Sei sulla pagina 1di 3

«Cominciamo molto semplicemente da un uomo che guarda la

televisione. È possibile che quest’uomo venga condotto alla pazzia


molto lentamente, per gradi, un programma dopo l’altro,
un’interruzione pubblicitaria dopo l’altra. Eppure continua a
guardarla. Cosa c’è dentro quella scatola? Perché l’uomo continua
a guardarla?»
«Il televisore è un contenitore pieno di prodotti. Dentro ci sono
detersivi, automobili, macchine fotografiche, cereali per la prima
colazione e altri televisori. Non sono i programmi a essere
interrotti dalla pubblicità, ma è il contrario. Un televisore è una
forma di imballaggio elettronico. Non è altro. Senza i prodotti,
non esiste nulla. Il concetto di programma educativo è un’idiozia.
Chi mai in America sarebbe disposto a guardare una t.v. senza
pubblicità?»
«In che modo uno spot pubblicitario di successo è in grado di
influenzare il telespettatore?»
«Gli fa venire voglia di cambiare il suo modo di vivere.»
«In che modo?» chiesi.
«Sposta la sua consapevolezza dalla prima alla terza persona. In
questo paese c’è una terza persona universale, l’uomo che tutti
vorremmo essere. La pubblicità ha scoperto quest’uomo. E lo usa
per rappresentare le possibilità aperte al consumatore. Consumare
in America non significa comprare, ma sognare. La pubblicità
suggerisce che il sogno di diventare terza persona singolare è
effettivamente realizzabile.»
«Allora in che cosa si differenzia uno spot televisivo da un film? I
film sono pieni zeppi di persone che tutti vorremmo essere.»
«La pubblicità non va mai oltre la grandezza naturale. Cerca di
non spingersi troppo oltre il confine della fantasia; tanto è vero
che spesso prende in giro certi temi dell’immaginario associati in
genere ai film. Guarda, non c’è niente al mondo che ti impedisca
di salire su un aereo della Eastern e andartene ad Acapulco per
vivere due settimane di sesso e avventura con una dattilografa di
Iowa City in vacanza. Ma la pubblicità non ti fa mai credere che tu
lo possa fare con Ava Gardner. Solo Richard Burton può farlo. Si
può cambiare la propria immagine, ma non l’immagine della
donna che ci si porta a letto. E la pubblicità ha saputo
commercializzare questa distinzione. Siamo riusciti a sfruttare i
limiti dei sogni umani. È la nostra conquista più importante.»
«Come si diventa grandi pubblicitari?»
«Si deve saper smuovere la merce dagli scaffali. Né più né meno.
«Torniamo alle immagini. Tu pensi che gli ideatori di spot
pubblicitari tengano conto di questa consapevolezza in terza
persona di cui hai parlato con tanta persuasività e verve?»
«Loro si limitano a girare i loro piccoli capolavori da venti
secondi. La terza persona l’ha inventata il consumatore, il grande
sognatore in pantofole. La pubblicità ha scoperto il valore della
terza persona, ma è stato il consumatore a crearla. È stata la
nazione a crearla. La terza persona è arrivata qui insieme al
“Mayflower”. Sto ancora aspettando che tu mi chieda della
controimmagine.»
«E sarebbe?»
«È la guerriglia che si combatte dietro il fronte dell’immagine. È il
ritratto di atrocità spirituali devastanti. Il perfetto esempio di
controimmagine in pubblicità ci viene dallo spot televisivo di
“tranche-de-vie”. Una scena riconoscibile che si svolge in una
casa di quartiere residenziale in una qualsiasi città degli Stati
Uniti. Un dialogo fra papà e figlio, o fra Madge e gli amici del
club del bridge. Problema: Madge soffre di irregolarità intestinale.
Soluzione: bevi questo, e sedersi sulla tazza sarà una poesia. Il
fondamento logico, in queste pubblicità, è che il consumatore si
immedesimerà in Madge. Ed è un grave errore. Il consumatore
non si identifica mai con la controimmagine. Si identifica solo con
l’immagine. L’uomo della Marlboro. Frank Gifford e Bobby Hull
per i costumi da bagno Jantzen. In genere, gli spot realistici
trattano gli aspetti della vita più deprimenti: puzze, dolori,
vecchiaia, bruttezza, sofferenza. Per fortuna, l’immagine è grande
quanto basta per fagocitare la controimmagine. Non che io abbia
pregiudizi nei riguardi della controimmagine come principio. Ha
le sue potenzialità, e forse non è lontano il giorno in cui saremo
stufi del sogno. Ma la controimmagine viene presentata fin troppo
alla lettera. Le tematiche scontate. I dialoghi stereotipati. Ci vuole
un tocco di orrore, una folle risata dall’oltretomba ogni tanto.
Prima o poi un copywriter più furbo degli altri riuscirà a intuire il
vero mistero dell’America e saprà elaborare una nuova variante
allo spot di vita quotidiana. Lo spot di morte quotidiana.»

Potrebbero piacerti anche