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Introduzione Il testo che segue ha come argomento generale il carattere dell'esperienza percettiva che gli esseri umani hanno

del mondo esterno. Questa tematica ha una lunga storia, alla quale accenner solo quando mi servir a rendere conto dei presupposti di alcune posizioni filosofiche. In particolare vi accenner nella mia esposizione delle tesi di M. Martin, che nel discutere teorie diverse sul contenuto delle esperienze percettive, attribuisce la forza delle intuizioni a cui esse si appoggiano all'influenza esercitata da una data fase del contesto storico. Nel resto del lavoro l'obiettivo sar esclusivamente l'analisi delle argomentazioni dei diversi autori trattati. Prima di entrare nel merito delle argomentazioni filosofiche per opportuno restringere ancora il campo. Discutere semplicemente (per usare un eufemismo) del carattere dell'esperienza percettiva esporrebbe al rischio di elencare posizioni filosofiche tra loro molto eterogenee. Questo porterebbe a una perdita di unit nel discorso. Per evitare un simile inconveniente ho scelto di concentrare l'analisi su una posizione filosofica in particolare, che far dialogare con altre in attrito pi o meno marcato con essa. In tal modo si avr un centro di gravit attorno al quale collocare in modo sufficientemente intelligibile anche le altre teorizzazioni. Il risultato di questa analisi saranno delle considerazioni riguardo all'opportunit di allontanarsi o avvicinarsi (a livello argomentativo) da tale centro, o eventualmente di sostituirlo con un altro punto di riferimento pi appropriato. La posizione filosofica che sar al centro del mio discorso quella del cosiddetto realismo ingenuo, secondo il quale:

le esperienze percettive del mondo esterno da parte degli esseri umani hanno la caratteristica intrinseca di essere presentazioni di uno o pi singoli oggetti concreti e

delle loro propriet, e non sarebbero esperienze dello stesso tipo se nessun oggetto fosse presente al soggetto percipiente.

Questa definizione mostra gi una concezione per nulla ingenua, a scapito dell'appellativo che le viene spesso associato. L'etichetta realismo ingenuo caratterizza da un punto di vista filosofico ci che un soggetto del tutto privo di pregiudizi potrebbe dire circa la propria esperienza del mondo esterno, fintantoch essa non si riveli eventualmente ingannevole. Tale soggetto, sino a prova contraria, non avrebbe alcun motivo per ritenere il contenuto della propria esperienza diverso da come stanno realmente le cose, e attenendosi all'evidenza a lui disponibile potrebbe affermare che se ha l'esperienza visiva, ad esempio, di un'arancia collocata sul tavolo, allora di fronte a lui vi sono un tavolo e un'arancia sopra di esso, con tutte le loro propriet specifiche. Ma non solo. Se il soggetto fosse vittima di un'allucinazione, allora la sua esperienza sarebbe di tipo radicalmente diverso. Radicalmente nel senso che l'esperienza non solo non sarebbe di tipo veridico, ma avrebbe un carattere intrinseco di tipo diverso rispetto a un'esperienza percettiva veridica. Per carattere intrinseco si intende l'insieme delle propriet fenomeniche di un'esperienza, cio delle propriet che appaiono ad un soggetto nel momento in cui questo concentra la propria attenzione sulle sue esperienze percettive. Di conseguenza non sarebbe possibile per un soggetto avere un'esperienza col medesimo carattere intrinseco rispetto a una sua esperienza veridica1, e allo stesso tempo non avere di fronte alcun oggetto. La definizione provvisoria di realismo ingenuo che ho enunciato, comprende anche quelle esperienze percettive che hanno come parte del loro carattere intrinseco la presentazione dei medesimi singoli oggetti e propriet di esperienze veridiche corrispondenti, ma che associano
1 Col termine esperienza veridica intendo un'esperienza il cui contenuto mette il soggetto in condizione di conoscere oggetti e propriet del mondo, e non attribuisce a nessun oggetto propriet che in realt non ha. Il termine percezione del titolo va interpretato con lo stesso significato di esperienza veridica: ho scelto di usare all'interno di questo lavoro solo il termine esperienza veridica, e non anche percezione, per evitare confusioni con il termine esperienza percettiva, che indica non solo per le esperienze veridiche, ma anche le illusioni e le allucinazioni.

a quegli stessi oggetti anche propriet che essi non possiedono realmente. La definizione includer quindi anche le esperienze illusorie, ma escluder le esperienze allucinatorie. Quali caratteri definitori siano poi da assegnare alle esperienze allucinatorie oggetto di accesa disputa ed uno dei punti centrali della discussione che seguir nei prossimi capitoli. Altra questione, e forse la pi importante, se davvero il realismo ingenuo sia un resoconto attendibile della fenomenologia della nostra esperienza, cio se davvero ci che ci appare nell'esperienza abbia per noi le caratteristiche logiche appena descritte. Il mio discorso inizier nel primo capitolo con un'esposizione della teoria di Martin sulle caratteristiche dell'esperienza percettiva in generale, e con un suo confronto rispetto alla teoria dei dati di senso e alla teoria rappresentazionale. Tale esposizione si concluder con una formulazione del realismo ingenuo che lo porr come punto di partenza dialettico di qualunque teoria che voglia descrivere la fenomenologia delle nostre esperienze percettive. Martin si inserisce all'interno di una corrente in filosofia della percezione denominata disgiuntivismo. Tale corrente nasce storicamente come alternativa alle teorie

rappresentazionaliste, che nella seconda met del Novecento hanno soppiantato i resoconti della fenomenologia delle esperienze percettive poggianti sull'esistenza di presunti dati di senso. Il disgiuntivismo, lungi dall'essere un ritorno ai sense data, ambisce, in concorrenza con le teorie rappresentazionali, a:

1. Fornire una descrizione adeguata della fenomenologia dell'esperienza.

2. Rendere conto del fatto che le esperienze veridiche sono in grado di fornire dei contenuti utilizzabili all'interno di credenze, e del fatto che grazie ad essi, tali credenze possono valere come conoscenza.

3. Rispondere in modo soddisfacente all'esigenza, tipica di qualunque teoria sulla percezione, di spiegare come le nostre esperienze percettive possano essere soggette a errore.

A caratterizzare la teoria disgiuntivista sar in particolare il punto 3. Essa nel fornire interpretazioni peculiari dei casi di allucinazione avr come scopo primario la difesa del realismo ingenuo da obiezioni che sono una filiazione di un argomento filosofico che nella sua forma originaria caduto in disuso: l'argomento dell'illusione. I risultati di tale difesa portano i suoi sostenitori a ritenere il realismo ingenuo, supportato dalle argomentazioni del disgiuntivismo, come una posizione filosofica potenzialmente valida a tutti gli effetti. Nel secondo capitolo fornir un'esposizione esplicita del disgiuntivismo, avvalendomi delle analisi di Martin, e discuter la replica di Martin ad alcune critiche alla teoria disgiuntivista. Alcune di queste sono formulate dallo stesso Martin, altre da un teorico del rappresentazionalismo, A. D. Smith. Il terzo capitolo sar dedicato all'esposizione di una versione particolare di disgiuntivismo, quella di Paul Snowdon. Infine vi sar una sezione finale nella quale esporr le mie conclusioni.

I La struttura delle apparenze secondo Michael Martin

1 DUE DOMANDE FILOSOFICHE SULL'ESPERIENZA La filosofia della percezione ha per oggetto di studio stati mentali, le esperienze percettive appunto. Dalla lettura dei diversi autori emerge una diversit di posizioni piuttosto marcata a seconda della scuola di appartenenza, e a volte persino all'interno di una stessa scuola. Per quanto divergenti siano le posizioni di questi filosofi, ritengo per che un comune denominatore tra di essi si possa trovare nel fatto che un nucleo costituito da due domande fondamentali , in modo implicito o esplicito, sempre presente all'interno dei loro testi. Queste due domande sono in ultima analisi il punto di partenza di ogni problema che concerna le nostre esperienze percettive. Esse sono molto importanti anche perch il diverso modo in cui le si affronta, gi pu determinare differenze piuttosto marcate tra un autore e l'altro, come vedremo gi nel prossimo paragrafo. Ritengo quindi che il problema dell'esperienza percettiva possa essere visto in linea generale come concernente le risposte da dare alle due seguenti questioni:

a. Qual la natura del carattere intrinseco delle esperienze veridiche? Ovvero, quali sono le condizioni che definiscono il carattere intrinseco delle esperienze veridiche? Dove per carattere intrinseco di una esperienza veridica si intende l'insieme delle sue propriet fenomeniche, cio la sua fenomenologia.

b. Quale tipo di relazione intrattengono le esperienze veridiche con i loro oggetti da un lato e con il soggetto che ha l'esperienza dall'altro? Domanda che si pone in modo diverso a seconda di cosa si intenda per oggetto su cui verte

l'esperienza veridica, se un oggetto concreto, un dato di senso, o un oggetto in quanto oggetto rappresentato.

Per quanto riguarda la seconda domanda, essa non verte sull'esperienza in s, ma sul rapporto tra essa e gli altri enti, oggetti e soggetti, nel caso in cui sia veridica. E' chiaro che se alcune propriet relazionali che l'esperienza veridica possiede sono costitutive del suo carattere intrinseco, allora la risposta alla seconda domanda finisce per intrecciarsi con la risposta che diamo alla prima. Sarebbe quindi scorretto intendere le due domande come tra loro perfettamente distinte. Nel caso delle esperienze veridiche la ricerca delle caratteristiche intrinseche di un'esperienza pu essere gi la ricerca del tipo di relazioni che essa intrattiene col mondo e col soggetto percipiente. Per esempio un fatto ovvio che tra le caratteristiche intrinseche delle esperienze veridiche vi sia una loro relazione col soggetto che percepisce, perch un'esperienza di qualunque tipo, per esistere, deve essere intrattenuta da un qualche soggetto. Quindi sensato dire che per quanto riguarda la relazione col soggetto percipiente la risposta che diamo sia gi ottenibile concentrandoci unicamente sulla prima domanda. E' naturale chiedersi a questo punto se ci valga anche per la relazione tra l'esperienza veridica e l'oggetto percepito. Questo il caso che interessa maggiormente gli autori che ho esaminato. In generale, l'intendere determinate propriet relazionali come definitorie per il carattere intrinseco delle esperienze veridiche dipende, per i diversi autori, da intuizioni molto diverse tra loro ricavate da un'analisi introspettiva. Le intuizioni su cui tali autori si basano hanno poi, come vedremo, ricadute sul modo in cui intendono il carattere intrinseco delle esperienze non veridiche. In questo capitolo descriver la tesi da Michael Martin nel suo libro intitolato Uncovering Appearances.

2 COME MARTIN LE AFFRONTA Martin non affronta le due domande come riguardanti esclusivamente l'oggetto percepito, di qualunque tipo esso sia . Nel caso della domanda a, affrontare la questione attraverso una descrizione delle propriet dell'oggetto percepito, equivarrebbe a ritenere che le caratteristiche intrinseche dell'esperienza veridica si riducano alle caratteristiche dell'oggetto di tale esperienza. Ma una tale tesi tutt'altro che scontata. Ad esempio un teorico rappresentazionalista non la potrebbe accettare: la considererebbe una palese confusione tra propriet della rappresentazione e propriet dell'oggetto su cui tale rappresentazione verte. D'altra parte proprio di fronte all'evidenza della divergenza di opinione tra i vari autori riguardo allo statuto da assegnare alle nostre esperienze, Martin ritiene che anzitutto sia necessario rintracciare un terreno comune tra le diverse scuole di pensiero. Rispetto alla domanda a, partire dalle propriet dell'oggetto per tentare di darvi una risposta rischia di causare una compromissione in favore di una posizione filosofica che larga parte dell'opinione nella filosofia contemporanea considera in disaccordo con le intuizioni derivanti dalla fenomenologia dell'esperienza. La posizione a cui mi riferisco la teoria dei dati di senso. Riassumer a grandi linee questa teoria rifacendomi al resoconto che ne d M.Martin. Secondo i teorici dei dati di senso per ogni caratteristica della nostra esperienza esiste attualmente un oggetto, o una propriet di un oggetto, del quale quella caratteristica costitutiva. Questi oggetti o propriet di oggetti sono detti dati di senso o, nell'espressione inglese, sense data. L'esemplificazione di oggetti o di propriet di oggetti condizione necessaria e costitutiva dell'occorrenza di qualunque esperienza percettiva, quindi comparir nella sua definizione e ne spiegher la natura. Viceversa anche l'esperienza percettiva sar condizione necessaria e costitutiva, oltre che sufficiente, dell'occorrenza dei sense data. I teorici dei dati di senso si basano su un'analisi introspettiva dell'esperienza, unita a considerazioni riguardanti i casi di allucinazione. Ecco quello che scrive Price:

<<Quando vedo l un pomodoro vi molto che posso mettere in dubbio. Posso domandarmi se sia davvero un pomodoro ci che sto vedendo, e non un pezzo di cera intelligentemente dipinto. Posso dubitare che vi sia una vera e propria cosa fisica...Una cosa comunque non posso mettere in dubbio: che l vi sia una macchia rossa di forma rotonda e tozza, aggettante su uno sfondo di altre macchie colorate, con una certa profondit visiva, e che questa complessiva area di colore sia presentata alla mia coscienza...che esista, e che io ne sia cosciente, da me quantomeno che ne sono consapevole ci non pu essere dubitato...Questa peculiare e ultimativa maniera di essere presente alla coscienza chiamata essere dato, e ci che cos presente chiamato dato2.>>

Che il dato, nella fattispecie la macchia di colore rosso dalla forma vagamente circolare, sia un qualcosa che ci si presenta nel momento in cui abbiamo l'esperienza veridica di un pomodoro rosso, e che tale dato esista nel momento in cui ne abbiamo esperienza, per Price dimostrato attraverso l'introspezione. Per lui la nostra esperienza percettiva, veridica o falsidica che sia, ha una struttura essenzialmente relazionale che coinvolge: un soggetto alla cui coscienza qualcosa viene presentato, la relazione di presentazione alla coscienza o di essere dato, e il dato. Inoltre, Price e altri teorici dei dati sensoriali ritengono che l'esperienza sia diafana rispetto ai dati di senso. E cio che da un'analisi introspettiva non emerga alcuna caratteristica della nostra esperienza che non sia un dato di senso. Tali dati di senso esauriscono quindi le caratteristiche della nostra esperienza percettiva. Il carattere mentale dei dati sensoriali viene affermato sulla base di un'inferenza alla miglior spiegazione a partire da casi di allucinazione indistinguibili da esperienze percettive veridiche. Tale inferenza parte dalla constatazione della possibilit di far corrispondere a qualunque esperienza veridica un'esperienza allucinatoria indistinguibile da essa a un'analisi introspettiva. Questa indistinguibilit a livello introspettivo implica, secondo il teorico dei dati di senso, la presenza dei medesimi dati sensoriali. Perci, i dati di senso presentati nei due tipi di esperienza sarebbero del medesimo tipo in quanto indistinguibili, e renderebbero indistinguibili anche le relative esperienze da essi costituite. Dall'indistinguibilit dei dati di senso seguir in ultima analisi l'identit del tipo
2 H.Price, Perception, p.3.

di esperienza tra i due casi, veridico e allucinatorio (Questo tipo di inferenza, dall'indistinguibilit all'identit del tipo, verr discussa meglio nel capitolo 2). Considerato che nel caso dell'allucinazione di un pomodoro nessun oggetto fisico presentato nell'esperienza del soggetto (a parte forse il suo stesso corpo, che per non ha la caratteristica di essere rotondo e di colore rosso), allora i dati di senso corrispondenti dovranno essere intesi come oggetti e propriet di oggetti di genere diverso rispetto a oggetti fisici. La scelta cade quindi su una caratterizzazione dei dati di senso in quanto oggetti mentali, che caratterizzeranno tanto le esperienze veridiche quanto le allucinazioni. Si tratta di un'inferenza alla miglior spiegazione che qui ho esposto solo a grandi linee, ma che riprender e esaminer meglio nei paragrafi 9 e 10. I teorici del carattere rappresentazionale dell'esperienza percettiva attaccano la tesi secondo cui l'introspezione d evidenza all'esistenza dei dati di senso. Secondo le teorie rappresentazionaliste, il contenuto di un'esperienza definito dalla sua struttura proposizionale, che in quanto tale dotata di condizioni di soddisfazione. Queste condizioni determinano la verit o falsit del contenuto a seconda che la proposizione che lo costituisce descriva o meno uno stato di cose realmente esistente. Secondo un rappresentazionalista, se rivolgiamo l'attenzione al contenuto delle nostre esperienze percettive, non troveremo nulla in tale contenuto a parte gli oggetti in esso rappresentati e le loro propriet. E tali oggetti saranno rappresentati nella nostra esperienza come indipendenti dai nostri stati di coscienza. Di solito questa caratteristica del contenuto delle nostre esperienze percettive viene descritta dai teorici del rappresentazionalismo affermando che l'esperienza percettiva trasparente o diafana rispetto agli oggetti o propriet di oggetti su cui verte. Ecco come Gilbert Harman descrive la propriet della trasparenza:

<<Osserva un albero e prova a rivolgere la tua attenzione alle caratteristiche intrinseche della tua esperienza visiva. Predco che scoprirai che le sole propriet a cui potrai volgere la tua attenzione saranno propriet

dell'albero presentato, incluse le propriet relazionali che l'albero possiede occupando quella posizione 3 [relativa all'osservatore]>>

Secondo Harman, l'analisi introspettiva delle nostre esperienze visive rivela unicamente caratteristiche di oggetti indipendenti dalla nostra esperienza, e nessuna propriet intrinseca dell'esperienza. Quindi non rivela alcun dato di senso, se identifichiamo i dati di senso con elementi che dipendono per la loro esistenza dall'occorrenza di propriet dell'esperienza e che da tali propriet sono costituiti. Il caso delle allucinazioni porter a concludere che possono aver luogo esperienze di tipo identico, per caratteristiche intrinseche, a esperienze veridiche. Questo spinger a escludere che siano gli oggetti del mondo fisico a costituire il contenuto delle nostre esperienze veridiche del mondo esterno. Infatti se si accettasse quest'ultima idea, la conseguenza, sulla scorta del fatto che le caratteristiche intrinseche (cio le caratteristiche che individuano il tipo) delle esperienze veridiche e di corrispondenti esperienze allucinatorie sono le stesse (sempre sulla base del concetto di indistinguibilit), sarebbe che anche nei casi di allucinazione oggetti di tipo fisico andrebbero a costituire il contenuto dell'esperienza del soggetto percipiente. Questo sarebbe assurdo visto che la definizione stessa di allucinazione richiede che il soggetto che ne soffre non sia in relazione con alcun oggetto fisico. Ci si potrebbe chiedere se per il rappresentazionalista nei casi di allucinazione il carattere intrinseco dell'esperienza possa richiedere una relazione del soggetto con oggetti mentali, e nel caso caso delle esperienze veridiche con oggetti fisici. Ovviamente ci non sarebbe possibile sulla base dell'identit a livello di carattere intrinseco, tra esperienze veridiche e esperienze allucinatorie. Ma ammettiamo pure, in via del tutto ipotetica, che il teorico rappresentazionalista neghi che lo stesso tipo specifico di carattere intrinseco che occorre nel caso delle esperienze veridiche, possa occorrere in esperienze allucinatorie corrispondenti 4.
3 G.Harman, the intrinsic quality of experience, p. 39. 4 Cio anche se accettasse di negare quella che pi avanti chiameremo tesi del massimo comune denominatore.

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Nemmeno

in

questo

caso

l'analisi

introspettiva

giustificherebbe,

secondo

il

rappresentazionalista, le conclusioni a cui invece il teorico dei dati di senso arriva. Per il rappresentazionalista tutto ci che l'analisi dell'esperienza ci pu dire che se, ad esempio, ho l'esperienza visiva di un pomodoro maturo sul tavolo, allora la condizione alla quale la mia esperienza veridica che sul tavolo di fronte a me vi sia un pomodoro, e che tale oggetto causi appropriatamente la mia esperienza. Ma la relazione attuale della mia esperienza con un pomodoro concreto, o con dei dati di senso che rappresentino un pomodoro, non sar parte intrinseca della mia esperienza del pomodoro. A costituire la natura dell'esperienza per ci che concerne il suo contenuto sar una rappresentazione del tavolo, del pomodoro e dello sfondo su cui essi si stagliano. Quindi rappresentazioni di oggetti e non oggetti in senso vero e proprio. Tali rappresentazioni rimanderanno agli oggetti cui si riferiscono, cio verteranno su di essi, ma non saranno esse stesse degli oggetti. Le rappresentazioni mentali sono strutture dotate di senso definite unicamente delle loro condizioni di verit. Quindi l'oggetto o propriet su cui vertono non pu essere parte costitutiva del contenuto delle nostre esperienze percettive, se si considerano tali rappresentazioni come costitutive del contenuto delle esperienze, nel senso di loro condizioni necessarie e sufficienti. L'evidenza che l'analisi introspettiva ci consegna in merito alle nostre esperienze percettive, secondo il rappresentazionalista non riguarda l'esistenza degli oggetti che percepiamo, ma il contenuto di tale esperienza, indipendentemente dal fatto che gli oggetti specificati dal contenuto esistano o meno.

3 DUE DIVERSE INTUIZIONI. Una delle tesi chiave del discorso di Mike Martin sulle apparenze che la prima differenza tra i teorici dei sense data e i teorici rappresentazionalisti determinata da una diversit nelle

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intuizioni ricavabili da un'analisi introspettiva delle esperienze percettive. La seconda differenza la discuter nel paragrafo seguente. Per ora vediamo quali sono le due diverse intuizioni a cui ho appena accennato. Il teorico dei dati di senso ritiene anzitutto che l'analisi introspettiva della nostra esperienza ci riveli in modo evidente l'esistenza di oggetti, senza per questo impegnarci ancora riguardo al tipo generale di oggetti della cui esistenza ci rende consapevoli. Tali oggetti potranno essere mentali o fisici, l'importante che esistano e siano attualmente presenti. Questo perch la nostra esperienza, che da tali oggetti costituita nelle sue caratteristiche intrinseche, sarebbe a sua volta un'esperienza solo potenziale se i suoi dati di senso fossero oggetti solo potenzialmente presenti. Questo vuol dire affermare la dipendenza dell'esistenza delle nostre esperienze percettive dall'esistenza di dati senso. L'intuizione sopra descritta viene interpretata da Martin affermando che per i teorici dei sense data le propriet dell'esperienza sono propriet cosiddette attuali, cio propriet fenomeniche per le quali vale il cosiddetto attualismo dell'esperienza:

(ACT) Una propriet fenomenica P attuale se e solo se, per ogni esperienza che sia P, e che abbia luogo in un intervallo di tempo tm-tn, esiste almeno un oggetto o qualit che il soggetto apprende in tm-tn, e che individua P.

