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PRODUZIONE AUDIOVISUALE
Docente: LORENZO BIANCIARDI
lorenzo.bianciardi@unisi.it

1-PROGRAMMAZIONE DELLE LEZIONI


2-Introduzione al corso e obiettivi
3-Le domande perfette + La sceneggiatura
4-L’analisi di video: case studies
5-Giampiero Cito ci parla di Storytelling
6-L’ABC per filmare + cenni sul copyright musicale
7-Il linguaggio del cinema
8-Barbara Castelli ci parla di Montaggio (DaVinci Resolve)
9-Laboratorio pratico: come creare un set (le luci e la posizione delle telecamere)
11-Francesco Oliveto ci parla della Colonna sonora
12-Esposizione e commento delle esercitazioni di gruppo
13-Nozioni per la titolazione e il montaggio con Adobe Premiere Pro
14-Movimenti di camera e stili
codec
15-Come prepararsi all’esame
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INTRODUZIONE AL CORSO

Cosa faremo?

• Il corso, facoltativo, cerca di affrontare in maniera abbastanza estesa la realtà attuale


del video, non perdendo mai di vista l’esperienza del cinema
• Vuole fornire gli strumenti di base per poter realizzare video creativi seguendo un
processo organizzato e ben strutturato
• Vi faremo vedere l’utilizzo di alcuni software, per lo più gratuiti, per poter girare,
montare e sonorizzare un video (non è obbligatorio ai fini dell'esame usare un software
specifico)
• Faremo delle attività laboratoriali con sessioni di video ripresa in aula o in esterna,
per imparare a usare anche i mezzi professionali (telecamere, luci e microfoni) di cui
dispone l’Università.
• Avremo delle sessioni dedicate al montaggio video (è richiesto l’utilizzo dei vostri
portatili)

Come lo faremo?

• Parleremo di linguaggio cinematografico, perché è dal cinema, fonte inesauribile di


sperimentazione, che provengono ispirazioni, estetiche, linguaggi che si trasferiscono
agli altri ambiti audiovisivi
• Guarderemo molti esempi di video e prenderemo in considerazione alcuni case
studies, come esempi di creatività o di tecnica
• Analizzeremo gli strumenti da usare per realizzare dei video che veicolano precisi
contenuti e stati d'animo
• Comprenderemo il lavoro massiccio che sta dietro a un video anche quando questo,
talvolta, ha il sapore della realizzazione «spontanea»
• Incontreremo bravissimi professionisti, specializzati in ambiti specifici, per ricevere da
loro spunti creativi e approfondimenti

Cosa farete voi?

• L’esame finale è costituito da un video, interamente di vostra creazione, corredato di tutti materiali di
realizzazione (soggetto, sceneggiatura, storyboard, piano di produzione, shooting board, presentazione
progetto). I vostri video saranno pubblicati sul canale YouTube del corso, dove sono già
raccolti i video dei 3 anni precedenti: Unisi Corso di Produzione Video e Grafica
I criteri di valutazione degli anni passati si sono basati sui seguenti elementi:
1. Puntualità nella consegna delle esercitazioni
2. Creatività e originalità dell'idea e dello storytelling
3. Compilazione corretta di soggetto e sceneggiatura
4. Qualità nella realizzazione (regia, produzione, montaggio e sonorizzazione)
5. Qualità della presentazione del progetto all’esame (chiarezza espositiva, slide di
supporto, spiegazione della genesi del progetto e motivazione delle scelte fatte)
6. Correttezza e completezza dei materiali consegnati
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Cosa faremo?

❑ L’evoluzione tecnologica ha fatto sì che ognuno di noi abbia in tasca un mezzo


veramente potente come lo smartphone che ci permette di fare video di
qualità altissima a spese molto contenute (la vendita degli smartphone punta
sui megapixel, lenti multiple, stabilizzazione, formati di registrazione quasi
professionali)
❑ Facciamo sempre più video: si moltiplicano le storie e i filmati che circolano
online, alla velocità di un clic
❑ I social stanno diventando principalmente "visivi"
❑ Il video fai-da-te non sostituisce nel risultato il video professionale che utilizza
mezzi di ripresa all’avanguardia, attrezzature speciali di macchinismo (dolly, crane,
steadycam) e competenze tecniche altamente specializzate. Ma tenta di avvicinarcisi
❑ Ogni video ben fatto, anche il più amatoriale, può contenere una bella storia perché
prima della tecnica viene l'idea, l'originalità e il contenuto!
❑ Qualunque mezzo si utilizzi per realizzare un video il processo creativo NON
cambia e le domande da porsi sono sempre le stesse e nel medesimo ordine.
❑ Fare video significa condividere idee, progetti, tecniche, giornate di lavoro con altre persone: raramente i
video si fanno da soli, è indispensabile lavorare in team.
In questo corso imparerete:
❑ a porvi le domande giuste per raccontare al meglio le vostre storie e
comunicare le vostre idee, insomma per fare un buon video
❑ a pianificarlo: dalla preproduzione, allo shooting, dalla post-produzione fino
alla sua pubblicazione sul web
❑ a realizzarlo sfruttando pochi semplici mezzi e software
❑ a decodificare al meglio il messaggio audiovisivo e aumentare la vostra
competenza attiva in questo campo
Il processo di creazione di un video

Gli step per fare un video, sia che si tratti di un film di Hollywood, sia che si tratti di un video promozionale
per vendere un prodotto online, sono sempre i medesimi:
Pre-produzione
Produzione
Post-produzione
Questo è il momento in cui devo farmi tutte le domande per capire di che video ho bisogno insieme ad altre
come:

Il processo di creazione di un video

Che storia voglio raccontare?


Cosa voglio ottenere?
A chi voglio parlare?
Che video voglio fare? (es: fiction o documentario, etc.)
Dove si vedrà il mio video?
Ho un format di riferimento? Uno stile a cui ispirarmi? etc

PRE-PRODUZIONE
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• Soggetto
• Trattamento
• Sceneggiatura
• Storyboard
• Location scouting
• Casting
• Piano di produzione
• Shooting board

Quanto più tempo dedichiamo a questa fase tanto più facili si riveleranno le fasi successive. Questo è il
momento della pianificazione del progetto, in cui si decide il video che faremo, attraverso la definizione di:
riunioni, brainstorming, sopralluoghi, studi di fattibilità. È il primo collo di bottiglia che si incontra... dal mondo
della fantasia, del tutto è possibile, si inizia a scolpire la nostra creazione cedendo ad alcuni inevitabili
compromessi È tempo di entrare in produzione! Qui si scrive il film per la seconda volta.

PRODUZIONE
• Scenografia
• Props
• Illuminazione
• Camere e lenti
• Macchinismo
• Attrezzatura audio

In produzione ruotano tantissime figure tecniche ed ognuna è un ingranaggio di una grande macchina. Basta
guardare i titoli di coda di un film per perdere il conto delle maestranze coinvolte. Il set è un ambiente
fortemente gerarchico. Il regista è il 'demiurgo’ che ha sempre l'ultima parola e tiene insieme e fa dialogare
tutte le altre competenze. Il direttore di produzione con la sua schiera di segretari, assistenti e runner è colui
che gestisce la logistica della produzione, detta i tempi sulla base del piano di produzione e quando serve sa
dire anche dei "no" al regista. Rappresenta il produttore, il lato economico del film.
Camera department è il settore tecnico che ruota intorno ai mezzi cinematografici propriamente detti e ne ha
piena responsabilità: l’operatore, l’assistente, il loader (quando si gira in pellicola), il fuochista ( o focus puller),
Il direttore della fotografia (DOP) è il braccio destro del regista, decide il punto camera con il regista, la
composizione, le ottiche, la luce. Dà ordini agli elettricisti (gaffer) e da quando si gira in digitale si confronta
con il colorist, cioè un professionista esperto in post-produzione. Molto spesso l’immagine digitale esce dalla
camera"piatta", cioè slavata e senza contrasto. È un’immagine "brutta", ma che serve a tirare fuori il meglio
dal sensore (la più ampia gamma dinamica del sensore nel caso del LOG) e lascia molta libertà a posteriori
(nel caso del RAW). Per mostrare in anteprima quale sarà la resa della luce sul video finito le camere possono
applicare, sul segnale video in uscita, dei profili colore detti LUT (Look Up Table). Le LUT vengono usate
anche in post-produzione, come preset che usa il DOP, per comunicare con chi si occuperà del Color
Grading. Se ne possono creare di nuove e salvare.
Il LOG crea un’immagine molto morbida come contrasti e saturazione, che offre tuttavia una serie di vantaggi
nella cattura e nell’uso
Il data manager è invece colui che si occupa di fare lo storage su disco,
preferibilmente su sistema RAID. Se prima il problema era "non far prendere luce
alla pellicola", adesso il problema è "garantire copia fisica e ridondante dei file
dati".
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Il segretario di edizione (“continuity supervisor”) è una figura professionale introdotta agli albori del cinema
per garantire la continuità narrativa del montaggio.
Deve registrare con attenzione un bollettino di edizione, con particolare attenzione ai ciak, ai commenti del
regista sulla singola ripresa (es. "buona" o "audio non buono"). Si tratta di un lavoro utilissimo al montatore
che di solito non è presente sul set. Deve verificare anche che vengano girate tutte le inquadrature necessarie
per montare la scena senza omissioni o errori. A questo scopo un tempo ci si aiutava con una polaroid per
fotografare tutti i dettagli sulla scena da riproporre identici allo stacco successivo (es. durante una cena
romantica la candela posta tra i due amanti si consuma rapidamente...). Oggi abbiamo i cellulari! Di sicuro se
non esistesse questa figura noteremmo molte incongruenze tra una scena e un’altra di un film.

Non si parla delle battute o della sceneggiatura (sui quali non può nulla, o quasi), ma di tutte
quelle imperfezioni, sbadataggini, sviste che contribuiscono a rendere sciatti o addirittura ridicoli alcuni
spezzoni. OGGETTI e ARREDI sulla scena che vanno e vengono, COSTUMI e ACCESSORI che saltano,
OROLOGI puntati su orari incoerenti con la storia, “CONTINUITÀ DELLO SGUARDO”: se l’interlocutore è in
piedi, l’altro nel controcampo non può, da seduto, guardare come se fosse fisso davanti a sé. Etc...

Sul fronte del cast c’è un’industria in opera: trucco e parrucco, stilisti, costumisti, sarte etc. Lo scenografo
disegna il set. L’attrezzista è una figura jolly, agli ordini dello scenografo, un problem solver che lavora con le
mani. Deve essere pronto in qualunque momento a modificare il set realizzando nuovi oggetti o cambiando
quelli già esistenti: costruisce, vernicia, scolpisce... e tutto in tempi super rapidi! Il fonico con i suoi assistenti
è colui che si occupa di registrare i suoni sul set e le voci degli attori in presa diretta. È un lavoro molto
accurato e difficile, importante tanto quanto la cattura dell’immagine. Dove non arriva la presa diretta arriva il
sound design e il doppiaggio. Il carrista: "Ciak si gira!" Ultimo ma non ultimo il settore del macchinismo dove
tecnici specializzati muovono le macchine del cinema: carrelli, gru, etc.
Per la vostre produzioni userete strumenti alla vostra portata, che sono però sufficienti per creare un prodotto
di base. La vostra telecamera sarà il vostro smartphone, a meno che non disponiate già di una fotocamera
DSLR (Digital Single-Lens Reflex), Mirrorless o di un Camcorder digitale. Per migliorare i controlli di ripresa del
telefono si può usare Filmic Pro, un’App interessante che fornisce funzioni avanzate rispetto a quelle di base
offrono le app già presenti sui mobile: strumenti manuali, controlli semi-professionali e molta più scelta nelle
impostazioni di esposizione, frame rate, aspect ratio e audio Con Filmic Pro si possono anche sperimentare
riprese in time-lapse, stop motion e slow motion controllandone tutti i parametri. Per usare il telefono in
maniera comoda possiamo agganciarlo ad un rig, cioè un supporto rigido che ci permette di fissarlo ad un
tripode. Lo stesso rig è molto utile perché diventa il sostegno su cui fissare anche il microfono e le luci.
Quando lo smartphone non è dotato di doppia o tripla camera, esistono anche degli aggiuntivi ottici specifici
per la lente dello smartphone che permettono di cambiare la focale della telecamera.
Alcune tra le migliori lenti per smartphone, integrano degli speciali filtri che sono in grado di ridurre o
migliorare l'intensità di alcune tonalità di colore, in modo da migliorare le riprese in alcuni contesti in cui la
luce, la tonalità cromatica e i riflessi non sono il massimo. Ecco le tipologie di filtri più comuni ed utilizzate:
Filtri UV: si tratta di filtri utilizzati negli ambienti esterni, in cui è presente luce naturale, che eliminano le
tonalità di azzurro non desiderate e riducono la quantità di luce ultravioletta.
Filtri FLD (a fluorescenza): vengono utilizzati in ambienti in cui c'è una totale assenza di luce naturale e
servono ad eliminare gli sfarfallii e gli effetti cromatici fastidiosi derivanti dalla luce a fluorescenza.
Filtri C-PL (polarizzatori circolari): vengono generalmente utilizzati quando si scattano fotografie a superfici
liquide o acquatiche, e sono pensati per ridurre al minimo i riflessi o le zone in cui la luminosità o troppo forte.

Il microfono di un iPhone non è per niente male, ma non è sufficiente per realizzare un’intervista di qualità. È
per questo che avremo bisogno di utilizzare un microfono esterno direzionale che ha la caratteristica di
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catturare in maniera selettiva il flusso sonoro posto di fronte ad esso. Nel caso di un’intervista sarà ancora più
indicato l’utilizzo di un microfono lavalier, un piccolo microfono cardioide che viene posto sul petto della
persona intervistata e dotato di un trasmettitore. Al cellulare sarà invece agganciato un ricevitore per
registrare il segnale sonoro. Questo permette di poter stare anche a notevole distanza dal soggetto ripreso.
Indispensabili, sempre, delle cuffie per monitorare l’ingresso audio.
Luci: Impareremo anche a posizionare delle luci a led per dare risalto al soggetto, scegliendo anche la
temperatura colore che più si sposa con il nostro
racconto.
Stabilizzatore: potrete infine usare uno stabilizzatore o gimbal per
creare riprese fluide: il percorso a piedi da casa all’università, una corsa
dietro ad un pallone, etc.

POST-PRODUZIONE

I software professionali più usati e a pagamento sono:


Blackmagic DaVinci Resolve
Avid Media Composer
Adobe Premiere Pro
Final Cut X

Altri software che gli studenti via via hanno usato per i loro video sono:
Hit Film Express, Imovie, Openshot, Movavi, Filmora

LE DOMANDE PERFETTE: Qual è il video più utile da fare?

Poiché oggi il video è tecnicamente il medium più performante per incapsulare e diffondere un messaggio. La
domanda da porsi è: qual è il video più utile da fare? Ogni azione comunicativa ha un punto di partenza e uno
di arrivo, per questo nel marketing della comunicazione è sempre andata di moda la metafora della freccia
scoccata da un arco e il termite Target (ovvero bersaglio). Per fortuna oggi parliamo di pubblico, perché i
potenziali interessati al tuo messaggio non vanno colpiti, ma coinvolti. Per interessare e coinvolgere però
bisogna prima conoscere. Se sei un brand, allora, per conoscere il tuo pubblico Dovresti conoscere le
risposte a queste domande
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Si tratta di fare un veloce bilancio di come vanno le cose per il brand che rappresenti, non sul lato economico
ma su quello comunicativo, cercando di capire se il tuo brand/ prodotto/servizio è conosciuto, è compreso, è
amato? Il bilancio comunicativo ci parla di comunicazione effettuata, chiarezza ed efficacia del messaggio,
impatto sul pubblico, feedback da quest’ultimo. Ci permette di capire lo stato di salute dell’idea associata al
tuo brand.

HAI BISOGNO DI UN VIDEO?


Non sarebbe meglio una campagna fotografica? Una bella cartellonistica nelle strade? Una cara vecchia
brochure? Dei volantini nella cassetta delle lettere? Uno striscione su un aereo? Un murales?
I dati però parlano chiaro! I pubblici sono sempre più digitali, si muovono in rete, dialogano sui social,
comprano on line...
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I dati 2020 in Italia ci dicevano (Digital 2020 dell’agenzia di WE ARE SOCIAL
https://wearesocial.com/it/blog/2020/01/digital-2020-italia/) che ogni giorno:
- 45 milioni le persone hanno avuto accesso a Internet da mobile
- 35 milioni sono state attive sui canali social
- il 92% della popolazione ha guardato contenuti video
E questo è un report ormai superato, se è vero che due anni nel mondo
digitale possono essere considerati un’intera era «geologica».

La nostra specie (l’Homo Sapiens) è una specie visiva. Pensa a quanto le immagini sono sempre state
importanti per noi. Dai graffiti delle grotte alle rappresentazioni pittoriche, le immagini ci sono sempre servite
per "immaginare" e, prima ancora dell’avvento della scrittura, per dare corpo alle storie, parallelamente al
racconto orale. Il mezzo video, dall’invenzione dei Fratelli Lumière, è forse la tecnologia che più ci permette di
restituire la realtà per come la vediamo e di far diventare “vero” quello che immaginiamo (Georges Méliès). I
video sono una finestra per vedere una serie infinita di mondi.

DOVE VERRÁ VISTO IL TUO VIDEO?


Per capire di che tipo di video hai bisogno devi pensare a come useresti, dove pubblicheresti o faresti vedere
il video che già hai tra le mani, anche se ancora non ce l’hai. E’ un piccolo gioco di immaginazione ma molto
utile. Pensa intensamente al tuo video; è perfetto vero? E’ esattamente quello che volevi, è bello,
emozionante, dentro c’è tutto quello che immaginavi e tutti sembrano fighi.

Infatti si adotta sempre più spesso la “strategia multi output” secondo cui non ha senso fare una produzione
video per ottenere un unico video, da una produzione devono nascere molti prodotti video.
Oltre al vostro commercial o corporate si devono ricavare trailer per Facebook, making of per Youtube (il
video dove ti racconto come ho fatto il video), stories per Instagram, adattamenti per la proiezione nella
mensa dell’azienda.
Attivare una produzione ha i suoi tempi e costi, ma c’è sempre un modo per ottimizzarla facendo sì che
durante la progettazione si includano tutti gli output video che servono a coprire i vari “dove andrà visto il
contenuto” e quindi durante la produzione ci sia la possibilità di raccogliere e elaborare tutto il
materiale necessario.
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STORYTELLING

Nell’azienda saper comunicare correttamente è importante da un punto di vista umano ai fini della produttività
e del successo dell’azienda stessa
Se i destinatari sono interni (dipendenti o manager) lo storytelling tende a:
• informare, di solito su politiche e prassi da seguire circa lavoro da svolgere
• motivare, tendenzialmente per accettare nuovi cambiamenti
• orientare/persuadere, generalmente all’assunzione di determinati standard di comportamento
• promuovere, molto spesso servizi interni
Se i soggetti di riferimento sono clienti o figure esterne all’azienda lo
storytelling è volto più a:
• convincere a comprare i prodotti e/o servizi facendo leva su razionalità e logica
• enfatizzare le componenti emozionali di prodotti e servizi
• fidelizzare il proprio pubblico
• persuadere nella legittimazione dei propri valori/ideali
Le aziende, i brand, hanno bisogno di storie per funzionare meglio e quindi per vendere meglio. Ogni video è
un discorso pronunciato da un brand, è una storia raccontata al proprio pubblico, per questo deve in maniera
imprescindibile essere visto in un’ottica di storytelling.
Se è vero che tutte le storie sono diverse, è anche vero che tutte le storie hanno più o meno gli stessi
elementi e seguono gli stessi archi narrativi.

VIAGGIO DELL EROE

Si tratta del libro scritto da Christopher Vogler, sceneggiatore statunitense che insegna alla UCLA e ha
lavorato per Disney. Vogler ha cercato di rimettere in parole semplici e utili (per fare bene i film) gli studi
approfonditi condotti da Joseph Campbell Chi è Joseph Campbell? Uno storico delle religioni, autore di una
pietra miliare nella saggistica dedicata ai miti e alle storie, ovvero “l’Eroe dai mille volti”.

Struttura narrativa

Ogni racconto (libro, pièce, film) ha un eroe che, come gli eroi delle leggende, compie un viaggio.
Le vicende narrate accadono sempre a qualcuno: “Senza personaggio non c’è azione; senza azione, niente
conflitto; senza conflitto, niente storia, e senza storia, non c’è sceneggiatura” (Syd Field, Screenplay, "The
Foundations of Screenwriting",1979)
Ogni racconto (libro, pièce, film) ha un eroe che, come gli eroi delle leggende, compie un viaggio.
Le vicende narrate accadono sempre a qualcuno: “Senza personaggio non c’è azione; senza azione, niente
conflitto; senza conflitto, niente storia, e senza storia, non c’è sceneggiatura” (Syd Field, Screenplay, "The
Foundations of Screenwriting", 1979)

L’arco narrativo

Questo arco narrativo c’è in ogni film di Hollywood ma anche in ogni pubblicità.
• Non è una sfida riuscire a togliere le macchie incrostate?
• A guidare su ogni tipo di manto stradale con i giusti pneumatici?
• A superare la burocrazia grazie alla facilitazione promessa da un servizio salvífico?

