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Arturo e Ginevra

(Dove covano le aquile)

“Nonno! Hai promesso che mi ci porti!”


“Aspettiamo che faccia meno freddo e andiamo, lo sai che mantengo sempre le
promesse”
“Ma sei sicuro che la troviamo lì?”
“Penso proprio di sì. Sono dieci anni che fa il nido su quella parete, se non è successo
nulla a lei o al suo compagno, dovremo trovarli che stanno covando”
“Che vuol dire -stanno covando-? mica covano i maschi!”
“Invece sì, i maschi di aquila si alternano alla femmina nella cova e nella cura del nido,
sono compagni molto premurosi”
“Non vedo l’ora di andare…” Disse Valerio continuando a sfogliare l’album di foto
del Nonno.
Aquile, falchi, cervi, lupi e tanti, tanti, bellissimi paesaggi erano immortalati in quelle
pagine. Immagini che raccontavano una vita passata tra le montagne di mezza Europa
e che avevano permesso a migliaia di persone di conoscere lo stupendo pianeta in cui
viviamo. Fare il fotografo naturalista, per Adriano, più che un lavoro era stata una
passione, e ora che l’età e gli acciacchi lo avevano costretto a smettere di passare
giornate all’addiaccio, in interminabili appostamenti per riprendere gli animali più
schivi o per cercare la luce giusta per una foto, mal sopportava la clausura e i pomeriggi
in poltrona. Al primo raggio di sole, zaino in spalla, con un’ora di macchina
raggiungeva le montagne più vicine, per continuare a trasformare in immagine tutto
quello che lo sguardo poteva catturare. La presenza del nipote poi, oltre all’immenso
piacere di stare con lui, rappresentava certamente un ottimo pretesto per tornare in quei
luoghi dell’Appennino così vicino Roma che conosceva come le proprie tasche.
L’inverno passò in fretta, le giornate cominciarono ad allungarsi e Valerio divenne
sempre più insistente. Quel sabato pomeriggio era andato a casa del nonno, come
accadeva spesso, e si divertiva a frugare tra i suoi album e a leggere le riviste
naturalistiche con gli articoli sugli animali, dove erano pubblicate le foto di Adriano.
Poco prima che andasse via il nonno disse:
“Ho parlato con i tuoi genitori e abbiamo il loro permesso, vai a dormire presto questa
sera, domani si parte di buon’ora, andiamo sul Monte Pellecchia a vedere le aquile.”
Valerio non stava più nella pelle per l’emozione, finalmente poteva vedere da vicino
quei luoghi che aveva visitato con la fantasia guardando le foto e ascoltando i racconti
del nonno. Andando a letto mise la sveglia alle sei, per essere pronto per le sette,
quando il nonno sarebbe passato a prenderlo. Aprì gli occhi qualche minuto prima che
suonasse. Nei giorni che andava a scuola lo svegliava la mamma, ma la domenica i
genitori volevano poltrire un po’ di più e lui, per non disturbarli, aveva imparato a
essere autonomo.
Si vestì pesante, faceva ancora fresco in montagna la mattina, mise gli scarponcini,
preparò lo zaino, mettendoci i panini preparati dalla mamma, una borraccia con
l’acqua, l’inseparabile coltellino mille usi e il binocolo del papà, che prima di lui lo
aveva usato per gli stessi scopi.
Quando il nonno diede un colpetto di citofono lui stava già scendendo di corsa le scale.
La giornata era limpidissima e la primavera irrompeva con colori e odori che si
spandevano nell’aria. Era la fine di aprile e, lungo la strada, i colori grigi dell’inverno
lasciavano il posto ad un’esplosione di mille sfumature di verde.
Lasciata l’autostrada, il Nonno imboccò una strada tutta curve che si inerpicava sulla
montagna.
