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Gianni Simoni

L’apparenza inganna,
giudice Petri
Petri e Miceli indagano
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ISBN

TEA - Tascabili degli Editori Associati S.p.A., Milano


Gruppo editoriale Mauri Spagnol
www.tealibri.it

In copertina: foto © Shutterstock


Grafica Rumore Bianco

© 2013 TEA S.p.A., Milano

Prima edizione digitale 2013

Quest’opera è protetta dalla Legge sul diritto d’autore.


È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata

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L’autore

Gianni Simoni, ex magistrato, ha condotto quale giudice


istruttore indagini in materia di criminalità organizzata, di
eversione nera e di terrorismo. Presso Garzanti ha pubbli-
cato Il caffè di Sindona, in collaborazione con Giuliano Tu-
rone. È il creatore di due seguitissime serie di gialli: I casi di
Petri e Miceli, ambientata a Brescia, e Le indagini del commis-
sario Lucchesi, ambientata a Milano.

L’apparenza inganna, giudice Petri

In questo racconto, troviamo Petri protagonista di un caso


che gli piomba letteralmente addosso, suo malgrado: il suo
vicino di casa, per giunta il solo che gli fosse simpatico e
che frequentasse, sia pur con molta discrezione, è scom-
parso. E la moglie si rivolge a Petri perché faccia pressione
sulla Polizia affinché non archivi il caso. Così insieme al
compagno di indagini, e amico, il commissario Miceli, l’ex
giudice comincia a indagare e, più per caso che per meto-
do, giunge a una soluzione del tutto inaspettata. Al suo
fianco, immancabile, l’amatissima moglie Anna, presenza
discreta, come sempre, ma insostituibile.

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Chi sono l’ex giudice Petri e il commissario Miceli?

Carlo Petri...
... è un ex giudice in pensione, che ha scelto la pensione an-
ticipata per uscire da un sistema troppo rigido e servire la
giustizia dalle retrovie, anche se finisce sempre in prima li-
nea, suo malgrado;
... non farebbe mai nulla senza confrontarsi con Anna, sua
moglie, la sola a dargli vero filo da torcere;
... fuma, qualche volta la pipa, più spesso sigarette, legge
Repubblica, ama il buon vino e si reputa un ottimo cuoco, a
dispetto di tutti i suoi ospiti;
... e ha un’inguaribile senso della giustizia, per la quale è
disposto a sacrificare ogni cosa, anche se stesso.

Il commissario Miceli...
... di nome fa Salvatore (ma solo la moglie, e l’autore, pos-
sono chiamarlo così);
... è stanco delle brutture legate al suo mestiere, e gli manca
poco alla pensione, ma non per questo è disposto a scende-
re a compromessi, mai;
... ogni sera, nonostante tutto, torna a casa sereno, perché
sa che la moglie Lucia lo aspetta sempre con l’affetto del
primo giorno;
... odia il fumo, ma non impedirebbe mai a Petri o all’ispet-
trice Bruni di fumare nella sua stanza durante le indagini;
... gli piace mangiare e bere tanto e bene, ma soffre di
un’antipatica gastrite che lo costringe sempre a dieta.

Quello del magistrato è un lavoro che segna profondamente. Lo è


stato anche nel mio caso e, ritengo, in quello dei colleghi che al
« poliziesco » si dedicano o si sono dedicati. Indubbiamente vi è il
desiderio di appagare una voglia di giustizia e di chiarezza che
oggi, nelle aule giudiziarie, appaiono sempre più utopistiche.

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Per quanto mi riguarda, tuttavia, vi è anche il semplice diver-
timento dello scrivere in una dimensione, quella del « giallo »,
che non impegna troppo, non impone di mettersi in gioco più di
tanto; ma, nello stesso tempo, permette di far comprendere al let-
tore da che parte si sta, cosa che in un Paese come il nostro, so-
prattutto in questo momento, mi pare obbligatoria.
Così, potrei dire, sono nati i miei gialli, e così è nata l’accop-
piata Petri-Miceli.
Gianni Simoni

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L’apparenza inganna,
giudice Petri

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Nota dell’autore
Le vicende qui raccontate sono frutto della fantasia dell’autore, e alcuni
luoghi sono immaginari. Altri no, poiché, come spesso accade, dai ricor-
di emergono luoghi, ma anche personaggi, realmente esistiti o esistenti.
Niente di più di uno spunto narrativo, tuttavia, e ogni coincidenza con
situazioni e persone reali è puramente casuale.
Fra tutti gli inquilini del numero ventotto di via Cairoli, lo
stabile in cui Petri abitava, l’unico col quale avesse una
qualche dimestichezza era il ragionier Giorgio Bassi, il suo
dirimpettaio.
Non si trattava di amicizia, ma di un rapporto quasi ob-
bligato, dal momento che Petri, in occasione di ogni odia-
tissima assemblea condominiale, delegava il ragioniere,
un funzionario di banca sulla quarantina, a rappresentar-
lo, dopo avergli comunicato la sua opinione sulle varie
questioni all’ordine del giorno. Ma anche questo si riduce-
va a ben poca cosa, visto che le idee di Petri e quelle del ra-
gioniere di solito collimavano. Tanto bastava, comunque,
perché Petri, per lo meno due volte l’anno, o anche più
spesso, poiché tutti i problemi immaginabili parevano ab-
battersi sul ventotto di via Cairoli, andasse a casa del ra-
gioniere per consegnargli la famosa delega e fare quattro
chiacchiere che, qualche volta, esulavano da tinteggiature,
rifacimenti, manutenzione dell’ascensore e variazione di
millesimi.
Il fatto è che a Petri il ragioniere era stato sempre simpa-
tico, trattandosi di persona intelligente, fantasiosa e dotata
di uno spiccato senso dell’umorismo. Che poi in politica la
pensassero allo stesso modo certo non guastava, e Petri
aveva finito col confessarsi che quella, visti i tempi, fosse
stata forse la prima origine della sua simpatia.
L’unico particolare che un po’ lo lasciava perplesso era

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che Giorgio Bassi fosse un funzionario di banca e, nono-
stante questo, attraversasse la vita con grande lievità, qua-
si festosamente, cosa per lui pressoché incomprensibile,
quantomeno secondo l’idea che di un funzionario di banca
si era fatto.
Le cose gli si erano però chiarite quando, durante una
chiacchierata, aveva scoperto che il ragionier Bassi non ve-
deva l’ora di raggiungere il minimo della pensione e di
trasferirsi in campagna; il che poteva non riuscirgli molto
difficile dal momento che, come noto, la moglie aveva ere-
ditato una vera e propria fortuna.
Ebbene, Anna, che un qualche rapporto di buon vicina-
to amava coltivare, lo aveva convinto a invitare una sera a
cena la coppia e lui, pur con qualche riluttanza, aveva ac-
consentito, soprattutto perché col ragioniere si sentiva in
qualche modo in debito.
La cena si era rivelata purtroppo un mezzo disastro:
tanto era affabile e aperto lui, quanto arcigna e limitata si
era mostrata la moglie, una donna secca secca, che aveva o
dimostrava qualche anno più del marito e non aveva fatto
altro che dargli sulla voce, beccandolo in continuazione.
Finché lui aveva finito con lo zittirsi, e la conversazione era
scivolata su argomenti di un’assoluta banalità, che pure
avevano dato modo alla signora Bassi di mostrarsi per
quel che era: una donna gretta, razzista, appartenente alla
destra più ottusa, il cui problema attuale più urgente era
quello di trovare una nuova cameriera fissa, essendo stata
piantata su due piedi, giusto un mese prima, dalla ragazza
che avevano e che, con la scusa della morte del padre, ave-
va fatto le valige, tornandosene nel suo paesello del Sor-
rentino.
Soltanto Anna, col suo savoir-faire, era riuscita a evitare
il peggio, lanciando opportune occhiatacce a Carlo. Così
Petri aveva finito con l’ammutolirsi a sua volta, chieden-
dosi come il ragioniere potesse convivere con una simile

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megera e trovando l’unica spiegazione nel grosso patrimo-
nio di lei.
Tuttavia, Giorgio Bassi era un po’ scaduto nella sua con-
siderazione.
Una quindicina di giorni dopo la spiacevole cena, Anna
gli annunciò di avere ricevuto una visita della moglie del
ragioniere, la signora Luigia, che, sconvolta, le aveva con-
fidato la scomparsa del marito.
Il ragioniere riguadagnò qualche punto nella considera-
zione di Petri. Comunque era a lui che la signora mirava, e
Anna glielo confermò, chiedendogli di fare uno sforzo e di
parlarle.
Petri avrebbe preferito spararsi a un piede, e la prima
cosa che gli venne in mente fu la prossima assemblea di
condominio, il cui solo pensiero bastava a metterlo di pes-
simo umore. E di umor nero divenne all’idea di doversi
confrontare con quella donna, che conosceva appena,
quanto bastava comunque per rendergliela insopportabi-
le. Ma al ragionier Bassi qualcosa pur doveva; la sola pos-
sibilità di una sua defezione condominiale lo faceva rab-
brividire e il pensiero che fosse scomparso lo turbava non
poco, mandando a pallino tutte le sue teorie su quello stra-
no rapporto di coppia.
Concluse che, forse, aveva giudicato male il ragioniere,
il quale, non potendone più, o si era reso uccel di bosco o,
peggio ancora, si era buttato nel fiume. Era comunque
chiaro anche a lui che non poteva chiamarsi fuori e disse
ad Anna di telefonare alla vicina. Prima l’avesse fatto, me-
glio sarebbe stato.