LA STRUTTURA NARRATIVA secondo Christopher Vogler


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COME PARLI AL TUO PUBBLICO?

Nella brand identity, per indicare la personalità di un brand, si parla di archètipi archètipo s. m. [dal lat.
archet̆ypum, gr. ἀρχέτυπον, comp. di ἀρχε- (v. archi) e τύπος«modello»]. – Nella psicologia analitica di C.G.
Jung, l’a. (o Imago o dominante o immagine mitologica o primordiale) è un contenuto dell’inconscio collettivo,
che determina la tendenza a reagire e a percepire la realtà secondo forme tipiche costanti nei vari gruppi
culturali e periodi storici. Gli a., contenuti nei livelli più profondi dell’inconscio, non risultano mai accessibili
direttamente e affiorano nel linguaggio figurato, nei miti, nei simboli onirici, nelle rappresentazioni folcloriche,
tutte manifestazioni che possono essere utilizzate nella terapia analitica per indagare il modo in cui l’inconscio
collettivo modella le forme fondamentali dell’adattamento.

GLI ARCHÈTIPI

Carl Gustav Jung psichiatra e psicoanalista svizzero che collaborò con Sigmund Freud (padre della
psicoanalisi) sostiene che: sono idee innate e predeterminate dell’inconscio umano Sono funzioni, non sono
ruoli rigidi. Le fiabe e i miti rientrano nell’inconscio collettivo della specie umana, grazie a questi archetipi.
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Possono essere personaggi positivi e negativi, fisici o metaforici, persone od oggetti. Un personaggio può
rappresentare in sé più di una funzione. Gli archetipi sono attivatori di emozioni in grado di chiamarci a
compiere un viaggio. Ci sono 4 fondamentali motivazioni umane che muovono l’azione umana e organizzano
attorno a sé gli archetipi.
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ANGELO CUSTODE
Questo brand si occupa di cura, compassionevole e generoso: si propone di aiutare i propri clienti ed il
mondo in generale. I prodotti aiutano le persone nelle loro attività quotidiane. Non esprime né avidità né
egoismo. Contribuisce all’armonia e punta ad una società in cui tutti si aiutano a vicenda.
Obiettivo: Proteggere e prendersi cura degli altri Tratti distintivi: altruista, materno, generoso,
compassionevole
Elementi di debolezza: Essere sfruttati, dati per scontati o sfruttati
Esempi: Pampers, Johnson & Johnson
SOVRANO
Il brand ha (e mostra) leadership e si prende le proprie responsabilità.. I prodotti del brand conferiscono
controllo, ordine, e struttura. Il brand nel suo settore non è soltanto di successo ma è un leader e detta le
regole che altri seguono.
Obiettivo: Controllo, creare ordine dal chaos
Tratti distintivi: Leadership, responsabile, organizzato, modello da seguire, autorevole (non autoritario)
Elementi
di debolezza: Mancanza di una connessione con l’ordinario, potrebbe sfociare nell’essere autoritario. Esempi:
Microsoft, Barclays, Mercedes-Benz
CREATORE
Aiuta le persone a sperimentare nuove cose in un modo creativo. I prodotti di questo brand sono originali e
innovativi. Per
la creazione dei prodotti, così come per la comunicazione del brand si fa utilizzo alla forza creativa
dell’immaginazione.
Obiettivi: creare qualcosa che abbia significato e valore e abbia la capacità di durare nel tempo
Tratti distintivi: Creativo, fantasioso, artistico, inventivo, imprenditoriale, anticonformista, capacità di guardare
lontano.
Elementi di debolezza: potrebbe scadere nel perfezionismo o nell’astruso (non pratico)
Esempi: Lego, Crayola
INNOCENTE
Questo brand fornisce alle persone un approccio felice e positivo alla vita. I prodotti di questo brand
innocente e benevolo portano alla felicità e all’ottimismo. Il brand è sincero, meritevole di fiducia, e vuole il
bene per tutti. Fa leva sulle buone persone e sui buoni comportamenti e vuole ricompensare chi è bravo.
Obiettivo: Essere felice e rimanere puro.
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Tratti distintivi: sforzarsi di essere buono, purezza, giovane, ottimista, semplice, morale romantico (sognatore),
leale.
Elementi di debolezza: Potrebbe essere ingenuo o noioso
Esempio: Dove, Coca-Cola
SAGGIO
Il brand usa l’intelligenza e l’esperienza per analizzare e comprendere il mondo e gli altri. Il brand raccoglie
continuamente informazioni e conoscenze per incrementare il suo expertise e la sua competenza. Gli
acquirenti possono imparare dal brand.
Obiettivo: Aiutare gli altri a maturare saggezza e conoscenza.
Tratti distintivi: informato/esperto, da fiducia, saggezza e intelligenza, analitico, mentore, consigliere (advisor).
Elementi di debolezza: essere eccessivamente contemplativo o ’di parte’
Esempi: BBC, PBS, Tripadvisor, L’Oreal-Paris
• ESPLORATORE
Il brand aiuta la persone a raggiungere la libertà e l’indipendenza: è continuamente alla ricerca di nuove
avventure e nuovi prodotti che hanno lo scopo di aiutare le persone a godersi la vita. I prodotti di questo
brand offrono alle persone la possibilità di esplorare chi sono e gli obiettivi che possono raggiungere.
Obiettivi: Sentirsi soddisfatti e realizzati attraverso le scoperte e le nuove esperienze.
Tratti distintivi: Inquieto, avventuroso, ambizioso, individualista, indipendente, pioneristico.
Elementi di debolezza: Potrebbe non rientrare nel mainstream
Esempi: Indiana Jones, Jeep, RedBull, Patagonia, North Face, National Geographic
EROE
Questo brand offre ai consumatori un’immagine di coraggio, di forza, e di grande stima e fiducia in sé. Rende
le persone competenti e forti. Il brand è ambizioso, concentrato, potente, combattivo e non rifiuta le sfide.
Usa la sua forza per migliorare il mondo.
Obiettivo: Migliorare il mondo e migliorare se stessi.
Tratti distintivi: Coraggioso, ardito, onorevole, forte, fiducioso, suscita ispirazione.
Elementi di debolezza: Potrebbe essere arrogante e talvolta distaccato
Esempi: BMW, Duracell, FedEx, Nike
• MAGO
Il brand aiuta le persone a trasformare le proprie vite. Permette il raggiungimento dei propri sogni, aiutando le
persone a superare e trasformare gli inconvenienti in obiettivi di vita desiderabili. Il mago usa rituali (che in
parte sfuggono alla comprensione dell’uomo comune) e lo rendono carico di mistero.
Obiettivi: Realizzare i sogni, creare qualcosa di straordinario dall’ordinario
Tratti distintivi: Visionario, carismatico, immaginativo, idealista, spirituale.
Elementi di debolezza: il rischio che la magia non funzioni (aspettative!)
Esempi: Disney, Il mago di Oz, Apple.
RIBELLE
Il ribelle cambia lo stato di fatto della situazione esistente e sfida (e non segue) le convenzioni sociali. I
prodotti di questo
brand hanno lo scopo di interrompere l’ordine quotidiano. Il brand è un ribelle e non considera importante
l’appartenenza e
l’approvazione sociale da parte degli altri.
Obiettivo: Rompere le regole e combattere l’autorità.
Tratti distintivi: Iconoclasta, selvaggio, coraggioso, tendenza al cambiamento
Elementi di debolezza: Potrebbe spingersi troppo oltre ed essere percepito come negativo (distruttore).
Esempi: Harley-Davidson, Virgin (Richard Branson), Diesel
UOMO COMUNE
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Il brand è accessibile a tutti poiché incarna appunto l’essenza dell’uomo e della donna comune. I prodotti
sono amichevoli e non tendono ad essere eccessivi o esclusivi. «If you act normal, you act crazy enough»,
potrebbe essere il motto del brand. Il brand è realistico, dotato di buon senso ed accessibile.
Obiettivo: Appartenere ad una comunità, connettersi con gli altri
Tratti distinitivi: avere i piedi per terra, essere di aiuto, esprimere fiducia, popolare, la persona della porta
accanto, aperto e disponibile nei confronti degli altri
Elementi di debolezza: Potrebbe mancare di elementi distintivi e confondersi in mezzo a tutti gli altri.
Esempi: eBay, Piazza Italia, IKEA
BURLONE
Il brand intrattiene le persone in modo clownesco e divertente. I prodotti di questo brand permettono il
divertimento e lo svago: come se tutti potesse ritornare bambini e giocare in un parco giochi. Uso
dell’umorismo. Viene rappresentato soltanto il lato positivo della vita.
Obiettivi: portare gioia nel mondo
Tratti distintivi: Divertente, senso dell’umorismo, leggero, irriverente,
Elementi di debolezza: potrebbe venir percepito come frivolo e leggero
Esempi: Disneyland, M&M, Fanta, HAPPY SOCKS.
AMANTE
Il brand mette in scena una relazione d’amore. I prodotti del brand sono passionali e seducenti: sono realizzati
per sedurre, e per tentare i consumatori in tutti i modi possibili. L’ambito di riferimento del brand è la bellezza,
la tentazione ma anche il contatto con gli altri e con l’ambiente circostante.
Obiettivi: Creare intimità, inspirare amore
Tratti distintivi: Passionale, sensuale, romantico, caldo.
Elementi di debolezza: può scadere nell’eccesso, essere sfrenato, e troppo egocentrico.
Esempi: Godiva Chocolate, Calvin Klein, Victoria’s Secret.
Il gioco degli archetipi è una delle parti più interessanti e anche divertenti del
percorso di coscienza e conoscenza di un brand. Ma ricorda sempre che gli archetipi sono fluidi e osmotici,
possono cambiare nel tempo e un brand può essere più di un archetipo nello stesso momento.
Sai già qual è il tuo archetipo? E il tuo tone of voice? Vuoi essere ironico? Incantatore? Serio? Autorevole?
comprensivo? Creare nel tuo pubblico un senso di sicurezza? Di vicinanza? Di immedesimazione? Di
desiderio di possesso?
Ogni video ha un tone of voice, se non lo ha non andrà molto lontano. Ogni video - e ogni storia che contiene
- deve entrare in risonanza con il proprio pubblico, anche attraverso il suo tono di voce, e deve riuscire a
scatenare delle emozioni.
Deve far ridere, piangere, spaventare, qualsiasi cosa purché non lasci indifferente, in questo modo rimarrà
impresso, sia il video che il brand.
QUAL È IL TUO BUDJECT?
Come pubblico ci confrontiamo ogni giorno con i prodotti pubblicitari dei grandi brand e vediamo solo la
punta di un iceberg, il risultato di un enorme lavoro di strategia e di grandi budget messi sul piatto.
Quanto sono grandi questi budget? Spesso molto, eppure la regola che seguono queste campagne e i
contenuti video prodotti è per tutti la stessa.
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Il video perfetto è il video migliore


per le tue necessità di comunicazione:
• che racconti in maniera chiara il tuo messaggio
• che venga recepito al meglio dal tuo pubblico
• che rimanga impresso
• Che generi una reazione, emotiva o fattiva
• che ti faccia vendere
• che sia il massimo che si possa fare con il budget a disposizione
Bisogna essere creativi? Certo!
È necessario evidenziare le caratteristiche che rendono il tuo prodotto unico
per il pubblico? Ovvio! Ma bisogna essere sinceri ... Ecco un caso estremo di ironia e sincerità nella
campagna marketing di una struttura alberghiera, nel 2007.

Stiamo parlando del peggior albergo al mondo: si trova ad Amsterdam e si chiama “Hans Brinker Budget
Hotel”, una struttura che ha fatto fortuna sfruttando le sue precarie condizioni igienico sanitarie.

Qual è il video più utile da fare?

Ovviamente il pubblico è rappresentato da studenti, avventurieri,


escursionisti, che apprezzano questo senso dell’umorismo e azzera
radicalmente le sue aspettative
A COSA SERVE IL VIDEO CHE TANTO DESIDERI?
• ironia/paradosso
• elogio degli svantaggi/punti deboli
• valore alla sincerità
• concetto pionieristico di eco-sostenibilità
• rovesciamento di senso

SCENEGGIATURA e PRE-PRODUZIONE
Pre-produzione
IDEAZIONE
La pre-produzione inizia con un’idea (in pubblicità il concept).
Durante questa fase è importante capire i nostri obiettivi,
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l’audience a cui ci rivolgiamo e l’effetto che vogliamo produrre negli spettatori.

RICERCA
È il momento in cui si effettuano ricerche, si svolgono analisi di benchmark su ciò che esiste per capire come
è stato trattato in precedenza l’argomento e per analizzare mode, stili e nuovi linguaggi (film, serie tv, web e
social). La ricerca può prevedere talvolta anche delle indagini dirette sul pubblico con vere e proprie
interviste. Ovviamente in questo caso si allungano i tempi di ricerca e si innalzano i costi.
Quando siamo certi che gli obiettivi del video si allineano con le aspettative del target è tempo di pianificare il
"film" in termini di: storia, struttura e stile.
SOGGETTO
ll soggetto esprime la storia nella sua essenza. È un racconto breve che deve contenere il succo della storia
ed accennare anche ai suoi possibili sviluppi, indicando i
personaggi, i luoghi e i fatti che si svolgono. -lo utilizza lo sceneggiatore (o il regista, o altri) per far conoscere
la propria idea a chi dovrebbe finanziare il film -e in pubblicità lo usa l’agenzia per far capire al cliente la
propria idea cretiva
Dove si svolge la storia? Il luogo, qualunque esso sia. L'epoca, ovvero una data. Quindi i personaggi. Fate
entrare in scena tutti gli elementi funzionali alla storia e ricorrete sempre a suggestioni visive. Il soggetto
riassume i tratti fondamentali della storia, dei personaggi, dell'ambientazione, con qualche cenno all'intreccio
senza dialogo.
Il soggetto di un film non supera le 5/10 cartelle; un cortometraggio 1/2 cartelle. Se non volete che il soggetto
venga cestinato dovete sapere che ogni pagina deve essere composta da: trenta righe per sessanta battute.
Font: "Courier New", 9 punti (Margine superiore e margine inferiore: 7 centimetri.
Margine destro e margine sinistro: 4,5 cm)

La prima pagina deve contenere anche:


TITOLO : Karma
DURATA : 130 minuti
GENERE : Commedia
AUTORE : Mario Rossi

USATE:
• Scrittura accattivante e curata
• Semplicità e chiarezza di esposizione
• Il tempo presente indicativo, coniugato alla terza persona
• Il mostrare più che il chiacchierare

A seguire viene fatto, non sempre e non da tutti, il TRATTAMENTO, che assomiglia al racconto letterario del
film, con le descrizioni dei luoghi e le motivazioni psicologiche. Amplifica il soggetto, segue la struttura della
scaletta e dedica molto spazio alla caratterizzazione dei personaggi e
all’ambientazione.

Solitamente nel trattamento sono presenti alcuni elementi che appariranno in sceneggiatura in forma più
sintetica: diventa così uno scritto da cui attingere materiale per la stesura delle scene.
Non ha ancora i dialoghi. Il trattamento dovrebbe già svilupparsi in linea con il genere del film e quindi il
trattamento di un film di commedia dovrebbe già far sorridere. La SCALETTA è la sequenza tecnica delle
scene, uno schema in cui si inizia a decidere l’ordine dei blocchi narrativi. E' una prima articolazione della
struttura e serve solo agli sceneggiatori per scrivere la sceneggiatura. Un elenco di punti numerati dove
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vengono descritte le sequenze (i gruppi di scene legati tematicamente) in maniera estremamente sintetica. Si
visualizzano qui le relazioni di causa-effetto del racconto.

SCENEGGIATURA
Senza una buona storia non ci sarà un buon film! Robert Riskin, sceneggiatore, innervosito dalla stampa che
elogiava Frank Capra con il Capra’s touch, inviò per provocazione a Capra 120 pagine bianche...
SCENEGGIATURA
È il film messo per iscritto. Segue uno standard sia di scrittura che di struttura.
Come per il soggetto, la scrittura è semplice e "visiva" e descrive in modo chiaro e preciso i luoghi, i gesti e i
dialoghi. In essa si possono incontrare anche riferimenti alla posizione della macchina da presa, ai dettagli, ai
tagli di inquadratura e all’audio in fuori campo.

In quale tempo verbale scrivere un soggetto?


Al PRESENTE INDICATIVO. E’ questo infatti il tempo dell'accadimento. Tutto ha luogo nel momento stesso in
cui si racconta. E' il tempo in cui accadono i fatti. In TERZA PERSONA SINGOLARE, che offre distacco tra chi
scrive e le vicende esposte. Il tutto deve essere piuttosto sobrio e diretto. Si deve mostrare, non raccontare.
Si scrive solo la nuda e cruda storia. Non si inseriscono commenti personali sui personaggi, ironia di
qualunque tipo o meta-narrazione.
Attenzione poi agli aggettivi. Che siano pochi ed essenziali. Utilizzate poi sempre frasi coincise, ma efficaci
per capire il cosa accade sulla scena e come accade. L'azione deve descrivere tutto quello che avviene di
essenziale nel film, in tempo presente indicativo, massimo quattro o cinque righe; se la scena è più lunga va
spezzata andando a capo.

Sceneggiatura all’italiana, in voga nella prima metà del '900 ed oggi ancora diffusa in ambito televisivo, anche
fuori dall'Italia. Presenta un’intestazione dove è indicato il numero di scena. La scena rimane la stessa fintanto
che si ha in essa un’azione in continuità spazio-temporale. Oltre alla scena l’intestazione riporta altre
informazioni: (1) il luogo, (2) se siamo in interno o in esterno, (3) se è giorno o notte. Tutti questi dati sono
messi in evidenza perché suggeriscono alla produzione e al direttore della fotografia informazioni importanti:
quante scene sono? Quante location ci sono? Quanti interni da illuminare servono? Si gira di notte o di
giorno? Oppure si può creare un effetto notte pur girando di giorno?

Ad ogni cambio scena si cambia foglio. Se un foglio non basta per l’intera scena si usano più fogli
segnalando in basso a destra CONTINUA. Avere le scene così suddivise permette di cambiare l’ordine delle
scene senza dover ripaginare tutto e di fare uno spoglio più rapido per ordinare la sequenza di shooting. Il
carattere usato è il Courier. Ogni pagina dovrebbe contenere 60 battute per un massimo di 30 righe in modo
da lasciare anche lo spazio per eventuali annotazioni. Il personaggio verrà indicato con il suo NOME solo dal
momento che sarà conosciuto anche dal pubblico, in maiuscolo saranno annotati anche i SUONI, solo quelli
che hanno rilevanza per funzione drammatica ed espressiva. La colonna sonora extra diegetica non è
citata.

Nella colonna di sinistra vengono indicati in maiuscolo tutti i TESTI SCRITTI (titoli di giornali, copertine, etc.).
In maiuscolo vanno anche indicate le DIDASCALIE e i TITOLI specificandoli sempre. A volte accompagnati
anche dalla dicitura "su fondo nero" oppure "in sovrimpressione". Convenzionalmente ogni a capo indica uno
stacco. Pur non specificando note di regia, se ben scritta, una sceneggiatura suggerisce anche il tipo di
inquadratura.

Sceneggiatura all’americana, senza dubbio il modello più


diffuso e standardizzato.
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Il carattere usato è il Courier corpo 12pt. Ogni pagina dovrebbe contenere 60 battute per un massimo di 30
righe in modo da lasciare anche lo spazio per eventuali annotazioni.
Se è scritta secondo lo standard sappiamo già che ad una pagina corrisponde un minuto di film circa. Di
media una buona sceneggiatura si aggira intorno alle 100 pagine, formato US letter.
Le INTESTAZIONI sono in maiuscolo e presentano le stesse informazioni della sceneggiatura all’italiana [(1) il
luogo, (2) se siamoin interno INT o in esterno EXT, (3) se è GIORNO o NOTTE)]
Si susseguono descrizioni e dialoghi. I nomi dei PERSONAGGI sono tutti in maiuscolo, così come gli
OGGETTI chiave, almeno appena appaiono.
DESCRIZIONI
Si scrivono a tutta pagina. Sono appunto le descrizioni di ciò che vedrà lo spettatore sullo schermo e si
scrivono al presente indicativo. La descrizione deve essere minimale, nessun riferimento a qualsiasi cosa che
lo spettatore non vede o sente (come: “Marco pensa di...” o “Marco si sente nostalgico...ecc”); La prima volta
che appare un personaggio va scritto in MAIUSCOLO e va seguito da una breve descrizione.
Va scritto in lettere maiuscole anche:
- la prima volta che un oggetto importante appare in scena,
- gli EFFETTI SONORI rilevanti - che hanno rilevanza per funzione
drammatica ed espressiva - e la MUSICA
- il MUTO (silenzio senza rumori di fondo)
- le NOTE DI REGIA, annotazioni che suggeriscono il tipo di
inquadratura.
DIALOGHI
I dialoghi sono messi in sequenza ma con più rientri rispetto alle descrizioni, in posizione centrale. Vengono
preceduti dal NOME di chi parla: (O.S) cioè “Off Screen”, fuori dallo schermo, non sulla scena; (V.O.) cioè
“Voice Over”, è la nostra “Voce Fuori Campo”, che in italia si abbrevia spesso con (V.F.C.) o (F.C.) (CONT’D)
cioè “Continued”, usata quando un personaggio continua a parlare attraverso due scene o mentre sta
compiendo un’azione e quindi il dialogo è inframmezzato dalle descrizioni.
-Sono molto usati i puntini di sospensione ... per indicare
pause nei dialoghi.
-Se si interrompe un dialogo con un cambio pagina, va lasciata
sull'ultima riga soltanto la scritta: (SEGUE)
PARENTESI
Sotto al nome del personaggio è possibile trovare delle parentesi
in cui vi sono alcune precisazioni sul tono, “tipo” di voce o
appunti su piccole azioni.
TRANSIZIONI:
le transizioni vengono indicate così:
- Allineate a sinistra in maiuscolo e "due punti" quelle di
ingresso
- Allineate a destra in maiuscolo e "due punti" quelle di
uscita
Ci sono dei software che aiutano a sviluppare sceneggiature secondo gli standard. Il più diffuso a pagamento
è Final Draft, è il più usato a Hollywood anche perché molte case di produzione lo richiedono espressamente.
Ci sono anche software gratuiti, per citarne uno Celtx.

