 100%. Negli anni gli autori del mondo occidentale
che hanno scritto sull’allenamento della forza hanno spesso supportato l’utilizzo dell’esaurimento
concentrico (allenamento senza buffer) come una condizione essenziale per i guadagni di forza. In realtà,
come si evince dalle informazioni presentate nel capitolo 2 (Adattamenti neuromuscolari all’allenamento
della forza), tutti gli adattamenti neuromuscolari che migliorano la prestazione (tranne l’effetto di
ipertrofia maggiore; Burd et al. 2010) avvengono senza il bisogno dell’esaurimento concentrico.

Questa posizione è ulteriormente supportata dalla distribuzione del carico e delle ripetizioni
nell’allenamento della forza dei sollevatori di peso e powerlifter di élite: la maggior parte del loro
allenamento per la forza è fato impiegando carichi tra il 70 e il 90%, con ripetizioni basse, mai portate
all’esaurimento concentrico (figure 8.1 e 8.2, tabelle 8.3 e 8.4).
Figura 8.1
La distribuzione dei carichi sollevati dai membri della nazionale sovietica di sollevamento pesi durante la
preparazione per i Giochi Olimpici del 1988 (un anno di osservazione diretta)

Adattato da “Preparation of National Olympic Team in Weight Lifting to the 1988 Olympic Games in Seoul”, Technical
report #1988-67, All-Union Research Institute of Physical Culture, Moscow, 1989
Figura 8.2
Numero di ripetizioni per serie in percentuale nell’allenamento di atleti di potenza d’élite

Da V. M. Zatsiorsky, “Intensity of strength training facts and theory: Russian and Eastern European approach”, National
Strength and Conditioning Association Journal, 1992, 14(5), pp. 46-57.
La tabella 8.3, in particolare, fornisce un esempio della distribuzione del carico tra le zone di allenamento
impiegate dall’ex allenatore della nazionale russa di powerlifting Boris Sheiko, uno degli allenatori di
maggior successo nella storia di quello sport. La tabella 8.4 mostra le linee guida per il numero di
ripetizioni per serie nelle varie zone di intensità per i sollevatori di peso delle nazionali junior (1975-1980)
e senior (1980-1985) dell’Unione Sovietica sotto l’allenatore Alexander Prilepin (1979). Gli atleti di
Prilepin hanno vinto 85 medaglie internazionali, incluse molte medaglie olimpiche, stabilendo 27 record
mondiali.

Tabella 8.3
Variazioni di intensità e volume dello squat e dello stacco nel macrociclo di Sheiko

Da P. Evangelista, “La programmazione della forza: criteri di scelta e analisi degli schemi di allenamento”, presentazione
per l’International Strength & Conditioning Institute, 2010
Tabella 8.4
Linee guida relative alle ripetizioni per serie della Nazionale Sovietica di sollevamento pesi junior (1975-
1980) e senior (1980-1985)

Adattato da A. S. Vorobyev e M. S. Prilepin, “Comparative effectiveness of the different types of loadings applied in the
weightlifters training”, International Weightlifting Journal, Sofia, Bulgaria, 1979, Vol. 1, pp. 7-9.

Inoltre, quando un atleta diviene oggettivamente forte (quindi neuromuscolarmente efficiente), la sua
capacità di tollerare un’esposizione a carichi massimali diminuisce (figura 8.3).

Figura 8.3
Percentuale di 1RM e percezione dello sforzo (RPE) in base al livello dell’atleta

Da P. Evangelista, “La programmazione della forza: criteri di scelta e analisi degli schemi di allenamento”, presentazione
per l’International Strength & Conditioning Institute, 2010.

Il carico dovrebbe essere programmato in base al tipo di forza che deve essere sviluppata e, in particolar
modo, alla combinazione sport-specifica risultante dal rapporto della forza con la velocità o della forza con
la resistenza. Nel capitolo 14 vengono forniti dettagli riguardo all’allenamento di queste combinazioni
specifiche per le diverse discipline. Nella tabella 8.5 sono indicate le intensità a cui vengono allenate
queste combinazioni. Il carico impiegato nell’allenamento della forza non rimane immutato in tutte le fasi
del piano annuale. Infatti, la periodizzazione prevede la modifica del carico in base agli obiettivi di
ciascuna fase. Come si può vedere nella tabella, il carico oscilla dal 30% a oltre il 100% di 1RM; nella
seconda riga viene indicata l’intensità corrispondente. Le righe successive indicano le combinazioni sport-
specifiche e la percentuale del carico indicata per ciascuna di esse.
Tabella 8.5
Relazione tra carico, diverse tipologie e combinazioni di forza

La periodizzazione incorpora una pianificazione adeguata per tutte le abilità necessarie in una data
disciplina sportiva. Per esempio, il programma di allenamento di un corridore di mezzo fondo considera la
distanza totale coperta in una settimana, il numero di sessioni settimanali e, ovviamente, il volume (serie e
ripetizioni) di lavoro eseguito in ogni sessione d’allenamento della forza. Così come per la maggior parte
dei sistemi dell’organismo umano, esiste una relazione dose-effetto tra il volume totale di lavoro e il livello
di adattamento. Gli atleti principianti inizialmente traggono beneficio da un volume basso, come una o due
serie per esercizio, ma con il tempo raggiungono un plateau e necessitano di uno stimolo maggiore per
ottenere ulteriori adattamenti. Quindi, non è raro avere atleti che eseguono, ad esempio, serie multiple di
squat (per esempio da sei a otto) oppure oltre 50 ripetizioni in una serie, a seconda dell’effetto fisiologico
desiderato. Bisogna ricordare che il termine intensità, così come usato in ambito sportivo, in senso stretto
è una percentuale del carico o del power output massimi. In altre parole, l’unico modo per aumentare
veramente l’intensità è incrementare il carico.

Per esempio, si immagini che un atleta faccia due ripetizioni per la prima serie di un esercizio al 90% di
1RM e poi, dopo quattro minuti di recupero, completi tre ripetizioni a esaurimento concentrico con lo
stesso carico. Dalla prima alla seconda serie l’atleta non ha aumentato l’intensità. È il volume che è
aumentato, così come lo stress inflitto ai muscoli, ma il carico è rimasto al 90%; quindi l’intensità non è
cambiata. I preparatori devono stare attenti a non correlare l’intensità con le sensazioni muscolari a
seguito di una serie.

In linea generale, maggiore è il numero di serie che un atleta esegue, più basso è il numero delle
ripetizioni e viceversa. Per esempio, durante una fase di allenamento della forza massima, un atleta può
eseguire 6 serie di 3 ripetizioni di un esercizio con un carico incrementale dal 70 all’80% di 1RM, ma
solamente 3 serie di 10 ripetizioni al 65% di 1 RM dello stesso esercizio durante la fase di ipertrofia.

Il programma d’allenamento degli atleti dovrebbe essere sempre individualizzato e i preparatori


dovrebbero osservare i sintomi dell’affaticamento. Uno dei più grandi problemi nell’ambito
dell’allenamento sportivo è l’uso smodato della quantità a discapito della qualità. La pianificazione
dovrebbe essere usata solamente come linea guida per la progettazione dei programmi di allenamento e
non essere considerata come scritta nella roccia; piuttosto l’allenatore dovrebbe annotare i miglioramenti
e le difficoltà incontrate da ciascun atleta, sessione dopo sessione, e considerarli nella revisione del
programma. Egli deve stare attento a riconoscere il momento nel quale l’atleta non è più capace di
eseguire il numero di ripetizioni richieste con un certo carico o in maniera esplosiva e con una tecnica
adeguata.

Questa capacità è fondamentale, specialmente nelle fasi di allenamento della forza massima e della
potenza, quando l’obiettivo primario è il raggiungimento degli adattamenti di tipo neurale.

La tabella 8.6 mostra un ipotetico diario d’allenamento di un atleta che esegue lo squat per la forza
massima senza buffer (un metodo che stimola simultaneamente i guadagni di forza e ipertrofia, conosciuto
anche come metodo per la forza assoluta). In questo caso l’atleta ha deciso di completare il programma
che l’allenatore gli ha consegnato, registrando il numero di ripetizioni per serie. Nonostante si sia
riposato per un tempo superiore rispetto a quello prescritto dopo la terza serie, l’atleta non è riuscito a
completare il numero desiderato di ripetizioni nella quarta serie. Per questo, al fine di eseguire il numero
di ripetizioni richieste, egli ha ridotto il carico per la quinta e la sesta serie.

Riducendo il carico per terminare il programma, l’atleta ha in sostanza eseguito varie serie con una
tecnica deteriorata, che influenzerà negativamente il recupero, l’effetto allenante e le sedute di
allenamento sport-specifico successive. Anziché fare in questo modo, egli avrebbe dovuto terminare
l’allenamento dopo la prestazione inferiore alle aspettative della quarta serie.

Tabella 8.6
Comparazione tra programmazione e realizzazione di un allenamento di squat per la forza assoluta

*Diversamente dal programma originale


** L’esercizio si sarebbe dovuto arrestare dopo la quarta serie

8.3 NUMERO DI ESERCIZI

La chiave di un programma di allenamento efficace si trova nella corretta scelta degli esercizi. È difficile
stabilire un numero ottimale e, desiderando sviluppare molti gruppi muscolari, alcuni preparatori fisici ne
scelgono troppi, con il risultato che il programma diventa eccessivo e faticoso. La quantità e il tipo di
esercizi devono essere selezionati a seconda dell’età dell’atleta, del suo livello di prestazione, delle
esigenze specifiche della disciplina sportiva e del periodo della stagione.

Età e livello di prestazione

Uno dei principali traguardi di un programma di allenamento per atleti junior è l’acquisizione di una
solida base anatomica e fisiologica. A tal fine il preparatore fisico dovrebbe selezionare molti esercizi (da
nove a dodici) che coinvolgano tutti i gruppi muscolari primari. Tale programma avrà una durata di 1-3
anni, a seconda dell’età attuale e dell’età prevista per il raggiungimento della fase di alta prestazione.
L’obiettivo principale dell’allenamento per atleti avanzati è quello di ottenere il massimo livello possibile di
prestazione. Per questo motivo i loro programmi di allenamento della forza, soprattutto nel periodo
agonistico, devono essere specifici, devono cioè comprendere un numero limitato di esercizi (da due a sei)
indirizzati ai muscoli motori primari.

Esigenze specifiche della disciplina sportiva


Gli esercizi per l’allenamento della forza, specie per gli atleti avanzati, dovrebbero assecondare le
caratteristiche specifiche della disciplina sportiva e coinvolgerne i muscoli motori primari. Per esempio,
un saltatore in alto di livello d’élite può aver bisogno di eseguire solamente da tre a quattro esercizi per
rinforzare in maniera adeguata tutti i muscoli motori primari per la sua disciplina. Un lottatore o un
giocatore di football americano, invece, possono aver bisogno di eseguire da sei a nove esercizi per
raggiungere lo stesso obiettivo. Tutti gli atleti il cui sport richieda la corsa dovrebbero eseguire un
esercizio per l’estensione dell’anca con il ginocchio disteso (ischiocrurali), un esercizio per l’estensione
dell’anca con il ginocchio flesso (glutei), un esercizio per l’estensione del ginocchio (quadricipiti) e un
esercizio per la flessione plantare (polpacci). Quindi, maggiore è il numero di muscoli motori primari
impiegati in uno sport, maggiore è il numero di esercizi di cui c’è bisogno. È comunque possibile ridurre
questo numero scegliendo accuratamente degli esercizi mulitaritcolari.

Fase dell’allenamento

Dopo la fase di transizione, una nuova pianificazione annuale assicurerà una solida base per l’allenamento
futuro. Nella prima parte del periodo di preparazione, il programma di allenamento della forza generale
inizia con la fase di adattamento anatomico. Esso dovrebbe coinvolgere la maggior parte dei gruppi
muscolari attraverso un grande numero di esercizi (da 9 a 12), a prescindere dalle esigenze specifiche
della disciplina sportiva. Col progredire del programma si ridurrà la quantità degli esercizi, fino ad
arrivare al periodo agonistico in cui saranno eseguiti soltanto quegli esercizi specifici (da 2 a 6) che sono
essenziali per lo sport in questione. Per esempio, un giocatore di football americano, di hockey, di basket o
di pallavolo eseguirà forse nove o dieci esercizi durante la fase preparatoria, ma solo quattro-sei durante
la fase competitiva. Selezionando gli esercizi fondamentali, il preparatore fisico può incrementare
l’efficienza dell’allenamento e ridurre la fatica residua dell’atleta.

L’allenamento della forza è effettuato in aggiunta all’allenamento tecnico e tattico. In breve, esiste una
relazione inversa tra il carico usato e il numero degli esercizi impiegati nella sessione. Una riduzione nel
numero degli esercizi indica che l’atleta si sta allenando in maniera più specifica. Al diminuire degli
esercizi, incrementa il numero di serie per ciascun esercizio. In questo modo viene incrementato il carico
sui muscoli motori primari, così da ottimizzare i livelli di forza e di potenza utili per la competizione. Una
volta che la stagione competitiva è iniziata, l’obiettivo diviene il mantenimento degli adattamenti
fisiologici raggiunti nelle fasi precedenti, attraverso un numero ridotto di esercizi eseguiti per un numero
di serie moderato.

Sebbene la parte superiore del corpo sia coinvolta solamente in maniera minima in alcuni sport (come il
calcio, molti eventi dell’atletica leggera e il ciclismo), molti programmi d’allenamento della forza per
questi stessi sport enfatizzano erroneamente gli esercizi per questa regione. Inoltre, molti preparatori
fisici, ancora influenzati dalle teorie del bodybuilding, prescrivono veramente troppi esercizi. Di fatto,
incrementare eccessivamente il numero degli esercizi porta a diminuire le serie orientate a sollecitare i
muscoli motori primari. Questo approccio porta ad adattamenti molto limitati e quindi ha un effetto
allenante altrettanto limitato.

L’effetto desiderato, cioè un elevato transfer che si traduca in un miglioramento della performance, è
possibile solamente quando gli atleti eseguono più serie per la catena cinetica specifica. Il preparatore ha
la possibilità di spalmare tutte le serie necessarie per gli esercizi fondamentali su più sessioni durante il
microciclo, oppure di concentrarle in poche sessioni. La prima opzione permette all’atleta di affrontare
sessioni più brevi, che includono un numero maggiore di esercizi accessori, mentre la seconda può
richiedere delle sessioni più lunghe con una presenza minore di esercizi accessori.

8.4 ORDINE DEGLI ESERCIZI

La caratteristica principale che determina l’ordine degli esercizi è la loro complessità motoria. Infatti gli
esercizi complessi, multiarticolari, quelli che normalmente sollecitano i muscoli motori primari in una
sequenza cinetica simile ai gesti atletici specifici, dovrebbero essere eseguiti sempre per primi in un
allenamento, quando il sistema nervoso è fresco. Pertanto, nella scelta del numero degli esercizi, i
preparatori atletici dovrebbero considerare i muscoli motori primari coinvolti nei gesti atletici dello sport
e ordinare gli esercizi secondo la loro complessità motoria.

Ribadiamo che l’allenamento della forza per le diverse discipline sportive è stato influenzato in maniera
ingiustificata dalle metodiche d’allenamento del bodybuilding. Si legge infatti in molti articoli e in vari
libri sull’allenamento della forza che si dovrebbero allenare prima i gruppi muscolari più piccoli e dopo
quelli più grandi. Con questo approccio, però, l’affaticamento dei gruppi muscolari minori non permette di
allenare efficacemente quelli più grandi. Questi ultimi rappresentano solitamente i muscoli motori primari
di uno sport e per questo è estremamente importante allenarli in uno stato di freschezza.
Analogamente, un altro metodo troppo usato che proviene dal mondo del bodybuilding è il pre-
affaticamento. Utilizzando questo approccio, si raggiunge l’esaurimento concentrico con esercizi
monoarticolari (come, ad esempio, la leg extension) prima di eseguire gli esercizi multiarticolari (come, ad
esempio, lo squat). Sebbene questa metodologia possa essere utile ai bodybuilder, gli studi attuali ne
mettono in dubbio l’efficacia nell’allenamento sportivo (Augustsson et al. 2003). Quindi gli allenatori
dovrebbero evitare di usare questo metodo anche durante la fase di ipertrofia. Piuttosto gli esercizi
principali in un programma di allenamento della forza per lo sport dovrebbero essere quelli
multiarticolari, nei quali i muscoli motori primari lavorano in sinergia. Gli esercizi monoarticolari possono
essere usati durante la prima fase preparatoria, ad esempio durante i macrocicli di adattamento
anatomico, ma dovrebbero essere via via eliminati nelle fasi successive. L’allenamento sportivo si
concentra sull’ottimizzazione dei livelli di forza, potenza e resistenza, non sul miglioramento dell’aspetto
estetico dell’atleta.

Gli esercizi di forza che riprendono gli schemi motori sport-specifici implicano una componente di
apprendimento. Questa imitazione della tecnica specifica coinvolge le catene cinetiche in uno schema
simile a quello tipico dello sport. Per un giocatore di pallavolo può aver senso, per esempio, eseguire i
mezzi squat terminandoli con la salita sulle punte dei piedi, poiché la schiacciata e il muro richiedono lo
stesso coinvolgimento della catena estensoria caviglia-ginocchio-anca, ossia la catena del salto. Egli,
quindi, non si deve preoccupare se il primo gruppo muscolare a essere coinvolto sia quello piccolo o
quello grande; deve invece cercare di imitare il movimento sport-specifico, sollecitando la catena cinetica
allo stesso modo che nell’esecuzione dei fondamentali in questione.

Ci sono due sequenze con cui è possibile eseguire gli esercizi del programma: verticale e orizzontale. Nel
primo caso l’atleta segue l’ordine degli esercizi così come sono scritti nel programma, dall’alto verso il
basso, una sequenza verticale detta anche circuito di forza. Con questo metodo si avrà un maggior
recupero tra le serie per i gruppi muscolari allenati. Infatti, nel momento in cui un esercizio è eseguito
nuovamente, i muscoli hanno recuperato completamente.

Per assicurare un recupero ancora migliore, gli esercizi dovrebbero essere alternati tra gruppi muscolari
agonisti e antagonisti o tra esercizi per la parte superiore e per la parte inferiore del corpo. Nel caso in
cui si alleni tutto il corpo, si suggerisce il seguente ordine: esercizio di spinta per la parte inferiore del
corpo, esercizio di spinta per la parte superiore del corpo, esercizio di trazione per la parte inferiore del
corpo, esercizio di trazione per la parte superiore del corpo e così via.

Nella seconda opzione, quella normalmente più utilizzata, l’atleta esegue tutte le serie del primo esercizio
per poi passare al successivo: una sequenza orizzontale. Se viene usato un buffer ridotto o non viene usato
affatto (cioè se ciascuna serie viene portata all’esaurimento concentrico o vicina a esso) o se i tempi di
recupero sono insufficienti, questa sequenza può causare un grande affaticamento locale, una volta che
sono state eseguite tutte le serie di un esercizio previste.

Come effetto allenante si potrebbe concretizzare l’ipertrofia anziché la forza massima o la potenza
oppure, nel caso di una sessione per la forza massima con tempi di recupero lunghi, la durata totale della
sessione potrebbe divenire eccessiva.

Una soluzione interessante è accoppiare gli esercizi per i gruppi muscolari antagonisti ed eseguire una
serie ciascuno alternandole; questo metodo, chiamato dei “jump set”, è un ibrido tra la sequenza verticale
e quella orizzontale. Dimezza la durata della sessione e raddoppia il tempo di recupero tra le serie di uno
stesso esercizio. La tabella 8.7 mostra come il metodo dei “jump set” risulti in un allenamento più breve a
parità di volume.
Tabella 8.7
Comparazione tra sequenze di esercizi differenti

8.5 NUMERO DI RIPETIZIONI E TEMPO DI ESECUZIONE

La velocità d’esecuzione delle ripetizioni, ossia il tempo, è un parametro del carico importante
nell’allenamento della forza; nonostante questo, non è sempre ben compresa. Per esempio, nel mondo del
bodybuilding è comunemente accettato che carichi superiori all’85% dell’1RM siano sollevati lentamente,
ma non è necessariamente così. Gli atleti degli sport di potenza allenati a sollevare in maniera esplosiva
possono essere veloci con carichi fino al 95% di 1RM ed esprimere alti livelli di power output anche con
carichi di tale entità.

Alla fine tutto si riduce ad allenare il sistema nervoso ad attivare tutte le unità motorie nel più breve
tempo possibile. Questo effetto può essere raggiunto periodizzando il programma d’allenamento della
forza, passando dall’allenamento per la coordinazione intermuscolare (carichi da moderati ad alti sollevati
in maniera esplosiva) all’allenamento della coordinazione intramuscolare (carichi massimali sollevati in
maniera esplosiva o almeno con l’intento di muoverli in questo modo; Behm e Sale 1993). Se il concetto
non fosse chiaro è possibile ritornare a fare riferimento alla tabella 2.2.

Per lo sviluppo della forza massima (utilizzando, cioè, carichi tra il 70 e il 100% di 1RM), il numero di
ripetizioni per ciascuna serie è molto basso (da 1 a 5 - tabella 7.1). Per lo sviluppo della potenza
(utilizzando carichi tra il 40 e l’80% di 1RM), è necessario un numero di ripetizioni basso o moderato (da 1
a 10, eseguite in maniera dinamica). Per la potenza resistente saranno necessarie da 10 a 30 ripetizioni, la
resistenza muscolare di breve durata richiede 30-60 ripetizioni senza pause e la resistenza muscolare di
lunga durata ne richiede un numero ancora più alto, fino a 200. I preparatori che considerano 20
ripetizioni come adeguate per migliorare la resistenza muscolare potrebbero trovare scioccante questo
numero da noi consigliato. Ma eseguirne solo 20 può essere del tutto insufficiente per migliorare la
prestazione negli sport che richiedono una resistenza muscolare di media o lunga durata, come il
canottaggio, il kayak, la canoa, il nuoto sulle lunghe distanze e lo sci di fondo.

La tabella 8.8 mostra la relazione tra il carico e le ripetizioni possibili a esaurimento per due diverse
tipologie di atleti. In essa è illustrato anche come le tavole di conversione di 1RM siano virtualmente
inutili, poiché non tengono in conto delle caratteristiche individuali dell’atleta, il quale potrebbe trovarsi a
una delle estremità del continuum neurale-metabolico.

La velocità è fondamentale nell’allenamento della forza. Per ottenere i migliori risultati, il ritmo di
esecuzione delle ripetizioni, almeno nella fase concentrica, dovrebbe essere veloce ed esplosivo per la
maggior parte dei tipi di lavoro. La chiave sta comunque nella modalità con cui l’atleta applica la forza
contro la resistenza. Ad esempio, quando un giocatore di football americano, un lanciatore o un velocista
sollevano un carico elevato (superiore al 90% di 1RM), il movimento può sembrare lento, ma la forza
contro la resistenza è applicata il più velocemente possibile, altrimenti il sistema nervoso non recluta e
non attiva ad alta frequenza tutte le unità motorie necessarie per sollevare il carico con la massima
accelerazione possibile. Solamente un’applicazione della forza veloce e vigorosa stimola il reclutamento
volontario delle unità motorie veloci.

Tabella 8.8
Relazione tra percentuale di 1RM e ripetizioni possibili a esaurimento per un atleta neurologicamente
efficiente rispetto a un atleta metabolicamente efficiente

Uno studio recente ha infatti dimostrato che eseguire l’azione concentrica di un esercizio alla massima
velocità, anziché a un valore che sia la metà di quella massimale, produce un guadagno di forza massima
in sei settimane doppio rispetto al sollevamento eseguito con ritmo lento, nonché un incremento nella
velocità d’esecuzione con tutti i carichi (Gonzalez-Badillo et al. 2014).

Per questa ragione la velocità di contrazione gioca un ruolo determinante nell’allenamento della forza per
lo sport. Per ottenere un miglioramento nella forza esplosiva, l’atleta si deve concentrare sull’attivazione
della muscolatura coinvolta in maniera rapida, anche quando il bilanciere si muove lentamente. La
maggior parte delle volte, però, il bilanciere si deve muovere velocemente. Solamente una contrazione ad
alta velocità eseguita contro una resistenza elevata (oltre il 70% dell’1RM) recluta rapidamente le unità
motorie veloci, portando a un incremento sia di forza massima, sia di potenza.

La risposta fisiologica all’allenamento della forza è influenzata dalla cadenza di esecuzione delle
ripetizioni, che è correlata direttamente col tempo sotto tensione dei muscoli coinvolti (tabella 8.9). Per
questa ragione la velocità del movimento dovrebbe variare di fase in fase. Nella tabella 8.10 è indicato il
ritmo di esecuzione appropriato per ogni fase del programma di allenamento della forza. Un’esecuzione
più lenta nella fase concentrica dell’esercizio incrementa lo stress metabolico e l’impegno per tutto il
range articolare; perciò può essere usato per incrementare la risposta ipertrofica all’allenamento.
Esecuzioni più lente possono essere impiegate durante la fase di adattamento anatomico, dato che
permettono un maggior controllo motorio e tempi sotto tensione più alti. L’atleta può eseguire la fase
eccentrica dell’esercizio in tre o quattro secondi, fare una pausa di un secondo nel punto di inversione tra
la fase eccentrica e quella concentrica e poi eseguire la fase concentrica in due secondi. Per il resto del
piano annuale, però, gli atleti dovrebbero eseguire le azioni concentriche degli esercizi di forza
velocemente o in modo esplosivo, dato che la grande maggioranza dei gesti atletici richiedono contrazioni
concentriche veloci.

Tabella 8.9
Effetti allenanti in base alle variazioni di tempo

*Esercizio di spinta

Tabella 8.10
Tempo consigliato per le diverse fasi del piano annuale

Legenda: AA = adattamento anatomico, HYP = ipertrofia, MEL = resistenza muscolare lunga, MEM = resistenza
muscolare media, MES = resistenza muscolare breve, M×S = forza massima, P = potenza, PE = potenza resistente.

La velocità di contrazione ricercata dovrebbe essere la più veloce possibile durante le fasi in cui ci si
concentra sullo sviluppo della forza massima, della potenza, della potenza resistente e della resistenza
muscolare di breve durata. Durante la fase di forza massima, gli atleti dovrebbero eseguire l’azione
eccentrica lentamente, in tre-quattro secondi, facendola seguire da un’azione concentrica esplosiva.
Durante questa fase è possibile manipolare la transizione dall’azione eccentrica a quella concentrica. Il
miglior modo per massimizzare la forza concentrica è, infatti, la rimozione di qualsiasi componente
riflessiva o elastica sviluppata durante la fase eccentrica dell’alzata, facendo una pausa di uno o due
secondi prima di eseguire il sollevamento concentrico. Tale metodo dovrebbe essere impiegato nella
prima parte della fase dedicata alla forza massima.
Un esempio con la panca piana è il seguente: nell’esecuzione dell’esercizio la distensione delle braccia
rappresenta la porzione concentrica dell’alzata, mentre il ritorno del bilanciere all’altezza del petto, con i
muscoli pettorali che si allungano contraendosi, rappresenta la porzione eccentrica. Generalmente, un
atleta dovrebbe flettere le braccia in maniera lenta per portare il bilanciere al peto prima di spingerlo
velocemente verso la posizione di partenza e iniziare nuovamente il ciclo.

Diversamente, la fase eccentrica potrebbe incrementare la forza della fase concentrica che la segue se la
prima è eseguita rapidamente, grazie al riflesso miotatico (SSC, ciclo di allungamento e accorciamento).
Questo riflesso è la ragione per la quale l’allenamento pliometrico è così popolare nell’allenamento
sportivo. Essenzialmente, l’allenamento pliometrico migliora la prestazione sportiva migliorando le
proprietà fisiologiche dei muscoli motori primari nell’esecuzione di azioni concentriche rapide ed
esplosive.

Nell’abbassare rapidamente il bilanciere verso il peto, la successiva fase concentrica è potenziata sia dai
meccanismi neurali, sia dall’energia elastica accumulata nei tendini. Per questo motivo un incremento
della capacità di generare forza concentrica pura può essere raggiunto fermandosi brevemente dopo la
fase eccentrica, eliminando così il vantaggio derivante dal riutilizzo di energia elastica. Questo approccio
permette anche una standardizzazione del range articolare di ogni ripetizione, evitando, sempre nel caso
della panca piana, che l’atleta faccia rimbalzare il bilanciere sul peto. Inoltre, poiché incoraggia una
tecnica più corretta, migliora la coordinazione intermuscolare. Questo approccio può essere utilizzato
anche per far superare un plateau di forza. Il preparatore fisico dovrà decidere se l’obiettivo principale è
la massimizzazione della forza concentrica volontaria o l’imitazione dello schema neuromuscolare sport-
specifico (solitamente un’azione eccentrica-concentrica). Eventualmente è possibile concentrarsi
innanzitutto sul primo aspetto e poi sul secondo durante la fase di forza massima.

Il tempo di esecuzione è strettamente collegato alla durata della serie; esso rappresenta il tempo sotto
tensione per ripetizione, il quale, quando moltiplicato per il numero di ripetizioni in una serie, determina
la durata della serie stessa. Ogni fase del processo di allenamento ha una modalità ideale di esecuzione di
ogni ripetizione in base all’effetto allenante ricercato in quella fase. Questa specificità si applica
ugualmente alla durata della serie, la quale è legata al sistema energetico dominante. Nella tavola 8.11 è
rappresentato l’effetto allenante a seguito della diversa durata delle serie.

Durata della serie Effetti allenanti


Miglioramenti della forza senza guadagni
2-12 secondi di massa muscolare (forza relativa) e potenza
Miglioramenti della forza con guadagni
15-25 secondi di massa muscolare (forza assoluta)
30-60 secondi Ipertrofia
6-15 secondi (serie di serie)
15-30 secondi (serie) Potenza resistente
15-60 secondi (serie di serie)
30-120 secondi (serie) Resistenza muscolare di breve durata
1-4 minuti (serie di serie)
2-8 minuti (serie) Resistenza muscolare di media durata
Oltre 8 minuti Resistenza muscolare di lunga durata

Tabella 8.11
Durata della serie ed effetti allenanti

Da E. M. Gorostiaga, I. Navarro-Amézqueta, J.A. Calbet, et al., 2012. “Energy metabolism during repeatedsets of leg
press excercise leading to failure or not, “PLO One 7(7): doi 10.1371/journal.pone.0040621. © Gorostiaga et al.
8.6 NUMERO DI SERIE

Una serie è costituita da un certo numero di ripetizioni di un esercizio, seguite da un intervallo di


recupero. Il numero di serie dipende dal numero di esercizi e dal tipo di forza che si intende allenare. Esso
diminuisce all’aumentare del numero di esercizi poiché, altrimenti, la sessione d’allenamento diverrebbe
troppo voluminosa. Esiste anche una relazione inversa tra il numero di ripetizioni per ciascuna serie e il
numero di serie per ogni esercizio. Per esempio, per un canottiere, un canoista o uno sciatore di fondo,
che perseguano lo sviluppo della resistenza muscolare di lunga durata, l’elemento chiave è il numero delle
ripetizioni nella serie. Poiché il numero di ripetizioni è alto, questi atleti avranno difficoltà a eseguire più
di tre serie per esercizio.

Il numero di serie dipende anche dall’esperienza dell’atleta, dalla sua capacità di lavoro, dal numero dei
gruppi muscolari che devono essere allenati e dalla fase dell’allenamento. Per esempio, un saltatore in
alto o un tuffatore, durante una fase di allenamento speciale, possono usare da tre a cinque esercizi per
quattro-sei serie ciascuno. Un numero maggiore di esercizi richiederebbe un numero inferiore di serie, il
che comporterebbe degli ovvi svantaggi. Consideriamo l’ipotetico saltatore in alto che utilizzi otto esercizi
per i gruppi muscolari degli arti inferiori e della parte superiore del corpo, inclusi gli arti superiori. Per
ogni esercizio l’atleta esegue un lavoro di circa 400 chilogrammi. Poiché egli può eseguire solamente tre
serie, l’ammontare totale del lavoro per ciascun gruppo muscolare è di circa 1200 chilogrammi. Se, per
ipotesi, si riducesse il numero totale di esercizi a quattro, l’atleta potrebbe eseguire, per esempio, sei
serie per un totale di 2400 chilogrammi per gruppo muscolare. Quindi si può raddoppiare il lavoro
complessivo sui muscoli motori primari diminuendo il numero totale degli esercizi e incrementando il
numero delle serie. Il numero delle serie eseguite in una sessione d’allenamento dipende anche dal
periodo dell’anno. Nella fase preparatoria e in particolare durante la fase di adattamento anatomico, in
cui viene allenata la maggior parte dei gruppi muscolari, vengono eseguiti più esercizi per un minor
numero di serie. All’avvicinarsi della fase competitiva, però, l’allenamento diviene più specifico, il numero
degli esercizi diminuisce mentre il numero delle serie incrementa. Finalmente, durante la fase
competitiva, quando lo scopo dell’allenamento è mantenere un certo livello di forza e una data
combinazione di forza (forza specifica), tutto viene ridotto, incluso il numero delle serie, cosicché l’atleta
possa concentrare le sue energie sul lavoro tecnico-tattico specifico.

Negli sport di squadra, per i quali la stagione competitiva è molto lunga, l’atleta esegue solo poche serie
per esercizio (due, tre, al massimo quattro), in modo da ridurre l’affaticamento residuo e la possibilità di
un’influenza negativa sul recupero e sulla prestazione specifica. Inoltre, essendo questi sport multiplanari,
richiedono un numero più alto di esercizi. Un atleta ben allenato di uno sport individuale, invece, può
eseguire tre, sei, o anche otto serie di un esercizio. In questo caso ha senso eseguire un elevato numero di
serie per ciascun esercizio. Più serie di un esercizio fondamentale per i muscoli motori primari un atleta
esegue, maggiore è il lavoro, maggiori sono i guadagni di forza e il miglioramento della prestazione.

8.7 TEMPO DI RECUPERO

Ovviamente l’allenamento della forza richiede energia. Durante il lavoro, un atleta usa principalmente il
substrato di un certo sistema energetico in base al carico impiegato e la durata dell’attività. Durante
l’allenamento della forza le riserve energetiche possono ridursi di molto, fino anche ad esaurirsi. Per
questo motivo, per completare il lavoro assegnato nelle modalità prescritte, gli atleti devono seguire un
tempo di recupero tra le serie mirato a ripristinare i substrati energetici, prima di eseguire l’impegno
successivo.

Infatti, il tempo di recupero tra le serie (così come tra le sessioni di allenamento) ha un impatto tanto
importante quanto l’allenamento stesso. Il tempo prescritto tra le serie determina, in gran parte, quanta
energia può essere recuperata prima di una serie successiva. Per questo motivo un’attenta
programmazione dei tempi di recupero è fondamentale per evitare un inutile stress fisiologico e
psicologico durante l’allenamento.
La durata dei tempi di recupero dipende da diversi fattori, inclusi il tipo di forza allenata, il carico
impiegato, il tempo di esecuzione, la durata delle serie, il numero di gruppi muscolari coinvolti e il livello
di condizione metabolica dell’atleta. Anche il peso corporeo deve essere tenuto in considerazione, poiché
gli atleti più pesanti e con grosse masse muscolari tendono a recuperare più lentamente rispetto agli
atleti più leggeri.

Tempo di recupero tra le serie

Il tempo di recupero è stabilito in funzione del carico impiegato nell’allenamento e del tipo di forza che
deve essere sviluppato, specialmente in rapporto al buffer (tabella 8.12).
Tabella 8.12
Linee guida per i tempi di recupero tra le serie

Durante il tempo di recupero i composti altamente energetici adenosin-trifosfato (ATP) e fosfocreatina


(PC) sono ripristinati in proporzione alla durata del tempo di recupero stesso. Quando il tempo di
recupero è programmato in maniera appropriata, la fosfocreatina può essere ripristinata interamente o
quasi, in modo che l’acido lattico si accumuli più lentamente, permettendo all’atleta di mantenere
un’elevata espressione di potenza per l’intera sessione.
Se il tempo di recupero è breve, diciamo meno di un minuto, la concentrazione di acido lattico diviene
alta; quando il tempo di recupero è inferiore ai 30 secondi, i livelli di lattato possono essere così alti che
anche gli atleti meglio allenati hanno difficoltà a tollerarli. Un tempo di recupero adeguato, invece, riduce
l’accumulo dell’acido lattico e ne facilita la rimozione dai muscoli.

Alcuni sport richiedono che gli atleti siano in grado di tollerare alti livelli di acido lattico; tra questi le
corse su brevi distanze, il nuoto, il canottaggio, la canoa, alcuni sport di squadra, la boxe e la lotta. I
preparatori atletici dovrebbero, quindi, tenere in considerazione i seguenti fattori:
◊ una pausa di 30 secondi consente di ripristinare circa il 50% dell’ATP-PC depleto;
◊ usare un tempo di recupero di un minuto in caso di più serie di 15-20 ripetizioni è insufficiente per
ripristinare i substrati energetici muscolari e permettere un’espressione di potenza elevata
(tabella 8.13);
◊ l’affaticamento accumulato durante l’esecuzione di esercizi per la forza massima intervallati da
tempi di recupero troppo brevi porta a una riduzione della frequenza di scarica dei motoneuroni,
con conseguente rallentamento della velocità di contrazione. Questo effetto non si verifica con un
tempo di recupero di almeno tre minuti (Bigland-Ritchie et al, 1983); infatti, una pausa di questa
ampiezza permette un ripristino quasi completo dell’ATP-PC;
◊ un tempo di recupero maggiore (oltre tre minuti) consente maggiori incrementi della forza degli
ischiocrurali (Pincivero, Lephart e Karunakara 1997);
◊ le serie portate all’esaurimento concentrico richiedono molto più tempo di recupero rispetto alle
serie con buffer. Per esempio, una serie di 5 ripetizioni con il 70% dell’1RM (15% buffer) può
richiedere da uno a due minuti per ripeterla con lo stesso output di potenza, mentre lo stesso
carico portato a esaurimento con 12-15 ripetizioni può richiedere più di cinque minuti perché la
serie successiva abbia la stessa espressione di potenza media, che sarà sicuramente inferiore
rispetto alla serie da 5 ripetizioni (figura 8.4). Inoltre, dopo che un atleta ha lavorato a
esaurimento, una pausa di recupero di quattro minuti è insufficiente per eliminare l’acido lattico
dai muscoli sollecitati o per ripristinare tutti i substrati energetici, come il glicogeno.

L’output di potenza e la risposta metabolica differiscono in maniera considerevole tra le due seguenti
opzioni: 5 serie di 10 ripetizioni portate a esaurimento concentrico rispetto a 10 serie di 5 ripetizioni non
portate a esaurimento concentrico impiegando lo stesso carico come percentuale dell’1RM (Gorostiaga et
al. 2012). Non arrivare all’esaurimento consente un output di potenza medio più alto, livelli di ATP dopo
l’ultima serie più alti (6 millimoli contro 4,9), livelli superiori di PC (14,5 millimoli contro 3,1) e una
concentrazione di lattato inferiore (5,8 millimoli contro 25); figura 8.4 e tabella 8. 13.
Figura 8.4
Comparazione del power output per ciascuna ripetizione di cinque serie di 10 ripetizioni a esaurimento
rispetto a dieci serie di 5 ripetizioni non a esaurimento

Tabella 8.13
Risposta metabolica nei confronti di uno schema di 5 serie di 10 ripetizioni a esaurimento rispetto a uno di
10 serie di 5 ripetizioni.

Legenda: ATP = adenosina trifosfato; ADP = adenosina difosfato; AMP = adenosina monofosfato; TAN = adenin-
nucleotide totale; IMP = inosina monofosfato; PCr = fosfocreatina; Cr = creatina; La = lattato
Da E. M. Gorostiaga-I. Navarro-Amézqueta-J.A. Calbet et al., “Energy metabolism during repeated sets of leg press
exercise leading to failure or not”, PLOS One 7(7): doi 10.1371/journal.pone.0040621, 2012

Il livello di ripristino dell’ATP-PC tra le serie dipende dalla durata del tempo di recupero: più è breve,
minore è il ripristino di ATP-PC e, di conseguenza, l’energia disponibile per la serie successiva. Quindi una
delle conseguenze di un tempo di recupero tra le serie inadeguato è un sempre maggiore affidamento sul
sistema anaerobico lattacido per la produzione di energia. L’utilizzo di questo sistema energetico
determina un’espressione di potenza minore rispetto all’utilizzo del sistema anaerobico alattacido e un
accumulo maggiore di acido lattico nei muscoli coinvolti, causando dolore e fatica e limitando in definitiva
la capacità dell’atleta di allenarsi in maniera efficace. Quindi, a meno che l’atleta non si stia allenando per
l’ipertrofia muscolare o per la tolleranza al lattato, è necessario un tempo di recupero più lungo per
mantenere un output di potenza costante e per evitare un accumulo eccessivo di acido lattico.
Ulteriori conseguenze di un tempo di recupero inadeguato sono l’affaticamento del SNC (sistema nervoso
centrale) e l’affaticamento muscolare locale.
La maggior parte della ricerca indica le seguenti possibili cause e siti dell’affaticamento.

Il motoneurone
Il sistema nervoso trasmette gli impulsi alle fibre muscolari attraverso il motoneurone. Un impulso
nervoso possiede una certa frequenza. Una frequenza di impulsi nervosi maggiore si traduce in una
contrazione muscolare più forte, che consente di sollevare carichi elevati o applicare forza rapidamente,
ad esempio per uno scato. La frequenza di scarica degli impulsi nervosi è fortemente influenzata
dall’affaticamento; più specificamente, all’aumentare della fatica, la forza di contrazione decresce a causa
di un abbassamento della frequenza di scarica (Ranieri e Di Lazzaro 2012; Taylor, Todd e Gandevia 2006).
Pertanto, al SNC sono necessari tempi di recupero più lunghi (fino a otto minuti) durante la fase di
allenamento della forza massima.

Giunzione neuromuscolare
La giunzione neuromuscolare è il punto di comunicazione tra il nervo che porta gli impulsi e la fibra
muscolare del muscolo che si contrae. La fatica in questo sito risulta per lo più da una maggiore
secrezione di messaggeri chimici (cioè i neurotrasmettitori) da parte delle terminazioni nervose (Tesch
1980). Le proprietà elettriche del nervo ritornano solitamente ai livelli normali se un atleta recupera 2-3
minuti dopo aver eseguito una serie. Tuttavia, dopo aver eseguito contrazioni potenti e ripetute, come
quelle tipiche dell’allenamento per la forza massima con carichi elevati o dell’allenamento della velocità o
della velocità resistente, un recupero sufficiente potrebbe richiedere un intervallo di durata superiore ai
cinque minuti.

Meccanismi contrattili
Anche i meccanismi contrattili del muscolo (actina e miosina) possono essere siti di affaticamento e di
diminuzione della prestazione. In particolare, l’aumento dell’acidità causata da contrazioni muscolari
ripetute, specialmente quelle ad alta intensità, diminuisce la tensione di picco (l’abilità di un muscolo di
contrarsi in modo massimale) e influisce sulla capacità del muscolo di reagire agli impulsi nervosi (Fox,
Bowes e Foss 1989; Sahlin 1986). Il muscolo che si contrae si affatica anche per la deplezione delle
riserve di glicogeno muscolare, che avviene durante l’esercizio prolungato (oltre i 30 minuti; Conlee 1987;
Karlsson e Saltin 1971; Sahlin 1986). Altre fonti di energia, come il glicogeno epatico, non possono
coprire pienamente le richieste di energia dei muscoli che lavorano.

Il SNC può essere anche influenzato dall’affaticamento muscolare locale; questo è infatti il risultato tipico
delle serie portate a esaurimento. Durante l’allenamento avvengono delle alterazioni chimiche all’interno
dei muscoli, che ne diminuiscono la capacità di eseguire lavoro (Bigland-Ritchie et al. 1983; Hennig e
Lomo 1987). Quando gli effetti di queste alterazioni chimiche sono segnalati al SNC, il cervello invia
impulsi nervosi più deboli ai muscoli coinvolti, diminuendone la capacità di lavoro nel tentativo di
proteggere il corpo. Con un tempo di recupero adeguato di tre-cinque minuti, i muscoli riescono a
recuperare quasi completamente.

Il cervello, quindi, non percependo pericoli, invia ai muscoli impulsi nervosi più potenti, che risultano in
una prestazione muscolare migliore.

La frequenza dell’allenamento della forza

La durata del recupero tra le sessioni di allenamento della forza dipende dal condizionamento metabolico
dell’atleta e della sua abilità di recuperare, dalla fase di allenamento e dai substrati energetici impiegati
nella sessione di allenamento. Atleti ben condizionati possono recuperare più velocemente, specialmente
all’avvicinarsi della fase competitiva, quando si suppone che raggiungano il loro più alto livello di
prestazione. Normalmente l’allenamento della forza segue quello tecnico-tattico. Se gli atleti utilizzano lo
stesso sistema energetico e i medesimi substrati (ad esempio, il glicogeno) durante gli allenamenti
specifici e quelli di forza, la sessione successiva dello stesso tipo dovrà essere pianificata per due giorni
dopo, poiché sono necessarie 48 ore per un completo ripristino del glicogeno (Fox, Bowes e Foss 1989;
Piehl 1974). Anche con una dieta ricca di carboidrati, i livelli di glicogeno non ritornano alla normalità in
meno di due giorni. Se gli atleti allenano soltanto la forza, così come accade in certi giorni durante la fase
preparatoria, il ripristino del glicogeno avviene più velocemente: 55% in cinque ore e quasi il 100% in
ventiquattro ore. Questo significa che l’allenamento della forza può essere programmato più
frequentemente. Nel caso di sessioni di allenamento della forza durante le quali vengano eseguite serie
multiple a basso numero di ripetizioni, non giungendo all’esaurimento e con un adeguato tempo di
recupero, il ripristino del glicogeno non è neppure un fattore da considerare, poiché il sistema energetico
maggiormente coinvolto sarà quello anaerobico alattacido (ATP-PC).
La pianificazione delle sessioni di allenamento della forza dovrebbe sempre prendere in considerazione il
tempo necessario per il recupero delle proteine muscolari. Soggetti non allenati che prendano parte a un
programma con i pesi, che includa una combinazione di azioni concentriche ed eccentriche, mostrano un
catabolismo proteico che può persistere sino a 48 ore dopo il termine della sessione (Gibala et al. 1995).
La buona notizia è che l’aumento della sintesi proteica muscolare concomitante è maggiore del
catabolismo. La sintesi proteica o la ricostruzione delle fibre muscolari a seguito di una sessione di
allenamento della forza possono essere ulteriormente incrementate assumendo un mix di carboidrati e
proteine immediatamente dopo il lavoro. Il recupero delle proteine muscolari sembra essere più veloce nei
soggetti allenati.
In conclusione, probabilmente il fattore più importante da considerare nella pianificazione delle sessioni
di allenamento della forza è l’affaticamento del sistema nervoso. Programmare due sessioni ad alta
intensità l’una vicina all’altra non consente un tempo adeguato per il recupero neurale. Per esempio, molti
preparatori pianificano un allenamento per la forza massima al lunedì, seguito da un allenamento
pliometrico al martedì. Poiché entrambe le sessioni sfruttano risorse neurali simili, il tempo di recupero
tra le due è inadeguato e possono apparire segni di sovrallenamento od occorrere infortuni, a meno che
per entrambe le sessioni non venga utilizzato un volume di allenamento molto basso.
In linea generale, quindi, la ricerca scientifica mostra chiaramente che il recupero dopo una sessione di
allenamento, sia essa di natura neuromuscolare o metabolica, deve essere adeguato in modo da
permettere a tutti i sistemi fisiologici di rigenerarsi e adattarsi allo stimolo prima di essere esposti a una
sessione d’allenamento simile, o più aggressiva, della stessa natura. Nel circolo virtuoso dell’adattamento
all’allenamento, il recupero gioca un ruolo tanto vitale quanto quello dello stimolo applicato. In
particolare, i substrati energetici devono essere ripristinati, il sistema nervoso deve recuperare e
l’equilibrio proteico (anabolismo meno catabolismo) deve restare positivo per ottenere un incremento
della forza muscolare, della potenza, della resistenza o della trofìa.

Questo processo può essere semplificato progettando i programmi di allenamento sulla base dei sistemi
energetici utilizzati. Il capitolo 3 fornisce una discussione approfondita sul ruolo dei sistemi energetici
nell’allenamento e il tempo necessario per il recupero e la rigenerazione a seguito di una sessione
d’allenamento.

Ripristino dei fosfati altamente energetici

Come si è visto nella discussione sui sistemi energetici del capitolo 3, l’adenosina trifosfato (ATP) è la
moneta energetica del corpo e la fosfocreatina è utilizzata per formare nuovo ATP dall’ADP che si forma
dalla precedente idrolisi dell’ATP stesso. I substrati energetici dell’organismo, come i fosfati e il
glicogeno, si riducono con il protrarsi dell’attività, sia essa sollevare pesi o eseguire un allenamento
metabolico. L’organismo poi recupera e ripristina le riserve di energia a un livello uguale o superiore a
quello precedente l’esercizio, ripristinando i fosfati e il glicogeno. Come si vede dalla tabella 8.14, il
ripristino dei fosfati (ATP-PC) raggiunge il 50% nei primi 30 secondi di recupero e il 100% tra i 3 e i 5
minuti. Questo schema spiega perché un recupero di tale ampiezza è necessario tra le serie di
esercitazioni di forza intense, come il sollevamento di carichi elevati per tre-otto ripetizioni, o tra
ripetizioni di scatti. Per esempio, durante un allenamento per la velocità, se i tempi di recupero tra le
ripetizioni di 50 metri sono insufficienti (solo uno, due minuti), la sessione diverrà progressivamente
sempre più lattacida, spostando così il risultato da una sessione per la velocità a una di tolleranza al
lattato (Janssen 2001).

Tempo (min.) % di ripristino


0,5 50
1 75
1,5 87,5
2 93,7
2,5 96,8
3 98,3
3,5 99
4 99,4
4,5 99,8
5 100

Tabella 8.14
Tempo di ripristino dell’ATP - PC

Iniziare una serie senza un recupero adeguato dei fosfati non permette all’atleta di mantenere
l’espressione di potenza per tuta la serie o da una serie all’altra. Quindi, nella fase d’allenamento della
forza massima, gli atleti dovrebbero recuperare da tre a cinque minuti prima di eseguire una serie
ulteriore per lo stesso gruppo muscolare, a meno che non si utilizzi un buffer alto (il che permette un
tempo di recupero più breve senza incorrere nell’accumulo di acido lattico, o in una perdita di potenza).
Per massimizzare il recupero qualora si utilizzino intensità molto alte con un buffer basso, gli atleti
dovrebbero utilizzare la sequenza verticale, passando a un esercizio diverso dopo ogni serie. In altre
parole, l’atleta completa una serie di ciascuno degli esercizi programmati prima di ritornare al primo
esercizio per la seconda serie. Questo schema permette un tempo molto lungo per il recupero dei fosfati
nel muscolo.

Attività durante il tempo di recupero

Lo stretching statico non dovrebbe essere eseguito per i muscoli che saranno coinvolti nell’allenamento di
forza o potenza, a meno che non sia posto all’inizio di una routine di riscaldamento lunga che includa un
progressivo incremento dell’intensità, poiché può inibire in acuto l’espressione di potenza (Power et al.
2004; Cramer et al. 2005; Nelson et al. 2005; Yamaguchi et al. 2006; Samuel et al. 2008, La Torre et al.
2010). Lo stretching statico dei muscoli coinvolti nell’allenamento dovrebbe essere programmato alla fine
della sessione. Lo scopo degli esercizi di stretching è l’allungamento di quei muscoli i cui filamenti di
actina e miosina sono sovrapposti. Prima i muscoli raggiungono la loro lunghezza anatomica, prima
iniziano il loro processo di recupero e rigenerazione, eliminando più facilmente i metaboliti accumulati
durante l’allenamento.

Per facilitare il recupero tra le serie gli atleti possono eseguire esercizi di rilassamento (come lo
scuotimento di gambe, braccia e spalle) o un massaggio leggero. Inoltre, essi possono realizzare esercizi
che coinvolgano i muscoli non affaticati in contrazioni leggere, facilitando il recupero dei muscoli motori
primari (Asmussen e Mazin 1978). Quando si eseguono ripetute intermittenti ad alta intensità (lattacidi),
la prestazione in ogni ripetuta successiva è influenzata positivamente dall’esecuzione di un’attività
aerobica a circa il 20% del VO2max rispetto allo stretching o al recupero passivo (Dorado, Sanchis-Moysi e
Calbet 2004).

8.8 SCHEMI DI CARICO PER L’ALLENAMENTO DELLA FORZA

Uno degli schemi di carico più popolari nell’allenamento della forza è il piramidale. La sua struttura,
illustrata nella figura 8.5, implica un incremento progressivo del carico mentre il numero di ripetizioni
diminuisce in modo proporzionale. Il vantaggio fisiologico dell’utilizzo del piramidale consiste nel fato che
esso prepara il sistema nervoso a tensioni più alte in maniera graduale, stabilizzando così la tecnica e
abbassando i meccanismi inibitori. Per facilitare il più alto livello di adattamento della forza, gli atleti
dovrebbero evitare di raggiungere l’esaurimento concentrico nelle serie e dovrebbero utilizzare un range
di carico del 10-15% dalla prima all’ultima serie della piramide. Un range maggiore del 15% non ottimizza
i guadagni di forza.

Figura 8.5
Schema di carico a piramide. In questo caso è utilizzato un buffer del 5% in modo che nessuna della serie
sia portata a esaurimento
Un altro schema, il doppio piramidale, consiste in due piramidi sovrapposte, una capovolta poggiata sulla
punta dell’altra. Il numero di ripetizioni decresce nella prima piramide, per poi incrementare nella
seconda. Di conseguenza, il carico aumenta al diminuire delle ripetizioni, per poi diminuire
all’incrementare di queste (figura 8.6).

Figura 8.6
Schema di carico a doppia piramide. La progressione nel tempo può prevedere il mantenimento delle
serie e delle ripetizioni e l’incremento dell’intensità del 2,5% dell’1RM in ogni microciclo, abbassando così
il buffer dal 10-15 al 2,5% per la durata del ciclo di forza massima

Sebbene il doppio piramidale abbia i suoi vantaggi, è necessaria della cautela. La maggior parte dei
sostenitori di questo schema suggerisce di raggiungere l’esaurimento concentrico in tutte le serie. Con
quest’approccio, però, nel momento di affrontare le serie finali, è possibile che sia il SNC, sia i muscoli
coinvolti siano esauriti; in questo caso le serie non produrranno i benefici sperati. Al contrario, poiché la
fatica altererà il reclutamento delle unità motorie a contrazione rapida, le ultime serie di questo schema
di carico stimoleranno l’ipertrofia muscolare anziché la forza o la potenza. I miglioramenti in potenza, in
particolare, possono essere ottenuti solamente quando l’atleta è in uno stato di freschezza, situazione
nella quale si trova generalmente all’inizio della sessione, immediatamente dopo il riscaldamento. Nel
caso in cui l’obiettivo della sessione d’allenamento siano contemporaneamente la forza massima e
l’ipertrofia (metodo per la forza assoluta), il doppio piramidale può essere una soluzione interessante
perché permette un alto tempo sotto tensione totale per le fibre a contrazione rapida.
Una versione migliorata del doppio piramidale è il piramidale inclinato (figura 8.7). Con questo approccio
il carico è costantemente incrementato, come nel piramidale normale, tranne che per l’ultima serie, nella
quale viene abbassato (ad esempio, l’80, 85, 90, 95 e 80%). È stato dimostrato che abbassare il carico
nell’ultima serie (detta serie di back-off) portandola a esaurimento consente di mantenere la trofìa
muscolare nel momento in cui la maggior parte delle serie con poche ripetizioni e alta intensità avrebbero
stimolato solamente incrementi di forza relativa (Goto et al. 2004). Questo metodo può essere usato
durante la fase di mantenimento della forza del piano annuale.

Figura 8.7
Schema di carico piramidale inclinato

Uno dei migliori schemi di carico per massimizzare i guadagni di forza è il piramidale piatto (figura 8.8).
Esso sviluppa la forza massima e stimola anche parzialmente l’ipertrofia specifica delle fibre a contrazione
veloce, grazie all’elevato numero di serie totali eseguite con carico alto. Questo schema prevede di
iniziare con una serie di riscaldamento con il 50% di 1RM, seguita da alcune serie intermedie al 60, 70 e
75%; poi il carico si stabilizza all’80% per il restante numero di serie. Il vantaggio fisiologico del
piramidale piatto è che, usando un carico di una sola intensità, si raggiungono gli adattamenti
neuromuscolari migliori per la forza massima senza confondere l’organismo con stimoli diversi.

Figura 8.8
Schema di carico piramidale piatto

Nei piramidali tradizionali, invece, il carico spesso varia dal 70 al 100%. Le variazioni di tale entità
spaziano su tre livelli di intensità: medio, pesante e massimale. Nonostante il fatto che il carico necessario
a produrre incrementi della forza massima sia compreso tra 70 e 100%, ogni zona di intensità (70-80%,
80-90% e 90-100%) stimola adattamenti neuromuscolari leggermente diversi (capitolo 2) e necessita di
una progressione precisa. Infatti, il volume di lavoro in ciascuna delle zone determina gli adattamenti
neuromuscolari prevalenti. Quindi, un piramidale tradizionale che utilizzi carichi dal 70 al 100% può
determinare miglioramenti sia in potenza, sia in forza massima ma, sebbene questo possa essere
vantaggioso per gli atleti, non massimizza i guadagni in nessuna delle due abilità motorie.

Variazioni del piramidale piatto sono certamente possibili e necessarie, fintanto che il carico resti
all’interno del range di intensità richiesto per gli adattamenti neuromuscolari desiderati in un macrociclo
specifico (70-80% per la coordinazione intermuscolare, 80-90% per la coordinazione intramuscolare). Una
di tali varianti può essere quella nella quale tutte le serie di lavoro sono eseguite per lo stesso numero di
ripetizioni, incrementando però il carico (e riducendo così il buffer) di serie in serie.
La figura 8.9 mostra la progressione di questo schema di carico su tre macrocicli di forza massima.

Figura 8.9
Progressione del carico e delle ripetizioni in tre macrocicli di forza massima 2+1, utilizzando il piramidale
piatto modificato con un buffer decrescente. Questo tipo di programmazione può essere utilizzato da atleti
di discipline di potenza, la cui attività specifica impegni già molto il sistema nervoso

Qualora si volesse incrementare la forza massima con atleti di livello intermedio o avanzato, il carico “a
onda” è uno schema eccellente. Poiché la sua applicazione pratica è un po’ più complessa rispetto ai
piramidali, si tende a non usarlo con i principianti, ma piuttosto per uno stadio di sviluppo atletico più
avanzato. Per una progressione di 14 settimane si veda la figura 8.10.
Figura 8.10
Lo schema di carico a onda è particolarmente indicato per gli atleti di potenza di livello intermedio e
avanzato. Qui è presentata una progressione di 14 settimane con tre schemi di ripetizioni nei macrocicli

Questo schema implica due o tre onde, solitamente composte da tre serie di lavoro, nelle quali il carico
viene incrementato in maniera progressiva mentre il numero di ripetizioni decresce. Lo stesso schema di
carico e ripetizioni impiegato per la prima onda è ripetuto in quelle successive.

Il vantaggio dal punto di vista fisiologico di questa soluzione risiede nel fatto che ogni onda successiva è
potenziata dall’ultima serie a carico elevato dell’onda precedente, incrementando così l’espressione di
potenza alla stessa percentuale di 1RM. Inoltre, questo schema lascia gli atleti di potenza più freschi per
le serie ad alta intensità, poiché non devono eseguire serie voluminose in precedenza, come avviene per
altri schemi di carico. Alcuni sostenitori del carico a onda hanno suggerito di sfruttare il potenziamento
neurale della prima onda per incrementare il carico nella seconda. Sebbene quest’approccio possa essere
usato per stimolare incrementi sia di forza massima, sia di ipertrofia, è preferibile aumentare il carico di
settimana (microciclo) in settimana, risparmiando maggiori energie per l’attività specifica.

8.9 PROGRAMMAZIONE DELL’ALLENAMENTO

Tutti i programmi di allenamento dovrebbero essere pianificati, progettati e misurati per verificare se gli
obiettivi sono stati raggiunti. I passi che vengono descritti qui di seguito tolgono qualsiasi dubbio sul
processo di pianificazione e programmazione dell’allenamento, nonché di verifica dell’impatto del
programma sul livello di sviluppo delle qualità fisiche.

Analisi del modello di prestazione

Analizzare il contributo di ciascuna delle abilità motorie e determinare le qualità maggiormente specifiche
da allenare.

Resistenza

1. Utilizzare la letteratura scientifica per determinare il contributo di ciascuno dei sistemi energetici
all’attività sportiva (al livello competitivo della squadra o dell’atleta):
◊ anaerobico alattacido (ATP-PC);
◊ anaerobico lattacido (LA);
◊ aerobico (O2).
2. Valutare se l’attività è continua o intermittente.
3. Determinare le zone di intensità di lavoro per la resistenza e la progressione da utilizzare nel
programma.
4. Scegliere i metodi da usare in ogni macrociclo e la progressione dei mezzi di allenamento.

Velocità
1. Valutare il numero, l’intensità e la durata degli scatti o delle azioni rapide.
2. Considerare le differenze e il contributo relativo di ognuna delle seguenti caratteristiche di
velocità: velocità alattacida (accelerazione, velocità massima), velocità lattacida breve (repeated
sprint ability, RSA), velocità lattacida di lunga durata (velocità resistente). Nota: la velocità
resistente è un’espressione di potenza lattacida nella quale la massima intensità è mantenuta per
più di otto secondi. Al contrario, la velocità lattacida breve (repeated sprint ability, RSA) è
un’espressione di capacità alattacida nella quale gli scatti della durata inferiore ai sei secondi
sono ripetuti con recuperi parziali, in modo che in seguito diventa un’espressione di potenza
lattacida breve, che coinvolge fortemente anche la potenza aerobica durante i brevi intervalli di
recupero, al fine di ripristinare i substrati attraverso la fosforilazione ossidativa.
3. Valutare il tipo (ativo-passivo) e la durata del recupero tra gli scatti o le azioni veloci.
4. Valutare se la velocità è espressa in forma lineare o non lineare.
5. Scegliere i metodi da utilizzare in ciascun macrociclo e la progressione dei mezzi alienanti.

Forza

1. Determinare il tipo di forza specifica. Stabilire quale delle seguenti qualità della forza è specifica
per la disciplina: potenza, potenza resistente, resistenza muscolare di breve durata, resistenza
muscolare di media durata, resistenza muscolare di lunga durata. L’incremento della o delle
qualità prescelte sarà l’obiettivo finale dell’intera periodizzazione dell’allenamento forza. Bisogna
ricordare che per le espressioni di resistenza muscolare (di natura più metabolica), gli
adattamenti morfo-funzionali richiedono una esposizione più lunga agli stimoli rispetto agli
adattamenti neurali. Questa caratteristica influenza direttamente la durata della fase di
conversione e quindi il tempo rimanente per le altre fasi, poiché il processo di pianificazione
dipende strettamente del punto di arrivo finale.

2. Determinare la durata appropriata del periodo di adattamento anatomico, basandosi sulle


caratteristiche dell’atleta (incluso il suo stadio di sviluppo atletico e l’esperienza di allenamento
della forza) e sul tempo disponibile per questa fase introduttiva.

3. Decidere se pianificare o meno un periodo dedicato all’ipertrofia, alla luce delle caratteristiche
dell’atleta e della disciplina sportiva.

4. Selezionare gli esercizi da impiegare nell’allenamento. I preparatori atletici dovrebbero sceglierli


in base alle caratteristiche dello sport, ai bisogni dell’atleta e alla fase del piano annuale. Ogni
abilità tecnica è espressa attraverso l’azione dei muscoli motori primari, che possono essere
diversi da sport a sport, a seconda dei requisiti specifici. Quindi, i preparatori dovrebbero prima
identificare i muscoli motori primari, poi scegliere gli esercizi per la forza che meglio li
coinvolgono. Allo stesso tempo bisogna tenere conto delle necessità individuali di ogni atleta, che
dipendono dal suo background, dai suoi punti di forza e da quelli deboli. Poiché gli anelli più
deboli di una catena si rompono per primi, devono essere scelti anche degli esercizi di
compensazione (accessori) per rinforzare i gruppi muscolari più deboli. La selezione è anche fase-
specifica. Normalmente, durante il periodo di adattamento anatomico si allenano più gruppi
muscolari, in un approccio multilaterale, al fine di costruire fondamenta più solide. All’avvicinarsi
della fase competitiva, l’allenamento diviene più specifico e gli esercizi sono scelti per
coinvolgere i muscoli motori primari.

Perciò i preparatori atletici devono analizzare i movimenti tipici dello sport per determinare quali
esercizi e quali parametri di carico impiegare. Devono essere considerati i seguenti fattori:
◊ i piani sui quali avvengono i movimenti (sagittale, frontale, trasverso);
◊ il range articolare specifico (cioè il range che deve essere utilizzato per lo sviluppo della forza
specifica);
◊ i gruppi muscolari che producono il movimento (cioè i muscoli motori primari di cui si dovrà
massimizzare la forza specifica);
◊ il tipo di azioni muscolari (concentrica, eccentrica, isometrica).

Scegliere i metodi da utilizzare in ciascun macrociclo e la progressione dei mezzi di allenamento.


Maggiori dettagli riguardo ai metodi e alla progressione dei mezzi di allenamento sono forniti nei capitoli
da 11 a 15.

Analisi della tradizione dell’allenamento di uno sport

Analizzare la tradizione nell’allenamento dello sport scelto. Negli anni gli allenatori hanno trovato
soluzioni prevalentemente basate sulla praticità, piuttosto che sulla scienza. Equipaggiati con le
conoscenze più recenti e con l’esperienza pratica, sarà possibile trovare il punto di partenza ideale per
superare queste tradizioni.

Analisi dell’atleta

Per determinare lo stato di allenamento attuale di un atleta, bisognerà testarne il grado di sviluppo di
ciascuna abilità biomotoria e delle sue diverse espressioni, possibilmente in relazione ai mezzi che si
utilizzeranno nel programma di lavoro. Bisogna considerare i risultati dei test e il livello competitivo al
fine di stabilire la progressione del carico e gli obiettivi della prestazione per ciascuna abilità biomotoria
in ognuna delle fasi dell’anno.
Per prima cosa è necessario determinare il grado di allenamento della forza di un atleta. La forza massima
è il carico più alto che un atleta può sollevare per una ripetizione (1RM). Prima di programmare un ciclo
di forza massima o di potenza, il preparatore fisico dovrebbe conoscerne i livelli di ciascun atleta almeno
negli esercizi principali. I valori di un atleta sono validi solamente all’interno un ciclo di allenamento,
solitamente per un macrociclo, perché il grado di allenamento (preparedness) cambia continuamente. Il
test di 1RM dovrebbe essere eseguito solamente dagli atleti con una certa esperienza nell’allenamento
della forza e solo dopo macrocicli nei quali siano stati esposti a carichi uguali o maggiori del 70% di 1RM.
Bisognerebbe testare anche l’equilibrio muscolare (rapporto di forza tra agonisti e antagonisti) per quelle
articolazioni che sono più importanti nella pratica di un determinato sport (utilizzando carichi su
massimali da 3RM a 8RM) e testare la forza specifica all’inizio dell’anno per monitorare la sua
progressione, ottenendo informazioni circa le dinamiche di adattamento ai programmi di allenamento.
Tutti i passi precedenti danno un’immagine chiara del livello dello sviluppo atletico e del grado di
allenamento di un atleta per ognuna delle abilità biomotorie. È possibile usare queste informazioni per
determinare il tipo e il numero degli esercizi, lo schema di carico, le percentuali di 1RM, il numero di
ripetizioni e il numero di serie da prescrivere nel programma di un macrociclo.

Il programma non può, ovviamente, essere lo stesso per ogni macrociclo. Il carico dovrebbe aumentare
progressivamente in modo che l’atleta si adatti a sovraccarichi sempre maggiori, il che si traduce in un
aumento di forza. I preparatori dovrebbero testare gli atleti per determinare il nuovo 1RM prima di ogni
nuovo macrociclo in modo da assicurare che vi sia un reale miglioramento della forza massima e che i
nuovi carichi siano adeguati ai guadagni ottenuti.

È pure possibile usare uno o più test correlati con l’attività di gara per valutare il metabolismo e la
potenza, in modo da avere un’idea della forma atletica sport-specifica durante tutto il processo di
allenamento.

Bisogna annotare i dati ottenuti. Una volta fato questo, si devono tradurre le informazioni raccolte nelle
tabelle di allenamento per esprimere il carico, il numero di ripetizioni, il numero delle serie. Il carico è
indicato come percentuale di 1RM e gli atleti devono essere testati, specialmente durante la fase
preparatoria, alla fine di ciascun macrociclo, per conoscerne con precisione il valore. Conoscere l’entità
esatta di 1RM permette al preparatore fisico di selezionare le percentuali da utilizzare in allenamento, in
accordo con gli obiettivi di ciascuna fase.

L’annotazione del carico, del numero di ripetizioni e di serie è espressa come segue: il numeratore (ad
esempio 80) si riferisce al carico come percentuale di 1RM, il denominatore (ad esempio 5) rappresenta il
numero di ripetizioni e il moltiplicatore (ad esempio 4) indica il numero di serie.

Il vantaggio di esprimere il carico come percentuale di 1RM è che quando si lavora con un grosso gruppo
di atleti, come una squadra di football, il preparatore non deve calcolare il peso da utilizzare per ciascun
giocatore; piuttosto, ognuno usa il proprio 1RM personale come base per calcolare il carico, che
necessariamente è diverso da giocatore a giocatore. Quindi, questo metodo segue il principio di
individualizzazione.

Test di forza massimale (1RM)

Alcuni allenatori ritengono che il test massimale (1RM) sia pericoloso; ritengono, cioè, che
utilizzare un’intensità del 100% possa causare infortuni. Per gli atleti allenati, tuttavia, verificare il
massimale una volta ogni tre o quattro settimane non è pericoloso. La maggior parte degli infortuni
avviene durante gli allenamenti e le competizioni e non durante l’esecuzione del test. A volte,
durante l’attività sportiva, il fisico dell’atleta è sottoposto a forze pari a cinque volte il proprio peso
corporeo; il test massimale, pertanto, non costituisce un reale pericolo per la salute dell’atleta.
Bisogna considerare, inoltre, che il test per determinare 1 RM è eseguito alla fine di un microciclo
di scarico, a fine macrociclo, quando l’atleta ha ormai smaltito completamente la fatica accumulata
nei precedenti microcicli di carico. Il test di forza massimale deve, tuttavia, prevedere un
riscaldamento completo e progressivo, per esempio quello suggerito di seguito per uno squat, la cui
proiezione del massimale è 150 kg (1RM):

1a serie: 20 kg × 10 ripetizioni, 30 secondi di recupero, 13% 1RM


2a serie: 60 kg × 4 ripetizioni, 60 secondi di recupero, 40% 1RM
3a serie: 80 kg × 2 ripetizioni, 90 secondi di recupero, 53% 1RM
4a serie: 100 kg × 2 ripetizioni, 2 minuti di recupero, 67% 1RM
5a serie: 120 kg × 1 ripetizione, 2 minuti di recupero, 80% 1RM
6a serie: 130 kg × 1 ripetizione, 3 minuti di recupero, 87% 1RM
7a serie: 140 kg × 1 ripetizione, 4 minuti di recupero, 93% 1RM
8a serie: 145 kg × 1 ripetizione, 5 minuti di recupero, 97% 1RM
9a serie: 150 kg × 1 ripetizione, 6 minuti di recupero, 100% 1RM

Un esempio di annotazione di un programma di allenamento della forza

Qualsiasi programma di allenamento della forza dovrebbe essere trascritto su carta o nel diario di
allenamento. La tabella 8.15 mostra un esempio di quanto si sta dicendo. La prima colonna elenca
gli esercizi in ordine di esecuzione. La seconda colonna specifica il carico, il numero di ripetizioni e
il numero di serie. L’ultima colonna indica il tempo di recupero tra le serie.

8.10 PRESCRIZIONE DEGLI ESERCIZI

I 656 muscoli distribuiti all’interno del corpo umano sono capaci di eseguire una grande varietà di
movimenti. Tute le azioni e le tecniche sportive sono il risultato della contrazione muscolare.

Quindi, se un atleta vuole migliorare la tecnica o la propria prestazione fisica, deve concentrarsi
sull’allenamento dei muscoli che eseguono l’azione, ossia i muscoli motori primari.
Il processo di selezione degli esercizi per un determinato gruppo muscolare (o per determinati gruppi
muscolari) deve essere basato su considerazioni specifiche e in relazione alla fase del piano annuale.