Quello stesso pomeriggio, Petri, dopo che Anna si fu ac-


cordata per telefono, bussò alla porta di fronte, e la signora
Luigia lo accolse con un’aria da funerale, facendolo acco-
modare in salotto.
Giorgio, che di solito era puntuale come un orologio e
rientrava sempre alle diciotto, il mercoledì precedente non

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lo aveva fatto. Lei aveva atteso un paio d’ore e poi si era
decisa a telefonare a un suo collega: Giorgio era uscito dal-
la banca alle diciassette e trenta, come sempre, ne era cer-
tissimo perché avevano fatto un pezzo di strada insieme,
fino al secondo incrocio, dove le loro strade si dividevano.
A quel punto lei aveva telefonato agli ospedali e poi alla
Polizia ma era stato tutto inutile. Il marito pareva svanito
nel nulla e ormai erano passati tre giorni senza che si faces-
se vivo.
Luigia Bassi non appariva molto costernata, piuttosto
alquanto seccata: Giorgio era sempre stato un marito tran-
quillo, con una vita metodica, salvo le sue fantasie sempre
rimaste sulla carta, come quelle di un bambino; e sulla vita
di Giorgio lei aveva costruito la sua, dimettendosi ben pre-
sto dall’azienda paterna e dedicandosi a lui e alla casa, an-
che se il figlio che lui avrebbe tanto desiderato non era ar-
rivato. Per il ragioniere, pensò Petri, era stata una bella for-
tuna, perché un figlio o, peggio ancora, una figlia che aves-
se preso da quella donna sarebbe stata una vera iattura.
Certo è che adesso la signora Luigia si trovava in una si-
tuazione difficile: qualche anno prima era morto suo pa-
dre, che l’aveva lasciata unica erede, e adesso Giorgio,
scomparso, morto... non sapeva cosa pensare. Il risultato
era che si era ritrovata improvvisamente sola, visto che an-
che la ragazza di servizio se n’era andata su due piedi, sen-
za alcun preavviso.
Petri era stato ad ascoltarla con pazienza, ma quando il
discorso virò sulla cameriera non poté più trattenersi e la
interruppe bruscamente: « Signora », disse, sforzandosi di
assumere un tono gentile, « capisco la sua angoscia e la
condivido, perché suo marito mi era, anzi, mi scuso se ne
ho parlato al passato, mi è sempre stato simpatico e gli so-
no anche affezionato. Ma ormai se ne sta occupando la Po-
lizia, e non vedo come potrei aiutarla. »
« Dottor Petri, parliamoci chiaro: io non so cosa sia acca-
duto a mio marito e, conoscendolo da vent’anni, temo il

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peggio. In compenso lei conosce la Polizia meglio di me:
cosa posso aspettarmi? Che il nome di mio marito sia an-
notato in un bollettino di ricerche e si trasformi in una pra-
tica burocratica. Lei sa, esclusi i rapimenti, che dobbiamo
escludere, perché a questo punto qualcuno si sarebbe fatto
vivo, lei sa quante persone scompaiono ogni anno senza
che se ne sappia più nulla? »
« A dire la verità... »
« Novemilasettecentoventi », sillabò la signora Luigia.
Petri si chiese dove avesse pescato quella cifra che, nella
sua precisione, lo lasciò allibito. « E quindi? »
« Molto semplice, dottor Petri: io voglio che mio marito
non diventi una semplice cartelletta con nome e cognome.
Se è vivo, voglio che si faccia tutto il possibile per ritrovar-
lo; se è morto, voglio una tomba su cui poter piangere. »
Petri cercò di immaginarsi la signora Bassi, o meglio la
vedova Bassi, che piangeva su una tomba, e gli riuscì diffi-
cile. Al massimo riusciva a vedere la vedova Bassi che, di
quando in quando, passava dalla tomba del marito per
rimproverargli di essere morto. « Ho capito signora, ho ca-
pito perfettamente, ma ancora mi riesce difficile capire co-
sa potrei fare in concreto. »
« Anzitutto, parlare col questore. Se ci vado io, non mi
sta neppure ad ascoltare; se ci va lei, è un altro paio di ma-
niche. » E zittì Petri, che stava per aprir bocca. « In secondo
luogo, magari a tempo perso, annusare qua e là. Era il suo
mestiere, o mi sbaglio? Sono pronta a darle tutto l’aiuto
possibile. »
« Va bene, signora », sospirò Petri. « Suo marito è sem-
pre stato gentile e disponibile con me... »
« Lo so », lo interruppe, irritandolo.
« ... e qualcosa gli devo. Non è che per caso ha lasciato
qualche carta? Che so... un documento, qualcosa insomma
che possa aiutarci? Anche se sono piuttosto scettico. Per
quanto riguarda il questore può stare tranquilla. »

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« Dottor Petri, l’accompagno nella camera di Giorgio.
Può passarci tutto il tempo che vuole. »
« Dormivate separati? » chiese Petri, candido.
« Da parecchi anni. Per certe cose non ho mai avuto una
particolare propensione, con lei posso essere schietta, e
Giorgio amava leggere a letto, la sera, così gli avevo fatto
una camera studio », e lo accompagnò in una stanza che
pareva davvero quella di uno studente: un letto a una
piazza, un armadio, grandi librerie e poster alle pareti e
una scrivania con un computer.
« La lascio solo, dottore. Le porto un caffè? »
« Grazie. » Petri si sedette sulla sponda del letto guar-
dandosi intorno.
Dopo avergli portato il caffè, la signora si era ritirata
con molta discrezione, e Petri spalancò la finestra e si acce-
se una sigaretta. Il posacenere sulla scrivania gli conferma-
va che anche il ragioniere fumava, quindi poteva permet-
terselo.
Si sedette alla scrivania: quattro cassetti per parte, colmi
di carte ben ordinate. Passò un paio d’ore a esaminarle,
senza alcun costrutto. Non vi era traccia di corrispondenza
personale che potesse suggerirgli più di quanto già sapes-
se. Aprì l’armadio: una fila di vestiti ben ordinati appesi
alle grucce. Ispezionò le tasche, alla ricerca di qualche ap-
punto dimenticato: niente.
Stava per uscire dalla stanza quando la sua innata cu-
riosità lo spinse verso le due librerie colme di volumi. Ne
prese qualcuno, lo sfogliò, ma la sua attenzione fu attratta
da un libro nuovo di zecca, evidentemente uscito da poco:
L’arte di viaggiare, di Alain de Botton. Lo scorse e, mentre
stava per riporlo, dalle pagine uscì una cartolina: un paesi-
no su un’altura che dominava una piccola valle. Sul retro
soltanto un nome: Paolina. Lo lasciò perplesso il fatto che
la cartolina fosse indirizzata al ragionier Giorgio Bassi
presso l’agenzia bancaria. Ripose la cartolina nel volume
che si affrettò a rimettere al suo posto, perché bussavano.

