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luglio 2022 a _
Licenza edgt-37-270626-b3387911-9788850235988 rilasciata il 26
luglio 2022 a _
Gianni Simoni
L’apparenza inganna,
giudice Petri
Petri e Miceli indagano
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del Gruppo editoriale Mauri Spagnol visita:
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Carlo Petri...
... è un ex giudice in pensione, che ha scelto la pensione an-
ticipata per uscire da un sistema troppo rigido e servire la
giustizia dalle retrovie, anche se finisce sempre in prima li-
nea, suo malgrado;
... non farebbe mai nulla senza confrontarsi con Anna, sua
moglie, la sola a dargli vero filo da torcere;
... fuma, qualche volta la pipa, più spesso sigarette, legge
Repubblica, ama il buon vino e si reputa un ottimo cuoco, a
dispetto di tutti i suoi ospiti;
... e ha un’inguaribile senso della giustizia, per la quale è
disposto a sacrificare ogni cosa, anche se stesso.
Il commissario Miceli...
... di nome fa Salvatore (ma solo la moglie, e l’autore, pos-
sono chiamarlo così);
... è stanco delle brutture legate al suo mestiere, e gli manca
poco alla pensione, ma non per questo è disposto a scende-
re a compromessi, mai;
... ogni sera, nonostante tutto, torna a casa sereno, perché
sa che la moglie Lucia lo aspetta sempre con l’affetto del
primo giorno;
... odia il fumo, ma non impedirebbe mai a Petri o all’ispet-
trice Bruni di fumare nella sua stanza durante le indagini;
... gli piace mangiare e bere tanto e bene, ma soffre di
un’antipatica gastrite che lo costringe sempre a dieta.
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Per quanto mi riguarda, tuttavia, vi è anche il semplice diver-
timento dello scrivere in una dimensione, quella del « giallo »,
che non impegna troppo, non impone di mettersi in gioco più di
tanto; ma, nello stesso tempo, permette di far comprendere al let-
tore da che parte si sta, cosa che in un Paese come il nostro, so-
prattutto in questo momento, mi pare obbligatoria.
Così, potrei dire, sono nati i miei gialli, e così è nata l’accop-
piata Petri-Miceli.
Gianni Simoni
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che Giorgio Bassi fosse un funzionario di banca e, nono-
stante questo, attraversasse la vita con grande lievità, qua-
si festosamente, cosa per lui pressoché incomprensibile,
quantomeno secondo l’idea che di un funzionario di banca
si era fatto.
Le cose gli si erano però chiarite quando, durante una
chiacchierata, aveva scoperto che il ragionier Bassi non ve-
deva l’ora di raggiungere il minimo della pensione e di
trasferirsi in campagna; il che poteva non riuscirgli molto
difficile dal momento che, come noto, la moglie aveva ere-
ditato una vera e propria fortuna.
Ebbene, Anna, che un qualche rapporto di buon vicina-
to amava coltivare, lo aveva convinto a invitare una sera a
cena la coppia e lui, pur con qualche riluttanza, aveva ac-
consentito, soprattutto perché col ragioniere si sentiva in
qualche modo in debito.
La cena si era rivelata purtroppo un mezzo disastro:
tanto era affabile e aperto lui, quanto arcigna e limitata si
era mostrata la moglie, una donna secca secca, che aveva o
dimostrava qualche anno più del marito e non aveva fatto
altro che dargli sulla voce, beccandolo in continuazione.
Finché lui aveva finito con lo zittirsi, e la conversazione era
scivolata su argomenti di un’assoluta banalità, che pure
avevano dato modo alla signora Bassi di mostrarsi per
quel che era: una donna gretta, razzista, appartenente alla
destra più ottusa, il cui problema attuale più urgente era
quello di trovare una nuova cameriera fissa, essendo stata
piantata su due piedi, giusto un mese prima, dalla ragazza
che avevano e che, con la scusa della morte del padre, ave-
va fatto le valige, tornandosene nel suo paesello del Sor-
rentino.
Soltanto Anna, col suo savoir-faire, era riuscita a evitare
il peggio, lanciando opportune occhiatacce a Carlo. Così
Petri aveva finito con l’ammutolirsi a sua volta, chieden-
dosi come il ragioniere potesse convivere con una simile
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megera e trovando l’unica spiegazione nel grosso patrimo-
nio di lei.
Tuttavia, Giorgio Bassi era un po’ scaduto nella sua con-
siderazione.
Una quindicina di giorni dopo la spiacevole cena, Anna
gli annunciò di avere ricevuto una visita della moglie del
ragioniere, la signora Luigia, che, sconvolta, le aveva con-
fidato la scomparsa del marito.
Il ragioniere riguadagnò qualche punto nella considera-
zione di Petri. Comunque era a lui che la signora mirava, e
Anna glielo confermò, chiedendogli di fare uno sforzo e di
parlarle.