Prendiamo ad esempio il caso in cui io abbia l'esperienza visiva di una mela rossa, non importa se veridica o meno. Secondo il teorico dei dati di senso nell'intervallo t m-tn in cui ho quest'esperienza, vi sar una propriet fenomenica, chiamiamola R, che mi presenta il colore rosso della mela, colore su cui verte la mia esperienza. La propriet R parte costitutiva della mia esperienza, nel senso che la mia esperienza non potrebbe presentarmi una mela di quel colore rosso se R non fosse presente. Secondo il teorico dei dati di senso, inoltre, R non solo

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la presentazione della propriet ROSSO, ma implicher l'occorrenza di quella propriet davanti a me nell'intervallo tm-tn, e inoltre R costituita dalla propriet ROSSO. Stessa cosa vale per le propriet fenomeniche che mi presentano la forma particolare della mela e i colori dello sfondo. Tutte queste propriet sono, secondo il teorico dei dati di senso, attuali in quanto costituite dagli oggetti di cui sono la presentazione, sia che io abbia un'esperienza veridica, sia che io abbia un'allucinazione. Al contrario del teorico dei dati di senso, il rappresentazionalista non ritiene che il carattere intrinseco dell'esperienza percettiva ci impegni ad assumere l'esistenza dell'oggetto e della propriet presentata. Ad un'analisi introspettiva, l'unica cosa a cui tale carattere ci impegna, in relazione agli oggetti rappresentati, ad accettare la loro indipendenza dalle nostre rappresentazioni di essi, e quindi alla possibilit di una loro esistenza anche in assenza di un'esperienza percettiva che verta su di essi. Questo per il semplice fatto che non necessario che alcuna delle propriet dell'oggetto rappresentato si identifichi con delle propriet dell'esperienza, e quindi pu esistere indipendentemente da esse. Alla base di queste considerazioni, secondo Martin vi un altro tipo di intuizione ricavata ancora una volta dall'analisi introspettiva dell'esperienza. Quest'intuizione giustifica l'affermazione secondo cui le propriet dell'esperienza sono trasparenti, o diafane, rispetto a oggetti indipendenti dalla nostra esperienza. Questo vuol dire che qualunque descrizione delle propriet dell'esperienza non pu prescindere dalla descrizione delle propriet dell'oggetto su cui l'esperienza verte. Secondo Martin, un modo adeguato per descrivere la nozione di trasparenza di una propriet fenomenica per mezzo del seguente principio:

(TRANS) Una propriet fenomenica P trasparente se e solo se, per ogni esperienza che sia P, non si d il caso che l'elemento o aspetto presentato corrispondente alla propriet fenomenica P sia costituito dall'occorrenza di P.

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4 INTUIZIONI COMPATIBILI, MA FINO A UN CERTO PUNTO Abbiamo quindi due assunzioni, una che afferma la dipendenza delle nostre esperienze percettive dall'esistenza degli oggetti esperiti, nel caso della teoria dei dati di senso, l'altra che afferma l'indipendenza degli oggetti esperiti dai nostri stati mentali, nel caso della teoria rappresentazionalista. Queste due assunzioni, importante precisarlo, non esauriscono da sole ci che rispettivamente la teoria dei sense data e la teoria rappresentazionalista affermano riguardo al carattere dell'esperienza percettiva. Entrambe richiedono ulteriori precisazioni che far a breve. Le due affermazioni enunciate al termine del precedente paragrafo, cio i principi ACT e TRANS, non sono tra loro incompatibili, fa notare Martin. Infatti se una propriet fenomenica attuale, cio se la sua occorrenza ha come carattere costitutivo la presentazione di un oggetto di qualche genere, da ci non segue ancora che tale oggetto abbia come condizione necessaria l'occorrenza della propriet fenomenica stessa. Allo stesso modo non seguir nemmeno la negazione della dipendenza modale dell'occorrenza dell'oggetto dall'occorrenza della propriet fenomenica. Cio dal fatto che una propriet fenomenica sia attuale non seguir che sia trasparente, ma nemmeno che non lo sia. D'altro canto, dal fatto che una propriet fenomenica sia trasparente, non segue n che tale propriet debba essere a sua volta costituita dall'oggetto presentato, cio che debba essere attuale, n che non debba esserlo. Da quanto detto si desume che, da un punto di vista logico, cio partendo unicamente dalle definizioni ACT e TRANS, una propriet fenomenica potrebbe essere sia attuale sia trasparente. Il fatto che sia il teorico rappresentazionalista sia il teorico dei dati di senso neghino quest'ultima possibilit dovuto, sempre secondo Martin, alla considerazione della possibilit di allucinazioni con un carattere intrinseco dello stesso tipo di esperienze veridiche corrispondenti. Si consideri il seguente esempio. Immaginiamo che uno scienziato malvagio sottoponga un soggetto inconsapevole a un

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intervento di stimolazione della corteccia cerebrale preposta all'elaborazione degli stimoli ricevuti dal nervo ottico. Tale manipolazione sar talmente accurata da produrre nei pi minuti dettagli la medesima configurazione di attivazione dei circuiti neuronali che si avrebbe se il soggetto stesse avendo l'esperienza visiva veridica di una pesca su di un cappello a bombetta. Poniamo inoltre che di fronte lui non vi sia in realt alcun oggetto che abbia anche solo l'apparenza esteriore di un cappello a bombetta o di una pesca. Sembra naturale affermare che l'esperienza allucinatoria qui descritta ha le stesse propriet fenomeniche dell'esperienza veridica che riproduce, in cui davvero il soggetto starebbe vedendo un cappello a bombetta e una pesca su un cappello. Se del medesimo tipo di esperienza (rispetto all'esperienza veridica) si pu parlare in questo caso di allucinazione indotta, allora assumere che tale esperienza dipenda per la sua occorrenza dall'esistenza di dati senso che ne costituiscano le propriet intrinseche fa escludere che tali dati di senso siano oggetti fisici, perch non solo di fronte al soggetto non vi sono pesche o bombette, ma possiamo immaginare che l'allucinazione abbia luogo anche nel caso in cui non esistano al mondo pesche o cappelli a bombetta. Si potrebbe obiettare che, nell'esempio citato, i dati di senso percepiti potrebbero essere oggetti fisici di tipo differente da pesche o cappelli, anche se di fatto vengono esperiti come tali. A questo punto per avremmo di fronte un caso di illusione e non pi di allucinazione. A meno di voler ridurre i casi di allucinazione a casi di illusione, cio a esperienze in cui a oggetti del mondo vengono attribuite propriet che in realt non hanno, questo caso andrebbe escluso. Per Martin, questo tipo di considerazioni porteranno un teorico che accetti l'esistenza di propriet fenomeniche attuali a dover accettare l'esistenza attuale di altri tipi di oggetti, nella fattispecie oggetti non fisici. Tali oggetti, sulla base di ulteriori considerazioni che analizzer nel paragrafo seguente, dovranno essere oggetti mentali non indipendenti. E saranno gli oggetti costitutivi anche delle esperienze veridiche, non solo allucinatorie, visto che ad ogni

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esperienza veridica possiamo far corrispondere una possibile esperienza allucinatoria con le medesime caratteristiche intrinseche. Nel caso in cui l'assunzione positiva da cui partiamo sia unicamente l'indipendenza degli oggetti dall'esperienza che verte su di essi, e quindi l'affermazione del principio di trasparenza per qualunque propriet fenomenica, allora il caso dell'allucinazione porta alla luce l'indipendenza a loro volta dei nostri stati mentali dall'esistenza di un qualunque oggetto esperito. Questo perch, come mostrato sempre dall'esempio di cui sopra, il medesimo tipo di esperienza percettiva potrebbe aver luogo anche in assenza dell'oggetto su cui l'esperienza stessa verte. Ci in aperta contraddizione con la teoria dei dati di senso che, affermando la validit dell'attualismo per qualunque propriet fenomenica, sostiene che il carattere intrinseco delle esperienze veridiche ha come condizione necessaria per la propria occorrenza la presentazione attuale, da intendere come una presentazione che ne implica l'esistenza, degli oggetti o propriet su cui vertono. E' sulla base della loro parte negativa che le due teorie sono in disaccordo. Da un lato i sostenitori dell'esistenza dei sense data non ritengono che sussista alcuna evidenza introspettiva riguardo al carattere indipendente di tali oggetti, e sulla base dei casi di allucinazione arrivano a negare esplicitamente la possibilit di questa indipendenza. A livello introspettivo l''unica evidenza disponibile per l'appunto quella della dipendenza ontologica delle esperienze percettive dai loro oggetti. La conseguenza ultima della dipendenza reciproca di stati mentali e oggetti della percezione, e del carattere mentale di questi, il risultato dell'analisi della possibilit di allucinazioni. Dal lato opposto stanno i teorici rappresentazionalisti, che negano che l'esistenza di oggetti sia in alcun modo costitutiva del carattere dell'esperienza che ne abbiamo, sulla base della concepibilit di allucinazioni. Inoltre essi affermano l'indipendenza degli oggetti presentati nell'esperienza dalle esperienze percettive, sulla base dell'evidenza introspettiva che

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rivelerebbe l'applicabilit della definizione TRANS a qualunque propriet fenomenica. Le intuizioni di partenza relative al carattere dell'esperienza rispettivamente dei rappresentazionalisti e dei teorici dei dati di senso, cio indipendenza ontologica dell'oggetto esperito dallo stato mentale relativo per i primi, e dipendenza ontologica dello stato mentale dall'oggetto esperito per i secondi, possono essere accettate in linea teorica entrambe, perlomeno sinch non si considerino casi di allucinazione. Martin a questo punto si chiede come sia possibile che intere schiere di pensatori accettino la verit generale dell'attualismo oppure del principio di trasparenza, ma non di entrambi. La domanda come sia stato possibile un simile disaccordo tra esseri umani che, appartenendo alla medesima specie, dovrebbero essere considerati come dotati di un un mondo interiore con caratteri intrinseci del tutto simili. E per mondo interiore si intende l'insieme delle caratteristiche fenomeniche disponibili ad un'analisi introspettiva. Ritenere che soggetti

appartenenti alla medesima specie abbiano esperienze con caratteristiche intrinseche di tipo diverso al punto che per alcuni esse renderebbero intuitiva l'esistenza di oggetti, per altri solo l'indipendenza di tali oggetti ma non la loro esistenza, pu sembrare una posizione troppo radicale. Martin ritiene che lo sia e per questo motivo pi favorevole a un resoconto che includa una base di intuizioni comune sia ai teorici rappresentazionalisti, sia ai teorici dei dati di senso. Tale base comprende entrambe le intuizioni positive descritte sopra ed presente in qualunque soggetto percipiente che appartenga alla specie umana. I contesti storici, unitamente alla pressione di argomentazioni filosofiche come quella relativa ai casi di allucinazione, possono per modificare questa base di intuizioni comune, e impoverirla privandola dell'una o dell'altra intuizione positiva. Tale base comune sar comunque, secondo Martin, la modalit primaria in cui ci appaiono le caratteristiche intrinseche delle nostre esperienze. Tale modo includer entrambe le intuizioni positive a cui si appoggiano i sostenitori delle due scuole di pensiero. E servir come base per una teoria secondo la quale le

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nostre esperienze veridiche hanno come carattere intrinseco la presentazione di oggetti esistenti, e l'esistenza di tali oggetti non dipende dal fatto che se ne abbia esperienza. Si tratta del cosiddetto realismo ingenuo, gi discusso in via preliminare nell'introduzione. Il realismo ingenuo afferma, per l'esperienza veridica, il carattere sia attuale sia trasparente di ciascuna delle propriet fenomeniche che costituiscono l'esperienza stessa. Cio il realismo ingenuo afferma, per il caso delle esperienze veridiche, l'attualismo e la trasparenza dell'esperienza secondo le definizioni ACT e TRANS.

5 DIFFERENZE DI INTUIZIONI, CARATTERE DELL'ESPERIENZA E CONTESTI STORICI Tornando alla domanda a, l'approccio di Martin non parte quindi dagli oggetti esperiti, perch argomenti come quello dell'allucinazione potrebbero mettere in discussione, a seconda della posizione filosofica che riteniamo pi intuitiva, o l'intuizione che tali oggetti debbano esistere, o l'intuizione che essi siano indipendenti dall'esperienza. La tesi di Martin diventa poi ancora pi radicale, come accennato precedentemente, nel momento in cui afferma che le intuizioni rese disponibili dall'introspezione possono non solo essere messe in discussione per quanto riguarda la loro verit o falsit, sulla base di argomentazioni a loro contrarie, ma addirittura perdere il loro statuto di intuizioni. Martin ritiene che l'analisi introspettiva dia sostegno alla tesi secondo cui le propriet fenomeniche che caratterizzano le nostre esperienze veridiche sono sia trasparenti sia attuali. Questa convinzione di Martin, come di tutti quegli autori che difendono il realismo ingenuo, si scontra col fatto che autori diversi hanno ritenuto che l'introspezione non fornisca questa evidenza, ma un'altra secondo cui le nostre esperienze veridiche godono della propriet di essere trasparenti o un'altra ancora secondo cui le nostre esperienze veridiche godono della propriet di essere attuali, ma non entrambe. Ora, secondo Martin, sia il teorico dei dati di senso sia il teorico rappresentazionalista sia il difensore del realismo ingenuo, sono

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pienamente legittimati a ritenere evidente a livello introspettivo ci che sembra loro tale. Ci che va spiegato perch vi siano simili differenze di intuizione. Per farlo vi sono due strade. La prima ritenere che il carattere intrinseco delle esperienze veridiche sia un determinabile che abbraccia tutte e tre le posizioni sinora viste. Quindi affermare che per alcuni l'esperienza veridica di un oggetto concreto ha come carattere intrinseco la presentazione di quello stesso oggetto (realismo ingenuo), per altri la presentazione di un oggetto esistente ma non della propriet dell'essere indipendente dall'esperienza che verte su di esso (teorici dei dati di senso), per altri ancora la presentazione di un oggetto rappresentato e della sua indipendenza ma non la sua esistenza effettiva (teorici rappresentazionalisti). La seconda opzione, sostenuta da Martin, ritenere che l'evidenza disponibile a livello introspettivo nel caso delle esperienze veridica sia la stessa per tutti gli esseri umani, ma che la capacit introspettiva sia facilmente influenzabile da condizioni contestuali e da argomentazioni filosofiche come l'argomento dell'allucinazione. Secondo Martin, questo fa s che anche se le nostre esperienze percettive hanno determinate caratteristiche fenomeniche, esse possano tuttavia apparirci diversamente da come sono realmente. Per questo motivo, a seconda dei presupposti da cui un teorico parte, pu arrivare a considerare come evidenti aspetti dell'esperienza che non sarebbero affatto evidenti per un altro teorico. Supponiamo che un soggetto S si trovi in un contesto percettivo C, nel quale S ha di fronte a s un pomodoro maturo, non si trova al buio, e i suoi organi di senso funzionano nella maniera ordinaria e ammettiamo pure che l'esperienza di S sia un'esperienza di tipo NR, dove NR sta per naive realism. Definiamo un'esperienza di tipo NR come un'esperienza per cui valgono sia la trasparenza sia l'attualismo dell'esperienza, cos come li abbiamo definiti nei paragrafi precedenti. Il punto, secondo Martin, che se S fosse un teorico dei dati di senso, e concentrasse la propria attenzione sul carattere intrinseco di NR, non avrebbe dubbi nel dire

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che la sua esperienza attesta in modo perfettamente intuitivo l'esistenza di oggetti, la cui dipendenza o indipendenza dal suo stato mentale resta ancora indeterminata, fintantoch l'analisi si limita alla pura introspezione e non considera casi possibili di allucinazione. Se poi prender in considerazione anche casi di allucinazione arriver a concludere che l'oggetto che costituisce la sua esperienza percettiva un oggetto dipendente. Ma quest'ultima conclusione deriver da un'argomentazione filosofica (molto complessa e che vedremo in seguito) e non da un'evidenza disponibile all'analisi introspettiva. Martin fornisce una serie di citazioni riprese da Hume, Price e Russell per mostrare come essi non affermino mai in modo esplicito che l'analisi introspettiva a giustificare l'affermazione del teorico dei dati di senso secondo cui gli oggetti che costituiscono la nostra esperienza percettiva sono di tipo mentale, cio dipendenti. Quest'ultimo carattere non viene considerato come di per s evidente da tali autori, perlomeno nell'interpretazione che Martin d delle loro tesi. La dipendenza dalla mente, per i teorici dei dati di senso, individuabile sulla base di argomentazioni filosofiche che prendono in esame casi di allucinazione, e non sulla base dell'analisi introspettiva delle esperienze veridiche. Credo che questa considerazione di Martin sia corretta, perch se il carattere mentale dei dati di senso fosse evidente gi a livello introspettivo, non avrebbe molto senso cercare di dimostrare che lo attraverso inferenze alla miglior spiegazione che partano da casi possibili di allucinazione: dei casi attuali gi mostrerebbero in modo evidente tale carattere. L'esperienza veridica, a livello unicamente introspettivo, non apparirebbe quindi come un'esperienza di tipo NR, secondo il teorico dei dati di senso, ma come un'esperienza di tipo diverso, che possiamo chiamare ACT, perch conforme al modo in cui abbiamo definito l'attualismo. Tale esperienza risulter poi conforme ad un altro principio, quello del soggettivismo, che verr definito pi avanti, e che caratterizza l'esperienza percettiva come costituita da oggetti mentali.

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Un rappresentazionalista, dal canto suo, direbbe che alcune propriet intrinseche dell'oggetto rappresentato sono presenti al soggetto. Nel mio esempio ci che si presenta a S un pomodoro maturo, il quale conta come oggetto materiale che sta l di fronte a S indipendentemente dal fatto che S lo percepisca. Per quanto riguarda l'esistenza o meno di tale oggetto, essa non apparir ad S come parte intrinseca del carattere della propria esperienza percettiva, dato che l'analisi introspettiva non per lui in grado di cogliere tale esistenza come di per s evidente. Sono infatti concepibili casi di allucinazione indistinguibili da quella esperienza veridica. Di conseguenza sembrer evidente sulla base di questo caso possibile, che il carattere intrinseco dell'esperienza percettiva di un pomodoro maturo non richieda l'esistenza di alcun pomodoro maturo, visto che per qualunque esperienza veridica potrebbe esservi un'allucinazione corrispondente del tutto indistinguibile da essa. Per queste ragioni secondo il rappresentazionalista l'esperienza veridica del pomodoro maturo non soddisfer il principio dell'attualismo per nessuna delle sue propriet fenomeniche. Quindi per lui non sar un'esperienza di tipo NR, ma di un tipo che possiamo chiamare TRANS, in quanto conforme alla definizione di trasparenza per ognuna delle sue propriet fenomeniche. L'esclusione dell'altro principio, il principio ACT, non deriver dall'analisi introspettiva ma dalla possibilit dell'allucinazione. L'ipotesi di Martin che tutte le nostre esperienze veridiche hanno un carattere NR. Questa per lui la miglior spiegazione della diversit di intuizioni tra teorici dei dati di senso e teorici rappresentazionalisti. Il fatto che tutte le esperienze veridiche abbiano un carattere intrinseco NR non implica per che cos appaiano a un soggetto che le vada a monitorare attraverso le proprie capacit introspettive. Le differenze nei caratteri individuati a un'analisi introspettiva da parte di soggetti percipienti saranno da ascrivere, secondo Martin, ai modi diversi in cui una stessa esperienza pu apparire. Il discorso cos impostato risulta essere di tipo metafenomenologico: non solo una descrizione dei caratteri delle nostre esperienze percettive,

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ma anche del modo in cui tali esperienze appaiono, ammettendo implicitamente la possibilit che i caratteri di un'esperienza e i caratteri dell'apparenza a noi disponibile riguardo a quell'esperienza possano non coincidere. Ci vuol dire sia che l'apparenza che noi abbiamo del contenuto di un'esperienza pu non coincidere col contenuto dell'esperienza stessa, e sia che gli aspetti qualitativi dell'esperienza possono non essere come ci appaiono. Un discorso di tale genere, cio che voglia rendere conto dell'apparenza delle esperienze pi che delle esperienze stesse, sembra indispensabile in via preliminare visto il disaccordo teorico a cui ho accennato. Per evitare un regresso infinito che porti a un'analisi di apparenze, di apparenze, di apparenze (etc..), l'unico modo di spiegare le diversit tra le intuizioni dei diversi autori sembra a Martin quello di provare a comprenderle tutte in un'unica visione delle apparenze percettive, considerata da Martin come quella pi naturale a un primo impatto con l'esperienza che sia avulso da ogni pregiudizio filosofico. In base a tale prospettiva vi una caratteristica primaria dell'esperienza, un modo in cui appare, per tutti gli esseri umani, indicata nella formulazione che stata data del realismo ingenuo. Da tale apparenza non ci allontaniamo se non sotto la pressione di condizioni che non sono direttamente connesse con i caratteri dell'esperienza in quanto tale. Le condizioni che menziona Martin sono di ordine storico, e sono tali non da aggiungere nuovi caratteri alle apparenze individuate attraverso introspezione, ma semmai da inibirne alcuni e rendere le nostre intuizioni meno ricche. Per esempio, per quanto concerne il contesto storico in cui nata la teoria dei dati di senso, lo sviluppo della scienza moderna ha portato alla diffusione di uno scetticismo riguardo alla conoscenza offerta dagli organi sensoriali e cio riguardo all'idea che tali organi da soli mettano un soggetto nella condizione di poter conoscere gli oggetti del mondo fisico per quello che realmente sono. Il teorico dei dati senso, impegnato in un'analisi introspettiva di apparenze caratterizzate come quelle descritte nella definizione che abbiamo dato di realismo ingenuo, pu quindi accettare di tali apparenze la natura oggettuale in senso generale, ma non

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sbilanciarsi riguardo alla natura degli oggetti percepiti, n se essi siano materiali, n se siano mentali, n se siano dipendenti, n se siano indipendenti. Tali caratteristiche concernerebbero la natura intrinseca degli oggetti, natura che i sensi non sono in grado di renderci accessibile, e che perci sarebbe individuabile solo a seguito di una disamina razionale distinta da quella introspettiva. L'ultimo secolo, ricorda Martin, ha visto l'ascesa progressiva del fisicalismo e di una concezione riduzionista degli stati mentali a stati del mondo fisico. Questo retroterra era in conflitto con qualunque teoria filosofica che ammettesse forme di dualismo mente/cervello. Questo, secondo Martin, ha influenzato il progressivo abbandono della teoria dei dati di senso come teoria troppo bizzarra dal punto di vista ontologico, per via della sua compromissione con l'idea dell'esistenza di oggetti mentali e non riducibili a oggetti o propriet fisici. Allo stesso tempo l'evidenza a cui si appellavano i teorici dei dati di senso stata fortemente messa in discussione e ha smesso di essere considerata come evidenza a tutti gli effetti. Una volta rifiutata l'evidenza in favore dell'attualismo, rimaneva a disposizione l'altra evidenza fornita da un'analisi di tipo introspettivo dell'esperienza, quella relativa all'indipendenza dell'oggetto dell'esperienza rispetto all'esperienza stessa, a favore cio della trasparenza dell'esperienza. In entrambi i casi la negazione dell'intuizione positiva alla base della teoria antagonista avvenuta sotto la pressione dell'argomento dell'allucinazione, che si configura per Martin anzitutto come un argomento contro il realismo ingenuo. Ora, chiaro che tale interpretazione di stampo storico da verificare ampiamente; soprattutto lo la connessione tra evidenza disponibile all'introspezione e condizioni legate al contesto filosofico e scientifico di una data epoca. Per verificare una tale connessione essa andrebbe osservata e giustificata meglio nelle sue modalit. Martin non fa questo, ma presenta la sua spiegazione come una congettura ragionevole alla luce della storia della filosofia e delle idee portate avanti dai rappresentanti delle diverse scuole. Come ho detto

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nell'introduzione, l'esame che mi propongo qui non potr essere un'analisi storica accurata delle idee di coloro che si occuparono di filosofia della percezione da Hume in poi (per non dire prima): ribadisco qui che l'obiettivo sar unicamente un esame della consistenza interna del disgiuntivismo, nonch delle possibili obiezioni ad esso. L'unica osservazione che faccio a proposito dell'analisi storica di Martin appunto che essa implica connessioni tutte da verificare, e che anche qualora la posizione del realismo ingenuo dovesse rivelarsi pienamente coerente al suo interno, e pi accettabile a livello epistemologico rispetto alle teorie antagoniste, osservazioni di ordine empirico potrebbero smentirla. Per esempio si potrebbe scoprire attraverso studi di psicologia sperimentale una struttura delle apparenze diversa da quella indicata dal realismo ingenuo, che renda conto al pari di esso di una modalit primaria di esperienza percettiva che fornisca un iniziale bagaglio di intuizioni comuni a tutti i soggetti. Oppure si potrebbe scoprire che le intuizioni positive a cui i rappresentazionalisti e i teorici dei dati senso si appoggiano hanno una base biologica che orienta il carattere intrinseco delle esperienze percettive di ciascuno in una direzione o nell'altra, e che tale base biologica esercita la sua influenza direttamente, senza passare per una condizione fenomenologica primaria in cui entrambe le intuizioni, indipendenza degli oggetti e dipendenza degli stati mentali, sono disponibili al soggetto. Certamente la visione storica di Martin sembra almeno in linea teorica godere del vantaggio gi accennato prima, cio pu spiegare la discrepanza nel ritenere che cosa sia evidente e che cosa non lo sia tra diversi autori tutti membri a pari titolo della specie umana, e quindi con esperienze di tipo analogo. Ma, come gi detto, altre spiegazioni della discrepanza che non pongano il realismo ingenuo in questo tipo di vantaggio sono possibili, e potrebbero presupporre che l'appartenenza alla medesima specie non implichi che due soggetti che stanno avendo esperienze veridiche di una stessa scena debbano avere esperienze con caratteri intrinseci dello stesso tipo. Le esperienze

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veridiche potrebbero essere definite come tali anzitutto sulla base di condizioni di tipo biologico, e le condizioni di tipo fenomenologico, come le propriet dell'attualismo e della trasparenza, essere declassate a condizioni sufficienti all'occorrenza delle esperienze veridiche, una volta che le condizioni di tipo biologico siano soddisfatte. Questo implicherebbe un fondo comune che spieghi la differenza di intuizioni descritta in questo paragrafo che sia non fenomenologico ma biologico.