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Era la signora Luigia. « Trovato qualcosa di utile? »
chiese.
« No, signora, né me lo aspettavo », rispose Petri.
« Dimenticavo di dirle che c’è anche una piccola cassa-
forte, proprio dietro quel mobiletto. » La donna gli indicò
un mobile basso, massiccio, a due ante, che Petri aveva già
aperto trovandolo ricolmo di cianfrusaglie.
« Aspetti un attimo », disse la signora Luigia e, afferrato
con entrambe le mani il mobile, lo spostò. Sulla parete vi
era una piccola cassaforte a incasso. « La combinazione è
“35777” », disse la signora e la compose facendo scattare
l’apertura. « Dia pure un’occhiata, dottore, anche se ci ho
già guardato io », e uscì.
Dentro c’erano solo ricevute di pagamento e vecchi li-
bretti di assegni. Nulla di interessante, pensò Petri, richiu-
dendola e apprestandosi a rimettere a posto il mobile. Fece
un’enorme fatica a sollevarlo e finì col farlo scorrere sul
pavimento, pieno d’ammirazione per la donna che lo ave-
va spostato con estrema facilità.
Uscì dalla stanza.
La signora Luigia lo aspettava in salotto. « Niente, vero,
dottor Petri? »
« Assolutamente niente », rispose lui. Non sapeva che
altro dire. « Penso che solleciterò le ricerche presso il que-
store, che conosco bene, e prima ancora presso il commis-
sario Miceli, che dirige la Squadra mobile. Nel frattempo,
lei non può che attendere e sperare per il meglio. Forse,
Giorgio si è voluto prendere una piccola vacanza. »
« Mi sembra molto improbabile. Giorgio non è un ra-
gazzo, e non si va in vacanza senza avvertire nessuno. La
moglie, anzitutto, ma anche la sua banca. Il dottor Naldi,
ad esempio, il collega di cui le ho parlato », ribatté la signo-
ra Luigia.
« Certo, signora, ha perfettamente ragione, ma non pen-
siamo subito al peggio, non ve ne sono reali motivi. Po-
trebbe trattarsi di un caso di temporanea amnesia, non è

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poi così raro, sa? Ma mi metto nei suoi panni, sola, in que-
sta grande casa, con Giovannina che l’ha piantata all’im-
provviso... » aveva buttato lì un nome a caso.
« Paolina », lo corresse la signora Luigia. « Si chiamava
Paolina, la cameriera campana. »
« Già, già... Ho visto che l’appartamento è di quasi due-
cento metri quadri, oltre al garage e alle cantine. »
« Non lo so esattamente, dottore. So soltanto che è gran-
dissimo. Lo era già per due persone, può immaginarsi per
una! »
« Va bene, penso che non vi sia altro. A proposito, pensa
che possa esservi qualcosa di interessante nel garage e nel-
le cantine? »
« Lo escludo. Nel garage vi è solo la macchina di Gior-
gio, e l’ho già passata al setaccio. Le cantine non le usava-
mo quasi. Vi sono soltanto dei vecchi mobili che non ci
eravamo ancora decisi a buttare, e nul­l’al­tro. Sono proprio
adiacenti alla sua e, come sa, andrebbero rifatte, perché so-
no malsane, senz’aria, con quei pavimenti di terra battuta.
Il regno dei topi, temo. »
« Lo so », convenne Petri, ricordando che all’ordine del
giorno di una delle ultime assemblee vi era anche la ri-
strutturazione delle cantine, ma lui era stato di opinione
contraria perché il preventivo gli era sembrato uno spro-
posito, e anche il ragioniere era stato d’accordo, soprattut-
to in quel momento in cui erano oberati di spese per il rifa-
cimento della facciata e per quella portineria che la mag-
gioranza aveva voluto a tutti i costi. Da poco più d’un an-
no, infatti, lo stabile del ventotto era dotato di portineria, e
il servizio era prestato da una coppia di coniugi di mezz’e-
tà, molto discreti ed efficienti che, nonostante tutte le re-
more di Petri, gli erano riusciti subito simpatici e, qualche
volta, si fermava a farci quattro chiacchiere.
Si alzò e si diresse alla porta. « Arrivederci, signora Lui-
gia, le farò sapere l’esito della mia visita in Questura. Oggi

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è sabato e, mi corregga se sbaglio, suo marito non è più
tornato da mercoledì sera, dopo l’ufficio. »
« Esatto, dottore. »
Petri poté finalmente prendere congedo.
Stava per rientrare in casa, quando cambiò idea e im-
boccò le scale, per scendere al piano terreno.
La portinaia stava tirando uno straccio sul pianerottolo,
lucidissimo, mentre, affacciato alla guardiola, il marito
scorreva il giornale.
« Sempre in faccende, eh, signora Carmela? » fece Petri
con un sorriso.
La donna alzò il capo. « Non tutti sono come lei, dottore,
che si pulisce per bene le scarpe sullo zerbino prima di en-
trare. L’ho notato, sa? C’è chi entra portandosi dietro lo
sporco della strada, e io non sono capace di aspettare il
mattino per ripulire. »
Il marito aveva alzato il capo dal giornale. « Ancora nes-
suna notizia del ragioniere? » chiese a Petri, che si doman-
dò cosa si aspettassero tutti da lui.
« Purtroppo no », rispose. « Da quando non è rientrato
dall’ufficio mercoledì sera... »
« Guardi che si sbaglia, dottore », lo interruppe il porti-
naio, « mercoledì sera è rientrato. È stato il mattino dopo, il
giovedì mattina, che è scoppiato il putiferio. »
Petri rimase interdetto. « Forse è lei a sbagliarsi. Mi pare
che già il mercoledì sera non fosse rientrato. »
« Ma no, dottore, non posso sbagliarmi perché era la se-
ra della partita di Coppa Campioni e, siccome il ragioniere
e io tifiamo per la stessa squadra, si è fermato un attimo,
per commentare il fatto che di lì a due ore saremmo stati
tutti e due incollati al televisore. »
Era un argomento decisivo e Petri non trovò nulla da ri-
battere. Certo è che i conti non tornavano più e maledisse
il fatto che fosse sabato. Avrebbe dovuto aspettare il lune-
dì per parlare col dottor Naldi, il collega il cui nome aveva
subito memorizzato.

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Durante la cena ne parlò con Anna che non sembrò dar
peso al particolare. « Ma ti fidi del portiere? Quello ha in
mente soltanto le partite di calcio e in mano sempre la Gaz-
zetta dello Sport. Il discorso che ti ha fatto potrebbe benissi-
mo riferirsi al martedì sera, quando il ragioniere gli po-
trebbe aver parlato della partita del giorno dopo. »
Era possibile, ma Petri ci credeva poco. Il portiere pote-
va anche essere un calciomane, ma gli era parso molto si-
curo di sé.

Il lunedì mattina, alle nove in punto, Petri si presentò in


banca. Chiese di parlare col direttore. Si presentò e precisò
che stava cercando informazioni sul ragionier Bassi e che
lo aveva mandato la moglie del ragioniere, un’amica di fa-
miglia. « Se vuole, può chiamarla », disse al direttore, in-
crociando le dita.
« Sta scherzando, dottor Petri. La conosco bene, quanto-
meno di nome, ed è per me un piacere poterle essere utile,
anche se tutto quello che posso dire è che il ragioniere è un
funzionario di prim’ordine, serio, puntuale, coscienzioso.
Non so come potrei aiutarla. Tutto questo l’ho già detto
anche alla Polizia. »
« Certo, direttore », fece Petri tirando un respiro di sol-
lievo. « Io, però, vorrei parlare col dottor Naldi, che la si-
gnora Bassi mi ha indicato come un collega particolarmen-
te legato a suo marito. »
« Nessun problema, dottor Petri, venga con me. » Il di-
rettore lo accompagnò a un box dove Naldi stava parlando
di azioni e obbligazioni con una cliente.
« Mi scusi, Naldi, la faccio sostituire immediatamente,
perché il dottor Petri ha urgente bisogno di parlare con
lei. »
Naldi si alzò, mentre la signora lanciava un’occhiataccia
a Petri, imbarazzatissimo, protestando, invano, che avreb-
be anche potuto attendere.

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Naldi lo invitò a seguirlo in una stanzetta, lo fece sedere
e restò in attesa. « In cosa posso aiutarla, dottore? »
« Mi sto interessando, a puro titolo di amicizia, alla
scomparsa del suo collega, il ragionier Bassi, che, come lei
saprà, ha fatto perdere le sue tracce dallo scorso mercoledì,
più precisamente dal martedì sera, quando siete usciti in-
sieme dall’ufficio... »
« Mercoledì sera », lo corresse Naldi.
« Ne è sicuro? »
« Certo che ne sono sicuro. Abbiamo fatto un pezzo di
strada insieme e abbiamo rinunciato al solito aperitivo. A
volte Giorgio se ne faceva anche due perché, quanto ad al-
col, la moglie lo teneva a stecchetto. E la ragione di quella
rinuncia è molto semplice: aveva fretta di andare a casa
per farsi una doccia e cenare con calma, perché poi c’era la
partita in televisione. »
Ci risiamo con la partita, pensò Petri e poi, ad alta voce:
« E allora quando si è accorto dell’assenza del ragioniere? »
« Il giovedì mattina, ovviamente. Ricordo che telefonai
anche a casa, e la signora, che non conosco, mi disse che il
marito la sera prima non era rientrato e aveva già avvertito
la polizia. »
« Ora, abbia pazienza, dottor Naldi, se scenderò nel det-
taglio, ma in fin dei conti entrambi eravamo amici del ra-
gioniere e le assicuro che quanto eventualmente mi dirà
non uscirà da questa stanza. »
Naldi lo guardò con la fronte corrugata, poi parve pren-
dere una decisione: « Mi chieda tutto quello che vuole, dot-
tor Petri ».
« La ringrazio. Dunque, stando a quanto mi dice, il ra-
gioniere è scomparso nel tratto di strada che va... »
« Dall’incrocio tra corso Palestro e via Gramsci, a casa
sua. È lì che le nostre strade si sono divise e dall’incrocio a
casa sua, per quanto ne so, vi saranno a occhio e croce non
più di cinquecento metri. Ma, mi scusi, posso farle io una
domanda? A lei la decisione se soddisfare o meno la mia