Petri avrebbe preferito spararsi a un piede, e la prima
cosa che gli venne in mente fu la prossima assemblea di
condominio, il cui solo pensiero bastava a metterlo di pes-
simo umore. E di umor nero divenne all’idea di doversi
confrontare con quella donna, che conosceva appena,
quanto bastava comunque per rendergliela insopportabi-
le. Ma al ragionier Bassi qualcosa pur doveva; la sola pos-
sibilità di una sua defezione condominiale lo faceva rab-
brividire e il pensiero che fosse scomparso lo turbava non
poco, mandando a pallino tutte le sue teorie su quello stra-
no rapporto di coppia.
Concluse che, forse, aveva giudicato male il ragioniere,
il quale, non potendone più, o si era reso uccel di bosco o,
peggio ancora, si era buttato nel fiume. Era comunque
chiaro anche a lui che non poteva chiamarsi fuori e disse
ad Anna di telefonare alla vicina. Prima l’avesse fatto, me-
glio sarebbe stato.
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peggio. In compenso lei conosce la Polizia meglio di me:
cosa posso aspettarmi? Che il nome di mio marito sia an-
notato in un bollettino di ricerche e si trasformi in una pra-
tica burocratica. Lei sa, esclusi i rapimenti, che dobbiamo
escludere, perché a questo punto qualcuno si sarebbe fatto
vivo, lei sa quante persone scompaiono ogni anno senza
che se ne sappia più nulla? »
« A dire la verità... »
« Novemilasettecentoventi », sillabò la signora Luigia.
Petri si chiese dove avesse pescato quella cifra che, nella
sua precisione, lo lasciò allibito. « E quindi? »
« Molto semplice, dottor Petri: io voglio che mio marito
non diventi una semplice cartelletta con nome e cognome.
Se è vivo, voglio che si faccia tutto il possibile per ritrovar-
lo; se è morto, voglio una tomba su cui poter piangere. »
Petri cercò di immaginarsi la signora Bassi, o meglio la
vedova Bassi, che piangeva su una tomba, e gli riuscì diffi-
cile. Al massimo riusciva a vedere la vedova Bassi che, di
quando in quando, passava dalla tomba del marito per
rimproverargli di essere morto. « Ho capito signora, ho ca-
pito perfettamente, ma ancora mi riesce difficile capire co-
sa potrei fare in concreto. »
« Anzitutto, parlare col questore. Se ci vado io, non mi
sta neppure ad ascoltare; se ci va lei, è un altro paio di ma-
niche. » E zittì Petri, che stava per aprir bocca. « In secondo
luogo, magari a tempo perso, annusare qua e là. Era il suo
mestiere, o mi sbaglio? Sono pronta a darle tutto l’aiuto
possibile. »
« Va bene, signora », sospirò Petri. « Suo marito è sem-
pre stato gentile e disponibile con me... »
« Lo so », lo interruppe, irritandolo.
« ... e qualcosa gli devo. Non è che per caso ha lasciato
qualche carta? Che so... un documento, qualcosa insomma
che possa aiutarci? Anche se sono piuttosto scettico. Per
quanto riguarda il questore può stare tranquilla. »
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« Dottor Petri, l’accompagno nella camera di Giorgio.
Può passarci tutto il tempo che vuole. »
« Dormivate separati? » chiese Petri, candido.
« Da parecchi anni. Per certe cose non ho mai avuto una
particolare propensione, con lei posso essere schietta, e
Giorgio amava leggere a letto, la sera, così gli avevo fatto
una camera studio », e lo accompagnò in una stanza che
pareva davvero quella di uno studente: un letto a una
piazza, un armadio, grandi librerie e poster alle pareti e
una scrivania con un computer.
« La lascio solo, dottore. Le porto un caffè? »
« Grazie. » Petri si sedette sulla sponda del letto guar-
dandosi intorno.
Dopo avergli portato il caffè, la signora si era ritirata
con molta discrezione, e Petri spalancò la finestra e si acce-
se una sigaretta. Il posacenere sulla scrivania gli conferma-
va che anche il ragioniere fumava, quindi poteva permet-
terselo.
Si sedette alla scrivania: quattro cassetti per parte, colmi
di carte ben ordinate. Passò un paio d’ore a esaminarle,
senza alcun costrutto. Non vi era traccia di corrispondenza
personale che potesse suggerirgli più di quanto già sapes-
se. Aprì l’armadio: una fila di vestiti ben ordinati appesi
alle grucce. Ispezionò le tasche, alla ricerca di qualche ap-
punto dimenticato: niente.