Questi software permettono:


• di inserire la shot list e storyboard
• di fare lo spoglio della sceneggiatura in automatico per accorpare le scene da girare nella stessa location
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• di calcolare in minuti ogni singola scena
• di esportare pannelli e tag in software di calendarizzazione per
programmare la produzione. Una volta consegnata la sceneggiatura, il compito dello sceneggiatore è
terminato e la realizzazione del film passa al regista. La sceneggiatura a questo punto è più comunemente
chiamata copione, viene stampata in diverse copie, con eventuali aggiunte di note di regia, e passata ai vari
componenti della troupe. Il regista nel sistema statunitense redige una sceneggiatura di tipo tecnico (shooting
script, mentre quella letteraria si chiama spec script - abbreviazione di speculation script) dove sono riportate
le indicazioni di regia (punto di vista, distanza della camera, movimenti, ecc.), sparisce la numerazione delle
scene, mentre appare invece quella relativa alle inquadrature.
Quando il copione viene stampato in diverse copie e distribuito ai componenti della troupe, ognuno si
segnerà le parti che lo riguarda:
• la produzione dovrà stimare l'ordine di grandezza dell'investimento anche in relazione alle location
messe in evidenza dal copione, ecc.;
• il direttore di produzione farà lo spoglio della sceneggiatura unificando le scene che si svolgono
negli stessi luoghi anche se cronologicamente distanti;
• il direttore della fotografia valuterà le scene anche in base alle indicazioni luministiche (giorno, notte);
• il costumista farà i suoi calcoli sui cambi e la tipologia del vestiario;
• sulla base delle caratteristiche dei personaggi il casting proporrà gli attori da ingaggiare; lo
scenografo leggendo il copione proporrà i disegni degli ambienti da realizzare;
• gli attori proveranno i dialoghi, ecc.

Il copione dunque è un immediato strumento di lavoro per l'intera troupe.


STORYBOARD
Prima di entrare in produzione è bene realizzare lo storyboard, che è la sceneggiatura illustrata, una sequenza
di disegni che mettono in fila la narrativa visiva della storia, una sorta di graphic novel. Lo storyboard fornisce
uno spunto visivo al regista sul set e dà un’idea univoca a tutte le maestranze che lavorano sul progetto.
È la descrizione molto dettagliata, attraverso disegni, delle scene da riprendere. Per l'omicidio sotto la doccia
di Psyco, 1960, di Alfred Hitchcock, Saul Bass disegnò uno storyboard accuratissimo, inquadratura per
inquadratura, per indicare la numerose posizioni della macchina da presa per i 45 secondi della durata della
scena).
Perchè fare lo storyboard?
Sarà più facile vedere quali sono i punti deboli e tagliare le scene che non servono
Serve per stendere il piano di lavorazione. Puoi pianificare meglio la produzione e quindi non ci saranno
sorprese durante le riprese. Ti può servire come promemoria per controllare di aver girato tutte le scene,
quando finisci di girare una scena la cancelli dallo storyboard
Nel montaggio ti aiuta a ricordare la sequenza. Lo storyboard viene utilizzato quasi sempre, in tutto il mondo,
nella preparazione degli spot pubblicitari. Questo avviene principalmente per due motivi:
• avendo a disposizione un tempo molto limitato per presentare e pubblicizzare un prodotto, la sequenza
delle immagini deve essere perfettamente calcolata e calibrata;
• il cliente, non essendo esperto del settore, può fare le sue considerazioni su qualcosa di molto più chiaro e
simile allo spot finito. Per aiutare il cliente (che in genere non è un esperto del ramo) nella valutazione dello
storyboard, si possono utilizzare degli spezzoni di film esistenti montati in modo da dare l’idea di come il
filmato si dipana. Tale procedimento si chiama RUBAMATIC e presuppone che gli autori dello spot abbiano la
possibilità di accedere a un ampio repertorio di filmati.

LOCATION SCOUTING
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È la ricerca della location dove girare, sia in luoghi chiusi che in luoghi aperti. Si prediligono le location che
meglio soddisfano le descrizioni presenti in sceneggiatura ma talvolta si scelgono le location anche per motivi
legati alla funzionalità e alla logistica (spazi ampli per le manovre intorno alla macchina da presa, vicinanza ad
altre location, raggiungibilità, spazio per la gestione dei mezzi tecnici, fornitura elettrica).
PIANO DI PRODUZIONE
- definizione dei tempi di shooting
- lista con i mezzi tecnici necessari location per location
(telecamere, ottiche, cavalletti, dolly, slider, drone,
illuminotecnica)
- convocazione delle figure professionali che compongono la crew/troupe
Tutto questo si chiama piano di produzione ed è indispensabile per ogni produzione perché permette di
essere organizzati ed efficienti.
Anche la convocazione del cast seguirà i tempi scelti nel piano.
SHOOTING BOARD
Lo storyboard viene scomposto e perde il suo ordine originario per seguire l’ordine scelto per girare. Si
accostano scene narrativamente lontane tra loro perché ad esempio avvengono nello stesso luogo.
Può capitare di vedere su un set pezzi di storyboard ritagliati e attaccati a un pannello seguendo l’ordine di
ripresa. A ogni scena fatta, si fa una croce. Uno strumento utile per visualizzare il lavoro fatto e quello che
rimane da fare.
LO SHOOTING BOARD definisce l’ORDINE DI RIPRESA
Ci sono alcune regole generali:
- scene che avvengono nella stessa location
- scene che avvengono allo stesso orario del giorno (se la luce non è artificiale)
- all’interno di una stessa scena si darà priorità ai campi lunghi o ai totali poiché in questo caso le variabili da
gestire sono maggiori e la concentrazione deve essere massima (il set dovrà essere perfetto e controllato in
ogni sua parte, maggiore profondità aumenta la complessità degli elementi da tenere sotto controllo: attori,
movimenti comparse, movimenti di camera, variazioni di luce, etc).
- I piani di dettaglio sono di solito più semplici da girare perché coinvolgono meno attori, in essi si vede solo
una porzione del set, intervengono meno elementi e si illuminano più facilmente.
- Inoltre si gireranno in sequenza i piani dove le luci e il punto camera non cambiano. Scoprirete che è meno
difficile far recitare gli attori senza rispettare la continuità dell’azione piuttosto che creare problemi al direttore
della fotografia e all’operatore facendoli spostare in continuazione.
NB: Girare in maniera ragionata, può velocizzare i tempi e
farci risparmiare (nei costi di noleggio di un’attrezzatura ad esempio).
(Esercizio: provate a trasformare uno storyboard in shooting board)
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L’ANALISI DEI VIDEO: CASE STUDIES

Comunicare attraverso i video Parte 1. focus: i video per gli EVENTI. Parte 2. focus: i video AZIENDALI
Video per gli EVENTI. QUALCHE DOMANDA DI PARTENZA
1. Come si usano i video durante un EVENTO?
2. Esistono delle tipologie o «format» di video destinati agli EVENTI?
3. Che tipo di linguaggio usano?
A cosa servono i video nel corso di un evento?
Video per gli EVENTI
Semplicemente, a rendere l’evento UNICO. La parola «evento» ha un significato specifico: Avvenimento, caso,
fatto che è avvenuto o che potrà avvenire (Treccani) In realtà un evento è di per sé un qualcosa di unico,
irripetibile, grandioso. Ma allora qual è il valore aggiunto che può dare un video?
Il video, come abbiamo visto, può: informare, emozionare, persuadere. Grazie al video: √ l’attenzione può
rimanere viva √ in pochi minuti si può descrivere una storia, un prodotto, un’attività, un evento
...ma, soprattutto, UN’EMOZIONE...
PERCHÉ SI REALIZZANO VIDEO PER UN EVENTO
Phatos: i video sono empatici
Smart: trasferiscono info/emozioni in poco tempo
Appeal: i video «parlano» al pubblico
h24: i video lavorano gratis 24 ore su 24, grazie al web
Easy: sono contenuti «semplici» da condividere
Viral: possono diventare contagiosi
Pro: danno l’idea di professionalità
Ad memoriam: sono un buon mezzo per ricordare
TERMINI «ASTRUSI»:
WALK IN «in cui si può entrare»
KABUKI
effetto scenografico/spettacolare (rappresentazione teatrale giapponese XVII sec.)
TEASER
(dall'inglese to tease, stuzzicare) una comunicazione pubblicitaria preliminare, di forte impatto, che
cerca di suscitare nel pubblico la maggior curiosità possibile, senza però rivelare la natura né il nome o la
marca del prodotto pubblicizzato
QUANTI TIPI DI VIDEO?
Sono uno strumento di comunicazione che si adatta a ogni tipo di evento.
Key words:
impatto comunicativo, spendibilità sui media, coinvolgimento dei partecipanti, team building, «n» possibilità:
trailer, video-intervista, spot, sintesi (“pillola”), “integrale”, tutorial, streaming, backstage (o
making-of) ... etc.
Promuovere / raccontare un evento
Before the event:
teaser, promo, save the date, intervista d’ingaggio, testimonial...
During the event:
video per gli speaker, walk in, video copertina, video di apertura (emozionale), infografica,
video in background, video di «stacco», video di chiusura...
After the event:
backstage, vox populi, video ricordo, reportage (taglio giornalistico),
video promo (taglio emozionale), highlights, speaker recordings (sintesi speech)
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Video AZIENDALI
COS’È UNA «CORPORATE TELEVISION»?
Video AZIENDALI
LA TV DEI «COLLEGHI»
(comunità, partecipazione) La Corporate TV è un tipo di TV Digitale realizzata da un'azienda come canale
diretto per potenziare la propria comunicazione interna ed esterna. È molto più flessibile rispetto alla TV
tradizionale, adattandosi a esigenze e contesti specifici.
COS’È UNA «CORPORATE TELEVISION»?

COS’È UNA «INTRANET»?


IL CUORE DELLA COMUNICAZIONE INTERNA
L’INTERFACCIA DI TUTTI I GIORNI
LE NEWSLETTER MULTIMEDIALI

STORYTELLING
Dove possiamo usare lo storytelling?
• Raccontare la Storia
• Nelle fedi religiose
• Nel pensiero politico
• Nell’arte (letteratura, arti visive, musica, cinema, teatro)
• Nell’apprendimento
• Nella medicina e prevenzione
• Nel racconto autobiografico
• Nella comunicazione di prodotti e servizi
• Nella comunicazione del brand

La narrazione agisce su: IDENTITÀ:Le persone entrano in relazione con gli altri, con la
realtà e con noi attraverso processi narrativi. MEMORIA E DIVULGAZIONE: Quando una storia ci ha
emozionato, siamo spinti a ricordarla e a raccontarla di nuovo. ESPERIENZA:Se una storia mi emoziona,
influenzerà i miei processi di scelta, voto, acquisto e fidelizzazione.
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Storytelling:
TEMA cosa dico, scrivo, rappresento: L’insieme dei dati, ANCHE numerici,da trasmettere
RACCONTO come lo dico, scrivo, rappresento: L’architettura di senso costruita intorno ai dati
NARRAZIONE dove lo dico, scrivo, rappresento:L’atto di presentazione della storia le emozioni e i bisogni:le
emozioni scaturiscono dalla risposta a quattro tipi di bisogni e alle relative paure. Le emozioni sono più forti
se umanizzate. Percorso di un messaggio ingaggiante CREARE EMOZIONI: Raccontare la storia di Sammy
FORNIRE DATI E INFORMAZIONI:Fornire i dati numerici sulla malattia CHIEDERE AZIONI:Call to action:
richiedere donazioni o partecipazione
LA VIVIDEZZA la scelta della storia singola
Un messaggio vivido è:
• Emotivamente interessante: smuove i nostri sentimenti
• Concreto e immaginifico
• Immediato: discute questioni che ci riguardano personalmente
• Persuasivo Perché un messaggio influenza le nostre risposte cognitive?
• Cattura l’attenzione: aiuta la comunicazione ad emergere
nell’ambiente denso di messaggi.
• Rende l’informazione più concreta e personale
• Fa convergere il nostro pensiero sugli argomenti che il comunicatore ritiene più importanti.
• Può rendere il materiale più facile da memorizzare
LE STRUTTURE NARRATIVE: bisogni e tipologie di narrazione
Le emozioni nelle storie sono trasformazioni DA... ...A
Ostacolo A RIUSCITÁ
Status quo A NOVITÁ
Separazione A UNIONE
L’ABC PER FILMARE
ASPECT RATIO il primo elemento che emerge a livello macroscopico nella lettura dell’immagine
• Indica la forma del frame
• Descrive il rapporto tra lunghezza e altezza del «quadro»
La maggior parte dei video in TV hanno aspect ratio 16:9
Lo Standard Definition delle TV di un tempo era invece 4:3
I video per il web presentano oggi varie forme (1:1, oppure 9:16)
Talvolta l’aspect ratio viene indicato con il quoziente della divisione
tra il lato lungo e il lato corto:
(16:9) = 1.78
(4:3) = 1.33
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Gli smartphone impongono per natura 2 tipi di utilizzo:


Portrait verticale (9:16)
Landscape orizzontale (16:9)
Posso telefonare, giocare e usare
molte App tenendo il telefono
orientato verticalmente.
MA:
NON dovrei girarci un video, a meno che non lo stiate pensando per una storia Instagram o per Tik Tok!
Il solo posto in cui un video girato nella modalità portrait risulta normale è il telefono. In qualunque altro visore
questo tipo di video risulta inadatto. La modalità portrait infatti sfrutta meno di 1/3 del quadro widescreen e
lascia ampie bande nere ai lati.
Quando si iniziarono a produrre le prime immagini in widescreen, la tendenza era quella di inserire il nuovo
quadro allungato all’interno del 4:3, che era ancora lo standard più diffuso per le TV.
Venivano lasciate due bande nere sopra e sotto il video (Letterbox). Ora che lo standard è il widescreen ci
troviamo spesso a dover adattare footage di repertorio, cioè il vecchio girato, in 4:3 al nuovo aspect ratio. La
soluzione migliore è il Pillar Box, che lascia bande in color matte ai lati. Oppure si tende a mettere una texture
in movimento in background.
Anche i video girati in modalità landscape, quando vengono pubblicati su piattaforme social, vengono
incorniciati con un letterbox molto ampio.
LA RISOLUZIONE
La risoluzione di un video è rappresentata dal numero di righe orizzontali che creano il frame.
Solo 15 anni fa la risoluzione più diffusa era la Standard Resolution (SD)
• 576 linee nel sistema PAL ("PhaseAlternating Line" > UE)
• 480 nel sistema NTSC ("National Television Standard Committee" > USA)
Ancora oggi i DVD video ed alcune Broadcast TV sono in PAL.
L’avvento dell’Alta Definizione HD ha introdotto nuovi standard: dapprima l’HD ready, 1280x720, e
successivamente il Full HD, 1920x1080. Oggi questo è lo standard di gran lunga più diffuso: molte TV, game
console, BluRay Disc, canale YouTube e Vimeo.
Anche se il 4k si sta facendo strada molto velocemente.
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L’Ultra HD si sta diffondendo velocemente, ma non si è ancora spinto ai livelli dell’HD anche perché quanto
più un’immagine è definita tanto più pesa in termini di byte. Quando girate in questo formato accertatevi di
avere abbastanza spazio per lo storage! Anche quando non abbiamo come scopo la produzione di un video
in 4K si usa spesso girare in questo formato poiché le immagini sorgenti risultano migliori e possono essere
lavorate anche in Full HD, "scalandole" in post-produzione.
Inoltre girare in 4K ci lascia la libertà di poter ritagliare l’immagine in post-produzione, aggiustandola con un
taglio migliore e trasformando, per esempio, un campo lungo in un campo medio.
Molti smartphone sono in grado di catturare le immagini anche in 4K, oltre ai formati più piccoli.
L’App Filmic Pro, compatibile sia con Apple che con Android, permette di ampliare la gamma dei formati
supportati normalmente dal telefono, aggiungendo ad es. il 3K e tanti formati.
FRAME RATE
È il numero di fotogrammi registrati o riprodotti per ogni secondo di filmato. FPS è l’acronimo di Frame Per
Second. Un video equivale alla messa in sequenza di una miriade di scatti fotografici rapidi, la cui
riproduzione velocissima ci restituisce l’illusione del movimento. Il frame rate non è altro che il numero di
istantanee per ogni secondo di video. L’immagine in movimento è la riproduzione di immagine statiche.
Ma allora perché è credibile la percezione del movimento?
NB: Il nostro cervello colma i gap tra un frame e il successivo a tal punto che il movimento appare fluido e
naturale. È tanto più naturale, quanti più frame al secondo passano, ma fino a un certo limite oltre il quale può
disturbare.
Tradizionalmente abbiamo:
• 24 (o 23,98) fps nel cinema
• 25 fps nel sistema televisivo europeo
• 30 (o 29,97) fps nel sistema televisivo americano
Fino a qualche tempo fa si sceglieva un frame rate in relazione al paese a cui era destinato il prodotto.
Attualmente questa distinzione si è fatta più morbida in quanto molti device riescono a decifrare una
molteplicità di segnali [es. i lettori DVD riescono a leggere sia PAL (25 fps) che NTSC (29,97 fps)].
I device che riproducono interpretano in maniera automatica il frame rate e non ci rendiamo nemmeno conto
della differenza. Tanto è vero che il vostro telefono, con molta probabilità, gira video a 30 fps e voi neppure lo
sapevate!
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Immagini con meno fps risultano più "scattose"
vs
Immagini con più fps sono più fluide e "dense"
È per questo che spesso si gira a velocità più alte come 50 o 60 fps, cioè al doppio degli standard classici:
proprio per ottenere risultati più "definiti" e "limpidi". YouTube e Vimeo riescono a "digerire" uno qualunque
dei formati standard. Purtroppo questo vantaggio ha reso la questione dei frame rate secondaria,
quasi "invisibile", e spesso chi è alle prime armi con il mondo del video si trova nei guai se deve gestire una
quantità di fps difformi.
La regola di base è: girare scegliendo sempre un frame rate uniforme per tutti gli shots e che sia compatibile
con il soggetto e il formato di output. In molti software di editing: Ipotesi (A) Se portate ad esempio un file
girato a 25 fps in un progetto di 30 fps il software inventerà 5 frame aggiuntivi (duplicandoli o interpolandoli)
da alcuni dei 25 che già abbiamo.
NB: L’aggiunta di 5 frame fittizi può dare risultati non ottimali alla visione.
Ipotesi (B) Se portate ad esempio un file girato a 50 fps in un progetto di 25
fps il software, generalmente, considera il file come se fosse girato a 25
prendendo solo un frame ogni 2.
Possiamo forzare il programma per far sì che interpreti tutti i 50 frame, ma a questo punto la sequenza video
durerà il doppio della durata normale e verrà riprodotta in slow motion.
Il fps ci fa capire come si ottiene lo slow motion: giro una sequenza ad alto frame rate e poi vado a riprodurla
ad un frame rate inferiore.
È necessario girare a frame rate più alti rispetto a come è impostato il progetto (in genere si usano multipli del
frame rate del progetto) anche tutte le volte che si voglia ottenere degli slow motion molto fluidi.
Il super slow motion (si può arrivare a girare fino a 10.000 fps con macchine speciali).
Perché il cinema va a 24 fps?
Il frame rate delle pellicole cinematografiche è normalmente di 24 fps: l’immagine viene cioè catturata sulla
pellicola in 24 istantanee al secondo.
A partire dalla nascita della cinematografia, i cineasti hanno fatto molte prove per comprendere quale fosse la
frequenza minima, di fotogrammi al secondo, per ingannare l’occhio umano, ovvero per fare in modo che il
nostro cervello percepisse l’immagine, proiettata sullo schermo, come un continuo divenire e non per quello
che realmente è, cioè una serie di fotografie discrete. Perchè tutto questo?
Perché nel cinema la pellicola e il suo sviluppo sono sempre stati due dei componenti più costosi della
produzione. Comprare e sviluppare pellicola non è uno scherzo quando si sta realizzando un lungometraggio,
e contenere i costi è importante.
FRAME RATE
Siamo a San Francisco, seconda metà dell’800. Il ricco e influente Sig. Stanford chiede a Muybridge,
fotografo pionieristico inglese trapiantato in America, di fotografare la corsa del suo cavallo per fare un test:
verificare la tesi secondo cui c’è un istante in cui un cavallo a galoppo ha tutte le gambe sollevate da terra.
Comincia qui la storia della cronofotografia. La sfida consisteva nel fissare con la fotografia ciò che l’occhio
umano non riesce a cogliere con certezza nei dettagli del movimento veloce di un animale.
La questione principale stava appunto in questo: spezzare la continuità in una serie di scatti DISCONTINUI
MA CALCOLATI per ricostruire in modo credibile e convincente il FLUSSO TEMPORALE del movimento.
Dopo prove ed esperimenti, che spesso si rivelarono complessi dato che la fotografia all’epoca era agli albori
(come sfruttare all’estremo il mezzo per bloccare l’istante?), nel 1879 riesce nell’intento fotografando il
movimento con 24 macchine fotografiche disposte parallelamente al movimento ed azionate da un
commutatore elettrico guidato da un sistema ad orologeria, i cui segmenti rotanti innescano gli otturatori ad
intervalli regolari.
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Una sola camera non poteva scattare con raffiche di scatti come oggi, infatti. Le fotocamere furono disposte
parallelamente al bordo della pista ad una distanza di 27 pollici (circa 70 cm). Ogni esposizione era di
1/1.000simo di secondo. Muybridge documenta così scientificamente la dinamica del movimento (a seguire
molti artisti come Degas capirono l’importanza della fotografia nell’osservazione dei fenomeni naturali).
Questa "mania" di catturare il movimento, portò il pioniere alla creazione dello Zoopraxiscopio, uno strumento
di lettura veloce delle immagini su un disco che, fatte girare, venivano proiettate e rese visibili in sequenza.
Lo zoopraxiscopio, il precursore del proiettore cinematografico, un altro passo in avanti nello sviluppo
dell’immagine in movimento.
Il valore di 24fps risponde sì alla fisiologia della vista dell’uomo, ma è anche in qualche modo un valore
arbitrario.
Oggi, potremmo pensare che girare a 24 frame al secondo sia una inutile limitazione per la definizione e la
fluidità dell’immagine, per noi che usiamo macchine digitali capaci di registrare ad alti frame rate senza troppo
sforzo. Con il digitale i costi si sono infatti abbattuti considerevolmente rispetto alla pellicola. Ma non lo
facciamo. Perché? Il cinema è un’arte ormai ultracentenaria, e il nostro occhio si è abituato a quel ritmo, a
quel tipo di scansione temporale delle immagini.
È per questo che il 24 fps rimane ormai uno standard della visione cinematografica. Non mancano però
esperimenti cinematografici a 48 fps che però non hanno ottenuto quel massiccio successo di pubblico che
si aspettavano.
Nel gaming l’alta densità di frame rate è invece molto importante anche per migliorare le opportunità
per registrare i comandi (un salto, uno sparo etc.) e per un’esperienza di gioco migliore.
I fotogrammi qui non sono SOLO una questione di fluidità, ma anche di tempismo nel gioco competitivo.
SHUTTER
Lo zootropio ci dà lo spunto per parlare di un altro elemento fondamentale nel video: lo shutter o otturatore.
Ogni volta che facciamo una ripresa dobbiamo decidere consapevolmente anche il valore di questo
parametro, la velocità dell’otturatore, che può cambiare drasticamente il look della nostra immagine.
Da più sfuocata (motion blur) ...a molto definita (strobing o skipping) e che incide anche sulla luminosità della
ripresa.
Se partiamo dal mondo della fotografia possiamo spiegare l’otturatore come il dispositivo che ha il compito di
controllare il tempo di scatto e quindi il tempo di esposizione della pellicola o del sensore.
Nella fotografia analogica si tratta di una tendina meccanica che si apre e si chiude ad ogni clic lasciando
filtrare la luce che va ad impressionare la pellicola, come fa la palpebra per il nostro iride.
Nelle fotocamere e nei camcorder attuali al posto della pellicola troviamo un sensore e lo shutter può non
essere meccanico, ma elettronico. In questo caso si tratta di un interruttore che spenge e accende il sensore.
Il sensore non riprende cioè in maniera continua il flusso di luce, ma ad intervalli regolari attraverso
l’accensione e lo spegnimento dell’otturatore elettronico. In fotografia si calcola che il tempo di scatto utile
per fotografare soggetti nitidi sia maggiore di 1/125 di secondo. Sotto a questo tempo i soggetti, soprattutto
se in movimento, non risulteranno precisi e definiti nella foto. Quanto più il tempo di scatto è breve tanto più il
soggetto in movimento sarà preciso, quanto più è lento tanto più il soggetto sarà "mosso".
La regola dello shutter "normale": 1 = 2 x fps
• Se giro a 24 fps, lo shutter consigliato sarà 1/48esimo di sec.
• Se giro a 25 fps, lo shutter consigliato sarà 1/50esimo di sec.
• Se giro a 30 fps. lo shutter consigliato sarà 1/60esimo di sec.
Il perché ce lo spiega il mezzo analogico che il video emula: il cinema. Nella cinematografia analogica
l’otturatore è rappresentato da un semicerchio posto a margine della pellicola. Ogni 24esimo di secondo
l’otturatore scatta compiendo un giro completo davanti alla pellicola (angolo di scatto a 180°).
Una metà del tempo la pellicola veniva esposta mentre nell'altra metà era coperta e, in quel momento, il
meccanismo trainava avanti la pellicola sul successivo fotogramma.
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Partendo da 1/24 si otteneva dunque un'esposizione di 1/48 (la metà, così come 180° sono la metà del disco
completo) ed è proprio questo rapporto che ci consente di emulare quel risultato visivo.
L’otturatore a 180°, con un fps di 1/24esimo di secondo, corrisponde a spegnere e accendere il sensore 48
volte al secondo.
Infatti è così che si ottiene il motion blur – ovvero l'effetto scia che rende 'sfuocati' i movimenti – nella stessa
quantità che siamo abituati a vedere nelle riprese cinematografiche.
È per questo che anche nel video spesso il valore dello shutter è riportato in gradi, sebbene nel caso del
video non ci sia meccanica, ma solo otturazione elettronica (che può essere anche maggiore o minore di
180°).
In sostanza: a ogni scansione il sensore viene resettato per catturare l’immagine successiva.
Il tempo di scansione che emula al meglio una cinepresa è quindi 180°. Quello che importa fissare è che la
scelta dell’otturatore incide sul look & feel di un video.
Per valori > 1/50 o 180°
Per valori < 1/50 o 180°
motion blur
strobing
È bene ripetere che, a parità di condizioni, usando lo shutter più veloce l’immagine sarà più buia, quindi
avrete bisogno di aggiungere più luce per raggiungere lo stesso grado di esposizione dell’immagine.
ISO (scala studiata dall’International Organization for Standardization, ente per la normativa industriale)
Sempre parlando di esposizione, oltre allo shutter è indispensabile chiarire il concetto di ISO a partire dall'uso
analogico.
Con ISO si indica il grado si sensibilità della pellicola. Più alto è il suo valore, più sensibile è la pellicola. Se ad
esempio dobbiamo fotografare con scarse condizioni di luce (oppure con teleobiettivi molto spinti) andremo a
privilegiare un ISO più alto.
Una pellicola con alti ISO avrà anche maggiore grana, perché sarà ottenuta aumentando la dimensione dei
granuli che costituiscono l’emulsione della grana.
In fotografia quindi sarà adatta a foto di reportage e di cronaca, dove l’essenza del documento è più
importante della nitidezza impeccabile, come invece accade nelle foto di moda o in studio.
Per lo stesso motivo, pellicole a bassa sensibilità sono privilegiate in caso di foto per la stampa patinata e su
grande formato, cioè per ingrandimenti successivi.
Nei dispositivi di ripresa digitali il concetto di ISO permane anche se non si usa più la pellicola. Ogni sensore
ha un ISO nativo che indica la sua luminosità. Più è alto il valore più il sensore è luminoso.
Posso regolare la sensibilità del sensore, con un procedimento elettronico, in modo che sia in grado di vedere
anche in ambienti poco illuminati. Più salgo e mi allontano dagli iso nativi, più ho un effetto collaterale
rappresentato dall’aumento del rumore. Il rumore si manifesta nelle foto principalmente come una perdita di
nitidezza e la comparsa di macchioline colorate, visibili soprattutto in corrispondenza delle aree scure.
Aumentare la sensibilità ISO comporta una serie di effetti collaterali che danneggiano la qualità finale
dell’immagine ottenuta: il rumore digitale. Il rumore digitale è un calo della qualità dell’immagine che si
manifesta con la comparsa nell’immagine finale di:
1. una granulosità diffusa che determina una perdita di dettaglio sui particolari (detto anche rumore luminoso)
2. una serie di artefatti colorati (verde e magenta) che modificano la resa complessiva dei colori dell’immagine
(viene detto anche rumore cromatico).
Alti livelli di rumore possono rendere un video totalmente inutilizzabile. Il minimo valore di ISO possibile al
giorno d’oggi è 50 e la scala dell’ISO è la seguente: 50-100-200-400-800-1600-3200-6400-12800. Quelli
appena elencati sono gli stop interi ma le macchine digitali permettono di impostare anche terzi di stop.
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Si parte dal presupposto che più basso è l’ISO più bella è l’immagine: meno rumore e miglior gamma
dinamica. Ancora più precisamente si può dire che ogni camera ha prestazioni ottimizzate quando si usa ai
valori ISO nativi del sensore. Quindi ne va tenuto conto, privilengiando possibilmente questa impostazione.
DIAFRAMMA
L’elemento più importante quando si parla di luce e fotografia è il diaframma. Il diaframma, o iris, si
comporta proprio come il nostro iride che si rimpicciolisce in caso di molta luce o si allarga in caso di basse
luci. Il diaframma è l’elemento che determina la quantità di luce che va ad
impressionare il sensore. Tecnicamente, il diaframma è composto da una serie di lamelle sovrapposte che a
seguito del movimento di rotazione di una ghiera si allargano o si stringono determinando la dimensione del
foro centrale (la pupilla) da cui passa la luce.
Il diaframma si trova generalmente nell’obiettivo, dico generalmente perché esiste una piccolissima nicchia di
macchine fotografiche (pinhole) in cui non esiste diaframma, sostituito da un semplice foro da cui passa la
luce, per fotografare anche senza obiettivo, come nella camera stenopeica.
Il diaframma si indica con dei numeri preceduti da f e questi numeri non indicano la misura dell’apertura ma
sono dati dal rapporto tra:
Focale dell’obiettivo
f=
Diametro del diaframma
Quella che trovate scritto sulla lente è la massima apertura di diaframma possibile. Attenzione! Più il valore di
“f” è basso, più il diaframma è aperto e viceversa. La sequenza degli Stop (o dei valori dei numeri f) venne
standardizzata al congresso di Liegi nel 1905 ed è rappresentata da una progressione geometrica che
comprende i seguenti intervalli:
f/1 - f/1,4 - f/2 - f/2,8 - f/4 - f/5,6 - f/8 - f/11 - f/16 - f/22 - f/32 - f/45 - f/64 - f/
90 - f/128 (etc)
In genere il diaframma è progettato per variare la quantità della luce in ingresso, almeno di 4 o 5 Stop
(di norma 7 Stop), ma alcuni modelli di lente possono raggiungere anche una possibilità di scelta di 10 Stop.
Queste selezioni avvengono tramite regolazione meccanica, manuale o automatica, oppure controllata
elettronicamente: alcuni obiettivi non hanno la ghiera manuale dei diaframmi ed in alcuni modelli gli intervalli
possono avere sub divisioni di 1/2 stop o addirittura fino a 1/3 di stop.
L’uso del diaframma influisce quindi sulla luce, ma anche su un altro fattore fondamentale da un punto di vista
espressivo: la profondità di campo. Con un diaframma molto aperto, sotto f8, si riduce notevolmente la
profondità di campo ed è più difficile fare il fuoco se il soggetto è in movimento.
Con un diaframma molto chiuso, sopra f8, si accresce la profondità di campo fino a valori in cui si ha
l’immagine a fuoco da zero a infinito.
In ambito fotografico si usa spesso l’iperfocale per mettere tutto a fuoco:
Data una determinata lunghezza focale dell’obiettivo e una determinata apertura del diaframma, l’iperfocale è
la distanza più ravvicinata alla quale è possibile mettere a fuoco per fare in modo che tutti gli oggetti siano
percepiti come nitidi dalla metà della distanza iperfocale fino all’infinito. Il Panfocus o Deep focus shot è una
tecnica cinematografica che può porre lo spettatore nella condizione di dover seguire diversi fuochi di
attenzione che agiscono nel "quadro" contemporaneamente.
Essa richiede uno specifico coordinamento dei dispositivi di ripresa, che prevede
1) l'uso di pellicole o dispositivi molto sensibili
2) di apparati per l'illuminazione capaci di generare luce molto penetrante
3) di adattamenti del set per favorire la gestione dell'illuminazione e
4) di lenti grandangolari per aumentare la profondità di campo.
È spesso citato il film Citizen Kane (Quarto potere)
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l’opera di Orson Welles fotografata da quello che viene definito il primo grande cinematographer di tutti i
tempi: Greg Toland. Al variare della lunghezza focale varia l’ampiezza dell’angolo di campo ripreso,
ossia la porzione di scena inquadrata. In particolare, una lunghezza focale corta (come 16mm o 24mm)
corrisponde ad un angolo di campo molto ampio ed è quindi adatta ad inquadrare scene molto vaste (sono
infatti tipiche focali da paesaggio). Man mano che aumenta la focale si restringe l’angolo di campo inquadrato
ed il risultato è che il soggetto dell’inquadratura appare ravvicinato.
Gli obiettivi normali sono quelli la cui focale è simile alla lunghezza della diagonale del
sensore, ovvero 43mm equivalenti circa.
Definizione a parte, l’obiettivo normale per eccellenza è considerato il 50mm. Come risultato, l’angolo di
campo inquadrato è di circa 45° – 60°.
Focali di questo tipo permettono di ottenere una prospettiva vicina a quella dell’occhio umano. Anche per
questo, gli obiettivi normali sono spesso utilizzati nei ritratti, onde evitare che i tratti della persona ripresa
appaiano deformati. Gli obiettivi che riprendono un angolo di campo superiore a quello dei normali e che
quindi hanno una focale inferiore ai 35-40mm sono invece detti grandangoli.
I grandangoli permettono di inquadrare una porzione di scena molto ampia, spesso superiore a quella visibile
ad occhio nudo, e per questo trovano largo impiego nella fotografia paesaggistica.
Utilizzando focali molto corte, si può facilmente giocare con la prospettiva: la distanza fra i diversi elementi
della scena apparirà maggiore di quanto non sia realmente.
I fisheye (letteralmente “occhio di pesce”) sono obiettivi grandangolari caratterizzati da una lunghezza focale
particolarmente corta e che permettono di riprendere un angolo di campo di 180° o superiore.
Con i teleobiettivi si possono effettuare riprese ravvicinate anche di soggetti molto distanti. Proprio per questo
vengono utilizzati in tutte quelle situazioni nelle quali non è possibile avvicinarsi al soggetto.
Se i grandangoli tendono ad esasperare la prospettiva ed aumentare apparentemente la distanza fra i
soggetti, i teleobiettivi producono l’effetto opposto di appiattire la prospettiva. Inserendo nell’inquadratura
soggetti posti a diverse distanze, le focali più lunghe li faranno apparire molto più vicini di quanto siano
realmente.
I teleobiettivi molto spinti, con focale superiore ai 300mm, vengono talvolta definiti supertele e consentono di
riprendere soggetti estremamente distanti. Per fare solo un esempio, utilizzando queste lenti, magari
associate a moltiplicatori di focale, è possibile fotografare la luna con un ottimo dettaglio dei suoi crateri.
CROP FACTOR
Nelle fotocamere digitali, l'espressione fattore di crop (letteralmente fattore di ritaglio) indica il rapporto fra la
diagonale di un tradizionale sensore pieno formato («full frame» o 35mm) e la diagonale di un sensore più
piccolo.