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curiosità. Alla famiglia non è arrivata alcuna richiesta di ri-
scatto? »
« Non credo. Penso che la moglie, magari non alla Poli-
zia ma a me, l’avrebbe detto. Invece, il ragioniere aveva
con sé, non dico una valigia, ma almeno una borsa o qual-
cosa del genere? »
« Niente di niente, solo il giornale sotto il braccio. »
« E di che umore era? »
« Ottimo, come al solito, forse addirittura un po’ sopra
le righe, magari per la partita. Era un tifoso sfegatato. An-
che se, pensandoci bene, non credo, perché sopra le righe
mi sembrava già da qualche tempo. »
« Da quanto? »
« Domanda difficile. Non saprei dirlo con esattezza, ma
da almeno un mese o due, forse anche di più... »
« Mi scusi, dottor Naldi, cosa intende di preciso con “so-
pra le righe”? »
« Be’, non è così semplice spiegare una sensazione. Era
più allegro del solito, parlava più del solito, faceva apprez-
zamenti sulle colleghe giovani, e questo non era nel suo
stile. Forse anche qualche allusione di cui non riuscivo ad
afferrare il significato... »
« Ad esempio? »
« Mah, che so... che la vita riserva sempre delle sorprese,
che le novità possono essere anche dietro l’angolo o addi-
rittura sotto gli occhi, che... »
« Abbia pazienza, dottor Naldi, le faceva confidenze?
Parlo delle confidenze che magari si scambiano tra uomi-
ni. Non gliene ha mai fatte? »
« Questo no. Ricordo che un giorno se ne uscì con la fra-
se che l’amore può sbocciare anche a quarant’anni, lascian-
domi di stucco, non tanto per la frase in sé, di sciocchezze
se ne dicono tante, ma proprio per il fatto che lo avesse det-
to lui. Comunque mi sembrò un’affermazione astratta...
No, non la definirei una confidenza, per lo meno non riten-
ni che vi fosse qualche implicazione di tipo personale. »

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« Lettere, intendo in ufficio, ne riceveva? »
Naldi stette zitto un momento. « Sì, dottor Petri. Non
me lo ha chiesto nessuno, ma a lei posso dirlo: almeno due
o tre alla settimana. Parlo degli ultimissimi tempi. Lo co-
glievo a leggerle e rileggerle... »
« Ovviamente lei non vi ha mai dato neppure una sbir-
ciata », disse Petri, con quella che suonò più come un’affer-
mazione che una domanda, ma bastò a far irrigidire Naldi
in modo impercettibile.
« Sta scherzando, dottore? Non è mia abitudine e lui, co-
munque, non le lasciava sul tavolo. Le riponeva nella tasca
interna della giacca. »
« Porti ancora pazienza, dottor Naldi. Non le è mai capi-
tato di vedere le lettere sul suo tavolo, prima che lui arri-
vasse? Voglio dire, prima che le aprisse. Lavoravate nello
stesso ufficio, no? »
« Voglio essere sincero: un paio di volte è accaduto. »
« E cosa ricorda? C’era un mittente? »
« Questo non lo so, perché non le ho neppure toccate.
Ricordo però che l’indirizzo era sempre della stessa mano,
e mi colpì il fatto che pareva una grafia infantile. »
« Grazie, dottor Naldi, lei mi è stato molto utile. Un’ulti-
ma domanda: economicamente, come se la passava il ra-
gioniere? So che la moglie è molto abbiente. »
« Dottor Petri, qui tocchiamo un tasto delicato. Posso so-
lo dirle che Giorgio se la passava abbastanza bene, come
un qualsiasi funzionario di banca. Quanto alla moglie mi
vincola il segreto bancario. L’unica cosa che posso dirle,
questo lo sanno tutti, è che era, o meglio era diventata, ric-
chissima ed è per questo che mi è passata per la testa l’idea
del rapimento, ma, per favore, non mi chieda altro su que-
sto argomento. »
« Me ne guardo bene, dottor Naldi, e la ringrazio di tut-
to. Le sarei ancora più grato, e mi scusi se ritorno sull’argo-
mento, se potesse dirmi se risultano prelievi dal conto del
ragioniere, negli ultimi giorni soprattutto. »

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Naldi emise un profondo sospiro e guardò Petri per
qualche istante. Poi schiacciò un paio di tasti sul computer.
« Questo è abbastanza strano: un prelievo di venticinque-
mila euro, lunedì scorso. »
« Grazie, lei non immagina neppure quanto potrebbe
essere importante », concluse Petri. Si alzò e gli strinse la
mano. « Se me lo permette, che opinione si è fatto? » chiese
ancora al funzionario.
« Nessuna opinione precisa: sono smarrito. L’unica cosa
che mi sentirei di pensare, dopo la nostra chiacchierata, è
che quasi di certo nessuno ha rapito Giorgio. Non ne con-
viene? »
« Più o meno sì », rispose Petri e prese congedo.
Prima di andarsene passò a salutare il direttore. « Ho sa-
puto che il ragionier Bassi riceveva corrispondenza privata
in ufficio. Normalissimo, direi. Lei, comunque, ne era al
corrente? »
Il direttore riuscì a celare un pizzico di irritazione.
« Glielo ha detto Naldi? Io l’ho appreso soltanto ieri, quan-
do è arrivata una lettera, appunto. Il fattorino mi ha detto
che ve ne erano state altre, ma, vista la situazione, ha rite-
nuto di rivolgersi a me, e mi sono trovato a dover risolvere
un piccolo problema: se il ragioniere si faceva indirizzare
lettere in ufficio, siamo tra uomini, dottor Petri, una ragio-
ne doveva pur esserci, e la più evidente è che lo facesse al­
l’in­sa­pu­ta della moglie. Non ho, quindi, ritenuto di dover-
gliela far recapitare. Sul retro, però, c’era l’indirizzo del
mittente e al mittente l’ho fatta rispedire. Ho fatto male? »
« Ha fatto benissimo, direttore. Inutile chiederle se ha
annotato o memorizzato l’indirizzo del mittente. »
« Davvero inutile, come dice lei. E non so neppure chi
l’abbia materialmente rispedita. Se ne dovessero arrivare
altre, come dovrei comportarmi? »
« Non posso darle nessun consiglio: veda lei. Nei suoi
panni, le farei rispedire al mittente, ma ovviamente questo
è un discorso tra uomini. »

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Il direttore, sollevato, lo salutò con calore.
Petri uscì dalla banca. Nella testa i pensieri gli si acca-
vallavano e pensò che fosse meglio che le cose si sedimen-
tassero.
Intanto poteva fare un salto in Questura e, cambiando
strada, si diresse verso gli uffici che ben conosceva. Avreb-
be parlato col questore, lo aveva promesso alla signora
Luigia, e, magari, avrebbe trovato il modo di far due chiac-
chiere con Miceli.

Tornato a casa si mise ai fornelli. Anna sarebbe rientrata


per pranzo e quella di inventarsi un nuovo condimento
per la pasta gli parve la soluzione migliore, giusto per met-
tersi alle spalle il ragionier Bassi, la sua scomparsa e le idee
che continuavano ad assillarlo confuse.
Ma non era giornata: la polpa di pomodoro era finita e
aprendo una scatola di tonno si fece un brutto taglio al pol-
lice. Nel frattempo l’olio che aveva messo a soffriggere con
due spicchi d’aglio schizzava da tutte le parti e, afferrando
la padella per scostarla dal fuoco, si ustionò il dorso di una
mano. Bestemmiò ad alta voce, con metodo. Buttò tutto
nella spazzatura e mise la padella nel lavandino, facendo-
vi scorrere l’acqua che sollevò una nube di fumo.
Pazienza, si disse Petri: aveva visto in frigo un paio di
mozzarelle. Con un po’ di insalata potevano bastare.
Una cosa però gli era rimasta sul gozzo: quella cartolina
a cui aveva dato un’occhiata fuggevole, riponendola subi-
to nel libro. Ci pensò su un momento e si decise. Non era
ancora mezzogiorno e una visita alla signora Luigia non
avrebbe guastato, tanto più che la scusa era buona: aveva
parlato col questore.
Suonò al campanello di fronte.
La signora parve sorpresa nel vederlo. Sorpresa e indi-
spettita, pensò Petri, perché indossava una vecchia vesta-
glia e aveva ancora i bigodini in testa. « Non mi aspettavo