Stava per uscire dalla stanza quando la sua innata cu-
riosità lo spinse verso le due librerie colme di volumi. Ne
prese qualcuno, lo sfogliò, ma la sua attenzione fu attratta
da un libro nuovo di zecca, evidentemente uscito da poco:
L’arte di viaggiare, di Alain de Botton. Lo scorse e, mentre
stava per riporlo, dalle pagine uscì una cartolina: un paesi-
no su un’altura che dominava una piccola valle. Sul retro
soltanto un nome: Paolina. Lo lasciò perplesso il fatto che
la cartolina fosse indirizzata al ragionier Giorgio Bassi
presso l’agenzia bancaria. Ripose la cartolina nel volume
che si affrettò a rimettere al suo posto, perché bussavano.
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Era la signora Luigia. « Trovato qualcosa di utile? »
chiese.
« No, signora, né me lo aspettavo », rispose Petri.
« Dimenticavo di dirle che c’è anche una piccola cassa-
forte, proprio dietro quel mobiletto. » La donna gli indicò
un mobile basso, massiccio, a due ante, che Petri aveva già
aperto trovandolo ricolmo di cianfrusaglie.
« Aspetti un attimo », disse la signora Luigia e, afferrato
con entrambe le mani il mobile, lo spostò. Sulla parete vi
era una piccola cassaforte a incasso. « La combinazione è
“35777” », disse la signora e la compose facendo scattare
l’apertura. « Dia pure un’occhiata, dottore, anche se ci ho
già guardato io », e uscì.
Dentro c’erano solo ricevute di pagamento e vecchi li-
bretti di assegni. Nulla di interessante, pensò Petri, richiu-
dendola e apprestandosi a rimettere a posto il mobile. Fece
un’enorme fatica a sollevarlo e finì col farlo scorrere sul
pavimento, pieno d’ammirazione per la donna che lo ave-
va spostato con estrema facilità.
Uscì dalla stanza.
La signora Luigia lo aspettava in salotto. « Niente, vero,
dottor Petri? »
« Assolutamente niente », rispose lui. Non sapeva che
altro dire. « Penso che solleciterò le ricerche presso il que-
store, che conosco bene, e prima ancora presso il commis-
sario Miceli, che dirige la Squadra mobile. Nel frattempo,
lei non può che attendere e sperare per il meglio. Forse,
Giorgio si è voluto prendere una piccola vacanza. »
« Mi sembra molto improbabile. Giorgio non è un ra-
gazzo, e non si va in vacanza senza avvertire nessuno. La
moglie, anzitutto, ma anche la sua banca. Il dottor Naldi,
ad esempio, il collega di cui le ho parlato », ribatté la signo-
ra Luigia.
« Certo, signora, ha perfettamente ragione, ma non pen-
siamo subito al peggio, non ve ne sono reali motivi. Po-
trebbe trattarsi di un caso di temporanea amnesia, non è
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poi così raro, sa? Ma mi metto nei suoi panni, sola, in que-
sta grande casa, con Giovannina che l’ha piantata all’im-
provviso... » aveva buttato lì un nome a caso.
« Paolina », lo corresse la signora Luigia. « Si chiamava
Paolina, la cameriera campana. »
« Già, già... Ho visto che l’appartamento è di quasi due-
cento metri quadri, oltre al garage e alle cantine. »
« Non lo so esattamente, dottore. So soltanto che è gran-
dissimo. Lo era già per due persone, può immaginarsi per
una! »
« Va bene, penso che non vi sia altro. A proposito, pensa
che possa esservi qualcosa di interessante nel garage e nel-
le cantine? »
« Lo escludo. Nel garage vi è solo la macchina di Gior-
gio, e l’ho già passata al setaccio. Le cantine non le usava-
mo quasi. Vi sono soltanto dei vecchi mobili che non ci
eravamo ancora decisi a buttare, e null’altro. Sono proprio
adiacenti alla sua e, come sa, andrebbero rifatte, perché so-
no malsane, senz’aria, con quei pavimenti di terra battuta.
Il regno dei topi, temo. »
« Lo so », convenne Petri, ricordando che all’ordine del
giorno di una delle ultime assemblee vi era anche la ri-
strutturazione delle cantine, ma lui era stato di opinione
contraria perché il preventivo gli era sembrato uno spro-
posito, e anche il ragioniere era stato d’accordo, soprattut-
to in quel momento in cui erano oberati di spese per il rifa-
cimento della facciata e per quella portineria che la mag-
gioranza aveva voluto a tutti i costi. Da poco più d’un an-
no, infatti, lo stabile del ventotto era dotato di portineria, e
il servizio era prestato da una coppia di coniugi di mezz’e-
tà, molto discreti ed efficienti che, nonostante tutte le re-
more di Petri, gli erano riusciti subito simpatici e, qualche
volta, si fermava a farci quattro chiacchiere.
Si alzò e si diresse alla porta. « Arrivederci, signora Lui-
gia, le farò sapere l’esito della mia visita in Questura. Oggi
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è sabato e, mi corregga se sbaglio, suo marito non è più
tornato da mercoledì sera, dopo l’ufficio. »
« Esatto, dottore. »
Petri poté finalmente prendere congedo.