6 ALCUNI PROBLEMI CONCERNENTI LA RELAZIONE SOGGETTO-OGGETTO Ritengo che siano necessarie alcune osservazioni relative alla domanda b, posta nel primo paragrafo, e che ripropongo qui di seguito.

Quale tipo di relazione intrattengono le esperienze veridiche con i loro oggetti da un lato e con il soggetto che ha l'esperienza dall'altro?

Questa domanda non riguarda solo le condizioni alle quali un'esperienza percettiva pu essere detta veridica, ma se la definizione che diamo di esperienza veridica renda conto di una propriet che intuitivamente tutte le esperienze veridiche possiedono: cio l'essere degli stati che mettono il soggetto in condizione di conoscere qualcosa del mondo che lo circonda. Tale problema non potrebbe, ancora una volta, essere affrontato partendo da un'analisi dell'oggetto su cui verte l'esperienza. Il punto che la definizione della relazione che abbiamo con gli oggetti su cui vertono le nostre esperienze veridiche, anche qualora la vogliamo intendere come una relazione attuale, come per i teorici dei dati senso, non pu prescindere da una descrizione che parta dalle esperienze stesse. Si veda, per chiarire meglio questa affermazione, il seguente esempio. Poniamo che si voglia descrivere l'esperienza veridica di una mela rossa. Per il teorico dei

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dati di senso la descrizione di tale esperienza necessariamente contiene un riferimento a un dato di senso. Ci porter a concludere che il carattere intrinseco dell'esperienza veridica in questo caso comprende un oggetto esistente con l'apparenza visiva di una mela rossa. Descrivendo tale esperienza ne avremo in pratica gi definito il carattere intrinseco, in modo non circolare. Per definire il carattere intrinseco di tale esperienza non potremo fare a meno di specificare i dati di senso relativi. Il problema sorger nel momento in cui inizieremo a porci problemi di tipo epistemologico che sono inevitabilmente connessi alla risposta che daremo alla domanda b. Nel rispondere a questa domanda dovremo presumibilmente fornire una definizione della relazione tra le nostre esperienze e gli oggetti su cui esse vertono. Una strada non percorribile per questo scopo sarebbe quella di partire gi descrivendo gli oggetti che vengono percepiti. Questo perch, a meno di presupporre forme di innatismo, le esperienze veridiche sono i canali indispensabili che ci mettono in relazioni di tipo conoscitivo con gli oggetti su cui esse vertono. Se definiamo la relazione tra i soggetti e gli oggetti nell'esperienza, e nel farlo utilizziamo la conoscenza che abbiamo delle propriet reali degli oggetti, allora presupponiamo che la conoscenza della relazione da definire sia mediata dalla conoscenza degli oggetti su cui verte l'esperienza veridica. Quest'ultima conoscenza per ci resa disponibile da quella stessa relazione che stiamo cercando di definire. In questo caso la conoscenza che avremmo della relazione stessa sarebbe circolare. Questa sarebbe una situazione poco desiderabile dal punto di vista epistemologico. Questo avrebbe luogo sia per quanto riguarda i dati di senso, sia per gli oggetti a cui fa riferimento il rappresentazionalista. Per lui si avrebbe accesso a questi oggetti attraverso il contenuto rappresentazionale dell'esperienza, ma la nostra relazione con essi non pu essere definita descrivendo le loro propriet, perch la conoscenza che ne abbiamo , ancora una volta, mediata da quella relazione che vogliamo definire. Le propriet dell'oggetto potranno servire a definire altri tipi

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di relazione col soggetto percipiente, ad esempio la posizione spaziale rispetto ad esso ma non relazioni di tipo epistemologico, perch tali relazioni sono proprio quelle che permettono la conoscenza delle propriet degli oggetti percepiti. Il problema primario che Martin affronta in Uncovering Appearances l'analisi della relazione tra soggetto e oggetto, quando questa conta come esperienza veridica, partendo dal soggetto e dai suoi stati mentali anzich da un oggetto reale i cui caratteri sono tutti da chiarire. Quindi l'analisi partir dalla conoscenza dei caratteri dei nostri stati che contano come esperienze veridiche, conoscenza che come abbiamo visto pu appoggiarsi a intuizioni diverse. Lo scopo dei paragrafi che seguono anzitutto chiarire ulteriormente i due principi fenomenologici alla base rispettivamente delle intuizioni positive dei teorici dei dati di senso e dei teorici rappresentazionalisti, cio le definizioni ACT e TRANS. Nel paragrafo alla fine di questo capitolo spiegher come questi due principi contribuiscono a definire la struttura delle apparenze in senso meta-fenomenologico.

7 NATURA FENOMENICA, PROPRIETA' FENOMENICHE, CONTENUTO Per Martin i due principi menzionati precedentemente, l'attualismo per la teoria dei dati di senso, e la trasparenza dell'esperienza per il rappresentazionalismo, non sono in contraddizione logica tra loro e vengono considerati dai teorici delle due scuole come esclusivi l'uno rispetto all'altro sulla base di considerazioni legate alla possibilit di esperienze illusorie o allucinatorie. Tali principi vengono applicati secondo Martin a ci che egli chiama la natura fenomenica dell'esperienza [phenomenal nature], intendendo con essa l'insieme di due possibili fattori. In primo luogo il contenuto, che va inteso in senso molto generale come quella componente dell'esperienza che permette ad essa di vertere su oggetti. In questa accezione di contenuto si

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prescinde per ora da qualunque assunzione riguardo alla sua natura specifica, ad esempio se il suo carattere sia di tipo proposizionale o meno. L'altra componente della natura dell'esperienza il suo aspetto qualitativo (o quale), o ci che si prova a essere in un particolare stato mentale. Queste due componenti potranno essere ritenute, se la teoria filosofica a cui si aderisce lo prevede, come riducibili l'una all'altra. Tanto il contenuto, quanto gli aspetti qualitativi, sono propriet dell'esperienza. Dal concetto di propriet dell'esperienza dovr invece essere distinto ci su cui verte l'esperienza, e cio l'elemento (oggetto o propriet di un oggetto che sia) presentato [presented element/aspect]. Per elemento presentato si intende ci di cui siamo immediatamente consapevoli nell'esperienza, cio ci a cui l'esperienza, tramite il contenuto, si riferisce. L'elemento presentato, essendo ci su cui verte l'esperienza percettiva, non pu essere identificato con una propriet dell'esperienza, perlomeno nel caso delle esperienze percettive del mondo esterno. Infatti se un'esperienza percettiva ha come elemento presentato 5 oggetti del mondo esterno al soggetto, l'identificazione dell'elemento presentato con una propriet dell'esperienza darebbe luogo a un ovvio paradosso. Se ci su cui verte l'esperienza interpretato a sua volta come propriet dell'esperienza stessa, si arriva alla conseguenza assurda che il carattere intrinseco di tale riferimento una propriet dello stato mentale ad esso diretto. Se ad esempio sto avendo l'esperienza veridica di un elefante dipinto di rosa, l'elemento presentato nella mia esperienza, che ha come propriet l'essere appunto un elefante rosa, sarebbe una propriet dell'esperienza veridica stessa. Ma ovviamente l'esperienza non pu avere tra le sue propriet quella di essere un elefante rosa.

5 Nei paragrafi seguenti, per rimanere fedele alla terminologia usata da Martin, utilizzer unicamente il termine elemento presentato e non il suo equivalente riferimento.

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8 L'ATTUALISMO PIU' NEL DETTAGLIO Veniamo ora al primo due principi che Martin fa dialogare con il concetto di carattere dell'esperienza percettiva che ho appena esposto. Il seguente principio, accettato dai teorici dei dati di senso, definisce il cosiddetto attualismo dell'esperienza, fornendoci un criterio per affermare quando una propriet dell'esperienza una propriet attuale:

(ACT) Una propriet fenomenica P attuale se e solo se, per ogni esperienza che sia P, e che abbia luogo in un intervallo di tempo tm-tn, esiste almeno un oggetto o qualit che il soggetto apprende in tm-tn, e che individua P.

Per un sostenitore dell'attualismo tutte le propriet fenomeniche sono attuali e quindi cadono sotto la definizione che ho appena fornito. Questo vuol dire anzitutto che per l'attualismo, secondo Martin, una propriet dell'esperienza individuata come propriet di tipo P in virt dell'oggetto o della propriet che l'elemento presentato dello stato percettivo. Quindi l'elemento presentato sar condizione necessaria all'identificazione di una propriet dell'esperienza come propriet di tipo P. Identificazione che non va intesa solo in un senso psicologico, tale per cui l'atto di identificazione introspettiva da parte di un soggetto della propriet fenomenica come propriet di tipo P non avrebbe luogo se l'elemento, oggetto o propriet, non fosse presente al soggetto. Infatti ci porterebbe a escludere che un soggetto possa attribuire alla propria esperienza propriet fenomeniche che questa in realt non ha. Nel caso di ACT, affermare che la propriet P individuata da un certo elemento presentato, significa che la presentazione di quell'elemento una condizione che compare nella definizione della propriet come propriet di tipo P. Quindi la presentazione di un certo tipo

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di elemento, con le sue caratteristiche specifiche, far parte della natura della propriet fenomenica P. Ne segue che ogniqualvolta una propriet P viene esemplificata, tale esemplificazione comprender la presentazione dell'elemento relativo. Nel parlare di natura della propriet fenomenica P intendo un insieme di condizioni non solo necessarie, ma anche costitutive rispetto all'occorrenza della propriet fenomenica P. A un primo esame pu apparire strana questa distinzione tra condizioni necessarie e condizioni costitutive per l'occorrenza di un'esperienza. Le esperienze percettive sono eventi mentali, e pu sembrare corretto ritenere che una condizione necessaria all'occorrenza di un evento sia condizione costitutiva di esso e che valga anche la conversa, e che quindi i due termini abbiano pressoch lo stesso significato. Martin ritiene invece che essi vadano distinti, e lo fa nella maniera seguente. Secondo Martin vero che una condizione costitutiva di un evento anche condizione necessaria della sua occorrenza. Egli sostiene per che il termine necessario quando caratterizza una condizione per l'occorrenza di un evento, non indica di per s anche una condizione costitutiva. Cio una data caratteristica pu essere condizione necessaria all'occorrenza di un certo evento, ma non per questo esserne una parte costitutiva. Per esempio la caratteristica in questione pu essere parte costitutiva di un dato evento e, la cui occorrenza a sua volta condizione necessaria per l'occorrenza di un evento distinto da esso, che chiamer e'. Ora, e ed e', sono eventi distinti di cui uno condizione necessaria dell'altro, ma l'evento e non parte dell'evento e', perci nemmeno la caratteristica in questione, pur essendo condizione necessaria per e' non ne parte costitutiva. Poniamo che io vada in libreria a comprare un romanzo di Isaac Asimov, intitolato Abissi d'acciao. L'evento del mio comprare il libro intitolato Abissi d'acciao non potrebbe aver luogo se, in un dato arco di tempo, lo scrittore di origine russa Isaac Asimov non avesse scritto proprio quel libro. Ma l'atto dello scrivere quell'opera da parte di Asimov non pu

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certo far parte del mio comprare il suo libro, anche perch purtroppo il suo autore non pi in vita. Certamente per quell'atto condizione necessaria del mio comprarlo adesso, anche se non parte costitutiva di esso. E qualunque propriet costitutiva dell'atto di scrivere Abissi d'acciaio da parte di Asimov sar a sua volta condizione necessaria dell'evento del mio comprarlo in libreria, anche se non costitutiva di quest'ultimo. In generale possiamo dire che una propriet di un evento e pu essere costitutiva di esso, e allo stesso tempo essere una delle condizioni necessarie all'occorrenza di un evento e', pur non essendo una delle condizioni costitutive di e'. Posto che e ed e' sono distinti e il primo condizione necessaria del secondo. Quindi, una condizione necessaria all'occorrenza di un evento non deve essere per forza anche sua condizione costitutiva. Potr per esserlo, e questo il caso delle propriet fenomeniche attuali, dove il termine individua della definizione di attualismo che abbiamo dato, indica che l'oggetto o qualit presentato al soggetto non solo condizione necessaria all'occorrenza dell'evento mentale che la propriet fenomenica P, ma anche sua condizione costitutiva, secondo la modalit che ho appena spiegato. Torniamo alla definizione di propriet fenomenica attuale. Assumiamo come ipotesi che tutte le propriet fenomeniche che costituiscono il carattere intrinseco delle esperienze percettive siano attuali. Questo ha come conseguenza che se l'elemento presentato, che individua la propriet fenomenica P, non esiste attualmente rispetto al soggetto percipiente, allora la sua esperienza percettiva non potr comprendere come propriet intrinseca un'occorrenza della propriet fenomenica P. Tale esperienza percettiva, se avr luogo, godr di altre propriet fenomeniche, diverse da P, che a loro volta avranno come condizione necessaria e costitutiva la presentazione di oggetti o propriet attuali specifiche. Detto in estrema sintesi, l'esistenza di propriet fenomeniche implicher necessariamente l'esistenza attuale di oggetti o propriet che ne saranno gli elementi costitutivi. Questo varr

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per tutte le propriet dell'esperienza, sia per quanto riguarda il contenuto che per gli aspetti puramente qualitativi. Inoltre l'attualismo, per un teorico dei dati di senso, valido a livello intuitivo sulla base dell'analisi introspettiva dell'esperienza. Ma l'attualismo, se preso da solo, lascia ancora aperta la questione se gli elementi presentati siano anche condizione sufficiente all'occorrenza delle propriet fenomeniche. Cio se dall'esistenza di un elemento presentato p segua necessariamente, ed in senso costitutivo, l'esistenza di un'esperienza con una propriet fenomenica P. Questo equivarrebbe ad un'asserzione di dipendenza ontologica delle propriet o degli oggetti presentati nell'esperienza dall'occorrenza dell'esperienza stessa. In base a una tale asserzione gli elementi presentati nell'esperienza esistono fintantoch vengono esperiti. E smettono di esistere, quantomeno come oggetti attuali per un soggetto, al termine dell'atto percettivo. Questo tipo di dipendenza non implicata dalla definizione di attualismo che abbiamo dato. Basandoci solamente sulla validit generale di ACT potremmo ancora ammettere come possibilit l'indipendenza dei dati senso dell'esperienza dallo stato mentale da essi costituito, senza accettare, in linea con la definizione, un'indipendenza in senso opposto, cio degli stati percettivi dai dati di senso relativi6. Una posizione del genere potrebbe risultare plausibile considerando unicamente il caso delle esperienze percettive veridiche, intendendo i dati di senso, o elementi presentati, come oggetti del mondo fisico. Questi per loro stessa definizione continuano ad esistere anche in assenza di uno stato mentale che li riguardi.

9 I DATI DI SENSO COME OGGETTI NON FISICI Il teorico dei dati di senso rifiuta sia l'idea che i dati di senso siano oggetti fisici sia l'idea che siano indipendenti. In questo paragrafo spiegher meglio perch il teorico dei dati di senso rifiuta la prima
6 Ricordiamo che qui si intendono i termini dipendenza e indipendenza in senso ontologico.

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possibilit. Nel paragrafo successivo fornir la spiegazione che Martin d del perch il teorico dei dati di senso rifiuta anche la seconda possibilit. Prendiamo in esame, ancora una volta, le allucinazioni. E' possibile definire un'esperienza di tipo allucinatorio che abbia come elemento presentato un oggetto fisico O, cio che verta su un oggetto fisico O, nel modo seguente.

Un'allucinazione di un oggetto fisico O, un'esperienza il cui carattere intrinseco non ha come condizione necessaria l'esistenza del proprio elemento presentato, cio l'oggetto fisico O, ed inoltre indistinguibile introspettivamente da un'esperienza veridica corrispondente. Essa inoltre un'esperienza ottenuta determinando le medesime cause prossimali presenti nell'esperienza veridica, senza che l'elemento presentato, o riferimento dell'esperienza, ne sia la causa distale.

Per mostrare i vincoli che questo caso di esperienza pu porre, inizier col proporre in forma normale l'argomento, pi volte esposto in precedenza, in favore di un carattere non fisico dei dati di senso. L'argomento ha come prima premessa il principio dell'attualismo, il quale, ricordiamolo, non dice ancora nulla riguardo alla natura mentale o fisica degli oggetti su cui vertono le esperienze veridiche. Possiamo utilizzare come seconda premessa la possibilit che ho menzionato prima, cio che gli elementi presentati nell'esperienza siano oggetti del mondo fisico. Questa la premessa che verr messa alla prova.

1. (ACT) Una propriet fenomenica P attuale se e solo se, per ogni esperienza che sia P, e che abbia luogo in un intervallo di tempo t m-tn, esiste almeno un oggetto o

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qualit che il soggetto apprende in tm-tn, e che individua P.

2.

L'elemento o aspetto la cui presentazione attuale condizione necessaria

all'occorrenza della propriet fenomenica P, e che individua P essendone anche condizione costitutiva, deve essere nel caso di esperienze percettive veridiche un oggetto, o propriet, del mondo fisico.

A queste due premesse possibile aggiungerne ora una terza, che inferisce l'identit delle caratteristiche intrinseche di due esperienze, cio delle loro condizioni necessarie e costitutive, a partire dalla loro indistinguibilit ad un'analisi introspettiva.

3. Se per un qualunque soggetto S due esperienze E ed E' risultano indistinguibili in ognuna delle loro propriet fenomeniche allora E ed E' saranno esperienze dello stesso tipo T, che definisce il loro carattere intrinseco.

La quarta premessa ammette la possibilit di esperienze allucinatorie indistinguibili, a un'analisi introspettiva, da esperienze veridiche corrispondenti.

4. Data una qualunque esperienza veridica V, sempre possibile in linea teorica indurre in un soggetto S, attraverso un'opportuna stimolazione di aree del cervello, un'esperienza allucinatoria V' indistinguibile in ognuna delle sue propriet fenomeniche da V.

Da 4 e 3 seguir:

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5. Le esperienze V e V' nel caso in cui abbiano luogo saranno esperienze del medesimo tipo T che definisce l'insieme di condizioni necessarie e costitutive per il carattere intrinseco di V e V'.

Ma 1, 2 e 5 implicano che

6. Sia V sia V' hanno come condizione necessaria e costitutiva del loro carattere intrinseco la presentazione attuale di oggetti del mondo fisico.

6 implica che nel caso di un'allucinazione indistinguibile da un'esperienza veridica di un oggetto fisico, il carattere intrinseco dell'esperienza attuale, e perci l'elemento presentato esiste ed parte costitutiva della fenomenologia dell'esperienza. Ma in questo caso l'elemento presentato un oggetto fisico, perci 6 porta ad affermare che l'occorrenza del carattere intrinseco, cio della fenomenologia di V', implica l'esistenza dell'oggetto fisico su cui verte l'esperienza. Ma questo va contro la definizione di allucinazione di un oggetto fisico O. L'unico modo che abbiamo per accordare l'argomento alla definizione di allucinazione che stata data modificandolo opportunamente. La tesi espressa dai punti 3, 4 e 5 sar detta anche tesi del massimo comune denominatore (CKA), che discuteremo in seguito. La scelta del teorico dei dati di senso ritenere falsa la premessa 2, cio l'idea che sia parte del carattere intrinseco delle esperienze veridiche la presentazione attuale di oggetti del mondo fisico. D'altra parte la premessa 1 richiede che un qualche tipo di oggetto attuale venga presentato alla coscienza del soggetto che ha l'esperienza. La scelta del sostenitore dell'attualismo ricade quindi su oggetti non fisici. Tali oggetti non fisici andranno a costituire il carattere intrinseco delle esperienze veridiche e delle allucinazioni, vista la loro indistinguibilit e quindi identit per quanto concerne la loro propriet costitutive.

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10 IL NATURALISMO DELL'ESPERIENZA Alla fine del precedente paragrafo abbiamo visto che per il sostenitore dell'attualismo gli elementi presentati nell'esperienza veridica non possono essere oggetti o propriet di tipo fisico. Resta ancora da verificare se egli debba sostenere che tali oggetti o propriet sono dipendenti rispetto all'esperienza che se ne ha. In linea teorica la possibilit dell'indipendenza non esclusa da ACT, e Martin ritiene che questo caso vada esplorato nelle sue implicazioni. Prima di affrontare questo problema per necessario discutere un ulteriore principio, che Martin chiama naturalismo dell'esperienza [Experiential Naturalism].

(EN) Le nostre esperienze sensoriali sono eventi che appartengono al mondo naturale, e in quanto tali, sono soggette al suo ordine causale. Tale ordine prevede che gli eventi del mondo naturale abbiano come condizioni sufficienti l'occorrenza di cause fisiche, e che a loro volta, possano determinare l'occorrenza di altri di eventi fisici.