Durante la fase di adattamento anatomico, gli esercizi devono essere scelti per lo sviluppo della maggior
parte dei gruppi muscolari (agonisti e antagonisti), per costruire una base solida per le fasi a venire.
All’approssimarsi della fase competitiva, gli esercizi diventano più specifici e vengono prescritti in
funzione dei muscoli motori primari (tabella 8.16; gli asterischi indicano il volume relativo dedicato a
ciascuna tipologia).
Figura 8.16
Periodizzazione degli esercizi nel piano annuale

La prescrizione degli esercizi non dovrebbe essere basata su quelli presi in prestito dal sollevamento
olimpico o dal bodybuilding, ma sulla comprensione di come i muscoli producano un movimento. In
particolar modo, dalla seconda parte del periodo di preparazione in poi, un esercizio è veramente efficace
per gli atleti di ogni sport se segue il principio di specificità. Ciò significa che deve coinvolgere i muscoli
motori primari e i muscoli sinergici utilizzati nell’esecuzione dei gesti tecnici di quella disciplina.

I preparatori fisici spesso si rivolgono al bodybuilding per imitarne le metodiche senza capire la differenza
tra esso e gli altri sport. Una delle differenze risiede nel tipo di metodo (analitico o globale) utilizzato per
determinare come un esercizio raggiunga un obiettivo d’allenamento specifico. I bodybuilder utilizzano il
metodo analitico per lo sviluppo di ciascun muscolo. Essi analizzano il movimento di ciascun muscolo per
allenarlo con esercizi complessi e di isolamento per raggiungere il massimo sviluppo muscolare.

Nello sport, invece, dovrebbe essere utilizzato maggiormente il metodo complesso, perché esso coinvolge
non solo il muscolo singolo, ma i muscoli di più articolazioni contemporaneamente, quelli necessari a
realizzare un gesto tecnico. Gli esercizi dovrebbero coinvolgere i muscoli e le articolazioni in una
sequenza simile a quella utilizzata nell’esecuzione della tecnica in esame. Per esempio, per allenare i
muscoli coinvolti nella partenza dello sprint, gli atleti dovrebbero utilizzare lo squat, gli affondi e gli step-
up, anziché la leg extension.

In molti casi gli atleti e i loro allenatori misurano il grado di successo di un programma per lo sviluppo
della forza in base al grado di ipertrofia ottenuto. Invece, a parte le eccezioni come i linemen del football
americano, i lanciatori di peso, i lottatori e i pugili nei pesi massimi, l’incremento continuo della massa
muscolare non è un effetto desiderabile per la maggior parte degli atleti. Gli sport di potenza e velocità,
ossia sport con una dominanza di azioni rapide ed esplosive (ad esempio, il baseball, il football, l’hockey,
la pallavolo e la maggior parte degli eventi nell’atletica leggera), dovrebbero fondare l’allenamento della
forza sugli adattamenti del sistema nervoso. Questo implica l’uso di molti esercizi di potenza e di carichi
da moderati (50-70% di 1RM) ad alti (superiori al 70% di 1RM) che determinano gli adattamenti neurali
(Enoka 1996; Sale 1986; Schmidtbleicher 1992). Per la maggior parte degli sport gli adattamenti neurali
derivati dall’allenamento della forza consentono l’incremento della potenza e della velocità di contrazione
senza un aumento di massa muscolare: in altre parole, un incremento di forza e potenza relativa.

È possibile raggiungere adattamenti neurali più elevati selezionando con cura i metodi di allenamento e
gli esercizi. Sia i ricercatori, sia gli allenatori di livello internazionale hanno opinioni simili riguardo a ciò
che rappresenta la specificità nell’allenamento della forza. Queste opinioni possono essere riassunte come
segue:
◊ le metodiche di allenamento della forza devono essere specifiche, in relazione alla velocità di
contrazione utilizzata nella disciplina per cui ci si sta allenando (Coyle et al. 1991; Kanehisa e
Miyashita 1983). Questo presupposto significa che, dalla seconda metà del periodo di preparazione
e per tuta la fase competitiva, gli allenatori devono utilizzare metodi che incrementino in maniera
specifica la velocità di contrazione e quindi i livelli di potenza;
◊ i metodi e gli esercizi utilizzati devono incrementare la forza nella direzione del movimento
specifico. Questo requisito significa selezionare gli esercizi in base ai muscoli utilizzati per
eseguire le azioni tecniche di un dato sport (i muscoli motori primari). Quindi, gli esercizi del
bodybuilding sono una perdita di tempo, specialmente durante la seconda parte della fase
preparatoria e per tutta la fase competitiva;
◊ i metodi di allenamento utilizzati devono incrementare l’attivazione dei muscoli motori primari. Per
questo motivo, gli esercizi scelti devono essere sport-specifici e coinvolgere principalmente questi
gruppi muscolari;
◊ i metodi di allenamento utilizzati devono incrementare la frequenza di scarica delle unità motorie
(Hortobagyi et al. 1996), ossia allenare il sistema neuromuscolare a eseguire un gesto atletico con
elevata potenza e alta velocità. Più specifico è il metodo di allenamento in termini di velocità di
contrazione e gli esercizi scelti in termini di catena cinetica, più il sistema nervoso sarà allenato a
eseguire movimenti atletici rapidi e potenti;
◊ il reclutamento delle unità motorie e la frequenza di scarica incrementano con carichi elevati e
contrazioni veloci (De Luca et al. 1982). I metodi che incrementano la forza massima e la potenza
sono gli unici che possano migliorare il reclutamento e la frequenza di scarica delle unità motorie
di tipo II (ossia delle fibre a contrazione rapida);
◊ gli esercizi dovrebbero essere scelti a seconda degli schemi motori utilizzati nello sport (Hakkinen
1989). Più precisamente, essi devono essere selezionati in modo che le contrazioni siano eseguite
nella stessa sequenza di attivazione che occorre durante l’esecuzione dei gesti tecnici rilevanti
nella propria disciplina. Se un esercizio non riproduce in maniera realistica gli aspetti di un’azione
tecnica, ossia non è specifico, determinerà un transfer minore e, quindi, un minor miglioramento
della prestazione;
◊ gli adattamenti neurali risultanti dall’allenamento della forza comprendono un maggior numero di
unità motorie attivate volontariamente. Questa abilità si trasferisce dagli esercizi generali a quelli
specifici. La scelta dei migliori metodi d’allenamento per la forza massima migliora l’attivazione
delle unità motorie. Ne risulta che l’atleta può eseguire le azioni tecniche con maggiore velocità di
contrazione e maggior potenza.
PIANIFICAZIONE E PROGRAMMAZIONE DEL MICROCICLO
Nono capitolo

Un programma di allenamento della forza efficace dovrebbe essere parte di una pianificazione a lungo
termine e non implementato solamente durante alcuni periodi della pianificazione annuale. E nemmeno
l’allenamento della forza dovrebbe essere eseguito soltanto per il gusto di farlo. Se (e solo se)
implementato correttamente, l’allenamento della forza aiuta gli atleti a proteggersi dagli infortuni, a
ritardare l’insorgenza dell’affaticamento e a raggiungere il livello di potenza richiesto per una
performance sportiva ottimale. Affinché l’allenamento della forza sia efficace, deve soddisfare gli obiettivi
di una particolare fase dell’allenamento ed essere compatibile con la pianificazione complessiva.
Dato che un programma di allenamento è una strategia scientifica e metodica che punta a migliorare la
prestazione, andrebbe organizzato e progettato al meglio. Un programma efficace include i principi della
periodizzazione della forza durante tutto l’anno. Sia a breve, sia a lungo termine, riflette le conoscenze
metodologiche dell’allenatore e deve prendere in considerazione il background dell’atleta e il suo
potenziale fisico.
Un buon programma è semplice, oggettivo e flessibile, in maniera tale da poter combaciare con gli
adattamenti fisiologici e gli incrementi della prestazione dell’atleta. La teoria della pianificazione è
comunque molto complessa, come si è visto nel capitolo 6. Ulteriori informazioni possono essere trovate
nel testo Periodization: Theory and Methodology of Training (Bompa 2009). In questo capitolo si parlerà
dell’organizzazione della sessione di allenamento e del microciclo; nel capitolo successivo si vedrà il piano
annuale per la periodizzazione della forza. È possibile fare riferimento alle sezioni riguardanti la
periodizzazione nel capitolo 10 per informazioni maggiormente sport-specifiche.

9.1 ORGANIZZAZIONE DELLA SESSIONE D’ALLENAMENTO

La sessione di allenamento è lo strumento principale per organizzare il programma di allenamento


giornaliero. Per raggiungere una migliore gestione e un‘organizzazione eccellente, la sessione dovrebbe
essere strutturata in quattro segmenti principali. I primi due (introduzione e riscaldamento) preparano
l’atleta alla parte principale, nella quale viene messo in atto il lavoro stabilito; a questi tre si aggiunge un
ultimo segmento (defaticamento), che riporta l’atleta allo stato fisiologico normale.

Introduzione

Durante l’introduzione alla sessione di allenamento, l’allenatore e il preparatore fisico condividono con
l’atleta gli obiettivi della giornata e il modo in cui dovranno essere raggiunti. Il preparatore organizza
inoltre gli atleti in gruppi e fornisce loro i consigli necessari riguardanti il programma di lavoro.

Riscaldamento

Lo scopo specifico del riscaldamento è quello di preparare gli atleti all’allenamento prefissato. Durante il
riscaldamento, la temperatura corporea aumenta permettendo una prestazione migliore. Il riscaldamento
stimola l’attività del sistema nervoso centrale (SNC), il quale coordina tutti i sistemi dell’organismo,
accelera le reazioni motorie attraverso una più veloce trasmissione degli impulsi nervosi, migliora la
performance biomeccanica del sistema motorio, migliora la velocità di contrazione e il picco di potenza
che i muscoli possono produrre e migliora la coordinazione (Enoka 2002; Wade et al. 2000). L’aumento
della temperatura corporea facilita inoltre l’allungamento dei muscoli, della miofascia e dei tendini,
prevenendo o riducendo le distorsioni legamentose e gli strappi muscolari. Il tessuto muscolare riscaldato
è capace di adattarsi ad allungamenti a velocità più elevate, prima che il complesso osteo-tendineo si
danneggi (Enoka 2002).

Il riscaldamento per l’allenamento della forza include due parti: generale e specifica. Il riscaldamento
generale (5-10 minuti, eseguiti nel caso non si provenga direttamente dalla pratica specifica) prevede
jogging, cyclette, step-up leggeri seguiti da esercizi calistenici ed esercizi di stretching dinamico, al fine di
incrementare il flusso sanguigno per aumentare la temperatura corporea. Questa attività prepara i
muscoli e i tendini al programma pianificato. Durante il riscaldamento, gli atleti dovrebbero inoltre
prepararsi mentalmente per la parte principale della sessione, visualizzando gli esercizi e motivando se
stessi a dare il massimo. Il riscaldamento specifico (3-5 minuti) rappresenta una breve transizione verso la
parte principale della sessione. Durante questa fase gli atleti si preparano a eseguire efficacemente
l’allenamento, con serie multiple con poche ripetizioni (5 decrescendo fino a 1 o 2 all’incrementare del
carico) agli attrezzi che verranno utilizzati e impiegando gradualmente carichi più pesanti fino a giungere
a quelli pianificati per la sessione (il che significa poche serie di riscaldamento per serie ad alte
ripetizioni, più serie di riscaldamento per le serie più pesanti da poche ripetizioni).

Parte principale

La parte principale della sessione è dedicata al programma di allenamento concertato, nel quale vengono
raggiunti gli obiettivi dell’allenamento, compreso l’allenamento della forza. Nella maggior parte degli
sport, i lavori tecnici e tattici sono gli obiettivi principali e lo sviluppo della forza rappresenta una priorità
secondaria. Le attività più importanti (quelle specifiche) sono svolte immediatamente dopo il
riscaldamento, seguite dall’allenamento della forza. Spesso le attività sport-specifiche che precedono la
sessione dedicata all’allenamento della forza fungono da riscaldamento generale, cosicché l’atleta possa
iniziare direttamente a eseguire le serie di riscaldamento del primo esercizio. Le tipologie di allenamento
da svolgere in un determinato giorno dipendono dalla fase dell’allenamento, così come dagli obiettivi
individuati. La tabella 9.1 fornisce alcuni esempi per pianificare la sequenza di diverse sessioni di
allenamento. Il programma dovrebbe essere basato su principi scientifici e le linee guida fondamentali
vengono fornite dai sistemi energetici dominanti.

Quando vengono discusse le combinazioni da utilizzare nelle sessioni di allenamento e nel microciclo, gli
allenatori e gli atleti dovrebbero ricordare i seguenti punti chiave:
◊ negli sport caratterizzati da azioni esplosive di breve durata (meno di 10 secondi), la potenza è la
qualità della forza più specifica. Gli esempi includono prove di sprint, salto, lancio dell’atletica
leggera, sprint nel ciclismo, salto con gli sci, sci freestyle, tuffi, lancio e battuta nel baseball, lancio
nel football americano, qualsiasi salto o rapido cambio di direzione negli sport di squadra e le
rapide azioni degli arti nella boxe, nella lotta libera e nelle arti marziali;
◊ le attività di resistenza alla velocità caratterizzate da azioni rapide, intermezzate da rapidi cambi di
direzione, salti e brevi intervalli, sono basate sulla potenza resistente di breve durata. Queste
attività includono diversi elementi presenti negli sport di squadra. La velocità resistente (10-50
secondi), invece, è caratterizzata da un’azione veloce prolungata; la forza specifica di questa è la
potenza resistente di lunga durata o la resistenza muscolare di breve durata, a seconda di quanto
durino gli sforzi. Gli sport in cui queste caratteristiche rivestono un ruolo importante sono, ad
esempio, i 50 e 100 m nel nuoto, i 200 e 400 m nell’atletica leggera, i 500 m nel pattinaggio di
velocità;
◊ le attività prolungate eseguite contro qualsiasi tipo di resistenza (gravità, suolo, acqua, neve o
ghiaccio) dipendono principalmente dalla resistenza muscolare. Includono il canottaggio, gli eventi
di nuoto più lunghi di 100 m, kayak e canoa, lo sci di fondo e alcuni elementi degli sport da
combattimento, di squadra e con racchetta. Pertanto, gli allenatori della forza devono analizzare
attentamente la propria disciplina e decidere le proporzioni in base alle quali i loro atleti hanno
bisogno di essere esposti all’allenamento di potenza, potenza resistente o resistenza muscolare.

Tabella 9.1
Esempi di sequenze per le sessioni di allenamento

Defaticamento

Mentre il riscaldamento serve come transizione dal normale stato biologico, tipico delle attività quotidiane
all’allenamento ad alta intensità, il defaticamento è una transizione con l’effetto opposto: riporta il corpo
indietro alle sue funzioni normali. Gli atleti, pertanto, non dovrebbero andarsene subito a fare la doccia
appena terminato l’ultimo esercizio. Al contrario, dovrebbero eseguire un defaticamento di 10-20 minuti,
in modo da velocizzare il recupero dallo stress indotto dall’allenamento.

Come risultato dell’allenamento, in particolare in seguito al lavoro intensivo, gli atleti producono una
grande quantità di acido lattico e i loro muscoli sono esausti, tesi, rigidi. Per ovviare a questo stato di
affaticamento e accelerare il processo di recupero, dovrebbero eseguire esercizi di rilassamento e di
stretching. In particolare, alla fine di un allenamento lattacido, gli atleti dovrebbero eseguire da 5 a 10
minuti di attività aerobica continua a bassa intensità, che permetta al corpo di continuare con la
perspirazione (zona di intensità 6, vedi capitolo 3), seguiti da 5-10 minuti di stretching. Queste procedure
migliorano il recupero generale e la rimozione dei metaboliti attraverso il loro passaggio dalle cellule
muscolari al sistema circolatorio, riducono la temperatura corporea, la frequenza cardiaca e la pressione
arteriosa (Moeller et al. 1985; Hagberg et al. 1979).

Inoltre, il defaticamento abbassa i livelli di cortisolo, i quali, altrimenti, potrebbero disturbare il riposo
notturno e restare elevati fino a 24 ore successive all’allenamento, ritardando così il processo di recupero
e gli adattamenti all’allenamento. Il defaticamento, inoltre, riduce le catecolamine, in particolare
l’adrenalina e la noradrenalina (Jezova et al. 1985). Le attività di defaticamento riducono la tensione
emotiva dell’atleta, favorendo il recupero anche a livello mentale (Jezova et al. 1985). Lo stretching,
infine, permette ai muscoli di tornare alla loro lunghezza anatomica e velocizza il ripristino del range
articolare di movimento, un processo che altrimenti potrebbe richiedere sino a 24 ore.

Una volta che il defaticamento inizia a dissipare la fatica accumulata, è fondamentale accelerare il
recupero e gli adattamenti tramite il ripristino dei substrati energetici. Questo tema è discusso in
dettaglio nel capitolo 5. Per adesso si sottolinea il fato che le velocità di recupero e di adattamento sono
determinate non solo dal tipo di allenamento eseguito, ma anche dal livello di allenamento dell’atleta, dal
suo carico interno (cioè dalla fatica residua; vedi capitolo 4) alla fine della sessione e dagli interventi
nutrizionali (Bompa e Haff 2009).

9.2 ORGANIZZAZIONE DELLA SESSIONE D’ALLENAMENTO

MODELLI DI SESSIONE DI ALLENAMENTO


Molti sport richiedono un allenamento tecnico e tattico, così come l’allenamento per la massima velocità,
per la resistenza alla velocità e per la resistenza aerobica, che stressano diversi sistemi energetici. Come
possono essere combinate queste componenti dell’allenamento senza produrre un elevato grado di fatica
e senza che gli adattamenti indotti da un elemento interferiscano con il miglioramento degli altri? Questi
quesiti possono essere affrontati in due modi: 1) combinando le componenti dell’allenamento, in modo che
l’atleta stressi solo un sistema energetico per sessione di allenamento; 2) alternando i sistemi energetici
in ogni microciclo, così che l’atleta si alleni in base al sistema (o sistemi) prevalente nel suo sport.

Modello di allenamento stressante il sistema anaerobico alattacido

1. Riscaldamento
2. Allenamento tecnico di breve durata
3. Allenamento della velocità massima e dell’agilità (2-8 secondi)
4. Allenamento della forza massima
5. Allenamento della potenza

L’ordine delle attività in questo modello è stato stabilito basandosi sulle caratteristiche fisiologiche e
mentali dell’atleta. L’allenamento deve focalizzarsi prima sulle attività che richiedono una maggiore
concentrazione del sistema nervoso, focus mentale, e quindi freschezza mentale: in altre parole, tecnica,
velocità, o entrambi. La velocità massima dovrebbe essere allenata prima della forza massima, in quanto
gli incrementi di questa qualità e della potenza sono risultati essere più elevati quando preceduti da sprint
alla velocità massimale (Baroga 1978; Ozolin 1971).

Questo particolare modello di allenamento è applicabile agli sport di squadra, inclusi il football
americano, il calcio, il baseball, il softball e il cricket, a eventi di sprint, ai salti e lanci nell’atletica
leggera, ai tuffi, agli sport di racchetta, alle arti marziali e ad altri sport nei quali il sistema anaerobico
alattacido è dominante. Sebbene esistano due opzioni dell’allenamento della forza (forza massimale e
potenza), si suggerisce di utilizzarne solo una in base alla fase di allenamento, senza comunque escludere
la possibilità di combinarle.

La durata di una sessione di allenamento della forza in questo modello dipende sia dalla sua importanza
nello sport in questione, sia dalla fase del piano annuale. Durante la fase preparatoria, una sessione di
allenamento della forza può durare dai 45 ai 75 minuti. Nella fase competitiva è molto più breve (dai 20 ai
40 minuti) e il lavoro è dedicato principalmente al mantenimento dei livelli raggiunti in precedenza.

Eccezioni a queste regole di base valgono per i lanciatori dell’atletica leggera, per i linemen del football
americano e per i wrestler nella categoria dei pesi massimi, i quali richiedono più tempo per l’allenamento
di questa qualità per loro imprescindibile (dai 60 ai 90 minuti).

Modello di allenamento stressante il sistema anaerobico lattacido

1. Riscaldamento
2. Allenamento tecnico o tattico di media durata (10-60 secondi)
3. Allenamento per la velocità resistente (15-50 secondi) e per l’agilità di lunga durata (10-30
secondi) oppure brevi ripetizioni (3-10 secondi) con altrettanto brevi intervalli di recupero
4. Allenamento per la potenza resistente o la resistenza muscolare di breve durata

Questo modello è consigliato per gli sport nei quali il sistema anaerobico lattacido è particolarmente
importante (dai 10 ai 60 secondi di attività). Dunque l’allenamento specifico, specialmente in forma di
ripetute prolungate ma intense, può essere seguito da un allenamento della forza nel quale venga
utilizzata la resistenza lattacida - potenza resistente o resistenza muscolare di breve durata. Applicare
questo modello una o due volte a settimana è vantaggioso per la maggior parte degli sport che utilizzano
il sistema energetico anaerobico lattacido, come nei 50-100 metri del nuoto, nel ciclismo su pista, nelle
prove dai 200 agli 800 metri nell’atletica leggera, così come negli sport di squadra, di racchetta, da
combattimento e nelle arti marziali.
Modello di allenamento stressante sia per il sistema aerobico che anaerobico

1. Riscaldamento
2. Allenamento tecnico-tattico di lunga durata (tra 1,5 e 8 minuti)
3. Allenamento della resistenza muscolare di media durata

La resistenza aerobica include la resistenza di media durata che coinvolge sia il sistema anaerobico
lattacido, sia il sistema aerobico. L’allenamento del sistema aerobico è generalmente di lunga durata e
stimola gli adattamenti del meccanismo ossidativo, con alcuni piccoli adattamenti anche del sistema
anaerobico. Il modello descritto combina l’allenamento tattico di media durata (1,5-8 minuti) con la
resistenza muscolare di media durata; entrambi stressano il sistema anaerobico lattacido, ma ancor più la
potenza aerobica e la capacità di ritardare l’inizio dell’affaticamento.

Modello di allenamento stressante il sistema aerobico

1. Riscaldamento
2. Allenamento di resistenza aerobica
3. Allenamento per la resistenza muscolare di lunga durata

Il suddetto modello è il più efficace per gli sport nei quali la resistenza aerobica è dominante, oppure
riveste un ruolo importante per raggiungere la prestazione atletica desiderata. Questi sport includono la
corsa su lunghe distanze, il triathlon, il ciclismo su strada, lo sci di fondo, il canottaggio, la canoa, il
kayak, la mountain bike e le maratone di canoa. Anche nel caso di queste discipline l’allenamento della
forza è eseguito al termine della sessione, in quanto la fatica risultante potrebbe influenzare la capacità
dell’atleta di raggiungere gli obiettivi dell’allenamento aerobico.

Modello di allenamento per sviluppare potenza e agilità in stato di affaticamento

1. Riscaldamento
2. Allenamento tecnico-tattico stressante il sistema aerobico
3. Allenamento di potenza e agilità

Spesso il risultato di una competizione viene deciso negli ultimi minuti. Gli atleti devono essere allenati
per tali condizioni, con lo scopo di generare maggior potenza e rapidità, mostrare un alto livello di agilità
al termine della competizione e, come risultato, competere a un livello più alto. Il modo più efficiente per
migliorare queste capacità è quello di allenare gli atleti in condizioni di fatica simili a quelle che
incontreranno in gara. Le sessioni di allenamento strutturate per raggiungere questo obiettivo dovrebbero
prima affaticare l’atleta tramite l’allenamento metabolico (zone di intensità 3 o 4), per eseguire in seguito
ripetute di agilità e di potenza ad alta intensità per 20-30 minuti. Queste ripetute possono essere sia
specifiche, sia aspecifiche. Un’altra opzione, in particolare per gli sport di racchetta, le arti marziali, il
pugilato e la lotta libera, è quella di utilizzare un allenamento di resistenza muscolare di 20-30 minuti,
seguito da esercizi di agilità e potenza ad alta intensità.Questo modello è consigliato per le sessioni
specifiche negli sport di squadra, di racchetta, negli sport da combattimento e le arti marziali, nei quali lo
scopo dell’allenamento è stressare la parte finale dell’incontro o della partita.
© Antonio Ros/Dreamstime.com

Lo sviluppo della potenza e dell’agilità in stato d’affaticamento richiede che l’allenamento di tali abilità
venga posto alla fine della seduta, dopo che l’allenamento tecnico-tattico abbia utilizzato principalmente il
sistema aerobico

9.1 PIANIFICARE IL MICROCICLO

Il programma di allenamento del microciclo, o settimanale, è probabilmente lo strumento di pianificazione


più importante. Attraverso il piano annuale la natura e le dinamiche dei microcicli variano in base al
periodo di allenamento, ai suoi obiettivi e alle richieste fisiologiche e psicologiche incontrate dall’atleta.
Un macrociclo, d’altra parte, è un piano di allenamento composto da due a sei settimane o microcicli.

Incrementi del carico

Attraverso i macrocicli il carico dell’allenamento della forza viene incrementato in base al tipo di ciclo e
alla fase del piano annuale. Il lavoro all’interno di ogni macrociclo segue una progressione a gradini. Dal
punto di vista dell’intensità, i microcicli seguono il principio dell’incremento progressivo del carico. Come
illustrato nella tabella 9.2 (punti a, b e c), il carico è aumentato progressivamente durante i primi tre cicli,
ai quali segue un ciclo di rigenerazione in cui il carico è ridotto per facilitare il recupero e il ripristino
energetico. Successivamente viene eseguito un test di forza massima prima che inizi un altro macrociclo.
Basandosi su questo modello, nelle tabelle vengono suggeriti gli incrementi dei carichi utilizzando il
sistema di notazione descritto nel capitolo 8, nel quale il numeratore indica il sovraccarico come
percentuale di 1RM, il denominatore indica il numero di ripetizioni e il moltiplicatore indica il numero di
serie. Di seguito sono illustrate tre modalità possibili di progressione del carico.
◊ Nella tabella 9.2a, il volume resta lo stesso, l’intensità aumenta, il buffer per le serie di lavoro
principali diminuisce e il test di 1RM è eseguito alla fine del quarto microciclo (scarico).

Tabella 9.2a
Macrociclo: il volume resta costante e l’intensità delle serie di lavoro principali aumenta del 2,5% ogni
settimana*

*Il carico suggerito in ogni microciclo si riferisce al lavoro da svolgere in un giorno, che può essere ripetuto da due a
quattro volte per settimana in base agli obiettivi dell’allenamento

◊ Nella tabella 9.2b, il volume delle serie resta lo stesso, il numero delle ripetizioni diminuisce,
l’intensità aumenta, il buffer resta lo stesso e il test di 1RM è eseguito al termine del quarto
microciclo.

Tabella 9.2b
Macrociclo: il volume diminuisce mentre l’intensità media* aumenta del 5% ogni settimana**

*Intensità media = [(intensità1 × rip × serie) + (intensità2 × rip × serie) + (intensità3 × rip × serie)] / rip totali. In
questo caso: [(70×6×1) + (75×4×1) + (80×3×3)] / (6+4+9) = 75.8%; (75×5×1) + (80×3×1) + (85×2×3)] / (5+3+6) =
80.3%; [(80×3×1) + (85×2×1) + (90×1×3)]/(3+2+3) = 85%
**Il carico suggerito in ogni microciclo si riferisce al lavoro da svolgere in un giorno, che può essere ripetuto da una a
due volte per settimana in base agli obiettivi dell’allenamento.

◊ Nella tabella 9.2c, il volume aumenta, l’intensità e il buffer restano gli stessi.

Tabella 9.2c
Macrociclo: il volume delle serie di lavoro principali aumenta di una unità ogni settimana*

*Il carico suggerito in ogni microciclo si riferisce al lavoro da svolgere in un giorno, che può essere ripetuto da una a due
volte a settimana in base agli obiettivi dell’allenamento.

Come mostrato, il lavoro, o il carico totale di allenamento, viene aumentato per gradini, con il carico più
elevato pianificato nel microciclo 3. Per aumentare il lavoro da un microciclo all’altro, l’allenatore ha tre
possibilità: incrementare il carico diminuendo al contempo il buffer (tabella 9.2a), incrementare il carico
mantenendo lo stesso buffer, dunque riducendo le ripetizioni per serie (tabella 9.2b), oppure incrementare
il numero delle serie di lavoro principali dal microciclo 1 al microciclo 3 (tabella 9.2c).

L’approccio può essere scelto per adattarsi alle caratteristiche degli atleti. Ad esempio, i giovani atleti
hanno difficoltà a tollerare un elevato numero di serie. È pur vero che dovrebbero eseguire un alto
numero di esercizi per sviluppare l’intero sistema muscolare e adattare le inserzioni osteo-muscolari
(tendini) all’allenamento della forza. Ad ogni modo, è difficile tollerare l’esecuzione di un grande numero
di esercizi e al contempo di un alto numero di serie. Pertanto, è consigliabile optare per un maggior
numero di esercizi a discapito del numero di serie.

Il microciclo 4 rappresenta una settimana di rigenerazione nella quale il volume viene ridotto e il buffer
aumentato per ridurre la fatica risultante dai primi tre gradini, per ripristinare le riserve energetiche e
promuovere il rilassamento psicologico.

Ancora una volta, nella preparazione atletica, l’allenamento della forza è subordinato all’allenamento
tecnico e tattico. Di conseguenza, il carico dell’allenamento settimanale orientato alla forza dovrebbe
essere calcolato considerando volume e intensità complessive.

Prima di discutere le opzioni dell’allenamento della forza per il microciclo, è importante menzionare il
fatto che anche il lavoro settimanale totale viene pianificato seguendo il principio dell’incremento
progressivo del carico di allenamento. Le figure 9.1, 9.2 e 9.3 illustrano tre microcicli, ognuno dei quali
rappresenta uno step del macrociclo relativo alla programmazione convenzionale discussa
precedentemente.

Figura 9.1
Microciclo di carico di lavoro ridotto con un giorno intenso e diversi giorni di medio e basso carico
(domenica è il giorno di riposo)

Figura 9.2
Microciclo di carico di lavoro medio, con due sessioni a elevata entità
Figura 9.3
Microciclo di elevato carico di lavoro, con tre giorni di allenamento a elevata entità

Il numero di sessioni di allenamento della forza per microciclo

Il numero di sessioni di allenamento della forza per ciascun microciclo dipende dai seguenti fattori: il
livello dell’atleta, l’importanza rivestita dalla forza nella disciplina sportiva in questione e la fase del piano
annuale.

Livello di qualificazione dell’atleta


I giovani atleti andrebbero introdotti progressivamente all’allenamento della forza. All’inizio, possono
essere esposti a una o due brevi sessioni per microciclo a seguito del lavoro tecnico e tattico.
Progressivamente, durante un periodo di due-quattro anni, questa esposizione può essere incrementata
sino a tre o quattro sessioni. Gli atleti senior che competono a livello nazionale o internazionale possono
partecipare a tre-quattro sessioni di allenamento della forza a settimana, principalmente durante la fase
preparatoria.

L’importanza della forza nella propria disciplina


L’allenamento della forza può rivestire più o meno importanza in un determinato sport in base alla tecnica
necessaria, alle capacità dominanti e alle richieste dei sistemi energetici. Ad esempio, la forza è meno
importante in quegli sport dove la resistenza aerobica è chiaramente dominante, come la maratona.
D’altra parte, la forza è fondamentale negli sport di ruolo nei quali la potenza è dominante, come ad
esempio il football americano e gli eventi di lancio dell’atletica leggera. Quando essa è meno importante,
una o due sessioni a settimana possono essere sufficienti. Quando ricopre un ruolo più importante,
l’allenamento della forza deve essere svolto almeno tre volte per microciclo, specialmente nella fase
preparatoria.
Fase del piano annuale
Il numero delle sessioni di allenamento della forza dipende dalla fase di allenamento. In base allo sport
praticato, andrebbero eseguite da due a quattro sessioni per microciclo durante la fase preparatoria e da
una a tre sessioni per microciclo durante la fase competitiva.
Gli atleti che eseguono quattro sessioni di allenamento della forza per settimana dovranno realizzarne
alcune in giorni consecutivi. In queste circostanze gli allenatori hanno due opzioni:

1. allenare gli stessi gruppi muscolari in ogni sessione, ma alternando le intensità, forza massima un
giorno e potenza il successivo;
2. dividere gli esercizi per la parte superiore e per la parte inferiore del corpo al fine di accelerare il
recupero.

Nel primo caso è necessaria qualche forma di variazione di intensità, in quanto sarebbe impossibile per i
gruppi gruppi muscolari coinvolti recuperare completamente se venissero utilizzati gli stessi parametri di
carico per due sessioni all’interno di un intervallo di 24 ore oppure, ancora peggio, quattro sessioni in un
intervallo di 96 ore.

Nello sport l’allenamento della forza è svolto in aggiunta all’allenamento tattico-tecnico. Per la massima
efficacia - e l’utilizzo più economico delle energie - gli esercizi devono essere scelti per sollecitare
principalmente i muscoli motori primari. Quando si parla di allenamento della forza per lo sport, per
aumentarne l’efficacia, il numero degli esercizi in una seduta dovrebbe essere ridotto il più possibile,
specialmente dopo la fase di adattamento anatomico. Questa diminuzione permette all’atleta di eseguire
più serie e forza i muscoli motori primari a contrarsi molte volte. Il risultato è un maggiore sviluppo di
forza e di potenza per i muscoli coinvolti. Un caso particolare è rappresentato dagli sport multiplanari (i
cui movimenti sono eseguiti su diversi piani dello spazio), come gli sport di squadra, gli sport da
combattimento e le arti marziali. Per queste discipline è necessario un più alto numero di esercizi al fine
di soddisfare, ad esempio, le elevate richieste di forza sul piano trasverso.

9.4 TIPOLOGIE DI FORZA E RECUPERO DEI SISTEMI ENERGETICI

Alcuni autori suggeriscono di pianificare l’allenamento della forza nei giorni “leggeri”. Dal punto di vista
fisiologico questo pensiero non ha molto senso. Fino a un certo punto, la maggior parte degli sport
richiedono l’allenamento di gran parte, se non tutte, le abilità biomotorie come velocità, forza e
resistenza. Ogni qualità fisica utilizza e dipende da un determinato sistema energetico e i sistemi
presentano diverse velocità di recupero e di ripristino dei substrati.
Il ripristino del glicogeno inizia dopo 5 minuti di recupero, ma può impiegare fino a 48 ore per essere
completato, in base all’allenamento sport-specifico e a quello per la forza eseguito quel giorno. Il
glicogeno, infatti, può essere ripristinato completamente se viene fornito un apporto dietetico adeguato di
carboidrati durante le 24 ore successive a un’attività intermittente e 48 ore dopo una sessione metabolica
altamente tassante (Hermansen e Vaage 1977). Sono richieste circa 48 ore dopo un lavoro intensivo
continuo, ma solamente circa 24 ore dopo un’attività intermittente, come l’allenamento della forza
(Brooks, Brauner e Cassens 1973; Fox, Bowes e Foss 1989). In seguito alle sessioni di allenamento della
forza e di velocità ad alta intensità nelle quali viene stressato anche il SNC, il recupero completo di
quest’ultimo può richiedere anche 48 ore. Dopo sforzi alla massima intensità che stressano fortemente il
SNC, come una gara sui 100 metri oppure una competizione di powerlifting, l’atleta potrebbe aver
bisogno sino a sette giorni di carico ridotto al fine di ripetere una performance dello stesso livello, ossia
per ottenere una rigenerazione completa di tutti i sistemi fisiologici coinvolti.

Come spiegato nel capitolo 5, il decorso temporale del ripristino dei substrati è pesantemente influenzato
dalla qualità e dalla tempistica dell’apporto di cibo, così come dall’entità dei danni prodotti alle miofibrille
dalle sessioni di allenamento (Bompa e Haff 2009). Il tempo di recupero da attività aerobiche a bassa
intensità è minore, approssimativamente otto ore. Il ripristino delle riserve energetiche e il recupero del
sistema nervoso potrebbero essere accelerati con sessioni aerobiche di compensazione o con sessioni di
lavoro tattico a bassa intensità.

Queste tipologie di giorni di allenamento possono essere considerate leggere e andrebbero pianificate
dopo i giorni di allenamento più duri della settimana oppure dopo una competizione.

Il maggior effetto della sessione di allenamento riguarda, naturalmente, il sistema energetico


principalmente coinvolto; gli altri due vengono influenzati in maniera minore. Questo significa che il
sistema energetico stressato richiede un tempo di recupero più lungo rispetto agli altri. Ad esempio,
quando un sistema anaerobico è allenato per primo nella settimana, è possibile allenare il sistema
aerobico il giorno successivo e poi l’altro sistema anaerobico (quello non allenato il primo giorno). Dopo
un’altra seduta aerobica, è infine possibile sollecitare nuovamente il sistema anaerobico della prima
seduta settimanale. Quando il sistema aerobico è allenato per primo, nella sessione successiva può essere
sollecitato il sistema anaerobico alattacido. Gli esercizi anaerobici alattacidi, infatti, necessitano di minor
supporto del sistema aerobico rispetto a quanto non facciano gli esercizi anaerobici lattacidi. Il primo
meccanismo induce un minore debito di ossigeno totale rispetto al sistema lattacido.

Pertanto, specialmente negli sport di potenza e velocità, un microciclo dovrebbe alternare tra sistemi
anaerobici e sistema aerobico. Di seguito abbiamo tre opzioni, in base alla tipologia di sport e alla fase di
allenamento:

Alattacido-aerobico-lattacido-aerobico-alattacido-aerobico-riposo
Alattacido-aerobico-lattacido-aerobico-alattacido-lattacido-riposo
Alattacido-lattacido-aerobico-alattacido-lattacido-aerobico-riposo

Nel caso di sport di resistenza di lunga durata, la scelta degli allenamenti è limitata in termini di
alternanza dei sistemi energetici. Pertanto, il sistema aerobico viene allenato quotidianamente alternando
di giorno in giorno diverse intensità.

Supponiamo che un allenatore pianifichi delle sessioni di allenamento intensivo lunedì, mercoledì e
venerdì e i giorni leggeri di martedì e giovedì. Dato che i giorni intensi sono separati da 48 ore - e in
particolare visto che un giorno leggero è pianificato durante quelle 48 ore - il glicogeno può raggiungere
la completa ristorazione e il SNC può recuperare prima del successivo allenamento intensivo. Questa
dinamica viene drasticamente modificata se l’allenatore pianifica intense sessioni di allenamento della
forza nei giorni leggeri. In quest’ultimo caso, l’atleta stressa i sistemi energetici anaerobici durante i
giorni leggeri così come durante i giorni intensivi, portando a uno stress quotidiano del sistema nervoso e
delle riserve di glicogeno. Come risultato, l’allenamento della forza diventa un ostacolo al recupero.
Questo schema complica il rapporto tra energia spesa e ripristinata e il recupero del sistema nervoso,
condizioni che possono portare l’atleta all’affaticamento o all’esaurimento. E il passo dall’esaurimento
all’overtraining è breve.

Di conseguenza l’allenamento della forza deve essere pianificato negli stessi giorni di quello tecnico e
tattico oppure nei giorni di velocità e potenza, ossia nei giorni anaerobici. Con questo approccio l’atleta
stressa pesantemente le riserve di glicogeno e il sistema nervoso; tuttavia, nel complesso il programma di
allenamento non interferisce con il recupero e la rigenerazione prima della successiva seduta ad alta
intensità, che è prevista 48 ore dopo. Come linea guida nell’organizzazione di un microciclo, la tabella 9.3
mostra le attività raggruppate per sistema energetico e quindi allenabili in tre giorni differenti.
In aggiunta alla determinazione della sequenza delle sessioni all’interno di un microciclo, si deve inoltre
considerare la combinazione dei mezzi di allenamento all’interno delle stesse sessioni. Infatti, certi
obiettivi possono essere raggiunti solamente nelle giuste circostanze, ossia quando i livelli della fatica
residua dell’atleta sono adeguati per lo sviluppo, il mantenimento oppure la rifinitura di alcune abilità
biomotorie. La tabella 9.4 mostra il livello accettabile di fatica residua per l’allenamento di alcune
capacità fisiche.

Tabella 9.3
La classificazione dei metodi di allenamento in accordo con il sistema energetico principalmente stressato
(ergogenesi)

Fatica residua dell’atleta Obiettivi dell’allenamento*


Tecnica, tattica (apprendimento), accelerazione, velocità massima,
Assente (fresco)
potenza
Tecnica, tattica, accelerazione, velocità resistente, forza massima,
Bassa
potenza, potenza resistente
Resistenza speciale, potenza aerobica, resistenza muscolare di breve
Moderata
e media durata
Capacità aerobica, rifinitura tecnica e tattica in specifiche condizioni,
Alta (affaticato) resistenza muscolare di lunga durata

Tabella 9.4
Obiettivi dell’allenamento e stato di affaticamento

* Gli obiettivi dell’allenamento che richiedono una fatica residua minima andrebbero allenati dopo un giorno leggero e
messi al primo posto nella sequenza della sessione di allenamento.

Le seguenti tabelle forniscono degli esempi di programmi di allenamento della forza in relazione alle altre
attività atletiche e ai sistemi energetici dominanti. La tabella 9.5 presenta i consigli per un microciclo
negli sport individuali di velocità e potenza (sprint e salti nell’atletica leggera) nel quale i sistemi
energetici vengono alternati. L’allenamento della forza viene pianificato regolarmente nei giorni che
prevedono attività che stressano lo stesso sistema energetico.

Ad esempio, le ripetute per l’allenamento della velocità, che stressano il sistema anaerobico alattacido,
sono seguite dall’allenamento per la potenza. In aggiunta, ogni giorno di attività anaerobica (lunedì,
mercoledì, venerdì) è seguito da un giorno di allenamento aerobico sotto forma di tempo run (8-20 × 100
-200 metri al 60% della massima velocità).
La tabella 9.6 illustra come gli allenamenti per i sistemi energetici e le espressioni specifiche della forza
possano essere alternate per uno sport nel quale la resistenza aerobica è predominante, come nel
canottaggio, il kayak, la canoa, lo sci di fondo e le prove del nuoto oltre i 400 metri.

Ogni volta che viene allenata la resistenza aerobica, il solo tipo di allenamento della forza proposto è
quello di resistenza muscolare. Quando viene pianificato l’allenamento anaerobico (martedì), esso è
seguito da un lavoro di potenza resistente, che stressa lo stesso sistema energetico (anaerobico lattacido).

Lunedì Accelerazioni
Velocità massima
Forza massima o potenza
Martedì Tempo run
Mercoledì Accelerazioni
Velocità resistente
Forza massima o potenza resistente
Giovedì Tempo run
Venerdì Accelerazioni
Velocità massima
Forza massima o potenza
Sabato Tempo run
Lunedì Resistenza aerobica
Resistenza muscolare
Martedì Resistenza anaerobica
Potenza resistente
Mercoledì Resistenza aerobica
Compensazione
Giovedì Allenamento misto
Potenza resistente
Venerdì Resistenza aerobica
Resistenza muscolare
Resistenza aerobica
Sabato Compensazione

Tabella 9.6
Alternanza dei sistemi energetici per gli sport con dominanza della resistenza aerobica

Due giorni stressanti di allenamento (lunedì e martedì) sono seguiti da un giorno di allenamento aerobico
più leggero come compensazione e per supercompensare le riserve di glicogeno depauperate il giorno
precedente. Lo stesso approccio è utilizzato nella seconda parte del ciclo.

Per gli sport ad alta complessità (allenamento tecnico, tattico, fisico), l’alternanza tra sistemi energetici e
allenamento della forza potrebbe seguire il modello presentato nella tabella 9.7. Gli esempi includono tutti
gli sport di squadra, le arti marziali e gli sport di racchetta. Tutti i giorni le attività proposte stressano lo
stesso sistema energetico. Naturalmente non vengono pianificate più di tre delle attività suggerite, il che
significa che per l’allenamento della forza bisogna scegliere tra l’espressione di forza massima oppure di
potenza.
Di martedì può essere pianificata una seduta anaerobica lattacida (allenamento della tattica e della
resistenza specifica). Per stressare lo stesso sistema energetico il programma di allenamento della forza
dovrebbe consistere in attività mirate allo sviluppo della potenza resistente e della resistenza muscolare
di breve durata. Mercoledì è il giorno di compensazione o di allenamento tecnico e tattico più blando. Per
i restanti tre giorni di allenamento, viene utilizzata la stessa sequenza (AL-LA-O2).

Lunedì Abilità tecniche alattacide


Velocità
Forza massima o potenza
Martedì Abilità tattiche lattacide
Velocità resistente
Potenza resistente o resistenza muscolare di breve durata
Mercoledì Abilità tecniche e tattiche aerobiche
Compensazione
Giovedì Abilità tecniche alattacide
Velocità
Forza massima o potenza
Venerdì Abilità tattiche lattacide
Velocità resistente
Potenza resistente o resistenza muscolare di breve durata
Abilità tecniche e tattiche
Sabato Compensazione

Tabella 9.7
Alternanza dei sistemi energetici negli sport ad alta complessità

Durante la fase competitiva, l’approccio utilizzato per mantenere l’allenamento della forza dipende
strettamente dalle competizioni in programma. Vi sono tre diverse possibilità: una competizione a
settimana, due competizioni a settimana oppure un torneo a settimana.

La tabella 9.8 illustra le tipologie di attività da pianificare tra due competizioni che cadono al termine di
settimane consecutive. Dato che i giorni di gara variano da sport a sport, si sono numerate le sessioni di
allenamento piuttosto che specificare un giorno della settimana per ogni sessione. Il giorno post-
competizione è dedicato al recupero e alla rigenerazione, al fine di rimuovere la fatica e preparare l’atleta
a riprendere l’allenamento nel giorno successivo.

Come negli altri microcicli, i programmi di allenamento suggeriti considerano la necessità fisiologica di
alternare e, quindi, di stressare principalmente un solo sistema energetico al giorno. Di conseguenza,
l’allenamento della forza massima è pianificato nei giorni stessi nei quali viene sollecitato il sistema
anaerobico alattacido e il suo scopo è quello del mantenimento dei livelli già acquisiti. Certamente,
l’allenamento della forza massima suggerito è breve e utilizza esercizi selezionati specifici per lo sport
praticato dall’atleta. Il carico di allenamento deve essere suddiviso tra giorni a bassa, media e alta
intensità (vedi capitolo 15). Di conseguenza, pianificare le sessioni di allenamento aiuta l’atleta a gestire
meglio le richieste e lo stress associati all’allenamento e alla competizione.
Tabella 9.8
Programma di allenamento per un microciclo collocato tra due gare
Bisogna tenere bene a mente il bisogno di alternanza tra allenamento, scarico, competizione e recupero
prima di riprendere nuovamente l’allenamento.

La tabella 9.9 illustra un microciclo con tre competizioni in una settimana: una situazione comune negli
sport di squadra nei quali la squadra gioca il campionato e la coppa simultaneamente, oppure il
campionato stesso richiede due partite a settimana. In tali condizioni, il lavoro di mantenimento della
forza è leggermente differente: un giorno di forza massima e uno per la potenza, la potenza resistente
oppure la resistenza muscolare. Nel giorno 5, il giorno successivo alla competizione, si suggeriscono
attività che possano stimolare il recupero e la rigenerazione, come massaggi, stretching, sauna e
allenamento a bassa intensità. Al fine di consentire la miglior realizzazione di queste attività, il giorno 5
può essere suddiviso in due parti (per gli atleti che possono beneficiare di tempo libero): recupero e
rigenerazione al mattino e un breve allenamento tecnico e tattico a bassa intensità al pomeriggio.

Nei giorni precedenti le gare, gli atleti eseguiranno un allenamento tattico simile alle attività che
incontreranno in competizione il giorno successivo.
La tabella 9.10 illustra un microciclo per sport che prevedono tornei nel fine settimana (ad esempio
venerdì, sabato e domenica). Dato che questi tornei possono essere organizzati a poche settimane di
distanza tra loro, oppure ripetuti per diverse settimane di fila (ad esempio, competizioni delle scuole
superiori e delle università in Nord America), può essere utilizzata la stessa struttura per una o più
settimane. Gli allenatori potranno apportare variazioni nel microciclo basandosi sulle condizioni specifiche
dei loro atleti, sul grado di fatica e sul livello di qualificazione, così come su altri fattori, ad esempio gli
spostamenti e la possibilità di organizzare allenamenti quotidiani.
Il giovedì gli allenatori dovrebbero organizzare un allenamento tattico, al fine di simulare le strategie che
i loro atleti utilizzeranno per la durata del torneo. Coloro che hanno tempo per sessioni di allenamento da
effettuare durante il torneo potrebbero usare attività a intensità molto bassa, al mattino ad esempio, al
fine di simulare le strategie che gli atleti utilizzeranno nella competizione che si terrà al pomeriggio o alla
sera.

Tabella 9.9
Programmi di allenamento della forza consigliati per un microciclo con tre competizioni
Tabella 9.10
Programma di allenamento della forza per un microciclo con torneo nel fine settimana

9.5 INTEGRAZIONE DEI MICROCICLI NEI MACROCICLI

Un microciclo non dovrebbe rappresentare un’entità isolata, ma andrebbe piuttosto integrato


razionalmente in un macrociclo più ampio. Questa integrazione dovrebbe verificarsi sempre. È possibile
fare riferimento ai capitoli da 11 a 15 per un approfondimento sull’integrazione tra periodi e metodi di
allenamento diversi in un concetto continuo di allenamento.
L’integrazione di diversi tipi di microcicli in un macrociclo dipende dalla fase del piano annuale, dalla
qualificazione dell’atleta, dal suo background in merito all’allenamento della forza e dal tipo di
macrociclo. Due tipologie di macrocicli vengono utilizzate durante la fase preparatoria: il macrociclo con
incrementi a gradini e il macrociclo “flat”. L’aumento di carico per step è utile nei macrocicli di sviluppo.
Prevedendo progressivi aumenti del carico, questo tipo di evoluzione è meno stressante e quindi più
applicabile nella prima parte della preparazione. Il macrociclo a gradini è consigliato durante tutto l’anno
per gli atleti principianti, quelli di livello intermedio e per gli atleti di endurance, mentre per gli atleti più
avanzati degli sport di potenza può essere limitato al solo periodo iniziale di preparazione generale.

Il macrociclo “flat” sottopone gli atleti a un maggiore volume medio di allenamento, con intensità più
elevata oppure entrambe le condizioni, e pertanto mette a dura prova la loro capacità di adattamento. È
consigliato ad atleti avanzati con una vasta esperienza o semplicemente per i macrocicli nei quali
l’allenamento è molto intenso o molto specifico e quindi richiede uno scarico più frequente.

Infatti, è consigliabile utilizzare una struttura 2+1 per il modello “flat” invece che la 3+1 normalmente
utilizzata nel modello a gradini.

Come illustrato nella figura 9.4, l’altezza di ogni blocco riflette le richieste del carico. La lettera C indica
un microciclo di carico e la lettera S uno di scarico, che è collocato alla fine di ogni macrociclo con lo
scopo di facilitare il recupero. Durante la fase competitiva, l’integrazione dei microcicli nei macrocicli
dipende direttamente dal calendario delle gare. Pertanto, dato che il calendario varia in base allo sport,
altrettanto fa la struttura del macrociclo. Ad esempio, si consideri il periodo competitivo di uno sport
individuale. Il macrociclo illustrato nella tabella 9.11 consiste in un microciclo di recupero e rigenerazione
post competizione al fine di eliminare la fatica prima di riprendere con il normale allenamento. Questo
microciclo è seguito da due microcicli di sviluppo, che vengono utilizzati per allenare l’atleta con
l’obiettivo di migliorare ulteriormente o mantenere alcune abilità biomotorie importanti. Segue un
microciclo di picco, nel quale il volume dell’allenamento è ridotto drasticamente (una riduzione fino al
60%), mentre l’intensità solo leggermente, al fine di raggiungere il picco della performance per la
competizione.

Figura 9.4
Macrocicli a gradini e flat all’interno della fase preparatoria

Tabella 9.11
La struttura di un macrociclo della fase competitiva negli sport individuali

L’allenamento della forza può essere realizzato normalmente durante i microcicli di sviluppo, per
assicurare che il deallenamento non influenzi la capacità dell’atleta di raggiungere il picco di prestazione
alla fine della fase competitiva, ossia quando vengono pianificate le gare più importanti.

La struttura del macrociclo differisce per gli sport di squadra, nei quali ogni settimana rappresenta
un’occasione per competere, spesso anche due volte. Come risultato, l’allenamento della forza deve
essere implementato in base ai microcicli esemplificati in questo capitolo, in particolare quelli illustrati
nelle figure 9.1, 9.2 e 9.3. Considerato che gli sport di squadra hanno un numero così alto di competizioni,
lo scopo dei programmi di allenamento della forza deve essere quello di mantenere i livelli di forza
specifica raggiunti durante la fase preparatoria. Questo approccio evita il deallenamento. Inoltre, grazie ai
benefici fisiologici del mantenimento di elevati livelli di forza specifica, il grado di competenza atletica
degli atleti deve essere mantenuto durante tuta la stagione agonistica.
IL PIANO ANNUALE
Decimo capitolo

Il piano annuale è importante per raggiungere gli obiettivi a lungo termine, tanto quanto il microciclo per
la pianificazione a breve termine. Un piano d’allenamento annuale organizzato e ben strutturato è
fondamentale per massimizzare i miglioramenti del potenziale motorio dell’atleta. Esso deve essere basato
sul principio della periodizzazione della forza e impiegare i principi d’allenamento come linee guida.
L’obiettivo primario dell’allenamento è quello di raggiungere il picco di forma in un momento particolare,
che di solito si identifica con la gara più importante dell’anno. Per raggiungere questo elevato livello di
prestazione, l’intero programma deve essere periodizzato e pianificato in modo tale che lo sviluppo delle
abilità tecniche e biomotorie proceda in maniera logica e metodica per tutto il corso dell’anno.

10.1 LA PERIODIZZAZIONE DEL PIANO ANNUALE

Questa prima componente della periodizzazione consiste nella suddivisione del piano annuale in periodi di
allenamento più brevi e quindi più facilmente gestibili, favorendo così una migliore organizzazione del
lavoro e permettendo all’allenatore di eseguire il programma in modo sistematico. Nell’ambito della
maggior parte delle discipline sportive, il ciclo annuale di allenamento è strutturato in tre fasi principali:
preparatorio (prima del periodo delle competizioni), agonistico (periodo delle gare) e di transizione (a
stagione agonistica conclusa). Ognuna di queste fasi è ulteriormente suddivisa in cicli.

La durata di ognuna di queste fasi dipende innanzitutto dal calendario delle gare, ma anche dal tempo che
si impiega a migliorare le abilità tecniche e a sviluppare le abilità biomotorie dominanti. Durante il
periodo preparatorio, l’obiettivo principale dell’allenatore consiste nel creare una base fisiologica per gli
atleti, mentre la fase competitiva è caratterizzata dal perfezionamento, in accordo con le specifiche
esigenze dell’attività di gara. La tabella 10.1 illustra la periodizzazione del piano annuale in fasi e cicli di
allenamento. Questo particolare piano prevede un solo periodo competitivo: in questo caso gli atleti hanno
la necessità di raggiungere la massima forma soltanto una volta l’anno. Un tale programma si definisce a
ciclo unico oppure a picco unico. Non tutte le discipline prevedono un solo periodo agonistico. Ad
esempio, nell’atletica leggera, nel nuoto (in alcuni paesi) e in altri sport esiste una stagione indoor e una
outdoor, oppure due gare principali per le quali gli atleti devono raggiungere il picco della forma.
Programmi annuali di questo tipo vengono chiamati a doppio ciclo oppure a doppio picco (tabella 10.2).

Gli atleti di alta levatura che competono a livello internazionale, invece, devono raggiungere il picco di
forma anche tre volte all’anno. Basti pensare, ad esempio, agli atleti di sport individuali che devono
raggiungere il picco di forma per i campionati nazionali invernali, i campionati nazionali estivi (che
solitamente fungono da selezione per la Squadra Nazionale che parteciperà all’evento internazionale) e,
finalmente, ai Campionati Mondiali o alle Olimpiadi. In questo caso si parla di piano annuale a tre cicli.

Tabella 10.1
Periodizzazione di un piano annuale monociclico

Tabella 10.2
Periodizzazione di un piano annuale biciclico
10.2 LA PERIODIZZAZIONE DELLA FORZA

Un preparatore fisico, quando stabilisce un programma, dovrebbe interessarsi innanzitutto a quale


risposta fisiologica o quale tipo di adattamento consentirà di ottenere i massimi risultati, piuttosto che
prendere in considerazione gli esercizi tecnici da svolgere in una singola sessione o in un periodo più
esteso. Una volta stabilito il primo criterio, sarà facile scegliere il tipo di lavoro che permetterà di
conseguire gli sviluppi desiderati. Soltanto tenendo presenti questi indispensabili fattori fisiologici, il
preparatore sarà in grado di scegliere un approccio che conduca all’adattamento ottimale e infine ai
miglioramenti della forma fisica e della prestazione atletica. Tale approccio innovativo sarà più facilmente
eseguibile attraverso il concetto di periodizzazione. Bisogna ricordare che l’obiettivo dell’allenamento
della forza nello sport non è lo sviluppo della forza in sé. È, piuttosto, il miglioramento della potenza (P),
della potenza resistente (PE) o della resistenza muscolare (ME), a seconda delle esigenze di ogni
disciplina sportiva. La periodizzazione della forza, con la sua specifica sequenza di fasi di allenamento,
rappresenta il miglior metodo per arrivare a quell’obiettivo, come verrà dimostrato in questo capitolo.
Come illustrato nella tabella 10.3, la periodizzazione della forza presenta sete fasi con obiettivi specifici
da conseguire. Le varie fasi sono convenzionalmente divise da una linea verticale, che individua dove una
fase finisce e un’altra inizia. Il tipo di allenamento potrebbe non cambiare così repentinamente da una
fase all’altra, come sembra indicare la tabella. Ad esempio, è possibile avere una transizione graduale da
una fase di allenamento della forza con una determinata enfasi (ad esempio, la forza massima) alla fase
successiva dedicata a un altro tipo di forza (ad esempio, la potenza).
Tabella 10.3
Periodizzazione della forza in un piano annuale monociclico

Fase 1: adattamento anatomico

La periodizzazione della forza è divenuta molto popolare in tutto il mondo e molti specialisti
dell’allenamento e autori ne hanno discusso e scritto. Alcuni di essi, però, ricercando una certa originalità,
hanno suggerito un piano di periodizzazione della forza che inizia con l’allenamento per l’ipertrofia.
Questo potrebbe essere accettabile nel bodybuilding, ma certamente inaccetabile nell’allenamento della
forza per le altre discipline. Infatti, eccetto che per alcuni lanciatori nell’atletica leggera e alcuni ruoli nel
football americano, l’ipertrofia non è un fattore determinante nella prestazione atletica di alto livello. Al
contrario, gli atleti nella maggior parte degli sport (come il basket, il calcio, il nuoto, l’atletica leggera,
senza menzionare gli sport divisi in categorie di peso) sono estremamente riluttanti a incrementare
l’ipertrofia muscolare non funzionale. Per massimizzare l’ipertrofia, inoltre, gli atleti dovrebbero portare
ogni serie a esaurimento, raggiungendo un alto livello di dolenzia muscolare che influisce negativamente
sull’allenamento sport-specifico e che, nel peggiore dei casi, può causare infortuni. Per questa ragione, il
modello originale di periodizzazione della forza inizia con una fase di adattamento anatomico.

Dopo il periodo di transizione, in cui gli atleti di solito eseguono un allenamento della forza molto blando,
sarebbe proficuo, dal punto di vista scientifico e metodologico, iniziare un programma di allenamento atto
a creare le basi fisiche di adattamento anatomico per un successivo ciclo più impegnativo. Gli obiettivi
primari di questa fase sono il coinvolgimento di più gruppi muscolari e il rafforzamento di muscoli,
legamenti, tendini e articolazioni, al fine di sopportare nel modo migliore le fasi di allenamento più lunghe
e stressanti. I programmi per la forza non dovrebbero occuparsi esclusivamente di arti superiori e
inferiori, ma invece si dovrebbe rinforzare tutto il busto (addominali, parte bassa del torso e muscolatura
della colonna vertebrale).

Questi gruppi muscolari, infatti, collaborano per garantire che il tronco possa svolgere funzioni di
supporto per gambe e braccia e ad agire come ammortizzatori degli urti che possono verificarsi in molti
esercizi e in molti movimenti, soprattutto in caso di atterraggi e di cadute. Ulteriori obiettivi della fase di
adattamento anatomico sono l’equilibrio tra flessori ed estensori intorno a un’articolazione; il
bilanciamento tra i due lati del corpo, specialmente tra gli arti; l’esecuzione di un lavoro di compensazione
tra muscoli antagonisti e il rinforzo dei muscoli stabilizzatori (vedi la sezione sulla prescrizione degli
esercizi nel capitolo 8). Il volume di allenamento deve essere bilanciato tra le diverse funzioni muscolari
(figura 10.1), cioè tra gli agonisti e gli antagonisti che operano su un’articolazione.

Non ottemperare a questo principio può causare squilibri posturali e infortuni. In alcuni casi equilibrare lo
sviluppo tra agonisti e antagonisti è impossibile, perché alcuni muscoli agonisti sono più grandi e più forti
degli altri. Per esempio, gli estensori del ginocchio (quadricipiti) sono più forti dei flessori del ginocchio
(ischiocrurali).

Lo stesso vale per i flessori plantari (gastrocnemi) e i flessori dorsali (tibiali anteriori) della caviglia. Dal
momento che correre e saltare sono parte dell’attività di molte discipline sportive, gli estensori delle
ginocchia e i flessori plantari delle caviglie vengono allenati con maggiore intensità e frequenza. I
professionisti del settore dovrebbero comunque prestare attenzione al rapporto tra agonisti e antagonisti
e cercare di mantenere un equilibrio tra le due parti. Se ciò non avviene e vengono costantemente allenati
soltanto gli agonisti, ossia i muscoli primari, lo squilibrio che ne deriva potrebbe essere causa di una
prestazione sportiva inferiore dovuta sia all’inibizione neurale dell’espressione della forza dei muscoli
motori principali, sia a una maggiore suscettibilità agli infortuni (per esempio alla cuffia dei rotatori nel
baseball).
Figura 10.1
Periodizzazione della forza in un piano annuale monociclico

Adattato da I. King, How to Write Strength Training Program, 1998, King Sports Publishing.

Tabella 10.4
Rapporto di forza tra agonisti e antagonisti durante le contrazioni concentriche isocinetiche a bassa
velocità angolare

Da D. Wathen, “Muscle balance”, in Baechle T. R., Essentials of strength training and conditioning, National Strength and
Conditioning Association, Human Kinetics Champaign, IL (USA), 1994, pag. 425.
Il periodo di transizione e la fase di adattamento anatomico costituiscono il momento ideale per uno
sviluppo equilibrato dei muscoli antagonisti, visto che non esiste lo stress di gare incombenti. Non vi sono
informazioni riguardanti il rapporto tra agonisti e antagonisti, soprattutto per quanto concerne i
movimenti ad alta velocità eseguiti dagli arti, come richiedono varie discipline. La tabella 10.4 fornisce
nozioni sull’argomento, in riferimento però ad attività isocinetiche a velocità moderata. Pertanto, queste
informazioni dovrebbero essere utilizzate solo come linee guida al fine di mantenere un rapporto
equilibrato, almeno per le fasi di adattamento anatomico e di transizione.

Nel periodo di adattamento anatomico (AA), l’obiettivo è il coinvolgimento della maggior parte, se non di
tutti, i gruppi muscolari, nell’ambito di un programma di tipo multilaterale. Tale programma dovrebbe
comprendere un numero di esercizi elevato (da 9 a 12), eseguiti in maniera abbastanza confortevole senza
raggiungere i limiti dell’atleta. È bene ricordare sempre che un programma intensivo di allenamento della
forza incrementa le qualità della porzione contrattile del muscolo più velocemente rispetto ai tendini e ai
legamenti.

Di conseguenza, esiste il rischio che tali programmi procurino lesioni a quei tessuti. Inoltre, se un grande
gruppo muscolare è debole, i muscoli di piccole dimensioni devono svolgere un lavoro maggiore e quindi
si verifica una forte possibilità che questi subiscano lesioni. Un’ulteriore causa di infortuni è la mancanza
di allenamento di alcuni gruppi muscolari, che li rende incapaci di controllare l’atterraggio, assorbire le
forze o equilibrare il corpo tanto velocemente da essere in grado di eseguire immediatamente un nuovo
movimento (il motivo non risiede, quindi, nella mancanza di abilità tecnica durante l’atterraggio). Questa
è la ragione per la quale l’allenamento pliometrico viene introdotto gradualmente dopo due o tre
settimane di adattamento anatomico, usando salti e balzi a bassa intensità per raggiungere poi la massima
intensità subito dopo la fase di forza massima, una volta creata una solida base di forza muscolare.

La durata della fase di adattamento anatomico dipende dalla lunghezza del periodo preparatorio,
dall’esperienza di allenamento della forza dell’atleta e dall’importanza della forza in un dato sport. Una
fase preparatoria lunga, ovviamente, permette di avere più tempo per l’adattamento anatomico.
Logicamente, gli atleti con un’esperienza di allenamento della forza minore richiedono una fase di
adattamento anatomico molto più lunga, per applicare un aumento progressivo dei carichi di lavoro e
migliorare al tempo stesso le proprietà di tessuti, in modo che resistano ai carichi più pesanti nel corso
delle fasi successive. Gli atleti più giovani o quelli inesperti hanno bisogno da otto fino a dieci settimane di
allenamento per l’adattamento anatomico. Agli atleti maturi, al contrario, con un passato di 4/6 anni di
allenamento della forza, basteranno due o tre settimane. Nel loro caso una fase di adattamento più lunga
non comporterebbe nessun beneficio aggiuntivo.

Fase 2: ipertrofia

In alcune discipline sportive un incremento delle dimensioni dei muscoli è una caratteristica importante.
Però, come detto più volte in questo testo, l’allenamento per l’ipertrofia, molto popolare nel bodybuilding,
è spesso sovrastimato nel resto del mondo sportivo. Quando è integrato nell’allenamento specifico, il
lavoro per l’ipertrofia deve andare oltre la vecchia definizione di allenamento a esaurimento. In
particolare, esso può essere utilizzato come un’introduzione al ciclo di forza massima che seguirà,
adattando il corpo all’impiego di carichi sempre più alti. Durante questa fase gli atleti possono usare due
approcci differenti: ipertrofia I e ipertrofia II. Ipertrofia I è utilizzata più spesso con atleti che richiedono
un marcato incremento della massa muscolare.

Essa prevede l’utilizzo dei carichi tra 15RM (cioè 15 ripetizioni a esaurimento) e 10RM, con recuperi brevi
tra le serie (da 60 a 90 secondi al massimo). Se durante questa fase sono utilizzate tecniche di aumento
della densità del bodybuilding, come il rest-pause o il drop-set, al fine di incrementare la tensione
muscolare e la sintesi proteica, il carico utilizzato sarà tra 8RM e 5RM, poiché questi metodi consentono
di incrementare ulteriormente il tempo totale sotto tensione per serie.

Ipertrofia II implica un tipo di lavoro ibrido tra l’ipertrofia e la forza massima, che prepara le fibre
muscolari a contrazione veloce al duro lavoro che seguirà nella fase di allenamento della forza massima.
Ipertrofia II incrementa la forza assoluta stimolando adattamenti sia neurali, sia strutturali. Questa fase
impiega carichi da 8RM a 5RM con recuperi più lunghi, ma non completi tra le serie (da 90 a 120
secondi). Sia per Ipertrofia I che per Ipertrofia II, la durata del ciclo e i carichi impiegati sono determinati
dall’età dell’atleta, dal grado di sviluppo fisico e dall’esperienza nell’allenamento della forza. Alla fine
della fase di ipertrofia, si esegue un test di forza massima per pianificare le percentuali d’allenamento per
il primo macrociclo di forza massima.

Fase 3: forza massima

L’obiettivo principale di questa fase è quello di sviluppare il più alto livello possibile di forza. Esso può
essere raggiunto solamente usando dei carichi elevati in allenamento: 70-90% del carico massimale per
una ripetizione (1RM) o, meno frequentemente, 90-100%.
Ci piace dividere il ciclo di forza massima in due parti distinte: forza massima I e II. Forza massima I
stimola principalmente l’aspetto intermuscolare degli adattamenti. È generalmente composta da uno o
due macrocicli 3+1 nei quali il carico dei principali esercizi incrementa dal 70 all’80% di 1RM. Forza
massima II stimola principalmente l’aspetto intramuscolare degli adattamenti alla forza massima. È
generalmente composta da uno o due macrocicli 2+1 nei quali il carico incrementa dall’80 al 90% di 1RM
(figure 10.2-10.5).

Figura 10.2
Progressione del carico consigliata per un ciclo di forza massima di sette settimane (l’ultimo giorno della
settimana di scarico è dedicato al test dei massimali – 1RM – su cui basare le percentuali del macrociclo
successivo)

Figura 10.3
Progressione del carico consigliata per un ciclo di forza massima di otto settimane (l’ultimo giorno della
settimana di scarico è dedicato al test dei massimali – 1RM – su cui basare le percentuali del macrociclo
successivo)

Legenda: T = test di forza massima


Figura 10.4
Progressione del carico consigliata per un ciclo di forza massima di undici settimane (l’ultimo giorno della
settimana di scarico è dedicato al test dei massimali – 1RM – su cui basare le percentuali del macrociclo
successivo)

Legenda: T = test di forza massima

Figura 10.5
Progressione del carico consigliata per un ciclo di forza massima di quattordici settimane (l’ultimo giorno
della settimana di scarico è dedicato al test dei massimali – 1RM – su cui basare le percentuali del
macrociclo successivo)

La durata di questo ciclo, da uno a tre mesi, si stabilisce in funzione della disciplina e delle necessità
dell’atleta. A un lanciatore di peso o a un giocatore di football occorre forse un periodo un po’ più lungo di
tre mesi, mentre per un giocatore di hockey su ghiaccio un allenamento di uno o due mesi risulta
sufficiente al fine di sviluppare un livello adeguato di forza. Il carico può essere incrementato utilizzando
un macrociclo di tre o quattro settimane (2+1 o 3+1); solitamente si aumenta del 2-5% per microciclo.
Nei macrocicli di forza massima in cui si persegue il miglioramento della coordinazione intermuscolare si
impiegano carichi fino all’80% dell’1RM; la loro struttura potrebbe essere sia 2 + 1, sia 3 + 1 (solitamente
3 + 1). Nei macrocicli di forza massima in cui si persegue il miglioramento della coordinazione
intramuscolare si impiegano carichi superiori all’80% dell’1RM e quasi sempre con il formato 2 + 1, data
la loro alta intensità media che richiede uno scarico più frequente.

Questa fase è caratterizzata da un elevato numero di serie con un basso numero di esercizi. La durata di
questo periodo dipende anche dal fato che l’atleta segua un piano annuale a uno o due grandi cicli. Per
ovvie ragioni, gli atleti giovani possono avere un periodo di allenamento della forza massima più breve e
con un’intensità media più bassa (limitandosi al solo lavoro di coordinazione intermuscolare, ossia
tecnico).

La maggior parte delle discipline sportive richiede potenza (ad esempio, i salti e i lanci nell’atletica
leggera o i tuffi nel nuoto), potenza resistente (ad esempio, i 100 m e i 200 m nell’atletica leggera o i 50 m
nel nuoto), resistenza muscolare (ad esempio, i 400 m e distanze superiori nell’atletica leggera o i 100 m e
distanze superiori nel nuoto), oppure tutte e tre le qualità contemporaneamente (ad esempio, il
canottaggio, la canoa, gli sport da combattimento, le arti marziali e alcuni sport di squadra). Ogni tipo di
forza specifica è influenzato dai livelli di forza massima. Per esempio, senza un alto livello di forza
massima un atleta non può raggiungere un elevato livello di potenza. Poiché la potenza è il prodotto di
forza e velocità, è logico sviluppare prima la forza massima, per poi convertirla in potenza.

Fase 4: conversione a forza specifica

Lo scopo primario di questa fase è quello di convertire i guadagni di forza massima nella combinazione di
forza sport-specifica utilizzata nell’attività di gara. A seconda delle caratteristiche di una data disciplina,
la forza massima deve essere convertita in potenza, potenza resistente oppure resistenza muscolare di
breve, media o lunga durata. Questo obiettivo si raggiunge gradualmente, applicando un metodo di
allenamento adeguato al tipo di forza desiderato e utilizzando metodi specifici (ad esempio l’allenamento
per la velocità, nel caso della conversione a potenza) a seconda del tipo di sport scelto. Durante tuta
questa fase, in funzione delle richieste della disciplina e delle caratteristiche dell’atleta, deve essere
mantenuto un certo livello di forza massima (solitamente impiegando esercizi sia a range sport-specifico,
sia a range completo). Se non lo si facesse, la potenza potrebbe diminuire (a causa del deallenamento
delle qualità neuromuscolari) verso la fine della fase competitiva. Questo è certamente il caso dei
giocatori professionisti del football americano, del calcio e del baseball, perché ognuno di questi sport ha
una stagione competitiva molto lunga.