“Che monti sono questi?” Chiese Valerio
“Sono i Monti Lucretili, l’aquila che andiamo a trovare fa il nido su una parete del
Monte Pellecchia, che è il monte più alto di questo gruppo. Pensa che questo nido di
aquila è il più vicino a Roma. Si dice che le aquile abbiano costruito il nido qui sin dal
tempo degli antichi romani, tramandandosi la tradizione di madre in figlia; però non so
se sia vero, ma mi piace crederci” Rispose il Nonno sorridendo.
Arrivati in un punto in cui la strada fa una curva stretta, con un ponte che scavalca un
fiumiciattolo, il Nonno si fermò.
“Ecco, siamo arrivati, ora parcheggio. Il sentiero è quello lì sulla destra del torrente”
Lasciata la macchina in una rientranza sul lato della strada, imboccarono un viottolo,
un po’ nascosto dalla vegetazione, lastricato di sassolini bianchi, che costeggiava il
corso d’acqua.
Il Nonno avanti apriva la strada, scansando rovi e arbusti che impedivano il passaggio.
Dietro di lui Valerio arrancava, attento a non pungersi con l’ortica che stava crescendo
rigogliosa.
L’acqua del torrente era limpidissima. Scendeva, rapida, saltando di sasso in sasso, di
buca in buca. Sulla riva di una pozza un po’ più lenta, Valerio vide un piccolo uccello
marroncino con la pancia bianca, che abbassava rapido la testa e la coda. Non stava
fermo un secondo, muovendosi e saltando da un sasso all’altro, sembrava proprio
volesse fare il bagno.
“Che uccello è quello Nonno?” Chiese Valerio.
“E’ un merlo acquaiolo” disse il Nonno “Lui si mette su un sasso e aspetta di vedere
nell’acqua un insetto, una larva, o un piccolo pesciolino; allora si tuffa
improvvisamente, oppure cammina fino ad essere completamente sommerso. Mentre
cammina, smuove i sassi del fondale per mettere allo scoperto le prede e poi usa le ali
muscolose come pinne per "volare" sott'acqua” Gli rispose il Nonno.
“Insomma un merlo sommozzatore” fece Valerio ridendo, e proseguirono il cammino
lasciando l’uccellino alla sua caccia.
Man mano che andavano avanti, il sentiero si faceva più stretto e ripido, allontanandosi
dal torrente per proseguire su un fianco della montagna.
Camminarono per quasi un’ora. Adriano di tanto in tanto rallentava per consentire a
Valerio di mantenere il passo, ma il ragazzo teneva duro, non rinunciando a
sommergere il Nonno di domande su tutto ciò che incontravano lungo il camino.
Finalmente arrivarono in un punto in cui la valle si apriva, lasciando spazio a un piccolo
altopiano ricco di vegetazione. Vicino al rudere di un vecchio stazzo di pastori, in parte
coperto dalla vegetazione e dal muschio, c’erano alcuni alberi di ciliegio e un melo
fioriti. I fiori del ciliegio erano di un bellissimo rosa acceso che spiccava sul verde di
fondo della valle, mentre i fiori del melo erano bianchi con lievi striature di rosa
pallido.
“Ci fermiamo qui” Disse il Nonno, poggiando a terra il pesante zaino che conteneva,
oltre alle provviste, anche l’attrezzatura fotografica.
“Qui? Ma dove sono le aquile?” Chiese Valerio perplesso.
“Guarda quella parete. Vedi quelle due grandi macchie scure? Quelli sono i due nidi
costruiti dalle aquile. Ogni anno decidono di utilizzare uno o l’altro a seconda del
tempo e dell’andamento della stagione. Sono fatti di rami e di frasche, per capire quale
hanno usato quest’anno basta guardare quello che ha dei rami e foglie più verdi”
Rispose il Nonno” Prendi il binocolo, guarda, probabilmente in uno dei due vedrai
un’aquila che sta covando”
Valerio prese il binocolo mentre il nonno montava il treppiede per la macchina
fotografica che aveva un lungo teleobiettivo che ingrandiva tanto l’immagine, per
fotografare le aquile nel loro nido. La parete della montagna era distante un centinaio
di metri dalla loro postazione e si alzava in verticale per almeno cinquanta. Era ripida
ma piena di anfratti. Su una specie di terrazzino di roccia stava il primo nido, più in
alto spostato di alcuni metri c’era l’altro, incastrato in una fenditura. Quest’ultimo
sembrava essere il più recente e rigoglioso di rami, foglie e frasche.