L'adesione a questo principio in parte implicita nella definizione di allucinazione e nella formulazione della premessa 4 dell'argomento esposto nel paragrafo precedente. Il teorico dei dati di senso, come abbiamo visto, deve affermare che le esperienze percettive hanno come parte costitutiva del loro carattere intrinseco la presentazione di oggetti o propriet di oggetti non fisici. Un sostenitore della teoria dei dati di senso dovr inoltre, secondo Martin, essere d'accordo con il principio EN, perch senza di esso risulterebbe difficile individuare una classe di oggetti non fisici. Questo perch lo stesso concetto di oggetto fisico, da cui quello di oggetto non fisico dipende, risulterebbe altrimenti difficilmente individuabile 7. Per poter definire la nozione di oggetto non fisico infatti necessaria una nozione soddisfacente di oggetto fisico. La definizione che cerchiamo non pu limitarsi alla caratterizzazione che darebbe ad

7 Cfr. M.G.F. Martin, Uncovering Appearances, cit., pg. 18, cap 3.

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esempio un fisico. Quest'ultimo potrebbe dire che gli oggetti fisici sono in generale oggetti costituiti dai quark, cio dalle particelle che costituiscono a loro volta le particelle subatomiche, protoni, elettroni e neutroni (naturalmente sto semplificando molto la definizione che un fisico potrebbe dare di materia, che in realt molto pi complicata). Dire che gli oggetti che esperiamo sono insiemi di quark per non rende conto dell'esperienza che abbiamo di essi. Quel che ci serve una definizione non tanto di oggetto fisico, ma di oggetto fisico percepibile. E noi nella nostra esperienza non percepiamo certo degli insiemi di quark, e poi di protoni, elettroni, neutroni, e poi atomi etc. Per percepire insiemi del genere dovremmo percepire coi nostri organi di senso le propriet che li individuano appunto come insiemi di quark, protoni, elettroni etc.. Ma chiaramente simili propriet non sono individuabili dai nostri organi di senso. Le propriet che riusciamo a percepire sono quelle accessibili alla nostra esperienza ordinaria, e sono gli oggetti fisici che compaiono nella nostra esperienza ordinaria che vorremmo definire, non gli insiemi di particelle e le loro interazioni descritti dalla fisica teorica. Ci che ci serve individuare una propriet comune agli oggetti fisici con cui entriamo in contatto tramite le nostre esperienza veridiche. Potremmo tentare di rintracciarla affermando che la nozione di oggetto fisico coincide, e quindi coestensiva, con il concetto di un'entit indipendente che sia tale da essere percepibile nella realt circostante, da un soggetto che abbia gli organi sensoriali appropriati. Martin fa notare subito che una definizione di questo tipo non riesce ad abbracciare in modo soddisfacente alcuna classe di oggetti. Si possono fornire esempi di entit indipendenti dalla nostra esperienza e che percepiamo nel mondo intorno a noi, ma che non classificheremmo come oggetti fisici, come nel caso dei buchi, delle ombre o degli arcobaleni. Se ci ostiniamo a definire gli oggetti fisici come entit tali da essere percepibili nella realt circostante, allora gli esempi appena forniti ci costringerebbero a una forte revisione delle nostre intuizioni

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riguardo a ci che percepibile, portandoci o a sostenere che gli oggetti citati sopra in realt sono oggetti fisici a tutti gli effetti, oppure, ancora pi implausibilmente, a sostenere che tali oggetti in realt non vengano affatto percepiti. Sarebbe invece preferibile, continua Martin, cambiare la definizione che abbiamo appena dato con una migliore. Ma, come fece gi notare Austin a suo tempo, individuare un concetto generale sotto il quale sussumere tutti gli oggetti di cui facciamo esperienza nel mondo intorno a noi, sembra un compito quantomeno ostico se non insormontabile. Questa difficolt nel definire la nozione di oggetto fisico, impedirebbe al teorico dei dati di senso di fornire una definizione degli stessi sense data, nel momento in cui vengano intesi come oggetti non fisici, dato che la definizione di questi dipende dalla definizione di oggetto fisico. Questo ha come conseguenza che la stessa definizione di oggetto in generale, che dovrebbe comprendere tanto gli oggetti fisici quanto gli oggetti non fisici di cui parla in teorico dei sense data, risulta problematica. L'unico modo, sostiene Martin, per raccogliere gli oggetti in quanto oggetti in un'unica classe quello di caratterizzarli attraverso la loro relazione coi soggetti percipienti, senza tentarne una definizione che colga delle caratteristiche intrinseche degli oggetti. Sar decisamente preferibile una definizione generale di oggetto nei termini di tutto ci che pu interagire causalmente con gli organi di senso dei soggetti, sia come antecedente di tale causazione, sia come conseguenza immediata. Se il teorico dei dati di senso accetta l'idea della possibilit di un'interazione causale tra mondo fisico e sense data, allora la possibile interazione causale con gli organi di senso potr essere considerata una propriet che caratterizza sia gli oggetti materiali, in quanto possibili antecedenti nel rapporto causale, sia i dati di senso, in quanto la loro occorrenza come elementi presentati nell'esperienza sar conseguenza della stimolazione degli organi di senso stessi. Questa definizione presupporr la possibilit di un'interazione di tipo causale tra gli oggetti percepiti e gli organi di senso, interazione che a sua volta sar responsabile di un'esperienza

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con determinate caratteristiche fenomeniche. In altre parole questa definizione prender come punto di partenza l'inserimento dei nostri stati mentali nell'ordinamento causale del mondo naturale, presupponendo l'adesione al principio del naturalismo dell'esperienza 8. In base a tale principio l'occorrenza di uno stato mentale sar inserita nelle catene causali che coinvolgono gli eventi fisici del mondo naturale. Avr come cause sufficienti degli eventi fisici, e a sua volta potr essere causa sufficiente di ulteriori eventi fisici. Determinate cause fisiche saranno quindi condizione sufficiente all'occorrenza di stati mentali, e quindi anche a fissare la probabilit che un dato evento mentale abbia luogo. Nel caso in cui, ad esempio, vi sia l'attivazione degli appropriati circuiti cerebrali, tale probabilit sar del 100%.

11 PROBLEMI LEGATI ALL'IDEA DELL'INDIPENDENZA DI DATI DI SENSO NON FISICI A questo punto occorre analizzare perch, secondo il teorico dei dati di senso, gli oggetti non fisici che costituiscono il carattere intrinseco delle esperienze percettive devono essere dipendenti da queste ultime. Abbiamo visto che l'attualismo preso da solo non vieterebbe la possibilit di una indipendenza degli elementi presentati dalle propriet dell'esperienza. Supponiamo che il teorico dei dati di senso modifichi la sua posizione accettando il principio secondo cui:

I dati di senso dell'esperienza percettiva sono oggetti non fisici indipendenti dalla nostra esperienza di essi

Che i dati di senso siano oggetti non fisici appurato, secondo il teorico dei dati di senso, a partire dell'argomento dell'allucinazione9. La definizione di attualismo che Martin ha fornito
8 Ivi, pg. 19, cap. 3. 9 Cfr. 9, pg 33.

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prevede che un'esperienza percettiva, allucinatoria o non, richieda necessariamente l'esistenza di oggetti o propriet che siano l'esemplificazione degli elementi presentati nell'esperienza. Quindi l'esistenza degli elementi presentati sar condizione necessaria all'occorrenza dell'esperienza. Se tali elementi non esistono la probabilit che l'esperienza abbia luogo sar dello 0%. Questo vuol dire che la probabilit che un'esperienza percettiva abbia luogo, per un teorico dei dati di senso, non potr essere fissata unicamente dall'occorrenza delle cause fisiche dell'evento mentale, i.e. l'occorrenza di un determinato stato del cervello. A determinare la probabilit che un'esperienza percettiva abbia luogo sar anche l'esistenza degli oggetti che sono costitutivi di essa, oggetti che il teorico dei dati di senso dovr intendere come non fisici, in base all'argomento formalizzato sopra. Il problema che il naturalismo dell'esperienza prevede che tutti gli eventi mentali abbiano come condizioni sufficienti per la loro occorrenza eventi fisici. Mentre il teorico dei dati di senso obbligato ad ammettere eventi non fisici come condizione necessaria per l'occorrenza di particolari eventi mentali, le esperienze percettive. Il risultato sar che la sola occorrenza di eventi fisici non sar sufficiente per l'occorrenza di determinati tipi di stati mentali, le esperienze percettive. Questo in contraddizione con (EN), il quale un principio che il teorico dei dati di senso sembra costretto ad accettare. Un modo possibile per gestire il problema appena sollevato, continua Martin, sarebbe ammettere che gli eventi fisici sufficienti a causare l'occorrenza di un'esperienza percettiva siano sufficienti a determinare l'occorrenza di oggetti di tipo non fisico10 in relazione col soggetto percipiente. Nel nostro caso tali oggetti saranno determinati sense data, intesi, ricordiamolo, come indipendenti dai nostri stati mentali. Questo permetterebbe a stati di tipo fisico di essere condizione sufficiente per l'occorrenza di quei determinati dati di senso, senza i quali l'esperienza percettiva relativa ad essi non potrebbe sussistere. Si potrebbe cos continuare a concepire stati fisici come sufficienti a determinare l'occorrenza di esperienze
10 Ivi, pg. 23, cap 3.

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percettive senza cadere in contraddizione col principio dell'attualismo. E' possibile schematizzare questa proposta nel modo seguente, dove le frecce indicano nessi causali in cui l'occorrenza dell'elemento in posizione di antecedente sufficiente a determinare l'occorrenza dell'elemento in posizione di conseguente, e perci l'occorrenza di quest'ultimo condizione necessaria per l'occorrenza del primo:

Sense Data

Stato fisico

Propriet dell'esperienza

Una scorciatoia di questo genere avrebbe vari inconvenienti, il maggiore dei quali il seguente. L'ammissione che eventi di tipo mentale possano avere effetti di tipo fisico, e viceversa, fondata sull'esperienza in prima persona di tale interazione. In generale questa interazione sar ammessa sulla base di un principio generale, in base al quale se due tipi di eventi, fisici o non fisici che siano, seguono regolarmente l'uno all'altro allora sussiste una connessione causale tra di essi. E affermare questa connessione sar giustificato dalla sua osservabilit in prima persona. Ma nel caso del rapporto tra eventi fisici e sense data, concepiti come non fisici e indipendenti da qualunque soggettivit? Abbiamo visto che i dati di senso non vengono identificati a livello ontologico con stati mentali, in base ad ACT, ma ne sono unicamente condizione necessaria dell'occorrenza, e che, nel caso della scorciatoia che si sta tentando, i dati di senso hanno come causa sufficiente

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l'occorrenza di eventi fisici. Verrebbe naturale a questo punto chiedersi con quali modalit avvenga l'interazione tra stati fisici e dati di senso e perch essa non venga di fatto mai osservata. Inoltre nulla impedirebbe di ipotizzare un'interazione tra mondo fisico e dati di senso in assenza di un qualunque osservatore, visto che i dati di senso potrebbero sussistere anche in assenza di un'esperienza di cui siano parte costitutiva (ricordo che l'ipotesi che sto discutendo che sia vero che i dati di senso sono indipendenti dall'esperienza). Il fatto che una possibilit del genere non venga esclusa dalla teoria, sulla base dell'ipotesi che ho fatto all'inizio di questo paragrafo, anche se non d luogo a contraddizioni interne ad essa, la rende decisamente bizzarra agli occhi del buon senso, tanto da far sembrare l'ipotesi di un'interazione causale tra stati fisici e dati di senso come eccessivamente ad hoc. Molto meglio, per il teorico dei dati di senso, affermare che eventi fisici sono le cause prossimali dell'occorrenza di eventi mentali, le esperienze percettive, e che queste sono a loro volta condizione sufficiente e necessaria dell'occorrenza di dati di senso. Questo farebbe s che nel momento in cui un evento fisico determina l'occorrenza di un dato di senso, a questo sia inevitabilmente associato uno stato percettivo che sar anche sua condizione sufficiente. In questo modo si evita di lasciare aperta la possibilit di casi bizzarri di interazione causale come quelli menzionati sopra. Inoltre la soluzione appena esposta permette al teorico dei dati di senso di affermare che l'occorrenza di eventi fisici sufficiente all'occorrenza di esperienze percettive e al contempo di affermare che queste ultime hanno come condizione necessaria l'occorrenza di dati di senso. Cio di affermare la compatibilit del naturalismo dell'esperienza e del principio del principio dell'attualismo . Questo perch le cause fisiche saranno sufficienti non solo per l'occorrenza degli stati mentali ma anche dei dati di senso necessari all'occorrenza degli stati mentali stessi, cio delle esperienze percettive. Dati di senso e stati percettivi saranno inoltre legati tra loro in senso costitutivo e non solo

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modale, cio finiranno con l'identificarsi reciprocamente. In tal modo le cause prossimali, cio gli stati cerebrali, potranno essere visti come la condizione sufficiente dell'occorrenza di determinati stati mentali con i loro peculiari dati di senso. I nessi implicativi possono essere schematizzati nella seguente maniera:

Stato fisico

Sense Data

Propriet dell'esperienza

Il prezzo da pagare nell'adottare tale concezione sar abbandonare l'idea che i dati di senso siano indipendenti dagli stati mentali che li riguardano. In altre parole il prezzo da pagare sar l'adozione di quello che Martin chiama soggettivismo [subjectivism].

(SUBJ) Un oggetto, o esemplificazione di propriet, p soggettivo se e solo se l'elemento o aspetto presentato di una propriet fenomenica P, e l'oggetto o qualit esemplificata costituito dall'occorrenza della propriet fenomenica P.

Accettare che SUBJ valga in generale per tutti gli oggetti su cui vertono le nostre esperienze percettive, non costituisce di per s un'adesione alla teoria dei sense data; infatti in linea teorica possibile accettare che un oggetto o propriet sia soggettivo, negando al contempo che per esso valga ACT. Il principio del soggettivismo definisce la dipendenza ontologica di determinati oggetti o propriet che costituiscono l'elemento presentato di un'esperienza percettiva dall'occorrenza dell'esperienza percettiva stessa. Esso non implica nulla riguardo alla dipendenza o indipendenza ontologica dell'esperienza percettiva dall'oggetto percepito. Semplicemente queste due possibilit vengono lasciate aperte finch non viene affermata anche la validit generale dell'attualismo. Accettare congiuntamente la validit di SUBJ e ACT per tutti gli eventi che sono esperienze

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percettive, significa accettare un legame di doppia implicazione tra elementi presentati nell'esperienza e propriet dell'esperienza stessa, nonch un legame di tipo costitutivo reciproco tra i due. Questo vuol dire che data una propriet fenomenica P, questa avr come condizione necessaria e sufficiente della propria occorrenza, l'occorrenza a sua volta di un oggetto di tipo p. Tale legame, in base alle definizioni di ACT e SUBJ, non sar unicamente modale, ma costitutivo. Il che vorr dire che la definizione della propriet fenomenica come di tipo P, avr come riferimento un oggetto percepito p, e viceversa la definizione dell'oggetto come oggetto di tipo p avr come riferimento una propriet fenomenica P. Ci equivale ad affermare l'identit di propriet fenomeniche di tipo P con oggetti di tipo p.

12 ATTUALISMO E TRASPARENZA COME PRINCIPI CONTRARI Il teorico dei dati di senso per una questione di economia interna alla sua teoria, che altrimenti ammetterebbe la possibilit di bizzarre interazioni tra mondo fisico e sense data, dopo aver aderito al principio del naturalismo dell'esperienza e a quello dell'attualismo, sar costretto ad aderire anche al soggettivismo. La tesi di Martin, a questo punto, che esiste un legame tra la validit dell'attualismo e del naturalismo dell'esperienza per una propriet fenomenica P, e la validit del soggettivismo per l'elemento presentato corrispondente alla propriet stessa. Tale legame sar giustificato inoltre dall'accettazione della tesi del massimo comune denominatore (o CKA, acronimo che sta per common kind argument), che era gi implicita nell'argomento dell'allucinazione fornito in precedenza11. Ne do ora una definizione esplicita.

(CKA) Data una qualunque esperienza veridica V, sar sempre concepibile, e quindi possibile, un'allucinazione V' avente lo stesso carattere intrinseco di V, e quindi del medesimo tipo T che definisce le caratteristiche intrinseche di entrambe.
11 Vedi pg 25.

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Secondo Martin, la negazione del soggettivismo per un oggetto o propriet percepito, dovrebbe portare, per quell'oggetto o propriet, alla negazione della verit di almeno uno di questi tre principi: attualismo, naturalismo dell'esperienza, tesi del massimo comune denominatore. Per il teorico dei sense data il sostegno congiunto alle tesi del massimo comune denominatore e dell'attualismo porta, alla luce dei casi di allucinazione, a negare che l'occorrenza di oggetti fisici sia condizione necessaria per l'occorrenza delle nostre esperienze percettive. L'adesione al naturalismo dell'esperienza porter poi a intendere gli oggetti esperiti come dipendenti, in senso costitutivo e non solo modale, dall'esperienza che verte su di essi, e quindi ad aderire anche al soggettivismo. Nel caso dei teorici rappresentazionalisti la negazione del soggettivismo per gli oggetti o propriet su cui vertono le esperienze conseguenza naturale dell'affermazione intuitiva dell'indipendenza degli oggetti percepiti dalle esperienze percettive che li riguardano, sulla base del principio della trasparenza dell'esperienza (cio TRANS). In tal modo gi nella sua definizione una propriet trasparente si configura come una propriet non soggettiva, e che quindi non cade sotto la definizione SUBJ.

(TRANS) Una propriet fenomenica P trasparente se e solo se, per ogni esperienza che sia P, non si d il caso che l'elemento o aspetto presentato corrispondente alla propriet P sia costituito dall'occorrenza di P.

A questo punto, visto che l'affermazione di SUBJ per qualunque propriet fenomenica P, conseguenza del sostegno congiunto ad ACT, CKA e EN, sempre per qualunque P, la negazione del primo dovr portare alla negazione di almeno uno tra gli ultimi tre principi. La scelta dei rappresentazionalisti, continua Martin, non cade su una negazione di CKA o EN,

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perch considerati principi sufficientemente corroborati a livello empirico. A esser negata da loro sar quindi l'applicabilit del principio dell'attualismo per qualunque propriet fenomenica P. La negazione dell'attualismo potr valere per qualunque propriet fenomenica P, indipendentemente dal tipo di esperienza percettiva, e cio implicare che per nessuna esperienza percettiva esistano oggetti la cui presentazione attuale sia intrinseca al carattere dell'esperienza stessa. Oppure ammettere delle eccezioni, come nel caso delle esperienze del senso interno, dove in effetti pu essere difficile distinguere l'elemento presentato dalla propriet fenomenica ad esso associata. Si pensi ad esempio al caso in cui la mia esperienza l'esperienza di, cio verte su, un forte dolore alla gamba, dove la gamba non sar certo una propriet dell'esperienza, ma il forte dolore, che comunque un elemento presentato nel contenuto, s. Il che potrebbe essere preso come spunto per argomentare che perlomeno in casi come questo l'esperienza verta necessariamente su oggetti dipendenti. Alcuni, come Mark Johnston, hanno avanzato l'idea che eccezioni si possano rintracciare anche nel caso delle esperienze del senso esterno, per quanto riguarda l'esperienza dei colori. In ogni caso, secondo Martin, nella misura in cui si rifiuta la validit del soggettivismo per alcune propriet dell'esperienza, affermando quindi la validit del principio della trasparenza, questo avr come conseguenza, per un teorico rappresentazionalista, la negazione automatica anche dell'applicabilit del principio dell'attualismo per quelle stesse propriet. Questo, ribadiamolo, previa assunzione della validit generale tanto del principio del naturalismo dell'esperienza quanto della tesi del massimo comune denominatore12. Dal canto suo, il teorico dei dati di senso, nell'affermare la validit dell'attualismo per alcune propriet dell'esperienza, sar costretto ad affermare, come abbiamo gi visto, anche la validit del soggettivismo per quelle stesse propriet, che quindi conteranno come costitutive dei loro elementi presentati. Il che avr come conseguenza, visto che soggettivismo e
12 Ivi, pp. 31-33, cap 3

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trasparenza hanno definizioni tra loro contraddittorie, che il principio della Trasparenza non potr essere applicato a quelle stesse propriet dell'esperienza. Dal che si evince che trasparenza e attualismo sono due principi contrari nella loro applicazione a propriet fenomeniche, previa accettazione di EN e CKA. Contrari nel senso che non possono essere entrambi veri per una data propriet fenomenica, dato che la verit dell'uno implica necessariamente la falsit dell'altro.

13 FORMALIZZAZIONE DEL CONTRASTO TRA (ACT) E (TRANS) Per Martin, quanto detto nel paragrafo precedente spiega un fatto storicamente rilevante per la filosofia, ovvero perch numerosi autori importanti abbiano considerato, alla luce dei casi di allucinazione, due principi di per s compatibili dal punto di vista logico come l'uno implicante la negazione dell'altro. Schematizzer ora i nessi implicativi appena descritti per giustificare tale rapporto tra ACT e TRANS per una propriet fenomenica P.

1. (ACT & CKA & EN) SUBJ 2. TRANS ~SUBJ 3. TRANS (~ACT v ~CKA v ~EN) 4. (ACT & CKA & EN) ~TRANS 5. (TRANS & CKA & EN) ~ACT

premessa definizione per 1, 2 e Modus Tollens per 1 e 2 per 1, 2 e 3

4 e 5 esprimono appunto la mutua esclusione dell'applicabilit di TRANS e ACT per una propriet fenomenica P. Cio, quel che si pu affermare sulla base di queste due conclusioni che la verit dell'attualismo per una propriet fenomenica P implica la falsit della trasparenza per P, e viceversa. Ci non vuol dire, visto che 4 e 5 non esprimono nessi di doppia implicazione, che la falsit

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del principio della trasparenza per una propriet fenomenica P implichi la verit del principio dell'attualismo per quella stessa propriet. O che la falsit del principio dell'attualismo implichi la verit del principio della trasparenza sempre per la propriet P. Questo vuol dire, se prendiamo il caso di 4, che la negazione dell'indipendenza dell'elemento presentato dall'esperienza che su di esso verte, non dice ancora nulla riguardo l'indipendenza o la dipendenza dell'esperienza dall'elemento presentato stesso. Ossia, il fatto che una propriet fenomenica P non sia trasparente, e che quindi sia costitutiva del suo elemento presentato, non implica che essa sia una propriet fenomenica attuale, cio che dipenda per la sua occorrenza dall'esistenza dell'oggetto su cui verte. Ovverosia, la verit del soggettivismo non implica la verit dell'attualismo, e anzi ammette la possibilit che in concomitanza della dipendenza dell'elemento presentato dall'esperienza, l'esperienza stessa non sia a sua volta dipendente da esso. D'altro canto, per quanto riguarda 5, la negazione della dipendenza dell'esperienza percettiva dall'esistenza dell'elemento presentato, cio la negazione dell'applicabilit di ACT a P, non implica ancora l'indipendenza dell'elemento presentato dall'esperienza stessa, cio l'applicabilit di TRANS a P. Anche in questo caso, vi la possibilit logica della dipendenza dell'elemento presentato in concomitanza dell'indipendenza della propriet fenomenica corrispondente.

14 UN CASO POCO PLAUSIBILE MA COMUNQUE POSSIBILE. Quanto detto alla fine del precedente paragrafo, porta alla luce il fatto che sia la negazione di TRANS sia la negazione di ACT ammettono una terza possibilit riguardo al rapporto tra una propriet fenomenica P e un elemento presentato p. Questa prevede appunto la dipendenza dell'elemento presentato p dall'occorrenza della propriet fenomenica P, e l'indipendenza di P da qualunque occorrenza di p. Essa consiste cio nella negazione sia di ACT sia di TRANS.

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Quest'ultima una tesi che sarebbe alquanto implausibile se sostenuta in generale, ma se ristretta ad alcuni tipi di esperienza potrebbe trovare delle motivazioni. Per esempio un sostenitore di questa tesi potrebbe essere un filosofo che osservando il caso delle esperienze puramente qualitative, quali dolore, felicit, angoscia etc. concluda che i presunti oggetti su cui vertono tali esperienze, ossia i qualia di tali esperienze, debbano essere dipendenti dall'esperienza. D'altra parte potrebbe ritenere troppo liberale dal punto di vista ontologico una teoria che ammetta l'esistenza di oggetti come i qualia, ed essere al tempo stesso ostile a una spiegazione avverbialista di essi. Questo potrebbe portarlo ad affermare il carattere rappresentazionale delle esperienze qualitative, che quindi verterebbero per lui su oggetti o propriet sia rappresentazionali sia dipendenti dall'esperienza. Ma allo stesso tempo riterrebbe che l'oggetto o propriet su cui vertono tali esperienze semplicemente non esista mai, e che quindi esse abbiano sempre contenuto falsidico13.