Per gli sport nei quali la potenza o la resistenza muscolare sono l’espressione di forza dominante, il
metodo di allenamento dell’una o dell’altra qualità deve essere prevalente. Qualora siano richieste
entrambe contemporaneamente, il tempo dedicato e i metodi impiegati dovrebbero riflettere in maniera
adeguata il rapporto ottimale tra queste due abilità. Ad esempio, per un lottatore, il rapporto dovrebbe
essere quasi equo; per un canoista che compete sui 500 m dovrebbe dominare la potenza; per un
canottiere, invece, dovrebbe dominare la resistenza muscolare. Negli sport di squadra, nelle arti marziali,
nella lotta, nel pugilato e nella maggior parte degli altri sport potenza-dominanti, durante questa fase il
preparatore dovrebbe combinare l’allenamento della potenza con esercizi per lo sviluppo dell’agilità, per
il tempo di reazione e per la rapidità. Soltanto questo tipo di approccio prepara gli atleti alle richieste
specifiche della competizione.

La durata della fase di conversione dipende dal tipo di abilità biomotoria che deve essere sviluppato. La
conversione a potenza può essere raggiunta in 4-5 settimane di allenamento specifico. Per la resistenza
muscolare, invece, sono necessarie fino a sei-oto settimane, poiché gli adattamenti fisiologici e anatomici
necessitano di molto più tempo.

Fase 5: mantenimento

In molti sport si è soliti sospendere l’allenamento della forza non appena inizia la stagione agonistica. Se
però questi stimoli non venissero mantenuti anche durante il periodo agonistico, gli atleti sarebbero
esposti all’effetto del deallenamento e subirebbero le seguenti ripercussioni:
◊ le dimensioni delle fibre muscolari diminuirebbero fino a raggiungere quelle precedenti
all’allenamento (Staron, Hagerman e Hikida 1981; Thorstensson 1977);
◊ si avrebbe una perdita di forza dovuta a una diminuzione del reclutamento delle unità motorie.
L’atleta non sarebbe più in grado di reclutare lo stesso numero di unità motorie di prima, quindi si
verificherebbe un netto declino della quantità di forza prodotta (Edgerton 1976; Hainaut e
Duchatteau 1989; Houmard 1991);
◊ si verificherebbe un’evidente riduzione della potenza dovuta a una minore capacità di produrre alte
frequenze degli impulsi nervosi;
◊ il deallenamento diverrebbe evidente dopo quattro settimane, quando l’atleta non sarebbe più
capace di eseguire le tecniche specifiche che richiedono forza e potenza in maniera tanto efficace
quanto lo era alla fine della fase di conversione (Bompa 1993a).

Come già suggerito dalla definizione, l’obiettivo principale dell’allenamento della forza in questa fase è
quello di mantenere lo standard acquisito nelle fasi precedenti. È necessario strutturare il programma in
funzione delle richieste specifiche della disciplina scelta e anche il rapporto tra forza massima, potenza o
resistenza muscolare deve riflettere tali esigenze. Ad esempio: un lanciatore di peso potrebbe
programmare due sedute per la forza massima e due per la potenza, mentre un atleta di salto in alto
cambierà il rapporto rispettivamente in una e due. Allo stesso modo, un nuotatore dei 100 m eseguirà una
sessione per la forza massima, una sessione per la potenza e una sessione per la resistenza muscolare di
breve durata; mentre un nuotatore specializzato sui 1500 m dedicherà tutto il programma di allenamento
della forza allo sviluppo della resistenza muscolare di lunga durata.
Per gli sport di squadra il rapporto verrà calcolato a seconda dell’importanza che la forza riveste in un
dato sport, ma anche in base al ruolo specifico di un giocatore. Per esempio, un pitcher (lanciatore nel
baseball) dovrebbe dedicare lo stesso tempo allo sviluppo della forza massima e della potenza, facendo
anche dell’allenamento compensativo per ridurre il rischio di lesioni alla cuffia dei rotatori.
Allo stesso modo è necessario distinguere tra lineman e wide receiver nel football americano e lo stesso
concetto vale per i diversi ruoli nel calcio, come il difensore centrale, il terzino, il centrocampista e gli
attaccanti. I lineman e i wide receiver dovrebbero programmare lo stesso volume per lo sviluppo della
forza massima e potenza, ma utilizzare percentuali diverse di 1RM (i lineman utilizzano una minor velocità
di applicazione della forza nella loro attività specifica). I giocatori di calcio dovranno mantenere buoni
livelli di potenza e potenza resistente di breve durata, ossia l’abilità di ripetere numerose azioni potenti
con recuperi incompleti.
Occorre dedicare da due a quattro sedute di allenamento al mantenimento del tipo specifico di forza
richiesta, a seconda del livello di preparazione dell’atleta e del ruolo che la forza ricopre nei movimenti
tecnici e nella prestazione in gara. La ricerca mostra che è necessaria almeno una sessione di
mantenimento della forza alla settimana per conservare la maggior parte dei guadagni di forza e potenza
ottenuti durante la preparazione (Graves et al. 1988; Wilmore e Costill 2004; Ronnestad et al. 2011). Se
comparato con la fase di preparazione, il tempo dedicato alla conservazione della forza durante la fase di
mantenimento è molto inferiore. Per questo il preparatore fisico deve sviluppare un programma molto
efficiente e specifico. Per esempio, un programma con due-quattro esercizi che coinvolgano i muscoli
motori principali permetterà all’atleta di mantenere i livelli di forza raggiunti precedentemente. Come
risultato, la durata di ciascuna sessione d’allenamento della forza sarà breve: da 20 a 40 minuti.

Fase 6: cessazione

All’avvicinarsi della gara più importante dell’anno, la maggior parte delle energie dell’atleta deve essere
utilizzata per mantenere l’abilità biomotoria più importante o diretta verso il mix di abilità specifiche. Lo
scopo della fase di cessazione è quello di conservare le energie dell’atleta per la gara e fargli raggiungere
il picco a livello delle abilità biomotorie sport-specifiche. Per questa ragione il programma di allenamento
della forza dovrebbe terminare da 3 a 14 giorni prima della gara principale. La durata esatta dipende da
molti fattori:
◊ il genere dell’atleta: le donne mantengono i guadagni di forza più dificilmente rispetto agli uomini e
per questo dovrebbero continuarne l’allenamento fino a tre giorni prima della gara;
◊ le caratteristiche dello sport: una fase di cessazione più lunga, da una a due settimane, può portare
a una migliore prestazione di velocità alattacida grazie al ripristino delle caratteristiche di velocità
delle fibre muscolari a contrazione veloce di tipo IIx. Per gli sport di lunga durata, per i quali la
forza non è così importante come per gli sport anaerobici, l’allenamento della forza può essere
sospeso due settimane prima della gara più importante dell’anno;
◊ il biotipo dell’atleta: gli atleti più pesanti tendono a ritenere sia gli adattamenti, sia la fatica residua
per un tempo maggiore e, quindi, dovrebbero sospendere l’allenamento della forza prima degli
atleti più leggeri.
AFP/Getty Images

Donovan Bailey dopo la sua vitoria sui 100 m, con record del mondo (9.84”), alle Olimpiadi di Atlanta del
1996

Fase 7: compensazione

Tradizionalmente la fase di transizione del piano annuale è chiamata, in maniera inappropriata,


“offseason”. In realtà essa rappresenta una transizione da un piano annuale all’altro. L’obiettivo principale
di questa fase consiste nel rimuovere la fatica accumulata lungo tutto il periodo di allenamento e nel
ripristinare le riserve di energia, diminuendo il volume (attraverso una riduzione della frequenza) e
soprattutto l’intensità dell’allenamento. Durante i mesi della stagione competitiva, la maggior parte degli
atleti è esposta a numerosi fattori stressanti, sia psicologici sia sociali, che indeboliscono le loro energie
mentali. Nel corso della fase di transizione essi hanno il tempo di rilassarsi mentalmente, partecipando a
diverse attività fisiche e sociali piacevoli.

La durata di questa fase non dovrebbe superare le quattro settimane nel caso di atleti professionisti: una
maggiore lunghezza implicherebbe la comparsa degli effetti del deallenamento, come la perdita della
maggior parte dei guadagni ottenuti con l’allenamento, specialmente a livello della forza. Il deallenamento
derivante dal non allenare la forza durante la fase di transizione può avere effetti negativi sulla rapidità
del miglioramento della prestazione nella stagione successiva. Preparatori e atleti dovrebbero ricordarsi
che la forza è difficile da migliorare e facile da perdere. Gli atleti che non eseguono alcun tipo di
allenamento della forza durante la fase di transizione possono esperire un decremento della massa
muscolare e una considerevole perdita di potenza (Wilmore e Costill 1993). Poiché la potenza e la velocità
sono interdipendenti, tali atleti perdono anche la velocità. Alcuni autori asseriscono che l’inutilizzo dei
muscoli riduce anche la frequenza di scarica degli impulsi nervosi e il reclutamento delle unità motorie,
perciò la perdita di forza e potenza può essere il risultato della ridotta attivazione delle unità motorie.

Sebbene il volume dell’attività fisica sia ridotto dal 50 al 60% durante la fase di transizione, gli atleti
dovrebbero comunque dedicare del tempo per lavorare sul mantenimento della forza, in particolare
all’allenamento dei muscoli antagonisti, degli stabilizzatori e di altri muscoli che non necessariamente
partecipano all’esecuzione dei movimenti specifici della propria disciplina. Inoltre, sarebbe necessario
includere nel programma alcuni esercizi compensativi, soprattutto in quegli sport in cui si crea uno
squilibrio tra diverse parti o lati del corpo, come nelle discipline che prevedono lanci, nel tiro con l’arco,
nel calcio (lavoro sulla parte superiore del corpo) e nel ciclismo.

DEALLENAMENTO

La forza può essere incrementata o mantenuta solamente se vengono pianificati con continuità
carichi e intensità adeguati. Quando l’allenamento della forza viene ridotto o eliminato
completamente, come spesso accade durante la stagione competitiva o durante fasi di transizione di
lunga durata, avviene un’alterazione dello stato biologico delle cellule muscolari e degli organi.
Questa alterazione causa nell’atleta un calo significativo dello stato di benessere fisiologico e della
capacità di lavoro (Fry, Morton e Keast 1991; Kuipers e Keizer 1988).
Una riduzione dell’allenamento può portare gli atleti alla “sindrome di deallenamento” (Israel
1972). Il grado di riduzione della forza dipende dal tempo che intercorre tra le sessioni di
allenamento. Molti dei benefici dell’adattamento organico e cellulare potrebbero ridursi, tra i quali
anche la quantità di miosina.
Quando l’allenamento procede come pianificato, l’organismo usa le proteine per costruire e
riparare i tessuti danneggiati. Quando il corpo è in uno stato di riposo assoluto, tuttavia, inizia a
catabolizzare o scomporre le proteine che non sono più necessarie (Appell 1990; Edgerton 1976).
Se questo processo di degradazione delle proteine continua, alcuni dei miglioramenti ottenuti
durante gli allenamenti vengono persi. È stato dimostrato che anche i livelli di testosterone, fattore
importante nei guadagni di forza, diminuiscono in seguito al deallenamento, che potrebbe, a sua
volta, diminuire la quantità di sintesi proteica (Houmard 1991).
Dal riposo totale prolungato deriva una serie di sintomi, tra i quali vi sono un innalzamento dei
disturbi psicologici, come emicranie, insonnia, una sensazione di forte affaticamento, un incremento
della tensione, un aumento del disturbo dell’umore, la mancanza di appetito e la depressione
psicologica. Un atleta può sviluppare uno o più dei suddetti sintomi, che sono tutti legati alla
diminuzione dei livelli di testosterone e della beta-endorfina, un trasmettitore neuroendocrino
precursore delle sensazioni euforiche tipiche del post-esercizio (Houmard 1991).
I sintomi del deallenamento non sono patologici e possono essere invertiti se l’allenamento viene
ripreso nel breve periodo. Se il lavoro è discontinuo per un periodo di tempo prolungato, tuttavia,
gli atleti potrebbero comunque presentare i sintomi sopra descritti. Questo schema indica
l’incapacità dell’organismo di adattarsi allo stato di inattività. Il tempo di incubazione di tali sintomi
varia da atleta ad atleta, ma generalmente va da due a tre settimane di inattività e la loro intensità
varia soggettivamente.
Gli allenatori degli sport di velocità e potenza devono essere consapevoli del fatto che, quando i
muscoli non sono stimolati con l’allenamento, il reclutamento delle unità motorie viene alterato
(Willmore e Costill 2004). Questa alterazione porta a un calo della prestazione. Costill ha mostrato
che la forza sviluppata durante un programma di 12 settimane si riduceva del 68% a seguito di uno
stop completo di 12 settimane; questa è una perdita significativa per alcuni atleti, in particolar
modo per gli atleti di sport in cui velocità e potenza sono fondamentali. Gli atleti che, al contrario,
avevano eseguito almeno una seduta di forza a settimana, erano riusciti a mantenere
completamente i livelli raggiunti nelle 12 settimane di allenamento. La riduzione della sezione
trasversa della fibra muscolare è piuttosto evidente dopo alcune settimane di inattività. Il massimo
calo di trofìa muscolare, in particolar modo il massimo degrado delle proteine contrattili, avviene
nelle prime due settimane. Questi cambiamenti derivano dalla riduzione delle scorte di glicogeno
all’interno dei muscoli, in particolare dal catabolismo delle proteine a seguito dell’inibizione degli
segnali cellulari anabolici (Kandarian e Jackman 2006; Zhang e al. 2007). Inoltre, la resistenza dei
tendini diminuisce a causa dell’atrofizzazione che avviene nelle fibre di collagene; allo stesso tempo
diminuisce anche la quantità totale di collagene nei legamenti (Kannus e al. 1992).
Le unità motorie a contrazione lenta di solito sono le prime a perdere la capacità di generare forza.
Le unità motorie a contrazione veloce sono generalmente quelle meno influenzate dall’inattività.
Infatti, quando sottoposte a un allenamento lattacido, le fibre muscolari a contrazione rapida di tipo
IIX (più precisamente, le loro catene pesanti di miosina, MHC) assumono le caratteristiche delle
fibre ossidative-glicolitiche di tipo IIA (Andersen et al. 2005). Queste stesse fibre, però,
riacquisiscono molto velocemente le loro proprietà biochimiche originarie quando l’allenamento
viene ridotto in modo significativo. Questo non significa che l’atrofia non avvenga anche in queste
fibre, ma solo che richiede più tempo rispetto alle fibre a contrazione lenta.
Dopo un incremento iniziale dovuto al recupero delle fibre a contrazione rapida, la velocità viene
compromessa da un deallenamento più lungo, a causa del catabolismo muscolare e della perdita
degli adattamenti neurali, che implicano una riduzione di potenza delle contrazioni muscolari. La
perdita in potenza è ancora maggiore a seguito di una riduzione del reclutamento delle unità
motorie. La minor frequenza degli impulsi nervosi alle unità motorie riduce sia la velocità di
contrazione che quella di rilassamento dei muscoli. Inoltre, la diminuzione della forza e della
frequenza può causare anche una diminuzione del numero complessivo di unità motorie reclutate
durante una serie di contrazioni ripetute (Edgerton 1976; Hainaut e Duchatteau 1989; Houmard
1991).
Il deallenamento influisce anche sugli sport aerobici. Coyle e collaboratori (1991) hanno osservato
che una cessazione dell’allenamento di 84 giorni non influiva sull’attività degli enzimi glicolitici, ma
riduceva l’attività degli enzimi ossidativi del 60%. Questa scoperta dimostra che la prestazione
anaerobica può essere mantenuta più a lungo di quella aerobica, sebbene sia la capacità lattacida,
sia la potenza aerobica siano influenzate dalla diminuzione del glicogeno muscolare, che è pari al
40% dopo quattro settimane di deallenamento (Wilmore e Costill 2004).

10.3 VARIANTI NELLA PERIODIZZAZIONE DELLA FORZA

L’esempio di periodizzazione della forza presentato in precedenza (tabella 10.3) serviva a illustrare il
concetto di base, ma non può fungere da modello per ogni situazione o qualsiasi disciplina sportiva. Ogni
persona o ciascun gruppo di atleti necessita di una pianificazione e una programmazione specifica che si
basi sull’allenamento precedente, il genere e le caratteristiche specifiche dello sport in esame. Per questo
motivo verranno illustrate nella sezione seguente le varianti nella periodizzazione, allegando tabelle che
evidenzino i modelli specifici per le varie discipline. Alcuni sport e certi ruoli negli sport di squadra
richiedono forza e molta massa muscolare. Ad esempio, in diverse discipline di lancio dell’atletica, per i
lineman del football, i pesi massimi della lotta e della boxe, è vantaggioso disporre di un elevato peso
corporeo e di un’elevata potenza. Atleti di questo tipo seguiranno un modello di periodizzazione unico, che
prevede un periodo di allenamento per lo sviluppo dell’ipertrofia (vedi capitolo 12). Con il suo incremento
migliora più velocemente anche il potenziale di forza, soprattutto se è seguito da cicli di allenamento della
forza massima (M×S) e della potenza (P), che a loro volta determinano un miglioramento del reclutamento
e della frequenza di scarica delle fibre muscolari a contrazione rapida.

La tabella 10.5 propone un modello di periodizzazione per atleti di grosse dimensioni e molto potenti quali
i lanciatori, i lineman del football americano, i pesi massimi nella lotta e nella boxe. L’abituale
adattamento anatomico (AA) è seguito da una fase di ipertrofia (HYP) di almeno sei settimane, quindi
dall’allenamento della forza massima (M×S) e infine della sua conversione in potenza (P). Per andare
incontro ai bisogni di questi atleti, la fase di mantenimento dovrebbe essere dedicata nella stessa misura
sia alla potenza, sia alla forza massima. Il piano annuale si concluderà, infine, con un allenamento
specifico di compensazione durante il periodo di transizione. Gli stessi tipi di discipline prevedono a volte
un periodo preparatorio molto lungo (ad esempio, il football a livello di college, negli Stati Uniti e in
Canada); in questi casi il preparatore fisico potrebbe decidere di sviluppare la massa muscolare dei propri
atleti in misura ancora superiore. Per queste situazioni si può seguire un modello diverso (tabella 10.6), in
cui si alternano fasi dedicate all’ipertrofia e fasi orientate allo sviluppo della forza massima. Bisogna
tenere presente che i numeri posti come indice per ogni fase della tabella 10.6 e in alcune delle tabelle
seguenti, indicano la loro durata espressa in settimane.

Tabella 10.5
Modello di periodizzazione per atleti per cui è importante l’ipertrofia

Legenda: AA = adattamento anatomico, Comp. = competitiva, Co = compensazione, Conv. = conversione, HYP =


ipertrofia, M = mantenimento, M×S = forza massima, P = potenza, Prep. = preparazione, T = transizione

Tabella 10.6
Modello di periodizzazione per lo sviluppo di ipertrofia e forza massima

Legenda: AA = adattamento anatomico, Comp. = competitiva, Co = compensazione, Conv. = conversione, HYP =


ipertrofia, M = mantenimento, M×S = forza massima, P = potenza, Prep. = preparazione, T = transizione
La tabella 10.7 evidenzia una periodizzazione con una fase di preparazione più lunga e un’alternanza
pendolare tra macrocicli di forza massima e di potenza. Il periodo di preparazione più lungo implica uno
sport estivo o uno sport con il periodo di gare durante l’inverno e nella prima parte della primavera.
L’alternanza pendolare tra forza massima e potenza è indicata per quegli sport (ad esempio, gli sport di
racchetta e da combattimento) caratterizzati da poche competizioni concentrate durante l’anno; questo
significa che un ciclo di allenamento della forza massima più lungo potrebbe avere effetti negativi sulle
abilità tecniche specifiche.

Tabella 10.7
Modello di periodizzazione per atleti che richiedono una frequente alternanza di enfasi nel lavoro di forza

Legenda: AA = adattamento anatomico, Comp. = competitiva, Co = compensazione, M = mantenimento, M×S = forza


massima, P = potenza, Prep. = preparazione, T = transizione

Inoltre, negli sport in cui la potenza risulta essere la capacità dominante, si rendono necessarie variazioni
simili delle fasi di potenza e forza massima, poiché la potenza aumenta più facilmente se i muscoli
vengono allenati a diverse velocità di contrazione (Buhrle 1985; Buhrle e Schmidtbleicher 1981). Inoltre,
sia l’allenamento della potenza che della forza massima coinvolgono le fibre a contrazione rapida,
comportando un reclutamento più efficace di quelle unità motorie che rivestono un ruolo determinante
per lo sviluppo di tali qualità. Chiunque sia stato testimone della prestazione di un lanciatore di peso, di
un lanciatore di giavellotto o di un lanciatore di martello avrà apprezzato la forza e la velocità espresse
nell’esecuzione. I macrocicli alternati di forza massima e potenza possono essere impiegati anche da atleti
di potenza come velocisti e saltatori dell’atletica leggera a un livello di sviluppo più avanzato. Se gli stessi
metodi e i parametri di carico sono mantenuti per più di due mesi, specialmente da atleti con una grande
esperienza di allenamento della forza alle spalle, lo schema di reclutamento delle unità motorie si
standardizza, ossia si raggiunge una fase di “plateau”, senza potersi aspettare ulteriori miglioramenti
significativi. I metodi del bodybuilding sono controproducenti nelle discipline che richiedono velocità e
potenza. Questo spiega perché in alcune delle tabelle di questo capitolo le fasi di allenamento per la forza
massima sono alternate a quelle di allenamento per la potenza. Inoltre, non bisogna neanche sottovalutare
l’importanza delle fasi per la forza massima, poiché il suo deterioramento danneggerebbe la capacità di
mantenere il livello di potenza o di resistenza muscolare desiderato per l’intero periodo agonistico.

Nell’ambito degli sport che prevedono due fasi competitive durante l’anno, come nel caso del nuoto e
dell’atletica leggera, è indispensabile un programma a periodizzazione doppia. La tabella 10.8 illustra la
periodizzazione della forza all’interno di un piano annuale con biciclico.

Tabella 10.8
Modello di periodizzazione per un piano annuale biciclico

Legenda: AA = adattamento anatomico, Comp. = competitiva, Co = compensazione, Conv. = conversione, M =


mantenimento, M×S = forza massima, P = potenza, Prep. = preparazione, T = transizione

Per quanto riguarda gli sport con tre periodi agonistici in una stagione, il programma è definito a tre
grandi cicli e gli atleti devono raggiungere il picco di forma per tre volte. Gli sport che utilizzano questo
tipo di pianificazione sono ad esempio la lotta, la boxe, il nuoto e l’atletica leggera di livello
internazionale, che hanno una stagione invernale, una prima stagione estiva, che termina con i campionati
nazionali o i trial, e una tarda stagione estiva che termina con i Campionati del Mondo o le Olimpiadi. Un
modello di periodizzazione di questo tipo è illustrato nella tabella 10.9.

Tabella 10.9
Modello di periodizzazione per un piano annuale triciclico

Legenda: AA = adattamento anatomico, Comp. = competitiva, Co = compensazione, Conv. = conversione, M =


mantenimento, M×S = forza massima, P = potenza, Prep. = preparazione, T = transizione

Per le discipline che richiedono un lungo periodo preparatorio, come il softball, il football americano e il
ciclismo su pista, la tabella 10.10 offre una proposta di periodizzazione con due picchi: uno simulato alla
fine di aprile e uno reale durante l’autunno (cioè la stagione competitiva del football). Questo modello è
stato sviluppato su richiesta di un allenatore di football che voleva migliorare la forza massima e la
potenza dei propri giocatori. Esso ha avuto molto successo sia con i giocatori di football, sia con i ciclisti
su pista: tutti gli atleti hanno infatti raggiunto i loro livelli più elevati di forza e potenza di sempre. Questo
nuovo approccio per un tipico sport con un solo grande ciclo di allenamento è stato basato sulle seguenti
considerazioni:
◊ un periodo preparatorio molto lungo, con carichi pesanti e poca varietà di esercizi sarebbe stato
troppo stressante e con adattamenti funzionali negativi;
◊ una periodizzazione con due momenti di picco della prestazione presentava il vantaggio di poter
pianificare due fasi di allenamento per la forza massima e due per la potenza (i lineman seguivano
un approccio leggermente diverso, in cui l’allenamento per l’ipertrofia precedeva la fase per lo
sviluppo della forza massima). L’allenatore raggiunse così gli scopi prefissati: l’incremento
complessivo della massa muscolare, l’aumento della forza massima, il raggiungimento del livello di
potenza più alto mai conseguito dai suoi giocatori.
Tabella 10.10
Modello di periodizzazione per un piano annuale biciclico, con un primo picco artificiale

Legenda: AA = adattamento anatomico, Comp. = competitiva, Co = compensazione, Conv. = conversione, M =


mantenimento, M×S = forza massima, P = potenza, Prep. = preparazione, T = transizione

10.4 MODELLI DI PERIODIZZAZIONE PER DIVERSI SPORT

Per rendere questo testo più pratico e più facilmente applicabile, di seguito verranno presentati diversi
modelli di periodizzazione dell’allenamento della forza nell’ambito di varie discipline sportive. Per
comprendere meglio le implicazioni fisiologiche per ogni disciplina, vengono elencati dinanzi a ciascun
modello cinque fattori:
◊ il sistema o i sistemi energetici dominante/i nella disciplina scelta;
◊ l’ergogenesi (il contributo in percentuale di ciascun sistema energetico alla prestazione);
◊ il substrato o i substrati energetici dominante/i;
◊ il fattore o i fattori limitanti la prestazione dal punto di vista neuromuscolare;
◊ l’obiettivo o gli obiettivi dell’allenamento della forza.

L’allenamento della forza dovrebbe ricollegarsi ai sistemi energetici sport-specifici. In tal modo risulterà
relativamente facile decidere quali siano i suoi obiettivi. Ad esempio, negli sport in cui domina il sistema
anaerobico alattacido, il fattore limitante la prestazione è la potenza. Viceversa, le discipline dominate dal
sistema anaerobico lattacido o dal sistema aerobico richiedono sempre una certa componente di
resistenza muscolare.

In tal modo, gli allenatori potranno preparare meglio gli atleti dal punto di vista fisiologico e aumentarne
la prestazioni. Per esempio, non ci si potrà mai aspettare degli incrementi di potenza se l’allenamento
include i metodi del bodybuilding. La frase “fattori limitanti la prestazione” significa che la prestazione
perseguita non può essere raggiunta a meno che quei fattori non siano sviluppati al livello più alto
possibile.

Un livello scarso del tipo di forza richiesto da una data disciplina limiterà sempre la prestazione
complessiva. I seguenti esempi, ovviamente, non possono includere tutte le possibili variazioni per ogni
sport.

Per sviluppare un modello specifico ci si dovrebbe basare sull’esatto calendario di gare, così come sul
livello competitivo e sugli obiettivi adeguati per quell’atleta. Quindi, ad esempio, per gli sport come
l’atletica leggera e il nuoto, i modelli di periodizzazione sono concepiti in base alle gare più importanti,
invernali ed estive. Verranno inoltre forniti esempi riguardanti alcuni ruoli negli sport di squadra (per
esempio, il football e il calcio), senza però prendere in considerazione tutti i possibili casi.

ATLETICA LEGGERA Velocità

Uno sprinter necessita di falcate frequenti che siano anche lunghe e potenti. La sua velocità è correlata
direttamente con la forza che riesce ad applicare a ogni passo (200 ms all’uscita dai blocchi e 80 ms alla
massima velocità). Per l’evento dei 60 m, la resistenza non è così importante come l’accelerazione, perché
il velocista ha bisogno di muoversi il più velocemente possibile su una distanza breve. Per i 100 e i 200 m,
invece, la velocità resistente (potenza lattacida) è fondamentale: essa infatti rappresenta la discriminante
tra i velocisti d’élite e quelli di livello inferiore. Un modello di periodizzazione tipo per i velocisti è
illustrato nella tabella 10.11.
◊ sistema energetico dominante: 60 m-anaerobico alattacido; 100 m e 200 m-anaerobico lattacido;
◊ ergogenesi: 60 m - 80% anaerobico alattacido, 20% anaerobico lattacido; 100 m - 53% anaerobico
alattacido, 44% anaerobico lattacido, 3% aerobico; 200 m - 26% anaerobico alattacido, 45%
anaerobico lattacido, 29% aerobico;
◊ substrati energetici principali: 60 m - fosfocreatina; 100 e 200 m - fosfocreatina e glicogeno;
◊ fattori limitanti: 60 m - potenza di accelerazione; 100 e 200 m – potenza resistente; potenza di
partenza, potenza reattiva;
◊ obiettivi dell’allenamento: 60 m-potenza; 100 e 200 m - potenza resistente; forza massima.
L’ordine con cui sono elencati i sistemi energetici ne implica la priorità nell’allenamento.

Tabella 10.11
Modello di periodizzazione per velocisti

L’ordine con cui sono elencati i sistemi energetici ne implica la priorità nell’allenamento

L’allenamento aerobico (O) di uno sprinter è rappresentato dall’effetto cumulativo tempo run (ripetizioni di 600 m, 400 m
e/o 200 m)

Legenda: AA = adattamento anatomico, Cap = capacità, Comp. = competitiva, Co = compensazione, Conv. =


conversione, M = mantenimento, M×S = forza massima, O = aerobica, P = potenza, PE = potenza resistente, Prep. =
preparazione, T = transizione

LANCI: lancio del peso, disco, martello e giavellotto

L’allenamento dei lanci nell’atletica leggera richiede una grande potenza (sulla base di un’elevata forza
massima) e un certo grado di ipertrofia (specialmente per il lancio del peso e in qualche misura per il
disco).

Più precisamente un alto livello di forza muscolare è richiesto per le gambe, il torso e le braccia, al fine di
generare accelerazione per tutto il range del movimento e la massima potenza di lancio.

Un modello di periodizzazione tipo per i lanciatori è illustrato nella tabella 10.12.


◊ Sistema energetico dominante: anaerobico alattacido.
◊ Ergogenesi: 60 m - 95% anaerobico alattacido, 5% anaerobico lattacido.
◊ Substrati energetici principali: fosfocreatina.
◊ Fattori limitanti: potenza di lancio.
◊ Obiettivi dell’allenamento: forza massima e potenza.

Tabella 10.12
Modello di periodizzazione per i lanci

L’allenamento per l’ipertrofia inizia dopo l’adattamento anatomico e deve essere mantenuto durante la fase di forza
massima, ma con un rapporto di una serie per l’ipertrofia ogni tre di forza massima (può essere usato il metodo della
serie di “back-off”)

Legenda: AA = adattamento anatomico, Comp. = competitiva, CO = compensazione, Conv. = conversione, HYP =


ipertrofia, M = mantenimento, M×S = forza massima, P = potenza, Prep. = preparazione, T = transizione

400 METRI E CORSE DEL MEZZOFONDO VELOCE

I quattrocentometristi e i mezzofondisti sono corridori veloci che possono anche tollerare un grosso
accumulo di acido lattico durante la gara. Una buona prestazione richiede l’abilità di rispondere
velocemente ai cambi di ritmo della corsa. Pertanto questi atleti necessitano sia di una buona potenza
aerobica, sia di una buona capacità lattacida, così come della tolleranza al lattato. Un modello di
periodizzazione tipo per questi atleti è illustrato nella tabella 10.13.
◊ Sistema energetico dominante: anaerobico lattacido, aerobico.
◊ Ergogenesi: 400 m - 12% anaerobico alattacido, 50% anaerobico lattacido, 38% aerobico; 800 m -
6% anaerobico alattacido, 33% anaerobico lattacido, 61% aerobico; 1500 m - 2% anaerobico
alattacido, 18% anaerobico lattacido, 80% aerobico.
◊ Substrati energetici principali: fosfocreatina e glicogeno.
◊ Fattori limitanti: 400 m - potenza di accelerazione; 400 e 800 m (livello élite) - resistenza muscolare
di breve durata; 800 e 1500 m - resistenza muscolare di media durata.
◊ Obiettivi dell’allenamento: 400 m – potenza resistente e resistenza muscolare di breve durata; 800
m - resistenza muscolare di breve e media durata; 1500 m - resistenza muscolare di media durata;
tutti - forza massima.

Tabella 10.13
Modello di periodizzazione per la velocità prolungata e il mezzofondo veloce

L’ordine con cui sono elencati i sistemi energetici ne implica la priorità nell’allenamento

Legenda: AA = adattamento anatomico, Cap = capacità, Comp. = competitiva, Co = compensazione, Conv. =


conversione, M = mantenimento, ME = resistenza muscolare, M×S = forza massima, O2P = potenza aerobica, P =
potenza, Prep. = preparazione, T = transizione

CORSE DI MEZZOFONDO E FONDO

Un’elevata capacità aerobica è un attributo fisico essenziale per i corridori di mezzofondo e di fondo.

Infatti, durante la gara è necessario mantenere un ritmo veloce e costante. Il glicogeno e gli acidi grassi
liberi sono la “benzina” per produrre energia in questi eventi. Un modello di periodizzazione tipo è
rappresentato dalla tabella 10.14.
◊ Sistema energetico dominante: aerobico.
◊ Ergogenesi: 10000 m - 3% anaerobico lattacido, 97% aerobico; maratona - 100% aerobico.
◊ Substrati energetici principali: glicogeno, acidi grassi liberi.
◊ Fattori limitanti: resistenza muscolare di lunga durata.
◊ Obiettivi dell’allenamento: 10000 m – potenza resistente; resistenza muscolare di lunga durata.
Tabella 10.14
Modello di periodizzazione per le corse di mezzofondo e fondo

M×S < 80% di 1RM

Legenda: AA = adattamento anatomico, Cap = capacità, Comp. = competitiva, Co = compensazione, Conv. =


conversione, M = mantenimento, MEL= resistenza muscolare di lunga durata, MEM = resistenza muscolare di media
durata, M×S = forza massima, O2Cap = capacità aerobica, O2P = potenza aerobica, P = potenza, PE = potenza
resistente, Prep. = preparazione, T = transizione

NUOTO Velocità

I velocisti del nuoto utilizzano principalmente il sistema energetico anaerobico lattacido. Infatti, essi
devono generare bracciate rapide e potenti per muoversi in maniera efficiente nell’acqua per un periodo
di tempo piuttosto lungo. Un modello di periodizzazione tipo è rappresentato dalla tabella 10.15, che
presenta un piano annuale biciclico per un velocista di livello nazionale.
◊ Sistema energetico dominante: 50 e 100 m - anaerobico lattacido, aerobico, anaerobico alattacido.
◊ Ergogenesi: 50 m - 20% anaerobico alattacido, 50% anaerobico lattacido, 30% aerobico; 100 m -
19% anaerobico alattacido, 26% anaerobico lattacido, 55% aerobico.
◊ Substrati energetici principali: 50 e 100 m - fosfocreatina, glicogeno.
◊ Fattori limitanti: 50 m - potenza resistente; 100 m - resistenza muscolare di breve durata; potenza.
◊ Obiettivi dell’allenamento: 50 m - potenza resistente; 100 m - resistenza muscolare di breve durata;
forza massima.

Tabella 10.15
Modello di periodizzazione per un velocista del nuoto di livello nazionale (piano biciclico)

L’ordine in cui sono elencati i sistemi energetici ne implica la priorità nell’allenamento.

Legenda: AA = adattamento anatomico, Cap = capacità, Comp. = competitiva, Co = compensazione, Conv. =


conversione, M = mantenimento, MEL= resistenza muscolare di lunga durata, MEM = resistenza muscolare di media
durata, M×S = forza massima, O2Cap = capacità aerobica, O2P = potenza aerobica, P = potenza, PE = potenza
resistente, Prep. = preparazione, T = transizione
NUOTO SULLE LUNGHE DISTANZE

I nuotatori sulle lunghe distanze devono allenare la resistenza muscolare. Una gara lunga grava sul
sistema energetico aerobico, ma un allenamento per la resistenza muscolare adeguato può certamente
aumentare il livello di resistenza del nuotatore. Un modello di periodizzazione tipo è rappresentato dalla
tabella 10.16, che presenta un piano annuale con due fasi competitive: una che inizia a gennaio e l’altra a
tarda primavera.
◊ Sistema energetico dominante: aerobico.
◊ Ergogenesi: 10% anaerobico lattacido, 90% aerobico.
◊ Substrati energetici principali: glicogeno, acidi grassi liberi.
◊ Fattori limitanti: resistenza muscolare di lunga durata.
◊ Obiettivi dell’allenamento: resistenza muscolare di media durata, resistenza muscolare di lunga
durata.

Tabella 10.16
Modello di periodizzazione per un nuotatore sulle lunghe distanze di livello nazionale

Legenda: AA = adattamento anatomico, Cap = capacità, Comp. = competitiva, Co = compensazione, Conv. =


conversione, M = mantenimento, MEL = resistenza muscolare di lunga durata, MEM = resistenza muscolare di media
durata, M×S = forza massima, O2Cap = capacità aerobica, O2P = potenza aerobica

VELOCITÀ (ATLETA MASTER)

Il fattore d’allenamento dominante per un atleta Master è la potenza. Lo sviluppo della forza massima e
della potenza richiede una fase preparatoria lunga. Un modello di periodizzazione tipo per un nuotatore
Master è rappresentato dalla tabella 10.17. Esso prevede una sola fase competitiva, da maggio fino alla
fine di luglio.
◊ Sistema energetico dominante: anaerobico lattacido, anaerobico alattacido, aerobico.
◊ Ergogenesi: 50 m - 18% anaerobico alattacido, 45% anaerobico lattacido, 37% aerobico; 100 m -
15% anaerobico alattacido, 25% anaerobico lattacido, 60% aerobico.
◊ Substrati energetici principali: creatina fosfato, glicogeno.
◊ Fattori limitanti: 50 m – potenza resistente; 100 m - resistenza muscolare di breve durata; potenza.
◊ Obiettivi dell’allenamento: 50 m – potenza resistente; 100 m - resistenza muscolare di breve durata;
forza massima.

Tabella 10.17
Modello di periodizzazione per un velocista Master nel nuoto

Legenda: AA = adattamento anatomico, Cap = capacità, Cap = capacità, Comp. = competitiva, Co = compensazione,
Conv. = conversione, M = mantenimento, M×S = forza massima, O2P= potenza aerobica, O2Cap = capacità aerobica, P
= potenza, PE = potenza resistente, Prep. = preparazione

CICLISMO SU STRADA

Il ciclismo su strada mette a dura prova il sistema aerobico. L’unico momento in cui i ciclisti impegnano il
sistema anaerobico lattacido è durante le scalate e nello sprint finale della corsa. I ciclisti devono essere
in grado di lavorare faticosamente, coprendo lunghe distanze, e di eseguire un numero costante di
movimenti rotatori al minuto per mantenere la velocità e la potenza contro la resistenza dei pedali,
dell’ambiente e del terreno. Per un modello di periodizzazione tipo è possibile fare riferimento alla tabella
10.18.
◊ Sistema energetico dominante: aerobico.
◊ Ergogenesi: 5% anaerobico lattacido, 95% aerobico.
◊ Substrati energetici principali: glicogeno, acidi grassi liberi.
◊ Fattori limitanti: resistenza muscolare di lunga durata, potenza resistente.
◊ Obiettivi dell’allenamento: resistenza muscolare di lunga durata, potenza resistente, forza massima.

Tabella 10.18
Modello di periodizzazione per il ciclismo su strada

Legenda: AA = adattamento anatomico, Cap = capacità, Comp. = competitiva, Co = compensazione, Conv. =


conversione, M= mantenimento, MEL = resistenza muscolare di lunga durata, M×S = forza massima, O2P = potenza
aerobica, O2Cap = capacità aerobica, PE = potenza resistente, Prep. = preparazione, T = transizione

TRIATHLON

Il triathlon, che richiede una buona prestazione in tre eventi, rappresenta una grossa sfida per la
resistenza psicologica e fisiologica di un atleta. Nel triathlon l’efficienza dell’organismo nell’utilizzo degli
acidi grassi come substrato energetico principale è fondamentale per il successo. Per un modello di
periodizzazione tipo è possibile fare riferimento alla tabella 10.19.
◊ Sistema energetico dominante: aerobico.
◊ Ergogenesi: 5% anaerobico lattacido, 95% aerobico.
◊ Substrati energetici principali: glicogeno, acidi grassi liberi.
◊ Fattori limitanti: resistenza muscolare di lunga durata, potenza resistente.
◊ Obiettivi dell’allenamento: resistenza muscolare di lunga durata, forza massima.
Tabella 10.19
Modello di periodizzazione per il triathlon

Legenda: AA = adattamento anatomico, Cap = capacità, Comp. = competitiva, Co = compensazione, Conv. =


conversione, M = mantenimento, MEL = resistenza muscolare di lunga durata, M×S = forza massima, O2P = potenza
aerobica, O2Cap = capacità aerobica, Prep. = preparazione, T = transizione

CANOA E KAYAK: 500 E 1000 METRI

Le gare veloci in acque calme si fondano sulla velocità e sulla resistenza specifica. L’atleta deve essere
infatti in grado di spingere rapidamente il remo contro la resistenza dell’acqua, al fine di muoversi
velocemente verso il traguardo.

Per un modello di periodizzazione tipo è possibile fare riferimento alla tabella 10.20.
◊ Sistema energetico dominante: aerobico, anaerobico lattacido, anaerobico alattacido.
◊ Ergogenesi: 500 m - 16% anaerobico alattacido, 22% anaerobico lattacido, 62% aerobico; 1000 m -
8% anaerobico alattacido, 10% anaerobico lattacido, 82% aerobico.
◊ Substrati energetici principali: fosfocreatina, glicogeno.
◊ Fattori limitanti: resistenza muscolare; potenza resistente; potenza di partenza.
◊ Obiettivi dell’allenamento: potenza resistente; resistenza muscolare di breve e media durata; forza
massima.
Tabella 10.20
Modello di periodizzazione per canoa e kayak (500 e 1000 metri)

L’ordine con cui sono elencati i sistemi energetici ne implica la priorità nell’allenamento

Legenda: AA = adattamento anatomico, Cap = capacità, Comp. = competitiva, Co = compensazione, Conv. =


conversione, MES = resistenza muscolare di breve durata, MEM = resistenza muscolare di media durata, M =
mantenimento, M×S = forza massima, O2P = potenza aerobica, O2Cap = capacità aerobica, P = potenza, PE = potenza
resistente, Prep. = preparazione, T = transizione

CANOA E KAYAK: MARATONA

Diversamente dalle prove brevi, le gare prolungate richiedono resistenza muscolare di lunga durata.

Inoltre, l’atleta deve disporre di un sistema energetico aerobico ben sviluppato per resistere alla maggior
durata della gara.
Per un modello di periodizzazione tipo è possibile fare riferimento alla tabella 10.21.
◊ Sistema energetico dominante: aerobico.
◊ Ergogenesi: 5% anaerobico lattacido, 95% aerobico.
◊ Substrati energetici principali: glicogeno, acidi grassi liberi.
◊ Fattori limitanti: resistenza muscolare di lunga durata, potenza resistente.
◊ Obiettivi dell’allenamento: resistenza muscolare di lunga durata, forza massima.

Tabella 10.21
Modello di periodizzazione per canoa e kayak (maratona)

Legenda: AA = adattamento anatomico, Cap = capacità, Comp. = competitiva, Co = compensazione, Conv. =


conversione, M = mantenimento, MEL = resistenza muscolare di lunga durata, MEM = resistenza muscolare di media
durata, M×S = forza massima, O2P = potenza aerobica, O2Cap = capacità aerobica, P = potenza, Prep. = preparazione,
T = transizione

SCI ALPINO

Gli sciatori devono essere in grado di reagire prontamente per aggirare i paletti sul percorso. Nella lunga
fase di preparazione, lo sviluppo della forza massima è alternato a quello della potenza. Un modello di
periodizzazione tipo è proposto nella tabella 10.22.
◊ Sistema energetico dominante: anaerobico lattacido, anaerobico alattacido.
◊ Ergogenesi: 10% anaerobico alattacido, 40% anaerobico lattacido, 50% aerobico.
◊ Substrati energetici principali: fosfocreatina, glicogeno.
◊ Fattori limitanti: potenza reattiva, potenza resistente.
◊ Obiettivi dell’allenamento: potenza resistente; resistenza muscolare di breve durata; forza massima.
Tabella 10.22
Modello di periodizzazione per lo sci alpino

Legenda: AA = adattamento anatomico, Cap = capacità, Comp. = competitiva, Co = compensazione, Conv. =


conversione, M = mantenimento, M×S = forza massima, PE = potenza resistente, MES = resistenza muscolare di breve
durata, O2P = potenza aerobica, O2Cap = capacità aerobica, P = potenza, Prep. = preparazione, T = transizione

SCI DI FONDO E BIATHLON

Le gare dello sci di fondo richiedono una grande resistenza aerobica. La forza massima è convertita in
resistenza muscolare verso la fine del periodo preparatorio, in modo che lo sciatore possa affrontare gli
sforzi di una lunga corsa. Un modello di periodizzazione tipo si trova nella tabella 10.23.
◊ Sistema energetico dominante: aerobico.
◊ Ergogenesi: 5% anaerobico lattacido, 95% aerobico.
◊ Substrati energetici principali: glicogeno, acidi grassi liberi.
◊ Fattori limitanti: resistenza muscolare di lunga durata.
◊ Obiettivi dell’allenamento: resistenza muscolare di lunga durata, potenza resistente, forza massima.
Tabella 10.23
Modello di periodizzazione per lo sci di fondo e il biathlon

L’ordine con cui sono elencati i sistemi energetici ne implica la priorità nell’allenamento

Legenda: AA = adattamento anatomico, Cap = capacità, Comp. = competitiva, Co = compensazione, Conv. =


conversione, M = mantenimento, MEL = resistenza muscolare di lunga durata, M×S = forza massima, O2P = potenza
aerobica, O2Cap = capacità aerobica, P = potenza, Prep. = preparazione, T = transizione

PATTINAGGIO ARTISTICO SU GHIACCIO

Per essere in grado di completare la loro routine, i pattinatori devono sviluppare alti livelli di potenza di
stacco (concentrica) e di atterraggio (eccentrica).

Inoltre, hanno anche bisogno dei sistemi energetici anaerobico lattacido e aerobico ben sviluppati,
specialmente per i programmi più lunghi. Un esempio di periodizzazione tipo è rappresentato nella tabella
10.24.
◊ Sistema energetico dominante: anaerobico lattacido, aerobico.
◊ Ergogenesi: 40% anaerobico alattacido, 40% anaerobico lattacido, 20% aerobico.
◊ Substrati energetici principali: fosfocreatina, glicogeno.
◊ Fattori limitanti: potenza di stacco, potenza di atterraggio, potenza reattiva, potenza resistente.
◊ Obiettivi dell’allenamento: potenza; potenza resistente; forza massima.
Tabella 10.24
Modello di periodizzazione per il pattinaggio artistico

L’allenamento aerobico (O2) può essere fatto con esercitazioni e ripetizioni specifiche.
L’ordine con cui sono elencati i sistemi energetici ne implica la priorità nell’allenamento

Legenda: AA = adattamento anatomico, Cap = capacità, Comp. = competitiva, CO = compensazione, M = mantenimento,


M×S = forza massima, PE = potenza resistente, O2P = potenza aerobica, O2Cap = capacità aerobica, P = potenza, Prep.
= preparazione, T = transizione

GOLF

Il fattore principale in questo sport popolare è rappresentato dalla capacità del golfista di colpire con
potenza la palla e indirizzarla con precisione sul green. Una buona resistenza aerobica aiuta il golfista a
sopportare l’affaticamento e a migliorare la concentrazione e l’efficacia, specialmente per le ultime buche.
Per un modello di periodizzazione tipo è possibile fare riferimento alla tabella 10.25.
◊ Sistema energetico dominante: anaerobico alattacido, aerobico.
◊ Ergogenesi: 100% anaerobico alattacido.
◊ Substrati energetici principali: fosfocreatina.
◊ Fattori limitanti: potenza, concentrazione mentale, resistenza aerobica.
◊ Obiettivi dell’allenamento: potenza; forza massima.

Tabella 10.25
Modello di periodizzazione per il golf

Legenda: AA = adattamento anatomico, Cap = capacità, Comp. = competitiva, Co = compensazione, Conv. =


conversione, M = mantenimento, M×S = forza massima, O2P = potenza aerobica, O2Cap = capacità aerobica, P =
potenza, Prep. = preparazione, T = transizione
CANOTTAGGIO

Il canottaggio richiede resistenza aerobica e capacità di produrre vogate potenti nell’acqua.

La potenza nell’avvio e la resistenza muscolare dovrebbero essere sviluppate in uguale misura. Un


esempio di periodizzazione tipo è mostrato nella tabella 10.26.
◊ Sistema energetico dominante: anaerobico lattacido, aerobico.
◊ Ergogenesi: 10% anaerobico alattacido, 15% anaerobico lattacido, 75% aerobico.
◊ Substrati energetici principali: fosfocreatina, glicogeno.
◊ Fattori limitanti: resistenza muscolare di media e breve durata, potenza di partenza.
◊ Obiettivi dell’allenamento: resistenza muscolare di media durata, resistenza muscolare di breve
durata, forza massima.

Tabella 10.26
Modello di periodizzazione per il canottaggio

L’ordine con cui sono elencati i sistemi energetici ne implica la priorità nell’allenamento

Legenda: AA = adattamento anatomico, Cap = capacità, Comp. = competitiva, CO = compensazione, M = mantenimento,


MEM = resistenza muscolare di media durata, MES = resistenza muscolare di breve durata, M×S = forza massima, O2P
= potenza aerobica, O2Cap = capacità aerobica, P = potenza, Prep.= preparazione, T = transizione

BASEBALL, SOFTBALL E CRICKET

L’abilità dominante in questi tre sport è la potenza, espressa nella battuta e nel lancio, nelle accelerazioni
e nel tempo di reazione. Durante la lunga fase preparatoria, qualsiasi limitazione nell’allenamento,
specialmente per il baseball professionistico, può ridurre il livello di preparazione, mentre la lunga fase
competitiva può portare ad affaticamento e infortuni. Poiché la potenza e l’accelerazione dipendono molto
dalla capacità di reclutare il più grande numero di fibre a contrazione veloce, la forza massima è un’abilità
molto importante affinché questi atleti abbiano successo. Il mantenimento della forza massima e della
potenza aiuta i giocatori a essere efficaci per tuta la durata della stagione. Per un modello di
periodizzazione tipo per il baseball professionistico è possibile fare riferimento alla tabella 10.27, mentre
per squadre amatoriali di baseball, softball o cricket il riferimento è rappresentato dalla tabella 10.28.
◊ Sistema energetico dominante: anaerobico alattacido.
◊ Ergogenesi: 95% anaerobico alattacido, 5% anaerobico lattacido.
◊ Substrati energetici principali: fosfocreatina.
◊ Fattori limitanti: potenza di lancio, potenza di accelerazione, potenza reattiva.
◊ Obiettivi dell’allenamento: potenza; forza massima.

Tabella 10.27
Modello di periodizzazione per una squadra di baseball di alto livello

L’allenamento metabolico è rappresentato dall’effetto cumulativo dell’interval training e delle esercitazioni tattiche
specifiche. L’ordine con cui sono elencati i sistemi energetici ne implica la priorità nell’allenamento. Dato che la fase
competitiva è molto lunga, c’è la possibilità che la forza massima cali; per questo motivo i giocatori devono mantenere
potenza e forza massima

Legenda: AA = adattamento anatomico, Cap = capacità, Comp. = competitiva, Co = compensazione, Conv. =


conversione, M = mantenimento, M×S = forza massima, O2P = potenza aerobica, P = potenza, Prep. = preparazione, T
= transizione

Tabella 10.28
Modello di periodizzazione per una squadra non professionistica di baseball o di softball

Legenda: AA = adattamento anatomico, Cap = capacità, Comp. = competitiva, Co = compensazione, M = mantenimento,


M×S = forza massima, O2P= potenza aerobica, P = potenza, Prep. = preparazione, T = transizione
BASKET

Il basket richiede che i giocatori siano forti, agili e capaci di accelerazioni, decelerazioni e cambi di
direzione rapidi. Un allenamento della forza e della potenza adeguato prepara il giocatore alle difficoltà
della stagione agonistica. Un modello di periodizzazione tipo per il basket universitario è presentato nella
tabella 10.29, mentre per una squadra professionistica di basket il riferimento è rappresentato dalla
tabella 10.30.
◊ Sistema energetico dominante: anaerobico alattacido, anaerobico lattacido, aerobico.
◊ Ergogenesi: 60% anaerobico alattacido, 20% anaerobico lattacido, 20% aerobico.
◊ Substrati energetici principali: fosfocreatina e glicogeno.
◊ Fattori limitanti: potenza di stacco, potenza di accelerazione, potenza resistente.
◊ Obiettivi dell’allenamento: potenza; potenza resistente; forza massima.

Tabella 10.29
Modello di periodizzazione per una squadra universitaria di basket

Legenda: AA = adattamento anatomico, Cap = capacità, Comp. = competitiva, Co = compensazione, Conv. =


conversione, M = mantenimento, M×S = forza massima, O2P = potenza aerobica, P = potenza, Prep. = preparazione, T
= transizione

Tabella 10.30
Modello di periodizzazione per una squadra di basket di alto livello

L’allenamento aerobico (O2) è costituito dalle dall’interval training durante la fase di adattamento anatomico e dalle
esercitazioni tattiche specifiche (2-5 minuti senza interruzioni) durante le altre fasi. L’ordine con cui sono elencati i
sistemi energetici ne implica la priorità nell’allenamento

Legenda: AA = adattamento anatomico, Cap = capacità, Comp. = competitiva, Co = compensazione, Conv. =


conversione, M = mantenimento, M×S = forza massima, O2P = potenza aerobica, P = potenza, Prep. = preparazione, T
= transizione

PALLANUOTO

La pallanuoto richiede un elevato dispendio energetico, usando il sistema aerobico, con veloci
accelerazioni e potenti azioni di lancio.

La tecnica di passaggio e di tiro sono abilità essenziali che devono essere perfezionate durante le molte
ore d’allenamento. Per un modello di periodizzazione tipo fare riferimento alla tabella 10.31.
◊ Sistema energetico dominante: anaerobico lattacido, aerobico.
◊ Ergogenesi: 10% anaerobico alattacido, 30% anaerobico lattacido, 60% aerobico.
◊ Substrati energetici principali: glicogeno.
◊ Fattori limitanti: resistenza muscolare di media durata, potenza resistente, potenza di
accelerazione, potenza di tiro.
◊ Obiettivi dell’allenamento: resistenza muscolare di media durata, potenza resistente, forza massima.

Tabella 10.31
Modello di periodizzazione per una squadra di pallanuoto della massima serie

L’allenamento aerobico implica anche l’utilizzo di esercitazioni tattiche di lunga durata (da due a quattro minuti)

Legenda: AA = adattamento anatomico, Cap = capacità, Comp. = competitiva, Co = compensazione, Conv. =


conversione, M = mantenimento, MEM = resistenza muscolare di media durata, M×S = forza massima, PE = potenza
resistente, O2P = potenza aerobica, Prep. = preparazione, T = transizione

FOOTBALL AMERICANO: linemen

Il lineman deve essere in grado di reagire in maniera esplosiva quando la palla è messa in gioco. Deve
inoltre resistere alla forza dell’avversario. Quindi, per costruire la massa muscolare necessaria, è inclusa
una fase d’ipertrofia. Un modello di periodizzazione tipo per i linemen di una squadra universitaria si
trova nella tabella 10.32 e per i linemen di una squadra professionistica nella tabella 10.33.
◊ Sistema energetico dominante: anaerobico alattacido, anaerobico lattacido.
◊ Ergogenesi: 70% anaerobico alattacido, 30% anaerobico lattacido.
◊ Substrati energetici principali: fosfocreatina e glicogeno.
◊ Fattori limitanti: potenza di partenza, forza massima.
◊ Obiettivi dell’allenamento: potenza; ipertrofia; forza massima.

Tabella 10.32
Modello di periodizzazione per i linemen del football universitario

Legenda: AA = adattamento anatomico, Cap = capacità, Comp. = competitiva, Co = compensazione, Conv. =


conversione, HYP = ipertrofia, M = mantenimento, M×S = forza massima, P = potenza, Prep. = preparazione, T =
transizione
Tabella 10.33
Modello di periodizzazione per i linemen del football professionistico

Legenda: AA = adattamento anatomico, Cap = capacità, Comp. = competitiva, Co = compensazione, Conv. =


conversione, HYP = ipertrofia, M = mantenimento, M×S = forza massima, P = potenza, Prep. = preparazione, T =
transizione

FOOTBALL AMERICANO: wide receiver, defensive back, tailback

Diversamente dai linemen, questi giocatori devono essere agili e veloci, anziché grossi. Per un modello di
periodizzazione tipo per una squadra universitaria è possibile fare riferimento alla tabella 10.34 e per una
squadra professionistica il riferimento è la tabella 10.35.
◊ Sistema energetico dominante: anaerobico alattacido, anaerobico lattacido.
◊ Ergogenesi: 60% anaerobico alattacido, 30% anaerobico lattacido, 10% aerobico.
◊ Substrati energetici principali: fosfocreatina e glicogeno.
◊ Fattori limitanti: potenza reattiva, potenza di partenza, potenza di accelerazione.
◊ Obiettivi dell’allenamento: potenza; forza massima.

Tabella 10.34
Modello di periodizzazione per wide receiver, defensive back e tailback del football universitario

Legenda: AA = adattamento anatomico, Cap = capacità, Comp. = competitiva, Co = compensazione, M = mantenimento,


M×S = forza massima, O2P = potenza aerobica, P = potenza, Prep. = preparazione, T = transizione

Tabella 10.35
Modello di periodizzazione per wide receiver, defensive back e tailback del football professionistico

Legenda: AA = adattamento anatomico, Cap = capacità, Comp. = competitiva, Co = compensazione, Conv. =


conversione, M = mantenimento, M×S = forza massima, O2P = potenza aerobica, P = potenza, Prep. = preparazione, T
= transizione
CALCIO

Lo sport più popolare al mondo è un gioco di grande abilità tecnica che richiede una solida componente
fisica e il cui risultato è determinato da potenza, velocità, agilità e resistenza specifica. Le tabelle seguenti
mostrano dei modelli di periodizzazione tipo per una squadra amatoriale americana (tabella 10.36), una
squadra professionistica americana (tabella 10.37), una squadra amatoriale europea (tabella 10.38) e una
squadra professionistica europea (tabella 10.39), oltre alla periodizzazione per un portiere di una squadra
europea (tabella 10.40).
◊ Sistema energetico dominante: aerobico, anaerobico alattacido, anaerobico lattacido.
◊ Ergogenesi: 2% anaerobico alattacido, 23% anaerobico lattacido, 75% aerobico.
◊ Substrati energetici principali: fosfocreatina e glicogeno.
◊ Fattori limitanti: potenza reattiva, potenza di partenza, potenza di accelerazione, potenza di
decelerazione, potenza resistente breve.
◊ Obiettivi dell’allenamento: potenza; forza massima.

Tabella 10.36
Modello di periodizzazione per il calcio amatoriale

I sistemi energetici possono essere allenati con il tempo training, l’interval training o il repetition training, così come
attraverso esercitazioni specifiche e partite a campo e/o numero di giocatori ridotti. L’ordine con cui sono elencati i
sistemi energetici ne implica la priorità nell’allenamento.

Legenda: AA = adattamento anatomico, Cap = capacità, Comp. = competitiva, Co = compensazione, M = mantenimento,


M×S = forza massima, O2P = potenza aerobica, O2Cap = capacità aerobica, P = potenza, Prep. = preparazione, T =
transizione

Tabella 10.37
Modello di periodizzazione per il calcio professionistico

Legenda: AA = adattamento anatomico, Cap = capacità, Comp. = competitiva, Co = compensazione, M = mantenimento,


M×S = forza massima, O2P = potenza aerobica, O2Cap = capacità aerobica, P = potenza, Prep. = preparazione, T =
transizione
Tabella 10.38
Modello di periodizzazione per una squadra di calcio dilettanti (calendario europeo)

Legenda: AA = adattamento anatomico, Cap = capacità, Ce = cessazione, Comp. = competitiva, Co = compensazione, M


= mantenimento, M×S = forza massima, O2P = potenza aerobica, O2Cap = capacità aerobica, P = potenza, Prep. =
preparazione, T = transizione

Tabella 10.39
Modello di periodizzazione per una squadra di calcio professionistica (calendario europeo)

Legenda: AA = adattamento anatomico, Cap = capacità, Ce = cessazione, Comp. = competitiva, Co = compensazione, M


= mantenimento, M×S= forza massima, O2P = potenza aerobica, O2Cap = capacità aerobica, P = potenza, Prep. =
preparazione, T = transizione

Tabella 10.40
Modello di periodizzazione per il portiere (calendario europeo)

Legenda: AA = adattamento anatomico, Cap = capacità, Ce = cessazione, Comp. = competitiva, Co = compensazione, M


= mantenimento, M×S = forza massima, O2P = potenza aerobica, P = potenza, Prep. = preparazione, T = transizione
RUGBY

Il rugby è un gioco che richiede elevati livelli di energia, potenza ed elementi tecnici complessi eseguiti
con ritmo alto. La tabella 10.41 mostra un modello di periodizzazione tipo per una squadra amatoriale di
rugby, mentre per una squadra professionistica di rugby è possibile fare riferimento alla tabella 10.42.
◊ Sistema energetico dominante: anaerobico alattacido, anaerobico lattacido, aerobico.
◊ Ergogenesi: 10% anaerobico alattacido, 30% anaerobico lattacido, 60% aerobico.
◊ Substrati energetici principali: fosfocreatina e glicogeno.
◊ Fattori limitanti: potenza, potenza di accelerazione, potenza resistente breve.
◊ Obiettivi dell’allenamento: potenza; forza massima.

Tabella 10.41
Modello di periodizzazione per una squadra di rugby di livello amatoriale

L’allenamento aerobico è eseguito principalmente attraverso esercitazioni tattiche di lunga durata (da tre a cinque minuti
senza interruzioni). L’ordine con cui sono elencati i sistemi energetici ne implica la priorità nell’allenamento. La potenza
resistente è allenata anche attraverso esercitazioni di potenza lattacida breve.

Legenda: AA = adattamento anatomico, Cap = capacità, Comp. = competitiva, Co = compensazione, Conv. =


conversione, M = mantenimento, M×S = forza massima, O2P = potenza aerobica, O2Cap = capacità aerobica, P =
potenza, Prep. = preparazione, T = transizione

Tabella 10.42
Modello di periodizzazione per una squadra di rugby professionistica

Legenda: AA = adattamento anatomico, Cap = capacità, Comp. = competitiva, Co = compensazione, Conv. =


conversione, M = mantenimento, M×S = forza massima, O2P = potenza aerobica, O2Cap = capacità aerobica P =
potenza, Prep. = preparazione, T = transizione

HOCKEY

Abilità fondamentali in questo sport sono l’accelerazione e i rapidi cambi di direzione. L’allenamento
dovrebbe concentrarsi sul miglioramento tecnico e sullo sviluppo della potenza e della resistenza sia
anaerobica, sia aerobica. La tabella 10.43 mostra un modello tipo di periodizzazione per questo sport.
◊ Sistema energetico dominante: anaerobico lattacido, anaerobico alattacido.
◊ Ergogenesi: 10% anaerobico alattacido, 40% anaerobico lattacido, 50% aerobico.
◊ Substrati energetici principali: fosfocreatina e glicogeno.
◊ Fattori limitanti: potenza di accelerazione, potenza di decelerazione, potenza resistente breve.
◊ Obiettivi dell’allenamento: potenza resistente; potenza; forza massima.

Tabella 10.43
Modello di periodizzazione per l’hockey su ghiaccio

Legenda: AA = adattamento anatomico, Cap = capacità, Comp. = competitiva, Co = compensazione, Conv. =


conversione, M = mantenimento, M×S = forza massima, O2P = potenza aerobica, O2Cap = capacità aerobica, P =
potenza, PE = potenza resistente, Prep. = preparazione, T = transizione

PALLAVOLO

Un giocatore di pallavolo deve essere in grado di reagire velocemente e in modo esplosivo per staccarsi
dal suolo ed effettuare la schiacciata, il muro o il tuffo. Si richiede forza massima e potenza per
permettere a un giocatore di essere performante stabilmente durante tutto il lungo periodo agonistico. Le
tabelle seguenti mostrano modelli di periodizzazione tipo per una squadra americana di college (tabella
10.44) e una europea (tabella 10.45).
◊ Sistema energetico dominante: anaerobico alattacido, anaerobico lattacido.
◊ Ergogenesi: 70% anaerobico alattacido, 20% anaerobico lattacido, 10% aerobico.
◊ Substrati energetici principali: fosfocreatina e glicogeno.
◊ Fattori limitanti: potenza, potenza di stacco, potenza reattiva.
◊ Obiettivi dell’allenamento: potenza; forza massima.

Tabella 10.44
Modello di periodizzazione per la pallavolo (calendario americano)

L’ordine con cui sono elencati i sistemi energetici ne implica la priorità nell’allenamento

Legenda: AA = adattamento anatomico, Cap = capacità, Comp. = competitiva, Co = compensazione, M = mantenimento,


M×S = forza massima, O2P = potenza aerobica, P = potenza, Prep. = preparazione, T = transizione

Tabella 10.45
Modello di periodizzazione per la pallavolo (calendario europeo)

L’ordine con cui sono elencati i sistemi energetici ne implica la priorità nell’allenamento

Legenda: AA = adattamento anatomico, Cap = capacità, Comp. = competitiva, Co = compensazione, Conv. =


conversione, M = mantenimento, M×S = forza massima, O2P = potenza aerobica, P = potenza, Prep. = preparazione, T
= transizione

BOXE

I pugili devono essere in grado di colpire velocemente e rispondere con potenza agli atacchi
dell’avversario per tuta la durata del match. Essi hanno bisogno di resistenza sia anaerobica, sia aerobica.
La tabella 10.46 mostra un modello di periodizzazione tipo per questo sport.
◊ Sistema energetico dominante: anaerobico lattacido, aerobico.
◊ Ergogenesi: 10% anaerobico alattacido, 40% anaerobico lattacido, 50% aerobico.
◊ Substrati energetici principali: fosfocreatina e glicogeno.
◊ Fattori limitanti: potenza resistente, potenza reattiva, resistenza muscolare di media durata.
◊ Obiettivi dell’allenamento: potenza resistente; resistenza muscolare di media durata; forza
massima.
Tabella 10.46
Modello di periodizzazione per la boxe

L’allenamento della forza massima utilizza principalmente intensità tra il 70 e l’80% di 1RM per due dei tre cicli di
preparazione e tra l’80 e il 90% per il terzo. Per i pesi massimi si utilizzano carichi tra l’80 e il 90% nel secondo e nel
terzo ciclo preparatorio. L’allenamento aerobico dovrebbe includere esercitazioni specifiche della durata di due-cinque
minuti. L’ordine con cui sono elencati i sistemi energetici ne implica la priorità nell’allenamento

Legenda: AA = adattamento anatomico, Cap = capacità, Co = compensazione, Conv. = conversione, M = mantenimento,


MEM = resistenza muscolare di media durata, M×S = forza massima, O2P = potenza aerobica, O2Cap = capacità
aerobica, P = potenza, Prep. = preparazione, T = transizione

SPORT CON RACCHETTA: tennis, squash, badminton, raquetball

Gli sport con la racchetta richiedono un gioco veloce e reattivo nel quale il successo è determinato dal
tempo di reazione e da cambi di direzione rapidi e precisi. La tabella 10.47 mostra un modello di
periodizzazione tipo per un giocatore di tennis amatoriale e la tabella 10.48 per un giocatore
professionista. La tabella 10.49 si riferisce al raquetball, allo squash e al badminton.
◊ Sistema energetico dominante: anaerobico alattacido, aerobico, anaerobico lattacido.
◊ Ergogenesi: tennis - 50% anaerobico alattacido, 20% anaerobico lattacido, 30% aerobico; squash -
40% anaerobico alattacido, 20% anaerobico lattacido, 40% aerobico; badminton - 60% anaerobico
alattacido, 20% anaerobico lattacido, 20% aerobico.
◊ Substrati energetici principali: fosfocreatina e glicogeno.
◊ Fattori limitanti: potenza, potenza reattiva, potenza resistente.
◊ Obiettivi dell’allenamento: potenza; potenza resistente; forza massima.

Tabella 10.47
Modello di periodizzazione per un giocatore di tennis dilettante

Legenda: AA = adattamento anatomico, Cap = capacità, Comp. = competitiva, Co = compensazione, Conv. =


conversione, M = mantenimento, M×S = forza massima, O2P = potenza aerobica, P = potenza, PE = potenza resistente,
Prep. = preparazione, T = transizione
Tabella 10.48
Modello di periodizzazione per un giocatore di tennis professionista

Questo modello presume quattro tornei principali. Poiché le date dei tornei variano, i mesi dell’anno sono numerati.
L’allenamento aerobico implica l’utilizzo di esercitazioni specifiche di lunga durata (da tre a cinque minuti). L’ordine con
cui sono elencati i sistemi energetici ne implica la priorità nell’allenamento

Legenda: AA = adattamento anatomico, Cap = capacità, Comp. = competitiva, Co = compensazione, M = mantenimento,


M×S = forza massima, O2P = potenza aerobica, P = potenza, Prep. = preparazione, T = transizione

Tabella 10.49
Modello di periodizzazione per racquetball, squash e badminton

Poiché le date del calendario di gara variano a seconda della zona geografica, i mesi sono numerati anziché denominati.
Questo è un modello triciclico. L’ordine con cui sono elencati i sistemi energetici ne implica la priorità nell’allenamento.
L’allenamento aerobico(O2) può essere realizzato con l’interval training e con esercitazioni specifiche

Legenda: AA = adattamento anatomico, Cap = capacità, Comp. = competitiva, Co = compensazione, M = mantenimento,


M×S = forza massima, O2P = potenza aerobica, P = potenza, Prep. = preparazione, T = transizione

ARTI MARZIALI

Le arti marziali necessitano di flessibilità, potenza, agilità, riflessi rapidi sulla base dell’energia fornita da
tutti e tre i sistemi energetici. La tabella 10.50 mostra un esempio di periodizzazione per le arti marziali
che non hanno una componente metabolica preponderante, mentre la tabella 10.51 si riferisce alle arti
marziali con un’importante componente metabolica.
◊ Sistema energetico dominante: anaerobico alattacido, anaerobico lattacido, aerobico.
◊ Ergogenesi: 50% anaerobico alattacido, 30% anaerobico lattacido, 20% aerobico.
◊ Substrati energetici principali: fosfocreatina e glicogeno.
◊ Fattori limitanti: potenza reattiva, potenza di partenza, potenza resistente, resistenza muscolare di
breve durata.
◊ Obiettivi dell’allenamento: potenza; potenza resistente; resistenza muscolare di breve durata; forza
massima.

Tabella 10.50
Modello di periodizzazione per arti marziali senza una rilevante componente aerobica

L’allenamento aerobico può essere realizzato anche con esercitazioni specifiche. L’ordine con cui sono elencati i sistemi
energetici ne implica la priorità nell’allenamento

Legenda: AA = adattamento anatomico, Cap = capacità, Comp. = competitiva, Co = compensazione, Conv. =


conversione, M = mantenimento, M×S = forza massima, O2P = potenza aerobica, O2Cap = capacità aerobica, P =
potenza, Prep. = preparazione, T = transizione
Tabella 10.51
Modello di periodizzazione per arti marziali con una considerevole componente di resistenza

L’ordine con cui sono elencati i sistemi energetici ne implica la priorità nell’allenamento. L’allenamento aerobico (O2) può
essere fato con il tempo training e con esercitazioni specifiche

Legenda: AA = adattamento anatomico, Cap = capacità, Comp. = competitiva, Co = compensazione, Conv. =


conversione, M = mantenimento, M×S = forza massima, O2P = potenza aerobica, O2Cap = capacità aerobica, P =
potenza, Prep. = preparazione, T = transizione

LOTTA GRECO-ROMANA E LOTTA LIBERA

Il successo di un lottatore è determinato dalle abilità tecniche e tattiche, così come dalla potenza, dalla
potenza resistente e dalla flessibilità. Per un esempio di modello di periodizzazione tipo è possibile fare
riferimento alla tabella 10.52.
◊ Sistema energetico dominante: anaerobico alattacido, anaerobico lattacido, aerobico.
◊ Ergogenesi: 30% anaerobico alattacido, 30% anaerobico lattacido, 40% aerobico.
◊ Substrati energetici principali: fosfocreatina e glicogeno.
◊ Fattori limitanti: potenza, potenza resistente, flessibilità.
◊ Obiettivi dell’allenamento: potenza, potenza resistente; resistenza muscolare di breve durata; forza
massima.