Stava per rientrare in casa, quando cambiò idea e im-
boccò le scale, per scendere al piano terreno.
La portinaia stava tirando uno straccio sul pianerottolo,
lucidissimo, mentre, affacciato alla guardiola, il marito
scorreva il giornale.
« Sempre in faccende, eh, signora Carmela? » fece Petri
con un sorriso.
La donna alzò il capo. « Non tutti sono come lei, dottore,
che si pulisce per bene le scarpe sullo zerbino prima di en-
trare. L’ho notato, sa? C’è chi entra portandosi dietro lo
sporco della strada, e io non sono capace di aspettare il
mattino per ripulire. »
Il marito aveva alzato il capo dal giornale. « Ancora nes-
suna notizia del ragioniere? » chiese a Petri, che si doman-
dò cosa si aspettassero tutti da lui.
« Purtroppo no », rispose. « Da quando non è rientrato
dall’ufficio mercoledì sera... »
« Guardi che si sbaglia, dottore », lo interruppe il porti-
naio, « mercoledì sera è rientrato. È stato il mattino dopo, il
giovedì mattina, che è scoppiato il putiferio. »
Petri rimase interdetto. « Forse è lei a sbagliarsi. Mi pare
che già il mercoledì sera non fosse rientrato. »
« Ma no, dottore, non posso sbagliarmi perché era la se-
ra della partita di Coppa Campioni e, siccome il ragioniere
e io tifiamo per la stessa squadra, si è fermato un attimo,
per commentare il fatto che di lì a due ore saremmo stati
tutti e due incollati al televisore. »
Era un argomento decisivo e Petri non trovò nulla da ri-
battere. Certo è che i conti non tornavano più e maledisse
il fatto che fosse sabato. Avrebbe dovuto aspettare il lune-
dì per parlare col dottor Naldi, il collega il cui nome aveva
subito memorizzato.
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Durante la cena ne parlò con Anna che non sembrò dar
peso al particolare. « Ma ti fidi del portiere? Quello ha in
mente soltanto le partite di calcio e in mano sempre la Gaz-
zetta dello Sport. Il discorso che ti ha fatto potrebbe benissi-
mo riferirsi al martedì sera, quando il ragioniere gli po-
trebbe aver parlato della partita del giorno dopo. »
Era possibile, ma Petri ci credeva poco. Il portiere pote-
va anche essere un calciomane, ma gli era parso molto si-
curo di sé.
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Il direttore, sollevato, lo salutò con calore.
Petri uscì dalla banca. Nella testa i pensieri gli si acca-
vallavano e pensò che fosse meglio che le cose si sedimen-
tassero.
Intanto poteva fare un salto in Questura e, cambiando
strada, si diresse verso gli uffici che ben conosceva. Avreb-
be parlato col questore, lo aveva promesso alla signora
Luigia, e, magari, avrebbe trovato il modo di far due chiac-
chiere con Miceli.
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di rivederla così presto, dottore. Ci sono forse buone noti-
zie? »
Petri rimase in silenzio sulla soglia.
« Entri, entri, dottor Petri », disse la signora e lui, che
non aspettava altro, la seguì nel salotto.
« Mi perdoni l’abbigliamento. Stavo facendo le pulizie
di casa e non pensavo di ricevere visite. »
« Non si preoccupi, signora, anzi, mi scusi se non mi so-
no preannunciato con una telefonata. Volevo soltanto dirle
che notizie non ce ne sono, ma che proprio stamane ho
parlato col questore e col dirigente della Mobile, ed en-
trambi mi hanno assicurato il massimo impegno. Suo ma-
rito non è destinato a diventare un numero tra i tanti, di
questo può star certa. »
« Non so come ringraziarla, dottore. Adesso mi sento
più tranquilla », e la signora Luigia si alzò con la chiara in-
tenzione di congedarlo.
« Ancora una cosa, signora », fece Petri, alzandosi. « L’al-
tro giorno ho dato un’occhiata alle carte di Giorgio e non
ho trovato niente di utile. Ma, in casi come questi, si ha
sempre il timore di essere stati superficiali, e davvero non
mi perdonerei se mi fosse passata una traccia sotto il naso
senza che me ne fossi accorto. Le spiacerebbe se dessi
un’altra occhiata? »
Questa volta la sorpresa e l’irritazione della signora Lui-
gia erano evidenti, ma la buona educazione ebbe il soprav-
vento. « Come vuole, se proprio ci tiene. Ma credo che
sprecherà il suo tempo. Ci ho guardato io, ci ha guardato
la Polizia e ci ha guardato lei. Non vedo come potrebbe es-
ser sfuggito qualcosa. »
« Mah, è soltanto un mio scrupolo. Ma non tema che
sprechi il mio tempo. Ne ho da vendere. »
« D’accordo, l’accompagno. » E lo guidò di nuovo nella
camera studio, rimanendo però lì a osservarlo.