15 REALISMO INGENUO E DISGIUNTIVISMO Riassumendo, ho tracciato un quadro complessivo in cui l'indipendenza degli elementi presentati, cio la validit del principio della trasparenza, implica l'indipendenza delle propriet fenomeniche che vertono su di essi. Mentre la dipendenza delle propriet fenomeniche, cio la validit del principio dell'attualismo, implica la dipendenza degli elementi presentati corrispondenti. In entrambi i casi, come abbiamo visto, la conversa non segue necessariamente. Un'altra cosa che possiamo notare che l'affermazione dell'applicabilit di ACT o di TRANS, se congiunta all'affermazione di CKA e EN porta alla negazione della congiunzione di ACT e TRANS. Possiamo quindi ricavare da 4 e 5 le due seguenti proposizioni:

6. (ACT & CKA & EN) ~(ACT & TRANS)


13 Ivi, pg 37, cap 3.

segue da 4

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7. (TRANS & CKA & EN) ~(ACT & TRANS)

segue da 5

Dove la congiunzione dei principi dell'attualismo e della trasparenza non altro che una formulazione del realismo ingenuo. Quest'ultimo una concezione delle propriet fenomeniche dell'esperienza come non costitutive dei loro elementi presentati, e vincolate, per la loro occorrenza e individuazione, all'esistenza attuale degli elementi presentati stessi. Una propriet fenomenica per cui valgano tanto il principio dell'attualismo quanto quello della trasparenza, porter inevitabilmente alla negazione della congiunzione che occupa il primo membro dell'implicazione sia in 6, sia in 7. Questa negazione dovr incidere su CKA o EN, o entrambi. La scelta meno plausibile sembra essere la negazione di EN. Negare che le nostre esperienze abbiano come condizioni sufficienti degli stati fisici, e che a loro volta siano in grado di determinare stati fisici, sembra andare contro l'evidenza neurologica che stata ampiamente osservata a favore di una connessione causale tra stati del cervello e stati mentali dei soggetti. Tale connessione causale non implica ancora una connessione necessaria tra tipi di stati neurologici e tipi di stati mentali. Quindi non si esclude da un punto di vista logico che a stati neuronali identici, indotti attraverso opportuna stimolazione, possano corrispondere stati mentali di tipo diverso. Per questa ragione possibile che i casi di allucinazione indotta V' non appartengano al medesimo tipo condividano il carattere intrinseco. La scelta del sostenitore del realismo ingenuo sar perci rifiutare CKA, continuando ad affermare la verit del principio EN. Affermare che una propriet fenomenica P definita secondo quanto afferma il realismo ingenuo significa che tale propriet implica l'esistenza di un oggetto indipendente p, e che P non potrebbe occorrere nel caso in cui p non esistesse. Quindi non sarebbe logicamente possibile un'esperienza allucinatoria dell'oggetto p e che goda della propriet fenomenica P, T dell'esperienza veridica V, e cio non ne

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dato che avere un'allucinazione di p significherebbe la non necessit dell'esistenza dell'elemento p. Poniamo che il realismo ingenuo sia vero in generale per il contenuto delle esperienze veridiche. Il contenuto di un'esperienza una delle propriet che definiscono il tipo specifico dell'esperienza stessa. Nel caso di esperienze veridiche, il contenuto avr come elemento presentato oggetti o propriet del mondo fisico. Tali oggetti saranno parte costitutiva di tale contenuto. Quindi il medesimo tipo di contenuto non potr occorrere in un'esperienza allucinatoria. Visto che il tipo di contenuto va inteso come una propriet che definisce il carattere intrinseco delle esperienze allora un'esperienza veridica e una allucinatoria non potranno mai avere lo stesso carattere intrinseco o fenomenologia. Cio le definizioni del carattere intrinseco dei due tipi di esperienze non potranno coincidere o essere ridotte l'una all'altra. Il trattamento dell'una sar necessariamente disgiunto dal trattamento dell'altra, nel momento in cui si vadano ad esaminare propriet fenomeniche che cadono sotto la definizione del realismo ingenuo. Definire a livello intrinseco il contenuto di un'esperienza veridica non porter congiuntamente a definire anche il contenuto di un'allucinazione corrispondente, quindi i due contenuti saranno da considerare come appartenenti a classi disgiunte. L'indicazione del tipo specifico a cui appartiene il carattere intrinseco di un'esperienza veridica, non sar congiuntamente l'indicazione del tipo specifico di un'allucinazione corrispondente. Dove per tipo specifico si intende il tipo che definisce le caratteristiche intrinseche di un'esperienza. Una nozione di contenuto delle esperienze veridiche come quella appena esposta fa di esso una propriet che una volta esemplificata all'interno di un'esperienza la rende appartenente a una classe ben definita e distinto dalla classe delle esperienze allucinatorie, gi a partire dal loro carattere intrinseco. Se una propriet di questo genere posseduta per definizione dal carattere intrinseco delle esperienze veridiche allora esse cadranno sotto una certa categoria,

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che possiamo indicare genericamente come di tipo T, ma per il loro carattere intrinseco non potranno mai cadere sotto una categoria di tipo T', che identifichi le esperienze allucinatorie. E viceversa le esperienze allucinatorie, cio di tipo intrinseco T', non potranno mai cadere anche sotto la categoria T, proprio perch la loro definizione impedisce che abbiano come carattere intrinseco la presentazione di alcun tipo di oggetto fisico, cio che abbiano lo stesso tipo di contenuto di un'esperienza veridica. T e T', che identificano rispettivamente il carattere intrinseco delle esperienze veridiche e delle esperienze allucinatorie, saranno in altri termini due categorie logicamente disgiunte. Una propriet fenomenica che ha le caratteristiche richieste dal realismo ingenuo, cio una propriet per cui valgono sia ACT sia TRANS potr essere denominata una propriet fenomenica disgiuntiva, proprio perch un'esperienza che la comprenda all'interno del suo carattere intrinseco non potr avere tale carattere in comune con un'allucinazione. Possiamo definire una propriet fenomenica disgiuntiva come una propriet a cui si applicano sia il principio dell'attualismo sia il principio della trasparenza.

(DISJ) Una propriet fenomenica P una propriet disgiuntiva se e solo se ((per ogni esperienza che sia P, e che abbia luogo in un intervallo di tempo t m-tn, esiste almeno un oggetto o qualit che il soggetto apprende in t m-tn, e che individua P) & (per ogni esperienza che sia P, non si d il caso che l'elemento o aspetto presentato corrispondente alla propriet P sia costituito dall'occorrenza di P)).

16 UNA MATRICE CHE MOSTRA I POSSIBILI RAPPORTI TRA ELEMENTI PRESENTATI E


PROPRIETA' FENOMENICHE

Il rifiuto del principio CKA ci permetterebbe quindi di considerare il realismo ingenuo come quarta possibilit nel rapporto di dipendenza\indipendenza tra propriet dell'esperienza e elementi presentati. 52

Martin fa notare che i diversi rapporti possono essere rappresentati all'interno di una matrice. Eccola.

la propriet fenomenica costitutivamente indipendente dall'elemento presentato? si l'elemento presentato costitutivamente indipendente dalla propriet fenomenica? Rappresentazionalismo si TRANS + ~ACT no Realismo Ingenuo TRANS + ACT Teoria dei Dati di Senso no ~TRANS + ~ACT ~TRANS + ACT

Il caso in basso a sinistra quello che era stato lasciato aperto dalla negazione di TRANS o di ACT per una propriet fenomenica. Il caso in alto a destra quello in cui una propriet fenomenica soddisfa i requisiti indicati in DISJ in virt del fatto di essere una propriet per cui valgono sia ACT sia TRANS. La negazione della tesi del massimo comune denominatore sar la condizione irrinunciabile per l'affermazione del realismo ingenuo, come abbiamo visto a partire dalle proposizioni 6 e 7 (vedi inizio 14). E' per la definizione di allucinazione e per la tesi CKA, che siamo stati portati a definire una propriet fenomenica che soddisfi i requisiti del realismo ingenuo come una propriet disgiuntiva. Il realismo ingenuo non dice nulla in senso positivo riguardo al carattere intrinseco delle esperienze allucinatorie. Ci che dice concerne le esperienze veridiche, ed afferma che se il contenuto di un'esperienza percettiva non costituito dagli elementi presentati, intesi come oggetti o propriet indipendenti, allora il carattere intrinseco dell'esperienza non pu essere lo stesso di un'esperienza veridica. Nel momento in cui viene avanzata la tesi CKA, l'unica risposta plausibile per chi difende il realismo ingenuo trarre le dovute conseguenze dai propri assunti di base, ed intendere le propriet fenomeniche che 53

costituiscono il contenuto nel caso di esperienze veridiche come propriet non esemplificabili nel caso delle allucinazioni. Resta da chiarire come sia possibile negare la tesi del massimo comune denominatore in una maniera convincente. Affronter questo problema nel prossimo capitolo.

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II Disgiuntivismo

1 DEFINIZIONE GENERALE DI DISGIUNTIVISMO Obiettivo di questo capitolo esporre la teoria filosofica generalmente sostenuta dagli autori che difendono il realismo ingenuo riguardo al carattere intrinseco delle esperienze veridiche. Questa teoria denominata disgiuntivismo, e ha come scopo la giustificazione del realismo ingenuo alla luce di alcune intuizioni ad esso contrarie, che in parte ho gi anticipato nel precedente capitolo. La mia analisi del disgiuntivismo concerner quasi unicamente il rapporto tra esperienze veridiche e allucinazioni (con una breve digressione sul caso delle illusioni). Nel definire il disgiuntivismo includer, per comodit, esperienze veridiche e illusioni in un'unica categoria, quella del vedere genuino14. Con il termine vedere genuino intendo qualunque esperienza percettiva visiva, veridica o falsidica, che metta un soggetto in contatto con oggetti del mondo. Il discorso del disgiuntivista concerne le esperienze percettive in generale, e quindi non ristretto solo al caso della visione. Tuttavia, per non complicare troppo la mia esposizione, mi concentrer sul caso delle esperienze percettive visive, e anche quando user l'espressione esperienza percettiva senza ulteriori specificazioni mi star riferendo unicamente al caso della visione. Il concetto di esperienza percettiva visiva comprender sia i casi di vedere genuino, sia i casi di esperienze che non mettono il soggetto percipiente in contatto con nessun oggetto, cio le allucinazioni. Ora, secondo un teorico del massimo comune denominatore, e anche secondo un disgiuntivista, la classe E delle esperienze percettive visive pu essere definita nel seguente
14 La nozione di vedere genuino, nonch la definizione generale di disgiuntivismo che propongo in questo paragrafo sono riprese, con alcune modifiche, da Calabi C., Filosofia della Percezione.

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modo:

E = {x : x un'esperienza e [(x un vedere genuinamente un F da parte di un soggetto S) oppure (x un'allucinazione di F da parte di un soggetto S)]}

Cio E l'insieme di quegli eventi x tale che x un'esperienza e x un vedere genuinamente un F, cio un'esperienza veridica o un'illusione intrattenuta da un soggetto S che verte su un oggetto o stato di cose di tipo F, oppure x un'allucinazione intrattenuta da un soggetto F che verte anch'essa su un oggetto o stato di cose di tipo F. Secondo un teorico del massimo comune denominatore questa disgiunzione equivalente a un'altra:

E = {x : x un'esperienza e [(x il sembrare a un soggetto S che qualcosa appaia come F + Y) oppure (x il sembrare a un soggetto S che qualcosa appaia come F + Z)]}15

Se le due disgiunzioni sono equivalenti allora il vedere genuinamente F da parte di un soggetto S analizzabile secondo due componenti: la componente fenomenica, cio il sembrare al soggetto F che qualcosa gli appaia come F, pi qualcosa d'altro. Inoltre, la stessa cosa vale per un'allucinazione di F da parte di S. Anche in questo caso c' una componente fenomenica, che dello stesso tipo di quella presente nell'altro caso. Secondo il teorico del massimo comune denominatore, dal punto di vista di ci che appare al soggetto, cio della fenomenologia dell'esperienza, i casi di vedere genuino e i casi di allucinazione sono eventi dello stesso tipo. Essi sono eventi diversi solo per quanto riguarda fattori non legati al carattere intrinseco dell'esperienza, cio i fattori Y e Z. Secondo un disgiuntivista non possibile analizzare la prima disgiunzione nei termini della
15 Cfr., C.Calabi, Filosofia della Percezione, pg. 69-70, cap. 1.

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seconda. Cio non possibile che per un soggetto S un x sia un sembrare di un certo tipo, ad esempio un sembrare che qualcosa appaia come F, che sia tale da poter costituire il carattere intrinseco sia di un caso di vedere genuino sia di un caso di allucinazione. Il che vuol dire, visto che la classe dei casi di vedere genuino include la classe delle esperienze veridiche, che non possibile che, per un soggetto S, un x sia un sembrare di un certo tipo, ad esempio un sembrare che qualcosa appaia come F, che sia tale da poter costituire il carattere intrinseco sia di un caso di esperienza veridica sia di un caso di allucinazione. Anche i teorici del massimo comune denominatore sono d'accordo riguardo al fatto che ci che un caso di vedere genuino (e quindi anche ci che un caso di esperienza veridica) non equivalente a un'allucinazione, se non restringiamo l'analisi al carattere intrinseco. Cio anche i sostenitori di CKA16 affermano che, in un senso generale che non tiene conto del carattere intrinseco, vedere genuino e allucinazioni sono esperienze percettive di tipo differente. Questo perch nel secondo caso il soggetto che esperisce non conosce nessun oggetto o propriet reali, cio non entra in contatto cognitivo con il mondo esterno a lui. Quest'ultima una tesi che anche il disgiuntivista sostiene, e non altro che la conseguenza dell'accettazione della prima disgiunzione che stata fornita sopra. Il passo ulteriore che i sostenitori di CKA fanno, e che il disgiuntivista non accetta, considerare il carattere intrinseco di qualunque caso di vedere genuino come identico al carattere intrinseco di un'allucinazione possibile. Ecco il motivo fondamentale per cui la teoria disgiuntivista chiamata cos, perch considera la prima disgiunzione come non analizzabile nei termini della seconda. Nei paragrafi che seguiranno prender in considerazione tra i casi di vedere genuino unicamente le esperienze veridiche, discutendo le differenze di carattere intrinseco che esse hanno, secondo il disgiuntivista, rispetto alle allucinazioni. Ho scelto di restringere il campo
16 Ricordo che la sigla CKA sta per Common Kind Argument, che possiamo tradurre appunto con l'espressione tesi del massimo comune denominatore.

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di indagine in questa maniera per motivi di semplicit. Tuttavia, all'interno del paragrafo 5 far una breve discussione degli altri casi di esperienza che contano come vedere genuino, cio le illusioni. Se restringiamo l'analisi al confronto tra esperienze veridiche e allucinazioni, visto che le prime sono casi di vedere genuino, allora varranno le stesse considerazioni fatte nel confronto tra vedere genuino e allucinazioni. Cio possibile affermare che per il disgiuntivista esperienze veridiche e allucinazioni sono esperienze percettive di tipo diverso non solo in senso generale. Cio secondo il disgiuntivista, se le esperienze veridiche e le allucinazioni sono esperienze di tipo diverso ci che le distingue non pu essere rintracciato unicamente in fattori esterni alla fenomenologia dell'esperienza, cio al sembrare a un soggetto che le cose gli appaiano in un certo modo. La differenza tra esperienze veridiche e allucinazioni andr rintracciata anche nella fenomenologia, o carattere intrinseco, dell'esperienza, che non sar la stessa per entrambe.

2 DIFFERENZE DI TIPO SPECIFICO TRA ESPERIENZE Le esperienze percettive sono eventi mentali. Che cosa si intende quando si afferma che due esperienze percettive sono dello stesso tipo? In generale si intende che le due esperienze percettive condividono una propriet che condizione necessaria per la loro occorrenza. Dire che un evento un evento di un certo tipo significa individuare almeno una propriet privilegiata, cio una propriet che l'evento necessariamente possiede. Vi saranno anche propriet che l'evento pu possedere ma la cui assenza non implicher a sua volta la non occorrenza dell'evento in questione. Prendiamo ad esempio in considerazione il mio atto di dipingere la staccionata17. Questo atto un evento di un certo tipo in virt di alcune propriet che sono sue condizioni necessarie, tra cui ad esempio il suo essere un dipingere, ed in
17 Questo esempio ripreso da Martin, Uncovering Appearances, pg 11, cap. 3.

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particolare il suo essere un dipingere una staccionata e non qualcosa d'altro. Questo evento non diventa un evento diverso perch, poniamo, dipingo la staccionata di venerd invece di farlo di marted, come ho fatto invece la settimana prima. Il mio dipingere la staccionata di venerd una propriet che pu essere usata per descrivere il mio atto di dipingere la staccionata, ma non una propriet che individua l'evento che questo atto costituisce. Questa propriet non sar condizione necessaria per l'occorrenza del mio atto di dipingere la staccionata, quindi la sua sostituzione con una propriet di tipo diverso, il mio dipingere la staccionata di marted, non indicher un evento di tipo diverso. Nel caso delle esperienze percettive, quando il disgiuntivista afferma che esperienze veridiche e allucinazioni sono esperienze di tipo diverso, la distinzione che egli opera non va intesa analogamente a quella del mio dipingere la staccionata di marted piuttosto che di venerd. Le propriet che distinguono il carattere intrinseco di un'esperienza veridica, dal carattere intrinseco di un'allucinazione indistinguibile da essa, sono propriet che contano come condizioni necessarie. Questo vuol dire che se consideriamo un'allucinazione e un'esperienza veridica tra loro indistinguibili, il disgiuntivista affermer che una delle due esperienze gode di almeno una propriet che anche condizione necessaria alla sua occorrenza ma che non necessariamente posseduta dall'altra esperienza. Martin spiega che il disgiuntivista non si limita a questo, e afferma anche che esperienze veridiche e allucinazioni appartengono a tipi specifici diversi. Che cosa vuol dire, nella terminologia usata da Martin, che due esperienze sono diverse non solo riguardo al tipo a cui appartengono ma riguardo al loro tipo specifico? Un evento pu godere di una propriet che condizione necessaria della sua occorrenza, ma questa propriet pu non essere condizione costitutiva di quell'evento. Vediamo un esempio. Nell'ottobre del 2002 sono caduto male e ho rotto il legamento crociato della gamba destra. Questo evento non sarebbe avvenuto, cio non mi sarei mai rotto il legamento crociato, se il

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18 aprile del 1982 non fossi mai nato. Quindi il fatto di essere nato in una certa data di 27 anni fa condizione necessaria per un certo evento occorso nel 2002. L'evento occorso nel 2002 godr quindi di una propriet, l'avere come condizione necessaria il fatto che io sono nato. Un evento come la rottura di un legamento durante una partita di calcio ha come condizione necessaria il fatto che la persona che ha subito l'infortunio sia nata. Quindi l'evento della rottura del legamento durante una partita di pallone sar uno di quegli eventi che interessano la vita di un essere che nato. Questo potr contribuire a classificare l'evento della rottura del legamento come evento di un certo tipo, ma sar anche una caratteristica costitutiva? Martin fa notare pi volte come una condizione necessaria all'occorrenza di un evento pu non esserne condizione costitutiva. Il caso che ho appena citato uno di questi. L'evento della mia nascita non fa parte dell'evento della rottura del mio legamento crociato, eppure quest'evento non sarebbe potuto accadere senza il primo. Quando Martin fa riferimento al tipo specifico di un'esperienza intende l'insieme di propriet che sono condizione necessaria per quell'esperienza e che ne sono anche condizione costitutiva, cio che sono una delle parti che compongono l'esperienza percettiva in quanto evento mentale18. Nel caso del confronto tra esperienze veridiche e allucinazioni, una propriet che conta come condizione necessaria e costitutiva sar certamente condivisa, cio la propriet dell'essere esperienze percettive. A non essere condivise saranno delle altre propriet costitutive del carattere intrinseco dell'esperienza, per esempio l'essere la presentazione attuale di oggetti fisici, propriet di cui godranno le esperienze veridiche ma non le allucinazioni. La non condivisione del medesimo insieme di propriet costitutive ci che porta il disgiuntivista ad affermare che esperienze veridiche e allucinazioni sono esperienze percettive di tipo specifico diverso. Il tipo specifico a cui appartiene un'esperienza quindi anch'esso definito da un insieme di
18 Ibidem.

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condizioni privilegiate che tale esperienza soddisfa, condizioni che a differenza di quelle che indicano semplicemente il tipo hanno una valenza che non solo modale, ma anche costitutiva. Queste condizioni sono tali che se l'evento o oggetto che stiamo definendo non le soddisfacesse, allora non sarebbe l'oggetto o l'evento che esso a livello intrinseco 19. Per fare un esempio, una sedia per essere una sedia deve soddisfare una serie di condizioni privilegiate, ossia essere un oggetto concreto, essere dotata di un piano orizzontale, avere delle gambe e cos via. La scelta delle propriet privilegiate pu essere arbitraria quanto si vuole, a seconda di cosa riteniamo che debba contare come oggetto o come evento, l'importante, per l'analisi che qui sto facendo, accettare che delle propriet privilegiate che individuano tipi di oggetti o tipi di eventi vi siano, e indichino di che tipo di oggetto o evento stiamo parlando nei suoi caratteri essenziali, cio costitutivi. Se cos non fosse, perderebbe significato la distinzione che stata sinora fatta tra la teoria rappresentazionalista e la teoria disgiuntivista. Questo perch sia i teorici del massimo comune denominatore sia i teorici disgiuntivisti negano che esperienze veridiche e allucinazioni siano esperienze dello stesso tipo, sinch non ci si riferisce al carattere intrinseco. Dove per carattere intrinseco si intende, come gi accennato, l'insieme di propriet che costituiscono la fenomenologia dell'esperienza. Negare che esperienze veridiche e allucinazioni sono esperienze dello stesso tipo facendo riferimento non al loro tipo specifico, cio all'insieme delle condizioni costitutive della loro fenomenologia, ma a tipi che pur riferendosi a propriet necessariamente possedute degli eventi in questione, ne colgono unicamente delle caratteristiche estrinseche, cio non costitutive dell'evento mentale, significherebbe non stare ancora negando la tesi CKA. Anche per il teorico del massimo comune denominatore esperienze veridiche e allucinazioni non sono esperienze dello stesso tipo. Semplicemente perch le prime ci dicono qualcosa di

19 Quindi una condizione unicamente modale non ha di per s valore nel definire il carattere intrinseco di un'esperienza, mentre una condizione anche costitutiva s. Tipo specifico, tipo fondamentale, carattere essenziale sono tutti appellativi diversi che Martin usa per riferirsi al carattere intrinseco di un'esperienza, cio alla sua fenomenologia, nei termini delle propriet che sono costitutive di essa.

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vero sul mondo, mentre le seconde no. La differenza tra le due esperienze individuata sulla base di condizioni necessarie all'esperienza veridica ma non costitutive del carattere intrinseco, o fenomenologia, dell'esperienza. Cio sulla base del modo in cui fatto il mondo, e della corrispondenza o meno tra il modo in cui il mondo fatto e il modo in cui rappresentato. Il disgiuntivista, se vuole davvero negare la tesi del massimo comune denominatore, deve riferirsi a differenze nel carattere intrinseco delle esperienze, cio nel modo in cui le cose sembrano al soggetto nel momento in cui esperisce, altrimenti la sua posizione non ha da dire nulla di nuovo riguardo alla distinzione tra esperienze veridiche e allucinazioni.