“E’ lì! L’ho vista! Ce n’è una nel nido, quello più alto a destra” gridò Valerio con
entusiasmo.
“Shhh! Fai piano! Non gridare. Siamo abbastanza vicini e non dobbiamo assolutamente
disturbare. Se l’aquila è nel nido vuol dire che quest’anno ha deposto una o due uova
e in questo momento o sta covando, o sta proteggendo i piccoli dal freddo” gli rispose
Adriano parlando sottovoce.
“È tutta marrone ma ha sulla testa delle penne più chiare, sembrano dorate” Continuò
Il nipote.
“Sono le penne che costituiscono la “corona”, per questa caratteristica è stata chiamata
aquila reale” Gli rispose il nonno.
“Ma dov’è l’altra aquila e quanto tempo ci mettono a nascere i piccoli?” chiese il
ragazzo sempre più eccitato.
“Vedi Valerio, ogni specie in natura ho i propri tempi e i propri rituali per riprodursi.
Quando due aquile voglio mettere su famiglia, intorno al mese di marzo, la femmina e
il maschio, sempre gli stessi, perché le coppie di aquile sono fedeli per tutta la vita,
fanno un bellissimo volo chiamato la “danza del cielo “. Per un po’ di giorni fanno
fantastiche evoluzioni, spesso la femmina vola a capo rovesciato mentre il maschio
sembra cadere sopra, o con scambi di preda in volo o giri della morte.
Dopo questo corteggiamento l’aquila depone solitamente una o due uova, a distanza di
alcuni giorni l’una dall’altra. In questo periodo il maschio è poco presente e poi
ricompare dopo circa 40 giorni, quando le uova si schiudono, per portare cibo sia alla
madre che ai piccoli dei quali, solitamente, solo uno sopravvive. Dopo due mesi, i
pulcini diventano aquilotti ed iniziano ad esercitarsi nel volo sul bordo del nido. Fanno
il primo volo a 75 giorni e quando ne hanno 160 diventano indipendenti”. Il Nonno
coglieva ogni occasione per raccontare a Valerio tutto quello che aveva appreso
durante lunghi anni in cui aveva fotografato e studiato la natura e Valerio lo ascoltava
sempre a bocca aperta, tutto intento ad assorbire come una spugna tutto ciò che Adriano
raccontava.
“Hai detto – solitamente solo uno sopravvive - perché?”
“Perché nella maggioranza dei casi il primo a nascere, o il più grosso, butta giù dal
nido il fratello per mangiare tutto lui quello che la madre o il padre portano nel nido”
Gli rispose il Nonno “Ma non devi giudicare gli animali con lo stesso metro con il
quale valutiamo le azioni degli uomini. Loro agiscono secondo il loro istinto che ha
come principio la conservazione della specie. Se la selezione naturale ha, in centinaia
di anni, selezionato questi comportamenti vuol dire che sono funzionali al fatto che
almeno uno sopravviva e che sia il più forte, questo nel tempo rende la specie più
resistente all’ambiente dove vive. Ti ricordi quando ti ho parlato di Darwin e della
teoria dell’Evoluzione della Specie?”
“Sì Nonno, mi ricordo bene, è quella che sostiene che, gli individui di una popolazione
sono in competizione fra loro per le risorse naturali; in questa lotta per la
sopravvivenza, l'ambiente opera una selezione, detta selezione naturale. Con la
selezione naturale vengono eliminati gli individui più deboli, solo i più adatti
sopravvivono e trasmettono i loro caratteri ai figli. Mi è sembrato sempre un po’
crudele però!” Rispose pronto Valerio, che aveva un’autentica passione per le Scienze
Naturali e “divorava” libri su libri su questi argomenti.