Tabella 10.52
Modello di periodizzazione per la lotta greco-romana e la lotta libera

Questo è un piano annuale biciclico volto a raggiungere due picchi, uno per il campionato nazionale e l’altro per una gara
internazionale. L’allenamento aerobico implica anche l’utilizzo di esercitazioni specifiche di lunga durata (da due a tre
minuti)

Legenda: AA = adattamento anatomico, Cap = capacità, Comp. = competitiva, Co = compensazione, M = mantenimento,


MES = resistenza muscolare di breve durata, M×S = forza massima, O2P = potenza aerobica, O2Cap = capacità
aerobica, P = potenza, PE = potenza resistente, Prep. = preparazione, T = transizione

10.5 LA PERIODIZZAZIONE DEGLI SCHEMI DI CARICO NELLE FASI DEL PIANO


ANNUALE

Gli schemi di carico non sono standard, né tantomeno possono avere una struttura rigida. Così come essi
cambiano in base allo sport o al livello di prestazione, variano anche in funzione del tipo di forza che viene
allenato in un determinato periodo. Per rendere questo concetto più facile da capire e applicare, dalla
figura 10.6 alla figura 10.12 vengono illustrate diverse applicazioni in alcune discipline. Gli esempi
mostrano le dinamiche degli schemi di carico per ciascuna fase dell’allenamento nei piani annuali, con un
solo grande ciclo per il baseball amatoriale, il softball o il cricket (figura 10.6), per il basket universitario
(figura 10.7), per un lineman del football americano di livello universitario (figura 10.8), per uno sport di
resistenza come la canoa (figura 10.9) e in piani annuali biciclici caratteristici della velocità nell’atletica
leggera (figura 10.10) e per le discipline veloci e di lunga durata nel nuoto (figure 10.11 e 10.12).

Le figure indicano (dall’alto verso il basso): il numero di settimane pianificate per ogni fase, il tipo di
allenamento che si realizzerà in quel periodo e l’entità del carico (alto, medio, o basso). Anche nel caso di
una disciplina non compresa in questi esempi, è possibile applicare lo stesso concetto al caso specifico,
una volta ben compreso. Inoltre, gli esempi sono così numerosi che possono essere applicati per
associazione.

Figura 10.6
Periodizzazione della forza per una squadra non professionistica di baseball, softball o cricket. Per
massimizzare lo sviluppo della potenza, gli ultimi tre macrocicli sono del tipo “flat”

Figura 10.7
Periodizzazione della forza per una squadra di basket universitario per la quale la preparazione va dai
primi di luglio fino alla fine di ottobre
Figura 10.8
Periodizzazione della forza per un lineman del football universitario. Un approccio simile può essere
utilizzato per i lanciatori dell’atletica leggera e per le categorie pesanti della lotta. Per la fase di ipertrofia
il carico è moderato in termini di intensità (60-80% di 1RM) ma alto in termini di volume nei tre microcicli
di carico

Figura 10.9
Periodizzazione della forza per la maratona di canoa, per la quale la resistenza muscolare di lunga durata
è l’abilità dominante. Un approccio simile può essere utilizzato per il ciclismo, lo sci di fondo, il triathlon e
il canottaggio.
Nei macrocicli di conversione a resistenza muscolare di lunga durata, l’intensità è bassa (30-40% di 1RM)
ma il volume è alto nei due microcicli di carico
Figura 10.10
Periodizzazione della forza nella prima parte di un piano annuale biciclico per la velocità nell’atletica
leggera

Figura 10.11
Periodizzazione della forza nella prima parte di un piano annuale biciclico per le discipline di velocità nel
nuoto. Il carico d’allenamento è alto negli ultimi due macrocicli poiché è utilizzata la struttura “flat”
Figura 10.12
Periodizzazione della forza per un evento di durata nel nuoto. L’intensità d’allenamento della forza non
dovrebbe superare l’80% di 1RM. L’intensità durante i macrocicli di conversione a resistenza muscolare à
bassa (30-40%), ma il numero di ripetizioni è molto alto (si vedano i parametri per la MEL nel capitolo 14)

10.6 GLI EFFETTI DELLA PERIODIZZAZIONE DELLA FORZA SULLA CURVA FORZA-
TEMPO

Nel capitolo 2 è stata analizzata la curva forza-tempo e sono state evidenziate le varie componenti della
forza che compaiono su tale curva. Abbiamo anche discusso su come carichi diversi influiscano sugli
adattamenti del sistema neuromuscolare e spiegato come un atleta debba allenare il sistema nervoso per
esprimere il più alto livello di forza nel minor tempo possibile. A causa dell’influenza del bodybuilding, i
programmi di allenamento della forza spesso includono un elevato numero di ripetizioni (12-15) eseguite
fino all’esaurimento. Tali metodiche consentono di sviluppare principalmente le dimensioni dei muscoli,
non la rapidità di contrazione. Come illustrato nella figura 10.13, l’applicazione della forza negli sport è
sempre molto rapida e più precisamente essa viene espressa spesso in un periodo che va da 200 ms a
poco meno di 100 ms. L’unico metodo che stimola lo sviluppo di questa rapida applicazione al massimo
livello è rappresentato dall’allenamento sequenziale di forza massima e potenza (Verkhoshansky 1997).
Accade invece il contrario se si impiegano le varianti dell’allenamento per il bodybuilding. In quel caso le
ripetizioni per serie sono più elevate che nell’allenamento per la forza massima o per la potenza, cosicché
il tempo di applicazione aumenta (molto superiore a 500 ms). Per questo motivo questo tipo di
allenamento non è specifico per i bisogni della maggior parte degli sport.
Figura 10.13
La curva forza-tempo seguito di due tipi diversi di allenamento della forza

Poiché l’applicazione della forza degli sport è solitamente molto rapida, lo scopo principale
dell’allenamento è di spostare la curva forza-tempo verso sinistra o il più vicino possibile al tempo di
applicazione della forza sport-specifico (meno di 200 ms), attraverso l’uso della forza massima e della
potenza applicate in maniera sequenziale (figura 10.14). Questo spostamento verso il tempo di
applicazione specifico della forza non è raggiunto velocemente. Infatti, il concetto fondamentale della
periodizzazione della forza è rappresentato dall’utilizzo di un allenamento della forza fase-specifico al fine
di spostare la curva forza-tempo verso sinistra, cioè diminuire il tempo di esecuzione, prima dell’inizio
della fase competitiva. Quello è il momento nel quale gli atleti hanno bisogno di applicare la forza
velocemente e quando beneficiano maggiormente dei guadagni in termini di potenza.
Figura 10.14
La finalità dell’allenamento della forza nello sport, è lo spostamento della curva forza-tempo verso sinistra

Come spiegato precedentemente, ogni fase della periodizzazione della forza si concentra su obiettivi
precisi. Rappresentando graficamente la curva forza-tempo durante ciascuna fase, i preparatori e gli atleti
possono vedere da un’altra angolazione come la curva sia influenzata dal lavoro svolto. La figura 10.15
illustra una periodizzazione della forza che include la fase di ipertrofia. Di certo soltanto gli atleti di alcuni
sport utilizzano questo modello, mentre quelli di molti altri escludono l’ipertrofia dal piano annuale. Come
mostrato nella figura, il programma utilizzato durante la fase di adattamento anatomico ha poco effetto
sulla curva forza-tempo.
Figura 10.15
Influenza di ciascuna fase della periodizzazione della forza sulla curva forza-tempo

* In accordo con il rapporto tra allenamento generale di forza a basse velocità angolari, e l’allenamento specifico ad alte
velocità angolari

Al massimo potrà spostarla leggermente verso destra (cioè incrementare il tempo di esecuzione). I tipici
metodi per l’ipertrofia spostano la curva a destra, dato che ogni serie è portata a esaurimento e per
questo la potenza sviluppata in ciascuna ripetizione diviene man a mano sempre più bassa. Ne consegue
che i guadagni risultanti in termini di massa muscolare non si traducono in guadagni nell’applicazione
veloce della forza. Soltanto con la volontà di muovere il carico in maniera esplosiva nella fase concentrica
del sollevamento la curva forza-tempo si sposterà verso sinistra, altrimenti le basse velocità angolari
tipiche del ciclo di allenamento della forza massima porteranno a un suo spostamento verso destra,
specialmente se questa fase sarà protratta oltre le sei settimane e in particolar modo nei macrocicli
dedicati alla coordinazione intramuscolare. Lo spostamento della curva verso sinistra avverrà certamente
nella fase di conversione a potenza e, poiché questo tipo di allenamento si protrarrà anche nel periodo di
mantenimento, vi rimarrà anche in questa fase della stagione.

Non ci si può aspettare un alto livello di potenza o di esplosività prima dell’inizio della fase competitiva.
La potenza è massimizzata soltanto dopo la realizzazione della fase di conversione del piano annuale;
quindi, l’atleta non sarà capace di esprimere elevati livelli di potenza durante la fase di ipertrofia e
neanche nella fase di forza massima. Nonostante ciò, l’aumento della forza massima è fondamentale per
incrementare l’espressione di potenza da un anno all’altro, poiché la potenza è una funzione della forza
massima. L’applicazione della periodizzazione della forza, quindi, offre la strada migliore verso il successo
sia per lo sviluppo della potenza, sia per lo sviluppo della resistenza muscolare.
PARTE
3

PERIODIZZAZIONE DELLA FORZA


FASE 1: ADATTAMENTO ANATOMICO
Undicesimo capitolo

Gli atleti che partecipano allo sport agonistico devono seguire un programma annuale per raggiungere il
massimo livello di prestazione nel periodo delle gare più importanti. Di conseguenza, l’allenamento della
forza è fondamentale al fine di costruire la base fisiologica per arrivare al successo. Per assicurare un
miglioramento della prestazione da una fase all’altra e ottenere il picco della prestazione durante la fase
competitiva, l’allenamento sportivo deve essere pianificato e programmato in maniera adeguata. Lo stesso
vale per l’allenamento della forza. La forza non dovrebbe essere considerata il fine ultimo da raggiungere,
ma piuttosto un’abilità da perfezionare attraverso diversi metodi e diverse fasi per ottenere il prodotto
finale: la forza specifica richiesta. Come illustrato nella tabella 10.3 l’allenamento della forza subisce
modificazioni nel corso del piano annuale in accordo con il principio della periodizzazione. Come spiegato
precedentemente, ogni disciplina esige una certa combinazione dei tipi di forza che costituiscono la base
fisiologica della prestazione. La trasformazione della forza nelle abilità richieste da un determinato sport
si ottiene applicando il principio della periodizzazione, unitamente a metodi di allenamento specifici per
ogni fase. Ne consegue che l’allenamento dovrà variare al progredire delle fasi. Questo capitolo e i
quattro seguenti illustreranno tutti i metodi di allenamento possibili in relazione con la periodizzazione.
Ciascuna fase di allenamento verrà esaminata separatamente, per evidenziare quale metodo si presti
meglio per un determinato periodo e ai bisogni individuali degli atleti. Verranno elencati aspetti positivi e
negativi di ciascun metodo, verrà spiegato come applicarlo e infine saranno fornite proposte specifiche, a
seconda dei diversi programmi di allenamento.

11.1 L’ALLENAMENTO A CIRCUITO E LA FASE DI ADATTAMENTO ANATOMICO

Durante la fase iniziale dell’allenamento della forza, specialmente con gli atleti principianti, quasi
qualsiasi metodo di allenamento e ogni programma determinano un miglioramento. Nel lungo periodo,
però, a seguito dei significativi guadagni di forza iniziali, il preparatore dovrà creare un programma di
allenamento periodizzato, specifico per massimizzare il potenziale motorio dell’atleta. I preparatori fisici
devono tenere a mente il fato che ciascun atleta possiede una velocità di adattamento unica a un dato
metodo e quindi un diverso tasso di miglioramento.

L’allenamento della forza è un progetto a lungo termine: gli atleti raggiungono la loro più alta prestazione
non dopo quattro o sei settimane di allenamento, ma piuttosto durante la fase competitiva, a distanza di
mesi dalla fase di adattamento anatomico (AA). L’obiettivo della fase di adattamento anatomico è quello di
abituare progressivamente i muscoli e soprattutto i tendini a sforzi crescenti, in modo che questi possano
sopportare più facilmente i carichi più alti impiegati nei cicli di allenamento successivi.

Il carico deve, pertanto, essere aumentato senza che gli atleti ne possano risentire negativamente. Il
metodo più semplice per l’adattamento anatomico è un allenamento a circuito, soprattutto perché utilizza
una struttura organizzata e un lavoro distribuito equamente sui diversi gruppi muscolari. L’allenamento a
circuito può essere usato non solo per porre la base di forza per le fasi di allenamento future, ma anche
per sviluppare una resistenza cardiorespiratoria non specifica combinando l’allenamento con i pesi con
l’allenamento della resistenza.

Alcuni autori suggeriscono che combinare la resistenza aerobica con l’allenamento della forza nella stessa
fase possa compromettere seriamente lo sviluppo della forza massima e della potenza. Essi asseriscono
che l’allenamento con i sovraccarichi è incompatibile con l’allenamento aerobico sulle lunghe distanze,
perché le fibre a contrazione veloce potrebbero adattarsi verso caratteristiche più simili alle fibre a
contrazione lenta. Questi studi scientifici avvalorano la teoria secondo la quale gli adattamenti negli sport
di velocità e potenza sono negativamente influenzati dalla combinazione dell’attività aerobica di lunga
durata e bassa intensità con l’allenamento di forza massima o di ipertrofia eseguito nello stesso giorno. Gli
adattamenti a breve termine ne risentono. Nonostante ciò, gli atleti degli sport nei quali la forza e la
resistenza aerobica sono ugualmente importanti (ad esempio, calcio, canottaggio, kayak, canoa e sci di
fondo) non possono fare a meno di allenare entrambe durante la fase preparatoria.

Inoltre, le argomentazioni contro questo allenamento combinato sono basate principalmente su ricerche
condotte per poche settimane, mentre il processo di allenamento andrebbe considerato nel lungo termine.
Altri studi suggeriscono invece l’opposto, ossia che ci sia una certa compatibilità tra l’allenamento della
forza e quello della resistenza (vedi capitolo 1). Negli esempi seguenti, il tipo di allenamento per la
resistenza suggerito nella fase di adattamento anatomico differisce in maniera considerevole dalle attività
di lunga durata e bassa intensità. I primi a proporre il circuit training sono stati Morgan e Adamson
(1959) dell’Università di Leeds, che lo presentavano quale metodo per migliorare la forma fisica nel suo
complesso.

La routine iniziale prevedeva una serie di postazioni di lavoro (stazioni) allestite in forma di circuito (da lì
il nome circuit training), in cui diversi gruppi muscolari venivano allenati alternativamente tra una
stazione e l’altra. Quando il circuit training divenne più popolare, altri autori iniziarono a modificarlo. Una
vasta serie di approcci può essere utilizzata nell’allenamento a circuito come il corpo libero, gli elastici, le
palle mediche, la policoncorrenza, i manubri, i bilancieri e le macchine per l’allenamento della forza. Un
circuito può essere breve (da 6 a 9 esercizi), medio (da 10 a 12 esercizi) o lungo (da 13 a 15 esercizi) e
può essere ripetuto un certo numero di volte, in base al numero totale di esercizi prescritti: maggiore è il
numero degli esercizi, minore è il numero di volte che il circuito viene ripetuto. Il numero di circuiti non
dovrebbe essere superiore a due per un circuito lungo e a quattro per un circuito breve.

Le ripetizioni per stazione dovrebbero iniziare con un alto numero di ripetizioni (circa 20) e diminuire nel
tempo (fino a circa 10 o 8).

Un numero inferiore di ripetizioni (6 o 5) può essere utilizzato per gli esercizi fondamentali che iniziano
con un buffer più alto che viene poi diminuito nel tempo. Nel determinare il numero di ripetizioni per
stazione, il numero di circuiti e il carico, l’allenatore deve considerare la capacità di lavoro dell’atleta e il
suo livello di allenamento.
Il carico complessivo durante la fase di adattamento anatomico non dovrebbe essere tale da causare un
alto livello di stress psicofisico. L’atleta stesso dovrebbe aiutare il preparatore a determinare l’intensità
del carico da utilizzare. L’allenamento a circuito è un metodo utile, sebbene non magico, per sviluppare la
base di forza durante la fase di adattamento anatomico. Ci sono altri metodi di allenamento (ad esempio, i
jump set, come spiegato nel capitolo 8) che possono essere utilizzati ugualmente in modo efficace, se si
alternano i gruppi muscolari. Come mostrato nei seguenti esempi, la metodologia d’allenamento
impiegata per la fase di adattamento anatomico deve essere adattata al profilo fisiologico dello sport (ad
esempio, velocità o potenza rispetto a resistenza) e ai bisogni dell’atleta. La metodologia deve anche
sviluppare la maggior parte dei muscoli impiegati nello sport scelto. Più precisamente, in linea con lo
scopo generale della fase preparatoria e in particolare con l’obiettivo dell’adattamento anatomico, gli
esercizi dovrebbero essere scelti in modo da sviluppare l’area del core e i muscoli motori primari.

L’alternanza dei gruppi muscolari nell’allenamento a circuito facilita il recupero. I tempi di recupero
possono essere di 30-90 secondi tra le stazioni e di 1-3 minuti tra i circuiti. L’allenamento a circuito
permette anche di creare una grande varietà di programmi, poiché nella maggior parte delle palestre
sono presenti molti attrezzi e molte macchine per l’allenamento della forza. Questa varietà rappresenta
una continua sfida per l’atleta, così come uno stimolo per il suo interesse.

11.2 PROGRAMMA DI ALLENAMENTO

L’allenamento a circuito può essere utilizzato dalla prima settimana della fase di adattamento anatomico.
Il preparatore dovrà scegliere le stazioni in base all’attrezzatura disponibile. Gli atleti dovranno seguire
una progressione specifica, a seconda del loro livello e della loro esperienza di allenamento. Gli atleti più
giovani, con poca o nessuna esperienza di allenamento della forza, dovrebbero iniziare con esercizi a
corpo libero o a basso carico (ad esempio, palle mediche, piccoli manubri, bilancieri vuoti). Con il tempo
essi potranno incrementare il carico utilizzando palle mediche più pesanti, bilancieri con sovraccarico e
macchine per l’allenamento della forza. Gli esercizi durante questa fase devono essere scelti in modo da
coinvolgere la maggior parte dei gruppi muscolari, indipendentemente dai bisogni specifici dello sport; in
altre parole, il preparatore atletico deve applicare un approccio multilaterale. Ciò non toglie che anche i
muscoli motori primari debbano essere allenati; dopotutto, essi sono i motori per una prestazione efficace
dal punto di vista della tecnica specifica. I tre circuiti presentati nella tabella 11.1 non esauriscono tutte le
possibilità che si hanno in palestra, ma sono tipici per un atleta principiante o di settore giovanile.

Gli atleti giovani che non hanno mai fato un allenamento a circuito possono dividere i circuiti in due parti.
Con l’instaurarsi degli adattamenti, vanno progressivamente aggiunti gli esercizi della parte 2 alla fine
della parte 1, fino a quando sarà possibile eseguirli tutti senza interruzioni. È utile cominciare con due
gruppi di quattro esercizi, come presentato nel circuito B; man mano che l’atleta si adatta al programma,
si può portare il quinto esercizio nella parte 1 e così via. Questo approccio mantiene l’atleta motivato a
raggiungere l’obiettivo e rappresenta una continua sfida per raggiungere nuovi livelli di adattamento. Gli
atleti principianti dovrebbero individualizzare il numero di ripetizioni, arrivando a eseguirne un numero
tale da causare un lieve affaticamento, ossia al di sotto di quella soglia alla quale l’atleta riesce a
mantenere una buona tecnica, ma deve fermarsi a causa del dolore muscolare.

1. Squat parallelo
Circuito A: corpo libero 2. Piegamenti
3. Sit-up
4. Estensioni dell’anca a quattro zampe
5. Iperestensioni
6. Sollevamenti sulle punte
7. Plank
1a parte
Circuito B: corpo libero (combinazione di due 1. Squat parallelo
minicircuiti) 2. Piegamenti (mani distanti tra loro)
3. Sit-up
4. Estensioni dell’anca a quattro zampe
2a parte
1. Piegamenti (mani vicine tra loro)
2. Iperestensioni
3. Sollevamenti sulle punte
4. Plank frontale
1. Squat parallelo
Circuito C: manubri e palle medicinali 2. Floor press
3. Estensioni dell’anca a quattro zampe
4. Rematore
5. Sollevamenti sulle punte
6. Military press
7. Tirate al mento
8. Lancio della palla medica dal petto
9. Jump squat
10. Lancio della palla medica all’indietro
11. Sit-up
12. Plank

Tabella 11.1
Esempi di programmi di allenamento a circuito

La tabella 11.2 mostra come pianificare un programma di allenamento a circuito, includendo durata,
frequenza delle sessioni settimanali e altri parametri, sia per atleti novizi, sia per atleti esperti. Come si
evince, i parametri per gli atleti esperti sono piuttosto diversi da quelli per i principianti. Per esempio, per
loro è opportuno utilizzare una fase di adattamento anatomico più lunga, poiché essi hanno bisogno di più
tempo per adattarsi e per creare una solida base per il futuro. Estendere questa fase per un tempo più
lungo di quattro settimane, invece, non produce guadagni sensibili per un atleta esperto. Differenze
analoghe si ritrovano nel numero di stazioni per circuito: poiché gli atleti principianti devono allenare il
maggior numero di gruppi muscolari possibile, essi utilizzano più stazioni e i loro circuiti sono più lunghi.
Gli atleti avanzati, invece, possono ridurre il numero di stazioni per concentrarsi sugli esercizi per i
muscoli motori primari, sugli esercizi di compensazione e sugli esercizi per il core, così che i loro
programmi risultano in circuiti più brevi ripetuti più volte.

Tabella 11.2
Parametri di carico per il circuit training

* maggior numero di circuiti per il numero di esercizi più basso; un numero di circuiti minore può essere utlizzato sia per
il numero di esercizi più alto, sia per quello più basso
Tabella 11.3
Schema consigliato per gli incrementi di carico nel circuit training per atleti principianti e avanzati

Sia il carico in termini di peso utilizzato, sia il carico fisico generale per circuito, devono essere
incrementati progressivamente e in maniera individuale. L’esempio mostrato nella tabella 11.3 illustra
come sia il carico, sia lo schema di incremento differiscano tra gli atleti principianti e quelli esperti.
Certamente, al diminuire delle ripetizioni il carico utilizzato incrementerà da microciclo a microciclo. Per
gli esercizi con sovraccarico, il peso sarà più basso per gli atleti principianti e più elevato per gli atleti
avanzati.

11.3 PROGRAMMA DI ALLENAMENTO STANDARD PER L’ADATTAMENTO


ANATOMICO

L’allenamento a circuito non è l’unico modo per organizzare il lavoro durante la fase di adattamento
anatomico. Infatti, può anche essere usato un programma con sequenza orizzontale, di tipo standard.
Nell’approccio orizzontale sono eseguite tutte le serie di riscaldamento e di lavoro su un esercizio prima
di passare al successivo. Fin quando le caratteristiche metodologiche della fase di adattamento anatomico
sono rispettate (per es. iniziare con un alto numero di esercizi, tempi di recupero brevi, alto numero di
ripetizioni per serie e progressione verso un ridotto numero di ripetizioni e un carico maggiore),
l’approccio orizzontale è altrettanto valido quanto l’allenamento a circuito e, in realtà, più indicato per gli
atleti di livello intermedio e avanzato. La seguente lista (tabella 11.4) mostra come pianificare il
programma di allenamento standard durante la fase di adattamento anatomico, includendo durata,
frequenza delle sessioni settimanali e altri parametri che sono validi per gli atleti intermedi e avanzati.

Parametri di carico
Durata dell’adattamento anatomico 2–4 settimane
A scendere da 12-20 a 6-8
Carico
ripetizioni durante tutto il ciclo
1 rip prima dell’esaurimento o a
Buffer
esaurimento
Numero di esercizi per sessione 6-8
Tempo totale della sessione 40–60 minuti
Tempo di recupero tra esercizi 30–120 secondi
Frequenza per microciclo 3-4

Tabella 11.4
Parametri di carico per l’allenamento standard

Le tabelle dalla 11.5 alla 11.9 illustrano programmi standard e a circuito per vari sport durante la fase di
adattamento anatomico, di durata variabile da quattro a sete settimane. Un ciclo di sete settimane
consente all’atleta di costruire una base solida e ofre i benefici fisiologici di un adattamento più lungo e
migliore. Questi programmi dovrebbero essere adattati al livello e alle capacità di ciascun atleta. Verso la
fine della fase di adattamento anatomico, il carico raggiunto permette agli atleti di passare velocemente
alla fase di forza massima, come mostrato nella figura 11.5.
Tabella 11.5
Esempio di allenamento della forza “standard” durante la fase di adattamento anatomico

Questo approccio può essere utilizzato da tutti gli atleti, tranne quelli che richiedono un incremento della
massa muscolare, come i lanciatori e i lineman del football americano. Per questi bisogna pianificare una
fase di ipertrofia tra la fase di adattamento anatomico e quella di forza massima. La tabella 11.6 illustra
un programma di adattamento anatomico di quattro settimane, adatto ad atleti che necessitano di una
fase preparatoria molto breve, come negli sport di racchetta o di combattimento, che richiedono tre o
quattro picchi di forma all’anno.

Poiché questa fase è così breve, il carico di allenamento è incrementato molto rapidamente, per preparare
l’atleta alla fase di forza massima. Il deallenamento non rappresenta un problema rilevante per questi
sport, poiché la loro fase di transizione è molto più breve rispetto a quella della maggior parte delle altre
discipline (vedi tabella 11.6).

La figura 11.7 illustra un programma di allenamento della forza standard per uno sport di squadra o uno
sport da combattimento con un’alta componente metabolica. In esso, infatti, sono posti esercizi cardio
all’inizio e alla fine della seduta di forza. La figura 11.8 illustra un programma di allenamento a circuito
con un più alto numero di esercizi unilaterali per la parte inferiore del corpo, adatto ad atleti negli sport
di squadra come il calcio, il basket, il rugby, il lacrosse, la pallanuoto e l’hockey. La figura 11.9 mostra un
programma standard per il baseball, il softball e gli sport di racchetta. Per permettere il massimo
adattamento in questi sport, sono introdotti esercizi specifici per la rotazione del tronco e delle anche già
dalla fase di adattamento anatomico; in particolare le flessioni del tronco sul piano frontale, le rotazioni
del tronco da inclinati e i lanci laterali della power ball.
Tabella 11.6
Esempio di allenamento della forza “standard” durante la fase di adattamento anatomico per sport con
una preparazione breve. Il salto della corda è incluso ai fini dell’allenamento cardiorespiratorio
Tabella 11.7
Esempio di allenamento “standard” per uno sport con importante componente di resistenza
cardiorespiratoria

L’esercitazione “cardio” di questo esempio può essere di qualsiasi tipo il preparatore ritenga adeguato: corsa, “stair
stepper”, AirDyne, cyclette
Tabella 11.8
Esempio di un programma circuit training per sport di squadra
Tabella 11.9
Esempio di programma “standard” per baseball, softball e sport con racchetta

PREVENZIONE DEGLI INFORTUNI NELLA FASE DI ADATTAMENTO ANATOMICO

L’infortunio in allenamento può influire significativamente sul futuro di molti atleti. Solo nel 2000,
per esempio, ci sono stati più di 150.000 infortuni nel calcio statunitense. Come se questo non fosse
abbastanza, gli infortuni sono più comuni nei settori giovanili degli sport di squadra. La buona
notizia è che molti di essi possono essere prevenuti introducendo un allenamento della forza mirato.
Per questo motivo l’aggiornamento continuo è estremamente importante, soprattutto per gli
allenatori che lavorano con atleti giovani, ancora in fase di maturazione. Per questi atleti gli esercizi
di forza a corpo libero dovrebbero avere una priorità pari agli esercizi sport-specifici.
Sfortunatamente, nella maggior parte dei programmi di allenamento, il rinforzo muscolare non
esiste o è sovrastimato a discapito della prevenzione degli infortuni. Più specificamente, i
programmi di allenamento spesso non prevedono esercizi mirati al rinforzo dei legamenti e dei
tendini, semplicemente perché la fase di adattamento anatomico è inesistente. In questi casi, l’uso
improprio della periodizzazione della forza, che spesso inizia con una fase intensa di ipertrofia,
porta spesso a un’alta incidenza di infortuni. Questa è un’altra ragione per cui ogni programma di
allenamento della forza dovrebbe tenere conto dei tempi di adattamento del tessuto connettivo. Gli
allenatori dovrebbero tenere a mente che, diversamente dall’adattamento del tessuto muscolare,
che richiede pochi giorni, l’adattamento del tessuto connettivo (tendini e legamenti) spesso richiede
diverse settimane (McDonagh e Davies 1984). Questo è il motivo per cui, per gli atleti giovani e i
principianti, si suggerisce una fase di adattamento anatomico lunga e progressiva. In questo modo
gli atleti saranno pronti per il periodo di allenamento della forza massima, in cui l’intensità
rappresenta una sfida non indifferente anche per gli atleti avanzati.

Un altro elemento importante per la prevenzione degli infortuni è rappresentato dagli esercizi di
mobilità e allungamento, che devono essere eseguiti rigorosamente sia nella prima parte del
riscaldamento, sia durante il defaticamento. Le articolazioni che richiedono più attenzione sono
quelle più utilizzate nello sport considerato. Come parte integrante della routine di mobilità della
caviglia, l’arco di movimento del tendine d’Achille può essere migliorato grazie agli esercizi di
allungamento (in particolar modo, attraverso la dorsiflessione, ossia rivolgendo le punte dei piedi
verso la tibia). Infine, contrariamente a quanto si sente dire da alcuni allenatori e fisioterapisti, gli
atleti dovrebbero evitare le circonduzioni delle ginocchia (infatti, il ginocchio è costruito per
lavorare principalmente sul piano sagittale). Inoltre, negli ultimi anni, sempre più gli specialisti
della colonna vertebrale hanno suggerito di evitare esercizi di mobilizzazione della parte lombare,
soprattutto quando quest’ultimi implicano movimenti di flessione e rotazione, per evitare di
danneggiare i dischi intervertebrali (McGill, 2010).
FASE 2: IPERTROFIA
Dodicesimo capitolo

Molte persone pensano che la forza derivi prevalentemente dalla massa muscolare. Questo non è sempre
vero. Per esempio, un sollevatore di pesi può essere capace di gestire carichi molto più pesanti di un
culturista più grosso e massiccio. Per questo motivo, gli atleti dovrebbero ricercare un incremento della
massa corporea magra che sia funzionale al loro sport, dato che l’ipertrofia, specialmente delle fibre a
contrazione veloce, contribuisce all’aumento dell’espressione della forza.

Come implica la precedente distinzione, l’ipertrofia del bodybuilding e l’ipertrofia sport-specifica


differiscono in maniera importante. Nel primo caso, il bodybuilder usa generalmente carichi dal 60
all’80% di 1RM per serie di 8-15 ripetizioni condotte all’esaurimento. Alcuni bodybuilder, però,
atribuiscono il loro successo all’utilizzo di poche ripetizioni e alti carichi portati oltre l’esaurimento con
ripetizioni forzate e negative; mentre altri ancora credono sia meglio eseguire il maggior numero di
ripetizioni possibile (solitamente fino a 20). Dato che tutti questi tipi di bodybuilder sono massicci e hanno
un numero considerevole e uguale di vittorie, si può dedurre che nel bodybuilding professionistico non è
soltanto l’allenamento a fare la differenza. In ogni caso, atleti e preparatori di altri sport dovrebbero
tenere a mente che lo scopo del bodybuilding non è la prestazione ottimale, ma la simmetria ottimale e la
massima massa muscolare. La simmetria estetica, però, è irrilevante per molti sport, nei quali la funzione
è la priorità principale. E sebbene i bodybuilder abbiano molta massa muscolare, la “funzionalità” di
quella massa è discutibile, mentre la “funzionalità” (cioè una migliore prestazione) è l’obiettivo
dell’allenamento sportivo.

12.1 L’IPERTROFIA SPORT-SPECIFICA

L’allenamento per l’ipertrofia è adatto agli atleti la cui prestazione sportiva possa migliorare grazie
all’incremento della massa muscolare. Alcuni esempi sono i lineman del football americano, i lanciatori di
peso e i lanciatori del disco (per un modello di periodizzazione della forza dettagliato per ogni sport, si
faccia riferimento al capitolo 10). Per gli atleti l’ingrossamento dei muscoli (ipertrofia) dovrebbe essere
raggiunto applicando una metodologia d’allenamento specifica.

In altre parole, mentre il bodybuilding si concentra sull’ingrossamento generalizzato della muscolatura,


l’allenamento per l’ipertrofia nello sport si focalizza principalmente sull’incremento delle dimensioni dei
muscoli motori primari senza tralasciare la componente neurale nell’espressione della forza. Questo tipo
di ipertrofia (l’ipertrofia sport-specifica) è raggiunta con metodi diversi da quelli del bodybuilding.

Nel dettaglio, l’allenamento dell’ipertrofia specifica richiede carichi elevati con tempi di recupero minimi
e un numero di serie alto per incrementare il contenuto proteico dei muscoli motori primari. In questo
modo l’allenamento dell’ipertrofia è più duraturo, poiché l’incremento della massa muscolare si fonda
sull’incremento della forza. Per semplificare l’allenamento ipertrofico, è stato diviso in due fasi: ipertrofia
1 e ipertrofia 2.

ADRIAN DENNIS/AFP/Getty Images

Kim Collins, medaglia d’argento ai Campionati Mondiali nei 60 m indoor e medaglia d’oro ai Campionati
Mondiali nei 100 m nel 2003, non ha avuto bisogno di grosse masse muscolari per essere uno degli uomini
più veloci del pianeta

Ipertrofia 1 impiega varie tecniche del bodybuilding per ottimizzare l’esaurimento muscolare e la crescita,
mentre ipertrofia 2 si riferisce all’incremento della massa sport-specifico. Poiché si è discusso di ipertrofia
2 qui e nel capitolo 10, questa sezione offre solamente una spiegazione approfondita dei metodi per
l’ipertrofia 1. Nell’incorporare questa fase nel programma di allenamento, gli atleti e i preparatori devono
essere cauti. In particolar modo, devono prendere in considerazione la maturità fisica dell’atleta e i tempi
in relazione al piano annuale. Durante la prima fase preparatoria, i metodi di ipertrofia 1 funzionano
molto bene per stimolare in modo significativo l’aumento della massa muscolare. Successivamente, però,
dovrebbero essere impiegati i metodi specifici di ipertrofia 2. Indipendentemente dal metodo utilizzato, la
maggior parte del programma dovrebbe consistere di esercizi multiarticolari come lo squat, la leg press,
la panca orizzontale, i rematori, le trazioni, i piegamenti alle parallele e gli esercizi del core, in modo da
stimolare la risposta ormonale e la crescita muscolare, nonché il rafforzamento dei muscoli motori primari
integrati in una catena cinetica complessa, così come accade nelle attività sportive. Gli esercizi di
isolamento dovrebbero essere mantenuti al minimo. La fase di ipertrofia può durare da sei a otto
settimane, a seconda dei bisogni dell’atleta e dello sport praticato. Se vengono utilizzati entrambi i
metodi, ipertrofia 1 dovrebbe essere impiegata nella prima parte della fase preparatoria. Più lunga è la
fase preparatoria, più l’atleta ha tempo per lavorare sull’ipertrofia e sulla forza massima. La fine della
fase preparatoria non significa che coloro che abbiano bisogno di costruire massa muscolare debbano
arrestare questo tipo di allenamento. Come illustrato nell’esempio per un lineman, nella tabella 12.1, gli
stimoli ipertrofici possono essere mantenuti e ulteriormente sviluppati durante la fase di forza massima.

Tabella 12.1
Rapporto tra sessioni d’allenamento per l’ipertrofia, la forza massima e la potenza per un lineman del
football americano

Legenda: AA = adattamento anatomico, Cap = capacità, Conv. = conversione, HYP = ipertrofia, M = mantenimento, M×S
= forza massima, P = potenza

In base ai bisogni dell’atleta, la proporzione tra l’allenamento della forza massima e quello per l’ipertrofia
può essere di tre a uno, due a uno o anche uno a uno. Durante la fase di mantenimento, però, solo taluni
atleti (come i lanciatori di peso e i lineman del football americano) dovrebbero continuare l’allenamento
per la massa e in questo caso soltanto per la prima metà della fase. In prossimità delle gare più
importanti, l’allenamento della forza massima e della potenza dovrebbe avere la priorità massima.

12.2 LA PROGRAMMAZIONE DELL’ALLENAMENTO PER L’IPERTROFIA SPORT-


SPECIFICA

Una volta che la fase di adattamento anatomico ha preparato il tessuto connettivo (tendini e legamenti), si
può iniziare con l’allenamento per l’ipertrofia. L’atleta comincia con un carico con il quale riesce a
eseguire 12 ripetizioni. Il carico è poi incrementato in ogni microciclo fino a quando raggiunge un livello
al quale l’atleta può eseguire soltanto 6 ripetizioni. Per i parametri dell’allenamento per l’ipertrofia si può
fare riferimento alla tabella 12.2.

Durata della fase 6–8 microcicli


Carico 60–80% di 1RM
Numero di esercizi 6–9
Numero di rip per serie A scendere da 12 fino a 6
Numero di serie per sessione 10–12 (split*) o 18–24 (full body)
Tempo di recupero 2–5 minuti
Eccentrica lenta (3-5 secondi), possibile pausa tra eccentrica e
Tempo concentrica (1-5 secondi), concentrica veloce (1 secondo o meno -
esplosiva)

Frequenza per microciclo


2–4

Tabella 12.2
Parametri di carico per la fase di ipertrofia

*Gli esercizi per la parte inferiore del corpo sono allenati separatamente da quelli per la parte superiore. Una split
routine utilizzata nello sport per la fase di ipertrofia è: lunedì – parte inferiore, martedì – parte superiore, giovedì – parte
inferiore, venerdì – parte superiore

Per ottenere il massimo dei risultati, l’atleta deve eseguire il maggior numero di ripetizioni possibili con
un dato carico in ogni serie. Ciò significa raggiungere un grado di esaurimento che gli impedisca di
eseguire altre ripetizioni, anche con il massimo sforzo. Senza raggiungere l’esaurimento a ogni serie,
l’atleta non raggiunge il livello di ipertrofia muscolare desiderato, poiché le prime ripetizioni non
producono uno stimolo sufficiente per lo sviluppo massimo della massa muscolare. L’elemento chiave
dell’allenamento per l’ipertrofia non è soltanto l’esaurimento in ogni serie, ma l’effetto cumulativo
dell’esaurimento stesso per il totale delle serie.

Questo esaurimento accumulato stimola le reazioni chimiche e l’anabolismo proteico necessari per
un’ipertrofia muscolare ottimale. Solitamente, l’allenamento per la massa dovrebbe essere eseguito a una
velocità lenta o moderata per massimizzare il tempo sotto tensione dei muscoli. Agli atleti degli sport di
velocità e potenza, però, si suggerisce vivamente di non utilizzare azioni concentriche lente, specialmente
se la fase di ipertrofia è più lunga di sei settimane. La ragione principale è che il sistema neuromuscolare
si adatta all’esecuzione lenta (bassa velocità angolare) e, di conseguenza, non consente di reclutare le
unità motorie a contrazione rapida, fondamentali per gli sport di velocità e potenza, se non alla fine della
serie, quando la velocità di contrazione è inferiore e l’impegno del metabolismo lattacido superiore,
alterando le caratteristiche morfo-funzionali di tali fibre.

A differenza del bodybuilding, l’allenamento dell’ipertrofia per lo sport prevede un numero inferiore di
esercizi per enfatizzare il lavoro sui muscoli motori primari, anziché su tutti i gruppi muscolari. Il
vantaggio di tale approccio è che si possono eseguire più serie di un dato esercizio (3-6 o addirittura fino
a 8), stimolando così una maggiore ipertrofia dei muscoli motori primari. A seconda del microciclo, i tempi
di recupero possono variare da 2 a 5 minuti. Più l’atleta si avvicina all’inizio della fase di forza massima,
maggiore deve essere il tempo di recupero tra le serie. Per esempio, in una fase di ipertrofia di 6-8
settimane, la prima metà può essere impiegata per stimolare al massimo l’ipertrofia attraverso tempi di
recupero brevi (da 60 a 90 secondi tra le serie), la seconda metà può avere tempi di recupero più lunghi.

Al termine della sessione di allenamento, l’atleta dovrebbe allungare i muscoli che ha appena allenato. A
causa delle ripetute contrazioni il muscolo si accorcia, determinando un range articolare ridotto che
influenza il posizionamento delle articolazioni e la postura generale del corpo. Inoltre si “faciliteranno” gli
agonisti dal punto di vista neurale, inibendo gli antagonisti e riducendo, nel tempo, la capacità di
prestazione dei muscoli coinvolti. Un muscolo accorciato ha anche una minore velocità di rigenerazione,
poiché soltanto la sua lunghezza fisiologica normale facilita gli scambi biochimici attivi. Questi scambi
forniscono i nutrienti ai muscoli e rimuovono gli scarti metabolici, aiutando il recupero tra le sessioni.

VARIANTI DEI METODI DI ALLENAMENTO PER L’IPERTROFIA

I principali fattori responsabili dell’ipertrofia non sono stati ancora completamente identificati, ma i
ricercatori sono sempre più propensi a pensare che l’aumento della dimensione delle fibre
muscolari sia dovuto principalmente a:
1. stress meccanico posto sulle fibre muscolari (Owino e al. 2001; Goldspink 2005; Ahtiainen e
al. 2001; Liu e al. 2008; Hameed e al. 2008; Roschel e al. 2001; Goldspink 2012; Schoenfeld
2012), determinato dal sovraccarico utilizzato, dal tempo totale sotto tensione, soprattutto
nella fase eccentrica, e dal volume totale in termini di ripetizioni;
2. stress metabolico (Sjogaard 1985; Febbraio e Pedersen 2005; Hornberger e al. 2006),
determinato in particolar modo dalla durata della serie, che dovrebbe favorire l’uso del
sistema anaerobico lattacido (30-60 secondi), e dal volume totale in termini di ripetizioni.

Poiché le serie a esaurimento costituiscono il principale fattore di successo nello sviluppo


dell’ipertrofia muscolare, sono state sviluppate molte varianti dei metodi di bodybduilding originali.
La maggior parte di essi persegue lo stesso obiettivo: quando viene raggiunto l’esaurimento,
devono essere eseguite altre ripetizioni sforzandosi al massimo. Il risultato atteso è una maggiore
crescita muscolare, ossia una maggiore ipertrofia. Di tutte le varianti (ce ne sono più di 20), le
seguenti sono le più diffuse:

◊ routine split: gli atleti eseguono due o tre esercizi per gruppo muscolare. Poiché essi
stressano tutti i muscoli del corpo, potrebbero doversi allenare quasi due ore per finire
l’intero programma. Anche se gli atleti sono in grado di eseguirlo, la risposta fisiologica a
un tale programma non favorisce la massima ipertrofia. La soluzione consiste nel dividere il
volume totale di lavoro in più parti, da svolgere ciascuna in un giorno diverso: da qui il
nome (split) di tale metodo. Questo approccio implica che, anche se l’atleta si allena quattro
volte a settimana, qualsiasi gruppo muscolare viene allenato solo due volte in questo
intervallo di tempo.
◊ ripetizioni forzate: mentre l’atleta esegue una serie a esaurimento, un compagno lo assiste
fornendogli l’aiuto necessario per eseguire una o due ripetizioni aggiuntive.
◊ rest-pause: l’atleta raggiunge l’esaurimento in una serie, poi si riposa per 10-20 secondi
prima di ricominciare e arrivare di nuovo all’esaurimento concentrico (che di solito è
raggiunto dopo 1-3 ripetizioni). Questo approccio aumenta la durata della serie e lo stimolo
ipertrofico.
◊ drop sets: l’atleta raggiunge il cedimento in una serie, poi abbassa velocemente il carico del
5-10% (a seconda di quante ripetizioni aggiuntive ci si aspetta, oppure se è stata pianificata
un’altra serie), ricomincia e poi continua ancora fino all’esaurimento. Anche questa tecnica
incrementa la durata della serie e lo stimolo ipertrofico.

Il carico iniziale nel rest-pause e nel drop-set può essere più alto rispetto a quello utilizzato nei
soliti programmi di bodybuilding, perché la durata della serie è incrementata utilizzando delle
brevissime pause (nel rest-pause) o piccoli scarichi (nei drop sets). Questa caratteristica rende
queste due tecniche particolarmente utili per l’ipertrofia, perché incrementa il tempo sotto tensione
delle fibre a contrazione rapida durante una serie. I libri e le riviste di bodybuilding spesso fanno
riferimento a molti altri metodi, alcuni dei quali sono ritenuti miracolosi. Gli allenatori e gli atleti
dovrebbero prestare attenzione e distinguere la sottile linea che separa la realtà dalla fantasia.
La tabella 12.3 mostra un esempio di programma della durata di otto settimane creato per un lottatore di
pesi massimi. L’allenamento è ripetuto tre volte alla settimana.
Tabella 12.3
Esempio d’allenamento per un lottatore dei pesi massimi nella fase di ipertrofia

Tutte le serie sono portate a esaurimento; il carico potrebbe essere diminuito nelle serie successive, per permettere il
raggiungimento delle ripetizioni indicate

La tabella 12.4 mostra un esempio di programma di sei settimane per una giocatrice di pallavolo di livello
universitario con una significativa sproporzione tra l’altezza e il peso.
Tabella 12.4
Esempio d’allenamento per una pallavolista di livello universitario nella fase di ipertrofia

Tutte le serie sono portate a esaurimento; il carico potrebbe essere diminuito nelle serie successive, per permettere il
raggiungimento delle ripetizioni indicate

La tabella 12.5 mostra un esempio di programma di sei settimane per un atleta di potenza che voglia
incrementare la propria massa muscolare. I primi otto esercizi per la parte inferiore del corpo sono
eseguiti nei giorni 1 e 4 della settimana, i successivi otto per la parte superiore sono eseguiti nei giorni 2
e 5.
Tabella 12.5
Esempio d’allenamento per un giocatore di hockey su ghiaccio nella fase di ipertrofia

Tutte le serie sono portate a esaurimento; il carico potrebbe essere diminuito nelle serie successive per permettere il
raggiungimento delle ripetizioni indicate

La tabella 12.6 mostra un programma per l’ipertrofia strutturato secondo lo schema jump set per
risparmiare tempo.
Tabella 12.6
Esempio di programma da sei settimane per un lottatore dei pesi massimi nella fase d’ipertrofia

*Sequenza jump set: eseguire una serie dell’esercizio A1, recuperare per il tempo indicato, eseguire una serie
dell’esercizio A2, recuperare per il tempo indicato e ripetere la sequenza. Passare alla seconda coppia di esercizi (B1 e
B2) e continuare così fino alla fine del programma

Tutte le serie sono portate a esaurimento; il carico potrebbe essere diminuito nelle serie successive per permettere il
raggiungimento delle ripetizioni indicate

La tabella 12.7 mostra un esempio di split routine (parte superiore/parte inferiore) nella quale sono
impiegate le tecniche di intensificazione del bodybuilding, per stimolare ulteriormente l’ipertrofia.
Qualora si utilizzino tali tecniche, è bene prevedere un numero inferiore di serie per seduta, poiché esse
impegnano intensamente sia i muscoli, sia il sistema nervoso centrale (SNC). Nelle figure seguenti è
possibile vedere come le ripetizioni vengano abbassate di settimana in settimana. A ciascuna diminuzione
delle ripetizioni corrisponde un incremento del carico, cosicché ogni serie è portata all’esaurimento.

A causa dell’affaticamento residuo, il carico di ogni serie successiva dovrà essere diminuito per
permettere il completamento delle ripetizioni prescritte per ogni serie. Gli allenamenti per l’ipertrofia,
anche quando si usi la split routine, sono molto impegnativi; spesso, infatti, vengono eseguite da 120 a
180 ripetizioni a seduta. Un tale carico muscolare richiede un recupero lungo. Per le caratteristiche
peculiari di questo tipo di allenamento sono fortemente stressati tutti i sistemi di produzione di energia
(ATP, fosfocreatina e riserve di glicogeno).

Sebbene l’ATP e la fosfocreatina siano ripristinate molto velocemente, il glicogeno muscolare richiede 24
ore per il completo recupero e il glicogeno epatico, se intaccato, ne richiede fino a 48. Per questo motivo,
gli allenamenti a esaurimento non dovrebbero essere eseguiti più di due volte a microciclo per lo stesso
gruppo muscolare (per le variazioni di carico e intensità, si faccia riferimento alla discussione
sull’organizzazione del microciclo nel capitolo 9).
Tabella 12.7
Esempio di “split routine” con l’utilizzo di metodi d’intensificazione del bodybuilding per stimolare
l’ipertrofia

Legenda: ds = drop sets; pr = pausa di recupero

Qualcuno potrebbe obiettare che gli atleti che utilizzano una split routine frequentemente, sullo stile del
bodybuilding, in realtà sollecitano ciascun gruppo muscolare a giorni alterni, lasciando così 48 ore tra due
sessioni, un tempo sufficiente per ripristinare i substrati energetici. Sebbene questo sia vero per il
glicogeno muscolare, tuttavia si ignora che, quando il glicogeno muscolare è esaurito, il corpo inizia a
usare le scorte di glicogeno epatico. Se queste scorte sono intaccate ogni giorno, 24 ore potrebbero non
essere sufficienti per ripristinarle.

Questo deficit può causare un peggioramento della prestazione e porre l’atleta in uno stato di
sovrallenamento. Inoltre, molti programmi e metodi utilizzati dai bodybuilder, come la split routine da
quattro o cinque giorni o il doppio allenamento giornaliero, non permettono il recupero del sistema
nervoso o il reclutamento delle unità motorie a contrazione veloce, così importanti per la prestazione
sportiva. Oltre a esaurire le scorte dei substrati energetici, il costante allenamento intensivo può eccedere
la capacità anabolica delle proteine contrattili. Tale sovraccarico può portare i muscoli interessati a non
incrementare più le proprie dimensioni. Quando accade questo, i preparatori dovrebbero riconsiderare la
propria idea di sovraccarico e applicare il metodo di incremento a scalini, come suggerito dal principio
dell’incremento progressivo del carico.

Dovrebbero anche considerare l’inserimento più frequente di un microciclo di scarico per facilitare il
recupero, che è altrettanto importante quanto l’allenamento. Infatti, un allenamento è tanto buono quanto
la capacità dell’atleta di recuperarlo. Gli atleti possono usare la split routine in sessioni a basso volume
(allenando due o tre gruppi muscolari per un totale di 12-18 serie totali, andando a intaccare in misura
minore le scorte di glicogeno epatico e causando minor catabolismo muscolare) fino a quattro volte in una
settimana e con almeno 72 ore di recupero tra gli allenamenti per gli stessi gruppi muscolari. Per
esempio, un atleta potrebbe allenare i gruppi muscolari della parte inferiore del corpo al lunedì e al
giovedì e i gruppi muscolari della parte superiore del corpo al martedì e al venerdì (tabella 12.5).

Dato che le tecniche del bodybuilding possono influire negativamente sulle prestazioni della maggior
parte degli atleti, vengono usate in pochi casi nell’allenamento sportivo. In ogni caso, esse possono essere
di beneficio per alcuni soggetti in determinate fasi dello sviluppo della forza. Per esempio, poiché i carichi
utilizzati nel bodybuilding sono moderatamente alti, alcuni atleti principianti possono usare i parametri di
carico di questo metodo, purché essi si fermino prima di raggiungere il completo esaurimento concentrico
(cioè si utilizzi un buffer di una o due ripetizioni). Inoltre, l’allenamento per l’ipertrofia può essere utile
per quegli atleti che vogliano passare a una categoria di peso superiore in sport come la boxe, la lotta e le
arti marziali.
FASE 3: FORZA MASSIMA
Tredicesimo capitolo

Quasi tutti gli sport richiedono forza, ma ciò che fa veramente la differenza è la forza specifica. Per
ottimizzare la forza sport-specifica, un ruolo importante, talvolta determinante, è giocato dalla forza
massima. L’impatto di quest’ultima sulla prestazione varia da una disciplina all’altra e determina la
lunghezza del ciclo di lavoro sulla forza massima stessa. Infatti, maggiore è la sua rilevanza (come ad
esempio per i lanciatori dell’atletica leggera e per i linemen del football americano), maggiore sarà la
durata della fase a essa dedicata.

Allo stesso modo, questo ciclo è più breve per quegli sport (ad esempio, il golf e il ping-pong) nei quali la
forza massima contribuisce meno alla prestazione finale. Per queste ragioni, il preparatore atletico deve
conoscere la fisiologia sottesa all’aumento della forza massima, così come i metodi da applicare durante
ognuna delle fasi per massimizzare il risultato finale: il più alto livello di forza specifica.
13.1 LA FISIOLOGIA DELL’ALLENAMENTO DELLA FORZA

Fino a qualche anno fa, si credeva che la forza fosse determinata principalmente dalla sezione trasversa
dei muscoli (CSA). Per questa ragione si diceva che l’allenamento con i pesi serviva a “incrementare la
cilindrata” dell’atleta, ossia a produrre ipertrofia muscolare.

Oggigiorno si vedono le cose diversamente. La sezione trasversa dei muscoli resta il fattore predittivo
migliore per ciò che riguarda la forza di un individuo, ma i fattori determinanti l’aumento di forza,
specialmente per gli atleti non principianti, sono di fato gli adattamenti neurali, come i miglioramenti
nella coordinazione inter e intramuscolare e la disinibizione dei meccanismi inibitori (fare riferimento ai
capitoli 2 e 7 per un’ulteriore spiegazione sugli adattamenti neurali all’allenamento della forza).

Riassumendo, l’abilità di un atleta di generare elevati livelli di forza dipende in gran parte dai seguenti
fattori:
◊ coordinazione intermuscolare: l’abilità del sistema nervoso di organizzare tutti i gruppi muscolari di
una catena cinetica;
◊ coordinazione intramuscolare: l’abilità del sistema nervoso di reclutare volontariamente il maggior
numero possibile di unità motorie e di inviare impulsi nervosi a un’alta frequenza;
◊ ipertrofia: il diametro o sezione trasversa dei muscoli coinvolti.

Il miglioramento della coordinazione intermuscolare, ossia della coordinazione dei gruppi muscolari
coinvolti in un movimento, dipende strettamente dall’apprendimento motorio (tecnica), che richiede molte
ripetizioni dello stesso esercizio con un carico moderato (40-80% di 1RM), eseguite in maniera esplosiva
con una tecnica perfetta (M×S-I).

La coordinazione intramuscolare, ossia l’abilità di reclutare volontariamente molte unità motorie, migliora
con un allenamento nel quale alti carichi (80-90% di 1RM) sono sollevati in maniera esplosiva (M×S-II).

Entrambi questi tipi di allenamento della forza (M×S-I e M×S –II) attivano le più potenti unità motorie a
contrazione veloce.

La massa muscolare generale dipende dalla durata della fase di ipertrofia, ma un atleta non sempre
necessita di sviluppare elevate dimensioni muscolari e un alto peso corporeo per divenire più forte in
maniera significativa. Nelle fasi di forza massima e potenza, gli atleti imparano a coordinare meglio i
gruppi muscolari più importanti e a utilizzare carichi che portano a un maggior reclutamento delle unità
motorie a contrazione veloce (carichi superiori all’80% di 1RM). Ne risulta che, utilizzando i metodi
presentati in questo capitolo per la fase di forza massima, gli atleti possono migliorare la loro forza
massima con qualche guadagno in massa muscolare funzionale.
Dei tre tipi di azioni muscolari, l’azione eccentrica genera la tensione muscolare più alta (fino al 140%
della forza concentrica massimale). In seconda istanza, la tensione maggiore è generata dall’azione
isometrica (fino al 120% della forza concentrica massimale). Nonostante questo, la forza concentrica deve
essere sviluppata ai livelli più elevati perché la maggior parte delle azioni sportive è realizzata secondo
questa forma. Certamente, l’allenamento degli altri regimi di azione muscolare (isometrica e,
specialmente, eccentrica) influenza in modo positivo direttamente la prestazione atletica, supportando
ulteriori miglioramenti della forza concentrica.

Gli esercizi utilizzati per lo sviluppo della forza massima non dovrebbero mai essere eseguiti fino
all’esaurimento, come avviene invece per il bodybuilding, tranne quando l’obiettivo è l’aumento della
forza assoluta (forza e ipertrofia). Poiché l’allenamento della forza massima implica la maggiore
attivazione possibile del sistema nervoso centrale (inclusi gli aspetti della concentrazione e della
motivazione), esso migliora la coordinazione intermuscolare e intramuscolare. Tali adattamenti del
sistema nervoso centrale, per quanto riguarda la coordinazione neuromuscolare, determinano anche una
maggiore inibizione dei muscoli antagonisti. Questo significa che, quando si intende applicare la massima
forza possibile, i gruppi muscolari coinvolti sono coordinati in modo tale che i loro antagonisti non si
contraggono per opporsi al movimento (Tillin, Pain e Folland 2011).

Il sistema nervoso centrale normalmente previene la completa attivazione delle unità motorie disponibili
per la contrazione. L’eliminazione di tale inibizione è uno degli obiettivi principali dell’allenamento (M×S-
II, ossia l’allenamento della coordinazione intramuscolare con carichi superiori all’80% di 1RM). Questa
riduzione dell’inibizione del SNC è accompagnata da un incremento della forza e può determinare un
notevole miglioramento della prestazione specifica.

13.2 I METODI DI ALLENAMENTO PER LA FASE DI FORZA MASSIMA


Durante la fase di forza massima (M×S), si possono utilizzare vari metodi di allenamento. Quelli più
comunemente impiegati prevedono l’utilizzo di carichi moderatamente pesanti (M×S-I) e pesanti (M×S-
II), utilizzati in tale sequenza. In alcune circostanze questi metodi di base possono essere integrati dal
metodo eccentrico, dal metodo isometrico o dal metodo Maxex. Nei seguenti paragrafi viene spiegato cosa
siano questi metodi e a come utilizzarli all’interno di un piano d’allenamento periodizzato.

Si noti che tutti questi metodi si basano sulle percentuali; in altre parole i carichi indicati sono una
percentuale di 1RM. Per questa ragione, prima dell’inizio della fase di forza massima (posta dopo la fase
di adattamento anatomico o dopo la fase di ipertrofia, quando presente) e alla fine di ciascun macrociclo
che la costituisce, deve essere testato l’1RM per gli esercizi principali. Il test di 1RM ha la doppia
funzione di determinare i miglioramenti in forza massima dell’atleta e di costituire la base per il calcolo
dei carichi d’allenamento del macrociclo successivo (fare riferimento al capitolo 8 per ulteriori istruzioni
su come testare 1RM).

Il metodo dei carichi sub-massimali (M×S-I) e il metodo dei carichi massimali (M×S-
II)

Nella periodizzazione della forza per gli sport, la successione del metodo dei carichi sub-massimali e di
quello dei carichi massimali è probabilmente il modo più efficace di sviluppare la forza massima. Il
miglioramento di quest’ultima qualità è fondamentale per la maggior parte degli sport per le seguenti
ragioni:
◊ l’aumento dell’attivazione volontaria determina un maggior reclutamento delle unità motorie a
contrazione rapida, che si trasferisce a qualsiasi attività sportiva;
◊ la forza massima è un fattore determinante nell’aumento della potenza. Come tale essa permette
all’atleta di raggiungere un alto output neurale per quegli sport nei quali la velocità e la potenza
sono dominanti;
◊ la forza massima è anche fondamentale nel miglioramento della resistenza muscolare, specialmente
di breve e media durata;
◊ la forza massima è importante in quegli sport nei quali la forza relativa è cruciale, come le arti
marziali, la boxe, la lotta, le specialità di velocità e di salto nell’atletica leggera e nella maggior
parte degli sport di squadra, che implicano salti e cambi di direzione. La forza relativa è il
rapporto tra la forza massima e il peso corporeo: più alta è la forza relativa, migliore è la
prestazione in quegli sport.

Il metodo dei carichi sub-massimali e quello dei carichi massimali migliorano la prestazione negli sport di
velocità e potenza grazie all’incremento della misura e del reclutamento delle unità motorie a contrazione
veloce. Sebbene siano possibili significativi incrementi di massa muscolare per quegli atleti che abbiano
appena iniziato a utilizzare questi metodi, negli atleti con un’esperienza d’allenamento maggiore, sebbene
anch’essi possano aumentare costantemente la loro massa muscolare funzionale con l’incrementare dei
carichi nel tempo, questi stessi incrementi sono meno probabili.

I maggiori guadagni in forza massima, però, derivano da una migliore coordinazione dei gruppi muscolari
e da un maggior reclutamento delle unità motorie costituite da fibre a contrazione veloce.

I carichi impiegati per lo sviluppo della forza massima (dal 70 al 90% di 1RM per sole 1-5 ripetizioni)
implicano l’uso di serie di breve durata che, combinate con intervalli di recupero completo, permettono il
ripristino dell’ATP-PC. Ne risulta che la deplezione dell’ATP-PC e il catabolismo delle proteine strutturali
sono troppo bassi per attivare in modo significativo il metabolismo proteico che stimola l’ipertrofia. Di
conseguenza, quando utilizzati con tempi di recupero sufficienti, tali carichi portano a un aumento della
forza massima ma non altrettanto all’ipertrofia, a meno che il volume totale (cioè il tempo totale sotto
tensione) non sia abbastanza alto.

Il metodo dei carichi sub-massimali e quello dei carichi massimali possono anche incrementare i livelli di
testosterone, il che spiega ulteriormente il miglioramento della forza massima. Il livello di testosterone
ematico sembra dipendere dalla frequenza (giornaliera e settimanale) delle sessioni di forza massima. Il
testosterone incrementa quando il numero delle sessioni per settimana è piuttosto basso e diminuisce
quando l’allenamento con carichi massimali è eseguito due volte al giorno.

Una frequenza corretta di allenamento della forza massima può determinare livelli testosterone più
elevati, mentre una frequenza troppo alta può portare a livelli di testosterone depressi. Questi risultati
della ricerca sostanziano e giustificano ulteriormente le raccomandazioni espresse precedentemente
(capitoli 8 e 9) riguardo alla frequenza delle sessioni ad alta intensità nel microciclo, così come della
durata ridotta dei macrocicli ad alta intensità (2 + 1 settimane).

Il metodo dei carichi massimali può essere utilizzato solamente dopo un minimo di un anno (due anni per
gli atleti junior) di allenamento della forza generale (usando i metodi dell’adattamento anatomico e dei
carichi sub-massimali). Ci si può aspetare dei guadagni di forza anche durante un utilizzo a lungo termine
del metodo dei carichi submassimali, principalmente grazie a un miglioramento della coordinazione
intermuscolare.

Gli atleti con quattro-cinque anni di esperienza nell’allenamento della forza massima hanno già raggiunto
un livello di adattamento che rende difficile raggiungere ulteriori incrementi. Quindi, dei metodi
alternativi possono permettere un ulteriore miglioramento, se è necessario incrementare ancora la forza
massima o la forza specifica.
Ad esempio, se un atleta ha utilizzato la periodizzazione dell’allenamento per tre o quattro anni e non
vede un transfer positivo della forza sulla prestazione specifica, può alternare diversi sistemi di
stimolazione neuromuscolare.

Tra le opzioni possibili si segnalano le seguenti:


◊ dopo la fase di adattamento anatomico ed il primo macrociclo di forza massima, l’atleta può
alternare tre settimane di allenamento della forza massima con tre settimane di allenamento della
potenza. L’allenamento della potenza, con l’esplosività e la rapida applicazione della forza, stimola
il SNC;
◊ per gli sport di potenza può essere usata un’altra opzione: alternare tre settimane di allenamento
per l’ipertrofia con tre settimane di allenamento della forza massima. Gli ulteriori macrocicli di
ipertrofia porteranno a un incremento della massa muscolare. Questi ulteriori guadagni della
dimensione dei muscoli forniranno una nuova base biologica per nuovi miglioramenti della forza
massima;
◊ incrementare il rapporto tra le azioni muscolari eccentriche e quelle concentriche, così come
spiegato più avanti in questo capitolo. L’allenamento eccentrico rappresenta un maggiore stimolo
per il miglioramento della forza massima, poiché questo tipo di contrazione genera una tensione
muscolare più alta.

Un aspetto importante per il successo nell’utilizzo dei metodi dei carichi massimali è la corretta
manipolazione delle variabili: carico, buffer, tempo di recupero, ordine degli esercizi, velocità di
esecuzione della contrazione e schema di carico. Queste variabili sono discusse nei seguenti paragrafi.

CARICO
La forza massima si migliora soltanto generando un’alta tensione muscolare. I carichi bassi reclutano solo
le unità motorie a contrazione lenta. I carichi superiori al 70% di 1RM, sollevati in modo esplosivo, sono
necessari se si vogliono reclutare tutte le unità motorie, specialmente quelle a contrazione rapida. In
termini di reclutamento, infatti, i carichi superiori all’80% sono i più efficaci. Utilizzare elevati
sovraccarichi con poche ripetizioni porta a un adattamento del SNC significativo: una migliore
coordinazione dei gruppi muscolari coinvolti in una catena cinetica e una maggiore capacità di reclutare
le unità motorie a contrazione rapida. Questi adattamenti sono la ragione per la quale l’allenamento della
forza massima e l’allenamento della potenza sono chiamati anche “allenamento neuromuscolare”
(Schmidtbleicher 1984). Se, come suggerito da Goldberg et al. (1975), lo stimolo per la sintesi proteica è
rappresentato dalla tensione prodotta a livello dei miofilamenti, si ha un’ulteriore prova che l’allenamento
della forza massima debba essere eseguito principalmente con carichi alti (superiori al 70% di 1RM).
Per ottenere un miglioramento della forza massima in funzione dell’attività specifica, i muscoli motori
primari devono fare gran parte del lavoro programmato. I preparatori atletici devono programmare delle
sessioni di allenamento con il più alto numero di serie per i muscoli motori primari che l’atleta possa
tollerare (da 3 a 8). Poiché tale approccio è possibile soltanto con un ridotto numero di esercizi
fondamentali, che lavorino i muscoli motori primari (non più di 5), si dovrebbe evitare di usare un alto
numero di esercizi in generale.

Inoltre, si deve differenziare tra esercizi fondamentali e accessori. Gli esercizi fondamentali
rappresentano il nocciolo del programma d’allenamento della forza e i loro parametri di carico sono quelli
della fase di forza massima. Gli esercizi accessori sono solitamente esercizi d’isolamento, il cui scopo è la
risoluzione di squilibri muscolari individuali o il supporto della crescita di forza negli esercizi
fondamentali: ad esempio, l’utilizzo di un esercizio per gli adduttori per un atleta carente nella forza in
quel gruppo muscolare o l’utilizzo della french press per incrementare la forza dell’atleta nella panca
orizzontale. Data la natura degli esercizi accessori, il loro carico è minore e il numero di ripetizioni
eseguite è maggiore, rispetto a quelle degli esercizi fondamentali. Le tabelle 13.1 e 13.2 mostrano i
parametri d’allenamento per i metodi con carichi submassimali e massimali.

Carico 70–80% di 1RM (fino al 100% per il test di 1RM ogni 3 o 4 microcicli)
2–5 fondamentali
Numero di esercizi 1–3 accessori
2–6 fondamentali
Numero di rip per serie 8–12 accessori
Numero di serie per esercizio 3–8 fondamentali*
2–3 accessori
2–3 minuti fondamentali
Tempo di recupero 1–2 minuti accessori
Serie totali per sessione 16–24
Frequenza per microciclo 2–4

Tabella 13.1
Parametri di carico per il metodo dei carichi sub-massimali (M×S-I)

*Il numero di serie più basso per il numero più alto di esercizi e viceversa

80–90% di 1RM (fino al 100% per il test dell’1RM ogni 3 o 4


Carico
microcicli)
2–5 fondamentali
Numero di esercizi 1–3 accessori
1–3 fondamentali
Numero di rip per serie 6–10 accessori
3–8 fondamentali*
Numero di serie per esercizio 2–3 accessori
3–5 minuti fondamentali
Tempo di recupero 1–2 minuti accessori
Serie totali per sessione 16–24
Frequenza per microciclo 2–4

Tabella 13.2
Parametri di carico per il metodo dei carichi massimali (M×S-II)

*Il numero di serie più basso per il numero più alto di esercizi e viceversa

Quando si usa un carico elevato, il numero di ripetizioni per serie è basso (da 1 a 5) e il numero totale per
ciascun esercizio in una sessione d’allenamento consigliato è tra 6 e 25. Questo numero varia in base al
livello dell’atleta, alla sua esperienza d’allenamento e alla fase del piano annuale. Per stimolare gli
adattamenti funzionali e morfologici necessari, si dovrebbe optare per un numero di serie maggiore
rispetto al numero di ripetizioni. È possibile consultare la tabella 13.3 per il numero di ripetizioni per
esercizio suggerite in ciascuna sessione, in accordo con l’intensità utilizzata.

Il numero di esercizi fondamentali determina la quantità delle ripetizioni totali (alto o basso; si veda la
tabella 13.3). Gli atleti che eseguono cinque esercizi fondamentali dovrebbero usare la quantità più bassa,
mentre quelli che eseguono due esercizi fondamentali dovrebbero usare la quantità più alta. Se il numero
di ripetizioni totali è molto inferiore rispetto a quello suggerito, gli incrementi di forza massima saranno
seriamente ridotti. Tali linee guida dovrebbero sostenere l’idea di selezionare un basso numero di esercizi:
minore il numero degli esercizi, maggiore è il numero di serie che l’atleta può eseguire e, di conseguenza,
maggiore il miglioramento della forza massima dei muscoli motori primari.
Tabella 13.3
Linee guida per il numero di ripetizioni per esercizio e per sessione d’allenamento nella fase di forza
massima (M×S)

BUFFER. L’esperienza sul campo mostra che portare le serie a esaurimento nell’allenamento della forza
massima conduce velocemente a uno stallo. Per questa ragione si suggerisce fortemente di non arrivare
mai a questo limite, a meno che l’obiettivo sia la forza assoluta (forza e ipertrofia). Possiamo controllare
quanto una serie di forza si avvicini all’esaurimento utilizzando un buffer adeguato. Il buffer è la
differenza tra le ripetizioni che l’atleta potrebbe eseguire a esaurimento a una determinata intensità e
quelle effettivamente eseguite in una serie.

Per esempio, facendo serie di tre ripetizioni con un carico dell’85% dell’1RM, si sta utilizzando un buffer
di due ripetizioni o cinque punti percentuali. Questo buffer è calcolato come segue: un carico dell’85% di
1RM normalmente permette cinque ripetizioni a esaurimento (5RM); quindi, eseguire solamente tre
ripetizioni significa utilizzare un buffer di due ripetizioni. Per calcolare il buffer più precisamente, si può
considerare quale intensità porterebbe una serie a esaurimento dato un certo numero di ripetizioni. Nel
nostro caso, un carico di 3RM è solitamente il 90% dell’1RM; quindi, eseguendo serie di tre ripetizioni
all’85%, si ha un buffer di cinque punti percentuali.
La tabella 13.4 mostra degli esempi di progressioni per una fase di forza massima di sei settimane (due
macrocicli 2+1) utilizzando un buffer costante (nonostante il carico cresca, le serie saranno percepite
dall’atleta più o meno allo stesso livello di sforzo) o a buffer progressivamente più basso (lo sforzo
percepito dall’atleta incrementerà al crescere del carico). La tabella 13.5 mostra un esempio di
progressione su nove settimane, passando dal metodo dei carichi submassimali (i primi due macrocicli
2+1) al metodo dei carichi massimali (l’ultimo macrociclo 2+1).
L’annotazione del carico, del numero di ripetizioni e del numero delle serie è espressa come segue: il
numeratore (ad esempio 80) si riferisce al carico come percentuale di 1 RM, il denominatore (ad esempio
5) rappresenta il numero di ripetizioni, il moltiplicatore (ad esempio 3) indica il numero di serie.

Durante ciascuno dei microcicli di carico ridotto, è programmata una sessione di test dell’1RM negli
ultimi giorni della settimana, quando l’atleta ha meglio recuperato dal carico elevato dei microcicli
precedenti. Nel microciclo di scarico l’intensità è sempre ridotta (dal 5 al 10%), così come il numero totale
di ripetizioni per esercizio (50%).
Tabella 13.4
Esempio di progressioni su sei microcicli di forza massima utilizzando un buffer costante o
progressivamente più basso, per la forza relativa o per la forza assoluta
Tabella 13.5
Esempio di progressione su nove microcicli passando dal metodo dei carichi submassimali al metodo dei
carichi massimali

TEMPO DI RECUPERO. Il tempo di recupero tra le serie dipende dal livello di condizionamento
metabolico dell’atleta e dovrebbe garantire un adeguato recupero del sistema neuromuscolare. Per il
metodo dei carichi submassimali, un recupero di 2-3 minuti tra le serie è sufficiente sia per il recupero del
SNC, sia per il recupero dell’ATP-PC. Per il metodo dei carichi massimali, è necessario un recupero di 3-5
minuti poiché i carichi alti stressano molto il SNC, che ha bisogno di più tempo per recuperare. Se il
tempo di recupero è troppo breve, l’efficienza del SNC potrebbe ridursi molto in termini di concentrazione
massima, motivazione e potenza degli impulsi inviati ai muscoli che si contraggono (Robinson et al. 1995;
Pincivero, Lephart e Karunakara 1997; Pincivero e Campy 2004; de Salles et al. 2010). Un tempo di
recupero insufficiente potrebbe anche compromettere il completo ripristino del substrato energetico
richiesto per la contrazione (ATP-PC).