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di rivederla così presto, dottore. Ci sono forse buone noti-
zie? »
Petri rimase in silenzio sulla soglia.
« Entri, entri, dottor Petri », disse la signora e lui, che
non aspettava altro, la seguì nel salotto.
« Mi perdoni l’abbigliamento. Stavo facendo le pulizie
di casa e non pensavo di ricevere visite. »
« Non si preoccupi, signora, anzi, mi scusi se non mi so-
no preannunciato con una telefonata. Volevo soltanto dirle
che notizie non ce ne sono, ma che proprio stamane ho
parlato col questore e col dirigente della Mobile, ed en-
trambi mi hanno assicurato il massimo impegno. Suo ma-
rito non è destinato a diventare un numero tra i tanti, di
questo può star certa. »
« Non so come ringraziarla, dottore. Adesso mi sento
più tranquilla », e la signora Luigia si alzò con la chiara in-
tenzione di congedarlo.
« Ancora una cosa, signora », fece Petri, alzandosi. « L’al-
tro giorno ho dato un’occhiata alle carte di Giorgio e non
ho trovato niente di utile. Ma, in casi come questi, si ha
sempre il timore di essere stati superficiali, e davvero non
mi perdonerei se mi fosse passata una traccia sotto il naso
senza che me ne fossi accorto. Le spiacerebbe se dessi
un’altra occhiata? »
Questa volta la sorpresa e l’irritazione della signora Lui-
gia erano evidenti, ma la buona educazione ebbe il soprav-
vento. « Come vuole, se proprio ci tiene. Ma credo che
sprecherà il suo tempo. Ci ho guardato io, ci ha guardato
la Polizia e ci ha guardato lei. Non vedo come potrebbe es-
ser sfuggito qualcosa. »
« Mah, è soltanto un mio scrupolo. Ma non tema che
sprechi il mio tempo. Ne ho da vendere. »
« D’accordo, l’accompagno. » E lo guidò di nuovo nella
camera studio, rimanendo però lì a osservarlo.
Petri friggeva, ma qualcosa doveva pur fare e aprì uno
dei cassetti, sfogliando a una a una le carte all’interno. Si

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sarebbe pur stancata di rimanere lì, pensava, fingendo di
esaminare con interesse fatture, bollette e vecchie prescri-
zioni mediche. Lo colse di sorpresa una grossa busta gial-
la, vuota, che giaceva proprio sul fondo del cassetto. La
busta era stata usata, il rigonfiamento era ancora evidente.
Ricordava di averla già vista e di non averci dato alcun pe-
so. Adesso però le cose cominciavano ad apparirgli sotto
una luce diversa.
La donna non si era mossa di un millimetro. Era una
prova di forza, Petri lo capiva bene, ma non era intenzio-
nato a mollare, pur avendo la sensazione che la padrona di
casa non vedesse l’ora che lui alzasse i tacchi.
Era ormai passato al terzo cassetto, quando si sentì lo
squillo del telefono.
« Mi scusi un momento », disse la signora Luigia e uscì
dalla stanza lasciando la porta aperta.
Petri, che non aspettava altro, balzò verso la libreria e
afferrò il libro sfogliandolo con le mani che gli tremavano.
La cartolina era ancora al suo posto e se la infilò in tasca
con un rapido gesto. Ripose il volume dove l’aveva preso e
tornò alla scrivania.
Appena in tempo, prima che la signora Luigia tornasse
nella stanza.
A quel punto Petri allargò le braccia: « Ha proprio ragio-
ne lei, sprechiamo il nostro tempo », e, radunate le carte, le
ripose nel cassetto.
Ebbe l’impressione che la signora lo salutasse con una
certa freddezza, confortandolo nell’opinione che si era fat-
to di lei: un vecchio e acido baccalà. Restava per lui incom-
prensibile come Giorgio Bassi, che invece sembrava una
trota di montagna, fosse riuscito a sopportarla, quantome-
no fino al mercoledì precedente.
Rientrato in casa, diede due mandate alla serratura e ca-
vò di tasca la cartolina, potendo finalmente osservarla con
maggior attenzione. Non aveva le traveggole: l’indirizzo e
il nome, Paolina, sembravano scritti da un bambino o co-

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munque da persona che con le lettere non avesse grande
dimestichezza e fosse costretta a compitare con diligenza
parola per parola.
Prese il terzo volume dell’atlante geografico e si mise a
studiare la Campania in modo quasi scientifico, seguendo-
ne i percorsi con una matita. Gli ci vollero parecchi minuti
per scoprire dove si trovava il paesino: nell’entroterra di
Sorrento, a una ventina di chilometri dal mare. Il nome era
stampato a caratteri piccolissimi e lo segnò con un eviden-
ziatore.
Finalmente soddisfatto, infilò la cartolina nell’atlante,
che rimise nella libreria.
Si sentiva più tranquillo, anche se dentro di sé aveva an-
cora qualche timore a formulare con chiarezza l’ipotesi che
si faceva strada. Possibile che...? Certo, tutto al mondo era
possibile, le novità potevano stare dietro l’angolo o addi-
rittura sotto gli occhi. Poteva accadere di innamorarsi an-
che a quarant’anni, così come poteva accadere che una tro-
ta non ne potesse più di vivere in un acquario con un bac-
calà.
Questo pensava Petri mentre condiva l’insalata e appa-
recchiava la tavola, stappando una bottiglia di Terlaner
che aveva scoperto in frigorifero.
Anna rientrò abbastanza puntuale e lo lodò per l’idea
dell’insalata con la mozzarella. Niente di meglio col caldo
che cominciava a farsi sentire, guardando con muta disap-
provazione il Terlaner. Gli chiese come avesse trascorso la
mattinata, e lui le parlò della visita in Questura e poi della
loro dirimpettaia. Anche con lei non fece cenno alla visita
in banca e tacque della cartolina.
« Carlo, tra quindici giorni partiamo per la nostra va-
canza in Puglia. D’accordo che ci muoviamo in macchina e
che a te piace andare alla ventura e che in questo periodo
non dovrebbero esservi problemi, ma cosa ne diresti di fa-
re un salto in agenzia, giusto per avere un elenco degli

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agriturismo e magari di qualche buon albergo? » disse An-
na, mentre bevevano il caffè.
« Avevo pensato di andarci oggi pomeriggio, ma... »
« Ma, cosa? » lo interruppe Anna, subito in sospetto.
« Ma... non sono più così sicuro di aver voglia della Pu-
glia, anche tenendo conto del fatto che si tratta di una va-
canza di una sola settimana. »
Ebbe l’impressione che Anna contasse in silenzio fino a
dieci. « Scusa, Carlo, ma questa è proprio bella. Sono due
mesi che parliamo della Puglia, che tu non conosci, abbia-
mo anche studiato un itinerario soddisfacente, e adesso mi
esci fuori con questa novità. È evidente che i tuoi percorsi
mentali mi sono qualche volta ancora sconosciuti. »
« Non prendertela, Anna, sai che a volte cambio idea. Il
fatto è che, tutt’a un tratto, mi ha preso una botta di nostal-
gia per la costiera amalfitana. »
« Ma ci siamo stati tre anni fa! » sbottò Anna.
« Sì, sì, lo so, ma ci siamo passati di fretta, il tempo non
era buono, faceva ancora freddo, e adesso mi piacerebbe
tornarci. Ricordi quel ristorante ad Amalfi? E la vecchia
pasticceria sulla piazzetta, dove eravamo costretti a stare
in giacca a vento per le folate d’aria che tiravano dalla val-
letta delle cartiere? Adesso sarà diverso. »
« Va bene, Carlo, forse hai ragione, in Puglia potremmo
andare a settembre. An­ch’io ricordo il ristorante e la pa-
sticceria e ricordo anche altro », e Anna, arrossendo un po-
co, si lasciò andare a un sorriso complice accarezzandogli
una mano. « Vada per la costiera. Però, all’agenzia ci vai e,
magari, prenoti l’albergo del­l’al­tra volta... »
« Se devo essere sincero, ho fatto un colpo di telefono
proprio poco prima che tu rientrassi. Se confermiamo en-
tro stasera, ci riservano la stessa stanza. »
Anna lo guardò allibita, ma sempre col sorriso sulle lab-
bra. « Carlo, come dovrei definirti? Un animale, come al
solito, ma sempre il mio animale preferito. » E accostò la
sedia alla sua. « Vai a fare il solito riposino, adesso? »

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« Sì », rispose lui, guardandola negli occhi.
« Non ti dispiace, vero, se oggi vengo an­ch’io? »
Lui le fece una carezza sulle gambe accavallate, indu-
giandovi un momento.