“Bravo! Vedo che le cose che ti interessano te le ricordi bene” aggiunse Adriano,
entusiasta che il nipote avesse quegli interessi “Ed è vero che è crudele, se la vedi con
occhi “umani”. Ma per l’uomo è diverso, noi abbiamo i valori morali ed etici che ci
fanno agire secondo logiche molto diverse da quella della selezione naturale. A dire il
vero anche noi la subiamo ma, almeno nella maggioranza dei casi, ce ne guardiamo
bene da applicarla ai nostri simili. Per farti un esempio: nella nostra organizzazione
sociale, se un ragazzo è più debole o ha dei problemi che gli rendono difficile
l’esistenza, noi cerchiamo di aiutarlo comunque a crescere e a trovare un ruolo e uno
spazio per lui nella società, riconoscendo a tutti gli esseri umani il diritto alla vita e alla
felicità. Purtroppo, non tutti gli uomini la pensano così ed è successo spesso nel corso
dei secoli e anche in epoche recenti, che i più deboli o i “diversi”, venissero considerati
un fardello inutile, o addirittura dannoso, per la comunità, da eliminare o lasciar morire.
Ma adesso vediamo se si sono già schiuse le uova e ci sono gli aquilotti nel nido”
Concluse il nonno che nel frattempo aveva finito di montare il cavalletto con la
macchina fotografica che aveva un lungo teleobiettivo che ingrandiva più del binocolo.
“Guarda Valerio, guarda anche tu, come si vede bene l’aquila nel nido”
Valerio guardò nell’oculare della macchina fotografica e, proprio in quel momento,
l’aquila si scansò un po’ di lato come per sistemare dei ramoscelli e sotto di lei apparve
come un grosso batuffolo di cotone bianco, era un pulcino “ciccione” che si agitava
reclamando la colazione.
“Nonno guarda! C’è l’aquilotto!” gridò Valerio tutto emozionato.
Il nonno guardò nella macchina fotografica e, dopo aver sistemato meglio l’obiettivo
scattò alcune foto.
“Sì, c’è un piccolo nel nido. Bene! La tradizione dell’aquila del Pellecchia continua!”
esclamò
Da lì a poco si sentì lo stridio di un rapace e, dalla cresta della montagna apparve il
maschio che stringeva negli artigli una preda. Dopo un breve volo, disegnando un
ampio cerchio, si posò su uno sperone di roccia posto un po’ più in alto del nido.
L’animale che aveva catturato e ucciso sembrava essere una lepre o un coniglio
selvatico e, dopo averlo sistemato bene perché non cadesse, cominciò a smembrarlo
con il becco tenendolo fermo con i potenti artigli. Le due aquile si scambiarono dei
richiami di saluto e dopo poco il maschio raggiunse la femmina nel nido e iniziò a
imboccare il piccolo con dei brandelli di carne che aveva strappato precedentemente
alla preda. La femmina allora lasciò il nido e volò sulla roccia dove era rimasto il resto
della lepre per mangiare anche lei.
Adriano e Valerio assistettero incantanti a quello spettacolo della natura. Il maschio
era un po’ più piccolo della femmina e colpiva la delicatezza con la quale imboccava
il piccolo. Strappava pezzetti piccoli di carne e li adagiava nel becco spalancato
dell’aquilotto. Intanto la femmina, dopo essersi saziata, non tornò subito al nido ma,
sfruttando le correnti calde ascensionali che le permettevano di prendere quota senza
dover battere le ali, volò in alto facendo una spirale di cerchi concentrici. Il suo volo
dava una sensazione di maestosità e di dominio dell’aria che solo i grandi condor delle
Ande o gli avvoltoi Grifoni potevano vantare.