3 DEFINIZIONI DEL CARATTERE INTRINSECO DELLE ESPERIENZE PERCETTIVE VISIVE Come ho spiegato, i disgiuntivisti si distinguono dai teorici del massimo comune denominatore perch intendono il tipo specifico sotto cui cadono le esperienze veridiche come differente dal tipo specifico sotto cui cadono le allucinazioni. Dove per tipo specifico si intende il tipo che individua il carattere intrinseco dell'esperienza percettiva, cio l'insieme delle propriet costitutive della sua fenomenologia. Obiettivo di questo paragrafo mostrare pi nel dettaglio come il disgiuntivista articola questa differenza. Anzitutto consideriamo quello che solitamente viene chiamato buon esempio 20, cio l'esperienza veridica. Secondo il disgiuntivista, il carattere intrinseco dell'esperienza veridica dipende dalla presenza effettiva degli oggetti concreti e propriet su cui essa verte. Inoltre, sempre in linea col realismo ingenuo, il carattere intrinseco dell'esperienza veridica dovr avere come propria parte costitutiva gli oggetti di cui il soggetto sta facendo esperienza. Il fatto che il carattere intrinseco delle esperienze veridiche sia costituito dalla presenza effettiva degli oggetti su cui il loro contenuto verte, ha la conseguenza che l'occorrenza di un carattere intrinseco condizione sufficiente a far s che un'esperienza percettiva metta il soggetto
20 In inglese good case

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percipiente in contatto cognitivo con il mondo. I teorici che sostengono la tesi del massimo comune denominatore negano questo. Cio negano che il carattere intrinseco dell'esperienza veridica sia costituito da oggetti e propriet concreti, ragion per cui l'occorrenza di tale carattere non garanzia di un effettivo contatto cognitivo tra il soggetto che ha l'esperienza e il mondo. Cio l'occorrenza di una certa fenomenologia non baster a mettere il soggetto in condizione di conoscere qualcosa del mondo che lo circonda. La stessa fenomenologia che occorre nel caso dell'esperienza veridica potrebbe in alcuni casi ridursi a una mera apparenza adatta a diventare il contenuto di una credenza ma non il contenuto di una conoscenza. Per il rappresentazionalista il carattere intrinseco delle esperienze percettive costituito da una rappresentazione definita dalle sue condizioni di soddisfazione, e affinch vi sia contatto cognitivo tra il soggetto e un oggetto del mondo serve una corrispondenza tra il contenuto della rappresentazione e lo stato di cose, oltre a una relazione causale 21 appropriata tra l'oggetto e lo stato mentale del soggetto22. Secondo il teorico rappresentazionalista, per quanto riguarda l'esperienza veridica (e non solo) l'insieme delle propriet fenomeniche dell'esperienza, cio il suo carattere intrinseco, costituito da una rappresentazione del mondo esterno al soggetto, che in quanto rappresentazione indipendente dalla veridicit o meno dell'esperienza. Questo lascia aperta la possibilit logica di esperienze con lo stesso carattere intrinseco delle esperienze veridiche ma che a differenza di queste abbiano un contenuto falsidico. Per un rappresentazionalista lo stesso carattere intrinseco che nel caso di un'esperienza veridica verterebbe su un oggetto o propriet realmente presenti di fronte al soggetto, potrebbe occorrere anche nel caso in cui l'oggetto o propriet presentati non esistessero affatto. Cio anche nel caso in cui l'esperienza
21 Considero qui come modello di riferimento le teorie rappresentazionali causali, anche se va precisato che per un rappresentazionalista indicare condizioni di tipo causale non un obbligo. Egli potrebbe anche limitarsi a indicare condizioni non causali, che contribuiscano a definire un'esperienza percettiva come esperienza veridica. 22 Questo per evitare di includere tra le percezioni genuine anche i casi di allucinazione veridica, cio i casi in cui scena reale e scena rappresentata corrispondono esattamente l'una all'altra ma la scena reale non causa in alcun modo la scena rappresentata.

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percettiva in questione fosse un'esperienza percettiva allucinatoria. Abbiamo visto, nel precedente capitolo, che per il rappresentazionalista, nell'interpretazione che Martin d del rappresentazionalismo, l'analisi introspettiva rivela che il carattere

intrinseco delle esperienze percettive ha la propriet di essere trasparente e non attuale. Quest'ultima caratteristica, insieme all'essere dotate di condizioni di soddisfazione, individua le esperienze la cui fenomenologia costituita da un insieme di propriet fenomeniche che sono trasparenti, non attuali e rappresentazionali. Cio, in apparenza banalmente, le propriet della trasparenza, del non essere attuale, e dell'essere dotati di condizioni di soddisfazione possono essere utilizzate per individuare l'insieme degli insiemi di propriet fenomeniche trasparenti, non attuali e rappresentazionali. Inoltre, per il rappresentazionalista qualunque insieme di propriet fenomeniche una determinazione dell'insieme che ho appena indicato, cio qualunque carattere intrinseco di un'esperienza percettiva un insieme di propriet fenomeniche che oltre a essere rappresentazionali a livello costitutivo, sono trasparenti e non attuali. In generale, per qualunque teorico del massimo comune denominatore la nozione generale di carattere intrinseco delle esperienze percettive individua un'unica categoria, comune sia alle esperienze veridiche sia alle allucinazioni sia alle illusioni. Per il rappresentazionalismo, nell'ambito delle esperienze percettive, la fenomenologia, o il carattere intrinseco, di un'esperienza definita unicamente dalle condizioni di soddisfazione del suo contenuto, che fanno riferimento soltanto a propriet di oggetti indipendenti dallo stato mentale. Inoltre la rappresentazione costituita da tali condizioni indipendente dalla scena posta di fronte al soggetto. In altre parole, secondo Martin, la categoria CARATTERE INTRINSECO DI UN'ESPERIENZA PERCETTIVA viene definita da un rappresentazionalista in modo univoco, cio essa costituita dalle propriet POSSEDERE UN CONTENUTO

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RAPPRESENTAZIONALE, TRASPARENTE, ATTUALE. Il godimento di queste tre propriet condizione sufficiente e necessaria a individuare un'esperienza come esperienza percettiva. Naturalmente questo un resoconto molto semplificato del rappresentazionalismo. Un sostenitore di questa teoria potrebbe tranquillamente indicare altre propriet in aggiunta a queste, o escluderne alcune come non rilevanti; il che sarebbe pienamente legittimo, ma il punto, secondo Martin, che le propriet che il rappresentazionalista indicherebbe sarebbero non solo condizioni sufficienti, ma anche condizioni necessarie all'occorrenza di qualunque esperienza percettiva. Per un disgiuntivista la nozione di carattere intrinseco delle esperienze percettive non riconducibile ad un unico insieme di propriet, perch essa individua una propriet disgiuntiva, cio un determinabile del quale il carattere intrinseco delle esperienze veridiche e il carattere intrinseco delle allucinazioni sono determinazioni distinte, cio categorie senza individui in comune. Per il disgiuntivista parlare del carattere intrinseco delle esperienze percettive non significa parlare di un unico insieme di propriet fenomeniche, ma riferirsi a un insieme di insiemi di propriet fenomeniche. Per chiarire meglio quanto ho detto far due esempi tratti dal mondo naturale. Poniamo di voler definire la propriet MOLECOLA DI DNA. Questa propriet pu essere definita dicendo che una molecola di DNA una sequenza di diversi geni costituiti ognuno da particolari molecole dette nucleotidi. Insiemi diversi di geni danno luogo a diverse catene di DNA. Ora, due catene di DNA possono teoricamente non avere un solo gene in comune, e non per questo smettere di godere della propriet MOLECOLA DI DNA. Ci vuol dire che non avrebbe senso identificare la propriet MOLECOLA DI DNA con un particolare insieme di geni. Un particolare insieme di geni sarebbe solo una determinazione di una propriet determinabile secondo tipologie distinte a seconda della diversa sequenza di geni. Per un

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disgiuntivista, il concetto di carattere intrinseco dell'esperienza percettiva fa per cos dire le veci del concetto di DNA per il biochimico. Esso individuer cio un insieme di possibili insiemi di propriet fenomeniche, un po' come il concetto di DNA individua un insieme di possibili insiemi di geni. Per il disgiuntivista la propriet CARATTERE INTRINSECO DI UN'ESPERIENZA PERCETTIVA non pu identificarsi con un insieme di propriet fenomeniche, un po' come la propriet MOLECOLA DI DNA non pu identificarsi con una sequenza di geni. Questo perch vi sono determinazioni della propriet determinabile CARATTERE INTRINSECO DI UN'ESPERIENZA PERCETTIVA di tipo diverso tra loro, cos come vi sono determinazioni della propriet MOLECOLA DI DNA di tipo diverso l'uno dall'altro. La definizione di carattere intrinseco delle esperienze percettive in generale, che darebbe un teorico del massimo comune denominatore invece analoga al modo in cui i biologi che si occupano di tassonomia identificano, per esempio, la classe dei mammiferi. Un mammifero un essere vivente definito principalmente attraverso tre caratteristiche: viviparit, omeotermia e allattamento della prole. Se una di queste tre caratteristiche non presente in un essere vivente esso non pu essere classificato come mammifero. D'altra parte se tutte e tre queste caratteristiche sono presenti in un essere vivente esso conta come mammifero. Questo insieme di propriet quindi condizione necessaria e sufficiente all'appartenenza alla classe dei mammiferi e quindi al godere della propriet MAMMIFERO. La definizione del concetto di mammifero coincide perci con un insieme di propriet. Questo in modo analogo alla definizione del concetto di carattere intrinseco di un'esperienza percettiva che darebbe un teorico del massimo comune denominatore. Egli indicherebbe un insieme di propriet fenomeniche come condizione necessaria e sufficiente per l'occorrenza del carattere intrinseco dell'esperienza percettiva. Questo insieme per un rappresentazionalista sarebbe un insieme di propriet fenomeniche rappresentazionali, cio dotate di un contenuto definito

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dalle sue condizioni di soddisfazione, trasparenti e non attuali. Per un disgiuntivista, invece, nessun insieme di propriet fenomeniche condizione necessaria per l'occorrenza del carattere intrinseco di un'esperienza percettiva, ma al massimo una condizione sufficiente. Secondo il disgiuntivista la propriet CARATTERE INTRINSECO DI UN'ESPERIENZA PERCETTIVA esemplificata nel caso delle esperienze veridiche dall'occorrenza di un insieme di propriet fenomeniche che sono sia trasparenti sia attuali. Cio da un insieme di propriet fenomeniche definito dal godimento da parte delle propriet che ne fanno parte sia della propriet della trasparenza sia della propriet dell'attualismo. Un insieme di propriet fenomeniche che raccolga propriet fenomeniche che soddisfano solo una o nessuna di queste due condizioni sar un insieme di propriet fenomeniche che non potr occorrere nel caso di un'esperienza veridica. Ci non vuol dire che un'esperienza allucinatoria non possa avere un carattere intrinseco che conti come il carattere intrinseco di un'esperienza percettiva. Queste, secondo il disgiuntivista, sono esperienze percettive costituite da un insieme di propriet fenomeniche diverso dall'insieme che caratterizza a livello intrinseco le esperienze veridiche, ma comunque sufficiente a classificare le allucinazioni come esperienze percettive. Per il disgiuntivista sia le esperienze veridiche sia le allucinazioni posseggono una fenomenologia che pu essere descritta come il sembrare a un soggetto che qualcosa di esterno a lui gli appaia come un F. Tuttavia, per il disgiuntivista nessuno dei due insiemi di propriet fenomeniche che occorrono nelle esperienze veridiche e nelle allucinazioni condizione necessaria all'occorrenza del carattere intrinseco di un'esperienza percettiva. D'altro canto l'insieme di propriet fenomeniche che occorre nel caso delle esperienze veridiche sufficiente a mettere il soggetto in contatto cognitivo con il mondo. Cosa che non vale nel caso delle allucinazioni. E' possibile schematizzare nel modo seguente la differenza che ho descritto tra teorici del massimo comune denominatore e disgiuntivisti.

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Carattere intrinseco di un'esperienza percettiva A = insieme di propriet fenomeniche

Un insieme di propriet fenomeniche condizione necessaria e sufficiente per l'occorrenza di un'esperienza percettiva A

Teoria del Massimo Comune Denominatore

Carattere intrinseco di un'esperienza percettiva A = Insieme di insiemi di propriet fenomeniche

L'occorrenza di un insieme di propriet fenomeniche condizione sufficiente ma non necessaria all'occorrenza di un'esperienza percettiva A. Inoltre i gli insiemi che sono condizione sufficiente per l'occorrenza di A sono disgiunti tra loro23.

Disgiuntivismo

Per il disgiuntivista nel caso delle esperienze veridiche le propriet fenomeniche sono costituite da oggetti e propriet del mondo fisico. Questo insieme di propriet fenomeniche non pu essere presente nel caso di una perfetta allucinazione in cui l'esperienza del soggetto stata indotta tramite un'appropriata stimolazione neuronale. L'insieme di propriet fenomeniche dell'esperienza percettiva del soggetto deve essere diverso, dato che nessuna di queste propriet fenomeniche costituita dagli oggetti su cui verte, a differenza di quanto avviene per l'esperienza veridica. Prendiamo in considerazione il caso in cui io in un primo
23 Cio per il disgiuntivista non vero che una propriet fenomenica che occorre nel caso di una esperienza veridica, cio una propriet fenomenica trasparente e attuale, possa contare anche come propriet fenomenica allucinatoria, e cio che la stessa propriet fenomenica che mi presenta una mela nel caso di un'esperienza veridica, possa occorrere anche nel caso della mia allucinazione di una mela.

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momento ho un'esperienza veridica di una mela rossa e subito dopo ho un'allucinazione introspettivamente indistinguibile dall'esperienza veridica che ho appena avuto. Secondo il disgiuntivista il carattere intrinseco della prima esperienza dato da un insieme di propriet fenomeniche attuali e trasparenti, mentre il carattere intrinseco della seconda esperienza non pu essere sia attuale che trasparente. Pu essere attuale oppure trasparente, o non godere di nessuna di queste due propriet; in ogni caso non pu godere di entrambe le propriet. Ci non toglie che entrambe le esperienze, l'esperienza veridica e l'allucinazione, abbiano un carattere intrinseco che il carattere intrinseco di un'esperienza percettiva, e che quindi contino come esperienze percettive. La propriet CARATTERE INTRINSECO DI UN'ESPERIENZA PERCETTIVA pu secondo il disgiuntivista determinarsi sia secondo la modalit presente nella percezione, sia secondo la modalit presente nelle allucinazioni.

4 ANCORA SULL'ARGOMENTO DELL'ALLUCINAZIONE Torniamo alla definizione di realismo ingenuo che ho gi fornito nell'introduzione.

le esperienze percettive del mondo esterno da parte degli esseri umani hanno la caratteristica intrinseca di essere presentazioni di uno o pi singoli oggetti concreti e delle loro propriet, e non sarebbero esperienze dello stesso tipo se nessun oggetto fosse presente al soggetto percipiente.

Le esperienze veridiche hanno tra le caratteristiche che le definiscono l'essere esperienze percettive del mondo esterno, per cui, in base alla definizione di realismo ingenuo, hanno come carattere intrinseco la presentazione di oggetti concreti e delle loro propriet. Perci qualunque esperienza percettiva che non abbia come carattere costitutivo la presentazione di oggetti concreti e delle loro propriet non sar un'esperienza percettiva del mondo esterno, e

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quindi non sar nemmeno un'esperienza veridica. Questo non solo per la definizione che abbiamo dato, ma per la motivazione di fondo che spinge i sostenitori del realismo ingenuo a difendere la loro teoria. Secondo Martin, Snowdon (che vedremo in seguito) e altri autori, l'unico modo per rendere conto del contatto cognitivo con l'oggetto che si ha nel caso delle esperienze veridiche, comprendendo gli oggetti su cui vertono all'interno di esse, cio come loro carattere costitutivo. A questo punto un oppositore al realismo ingenuo pu avanzare una critica a questo resoconto del carattere intrinseco delle esperienze veridiche, e che ho gi anticipato nel precedente capitolo. Riformuliamola.

1. Data una qualunque esperienza veridica p di un soggetto, sempre possibile indurre in lui un'esperienza di tipo allucinatorio del tutto indistinguibile da p, attraverso una stimolazione dei neuroni che riproduca la stesse cause prossimali dell'esperienza p. (Premessa)

2. Se due esperienze percettive sono indistinguibili allora appaiono ad un'analisi introspettiva come costituite dallo stesso tipo di propriet fenomeniche. (Premessa)

3. Se due esperienze percettive appaiono come caratterizzate dallo stesso tipo di propriet fenomeniche, allora godono di quello stesso tipo di propriet. (Premessa)

4. Il tipo carattere intrinseco di un'esperienza percettiva individuato unicamente dal tipo di propriet fenomeniche di cui gode. (Premessa)

5. Data un'esperienza veridica e un'allucinazione indistinguibile da essa, l'allucinazione

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apparir all'analisi introspettiva del soggetto come costituita dallo stesso tipo di propriet fenomeniche dell'esperienza veridica. (Da 1 e 2)

6. Data un'esperienza veridica e un'allucinazione indistinguibile da essa, il carattere intrinseco dell'allucinazione gode dello stesso tipo di propriet fenomeniche dell'esperienza veridica. (Da 1, 2 e 3)

7. Data un'esperienza veridica e un'allucinazione indistinguibile da essa, il tipo di carattere intrinseco dell'allucinazione sar lo stesso dell'esperienza veridica. (Da 1, 2, 3 e 4)

8. Dato che per qualunque esperienza veridica possibile l'occorrenza di un'allucinazione indistinguibile da essa, il carattere intrinseco delle esperienze veridiche dello stesso tipo specifico del carattere intrinseco delle allucinazioni indistinguibili da esse. (da 1, 5, 6, 7)

Le conclusione 8 esprime quella che nel capitolo precedente stata chiamata tesi del massimo comune denominatore. Questa conclusione in aperta contraddizione con la tesi portata avanti da chi difende il realismo ingenuo perch di fatto nega che la presentazione di oggetti concreti faccia parte del carattere intrinseco delle esperienze veridiche, visto che tale carattere intrinseco, in base all'argomento appena esposto, deve essere comune ad alcuni tipi di esperienze allucinatorie, che in quanto allucinatorie non possono avere come parte del loro carattere intrinseco la presentazione di alcun oggetto concreto.

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Il sostenitore del realismo ingenuo ha un solo modo plausibile per bloccare l'argomentazione che ho appena esposto. Esso consiste nel negare la premessa 3, cio che se due esperienze percettive appaiono godere, all'introspezione, di certe propriet fenomeniche, allora quelle esperienze devono godere di quelle propriet fenomeniche. Ma non basta, il sostenitore del realismo ingenuo e del disgiuntivismo, nel caso specifico di una qualunque esperienza veridica e di un'allucinazione indistinguibile da essa, dovr negare non solo che esse debbano, ma che possano godere delle stesse propriet fenomeniche. Perch se si negasse solo la necessit della premessa 3, ci lascerebbe ancora aperta la possibilit di argomentare che alcune allucinazioni abbiano lo stesso carattere intrinseco delle esperienze veridiche, il che porterebbe di nuovo alla conclusione 8. A questo punto il sostenitore del realismo ingenuo per continuare a difendere la sua teoria dovr affermare che anche se la sua esperienza veridica di un pomodoro maturo, per tornare al solito esempio, gli appare indistinguibile dalla sua allucinazione di un pomodoro maturo, le due esperienze percettive devono necessariamente avere un carattere intrinseco di tipo specifico differente. Per cui l'occorrenza del carattere intrinseco dell'una in un soggetto, escluderebbe l'occorrenza del carattere intrinseco dell'altra. Argomentare come il realista ingenuo possa sostenere una simile posizione compito della teoria disgiuntivista. Vedremo pi nel dettaglio nel settimo paragrafo come Michael Martin affronta questo problema.

5 BREVE DIGRESSIONE RIGUARDO AL CASO DELLE ESPERIENZE PERCETTIVE ILLUSORIE. In base alla definizione di realismo ingenuo, c' differenza di tipo specifico tra il carattere intrinseco delle esperienze allucinatorie e il carattere intrinseco delle esperienze percettive del mondo esterno. Dove con queste ultime si intendono quelle esperienze che comportano un contatto cognitivo tra il soggetto che esperisce e oggetti del mondo fisico che interagiscono causalmente con lui attraverso i suoi organi di senso. Per contatto cognitivo intendo una

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relazione tra soggetto e oggetto che permetta al soggetto di conoscere almeno alcune delle propriet che l'oggetto possiede, cio una relazione che sia almeno in parte epistemologicamente fondata. Questo comporta che la distinzione nel carattere intrinseco vale anche tra le esperienze illusorie e le esperienze allucinatorie indistinguibili da esse, infatti in un'illusione la relazione fra soggetto e oggetto ammonta a una conoscenza dell'oggetto, per quanto riguarda quelle propriet che non traggono in inganno il soggetto. Martin non inserisce le illusioni all'interno della stessa categoria delle esperienze veridiche, e non motiva in modo esplicito questa esclusione. Ritengo che la ragione sia che le esperienze illusorie non pongono il soggetto percipiente in una condizione soddisfacente dal punto di vista epistemologico, per via del loro carattere in parte falsidico. Invece la definizione di realismo ingenuo che ho fornito porterebbe un disgiuntivista ad affermare che esperienze veridiche e illusioni cadono sotto una medesima categoria da cui le allucinazioni sono escluse: la categoria delle esperienze percettive del mondo esterno, o percezioni genuine, cio di quelle esperienze percettive che pongono il soggetto in contatto cognitivo con il mondo fisico24. Un disgiuntivista vicino a Martin potrebbe partire da una nozione di realismo ingenuo diversa, considerando le esperienze veridiche come dotate di un carattere intrinseco differente sia rispetto alle illusioni sia rispetto alle allucinazioni. Questo sulla base della considerazione che le esperienze veridiche sono veridiche per ciascuna delle loro propriet fenomeniche, mentre nel caso delle illusioni almeno qualche propriet fenomenica presenta oggetti del mondo come dotati di propriet che essi in realt non hanno. Se consideriamo la veridicit dell'esperienza per ogni propriet fenomenica come una componente essenziale del carattere intrinseco delle esperienze veridiche, allora tale carattere intrinseco non potrebbe occorrere neppure nel caso delle illusioni.
24 Vedi Introduzione e 4 di questo capitolo.

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All'interno del disgiuntivismo vi sono appunto autori che, come Martin e altri 25, adottano una posizione di tipo V v I/H, dove V sta per veridical perceptual experience, I per illusion e H per hallucinatory perceptual experience. Altri, tra cui Snowdon, che vedremo pi avanti, o ad esempio Harold Langsam26, sono pi inclini a scegliere una posizione di tipo VI v H. Le motivazioni di questa divergenza le ho solo abbozzate, e per due ragioni. La prima che gli autori che ho citato non forniscono mai una motivazione esplicita della loro scelta in un senso o nell'altro. La seconda ragione che affrontare la questione dei pro e dei contro di ciascuna delle due posizioni sarebbe un argomento troppo vasto e che esulerebbe dal tema sto svolgendo qui, cio un confronto tra il carattere intrinseco delle esperienze veridiche e il carattere intrinseco delle allucinazioni. Riguardo alla classificazione del carattere intrinseco delle illusioni, rispetto a esperienze veridiche e allucinazioni, non andr oltre le considerazioni fatte in questo paragrafo.

6 CAUSE PROSSIMALI E TIPI DI EFFETTI Esporr ora la modalit in cui un disgiuntivista pu criticare l'argomento che ho presentato nel paragrafo 4. Quell'argomento deve la sua plausibilit a un principio che considerato perfettamente intuitivo. Questo principio asserisce che se due situazioni coinvolgono le medesime cause prossimali, allora hanno luogo gli stessi effetti27. Torniamo all'esempio dello scienziato che mette in atto una stimolazione diretta della mia corteccia visiva, in modo da riprodurre la stessa configurazione di attivazione dei neuroni che si avrebbe nel caso dell'esperienza veridica di una mela rossa. Abbiamo qui due situazioni, la manipolazione da parte del chirurgo e l'esperienza veridica della mela, che coinvolgono le stesse cause prossimali, che consistono in una medesima
25 Si veda per esempio Hinton, Experiences, pg 22. 26 The theory of Appearing defended, pg 188. 27 Cfr. M.G.F. Martin, The limits of self awarness, pg 287.