I giorni in costiera furono come se li erano aspettati: pare-


vano due sposini in viaggio di nozze.
Il penultimo giorno fecero una puntata a Sorrento. Men-
tre erano seduti a un vecchio caffè, con davanti una granita
al limone, Petri prese l’atlante, soffermandosi su una tavo-
la in particolare. « Che ne diresti di una puntata all’inter-
no? » chiese ad Anna.
« Non mi pare una cattiva idea, magari pranziamo al
fresco. »
« Allora, d’accordo », disse lui e, mentre pagava il conto,
chiese al vecchio cameriere la strada migliore per raggiun-
gere un certo paese.
Il cameriere, sorrentino doc, fece un sorriso e si profuse
in indicazioni che, quasi subito, mandarono nel pallone
Petri, che cercava invano di seguirlo sulla carta geografica.
« Tu non me la racconti giusta, Carlo », fece Anna quan-
do si alzarono. « Ti conosco. Ti conosco bene. E tu in que-
sto dannato paese avevi già deciso di andarci. Sarebbe
troppo conoscerne i motivi? »
« Hai ragione, Anna, non te l’ho raccontata giusta, ma, ti
prego, non roviniamo i giorni passati insieme in questa va-
canza. È vero, in quel paesino ci volevo andare e mi fa pia-
cere andarci insieme. Se non ho sbagliato tutto, andiamo a
conoscere la morosa del ragionier Bassi, e magari troviamo
il modo di salutare anche lui. »
Anna lo guardò con tanto d’occhi. « Penso sempre di co-
noscerti, ma ogni volta mi riservi delle sorprese. Di una co-
sa sola ti pregherei: magari, non dico sempre, ma di quan-
do in quando, fammi qualche accenno, per le mie corona-
rie, non per altro. »
« Hai ragione di nuovo, ti prego di perdonarmi », disse

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Carlo e avviò la macchina di malumore. Aveva davvero
sbagliato e sperava con tutto il cuore di non aver rovinato
quella splendida piccola vacanza.
Abbandonata la statale, presero una provinciale, quindi
una strada bianca tortuosa che li portò oltre un crinale. Pe-
tri si era dovuto fermare a chiedere soccorso più di una
volta perché con la carta stradale, forse sorpassata, e le in-
dicazioni del cameriere di Sorrento, non ci capiva più nul-
la. Finché la strada cominciò a scendere e gli alberi dirada-
rono.
« Questa mi pare proprio la valletta della cartolina »,
esclamò.
Anna lo guardò a lungo. « Di quale cartolina parli, Car-
lo? »
« Di quella che ho fregato in casa del ragioniere », e, to-
gliendola dalla tasca interna della giacca, la porse ad Anna.
« Quando questa storia sarà finita, spero che me la rac-
conterai dal principio », disse lei, osservando l’immagine.
« Paolina... » fece dopo averla girata. « Ma Paolina era la ca-
meriera del ragioniere. Non te la ricordi? Una ragazza pic-
cola, carina, con i capelli ricci e gli occhi nerissimi. »
« Non me la ricordo affatto. Tu ci hai parlato qualche
volta? » domandò lui.
« Certo », rispose Anna.
« Bene, allora sono doppiamente contento di averti por-
tata con me. »
Anna assentì in silenzio. Adesso sembrava pensierosa.
Dopo una curva apparve il paese: un gruppo di case at-
torno a un campanile, in posizione elevata.
In pochi minuti arrivarono nella piazza. Fuori da un
caffè, due o tre uomini erano seduti a un tavolino e li guar-
darono incuriositi. I turisti, da quelle parti, non dovevano
certo essere numerosi.
E adesso? pensò Petri. Mica posso andare in giro a chie-
dere di una certa Paolina.
Anna parve avergli letto nel pensiero: « È mezzogiorno,

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Carlo, la chiesa è ancora aperta. Potremmo rivolgerci al
prete ».
« Brava Anna, forse ci sarei arrivato an­ch’io. »
Parcheggiarono la macchina all’ombra di un platano e si
addentrarono nella chiesa buia, a quell’ora completamente
deserta, dirigendosi verso l’altare.
Petri stava per gridare: « C’è nessuno in casa? » ma si
trattenne in tempo, lasciandosi scappare un sorriso.
Anna lo guardò senza capire.
Stavano davanti all’altare, non sapendo bene dove diri-
gersi, quando da una porta laterale, che nell’ombra non
avevano visto, si materializzò un vecchio prete, canuto, di
una magrezza scheletrica, con un gran naso aquilino. « Vi
serve qualcosa? » chiese con un forte accento campano.
« Ci scusi, reverendo », disse Anna, precedendo il mari-
to, « cerchiamo una sua parrocchiana, una ragazza giova-
ne, Paolina, che fino a qualche mese fa lavorava come do-
mestica al nord e che crediamo sia tornata al paese per la
morte del padre. La conosciamo e, trovandoci da queste
parti, vorremmo salutarla. »
« Paolina... una piccirilla sfortunata che avrebbe fatto
bene a restarsene qui. Certo che è tornata, ma non per la
morte del padre. Altre sono le disgrazie che possono tocca-
re a una povera ragazza. Voi chi siete? »
« Amici che le volevano bene », rispose Anna, mentre
Petri restava in silenzio.
« In chiesa ci viene poco, è un momento difficile, biso-
gna capirla, ma, se volete vederla, seguite la strada fino al-
la fine del paese. Dopo l’ultima casa, incomincia un vigne-
to e proprio là in mezzo c’è un casale: è lì che sta Paolina. »
Le indicazioni erano precise e non ci si poteva sbagliare.
In meno di un quarto d’ora, mentre il sole picchiava come
un martello, raggiunsero a piedi il vigneto.
Un vecchio stava zappando tra i filari e alzò il capo, so-
spettoso. Vedendo una coppia di mezz’età sembrò rassicu-
rato. « Cercate qualcuno? » chiese.

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Fu sempre Anna a parlare: « Paolina. Ci ha indirizzato
qui il parroco ».
« E che volete da Paolina? »
« Solo salutarla, dal momento che siamo in vacanza da
queste parti, io e mio marito », precisò Anna.
Il vecchio restò un momento perplesso. « La vedete la
casa? Sì? Paolina sta là. »
Le imposte erano chiuse, salvo quelle al pian terreno.
Nessuno sull’aia, solo un cane che si mise ad abbaiare co-
me un disperato.
Sulla soglia si affacciò una ragazza bruna, a piedi nudi.
Indossava una camicetta sgualcita e una gonnella corta,
dalla quale spuntavano due gambe brune. La ragazza
strizzò gli occhi, fissandoli su Anna. « Ma lei non è la si-
gnora... »
« Sì », la interruppe Anna, « la signora Petri, quella che
abitava dirimpetto. Mi fa piacere che si ricordi di me, come
sta, Paolina? »
« E come vuole che stia, signora? » fece lei e gli occhi le si
riempirono di lacrime.
Petri capì subito che sarebbe stato meglio lasciare le
donne da sole. « Anna, credo che mi fumerò una sigaretta
all’ombra, se non ti spiace. »
« Certo. Non è per questo che mi hai portata fin qui? » E,
troncando le sue proteste, si avvicinò alla ragazza, la prese
sotto braccio ed entrò con lei nella casa.
Di sigarette Petri ne fumò almeno tre prima che Anna
riapparisse. Era molto teso. « Allora? » chiese ansioso ad
Anna.
« Allora, è molto semplice: Paolina è incinta di tre mesi e
il padre è il tuo amico, il ragionier Giorgio, che secondo la
ragazza avrebbe dovuto piantar tutto e raggiungerla. Lo
aspettava un mese fa. Si scrivevano due volte alla settima-
na, finché l’ultima lettera le è stata restituita. »
« Ma come può essere? Fammici parlare un momento. »
« Non so se è il caso, ma se proprio insisti... »

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Paolina era ancora seduta al tavolo. Davanti una brocca
d’acqua e due bicchieri. Una vecchia sonnecchiava in un
angolo.
« Mi scusi Paolina », disse piano Petri, « mia moglie mi
ha raccontato quello che è successo, e me ne dispiace, me
ne dispiace moltissimo. Davvero Giorgio la voleva rag-
giungere qui? »
« Sì, dottore. Con Giorgio ci volevamo bene e, quando
sono partita, perché mi ero accorta di aspettare un bambi-
no, Giorgio era felice e mi aveva assicurato che entro poco
tempo mi avrebbe raggiunto. Avrebbe piantato tutto. Nel
frattempo, mi scriveva e mi mandava anche dei soldi per-
ché aggiustassi la stanza per il bambino. Diceva che avreb-
be fatto l’agricoltore anche lui, e io ci credevo perché era
una persona per bene, tanto dolce. »
« Ma dopo l’ultima lettera che le è stata respinta, lei non
gli ha più scritto? »
« No. Lui conosceva il mio indirizzo e avrebbe potuto
farsi vivo. Non sono abituata a chiedere la carità. Se ha de-
ciso così, non sarò certo io a seccarlo. Che se ne stia con sua
moglie. Io mi tengo il mio bambino. »
Petri la guardava e avrebbe voluto farle una carezza.
Adesso gli pareva di averla incontrata qualche volta sulle
scale di casa, ma poteva anche essere un’impressione sba-
gliata.
« Mi dispiace, Paolina, mi dispiace proprio che sia finita
così, anche perché an­ch’io conosco il ragionier Giorgio e
mi è sempre sembrato una persona di parola. Non so pro-
prio cosa dire. Ma possiamo fare qualcosa per lei? Per il
bambino, non so... Mi dica lei », e Petri si impappinò.
« Grazie. Me lo ha già chiesto sua moglie. Non ho biso-
gno di niente e non voglio niente. Semmai vi chiedo un fa-
vore: Giorgio mi aveva mandato trentamila euro in tutto,
ma io la stanza per il bambino l’ho aggiustata con i soldi
miei. I trentamila euro li ho messi da parte e sarei contenta