Finito di imboccare il piccolo, il maschio la raggiunse e, volando insieme in cerchio,
cominciarono a salire sempre più in alto diventando due puntini neri lontani sullo
sfondo azzurro.
“Nonno, ma lasciano il piccolo da solo nel nido?” disse allarmato Valerio
“Non ti preoccupare lo tengono sempre d’occhio, anche se sembrano così lontani,
vedrai che la femmina non starà via molto”.
Infatti, dopo una decina di minuti, l’aquila fece ritorno al nido, diede una rassettata alle
frasche e si riaccomodò a proteggere il piccolo dal freddo.
“Comunque dobbiamo dare loro un nome, non va bene che li chiamiamo solo
“Femmina” o “Maschio” di aquila” sentenziò Valerio dopo averci riflettuto a lungo “Io
proporrei di chiamarli Arturo e Ginevra, che ne dici?”
“Sì, mi sembrano due nomi appropriati, in fondo sono la regina e il re del cielo” rispose
Adriano stando al gioco.
Nonno e nipote, rimasero lì a rimirare la vita della famigliola di aquile tutto il giorno.
Chiacchierando e facendo fotografie le ore passarono veloci. Ad un certo punto, tra le
tante domande Valerio chiese:
“Come mai conosci da così tanto tempo questo posto?”
“Ho cominciato a venire qua da ragazzo, avrò avuto poco più di vent’anni. La LIPU
organizzava dei campi di sorveglianza al nido delle aquile per evitare che qualche
malintenzionato le disturbasse o andasse addirittura a rubare i piccoli nel nido, cosa
che, purtroppo, avveniva spesso. Facevamo dei turni di alcuni giorni, alternandoci a
coppie di due per volta per sicurezza. Io l’ho fatto per tanti anni, pensa ci sono venuto
anche con tua nonna! Era bellissimo passare le nottate sotto le stelle, farsi il caffè la
mattina con il fornelletto da campo, poter ammirare lo spettacolo delle aquile quando
cacciavano e conoscere la loro vita giorno per giorno. Bei tempi!” Aggiunse Adriano
con un velo di malinconia. Poi scuotendosi da quello stato d’animo disse:
“È arrivata l’ora di andare, ma potremo tornare tutte le volte che lo vorrai, ti è
piaciuto?”
“È stato fantastico Nonno! Anche io porterò qui i miei figli e poi i miei nipoti, speriamo
che le aquile continuino sempre a fare il nido su queste montagne”
“Questo dipenderà anche da noi, dagli uomini, da quanto sapremo rispettare l’ambiente
dove vivono. Le aquile, come i lupi e gli orsi, sono in cima alla catena alimentare e
ogni cosa che facciamo, ogni veleno che utilizziamo, ogni danno che creiamo
all’ambiente, si ripercuote sulla loro vita e sulla capacità di riprodursi” Rispose
Adriano.
Raccolsero le loro cose e messi in spalla gli zaini iniziarono la discesa verso la
macchina. Il sole era calato dietro la cima del Monte Pellecchia e, anche se c’era ancora
luce, all’ombra cominciava a fare freddo.
Il ritorno fu più rapido anche se un po’ triste, perché a Valerio dispiaceva lasciare quel
posto e non solamente a lui. Discesero senza dire una parola, ciascuno preso dai propri
pensieri.
Arrivati alla macchina, caricarono gli zaini nel portabagagli e partirono verso casa.
Prima di imboccare l’autostrada Valerio disse ancora:
“Grazie Nonno, è stata una giornata stupenda non la dimenticherò mai”
“Sono felice che ti sia piaciuto e che lo abbia trovato interessante, vedrai ne faremo
altre” Rispose Adriano. Ma quando si voltò verso il nipote si accorse che si era
addormentato, la sveglia mattutina e le emozioni della giornata lo avevano stancato;
sul viso aveva stampato un sorriso, forse stava sognando di volare in alto, libero come
un’aquila.

F.L.

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