COPYRIGTH MUSICAL: OPEN ACCESS

“ ... L’open access è una modalità di pubblicazione del materiale prodotto dalla ricerca che ne consente un
accesso libero (senza costi), senza restrizioni (iscrizioni a una rivista), possibilmente con l’aggiunta di una
licenza Creative Commons per promuovere il riutilizzo ...” (Suber, 2004).
Quali sono i prodotti della ricerca :
● articoli scientifici e monografie
● dati sperimentali,
● atti di conferenze,
● capitoli di libri,
● tesi ..
→ contenuti audio-visivi (l’opera creativa è “l’oggetto” tutelato dalla “legge sul diritto d’autore” legge n.633
del 22 aprile 1941).
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Le riviste convenzionali (non open access) generalmente detengono dei diritti esclusivi sul materiale
pubblicato e coprono i costi di pubblicazione tramite la vendita di abbonamenti e licenze, “oneri” di accesso
al sito, addebiti pay–per–view.
→ molte case di produzione e distribuzione (discografica e cinematografica) detengono i diritti sulle opere.
Con lo sviluppo del WEB, due aspetti sono diventati di estrema attualità:
● la proprietà intellettuale (copyright e diritto d’autore),
● l’accessibilità delle informazioni (attività di ricerca dei contenuti creativi)
Il Copyright è un concetto proprio del diritto anglosassone ed è incentrato sugli aspetti economici legati allo
sfruttamento di un’opera creativa.
Il Diritto d’autore rispecchia la visione dell’Europa continentale sulla materia ed è incentrato sulla protezione
dell’autore di un’opera creativa (l’opera dell’ingegno viene considerata come espressione della personalità
dell’autore e come tale viene protetta).
Molti sistemi bibliotecari si sono orientati verso l’adozione del criterio dell’accesso aperto: un accesso libero e
immediato alle informazioni, ai dati e ai risultati della ricerca (USienaAir).
Molti atenei si stanno dotando di una “policy di ateneo” sull’accesso aperto sulla base delle linee guida CRUI
– Commissione Biblioteche – GdL Open Access.
L’importanza dell’Open Acces può essere vista da due punti di vista:
● Etico
● Pratico
Da un punto di vista etico, i risultati delle ricerche finanziate con fondi pubblici dovrebbero essere
pubblicamente disponibili. Da un punto di vista etico pratico, l’Open Access ci permette di sfruttare il
potenziale della rete, delle tecnologie digitali, del WEB per disseminare e condividere senza restrizioni i
risultati della ricerca (e più in generale i contenuti creativi) aumentando in maniera esponenziale l’impatto che
la ricerca può avere nei soggetti potenzialmente interessati.
I vantaggi dell’Open Access sono diversi:
i contenuti circolano prima e più velocemente;
i risultati delle ricerche (contenuti creativi) ottengono
maggiore visibilità che potenzialmente si può
tradurre in un numero maggiore di citazioni, in un
maggior riconoscimento delle abilità e delle
competenze individuali, in un aumento della
noterietà (maggiore visibilità);
la ricerca diventa più “trasparente”.
Parlando di Open Access è necessario illustrare il legame fra:
● Proprietà Intellettuale,
● “Royalty-free”,
● licenze Creative Commons.
La Proprietà Intellettuale indica l’apparato di principi giuridici che mirano a tutelare i frutti dell’inventiva e
dell’ingegno umano. Sulla base di questi principi, la legge attribuisce a creatori e inventori un monopolio nello
sfruttamento delle loro creazioni/invenzioni e pone nelle loro mani alcuni strumenti legali per tutelarsi da
eventuali abusi da parte di soggetti non autorizzati (Concas, 2019). I frutti dell’attività creativa e inventiva
umana, ad esempio, sono le opere artistiche e letterarie, le invenzioni industriali e i modelli di utilità, il design, i
marchi.
Al concetto di proprietà intellettuale fanno capo tre grandi aree del diritto:
● diritto d’autore (protegge le espressioni artistiche)
● brevetti (proteggono le nuove idee)
32
● marchi depositati (proteggono i simboli finalizzati a
distinguere le varie aziende)
Facciamo un esempio con la musica
(Måneskin – Sony Music / RCA Records).
Nel processo che porta dalla nascita alla pubblicazione di un’opera musicale, i diritti si moltiplicano e si
frammentano in capo a più soggetti.
Generalmente un “autore” di un’opera musicale cede ad un “editore” i diritti di utilizzazione economica della
propria opera in cambio di una percentuale dei proventi realizzati per ogni utilizzo dell’opera stessa (royalty).
I diritti, che vengono ceduti tramite un contratto di “edizione musicale”, possono essere diversi:
● riproduzione meccanica (CD e DVD),
● pubblica esecuzione,
● autorizzazione della sincronizzazione dell’opera con
un video,
● traduzione dell’opera,
● arrangiamento dell’opera,
● etc.
L’opera musicale, per essere riprodotta e ascoltata (CD, file digitale, streaming, etc.), deve essere “fissata”
(incisa) su un supporto.
Un “supporto” è lo strumento (materiale o immateriale) idoneo alla fissazione e/o alla riproduzione e alla
diffusione di “fonogrammi”.
Un supporto può essere la prima registrazione dell’opera (“Master”) ma può essere anche un’incisione
successiva (CD, file MP3 etc.).
Il “fonogramma” (spesso indicato come “Master”) è la prima fissazione originale di un’opera musicale o di
una sequenza di suoni e/o voci provenienti da un’interpretazione, da un’esecuzione o da una
rappresentazione, prima fissazione intesa come bene immateriale incorporata in un supporto.
Il fonogramma, quindi, è il risultato del lavoro di diversi soggetti e garantisce – al titolare dello stesso – il
riconoscimento dei diritti di sfruttamento economico.
Gli “Artisti Interpreti Artisti Esecutori” (AIAE) sono i soggetti che si occupano della composizione e della
registrazione dell’opera musicale. (legge n.633 del 22 aprile 1941 – art. 80/85)
Il “produttore fonografico” (comunemente conosciuto come “casa o etichetta discografica”) è la persona
fisica o giuridica che assume la responsabilità della prima fissazione dell’opera musicale.
Spesso la casa discografica che produce un fonogramma è anche l’editore dell’opera prodotta e
questo potrebbe generare confusione.
L’editore è il soggetto a cui l’autore cede i diritti di sfruttamento economico sulla propria composizione.
La casa discografica invece deve ottenere dall’editore la licenza di riproduzione meccanica al fine di poter
registrare l’opera (musicisti per eseguire l’opera, tecnici del suono, studio di registrazione etc.).
Autori, editori, AIAE e produttori fonografici si iscrivono ad una “società di gestione collettiva dei
diritti d’autore” (collecting societies).
Le più comuni collecting societies sono:
● SIAE (Società Italiana Autori ed Editori),
● SCF (Società Consorzio Fonografici)
● Nuovo IMAIE (Nuovo Istituto Mutualistico Artisti Interpreti Esecutori
Per ogni singola utilizzazione del fonogramma, le collecting societies riscuotono i proventi per conto dei
propri iscritti (autori, editori, AIAE e produttori fonografici) e distribuiscono i compensi agli “aventi diritto” sotto
forma di royalties.
In conclusione:
33
● ogni singolo utilizzo di un’opera musicale (creativa) genera il diritto alla percezione di compensi (royalties)
per gli aventi diritto (autori, editori, AIAE e case discografiche),
● le royalties sono delle percentuali economiche che devono essere pagate agli aventi diritto per ogni utilizzo
di un’opera musicale (creativa).
Per trasmettere musica (in un locale o in un esercizio commerciale), l’esercente dovrà acquistare delle licenze
dalle collecting societies degli “aventi diritto”.
Se vogliamo utilizzare una colonna sonora per una produzione video, lo scenario diviene più complesso, in
quanto un’opera musicale viene utilizzata per creare un’opera derivata. Si parla di “diritti di sincronizzazione”.
Il diritto di sincronizzazione della musica è la facoltà di abbinare un’opera musicale ad una sequenza di
immagini, al fine di creare un’opera audiovisiva (un film, una serie televisiva, un documentario, una pubblicità,
una sigla etc.).
Generalmente, le collecting societies non gestiscono i diritti di sincronizzazione.
La contrattazione per l’ottenimento delle licenze di sincronizzazione è lasciata alla piena autonomia delle
parti: l’autore ed il produttore fonografico possono decidere di chiedere il compenso che ritengono più
adeguato, così come possono rifiutarsi di concedere l’autorizzazione alla sincronizzazione. Un videomaker,
per utilizzare un’opera musicale come colonna sonora di un video, dovrà ottenere una serie di
licenze:
● dall’autore o dall’editore (diritto d’autore),
● dal produttore fonografico (diritti connessi),
● dalle collecting societies.
All’autore o all’editore dovrà essere richiesta una licenza di sincronizzazione della composizione musicale che
andrà a confluire nell’opera audiovisiva.
Tale licenza avrà per oggetto i “diritti d’autore” sulla composizione.
Tale licenza è sufficiente “soltanto” in quei casi (rari) in cui il videomaker registri autonomamente o con l’aiuto
di musicisti un nuovo fonogramma.
Se invece vuole utilizzare un fonogramma esistente,allora sarà necessario ottenere una licenza di
sincronizzazione anche dal produttore fonografico (casa discografica) che ne gestisce i diritti.
Tale licenza avrà per oggetto i “diritti connessi” al fonogramma.
Con le licenze di sincronizzazione, il videomaker acquista “soltanto” il diritto di utilizzare l’opera musicale
all’interno del proprio video.
Il diritto di sincronizzazione di un’opera musicale NON coincide con il diritto di riproduzione dell’opera
medesima, in quanto l’abbinamento audio/video comporta una vera e propria elaborazione di un’opera
musicale, che dà origine ad un’opera nuova e diversa.
Per poter eseguire pubblicamente l’opera audiovisiva e comunicarla al pubblico, il videomaker dovrà
acquistare ulteriori licenze.
Ciascuna utilizzazione dell’opera audiovisiva (televisione, cinema, streaming web, download etc.) comporta
anche l’utilizzo delle musiche sincronizzate, utilizzo che non è coperto dalla licenza di
sincronizzazione.
Per tutti questi utilizzi, è necessario acquistare le relative licenze dalle collecting societies.
Generalmente i compensi per la pubblica esecuzione e la comunicazione al pubblico delle composizioni
musicali sincronizzate vengono gestiti dalla SIAE (o da collecting concorrenti).
Per quanto riguarda i fonogrammi, sarà necessario rivolgersi ad SCF (Società Consorzio Fonografici).
Il compenso per la pubblica esecuzione o la comunicazione al pubblico dell’opera viene corrisposto dal
soggetto che si avvale di queste utilizzazioni (rete televisiva, cinema, piattaforma di streaming, titolare del sito
web etc.)
Questi soggetti, per non rischiare di incorrere in responsabilità penali, sono altresì tenuti ad assicurarsi
che il videomaker abbia ottenuto regolarmente le licenze di sincronizzazione.
34
In conclusione:
● ottenere queste licenze può essere estremamente difficile per un videomaker (e soprattutto molto costoso)
● le licenze potrebbero avere delle limitazioni (nel tempo di utilizzo, nel territorio, nello scopo etc.),
● il videomaker potrebbe essere costretto ad ottenere nuove licenze per ogni sfruttamento ulteriore della
propria opera.
La musica royalty free offre una soluzione semplice ed a buon mercato ai problemi visti in precedenza.
L’avvento del digitale e di internet hanno permesso a molti autori di gestire la propria musica senza ricorrere
ad intermediari. “Royalty-free” è un termine che indica una tipologia di contratto fra due soggetti – il
licenziatario e l’utilizzatore. Il licenziatario rimane sempre proprietario di tutti i diritti legati all’opera, come il
diritto di distribuirla o di permetterne la distribuzione.
L’utilizzatore ha il permesso di usarla secondo le linee guida della licenza fornita dal licenziatario.
Con una licenza royalty-free il licenziatario concede all’utilizzatore il diritto (la licenza) di “utilizzare” un’opera
creativa protetta dal diritto d’autore (una foto, un video, un brano musicale etc).
L’aspetto importante è quello di “leggere” e di “capire” le condizioni della licenza che si acquista.
Molti siti internet utilizzano a sproposito termini come “free music” o “musica royalty free per video”.
Leggendo attentamente le licenze proposte, potremmo renderci conto che non siamo di fronte a licenze
“royalty free” ma di fronte a delle semplici licenze di “sincronizzazione”. Generalmente, l’acquisto di una
licenza royalty-free prevede soltanto il pagamento una tantum di una “piccola” somma (per i diritti d’autore ed
i diritti connessi) e non di un canone periodico.
Le licenze non consentono “qualsiasi” utilizzo delle opere creative. Ciò significa che tali opere possono
essere utilizzate soltanto “nei limiti di quanto consentito dalla licenza” L’acquisto di una licenza royalty-free
consentirà all’utilizzatore di:
● usare il contenuto creativo senza limiti di tempo e di
spazio,
● non doversi più preoccupare del pagamento di compensi ulteriori per ogni singolo utilizzo dell’opera
derivata in cui è stata sincronizzata la musica.
Alcune limitazioni nella licenza potrebbero essere:
● nell’utilizzo (progetto singolo / progetti plurimi),
● nel numero di copie (il licenziatario potrebbe limitare il numero di copie che è possibile riprodurre),
● nella tipologia di sfruttamento (singolo o plurimo – uso pubblicitario, tv, cinema etc.).
Il problema risiede nel significato che viene associato al termine “Royalty-free”, che non deve essere tradotto
con “licenza libera da diritti di copyright” ma con “licenza libera dal pagamento di royalties a fronte di ogni
utilizzo del contenuto creativo”, cosa che invece accade con le risorse “Rights-managed”.
Con la licenza “Rights-managed” l’utilizzatore riceve il diritto di usare un contenuto creativo in maniera molto
specifica, con restrizioni che possono riguardare il tempo, la dimensione, il luogo geografico etc.
Rights-managed deriva dal fatto che è il licenziatario a gestire (manage) i diritti di pubblicazione del contenuto
creativo.
Royalty-free, quindi, non significa che un contenuto creativo “non abbia nessuna forma di licenza” e che di
conseguenza “sia possibile utilizzarlo liberamente senza sostenere alcun costo”.
Molto spesso la licenza Royalty-free è regolata dagli standard della “Creative Commons” (specificano
esattamente cosa si “può” o “non si può” fare con il contenuto creativo, ad esempio se è disponibile per usi
commerciali o meno). Un artista può comporre, eseguire e registrare le proprie opere in piena autonomia.
Dopodiché, potrà venderle in licenza da un proprio sito web oppure tramite i numersi portali che, ricorrendo
alle licenze Creative Commons, offrono questi servizi in cambio di una percentuale sulle vendite.
La Creative Commons (CC) è un’organizzazione non a scopo di lucro fondata nel 2001 da Lawrence Lessig,
ordinario di diritto presso l’Università di Harvard. Ha sede a Mountain View e si dedica ad ampliare la
gamma di opere disponibili alla condivisione e all’utilizzo pubblico in maniera legale.
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L’organizzazione ha stilato diversi tipi di licenze note come “licenze Creative Commons” (licenze CC) che
forniscono un modo semplice e standardizzato per comunicare quali diritti l’autore dell’opera (licenziatario) “si
riserva” e a quali altri “rinuncia” a beneficio degli utilizzatori.
In pratica la Creative Commons ha introdotto il concetto “some rights reserved” (alcuni diritti riservati)
collocandosi a metà tra:
● il modello “all rights reserved” (tutti i diritti riservati) peculiare del copyright
● il modello “no rights reserved” (nessun diritto riservato) peculiare del pubblico dominio
Le licenze Creative Commons sono strutturate in due parti:
● le “libertà” (concesse dall’autore per la propria opera)
● le “condizioni d’uso” (dell’opera stessa)
Con il primo termine “libertà” ci si riferisce a due possibilità:
● Share – ovvero la libertà di copiare, condividere, distribuire o trasmettere un’opera frutto del proprio
ingegno;
● Remix – ovvero la libertà di rielaborare e riadattare il contenuto di un lavoro altrui.
Con il secondo termine “condizioni d’uso” ci si riferisce a quattro possibilità, in modo da garantire la migliore
applicazione delle due libertà in base alle diverse casistiche.
● Attribution (BY) copiare, distribuire, divulgare ed eseguire copie dell’opera (compresi eventuali lavori
derivanti dalla stessa), a patto che venga sempre reso noto – e in modo evidente – il nome dell’autore
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Dal 2001 il progetto si è allargato a molti paesi. Di seguito il link della Creative Commons Italia, il gruppo
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CC BY (Attribution), la CC BY–SA (Attribution–ShareAlike) e in alcuni casi la CC BY– ND (Attribution–NoDerivs)
E la musica classica?
Quando un autore è morto da oltre 70 anni, le operemusicali diventano di “pubblico dominio” e non sono più
protette dal copyright (musica classica). Questo significa che chiunque può suonare la IX sinfonia Beethoven,
registrarla e trarne profitto. Ma non significa che qualunque registrazione della IX sinfonia di Beethoven sia
liberamente utilizzabile per fini commerciali e non.
C’è infatti una differenza sostanziale fra i diritti dell’autore e i diritti del produttore fonografico.
(legge n.633 del 22 aprile 1941)
I diritti di utilizzazione economica dell’opera durano tutta la vita dell’autore e sino al termine del
settantesimo anno solare dopo la sua morte.
I diritti del produttore fonografico durano “almeno” cinquanta anni a partire dall’esecuzione, dalla
rappresentazione o dalla recitazione del fonogramma.

IL LINGUAGGIO DEL CINEMA

Linguaggio cinematografico – la storia 28 dicembre 1895, PARIS Grand Café (Boulevard des Capucines,14)
Prima proiezione pubblica a pagamento dei Fratelli Auguste e Louis Lumière (1895) Uno spettacolo di 25
minuti, con la proiezione di 10 film diversi.
NASCE IL CINEMA
Sono film muti, con una sola inquadratura, della durata di 50 secondi /1 minuto
(a causa della lunghezza della pellicola, circa 17 metri)
Le repas de bébé Fratelli Auguste e Louis Lumière (1895)
L'Arrivée d'un train en gare de La Ciotat
Fratelli Auguste e Louis Lumière (1896)
L’INVENZIONE DEI SOGNI
La storia del cinema raccontata attraverso gli occhi dei bambini
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IL CINEMA FANTASTICOLe voyage dans la lune (Viaggio nella Luna)
Georges Méliès (1902): Méliès può essere considerato l’inventore dello «spettacolo» cinematografico.