Petri friggeva, ma qualcosa doveva pur fare e aprì uno
dei cassetti, sfogliando a una a una le carte all’interno. Si
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sarebbe pur stancata di rimanere lì, pensava, fingendo di
esaminare con interesse fatture, bollette e vecchie prescri-
zioni mediche. Lo colse di sorpresa una grossa busta gial-
la, vuota, che giaceva proprio sul fondo del cassetto. La
busta era stata usata, il rigonfiamento era ancora evidente.
Ricordava di averla già vista e di non averci dato alcun pe-
so. Adesso però le cose cominciavano ad apparirgli sotto
una luce diversa.
La donna non si era mossa di un millimetro. Era una
prova di forza, Petri lo capiva bene, ma non era intenzio-
nato a mollare, pur avendo la sensazione che la padrona di
casa non vedesse l’ora che lui alzasse i tacchi.
Era ormai passato al terzo cassetto, quando si sentì lo
squillo del telefono.
« Mi scusi un momento », disse la signora Luigia e uscì
dalla stanza lasciando la porta aperta.
Petri, che non aspettava altro, balzò verso la libreria e
afferrò il libro sfogliandolo con le mani che gli tremavano.
La cartolina era ancora al suo posto e se la infilò in tasca
con un rapido gesto. Ripose il volume dove l’aveva preso e
tornò alla scrivania.
Appena in tempo, prima che la signora Luigia tornasse
nella stanza.
A quel punto Petri allargò le braccia: « Ha proprio ragio-
ne lei, sprechiamo il nostro tempo », e, radunate le carte, le
ripose nel cassetto.
Ebbe l’impressione che la signora lo salutasse con una
certa freddezza, confortandolo nell’opinione che si era fat-
to di lei: un vecchio e acido baccalà. Restava per lui incom-
prensibile come Giorgio Bassi, che invece sembrava una
trota di montagna, fosse riuscito a sopportarla, quantome-
no fino al mercoledì precedente.
Rientrato in casa, diede due mandate alla serratura e ca-
vò di tasca la cartolina, potendo finalmente osservarla con
maggior attenzione. Non aveva le traveggole: l’indirizzo e
il nome, Paolina, sembravano scritti da un bambino o co-
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agriturismo e magari di qualche buon albergo? » disse An-
na, mentre bevevano il caffè.
« Avevo pensato di andarci oggi pomeriggio, ma... »
« Ma, cosa? » lo interruppe Anna, subito in sospetto.
« Ma... non sono più così sicuro di aver voglia della Pu-
glia, anche tenendo conto del fatto che si tratta di una va-
canza di una sola settimana. »
Ebbe l’impressione che Anna contasse in silenzio fino a
dieci. « Scusa, Carlo, ma questa è proprio bella. Sono due
mesi che parliamo della Puglia, che tu non conosci, abbia-
mo anche studiato un itinerario soddisfacente, e adesso mi
esci fuori con questa novità. È evidente che i tuoi percorsi
mentali mi sono qualche volta ancora sconosciuti. »
« Non prendertela, Anna, sai che a volte cambio idea. Il
fatto è che, tutt’a un tratto, mi ha preso una botta di nostal-
gia per la costiera amalfitana. »
« Ma ci siamo stati tre anni fa! » sbottò Anna.
« Sì, sì, lo so, ma ci siamo passati di fretta, il tempo non
era buono, faceva ancora freddo, e adesso mi piacerebbe
tornarci. Ricordi quel ristorante ad Amalfi? E la vecchia
pasticceria sulla piazzetta, dove eravamo costretti a stare
in giacca a vento per le folate d’aria che tiravano dalla val-
letta delle cartiere? Adesso sarà diverso. »
« Va bene, Carlo, forse hai ragione, in Puglia potremmo
andare a settembre. Anch’io ricordo il ristorante e la pa-
sticceria e ricordo anche altro », e Anna, arrossendo un po-
co, si lasciò andare a un sorriso complice accarezzandogli
una mano. « Vada per la costiera. Però, all’agenzia ci vai e,
magari, prenoti l’albergo dell’altra volta... »
« Se devo essere sincero, ho fatto un colpo di telefono
proprio poco prima che tu rientrassi. Se confermiamo en-
tro stasera, ci riservano la stessa stanza. »
Anna lo guardò allibita, ma sempre col sorriso sulle lab-
bra. « Carlo, come dovrei definirti? Un animale, come al
solito, ma sempre il mio animale preferito. » E accostò la
sedia alla sua. « Vai a fare il solito riposino, adesso? »
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« Sì », rispose lui, guardandola negli occhi.