ORDINE DEGLI ESERCIZI. Ordinare gli esercizi in modo da assicurare una migliore alternanza dei
gruppi muscolari facilita il recupero muscolare locale tra le serie. Sono stati sviluppati quattro approcci
per organizzare la sequenza degli esercizi, al fine di massimizzare l’effetto allenante perseguito. Alcuni
preparatori fisici preferiscono far eseguire una serie di ciascun esercizio programmato, per poi ripetere la
sequenza fino alla conclusione del programma prescritto (sequenza verticale, conosciuta anche come
“circuito di forza”). Altri scelgono di far eseguire tutte le serie del primo esercizio prima di passare al
successivo (sequenza orizzontale). Altri ancora preferiscono usare i jump set, che sono un mix tra gli
approcci verticale e orizzontale. In questa sequenza l’atleta alterna una serie di ciascun esercizio che
compone una coppia di esercizi, solitamente per gruppi muscolari antagonisti, fino a che non abbia
raggiunto il numero di serie programmate per esercizio (al che procede alla coppia successiva). Per
esempio:

◊ A1 Squat;
◊ A2 Stacco a gambe semi-tese;
◊ B1 Panca piana;
◊ B2 Rematore con il bilanciere.

Infine, alcuni usano il sistema dei mini-circuiti, che è particolarmente indicato per gli sport di squadra,
per i quali la sessione d’allenamento della forza deve essere organizzata in maniera efficiente a causa
dell’alto numero di atleti che si allenano simultaneamente. In questo approccio, gli esercizi sono divisi in
gruppi (ad esempio parte superiore del corpo, parte inferiore del corpo, esercizi per il core, esercizi
pliometrici) ed eseguiti in modalità di circuito, facendo ruotare i gruppi di atleti da una stazione all’altra.

Rispetto a tutti gli altri metodi, l’approccio verticale permette un miglior recupero tra le serie, una minor
fatica locale e centrale e determina una risposta ipertrofica inferiore. Se utilizzato, l’approccio verticale è
indicato per i macrocicli del metodo dei carichi massimali (alto carico e buffer basso), nel caso in cui gli
atleti si allenino nella palestra della propria squadra o della propria scuola (non in una palestra
commerciale, dove un cliente potrebbe occupare una stazione o caricare o scaricare il bilanciere
dell’atleta). L’approccio orizzontale, d’altra parte, è particolarmente indicato per il metodo dei carichi
submassimali (carichi da moderati ad alti con un buffer elevato).

VELOCITÀ DI CONTRAZIONE. La velocità di contrazione ricopre un ruolo importante nell’allenamento


con i carichi submassimali e massimali. I movimenti nello sport sono spesso eseguiti in maniera rapida ed
esplosiva e, per questa ragione, nell’allenamento della forza gli atleti dovrebbero eseguire azioni
concentriche esplosive quasi per tutto l’anno (fatta eccezione per l’apprendimento tecnico e la fase di
adattamento anatomico). Per massimizzare la velocità, l’intero sistema neuromuscolare deve adattarsi a
reclutare velocemente le unità motorie a contrazione rapida, un fattore chiave in tutti gli sport in cui la
velocità e la potenza siano dominanti. Quindi, anche con pesi molto elevati come nel metodo dei carichi
massimali, l’applicazione della forza contro la resistenza da parte dell’atleta deve essere la più rapida
possibile.
Per esprimere la forza in maniera esplosiva, è necessario massimizzare la concentrazione e la motivazione
prima di ogni serie. L’atleta si deve concentrare sull’attivare rapidamente i muscoli. Solamente una
contrazione esplosiva eseguita contro un carico submassimale o massimale consentirà di reclutare
rapidamente le unità motorie a contrazione veloce, permettendo il più alto incremento possibile di forza e
potenza (Gonzalez-Badillo et al. 2014). Per ottenere il massimo guadagno dall’allenamento, gli atleti
devono mobilitare tutto il potenziale di forza nel più breve tempo possibile e dall’inizio del sollevamento,
senza alterare la tecnica esecutiva. Questa abilità sarà ancora più importante nella fase di conversione a
potenza, potenza resistente o resistenza muscolare di breve durata.

SCHEMA DI CARICO. Considerato il carico elevato a cui è sottoposto il sistema neuromuscolare, la


maggior parte degli atleti dovrebbe eseguire l’allenamento con carichi submassimali o massimali non più
di due o tre volte alla settimana. Solo gli atleti di livello élite, in particolare i lanciatori di peso e i linemen
del football americano, dovrebbero realizzare queste sessioni per quattro volte la settimana. Durante la
fase competitiva la frequenza può essere ridotta a una o due sessioni con carichi massimali alla settimana,
spesso programmate in combinazione con altre qualità della forza, come la potenza.
La tabella 13.6 mostra la fase di forza massima di un programma di forza per velocisti di livello olimpico.
Per esemplificare meglio il metodo di incremento del carico a gradini, questo è illustrato graficamente in
fondo alla tavola. Questo programma di nove settimane è ripetuto due volte all’anno, poiché i velocisti
solitamente seguono un piano annuale biciclico. In ciascuno dei gradini bassi è programmata una sessione
di test, che viene svolta alla fine della settimana, quando l’atleta ha recuperato al meglio dal microciclo
precedente di carico elevato. Nel gradino basso vengono diminuite l’intensità (dal 10 al 20%) e il numero
di serie (dal 30 al 50%). L’obiettivo del test, ovviamente, è determinare il nuovo 100% (1RM), così che
possa essere usato per calcolare il carico per il seguente ciclo di tre settimane.
Tabella 13.6
Esempio di una fase di forza massima per un velocista di livello olimpico

La tabella 13.7 mostra un esempio di programma d’allenamento della forza massima di sei settimane per
una squadra universitaria di pallavolo femminile. Durante gli allenamenti la forza è stata applicata con la
massima esplosività, ma senza riduzione della tecnica esecutiva. Durante i tempi di recupero, gli arti
coinvolti vengono sciolti per rilassare i muscoli. Gli stacchi da terra sono stati eseguiti con i manubri.
Questo allenamento è stato ripetuto per tre volte alla settimana.
Tabella 13.7
Esempio di una fase di forza massima di sei settimane per una squadra universitaria di pallavolo
femminile

Il metodo isometrico

Il metodo di allenamento isometrico era noto e usato da qualche tempo prima che Hettinger e Muller
(1953) e ancora Hettinger (1966) giustificassero scientificamente il ruolo delle contrazioni statiche nello
sviluppo della forza massima. La popolarità di questo metodo raggiunse il picco negli anni 60, per poi
diminuire. Sebbene la contrazione statica abbia, in generale, un ridotto effetto funzionale, è utile per lo
sviluppo della forza massima e può essere utilizzata nell’allenamento della forza dei lottatori del
grappling, nel brazilian jiu-jitsu, nelle arti marziali miste, nella vela, nel wind-surf o ogni altro sport nel
quale l’attività richieda contrazioni isometriche ripetute o prolungate. La condizione di staticità può
essere realizzata attraverso due tecniche:
1. provando a sollevare un carico superiore alla forza concentrica dell’atleta;
2. applicando la forza (spingendo o tirando) contro un oggetto immobile.

Una contrazione isometrica produce una tensione molto elevata nel muscolo ed è, quindi, un metodo
particolarmente adatto nella fase di forza massima, sebbene esso possa essere utilizzato anche per la
resistenza muscolare specifica, se necessario. Nonostante alcuni entusiasti sostenitori dell’allenamento
isometrico dicono che esso può incrementare la forza massima del 10-15% in più rispetto ad altri metodi,
ha chiaramente dei limiti nello sviluppo della potenza: infatti, la forza massima ottenuta attraverso il
metodo isometrico non può essere applicata prontamente alle contrazioni dinamiche, poiché esso non
sposta la curva forza-tempo a sinistra e questo è uno svantaggio che non può essere ignorato.

Quando una forza isometrica è applicata contro una data resistenza, la tensione del muscolo incrementa
progressivamente, raggiungendo l’apice in circa due o tre secondi, per poi esaurirsi in un tempo molto più
breve (uno, due secondi). Poiché gli effetti sono angolo specifici, tutti i gruppi muscolari interessati
devono essere allenati ad angoli sport-specifici. Per esempio, se il range di movimento di un’articolazione
è 180° e le azioni isometriche che vengono espresse solitamente nell’attività di gara sono a 180° e 45°,
allora quelli saranno gli angoli ai quali le contrazioni isometriche dovranno essere eseguite
nell’allenamento, in isolamento o poste in determinati punti dell’azione eccentrica-concentrica di un
esercizio (questo approccio viene chiamato delle “isometriche funzionali”).

Il metodo isometrico può essere utilizzato anche nella riabilitazione da un infortunio. Poiché non c’è
movimento dell’articolazione, “l’atleta può continuare ad allenarsi anche in presenza di un infortunio
all’articolazione o alle ossa” (Hartmann e Tunnemann, 1988). Questo approccio può certamente ridurre il
rischio di atrofia muscolare.
Come detto precedentemente, lo sviluppo della forza è una funzione dell’angolo utilizzato. Infatti, per
essere più precisi, l’aumento della forza avviene in un range di 15 gradi: 7,5 gradi sopra e sotto l’angolo al
quale è eseguita la contrazione isometrica.
Gli atleti con problemi al cuore, problemi di pressione o circolatori dovrebbero evitare l’allenamento
isometrico, poiché il flusso sanguigno viene temporaneamente fermato quando il muscolo si contrae
isometricamente causando un aumento della pressione sanguigna.

Per ottenere dei guadagni significativi in termini di transfer sul gesto motorio specifico attraverso
l’allenamento isometrico, l’atleta deve eseguire esercizi che siano il più simile possibile agli angoli di
applicazione della forza espressi in gara. Il metodo isometrico dovrebbe essere usato principalmente da
atleti avanzati in combinazione con altri metodi per la forza massima. La tabella 13.8 mostra i parametri
per l’allenamento.

Carico 80–100% di 1RM


Numero di esercizi 2–4
Numero di serie per sessione 6–8
6–8 secondi per la forza massima, durata maggiore per la
Durata della contrazione per serie
resistenza muscolare specifica
Durata totale delle contrazioni isometriche per 30–50 secondi per la forza massima, durata maggiore per
sessione la resistenza muscolare specifica
Tempo di recupero 60–90 secondi
Frequenza per microciclo 2-3

Tabella 13.8
Parametri di carico per il metodo isometrico

La contrazione isometrica può essere eseguita per tutti gli arti, usando angoli che vanno da
completamente aperti a completamente chiusi. Bisognerebbe anche considerare quanto segue:
◊ L’allenamento isometrico è più efficace quando la contrazione è massimale o quasi (dall’80 al 100%).
◊ Per l’allenamento della forza massima ad angoli sport-specifici, una singola contrazione può durare
da 6 a 8 secondi, per un totale di 30-50 secondi per muscolo, per sessione d’allenamento.
◊ Il carico d’allenamento è intensificato incrementando l’intensità o il numero di serie, senza
aumentare la durata della contrazione.
◊ Durante i 60-90 secondi di recupero, si consigliano esercizi di rilassamento e respirazione profonda.
L’esecuzione di esercizi di respirazione profonda è necessaria per compensare il fatto che le
contrazioni isometriche sono eseguite in uno stato di apnea (tratenendo il respiro). Inoltre, questo
tipo di allenamento incrementa la pressione intratoracica, cosa che riduce la circolazione e quindi
il rifornimento di ossigeno.
◊ Al fine di prescrivere un programma più efficace, le contrazioni statiche dovrebbero essere
alternate con le contrazioni dinamiche, specialmente negli sport che richiedono velocità e potenza.
◊ Una variante più efficace del metodo isometrico è quella delle contrazioni isometriche funzionali,
che prevede l’utilizzo dei pesi liberi. Questa variante combina le modalità isometrica e dinamica
nello stesso esercizio. L’atleta esegue il movimento fino a un determinato angolo, poi si ferma per
3-6 secondi. Nell’eseguire l’intero range di movimento, egli si può fermare da due a quattro volte
ad angoli e per durate specifiche, combinando così i metodi dinamico e isometrico. Questa variante
stimola adattamenti fisiologici migliori (da qui il termine funzionale), specialmente per quegli sport
che richiedono azioni isometriche ripetute più volte.

Il metodo eccentrico

Qualsiasi esercizio di forza eseguito con i pesi liberi o con le macchine isotoniche prevede entrambe le
azioni muscolari concentrica ed eccentrica. Durante la fase concentrica la forza è prodotta con il muscolo
in accorciamento; durante la fase eccentrica la forza è prodotta con il muscolo in allungamento.
La pratica insegna che la fase eccentrica è sempre più facile di quella concentrica. Per esempio,
nell’esecuzione di una serie alla panca piana, il ritorno del bilanciere al petto (la porzione eccentrica del
movimento) risulta essere la parte più facile.

Perciò, si potrebbe concludere che, poiché un atleta può lavorare con carichi maggiori durante la fase
eccentrica, la forza potrebbe migliorare a un livello maggiore utilizzando soltanto il metodo eccentrico. I
ricercatori sono giunti alla conclusione che l’allenamento eccentrico crea un tensione muscolare più
elevata rispetto alle contrazioni isometrica o concentrica.

Ne consegue che, dato che una tensione muscolare più alta normalmente si traduce in un maggior
sviluppo della forza (Goldberg et al. 1975; Vikne et al. 2006), l’allenamento eccentrico potrebbe essere
considerato un metodo superiore.

Altri autori hanno stabilito che i guadagni di forza massima sembrano derivare principalmente da
cambiamenti nell’attivazione neurale piuttosto che dalla risposta ipertrofica (Dudley e Fleck 1987). Questi
risultati indicano che i miglioramenti non sono il risultato dei guadagni in massa muscolare, ma piuttosto
di specifici adattamenti neurali, come un aumento del reclutamento delle unità motorie a contrazione
rapida (coordinazione intramuscolare) e modificazioni nei comandi neurali impiegati per controllare il
movimento (coordinazione intermuscolare), determinando un aumento della forza con poca o nessuna
ipertrofia.

Il SNC comanda le contrazioni eccentriche in maniera differente rispetto a quelle concentriche, con una
minore attivazione a parità di carico, poiché vi è l’utilizzo della componente elastica e la resistenza delle
componenti passive (elementi in parallelo). Per questo i muscoli resistono meglio alla fatica prodotta dalla
contrazione eccentrica, attraverso l’utilizzo dell’energia elastica e con un minore dispendio di energia
biochimica (Herzog 2014; Mansson et al. 2015), e possono dunque rimanere sotto sforzo più a lungo
rispetto a quanto accade con la contrazione concentrica (Tesch et al. 1978). Inoltre, il carico
nell’allenamento eccentrico può essere molto più alto rispetto al carico della massima contrazione
concentrica (fino a 140% di 1RM concentrico). L’attivazione muscolare e il numero di unità motorie
coinvolte sono proporzionali al carico di lavoro (Enoka 1996). L’insieme degli impulsi nervosi che
generano una contrazione eccentrica è molto complesso poiché determina: 1) quali unità motorie
verranno attivate; 2) in quale misura esse verranno attivate; 3) in quale momento inizierà l’attività; 4) il
modo in cui l’attività verrà distribuita all’interno di un gruppo muscolare (Abruzzese et al. 1994). Qualora
si usino carichi sovramassimali (per atleti molto esperti, soltanto per uno o due esercizi e per un tempo
limitato), sono necessari uno o due spotter (a seconda dell’esercizio e del livello di forza dell’atleta) per
aiutare l’atleta a sollevare il bilanciere nella fase concentrica, poiché il carico sarà più alto di 1RM. Gli
spotter dovrebbero anche assicurarsi che, nel momento in cui il bilanciere viene abbassato, l’atleta non lo
faccia cadere, con il rischio di causare un infortunio. La necessità di un’assistenza precisa nel momento in
cui viene abbassato il bilanciere rende impossibile eseguire l’esercizio in maniera rapida. Un’altra opzione
per l’allenamento con carichi sovramassimali è data dagli esercizi unilaterali. Infatti, lavorando un arto
alla volta, ad esempio sulla leg extension o sulla leg curl, l’altro arto può aiutare nella fase concentrica,
mentre quello allenato esegue la fase eccentrica da solo (questo metodo è anche chiamato “metodo 2/1”).
Durante i primi giorni di allenamento eccentrico gli atleti possono esperire del dolore muscolare. Questo
però è normale, poiché l’aumentata tensione provoca maggiori danni alle miofibrille.

Man mano che gli atleti si adattano, il dolore muscolare sparirà (entro 5-7 giorni). Si può comunque
evitare il problema aumentando il carico progressivamente.
Come si potrà immaginare, il metodo eccentrico sposta la curva forza-tempo verso sinistra. Infatti, poiché
il carico è sovramassimale, la velocità di esecuzione sarà lenta. I carichi pesanti, che creano un’elevata
tensione muscolare, aumentano la forza poiché determinano un massiccio reclutamento delle unità
motorie a contrazione rapida. Il metodo eccentrico è particolarmente utile per rinforzare quei gruppi
muscolari il cui picco di attivazione si ottiene durante la fase eccentrica, come i bicipiti femorali nella
falcata della corsa veloce.

Il metodo dei carichi sovramassimali dovrebbe essere utilizzato soltanto dagli atleti con almeno cinque
anni di allenamento della forza, poiché esso impiega i carichi più alti (da 110 a 140% di 1RM). Il metodo
eccentrico dovrebbe essere sempre limitato a uno o due gruppi muscolari e combinato con altri metodi,
specialmente quello dei carichi massimali. Tuttavia, le contrazioni eccentriche non dovrebbero essere
utilizzate in maniera eccessiva. Tutte le volte che l’atleta utilizza carichi massimali e sovramassimali, è
necessaria la massima concentrazione mentale, cosa che può essere stancante dal punto di vista
psicologico. Quindi, gli atleti dovrebbero utilizzare il metodo eccentrico con cautela, non più di due volte
alla settimana, in combinazione con il metodo dei carichi massimali. Inoltre, è consigliato l’utilizzo di
tecniche di recupero attivo per ridurre il dolore muscolare e facilitare una rigenerazione più veloce (per
ulteriori informazioni si veda il capitolo 4). I parametri per il metodo eccentrico sono mostrati nella tabella
13.9. Il range di carico è in percentuale rispetto alla capacità di forza massima della contrazione
concentrica e va dal 110 al 140%. Gli atleti di qualsiasi livello dovrebbero partire dal carico più basso fino
a raggiungere quello più elevato permesso dalle loro capacità. Tali carichi dovrebbero essere impiegati
solamente dopo almeno cinque stagioni di allenamento per la forza massima.

Carico 110–140% di 1RM


Numero di esercizi per sessione 1-2
Numero di rip per serie 1–5
Numero di serie per esercizio 2–4
Tempo di recupero 2–8 minuti, in base alla grandezza del gruppo muscolare
Tempo Lento (3-6 secondi, in base all’ampiezza – ROM – dell’esercizio)
Frequenza per microciclo 1-2

Tabella 13.9
Parametri di carico per il metodo eccentrico

Il tempo di recupero è un altro parametro fondamentale che influenza la capacità dell’atleta di eseguire
un lavoro altamente stressante. Se egli non recupera in modo adeguato tra uno sforzo e l’altro, gli sarà
impossibile completare la serie successiva allo stesso livello della precedente. Un recupero insufficiente è
indicato dall’incapacità di eseguire la fase eccentrica con lo stesso controllo della serie precedente; in
questo caso il tempo di recupero dovrà essere incrementato adeguatamente. Altri fattori importanti sono
la motivazione e la capacità di concentrazione dell’atleta. Poiché le azioni eccentriche prevedono carichi
molto elevati, l’atleta deve essere altamente motivato e capace di concentrarsi al fine di eseguire la serie
in maniera efficace.

Il metodo eccentrico non dovrebbe mai essere eseguito in isolamento rispetto ad altri metodi per la forza.
Durante la fase di allenamento della forza massima il metodo eccentrico viene impiegato in combinazione
col metodo dei carichi massimali. Viene suggerita una sola sessione di allenamento eccentrico per gruppo
muscolare alla settimana. La tabella 13.10 mostra le ultime tre settimane di un programma di nove
settimane sviluppato per un lanciatore di peso di livello internazionale. Questo periodo è stato seguito da
una fase di conversione a potenza di tre settimane, dopo la quale sono state introdotte due settimane di
scarico prima di una competizione importante.

Tabella 13.10
Ultimi tre microcicli di un programma di forza massima di nove settimane per un lanciatore di livello
internazionale

MAXEX TRAINING. Gli esercizi che richiedono la massima tensione possono essere combinati con
esercizi che richiedano esplosività. Questo metodo, che integra esercizi per la forza massima con carichi
elevati a esercizi per l’esplosività, è chiamato maxex training.

La forza dell’unità motoria è determinata dal tasso con il quale il sistema nervoso centrale invia segnali di
contrazione, chiamati potenziali d’azione, dal motoneurone alla fibra muscolare. Una frequenza più alta
significa una maggiore forza dell’unità motoria. All’aumentare della frequenza dei potenziali d’azione, si
passa da un tetano con un profilo irregolare a un tetano fuso, cioè piatto (Enoka 2002). Il picco di forza di
un tetano fuso rappresenta la massima forza che un’unità motoria può esercitare.
L’obiettivo dell’allenamento con esercizi per la forza massima con carichi elevati prima di eseguire esercizi
esplosivi, quindi, è creare un periodo nel quale le unità motorie dei muscoli motori primari siano attivate
al massimo, al fine di produrre la maggiore forza possibile. Questo è l’unico modo fisiologicamente
possibile per produrre la massima espressione di forza. Quindi, il maxex training discusso in questo
paragrafo può essere utilizzato per combinare la forza massima con esercizi per l’esplosività. Più
precisamente, esso può stimolare un alto livello di reclutamento di unità motorie e di produzione di forza
prima di eseguire un esercizio di potenza ad alta frequenza di scarica come lo sono gli esercizi pliometrici.
I metodi per la forza massima possono essere combinati con gli esercizi pliometrici per tutti gli sport di
squadra; per la velocità, i salti e i lanci dell’atletica leggera; per le arti marziali, la boxe e la lotta; per lo
sci alpino e per il salto con gli sci; per la scherma; per i tuffi; per il pattinaggio artistico; per gli eventi di
velocità nel nuoto. Le varianti di allenamento qui proposte non devono essere seguite per tutto l’anno.
Esse possono essere pianificate per la fine della fase preparatoria o, nel caso di una lunga fase di forza
massima, durante l’ultimo macrociclo di quest’ultima, così come durante la fase di mantenimento. Una
fase di forza massima è tuttavia necessaria prima di qualsiasi allenamento della potenza, poiché essa è
una funzione della forza massima. Incorporare l’allenamento della potenza durante la fase di forza
massima incrementa la velocità e l’esplosività dell’atleta, preparandolo per la fase competitiva.
Nonostante ciò, il combinare la forza massima con la potenza deve essere fato con oculatezza e in maniera
conservativa. Sebbene siano possibili molte combinazioni, l’allenamento deve essere semplice, cosicché
l’atleta si possa concentrare sull’obiettivo principale della sessione. Maggiore il numero di varianti che il
preparatore utilizza, maggiore può essere la confusione degli atleti e il disturbo ai loro adattamenti morfo-
funzionali.

Il concetto di maxex training si fonda sulla scienza e, più precisamente, sulla manipolazione di due
concetti fisiologici al fine di produrre velocità ed esplosività e quindi migliorare la prestazione atletica. La
prima parte dell’allenamento maxex è eseguita con un’intensità molto elevata (85-95% di 1RM), che
stimola un elevato reclutamento delle unità motorie a contrazione rapida.

Il movimento esplosivo che segue incrementa la frequenza di scarica alle unità motorie rapide,
preparando così l’atleta alle azioni rapide ed esplosive richieste da tutti gli sport di velocità e potenza
durante la fase competitiva. Il maxex training è suggerito soltanto per i muscoli motori primari. Poiché
tale allenamento può essere piuttosto stressante, sia mentalmente, sia fisicamente, dovrebbe essere
utilizzato soltanto dagli atleti con una buona esperienza nell’allenamento della forza. La durata del maxex
training dovrebbe essere, in base all’esperienza dell’atleta, di tre-sei settimane. Esso dovrebbe seguire
una fase di allenamento della forza massima, in cui sono state utilizzate contrazioni eccentriche-
concentriche. Sono consigliate due sessioni di allenamento alla settimana con almeno 48 ore di recupero.
Il maxex training può essere utilizzato per la parte superiore del corpo così come per quella inferiore.
Braccia e spalle forti sono essenziali in diversi sport, incluso il basket, il baseball, l’hockey su ghiaccio, il
lacrosse, le arti marziali, la boxe, la lotta, il kayak, lo squash, la pallamano, la pallanuoto e i lanci
nell’atletica leggera. Senza voler elencare tutte le possibili opzioni, gli esercizi che possono essere
utilizzati in questi sport per l’allenamento maxex includono i drop jump, i jump squat, i drop push-up, gli
scatti brevi, i salti tra gli ostacoli e i lanci delle palle medicinali.
Durante la fase di forza massima, gli atleti possono combinare i metodi per la forza massima con alcune
delle seguenti varianti o con esercizi pliometrici a basso o medio impatto. I preparatori fisici dovrebbero
tenere in considerazione i seguenti metodi:

◊ isometrico-dinamico: si tratta di una contrazione isometrica massimale o quasi massimale


seguita immediatamente da un’azione pliometrica per la stessa catena cinetica. Bisogna
eseguire 1-2 serie di 3-4 ripetizioni di 4-6 secondi per contrazione isometrica. Ciascuna
ripetizione è seguita da uno scato molto breve o da tre-cinque ripetizioni pliometriche (salti
reattivi). Sono necessari almeno tre minuti di recupero tra le ripetizioni e cinque minuti tra
le serie;

◊ esercitazione a contrasto: si prenda ad esempio lo squat (per velocisti, saltatori, lanciatori,


schiacciatori della pallavolo e atleti delle arti marziali). L’atleta esegue 2-3 serie di 2-3
ripetizioni utilizzando un carico dell’80-85% di 1RM in questo modo: 1) contrazione
eccentrica lenta, 2) contrazione isometrica per uno o due secondi nel punto più profondo, 3)
contrazione concentrica con la massima accelerazione. Immediatamente dopo, l’atleta
esegue uno scatto breve o tre-cinque ripetizioni pliometriche (salti reattivi). In alternativa,
egli impiega il quarto di squat per 2-3 serie di 2 ripetizioni dinamiche con il 150% di 1RM
dello squat completo, ciascuna serie seguita immediatamente da uno scatto breve o da tre-
cinque ripetizioni pliometriche (salti reattivi). Prendere 3-5 minuti di recupero tra le serie.

Tute queste tecniche incrementano la velocità, la reattività, la forza esplosiva, attraverso l’aumento della
frequenza di scarica delle fibre a contrazione rapida.
FASE 4: CONVERSIONE A FORZA SPECIFICA
Quattordicesimo capitolo

Oggigiorno quasi tutti gli atleti utilizzano qualche forma di allenamento della forza per migliorare la
prestazione. La maggior parte di questi programmi, però, non trasforma miglioramenti della forza ottenuti
durante la fase di allenamento della forza massima in forza specifica, come possono essere la potenza o la
resistenza muscolare. Questa mancanza impedisce agli atleti di massimizzare il proprio potenziale atletico
al fine di incrementare la propria prestazione sportiva negli eventi che richiedano velocità, agilità o uno
sforzo prolungato. La periodizzazione della forza, invece, è progettata appositamente per produrre tali
trasformazioni durante la fase di conversione, cosicché l’atleta possa raggiungere il picco di prestazione
nelle gare più importanti.

I parametri di carico utilizzati nella fase di conversione dovrebbero basarsi sulle caratteristiche dello
sport praticato, in particolare sul rapporto tra la forza e il sistema energetico dominante. La tabella 14.1
mostra come la durata e l’intensità di un evento determinino l’utilizzo dei sistemi energetici e, quindi, la
forza specifica da sviluppare.
Tabella 14.1
Durata dell’evento e conversione a forza specifica

Durante l’anno gli obiettivi dell’allenamento della forza e i metodi utilizzati variano a seconda delle
caratteristiche dello sport e dell’atleta e del calendario competitivo. L’obiettivo finale, però, è la
massimizzazione della forza specifica. In relazione a questo obiettivo finale della periodizzazione, si
possono distinguere due principali tipi di sport:
1. gli sport che richiedono potenza (un sinonimo per ciò che talvolta viene definita “speed-strength”,
cioè forza di partenza e forza esplosiva nella curva forza-tempo), cioè l’abilità di applicare forza il
più rapidamente possibile, come nei salti, nei lanci e nella velocità dell’atletica leggera, nella
maggior parte degli sport di squadra e in tutte quelle discipline nelle quali la potenza influenza
fortemente la prestazione;
2. gli sport che richiedono resistenza muscolare, ossia l’abilità di applicare meno forza, ma per un
tempo prolungato, come nella maggior parte degli eventi del nuoto, nel canottaggio, nel kayak,
nel triathlon, nello sci di fondo e nella corsa di media e lunga distanza.

Il corpo umano può adattarsi a qualsiasi ambiente e a qualsiasi tipo di allenamento. Se un atleta è allenato
con i metodi del bodybuilding, come spesso accade nel Nord America, il sistema neuromuscolare si adatta
a quei metodi. Più precisamente, poiché essi sono caratterizzati da velocità di contrazioni lente,
consentono di incrementare la massa muscolare (ipertrofia), ma non aumentano la potenza, la velocità,
l’agilità o la rapidità. Ne consegue che un atleta che si alleni in questo modo non possa aspettarsi un
aumento significativo della potenza, perché il suo sistema neuromuscolare non sarà stato preparato per
questo.
Per sviluppare potenza sport-specifica, un programma di allenamento deve essere progettato
specificamente per raggiungere tale obiettivo e deve essere specifico per lo sport o per l’evento,
utilizzando esercizi che simulino il più possibile le caratteristiche fisiologiche e biomeccaniche delle
tecniche impiegate in quello sport. Poiché l’allenamento della potenza si indirizza sulle catene muscolari
interessate con un alto grado di specificità, la coordinazione inter e intramuscolare diviene più efficiente e
l’esecuzione delle tecniche specifiche diviene più fluida, rapida e precisa.

Durante la fase di conversione, gli atleti devono concentrare le loro energie più sull’allenamento tecnico e
tattico che sull’allenamento della forza specifica. I preparatori devono pianificare l’allenamento di forza
con il numero più basso possibile di esercizi, che simulino aspetti delle tecniche specifiche. Per ottenere il
massimo dal programma, esso deve essere efficiente, con due o tre esercizi eseguiti in maniera dinamica
per più serie. Il tempo e le energie non dovrebbero essere sprecati per nient’altro.

14.1 L’ALLENAMENTO DELLA POTENZA

La potenza è l’ingrediente principale di tutti quegli sport che richiedono un’espressione rapida di forza,
velocità e agilità. Gli sport in cui potenza e velocità sono dominanti includono la velocità, i salti e i lanci
dell’atletica leggera, gli sport di squadra, gli sport con racchetta, la ginnastica, i tuffi e le arti marziali.
Per migliorare il livello di prestazione di un atleta, deve migliorare il suo livello di potenza; senza ombra di
dubbio la potenza è l’ingrediente principale necessario per produrre un atleta veloce, rapido e agile.

Le persone utilizzano diversi termini per la potenza, inclusi forza dinamica e gli aberranti e confusionari
termini anglosassoni strength-speed (che è, di fatto, l’allenamento della potenza con alti carichi) e speed-
strength (che è l’allenamento della potenza con carichi bassi). Se si vuole utilizzare la scienza
nell’allenamento sportivo, la terminologia corretta dovrebbe essere tratta dalla fisica e dalla fisiologia,
che impiegano entrambe il termine potenza, con cui si intende
◊ il tasso di produzione della forza,
◊ il prodotto di forza e velocità (P = F × V, o forza per velocità),
◊ la quantità di lavoro effettuato per unità di tempo, o
◊ il tasso al quale i muscoli possono produrre lavoro (Enoka, 2002).

Ai fini atletici, qualsiasi incremento di potenza è il risultato di miglioramenti nella forza, nella velocità o
nella combinazione delle due qualità. Un atleta può essere molto forte, con una grande massa muscolare e
nonostante ciò essere incapace di esprimere potenza, per l’incapacità di contrarre i suoi forti muscoli in
un tempo molto breve. Per superare questa mancanza, l’atleta deve sottoporsi a un allenamento di
potenza per migliorare il tasso di espressione della forza (RFD).

Il vantaggio dell’allenamento di potenza eseguito in modo esplosivo, ad alta velocità, è che esso sollecita il
sistema nervoso centrale (SNC). I miglioramenti nella prestazione si possono basare su adattamenti
neurali che aiutino i muscoli a esprimere la forza più velocemente e quindi a essere più potenti (Tillin,
Pain e Folland 2012; Sale 1986; Duchateau e Hainaut 1984). Questi adattamenti si concretizzano con la
riduzione del tempo necessario a reclutare le unità motorie, specialmente quelle a contrazione rapida
(Tillin e Folland 2014; Hakkinen 1986; Hakkinen e Komi 1983).

Gli esercizi di allenamento della potenza attivano e incrementano la frequenza di scarica delle unità
motorie a contrazione rapida, determinando adattamenti specifici del sistema nervoso centrale. Questi
adattamenti, specialmente negli atleti ben allenati, si manifestano sotto forma di reclutamento di un
elevato numero di unità motorie in un tempo estremamente ridotto.
Sia la pratica sul campo, sia la ricerca hanno mostrato che tali adattamenti richiedono un tempo
considerevole e che essi progrediscono di anno in anno.

L’adattamento all’allenamento di potenza avviene anche grazie a un miglioramento della coordinazione


intermuscolare, cioè l’abilità dei muscoli agonisti e antagonisti di cooperare durante l’esecuzione di un
movimento. Tale coordinazione è raggiunta attraverso un collegamento più efficace tra le reazioni
eccitatorie e inibitorie di un muscolo in uno schema motorio complesso.

Il risultato di tale adattamento è che il SNC impara quando inviare l’impulso nervoso che segnala la
contrazione muscolare e quando non farlo. In termini pratici, una migliore coordinazione intermuscolare
significa incrementare l’abilità dell’atleta di contrarre taluni muscoli e rilassarne altri (i muscoli
antagonisti), migliorando la velocità di contrazione dei muscoli motori primari (quelli agonisti).

Durante la fase di conversione (ecceto per la conversione a resistenza muscolare di lunga durata), gli
esercizi devono essere eseguiti rapidamente e in modo esplosivo, così da reclutare il maggior numero di
unità motorie possibile, con il più alto tasso di contrazione (in altre parole, con frequenze di scarica più
alte).
Specialmente per la conversione a potenza, l’intero programma deve essere finalizzato al raggiungimento
di un solo obiettivo: spostare la curva forza-tempo a sinistra quanto più possibile (per un esempio, fare
riferimento alla tabella 10.15), cosicché il sistema neuromuscolare sia sollecitato a esprimere forza in
maniera esplosiva.

I preparatori fisici dovrebbero scegliere soltanto quei metodi d’allenamento che soddisfino i requisiti dello
sviluppo della potenza, ossia quelli che incrementino la rapidità, che facilitino l’applicazione esplosiva
della forza e che aumentino la reattività della muscolatura rilevante.

I metodi presentati in questo capitolo possono essere utilizzati separatamente o in combinazione. Quando
sono combinati, il lavoro totale per sessione d’allenamento deve essere distribuito tra ciascuno di essi.

Strategia fisiologica per incrementare la potenza

Alcuni autori sostengono che gli atleti che vogliono incrementare la potenza debbano impiegare esercizi
di potenza per tutto l’anno, che gli atleti che vogliono essere veloci debbano fare soltanto ripetizioni brevi
ad alta velocità e che coloro i quali vogliono essere rapidi e agili debbano impiegare soltanto esercitazioni
di agilità. Questa filosofia di allenamento porta all’estremo il principio fisiologico fondamentale, secondo il
quale un lavoro specifico determina adattamenti specifici, ma contraddice il principio metodologico per il
quale gli adattamenti specifici sono massimizzati sulla base degli adattamenti generali, specialmente per
le abilità biomotorie a bassa allenabilità come la velocità.

Inoltre, gli atleti che utilizzano lo stesso tipo di lavoro per un tempo prolungato giungono a un plateau, a
una stagnazione dei miglioramenti o addiritura a un leggero deallenamento, che si traduce in un
deterioramento della prestazione. Per prevenire un tale risultato e per assicurarsi che gli atleti migliorino
in maniera costante la potenza al fine di beneficiare di una migliore prestazione durante la fase
competitiva, essi devono stimolare costantemente il sistema neuromuscolare a produrre il maggior
reclutamento volontario delle unità motorie a contrazione rapida e a esprimere alti livelli di forza
muscolare in tempi ridotti. Tale stimolazione può essere raggiunta applicando i metodi di allenamento
della periodizzazione della forza.

La ricerca mostra che utilizzare soltanto carichi leggeri produce un incremento inferiore della potenza di
picco rispetto a utilizzare anche carichi più alti. Infatti, i maggiori incrementi in potenza sono ottenuti non
con l’allenamento ad alta velocità, ma da una combinazione sequenziale di allenamento ad alta forza e
allenamento ad alta velocità (Verkhoshansky 1997; Aagaard et al. 1994; Enoka 2002). La potenza di picco
che si può produrre in un movimento dipende direttamente dai guadagni in forza massimale (Fits e
Widrick 1996).

Lo stesso vale per la velocità. Come gli allenatori sanno fin dagli anni ‘50, la velocità massima non
incrementa a meno che non incrementi prima la potenza. Questa consapevolezza avvalora la teoria della
periodizzazione della forza, permettendo di trarre la conclusione che la velocità, l’agilità e la rapidità non
aumentano mai a meno che non si alleni la forza massima prima e poi essa venga convertita in potenza.

Tenendo conto di quanto detto, si propongono due fasi di allenamento al fine di massimizzare la potenza,
la velocità, l’agilità e la rapidità (figura 14.1).
Figura 14.1
Strategia fisiologica per incrementare potenza, velocità e agilità.

Durante la prima fase, lo scopo dell’allenamento è sollecitare il SNC a reclutare il più alto numero di unità
motorie a contrazione rapida. Ciò avviene solitamente durante la fase di allenamento della forza massima,
nella quale gli atleti utilizzano carichi superiori al 70% di 1RM, sollevati in modo esplosivo. Questi
sovraccarichi stimolano intensamente il sistema neuromuscolare, che di conseguenza recluta un alto
numero di unità motorie a contrazione rapida. Per evitare il deallenamento e la perdita di forza,
dovrebbero essere pianificate delle sessioni di forza massima durante le fasi del piano annuale di
conversione e mantenimento.

La potenza espressa nei gesti atletici dipende dal numero di unità motorie attive e dalla frequenza con la
quale giungono i treni di impulsi a queste fibre, che generano un alto rapporto forza-frequenza (Enoka
2002). L’aumento della frequenza di scarica verso le fibre a contrazione rapida è raggiunto attraverso:
1. l’allenamento con sovraccarichi bassi, utilizzando meno del 50% di 1RM per gli atleti principianti e
fra il 50 e il 60% del massimale per gli atleti avanzati (Buzzichelli 2015; Enoka 2002; Moritani
1992; Van Cutsem, Duchateau e Hainaut 1998);
2. l’utilizzo di qualsiasi tipo di attrezzo leggero (l’attrezzo del getto del peso dell’atletica leggera, le
power ball, le palle medicinali);
3. eseguendo esercizi pliometrici;
4. eseguendo esercizi specifici per la velocità, l’agilità e la rapidità.

Tali esercizi, eseguiti con la massima potenza e la massima rapidità di applicazione della forza contro la
resistenza offerta dall’attrezzo, dalla gravità o da entrambi, facilitano il reclutamento delle unità motorie
ad alta soglia di attivazione e un’elevata frequenza di scarica. Inoltre gli esercizi ad alta velocità angolare
sono necessari durante la seconda fase, nella quale si ricerca un’elevata frequenza di scarica delle unità
motorie a contrazione rapida.
Chiaramente, quindi, uno degli scopi principali dell’allenamento della forza nello sport è incrementare
continuamente la forza massima, cosicché quel 50% dell’1RM sia sempre più alto in termini assoluti. Tale
guadagno, pertanto, si tradurrà in un miglioramento della prestazione.

Carichi elevati vs carichi ridotti nello sviluppo della potenza

Allenatori e atleti spesso dibattono sui meriti dell’utilizzo di alti o bassi carichi per migliorare la potenza.
Il punto è che entrambi hanno un ruolo, però in momenti diversi del programma di allenamento. Questa è
la bellezza della periodizzazione: tutti i metodi d’allenamento hanno un proprio posto all’interno delle
varie fasi.

La velocità con la quale un atleta può eseguire la fase concentrica di un movimento (come nella spinta del
bilanciere dal peto nella panca orizzontale) dipende, ovviamente, dal carico che egli sta utilizzando.
All’aumentare del carico diminuisce la velocità di accorciamento, ma aumenta la forza. L’opposto è, però,
vero per i movimenti eccentrici. Nell’esecuzione di una contrazione eccentrica, la produzione di forza è
maggiore all’aumentare della velocità. Questa relazione spiega il transfer positivo dagli esercizi
pliometrici ai gesti atletici di potenza. Le proprietà elastiche intrinseche dell’unità muscolo-tendinea
favoriscono l’assorbimento e il riutilizzo dell’energia elastica immagazzinata. Tali proprietà sono
ottimizzate quando un muscolo è allungato il più velocemente possibile. Quindi, per migliorare
l’espressione di forza nello spettro completo delle velocità angolari e incrementare il tasso del suo
sviluppo sono necessari sia i carichi alti, sia i carichi bassi.

L’allenamento della forza a velocità angolari moderate (caratteristiche della fase di forza massima)
migliora la coordinazione intramuscolare, principalmente attraverso un maggior reclutamento volontario
delle unità motorie e con essa la tensione muscolare. Diversamente, l’allenamento con carichi leggeri a
velocità angolari alte (caratteristiche dell’allenamento della potenza) migliora la frequenza di scarica e
incrementa il tasso di sviluppo della forza, che, ovviamente, implica una componente di velocità. La natura
stessa di tale componente porta con sé una questione. Uno studio, infatti, ha concluso che è l’intento di
produrre una contrazione balistica (non la velocità del movimento in sé per sé) a essere responsabile degli
adattamenti tipici dell’allenamento ad alta velocità (Behm e Sale 1993). Nonostante ciò, poiché i carichi
elevati causano velocità angolari basse (molto più basse delle velocità angolari specifiche), la transizione
dall’allenamento della forza massima alla velocità sport-specifica è vitale in quelle discipline che
richiedono movimenti esplosivi. Per esempio, un saltatore in lungo che passi ore a fare squat svilupperà
un alto livello di forza, ma quella forza non si trasferirà automaticamente ai gesti specifici di gara che
necessitano la sincronizzazione di tutti i muscoli motori primari. Tale transfer potrà essere raggiunto
soltanto eseguendo esercizi pliometrici e specifici (Mora-Custodio et al. 2016; Bobbert e Van Soest 1994).
Il grado di enfasi posto sui carichi elevati rispetto ai carichi più bassi dipende, in ultima analisi, dal tipo di
sport.

La periodizzazione è caratterizzata da una fase di allenamento della forza massima (utilizzando carichi
elevati), seguita da una fase di conversione (utilizzando carichi bassi). L’approccio più efficace è una
combinazione delle due, così come è presentata nel nostro modello di periodizzazione. Al fine di chiarire
questa questione, in uno studio è stato comparato l’allenamento di tre gruppi.

Il gruppo 1 ha eseguito soltanto un allenamento di forza con squat pesanti, il gruppo 2 ha eseguito
esercizi pliometrici a carico ridotto e il gruppo 3 una combinazione di squat ed esercizi pliometrici. Poiché
i maggiori guadagni in potenza li ha ottenuti il gruppo 3, gli autori hanno concluso che i guadagni ottimali
sono acquisiti combinando l’allenamento a carichi elevati con i movimenti esplosivi (Adams, Worlay e
Throgmartin 1987). Ancora più interessante è un altro studio che ha comparato tre gruppi, condotto da
Verkhoshansky negli anni ‘70. Il gruppo 1 ha eseguito un macrociclo di allenamento con squat pesanti
seguito da un macrociclo di esercizi pliometrici, il gruppo 2 ha eseguito un macrociclo di esercizi
pliometrici seguito da un macrociclo di squat pesanti e il gruppo 3 ha combinato sia lo squat, sia gli
esercizi pliometrici per due macrocicli (in altre parole ha eseguito un complex training). Il terzo metodo
(complex training) ha dato i miglioramenti più veloci, ma il primo metodo, sequenziale, ha portato ai
miglioramenti maggiori alla fine dei due macrocicli (Verkhoshansky 1997). Questo è lo stesso approccio
che si utilizza nella periodizzazione della forza.

Agilità e periodizzazione dell’allenamento della potenza

L’allenamento dell’agilità è uno degli elementi meno compresi dell’allenamento sportivo. Per agilità
intendiamo l’abilità dell’atleta ad accelerare e decelerare rapidamente, a cambiare direzione e schema
motorio repentinamente. Gli elementi intrinseci dell’agilità comprendono un lavoro dei piedi ad alta
frequenza, la velocità di reazione e movimento, la flessibilità dinamica, un ritmo e un timing di movimento
efficaci.

L’agilità non esiste come abilità indipendente, ma si fonda sullo sviluppo di altre abilità, come quelle
appena menzionate, per le quali i fattori determinanti sono la forza e la potenza relativa. Di fato, senza alti
livelli di forza e potenza relativa, nessuno sarebbe agile o rapido. Maggiore è la forza massima di un atleta
rispetto al proprio peso corporeo (cioè, maggiore è la sua forza relativa), più è facile per lui decelerare e
accelerare il proprio peso corporeo. Allo stesso modo, maggiore è il livello di potenza di un atleta, più
velocemente egli lo potrà fare. L’agilità, quindi, è la capacità di accelerare rapidamente usando la forza
concentrica, decelerare usando la forza eccentrica (come nei movimenti di arresto e ripartenza) e
cambiare direzione o eseguire dei tagli che sono importanti in molti sport, specialmente quelli di squadra
e di racchetta.

L’agilità non migliora quanto dovrebbe senza un aumentato reclutamento delle unità motorie a
contrazione rapida. Per questo motivo, gli atleti che usano in maniera ripetitiva ed esclusiva gli esercizi di
agilità, alla fine raggiungono un plateau di prestazione in qualsiasi gesto tecnico per il quale l’agilità sia
un fattore determinante. Per queste ragioni la periodizzazione si basa sulla strategia fisiologica suggerita
precedentemente nella figura 14.1.

Entrando nello specifico, il modello di periodizzazione presentato nella tabella 14.2 permette il maggior
miglioramento possibile delle qualità di agilità (Bompa 2005).

Nella parte superiore della tabella sono enumerate le fasi di allenamento tradizionali del piano annuale e
le fasi specifiche della periodizzazione della forza, spiegate in altri capitoli. Durante la fase di adattamento
anatomico, che si concentra sulla costruzione di una base di forza e di condizionamento metabolico
generale, utilizzare esercizi di agilità non produrrebbe miglioramenti tangibili, poiché il sistema
neuromuscolare non è ancora allenato per reclutare le unità motorie a contrazione rapida.

Tabella 14.2
Periodizzazione dell’agilità

Durante la fase di forza massima, però, il reclutamento delle unità motorie a contrazione veloce diviene
l’obiettivo dell’allenamento della forza e quindi l’allenamento dell’agilità può essere iniziato sotto forma di
ripetizione di esercizi conosciuti e apprendimento di nuovi.

Con il miglioramento della capacità del sistema neuromuscolare di reclutare più unità motorie, in
particolare un numero maggiore di fibre a contrazione rapida, specialmente verso la fine della fase di
forza massima, l’atleta migliorerà la propria velocità e la propria rapidità negli esercizi di agilità.

Quest’abilità è poi massimizzata verso la fine della fase di conversione e durante la fase competitiva,
quando la frequenza di scarica incrementa come risultato dell’aumentata velocità di esecuzione e
dell’applicazione della forza contro attrezzi leggeri o contro la gravità. Da questa fase di allenamento in
poi e per tuta la fase di mantenimento, l’agilità è massimizzata e contribuisce al miglioramento della
prestazione atletica.

Molti preparatori considerano ancora l’agilità e la rapidità dei piedi (quick feet) come qualità fisiche
separate. Questo modo di vedere è palese in molti seminari e nei libri pubblicati su questo argomento. In
realtà, però, quando il sistema neuromuscolare è allenato secondo la strategia fisiologica suggerita nella
figura 14.1, il prodotto finale è una maggior frequenza di scarica delle fibre a contrazione rapida. Come
risultato dell’adattamento alla periodizzazione della forza, gli atleti posseggono maggiore potenza,
corrono più velocemente e possono eseguire qualsiasi tipo di esercitazione con rapidità. Al corpo umano
non interessa se si usano due termini differenti per descrivere la stessa qualità neuromuscolare. Non
importa come vengono chiamati questi movimenti, il corpo allenato in maniera corretta è capace di
eseguire azioni potenti, muovere gli arti velocemente e cambiare direzione in maniera repentina.

Alcuni allenatori fanno eseguire ai propri atleti esercitazioni di agilità e di rapidità in modo simile per
tutto l’anno, ignorando in questo modo il concetto di periodizzazione. Inoltre, alcuni di loro non tengono in
conto l’età degli atleti o la loro esperienza d’allenamento. Date queste condizioni, non dovrebbe
sorprendere che alcuni atleti, specialmente quelli con una scarsa esperienza di allenamento, subiscano
problemi fisici o perfino infortuni. Il miglior metodo per evitare gli infortuni è quello di applicare il
concetto di periodizzazione.

Durante la fase preparatoria del piano annuale, gli atleti possono migliorare l’agilità e la rapidità
attraverso le esercitazioni di policoncorrenza, l’utilizzo di power ball o palle medicinali ed esercizi
pliometrici. Al fine di una migliore organizzazione e periodizzazione dell’allenamento, gli esercizi
pliometrici sono suddivisi in cinque categorie di intensità. Anche queste intensità possono essere
periodizzate, così come il peso delle power ball e delle palle medicinali (tabella 14.3).

Tabella 14.3
Periodizzazione della balistica con palle mediche e della pliometria

*Le power ball pesano tra 1 e 16 kg: i pesi leggeri vanno da 1 a 5 kg, i medi da 6 a 9 kg e gli elevati da 10 a 16 kg. Le
palle mediche vanno generalmente da 1 a 12 kg. Per le descrizioni dei livelli di intensità della pliometria è possibile fare
riferimento alla tabella 14.4 in questo capitolo

La tabella 14.3 mostra nello specifico le esercitazioni puramente di potenza e le intensità utilizzate nel
piano annuale. Durante la fase di adattamento anatomico, che costruisce la base di forza, vengono
utilizzati attrezzi leggeri ed esercitazioni pliometriche a bassa intensità (livello 5). Durante la fase di forza
massima, l’atleta utilizza carichi da medi ad alti per gli attrezzi (power ball e palle mediche), al fine di
attivare un elevato numero di unità motorie. Contemporaneamente, l’intensità delle esercitazioni degli
esercizi pliometrici viene incrementata per migliorare la reattività del sistema neuromuscolare. Infine,
durante la fase di conversione, il peso degli attrezzi torna a essere leggero (e così resterà anche per tuta
la fase di mantenimento) per fare in modo di massimizzare la velocità di applicazione della forza e quindi
di contrazione.

L’intensità delle esercitazioni pliometriche, però, è la più alta, determinando azioni eccentriche massimali
e otenendo in tal modo la più alta produzione di forza. Durante la fase di mantenimento, applicata in
corrispondenza della fase competitiva, il primo ciclo è caratterizzato da esercitazioni pliometriche ad alta
intensità ed è seguito da un’alternanza di settimane nelle quali vengono utilizzate esercitazioni
pliometriche ad alta o a media intensità, in base alla struttura del macrociclo e al calendario competitivo.
Nella settimana precedente la gara più importante dell’anno (per gli sport individuali), sono utilizzate
esercitazioni pliometriche a intensità media, che vengono poi sospese durante il microciclo competitivo
finale.

In tutto il libro, le illustrazioni della periodizzazione e dei metodi di allenamento utilizzano delle linee
verticali per separare le fasi d’allenamento. In questo modo potrebbe sembrare che un certo tipo di
allenamento finisca l’ultimo giorno di una fase e che il giorno successivo inizi un allenamento
completamente differente. In realtà, la transizione tra le fasi non è così repentina. C’è sempre un
sovrapporsi e un metodo d’allenamento enfatizzato in un determinato periodo è già stato introdotto
progressivamente nelle fasi precedenti. Per esempio, come illustrato nella tabella 14.3, questo approccio è
utilizzato per l’allenamento della potenza, che è già proposto dall’inizio del piano annuale e raggiunge la
propria enfasi dopo la fase di forza massima. Allo stesso modo, il metodo utilizzato nella fase precedente
viene solitamente mantenuto in quella successiva con una riduzione di enfasi. Per questo, ogni ciclo
dell’allenamento si concentra su un metodo dominante, ma ne prevede un altro che è introdotto
progressivamente. Questo approccio permette una transizione più efficace da un metodo all’altro e, in
ultima analisi, un più alto livello di adattamento dell’atleta.

La transizione dell’enfasi tra due metodi d’allenamento o due fasi può avvenire in pochi microcicli. La
figura 14.2 mostra come sia progressivamente introdotto l’allenamento isotonico per la potenza, mentre
quello per la forza massima sia allo stesso modo ridotto. Questa transizione può essere fatta manipolando
il numero di sessioni d’allenamento dedicato a ciascuna qualità.

Figura 14.2
Cambiamento di obiettivo dell’allenamento nella fase di preparazione

Tabella 14.4
Transizione progressiva da un macrociclo di forza massima a uno di potenza (la forza massima viene
mantenuta con una sessione d’allenamento specifica)

*Incluso un giorno per il test dell’1RM


**Sessione di mantenimento della forza massima

La tabella 14.4 rappresenta un esempio nel quale, nel terzo microciclo di forza massima, tutte le tre
sessioni d’allenamento sono dedicate allo sviluppo di tale capacità. Nei seguenti microcicli, però, le sedute
di forza massima sono ridotte, mentre quelle di potenza sono incrementate. Ne risulta che, durante il
macrociclo di potenza, due delle tre sessioni d’allenamento sono dedicate alla potenza e una alla forza
massima, in modo da mantenere i miglioramenti ottenuti nella fase precedente.

Un altro metodo per passare dalla fase di forza massima a quella di conversione in forza specifica è creare
diverse combinazioni di serie tra la forza massima e, ad esempio, la potenza, come illustrato nella tabella
14.5, che propone anche un modo alternativo per mantenere la forza massima durante il macrociclo di
potenza. Per facilità di spiegazione, presumiamo che ogni microciclo includa tre sessioni di allenamento
della forza, con cinque serie per ciascuno degli esercizi fondamentali. In questa opzione, durante la fase di
potenza, si esegue un numero inferiore di serie per la forza massima in ciascuna delle sessioni
d’allenamento, al fine di mantenerne i livelli.
Tabella 14.5
Transizione progressiva da un macrociclo di forza massima a uno di potenza (la forza massima viene
mantenuta utilizzando serie dedicate in ogni sessione)

*Serie di mantenimento della forza massima

La transizione da un tipo d’allenamento all’altro può essere pianificata anche in maniera più elaborata,
come illustrato nella tabella 14.6. Questa tabella mostra la periodizzazione della forza, il numero di
sessioni settimanali, la durata di ciascuna fase e la transizione dell’enfasi da un tipo di forza all’altro. In
questo caso, per il nuoto sincronizzato, l’allenamento della forza del core (muscoli addominali, delle anche
e della regione lombare) è stato mantenuto per tutta la durata del piano annuale. Un programma ben
organizzato dovrebbe includere nel piano annuale anche indicazioni sulle modalità con le quali un certo
metodo di allenamento è utilizzato e per quanto tempo. In questo modo il preparatore pianifica i metodi
più appropriati per ciascuna fase di allenamento, indicando, oltre alla durata di ciascuna di esse, anche il
metodo dominante.
Tabella 14.6
Transizione tra i diversi tipi di forza per il nuoto sincronizzato

Legenda: AA = adattamento anatomico, Ce = cessazione, M = mantenimento, ME = resistenza muscolare, M×S = forza


massima, P = potenza

La tabella 14.7 illustra come possano essere pianificati i metodi d’allenamento. L’esempio si riferisce a uno
sport ipotetico, per il quale la potenza sia l’abilità dominante. Come sempre, la parte superiore della
tabella mostra le fasi dell’allenamento, sotto le quali si trova la riga della periodizzazione della forza.
Nella parte inferiore della tabella sono enumerati diversi metodi. Sono utilizzati tre tipi di simboli a
indicare il livello di priorità di ciascun metodo, a seconda del periodo.
La linea continua indica che il metodo ha la priorità più alta, la linea tratteggiata indica una priorità
secondaria e quella punteggiata rappresenta la priorità terziaria. Ad esempio, durante la fase di
adattamento anatomico, l’allenamento a circuito è il metodo dominante. All’inizio della fase di forza
massima è il metodo dei carichi submassimali a prevalere e durante l’ultima parte della fase di forza
massima è quello dei carichi massimi. Per l’allenamento della potenza, la tabella include il metodo
balistico e la pliometria (spiegati più avanti in questo capitolo). La linea punteggiata delle prime fasi
mostra che, all’interno di esse, questi metodi sono di priorità terziaria.

Tabella 14.7
Esempio ipotetico di pianificazione dell’integrazione dei metodi d’allenamento della forza per uno sport di
potenza

Sono utilizzati due tipi di simboli ad indicare il livello di priorità di ciascun metodo, a seconda del periodo. La linea
tratteggiata indica che il metodo ha la priorità più alta, e quella punteggiata rappresenta la priorità secondaria. Ad
esempio, durante la fase di adattamento anatomico, l’allenamento a circuito è il metodo dominante. All’inizio della fase di
forza massima è il metodo dei carichi submassimali a prevalere e durante l’ultima parte della fase di forza massima, è
quello dei carichi massimi. Per l’allenamento della potenza, la tabella include il metodo balistico e la pliometria (spiegati
più avanti in questo capitolo). La linea punteggiata delle prime fasi mostra che, all’interno di esse, questi metodi sono di
priorità secondaria.

DECELERAZIONE-ACCELERAZIONE: LA CHIAVE DI VOLTA DELL’AGILITÀ

Per cambiare rapidamente direzione, un atleta deve prima rallentare il proprio movimento. In altre
parole, il cambio di direzione prevede due fasi: una fase di decelerazione seguita da una fase di
accelerazione. La decelerazione, o rallentamento fino quasi a fermarsi, è eseguita per mezzo della
contrazione eccentrica (in allungamento) degli estensori del ginocchio (quadricipiti), degli estensori
dell’anca (ischiocrurali, glutei) e dei flessori plantari (gastrocnemio). L’energia elastica
immagazzinata nell’unità muscolo-tendinea durante la decelerazione viene poi usata per iniziare
l’accelerazione.
Un elevato livello di rapidità e di agilità può essere sviluppato migliorando la forza e la potenza dei
muscoli della gamba (in particolar modo del gastrocnemio) e della coscia (quadricipiti,
semimembranoso, semitendinoso, capo lungo del bicipite femorale e glutei). La possibilità di
decelerare e accelerare rapidamente si basa soprattutto sulla capacità di questi muscoli di contrarsi
velocemente, sia nella fase eccentrica, sia nella fase concentrica. In particolare, la decelerazione
(strettamente correlata con la forza eccentrica) sembra essere il fattore determinante e allo stesso
tempo limitante per la prestazione. Inoltre, l’esecuzione delle fasi decelerazione-accelerazione è
lenta se la potenza non è allenata in modo adeguato.
Un atleta dovrebbe imparare a decelerare e accelerare usando una tecnica specifica che coinvolga
non solo gli arti inferiori, ma anche le braccia. Nel caso della decelerazione, gli arti superiori sono
coordinati con quelli inferiori, ma con un arco di movimento e una forza ridotti. In altre parole, le
braccia fanno un leggero movimento che influisce sulla decelerazione. Una repentina
decelerazione, tuttavia, dipende inevitabilmente dalla forza delle gambe. Si vuole decelerare
rapidamente? Se è così, allora bisogna migliorare la forza (specialmente quella eccentrica) degli
estensori del ginocchio, degli estensori dell’anca e dei flessori plantari.
L’accelerazione, d’altro canto, è fortemente influenzata dall’azione delle braccia. In particolare, per
un atleta che inizia la fase di accelerazione in uno scatto, un movimento agile o uno che richieda
movimenti rapidi dei piedi, le braccia si muovono con leggero anticipo. Se gli arti inferiori devono
muoversi velocemente, la controspinta delle braccia deve essere particolarmente energica, eseguita
altrettanto rapidamente. Inoltre, maggiore è la spinta contro il terreno (che è legata alla forza
concentrica), più potente è la forza di reazione che agisce nel verso opposto. Bisogna ricordarsi
della terza legge di Newton: a ogni azione vi è una reazione uguale e contraria. Durante la fase di
propulsione, pertanto, un atleta esercita una forza sul terreno, il quale a sua volta genera
contemporaneamente una forza uguale e contraria sull’atleta stesso. Di conseguenza, per
massimizzare la capacità di scattare velocemente, è necessario sviluppare un alto livello di forza
massima e sviluppare la potenza per generare tale forza nel più breve tempo possibile (quello
relativo al tempo di contatto).

14.2 METODI PER L’ALLENAMENTO DELLA POTENZA

Durate la fase di potenza possono essere impiegati diversi metodi di allenamento. Normalmente, in questa
fase si usa una combinazione dei metodi isotonico, balistico, di potenza con sovraccarichi e pliometrico. Le
seguenti sezioni descrivono questi metodi e come applicarli in un piano di allenamento periodizzato.

Metodo isotonico

L’allenamento tipico della potenza è quello che richiede di spostare un peso con la massima accelerazione
e con più forza possibile per un dato range di movimento in un esercizio. Quindi, dei buoni mezzi
d’allenamento per sviluppare la potenza sono i pesi liberi e quelle macchine con le quali si possono
realizzare movimenti esplosivi. La resistenza esterna, nel metodo isotonico, è data dal peso dell’attrezzo.
La forza necessaria per superare l’inerzia di un bilanciere, cioè per muoverlo, è definita “forza applicata”.
Tanto più la tale forza supera la resistenza esterna, tanto maggiore è l’accelerazione del carico.

Se un atleta principiante applica una forza equivalente al 95% di 1RM a un bilanciere caricato con il 100%
di 1RM, egli sarà incapace di generare qualsiasi accelerazione. Se lo stesso atleta, però, allena la forza
massima per uno o due anni, le sue capacità incrementeranno così tanto che quel peso equivarrà poi
soltanto al 40-50% del massimale. L’atleta sarà allora in grado di muovere il bilanciere in maniera
esplosiva e generare l’accelerazione che è necessaria per incrementare la potenza. Questa differenza
spiega perché la periodizzazione della forza richieda un periodo di allenamento della forza massima prima
di quella di potenza. Non è possibile, infatti, incrementare la potenza senza dei netti guadagni di forza
massima.
Un alto livello di forza massima è necessario anche per la parte iniziale di un sollevamento o di un lancio.
Un bilanciere, così come un attrezzo, ha una certa inerzia, costituita dalla sua massa o peso. La parte più
difficoltosa nel sollevare un bilanciere o nel lanciare un attrezzo in maniera esplosiva è proprio quella
iniziale. Per superare l’inerzia l’atleta deve raggiungere un elevato livello di tensione dei muscoli coinvolti.
Ne consegue che, maggiore è il livello di forza massima, più facilmente si supererà l’inerzia e più
esplosiva potrà essere la parte iniziale del movimento. Come l’atleta continua ad applicare forza contro il
bilanciere o l’attrezzo, egli ne incrementa la velocità. Man mano che si sviluppa più velocità, la forza
necessaria per mantenerla diminuisce. Aumentarla in maniera continua significa che anche la velocità
degli arti aumenta. Questo incremento è possibile soltanto se l’atleta può contrarre i muscoli
rapidamente; questa è la ragione per la quale coloro che praticano gli sport di velocità e di potenza
devono enfatizzare l’allenamento di quest’ultima durante la fase di conversione. Senza l’allenamento della
potenza, un atleta non sarà mai capace di saltare più in alto, correre più velocemente, lanciare più lontano
o assestare un pugno più velocemente. Per migliorare egli avrà bisogno non solo della forza massima,
dovrà anche essere capace di esprimere un alto livello di forza in maniera rapida, un’abilità che può
essere raggiunta soltanto attraverso i metodi d’allenamento della potenza.

Durante il ciclo di allenamento della forza massima, l’atleta si abitua a utilizzare sovraccarichi elevati.
L’impiego di carichi tra il 30 e l’80% di 1RM tipici della fase di potenza, invece, contribuisce a sviluppare
forza molto rapidamente, in forma specifica, consentendo di allenare allo stesso tempo l’elevata
accelerazione necessaria.

Per la maggior parte degli sport caratterizzati da movimenti ciclici (come la velocità, gli sport di squadra o
gli sport da combattimento di striking, dove domini l’elemento della velocità), il carico per il metodo
isotonico dovrebbe essere nel rango del 30-50%. Per gli sport aciclici (come i lanci, il sollevamento pesi e
il gioco di linea nel football americano) il carico deve essere comunque più alto (50-80%), perché questi
atleti hanno una massa corporea superiore e devono vincere una resistenza esterna più alta. Infatti, i
miglioramenti in potenza sono molto specifici in termini di velocità angolare e carico; per questo motivo
bisogna scegliere il carico in funzione della resistenza esterna che deve essere vinta. Nella tabella 14.8 è
possibile trovare i parametri di carico per la potenza.

Durata allenamento ciclo di 3–6 settimane


Discipline cicliche: 30–50% di 1RM
Carico Discipline acicliche: 50–80% di 1RM
Numero di esercizi 3–6
Discipline cicliche: 5–8 ripetizioni al 30–40% di 1RM, 3–6 ripetizioni
al 40–50%
Discipline acicliche: 5-6 ripetizioni al 50–70% di 1 RM, 1–5 ripetizioni
Numero di ripetizioni per serie al 70–80% di 1 RM
Numero esercizio di serie per 3–6*
Discipline cicliche: 1–2 min per il 30–40% di 1RM, 2–3 min per il 40–
50%
Tempo di recupero Discipline cicliche: 2–4 min
Velocità d’esecuzione Esplosiva
Frequenza settimanale 2 o 3

Tabella 14.8
Parametri di allenamento per il metodo isotonico

*Il numero di serie più basso per il numero più alto di esercizi e viceversa

Bisogna considerare che appena un’articolazione si avvicina alla sua massima estensione, il sistema
nervoso attiva naturalmente i muscoli antagonisti per rallentare il movimento. Allo stesso tempo,
l’esercizio diviene solitamente più vantaggioso dal punto di vista biomeccanico con l’aprirsi
dell’articolazione (poiché è richiesta una minor applicazione di forza). Per queste ragioni è consigliabile
l’utilizzo della “resistenza variata”, cioè elastici o catene, quando si usino i carichi più bassi (30-50%).
Infatti, alcuni studi hanno mostrato che la resistenza variata incrementa ulteriormente i guadagni in
potenza nel caso che si usino carichi bassi (Rhea et al. 2009).

Bisogna ricordare, però, che l’utilizzo degli elastici è particolarmente stressante per il SNC: questo
significa che l’allenatore dovrà adeguare i tempi di recupero tra le serie e la frequenza di questo tipo di
allenamento. Inoltre, poiché la chiave dell’allenamento della potenza non è nel numero delle ripetizioni
possibili, ma nella capacità di attivare velocemente il più alto numero di unità a contrazione rapida, è
consigliato un ridotto volume (1-8 ripetizioni).
Gli atleti devono anche porre attenzione alla propria sicurezza. L’estensione di un arto deve avvenire in
modo fluido. In altre parole, gli esercizi devono essere eseguiti in maniera esplosiva, ma senza strappare il
bilanciere o l’attrezzo. Una tecnica perfetta è fondamentale.

Per quegli sport con movimenti aciclici (per esempio, i lanci, i salti, i tuffi, le azioni di lancio e battuta nel
cricket o nel baseball, le azioni di linea del football americano), le ripetizioni devono essere eseguite con
un certo tempo di recupero tra esse, in modo che l’atleta possa concentrarsi al massimo al fine di eseguire
il movimento più dinamico possibile. Questa strategia migliora anche il reclutamento delle unità motorie a
contrazione rapida e l’espressione di potenza (Gorostiaga et al. 2012). L’atleta può fare una ripetizione alla
volta, fintanto che essa è eseguita in maniera esplosiva, in modo da raggiungere il massimo reclutamento
delle unità motorie a contrazione rapida e una frequenza di scarica superiore.

Quando egli non può più eseguire la ripetizione in modo esplosivo, deve fermarsi, anche se la serie non è
stata completata. Continuare con il movimento senza la massima esplosività determina la sollecitazione
della potenza resistente (concetto spiegato alla fine di questo capitolo) anziché della potenza. Soltanto la
combinazione della massima concentrazione e di un’azione esplosiva produce il maggior reclutamento di
unità motorie a contrazione rapida e la più alta frequenza di scarica possibile; questi elementi cruciali
sono otenibili soltanto quando l’atleta è relativamente fresco.

Durante il tempo di recupero, indipendentemente del fato che l’atleta stia lavorando sulla potenza o sulla
potenza resistente, egli dovrebbe provare a rilassare i muscoli precedentemente coinvolti.

Rilassarsi durante il recupero aumenta la sintesi di ATP-PC, contribuendo così a rifornire della benzina
necessaria i muscoli che lavorano.
Questa raccomandazione non significa che l’atleta debba eseguire lo stretching dei muscoli coinvolti, cosa
che di fatto ne diminuirebbe il power output nella serie successiva. L’allungamento dei muscoli agonisti,
quindi, dovrebbe essere evitato tra le serie.

Gli esercizi per l’allenamento della potenza dovrebbero essere specifici, in modo da replicare le catene
cinetiche utilizzate nell’attività sportiva e il loro range articolare. Per questo motivo è possibile capire che
la panca piana e la girata al petto con incastro alto (power clean), sebbene siano utilizzati
tradizionalmente come esercizi per l’allenamento della potenza, non siano magici in sé e per sé!

La girata al petto con incastro alto (maggiore applicazione della forza verticale; movimento aciclico) è
utile per i saltatori, i lanciatori dell’atletica leggera e per i linemen del football americano, ma non
necessariamente per gli atleti in sport come il calcio o di racchetta. Questi atleti farebbero meglio a usare
gli swing con le ketlebell pesanti (maggiore applicazione della forza orizzontale e movimento ciclico).

La selezione di un ridotto numero di esercizi (3-6) permette all’atleta di eseguire il numero di serie più
alto realisticamente possibile (da 3 a 6 per esercizio, per un massimo di 18 serie in una sessione), al fine
di allenare in misura maggiore i muscoli motori principali. Nel momento di decidere il numero delle serie
e degli esercizi, i preparatori atletici dovrebbero ricordarsi che l’allenamento della potenza è
programmato contemporaneamente all’allenamento tecnico e tattico. Per questo motivo a esso deve
essere dedicato soltanto un certo ammontare di energie disponibili.

Un elemento chiave nello sviluppo della potenza con il metodo isotonico è la velocità di esecuzione. Per
ottenere il maggior miglioramento possibile della potenza, l’accelerazione impressa deve essere la più alta
possibile.

Un’applicazione esplosiva della forza contro l’attrezzo o il bilanciere per tutto l’arco del movimento
dell’esercizio è essenziale e deve iniziare già dalla prima parte del movimento stesso. Per muovere il
bilanciere o un attrezzo immediatamente e dinamicamente, l’atleta deve essere concentrato al massimo
sull’obiettivo.

La tabella 14.9 mostra un esempio di programma d’allenamento della potenza per una giocatrice di basket
universitaria con un’esperienza d’allenamento della forza di quattro anni. La massima potenza meccanica
è solitamente raggiunta al 55% di 1RM (+/-5%) per gli esercizi di forza (Baker, D., Nance, S., & Moore,
M., The load that maximizes the average mechanical power output during explosive bench press throws in
highly trained athletes. 2001, J Strength Cond Res, 15(1), 20-24) e con circa l’85% per i sollevamenti
olimpici (Garhammer 1989). Una perdita di potenza avviene solitamente verso la sesta ripetizione di una
serie (Baker e Newton 2007).