È un cinema di magia, troviamo le illusioni dei prestigiatori. Abbondano i «trucchi», l’obiettivo è la fascinazione
del pubblico attraverso le immagini.
DAL CINEMA CLASSICO SENSO-MOTORIO
Linguaggio cinematografico – la storia
Basato sui rapporti di causa/effetto Un cinema che si è già impossessato della «parola» fin dal 1927 con il film
The Jazz Singer (Il cantante di jazz) di Alan Crosland, che viene considerato il primo film
SONORO.AL CINEMA MODERNO
OTTICO-SONORO
Il Neorealismo e l’«Umanesimo rivoluzionario»Ladri di biciclette Vittorio De Sica (1948)
André Bazin (Qu'est-ce le cinéma?) parla di:
- assenza di attori
- assenza di messa in scena
- assenza di storia
Un cinema anti-spettacolare, una narrazione che procede per sintesi ed ellissi (vuoti).
AL CINEMA MODERNO OTTICO-SONORO
La Nouvelle Vague e l’«anti-costruzione» https://www.youtube.com/watch?v=2Mz8wGqqI4I
À bout de souffle (Fino all'ultimo respiro)
Jean-Luc Godard (1960)
La soggettiva indiretta libera: c’è confusione e scambio tra p.d.v. del regista e p.d.v. del personaggio.
L’interpellazione (lo sguardo in camera) come gioco metalinguistico: è un cinema che parla di cinema,
dimensione autoriflessiva in cui la forma (caotica) riflette il senso problematico.
Contro i canoni classici, la m.d.p. è sempre presente (scossoni, movimenti strani). Senso di spaesamento.
AL CINEMA MODERNO OTTICO-SONORO
8 1⁄2
Federico Fellini (1963)
Il sogno ad occhi aperti: il reale è onirico, è delirio, un mondo dove tutto è possibile, un carnevale.
Marcello Mastroianni nel ruolo di un regista alla ricerca d’ispirazione poetica, tra confusione esistenziale,
fantasie, ricordi...
FINO AL CINEMA POST-MODERNO
UN MONDO DI STEREOTIPI
Pulp Fiction
Quentin Tarantino (1994)
Una nuova forma di narrazione: un mondo di «cartone», in cui tutto è fumetto e
le immagini/la realtà sono pre-fabbricate.
Lo sapevate che?
La famosa scena del ballo tra Uma Thurman e John Travolta è un omaggio alla scena di ballo tra Barbara
Steele e Mario Pisu nel film 81⁄2 di Fellini:
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INQUADRATURA
L’inquadratura è la prima scelta che l’autore fa quando pone l’occhio dentro il mirino. Il quadro può anche
essere pensato come il limite spaziale che la macchina da presa impone alla realtà. Un limite a cui l’autore gli
conferisce un preciso significato. Come la tela di un pittore, l’inquadratura deve essere riempita, scegliendo
con cura che cosa inserire all'interno del quadro (in campo) e cosa, inevitabilmente, lasciare
fuori (fuori campo). Bisogna anche decidere come inquadrare il soggetto o l'ambientazione che si è
deciso di inserirmi nella nostra ripresa. L’inquadratura non è MAI NEUTRALE. L’inquadratura è una
rappresentazione bidimensionale della realtà che:
• la determina poiché l’autore deve scegliere un punto di vista e definire i punti di
forza della composizione
• il plasma perché sempre l’autore deve scegliere una pluralità di fattori tecnici (angolazione, distanza, altezza
delle mdp, movimenti e profondità) che impongono anche dei significati. Infine il regista, scegliendo
un’immagine dopo l'altra (nel montaggio), conferisce significato a una porzione di realtà in funzione dell’intera
scena: compone le inquadrature tra loro per costruire ed imporre il suo punto di vista allo spettatore.
Linguaggio cinematografico - spazio filmico
Citizen Kane (Quarto potere) Orson Welles (1941)
Il tentativo è quello di eguagliare la messa a fuoco dell’occhio umano. Attraverso l’uso esemplare della
profondità di campo.
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Un film «puzzle» in cui forma e contenuto dipingono una molteplicità di punti di vista.
Entriamo nel «favoloso mondo» del regista Wes Anderson… Linguaggio cinematografico - spazio filmico
The Darjeeling Limited (Il treno per il Darjeeling) Wes Anderson (2007)
Un road movie nostalgico, con tre fratelli in viaggio alla ricerca di se stessi.
Ecco quello che succede quando
il «treno sbagliato» porta alla «stazione giusta»
cit. film Dabba (Lunchbox), Ritesh Batra (2013)...
Alla base di ogni film del regista Wes Anderson vi è un elenco rigido di regole:
• Le inquadrature sono sempre frontali, fisse da far notare una forte maniacalità della composizione (quasi
pittorica) dello scenario filmico.
• Si trova inoltre la simmetria bilaterale, presente in ogni scena, nulla di fronte alla telecamera è fuori posto.
• Il punto di fuga è sempre al centro per creare una prospettiva centrale.
• Utilizza molto la panoramica (spesso artificiosamente "a schiaffo" ).
• Le tonalità di colori presenti in ogni scena si armonizzano come in un dipinto e a ogni momento ripreso
viene abbinata una palette cromatica. Anderson utilizza la sua tecnica estetica dell’uso del colore non al solo
fine estetico, ma cercando nella forma la vera sostanza.
Usa minuziosamente le tecniche cinematografiche (come i colori, le inquadrature e le simmetrie), con lo
scopo di sottolineare gli aspetti interiori e la fragilità dei suoi personaggi.
Ogni scenario costruito dal regista è in funzione della psicologia, perché le caratteristiche e le emozioni dei
protagonisti si riflettano nell’estetica che li rappresenta (vedi > palette cromatica).
LA PALETTE CROMATICA
https://vimeo.com/channels/staffpicks/182987900
The Royal Tenenbaums, Wes Anderson (2001)
La sua firma autoriale è forte e riconoscibile si muove tra l'eccentrico e il surreale e i suoi personaggi
NON sono EROI, sono fallibili, indolenti, sbagliati, ma non c’è mai una condanna da parte del regista, che anzi
ce li fa sostenere e apprezzare grazie all’ironia di fondo di tanti suoi film- WesAnderson adotta uno stile
riconoscibile: "I have a way of filming things and staging them and designing sets. There were times when I
thought I should change my approach, but in fact, this is what I like to do. It's sort of like my handwriting as a
movie director. And somewhere along the way, I think I've made the decision: I'm going to write in my own
handwriting. That's just sort of my way.” Lo sguardo dello spettatore si identifica sempre e comunque con
quello della macchina da presa. Dove metterete la camera è da lì che vedrà il pubblico!
Ma esattamente, come si differenziano tra loro le inquadrature?
Rispondi a queste domande:
❑ Dove posiziono la camera rispetto alla scena?
❑ Cosa vedo sulla scena?
❑ Uso un grandangolo o un teleobiettivo?
❑ Ho profondità di campo oppure no?
❑ Cosa c’è fuori campo? Come lo percepisco?
❑ Di chi è il punto di vista? Oggettivo o soggettivo (di un personaggio della storia)
❑ La camera è fissa o in movimento?
Gli ELEMENTI che definiscono il concetto di inquadratura sono:
▪ La distanza del soggetto dalla macchina da presa (scala dei campi e dei piani)
▪ Altezza della ripresa, angolazione e l’inclinazione (punto di vista)
▪ Composizione degli elementi nel quadro (profilmico e prospettiva)
▪ Relazione con uno spazio fuori-campo (dialettica campo/fuoricampo)
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▪ Istanza narrante (oggettiva o soggettiva)
▪ Staticità o dinamismo (movimenti della macchina da presa)
▪ Profondità di campo (focalizzazione degli oggetti)
▪ La durata temporale dell’inquadratura (piano-sequenza)
LA SCALA DEI CAMPI E DEI PIANI
Le definizioni che vengono usate abitualmente per distinguere i campi dai piani derivano dal rapporto che si
viene a creare all’interno dell’inquadratura tra il soggetto e l’ambiente che lo circonda:
- mentre i CAMPI propriamente detti sono quelli in cui l’ambiente è prevalente
- quelli in cui è la figura del soggetto a essere preponderante sono chiamati PIANI.
DEF: Il campo dell’inquadratura è l’ampiezza di ciò che viene ripreso e la relazione tra l’ambiente e il soggetto
sulla scena; il piano è determinato principalmente dalla distanza della macchina da presa dal soggetto.
Campo e piano dipendono anche dal campo visivo e dall’obiettivo scelto. Ovviamente più vicino è il soggetto,
più grande esso risulterà sullo schermo. E più l’obiettivo è largo, più quest’ultimo sarà inquadrato nella sua
interezza. Le inquadrature si possono ordinare in base alla scala dei piani e dei campi. Occorre tuttavia
precisare che, non di rado, le inquadrature possono presentare grandezze ambigue, a metà strada tra due
piani o campi, e che nel caso di un’inquadratura in movimento, soprattutto se realizzata con un’ampia
profondità di campo e in rapporto a un profilmico a sua volta dinamico, è possibile che anche i campi e i piani
cambino in continuazione. La scelta dell'inquadratura aiuta gli autori a stabilire: il ritmo, il tono e il significato
di una scena.
Il modo più comune per iniziare una scena o un film è l’establishing shot. È un campo abbastanza largo tale
da introdurre la geografia del racconto, il momento del giorno in cui esso si svolge, il periodo storico o la
relazione dei soggetti nel spazio.
Si ricorre spesso all’estabilishing shot anche per passare da una scena ad un’altra o da una location alla
successiva. Nella scala dei CAMPI, la figura umana perde centralità a favore dell’ambiente. A partire dalla
distanza maggiore tra m.d.p. e soggetto si individuano:
• CAMPO LUNGHISSIMO - CLL (extreme wide shot)
• CAMPO LUNGO - CL (wide shot)
• CAMPO MEDIO - CM (medium long shot)
• TOTALE - T (master shot)
CAMPO LUNGHISSIMO - CLL: il paesaggio è inquadrato il più possibile, in modo da essere nettamente
predominante rispetto al soggetto, che può anche essere totalmente assente o irriconoscibile. Si
utilizza generalmente per inquadrature all'aperto, per mostrare lo spazio in tutta la sua vastità.
CAMPO LUNGO - CL: Il paesaggio è ancora predominante rispetto al soggetto, ma questo è comunque
riconoscibile nonostante la distanza che lo divide dalla macchina da presa.Ora le figure umane cominciano a
delinearsi e iniziano a percepirsi i primi movimenti.
CAMPO MEDIO - CM: L’ambiente diviene sfondo. Il soggetto è ripreso in modo da essere “incorniciato”
dall’ambiente che lo circonda, dando così una visione d’insieme della situazione in cui si trova, ma lasciando
che sia l’AZIONE il punto centrale dell’inquadratura. In sede di montaggio viene spesso usato come
raccordo tra i campi più larghi e i piani più stretti. Èadatto a mostrare l’interazione tra più personaggi, i loro
movimenti e le loro espressioni, senza perdere il contesto.
TOTALE – TOT : inquadratura che mostra per intero un ambiente interno e contemporaneamente tutti i
soggetti dell’azione; di solito si usa per lo spazio chiuso. Nel montaggio, questo tipo di inquadratura è spesso
utilizzato come establishing shot all’inizio di una scena.
Si definiscono PIANI: le grandezze scalari misurate sul rapporto tra la figura umana e la
cornice dell’inquadratura. A partire dalla distanza maggiore, si hanno:
• FIGURA INTERA - FI (full shot)
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• PIANO AMERICANO - PA (medium full shot)
• PIANO MEDIO (o MEZZA FIGURA)- PM o MF (medium shot)
• PRIMO PIANO - PP (medium close-up shot)
• PRIMISSIMO PIANO - PPP (close-up shot)
• PARTICOLARE - P (extreme close-up shot)
• DETTAGLIO - D (insert shot)
FIGURA INTERA - FI: la figura umana è ripresa interamente, in modo da coincidere approssimativamente con
i bordi dell’inquadratura, e ne è l’elemento più importante. Può essere sia verticale, quando il soggetto è in
piedi, sia orizzontale, quand’è sdraiato.
PIANO AMERICANO - PA: la figura umana è inquadrata fino sotto la cintura, a volte fino alle ginocchia o
quasi. Il nome deriva dall’ampia diffusione di questo tipo di inquadratura nei western classici, dato che
permette di mostrare i gesti dei pistoleri che estraggono rapidamente l’arma (non a caso negli Stati Uniti è
detto proprio cowboy shot).
PIANO MEDIO (anche detto mezza figura) - MF: la figura umana è inquadrata soltanto a mezzo busto, dalla
cintura in su, ma sotto al petto. In linea con le consuetudini del découpage, la Mezza Figura è impiegata per
mostrare l’interazione tra due personaggi. L’obiettivo è focalizzare l’attenzione sui gesti delle braccia e sul
viso, che adesso risulta più visibile. Piano abbastanza neutro, non troppo drammatico.Utile per osservare da
vicino il personaggio e i suoi occhi senza perdere le relazioni con i personaggie l’ambiente circostante.
PRIMO PIANO - PP: inquadratura ravvicinata che mostra solamente il volto e le spalle
del personaggio. Si usa nella rappresentazione dei dialoghi e appare una scelta quasi
obbligata quando del personaggio si vogliono mostrare pensieri ed emozioni. Priorità sul personaggio.
Eliminazione di tutti i dettagli che possono distrarre. Si entra in intimità con il personaggio.
PRIMISSIMO PIANO - PPP: è inquadrato solo ed esclusivamente il volto del personaggio, a volte tagliando la
parte alta della testa e persino il mento. Queste ultime soluzioni “avvicinano” attore e spettatore, e il loro
utilizzo è quasi inevitabile nel caso in cui un film voglia lavorare sulle emozioni dei personaggi. Tra tutte è il
taglio più personale e “psicologico” del personaggio.
PRIMISSIMO PIANOFortemente empatico e drammatico, aiuta a catturare visivamente la trasformazione
emotiva del personaggio.
Il PARTICOLARE (P), infine, è un’inquadratura che mostra una porzione del corpo umano (la bocca, un
occhio, una mano ecc.); se il particolare appartiene a un animale o a un oggetto prende il nome di Dettaglio
(DETT). Esagerazione, iperbole, straniamento, astrazione
Dettaglio (DETT). Si usa quando un oggetto di scena, ha una particolare funzione simbolica: svela un
particolare cruciale nella narrazione, fornisce indizi o soluzioni. Ovviamente non sempre è facile distinguere un
tipo di inquadratura dall’altra: questa nomenclatura è necessaria per chi si trova a dover scrivere una
sceneggiatura e fare una regia, per trasferire la propria idea visiva. Se si aggiunge, inoltre, che i movimenti di
camera causano dei sostanziali e continui cambiamenti di piano, il gioco di catalogazione si complica
ulteriormente.
PUNTO DI VISTA
L’espressione PUNTO DI VISTA al cinema può essere interpretata in tre modi:
1. Punto di vista in senso strettamente VISIVO. Ci si chiede: dove è piazzata la macchina da presa? Da dove
vediamo ciò che viene mostrato sullo schermo?
2. Punto di vista in senso NARRATIVO. Da chi è raccontata la storia? Da un narratore esterno alla storia
(IMMAGINE OGGETTIVA) oppure l’immagine riflette ciò che vede il personaggio (IMMAGINE SOGGETTIVA)?
3. Punto di vista IDEOLOGICO.
L’inquadratura riflette la SCELTA MORALE assunta dall’autore rispetto alla storia e ai suoi personaggi.
Contiene il concetto di distanza: «la posizione della macchina da presa rispetto all’oggetto inquadrato».
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Ma è anche «la veduta stessa, in quanto presa da un determinato punto di vista». (Jacques Aumont e Michel
Marie, L'analyse des films, 1988)
Ed è determinato da altri 3 fattori:
1. Altezza
2. Angolazione
3. Inclinazione
ALTEZZA
L’altezza esprime la distanza tra la macchina da presa e il suolo, e le sue variazioni si misurano a partire da
una posizione neutra, detta altezza standard, in cui l’obiettivo della macchina da presa è situato all’altezza
degli occhi del personaggio. Nell’altezza ribassata e in quella rialzata, invece, il punto di ripresa è posto,
rispettivamente, sotto e sopra la linea degli occhi. Queste soluzioni sono spesso utilizzate per stabilire un
punto di vista marcato oppure per introdurre un coefficiente particolare nel rapporto tra un personaggio ed un
altro, o tra un personaggio e l’ambiente circostante. Una camera ribassata può inseguire un effetto di
normalità se si adegua al profilmico: una persona distesa a terra per essere ripresa "normalmente" richiede
che la camera si abbassi. Se la camera è ribassata senza un evidente motivo di azione scenica, allora vuole
raccontarci qualcosa di nuovo di quella scena. La camera rialzata consente una visione generale dell’azione
dei personaggi all’interno del paesaggio. Spesso usata nei campi lunghi e campi lunghissimi.
ANGOLAZIONE
L'altezza è spesso collegata all'angolazione di ripresa (angolo rispetto al suolo, tilt). Se ad esempio si riprende
con un’angolazione dal basso, è frequente che si abbassi l'altezza della camera. Non sempre accade, per
questo le due nomenclature vanno tenute separate.
I gradi dell’angolazione prevedono le seguenti possibilità:
a. Inquadratura frontale: è quella che si ottiene mettendo la macchina da presa alla stessa altezza dell’oggetto
filmato con l’asse ottico parallelo al suolo;
b. Inquadratura dall’alto o plongée: è quella che si ottiene mettendo la macchina da presa al di sopra (fino allo
zenith) dell’oggetto filmato rivolta "verso il basso";
c. Inquadratura dal basso o contre-plongée: è quella che si ottiene collocando la macchina da presa al di
sotto dell’oggetto filmato, "verso l’alto"; La motivazione con cui si usano le angolazioni può essere diegetica
oppure espressiva.
Plongée
Ruotando la macchina da presa verso il basso si ottiene un’angolazione dall’alto (o plongée), utilizzata sia per
riprodurre realisticamente uno sguardo dall’alto (per esempio, quello di un personaggio che osserva qualcosa
posto a terra), sia per ottenere particolari effetti visivi o emotivi (per esempio di “schiacciamento” di un
personaggio o di deformazione delle relazioni prospettiche di un ambiente (se combinata con il grandangolo),
oppure serve anche ad esprimere un senso di oppressione interiore provato dal personaggio).
Questa inquadratura rende il soggetto debole e vulnerabile.
Contre-plongée
L’angolazione dal basso (o contre-plongée) si realizza ruotando la macchina da presa verso l’alto. L’effetto
deformante della visione “da sotto in su” è stato largamente utilizzato dal cinema horror e thriller per creare
straniamento e connotare un personaggio.
A meno che non sia motivata da un punto di vista di un bambino o di un personaggio disteso, denota
superiorità, minaccia, aggressione, potere psicologico del soggetto inquadrato.
Plongée perpendicolare
Un caso estremo di angolazione dall’alto è l’inquadratura a piombo, in cui l’asse ottico della macchina da
presa è perpendicolare al suolo. Questa angolazione offre allo spettatore una visione ampia, quasi una
“mappa” dell’ambiente: l’effetto visivo è un collasso della verosimiglianza prospettica, in cui una
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rappresentazione profonda dello spazio lascia il posto a una sorta di “tracciato” di elementi collocati su un
piano. La visione perpendicolare è spesso immotivata a livello diegetico e illustra uno
sguardo "esterno", quasi divino (fatale/provvidenziale). Contre-plongée perpendicolare Un’angolazione
perpendicolare dal basso produce invece un’inquadratura supina: genera effetti di deformazione, esaltazione
della tridimensionalità degli elementi. Unsane, Steven Soderbergh (2018): lo stato confusionale di Sawyer, in
preda a un attacco di panico, è restituito da Soderbergh attraverso un campo-controcampo in cui si alternano
un’inquadratura con angolazione supina e una con angolazione a piombo. Due sguardi decisamente
eccentrici, che raccontano il disorientamento percettivo della ragazza e l’alterazione di un rapporto “normale”
con lo spazio che la circonda.
INCLINAZIONE
L’inclinazione esprime la rotazione (il roll) della macchina da presa rispetto al piano orizzontale. Di norma,
questo angolo misura 0° e produce un’inquadratura in piano. Un angolo maggiore, fino a 90°, genera
un’inquadratura obliqua. Un’inclinazione di 90° esatti fa sì che la linea dell’orizzonte risulti perpendicolare,
e l’inquadratura è detta verticale. Infine, quando l’angolo misura 180°, si ha un’inquadratura capovolta o
rovesciata. Un’inclinazione diversa da quella in piano può servire sia a trasmettere la visione in
soggettiva di un personaggio che inclina il capo, sia a introdurre “oggettivamente” un coefficiente di
alterazione della situazione (un malessere oppure l’enfatizzazione di un lato misterioso del personaggio).
LA PROSPETTIVA
A definire l’inquadratura c’è anche la sua posizione o angolazione rispetto al soggetto. La macchina da presa
viene collocata in punti diversi di angolazione, muovendosi sull’asse orizzontale intorno al soggetto:
a. di fronte,
b. di tre quarti
c. di profilo o laterale,
d. di schiena o di quinta,
Ogni volta l’inquadratura assume un effetto e un significato diverso.
Frontale
La macchina da presa viene posizionata davanti all'attore, perpendicolare al suo corpo. È l'inquadratura che
meglio si presta a una visione totale e completa dei lineamenti del volto e della gestualità e inoltre è quella
che si avvicina di più al modo con cui noi, nella vita vera, interagiamo con le persone.
Tre Quarti
Questo tipo di angolazione viene utilizzata principalmente nei dialoghi a due. Il volto del personaggio non è
completamente inquadrato, ma 1⁄4 di esso è coperto. In linea gene-rale possiamo dire che più un volto si
discosta dall'angolazione frontale e minori sono le possibilità di coinvolgimento emotivo da parte del
pubblico. Il che può essere utile quando il pubblico deve vedere la scena con un certo distacco. È comunque
un’inquadratura molto empatica.
Laterale o di profilo
Solo metà del volto è visibile. Questo tipo di angolazione viene usata soprattutto quando si segue
un personaggio in movimento, “fiancheggiandolo” con la macchina da presa. Inoltre, la riduzione dei
lineamenti visibili del volto, non permette di cogliere le sfumature espressive dell'attore e quindi porta lo
spettatore ad avere minor legame emotivo. Èpiù facile che si usi in casi di fronteggiamento come nell’esempio
sotto.
Tre quarti di spalle
In questa angolazione il volto è tutto nascosto. Si ricorre a questa angolazione quando vengono
riprese delle conversazioni a due e, a turno, ogni personaggio è ripreso di tre quarti l'uno e di tre
quarti di spalle l'altro.
Da dietro
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In alcuni casi, l'interlocutore nel dialogo a due viene tenuto in campo, ma di lui ovviamente
vediamo soltanto una parte della nuca. Mantenere l’incognita, tenere all'oscuro il volto del personaggio ne
annulla la sua identità, oltre a quella fisica, anche quella psicologica.
Di solito lo si utilizza per mostrare in secondo piano quel che il personaggio sta guardando. Altre volte
l’angolazione di spalle serve a far 'pedinare' il soggetto da parte di qualcuno. CAMPO/FUORICAMPO
Etimologicamente «inquadrare» vuol dire mettere in quadro, cioè estrapolare dal continuum della realtà fisica
un preciso campo visivo. La nozione di campo presuppone quindi una suddivisione dello spazio in due entità:
1. Lo spazio IN CAMPO (spazio visibile) costituito da ciò che ci viene mostrato.
vs vs
2. Lo spazio FUORI CAMPO (spazio invisibile) costituito da tutto ciò che non ci
viene mostrato ma fa comunque parte dell’ambiente circostante e della storia.
Il fuori campo è dunque composto da tutta quella serie di elementi diegetici concreti
– che fanno parte cioè della storia narrata, personaggi, ambienti o oggetti
che siano – non inclusi nel campo, ma che hanno con questo una relazione ben
precisa.
Il fuori campo identifica lo spazio invisibile che circonda il rettangolo dell’inquadratura sopra, sotto, a destra, a
sinistra, dietro e davanti. Esso contiene elementi che cooperano, in forme diverse, con l’immagine
visualizzata. A un grado minimo, il fuori campo rappresenta una dimensione, alla quale il visibile rimanda in
termini logici (per esempio, un dettaglio, sia esso di persona o ambiente, “trascina” naturalmente con sé un
intero, secondo la regola della pars pro toto). Dal punto di vista narrativo, invece, il fuori campo – nella sua
dialettica con il campo – rappresenta un elemento essenziale nella costruzione dello spazio immaginario della
rappresentazione filmica, generalmente disciplinato dal sistema dei raccordi: esso, dunque, funziona come
prolungamento, continuazione del campo in un rapporto di reversibilità dell'uno nell’altro. Campo e fuori
campo sono spesso in rapporto di reversibilità; infatti è sufficiente un movimento di macchina (pan) o un
effetto di montaggio (raccordo) per esplicitare il fuori campo e metterlo in campo, relegando nel fuori campo
ciò che prima era in campo.
Compito della narrazione filmica è spesso proprio quello di mettere in comunicazione e di rendere reversibili
questi due spazi. La relazione fra campo e fuori campo diegetici si attiva attraverso determinati indici visivi
e sonori:
a) l’entrata "in" e l’uscita "dal" campo: un elemento del profilmico che entra o esce dal campo presuppone
uno spazio di provenienza e uno di destinazione contigui a quello inquadrato
b) lo sguardo verso il fuori campo: lo sguardo del personaggio oltre i limiti del quadro evoca nello spettatore
la presenza di un fuori campo cioè dell’esistenza di qualcosa che è data a vedere soltanto al personaggio
stesso.
c) la parte in campo: l’inquadratura della parte di un corpo o di un oggetto rimanda, per estensione, alla sua
continuazione nel fuori campo
d) il suono proveniente dal fuori campo (suono off): una voce, un rumore, una musica diegetica esclusa dai
limiti dell’inquadratura, attiva nello spettatore la rappresentazione di uno spazio fuori campo.
Il fuori campo è sempre una dimensione in qualche modo prevista, anche quando esso preme sul campo
senza rivelarsi, oppure quando si impone come vero e proprio spazio negativo: qualsiasi cosa esso
nasconda, si tratta pur sempre di una realtà contigua a quella in campo.
Ma questo “spazio assente”, che preme sull’inquadratura, è stato sottoposto, soprattutto nel cinema
contemporaneo, anche a usi marcati ed eccentrici (tra rimozione, negazione e dialoghi impossibili) che
incrinano l’idea di una lineare, prevedibile continuità tra visibile e invisibile.
Oppure interpretato come uno spazio minaccioso, imprevisto e perturbante.
OGGETTIVA All’interno della finzione cinematografica, ciò che vede la macchina da presa
corrisponde a ciò che vede qualche personaggio?
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In caso di risposta negativa, l’inquadratura viene definita OGGETTIVA, perché mostra gli avvenimenti
dall’esterno – oggettivamente appunto – dando allo spettatore l’impressione di essere un osservatore
invisibile in grado di scegliere sempre il punto di vista migliore per seguire l’azione. Com’è facile intuire, è il
punto di vista con il quale sono riprese la stragrande maggioranza delle inquadrature. SOGGETTIVAQuando
invece l’inquadratura è girata come se la macchina da presa si trovasse al posto degli occhi di un
personaggio prende il nome di SOGGETTIVA: con questa inquadratura lo spettatore ha l’impressione di
vedere esattamente ciò che vede il personaggio, identificandosi in lui per tutta la durata dell’inquadratura.
Viene usata di frequente per mostrare ciò che un personaggio vede attraverso un binocolo, un cannocchiale o
degli occhiali a raggi infrarossi. Se usata senza un artefatto della visione, la soggettiva in genere viene
dichiarata mostrando in maniera lievemente insistita un personaggio che guarda a filo camera. La soggettiva
può contenere dei “segni di riconoscimento” che permettono di identificarla fácilmente:
• immagine sfocata, sdoppiata o deformata se il personaggio è miope, ubriaco o sotto l’effetto di sostanze
stupefacenti;
• le mani o altri dettagli del corpo del personaggio osservatore si muovono con il corpo del personaggio che
vede;
• mascherini di varia forma nel caso in cui la visione del personaggio sia filtrata da uno strumento ottico
(cannocchiale, binocolo, mirino di macchina fotografica, cinepresa o fucile, periscopio, ecc.).
La soggettiva può essere anche continua, cioè mantenuta per una certa durata (al limite per tutta la durata del
film). In tal caso NON è preceduta da un’inquadratura oggettiva del personaggio osservatore, che rimane
completamente invisibile.
Molti film girati completamente in soggettiva sono stati degli insuccessi proprio perché è mancato il
controcampo, che mostra le reazioni del personaggio che vede.
La soggettiva è una figura che colloca il corpo del personaggio nel fuori campo e più esattamente al di qua
della m.d.p., uno spazio insieme presentissimo e negato. Lo spettatore è costretto a identificarsi con lo
guardo di un personaggio di cui non conosce il volto. La soggettiva è uno di quei rari casi nel cinema in cui si
utilizza lo sguardo in camera (generalmente considerato ERRORE) di un personaggio della scena che guarda
negli occhi il personaggio osservatore.
SEMISOGGETTIVA
La via di mezzo tra inquadratura soggettiva e oggettiva è detta semisoggettiva e corrisponde a
un’inquadratura in cui la macchina da presa è posizionata alle spalle del personaggio, di solito leggermente di
lato (“di quinta”, si dice), e ne riprende appunto le spalle e la nuca.
L’inquadratura associa comunque lo spettatore alla visione di un personaggio presente nell’immagine.
Talvolta l’inquadratura diventa quasi "epidermica" e respira con il personaggio, come nel cinema dei fratelli
Dardenne.
FALSA SOGGETTIVAA volte capita anche di assistere a una falsa soggettiva, ossia un’inquadratura in cui il
p.unto di vista della macchina da presa è molto vicino a quello di un personaggio, ma non ne è esattamente
coincidente; un’inquadratura in cui si ha l’impressione di assistere a una soggettiva, ma solo a prima vista,
perché improvvisamente qualcosa renderà evidente che l’inquadratura è in realtà un’oggettiva.
Giochi di passaggio tra diversi punti di vista
Robert Zemeckis ha invece avuto l’idea di creare l’effetto contrario, costruendo una scena di Contact (1997),
dando l’impressione che si trattasse di un’inquadratura soggettiva, per poi rivelarsi invece come
semi-soggettiva, e tornare poi al punto di vista oggettivo, tutto nella stessa inquadratura!
FILMICO/PROFILMICO
Inquadratura come incontro tra realtà e medium
Profilmico: gli elementi profilmici sono una componente del film non ancora cinematografica, nel senso che gli
eventi scenici sono progettati in funzione del processo di ripresa, che ne farà poi degli eventi filmici.
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Il profilmico coinvolge lo studio dell’inquadratura con analisi degli elementi in scena: scenografia,
illuminazione e movimenti attori.
Filmico: si riferisce alla rappresentazione o enunciato visivo che modella uno spazio-tempo cinematografico.
Dal mondo tridimensionale a immagine bidimensionale, cornice e supporto.