« Non ti dispiace, vero, se oggi vengo anch’io? »
Lui le fece una carezza sulle gambe accavallate, indu-
giandovi un momento.
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Carlo, la chiesa è ancora aperta. Potremmo rivolgerci al
prete ».
« Brava Anna, forse ci sarei arrivato anch’io. »
Parcheggiarono la macchina all’ombra di un platano e si
addentrarono nella chiesa buia, a quell’ora completamente
deserta, dirigendosi verso l’altare.
Petri stava per gridare: « C’è nessuno in casa? » ma si
trattenne in tempo, lasciandosi scappare un sorriso.
Anna lo guardò senza capire.
Stavano davanti all’altare, non sapendo bene dove diri-
gersi, quando da una porta laterale, che nell’ombra non
avevano visto, si materializzò un vecchio prete, canuto, di
una magrezza scheletrica, con un gran naso aquilino. « Vi
serve qualcosa? » chiese con un forte accento campano.
« Ci scusi, reverendo », disse Anna, precedendo il mari-
to, « cerchiamo una sua parrocchiana, una ragazza giova-
ne, Paolina, che fino a qualche mese fa lavorava come do-
mestica al nord e che crediamo sia tornata al paese per la
morte del padre. La conosciamo e, trovandoci da queste
parti, vorremmo salutarla. »
« Paolina... una piccirilla sfortunata che avrebbe fatto
bene a restarsene qui. Certo che è tornata, ma non per la
morte del padre. Altre sono le disgrazie che possono tocca-
re a una povera ragazza. Voi chi siete? »
« Amici che le volevano bene », rispose Anna, mentre
Petri restava in silenzio.
« In chiesa ci viene poco, è un momento difficile, biso-
gna capirla, ma, se volete vederla, seguite la strada fino al-
la fine del paese. Dopo l’ultima casa, incomincia un vigne-
to e proprio là in mezzo c’è un casale: è lì che sta Paolina. »
Le indicazioni erano precise e non ci si poteva sbagliare.
In meno di un quarto d’ora, mentre il sole picchiava come
un martello, raggiunsero a piedi il vigneto.
Un vecchio stava zappando tra i filari e alzò il capo, so-
spettoso. Vedendo una coppia di mezz’età sembrò rassicu-
rato. « Cercate qualcuno? » chiese.
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Paolina era ancora seduta al tavolo. Davanti una brocca
d’acqua e due bicchieri. Una vecchia sonnecchiava in un
angolo.
« Mi scusi Paolina », disse piano Petri, « mia moglie mi
ha raccontato quello che è successo, e me ne dispiace, me
ne dispiace moltissimo. Davvero Giorgio la voleva rag-
giungere qui? »
« Sì, dottore. Con Giorgio ci volevamo bene e, quando
sono partita, perché mi ero accorta di aspettare un bambi-
no, Giorgio era felice e mi aveva assicurato che entro poco
tempo mi avrebbe raggiunto. Avrebbe piantato tutto. Nel
frattempo, mi scriveva e mi mandava anche dei soldi per-
ché aggiustassi la stanza per il bambino. Diceva che avreb-
be fatto l’agricoltore anche lui, e io ci credevo perché era
una persona per bene, tanto dolce. »
« Ma dopo l’ultima lettera che le è stata respinta, lei non
gli ha più scritto? »
« No. Lui conosceva il mio indirizzo e avrebbe potuto
farsi vivo. Non sono abituata a chiedere la carità. Se ha de-
ciso così, non sarò certo io a seccarlo. Che se ne stia con sua
moglie. Io mi tengo il mio bambino. »
Petri la guardava e avrebbe voluto farle una carezza.
Adesso gli pareva di averla incontrata qualche volta sulle
scale di casa, ma poteva anche essere un’impressione sba-
gliata.
« Mi dispiace, Paolina, mi dispiace proprio che sia finita
così, anche perché anch’io conosco il ragionier Giorgio e
mi è sempre sembrato una persona di parola. Non so pro-
prio cosa dire. Ma possiamo fare qualcosa per lei? Per il
bambino, non so... Mi dica lei », e Petri si impappinò.
« Grazie. Me lo ha già chiesto sua moglie. Non ho biso-
gno di niente e non voglio niente. Semmai vi chiedo un fa-
vore: Giorgio mi aveva mandato trentamila euro in tutto,
ma io la stanza per il bambino l’ho aggiustata con i soldi
miei. I trentamila euro li ho messi da parte e sarei contenta
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se li restituiste a Giorgio. Se lui non mi vuole più, io non
voglio niente da lui. »
« Li tenga i soldi, Paolina, li tenga che verranno utili per
il bambino. Restituirli non posso perché, non so se mia
moglie glielo ha detto, il ragioniere non si sa dove sia,
quindi dovrei restituirli alla signora Luigia, e non mi sem-
bra davvero il caso », spiegò Petri.