Tabella 14.9
Esempio di un programma di allenamento della potenza (le tre settimane di carico di un macrociclo) per
una giocatrice di una squadra di basket universitario con un’esperienza di quattro anni d’allenamento
della forza

Il metodo balistico
La forza muscolare può essere applicata in diversi modi e contro diverse resistenze. Quando la resistenza
è uguale alla forza applicata dall’atleta, non si ha movimento: questo è un esercizio isometrico. Se la
resistenza è inferiore alla forza applicata dall’atleta, il bilanciere o la macchina si muovono lentamente o
velocemente: questo esercizio è isotonico.
E se la forza applicata dall’atleta supera nettamente la resistenza esterna (per esempio, una palla
medicinale), si ha un movimento molto dinamico, nel quale il corpo dell’atleta o l’attrezzo sono proiettati:
questo è un esercizio balistico.

Al fine di sviluppare la potenza, la forza muscolare di un atleta può essere applicata rapidamente contro
attrezzi come i pesi dell’atletica leggera, le palle medicinali, i bilancieri, le kettlebell o gli elastici. Il
movimento che ne risulta si realizza in maniera esplosiva, perché la forza dell’atleta supera di molto la
resistenza dell’attrezzo. Per questo motivo l’impiego di tali strumenti per migliorare la potenza è chiamato
metodo balistico.

Durante un’azione balistica, la forza dell’atleta è applicata in maniera dinamica contro la resistenza,
dall’inizio alla fine del movimento. L’attrezzo è quindi proiettato per una distanza proporzionale alla
potenza applicata contro di esso. Per tutto l’arco del movimento l’atleta deve applicare un livello di forza
considerevole, in modo da accelerare l’attrezzo in maniera continuativa, culminando nel rilascio. Per
proiettare l’attrezzo alla massima distanza possibile, l’atleta deve raggiungere la massima velocità al
momento del rilascio. Un’applicazione veloce, balistica, della forza è possibile come risultato di un rapido
reclutamento delle unità motorie a contrazione rapida, di un’alta frequenza di scarica e di un’efficace
coordinazione dei muscoli agonisti e antagonisti. Dopo anni di pratica, un atleta può contrarre i muscoli
agonisti generando alti livelli di tensione, mentre i muscoli antagonisti raggiungono un alto livello di
rilassamento. Questo livello superiore di coordinazione intermuscolare massimizza la capacità di
esprimere forza rapidamente da parte dei muscoli agonisti, dal momento che gli antagonisti non
esercitano alcuna opposizione alla rapida contrazione dei primi.

A seconda degli obiettivi di allenamento, gli esercizi balistici possono essere programmati dopo il
riscaldamento o alla fine della sessione. Per esempio, se è stato programmato del lavoro tecnico-tattico,
allora lo sviluppo della potenza sarà un obiettivo secondario. Ma per gli eventi nei quali velocità e potenza
sono dominanti (come gli sprint o le arti marziali), le esercitazioni per la potenza possono essere
programmate immediatamente dopo il riscaldamento, specialmente nella parte finale della fase
preparatoria, grazie al loro effetto stimolatorio sul sistema nervoso. Nella tabella 14.10 sono sintetizzati i
parametri per un programma di allenamento balistico.

Carico che permetta al corpo o all’attrezzo di essere


Carico
proiettato
Numero di esercizi 2–6
Numero di ripetizioni per serie 5-6
Numero di serie per sessione 2–6*
Tempo di recupero 2–3 min
Velocità d’esecuzione Esplosiva
Frequenza di allenamento 2–4

Tabella 14.10
Parametri di allenamento per il metodo balistico

*Il numero di serie più basso per il numero più alto di esercizi e viceversa

Un SNC ben riposato può inviare impulsi nervosi più potenti per far contrarre rapidamente i muscoli
interessati. È altrettanto vero che quando l’SNC e i muscoli sono esausti, vige uno stato inibitorio, in cui il
reclutamento delle unità motorie rapide è minore. Per questo motivo è evidente quale sia il problema nel
far eseguire un lavoro intensivo prima dell’allenamento della potenza: le scorte d’energia dell’atleta (ATP-
PC) saranno esaurite e le unità motorie a contrazione rapida saranno attivate difficilmente. Ne risulta che
i movimenti saranno eseguiti senza esplosività.

La velocità d’esecuzione è fondamentale nelle esercitazioni balistiche. Ogni ripetizione deve iniziare in
maniera dinamica e l’atleta deve provare a incrementare la velocità in modo costante fino all’avvicinarsi
del rilascio o della fine del movimento. Questo sforzo permette il reclutamento di un alto numero di unità
motorie a contrazione rapida. L’elemento critico qui non è il numero di ripetizioni. Come detto prima,
l’atleta non deve eseguire molte ripetizioni per migliorare la potenza; al contrario, il fattore determinante
è la velocità d’esecuzione, che a sua volta è dettata dalla velocità con cui i muscoli si contraggono. Per
questo motivo gli esercizi dovrebbero essere eseguiti sempre in modo esplosivo. Le ripetizioni si devono
arrestare nel momento in cui la velocità declina.
L’esplosività e la velocità di un esercizio sono garantite da un elevato reclutamento delle unità motorie a
contrazione veloce e da un’alta frequenza di scarica. All’affaticarsi delle fibre rapide, la velocità
diminuisce. Continuare l’attività dopo che la velocità è diminuita è inutile, poiché non vi è un
reclutamento massimo delle unità motorie a contrazione rapida e quelle che sono attivate si adattano a
diventare più lente: un risultato non auspicabile per gli atleti che vogliano migliorare la potenza. Quindi,
la plasticità dell’SNC può lavorare a favore o contro l’obiettivo di allenamento. Per essere efficaci, gli
adattamenti devono portare a un miglioramento della prestazione sportiva.

Il carico utilizzato nell’allenamento balistico è dettato dalle misure standard degli attrezzi. Le palle
medicinali pesano da 1 a 12 chilogrammi, mentre le power ball arrivano fino a 16 kg.

Come per altri metodi per lo sviluppo della potenza, il numero degli esercizi nel caso del metodo balistico
deve essere il più basso possibile, cosicché gli atleti possano eseguire un numero di serie elevato, al fine
di ottenere un guadagno in potenza massimo. Anche con questo metodo gli esercizi devono simulare le
tecniche specifiche. Se tale simulazione non è possibile, il preparatore deve scegliere gli esercizi che
coinvolgano i muscoli motori principali.
Come per qualsiasi metodo utilizzato per lo sviluppo della potenza, i tempi di recupero devono essere tali
da permettere un recupero completo, cosicché l’atleta possa esprimere la stessa qualità in ognuna delle
serie programmate.

Di fato, dato che molti esercizi balistici richiedono l’assistenza di un compagno, un breve intervallo di
recupero tra le ripetizioni è spesso dettato dalle necessità. Per esempio, un pallone medicinale deve
essere recuperato da terra e bisogna rimettersi nella posizione di partenza. In questi frangenti possono
passare 15-20 secondi, nei quali il primo atleta ha modo di recuperare. Per questa ragione, con il metodo
balistico, volendo è possibile eseguire più ripetizioni per serie che con altri metodi per la potenza.

La frequenza settimanale del metodo balistico dipende dal periodo della stagione. Nella fase finale del
periodo di preparazione generale, la frequenza deve essere bassa (uno o due allenamenti settimanali),
mentre può essere più alta durante la fase di conversione (due-quattro sessioni). Si deve anche tener
conto del tipo di sport o di evento. La frequenza è più alta per gli sport di potenza e di velocità rispetto ad
altri per i quali la potenza è d’importanza secondaria. La tabella 14.11 mostra un esempio di programma
che combina il metodo balistico con esercizi per l’accelerazione. Questo programma è stato utilizzato con
successo da giocatori di football americano, baseball, lacrosse, calcio e hockey.

Tabella 14.11
Esempio di programma di allenamento che combina esercizi balistici con esercizi per la massima
accelerazione

*Con un carico più pesante rispetto alla settimana precedente

Il metodo della potenza contro resistenza


Questo metodo rappresenta una tripla combinazione dei metodi isotonico, isometrico e balistico. Per
comprenderlo meglio, viene descritto un esercizio in cui si applica questo concetto. L’atleta è supino, con
le ginocchia piegate, per eseguire un sit-up. Un partner gli tiene i piedi a contatto con il terreno e il
preparatore è in piedi dietro di lui. L’atleta inizia il sit-up. Quando raggiunge approssimativamente un
quarto della flessione dell’anca (135-140 gradi), il preparatore gli appoggia il palmo della mano sul peto o
sulle spalle, fermandone il movimento. A questo punto l’atleta è in uno stato di contrazione statica
massimale; nel provare a superare la resistenza opposta dal preparatore, egli recluta tutte o quasi le unità
motorie. Dopo tre o quattro secondi, il preparatore rimuove le mani e la contrazione statica massimale è
convertita in un movimento dinamico balistico per il resto del sit-up. L’atleta, quindi, ritorna alla posizione
di partenza e recupera 10-20 secondi prima di eseguire un’altra ripetizione.

Le parti più importanti di questo metodo sono la contrazione isometrica massimale e la seguente azione
balistica. Il movimento di tipo balistico, con la sua rapida contrazione muscolare, determina lo sviluppo
della potenza. Le azioni impiegate in questo metodo sono simili a quelle di una catapulta. L’azione
isotonica iniziale deve essere eseguita lentamente. Nel momento dell’arresto la contrazione isometrica
massimale rappresenta un alto pretensionamento (fase di caricamento) dei muscoli coinvolti. Nel caso del
sit-up, nel momento del rilascio del tronco, esso è catapultato in avanti (la fase balistica). Qualsiasi altro
movimento che duplichi le fasi precedenti può essere categorizzato sotto il metodo balistico, con effetti
simili sullo sviluppo della potenza.

Esercizi simili di potenza contro resistenza possono essere eseguiti per una varietà di altri movimenti, tra
i quali:
◊ trazioni alla sbarra - l’atleta esegue una prima flessione dei gomiti e a un certo arco del movimento
l’allenatore arresta l’azione per alcuni secondi; ne segue un’azione dinamica;
◊ parallele - l’atleta esegue una prima estensione dei gomiti e a un determinato angolo l’allenatore
arresta l’azione per alcuni secondi; ne segue un’azione dinamica;
◊ squat jump senza sovraccarico - l’atleta flette le ginocchia, dopodiché l’allenatore arresta l’azione
per alcuni secondi; ne segue un’azione dinamica;
◊ squat con sovraccarico – occorre posizionare le prime due barre di sicurezza a un’altezza che
consenta di lavorare all’angolo del ginocchio e dell’anca al quale si vuole realizzare l’azione
isometrica (solitamente un angolo di mezzo squat). Bisogna poi posizionare le altre due barre
(quelle di partenza) uno-tre buchi più in basso. L’atleta spinge contro le barre poste sopra, per due-
quattro secondi, dopodiché uno o due compagni le rimuovono per permettere l’azione dinamica;
◊ panca piana - posizionare una panca all’interno di un power-rack; fissare le prime due barre di
sicurezza a un’altezza alla quale il bilanciere sfiori appena il peto e le altre due barre uno-due
buchi più in alto. L’atleta spinge contro le barre per due-quattro secondi, dopodiché uno o due
compagni le rimuovono per permettere l’azione dinamica;
◊ lanci della palla medicinale con rotazione del tronco - l’atleta esegue una rotazione verso dietro e
mentre torna in avanti è arrestato per due-quattro secondi; l’azione balistica che segue culmina
con il rilascio della palla medicinale. Lo stesso concetto può essere applicato a quasi tutti i lanci
con le palle medicinali.

Un altro tipo di stimolazione della potenza può essere effettuato attraverso l’allenamento isotonico con
l’alternanza dei carichi (conosciuto anche come “metodo a contrasto”). In questo caso l’atleta esegue
prima 1-3 ripetizioni con un carico pari all’80-90% di 1RM, poi esegue immediatamente 5-6 ripetizioni con
un carico ridotto (30-50%). Le ripetizioni con i carichi elevati stimolano il sistema neuromuscolare
(attivazione post-sinaptica), permettendo così all’atleta di eseguire le ripetizioni a carico ridotto in modo
molto esplosivo. Questo metodo può essere utilizzato con una grande varietà di esercizi, come le trazioni
alla panca o le distensioni su panca piana. Bisogna ricordare, però, che nei movimenti che coinvolgono
gomiti e ginocchia si deve evitare un’azione di frustata che può causare danni alle articolazioni.
Il carico per il metodo della potenza contro resistenza dipende dall’esercizio eseguito. Nella fase
isometrica la contrazione dovrebbe durare da due a quattro secondi o il tempo necessario a raggiungere
la massima tensione. Negli esercizi per i quali la resistenza è fornita da un bilanciere, il carico dovrebbe
essere dell’80-90% di 1RM per la fase stimolatoria e del 30-50% per la fase esplosiva. Nella scelta degli
esercizi bisognerebbe tenere conto della direzione dell’applicazione della forza dei muscoli motori
principali durante i gesti specifici. Per massimizzare i guadagni in potenza, il numero degli esercizi
dovrebbe essere basso (da 2 a 4), cosicché l’atleta possa eseguire un maggior numero di serie (3-5).
L’allenamento di potenza contro resistenza può essere eseguito separatamente o in combinazione con altri
metodi per l’allenamento della potenza. I parametri di carico sono sintetizzati nella tabella 14.12.

Carico In funzione dell’esercizio


Numero di esercizi 2–4
Numero di ripetizioni per serie 3–6
Numero di serie per esercizio 3–5*
Tempo di recupero 2–4 min
Velocità d’esecuzione Esplosiva
Frequenza settimanale 1 o 2
Tabella 14.12
Parametri di carico per l’allenamento della potenza contro resistenza

*Il numero di serie più basso per il numero più alto di esercizi e viceversa

Metodo pliometrico

Sin dall’antichità gli atleti hanno sperimentato una moltitudine di metodi che li facessero correre più
velocemente, saltare più in alto e lanciare più lontano. Per raggiungere tali obiettivi la potenza è
essenziale. I guadagni di forza possono essere trasformati in potenza soltanto con un allenamento
specifico per il suo sviluppo. Forse uno dei metodi di maggior successo per l’allenamento della potenza è
l’allenamento pliometrico.

La pliometria impiega esercizi che sfruttano il ciclo allungamento-accorciamento, cioè il riflesso miotatico.
Questi esercizi sono caratterizzati da una fase eccentrica rapida (allungamento), seguita immediatamente
da una fase concentrica esplosiva (accorciamento). La ricerca ha dimostrato che se un muscolo è
allungato rapidamente prima di una contrazione, esso si contrae con più forza e rapidità (Bosco e Komi
1980; Schnidtbleicher 1984; Verkhoshansky 1997). Per esempio, abbassando rapidamente il centro di
gravità per fare un salto, l’atleta allunga i muscoli in maniera rapida, fenomeno che risulta in una
contrazione più potente.

L’azione pliometrica si basa sul riflesso miotatico, che origina nel midollo spinale. La funzione specifica del
riflesso miotatico è quella di limitare l’allungamento dei muscoli al fine di evitare dei danni strutturali. Il
movimento pliometrico si basa sulla contrazione riflessa delle fibre muscolari che sono state allungate in
maniera rapida. Infatti, quando vi è un allungamento eccessivo e un potenziale danno imminente, i
recettori dell’allungamento (nei fusi neuromuscolari) inviano impulsi nervosi propriocettivi verso il
midollo spinale. Questi impulsi vengono inviati nuovamente verso i fusi e producono un effetto di
frenaggio che evita che le fibre si allunghino ulteriormente, attraverso una potente contrazione
muscolare.

Perciò, gli esercizi pliometrici si fondano su complessi meccanismi neurali. Nella preparazione fisica, si
ricercano quegli adattamenti del sistema nervoso che permettono l’incremento della forza e della potenza
(Sale 1986; Schnidtbleicher 1992). Come è già stato spiegato, gli adattamenti neurali possono infatti
incrementare la forza di un muscolo senza accrescere la sua sezione trasversa (Dons et al. 1979; Komi e
Bosco 1978; Sale 1986; Tesch et al. 1990).

L’allenamento pliometrico causa cambiamenti neurali e muscolari che facilitano e aumentano l’esecuzione
di movimenti più rapidi e potenti. L’SNC controlla la forza muscolare regolando l’attività delle unità
motorie; se c’è bisogno di generare una forza più alta, sono reclutate più unità motorie, con una frequenza
di scarica alta. In questo contesto, un aumento dell’attività elettromiografica a seguito di un programma
d’allenamento indica una delle seguenti tre possibilità: un incremento dell’attivazione delle unità motorie;
più unità motorie si contraggono con un’alta frequenza dei treni d’impulsi; una combinazione dei due
fattori (Sale 1992). I benefici dell’allenamento pliometrico includono un’attivazione maggiore delle unità
motorie a contrazione rapida e, cosa ancor più importante, una frequenza di scarica più alta.

La parte contrattile del muscolo è costituita dalle fibre muscolari; le componenti elastiche in serie non
contrattili, invece, sono costituite dai tendini. L’allungamento dei tendini durante l’azione eccentrica
produce energia potenziale elastica simile a quella di una molla caricata. Questa energia si somma a
quella generata dalle fibre muscolari: una sinergia che è visibile nei movimenti pliometrici. Quando un
muscolo è allungato rapidamente, vengono allungate anche le componenti elastiche in serie, che
accumulano parte della forza di carico come energia potenziale. Il recupero di tale energia avviene nella
fase concentrica, potenziata dal riflesso miotatico.

Nell’allenamento pliometrico un muscolo si contrae con più forza e con maggior rapidità data la posizione
di prestiramento e più veloce è tale stiramento, più forte è l’azione concentrica. La tecnica corretta è
essenziale. Ad esempio, in un salto l’atleta deve atterrare con le gambe leggermente piegate per evitare
infortuni all’articolazione del ginocchio. La contrazione concentrica dovrebbe avvenire subito dopo il
completamento della fase di prestiramento. La transizione dallo stato di prestiramento alla contrazione
deve essere la più fluida e rapida possibile. Un aumento del tempo di contato indica un affaticamento
indotto da un eccesso di allenamento reattivo (Gollhofer et al. 1987).

L’allenamento pliometrico produce i seguenti risultati:


◊ il reclutamento di tutte, o quasi, le unità motorie;
◊ una maggiore frequenza di scarica dei motoneuroni;
◊ la trasformazione della forza muscolare in potenza;
◊ l’adattamento del sistema nervoso atto a reagire con la massima velocità allo stiramento di un
muscolo, che si traduce nell’abilità dell’atleta di contrarre i muscoli con la massima forza e
rapidamente;
◊ il miglioramento della forza esplosiva con un incremento della grandezza delle sole fibre muscolari
a contrazione veloce (Hakkinen e Komi 1983), cosa che indica un miglioramento dell’efficienza
neuromuscolare;
◊ l’inibizione degli organi tendinei del Golgi, che consente lo sviluppo di una tensione muscolare più
alta nel momento dell’atterraggio e favorisce contrazioni muscolari più potenti, migliorando
l’espressione di potenza (Schmidtbleicher 1992).

Un atleta può progredire più velocemente attraverso i vari livelli d’intensità della pliometria se possiede
una solida base di allenamento della forza, di qualche anno.

Questo lo aiuterà anche a prevenire gli infortuni. Inoltre, nell’intento di stabilire una buona base di forza e
migliorare la capacità di atterraggio e assorbimento dell’urto, non si dovrebbero sottovalutare i benefici
della pliometria (a basso impatto) in età giovanile. In ogni caso, questi esercizi devono essere svolti per
più anni, rispettando il principio di progressività del carico. Sicuramente, la pazienza e una progressione
ben pianificata sono elementi chiave di questo approccio.

Una progressione dell’allenamento adeguata per l’età giovanile prevede una prima esposizione a esercizi
pliometrici a bassa intensità (livello 5 e 4) per alcuni anni (12-15 anni). Dopo questo periodo iniziale
possono essere introdotti salti reattivi di maggiore intensità (livello 3). Durante tutti questi anni di
progressione a lungo termine, gli allenatori e i preparatori devono insegnare ai giovani atleti la corretta
tecnica della pliometria usando, tra gli altri, l’hop e lo step del salto triplo come base dell’allenamento
specifico.
Gli esercizi pliometrici sono oggetto di alcune discussioni. Una di queste riguarda il livello di forza che
dovrebbe essere sviluppato prima di fare pliometria. Alcuni autori definiscono un livello sufficiente quello
equivalente a due volte il peso corporeo nel mezzo squat, ma questo standard si applica soltanto agli
esercizi pliometrici di livello 1. Altre discussioni riguardano il tipo di superficie, il tipo di attrezzatura o se
si debbano usare dei sovraccarichi (come bilancieri, giubbotti zavorrati o cavigliere).

Per prevenire gli infortuni, soprattutto nella fase iniziale, gli esercizi pliometrici dovrebbero essere
eseguiti su una superficie morbida, come l’erba, un fondo morbido o dei materassini. Queste precauzioni
vanno bene per atleti principianti o che abbiano appena iniziato la preparazione. Tuttavia utilizzare una
superficie morbida può ridurre il riflesso miotatico; soltanto una superficie dura massimizza la reattività
del sistema neuromuscolare. Quindi gli atleti con molta esperienza di allenamento alle spalle e in
particolare di allenamento della forza, o entrambi, dovrebbero utilizzare una superficie dura,
specialmente dalla fase di preparazione specifica in poi.

Le esercitazioni pliometriche non dovrebbero essere eseguite con bilancieri, manubri, cavigliere o
giubbotti zavorrati. Questi sovraccarichi tendono a diminuire l’abilità reattiva del sistema
neuromuscolare, incrementando il tempo d’accoppiamento (il passaggio dall’azione eccentrica a quella
concentrica) e, ancora più importante, rallentando l’azione concentrica stessa. Quindi, sebbene tali
sovraccarichi possano permettere un aumento della forza, essi rallentano la velocità di contrazione e
l’effetto di rimbalzo. Se si vuole aumentare il carico eccentrico, si può fare utilizzando le cadute in basso
da un plinto alto.
Per progettare correttamente un programma pliometrico, gli allenatori e i preparatori devono tenere in
conto che, per favorire la progressione nel tempo, gli esercizi sono raggruppati per zone di intensità. Il
livello di intensità è direttamente proporzionale all’altezza di caduta o alla durata di un esercizio. Gli
esercizi pliometrici ad alta intensità, come i depth jump o i drop jump, generano una tensione muscolare
più alta, che permette di reclutare più unità motorie per eseguire l’azione o per resistere alla forza
gravitazionale.
Gli esercizi pliometrici possono essere divisi in due gruppi principali, che riflettono il grado di impatto sul
sistema neuromuscolare: a bassa e ad alta intensità (tempi di contatto inferiori o superiori a 250 ms). Dal
punto di vista pratico, gli esercizi pliometrici possono essere divisi in cinque livelli di intensità (tabella
14.13).

Questa classificazione può essere impiegata, oltre che per la progressione di fase in fase, anche per
alternare i livelli di intensità all’interno della settimana di allenamento.

Qualsiasi pianificazione in cui si vogliano includere gli esercizi pliometrici deve prendere in
considerazione i seguenti fattori:
◊ età e sviluppo fisico dell’atleta;
◊ tecnica di esecuzione degli esercizi pliometrici;
◊ fattori di prestazione principali dello sport;
◊ profilo bioenergetico dello sport;
◊ fase di allenamento nel piano annuale;
◊ necessità, per gli atleti principianti o in età giovanile, di rispettare la progressione metodologica sul
lungo periodo (da due a quattro anni), progredendo dalla bassa intensità (livelli 5 e 4) alla media
(livello 3) e, infine, all’alta intensità (livelli 2 e 1).

Sebbene gli esercizi pliometrici siano divertenti, essi richiedono un alto livello di concentrazione e bisogna
sempre ricordare che sono vigorosi e stressanti, talvolta in modo ingannevole. È importante, quindi, dare
tempo all’organismo per recuperare e adattarsi e non anticipare gli esercizi ad alto impatto. In tali casi i
dolori articolari e muscolari o gli infortuni che ne risultano non sono colpa degli esercizi pliometrici, ma
piuttosto sono il risultato della mancanza di conoscenza e dell’applicazione inadeguata dell’allenatore e
del preparatore atletico.

I cinque livelli di intensità servono ad aiutare i preparatori a pianificare un programma che includa gli
esercizi giusti per ciascuna fase del piano annuale, seguendo una progressione coerente e ordinata, con i
tempi di recupero adeguati.
Tabella 14.13
I cinque livelli d’intensità degli esercizi pliometrici

La progressione attraverso tutti e cinque i livelli di intensità è raggiunta nel lungo periodo. In età
giovanile sono necessari dai due ai quattro anni di esercizi a basso impatto per permettere l’adattamento
progressivo dei legamenti, dei tendini e delle ossa. Questa progressione permette anche la graduale
preparazione delle strutture scheletriche deputate all’assorbimento degli urti, come le gambe, le anche e
la colonna vertebrale.

La tabella 14.14 illustra una progressione dell’allenamento della forza e della potenza nel lungo periodo
per gli atleti in età giovanile, che include anche l’allenamento pliometrico. I preparatori dovrebbero
osservare l’età consigliata per l’introduzione degli esercizi pliometrici, così come le linee guida secondo le
quali gli esercizi ad alto impatto dovrebbero essere introdotti soltanto dopo quattro anni di allenamento.

Questo è il tempo necessario per imparare e consolidare la tecnica corretta e per permettere un
progressivo adattamento anatomico. Dopodiché possono essere introdote le esercitazioni pliometriche ad
alta intensità.

L’intensità delle esercitazioni pliometriche, che in termini fisiologici equivale alla tensione creata nei
muscoli, dipende dal carico eccentrico dell’esercizio, che è normalmente determinato dall’altezza dalla
quale avviene la caduta. Per questo motivo i salti sui plinti hanno una bassa intensità anche quando si
utilizzano plinti di 110 cm, poiché il carico eccentrico è minimo.
Sebbene l’altezza impiegata debba essere determinata in base alle qualità individuali dell’atleta, bisogna
tenere a mente il seguente principio generale: più forte è un muscolo, maggiore è l’energia richiesta per
allungarlo in modo da avere l’effetto elastico nella fase di accorciamento. Quella che è un’altezza ottimale
per un atleta, potrebbe quindi non esserlo per un altro.

Tabella 14.14
Sviluppo della forza a lungo termine e progressione dell’allenamento della forza

Idealmente, infatti, si dovrebbe impiegare un tappeto a conduttanza (come il tappeto di Bosco) o un


accelerometro triassiale con giroscopio (Push Band, GymAware, Beast, Microgate Gyko), per determinare
l’altezza ottimale per l’effetto di allenamento della potenza desiderato. Per esempio, l’altezza ottimale per
il depth jump è quella che permette il salto reattivo più alto, mentre l’altezza ottimale per il drop jump è
l’altezza del plinto che permette il salto reattivo più alto con un tempo di contato a terra inferiore ai 250
ms. Questa differenza implica che il depth jump e il drop jump, apparentemente uguali all’occhio
inesperto, non solo hanno diversi obiettivi d’allenamento, ma dovranno essere impiegati in differenti
momenti del piano annuale. Quindi, le informazioni sulle altezze che seguono, così come le informazioni
nella tabella 14.13, devono essere considerate solo come linee guida.

Secondo Verkhoshansky (1969), per migliorare gli incrementi della forza dinamica (potenza), l’altezza
ottimale del depth jump per gli atleti di potenza dovrebbe essere tra 75 e 110 cm. Bosco e Komi (1980)
hanno riportato valori simili, concludendo che oltre i 110 cm la meccanica d’azione è alterata; infatti, a
tali altezze, il tempo e l’energia richiesti per assorbire la forza della caduta rendono l’allenamento
pliometrico inutile. Più in generale, bisogna che gli atleti inizino con plinti bassi e progrediscano fino a
usare quelli più alti. La maggior parte dei soggetti massimizza il proprio salto reattivo con un plinto da 40
a 50 cm e solamente gli atleti più forti hanno bisogno di un plinto di 75 o più centimetri.

In termini di ripetizioni, le esercitazioni pliometriche rientrano in due categorie: acicliche o cicliche. Le


esercitazioni della prima categoria consistono in un’azione singola, come un drop jump (livello 2), nella
quale lo scopo principale è indurre il più alto livello di tensione muscolare. L’obiettivo di tali esercizi è lo
sviluppo della massima forza e della potenza.

Gli esercizi ciclici, come i salti sugli ostacoli bassi (livello 4) o medi (livello 3) o i jump squat (livello 2),
hanno come obiettivo lo sviluppo della potenza così come quello della potenza resistente.

Spesso, specialmente per gli esercizi ciclici per la potenza resistente, è più pratico e conveniente
utilizzare una distanza anziché il numero delle ripetizioni; per esempio, 5 serie di 50 m anziché 5 serie di
25 ripetizioni. Questo approccio aiuta a misurare la qualità neuromuscolare dell’atleta e i suoi progressi.

Un allenamento di alta qualità richiede un recupero fisiologico adeguato tra gli esercizi. Spesso, però,
allenatori e atleti pongono poca attenzione alla durata dei tempi di recupero, o, semplicemente, si rifanno
alla tradizione in un dato sport, che spesso impone che l’unico tempo di recupero richiesto sia quello
necessario a muoversi da una stazione all’altra. In realtà, questo intervallo spesso non è sufficiente,
specialmente considerando le caratteristiche fisiologiche dell’allenamento pliometrico.

L’affaticamento deriva da due componenti: la fatica muscolare locale e la fatica del SNC. La fatica
muscolare locale è determinata dalla deplezione delle riserve di energia nei muscoli (ATP-PC, la benzina
necessaria a eseguire movimenti esplosivi) e dall’accumulo dell’acido lattico dovuto a serie intense di
durata superiore ai 10 secondi. Durante l’allenamento gli atleti affaticano anche il SNC, il sistema che
invia segnali ai muscoli per eseguire una determinata quantità di lavoro di alta qualità. L’allenamento
pliometrico si fonda su questi impulsi nervosi, caratterizzati da potenza e frequenza precise. Ogni
allenamento di alta qualità richiede il più alto livello possibile di potenza e frequenza di contrazione.

Quando il tempo di recupero è breve (1-2 minuti), l’atleta accumula affaticamento, sia locale, sia a livello
del SNC. I muscoli che lavorano sono incapaci di rimuovere l’acido lattico e di ripristinare le scorte
energetiche in maniera sufficiente da eseguire le ripetizioni successive alla stessa intensità. Allo stesso
modo, un SNC affaticato è incapace di inviare gli impulsi nervosi potenti, necessari ad assicurare che il
numero di ripetizioni e delle serie prescrite sia completato sempre con la stessa qualità. Inoltre, un atleta
affaticato è più soggetto a infortuni; quindi i preparatori e gli atleti dovrebbero porre la massima
attenzione ai tempi di recupero.

Come suggerito nella tabella 14.13, il tempo di recupero appropriato è in funzione del carico e del tipo di
allenamento pliometrico eseguito: maggiore l’intensità dell’esercizio, maggiore la durata del tempo di
recupero. Di conseguenza, per le esercitazioni a intensità massima (salti reattivi con cadute dall’alto), il
tempo di recupero tra le serie dovrebbe essere da 3 a 8 minuti, a seconda della massa e del genere
dell’atleta: tempi di recupero più lunghi per gli atleti maschi pesanti e tempi di recupero più brevi per le
atlete femmine di peso inferiore. L’intervallo suggerito per l’intensità di livello 2 è di 3-6 minuti; per i
livelli 3 e 4 dovrebbe essere di 2-5 minuti e per le attività a basso impatto (livello 5) 1-3 minuti.

Il tipo d’allenamento eseguito da un atleta deve essere specifico per il proprio sport. Per esempio, gli
atleti il cui sport richiede un maggior grado di potenza orizzontale dovrebbero usare maggiormente i salti
e i balzi orizzontali, mentre quelli il cui sport richiede maggiore potenza verticale dovrebbero eseguire
esercizi di salto verticale. I preparatori dovrebbero considerare anche l’ambiente in cui si realizza
l’allenamento.

Molti studi hanno dimostrato che i riflessi possono essere alterati o modificati usando metodi di
allenamento specifici (Enoka 1994; Schmidtbleicher 1992) e l’allenamento pliometrico è una forma
d’allenamento che induce adattamenti particolari in varie azioni riflesse. Affinché il processo
d’apprendimento riflessivo possa avere transfer sull’attività di gara, l’atleta deve essere nello stesso stato
psicologico e fisiologico di quando l’adattamento riflessivo è stato indotto. Perciò, l’ambiente di
allenamento dovrebbe essere una replica quasi perfetta dell’ambiente di gara.

14.3 APPLICAZIONE SPECIFICA DELL’ALLENAMENTO DELLA POTENZA

La potenza deve essere sviluppata in modo da soddisfare i bisogni di un dato sport, di un certo evento o di
un particolare ruolo di gioco. Per illustrare ulteriormente il bisogno di un’applicazione specifica della
potenza, in questa sezione sono mostrati degli esempi dettagliati. Anche per questi contesti possono
essere applicati molti degli elementi precedentemente descritti riguardo i metodi di allenamento della
potenza.

La potenza resistente

In alcuni sport gli atleti devono applicare un alto livello di potenza ripetutamente. Alcuni esempi
includono la velocità nell’atletica leggera, la velocità nel nuoto, la lotta, taluni ruoli negli sport di squadra,
come il running back del football americano e il lanciatore del baseball.

Gli sprint sono spesso mal interpretati, inclusi quelli che vengono realizzati negli sport di squadra che
richiedono una corsa esplosiva (come il football americano, il basket, il baseball, l’hockey su ghiaccio, il
rugby, il calcio, il football australiano). I velocisti, che coprono i classici 100 m in 10-12 secondi, si sono
allenati a eseguire azioni potenti con gli arti inferiori per l’intera durata della corsa, non solo per l’uscita
dai blocchi e i seguenti sei, otto passi. In una gara di 100 m, un atleta esegue da 48 a 54 passi, in funzione
dall’ampiezza delle falcate; per cui ciascuna gamba realizza 24-27 contatti a terra. In ciascun appoggio al
suolo la forza applicata può essere più di due volte il peso corporeo dell’atleta!

In alcuni sport (football americano, rugby, calcio e football australiano) i giocatori devono ripetere azioni
brevi e potenti con pochi secondi di recupero tra esse. Prestazioni atletiche simili sono richieste anche
nelle arti marziali, nella boxe, nella lotta e negli sport di racchetta. Gli atleti che gareggiano in tali sport
devono eseguire azioni potenti in maniera continua e ripetuta. Per essere efficienti, essi devono esprimere
un alto power output e avere la capacità di ripeterlo 20, 30 volte (fino anche a 60), il più dinamicamente
ed esplosivamente possibile. La formula per l’allenamento della potenza resistente è

HV × HI

dove HV rappresenta l’alto volume delle ripetizioni eseguite in maniera esplosiva, veloce e rapida, ad alta
intensità (HI), utilizzando esercizi il più possibile simili agli schemi motori specifici. Gli atleti con un alto
livello di potenza resistente hanno la capacità di mantenere la frequenza della falcata e la velocità fino
alla fine di una gara, oppure hanno un livello di espressione di potenza stabile per tuta la partita, a
seconda del tipo di caratteristiche che essi hanno allenato specificamente per la propria attività sportiva.

C’è una differenza tra un giocatore di football che ripete molti scatti per tuta la durata di una partita e un
velocista che mantiene un power output elevato per 50 passi? Sì. Dal punto di vista fisiologico il giocatore
di football ripete un’attività di potenza alattacida, spesso senza un tempo di recupero sufficiente a
ripristinare le scorte di ATP-PC.

Per questo il giocatore si troverà a operare all’interno della definizione della “potenza lattacida breve”. Il
velocista, invece, utilizza la potenza anaerobica alattacida per la prima parte della gara (i primi 6-8
secondi), per poi sollecitare sempre di più la potenza lattacida lunga all’avvicinarsi della linea d’arrivo.
Per questa ragione diciamo che sia il giocatore di football, sia il velocista hanno bisogno di potenza
resistente; però, sia fisiologicamente, sia metodologicamente, i due tipi di espressione differiscono l’uno
dall’altro.
La potenza resistente è un’abilità determinante in diversi sport e la forza massima è un fattore
fondamentale per essa. Questa sezione descrive la metodologia d’allenamento per lo sviluppo di questa
qualità.

Per allenare adeguatamente la potenza resistente si richiede che l’atleta utilizzi un carico dal 30 al 50%
del proprio massimale, per 12-30 ripetizioni consecutive ed esplosive. Il volume adeguato può essere
raggiunto in maniera progressiva: per gli sport che richiedono potenza resistente breve (la maggior parte
degli sport di squadra), bisogna utilizzare un basso numero di ripetizioni (5 o 6) e progredire verso un più
alto numero di serie. Per gli sport che richiedono potenza resistente lunga, si può iniziare con un basso
numero di ripetizioni (10-12) e progredire verso il numero di ripetizioni sport-specifico (per esempio, 15
per uno specialista dei 100 m o 30 per un velocista che corra i 200 m).

Nella prima parte della fase di conversione, il sistema neuromuscolare è allenato per esprimere il più alto
livello di potenza possibile. Contemporaneamente, gli atleti dovrebbero incrementare la rapidità di
esecuzione dei gesti specifici, al fine di aumentare il più possibile la frequenza di scarica verso le unità
motorie a contrazione veloce. Più avanti nella fase di conversione, ai fini dell’incremento della potenza
resistente, il sistema neuromuscolare deve essere allenato a gestire la fatica e le fibre a contrazione
rapida a sopportare l’accumulo di acido lattico indotto dalle potenti azioni protratte nel tempo.
L’allenamento sarà quindi volto allo sviluppo della componente della resistenza della velocità o della
potenza, tipica dello sport preso in esame. Questo obiettivo è raggiunto con l’incremento progressivo delle
serie o delle ripetizioni. Questa progressione richiede una grande forza di volontà per superare la fatica e
raggiungere una concentrazione mentale ottimale prima di ogni serie. La durata consigliata di questa fase
è di sei settimane, ma talvolta può essere ridotta a quattro; un programma che sia più breve di questo,
tuttavia, è insufficiente per raggiungere gli obiettivi fisiologici determinanti.

Per poter eseguire un elevato numero di serie per i muscoli motori principali, il numero di esercizi deve
essere molto basso (due o quattro, più raramente cinque). Ciascuna ripetizione di una serie deve essere
eseguita in modo esplosivo. Il tempo di recupero tra le serie o tra “le serie di serie” deve essere da tre a
otto minuti per permettere il recupero del SNC.

Durante questo tipo di lavoro gli atleti sperimentano un alto livello di accumulo di acido lattico; questa è
una delle ragioni per le quali il numero di ripetizioni esplosive deve essere alto: perché gli atleti imparino
a tollerare l’accumulo di lattato e a esprimere potenza in questa condizione. Senza tale allenamento essi
non potrebbero avere una prestazione di successo in gara. Questo metodo allena anche il SNC a
mantenere un’alta frequenza di scarica per un tempo prolungato, nonostante l’affaticamento muscolare
risultante. Come detto, la velocità di esecuzione delle ripetizioni deve essere sempre dinamica ed
esplosiva. Spesso gli atleti hanno bisogno di qualche settimana di allenamento della potenza resistente
prima di essere in grado di eseguire da 20 a 30 ripetizioni esplosive ininterrottamente. Nel frattempo essi
si dovrebbero fermare quando non sono più in grado di eseguire una ripetizione fluida e potente, poiché, a
quel punto, non starebbero più allenando le qualità specifiche. Se non si segue questa regola,
l’allenamento della potenza e della potenza resistente incrementerà la massa muscolare anziché il tasso di
sviluppo della forza. Nella tabella 14.15 sono indicati i parametri di allenamento per la potenza resistente.
La tabella 14.16 mostra un esempio di programma di quattro settimane per uno specialista dei 100 m e la
tabella 14.17 per un atleta di sport di squadra, utilizzando il metodo delle serie di serie.
Tabella 14.15
Parametri di allenamento della potenza resistente

Tabella 14.16
Esempio di un programma di quattro settimane per un centometrista
Tabella 14.17
Esempio di programma “serie di serie” da quattro settimane per un atleta di sport di squadra

Atterraggio e potenza reattiva

In molti sport, l’atterraggio non è solo un’abilità importante, ma è anche seguito dall’esecuzione di un
altro gesto motorio: ad esempio, un altro salto nel pattinaggio artistico oppure un rapido movimento verso
un’altra direzione nel tennis e in molti sport di squadra. Pertanto, l’atleta ha bisogno sia della potenza
necessaria a controllare l’atterraggio che della potenza reattiva per eseguire rapidamente l’azione
successiva.

La potenza richiesta per controllare e assorbire l’impatto di un atterraggio è legata all’altezza della
caduta. Ad esempio, un atterraggio in seguito a un depth jump tra gli 80 e i 100 centimetri spesso
sovraccarica le articolazioni della caviglia con un carico che corrisponde a sei-otto volte il peso corporeo
dell’atleta. Analogamente, l’assorbimento dell’impatto in seguito a un salto nel pattinaggio artistico
richiede una potenza tale da gestire da cinque a otto volte il peso corporeo. Per controllare tali forze
d’impatto al momento dell’atterraggio, i muscoli dell’atleta devono essere allenati in modo specifico.

L’atterraggio implica una contrazione eccentrica. Senza un allenamento adeguato, l’atleta atterra
scorrettamente, trasferendo il carico dell’impatto sui tessuti elastici dei tendini e sulle strutture articolari,
con un maggiore rischio di infortunio. Con una funzione di prevenzione, l’allenamento dovrebbe includere
contrazioni eccentriche e pliometriche.

Schmidtbleicher (1992) ha specificato che all’istante del contato con il suolo, gli atleti sono soggetti a un
effetto inibitorio. Al contempo, ha notato che quelli ben allenati reagiscono alle forze d’impatto molto
meglio rispetto a quanto non facciano gli atleti scarsamente allenati e che l’effetto inibitorio può essere
eliminato tramite l’allenamento utilizzando i drop jump. L’autore ha concluso che i meccanismi inibitori
rappresentano un sistema protettivo, specialmente per gli atleti principianti, inteso a proteggerli
dall’infortunio.
Per migliorare l’atterraggio e la potenza reattiva, sia le contrazioni eccentriche che quelle concentriche
dovrebbero essere incluse nell’allenamento dell’atleta. L’allenamento della forza eccentrica e quello
pliometrico, principalmente in forma di drop e depth jump, dovrebbero mimare la capacità di atterraggio.
Questi esercizi (anche conosciuti come salti reattivi) vengono eseguiti da una piattaforma rialzata (un box,
una panca, una sedia). L’atleta atterra con gli arti inferiori piegati (ginocchia leggermente flesse) per
assorbire l’impatto. Egli, inoltre, atterra sugli avampiedi con i talloni leggermente sollevati da terra.
Questa tecnica è un requisito per la maggior parte delle attività pliometriche, in quanto toccare con i
talloni indica che il carico è troppo alto per i muscoli estensori di quell’atleta.

Durante la fase di caduta l’atleta adotta una posizione di prontezza a reagire che migliora la tensione
muscolare e le proprietà elastiche. All’atterraggio, specialmente se ci si sta preparando velocemente a
un’altra azione, l’energia è immagazzinata nelle componenti elastiche del muscolo.

Al successivo stacco da terra oppure al repentino cambio di direzione, questa energia prontamente
disponibile viene rilasciata e sommata al riflesso da stiramento, il quale consente di reclutare più unità
motorie a contrazione rapida rispetto al tipico allenamento della forza. Questo processo permette
immediatamente di eseguire un’altra azione rapida ed esplosiva. I riflessi (incluso il riflesso dei fusi
muscolari) sono allenabili e un programma di allenamento ben periodizzato può migliorare i salti reattivi
dell’atleta.

Potenza di lancio

Per un lanciatore nel baseball, un quarterback nel football americano oppure un lanciatore nell’atletica
leggera, la potenza di lancio è generata principalmente dalle unità motorie a contrazione rapida.
Maggiore è il diametro delle fibre di un soggetto, maggiore è la velocità con la quale si contraggono.
Analogamente, più unità motorie vengono coinvolte durante una contrazione, maggiore è la potenza che
l’atleta utilizzerà per lanciare un attrezzo.

Lanciatori e atleti in sport come la scherma e il pugilato devono sviluppare una considerevole potenza al
fine di accelerare l’attrezzo o l’equipaggiamento. Essi spesso devono vincere l’inerzia di un attrezzo o di
una parte di equipaggiamento con la maggior velocità possibile sin dall’inizio del movimento e
incrementarla in seguito, specialmente prima del rilascio. A tal fine, devono applicare una forza che superi
di gran lunga la resistenza dell’attrezzo: maggiore è la forza superiore al peso dell’attrezzo, più facile sarà
accelerarlo. Una maggiore accelerazione, quindi, richiede maggiore forza massima e potenza. Come
risultato, gli atleti i cui sport richiedano la potenza di lancio devono implementare in modo corretto le fasi
di allenamento della forza massima e della potenza.

L’allenamento specifico della potenza per le discipline e per i gesti di lancio deve focalizzarsi sulla
massima applicazione della forza e utilizzare metodi isotonici e balistici. Per quanto riguarda i metodi
isotonici, le ripetizioni (da tre a otto) non vanno eseguite in modo continuo. Infatti, per avere i maggiori
benefici nella contrazione esplosiva durante i movimenti aciclici, nei quali la maggior parte delle unità
motorie veloci viene reclutata volontariamente all’unisono, gli atleti dovrebbero eseguire una ripetizione
alla volta, raggiungendo la massima concentrazione mentale prima di ognuna, possibilmente utilizzando
resistenze variabili (bilanciere più elastici o catene).

Potenza di stacco

In molti sport, una buona performance è possibile solo se l’atleta è in grado di eseguire uno stacco
esplosivo. Alcuni esempi includono le gare di salto nell’atletica leggera, il salto con gli sci, la pallavolo, il
basket, il calcio, la ginnastica, il pattinaggio artistico e i tuffi. In molti casi lo stacco viene eseguito dopo
brevi distanze percorse ad alte velocità, durante le quali i muscoli subiscono un prestiramento e
immagazzinano energia. Allo stacco questa energia viene utilizzata come accelerazione di spinta,
producendo quindi un salto potente.
La profondità dell’abbassamento necessario nell’istante della flessione delle articolazioni dipende dalla
composizione delle fibre e dalla potenza degli arti inferiori. Un maggiore abbassamento del centro di
gravità richiede una forza degli estensori degli arti inferiori più grande, ma il tempo di applicazione della
forza aumenta in proporzione maggiore, per cui la potenza espressa risulta inferiore. L’abbassamento
consente ai muscoli di avere una maggior distanza per accelerare per lo stacco, con più tempo per
generare forza. La profondità dell’abbassamento è, quindi, inversamente proporzionale alla potenza degli
arti inferiori ed è solitamente determinata dalla composizione delle fibre dei muscoli estensori (a parità di
salto, atleti con maggior numero di fibre a contrazione rapida accosciano più velocemente e meno
profondamente). Se il piegamento è troppo grande, il salto nel suo complesso è eseguito più lentamente,
anche se non necessariamente può risultare in un salto basso.

Potenza inziale

La potenza iniziale è una caratteristica essenziale e spesso decisiva negli sport nei quali la velocità
all’inizio delle azioni determina il risultato finale. Sport di questo tipo includono il pugilato, il karate, la
scherma, gli sprint (dai blocchi), gli sport di squadra, che richiedono accelerazioni energiche in posizione
eretta. Le caratteristiche fisiologiche fondamentali per una performance di successo in queste situazioni è
la capacità di iniziare il movimento esplosivamente reclutando il più alto numero possibile di unità motorie
a contrazione rapida.
Nello sprint la partenza è eseguita con i muscoli in posizione di prestiramento (entrambe le ginocchia e le
anche flesse), dalla quale possono generare un livello superiore di potenza rispetto a quando sono rilassati
o accorciati. In questa posizione le componenti elastiche dei muscoli immagazzinano energia potenziale
che agisce come una molla al suono della pistola. La potenza degli atleti di livello nazionale è veramente
alta alla partenza: oltre 130 chilogrammi per la gamba anteriore e oltre 100 chilogrammi per la gamba
posteriore. Potenze maggiori permettono una partenza più veloce ed esplosiva.
Nel pugilato e nelle arti marziali l’esecuzione di un’azione rapida e potente in partenza impedisce
all’avversario di rispondere con un’efficace azione difensiva. Azioni rapide e partenze potenti dipendono
dalle componenti elastiche e reattive del sistema neuromuscolare. Queste abilità possono essere
massimizzate attraverso un allenamento della potenza più specifico durante la fase di conversione, la
quale migliora il riflesso da stiramento di un muscolo e aumenta il reclutamento delle fibre a contrazione
rapida.

Tali aspetti, che rappresentano la chiave per iniziare un movimento rapido e potente, possono essere
allenati con esercizi isotonici, balistici e in particolare pliometrici e maxex (capitolo 13). Possono essere
eseguiti in serie di movimenti ripetuti oppure separatamente. Nell’ultimo caso, gli esercizi in una serie
vengono eseguiti uno alla volta, così che l’atleta abbia abbastanza tempo per raggiungere la massima
concentrazione mentale per eseguirli nel modo più esplosivo possibile. Queste condizioni consentono di
reclutare un alto numero di unità motorie a contrazione rapida; in questo modo l’atleta può eseguire
l’azione con la più maggiore potenza disponibile.

Potenza di accelerazione

Nello sprint, nel nuoto, nel ciclismo, nel canottaggio e nella maggior parte degli sport di squadra, il
miglioramento della performance richiede all’atleta di sviluppare la sua capacità di accelerare per
raggiungere velocità maggiori. A tal fine è fondamentale sviluppare la potenza, senza la quale un atleta
non può eseguire le spinte energiche contro il terreno richieste nella corsa oppure vincere la resistenza
del liquido negli sport acquatici. La potenza, quindi, è una qualità biomotoria essenziale in ogni sport che
richieda forti accelerazioni.
Nello sprint, ad esempio, la forza applicata a terra è da due a tre volte quella del peso corporeo
dell’atleta. Nel canottaggio il rematore deve mantenere una pressione di taglio costante che va dai 40 ai
60 chilogrammi per colpo in acqua, al fine di mantenere un’accelerazione elevata. In tutti gli sport che
richiedono potenza di accelerazione, l’azione energica rilevante dev’essere eseguita ripetutamente e
molto rapidamente. In queste situazioni, più forza viene applicata al terreno - oppure maggior differenza
che intercorra tra la massima forza dell’atleta e la resistenza dell’acqua – maggiore sarà l’accelerazione.

Per raggiungere elevate accelerazioni, quindi, è essenziale applicare alti livelli di forza. Poiché questa
abilità biomotoria viene sviluppata durante la fase di forza massima, i risultati devono essere sia
mantenuti, sia convertiti in potenza attraverso i metodi della fase di allenamento della potenza specifica.
Più specificamente, i metodi isotonico, balistico, di potenza resistente e pliometrico possono aiutare
l’atleta a generare gli impulsi nervosi che attivano un grande numero di unità motorie a contrazione
rapida. Questa attivazione gli permette di applicare un’elevata potenza di accelerazione.
Questi metodi possono essere utilizzati sia con un basso numero di ripetizioni (da una a sei), eseguiti
esplosivamente e con un’alta frequenza, sia singolarmente, una ripetizione alla volta. Nel primo caso
l’obiettivo è lo sviluppo della potenza ciclica, nel secondo caso è la potenza aciclica, nella quale la
componente elastico-reattiva della forza non viene utilizzata. I metodi devono essere utilizzati entrambi,
perché gli atleti negli sport che richiedono potenza di accelerazione devono saper eseguire azioni
acicliche e azioni cicliche ad alta frequenza. Applicando la periodizzazione della forza, si aumentano la
probabilità di raggiungere questi effetti, così come la capacità di raggiungere il picco di potenza di
accelerazione nel momento giusto per le competizioni principali.

Potenza di decelerazione

In molti sport, specialmente in quelli di racchetta e di squadra, la decelerazione è importante tanto quanto
l’accelerazione. I giocatori degli sport di squadra devono essere capaci di accelerare e correre il più
rapidamente possibile al fine di poter eseguire azioni repentine, come superare un avversario oppure
prepararsi a ricevere un passaggio. In alcuni di essi - ad esempio, il calcio, il basket, il lacrosse e l’hockey
su ghiaccio - gli atleti hanno bisogno anche della capacità di decelerare rapidamente, per cambiare poi
altrettanto velocemente la loro direzione oppure per saltare ed eseguire un gesto specifico, come andare a
rimbalzo dopo un tiro a canestro. Spesso un’atleta che riesce a decelerare velocemente crea un vantaggio
tattico.

La decelerazione necessita di arti inferiori forti e una buona biomeccanica; inoltre, eseguire una rapida
decelerazione può richiedere di generare una forza nei muscoli degli arti inferiori superiore a due volte il
peso corporeo. La decelerazione è eseguita attraverso la contrazione eccentrica della muscolatura. Essa è
facilitata posizionando i piedi in avanti rispetto al centro di gravità e lasciando la parte superiore del
corpo dietro di esso. I muscoli sviluppati per decelerare repentinamente la velocità dopo uno sprint fanno
affidamento sulle loro componenti elastiche, che permettono di ammortizzare e ridurre le forze d’impatto.
La capacità di ammortizzare queste forze richiede potenza e gradi di flessione dell’anca e del ginocchio
simili a quelli necessari per assorbire l’impatto durante l’atterraggio.

Per allenare i muscoli a decelerare rapidamente, gli atleti possono utilizzare diversi metodi, per esempio
le contrazioni eccentriche e la pliometria. Per le contrazioni eccentriche, il metodo della forza massima
deve essere applicato con progressione dai carichi medi a quelli sovramassimali. Per la pliometria, dopo
qualche anno di continua progressione passando da esercizi a basso a esercizi ad alto impatto, l’atleta può
utilizzare i drop e depth jump.
14.4 CONVERSIONE A RESISTENZA MUSCOLARE

Per quanto l’allenamento della forza possa essere intensivo o comprensivo, esso non potrà mai produrre
adattamenti adeguati - o il risultante effetto positivo d’allenamento - a meno che non sia indirizzato verso i
bisogni fisiologici specifici dello sport in questione.

Anche se molti specialisti dell’allenamento saranno d’accordo con quest’affermazione, spesso i programmi
di allenamento della forza sono inadeguati per gli sport e le discipline nelle quali la resistenza è
dominante o rappresenta una componente importante. Questi programmi sono ancora ingiustificatamente
influenzati dai metodi di allenamento del bodybuilding e del sollevamento pesi olimpico. In ogni caso,
anche se eseguire 20 ripetizioni potrebbe rappresentare quello che nel bodybuilding è considerato
resistenza muscolare, tale regime di allenamento è decisamente inadeguato per sport come il nuoto di
media e lunga distanza, il canottaggio, il kayak, il pugilato, la lotta libera, lo sci di fondo, il pattinaggio di
velocità e il triathlon, i quali presentano tutti una componente di resistenza aerobica dominante.

D’altra parte, se un atleta utilizza solo programmi di allenamento della forza con basse ripetizioni e
carichi submassimali (70% di 1 RM) o massimali (ben oltre l’80%), si verificano degli adattamenti specifici
a queste condizioni, riguardanti la produzione dell’energia, il recupero e il funzionamento del sistema
neuromuscolare. Come risultato si otterrà un miglioramento della forza e dell’efficienza del movimento,
ma non della resistenza muscolare. Un programma del genere, quindi, non consente una performance
ottimale negli sport dove la resistenza è dominante.

Come già visto, l’allenamento della forza con carichi elevati attiva le unità motorie a contrazione rapida.
Questo è ben conosciuto, accettato e applicato nell’allenamento della forza per gli sport nei quali velocità
e potenza sono le capacità dominanti. Tuttavia, le attività atletiche di lunga durata richiedono una
tipologia di allenamento differente.

Durante gli eventi di lunga durata, il ritmo è spesso submassimale e quindi la tensione nei muscoli è
minore. Come risultato, il SNC recluta prima le unità motorie specializzate in attività di lunga durata:
ossia le unità motorie a contrazione lenta (fibre di Tipo I) e le unità muscolari a contrazione rapida di tipo
intermedio (fibre di Tipo IIa). Uno degli adattamenti all’allenamento di resistenza determina un uso più
efficiente dei grassi come carburante, permettendo quindi di conservare le riserve di glicogeno e di
disporre e riutilizzare l’acido lattico in maniera più proficua.
A ogni modo, questi adattamenti fisiologici non possono essere raggiunti solamente praticando l’attività
specifica, poiché essa rappresenterebbe uno stimolo monotono e, quindi, l’organismo non sarebbe
stimolato ad adattarsi a un livello più alto. Remare continuamente, per esempio, potrebbe essere uno
stimolo adatto per migliorare la resistenza muscolare, ma non sufficiente per migliorare la prestazione
sportiva.

Al contrario, gli atleti dovrebbero eseguire l’allenamento della forza con elevato numero di ripetizioni,
utilizzando carichi bassi o moderati, ma superiori a quelli che incontreranno nell’attività sportiva
specifica. Questo tipo di lavoro allena le fibre muscolari a contrazione lenta e quelle a contrazione rapida
a rispondere in modo più efficiente alle dinamiche degli sport di resistenza.

Poiché la fatica sembra sopraggiungere per fasi (Wilmore e Costill 1993), quando le fibre a contrazione
lenta (Tipo I) e a contrazione rapida intermedie (Tipo IIa) si affaticano, vengono reclutate anche quelle
rapide (Tipo IIx). Pertanto, l’organizzazione di un programma di allenamento che recluti e massimizzi il
coinvolgimento di tutti e tre i tipi di fibre muscolari è il metodo migliore per aumentare la resistenza
muscolare. Come risultato gli atleti che praticano sport con un’alta componente aerobica dovrebbero
rispettare le seguenti linee guida:
◊ usare metodi di allenamento per la resistenza muscolare di lunga durata per indurre un
adattamento specifico delle fibre muscolari necessarie alle attività sportive di fondo. Meglio
vengono allenate, più a lungo potranno produrre forza specifica in gara;
◊ alternare metodi di allenamento della forza indirizzati alla resistenza muscolare di lunga durata con
metodi per la potenza resistente di breve durata, in modo da reclutare anche le unità motorie a
contrazione rapida (fibre di Tipo IIa e Tipo IIx), le quali si adatteranno anch’esse alle attività di
lunga durata;
◊ usare metodi di allenamento specifici per la resistenza - come lunghi intervalli (molte ripetizioni
continue dai 10 ai 30 minuti) e allenamento sulle lunghe distanze - per rendere più efficiente l’uso
degli acidi grassi liberi come carburante e incrementare l’efficienza cardiovascolare.

L’allenamento di resistenza migliora anche la capacità ossidativa delle fibre a contrazione rapida, le quali
aumentano il numero di mitocondri e gli enzimi ossidativi. Come risultato, l’organismo farà più
affidamento sui grassi (acidi grassi liberi) per la produzione di ATP, che costituiscono la maggior riserva di
energia (Wilmore and Costill 1993).

Come già analizzato, un programma di allenamento della forza per gli sport di resistenza richiede carichi
leggermente più alti di quelli incontrati in competizione. Richiede, inoltre, un elevato numero di ripetizioni
che raggiungano la durata dell’evento. Utilizzare questi parametri allena sia il sistema nervoso, sia i
sistemi metabolici a gestire meglio la fatica in condizioni specifiche. I tratti fisiologici dell’allenamento
strutturato in questo modo ricalcano molto quelli della competizione. Fortunatamente, il sistema
neuromuscolare è capace di adattarsi a qualsiasi tipo di allenamento.

L’importanza della forza massima per gli sport di resistenza aumenta in proporzione alla resistenza
esterna. Ad esempio, i nuotatori sui 400 metri si muovono a una velocità maggiore dei nuotatori sui 1500
metri.

Per generare una maggiore velocità, essi devono opporre contro la resistenza dell’acqua una forza
maggiore di quella dei nuotatori sui 1500 metri. Di conseguenza, la forza massima è più importante per i
primi che per i secondi.

In entrambi i casi, comunque, la forza massima deve essere migliorata di anno in anno, affinché essi
possano coprire la loro distanza più velocemente. Un tale incremento è possibile solamente se i nuotatori
migliorano la resistenza metabolica specifica e aumentano la forza utilizzata per opporsi alla resistenza
dell’acqua. Solo l’aumento di questa forza permette una maggiore propulsione in acqua. La convinzione
che l’allenamento della forza massima renda lenti i nuotatori a causa della bassa velocità delle contrazioni
è errata. In realtà, lo sviluppo della forza massima è l’unico modo per adattare il sistema neuromuscolare
al reclutamento di più unità motorie in qualsiasi sportivo, fornendo quindi una solida base sulla quale
migliorare la resistenza muscolare.

Quest’ultima può essere incrementata in modo ottimale attraverso un programma di allenamento della
forza che enfatizzi il numero di ripetizioni eseguite in modo esplosivo, oppure a ritmo costante, in base
alle caratteristiche dello sport. Sia gli esercizi selezionati che il numero delle ripetizioni devono essere
mirati a produrre l’adattamento desiderato in base ai requisiti fisiologici dello sport in questione. Gli atleti
che non utilizzano metodi di allenamento adeguati durante la conversione della forza massima in
resistenza muscolare non possono aspettarsi di avere un transfer positivo dall’allenamento alla
prestazione in gara. Ad esempio, una metodologia presa in prestito dal bodybuilding o dal sollevamento
pesi olimpico, dove 20 ripetizioni sono considerate ottimali, non aiuterà un atleta in uno sport che richiede
200 o più bracciate (ad esempio nuoto, canottaggio, kayak) oppure in una maratona con i suoi 50.000
passi.

In ogni caso, come in tutti i modelli di periodizzazione sport-specifici, il numero di ripetizioni eseguite in
gara non può essere utilizzato immediatamente nel piano di allenamento di un atleta. Al contrario, esso
deve prevedere un incremento graduale del numero di ripetizioni richiesto (a uno specifico carico). La
progressione ottimale è dettata dal tempo disponibile per la fase di resistenza muscolare e dal tempo sotto
tensione sport-specifico per serie. In modo simile, gli aumenti del carico, quando necessari, dovrebbero
essere pari al 2,5-5% da un microciclo all’altro, in quanto incrementi maggiori potrebbero influenzare
negativamente il numero di ripetizioni che l’atleta è capace di eseguire.

Per gli sport di resistenza, le qualità aerobiche e la resistenza muscolare devono essere allenate
contemporaneamente, in giorni separati oppure combinandole nella stessa sessione di allenamento. In
quest’ultimo caso la resistenza muscolare andrebbe allenata al termine della sessione, poiché il lavoro di
resistenza specifica spesso include l’allenamento tecnico.

Gli allenamenti combinati possono essere limitati dalla fatica; pertanto, qualora il volume totale debba
essere diminuito, solitamente avviene a discapito del lavoro di resistenza muscolare.

Ecco di seguito alcuni tipi di allenamento per la resistenza muscolare in vari sport:
◊ resistenza muscolare dinamica (concentrica-eccentrica): sport ciclici (canottaggio, nuoto, ciclismo,
sci di fondo, kayak) e altri sport (sport di racchetta e pugilato);
◊ resistenza muscolare isometrica: sport (vela e automobilismo) nei quali l’atleta deve mantenere una
specifica posizione (una contrazione isometrica) per molti minuti;
◊ resistenza muscolare mista (combinazione dinamica ed isometrica): grappling, brazilian jiu jitsu,
tiro di precisione, tiro con l’arco.

Dato che i diversi sport possono richiedere da pochi secondi a molte ore di attività fisica continua,
l’allenamento della resistenza muscolare deve tener conto di queste differenze. Per un allenamento più
efficace, si può dividere in tre tipi in base alle caratteristiche fisiologiche delle discipline di resistenza:
resistenza muscolare di breve durata, resistenza muscolare di media durata e resistenza muscolare di
lunga durata. Dopo lo studio dei seguenti programmi, gli allenatori dovrebbero sentirsi liberi di adattarli
ai bisogni individuali e al background dei loro atleti, oltre che alle esigenze fisiche specifiche del loro
sport.

Resistenza muscolare di breve durata

Sport con una durata da 30 secondi a due minuti includono alcuni eventi dell’atletica leggera, nuoto,
canottaggio, pattinaggio di velocità e sci. Inoltre, altre discipline richiedono regolarmente un’attività
intensa di questa durata durante una partita o un incontro, come ad esempio nell’hockey su ghiaccio, nel
basket, nel pugilato e nella lotta. Durante questa intensa attività, gli atleti producono alti livelli di acido
lattico - spesso 12-20 millimoli o anche più per litro di sangue - i quali dimostrano che il sistema
energetico anaerobico lattacido è dominante o quanto meno una componente importante della
performance di quello sport. La maggior parte di queste discipline richiede una capacità anaerobica
veramente alta, così come un’ottima potenza aerobica.
Uno degli obiettivi chiave dell’allenamento degli sport di resistenza è allenare gli atleti a tollerare la
fatica; l’allenamento specifico della forza dovrebbe avere lo stesso scopo. All’avvicinarsi della fase
competitiva, l’allenamento della forza per la resistenza muscolare breve deve essere pensato in modo da
mettere a dura prova la capacità degli atleti di tollerare alte quantità di acido lattico, in quanto le fonti di
energia specifiche per l’espressione di questa qualità sono il glucosio ematico e, in particolare, il
glicogeno immagazzinato nei muscoli, nei quali il metabolismo anaerobico determina un accumulo di
acido lattico. Attraverso l’allenamento, l’organismo si adatta a tollerare l’aumento graduale di acido
lattico, grazie all’incremento dell’espressione delle proteine responsabili della sua rimozione e attraverso
la sua utilizzazione come substrato energetico (Billat et al. 2003).

Questo adattamento mette l’atleta nelle condizioni di sopportare lo sforzo richiesto durante la
competizione.
L’allenamento della resistenza muscolare di breve durata produce un debito di ossigeno. Questa
condizione è tipica delle attività nelle quali prevale il sistema energetico anaerobico. Dopo 60-90 secondi
di attività di questo tipo, la frequenza cardiaca può raggiungere i 200 battiti per minuto e la
concentrazione di acido lattico ematica può essere tra le 12 e le 20 millimoli per litro o anche maggiore.
L’allenamento della resistenza muscolare di breve durata (MES) prevede l’esecuzione esplosiva di un certo
numero di ripetizioni a un ritmo molto veloce. Il carico non è particolarmente elevato (30-50% di 1RM),
ma le ripetizioni vengono eseguite ad alta intensità, ossia a una velocità vicina o uguale a quella in
competizione. Per questo motivo, gli atleti dovrebbero utilizzare meno esercizi possibili (da due a sei) al
fine di coinvolgere i muscoli motori primari.

Il numero di ripetizioni può essere definito con precisione; tuttavia, come nell’allenamento intervallato, è
più pratico decidere la durata di ogni serie - dai 15 ai 120 secondi - e la velocità della performance, ritmo
elevato ma costante. Se il numero di esercizi è basso, l’atleta può eseguire da tre a sei serie continue,
oppure due sequenze di due o tre serie. La durata e il numero delle serie devono essere incrementate
progressivamente.

Per favorire il più alto accumulo possibile di acido lattico nel minor tempo possibile, la velocità della
prestazione deve essere esplosiva. Inoltre, al fine di allenare un atleta a tollerare l’aumento graduale del
lattato, il recupero deve essere tale da permettere un alto output di potenza in un ambiente acido (5-20
secondi tra le serie e dai 3 ai 5 minuti tra le sequenze, oppure dai 3 agli 8 minuti tra serie regolari).

I parametri di allenamento per la resistenza muscolare di breve durata sono presentati nella tabella 14.18.
La modalità “serie di serie” allena l’atleta a mantenere alti livelli di potenza nonostante l’accumulo di
acido lattico, mentre l’utilizzo delle serie continue mima la dinamica dell’accumulo di lattato specifica
dell’evento. Un esempio generale di periodizzazione della MES (per corsa sugli 800 metri, 200 metri stile
libero, oppure 1500 metri di pattinaggio) è mostrato nella tabella 14.19; le opzioni possibili sono
rappresentate dalle serie di serie, le quali consentono un maggiore output medio di potenza e dalle serie
continue eseguite per la durata specifica della gara. La tabella 14.20 presenta un esempio di programma
della durata di sei settimane per un nuotatore di livello nazionale sui 100 metri a farfalla (progredendo
dalle serie di serie alle serie continue).

Tabella 14.18
Parametri di allenamento per la resistenza muscolare di breve durata
Tabella 14.19
Esempio generico di periodizzazione della MES per una gara della durata di due minuti

Tabella 14.20
Esempio di programma di sei settimane per un nuotatore di 100 m a farfalla di livello nazionale

Resistenza muscolare di media e lunga durata

La resistenza muscolare di media e di lunga durata sono fattori chiave nel miglioramento della
performance in tutti gli sport nei quali la durata della prestazione sia di più di due minuti. Alcuni esempi
includono il pugilato, la lotta libera, il canottaggio, il nuoto (dai 400 ai 1500 metri), il kayak (dai 1000 ai
10000 metri), il ciclismo su strada, lo sci di fondo, il biathlon e il triathlon. L’allenamento della resistenza
muscolare di media o lunga durata può essere svolto seguendo i principi dell’allenamento intervallato di
lunga durata. Ci si può riferire a questo metodo anche come allenamento intervallato estensivo, dove
estensivo implica un’attività ad alto volume e lunga durata. L’obiettivo principale della resistenza
muscolare è quello di aumentare la capacità dell’atleta di far fronte alla fatica. Tale allenamento migliora
la resistenza aerobica e anaerobica, perché prevede un elevato numero di ripetizioni, spesso più di 100.
Nella parte iniziale della serie continua con molte ripetizioni, l’energia è fornita dal sistema anaerobico.
Questo processo produce un aumento graduale di acido lattico che crea problemi fisiologici e psicologici
per l’atleta che tenta di continuare l’attività. Se egli riesce a continuare il lavoro, l’energia viene fornita
dal sistema aerobico. Quindi, l’allenamento ripetitivo della resistenza muscolare porta a un adattamento
specifico che migliora il metabolismo aerobico locale necessario.

Gli adattamenti fisiologici promuovono un migliore trasporto dell’ossigeno, una superiore produzione di
energia e aumentano la rimozione degli scarti metabolici. Ad esempio, l’allenamento della resistenza
muscolare aumenta la quantità di glicogeno disponibile immagazzinato sia nei muscoli che nel fegato. In
generale, quindi, con questo regime di lavoro muscolare migliora l’efficienza fisiologica.
Dato che l’allenamento della resistenza muscolare impiega carichi relativamente bassi (dal 30 al 50% di
1RM circa), i muscoli incrementano la loro capacità di contrazione a lungo termine, senza evidenti
incrementi nel diametro delle fibre. Solamente un certo numero di unità motorie sono attive alla volta; le
altre restano a riposo e verranno reclutate solo quando quelle utilizzate fino a quel momento sono
affaticate.

Per gli sport nei quali la resistenza muscolare rappresenta un metodo di allenamento determinante, è
importante anche l’incremento della forza massima. Se il diametro di una singola fibra muscolare cresce
in seguito all’allenamento della forza massima, è richiesto un numero minore di unità motorie al fine di
eseguire il medesimo gesto a una data intensità. Inoltre, è stato provato che l’allenamento della forza
massima e l’allenamento pliometrico migliorano l’efficienza del movimento. Questo tipo di riserva di forza
creata utilizzando meno unità motorie è fondamentale e migliora la capacità di un muscolo di produrre
lavoro in modo più efficace.

Dunque, l’allenamento della forza massima non dovrebbe essere minimizzato. Al contrario, entro certi
limiti, dovrebbe essere utilizzato per tutti questi sport sopra menzionati.

In ogni caso, una volta che la preparazione generale è terminata, la ricerca di ulteriori incrementi di forza
invece di mantenere i livelli raggiunti non porta a miglioramenti significativi per gli sport di lunga durata,
come la maratona, e per le discipline che richiedono meno del 30% della forza massima (Hartmann e
Tünnemann 1988).

L’allenamento per la resistenza muscolare di media durata (MEM) è consigliato negli sport nei quali la
durata della competizione è compresa tra 2 e 8 minuti (eventi dominati dalla potenza aerobica), mentre
l’allenamento MEL è consigliato per sport nei quali la durata è di 8 minuti o più (eventi dominati dalla
capacità aerobica). Questa distinzione è necessaria perché la resistenza muscolare di media durata ha una
componente anaerobica maggiore, mentre la resistenza muscolare di lunga durata è chiaramente
aerobica. I programmi per ciascun tipo di resistenza muscolare verranno descritti separatamente nelle
prossime sezioni poiché il carico, la durata delle serie e la velocità di esecuzione sono chiaramente
differenti.