FORMA E PROPRIETÀ LINGUISTICHE


L’inquadratura è una superficie piana e bidimensionale caratterizzata dal fatto di possedere una cornice, vale
a dire una struttura che impone una forma e una logica di composizione e dal fatto di operare un ritaglio
all’interno dell’orizzonte visivo più ampio.
Ernst Gombrich (Il senso dell’ordine, 1979) e Rudolf Arnheim (Il potere del centro, 1982) hanno indagato
ampiamente l’aspetto linguistico e strutturale della cornice: essa rappresenta un «centro di energia» che
nell’inquadratura istituisce un campo di forze e dei vettori competitivi che influenzano l’organizzazione visiva
della rappresentazione.
In particolare la cornice stabilisce un orientamento, un centro di equilibrio geometrico e percettivo e dei
pattern simmetrici (assi vert. e orizz., zone centrali e periferiche).
LA FORMA
Bordwell, Staiger, Thomson (1985) The Classical Hollywood Cinema: Film Style & Mode of Production to 1960
Analizzando il cinema classico, ci si accorge che la maggior parte delle inquadrature identifica una zona
privilegiata di spazio che somiglia a una T: il terzo superiore dell’immagine ed il terzo verticale centrale
costituiscono il centro dell’inquadratura.
Il cinema classico tende a stabilire una forte continuità tra il rettangolo che incornicia la composizione e la
composizione stessa: in particolare il centro geometrico del quadro funziona da centro di simmetria della
rappresentazione a partire dal quale proiettare una distribuzione sensata degli elementi, facilmente
leggibile da parte dello spettatore anche sulla base di schemi percettivi culturalmente sedimentati.
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L’inquadratura «sembra analoga al reale».


In Film come arte (1932-1957) il teorico Rudolf Arnheim sostiene che una superficie bidimensionale può
trasferire un’impressione di realtà, di uno spazio immaginario grazie ai seguenti principali responsabili:
- l’illusione di movimento (24fps)
-l’illusione di profondità
- la costruzione prospettica, riproduzione illusoria della visione umana monoculare sullo spazio planare
Linguaggio cinematografico - la forma
Ma lo stesso Arnheim osserva che l’immagine cinematografica è «spaziale e superficiale a un tempo» e che
questa qualità «intermedia» possa essere valorizzata in quanto fattore espressivo.
Superficie bidimensionale
Il carattere «intermedio» dell’inquadratura e in particolare la sua natura di supporto bidimensionale di
inscrizione della rappresentazione sembra guadagnare il primo piano in tutti quei casi in cui la costruzione
visiva lavora a enfatizzare la dimensione plastica dell’immagine:
- la superficie
- l’organizzazione delle forme
- i rapporti geometrici tra le parti
- il gioco delle linee compositive
- la gamma dei valori cromatici
La nozione di décadrage (letteralmente, «deinquadratura») identifica una rappresentazione vistosamente
costruita contro le consuetudini compositive che, tra codici geometrici, ottici, visuali e culturali, governano la
disposizione degli elementi all’interno dell’inquadratura.
In particolare, il décadrage lavora a svuotare lo spazio, opponendosi alla logica della centratura e della
costruzione armoniosa tipica del découpage narrativo, con la conseguenza, tra le altre, di sensibilizzare la
cornice dell’immagine.
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LA DIREZIONE DELLA FOTOGRAFIA
APPROFONDIAMO: LA LUCE

La luce si caratterizza sia per la composizione spettrale (cioè il colore) che per la temperatura cromatica
Composizione spettrale
• Luce è composta da radiazioni elettromagnetiche.
• Le radiazioni visibili sono una minima parte delle radiazioni esistenti e coprono lo spettro che va da 370
nanometri (luce violetta) a 700 nanometri (luce rossa).
• La luce bianca ha una composizione uniforme, sono cioè presenti tutte le
lunghezze d’onda, tutti i colori e il bianco è generato proprio dalla somma di tutti
i colori.
• Quando un corpo viene colpito dalla luce, ne assorbe alcune lunghezze d’onda e ne riflette altre. La somma
delle lunghezze d’onda riflesse determina il colore del corpo.
La radiazione elettromagnetica e la lunghezza d’onda ad essa associata è utile a spiegare anche le diverse
sorgenti luminose che si possono trovare nel mondo (oltre al sole):
- Luci ad incandescenza (es. lampade a filamento al tungsteno): le radiazioni variano a seconda del metallo
usato nel filamento (da bianca a arancione)
- Luci a luminescenza (tipo insegne luminose): la temperatura colore dipende dal gas contenuto all’interno del
tubo che, eccitato da una differenza di potenziale, emette radiazioni luminose
- Luci a fluorescenza (neon, xeno, kripton): come per le lampade a luminescenza, il passaggio di corrente nel
tubo determina che il gas emette radiazioni (questa volta non visibili), le quali vanno a colpire un materiale
fluorescente che riveste il tubo e che a sua volta emette radiazioni visibili (funzionamento simile per i led)
Temperatura cromática
• Corpo nero: in fisica è un’idealizzazione, si tratta di un oggetto ideale che assorbe tutte le radiazioni
elettromagnetiche, che lo colpiscono, senza riflettere nessuna onda luminosa.
• L’energia radiante assorbita determina un riscaldamento del corpo nero
• Questa carica di energia è a sua volta luce e lo spettro di questa luce presenterà un picco a una certa
lunghezza d’onda che dipenderà dalla temperatura raggiunta dall’oggetto
• La temperatura cromatica è appunto la temperatura raggiunta dal corpo nero e si misura in gradi Kelvin

L’occhio umano, cioè il meccanismo della visione nel suo complesso, esegue automaticamente quello che in
gergo si chiama
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BILANCIAMENTO DEL BIANCO
Nel caso del video, invece, prima di fare le riprese bisogna eseguire il bilanciamento del bianco per
compensare il tono dato alla scena dalla temperatura cromatica della luce che la illumina.
Cos’è l’istogramma (histogram)?
L’istogramma è un grafico che dice quanti sono i pixel di un’immagine al variare della luminosità.
L’istogramma riordina i pixel di un’immagine dai più scuri (a sinistra), che corrispondono alle zone d’ombra, ai
più chiari (a destra), che corrispondono alle zone di maggiore luce. Ogni linea verticale del grafico indica
quanti pixel dell’immagine hanno un determinato valore di luminosità: più è alta, maggiore il numero di pixel
corrispondente a quel livello di luminosità. Quindi, un’immagine molto buia con prevalenza di toni scuri avrà
un istogramma spostato a sinistra. Viceversa, un’immagine molto luminosa avrà un istogramma spostato a
destra. In molti video che giriamo vogliamo che l’esposizione sia bilanciata, equilibrata. Non vogliamo avere
zone sottoesposte o sovraesposte. Tradotto in termini di istogramma, ciò significa che vogliamo che i pixel
della foto siano distribuiti in maniera bilanciata all’interno dell’istogramma. Per questo, una foto o un video
con l’esposizione “corretta” ha un istogramma con una forma a campana.
Quando gran parte dei pixel sono “schiacciati” verso sinistra si perde dettaglio nell’immagine, in quanto
tendono tutti al nero. Allo stesso modo, quando sono schiacciati verso destra si creano delle zone bruciate, di
un bianco accecante. In generale, vogliamo che l’istogramma abbia forma a campana poiché questo significa
che una buona parte dei pixel sono concentrati nelle zone grigie o medie, quelle che di solito vogliamo
correttamente esposte. Se l’istogramma non ha i picchi più alti nella zona centrale, probabilmente dovremo
correggere l’esposizione. In particolare, se l’istogramma è spostato a sinistra dovremo aumentare il valore
dell’apertura, oppure aumentare il tempo di esposizione o l’ISO. Viceversa quando l’istogramma sarà
spostato a destra.
L’oscilloscopio mostra un grafico nel quale è rappresentato l’intensità del segnale della clip video.
L’oscilloscopio mostra le informazioni sulla luminanza Y come una forma d’onda. L’asse orizzontale del
grafico corrisponde all’immagine video (da sinistra a destra) e l’asse verticale rappresenta l’intensità del
segnale in unità definite IRE (dal nome dell’Institute of Radio Engineers). Gli oggetti chiari generano un pattern
di forme d’onda lungo il lato superiore del grafico, mentre gli oggetti più scuri generano una forma d’onda
verso il fondo. Ogni standard video definisce un range a cui i master devono attenersi. Per i video NTSC
utilizzati negli Stati Uniti, i livelli di luminanza devono rientrare tra 7,5 e 100 IRE; tali livelli vengono a volte
definiti anche dalla trasmissione televisiva. L’implementazione giapponese degli standard NTSC consente un
intervallo di luminanza compreso tra 0 e 100 IRE.
In genere i valori di luminanza e crominanza devono essere circa uguali e distribuiti in modo uniforme
nell’intervallo da 7,5 a 100 IRE. In alcuni casi l’oscilloscopio mostra anche le informazioni sulla crominanza (C)
RGB con rispettive forme d’onda, una per ogni canale. Le informazioni sulla crominanza sono sovrapposte
alla forma d’onda della luminanza. Alcuni software permettono di specificare se l’oscilloscopio YC debba
mostrare sia luminanza che crominanza oppure solo la luminanza.

APPROFONDIAMO: IL COLORE
COLORE

I tre colori principali che siamo in grado di percepire sono il rosso, il verde e il blu (RGB - Red, Green, Blue).
Questi tre colori sono rappresentati concettualmente dalla sintesi additiva del colore. Quando Newton
scompose la luce bianca attraverso un prisma, identificò i sette colori principali derivanti dalla rifrazione:
rosso, arancione, giallo, verde, blu, indaco e violetto. Lo spettro della luce visibile mostra tre bande di colori
predominanti: il rosso (R), il verde (G) e il blu (B), i colori primari additivi. Se sovrapponiamo tre fasci di luce di
questi tre colori (RGB) si ottiene la luce bianca (W). Dalla sovrapposizione di due luci colorate si ottiene il
ciano (C), il magenta (M) e il giallo (Y), i colori primari sottrattivi. Il colore nel video è additivo. Il modello RGB è
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stato descritto Internationale de l’Éclairage). La sommatoria delle tre principali lunghezze d’onda, rossa, verde
e blu, dà origine a tutti gli altri colori. È necessario specificare che tinte come il nero, il marrone e i grigi sono il
risultato di una diminuzione di luminosità nel colore. Il sistema RGB è utilizzato moltissimo in illuminazione.
L’immagine sugli schermi si basa sulla radiazione luminosa e si forma per sintesi additiva. Infatti, grazie a
questo principio, funziona la definizione dei colori dei monitor e dei proiettori. RGB - Nel modello di colore
RGB, ogni pixel dell'immagine ha tre valori di crominanza (rosso, verde e blu) e ciascuno di quei valori di
colore ha anche la luminanza. Quindi nel modello RGB, ciascun frame è composto da tre immagini di colori
differenti. Questo diventa molto utile in correzione del colore, perchè ogni fotogramma è essenzialmente tre
immagini diverse messe insieme. Si usano 8 bit per rappresentare il rosso, 8 bit per rappresentare il blu ed 8
bit per rappresentare il verde. I 28 = 256 livelli d'intensità per ciascun canale si combinano per produrre un
totale di 16.777.216 colori (256 × 256 × 256). Per la maggior parte delle immagini fotografiche questa
profondità consente sfumature ancora più fini di quelle che l'occhio umano riesce a distinguere. Il GAMUT di
un dispositivo o di una periferica è l'insieme dei colori che il dispositivo o la periferica è in grado di produrre,
riprodurre o catturare ed è un sottoinsieme dei colori visibili. Il termine inglese è derivato dal latino gamma-ut
che indicava una scala di note. Quando un colore non può essere descritto da un certo modello di colore, si
dice che, rispetto a quel modello di colore, è fuori gamma (out of gamut). Il LOG è un gamma particolare
applicato al file, in modo da aumentare il livello di luminosità delle ombre e da ridurre quello delle alte luci.
Perché usiamo il LOG spesso nel video?
Il motivo è semplice: attraverso l’utilizzo di di questo gamma (che ogni produttore peraltro setta in maniera
particolare e propria) è possibile ridurre il range dinamico dove non serve (alte luci) e aumentarlo dove invece
serve di più (nei toni medi e nelle ombre). S-Log (SONY) è una curva di gamma appositamente ottimizzata per
le telecamere cinematografiche digitali al fine di massimizzare le prestazioni del sensore dell’immagine. I
direttori della fotografia che riprendono le immagini nell’attuale standard REC.709 devono scegliere se
sacrificare i dettagli nelle zone di luce o di ombra. Il vantaggio di S-Log è il controllo maggiore sull’immagine
finale, rispetto ai contenuti che ho registrato utilizzando lo standard REC.709. S-Log consente di conservare
quante più informazioni possibili, nonostante le limitazioni della tecnologia di visualizzazione. I contenuti
acquisiti con S-Log vengono registrati utilizzando la gamma di colori S-Gamut, più ampia. In altre parole, più
ampia è la gamma di colori e più informazioni possono essere registrate, e più intense e realistiche saranno le
immagini finali. S-log acquisisce molte più informazioni rispetto a quelle registrate utilizzando lo standard
REC.709, offrendo un maggiore controllo sull’immagine finita in post-produzione. Invece di esporre
l’immagine scegliendo le aree luminose o le zone in penombra durante le riprese, si possono acquisire tutte
queste informazioni e scegliere come visualizzarle in un secondo momento. S-Gamut è uno spazio colore o
una gamma cromatica definita da Sony. Quest'ultimo standard offre una gamma cromatica più ampia rispetto
a BT. 709 o al DCI-P3 (per Digital Camera). Quando si usa S-Gamut, è necessario effettuare il grading dei
colori dopo la registrazione di un filmato per visualizzarlo su dispositivi come un HDTV che usa il Rec 709 o
un proiettore Digital Cinema che usa lo standard DCI-P3.