« A quella vipera no! » sbottò Paolina. Piuttosto li porto
in chiesa. »
« Ma che chiesa e chiesa! Il bambino! Pensi al bambino. »
La ragazza rimase in silenzio.
Davvero una bella ragazza, pensò per la prima volta
Petri.
Poi, all’improvviso domandò: « Ma, scusi, dottor Petri,
ha detto che non si sa dove sia Giorgio. Non è più a casa e
non è più in banca. Allora, magari è partito per venire giù
e gli è successo qualcosa. » Si mise a piangere, piano.
« Non lo so, Paolina, non lo so davvero. Ma adesso ab-
biamo il suo indirizzo e, se scopriremo qualcosa, le scrive-
remo subito. In ogni caso, per qualsiasi cosa le possa occor-
rere, il nostro indirizzo è questo », e Petri scrisse su un fo-
glietto strappato dal taccuino nome, cognome e indirizzo,
che la ragazza conosceva perfettamente.
Tornarono in paese, camminando piano. Il sole era rab-
bioso e nessuno dei due aveva voglia di parlare. Entrarono
nel caffè. Ai tavolini, fuori, non c’era più nessuno.
« E se chiedessimo qualcosa da mangiare? » propose
Petri.
« Per me va bene, anche se non ho fame », rispose Anna.
Si accontentarono di un po’ di pane, un pezzo di caciot-
ta e del salame che pizzicava. La birra era quasi tiepida e
fece storcere la bocca a tutti e due.
Petri era silenzioso, masticava lentamente e pareva im-
merso nei suoi pensieri. Chiese un caffè. Si ustionò la lin-
gua, ma non se la prese. Aveva iniziato a borbottare: mez-
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ze parole che, come spesso gli accadeva quando era con-
centrato, gli salivano alle labbra.
Anna taceva e aspettava. A un certo punto perse la pa-
zienza: « Carlo, tutti e due ci siamo rimasti male, io malis-
simo direi, ma tu adesso stai correndo da solo. No, no, non
voglio saper nulla di quello che ti passa per la testa, ma
non sono stupida. Non è che, per caso, intendi anticipare il
ritorno? »
Lui la guardò stupito, pieno di gratitudine. « Non ti di-
spiace? »
« Non posso dirti che mi metterò a fare salti di gioia, ma
il pensiero di passare altri due giorni da sola... No, non
protestare, Carlo. Tu non ci sei. Il pensiero di restare a
guardarti mentre ti arrovelli non mi sorride di certo. Va
bene, mettiamoci in macchina e partiamo. Comunque, so-
no in credito di due giorni di vacanza e ho intenzione di ri-
scuoterli al più presto », e Anna allargò la bocca in un sor-
riso.
« Grazie, Anna », riuscì a dire Petri e, pagato il conto, si
mise al posto di guida. Anna fece a malapena in tempo a
richiudere la portiera.
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« Di Giorgio ancora nessuna notizia », continuò la signo-
ra e si fermò a chiacchierare con Anna, mentre lui, con le
valige, si avviava verso l’ascensore.
Aveva già sistemato i bagagli in guardaroba, quando
entrò Anna.
« Che impressione ti ha fatto la povera signora Luigia? »
le chiese.
« Che non è affatto una povera signora, neppure in sen-
so figurato. Anzi, se avesse qualche anno di meno, mi sa-
rebbe parsa una vedova allegra. Ma non è neppure da
escluderlo. Adesso la vita ricomincia a cinquant’anni. »
« Ai miei tempi, se non ricordo male, ricominciava a
quaranta. Ma si vede che i tempi cambiano », ribatté Petri
di pessimo umore.
« Su, Carlo, adesso fai il bravo. Mangiamo qualcosa e ce
ne andiamo a letto. Domani potremo alzarci quando ci pa-
re: non possiamo considerarci ancora in vacanza? »
Lui non la stava neppure ad ascoltare e frugava in un
cassetto alla ricerca di un mazzo di chiavi.
« Carlo, che stai facendo? Non vuoi cenare? »
« Pensaci tu e dammi cinque minuti. Voglio scendere un
momento in cantina. »
« Va bene, vai pure in cantina, ma, se cerchi il vino,
guarda che ce n’è un paio di bottiglie nel ripostiglio. »
« Non cerco il vino », borbottò Petri, infilando la porta.
Scese nell’interrato e si diresse alla sua cantina: era tanta
la furia che non riusciva a infilare la chiave nella serratura
del lucchetto.
Entrò e accese la luce guardandosi in giro: quello che gli
occorreva era uno strumento qualsiasi, ma trovò solo una
vecchia scopa, inutile per quanto aveva in mente. Lo
sguardo gli cadde su un armadio metallico: lo aprì e rovi-
stò all’interno. Trovò una vecchia zappetta che Anna usa-
va per le cassette dei fiori che fino all’anno prima tenevano
sul balcone. Poteva andare.