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configurazione di attivazione dell'area del cervello preposta alla visione. Queste due situazioni sono tra loro differenti: in un caso un oggetto posto di fronte a un soggetto, e l'oggetto la causa distale che determina quella particolare configurazione di attivazione del cervello; nell'altro caso la causa prossimale la stessa ma l'oggetto su cui l'esperienza verte non ne la causa distale. In quest'ultimo caso la causa distale dell'esperienza il neurochirurgo che opera la stimolazione, e che non compare nell'esperienza del soggetto. In base al principio che ho menzionato, i due eventi che seguono alla particolare configurazione di attivazione che si determina nel cervello del soggetto, dovranno essere eventi dello stesso tipo. Visto che nel caso specifico i due eventi sono esperienze percettive, allora essi saranno eventi mentali dello stesso tipo. A livello empirico ragionevole sostenere che in situazioni dello stesso tipo a medesime cause seguano gli stessi effetti. Ma un disgiuntivista potrebbe affermare che le situazioni in cui hanno luogo esperienze veridiche e allucinazioni sono situazioni essenzialmente diverse, per cui le cause prossimali coinvolte, anche se sono le stesse, non possono dare luogo agli stessi tipi di eventi mentali. Sulla base di questo il disgiuntivista potrebbe affermare che il principio menzionato sopra vale a condizione che le cause distali coinvolte non siano troppo diverse tra loro. E' anche vero, per, che a livello empirico si osservano situazioni in cui operano cause distali molto diverse tra loro, ma la catena causale che ha origine da quelle cause distali genera effetti finali identici. Vediamo un esempio. Situazione a: Salvatore cammina nel soggiorno, inciampa sul tavolino e fa cadere un vaso della nonna. Il vaso tocca terra e va in frantumi. Situazione b: Salvatore dorme in camera sua, all'improvviso un terremoto scuote la casa, Salvatore si sveglia e nel soggiorno il vaso della nonna cade. Il vaso tocca terra e va in frantumi.

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Le due situazioni coinvolgono cause distali molto differenti, Salvatore e il terremoto, eppure attraverso catene causali completamente diverse si arrivati a una stessa causa prossimale, lo scuotimento del tavolino, che ha determinato il medesimo evento come effetto: il vaso tocca terra e va in frantumi. Questo esempio mostra che possibile che il medesimo effetto possa seguire da situazioni molto differenti, purch la causa prossimale sia la stessa. D'altra parte quel medesimo effetto pu anche non seguire se alcune caratteristiche della situazione impediscono che esso abbia luogo: Situazione c: Salvatore dorme beatamente in camera sua, all'improvviso un terremoto scuote la casa, Salvatore si sveglia, e nel soggiorno il vaso della nonna cade, ma tra il vaso e il pavimento c' un gatto. Il vaso uccide il gatto ma non si rompe. Le tre situazioni descritte permettono di affermare che in generale possibile che una certa causa prossimale determini un certo effetto, nel senso che vi sono situazioni possibili in cui quella stessa causa prossimale determina quel tipo di effetto, mentre altre in cui non lo determina. Non sembra perci scorretto affermare che anche nel caso delle esperienze veridiche e delle allucinazioni, per quanto un'esperienza veridica e un'allucinazione indistinguibili tra loro possano essere state generate da situazioni molto diverse, il tipo di evento mentale che viene generato possa essere lo stesso a livello intrinseco, se le cause prossimali sono le stesse. Ma se una situazione del genere possibile, allora possibile che percezioni e allucinazioni siano del medesimo tipo specifico. E se questo possibile allora le esperienze veridiche non possono avere come caratteristica intrinseca la presentazione attuale di oggetti indipendenti, visto che le allucinazioni per definizione non sono la presentazione di alcun oggetto fisico. I miei tre esempi possono essere intesi come inseriti all'interno di un universo deterministico, nel quale cio se sussistono le appropriate condizioni all'interno del contesto, allora

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determinate cause prossimali sono sufficienti a far s che occorrano determinati effetti. Nel terzo esempio il contesto non gode di quelle condizioni che avrebbero permesso allo scuotimento del tavolino di essere causa sufficiente alla rottura del vaso. Nei primi due esempi, invece, i contesti, per quanto diversi tra loro, sono tali da rendere inevitabile la rottura del vaso a seguito dello scuotimento del tavolino. Ora, l'esempio dello scienziato malvagio ha presa se intendiamo gli stati neuronali come cause sufficienti a determinare un certo tipo di evento mentale, cio se intendiamo queste cause in senso deterministico. Se un particolare stato neuronale da solo sufficiente a determinare uno stato mentale allora il particolare tipo di di causa distale che di volta in volta determina lo stato neuronale non di per s necessario all'occorrenza dello stato mentale. Il disgiuntivista pu rispondere che il caso dello scienziato malvagio molto diverso dai tre esempi del vaso che si rompe. In questi ultimi hanno luogo dei rapporti tra eventi di tipo fisico, mentre nel caso del confronto tra esperienze veridiche e allucinazioni abbiamo a che fare con delle cause fisiche che operano sugli stati mentali di un soggetto. Per quanto sia generalmente osservato che eventi di tipo fisico possono avere effetti sugli stati mentali di un soggetto, il disgiuntivista potrebbe sostenere che questo non deve far concludere che le cause fisiche operino sul mentale in modo deterministico, nella modalit relativa a contesti che ho indicato sopra. Il disgiuntivista potrebbe cio sostenere che nei rapporti causali che vanno da eventi fisici ad eventi mentali le connessioni non sono mai tali da poter dire che le cause sono sufficienti, ma al massimo sono tali da determinare la probabilit che un certo effetto abbia luogo. Il disgiuntivista potrebbe anche estendere la propria visione indeterministica riguardo ai rapporti di causalit anche ai rapporti tra eventi fisici, se ritiene che i rapporti di causazione non possano mai operare in modo deterministico, e interpretare in questa chiave i tre esempi che ho esposto. Potrebbe sostenere cio che, in una qualunque relazione causale, una causa

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non mai di per s sufficiente a determinare un certo effetto, ma rende l'occorrenza di quell'effetto solo dotata di una certa probabilit. Il disgiuntivista potrebbe affermare poi che questa forma di indeterminismo vale anche all'interno dei casi possibili, bloccando la conclusione alla quale eravamo arrivati al termine del paragrafo 4. Partendo da quanto appena detto, egli potrebbe sostenere che anche se concepiamo casi possibili di allucinazione ottenuti stimolando la corteccia visiva di un soggetto, in assenza di qualunque oggetto di fronte ad esso, tale stimolazione rende solo probabile l'occorrenza di un tipo di esperienza con lo stesso carattere intrinseco di un'esperienza veridica. Questo vuol dire che nel caso possibile in cui un neurochirurgo stimoli appropriatamente la corteccia visiva di un soggetto, riproducendo la configurazione di attivazione di neuroni che si avrebbe nel caso di una percezione di una mela rossa, l'occorrenza di un'esperienza identica all'esperienza veridica nel carattere intrinseco sarebbe solo probabile. E questa probabilit all'interno di un caso possibile non permette ancora di affermare che possibile che vi siano allucinazioni col medesimo carattere intrinseco di esperienze veridiche corrispondenti. La probabilit che, all'interno del caso possibile della manipolazione del mio cervello da parte del neurochirurgo, io abbia un'esperienza con lo stesso carattere intrinseco di una percezione, potrebbe anche essere zero. Infatti questa probabilit potrebbe essere determinata anche da condizioni non causali, e ridursi a zero se queste condizioni non sono soddisfatte. Una condizione non causale rilevante per il disgiuntivista sarebbe, per quanto riguarda la fenomenologia delle esperienze veridiche, il fatto che l'oggetto su cui verte l'esperienza percettiva deve essere parte costitutiva di quest'ultima. L'oggetto, secondo Martin, ha due ruoli nei confronti dell'esperienza, uno causale e uno non causale, dove il non va inteso come diverso da e non come implicante la negazione di qualunque ruolo causale, perch questo porterebbe a un'ovvia contraddizione. Per esempio se io sono uno studente, il mio ruolo di studente non esclude il mio svolgere

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eventualmente il ruolo di cameriere in un ristorante, perch l'essere uno studente non implica il non essere anche un cameriere. Ci non toglie che la propriet dell'essere studente deve essere distinta dalla propriet dell'essere un cameriere e neghi quest'ultima nel senso del non identificarsi con essa. Analogamente, il fatto che un certo oggetto abbia un ruolo causale nei confronti di un'esperienza non esclude che esso abbia anche un ruolo non causale, cio un ruolo che non implica da solo una relazione di causa effetto con l'esperienza stessa. L'oggetto causa distale dell'esperienza veridica e perci ha, banalmente, un ruolo causale nei confronti di essa. Inoltre, secondo il disgiuntivista, esso parte costitutiva dell'esperienza veridica che verte su di esso e questo legame costitutivo da solo non implica il ruolo causale che l'oggetto in effetti ha nei confronti dell'esperienza. L'essere parte costitutiva dell'esperienza vuol dire essere condizione necessaria della sua occorrenza e allo stesso tempo essere una componente dell'evento che l'esperienza, ma questo da solo non basta ad affermare che l'oggetto ha un ruolo causale nei confronti di essa. In altre parole il ruolo di parte costitutiva dell'esperienza e il ruolo causale nei confronti di essa sono due propriet distinte dell'oggetto su cui verte un'esperienza veridica. Tuttavia anche se quei due ruoli sono distinti il possesso di entrambi non contraddittorio. E' in questo senso che ritengo vada interpretata l'affermazione di Martin secondo cui gli oggetti hanno un ruolo sia causale sia non causale rispetto alle esperienza veridiche. Sulla base di quanto ho detto in questo paragrafo, il disgiuntivista pu affermare che l'esempio del neurochirurgo malvagio non permette ancora di dimostrare che vi sono casi possibili in cui effettivamente il carattere intrinseco di un'allucinazione lo stesso di una esperienza veridica corrispondente. Perci, se si accetta l'indeterminismo, il disgiuntivista pu affermare che l'argomento che ho esposto nel paragrafo 5 non conclusivo. La difesa dell'indeterminismo causale che ho abbozzato pu essere criticata, tuttavia non la discuter ulteriormente all'interno del mio lavoro. Essa mi serve per introdurre un'ulteriore

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argomento contro il disgiuntivismo, che pur non dimostrando la falsit di quest'ultimo ha delle conseguenze che ne mettono in discussione la plausibilit dal punto di vista dell'economia interna. Questo argomento accetta l'indeterminismo nella forma che ho esposto, nonch le osservazioni riguardo al ruolo non causale degli oggetti fisici. Esso perci compatibile con la difesa del disgiuntivista dai controesempi basati sul principio stessa causa prossimale, medesimo effetto. Nel prossimo paragrafo esporr l'argomento, e in quello successivo discuter la sua

conclusione e le spiacevoli conseguenze che questa ha per la teoria disgiuntivista. L'argomento affrontato da Michael Martin in The Limits of Self Awarness.

7 MARTIN E L'ARGOMENTO DI ROBINSON Nel precedente paragrafo ho discusso il principio Stessa causa prossimale, medesimo effetto, come stato denominato dai suoi sostenitori, e ho mostrato come il disgiuntivista pu tentare di difendersi dalle conseguenze a cui esso porta. C' per un argomento contro il disgiuntivismo che accetta sia i presupposti dell'indeterminismo causale sia l'idea che gli oggetti percepiti contino come condizioni non causali (nel senso che ho spiegato) per l'occorrenza del carattere intrinseco delle esperienze veridiche. L'argomento lo fornisce lo stesso Michael Martin28, riformulando osservazioni di Howard Robinson29. Questo argomento si avvale di una versione indebolita del principio Stessa causa

prossimale, medesimo tipo di effetto, che ho gi discusso nel precedente paragrafo, e che da qui in poi abbrevier con la sigla SCSE, acronimo di Same cause, same effect30. Ecco l'argomento.

28 Ivi, pg. 285. 29 H. Robinson, The general form of the argument for Berkeleian idealism, 1985. 30 E' questa l'espressione che utilizza Martin e che in precedenza ho tradotto con l'espressione Stessa causa prossimale, medesimo effetto

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1. Quando S ha l'esperienza veridica di un pino all'istante t, chiamiamo questa situazione v, vi nel corpo di S (o in una parte del suo corpo) una condizione che funge da causa immediatamente precedente all'esperienza di S, e che ha determinato la probabilit dell'occorrenza dell'esperienza veridica del pino da parte di S in v. Chiamiamo questa condizione causale N. Premessa

2. E' nomologicamente possibile che N occorra in S anche se nessun candidato possibile ad essere oggetto percepito presente. In tal caso S avr un'esperienza allucinatoria. Chiamiamo questa situazione h. Premessa

3. Se v e h coinvolgono le medesime condizioni causali prossimali, e non differiscono in alcuna condizione non causale per l'occorrenza di un certo effetto, allora la probabilit dell'occorrenza di quell'effetto nelle due situazioni la stessa. Premessa

4. Nessuna condizione non causale che sia necessaria all'occorrenza degli effetti di N presente in h ma assente in v. Premessa

5. Per qualunque tipo di esperienza che occorra in h, c' la stessa probabilit che quest'esperienza occorra in v. Da 1, 2, 3, 4

6. Quindi qualunque tipo di esperienza occorra in situazioni simili ad h, possibile che quello stesso tipo di esperienza occorra quando un soggetto ha un'esperienza veridica. Da 1, 2, 3, 4 e 5.

La conclusione non di per s ancora un'affermazione della tesi del massimo comune

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denominatore, la quale afferma che, qualunque tipo di esperienza occorra in situazioni simili a v, possibile che quello stesso tipo di esperienza occorra quando un soggetto ha un'allucinazione. La tesi del massimo comune denominatore la conversa della conclusione 6, ma non implicata da quest'ultima. Perci un disgiuntivista pu accettare 6 e tuttavia continuare a negare CKA. In realt Martin fa notare che 6 pone problemi grossi al disgiuntivismo. Vedremo quali nel paragrafo successivo. Per ora mi limiter a esporre la sua discussione delle premesse dell'argomento enunciato sopra. Martin osserva che le quattro premesse dell'argomento devono essere accettate dal disgiuntivista. La ragionevolezza delle premesse 1 e 2 sta nelle conferme empiriche che esse hanno avuto in ambito neurologico. Vi un'ampia evidenza che alterare la configurazione di attivazione della corteccia visiva in un soggetto ha conseguenze su ci che egli in grado di percepire. Cio nel momento in cui un soggetto sta percependo un oggetto, alterare l'attivazione neuronale della sua corteccia visiva altera anche il tipo di esperienza che il soggetto ha, nel senso che alcuni elementi dello scenario possono essere resi disponibili all'esperienza oppure esclusi. Esiste, per fare un esempio, una tecnica di stimolazione della corteccia cerebreale denominata TMS, cio stimolazione magnetica transcranica. Attraverso questa tecnica possibile inibire temporaneamente il funzionamento di alcune aree del cervello. Possiamo cos concepire un esperimento in cui, mentre un soggetto sta avendo l'esperienza veridica di una mela rossa, venga applicata su di lui la TMS, in quell'area del cervello responsabile per l'esperienza del colore rosso. Per un breve periodo il soggetto potr cos avere esperienza della mela, ma non del suo colore rosso. Nel momento in cui interrompiamo la TMS, il soggetto ricomincia ad avere esperienza del colore rosso della mela. Questo mostra i legami causali tra stati del cervello ed esperienze, come descritto dalla premessa 1. Cio mostra come un particolare

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stato del cervello possa essere causa dell'occorrenza di un tipo particolare di esperienza veridica, nel momento in cui non inibito da cause esterne. Se vero che nei rapporti causali c' sempre un grado minimo di indeterminatezza, allora possiamo affermare che la connessione tra determinati stati del cervello e determinate esperienze con la loro fenomenologia, solo probabile. La connessione tra determinati stati del cervello e determinate esperienze potrebbe essere considerata come una connessione non necessaria, ma comunque con una frequenza molto alta, il che spiegherebbe in modo soddisfacente l'evidenza sperimentale. La premessa 1 fa propria questa concezione indeterministica della causalit e, cos formulata, pu essere accettata dal disgiuntivista. La premessa 2 anch'essa consistente con quanto dice il disgiuntivista. Infatti egli non nega affatto che dalle medesime cause prossimali che si hanno nel caso di un'esperienza veridica, possa seguire l'occorrenza di un'esperienza allucinatoria. Egli nega soltanto che quest'ultima abbia lo stesso carattere intrinseco della prima. Inoltre il disgiuntivista non potrebbe certo negare l'altro assunto di 2, cio l'idea che le medesime cause prossimali, che costituiscono la condizione N, possano aver luogo anche in assenza di un oggetto candidabile ad essere l'oggetto percepito. Negare questo vorrebbe dire sostenere una posizione piuttosto implausibile dal punto di vista empirico, cio l'idea che gli oggetti esperiti sono condizione necessaria all'occorrenza di determinati stati neurologici, e perci che l'assenza di essi ha un effetto inibente rispetto all'occorrenza di tali stati. Il che vuol dire, per esempio, accettare l'idea che, nel caso in cui di fronte a un soggetto non fosse presente una mela rossa, un neurochirurgo che operasse direttamente sul suo cervello non riuscirebbe a determinare la stessa configurazione di attivazione dei neuroni che occorrerebbe nel caso in cui il soggetto avesse l'esperienza veridica di una mela rossa. Anche se non vi sono ancora casi di esperimenti condotti stimolando il cervello fino al punto di riprodurre la stessa identica configurazione che si avrebbe con l'esperienza veridica di una

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mela rossa, non ragionevole ritenere che una simile eventualit non potrebbe mai verificarsi in assenza di una mela rossa, o di una qualunque altra causa distale che possa contare come oggetto percepito. Il disgiuntivista sembra quindi costretto ad accettare anche la premessa 2. La premessa 3 non altro che un severo indebolimento del principio SCSE, secondo le modalit che ho descritto nel precedente paragrafo. Questa premessa perfettamente in linea con l'idea che la relazione causale dal fisico al mentale di tipo indeterministico. Di conseguenza l'occorrenza di un determinato stato fisico, che sia prossimale a uno stato mentale, sar condizione sufficiente non all'occorrenza dello stato mentale stesso, ma solo a determinare una certa probabilit che quello stato mentale abbia luogo. Questa non altro che la difesa avanzata dal disgiuntivista contro la versione forte del principio SCSE. Inoltre, ricordiamo che per il disgiuntivista vi una condizione di tipo non causale per l'occorrenza del carattere intrinseco delle esperienze veridiche, cio la presenza effettiva dell'oggetto. Probabilit che deve essere invece pari a 0 nel caso delle allucinazioni. L'essere parte costitutiva dell'esperienza nel caso della percezione , secondo il disgiuntivista, una condizione non causale dell'esperienza percettiva, e che incide sulla probabilit dell'occorrenza di quest'ultima rendendola maggiore di 0. Il disgiuntivista pu quindi accettare l'idea che a parit di condizioni causali prossimali e di condizioni non causali, due effetti in due situazioni differenti debbano essere dello stesso tipo intrinseco. Questo in linea con la premessa 3. D'altra parte il disgiuntivista persino obbligato ad accettare la premessa 3, perch rifiutarla comporterebbe il sostegno a una forma troppo radicale di indeterminismo nell'ambito delle relazioni causali. Questo forma di indeterminismo comporterebbe che in due situazioni identiche per quanto riguarda le loro condizioni di non causali, le medesime cause prossimali non determinerebbero la stessa probabilit che un tipo di evento segua come effetto. Ma questo vorrebbe dire che nulla sarebbe in grado di determinare in modo univoco la probabilit

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che un dato effetto segua da una certa causa. In buona sostanza gli eventi che sono cause immediate di altri eventi nella nostra vita ordinaria determinerebbero i loro effetti in modo del tutto casuale31. Questa sarebbe una posizione poco ragionevole. All'interno dell'argomento proposto, la premessa 3 ha una sua utilit solo se supportata dalla premessa 4. Chiaramente, se il disgiuntivista riuscisse a dimostrare che per tutte le allucinazioni sussiste almeno un elemento necessario di tipo non causale per l'occorrenza dell'esperienza allucinatoria, elemento che non mai presente nel caso delle esperienze veridiche, allora la probabilit dell'occorrenza del tipo di esperienza che si ha nella situazione h sarebbe diversa da quella che si ha nella situazione v. Questo contro la premessa 4, il che impedirebbe di giungere alla conclusione 6. Questo significherebbe sostenere che nel caso del carattere intrinseco delle allucinazioni vi sempre qualche caratteristica peculiare che non mai presente nel caso delle percezioni, per esempio un tipo particolare di propriet fenomenica. A una visione di questo genere si potrebbe per obiettare che restringerebbe in maniera indebita la concezione ordinaria che abbiamo degli stati di tipo allucinatorio. Concezione che pur non escludendo la possibilit di casi di allucinazione che a livello intrinseco godano di propriet peculiari che non possono essere presenti delle esperienze veridiche, non cos rigida da escludere casi di un secondo tipo, cio che differiscano a livello intrinseco dalle esperienze veridiche unicamente perch privi di alcuni tipi di propriet di cui invece le esperienze veridiche godono. La premessa 4 concerne appunto allucinazioni di questo secondo tipo. Si potrebbe ancora obiettare che vi tuttavia una condizione non causale che deve essere peculiare a tutte le esperienze percettive allucinatorie, quindi anche ad h, e cio l'assenza dell'oggetto particolare su cui verte l'esperienza (per esempio un determinato albero di pino). Chiaramente questa condizione non causale non soddisfatta nel caso della esperienza
31 M.G.F. Martin, The limits of self awarness, cit., pg. 288.

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veridica dell'albero di pino, pertanto esperienze veridiche e allucinazioni non avrebbero lo stesso carattere intrinseco. D'altra parte possiamo considerare la condizione non causale irrilevante nel determinare la probabilit dell'occorrenza del carattere intrinseco anche nel caso della situazione h. Torniamo ancora al caso in cui ho un'allucinazione di una mela rossa. Quest'esperienza non ha come condizione necessaria per l'occorrenza del suo carattere intrinseco la presenza della mela rossa di fronte a me, ma nemmeno la sua assenza. Infatti possibile immaginare un caso di esperienza in cui la mela presente ma che conta ancora come allucinazione poich alcune condizioni causali non sono soddisfatte. Si tratterebbe di un caso di allucinazione veridica. Immaginiamo ad esempio che l'oggetto di fronte a me, la mela rossa, non causi in alcun modo la mia esperienza, e che io abbia, del tutto casualmente, un'esperienza percettiva indistinguibile dalla esperienza veridica che avrei di quella stessa mela rossa se i miei organi di senso funzionassero nel modo ordinario. Questa esperienza conta come allucinazione, anche se la mela presente di fronte a me. Perci, in generale, l'assenza dell'oggetto su cui verte l'allucinazione non condizione necessaria all'occorrenza del carattere intrinseco dell'allucinazione stessa. In base a quanto detto, il disgiuntivista dovr accettare quindi anche la premessa 4. Dalla verit delle premesse che sono state elencate seguiranno 5 e 6. 6, come fa notare Martin, non a un primo esame in contraddizione con la posizione disgiuntivista, la quale non esclude in linea di massima che lo stesso carattere intrinseco che occorre nel caso delle allucinazioni, occorra anche nelle esperienze veridiche. L'unica condizione che tale carattere non sia il tipo fondamentale, o specifico, a cui appartengono sia le allucinazioni sia le esperienze veridiche. Potr essere al pi una condizione necessaria, e anche costitutiva, per il carattere intrinseco di entrambi i tipi di esperienza, ma non una condizione sufficiente a determinare il carattere intrinseco delle esperienze veridiche. A

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questo punto sorge per un grosso problema per il disgiuntivista, segnalato da Martin.