MOVIMENTI DI CAMERA

L’inquadratura fissa presenta aspetti comuni a dipinti, fotografie, fumetti e persino al teatro. Ciò che rende
specifico il codice del linguaggio cinematografico è la sua capacità di far muovere l’inquadratura rispetto al
materiale inquadrato. Mobilità dell’inquadratura vuol dire che all’interno del montaggio l’inquadratura cambia
in altezza, distanza, angolazione e inclinazione, ma la macchina da presa si può muovere anche durante la
ripresa. Poiché l’inquadratura mobile sposta la sua attenzione verso ogni possibile direzione e si sposta dal
punto in cui si trova utilizzando ogni possibile mezzo, essa ci orienta verso il materiale dell’immagine, spesso
abbiamo la sensazione di spostarci insieme ad essa. Attraverso questo tipo di inquadratura possiamo
avvicinarci o allontanarci dall’oggetto, girarci attorno o superarlo. Tutto ciò rafforza il coinvolgimento dello
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spettatore, rendendolo parte di quel mondo verosimile che il regista ci vuole raccontare. Non è quindi
solamente il montaggio e il movimento degli attori a creare il ritmo del film, anche i movimenti di macchina
fanno la loro parte. Oltre all’effetto drammatico che portano con sé, i movimenti di macchina permettono
anche di dare spessore all’ambiente ripreso, che non viene più solo osservato passivamente ma viene anche
attraversato. Come dicevamo sopra, questa è una caratteristica esclusiva del cinema (e del video,
ovviamente) perché - se il movimento degli attori è comune anche al teatro - solo nel cinema lo spettatore ha
la possibilità di muoversi all’interno dello spazio scenico.
CLASSICA «TRASPARENZA»
Nel cinema classico i movimenti di macchina sono resi tendenzialmente «trasparenti». In concreto ciò
avviene: subordinando il movimento filmico alle dinamiche del racconto e, in particolare, all’azione dei
personaggi, così che esso appaia giustificato dalla logica narrativa. Ciò significa che la macchina da presa si
sposta sulla base delle necessità dell’azione o della logica narrativa.
Per esempio:
- per seguire un personaggio
- per introdurre una nuova situazione
- per descrivere un ambiente
In questo modo, il movimento si fa del tutto funzionale, e tende dunque a “cancellarsi”. In particolare un
movimento appare motivato se svolge almeno una di queste 7 funzioni (The Routledge Encyclopedia of Film
Theory, Edward Branigan, 2014):
• Definisce lo spazio
• Segue o anticipa da vicino un personaggio o un oggetto di particolare rilievo narrativo
• Pone, o mantiene, al centro dell’inquadratura un personaggio/oggetto di particolare rilievo narrativo
• Si allontana o smette di seguire un personaggio/oggetto per ragioni di suspense, mistero o buon gusto
• Segue o rivela uno sguardo
• Seleziona un dettaglio chiave
• Visualizza la soggettiva di un personaggio
I movimenti autonomi inscrivono nella rappresentazione
- un dinamismo della macchina da presa che si affranca, in modo più o meno vistoso, dalla logica profilmica.
- talvolta rendono protagonista il dispositivo di ripresa e contribuiscono a far emergere il ruolo dell’istanza
narrante e a introdurre una dimensione meta- linguistica.
- altre volte essi sono impiegati per sottolineare, in funzione commentativa, alcuni
aspetti del racconto, o per disegnare percorsi di sguardo che esplorano il mondo diegetico in modo
indipendente, libero dalle “richieste” dell’azione.
PANORAMICA
Tra i movimenti di macchina la panoramica è certamente quello che si incontra più di frequente, talmente di
frequente che il termine “panoramica” è entrato da tempo anche nel linguaggio comune. Consiste nella
rotazione della macchina da presa lungo uno dei suoi assi – orizzontale (PAN) o verticale (TILT)– e più
raramente in senso obliquo. Di solito è usata come oggettiva per dare una visione totale di un ambiente, o per
disvelare - dopo qualche secondo di tensione - un particolare che entrerà in campo solo alla conclusione del
movimento. Viene utilizzata spesso anche come soggettiva, per simulare lo sguardo di un personaggio che
osserva (un luogo, un’azione o “squadra” qualcuno dalla testa ai piedi).
CARRELLATA o TRAVELLING
La carrellata è un movimento effettuato montando la macchina da presa su un sostegno a ruote (chiamato
appunto “carrello”), spesso posto su delle rotaie che ne permettono un movimento fluido anche su terreni
sconnessi. Insieme alla panoramica, la carrellata è uno dei movimenti di macchina più importanti e comuni
nella realizzazione di un film (anche qui, «fare una carrellata» è ormai entrato nel linguaggio comune) perché
emula il movimento antropomorfico. Grazie al carrello la macchina da presa si può spostare dal punto in cui si
trova inizialmente, e può percorrere itinerari lunghi come anche semplicemente allontanarsi o avvicinarsi di
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qualche metro ai personaggi, secondo le necessità. È anche possibile utilizzare la carrellata per
accompagnare i personaggi nei loro spostamenti (affiancandoli, seguendoli o precedendoli), così da mostrare
con un’inquadratura continua l’intero loro dialogo o rallentando decisamente il ritmo del montaggio per
preparare la scena successiva.
Carrello o dolly:
Il carrello è costituito da binari con segmenti di varie misure, linee e curve, che vengono uniti dai macchinisti a
seconda del movimento di macchina che si vuole fare (traveling). ll carrello base è costituito da un piano
d'alluminio con ruote doppie appaiate e prende il nome di Piattina e su questa può essere montata una
torretta idraulica telescopica per regolare l'altezza della macchina da presa, oppure una serie di canne fisse, a
segmenti di varie lunghezze che prende il nome di Bazooka, e ancora può essere montato un Dolly.
GRU/CRANE
Un altra soluzione di movimento consiste nel montare la macchina da presa su una GRU che talvolta può
essere posta su un carrello su rotaie: in questo modo si possono effettuare riprese complesse, combinando
panoramiche e carrellate e realizzando movimenti articolati e assai liberi. Permette di effettuare riprese
dall’alto, alzando la macchina da presa tramite un braccio meccanico, che può anche essere anche
telescopico e snodabile. Viene solitamente utilizzato in movimento, nel senso che è comune realizzare
inquadrature in cui la macchina da presa si alza, con escursione di svariati metri, sopra i personaggi e
l’ambiente, cosa che rende ben riconoscibile la tecnica scelta. Gru che regge la macchina da presa
cinematografica o televisiva permettendo di effettuare particolari movimenti di camera, sia verticali che
orizzontali. Di solito è montata su un carrello e necessita di binari su cui poter essere trainato da uno o più
macchinisti. Oltre al peso della macchina da presa deve sopportare anche quello di un operatore.
Steadycam:
È un sistema studiato a partire dalla metà degli anni 70. Garrett Brown ne è considerato l’inventore: dopo vari
prototipi pesanti ed ingombranti, giunse a proporre un modello più evoluto proprio in occasione delle riprese
di Shining, celebre film di Stanley Kubrick. Le scene con il triciclo nel corridoi dell’Overlock Hotel e nel
labirinto di neve sono girate con la steady, memorabile uso espressivo di questa tecnologia. La Steadycam è
un supporto su cui si può montare una telecamera, sostenuto da un operatore per mezzo di un sofisticato
sistema di ammortizzazione agganciato a un "corpetto" indossabile. Attraverso un sistema di molle (o pistoni
a seconda del modello) la camera può muoversi liberamente come se fosse a spalla, ma senza oscillazioni o
scossoni L’operatore può muoversi velocemente, anche correre, mantenendo fluida la ripresa. L’invenzione
della steadycam ha reso possibili movimenti più complessi e più arditi, prima vincolati da un binario. Una
cinepresa che, aderendo direttamente con un apposito sistema di ammortizzazione al corpetto, consente al
cameraman di ridurre al minimo gli sbalzi e il tremolio, permettendogli di muoversi liberamente laddove un
carrello su binari non potrebbe mai arrivare.
Trinity ARRI:TRINITY è il primo stabilizzatore ibrido per fotocamera che combina la stabilizzazione meccanica
classica con la stabilizzazione elettronica attiva avanzata, fornita tramite la tecnologia gimbal basata
su ARM a 32 bit. Questa combinazione si traduce in cinque assi di controllo e consente movimenti fluidi, ad
ampio raggio e controllati con precisione per riprese illimitate e totale libertà creativa.
Stabilizzatore Glidecam o Flycam:Rispetto alla steady è più maneggevole anche perché monta camere più
piccole e non è solitamente agganciato al corpo dell’operatore. I fini narrativi ed espressivi per cui si usa sono
più o meno i medesimi della steady. Rispetto ai Gimbal è una tecnologia completamente meccanica.
Stabilizzatore Gimbal:Il Gimbal è un sistema completamente motorizzato per usare la camera con movimenti
fluidi e senza scosse. Il gimbal costituisce la piattaforma su cui si appoggia la camera. I motori fanno in modo
che la camera abbia una forte inerzia rispetto ai movimenti di tremolio permettendo di ottenere così riprese
stabili.
Macchinismo
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Ci sono a 2 e 3 assi. Quando parliamo di stabilizzazione su tre assi intendiamo dire che il gimbal riesce a
compensare tremolii e ballonzolii vari sull’asse orizzontale x, sull’asse verticale y e sull’asse avanti-e- indietro
z.
CAMERA A MANO
Oltre ai movimenti di macchina ottenuti posizionando la cinepresa su supporti meccanici (cavalletto, carrello,
gru, ecc.), esiste un altro fattore che consente la mobilità della macchina da presa: l’operatore.
Liberata da cardini e perni, la cinepresa può attraversare lo spazio muovendosi assieme al corpo del
cameraman (CAMERA MANO), seguendone i sobbalzi e gli scatti, testimoniando il reale dispiegarsi del
movimento nello spazio.
ZOOM
Anche se è giusto annoverarlo tra i movimenti di macchina, lo zoom non è realmente un movimento di
macchina bensì un processo ottico in avanti o indietro, tant’è che si può anche definire “carrellata ottica”.
Si tratta in pratica di praticare un ingrandimento o un rimpicciolimento dell’immagine ottenuto cambiando la
lunghezza focale dell’obiettivo in modo da rendere più grande o più piccolo ciò che viene inquadrato.
Tende a “far sentire” la presenza delle macchina e il gioco dell’obiettivo, oltre a produrre – nel caso di ampi
movimenti di avvicinamento o di allontanamento – un certo effetto di schiacciamento della profondità (il
grandangolo ha una capacità di profondità di campo molto superiore a quella di un teleobiettivo, che al
contrario tende ad appiattire le distanze tra i soggetti in scena). Anche per questo, dopo un periodo di
particolare fortuna tra anni Sessanta e Settanta, le carrellate ottiche si sono fatte piuttosto rare, e sono oggi
utilizzate perlopiù in combinazione con panoramiche e carrellate “fisiche” per ottenere movimenti complessi.
Sergio Leone è il grande mito di Quentin Tarantino, un regista che usa lo zoom frequentemente e
manieristicamente per:
• mettere a fuoco gli sguardi come attraverso un mirino di un’arma da fuoco
•introdurre/escludere personaggi
• velocizzare l’azione sulla scena
Questo CRASH ZOOM
è un fattore filologico ed estetico tipico di un certo cinema: dagli horror ai ‘kung-fu’ movies degli anni 70
ZOOM digitale
La zoommata si ottiene trasformando, durante la registrazione, la lunghezza focale dell’obiettivo. È possibile
anche simulare una zoomata operando in post-produzione, così com’è possibile ingrandire una fotografia
digitale. L’effetto sarà però diverso poiché non avremo la sensazione di cambio di focale che influisce sulla
prospettiva. Nel caso di uno “zoom in” digitale, mancherà quindi l’effetto di schiacciamento del soggetto nello
spazio che proviene da una zoomata ottica quando si passa da un grandangolo in un teleobiettivo.
EFFETTO VÉRTIGO
Tecnica coinvolgente (o effetto dolly-zoom) inventata per la prima volta da Hitchcock nell’omonimo film
Vertigo del 1958, tradotto in italiano La Donna che Visse due volte. Si ottiene facendo movimenti contrapposti
e simultanei di zoom e di dolly: travelling in avanti e zoom indietro oppure travelling indietro e zoom avanti. Se
le due cose sono ben coordinate, il modo in cui il soggetto è ripreso rimarrà pressoché invariato, mentre
cambierà totalmente l’effetto dell’ambiente che lo circonda. L’effetto originariamente venne usato per
conferire il senso di vertigine del protagonista e ogni qualvolta è usato serve a rappresentare uno stato
soggettivo e psicologico alterato.

STILI E CREATIVITÀ
PIANO SEQUENZA
«Il piano sequenza è una tecnica cinematografica che consiste nella modulazione di una
sequenza, un segmento narrativo autonomo, attraverso una sola inquadratura,
generalmente piuttosto lunga» (Cassani, Il Piano Sequenza), senza mai fermare la macchina
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da presa, senza montaggio. Il piano sequenza è un’inquadratura sostenuta, cioè particolarmente lunga, senza
stacchi né interruzioni (apparenti), che riprende nella sua interezza
- una scena (ossia un momento del film caratterizzato da unità di tempo e luogo)
- o una sequenza (cioè un momento narrativo unitario anche se diviso in più scene).
Il nome indica proprio il fatto che un singolo piano/inquadratura compone un’intera sequenza/scena del film. Il
tempo reale e la veridicità degli eventiIl teorico André Bazin (Che cosa è il cinema, 1973) la considerava una
tecnica che avvicina lo spettatore alla vera realtà dell’immagine, al tempo reale, liberandolo dai vincoli illusori
imposti dal montaggio. Il montaggio è infatti una serie di attacchi/stacchi che frammentano la continuità
spazio temporale dell’azione e della scena. In un piano sequenza si ha la percezione di una totale coincidenza
tra la durata della proiezione e quella degli eventi mostrati. Del tempo della storia con il tempo del racconto.
Questa idea può essere sfruttata dal regista proprio per ottenere dalla scena un impatto ancora più forte,
poiché lo spettatore vive gli eventi insieme al personaggio – avendo la convinzione che non ci sia alcun filtro
tra sé e l’azione – e ne può intuire quindi più facilmente la veridicità. Si tende a pensare al piano sequenza
come un’inquadratura complessa e articolata che muove la camera e quindi lo spettatore nello spazio
profilmico, ma in realtà può benissimo trattarsi di un’inquadratura completamente statica, che osserva
semplicemente l’evolversi della vicenda. Il film è girato in teatro di posa, in un set che simula un
appartamento ma dove le pareti mobili si spostano al passaggio della camera montata su un
DOLLY.
L’ambiente ristretto fa sì che i movimenti della camera, piuttosto limitati, assomiglino a quelli di
un personaggio invisibile che si muove nella stanza, dando comunque le spalle alla quarta parete.
Piano&Forte, una questione di stile: L’iPhone ci fa fare anche registrazioni in slowmotion, a 120 fps e 240 fps.
La qualità del girato è purtroppo discutibile, ma il risultato è di grande impatto soprattutto sulle scene
d’azione.
Come funziona lo slowmotion?
Se si registra una scena a 240 fps, ci portiamo a casa 240 "foto" per ogni secondo. Quando in
post-produzione andiamo a inserire questo girato in un progetto a 25 fps, non faremo altro che "spalmare" i
240 frame nel nostro frame rate scelto per la riproduzione (25 fps appunto) ed il risultato sarà quindi una
sequenza video di quasi 10 secondi di video per ogni secondo di girato!
240frame:25fps = 9.6 secondi
Lo slowmotion è stato utilizzato spesso nei film d'azione per sottolineare scene particolarmente dinamiche,
come scene di combattimento, sparatorie, esplosioni. Uno dei primi esempi di questo utilizzo della tecnica si
trova nel film I sette samurai di Akira Kurosawa (1954). Lo slomo spinto viene spesso usato anche nei
documentari naturalistici, pensate alla classica scena in cui il ghepardo insegue la gazzella. Nel cinema
vengono utilizzate macchine da presa in grado di fissare una quantità molto alta di frame al secondo (dette
"High Speed camera"). Per esempio, una ripresa a 1000fps ridistribuita a 24 fps, rende il movimento 43
volte più lento del normale.
SLOWMOTION
Questa tecnica può essere anche ottenuta in montaggio, ma il risultato sarà sicuramente peggiore di quando
viene realizzata in fase di ripresa. Se fatta su un girato normale, infatti, il risultato è più scattoso e meno fluido.
In questo caso è il software che deve inventare i frame che servono (intermedi) interpolando i frame esistenti.
Nei programmi di editing esistono vari metodi per fare il rallenti: spesso trovate la funzione di optical flow che
permette di fare la migliore interpolazione, ma - attenzione! - NON sempre poiché quando la scena è molto
dinamica questo algoritmo può generare dei vistosi artefatti nell’immagine, che la rendono inutilizzabile.
Rallenta il ritmo del racconto
• Dilata il tempo diegetico dell’azione, e ci fa uscire dal flusso degli eventi.
• Di solito sottolinea qualcosa di importante Prepara a qualcosa, segnala una svolta
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• Rallenta i movimenti ed inserisce in essi il pensiero, aprendo al trattamento psicologico della storia e dei
personaggi.
• Crea empatia psicologica con il soggetto
• Se c’è coincidenza del pv, stabilisce una relazione diretta con i sentimenti del personaggio (come nel caso
di un incidente stradale, paura, malessere, vista annebbiata)
• Esalta il gesto in maniera estetizzante
• Mostra un lato invisibile (fisico/chimico/macro) della realtà
A livello professionale vengono usate tecnologie molto sofisticate per catturare la realtà in high speed.
Soprattutto in pubblicità è frequente proporre immagini, che solitamente avvengono in un batter d’occhi, ad
una velocità estremamente rallentata che rende tutto più leggibile. Pensate a tutti i pack shot di prodotti
alimentari: il biscotto che scende nella tazza di latte. Il superslowmotion mostra il NON VISIBILE ad occhio
nudo e lo rende astratto. Questo permette di parlare della realtà con un linguaggio nuovo, sorprendente,
meraviglioso. È come entrare sotto pelle, scavalcare la soglia della percezione. Per questo lo slow motion è
un elemento formale e narrativo quasi abusato.
È un linguaggio che ci emoziona, ci ammalia e ci mostra un mondo inedito, come se lo vedessimo per la
prima volta. CONTRAZIONE del tempo reale:
-Accelerazione/speed
-Timelapse
-Hyperlapse
L’ACCELERAZIONE si utilizza raramente al cinema, a meno che non sia “nascosta” agli occhi degli spettatori
(come negli inseguimenti o nei combattimenti). La si trova di solito nelle situazioni che gli autori vogliono
rendere divertenti. Un po’ perché la normale gestualità umana quando è velocizzata suscita spontaneamente
il riso, ma anche per il richiamo delle “comiche” dell’epoca del muto. L’ACCELERAZIONE si usa ogni volta
che si vuole dare un’impennata di ritmo: un avvicinamento ad un personaggio, un movimento avvolgente, un
allontanamento veloce dalla scena. In questo caso il regista vuole dare un segnale chiaro allo spettatore, uno
shock, uno stordimento, rivelando la sua istanza enunciativa allo spettatore. Oppure come TRANSIZIONE
TEMPORANEA nelle PANORAMICHE A SCHIAFFO (WHIP PAN) che nascondono spesso dei tagli nascosti
(grazie al motion blur) o vengono usate per saltare da una scena all’altra. Si tratta di una panoramica molto
rapida, come uno scatto nella rotazione del punto di vista. Viene anche usata per mostrare ciò che il
personaggio vede (si gira di scatto), dove viene lanciata un’arma (causa-effetto), o per dare movimento ed
energia ad una scena (La-la-land).
TIMELAPSE: è la tecnica che ci permette di riprendere azioni di durata prolungata nel tempo e di riprodurle
velocizzate. Nuvole che corrono veloci, il palco di un concerto che cresce velocemente, un intervento di
restauro, le stagioni che cambiano. Per fare un timelapse devo effettuare - da uno stesso punto di vista - una
serie di scatti fotografici ad intervalli regolari, più o meno ravvicinati, e poi riprodurli in sequenza secondo il
frame rate del mio progetto. Es: per riprendere un tramonto decido di fare uno scatto al secondo. Dopo
mezz’ora avrò catturato 1800 foto, che riprodotte in sequenza a 25 fps produrranno una sequenza video dello
stesso tramonto di 72 secondi (cioè un minuto e 12 sec). Il timelapse trova largo impiego nei documentari
naturalistici. Mediante questa tecnica cinematografica è possibile documentare eventi non visibili ad occhio
nudo o la cui evoluzione nel tempo è poco percettibile dall'occhio umano, come il movimento apparente del
sole e delle stelle sulla volta celeste, il trascorrere delle stagioni, il movimento delle nuvole o lo sbocciare di un
fiore. Una novità degli ultimi anni è il timelapse in movimento, in panning e/o sliding. In questo caso oltre ad
impostare il timelapse sulla telecamera viene impostato un software che gestisce ad intervalli anche il
movimento della testa su cui è fissata la telecamera e/o il motore del carrello su cui è montata. Il timelapse
negli ultimi 10 anni è diventato una vera e propria moda, non è un caso è anche gli iPhone lo abbiamo
implementato nell’applicazione nativa della fotocamera. L’iPhone permette di fare un timelapse molto
rudimentale perché non permette di scegliere l’intervallo di registrazione dei frame. Il device impone il
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numero di fotogrammi da catturare in base alla durata complessiva del
filmato finito:
sotto i 10 minuti, 2 fotogrammi al secondo
tra i 10 e i 20 minuti, 1 fotogramma al secondo
oltre i 20 minuti, 1 fotogramma ogni 2 secondi
Le regole per un buon timelapse sono:
• bloccare la camera fissandola a un cavalletto; il time-lapse risulterà più bello se l’inquadratura è stabile;
• alimentarla con un cavo (oppure con un power bank in caso si usi il
telefono). Se la camera si spegne e vengono a mancare dei frame il movimento subirà delle interruzioni.
• scegliere dei settaggi manuali di ripresa per evitare che la camera si autoregoli in seguito a cambiamenti
atmosferici e di luce. La camera se lasciata in modalità auto tende a compensare l’esposizione oppure se un
soggetto passa in primo piano la camera tende ad avvicinare il fuoco da infinito a primo
piano. Ove possibile assicurati di bloccare anche ISO e bilanciamento del bianco.
Hyperlapse
È la tecnica per cui si fa un timelapse in movimento muovendo il punto camera lungo una linea retta, oppure
mantenendo un target di ripresa e girandogli intorno a 360°. È una tecnica complicata perché deve essere
realizzata con una precisione certosina e perché richiede sempre una stabilizzazione in post-produzione per
mantenere una certa morbidezza nella visione. È conveniente realizzare l’hyperlapse con una serie di scatti
fotografici perché danno più margine di intervento in post-produzione. Se l’immagine ha una risoluzione
maggiore posso infatti ricentrarla o raddrizzarla a posteriori. E il risultato sarà più bello.

APPROFONDIAMO: I CODEC. FORMATI E CODEC

La questione dei formati video e dei codec di compressione: un argomento ostile, ma da cui non si può
prescindere, perché incide pesantemente sulle caratteristiche dell’immagine e deve essere scelto anche in
funzione della performance dei vostri dispositivi e della destinazione finale di ogni video che farete.
Queste note potranno orientarvi nella scelta del miglior formato. Le immagini statiche ci arrivano in .jpeg, .tiff,
.png Anche i video arrivano accompagnati da un’estensione: .mp4, .mov, .avi, .vob, etc. Con queste
estensioni si intende il container, la scatola dentro la quale vengono compattati i dati video, un po’ come
avviene con un file .exe.

Il codec è un programma che comprime e decomprime il video per ridurne la dimensione. La decompressione
avviene ogni volta che il file deve essere letto. Ogni codec usa un algoritmo diverso ma l’obiettivo è sempre lo
stesso: diminuire la dimensione del video senza perdere troppo in qualità. La compressione si misura in
bitrate cioè Megabit/secondo (1 Megabit = 125Kb) Il più classico per il web è mpeg4, 2 volte più efficiente è il
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più nuovo H264, l’AVC è molto simile ad un mpeg4 e ultimamente la vera novità è l’H265 o HEV, che
garantisce un rapporto di compressione doppio rispetto all’H.264, senza perdita di qualità. Certi codec
funzionano meglio in particolari container, mentre non funzionano affatto in altri (è difficile trovare un flusso
video codificato in H.264 in un contenitore .avi).
I format container più diffusi:
-MP4 molto diffuso su Vimeo e YouTube, alta qualità per file abbastanza leggeri. Come codec utilizza spesso
mpeg4, h264, aac e ac3 per l’audio
-AVCHD (Advanced Video Codec High Definition) molto diffuso nelle videocamere. Pensato apposta per HD
da Sony e Panasonic. Usa il codec Mpeg-4 AVC (H264). Più accurato ma più lento del precedente. Non fa il
4K.
-MOV container versatile poiché dialoga con molti codec ma è proprietario (Apple) e questo può essere un
limite.
-AVI il formato windows per eccellenza
-VOB è il container per il DVD che usa come codec l’mpeg2
Il codec l’H265 o HEV, acronimo di High Efficiency Video Coding presto diventerà lo standard di riferimento
per la trasmissione di canali TV in alta definizione, la condivisione dei contenuti multimediali sul web e
l’archiviazione dei video. A parità di qualità, un file prodotto con il codec H.265 ha dimensioni dimezzate
rispetto a uno realizzato con H.264. Inoltre il codec HEVC, supporta una risoluzione massima di 8192 × 4320
pixel, 8K. Le decisioni prese a Bruxelles prevedono che a partire dal 2022 le trasmissioni televisive debbano
essere trasferite sul DVB-T2, il digitale terrestre di seconda generazione, che si baserà sull’H265. Dal 2017,
tutti i decoder e le TV supportano obbligatoriamente il codec HEVC e il nuovo digitale DVB-T2. Grazie a
questa codifica video avanzata si potranno infatti trasmettere canali HD, UHD e 4K con un ottimo livello di
compressione e una qualità audio/video mai vista prima. L’iphone ha scelto l’HEVC "efficienza elevata" come
standard per la registrazione dei video, d’obbligo quando si gira in 4k e in slow motion. Per gli altri formati si
può scegliere anche il formato "più compatibile" che è un H264.

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