Si inginocchiò sul pavimento di terra battuta e menò un
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colpo con l’arnese: come pensava, la terra era umida. Col-
pa delle infiltrazioni d’acqua di cui si erano lamentati mol-
ti condomini. La zappetta penetrò nel terreno con estrema
facilità. In pochi secondi aveva smosso un discreto muc-
chietto di terra e, alzatosi in piedi, considerò soddisfatto il
suo lavoro. Rimise a posto la terra, la calpestò e ripose la
zappetta.
Quando risalì in casa, l’acqua della pasta stava bollendo.
Anna lo squadrò da capo a piedi. « Non ti chiedo cosa
sei andato a fare, Carlo. Me lo dirai domani. La pasta sarà
in tavola tra dieci minuti. Nel frattempo, se posso darti un
consiglio, cambiati e fai una doccia. Puzzi come un ca
prone. »
Si avviò verso il bagno, mentre Anna gli gridava dietro
di non entrarci con quelle scarpe e quei pantaloni infangati.
In pochi minuti fu di ritorno, in accappatoio. Anna sta-
va sorvegliando la cottura della pasta. In un padellino sfri-
golavano olio, aglio e peperoncino.
« Ho ancora il tempo per un paio di telefonate? »
« È quasi mezzanotte, Carlo! »
« Me ne infischio », rispose Petri e si diresse al telefono. I
numeri li sapeva a memoria.
La prima telefonata fu per Martinelli, che da poco era
diventato procuratore capo.
Sì, sarebbe stato in ufficio per le nove. Cosa era acca-
duto?
« Tempo al tempo, e scusami se ti ho tirato giù dal let-
to », rispose Petri e troncò la conversazione.
La seconda per Miceli. Questa volta si scusò più a lun-
go. Poteva passare da lui un po’ prima delle nove? Voleva
che andasse con lui da Martinelli.
« Certo », rispose Miceli e non fece alcuna domanda.
Petri mangiò con voracità e bevve almeno due bicchieri
di troppo.
Anna gli teneva gli occhi addosso, senza chiedere nulla.
Fu lui a rompere il silenzio, mentre si accendeva una si-
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sarsela un po’. Ogni anno svaniscono nell’aria migliaia di
persone. »
« Novemilasettecentoventi, almeno lo scorso anno »,
disse Petri,
Martinelli strabuzzò gli occhi. « Ti sei dato alla statistica,
adesso? »
« Anche », rispose Petri, secco.
« E va bene, adesso sentiamo te. O meglio, sento te, per-
ché il dottor Miceli lo avrai già informato delle tue investi-
gazioni private », fece Martinelli.
« Ti sbagli, Martinelli. Abbiamo lavorato insieme per
più di vent’anni, e ancora non mi conosci », disse Petri
stancamente.
« Scusami. »
« Scuse accettate », rispose Petri. Quindi fece un reso-
conto minuzioso, dalla prima visita alla signora Luigia,
compresa la scoperta della cartolina, fino al suo esperi-
mento della sera prima sul pavimento della cantina. Non
trascurò alcun particolare, compresa la forza fisica della si-
gnora che senza batter ciglio aveva spostato un mobile di
almeno quaranta chili.
A mano a mano che Petri progrediva nel racconto, Mar-
tinelli aggrottava la fronte. Il suo interesse era sempre più
evidente e Petri ne fu rassicurato.
« Ma, dottor Miceli, alle cantine non avete dato neppure
un’occhiata? » sbottò Martinelli alla fine.
Miceli arrossì, ma sostenne lo sguardo del procuratore
con grande tranquillità. « Dottor Martinelli, non abbiamo
fatto una perquisizione, non avevamo motivo di farla e
non eravamo autorizzati a farla. Ci siamo giusto guardati
in giro, alla ricerca di qualche possibile spunto a seguito
della denuncia della signora. La denuncia della scomparsa
del marito, intendo. »
Fu Martinelli a dover abbozzare: « Ha ragione, dottor
Miceli, scusi la mia irruenza. A volte parlo senza pensare,
e sbaglio. Ma rimediamo subito: in cinque minuti le faccio
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preparare l’ordine di perquisizione e un’informazione di
garanzia ». Si rivolse a Petri: « Novanta su cento l’hai cen-
trata. Perché non chiedi una licenza di investigatore pri
vato? »
« Va’ a farti fottere, Martinelli », grugnì Petri, morden-
dosi subito la lingua per la presenza di Miceli.
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« Non sono d’accordo. Dimentichi che ho ancora due
giorni di ferie e, unendoli al sabato e alla domenica, fanno
quattro. Più che sufficiente per andare da Paolina », rispo-
se Anna.
« E quando penseresti di andarci? » chiese lui sorpreso.
« Il prossimo fine settimana », rispose Anna.
Petri assentì.
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