Programmi per la resistenza muscolare di media durata

Questo programma è consigliato per la preparazione di gare la cui durata è compresa tra due e otto
minuti, oppure per competizioni che richiedano comunque un alto livello di potenza aerobica. Può essere
progettato in forma di allenamento a circuito, serie di serie o serie continue. L’allenamento a circuito è
utile per le situazioni nelle quali non è possibile praticare l’allenamento specifico con una frequenza
settimanale adeguata e, quindi, anche gli adattamenti cardiorespiratori devono essere stimolati durante il
tempo dedicato all’allenamento in palestra.

L’approccio con le sequenze è consigliato specialmente nella prima parte di una fase MEM, per gli eventi
con una forte componente anaerobica e per i quali il sistema deve essere allenato per produrre un output
costante ad alti livelli di potenza (corsa sui 1500 metri, nuoto 400 metri, pattinaggio 3000 metri, kayak
1000 metri). Può essere utilizzato anche alla fine della fase MEM per gli sport intermittenti.

L’approccio a serie continue è consigliato nei seguenti casi: per lo sviluppo della resistenza muscolare
locale per le discipline di lunga durata; per la seconda parte della fase MEM, quando le serie devono
raggiungere la durata sport-specifica; per gli sport che richiedono un costante output di potenza e per la
prima parte di una fase MEM per gli sport intermittenti. Per ognuna delle tre opzioni sono riportati degli
esempi.

L’intensità (il carico) utilizzata per l’allenamento della resistenza muscolare di media durata varia dal 30
al 50% di 1RM (vedi tabella 14.21). Durante tutta la fase MEM alcuni parametri vengono mantenuti
costanti: intensità, velocità di esecuzione e il numero di esercizi (maggiore per gli sport nei quali devono
essere allenati molti gruppi muscolari, come il pugilato e la lotta libera, minore per gli sport nei quali
prevalgono i gruppi muscolari della parte superiore o inferiore del corpo, come il pattinaggio di velocità o
il kayak).

La durata della serie, comunque, aumenta ogni settimana oppure ogni due. Il programma è progettato
appositamente per esporre in modo costante l’atleta ad alti livelli di fatica, così che impari a far fronte al
dolore e alla fatica della competizione. Quindi, l’intervallo di recupero tra le serie è breve, al fine di non
consentire il recupero completo.

La tabella 14.22 mostra un esempio generale di periodizzazione della MEM (corsa sui 1500 metri, 400
metri nuoto stile libero, 3000 metri di pattinaggio, oppure 1000 metri kayak) e la tabella 14.23 mostra un
esempio di programma MEM per un wrestler.

Entrambi questi programmi prevedono inizialmente le serie di serie, le quali permettono un maggiore
output medio di potenza, e successivamente le serie continue eseguite secondo la durata della gara. Come
mostrato, la durata e il numero di ripetizioni vengono aumentate progressivamente nel lungo periodo. Per
raggiungere l’adattamento fisiologico in risposta a tale allenamento, la durata della fase di conversione
deve essere di 8-10 settimane.

Tabella 14.21
Parametri di allenamento della resistenza muscolare di media durata

Tabella 14.22
Esempio generico della periodizzazione della MEM per gare la cui durata sia di circa quattro minuti e che
richiedano un costante output di potenza elevato
Tabella 14.23
Programma di transizione dalle serie continue alle serie di serie per un lottatore

L’allenamento a circuito programmato per la resistenza muscolare di media (e anche lunga) durata si può
realizzare con l’utilizzo di un bilanciere o qualsiasi altro attrezzo. Il vantaggio di utilizzare un bilanciere è
che arti diversi possono essere allenati senza fermarsi a riposare, come richiesto nel circuito mostrato
nella tabella 14.24.
Tabella 14.24
Esempio di circuito MEM per un canottiere

Un programma simile può essere sviluppato anche per altri sport, per esempio dai 400 ai 1500 m di nuoto, pattinaggio
sul ghiaccio sulle medie distanze, kayak e canoa

Il circuito nella tabella 14.24 include otto esercizi che, dopo 9 o 10 settimane, vengono eseguiti nel modo
seguente: l’atleta carica un bilanciere con il 40% di 1RM ed esegue 50 stacchi da terra.

Dopo aver completato l’ultima ripetizione scarica il bilanciere, si posiziona sulla panca piana ed esegue 50
ripetizioni di bench press, poi ricarica rapidamente il bilanciere, lo posiziona sulle spalle ed esegue 50
mezzi squat. Dopo aver completato l’ultimo squat, l’atleta si siede su una panca ed esegue 50 curl,
successivamente impugna una kettlebell da terra ed esegue 50 swing.

Dopodiché esegue subito 50 ripetizioni di rematore, poi ancora una volta posiziona rapidamente il
bilanciere sulle spalle ed esegue 50 sollevamenti sulle punte per i polpacci, i quali a loro volta sono seguiti
da 50 V-sit a terra. Il numero totale di ripetizioni nel nostro ipotetico circuito è di 400!

Il vantaggio di questo metodo è che il sistema cardiorespiratorio è coinvolto continuamente, in quanto


l’allenamento alterna diversi gruppi muscolari. Questo lavoro sviluppa la resistenza muscolare e la
resistenza aerobica - le due capacità cruciali per qualsiasi sport di cui si è discusso in questo capitolo - ed
è particolarmente utile quando, ad esempio, un atleta non può eseguire allenamenti metabolici specifici
durante il macrociclo.

Per chiarire ulteriormente le informazioni presentate nella tabella 14.24, gli allenatori dovrebbero
considerare le seguenti linee guida:
◊ il numero di ripetizioni aumenta progressivamente per arrivare da 40 a 60 (o anche più); ciò
potrebbe richiedere due-quattro settimane;
◊ il numero di esercizi può variare in base alle caratteristiche dello sport;
◊ il numero di ripetizioni può differire tra i primi e gli ultimi esercizi quando a quest’ultimi è data una
priorità minore;
◊ lo stesso esercizio può essere ripetuto due volte nello stesso circuito per enfatizzare l’importanza di
un particolare gruppo muscolare in un dato sport;
◊ il numero di esercizi può non essere lo stesso per la parte superiore e inferiore del corpo. Questa
decisione dovrebbe essere basata sui punti di forza e debolezza dell’atleta e sulle richieste dello
sport;
◊ con i principianti il carico per un deadlift deve essere più basso (dal 30 al 40% di 1RM) e utilizzato
con cautela (impiegare progressioni a lungo termine);
◊ gli atleti dovrebbero mantenere una velocità costante durante tutto il circuito, anche se potrebbero
avere il desiderio di velocizzare l’esecuzione e di terminare l’esercizio;
◊ gli allenatori dovrebbero preparare tutto l’equipaggiamento necessario prima della sessione di
allenamento, in modo che l’atleta non debba perdere tempo per passare da un esercizio all’altro,
specialmente se ci si allena in una palestra. Alcuni esercizi consigliati, che prevedono l’utilizzo di
bilancieri e manubri, possono essere eseguiti anche in spazi ristretti;
◊ gli atleti dovrebbero eseguire due esercizi senza fermarsi nella seconda fase, quattro senza fermarsi
nella terza e tutti e oto gli esercizi senza fermarsi nell’ultima fase;
◊ l’atleta può avere da otto a dieci minuti per eseguire un circuito non stop di otto esercizi, in base al
suo livello. Un circuito più lungo può essere progettato per migliorare la resistenza muscolare di
lunga durata;
◊ dato che sia MEM, sia MEL richiedono sforzi notevoli, questo metodo dovrebbe essere utilizzato
solo da atleti con un solido background, sia nell’allenamento della forza che in quello di resistenza
(atleti di livello nazionale o più alto). Per un circuito meno intenso (per atleti juniores), si includono
solo quattro-sei esercizi;
◊ è consigliabile eseguire un numero pari di esercizi data la progressione suggerita: due esercizi
eseguiti non stop, poi quattro, poi tutti gli otto;
◊ quando un atleta migliora la propria performance nell’esecuzione di tutti gli esercizi senza pause
durante l’ultima fase, l’allenatore può utilizzare un cronometro per monitorare i miglioramenti.
Come risultato dell’adattamento il tempo richiesto per completare il circuito dovrebbe diminuire.

La tabella 14.25 mostra un programma MEM consigliato per il pugilato. Questo programma deve essere
eseguito senza pause, dal primo all’ultimo esercizio, con un ritmo costante, ma il più veloce possibile.
L’unica eccezione è il jump squat, nel quale la fase eccentrica deve essere eseguita velocemente ma in
modo controllato per evitare un’eccessiva compressione del ginocchio.
Per il lancio della palla medica a una mano eseguito dalla posizione eretta, l’atleta deve utilizzare un muro
solido per il rimbalzo. Il lancio deve imitare un pugno del pugilato e deve essere eseguito orizzontalmente
in avanti, con l’altro arto superiore utilizzato solo come supporto, per mantenere la palla di fronte al peto.
Il peso iniziale della palla può variare (in base al condizionamento del pugile da 2,5 a 3,5 chilogrammi). Il
peso dovrebbe diminuire leggermente dopo una o due settimane. Durante le ultime due o l’ultima
settimana, la palla medica dovrebbe pesare 1-1,8 chilogrammi.
Tabella 14.25
Esempio di un programma di allenamento della MEM per la boxe

Per aumentare la durata di un circuito, aggiungere un altro esercizio, come i crunch. I pugili professionisti devono usare
un numero di circuiti progressivamente maggiore, in base alla resistenza muscolare richiesta da 10 o 12 round sul ring
(per esempio ripetere il circuito dalle 5 alle 6 volte)

Dato che la muscolatura della parte superiore del corpo di un pugile deve resistere a un tipo di attività
prevalentemente anaerobica, la durata delle serie per la parte superiore del corpo è frazionata in
intervalli brevi. Le pause di recupero vengono pianificate dopo un tempo di esercizio pari all’incirca la
durata di un round; successivamente dopo un periodo di tempo sempre maggiore, per assicurare sia un
alto output di potenza che lo sviluppo della resistenza muscolare specifica.

Programmi per la resistenza muscolare di lunga durata

Gli sport di lunga durata richiedono un tipo di allenamento diverso. Nella maggior parte di questi sport,
l’atleta applica una forza contro una data resistenza: ad esempio l’acqua nel nuoto, nel canottaggio e nel
kayak, i pedali nel ciclismo (con il peso corporeo applicato come forza, specialmente in salita), il ghiaccio
nel pattinaggio di velocità e la neve e altri diversi terreni nello sci di fondo e nel biathlon. Il sistema
energetico dominante in questi sport è la capacità aerobica e il miglioramento della performance deriva
dall’aumento della resistenza aerobica sia centrale che periferica. Gli adattamenti centrali
(cardiovascolari) sono provocati principalmente dell’allenamento specifico; l’allenamento della forza deve
essere pensato al fine di migliorare la resistenza muscolare locale.
Per aumentare la resistenza muscolare di lunga durata, l’ingrediente chiave dell’allenamento è un numero
elevato di ripetizioni eseguite senza fermarsi. Gli altri parametri restano costanti, come indicato nella
tabella 14.26.

Durata 8–12 settimane


Carico 30–40% di 1RM
Numero di esercizi 4–6
Numero di serie per sessione 2–4
Tempo di recupero 2 minuti tra i circuiti, 1 minuto tra le serie
Velocità d’esecuzione Moderata
Frequenza settimanale 2-3

Tabella 14.26
Parametri di allenamento per la resistenza muscolare di lunga durata

Dato che uno degli obiettivi dell’allenamento della resistenza muscolare di lunga durata è quello di
permettere all’atleta di sopportare alti livelli di fatica, le pause non devono consentire il recupero
completo. Infatti, viene utilizzata una pausa molto breve (di solito dai cinque ai dieci secondi) mentre
l’atleta cambia stazione. In modo analogo, per l’allenamento con serie continue, è programmato un
intervallo breve - di nuovo per prevenire il recupero muscolare completo - sollecitando ulteriormente la
resistenza muscolare locale.

La tabella 14.27 mostra un tipico programma di allenamento per sport come il triathlon, la maratona, il
kayak e il canottaggio (10.000 metri e maratona), il nuoto su lunga distanza, il ciclismo su strada e lo sci
di fondo. Per facilitare il monitoraggio, la durata viene espressa in minuti piuttosto che numero di
ripetizioni.
Tabella 14.27
Esempio di un programma di allenamento della MEL per un canoista maratoneta esperto

Un approccio simile è applicabile ad altri sport, per esempio le gare di maggiore durata dello sci, del kayak, del nuoto o
al triathlon

I primi due esercizi possono essere eseguiti con una qualsiasi combinazione di macchine disponibili in un
centro fitness, oppure in una palestra scolastica. Gli ultimi due esercizi devono essere eseguiti utilizzando
corde di gomma, spesso chiamate corde elastiche, disponibili in molti negozi di articoli sportivi. Per
allenare la lunga distanza negli sport quali il canottaggio e il kayak, le corde elastiche devono essere
ancorate prima dell’allenamento in modo che la trazione effettuata dal braccio o le estensioni del gomito -
movimenti tipici di questi due sport - possano essere eseguite in posizione seduta.
La durata della serie per esercizio si basa sulla tolleranza al lavoro e sul livello di performance di ogni
atleta. Si deve, inoltre, tenere conto della durata totale del lavoro svolto. Per allenare la resistenza
muscolare di lunga durata, si consiglia generalmente di progredire dalle serie continue ai circuiti;
tuttavia, si suggerisce di progredire dai circuiti alle serie continue al fine di migliorare ulteriormente
questa qualità a livello periferico. La spiegazione fisiologica è la seguente: nonostante l’allenamento a
circuito abbia un impatto cardiorespiratorio maggiore rispetto a quello delle serie continue, gli atleti di
questo tipo presentano già un alto livello di resistenza cardiorespiratoria in quanto dedicano, in media, il
90% del loro tempo di allenamento per anno all’attività specifica. Quindi, l’allenamento specifico della
forza dovrebbe focalizzarsi sulla resistenza muscolare locale dei muscoli motori primari.

Resistenza muscolare isometrica


Alcuni sport implicano l’uso di contrazioni isometriche di lunga durata durante la competizione. Gli
esempi includono la vela e gli sport motoristici (automobilismo). Durante l’allenamento e la competizione
nella vela, l’atleta assume una specifica posizione (statica nella maggior parte dei casi) nella quale deve
eseguire contrazioni isometriche molto lunghe. Ad esempio, un velista potrebbe dover star seduto sul lato
della barca tenendo una corda per mantenere l’albero nella posizione che sfrutti al meglio il vento. Per far
ciò, egli contrae i muscoli di alcune parti del corpo, come l’addome, le gambe, la zona lombare e le
braccia.

A differenza della guida (sport motoristici), nei quali l’allenamento della forza specifica è effettuato in
palestra, l’allenamento della resistenza muscolare isometrica per la vela può essere eseguito sia
sull’imbarcazione che a terra, come illustrato nel seguente esempio. Durante l’allenamento, l’atleta può
utilizzare un giubbotto zavorrato per sovraccaricare la parte superiore del corpo, imponendo
all’organismo uno sforzo maggiore rispetto alla spinta gravitazionale senza sovraccarico e rispetto alla
forza centrifuga durante le virate. I giubbotti zavorrati possono essere regolati con diversi pesi, spesso
con 15 chili: l’allenamento con questo tipo di attrezzatura prevede solitamente l’aumento progressivo sia
del peso che della durata dell’esercizio.
La tabella 14.28 suggerisce una progressione per utilizzare il giubbotto zavorrato per l’allenamento in
barca. Questa progressione è solo una linea guida, da applicare in base alle capacità fisiche, ai bisogni
individuali e all’ambiente di allenamento.

L’allenamento per la vela dovrebbe includere una fase preparatoria a prescindere dal fato che il velista
viva in un clima che permetta di allenarsi durante tutto l’anno.

La tabella 14.29 illustra un programma di allenamento consigliato per la vela, in cui prevalgono le
contrazioni isometriche. L’angolo al quale l’atleta mantiene la contrazione isometrica deve essere sport-
specifico. Come già detto precedentemente, questo è solo un esempio da usare come linea guida; gli
allenatori dovrebbero adattarla in base al contesto e alle caratteristiche dei loro atleti, sia nella vela che
nella guida.

Tabella 14.28
Esempio di progressione dell’utilizzo del giubbotto zavorrato nella vela

Tabella 14.29
Esempio di un programma di allenamento della forza per la vela
Resistenza muscolare utilizzando il metodo delle contrazioni miste

La resistenza muscolare allenata tramite l’uso di contrazioni miste è molto specifica per alcuni sport,
come il grappling, il brazilian jiu-jitsu, il tiro di precisione, il tiro con l’arco. Lo scopo principale
dell’allenamento per queste discipline è sottoporre l’atleta a un allenamento con regime di contrazione
misto, come può essere quello concentrico-isometrico-eccentrico, per essere pronti alla competizione più
importante.

Si consideri ad esempio il tiro a segno con pistola, nel quale l’arma pesa circa 1,4 chilogrammi. Durante la
competizione, il tiratore solleva la pistola 20 volte, mantenendo ogni volta una contrazione isometrica per
10-15 secondi, con intervalli di riposo limitati. Atleti scarsamente allenati presentano un braccio tremante,
principalmente verso la fine della competizione, il che ovviamente non favorisce una precisione ottimale.
Pertanto, lo scopo dell’allenamento in questo sport (vedi tabella 14.30) è quello di preparare l’atleta
quanto meno a sollevare la pistola tante volte quanto richiesto durante la competizione, utilizzando carichi
maggiori del peso della pistola, per una durata sport-specifica della contrazione isometrica e con intervalli
di recupero tra le serie altrettanti specifici (50 secondi durante una finale).

Tabella 14.30
Esempio di progressione dell’allenamento misto concentrico-isometrico-eccentrico per il tiro a segno

L’azione tecnica nel tiro con pistola si svolge come segue: bisogna sollevare la pistola dall’altezza dell’anca
a quella della spalla, mantenerla dai 10 ai 15 secondi, sparare e poi abbassarla alla posizione di partenza.
Il round di tiro più lungo dura 14 colpi. Un’azione simile è richiesta nel tiro con l’arco, nel quale l’arciere
esegue una contrazione in regime concentrico-isometrico contro resistenza mentre allunga la corda
dell’arco e la trattiene per pochi secondi (5-10). L’arciere successivamente rilascia la freccia e abbassa
l’arco per prepararsi a un nuovo tentativo.

Anche le arti marziali miste (MMA) prevedono un mix di contrazioni eccentriche-concentriche e


isometriche durante la parte a terra di un incontro. Queste contrazioni sono necessarie anche nel
grappling e nel brazilian jiu-jitsu. Come sempre, bisogna tenere conto di queste richieste di forza
specifiche nella stesura dell’allenamento, stimolando i muscoli motori primari sottoposti alle contrazioni
isometriche anche attraverso isometrie funzionali intervallate con esercizi eccentrici-concentrici, oppure
attraverso esercizi isometrici continui; vedi tabella 14.31.
Tabella 14.31
Esempio di programma di allenamento misto concentrico-isometrico-eccentrico per le MMA, il grappling o
il brazilian jiu-jitsu durante la fase competitiva (blocco di due settimane prima di un taper
precompetizione)

* Gli allenamenti 1 e 3 sono svolti nella prima settimana; l’allenamento 5 è svolto nella seconda settimana
**L’allenamento 2 è svolto nella prima settimana; gli allenamenti 4 e 6 sono svolti nella seconda
FASE 5-6-7: MANTENIMENTO, CESSAZIONE E
COMPENSAZIONE
Quindicesimo capitolo

L’allenamento della forza è un fattore importante che influisce sull’aspetto fisiologico e che contribuisce
alla prestazione atletica nel suo complesso. In particolare, per eseguire i gesti specifici con più esplosività,
si richiedono più forza massima e più potenza, così come le attività di durata richiedono maggiore
resistenza muscolare. In tutti i casi, una prestazione superiore richiede il contributo vitale della forza.

I benefici della forza nei confronti della prestazione atletica sono presenti fintanto che gli adattamenti del
sistema neuromuscolare indotti dall’allenamento vengono mantenuti. Quando l’allenamento viene
interrotto, i suoi benefici svaniscono velocemente con il diminuire delle proprietà contrattili dei muscoli: è
il processo di deallenamento, un decremento visibile del contributo della forza alla prestazione atletica.
Per evitare il deallenamento, gli atleti devono implementare un programma di allenamento della forza
sport-specifico durante la fase competitiva.
Il lavoro di forza influisce anche sul raggiungimento del picco di forma per la gara o per le gare più
importanti dell’anno. In diversi sport, specialmente in quelli di potenza, la prestazione di picco è spesso
raggiunta nella prima parte della fase competitiva. In questo periodo gli allenatori tendono a diminuire o a
togliere del tutto l’allenamento della forza, dato che il lavoro tecnico-tattico specifico diviene dominante.

Sfortunatamente, l’interruzione della stimolazione della forza causa un decremento della prestazione con
il progredire della stagione. Nella prima parte della fase competitiva, quando l’allenamento della forza
viene ancora eseguito, l’atleta può esprimersi al meglio. Ma quando l’abilità di contrarre in maniera
potente la muscolatura diminuisce, altrettanto fa la prestazione.

In linea con la teoria della periodizzazione dell’allenamento, i guadagni ottenuti durante la fase di forza
massima dovrebbero essere convertiti in potenza o in resistenza muscolare durante la fase di conversione,
mantenendo comunque elevati i livelli. In questo modo l’atleta può sviluppare l’espressione specifica e
raggiungere le capacità fisiologiche necessarie per una prestazione ottimale durante la fase competitiva.
Gli incrementi ottenuti devono essere mantenuti, se si vuole che il livello di prestazione sia stabile per
tuta la fase competitiva.

Questo significa che il preparatore atletico deve pianificare un programma di mantenimento della forza
specifica durante tuta la fase competitiva. La forza massima è un ingrediente fondamentale per i
programmi di forza specifica e molti sport ne richiedono il mantenimento durante la fase competitiva,
nella maggior parte dei casi utilizzando il metodo dei carichi massimali con volumi ridotti (solitamente 40-
50% del volume utilizzato nel microciclo di maggior carico della fase di forza massima). I guadagni di
forza massima diminuiscono più velocemente se derivano da un ciclo di allenamento orientato a questa
capacità, troppo breve.

In molte discipline, inoltre, l’unico tipo di allenamento della forza eseguito è quello della forza specifica.
L’allenamento della forza massima viene spesso sottovalutato; per questo motivo i guadagni in potenza
hanno vita breve. Un altro errore metodologico si ha quando l’allenamento della forza è eseguito soltanto
nella fase preparatoria; in questo caso, gli incrementi si deteriorano con il progredire della fase
competitiva.

Per questo i preparatori non si dovrebbero chiedere se prescrivere o meno un programma di


mantenimento della forza durante la fase competitiva, ma piuttosto si dovrebbero chiedere come farlo.
Essi devono capire quale sia l’abilità dominante e quale tipo di forza l’atleta deve mantenere. La maggior
parte degli sport richiede alcuni elementi di forza massima, di potenza e di resistenza muscolare. In
questo caso la decisione più importante non è, quindi, quale dei tre elementi mantenere, ma in quale
proporzione e come integrarli al meglio nell’allenamento.

Gli atleti degli sport di potenza devono mantenere sia la forza massima, sia la potenza. Poiché queste
abilità non si sostituiscono l’una con l’altra, ma piuttosto sono complementari, l’una non deve essere
mantenuta a spese dell’altra. Per esempio, i lanciatori dell’atletica leggera e i lineman nel football
americano dovrebbero mantenere la forza massima durante la fase competitiva in una proporzione
pressoché uguale alla potenza. La maggior parte degli atleti degli sport di squadra dovrebbe mantenere la
forza massima, la potenza e la potenza resistente o la resistenza muscolare, a seconda del ruolo di gioco.
Per gli sport di resistenza, tuttavia, la proporzione tra forza massima e resistenza muscolare dipende sia
dalla durata dell’evento, sia da quale sistema energetico è dominante. Per la maggior parte di queste
discipline, la resistenza muscolare è la componente dominante della forza.

La proporzione tra le diverse espressioni di forza da mantenere dipende anche dalla durata del periodo
competitivo. Maggiore è la durata di questa fase, più importante è il mantenimento della forza massima,
poiché questa qualità è una componente importante sia per la potenza, sia per la resistenza muscolare.
Ignorare questo fato avrebbe ripercussioni negative sulla potenza o sulla resistenza muscolare. La tabella
15.1 mostra la proporzione che deve essere mantenuta durante la fase competitiva per vari sport e diversi
ruoli.
Tabella 15.1
Proporzioni nell’allenamento dei vari tipi di forza durante la fase competitiva
Durante la fase di mantenimento dovrebbero essere utilizzati gli stessi metodi di allenamento suggeriti nei
capitoli precedenti. Quello che cambia durante questa fase non è la metodologia, ma il volume di
allenamento della forza in rapporto al volume dell’allenamento tecnico e tattico specifico. Durante questa
fase il programma di mantenimento della forza dovrebbe essere subordinato agli altri tipi di allenamento.
Per questo l’atleta dovrebbe impiegare il numero di esercizi più basso possibile (da due a quattro, fino a
sei per alcuni sport multiplanari) per allenare i muscoli motori primari. In questo modo egli può dosare in
modo più efficiente le proprie energie, concentrandosi principalmente sull’allenamento tecnico-tattico. Le
sessioni settimanali di allenamento della forza, da una a tre durante il periodo competitivo, dovrebbero
essere brevi. Un buon programma di mantenimento può infatti essere spesso completato in 20-30 minuti.
Certamente, la frequenza delle sessioni di allenamento della forza dipende anche dal calendario di gara.
Se non ci sono gare in programma per il fine settimana, allora un microciclo può prevedere due (o anche
tre) sessioni d’allenamento della forza. Se, invece, è programmata per il fine settimana una partita o una
gara, allora si possono effettuare una, massimo due brevi sessioni di allenamento della forza.
Anche il numero di serie è solitamente basso (1-4), a seconda che l’atleta alleni la potenza o la resistenza
muscolare. Per la potenza e la forza massima, un range di due-quattro serie per esercizio è possibile,
poiché il numero di ripetizioni è solitamente basso. I tempi di recupero dovrebbero essere più lunghi del
solito, in modo che l’atleta possa recuperare completamente durante la pausa. Lo scopo della fase di
mantenimento non è creare affaticamento, ma stabilizzare la prestazione e mantenere un output di
potenza elevato. Per la resistenza muscolare dovrebbero essere eseguite soltanto una o due serie, poiché
il numero di ripetizioni è più alto. Per l’allenamento della resistenza muscolare di media durata durante la
fase competitiva, la lunghezza della serie non dovrebbe superare il minuto; per la resistenza muscolare di
lunga durata, essa non dovrebbe superare i sei minuti.
La pianificazione di ciascun microciclo di un programma di mantenimento dipende dal tipo di forza che si
ricerca. Per l’allenamento della potenza gli atleti dovrebbero eseguire esercizi che incrementino
l’esplosività, utilizzando una resistenza vicina a quella incontrata in gara. Si suggerisce l’uso di due tipi di
resistenza: carico superiore e carico inferiore. L’allenamento con il carico superiore implica l’utilizzo di
una resistenza leggermente superiore a quella di gara e consente di incrementare sia la forza massima,
sia la potenza. Gli esercizi di questo tipo dovrebbero essere pensati in funzione delle qualità richieste in
un determinato sport. Questo tipo di lavoro è indicato principalmente per la prima parte della fase
competitiva, come transizione dall’allenamento della forza massima a quello della potenza. L’allenamento
con carico inferiore, invece, implica l’utilizzo di una resistenza minore rispetto a quella in gara. Questo
lavoro incrementa l’esplosività e dovrebbe essere prevalente nella fase precedente la gara più importante
dell’anno.
Entrambi i tipi di carico incrementano l’abilità di reclutare le unità motorie a contrazione rapida e
migliorano la coordinazione dei muscoli coinvolti.
Generalmente, se la fase competitiva è più lunga di cinque mesi, gli atleti dovrebbero dedicare almeno il
25% del lavoro totale al mantenimento della forza massima, poiché il deallenamento relativo a questa
qualità influisce negativamente sulla forza specifica.

15.1 VARIAZIONI DEL CARICO DURANTE LA FASE COMPETITIVA

L’allenamento della forza non è un processo rigido. Al contrario, i programmi di allenamento dovrebbero
essere flessibili e adattarsi ai progressi dell’atleta, alle richieste dello sport e al calendario competitivo. Il
contenuto di una sessione di allenamento di forza dovrebbe essere programmato compatibilmente con
l’intensità media degli elementi sport-specifici di quella sessione, tenendo conto anche della distanza
temporale dalla gara o dalla partita. Gli esempi suggeriti in questo paragrafo si presume vengano eseguiti
dopo il lavoro specifico sulla tecnica e sulla tattica e dopo le esercitazioni di velocità e resistenza
specifica. Di conseguenza, l’atleta avrà a disposizione poco tempo e poche energie e per questo il lavoro di
forza deve essere breve ed estremamente specifico.
Le seguenti linee guida suggeriscono i parametri di carico per il mantenimento della forza e della potenza
durante il microciclo di gara. Vengono descritte le sessioni ad alto, medio e basso carico, con alcune
considerazioni di carattere generale:

◊ una sessione di carico elevato dura 20-30 minuti, in cui si allena la forza massima o una
combinazione di forza massima e potenza. Gli atleti eseguono 4-5 esercizi in totale per i muscoli
motori primari. Il carico è pari al 70-80% di 1RM, in maniera più dinamica possibile, mantenendo
una buona esecuzione tecnica. Essi realizzano 1-3 ripetizioni (con un buffer dal 15 al 20%) in 2-4
serie e con un tempo di recupero di 2-3 minuti;
◊ una sessione di carico medio dura 20-30 minuti, in cui si allena la forza massima, la potenza o una
combinazione delle due. Gli atleti eseguono 3-4 esercizi in totale. Per la forza si usa un carico pari
al 70% di 1RM, per 3-5 ripetizioni esplosive (con un buffer del 15-20%) in due o tre serie e con un
tempo di recupero di 2-3 minuti tra di esse;
◊ una sessione di carico basso dura 15-30 minuti, in cui si allena la forza massima, la potenza o una
combinazione delle due. Gli atleti eseguono due o tre esercizi e spostano in modo esplosivo un
carico del 60-70% di 1RM, per due o tre serie di 1-6 ripetizioni (con un buffer del 20-30%) e con un
tempo di recupero di almeno 3 minuti tra di esse;
◊ i tempi di recupero dovrebbero essere regolati in base al numero di esercizi e al volume delle serie,
in modo da far rientrare l’allenamento nella durata prevista;
◊ gli esercizi di forza e di potenza che stressano gli stessi gruppi muscolari possono essere accoppiati
in modalità jump-set, così da risparmiare tempo da un lato e permettere dall’altro un recupero
adeguato tra due serie dello stesso esercizio.

I prossimi paragrafi presentano alcuni esempi pratici di schemi di carico, sia per sport individuali, sia per
sport di squadra, durante i microcicli della fase competitiva.

Sport individuali

La figura 15.1 mostra un programma di allenamento della forza suggerito per la fase competitiva di atleti
in sport di velocità e potenza (per esempio, velocità, salti e lanci nell’atletica leggera, 50 m nel nuoto, arti
marziali, scherma). Per i primi due o tre giorni seguenti una gara l’obiettivo dell’allenamento è il
recupero. Sono pianificate solamente due sessioni di allenamento della forza, entrambe verso la fine della
settimana, la prima con carico basso.
Figura 15.1
Piano di allenamento della forza (ed entità del carico) per uno sport di potenza o di velocità con gare a tre
settimane di distanza l’una dall’altra

Figura 15.2
Piano di allenamento della forza (ed entità del carico) per un atleta con gare a due settimane di distanza
l’una dall’altra

L’unico momento in cui il carico di allenamento della forza diviene un parametro fondamentale è durante
la seconda settimana. La terza settimana implica un nuovo picco di condizione in vista della gara, cosicché
sono pianificate soltanto due sessioni di allenamento della forza, la seconda delle quali è di carico ridotto.
Per assicurarsi che la sessione del mercoledì sia effettivamente di carico basso, i tempi di recupero tra le
due o tre serie di allenamento di forza e potenza dovrebbero essere lunghi (da tre a quattro minuti), per
permettere un recupero completo. Inoltre, il carico dovrebbe avere un buffer di non meno del 20% (ad
esempio, da tre-sei ripetizioni col 60% di 1RM, da due-cinque ripetizioni al 65% o da una-due ripetizioni al
70%). Questo approccio previene la fatica residua che potrebbe influenzare negativamente la prestazione
dell’atleta in competizione. La figura 15.2 affronta le stesse tematiche per un atleta le cui gare sono a due
settimane di distanza. In questo caso, i preparatori dovrebbero prevedere due o tre giorni di allenamento
rigenerativo di carico ridotto dopo la prima gara. L’allenamento dovrebbe prevedere anche due o tre
giorni con la stessa bassa entità del carico prima della competizione successiva, in modo da facilitare il
picco della forma.
Figura 15.3
Piano di allenamento della forza (ed entità del carico) per uno sport individuale con gare a una settimana
di distanza

Le gare con frequenza settimanale negli sport individuali non sono l’ideale per l’allenamento, per il
semplice motivo che più l’atleta compete, meno tempo ha per allenarsi. Durante i periodi caratterizzati da
gare settimanali, specialmente quando il livello di fatica è alto, la maggior parte degli allenatori cerca di
ridurre il carico di allenamento e, sfortunatamente, la forza è spesso la prima a essere trascurata. Essi
invece dovrebbero diminuire il volume dell’allenamento specifico e mantenere più alto l’allenamento
generale, in modo da compensare l’affaticamento dei sistemi fisiologici più direttamente coinvolti in gara.

Per gli sport nei quali le competizioni settimanali sono la norma, la figura 15.3 illustra un programma di
allenamento della forza che può essere modificato per adattarsi ai livelli di affaticamento. Gli allenatori
dovrebbero tenere a mente, però, che pianificare troppi cicli con gare settimanali produce un risultato
prevedibile: il sovrallenamento, con la conseguente perdita di velocità e potenza.

Sport di squadra

Senza negare l’importanza della resistenza specifica, la potenza è l’abilità dominante per la maggior parte
degli sport di squadra. Per evitare il deallenamento della potenza, si deve pianificare un programma di
mantenimento durante tuta la fase competitiva. Gli esempi presentati in questo paragrafo affrontano due
modalità tipiche del calendario di gare: quello con una partita e quello con due partite alla settimana.
Questi esempi sono validi per il baseball e il basket universitario, la pallavolo, il football americano e
quello australiano, l’hockey su ghiaccio e su prato, il calcio, il rugby, il lacrosse e la pallanuoto.
Nonostante le varie pressioni a cui è sottoposta una squadra, come il bisogno di maggior allenamento
tecnico e tattico e la posizione nella classifica del campionato, l’allenatore deve trovare il tempo, e gli
atleti le energie, per lavorare sul mantenimento della forza e della potenza. La figura 15.4 suggerisce un
programma per un ciclo con una partita ogni domenica, ma può essere aggiustato per qualsiasi altro
giorno della settimana. Al mercoledì è proposta una sessione di allenamento della forza con entità media
del carico. Se il livello della fatica residua è più alto del previsto, il carico può essere ridotto utilizzando
una sessione con entità ridotta.
Anche per gli sport di squadra con due partite alla settimana è possibile implementare un programma di
mantenimento della forza, che dovrebbe però essere limitato a una o due serie di tre esercizi con il 70% di
1RM o per un massimo di 20 minuti (figura 15.5).
Figura 15.4
Piano di allenamento della forza (ed entità del carico) per uno sport di squadra con gara settimanale

Figura 15.5
Piano di allenamento della forza (ed entità del carico) per uno sport di squadra con due gare a settimana

I programmi di allenamento della forza sono piuttosto diversi per alcuni atleti di certi sport, come i
lineman del football americano, i lanciatori dell’atletica leggera e i pesi massimi nella boxe e nella lotta. Il
programma loro suggerito dura da 60 a 75 minuti. Le qualità da sollecitare in questi contesti sono 40-50%
forza massima e 50-60% potenza. Questi atleti eseguono da quattro a sei esercizi in maniera più esplosiva
possibile, usando un carico pari al 70-80% di 1RM. Eseguono 3-6 ripetizioni (con un buffer del 10%) per 3-
6 serie e con un tempo di recupero di 3-4 minuti.

Per gli atleti di sport di squadra che prevedono molti salti durante l’allenamento e le partite (ad esempio,
il basket o la pallavolo), l’allenamento pliometrico dovrebbe essere ridotto al minimo rispetto alla fine
della fase preparatoria. Questa riduzione diminuisce il carico sugli arti inferiori durante la stagione
competitiva.
L’allenamento di mantenimento della forza dovrebbe terminare da tre a quattordici giorni prima della gara
più importante dell’anno, in modo che gli atleti possano utilizzare tutte le loro energie per raggiungere la
miglior prestazione.

15.2 RAGGIUNGERE IL PICCO DELLA PRESTAZIONE

Molti allenatori e parecchi atleti pensano di raggiungere il picco di prestazione per grazia divina. In
realtà, la capacità di raggiungere il picco per una gara non rappresenta nient’altro che una strategia che
l’allenatore e il preparatore fisico attuano manipolando le variabili del carico, in modo da raggiungere la
supercompensazione fisica e psicologica prima di una gara importante. Prestazioni altalenanti derivano
spesso dall’allenamento che l’atleta realizza durante la fase preparatoria, dal rapporto tra volume,
intensità e recupero durante la preparazione o dal numero di gare alle quali egli partecipa.

Per raggiungere il picco di forma nelle gare più importanti bisogna rispettare le seguenti fasi:
1. allenarsi;
2. manipolare le variabili del carico per supercompensare e raggiungere il picco della forma per la
gara;
3. competere;
4. recuperare e rigenerarsi prima di iniziare ad allenarsi ancora.

Figura 15.6
Il circolo virtuoso con il quale l’atleta può raggiungere il picco della forma ed evitare gli infortuni

Si può definire il picco come un temporaneo stato di forma atletica (mantenibile per due o tre settimane al
massimo), caratterizzato da un’efficienza psicologica e fisiologica massima e da un livello di preparazione
tecnica e tattica ottimale. Questo stato biologico superiore si manifesta con un perfeto stato di salute e
con un adattamento molto rapido agli stimoli di allenamento, nonché con un recupero rapido dopo le
sessioni di allenamento e dopo la gara.

Da un punto di vista psicologico, il picco è uno stato di prontezza all’azione accompagnato da un arousal
emotivo intenso. Gli aspetti oggettivi dello stato di picco, da un punto di vista psicologico, si manifestano
in una capacità di adattamento più rapido ed efficace agli stress della gara. Soggettivamente l’atleta
prova una maggiore autostima e un alto livello di motivazione, poiché percepisce la propria grande
prontezza fisica alla prestazione.

Nel momento in cui raggiunge il picco di forma, egli possiede una maggiore capacità di sopportare lo
stress psicofisico prima, durante e dopo la competizione. Il raggiungimento di questo stato è facilitato
dalla “pianificazione a modello” dell’allenatore (cioè la programmazione dei microcicli competitivi, in
modo da replicare il programma giornaliero e settimanale della gara più importante dell’anno), nonché
dalle competizioni preparatorie che iniziano nella fase pre-competitiva.
Le caratteristiche biologiche dello stato di picco variano in accordo con le caratteristiche specifiche di uno
sport:
◊ per gli sport a dominanza anaerobica, lo stato di picco è caratterizzato dalla capacità di massima
attivazione in breve tempo, con un recupero breve;
◊ per gli sport a dominanza aerobica, è caratterizzato da un’alta capacità di lavoro sulla base di
un’elevata efficienza fisiologica;
◊ per gli sport a ergogenesi mista, come gli sport di squadra, lo stato di picco si caratterizza per la
capacità di ripetere sforzi ad alta intensità sulla base di un’alta efficienza fisiologica.

Come illustrato dalla figura 15.7, il grado di allenamento di un atleta rappresenta la base sulla quale egli
costruisce i vari stati di forma atletica (alcuni autori chiamano il grado di allenamento preparedness). Il
grado di allenamento include una componente generale e una componente specifica. Poiché il picco di
forma atletica si raggiunge passando attraverso altri livelli di forma atletica, uno stato di forma atletica
ottimale (chiamato da alcuni autori readiness) è la base per il raggiungimento del picco di forma.
Il picco di forma può essere raggiunto per le gare più importanti dell’anno tramite una strategia di
riduzione del carico complessivo di lavoro, chiamata taper.

Figura 15.7
Accumulo ed elevazione degli stati di allenamento (preparedness) e forma atletica (readiness) attraverso
le varie fasi di un piano monociclico

Da T. O. Bompa, Periodization: Theory and methodology of training, 4th ed. (Champaign, IL: Human Kinetics), 1999, p.
294
15.3 TAPERING PER IL PICCO DI FORMA

Il tapering, o scarico, consiste nella strategia che un allenatore utilizza per facilitare la
supercompensazione dell’atleta e, di conseguenza, per aiutarlo a raggiungere il picco di prestazione.
Come mostrato da una recente review di Pyne e colleghi (2009), la maggior parte della letteratura
scientifica sul taper riguarda gli sport individuali, piuttosto che quelli di squadra. Secondo Bosquet et al.
(2007), questo squilibrio dipende principalmente da due fattori:

◊ una maggiore correlazione negli sport individuali tra livello di forma atletica, input allenante
(modificazioni di volume, intensità e frequenza d’allenamento) e output di prestazione;
◊ la maggiore facilità con la quale è possibile isolare e quantificare i fattori del carico e le componenti
della prestazione negli sport individuali rispetto agli sport di squadra, a causa della natura
multifattoriale di questi ultimi (ad esempio, diversi tipi di gestualità, variazioni delle condizioni
ambientali, variabilità individuale nella risposta e nell’adattamento all’allenamento).

Metodologia del tapering

Le dinamiche dei microcicli di picco dovrebbero permettere all’atleta di affrontare la gara più importante
dell’anno al massimo delle sue potenzialità. Nel loro insieme, questi microcicli costituiscono il macrociclo
di scarico, altrimenti denominato “macrociclo di taper”. Essi sono utilizzati nella maggior parte degli sport
(in particolare in quelli individuali), indifferentemente dalla struttura del piano annuale (monociclico,
biciclico o triciclico), per raggiungere il picco di prestazione. Durante il taper, il carico d’allenamento
viene gradualmente ridotto, sia per eliminare la fatica indotta dal periodo precedente, sia per mantenere
o aumentare ulteriormente gli adattamenti positivi a quell’allenamento.

Il macrociclo di taper ha una durata massima di tre settimane, in modo da evitare il deallenamento dei
sistemi fisiologici necessari alla prestazione, mentre in alcuni sport, come il nuoto, tradizionalmente il
taper dura cinque o sei settimane, con una riduzione del volume d’allenamento e una simultanea
intensificazione, con il rischio però di non raggiungere il picco di forma nelle gare più importanti.

La letteratura scientifica consta di almeno 35 studi che indicano l’effetto positivo del taper sulla
prestazione sportiva. In uno studio, condotto su 99 nuotatori tre settimane prima delle Olimpiadi di
Sydney del 2000, i ricercatori hanno mostrato come la prestazione migliori mediamente del 2,18%
(+/-1,5%) per 91 degli atleti (Mujika et al. 2002). A prima vista questo miglioramento potrebbe sembrare
insignificante; tuttavia, lo stesso studio ha rivelato che il miglioramento indotto dal tapering era maggiore
della differenza di prestazione tra la medaglia d’oro e il quarto posto e tra la medaglia di bronzo e l’ultimo
posto nella finale (1,6%).
Tali risultati mostrano che questa strategia può rivelarsi decisiva nella gara più importante dell’anno.

Altri studi sul taper hanno mostrato un miglioramento del rapporto tra testosterone e cortisolo endogeno
(Adlercreutz et al. 1986; Kuoppasalmi e Adlercreutz 1985), evidenziando un miglior recupero,
l’eliminazione della fatica residua e una maggiore prontezza dei sistemi fisiologici dell’atleta
nell’affrontare le richieste della gara, specialmente quelle di tipo neurale. I miglioramenti riscontrati
durante il taper non si limitano al profilo ormonale (incremento del testosterone e dell’IGF-1, diminuzione
del cortisolo): essi includono anche fattori ematologici (incremento del volume cellulare, dell’ematocrito,
dell’emoglobina, dell’aptoglobina e dei reticolociti), fattori biochimici (diminuzione del CPK, incremento
del glicogeno) e fattori psicologici (diminuzione della percezione dello sforzo, minori sbalzi umorali,
minore percezione della fatica, maggior vigore e migliore qualità del sonno; Mujika 2009).

Il taper, che solitamente dura due settimane, prevede una riduzione del carico di allenamento pianificata
e progressiva, così come l’eliminazione dei fattori che inducono stress, specialmente nella sfera
psicologica. È un fattore chiave nel successo del programma di allenamento e dell’intera stagione, data la
sua prossimità con la gara più importante. Inoltre, elimina la fatica, ripristina la capacità di lavoro
soppressa dal volume d’allenamento precedente, facilita gli adattamenti indotti dall’allenamento (ai quali
si aggiungono gli adattamenti indotti dal taper stesso) e permette la supercompensazione di tutti i sistemi
fisiologici, incluso il SNC, il cui recupero è fondamentale per la creazione di uno stato emotivo positivo
durante la competizione. Secondo Krestinkov (1938) una cellula nervosa recupera sette volte più
lentamente di una cellula muscolare. Questa differenza suggerisce l’importanza del recupero del SNC
prima, durante e dopo la competizione (Bompa 1965).

Durante il taper non dovrebbero essere mai introdotti nuovi protocolli o nuovi esercizi. Al contrario,
durante la stagione competitiva bisogna creare una routine precompetitiva che deve essere seguita per
l’evento più importante dell’anno.

Il preparatore atletico, quindi, deve manipolare i seguenti parametri:


a. il tipo di riduzione del carico d’allenamento;
b. la durata del taper;
c. le componenti del carico d’allenamento (volume, intensità, frequenza).

Tipologie di riduzione del carico d’allenamento

La letteratura scientifica riconosce quattro tipi di taper, secondo la modalità con la quale il carico
d’allenamento è diminuito nelle settimane precompetitive:
1. lineare;
2. esponenziale (riduzione lenta);
3. esponenziale (riduzione veloce);
4. a scalino.

La variazione percentuale del carico di allenamento è rappresentata graficamente nella figura 15.7. Come
indicato, il carico totale è più alto in caso di tapering lineare, il carico finale è più basso con un taper
esponenziale veloce e il carico medio più basso è quello che si riscontra con il tapering a scalino. Due
studi hanno dimostrato che l’esponenziale veloce solitamente produce i risultati migliori (Banister e
Zarkadas 1995 e 1999). Questo risultato è probabilmente dovuto al fatto che il taper a scalino determina
soltanto il mantenimento (se non addirittura il decremento) degli adattamenti positivi precedenti, mentre
l’esponenziale lento (come il lineare) determina un carico medio nel primo microciclo che non consente
l’eliminazione ottimale della fatica residua.
Figura 15.8
Quattro strategie di tapering in accordo con le dinamiche di riduzione del carico

Adattato da I. Mujika e S. Padilla, “Scientific bases for precompetition tapering strategies”, in Medicine & Science in
Sports & Exercise, 2003, 35, pp. 1182-1187

La durata del taper

Sia la ricerca, sia l’esperienza hanno provato che non tutti gli atleti rispondono allo stesso modo allo
stesso tipo di scarico. Ne risulta che la tipologia di scarico debba essere individualizzata in base alle
caratteristiche di ciascun atleta (Mujika 2009). Anche il tempo di risposta allo scarico varia
individualmente e su questa base si possono distinguere tre tipi di atleti:
a. a risposta lenta;
b. a risposta veloce;
c. a risposta bifasica.

Dato lo stesso carico interno, un atleta che risponde lentamente necessita di tre settimane di scarico per
massimizzare la prestazione, dato che il suo miglioramento risulta evidente durante la terza settimana. Un
atleta che risponde velocemente, invece, necessita solo di due settimane. Per un atleta a risposta bifasica
il miglioramento finale è distribuito sulla durata di tre settimane nelle seguenti proporzioni: 50% nella
prima settimana, 5% nella seconda e 45% nella terza (Trinity et al. 2006).

La maggior parte degli atleti che non è in uno stato di overreaching risponde velocemente al periodo di
scarico, mentre inizia a deallenarsi dalla terza settimana. Poiché lo stato di overreaching è esattamente
uno stato di elevato carico interno, si può affermare che il fattore fondamentale nella determinazione della
durata del taper sia il carico interno dell’atleta tre settimane prima la gara più importante dell’anno. Altri
fattori, come il peso corporeo, il genere, il numero di ore settimanali di allenamento e la strategia di
riduzione del carico d’allenamento scelta influenzano la modalità con la quale il taper è pianificato. Nelle
tabelle seguenti sono indicate alcune linee guida. Il taper di durata minore è quello pianificato per un
atleta di una disciplina a prevalenza alattacida (ad esempio, i 60 m indoor dell’atletica leggera) che si è
allenato ad alta intensità e basso volume, con un ridotto carico interno a tre settimane dalla gara più
importante. Per questo atleta il taper può durare anche cinque giorni.

Anche il tipo di strategia di riduzione del carico di allenamento è di certo correlata al carico totale del
macrociclo pre-taper (e quindi al carico interno). Un macrociclo pre-taper di carico elevato che abbia
portato a uno stato di overreaching richiede una riduzione del carico di allenamento più rapida, come
quella del taper esponenziale veloce, nel caso di una durata di tre settimane, o del taper a scalino, nel
caso di una durata di due settimane. Diversamente, un macrociclo pre-taper di carico ridotto può
richiedere una riduzione più lenta (taper esponenziale lento o lineare) o una durata del taper di 7-10
giorni anziché 14. Considerando queste opzioni, il preparatore deve usare la propria esperienza, assieme
alle informazioni fornite in questo capitolo, per decidere se il periodo di scarico dovrà essere lungo o
breve e se la riduzione del carico di allenamento sarà lenta o veloce.
Figura 15.2
Fattori che influenzano la durata del taper

Linee guida per il taper

Come punto di partenza per stabilire il taper ideale per ciascun atleta, si suggerisce di usare una modalità
esponenziale rapida della durata di due settimane, con una riduzione del volume del 60%, preceduta da
un macrociclo di allenamento ad alta intensità di tre settimane. I fattori che possono essere manipolati
durante lo scarico per ridurre il carico interno dell’atleta sono l’intensità, il volume e la frequenza delle
sedute.

Manipolazione dell’intensità

Diversi studi hanno dimostrato che l’intensità utilizzata durante il taper è di fondamentale importanza sia
per mantenere gli adattamenti indotti dall’allenamento precedente, sia per stimolare ulteriori adattamenti
(Hickson et al. 1985; Shepley et al. 1992; Convertino et al. 1981; Mujika 1988; Bosquet et al. 2007;
McNeely e Sandler 2007). In particolare, l’intensità è ridotta mediamente del 5-10% per gli sport di
potenza e del 10-30% per gli sport di resistenza. La più alta riduzione in percentuale dovrebbe essere
raggiunta solamente negli ultimi giorni del tapering. Recenti simulazioni al computer suggeriscono inoltre
che il livello minimo di intensità dovrebbe essere raggiunto quattro giorni prima della gara e che
l’intensità dovrebbe essere incrementata ancora usando livelli medi e medio-alti durante gli ultimi tre
giorni, in modo da stimolare ulteriori adattamenti senza influenzare negativamente l’eliminazione della
fatica (Thomas, Mujika e Busso 2009).

Manipolazione del volume

Uno studio ha dimostrato che gli adattamenti ottenuti in 10 settimane possono essere mantenuti per
ulteriori 28 settimane con una riduzione del volume che varia dal 30 al 60% (Grave et al. 1988).

Inoltre, diversi studi condotti con atleti d’élite hanno riportato effetti positivi sulla prestazione con una
riduzione del volume massimo durante il taper che variava dal 40 all’85%; i miglioramenti più significativi
sono ottenuti con una riduzione entro un range del 40-60% (Houmard et al. 1989; McConnell et al. 1993;
Martin et al. 1994; Rietjens et al. 2001; Mujika et al. 1995; Shepley et al. 1992; Bosquet et al. 2007).

Come mostrato nella tabella 15.3, la percentuale di riduzione del volume durante il taper è determinata da
diversi fattori, inclusa la sua durata, la fatica interna residua, il tipo di riduzione del carico scelto.

Figura 15.3
Fattori che influenzano il volume d’allenamento durante il taper

Manipolazione della frequenza

Una parte della riduzione del volume necessaria per raggiungere il picco di forma può essere ottenuta
attraverso la diminuzione del numero delle sessioni settimanali. Questa pratica, però, non è consigliata. Si
suggerisce, invece, di ridurre il volume di ciascuna sessione, specialmente per gli sport più tecnici (ad
esempio, il nuoto, il canottaggio, lo sci di fondo, il kayak e la ginnastica) e, in generale, per gli atleti di
alto livello.

È una pratica comune negli sport di squadra di alto livello quella di pianificare due o tre giorni liberi,
durante la prima settimana del taper o tra la prima e la seconda settimana. Questo approccio è utilizzato
perché gli atleti di queste discipline solitamente entrano nel periodo di scarico prima dei tornei o delle
finali di coppa, in uno stato di overreaching a causa della lunga stagione competitiva. Per questa ragione,
per le squadre professionistiche e le squadre nazionali, si suggerisce ai medici sportivi di controllare il
rapporto testosterone-cortisolo e il livello del testosterone libero degli atleti (possibilmente controllandoli
per tutta la stagione, al fine di compararli). I risultati forniscono ai preparatori atletici maggiori
informazioni da usare nella modulazione del carico per ciascun giocatore durante il taper.

Come mostrato nella tabella 15.4, la diminuzione progressiva di volume e intensità delle attività di
allenamento durante la fase competitiva, così come l’incremento nell’utilizzo di tecniche di recupero,
aiutano l’atleta a ripristinare i substrati energetici, a raggiungere la supercompensazione, a rilassarsi
mentalmente e a costruire la motivazione per raggiungere il miglior risultato possibile nella gara
pianificata per il picco di prestazione.

La strategia presentata nella tabella deve essere applicata per tuta la durata del periodo di scarico, per
assicurare i massimi benefici neuromuscolari prima della gara più importante. Durante questo periodo,
l’attenzione si rivolge al recupero e alla rigenerazione attraverso un riposo adeguato, un’alimentazione
corretta, l’integrazione alimentare e il trattamento dei tessuti molli (ad esempio, massaggio profondo,
rilascio miofasciale).
In termini di obiettivi, questo è il momento per raccogliere i frutti di un’oculata pianificazione dei periodi
di preparazione e di gara.
Figura 15.4
Strategie di allenamento e recupero durante il taper e i loro benefici

15.4 I MICROCICLI DI PICCO PER GLI SPORT DI POTENZA, DI RESISTENZA E DI


SQUADRA

Ovviamente l’obiettivo fondamentale di ciascun atleta è raggiungere la massima prestazione durante la


competizione o le competizioni più importanti dell’anno. Questa è la ragione per la quale gli atleti fanno
grandi sforzi per molti mesi durante l’anno. All’avvicinarsi di una gara importante, colui che voglia
raggiungere il picco della prestazione deve utilizzare l’opzione migliore tra le varie strategie. Esse
differiscono in maniera significativa per gli sport individuali di potenza e velocità, gli sport individuali di
resistenza e gli sport di squadra. Le strategie per il raggiungimento del picco della forma per ciascuna di
queste categorie sono presentate nei seguenti paragrafi.

Tapering per gli sport di potenza e velocità

Per gli sport dominati da potenza e velocità, le intensità massimali (specialmente negli esercizi specifici)
sono impiegate per l’ultima volta circa 14-15 giorni prima della competizione, precedute da 5-7 giorni di
scarico. Durante la prima settimana del taper che segue, il volume è ridotto in maniera significativa,
poiché esso rappresenta la principale fonte di stress con gli esercizi intensi utilizzati in queste discipline.

Il volume è infatti solitamente ridotto del 50-60%, mantenendo due sessioni ad alta intensità, che
raggiunge un ulteriore picco nella prima parte della seconda settimana. Le altre sessioni sono di intensità
ridotta e i microcicli rispecchiano fortemente l’approccio ondulatorio delle fasi d’allenamento precedenti.
Nella seconda settimana il volume totale è ulteriormente ridotto, del 10-20%, e l’allenamento con i pesi
può essere eliminato, in base ai dati raccolti dal preparatore sulla risposta dell’atleta alle varie strategie
di scarico utilizzate durante l’anno, per preservare le energie per gli esercizi specifici. Durante le due
settimane di scarico, gli esercizi ad alta intensità sono impiegati ogni tre giorni a un volume che è del 50-
60% più basso rispetto al volume usato precedentemente. Inoltre, sono impiegati tempi di recupero più
lunghi, per evitare un accumulo di fatica prima della gara più importante dell’anno.

Per gli atleti di potenza e velocità, l’umore è fortemente correlato con il carico interno. Le sessioni ad alta
intensità possono quindi essere spostate qualora ce ne fosse bisogno, a seconda di come si senta l’atleta
(nel caso non si usino strumenti per monitorare la variabilità cardiaca). Il giorno precedente la gara
principale può essere di riposo o prevedere una sessione di potenziamento neuromuscolare attraverso
l’utilizzo di esercizi di forza o specifici, ad esempio accelerazioni brevi dai blocchi per un velocista. Si
veda la figura 15.9.
Figura 15.9
Dinamiche di volume e intensità per una fase di scarico di uno sport di potenza o di velocità

Legenda: V = volume, I = intensità


Tapering per gli sport di resistenza

Le recenti ricerche che analizzano i modelli di tapering di successo suggeriscono che, come per gli atleti
di velocità e potenza, gli atleti di resistenza debbano mantenere alcune sessioni ad alta intensità durante
il ciclo di scarico (intensità ridotta solo per il 10-15% per ciascuna sessione durante le due settimane).
Una breve seduta specifica ad alta intensità dovrebbe quindi essere pianificata in entrambe le settimane
di tapering.

L’allenamento della forza è generalmente ridotto a due brevi sessioni nella prima settimana ed eliminato
nella seconda. Fanno eccezione le atlete donne, gli atleti con un ridotto peso corporeo e quelli che
tendono a perdere forza velocemente: questi individui devono mantenere l’allenamento della forza anche
durante l’ultima settimana del taper, se la durata della gara è inferiore ai 10 minuti.

Il volume dovrebbe essere progressivamente ridotto del 40-60% durante le due settimane e la maggior
parte delle sessioni dovrebbero essere di media e bassa intensità. Gli atleti dovrebbero usare le intensità
superiori a quella di gara con un volume molto basso durante il taper, per evitare un accumulo di fatica e
per non perdere il feeling con il ritmo gara. Si veda la figura 15.10.

Inoltre, le sessioni a bassa intensità che utilizzano metodi continui non devono essere voluminose, così da
non influenzare negativamente il profilo ormonale dell’atleta e il recupero muscolare (Mujika 2009).
Questo approccio permette all’atleta di mantenere la propria forma senza indurre stress.
Secondo il ricercatore e allenatore esperto del tapering Inigo Mujika, gli atleti di resistenza solitamente
riportano sensazioni negative all’inizio dello scarico: stanchezza, debolezza muscolare e maggiore
sensazione di fatica per un determinato carico di allenamento. Queste sensazioni, però, non devono
preoccupare l’allenatore; piuttosto, esse sono sintomatiche del processo di recupero che si sta operando
e, probabilmente, risultano da un ipertono del sistema parasimpatico.

Nel caso di un taper breve (una settimana), l’atleta dovrebbe usare una strategia simile a quella usata per
gli sport di potenza. Il volume è progressivamente, ma rapidamente, ridotto del 60-70%; l’intensità di
ciascuna sessione è ridotta del 10-15%. Infine, la maggiore eritropoiesi, processo di produzione dei globuli
rossi, durante il taper può richiedere a un atleta di resistenza l’integrazione con il ferro. Questa possibilità
deve essere monitorata dallo staff medico.
Figura 15.10
Dinamiche di volume e intensità per una fase di scarico di uno sport di resistenza

Legenda: V = volume, I = intensità


Tapering per gli sport di squadra

Per gli sport di squadra abbiamo due momenti nei quali è auspicabile adottare una strategia di picco: alla
fine del periodo di preparazione (taper breve) e nel periodo precedente i play-off, le finali di coppa, i
tornei, o in situazioni simili (taper lungo).

Taper breve prima della stagione regolare


Sia la ricerca, sia la pratica hanno dimostrato che l’allenamento estensivo durante la fase di preparazione
degli sport di squadra riduce in maniera significativa la forza, la potenza e la velocità dei giocatori (Sirotic
e Coutts 2007; Edge et al. 2005; Coutts et al. 2007). Ne risulta che, in termini pratici, essi entrano nella
fase competitiva in uno stato di overreaching. Gli stessi studi mostrano che un taper di 7-10 giorni porta a
migliorare i suddetti parametri. Questo approccio non assicura la completa eliminazione della fatica
accumulata, che necessita di due o tre settimane ulteriori per essere dissipata, a causa della presenza
delle gare settimanali. Si suggeriscono quindi due o tre giorni liberi e l’esecuzione di un basso volume di
allenamento per quattro o cinque giorni prima dell’inizio della stagione regolare.

Taper lungo
Il taper dopo la stagione regolare (prima dei playoff) dovrebbe durare più dei sette giorni indicati per il
tapering breve all’inizio della stagione regolare, a causa del maggiore affaticamento provato dai giocatori
a questo tardo punto dell’anno. Se questo taper è troppo breve o viene addirittura saltato, i giocatori sono
a maggior rischio di prestazione sub-ottimale (Ekstrand et al. 2004; Bangso et al. 1999; Ferret e Cotte
2003).

Lo studio di Ferret e Cote, su come le diverse preparazioni effettuate dalla nazionale francese di calcio
per la Coppa del Mondo del 1998 e del 2002 abbiano influenzato il risultato finale, è piuttosto
interessante. Nel 1998, la squadra francese, che vinse il torneo, utilizzò due brevi macrocicli di carico
seguiti da un taper di due settimane. Nel 2002, invece, tutti i giocatori si unirono alla squadra soltanto
otto giorni prima dell’inizio del torneo e i marker biochimici dimostrarono chiari segni di affaticamento
dovuti al campionato nazionale francese appena terminato.

La mancanza di tempo per implementare un taper ben condotto e di fondamentale importanza portò a un
esito negativo. L’importanza di rimuovere la fatica dopo i campionati nazionali è ulteriormente illustrata
dal caso della squadra nazionale di calcio danese, che vinse il Campionato Europeo del 1992. In questo
caso, infatti, la squadra nazionale fu chiamata a prendere parte al torneo soltanto dieci giorni prima
dell’evento, ma tutti i giocatori avevano finito il proprio campionato da tre a cinque settimane prima. Per
questo motivo la vitoria della squadra danese fu in parte attribuita al fato che i suoi giocatori non erano
esausti, né fisicamente, né psicologicamente (Bangsbo 1999). Per gli sport di squadra il volume e
l’intensità di allenamento hanno quasi la stessa importanza.

Durante il tapering, però, il volume è ridotto più dell’intensità; l’allenamento è altamente specifico e la
durata delle sessioni è ridotta, mentre l’utilizzo delle tecniche di recupero è incrementato. Durante la
prima settimana di scarico, il volume è ridotto e i giocatori eseguono soltanto una seduta specifica ad alta
intensità. Se si volessero pianificare più sedute ad alta intensità (simulazione di gara) durante il periodo di
scarico, esse dovrebbero essere programmate a distanza di tre-cinque giorni l’una dall’altra (in base al
tempo necessario alla squadra per dissipare completamente la fatica indotta da tali sessioni).

Durante la seconda settimana il volume è ulteriormente ridotto attraverso l’accorciamento della durata
delle sessioni. L’intensità è mantenuta all’inizio della settimana e nei due giorni precedenti la gara si
prevedono sessioni brevi a bassa intensità incentrate sulla fiducia, l’ottimismo e lo spirito di squadra.

Durante queste due settimane, il recupero psicofisico dei giocatori è fondamentale. Inoltre, la pratica
delle squadre di successo in vari sport (ad esempio il calcio, il rugby, la pallanuoto, l’hockey) suggerisce di
dedicare due o tre giorni al recupero completo, prima del tapering o tra la prima e la seconda settimana.
Si veda la figura 15.11.
Figura 15.11
Dinamiche di volume e intensità per una fase di scarico di uno sport di squadra nel quale le componenti
aerobica e anaerobica hanno quasi la stessa importanza

Legenda: V = volume, I = intensità

L’alimentazione è fondamentale quando l’atleta debba affrontare un’importante competizione subito dopo
la fine del campionato. La ricerca mostra che il programma competitivo che preveda ripetutamente due
gare alla settimana, tipico di una squadra che raggiunge una finale di Coppa, rende molto difficile il
ripristino del glicogeno muscolare dei giocatori; questa situazione è esacerbata dalla concentrazione delle
partite in pochi giorni, tipica dei play-off o dei tornei internazionali di club o per squadre nazionali
(Zehnder et al. 2001; Reilly e Ekblom 2005; Mohr, Kustrup e Bangsbo 1994 e 2005; Bangsbo, Iaia e
Kustrup 2007). Ne risulta che gli atleti possono subire un calo della prestazione, specialmente nel secondo
tempo della partita.

È ovvio che tale declino non derivi da una mancanza di preparazione fisica, dato che il grado di
allenamento specifico dell’atleta in quel momento è molto alto. Invece, il fattore principale è una
considerevole riduzione delle scorte di glicogeno, che non sono state ripristinate attraverso una strategia
alimentare adeguata, che richiederebbe grosse quantità di carboidrati (sia semplici, sia complessi). Il
ripristino del glicogeno può essere ulteriormente stimolato programmando delle sessioni tattiche brevi, di
natura aerobica, prima dei pasti principali. Sessioni doppie di questo tipo sono state impiegate in un
microciclo sviluppato dalla federazione di calcio argentina per i tornei internazionali (Bompa e Claro
2008; si veda la tabella 15.5).

Tabella 15.5
Microciclo per i tornei internazionali sviluppato dalla squadra nazionale argentina di calcio

Legenda: TA = tattica

Picco e arousal

Per raggiungere il picco di prestazione in una gara, l’atleta deve essere in uno stato di arousal, ossia in
uno stato di attivazione mediato dal sistema neuroendocrino. I marker indicativi di uno stato di arousal
elevato (per citarne alcuni) sono un alto livello di catecolamine, di cortisolo e di ormone della crescita
(Enoka 2002).
Prima di gare importanti, gli atleti sono spesso in uno stato di ansia, irrequietezza ed eccitamento. Una
teoria, nota come l’ipotesi della U inversa (Raglin 1992), afferma che un moderato stato di arousal può
massimizzare la prestazione. Allo stesso modo, Enoka (2002) afferma che la produzione di forza può
essere incrementata dai cambiamenti indotti dall’arousal nella contrattilità muscolare e nella
coordinazione degli arti coinvolti. In questo caso l’arousal sembra contribuire all’incremento di forza,
poiché alcuni dei fattori neuroendocrini menzionati precedentemente influenzano positivamente il sistema
nervoso centrale.

La preparazione fisica e mentale dell’atleta dovrebbe essere a un livello ottimale per una gara importante
e il sistema neuromuscolare pronto e attivato per una prestazione massima. Per questo, sebbene gli
adattamenti all’allenamento non siano più l’obiettivo principale, gli atleti possono usare alcuni metodi per
guadagnare un vantaggio neuromuscolare nel giorno della gara. Questo vantaggio rappresenta l’essenza
dei metodi di potenziamento del sistema neuromuscolare. Infatti, poiché l’arousal è influenzato dallo stato
attuale del sistema nervoso centrale, la prestazione di un atleta può essere migliorata da esercitazioni
brevi e intense eseguite il giorno prima della gara, la mattina della gara o anche immediatamente prima
della gara stessa, a seconda di quali metodi e parametri vengano impiegati.

Picco e potenziamento neuromuscolare

Molti allenatori di successo utilizzano la periodizzazione dell’allenamento, il tapering e i metodi di


potenziamento del sistema neuromuscolare, per aiutare i propri atleti a raggiungere il picco di
prestazione. Questa sezione spiega come i preparatori atletici possano indurre una prestazione di picco
utilizzando tecniche di allenamento speciali: potenziamento post-attivazione e scarica sensoriale post-
contrazione.

Questi metodi sono utilizzati per sviluppare la massima tensione muscolare, che è normalmente difficile
da raggiungere. Tecniche efficaci per stimolare il sistema neuromuscolare e facilitare il massimo
reclutamento delle unità motorie sono l’utilizzo di carichi elevati, l’esecuzione di esercizi pliometrici ad
alta intensità e l’uso di contrazioni isometriche.
Il maggior reclutamento di unità motorie aumenta la capacità dell’atleta di generare forza, strategia che
può essere applicata alle esercitazioni di potenza. Considerando i benefici fisiologici specifici, queste
tecniche sono suggerite principalmente per gli sport di potenza e di velocità, come ad esempio la corsa, i
salti e i lanci nell’atletica leggera, le arti marziali, le gare brevi in acqua (per esempio i tuffi e la velocità
nel nuoto), il ciclismo su pista e il pattinaggio su ghiaccio.

Per lo stesso motivo i metodi di potenziamento del sistema neuromuscolare non sono consigliati per gli
eventi di lunga durata (ad esempio il calcio) e ancor meno per gli sport nei quali il sistema aerobico è
dominante, poiché i benefici per la prestazione sport-specifica sarebbero trascurabili o nulli.
Una delle più grandi sfide che si presentano agli allenatori e ai preparatori consiste nell’applicare i
risultati della ricerca di laboratorio all’allenamento atletico.

A seguito di intense contrazioni isometriche che causino una sommatoria di stimoli fino allo stato di tetano
completo, ogni ulteriore stimolazione causa una forza di contrazione massimale (Enoka 2002). Anche le
azioni concentriche possono portare a un potenziamento neuromuscolare (Gullich e Schmidtbleicher
1996; Chiu et al. 2003; Rixon, Lamont e Bemben 2007).

La massima forza di contrazione, o potenziamento post-attivazione, può essere mantenuto per circa 8-12
minuti prima di tornare ai livelli di riposo (Enoka 2002). Qualora si utilizzino esercizi eccentrici-
concentrici pesanti (oltre l’80% di 1RM), come quelli presentati nella tabella 15.5, un ulteriore
potenziamento appare dopo 6-7 ore e può durare fino a 24 ore. Per questa ragione, tali esercitazioni
possono essere utilizzate la mattina della gara o il giorno precedente.

La scarica sensoriale post-contrazione, invece, è un meccanismo fisiologico che può essere applicato
subito prima della gara. Episodi d’attività breve e intensa, cinque-venti minuti prima della gara, possono
incrementare il contributo neurale ai movimenti successivi, che dovranno essere eseguiti con la massima
efficacia (Enoka 2002). Per esempio, velocisti esperti spesso eseguono una o due serie di 2-4 ripetizioni di
esercizi pliometrici esplosivi (livello 2 o 3), 5-10 minuti prima della gara. Quest’attività incrementa la
scarica dei fusi neuromuscolari (Enoka 2002) e la conseguente attivazione dei muscoli motori primari.
Quindi attività brevi e intense, della durata di pochi secondi, permettono un maggior output di potenza nei
movimenti successivi.

Il potenziamento post-attivazione è minore per le unità motorie a contrazione lenta rispetto a quelle a
contrazione veloce (O’Leary, Hope e Sale 1998; Hamada et al. 2000) e questo rafforza l’importanza della
sua applicazione agli sport di potenza e velocità, per i quali l’attivazione delle unità motorie a contrazione
rapida è fondamentale. Inoltre, un muscolo caldo possiede un potenziamento post-attivazione superiore
rispetto a un muscolo freddo (Gossen, Allingham e Sale 2001).

Un riscaldamento adeguato non soltanto dunque previene gli infortuni, ma incrementa la capacità dei
muscoli di generare forza.

Inoltre, attraverso un processo di adattamento, all’incremento della capacità di generare forza segue
l’aumento del potenziamento post-attivazione. Si veda la tabella 15.6.

Tabella 15.6
Sessione di potenziamento neuromuscolare da impiegare la mattina di una gara, per uno sprinter che
gareggi sui 60, 100 o 200 m

RI = tempo di recupero; D+S = destra e sinistra


*di 1RM del ½ squat
LINEE GUIDA PER LA PERIODIZZAZIONE IN DIVERSI SPORT

La periodizzazione dell’allenamento e una parte di essa, ossia la periodizzazione della forza, sono
utilizzate in modo diverso nei vari sport, individuali, di squadra, con racchetta, nelle arti marziali e
negli sport acrobatici. La prestazione di picco è direttamente influenzata e facilitata da una
periodizzazione dell’allenamento ben strutturata, in cui la durata della fase di preparazione è un
elemento cruciale.