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se li restituiste a Giorgio. Se lui non mi vuole più, io non
voglio niente da lui. »
« Li tenga i soldi, Paolina, li tenga che verranno utili per
il bambino. Restituirli non posso perché, non so se mia
moglie glielo ha detto, il ragioniere non si sa dove sia,
quindi dovrei restituirli alla signora Luigia, e non mi sem-
bra davvero il caso », spiegò Petri.
« A quella vipera no! » sbottò Paolina. Piuttosto li porto
in chiesa. »
« Ma che chiesa e chiesa! Il bambino! Pensi al bambino. »
La ragazza rimase in silenzio.
Davvero una bella ragazza, pensò per la prima volta
Petri.
Poi, all’improvviso domandò: « Ma, scusi, dottor Petri,
ha detto che non si sa dove sia Giorgio. Non è più a casa e
non è più in banca. Allora, magari è partito per venire giù
e gli è successo qualcosa. » Si mise a piangere, piano.
« Non lo so, Paolina, non lo so davvero. Ma adesso ab-
biamo il suo indirizzo e, se scopriremo qualcosa, le scrive-
remo subito. In ogni caso, per qualsiasi cosa le possa occor-
rere, il nostro indirizzo è questo », e Petri scrisse su un fo-
glietto strappato dal taccuino nome, cognome e indirizzo,
che la ragazza conosceva perfettamente.
Tornarono in paese, camminando piano. Il sole era rab-
bioso e nessuno dei due aveva voglia di parlare. Entrarono
nel caffè. Ai tavolini, fuori, non c’era più nessuno.
« E se chiedessimo qualcosa da mangiare? » propose
Petri.
« Per me va bene, anche se non ho fame », rispose Anna.
Si accontentarono di un po’ di pane, un pezzo di caciot-
ta e del salame che pizzicava. La birra era quasi tiepida e
fece storcere la bocca a tutti e due.
Petri era silenzioso, masticava lentamente e pareva im-
merso nei suoi pensieri. Chiese un caffè. Si ustionò la lin-
gua, ma non se la prese. Aveva iniziato a borbottare: mez-

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ze parole che, come spesso gli accadeva quando era con-
centrato, gli salivano alle labbra.
Anna taceva e aspettava. A un certo punto perse la pa-
zienza: « Carlo, tutti e due ci siamo rimasti male, io malis-
simo direi, ma tu adesso stai correndo da solo. No, no, non
voglio saper nulla di quello che ti passa per la testa, ma
non sono stupida. Non è che, per caso, intendi anticipare il
ritorno? »
Lui la guardò stupito, pieno di gratitudine. « Non ti di-
spiace? »
« Non posso dirti che mi metterò a fare salti di gioia, ma
il pensiero di passare altri due giorni da sola... No, non
protestare, Carlo. Tu non ci sei. Il pensiero di restare a
guardarti mentre ti arrovelli non mi sorride di certo. Va
bene, mettiamoci in macchina e partiamo. Comunque, so-
no in credito di due giorni di vacanza e ho intenzione di ri-
scuoterli al più presto », e Anna allargò la bocca in un sor-
riso.
« Grazie, Anna », riuscì a dire Petri e, pagato il conto, si
mise al posto di guida. Anna fece a malapena in tempo a
richiudere la portiera.

In poco meno di un’ora avevano imboccato l’autostrada e


da quel momento Petri non tolse il piede dall’acceleratore,
infischiandosene di tutti i limiti di velocità. Si fermarono
solamente per far benzina e per acquistare un toast e una
minerale che consumarono in macchina.
Erano da poco passate le undici di sera quando par-
cheggiarono davanti al ventotto di via Cairoli.
Petri stava scaricando i bagagli quando una voce squil-
lante gli fece alzare il capo: « Buonasera, ben tornati! » la si-
gnora Luigia che stava rientrando dal cinema. Gli parve ir-
riconoscibile: nuovo taglio di capelli, abito di seta elegante
e, soprattutto, scarpe col tacco alto, appuntite, che lo co-
strinsero a guardarla dal sotto in su, cosa che lo irritava
sempre quando aveva a che fare con una donna.

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« Di Giorgio ancora nessuna notizia », continuò la signo-
ra e si fermò a chiacchierare con Anna, mentre lui, con le
valige, si avviava verso l’ascensore.
Aveva già sistemato i bagagli in guardaroba, quando
entrò Anna.
« Che impressione ti ha fatto la povera signora Luigia? »
le chiese.
« Che non è affatto una povera signora, neppure in sen-
so figurato. Anzi, se avesse qualche anno di meno, mi sa-
rebbe parsa una vedova allegra. Ma non è neppure da
escluderlo. Adesso la vita ricomincia a cinquant’anni. »
« Ai miei tempi, se non ricordo male, ricominciava a
quaranta. Ma si vede che i tempi cambiano », ribatté Petri
di pessimo umore.
« Su, Carlo, adesso fai il bravo. Mangiamo qualcosa e ce
ne andiamo a letto. Domani potremo alzarci quando ci pa-
re: non possiamo considerarci ancora in vacanza? »
Lui non la stava neppure ad ascoltare e frugava in un
cassetto alla ricerca di un mazzo di chiavi.
« Carlo, che stai facendo? Non vuoi cenare? »
« Pensaci tu e dammi cinque minuti. Voglio scendere un
momento in cantina. »
« Va bene, vai pure in cantina, ma, se cerchi il vino,
guarda che ce n’è un paio di bottiglie nel ripostiglio. »
« Non cerco il vino », borbottò Petri, infilando la porta.
Scese nell’interrato e si diresse alla sua cantina: era tanta
la furia che non riusciva a infilare la chiave nella serratura
del lucchetto.
Entrò e accese la luce guardandosi in giro: quello che gli
occorreva era uno strumento qualsiasi, ma trovò solo una
vecchia scopa, inutile per quanto aveva in mente. Lo
sguardo gli cadde su un armadio metallico: lo aprì e rovi-
stò all’interno. Trovò una vecchia zappetta che Anna usa-
va per le cassette dei fiori che fino all’anno prima tenevano
sul balcone. Poteva andare.
Si inginocchiò sul pavimento di terra battuta e menò un

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colpo con l’arnese: come pensava, la terra era umida. Col-
pa delle infiltrazioni d’acqua di cui si erano lamentati mol-
ti condomini. La zappetta penetrò nel terreno con estrema
facilità. In pochi secondi aveva smosso un discreto muc-
chietto di terra e, alzatosi in piedi, considerò soddisfatto il
suo lavoro. Rimise a posto la terra, la calpestò e ripose la
zappetta.
Quando risalì in casa, l’acqua della pasta stava bollendo.
Anna lo squadrò da capo a piedi. « Non ti chiedo cosa
sei andato a fare, Carlo. Me lo dirai domani. La pasta sarà
in tavola tra dieci minuti. Nel frattempo, se posso darti un
consiglio, cambiati e fai una doccia. Puzzi come un ca­
prone. »
Si avviò verso il bagno, mentre Anna gli gridava dietro
di non entrarci con quelle scarpe e quei pantaloni infangati.
In pochi minuti fu di ritorno, in accappatoio. Anna sta-
va sorvegliando la cottura della pasta. In un padellino sfri-
golavano olio, aglio e peperoncino.
« Ho ancora il tempo per un paio di telefonate? »
« È quasi mezzanotte, Carlo! »
« Me ne infischio », rispose Petri e si diresse al telefono. I
numeri li sapeva a memoria.
La prima telefonata fu per Martinelli, che da poco era
diventato procuratore capo.
Sì, sarebbe stato in ufficio per le nove. Cosa era acca-
duto?
« Tempo al tempo, e scusami se ti ho tirato giù dal let-
to », rispose Petri e troncò la conversazione.
La seconda per Miceli. Questa volta si scusò più a lun-
go. Poteva passare da lui un po’ prima delle nove? Voleva
che andasse con lui da Martinelli.
« Certo », rispose Miceli e non fece alcuna domanda.
Petri mangiò con voracità e bevve almeno due bicchieri
di troppo.
Anna gli teneva gli occhi addosso, senza chiedere nulla.
Fu lui a rompere il silenzio, mentre si accendeva una si-

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Licenza edgt-37-270626-b3387911-9788850235988 rilasciata il 26


luglio 2022 a _
garetta: « Se ho visto giusto, ti consiglio di comprare i gior-
nali di dopodomani; se ho preso un abbaglio, ci faccio una
figura di merda ».
Lei non fece alcun commento, preferendo lasciarlo cuo-
cere nel suo brodo. Conoscendolo, non aveva altra scelta.