Ugualmente importante, in particolar modo per gli sport di velocità e potenza, è il modo in cui la
periodizzazione della forza viene applicata per realizzare il potenziale fisico dell’atleta. La seguente
lista di questioni legate all’argomento – e come queste influiscono sul picco della prestazione –
richiede che gli allenatori riflettano sulle loro tecniche di periodizzazione:

◊ alcuni sport individuali (come la corsa, il ciclismo e il triathlon) tendono ad avere una fase
preparatoria molto più lunga rispetto a quella degli altri sport, per questioni specifiche
quale la pianificazione delle competizioni sulla base delle condizioni climatiche;
◊ poiché gli sport di squadra, le arti marziali e gli sport con racchetta hanno fasi competitive
più lunghe rispetto a quelli individuali, essi seguono una periodizzazione con due-tre grandi
cicli di allenamento o più. Perciò la fase preparatoria è relativamente più breve rispetto alle
altre discipline;
◊ gli sport di squadra con una fase preparatoria più breve tendono ad avere una base
fisiologica di allenamento meno solida. Gli allenatori dovrebbero provare ad allungare la
fase di preparazione all’interno del periodo competitivo (raggiungendo almeno 12 settimane
di preparazione), continuando a migliorare i parametri di allenamento nonostante il minor
tempo, settimanale e giornaliero, a disposizione per la preparazione atletica. Questo
approccio è particolarmente indicato per le squadre e gli atleti il cui livello tecnico è più
alto del livello medio degli avversari;
◊ gli atleti degli sport individuali hanno più giorni a disposizione per l’allenamento fisico
rispetto alla loro controparte in altre discipline;
◊ gli allenatori degli sport individuali tendono a prestare più attenzione ai benefici della
preparazione atletica rispetto ai loro colleghi degli sport di squadra;
◊ più l’allenamento tecnico e tattico è importante in un particolare sport, più gli allenatori
tendono a enfatizzarlo. Il risultato finale è che essi trascurano la preparazione fisica
necessaria per raggiungere una prestazione migliore;
◊ il raggiungimento di alti livelli di prestazione nella fase competitiva dipende dall’efficacia
con cui viene svolto l’allenamento nella fase preparatoria;
◊ la periodizzazione della forza non è compresa a fondo in molti sport, in particolar modo in
alcuni giochi di squadra. Questa mancanza può influenzare negativamente il livello di forma
ottenibile;
◊ l’allenamento della forza massima spesso non è presente nella fase preparatoria o è
sottovalutato (come ad esempio negli sport di squadra, in quelli con racchetta e nelle arti
marziali). Tuttavia, una fase di allenamento della forza poco duratura o un allenamento
superficiale della forza massima influenzano negativamente la capacità dell’atleta di
massimizzare la potenza, la velocità e l’agilità;
◊ gli atleti degli sport individuali, in particolar modo nelle discipline aerobiche, possono aver
bisogno di raggiungere il picco di prestazione solo due o tre volte all’anno. Gli atleti degli
sport di squadra, tuttavia, devono giocare ad alti livelli durante tutta la stagione
competitiva. Gli allenatori, pertanto, potrebbero anticipare l’inizio della preparazione
atletica con un programma di preparazione aggiuntivo. In questo modo gli atleti hanno a
disposizione più tempo per la preparazione fisica, incluso l’allenamento della forza.
15.5 L’ALLENAMENTO DELLA FORZA DURANTE LA FASE DI TRANSIZIONE

Dopo un lungo periodo di duro lavoro e competizioni stressanti in cui la determinazione, la motivazione e
la volontà dell’atleta sono messe alla prova, egli risente di un alto grado di affaticamento fisiologico e
psicologico. Sebbene l’affaticamento muscolare possa scomparire in pochi giorni, la fatica del sistema
nervoso centrale e mentale (come si può osservare dal comportamento dell’atleta) può durare molto più a
lungo.

Più l’allenamento è stato intenso e maggiore è stato il numero di gare a cui l’atleta ha partecipato,
maggiore sarà il suo stato di affaticamento. In tali condizioni, qualsiasi atleta avrebbe delle difficoltà a
iniziare un nuovo ciclo annuale di allenamento; ne consegue che, prima di iniziare un’altra stagione, egli
debba riposare, sia fisicamente, sia psicologicamente. Quando la nuova fase di preparazione inizierà, egli
dovrà essere completamente rigenerato e pronto a partecipare all’allenamento. Infatti, dopo una fase
transitoria efficace, l’atleta dovrebbe provare un forte desiderio di tornare ad allenarsi.

La fase transitoria, spesso chiamata inappropriatamente off-season, serve come collegamento tra due
piani annuali. I suoi obiettivi principali sono il recupero psicologico, il rilassamento e la rigenerazione
biologica, così come il mantenimento di un livello di preparazione fisica generale accettabile. Questa fase
non dovrebbe durare più di sei settimane; altrimenti l’atleta si deallenerebbe, perdendo gran parte della
sua forma fisica.

Per mantenere un livello sufficiente di forma fisica, durante la fase transitoria ci si dovrebbe allenare due
o tre volte la settimana e almeno una sessione dovrebbe essere dedicata alla forza. È richiesto meno
sforzo per mantenere il 50% del livello di forma fisica precedente che per svilupparla nuovamente da zero.
Infatti, se un atleta inizia da zero dopo la fase transitoria, significa che ha subito un grande
deallenamento. Il fenomeno del deallenamento della forza è stato documentato fin dagli anni 60.
Hettinger (1966) scoprì che i muscoli potevano perdere fino al 30% della loro forza in una settimana di
immobilizzazione. Sebbene quello fosse un caso estremo, c’è un gran numero di casi simili riportato nei
libri di fisiologia dell’esercizio e di allenamento della forza, per cui i preparatori possono aspettarsi una
perdita di forza muscolare notevole dopo solo due settimane di inattività completa.

Per quanto riguarda l’allenamento della forza, durante la transizione gli atleti dovrebbero eseguire un
lavoro di compensazione per coinvolgere i gruppi muscolari che ricevono poca attenzione nelle fasi
preparatoria e competitiva. Ciò significa porre attenzione ai muscoli antagonisti e agli stabilizzatori.
Questi due gruppi possono essere allenati in una sessione dedicata di 20-30 minuti dopo qualsiasi
allenamento fisico informale (ad esempio un gioco scelto a piacere dagli atleti). Il programma di
allenamento può essere leggero e gli atleti possono decidere il proprio ritmo di lavoro e la durata delle
sedute.

In questa fase dell’anno l’allenamento non deve mai essere stressante. Bisogna scordarsi i parametri del
programma di allenamento in stagione come il carico specifico, il tempo di esecuzione, il numero di
ripetizioni e di serie preciso, i tempi di recupero. Per una volta gli atleti dovrebbero fare come vogliono.
BIBLIOGRAFIA

Aagaard, P., et al. 2011. Effects of resistance training on endurance capacity and muscle fiber composition in young top-
level cyclists. Scandinavian Journal of Medicine and Science in Sports 21 (6): e298–307. doi:10.1111/j.1600-
0838.2010.01283.x.
Aagaard, P., Simonsen, E.B., Anderson, J.L., Magnusson, S.P., and Halkaer-Kristensen, K. 1994. Moment and power
generation during maximal knee extensions performed at low and high speeds. European Journal of Applied
Physiology 89:2249–57.
Abbruzzese, G., Morena, M., Spadavecchia, L., and Schieppati, M. 1994. Response of arm flexor muscles to magnetic and
electrical brain stimulation during shortening and lengthening tasks in man. Journal of Physiology—London
481:499–507.
Adams, T.M., Worlay, D., and Throgmartin, D. 1987. The effects of selected plyometric and weight training on muscular
leg power. Track and Field Quarterly Review 87: 45–47.
Adlercreutz, H. et al. 1986. Effect of training on plasma anabolic and catabolic steroid hormones and their response
during physical exercise. International Journal of Sports Medicine. 7(1):27–8.
Ahtiainen, J.P., et al. 2011. Recovery after heavy resistance exercise and skeletal muscle androgen receptor and insulin-
like growth factor-I isoform expression in strength trained men. Journal of Strength and Con- ditioning Research 25
(3): 767–77. doi:10.1519/JSC.0b013e318202e449.
American College of Sports Medicine. 2000. Joint position statement of the American College of Sports Medicine,
American Dietetic Association, and Dietitians of Canada on nutrition and athletic performance. Medicine and
Science in Sports and Exercise 32 (12): 2130–45.Andersen, J.L., and Aagaard, P. 2000. Myosin heavy chain IIX
overshoot in human skeletal muscle. Muscle Nerve 23 (7): 1095–1104.
Andersen, J.L., et al. 1994. Myosin heavy chain isoforms in single fibres from m. vastus lateralis of sprinters: Influence of
training. Acta Physiologica Scandinavica 151 (2): 135–42.
Andersen JL, Aagaard P. 2000. Myosin heavy chain IIX overshoot in human skeletal muscle. Muscle Nerve. 23 (7): 1095-
104.
Andersen, L.L., et al. 2005. Changes in the human muscle force-velocity relationship in response to resistance training
and subsequent detraining. Journal of Applied Physiology 99 (1): 87–94.
Andersen, L.L., et al. 2010. Early and late rate of force development: Differential adaptive responses to resistance
training? Scandinavian Journal of Medicine and Science in Sports 20 (1): e162-69. doi:10.1111/j.1600-
0838.2009.00933.x.
Anderson, K., and Behm, D.G. 2004. Maintenance of EMG activity and loss of force output with instability. Journal of
Strength and Conditioning Research 18:637–40.
Anderson, K., Behm, D.G., and Curnew R.S. 2002. Muscle force and neuromuscular activation under stable and unstable
conditions. Journal of Strength and Conditioning Research 16:416–22.
Appell, H.J. 1990. Muscular atrophy following immobilization: A review. Sports Medicine 10 (1): 42–58. Armstrong, R.B.
1986. Muscle damage and endurance events. Sports Medicine 3:370–81.
Armstrong, R.B., Warren, G.L., and Warren, J.A. 1991. Mechanics of exercise-induced muscle fiber injury. Sports Medicine
12 (3): 184–207.
Ashton-Miller, J.A., Wojtys, E.M., Huston, L.J., and Fry-Welch, D. 2001. Can proprioception be improved by exercise? Knee
Surgery Sports Traumatology Arthroscopy 9 (3): 128–36.
Asmussen, E., and Mazin, B. 1978. A central nervous system component in local muscular fatigue. European Journal of
Applied Physiology 38:9–15.
Astrand, P.O., and Rodahl, K. 1985. Textbook of work physiology. New York: McGraw-Hill.
Atha, J. 1984. Strengthening muscle. Exercise and Sport Sciences Reviews 9:1–73
Ahtiainen JP et al. 2011. Recovery after heavy resistance exercise and skeletal muscle androgen receptor and insulin-like
growth factor-I isoform expression in strength trained men. J Strength Cond Res. 25 (3): 767–77. doi:
10.1519/JSC.0b013e318202e449.
Augustsson, J., Thomee, R., Hornstedt, P., Lindblom, J., Karlsson, J., and Grimby, G. 2003. Effect of pre-exhaustion exercise
on lower extremity muscle activation during a leg press exercise. Journal of Strength and Conditioning Research 17
(2): 411–16.
Babraj, J.A., et al. 2005. Collagen synthesis in human musculoskeletal tissues and skin. American Journal of Physiology—
Endocrinology and Metabolism 289 (5): E864–69.
Baker, D.G., Nance, S., and Moore, M. 1989. The load that maximizes the average mechanical power output during jump
squats in power-trained athletes. J Strength Cond Res. 15(1):20–4.
———.The load that maximizes the average mechanical power output during explosive bench press throws in highly
trained athletes. Journal of Strength and Conditioning Research 15 (1): 20–24.
Baker, D.G., and Newton, R.U. 2007. Change in power output across a high-repetition set of bench throws and jump
squats in highly trained athletes. Journal of Strength and Conditioning Research 21 (4): 1007–11.
Balsom, P.D., et al. 1999. Carbohydrate intake and multiple sprint sports: With special reference to football.International
Journal of Sport Medicine 20:48–52.
Bangsbo, J. 1994. Energy demands in competitive soccer. Journal of Sports Sciences. 12 Spec. No.: S5–12.
———. 1999. Science and football, J Sports Sci. 17(10):755–6.
Bangsbo, J., Iaia, F.M., and Krustrup, P. 2007. Metabolic response and fatigue in soccer. International Journal of Sports
Physiology and Performance 2 (2): 111–27.
Baroga, L. 1978. Contemporary tendencies in the methodology of strength development. Educatie Fizica si Sport 6:22–
36.
Banister E.W., Carter J.B., and Zarkadas, P.C. 1999. Training theory and taper: Validation in triathlon athletes, Eur J Appl
Physiol Occup Physiol. 79(2):179–86.
———. 1995. Modelling the effect of taper on performance, maximal oxygen uptake, and the anaerobic threshold in
endurance triathletes, Adv Exp Med Biol. 393:179–86.
Bazyler, et al. 2014. The efficacy of incorporating partial squats in maximal strength training, J Strength Cond Res.
Behm, D., and Sale, D.G. 1993. Intended rather than actual movement velocity determines velocity-specific training
response. Journal of Applied Physiology 74:359–68.
Belli, A., et al. 2002. Moment and power of lower limb joints in running. International Journal of Sports Medicine 23 (2):
136–41.
Bennet, W.M., and Rennie, M.J. 1991. Protein anabolic actions of insulin in the human body. Diabetic Medicine 8:199–207.
Berardi, J., and Andrews, R. 2009. Nutrition: The complete guide. California: Carpintiria. International Sport Science
Association.
Bergeron, G. 1982. Therapeutic massage. Canadian Athletic Therapist Association Journal Summer:15–17.
Bergstrom, J., Hermansen, L., Hultman, E., and Saltin, B. 1967. Diet, muscle glycogen and physical performance. Acta
Physiologica Scandinavica 71:140–50.
Bigland-Ritchie, B., Johansson, R., Lippold, O.C.J., and Woods, J.J. 1983. Contractile speed and EMG changes during
fatigue of sustained maximal voluntary contractions. Journal of Neurophysiology 50 (1): 313–24.
Billat, V.L., et al. 1999. Interval training at V• O max: Effects on aerobic performance and overtraining markers. Medicine
and Science in Sports and Exercise 31 (1): 156–63.
Billat, V.L., et al. 2013. The sustainability of V• O max: Effect of decreasing the workload. European Journal of Applied
Physiology 113 (2): 385–94.
Billat, V.L., Sirvent, P., Py, G., Koralsztein, J.P., and Mercier, J. 2003. The concept of maximal lactate steady state: A bridge
between biochemistry, physiology and sport science. Sports Medicine 33 (6): 407–26. Biolo, G., Fleming, R.Y.D., and
Wolfe, R.R. 1995.
Physiologic hyperinsulinemia stimulates protein synthesis and enhances transport of selected amino acids in human
skeletal muscle. Journal of Clinical Investigation 95:811–19.
Biolo, G., Tipton, K.D., et al. 1997. An abundant supply of amino acids enhances the metabolic effect of exercise on
muscle protein. American Journal of Physiology 273:E119–E122.
Biolo, G., Williams, B.D., Fleming, R.Y.D., and Wolfe, R.R. 1999. Insulin action on muscle protein kinetics and amino acid
transport during recovery after resistance exercise. Diabetes 48:949–57.
Bishop, N.C., Blannin, A.K., Rand, L., et al. 1999. Effect of carbohydrate and fluid intake on the blood leukocyte responses
to prolonged cycling. International Journal of Sports Medicine 17:26–27.
Bishop, N.C., Blannin, A.K., Walsh, N.P., et al. 2001. Carbohydrate beverage ingestion and neutrophil degran- ulation
responses following cycling to fatigue at 75% of VO2max. International Journal of Sports Medicine 22:226–31.
Bloomquist, K., et al. 2013. Effect of range of motion in heavy load squatting on muscle and tendon adaptations, Eur J
Appl Physiol 8: 2133–61.
Bogdanis, G.C., et al. 1996. Contribution of phosphocreatine and aerobic metabolism to energy supply during repeated
sprint exercise. Journal of Applied Physiology 80:876–84.
Bompa, T. 1965a. Periodization of strength. Sports Review 1:26–31.
———. 1965b. Periodization of strength for power sports. International Conference on Advancements in Sports Training,
Moscow.
———. 1977. Characteristics of strength training for rowing. International Seminar on Training in Rowing, Stockholm.
———. 1993. Periodization of strength: The new wave in strength training. Toronto: Veritas.
———. 1999. Periodization: Theory and methodology of training. 4th ed. Champaign, IL: Human Kinetics. Bompa, T., and
Frederick, C. 2008. Periodization in Rugby. Aachen, Germany: Meyer & Meyer Sport.
Bompa T., Hebbelinck, M., and Van Gheluwe, B. 1978. A biomechanical analysis of the rowing stroke employ- ing two
different oar grips. The XXI World Congress in Sports Medicine, Brasilia, Brazil.
Bompa, T.O. 2005. Treinando atletas de deporto colectivo. San Paulo, Brazil: Phorte Editora.
Bompa, T.O., and Haff, G.G. 2009. Periodization: Theory and methodology of training. 5th ed. Champaign, IL: Human
Kinetics.
Bonen, A. 2001. The expression of lactate transporters (MCT1 and MCT4) in heart and muscle. European Journal of
Applied Physiology 86 (1): 6–11.
Bonen, A., and Belcastro, A. 1977. A physiological rationale for active recovery exercise. Canadian Journal of Applied
Sports Sciences 2:63–64.
Borsheim, E., Cree, M.G., Tipton, K.D., Elliott, T.A., Aarsland, A., and Wolfe, R.R. 2004. Effect of carbohydrate intake on
net muscle protein synthesis during recovery from resistance exercise. Journal of Applied Phys- iology 96 (2): 674–
78.
Bosco, C., and Komi, P.V. 1980. Influence of countermovement amplitude in potentiation of muscular perfor- mance. In
Biomechanics VII proceedings, 129–35. Baltimore: University Park Press.
Bosquet, L., Montpetit, J., Arvisais, D., and Mujika, I. 2007. Effects of tapering on performance: A meta-analysis. Medicine
and Science in Sports and Exercise 39 (8): 1358–65.
Brooks, G.A., Brauner, K.T., and Cassens, R.G. 1973. Glycogen synthesis and metabolism of lactic acid after exercise.
American Journal of Physiology 224:1162–66.
Brooks, G.A., and Fahey, T. 1985. Exercise physiology: Human bioenergetics and its application. New York: Wiley.
Brooks, G.A., Fahey, T.D., and White, T.P. 1996. Exercise physiology: Human bioenergetics and its applications. 2nd ed.
Mountainview, CA: Mayfield.
Broughton, A. 2001. Neural mechanisms are the most important determinants of strength adaptations. Proposition for
debate. School of Physiotherapy, Curtin University.
Brughelli, M., et al. 2011. Effects of running velocity on running kinetics and kinematics. Journal of Strength and
Conditioning Research 25 (4): 933-39. doi:10.1519/JSC.0b013e3181c64308.
Bührle, M. 1985. Grundlagen des maximal-und schnellkraft trainings. Schorndorf: Hofmann Verlag.
Bührle, M., and Schmidtbleicher, D. 1981. Komponenten der maximal-und schnellkraft-versuch einer neus-trukturierung
auf der basis empirischer ergenbnisse. Sportwissenschaft 11:11–27.
Burd, N.A., et al. 2010. Low-load high-volume resistance exercise stimulates muscle protein synthesis more than high-
load low-volume resistance exercise in young men. PLOS ONE 5 (8): e12033. doi:10.1371/jour- nal.pone.0012033.
Burkes, L.M., Collier, G.R., and Hargreaves, M. 1998. Glycemic index—A new tool in sport nutrition? International Journal
of Sport Nutrition 8 (4): 401–15.
Caraffa, A., Cerulli, G., Projetti, M., Aisa, G., and Rizzo, A. 1996. Prevention of anterior cruciate ligament injuries in
soccer. A prospective controlled study of proprioceptive training. Knee Surgery, Sports Traumatology, Arthroscopy
4 (1): 19–21.
Chen, J.L., et al. 2011. Parasympathetic nervous activity mirrors recovery status in weightlifting performance after
training. Journal of Strength and Conditioning Research. 25(6):1546–52. doi: 10.1519/JSO.0b013e3181da7858.
Chiu, L.Z., et al. 2003. Postactivation potentiation response in athletic and recreationally trained individuals. Journal of
Strength and Conditioning Research 17 (4): 671–77.
Cinique, C. 1989. Massage for cyclists: The winning touch? The Physician and Sportsmedicine 17 (10): 167–70. Clark, N.
1985. Recovering from exhaustive workouts. National Strength and Conditioning Journal January:36–37.
Colado, J.C., et al. 2011. The progression of paraspinal muscle recruitment intensity in localized and global strength
training exercises is not based on instability alone. Archives of Physical Medicine And Rehabilitation 92 (11): 1875–
83. doi:10.1016/j. apmr.2011.05.015.
Compton, D., Hill, P.M., and Sinclair, J.D. 1973. Weight-lifters’ blackout. Lancet 302 (7840): 1234–1237.
Conlee, R.K. 1987. Muscle glycogen and exercise endurance: A twenty-year perspective. Exercise and Sport Sciences
Reviews 15:1–28.
Convertino, V.A., Keil, L.C., Bernauer, E.M., and Greenleaf, J.E. 1981. Plasma volume, osmolality, vasopressin, and renin
activity during graded exercise in man. Journal of Applied Physiology 50 (1): 123–28.
Conwit, R.A. et al. 2000. Fatigue effects on motor unit activity during submaximal contractions, Archives of Physical
Medicine and Rehabilitation, 81(9): 1211–1216.
Coombes, J.S., and Hamilton, K.L. 2000. The effectiveness of commercially available sports drinks. Sports Medicine 29
(3): 181–209.
Councilman, J.E. 1968. The science of swimming. Englewood Cliffs, NJ: Prentice Hall.
Coutts, A., Reaburn, P., Piva, T.J., and Murphy, A. 2007. Changes in selected biochemical, muscular strength, power, and
endurance measures during deliberate overreaching and tapering in rugby league players. International Journal of
Sports Medicine 28 (2): 116–24.
Coyle, E.F. 1999. Physiological determinants of endurance exercise performance. Journal of Science and Medicine in
Sport 2 (3): 181–89.
Coyle, E.F., Feiring, D.C., Rotkis, T.C., Cote, R.W., Roby, F.B., Lee, W., and Wilmore, J.H. 1991. Specificity of power
improvements through slow and fast isokinetic training. Journal of Applied Physiology: Respiratory Environment
Exercise Physiology 51 (6): 1437–42.
Cramer, J.T., et al. 2005. The acute effects of static stretching on peak torque, mean power output, electromyography, and
mechanomyography. European Journal of Applied Physiology 93 (5–6): 530–39.
Crameri, R.M., et al. 2004. Enhanced procollagen processing in skeletal muscle after a single bout of eccentric loading in
humans. Matrix Biology 23 (4): 259–64.
D’Amico, A., and Morin, C. 2012. Effects of Myofascial Release on Human Performance: A Review of the Literature.
Davis, J., Jackson, D.A., Broadwell, M.S., Queary, J.L., and Lambert, C.L. 1997. Carbohydrate drinks delay fatigue during
intermittent, high-intensity cycling in active men and women. International Journal of Sports Nutrition 7 (4): 261–
73.
Davis, R.M., Welsh, R.S., De Volve, K.L., and Alderson, N.A. 1999. Effects of branched-chain amino acids and
carbohydrate on fatigue during intermittent, high-intensity running, International Journal of Sports Medicine 20
(5): 309–14.
De Luca, C.J. and Erim, Z. 1994. Common drive of motor units in regulation of muscle force, Trends in Neuroscience, 17:
299–305.
De Luca, C.J., LeFever, R.S., McCue, M.P., and Xenakis, A.P. 1982. Behaviour of human motor units in different muscles
during linearly varying contractions. Journal of Physiology—London 329:113–28.
de Salles, B.F., et al. 2010. Strength increases in upper and lower body are larger with longer inter-set rest intervals in
trained men. Journal of Science and Medicine in Sport 13 (4): 429–33.
Devine, K.L., LeVeau, B.F., and Yack, H.J. 1981. Electromyographic activity recorded from an unexercised muscle during
maximal isometric exercise of the contralateral agonists and antagonists. Physical Therapy 6 (6): 898–903.
Doessing S. and Kjaer. 2005. Growth hormone and connective tissue in exercise. Scandinavian Journal of Medicine and
Science in Sports, 15(4): 202–210.
Dons, B., Bollerup, K., Bonde-Petersen, F., and Hancke, S. 1979. The effects of weight lifting exercise related to muscle
fibre composition and muscle cross-sectional area in humans. European Journal of Applied Physiology 40:95–106.
Dorado, C., Sanchis-Moysi, J., and Calbet, J.A., 2004. Effects of recovery mode on performance, O2 uptake, and O2 deficit
during high-intensity intermittent exercise. Canadian Journal of Applied Physiology 29 (3): 227–44.
Dudley, G.A., and Fleck, S.J. 1987. Strength and endurance training: Are they mutually exclusive? Sports Medicine 4:79–
85.
Ebbing, C., and Clarkson, P. 1989. Exercise-induced muscle damage and adaptation. Sports Medicine 7:207–34.
Edge, J., Bishop, D., Goodman, C., and Dawson, B. 2005. Effects of high- and moderate-intensity training on metabolism
and repeated sprints. Medicine and Science in Sports and Exercise 37 (11): 1975–82.
Edgerton, R.V. 1976. Neuromuscular adaptation to power and endurance work. Canadian Journal of Applied Sports
Sciences 1: 49–58.
Ekstrand, J., Waldén, M., and Hägglund, M. 2004. Risk for injury when playing in a national football team, Scand J Med
Sci Sports. 14(1):34–8.
Enoka, R. 1996. Eccentric contractions require unique activation strategies by the nervous system. Journal of Applied
Physiology 81 (6): 2339–46.
Enoka, R.M. 1994. Neuromechanical basis of kinesiology. 2nd ed. Champaign, IL: Human Kinetics.
———. 2002. Neuromechanics of human movement. 3rd ed. Champaign, IL: Human Kinetics.
Enoka, R.M., and Stuart, D.G. 1992. Neurobiology of muscle fatigue. Journal of Applied Physiology 72 (5): 1631–38.
Evangelista, P. 2010. Principles of Strength Training, a presentation for the Tudor Bompa Institute - Italia. Ciccarelli
Editore.
Evertsen, F., Medbo, J.I., Jebens, E.P., and Gjovaag, T.F. 1999. Effect of training on the activity of five muscle enzymes
studied in elite cross-country skiers. Acta Physiologica Scandinavica 167 (3): 247–57.
Fabiato, A., and Fabiato, F. 1978. The effect of pH on myofilaments and the sarcoplasmic reticulum of skinned cells from
cardiac and skeletal muscle. Journal of Physiology 276:233–55.
Fahey, T.D. 1992. How to cope with muscle soreness, Powerlifting USA. 15(7):10–11.
Fama, B.J., and Bueti, D.R. 2011. The acute effect of self-myofascial release on lower extremity plyometric performance.
Theses and Dissertations. Paper 2. Sacred Heart University.
Febbraio, M.A., and Pedersen, B.K. 2005. Contraction-induced myokine production and release: Is skeletal muscle an
endocrine organ? Exercise and Sport Sciences Reviews 33 (3): 114–19.
Ferret, J.M. and Cotte, T. 2003. Analyse des difference de preparation médicosportive de l’Equipe de France de football
pour le coupes du monde 1998 et 2002, Lutter contre le Dopage en géran la recuperation physique, Publications de
l’Université de Saint-Etienne. 23–26.
Fitts, R.H., and Widrick, J.J. 1996. Muscle mechanics: Adaptations with exercise-training. Exercise and Sport Sciences
Reviews 24: 427–73.
Fleck, S.J., and Kraemer, W.J. 1996. Periodization breakthrough. New York: Advanced Research Press.
Forslund, A.H., et al. 2000. The 24-h whole body leucine and urea kinetics at normal and high protein intake with
exercise in healthy adults. American Journal of Physiology 278:E857–67.
Fox, E.L. 1984. Sports physiology. New York: CBS College.
Fox, E.L., Bowes, R.W., and Foss, M.L. 1989. The physiological basis of physical education and athletics. Dubuque, IA:
Brown.
Frank, C.B. 1996. Ligament injuries: Pathophysiology and healing. In Athletic injuries and rehabilitation, ed. J.E.
Zachazewski, D.J. Magee, and W.S. Wilson, 9–26. Philadelphia: Saunders.
Friden, J., and Lieber, R.L. 1992. Structural and mechanical basis of exercise-induced muscle injury. Medicine in Science
and Sports Exercise 24:521–30.
Fritzsche, R.G., et al. 2000. Water and carbohydrate ingestion during prolonged exercise increase maximal neu-
romuscular power. Journal of Applied Physiology. 88 (2): 730–37.
Fry, R.W., Morton, R., and Keast, D. 1991. Overtraining in athletics. Sports Medicine 2 (1): 32–65. Garhammer, J. 1989.
Weightlifting and training. In Biomechanics of sport, ed. C.L. Vaughn, 169–211. Boca Raton, FL: CRC Press.
Gauron, E.F. 1984. Mental training for peak performance. New York: Sports Science Associates.
Gibala, M.J., MacDougall, J.D., Tarnopolsky, M.A., Stauber, W.T., and Elorriaga, A. 1995. Changes in human skeletal
muscle ultrastructure and force production after acute resistance exercise. Journal of Applied Physiology 78 (2):
702–8.
Godfrey, R.J., et al. 2003. The exercise-induced growth hormone response in athletes. Sports Medicine 33:599–613.
Goldberg, A.L., Etlinger, J.D., Goldspink, D.F., and Jablecki, C. 1975. Mechanism of work-induced hypertrophy of skeletal
muscle. Medicine and Science in Sports and Exercise 7:185–98.
Goldspink, G. 2005. Mechanical signals, IGF-I gene splicing, and muscle adaptation. Physiology 20:232–38.
———. 2012. Age-related loss of muscle mass and strength. J Aging Res 2012:158279 doi: 10.1155/2012/158279.
Gollhofer, A., Fujitsuka, P.A., Miyashita, N., and Yashita, M. 1987. Fatigue during stretch–shortening cycle exercises:
Changes in neuro-muscular activation patterns of human skeletal muscle. Journal of Sports Medicine 8:30–47.
Gollnick, P., Armstrong, R., Saubert, C., Piehl, K., and Saltin, B. 1972. Enzyme activity and fibre composition in skeletal
muscle of untrained and trained men. Journal of Applied Physiology 33 (3): 312–19.
González-Badillo, J.J., et al. 2014. Maximal intended velocity training induces greater gains in bench press performance
than deliberately slower half-velocity training, Eur J Sport Sci. 15:1–10.
Gorostiaga, E.M., Navarro-Amézqueta, I., Calbet, J.A., Hellsten, Y., Cusso, R., Guerrero, M., Granados, C., González-Izal,
M., Ibañez, J., and Izquierdo, M. 2012. Energy metabolism during repeated sets of leg press exercise leading to
failure or not. PLOS One 7 (7): e40621. doi: 10.1371/journal.pone.0040621.
Gossen, R.E., Allingham, K., and Sale, D.G. 2001. Effect of temperature on post-tetanic potentiation in human dorsiflexor
muscles. Canadian Journal of Physiology and Pharmacology 79: 49–58.
Goto, K., et al. 2004. Muscular adaptations to combinations of high- and low-intensity resistance exercises. Journal of
Strength and Conditioning Research 18 (4): 730–37.
Goto, K., et al. 2007. Effects of resistance exercise on lipolysis during subsequent submaximal exercise. Med Sci Sports
Exerc. 39(2):308–15.
Graves, et al. 1988. Effect of reduced training frequency on muscular strength, Int J Sports Med. 9(5):316–9. Gregg, R.A.,
and Mastellone, A.F. 1957. Cross exercise: A review of the literature and study utilizing electromyographic
techniques. American Journal of Physical Medicine 38:269–80.
Grizard, J., et al. 1999. Insulin action on skeletal muscle protein metabolism during catabolic states. Repro- duction
Nutrition Development 39 (1): 61–74.
Gullich, A., and Schmidtbleicher, D. 1996. MVC-induced short-term potentiation of explosive force. New Studies in
Athletics 11 (4): 67–81.Haff, G.G, et al. 2000. Carbohydrate supplementation attenuates muscle glycogen loss
during acute bouts of resistance exercise. International Journal of Sport Nutrition and Exercise Metabolism
10:326–39.
Hagberg, et al. 1979. Effect of training on hormonal responses to exercise in competitive swimmers. Eur J Appl Physiol
Occup Physiol. 41(3):211–9.
Hainaut, K., and Duchatteau, J. 1989. Muscle fatigue: Effects of training and disuse. Muscle & Nerve 12:660–69.
Haiyan, L., et al. 2011. Macrophages recruited via CCR2 produce insulin-like growth factor-1 to repair acute skeletal
muscle injury. FASEB Journal 25 (1): 358–69.
Häkkinen, K. 1986. Training and detraining adaptations in electromyography. Muscle fi and force production
characteristics of human leg extensor muscle with special reference to prolonged heavy resistance and explosive-
type strength training. Studies in Sport, Physical Education and Health 20. Jyväskylä, Finland: University of
Jyväskylä.
———. 1989. Neuromuscular and hormonal adaptations during strength and power training. Journal of Sports Medicine
and Physical Fitness 29 (1): 9–26.
Häkkinen, K., and Komi, P. 1983. Electromyographic changes during strength training and detraining. Medicine and
Science in Sports and Exercise, 15: 455–460.
Häkkinen, K., & Pakarinen, A. 1993. Acute hormonal responses to two different fatiguing heavy-resistance protocols in
male athletes. Journal of Applied Physiology 74 (2):882–7.
Hamada, T., et al. 2000. Post activation potentiation, fiber type, and twitch contraction time in human knee extensor
muscles. Journal of Applied Physiology. 88 (6): 2131–37.
Hameed, M., et al. 2008. Effects of eccentric cycling exercise on IGF-I splice variant expression in the muscles of young
and elderly people. Scandinavian Journal of Medicine and Science in Sports 18 (4): 447–52.
Hamlyn, N., et al. 2007. Trunk muscle activation during dynamic weight-training exercises and isometric instability
activities. Journal of Strength and Conditioning Research 21 (4): 1108–12.
Harre, D., ed. 1982. Trainingslehre. Berlin: Sportverlag.
———. 2005. Teoria dell’ allenamento. Roma, Società Stampa Sportiva.Harrison, B.C., et al. 2011. IIb or not IIb?
Regulation of myosin heavy chain gene expression in mice and men. Skeletal Muscle 1 (1):1–5. doi:10.1186/2044-
5040-1-5.
Harrison BC. et al. 2011. IIb or not IIb? Regulation of myosin heavy chain gene expression in mice and men. Skeletal
Muscle. 1 (1): 5. doi: 10.1186/2044-5040-1-5.
Hartmann, J., and Tünnemann, H. 1988. Fitness and strength training. Berlin: Sportverlag.
Hartmann, H. et al. 2012. Influence of squatting depth on jumping performance, J Strength Cond Res 26(12): 3243–61.
Hawley, J.A., Tipton, K.D., and Millard-Stafford, M.L. 2006. Promoting training adaptations through nutritional
interventions. Journal of Sports Sciences 24 (7): 709–21.
Hay, J.G. 1993. The biomechanics of sports techniques. Englewood Cliffs, NJ: Prentice Hall.
Healey, K.C., et al. 2014 The effects of myofascial release with foam rolling on performance. Journal of Strength and
Conditioning Research. 28(1): 61–68.
———. 2014. The effects of myofascial release with foam rolling on performance. Journal of Strength and Conditioning
Research 28 (1): 61–68.
Kyröläinen, H., Avela, J., and Komi, P.V. 2005. Changes in muscle activity with increasing running speed, J Sports Sci.
23(1):1101–9.
Hellebrand, F., and Houtz, S. 1956. Mechanism of muscle training in man: Experimental demonstration of the overload
principle. Physical Therapy Review 36:371–83.
Hellebrandt, F.A., Parrish, A.M., and Houtz, S.J. 1947. Cross education: The influence of unilateral exercise on the
contralateral limb. Archive of Physical Medicine 28:78–84.
Helms, Eric. 2010. Effects of Training-Induced Hormonal Changes on Muscular Hypertrophy.
http:www.3dmusclejourney.com/resources/Effects_of_Training-Induced_Hormonal_Changes_on_Muscular_Hyper-
trophy_by_Eric_Helms.pdf.
Henneman, E., Somjen, G., and Carpenter, D.O. 1965. Functional significance of cell size in spinal motoneurons. J.
Neurophysiol. 28:560–580.
Hennig, R., and Lomo, T. 1987. Gradation of force output in normal fast and slow muscle of the rat. Acta Physiologica
Scandinavica 130:133–42.
Hermansen, L., and Vaage, O. 1977. Lactate disappearance and glycogen synthesis in human muscle after maximal
exercise. American Journal of Physiology 233 (5): E422–29.
Hettinger, T. 1966. Isometric muscle training. Stuttgart: Georg Thieme Verlag.
Hettinger, T., and Müler, E. 1953. Muskelleistung and muskel training. Arbeitsphysiologie, 15:111–26.
Hickson, R., et al. 1985. Reduced training intensities and loss of aerobic power, endurance, and cardiac growth. Journal
of Applied Physiology 58:492–99.
Hickson, R.C., Dvorak, B.A., Corostiaga, T.T., and Foster, C. 1988. Strength training and performance in endur- ance-
trained subjects. Medicine and Science in Sports and Exercise 20 (2) (Suppl.): 586.
Hoff, J., Gran, A., and Helgerud, J. 2002. Maximal strength training improves aerobic endurance performance.
Scandinavian Journal of Medicine and Science in Sports 12 (5): 288–95.
Hoffman, J.R., Ratamess, N.A., Tranchina, C.P., Rashti, S.L., Kang, J., and Faigenbaum A.D. 2010. Effect of a proprietary
protein supplement on recovery indices following resistance exercise in strength/power athletes. Amino Acids 38
(3): 771–78.
Hornberger, T.A., et al. 2006. The role of phospholipase D and phosphatidic acid in the mechanical activation of mTOR
signaling in skeletal muscle. Proceedings of the National Academy of Science of the United States of America 103
(12): 4741-46.
Hortobagyi, T., Hill, J., Houmard, A., Fraser, D., Lambert, J., and Israel, G. 1996. Adaptive responses to muscle
lengthening and shortening in humans. Journal of Applied Physiology 80 (3): 765–72.
Houmard, J.A., Kirwan, J.P., Flynn, M.G., and Mitchell, J.B. 1989. Effects of reduced training on submaximal and maximal
running responses. International Journal of Sports Medicine 10:30–33.
Houmard, J.A. 1991. Impact of reduced training on performance in endurance athletes. Sports Medicine 12 (6): 380–93.
Howard, J.D., Ritchie, M.R., Gater, D.A., Gater, D.R., and Enoka, R.M. 1985. Determining factors of strength: Physiological
foundations. National Strength and Conditioning Journal 7 (6): 16–21.
Hubbard, T.J., et al. 2004. Does cryotherapy hasten return to participation? A systematic literature review. Journal of
Athletic Training 39 (1): 88–94.
Hultman, E., and Sjoholm, H. 1983. Energy metabolism and contraction force of skeletal muscle in-situ during electrical
stimulation. Journal of Physiology 345:525–32.
International Olympic Committee. 2010. Consensus Statement on Sport Nutrition.
www.olympic.org/Documents/Reports/EN/CONSENSUS-FINAL-v8-en.pdf
Israel, S. 1972. The acute syndrome of detraining. Berlin: GDR National Olympic Committee. 2: 30–35. Ivy, J., and
Portman, R. 2004. Nutrient timing. Laguna Beach, California: Basic Health Publications.
Ivy, J.L, et al. 2003. Effect of carbohydrate-protein supplement on endurance performance during exercise of varying
intensity. International Journal of Sport Nutrition and Exercise Metabolism 13:42–49, 52–56, 338–401.
Izquierdo, M., et al. 2006. Differential effects of strength training leading to failure versus not to failure on hormonal
responses, strength and muscle power increases. Journal of Applied Physiology 100:1647–56.
Jacobs, I., Esbornsson, M., Sylven, C., Holm, I., and Jansson, E. 1987. Sprint training effects on muscle myoglo- bin,
enzymes, fibre types, and blood lactate. Medicine and Science in Sports and Exercise 19 (4): 368–74.
Janssen, P. 2001. Lactate threshold training. Champaign, IL: Human Kinetics.
Jezova, D. et al. 1985. Plasma testosterone and catecholamine responses to physical exercise of different intensities in
men. European Journal of Applied Physiology and Occupational Physiology, 54(1):62–66.
Johns, R.J., and Wright, V. 1962. Relative importance of various tissues in joint stiffness. Journal of Applied Physiology
17:824.
Jorgensen, J.O. et al. 2003. Exercise, hormones and body temperature: Regulation and action of Gh during exercise.
Journal of Endocrinological Investigation, 26 (9): 838–42.
Kandarian, S.C., and Jackman, R.W. 2006. Intracellular signaling during skeletal muscle atrophy. Muscle and Nerve 33
(2): 155–65.
Kanehisa, J., and Miyashita, M. 1983. Effect of isometric and isokinetic muscle training on static strength and dynamic
power. European Journal of Applied Physiology 50: 365–71.
Kannus, P., Alosa, D., Cook, L., Johnson, R.J., Renstrom, P., Pope, M., Beynnon, B., Yasuda, K., Nichols, C., and Kaplan, M.
1992. Effect of one-legged exercise on the strength, power and endurance of the contralateral leg: A randomized,
controlled study using isometric and concentric isokinetic training. European Journal of Applied Physiology 64 (2):
117–26. Karlsson, J., and Saltin, B. 1971. Diet, muscle glycogen and endurance performance. Journal of Applied
Physiology 31 (2): 203–6.
Kawamori, N., et al. 2013. Relationships between ground reaction impulse and sprint acceleration performance in team
sport athletes. Journal of Strength and Conditioning Research 27 (3): 568–73. doi:10.1519/JSC.0b013e318257805a.
Kerksick, C., et al. 2008. International society of sport nutrition position stand: Nutrient timing. Journal of the
International Society of Sport Nutrition 5:17.
Kjaer, M., et al. 2005. Metabolic activity and collagen turnover in human tendon in response to physical activity. Journal
of Musculoskeletal and Neuronal Interactions 5 (1): 41–52.
Kjaer, M., et al. 2006. Extracellular matrix adaptation of tendon and skeletal muscle to exercise. Journal of Anatomy 208
(4): 445–50.
Komi, P.V., and Bosco, C. 1978. Utilization of stored elastic energy in leg extensor muscles by men and women. Medicine
and Science in Sports and Exercise 10 (4): 261–65.
Komi, P.V., and Buskirk, E.R. 1972. Effect of eccentric and concentric muscle conditioning on tension and electrical
activity of human muscle. Ergonomics 15 (4): 417–34.
Kraemer, W.J., and Ratamess, N.A. 2005. Hormonal responses and adaptations to resistance exercise and training. Sports
Medicine 35:339–61.
Kraemer, W.J., Ratamess, N.A., Volek, J.S., Häkkinen, K., Rubin, M.R., French, D.N., Gómez, et al. 2006. The effects of
amino acid supplementation on hormonal responses to resistance training overreaching. Metabolism 55 (3): 282–
91.
Kugler, A., Kruger-Franke, M., Reininger, S., Trouillier, H.H., and Rosemeyer, B. 1996. Muscular imbalance and shoulder
pain in volleyball attackers. British Journal of Sports Medicine 30 (3): 256–59.
Kuipers, H., and Keizer, H.A. 1988. Overtraining in elite athletes: Review and directions for the future. Sports Medicine
6:79–92.
Kuoppasalmi and Adlercreutz. 1985. Interaction between anabolic and catabolic steroid hormones in muscular exercise.
Exercise Endocrinology. Berlin: deGuyter: 65–98.
Kyröläinen, H., et al. 2001. Biomechanical factors affecting running economy. Medicine and Science in Sports and
Exercise 33 (8): 1330–37.
Lamb, D.R. 1984. Physiology of Exercise: Responses and Adaptations, 2nd ed. New York: MacMillan Publishing Company.
Langberg, H., et al. 2007. Eccentric rehabilitation exercise increases peritendinous type I collagen synthesis in humans
with Achilles tendinosis. Scandinavian Journal of Medicine and Science in Sports. 17:61–66.
Lange, L. 1919. Über functionelle anpassung. Berlin: Springer Verlag.
Latash, M.L. 1998. Neurophysiological basis of movement. Champaign, IL: Human Kinetics.
La Torre, A., et al. 2010. Acute effects of static stretching on squat jump performance at different knee starting angles.
Journal of Strength and Conditioning Research 24 (3): 687–94. doi:10.1519/JSC.0b013e3181c7b443.
Laubach, L.L. 1976. Comparative muscle strength of men and women: A review of the literature. Aviation, Space, and
Environmental Medicine 47:534–42.
Lee, M., and Carroll, T. 2007. Cross-education: Possible mechanisms for the contralateral effects of unilateral resistance
training. Sports Medicine 37 (1): 1–14.
Lemon, P.W. et al. 1997. Moderate physical activity can increase dietary protein needs. Canadian Journal of Applied
Physiology 22:494–503.
Lephart, S.M., Ferris, C.M., Riemann, B.L., Myers, J.B., and Fu, F.H. 2002. Gender differences in strength and lower
extremity kinematics during landing. Clinical Orthopaedics and Related Research 402:162–69.
Liu, Y., et al. 2008. Response of growth and myogenic factors in human skeletal muscle to strength training.
British Journal of Sports Medicine 42 (12): 989–93. doi:10.1136/bjsm.2007.045518.
MacDonald, G., et al. 2013. An acute bout of self myofascial release increases range of motion without a subse- quent
decrease in neuromuscular performance. Journal of Strength and Conditioning Research. 27(3):812–21. doi:
10.1519/JSC.0bb013e31825c2bc1.
MacDougall, J.D., Tuxen, D., Sale, D.G., Moroz, J.R., and Sutton, J.R. 1985. Arterial blood pressure response to heavy
resistance exercise. Journal of Applied Physiology 58 (3): 785–90.
Marsden, C., Meadows, J.F., and Merton, P.A. 1971. Isolated single motor units in human muscle and their rate of
discharge during maximal voluntary effort. Journal of Physiology—London 217:12P–13P.
Martin, D.T, Scifres, J.C, Zimmerman, S.D, and Wilkinson, J.G. 1994. Effects of interval training and a taper on cycling
performance and isokinetic leg strength. International Journal of Sports Medicine 15:485–91.
Martuscello, J., et al. 2012. Systematic review of core muscle electromyographic activity during physical fitness
exercises. J Strength Cond Res. 27(6):1684–98. doi: 10.1519/JSC.0b013e318291b8da..
Mathews, D.K., and Fox, E.L. 1976. The physiological basis of physical education and athletics. Philadelphia: Saunders.
Maughan, R.J., Goodburn, R., Griffin, J., Irani, M., Kirwan, J.P., Leiper, J.B., MacLaren, D.P., McLatchie, G., Tsintsas, K.,
and Williams, C. 1993. Fluid replacement in sport and exercise—A consensus statement. British Journal of Sports
Medicine 27 (1): 34–35.
McConell, G.K., Costill, D.L., Widrick, J.J., Hickey, M.S., Tanaka, H., and Gastin, P.B. 1993. Reduced training volume and
intensity maintain capacity but not performance in distance runners. International Journal of Sports Medicine
14:33–37.
McDonagh, M.J.N., and Davies, C.T.M. 1984. Adaptive response of mammalian skeletal muscle to exercise with high
loads. European Journal of Applied Physiology 52:139–55.
McDonald, G.Z., et al. 2013. An acute bout of self-myofascial release increases range of motion without subsequent
decrease in muscle activation force. Journal of Strength and Conditioning Research 27 (3): 812–21.
McNeely, E., and Sandler, D. 2007. Tapering for endurance athletes. Strength and Conditioning Journal 29 (5): 18–24.
Micheli, L.J. 1988. Strength training in the young athlete. In Competitive sports for children and youth, ed. E.W. Brown
and C.E. Branta, 99–105. Champaign, IL: Human Kinetics.
Miller, B.F., et al. 2005. Coordinated collagen and muscle protein synthesis in human patella tendon and quadriceps
muscle after exercise. Journal of Physiology 567 (Pt 3): 1021–33.
Moeller, F. et al. 1985. Duration of stretching effect on range of motion in lower extremities. Archives of Physical
Medicine and Rehabilitation 66:171–73.
Mohr, M., Krustrup, P., and Bangsbo, J. 2005. Fatigue in soccer: A brief review. Journal of Sports Sciences 23 (6): 593–99.
Morgan, R.E., and Adamson, G.T. 1959. Circuit weight training. London: Bell.
Morin, J.B. 2011. Technical ability of force application as a determinant factor of sprint performance. Medicine and
Science in Sports and Exercise 43 (9): 1680–88. doi:10.1249/MSS.0b013e318216ea37.
Morin, J.B., et al. 2012. Mechanical determinants of 100-m sprint running performance. European Journal of Applied
Physiology 112 (11): 3921–30. doi:10.1007/s00421-012-2379-8.
Moritani, T. 1992. Time course of adaptations during strength and power training. In Strength and power in sport, ed. P.V.
Komi, 266–78. Champaign, IL: Human Kinetics.
Moritani, T., and deVries, H.A. 1979. Neural factors versus hypertrophy in the time course of muscle strength gain.
American Journal of Physical Medicine 58 (3): 115–30.
Mujika, I. 1998. The influence of training characteristics and tapering on adaptation in highly trained individuals: A
review. International Journal of Sports Medicine 19:439–46.
———. 2009. Tapering and peaking for optimal performance. Champaign, IL: Human Kinetics.
Mujika, I., Chatard, J.C., Busso, T., Geyssant, A., Barale, F., and Lacoste, L. 1995. Effects of training on performance in
competitive swimming. Canadian Journal of Applied Physiology 20 (4): 395–406.
Mujika, I.l., Padilla, S., and Pyne, D. 2002. Swimming performance changes during the final 3 weeks of training leading to
the Sydney 2000 Olympic Games, Int J Sports Med. 23(8):582–7.
Nardone, A., Romanò, C., and Schieppati, M. 1989. Selective recruitment of high-threshold human motor units during
voluntary isotonic lengthening of active muscles. Journal of Physiology 409:451–71.
Nelson, A.G., Arnall, D.A., Loy, S.F., Silvester, L.J., and Conlee, R.K. 1990. Consequences of combining strength and
endurance training regimens. Physical Therapy 70 (5): 287–94.
Nelson, A.G., et al. 2005. Acute effects of passive muscle stretching on sprint performance. Journal of Sports Sciences 23
(5): 449–54.
Newsholme, E. 2005. Keep on running: The science of training and performance. Hoboken, NJ: Wiley. Noakes, T.D., et al.
2005. From catastrophe to complexity: A novel model of integrative central neural regulation of effort and fatigue
during exercise in humans: Summary and conclusions. British Journal of Sports Medicine 39:120–24.
doi:10.1136/bjsm.2003.010330.
Nummela, A., et al. 2007. Factors related to top running speed and economy. International Journal of Sports Medicine 28
(8): 655–61.
Nuzzo, J.L. 2008. Trunk muscle activity during stability ball and free weight exercises. Journal of Strength and
Conditioning Research 22 (1): 95–102. doi:10.1519/JSC.0b013e31815ef8cd.
Okamura, K., et al. 1997. Effect of amino acid and glucose administration during post-exercise recovery on protein
kinetics in dogs. American Journal of Physiology 272:E1023–30.
O’Leary, D.D., Hope, K., and Sale, D.G. 1998. Influence of gender on post-tetanic potentiation in human dorsiflexors.
Canadian Journal of Physiology and Pharmacology 76:772–79.
Owino, V., et al. 2001 Age-related loss of skeletal muscle function and the inability to express the autocrine form of
insulin-like growth factor-1 (MGF) in response to mechanical overload FEBS Letters 505 (2): 259–63.
Ozolin, N.G. 1971. Athlete’s training system for competition. Moscow: Phyzkultura i sports.
Piehl, K. 1974. Time course for refilling of glycogen stores in human muscle fibres following exercise-induced glycogen
depletion. Acta Physiologica Scandinavica 90: 297–302.
Pincivero, D.M., and Campy, R.M. 2004. The effects of rest interval length and training on quadriceps femoris muscle.
Part I: Knee extensor torque and muscle fatigue. Journal of Sports Medicine and Physical Fitness 44 (2): 111–18.
Pincivero, D.M., Lephart, S.M., and Karunakara, R.G. 1997. Effects of rest interval on isokinetic strength and functional
performance after short-term high intensity training. British Journal of Sports Medicine 31 (3): 229–34.
Ploutz, L., et al. 1994. Effect of resistance training on muscle use during exercise, Journal of Applied Physiology, 76:
1675–1681.
Power, K., et al. 2004. An acute bout of static stretching: Effects on force and jumping performance. Medicine and
Science in Sports and Exercise 36 (8): 1389–96.
Powers, S.K., Lawler, J., Dodd, S., Tulley, R., Landry, G., and Wheeler, K. 1990. Fluid replacement drinks during high
intensity exercise: Effects on minimizing exercise-induced disturbances in homeostasis. European Journal of
Applied Physiology and Occupational Physiology 60 (1): 54–60.
Pyne, D.B., et al. 2009. Peaking for optimal performance: Research limitations and future directions, Journal of Sports
Sciences. 27(3):195–202.
Raglin, J.S. 1992. Anxiety and sport performance. Exercise Sports Science Review 20:243–74.
Ranieri, F. and Di Lazzaro, V. 2012. The role of motor neuron drive in muscle fatigue, Neurumuscul Disord 22(3): S157–
61.
Rasmussen, R.B., and Phillips, S.M. 2003. Contractile and nutritional regulation of human muscle growth. Exercise and
Sport Sciences Reviews 31 (3): 127–31.
Ready, S.L., Seifert, J., Burke, E. 1999. Effect of two sport drinks on muscle tissue stress and performance. Medicine and
Science in Sports and Exercise 31 (5): S119.
Reilly, T., and Ekblom, B. 2005. The use of recovery methods post-exercise. Journal of Sports Sciences 23 (6): 619–27.
Rennie, M.J., and Millward, D.J. 1983. 3-methylhistidine excretion and the urinary 3-methylhistidine/creatinine ratio are
poor indicators of skeletal muscle protein breakdown. Clinical Science 65:217–25.
Rhea, M.R., et al. 2009. Alterations in speed of squat movement and the use of accommodated resistance among college
athletes training for power. Journal of Strength and Conditioning Research 23 (9): 2645–50.
doi:10.1519/JSC.0b013e3181b3e1b6.
Rietjens, G.J., Keizer, H.A., Kuipers, H., and Saris, W.H. 2001. A reduction in training volume and intensity for 21 days
does not impair performance in cyclists. British Journal of Sports Medicine 35 (6): 431–34.
Rixon, K.P., Lamont, H.S., & Bemben, M.G. 2007. Influence of type of muscle contraction, gender, and lifting experience
on postactivation potentiation performance. Journal of Strength and Conditioning Research 21 (2): 500–505.
Robinson, J.M., et al. 1995. Effects of different weight training exercise/rest intervals on strength, power, and high
intensity exercise endurance. Journal of Strength and Conditioning Research 9 (4): 216–21.
Roemmich, J.N., and Rogol, A.D. 1997. Exercise and growth hormone: Does one afect the other? Journal of Pediatrics
131:S75–80.
Roman Suarez, I. 1986. Levantamiento de pesas—Periodo competitivo. La Habana, Cuba: Editorial Cientifico Tecnico.
Rønnestad, B.R., and Mujika, I. 2013. Optimizing strength training for running and cycling endurance per- formance: A
review. Scandinavian Journal of Medicine and Science in Sports. 24(4):603–612.
Roschel, H., et al. 2011. Effect of eccentric exercise velocity on akt/mtor/p70(s6k) signaling in human skeletal muscle.
Applied Physiology Nutrition and Metabolism 36 (2): 283–90. doi:10.1139/h10-111.
Sahlin, K. 1986. Metabolic changes limiting muscular performance. Biochemistry of Exercise 16:86–98.
Sale, D. 1986. Neural adaptation in strength and power training. In Human muscle power, ed. L. Jones, L.N. McCartney,
and A. McConias, 289–304. Champaign, IL: Human Kinetics.
———. 1992. Neural adaptations to strength training. In Strength and power in sport, ed. P.V. Komi, 249–65. Oxford:
Blackwell Scientific.
Sale, D.G., MacDougall, J.D., Jakobs, I., and Garner, S. 1990. Interaction between concurrent strength and endurance
training. Journal of Applied Physiology 68 (1): 260–70.Saltin, B. 1973. Metabolic fundamentals in exercise.
Medicine and Science in Sports 5:137–46.
Samuel, M.N., et al. 2008. Acute effects of static and ballistic stretching on measures of strength and power. Journal of
Strength and Conditioning Research 22 (5): 1422–28. doi:10.1519/JSC.0b013e318181a314.
Sariyildiz, M., et al. 2011. Cross-education of muscle strength: Cross-training effects are not confi to untrained
contralateral homologous muscle. Scandinavian Journal of Medicine and Science in Sport. 21(6):e359–64. doi:
10.1111/j.1600-0838.2011.01311.x. Epub 2011.
Schanzer, W. 2002. Analysis of Non-Hormonal Nutritional Supplements for Anabolic-Androgenic Steroids.
www.olympic.org/Documents/Reports/EN/en_report_324.pdf
Schillings, M.L., et al. 2000. Central and peripheral aspects of exercise-induced fatigue. www.med.uni-
jena.de/motorik/pdk/schillings.pdf.
Schmidtbleicher, D. 1984. Sportliches krafttraining. Berlin: Jung, Haltong, und Bewegung bei Menchen.
———. 1992. Training for power events. In Strength and power in sport, ed. P.V. Komi, 381–95. Oxford, UK: Blackwell
Scientific. Schmidtbleicher, D., et al. 2014. Long-term strength training effects on change-of-direction sprint
performance. Journal of Strength and Conditioning Research 28 (1): 223–31.
Schoenfeld, B.J. 2012. Does exercise-induced muscle damage play a role in skeletal muscle hypertrophy? Journal of
Strength and Conditioning Research 26 (5): 1441–53. doi:10.1519/JSC.0b013e31824f207e.
Shepley, B., MacDougall, J.D., Cipriano, N., Sutton, J.R., Tarnopolsky, M.A., and Coates, G. 1992. Physiological effects of
tapering in highly trained athletes. Journal of Applied Physiology 72:706–11.
Sirotic, A.C., and Coutts, A.J. 2007. Physiological and performance test correlates of prolonged, high-intensity,
intermittent running performance in moderately trained women team sport athletes. Journal of Strength and
Conditioning Research 21 (1): 138–44.
Sjøgaard, G., et al. 1985. Water and ion shifts in skeletal muscle of humans with intense dynamic knee exten- sion.
American Journal of Physiology 248 (2 pt 2): R190–96.
Soderman, K., Wener, S., Pietila, T., Engstrom. B., and Alfredson, H. 2000. Balance board training: Prevention of
traumatic injuries of the lower extremities in female soccer players? A perspective randomized inter- vention study.
Knee Surgery, Sports Traumatology, Arthroscopy 8 (6): 356–63.
Staley, C. 2005. Muscle logic, Rodale Press.
Staron, R.S., Hagerman, F.C., and Hikida, R.S. 1981. The effects of detraining on an elite power lifter. Journal of
Neurological Sciences 51:247–57.
Stone, M.H., and O’Bryant, H.S. 1984. Weight training: A scientific approach. Minneapolis, MN: Burgess.
Sullivan, K.M., et al. 2013. Roller-massager application to the hamstrings increases sit-and-reach range of motion within
five to ten seconds without performance impairments. Int J Sports Phys Therapy 8 (3): 228–36.
Takagi, R., et al. 2011. Influence of icing on muscle regeneration after crush injury to skeletal muscles in rats. Journal of
Applied Physiology 110 (2): 382–88.
Takarada, Y., et al. 2000. Rapid increase in plasma growth hormone after low-intensity resistance exercise with vascular
occlusion, J Appl Physiol. 88(1):61–5.
Taylor, J.L., Todd, G., and Gandevia, S.C. 2006. Evidence for a supraspinal contribution to human muscle fatigue, Clin Exp
Pharmacol Physiol 33(4): 400–5.
Terjung, R.L. and Hood, D.A. 1986. Biochemical adaptations in skeletal muscle induced by exercise training. In Nutrition
and aerobic exercise, ed. D.K. Layman, 8–27. Washington, DC: American Chemical Society.
Tesch, P. 1980. Muscle fatigue in man. Acta Physiologica Scandinavica Supplementum 480:3–40.
Tesch, P., Sjšdon, B., Thorstensson, A., and Karlsson, J. 1978. Muscle fatigue and its relation to lactate accumulation and
LDH activity in man. Acta Physiologica Scandinavica 103:413–20.
Tesch, P.A., and Larsson, L. 1982. Muscle hypertrophy in bodybuilders. European Journal of Applied Physiology and
Occupational Physiology 49 (3): 301–6.
Tesch, P.A., Thorsson, A., and Kaiser, P. 1984. Muscle capillary supply and fiber type characteristics in weight and power
lifters. Journal of Applied Physiology 56:35–38.
Thacker, S.B., Stroup, D.F., Branche, C.M., Gilchrist, J., Goodman, R.A., and Porter Kelling, E. 2003. Prevention of knee
injuries in sports. A systematic review of literature. Journal of Sports Medicine and Physical Fitness 43 (2): 165–79.
Thomas, L., Mujika, I., and Busso, T. 2009. Computer simulations assessing the potential performance benefit of a final
increase in training during preevent taper, J Strength Cond Res. 23(6):1729–36.
Thorstensson, A. 1977. Observations on strength training and detraining. Acta Physiologica Scandinavica 100:491–93.
Tipton, K.D., Ferrando, A.A., Phillips, S.M., Doyle, D., Jr., and Wolfe, R.R. 1999. Postexercise net protein synthe- sis in
human muscle from orally administered amino acids. American Journal of Physiology 276:E628–34.
Tipton, K.D., and Wolfe, R.R. 2001. Exercise, protein metabolism, and muscle growth. International Journal of Sport
Nutrition and Exercise Metabolism 11 (1): 109–32.
———. 2004. Protein and amino acid for athletes. Journal of Sports Science 22 (1): 65–79.
Trinity, J.D., et al. 2006. Maximal mechanical power during taper in elite swimmer. Medicine and Science in Sports &
Exercise, 38(9):1643–9.
Van Cutsem, M., Duchateau, J., and Hainaut, K. 1998. Changes in single motor unit behaviour contribute to the increase
in contraction speed after dynamic training in humans. Journal of Physiology 513:295–305.
Van Someren, K.A. 2006. The physiology of anaerobic endurance training. In The Physiology of Training, ed. G. Whyte.
London: Elsevier, 88.
Verkhoshansky, Y.L.V. 1969. Perspectives in the improvement of speed-strength preparation of jumpers. Yessis Review of
Soviet Physical Education and Sports 4 (2): 28–29.
———. 1997. Tutto sul metodo d’urto. Società Stampa Sportiva.
Wade, A.J., Broadhead, M.W., Cady, E.B., Llewelyn, M.E., Tong, H.N., and Newham, D.J. 2000. Influence of muscle
temperature during fatiguing work with the first dorsal interosseous muscle in man: A 31P-NMR spectroscopy
study. European Journal of Applied Physiology 81 (3): 203–9.
Wathen, D. 1994. Agonist–antagonist ratios for slow concentric isokinetic movements. In Essentials of strength training
and conditioning, ed. T.R. Baechle. Champaign, IL: Human Kinetics.
Wee, J., et al. 2005. GH secretion in acute exercise may result in post-exercise lipolysis. Growth Hormone & IGF Research
Journal. 15 (6): 397–404.
Weir, J.P., et al. 2006. Is fatigue all in your head? A critical review of the central governor model. British Journal of Sports
Medicine 40 (7): 573–86.
Welsh, R.S., Davis, J.M., Burke, J.R., and Williams, H.G. 2002. Carbohydrates and physical/mental performance during
intermittent exercise to fatigue. Medicine and Science in Sports and Exercise 34 (4): 723–31.
Wester, J.U., Jespersen, S.M., Nielsen, K.D., and Neumann, L. 1996. Wobble board training after partial sprains of the
lateral ligaments of the ankle: A prospective randomized study. Journal of Orthopaedic & Sports Physical Therapy
23 (5): 332–36.
Weyand, P.G., et al. 2000. Faster top running speeds are achieved with greater ground forces, not more rapid leg
movements. Journal of Applied Physiology 89 (5): 1991–99.
White, J.P., et al. 2013. Testosterone regulation of Akt/mTORC1/FoxO3a signaling in skeletal muscle. Molecular and
Cellular Endocrinology 365 (2): 174–86.
Wiemann, K., and Tidow, G. 1995. Relative activity of hip and knee extensors in sprinting—Implications for training. New
Studies in Athletics 10 (1): 29–49.
Wigernaes, I., Hostmark, A.T., Stromme, S.B., Kierulf, P., and Birkeland, K. 2001. Active recovery and post-exercise white
blood cell count, free fatty acids and hormones in endurance athletes. European Journal of Applied Physiology 84
(4): 358–66.
Willems, T., Witvrouw, E., Verstuyft, J., Vaes, P., and Clercq, D.D. 2002. Proprioception and muscle strength in subjects
with a history of ankle sprains and chronic instability. Journal of Athletic Training 37 (4): 487–93.
Wilmore, J., and Costill, D. 2004. Physiology of sport and exercise. 3rd ed. Champaign, IL: Human Kinetics. Wilmore, J.H.,
and Costill, D.L. 1993. Training for sport and activity: The physiological basis of the conditioning process.
Champaign, IL: Human Kinetics.
Wilmore, J.H., Parr, R.B., Girandola, R.N., Ward, P., Vodak, P.A., Barstow, T.J., Pipes, T.V., Romero, G.T., and Leslie, P. 1978.
Physiological alterations consequent to circuit weight training. Medicine and Science in Sports and Exercise 10:79–
84.
Wojtys, E.M., Huston, L.J., Schock, H.J., Boylan, J.P., and Ashton-Miller, J.A. 2003. Gender differences in muscular
protection of the knee in torsion in sizematched athletes. Journal of Bone and Joint Surgery—American Volume 85-
A (5): 782–89.
Woo, S.L.-Y., An, K.-N., Arnoczky, S.P., Wayne, J.S., Fithian, D.C., and Myers, B.S. 1994. Anatomy, biology and
biomechanics of tendon, ligament, and meniscus. In Orthopaedic basic science, ed. S.R. Simon, 45–87. Park Ridge,
IL: American Academy of Orthopaedic Surgeons.
Wright, J.E. 1980. Anabolic steroids and athletics. Exercise and sport sciences reviews: 149–202.
Yamaguchi, T., et al. 2006. Acute effect of static stretching on power output during concentric dynamic constant external
resistance leg extension. Journal of Strength and Conditioning Research 20 (4): 804–10.
Yarasheski, K.E., et al. 1992. Effect of growth hormone and resistance exercise on muscle growth in young men.
American Journal of Physiology. 262(3 Pt.1):E261–7.
Yessis, M. 1990. Soviet training methods. New York: Barnes & Noble.
Zatsiorsky, V.M. 1995. Science and Practice of Strength Training. Champaign, IL: Human Kinetics.
Zawadzki, K.M., Yaspelkis, B.B., and Ivy, J.L. 1992. Carbohydrate-protein complex increases the rate of muscle glycogen
storage after exercise. Journal of Applied Physiology 72:1854–59.
Zehnder, M., Rico-Sanz, J., Kühne, G., and Boutellier, U. 2001. Resynthesis of muscle glycogen after soccer-specific
performance examined by 13C-magnetic resonance spectroscopy in elite players. European Journal of Applied
Physiology 84 (5): 443–47.
Zeller, B.L., McCrory, J.L., Kibler, W.B., and Uhl, T.L. 2003. Differences in kinematics and electromyographical activity
between men and women during the single-legged squat. American Journal of Sports Medicine 31 (3): 449–56.
Zhang, P., et al. 2007. Signaling mechanisms involved in disuse muscle atrophy. Medical Hypotheses 69 (2): 310–21.
Zhou, S. 2003. Cross-education and neuromuscular adaptations during early stage of strength training. Journal of
Exercise Science and Fitness 1 (1): 54–60.
Zijdewind, I., and Kernell, D. 2001. Bilateral interactions during contractions of intrinsic hand muscles. Jour- nal of
Neurophysiology 85 (5): 1907–13.
GLI AUTORI

Tudor O. Bompa

PhD, ha rivoluzionato la metodologia dell’allenamento nel mondo occidentale quando ha introdotto in


Nord America l’innovativa teoria della periodizzazione dell’allenamento, da lui sviluppata in Romania dai
primi anni ’60. Infatti, il suo sistema di allenamento ha contribuito al dominio nello sport dei paesi dell’Est
negli anni ’70 e ’80. Tudor Bompa ha allenato personalmente 11 medagliati Olimpici (di cui quattro ori) ed
è stato consulente di atleti e allenatori in tutto il mondo.

I suoi libri, tra i quali Periodizzazione. Teoria e Metodologia dell’Allenamento e Periodizzazione


dell’Allenamento Sportivo, sono stati tradotti in 17 lingue ed utilizzati in oltre 130 paesi per allenare atleti
e formare allenatori.

Bompa ha tenuto conferenze di alta specializzazione sull’allenamento sportivo in oltre 30 paesi, ed ha


ricevuto riconoscimenti da istituzioni prestigiose come il Ministero della Cultura Argentino, l’Australian
Sports Council, il Comitato Olimpico Spagnolo e il Comitato Olimpico Internazionale. È inoltre membro
dell’Associazione Olimpica Canadese e del Consiglio Nazionale dello Sport Rumeno, nonché professore
emerito alla York University, nella quale ha insegnato teoria e metodologia dell’allenamento sin dal 1987.

Carlo Buzzichelli

Laureato in Scienza dell’Esercizio negli Stati Uniti e dottorando presso l’Istituto Superiore di Cultura
Fisica e Sport dell’Havana (Cuba), è da quasi venti anni preparatore atletico professionista e Diretore
dell’International Strength & Conditioning Institute. Allievo diretto del Dott. Tudor Bompa e dello
straordinario coach di atletica leggera Dan Pfaff, Buzzichelli è oggi considerato uno dei maggiori esperti
emergenti nell’allenamento della forza per lo sport ed è apprezzato conferenziere ad eventi internazionali,
nonché relatore in numerose università e centri Olimpici nel mondo. Co-autore di Periodization. Theory
and Methodology of Training - 6th Edition (USA), Fitness for Soccer (Olanda), Project Strength (Italia), e
The Sprinter’s Compendium (USA), ha collaborato alla tavola rotonda sulle metodiche di recupero
pubblicata su “New Studies in Athletics”, rivista ufficiale IAAF.

Ha conseguito notevoli risultati come preparatore atletico negli sport di squadra e in quelli individuali,
incluso nelle più prestigiose manifestazioni a livello mondiale (Campionati Mondiali di atletica leggera,
Commonwealth Games). I suoi atleti hanno vinto 25 medaglie nei rispettivi campionati nazionali, hanno
ottenuto oltre 20 podi in competizioni internazionali stabilendo numerosi record nazionali e un record
mondiale U17 in atletica. In particolare, nel 2016 quattro atleti della nazionale cubana di atletica leggera,
con la quale coopera, hanno vinto due ori e due argenti ai Campionati Mondiali di categoria, ed otto atleti
con i quali ha collaborato nei mesi precedenti, hanno preso parte alle Olimpiadi di Rio.

Gli atleti che compaiono nelle immagini di questo libro sono:

Marco Lambardi, 5° Campionato Powerlifting Classic 2015 (pagg. 14, 33)

Shai-Anne Davis, 100-200m, CAN (pagg. 112, 263)

Maykel Masso, Campione del Mondo Junior 2016 di Salto in Lungo, CUB (pag. 129)

Ksenija Balta, 6° alle Olimpiadi di Rio 2016 nel Salto in Lungo, EST (pag. 134)

Yarisley Silva, Campionessa del Mondo di Salto con l’Asta 2015, CUB (pag. 168)

André de Grasse, argento 200 m – bronzo 100 m e 4×100 m alle Olimpiadi di Rio 2016, CAN (pag. 235)

Davide Giannini, Campione Italiano Powerlifting Classic 2015, cat. -74Kg (pag. 353)

Aymé Perez, 4° al Campionato del Mondo di Atletica Leggera 2015 nel lancio del disco, CUB (pag. 388)

Carlotta Piga, Campionessa Italiana di Stacco 2014, cat. +57Kg (pag. 456)

Yulenmis Aguilar, detentrice del Record Mondiale Junior nel lancio del giavellotto (pag. 459 )

Potrebbero piacerti anche