Il giorno dopo Petri si svegliò alle sette e trenta: aveva


messo la sveglia. Anna, ancora assonnata, gli comunicò
che tanto valeva che anche lei andasse in università.
Alle nove meno un quarto passò a prendere Miceli e in-
sieme si avviarono verso il Palazzo di Giustizia.
Non sapeva se Martinelli fosse al corrente della scom-
parsa del ragioniere, anzi, era portato a escluderlo, perché
la Polizia non aveva avuto alcun motivo di informare la
Procura. Miceli glielo confermò e si divisero i compiti.
« Lei, dottor Miceli, informi il procuratore della situa-
zione, poi interverrò io, d’accordo? E mi perdoni se non le
faccio alcuna anticipazione, ma mi parrebbe scorretto, e
non è escluso che stia prendendo una cantonata. »
Miceli era d’accordo, anche se era chiaro che stesse mo-
rendo di curiosità.
Non fecero anticamera e Martinelli andò loro incontro
con un grande sorriso. « Non mi aspettavo una contempo-
ranea anche col dirigente della Mobile. Volevate farmi una
sorpresa? »
« Non lo so ancora, Martinelli, porta pazienza. Magari ci
facciamo portare un caffè e poi cominciamo. Anzi, comin-
cia il dottor Miceli. Quanto a me, proseguirò poi nel rac-
conto, e starà a voi tirare le somme. Se pensate che sia an-
dato a farfalle, ditemelo chiaramente, non me ne dorrò in
alcun modo », concluse, sapendo di mentire perché, se non
l’avessero preso sul serio, si sarebbe tenuto la coda tra le
gambe per un mese almeno.
In poche parole Miceli informò Martinelli, che lo guar-
dò con aria scettica. « Non mi pare poi questa gran cosa. Il
vostro ragioniere avrà deciso che era venuta l’ora di spas-

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sarsela un po’. Ogni anno svaniscono nell’aria migliaia di
persone. »
« Novemilasettecentoventi, almeno lo scorso anno »,
disse Petri,
Martinelli strabuzzò gli occhi. « Ti sei dato alla statistica,
adesso? »
« Anche », rispose Petri, secco.
« E va bene, adesso sentiamo te. O meglio, sento te, per-
ché il dottor Miceli lo avrai già informato delle tue investi-
gazioni private », fece Martinelli.
« Ti sbagli, Martinelli. Abbiamo lavorato insieme per
più di vent’anni, e ancora non mi conosci », disse Petri
stancamente.
« Scusami. »
« Scuse accettate », rispose Petri. Quindi fece un reso-
conto minuzioso, dalla prima visita alla signora Luigia,
compresa la scoperta della cartolina, fino al suo esperi-
mento della sera prima sul pavimento della cantina. Non
trascurò alcun particolare, compresa la forza fisica della si-
gnora che senza batter ciglio aveva spostato un mobile di
almeno quaranta chili.
A mano a mano che Petri progrediva nel racconto, Mar-
tinelli aggrottava la fronte. Il suo interesse era sempre più
evidente e Petri ne fu rassicurato.
« Ma, dottor Miceli, alle cantine non avete dato neppure
un’occhiata? » sbottò Martinelli alla fine.
Miceli arrossì, ma sostenne lo sguardo del procuratore
con grande tranquillità. « Dottor Martinelli, non abbiamo
fatto una perquisizione, non avevamo motivo di farla e
non eravamo autorizzati a farla. Ci siamo giusto guardati
in giro, alla ricerca di qualche possibile spunto a seguito
della denuncia della signora. La denuncia della scomparsa
del marito, intendo. »
Fu Martinelli a dover abbozzare: « Ha ragione, dottor
Miceli, scusi la mia irruenza. A volte parlo senza pensare,
e sbaglio. Ma rimediamo subito: in cinque minuti le faccio

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preparare l’ordine di perquisizione e un’informazione di
garanzia ». Si rivolse a Petri: « Novanta su cento l’hai cen-
trata. Perché non chiedi una licenza di investigatore pri­
vato? »
« Va’ a farti fottere, Martinelli », grugnì Petri, morden-
dosi subito la lingua per la presenza di Miceli.

Quel che restava del ragionier Bassi fu trovato nella secon-


da cantina, quella di sinistra. Bastò spostare un paio di cas-
se vuote per vedere il pavimento smosso. Il corpo stava
sotto una ventina di centimetri di terra, avvolto in un tap-
peto: indossava pantaloni e camicia e aveva le braccia rac-
colte sul petto. E sul petto vi era una lettera, mai spedita,
nella quale Giorgio scriveva a Paolina che l’avrebbe rag-
giunta il sabato seguente.
L’autopsia chiarì che l’uomo era stato ucciso con due
martellate che gli avevano sfondato la calotta cranica, pro-
babilmente mentre era seduto davanti al televisore, su una
poltrona sulla quale, nonostante gli accurati lavaggi, furo-
no trovate piccole tracce di sangue.
Luigia Bassi, che, rifiutata la presenza di un avvocato,
aveva assistito impassibile alla perquisizione e al ritrova-
mento del corpo, ammise tutto. Era sua abitudine frugare
nelle tasche del marito e la sera del mercoledì, quando si
era messo a vedere la partita, aveva trovato nella giacca la
lettera che, per la fretta di tornare a casa, Giorgio si era di-
menticato di spedire.
« Meglio in cantina, che con quella troia », aveva conclu-
so, come Miceli ebbe modo di raccontare poi a Petri.
Soltanto su una cosa si era impuntata: dei venticinque-
mila euro prelevati da Giorgio lei non sapeva nulla.

Qualche giorno dopo, mentre come al solito indugiavano


un momento a tavola, Petri guardò Anna e si schiarì la vo-
ce: « Che ne diresti se, quando andremo in Puglia, la pren-
dessimo un po’ larga e ripassassimo da Sorrento? »

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« Non sono d’accordo. Dimentichi che ho ancora due
giorni di ferie e, unendoli al sabato e alla domenica, fanno
quattro. Più che sufficiente per andare da Paolina », rispo-
se Anna.
« E quando penseresti di andarci? » chiese lui sorpreso.
« Il prossimo fine settimana », rispose Anna.
Petri assentì.
Tutti i romanzi di Gianni Simoni in e-book

I casi di Petri e Miceli


Miceli e Petri: due galantuomini al servizio della giustizia. Commissario
burbero e rigoroso il primo, che, anche se a un passo dalla pensione, è
sempre pronto ad andare in prima linea pur di difendere i suoi uomini; uo-
mo generoso, amante del buon vino, del tabacco e della moglie Anna il
secondo, che, sebbene in pensione ci sia già, non riesce a perdere il vizio
di difendere i diritti dei giusti e di dare la caccia ai cattivi. Storie di un so-
dalizio professionale e di una profonda amicizia, sullo sfondo di una città
schiva e sfuggente, Brescia.
1.  Un mattino d’ottobre
2.  Commissario domani ucciderò Labruna
3.  Lo specchio del barbiere
4.  La morte al cancello
5.  Pesca con la mosca
6.  Il ferro da stiro
7.  Chiuso per lutto

Le indagini del commissario Lucchesi


Andrea Lucchesi, che da ispettore della Sezione Furti e rapine viene pro-
mosso a commissario della Sezione Omicidi per le sue notevoli capacità,
è un uomo aggressivo, scontroso, sempre arrabbiato col mondo a causa
del colore della sua pelle nera ereditata dalla madre eritrea, ed è pericolo-
samente affezionato al fumo e all’alcol, cosa che gli procura spesso grossi
guai con la Disciplinare; ma è anche uno dei migliori elementi che la Poli-
zia milanese abbia mai avuto. E soprattutto Andrea Lucchesi, per difende-
re il suo ideale di giustizia, non guarda in faccia nessuno, neanche la mor-
te, se è necessario.
1.  Piazza San Sepolcro
2.  Il filosofo di via del Bollo
3.  Sezione Omicidi
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L'apparenza inganna, giudice Petri
Gianni Simoni
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