8 EXPLANATORY REDUNDANCY La conclusione dell'argomento che stato discusso pu rendere la teoria disgiuntivista poco plausibile. Martin nota che la porterebbe a violare un principio generalmente accettato dal punto di vista epistemologico. Questo principio non viene formulato in modo esplicito da Martin, ma sottinteso nel suo discorso. Esso afferma, a grandi linee, che una teoria poco plausibile se per spiegare un dato fenomeno si avvale di pi fattori rispetto a una teoria concorrente, posto che entrambe le teorie non sono in contraddizione con le altre conoscenze che possediamo. Questo principio non altro che una versione del rasoio di Occam. Al termine del paragrafo precedente abbiamo visto che il disgiuntivista potrebbe accettare la conclusione 6 senza temere che la consistenza interna della sua teoria venga minacciata. Il problema che ad esser minacciata potrebbe essere la sua convenienza dal punto di vista epistemologico, proprio alla luce del principio appena formulato. Poniamo, spiega Martin, che il disgiuntivista accetti la conclusione 6. Questo significa che se in un'allucinazione indistinguibile da un'esperienza veridica vi una certa probabilit per l'occorrenza di un determinato carattere intrinseco, vi la stessa probabilit che tale carattere occorra anche nell'esperienza veridica corrispondente. Si pu ragionevolmente credere che vi sia nel caso delle allucinazioni un carattere intrinseco che ha una probabilit di occorrere molto vicina al 100%, se le opportune cause prossimali hanno luogo e le condizioni non causali necessarie all'allucinazione sono soddisfatte. Se il disgiuntivista accetta la conclusione 6, allora deve accettare l'idea che nelle esperienze veridiche vi sia una probabilit molto vicina al 100% che occorra il carattere intrinseco di un'allucinazione corrispondente. Questo, ricordiamolo, non vuol dire che il carattere intrinseco dell'allucinazione corrispondente coincida con il carattere intrinseco dell'esperienza veridica.

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A questo punto il disgiuntivista deve rendere conto della modalit secondo la quale il carattere intrinseco delle allucinazioni occorre nel caso delle esperienze veridiche, pur non esaurendo il tipo specifico di queste. Il disgiuntivista ha a disposizione una prima opzione: affermare che nelle esperienze veridiche hanno luogo simultaneamente due eventi: un evento esperienziale caratteristico solo dell'esperienza veridica, che soddisfa i due principi ACT e TRANS per ciascuna delle sue propriet fenomeniche, e un evento esperienziale che ha luogo anche nel caso delle allucinazioni (per il quale ad esempio valgono solo ACT, solo TRANS, o nessuno dei due). Le allucinazioni saranno costituite da eventi del secondo tipo ma non del primo. Le esperienze veridiche saranno costituite da eventi di entrambi i tipi. Il problema sorge nel momento in cui ci chiediamo quanti eventi appaiano disponibili all'introspezione nel momento in cui un individuo soffra di un'allucinazione, ad esempio, di una mela rossa e confrontiamo questo caso con quello dell'esperienza veridica corrispondente. Dato che le due esperienze sono tra loro indistinguibili, il soggetto dovr presumibilmente individuare uno stesso numero di eventi sia nel caso dell'esperienza veridica sia nel caso dell'allucinazione. L'opzione che stiamo esaminando comporta per che nel caso dell'esperienza veridica abbia luogo un evento in pi rispetto all'allucinazione. Il problema che per il soggetto che attua l'introspezione l'esperienza veridica e l'allucinazione sono costituite da uno stesso numero di eventi, quando in realt nel caso dell'esperienza veridica c' n' uno in pi rispetto all'allucinazione. A questo punto il disgiuntivista potrebbe affermare che nel caso dell'esperienza veridica l'evento che le esclusivo l'unico disponibile all'introspezione, anche se non l'unico presente, ed indistinguibile dall'evento presente anche nell'allucinazione. Ma per farlo dovrebbe spiegare perch l'evento comune nei due casi non debba essere disponibile all'introspezione anche quando il soggetto ha un'esperienza veridica. Il che introdurrebbe una

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complicazione ulteriore nella teoria, tale da renderla poco desiderabile sotto il profilo della sua economia interna. Un'alternativa potrebbe essere affermare che ad essere disponibile all'introspezione solo l'evento comune all'esperienza veridica e all'allucinazione. Questo per, fa notare Martin, porterebbe la teoria disgiuntivista ad assomigliare ad una versione della teoria del massimo comune denominatore. Infatti finirebbe col diventare una teoria secondo cui nelle esperienze veridiche vi un elemento non individuabile tramite introspezione, il quale si aggiunge a un elemento che disponibile all'introspezione sia nel caso dell'esperienza veridica stessa sia nel caso di un'allucinazione indistinguibile. Questo farebbe perdere alla teoria disgiuntivista il sostegno dell'intuizione del senso comune a cui normalmente si appoggia e la renderebbe ancora una volta meno vantaggiosa dal punto di vista epistemologico rispetto alla teoria rappresentazionale. Il disgiuntivista ha per a disposizione una seconda opzione. Essa consiste nell'affermare che sia nei casi di allucinazione sia nei casi di esperienza veridica accade un solo evento, non dello stesso stesso tipo, ma comunque numericamente uno. Nel caso dell'allucinazione l'evento che accade sar di un tipo specifico. Nel caso dell'esperienza veridica corrispondente l'evento sar dello stesso tipo dell'allucinazione, ma quel tipo non conter come suo tipo specifico. Per chiarire meglio quest'ultima affermazione far un esempio tratto dal caso dei colori. Immaginiamo un pezzo di stoffa che sia stato colorato per met di rosso e per met di blu, ed un pezzo di stoffa che sia stato colorato solo di rosso. Se ci chiediamo di che tipo di colore il secondo pezzo di stoffa la risposta sar che rosso, mentre se ci chiediamo di che tipo di colore il primo sar corretto rispondere sia che rosso, sia che blu. Nel secondo caso sia con rosso sia con blu indichiamo propriet che sono necessarie al pezzo di stoffa per avere il colore che ha. D'altra parte se, nella terminologia di Martin, ci chiediamo quale sia il

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tipo specifico del colore del secondo campione di stoffa, dobbiamo rispondere che esso rosso e blu, perch con tipo specifico di colore si intende non una ma tutte le condizioni necessarie a un campione di stoffa per essere di un certo colore. Chiaramente il tipo specifico del primo campione esaurito gi dalla propriet ROSSO, ma esso pur contribuendo a definire anche il colore del secondo campione non lo esaurisce, perch il colore di quest'ultimo dato dalla presenza distinta sia della propriet ROSSO sia della propriet BLU. Analogamente, per il disgiuntivista il tipo specifico dell'esperienza veridica sar definito dal tipo sotto il quale cade anche l'allucinazione indistinguibile da essa, pi un altro tipo che l'allucinazione non soddisfa (nell'esempio dei pezzi di stoffa il corrispettivo di questo tipo peculiare a cui appartiene l'esperienza veridica individuato dalla propriet BLU del secondo campione). Questo tipo peculiare all'esperienza veridica sar individuato dalla congiunzione delle propriet dell'attualismo e della trasparenza per il suo carattere intrinseco. Cio un'esperienza che goda gi della propriet che definisce il carattere intrinseco delle esperienze allucinatorie, sar un'esperienza veridica nel momento in cui le sue propriet fenomeniche saranno disgiuntive, secondo la definizione DISJ che ho dato alla fine del primo capitolo. Il compito del disgiuntivista sar quindi spiegare come possibile che qualcosa sia essenzialmente F, cio che i suoi caratteri costitutivi siano esauriti dalla propriet F, e qualcos'altro sia anch'esso F ma i suoi caratteri costitutivi non siano esauriti dalla propriet F32. Questo compito risulta complicato dal rischio di aver reso ridondante dal punto di vista esplicativo la caratteristica peculiare alle esperienze veridiche. Che cosa intende Martin quando parla di ridondanza esplicativa? Questo problema viene da lui chiarito attraverso un esempio. Immaginiamo di stare osservando un macchina che ha il compito di separare pezzi differenti di stoffa in base al colore. L'input della macchina dato da singoli pezzi di stoffa di colore scarlatto o di sfumature di colore che non sono determinazioni del colore rosso, ma del giallo,
32 Ivi, cfr. pg. 291.

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del verde e cos via. Mentre la macchina compie il suo lavoro notiamo che i pezzi di stoffa scarlatti vengono tutti riposti in uno scompartimento apposito, a differenza dei pezzi di stoffa non-rossi che finiscono tutti indifferentemente in un secondo scompartimento. La presenza di un campione di stoffa nel primo scompartimento potr essere spiegata dal suo essere scarlatto. Immaginiamo ora una macchina dello stesso modello della prima, ma il cui input sia leggermente diverso. Esso consister in una collezione di campioni di stoffa di colore non rosso, oppure colorati mediante qualche sfumatura di rosso che potr essere scarlatta, cremisi o amaranto. Osservando questa macchina al lavoro, notiamo che ripone tutti i pezzi di stoffa il cui colore una sfumatura di rosso in uno scompartimento, lo stesso in cui l'altra macchina riponeva i campioni rosso scarlatto. I pezzi di stoffa non rossi vengono invece riposti nell'altro scompartimento. Dopo aver osservato l'attivit della prima macchina potevamo ancora indicare come condizione sufficiente a spiegare la presenza di un pezzo di stoffa nel primo scompartimento, il possesso della propriet SCARLATTO. Osservando la seconda macchina all'opera abbiamo visto che in realt una propriet pi generale plausibilmente l'unica rilevante, cio la propriet ROSSO. Visto che le due macchine sono costruite allo stesso modo, anche per quanto riguarda la prima macchina sembra ragionevole concludere che sia la propriet ROSSO, e non la propriet SCARLATTO, a essere condizione sufficiente a spiegare la presenza di un pezzo di stoffa nel primo scompartimento33. Sarebbe implausibile sostenere che nel caso della prima macchina solo la propriet SCARLATTO ad avere il ruolo di spiegare il comportamento della macchina, anche se non impossibile logicamente. L'economia interna della teoria che usiamo per spiegare il comportamento delle due macchine escluderebbe il sostegno a quest'ultima ipotesi.
33 Ivi, cfr. pg. 293.

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Secondo Martin il caso del confronto tra esperienze allucinatorie ed esperienze veridiche d luogo a un problema analogo per il disgiuntivista. Poniamo che una propriet F occorra per ciascuna propriet fenomenica sia nel caso delle allucinazioni sia nel caso delle esperienze veridiche da cui le allucinazioni sono indistinguibili. Le esperienze veridiche saranno dotate inoltre della propriet definita da DISJ per ciascuna delle loro propriet fenomeniche. Questa propriet, ricordiamolo, data dalla congiunzione delle propriet definite da ACT e TRANS. Le esperienze percettive sono eventi di tipo mentale. La situazione descritta sopra, la macchina che smista campioni di stoffa, un evento di tipo fisico. Trattandosi in entrambi i casi di eventi, per quanto di tipo diverso, sembra plausibile applicare ad essi le stesse intuizioni nello spiegarne l'apparenza che ne abbiamo. Questo pu portare, continua Martin, a ritenere la propriet definita da DISJ ridondante a livello esplicativo nel caso dell'esperienza veridica. Essa non sar pi sufficiente a spiegare il modo in cui ci appare una data propriet dell'esperienza. Questo perch vi un'altra propriet, F, che gi sufficiente a spiegare la fenomenologia della nostra esperienza. Quindi per ciascuna propriet fenomenica che risulta indistinguibile da una propriet fenomenica presente in un'allucinazione, la propriet definita da DISJ sar per cos dire tagliata fuori [screened off] dal ruolo di fornire una spiegazione sufficiente dell'occorrenza della propriet fenomenica stessa nel caso delle esperienze veridiche. DISJ oltre a non fornire una propriet sufficiente a spiegare la fenomenologia della nostra esperienza non fornir nemmeno una propriet che sia condizione necessaria, visto che il possesso di F vale come condizione sufficiente. Il disgiuntivista si trova a questo punto in una posizione molto debole. Egli dovr dare un resoconto del carattere intrinseco delle allucinazioni che non si limiti ad affermazioni puramente negative, ma che spieghi che tipo di carattere intrinseco il carattere intrinseco di

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un'esperienza allucinatoria. Non baster pi affermare semplicemente che questo tipo non pu essere il tipo specifico che identifica il carattere intrinseco di una percezione. Servir un resoconto del tipo specifico delle esperienze allucinatorie che non sia tale da tagliare fuori la propriet definita da DISJ da qualunque ruolo nello spiegare la fenomenologia delle percezioni.

9 CARATTERE INTRINSECO E INDISTINGUIBILITA' Obiettivo di questo paragrafo definire meglio il concetto di carattere intrinseco di un'esperienza percettiva visiva. Questo servir pi avanti a esporre la strategia di difesa adottata da Martin nell'affrontare il problema precedentemente esposto. Anzitutto occorre notare che vi una nozione che pu essere usata per raccogliere in un'unica classe le allucinazioni indistinguibili dalle esperienze veridiche e le esperienze veridiche stesse. Essa fornisce un criterio per individuare la propriet CARATTERE INTRINSECO DI UN'ESPERIENZA PERCETTIVA. Questa propriet permette che sia le esperienze veridiche sia le allucinazioni contino come esperienze percettive, cio come eventi appartenenti alla classe E che ho definito nel primo paragrafo di questo capitolo. Quella classe, nel caso del disgiuntivista, era stata definita in modo estensionale, indicando due classi di esperienze, la classe dei casi di vedere genuino (che include le esperienze veridiche e le illusioni) e la classe dei casi di allucinazione, come incluse nella classe delle esperienze percettive visive. Questo stato fatto affermando che i casi di vedere genuino e i casi di allucinazione sono eventi che appartengono entrambi ad E, ma che sono di tipo specifico differente, senza chiarire quale sia la propriet in virt della quale entrambi questi tipi di eventi contano come esperienze percettive, e quindi sono inclusi in E. Il disgiuntivista, come ho spiegato, nega la riducibilit della prima disgiunzione qui di seguito alla seconda.

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E = {x : x un'esperienza e [(x un vedere genuinamente un F da parte di un soggetto S) oppure (x un'allucinazione di F da parte di un soggetto S)]}

E = {x : x un'esperienza e [(x il sembrare a un soggetto S che qualcosa appaia visivamente come F + Y) oppure (x il sembrare a un soggetto S che qualcosa appaia visivamente come F + Z)]}

Il disgiuntivista sostiene, in accordo con la prima disgiunzione, che all'interno della classe delle esperienze va individuata una sottoclasse, la classe E delle esperienze percettive. Tra gli individui che appartengono alla classe delle esperienze, l'appartenenza di un individuo x alla sottoclasse delle esperienze percettive non viene indicata attraverso il godimento di un'unica propriet, ma attraverso il godimento o della propriet di essere un caso di vedere genuino o della propriet di essere un caso di allucinazione. Nulla viene indicato come criterio per includere questi due tipi di casi in un'unica sottoclasse delle esperienze. In buona sostanza la classe E delle esperienze percettive definita all'interno della classe delle esperienze in modo unicamente estensionale. Questo se restringiamo la definizione di E unicamente alla prima disgiunzione. La tesi CKA, come ho spiegato, afferma la riducibilit della prima disgiunzione alla seconda, in modo tale da individuare una propriet comune alle due classi che costituiscono E, cio il sembrare a S che qualcosa gli appaia come F. In tal modo CKA fornisce una definizione non solo estensionale ma anche intensionale di E. Questa definizione intensionale indica una propriet comune ai casi di vedere genuino e di allucinazione, e viene utilizzata dal teorico di CKA come criterio per includerli nella classe E. Il disgiuntivista non riconosce questa propriet come comune ai due casi. D'altra parte una

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propriet che sia comune a vedere genuino e allucinazioni gli serve, se non vuole che la loro inclusione all'interno della classe delle esperienze percettive sia arbitraria. Inoltre questa propriet dovr essere relativa al carattere intrinseco dei due tipi di esperienza. Ci che serve al disgiuntivista una propriet che permetta di identificare il carattere intrinseco di esperienze veridiche, illusioni e allucinazioni come carattere intrinseco di esperienze percettive. Il disgiuntivista deve fornire cio, al pari del teorico di CKA, una definizione di E che sia anche intensionale e non solo estensionale, perch limitandosi a quest'ultima E sarebbe solo un mero elenco delle classi di esperienze che sono incluse in essa, senza chiarire quale propriet esse debbano possedere per essere classi di esperienze percettive visive. Ritengo che questo compito sia stato affrontato da Martin offrendo appunto una definizione della propriet CARATTERE INTRINSECO DI UN'ESPERIENZA PERCETTIVA, la quale deve essere comune ai casi di vedere genuino e ai casi di allucinazione. Martin denomina questa propriet pi semplicemente con l'espressione esperienza percettiva. Ho scelto di non usare quest'ultima nozione perch spesso non viene usata solo per riferirsi alla fenomenologia dell'esperienza, ma anche al fatto che il contenuto delle esperienze deve essere veridico o falsidico. La nozione di carattere intrinseco dell'esperienza percettiva, definendo la classe E delle esperienze percettive, comune a esperienze veridiche, illusioni e allucinazioni. Questa nozione non contiene un riferimento implicito al fatto che le esperienze possano avere un valore di verit, quindi ritengo che sia pi adatta per parlare di fenomenologia dell'esperienza. Martin, come ho spiegato nel primo capitolo, utilizza implicitamente la nozione di esperienza percettiva in questo senso. Martin definisce il carattere intrinseco delle esperienze percettive attraverso la nozione di indiscriminabilit a livello introspettivo da una esperienza veridica corrispondente. Egli spiega che un'esperienza ha il carattere intrinseco che la qualifica come esperienza percettiva se indistinguibile ad un'analisi introspettiva da una esperienza veridica corrispondente.

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Poniamo ad esempio che io stia solo immaginando di vedere una staccionata bianca. Questo caso non potrebbe essere annoverato come esperienza percettiva di una staccionata bianca. Questo perch io stesso tenderei a non classificarlo come tale, visto che ad un'analisi introspettiva sarei in grado di distinguerlo da una esperienza veridica di una staccionata bianca. D'altra parte, sostiene Martin, se la mia esperienza indistinguibile a livello introspettivo dalla esperienza veridica di una staccionata bianca, allora sar da annoverare all'interno della classe delle esperienze percettive34, cio all'interno della classe E. Occorre comunque definire meglio il concetto di indistinguibilit a livello introspettivo da una percezione. Martin lo chiarisce affermando che un'esperienza indistinguibile in questo senso se non possibile sapere, attraverso un'analisi introspettiva, che essa non un caso di esperienza veridica. Per esempio, riprendendo il caso dell'esperienza di una staccionata bianca, se non possibile per il soggetto sapere che quell'esperienza non l'esperienza veridica di una staccionata bianca, allora l'esperienza conter come esperienza percettiva di una staccionata bianca. Martin esprime quanto ho appena spiegato attraverso una formula, che definisce la propriet CARATTERE INTRINSECO DI UN'ESPERIENZA PERCETTIVA. Egli indica questa propriet con l'espressione IND.

IND = ~K[tramite introspezione] ~(x V)

Secondo Martin IND indica la condizione necessaria e sufficiente un'esperienza alla classe E delle esperienze percettive.

all'appartenenza di

(x E) sse ( (x un'esperienza) & (~K[tramite introspezione] ~(x V))35)


34 Ricordo che con l'espressione esperienza percettiva mi riferisco implicitamente alle esperienze percettive visive. 35 Cfr. M.G.F. Martin, On Being Alienated, pg. 11.

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E sta per esperienza percettiva, K per conoscenza da parte di un soggetto, e V indica la classe delle esperienze veridiche. Il criterio appena indicato permette di individuare un'esperienza come esperienza percettiva, e fa questo indicando una propriet che sar posseduta sia dai casi di vedere genuino sia dai casi di allucinazione. L'indistinguibilit a livello introspettivo cos il criterio che permette di individuare il carattere intrinseco di un'esperienza come carattere intrinseco di un'esperienza percettiva. L'indistinguibilit a livello introspettivo da un'esperienza veridica corrispondente viene considerata da Martin come esaustiva della propriet CARATTERE INTRINSECO DI UN'ESPERIENZA PERCETTIVA. Un'esperienza che sia V rientra banalmente tra le esperienze che appartengono a E, perch un'esperienza, e inoltre non possibile sapere che un'esperienza veridica non un'esperienza veridica. Se un'esperienza veridica, un soggetto potr al massimo credere che l'esperienza non sia veridica, se ad esempio soffre di qualche disagio psichico. Ma egli non potr mai sapere che la sua esperienza non appartiene a V; questo per il semplice fatto che essa in realt appartiene a V. Inoltre, se vi sono esperienze il cui carattere intrinseco di tipo specifico differente rispetto alle esperienze veridiche, ma questa loro diversit dalle esperienze veridiche non conoscibile attraverso l'introspezione, allora la condizione formulata sopra pu essere comunque soddisfatta. Nel caso di allucinazioni le cui cause prossimali siano le stesse di esperienze veridiche corrispondenti, secondo Martin, avviene proprio questo. Un teorico di CKA deve accettare il criterio di indistinguibilit come condizione necessaria per l'occorrenza di un'esperienza percettiva, perch CKA non prevede che un soggetto possa sapere attraverso l'introspezione che la sua esperienza non un'esperienza veridica, dato che il carattere intrinseco delle esperienze percettive dello stesso tipo sia per i casi di vedere genuino sia per i casi di allucinazione che abbiamo esaminato. D'altra parte il teorico di CKA non pu accettare l'indistinguibilit a livello introspettivo

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come condizione sufficiente a determinare l'appartenenza di un evento ad E. Questo perch renderebbe superflue le propriet che considera condizioni necessarie. Egli indica, spiega Martin, come ulteriore condizione necessaria all'occorrenza di esperienze percettive un carattere intrinseco, cio, limitandoci al rappresentazionalismo, un insieme di propriet fenomeniche E1, E2, E3,..., i cui membri saranno propriet fenomeniche rappresentazionali, trasparenti e non attuali. Questo di insieme di propriet fenomeniche condizione necessaria, oltre che sufficiente, per l'occorrenza di un'esperienza percettiva. Se il teorico rappresentazionalista accettasse il criterio formulato da Martin per la definizione della classe E, l'occorrenza di un insieme di propriet fenomeniche rappresentazionali, trasparenti e non attuali, non sarebbe pi condizione necessaria per l'occorrenza di un'esperienza percettiva, visto che l'indistinguibilit a livello introspettivo da un'esperienza veridica sarebbe condizione sufficiente. Il disgiuntivista, continua Martin, pur essendo disposto ad accettare l'occorrenza di un insieme di propriet fenomeniche E1, E2, E3,..., come condizione sufficiente, ritiene troppo restrittivo indicarla anche come condizione necessaria per l'appartenenza di un'esperienza a E. Secondo lui vi una relazione di tipo non rappresentazionale tra soggetto e oggetto nel caso delle esperienze veridiche, e il fatto che il carattere intrinseco di un'esperienza sia trasparente e non attuale non va inteso come condizione necessaria per l'occorrenza di un'esperienza che conti come esperienza percettiva. Pi pi in generale, per il disgiuntivista nessun insieme di propriet fenomeniche da considerare condizione necessaria all'occorrenza di esperienze percettive, poich il requisito dell'indistinguibilit da un'esperienza veridica pu essere soddisfatto in linea teorica da un insieme di propriet fenomeniche E 1, E2, E3,..., o da un insieme E'1, E'2, E'3,..., o da un insieme E''1, E''2, E''3,..., e cos via. Nel prossimo paragrafo spiegher come Martin utilizza le osservazioni appena fatte per rispondere al problema della ridondanza esplicativa.

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10 RUOLI ESPLICATIVI E DERIVABILITA' A PRIORI Immaginiamo che un uomo di nome James sia terrorizzato dai ragni. Se James vede di fronte a se una tarantola reagisce immancabilmente urlando Aiuto un ragno! e se la d a gambe. Questa sua reazione avrebbe luogo da parte sua anche se non stesse realmente vedendo una tarantola, ma avesse un'esperienza del tutto indistinguibile dal vedere effettivamente una tarantola. Un'esperienza che abbia la propriet di essere indistinguibile a livello introspettivo dall'esperienza veridica di una tarantola godrebbe della condizione necessaria e sufficiente a spiegare il comportamento di James nel momento in cui dovesse urlare Aiuto un ragno!, per poi darsela a gambe, perch quella propriet spiega il modo in cui l'esperienza appare a James a un'analisi introspettiva. Un teorico del rappresentazionalismo chiamerebbe in causa l'occorrenza di un insieme di propriet fenomeniche E1, E2, E3,..., che sarebbero condizione necessaria e sufficiente a spiegare la reazione di James sia nel caso dell'esperienza veridica sia nel caso di un'ipotetica allucinazione. La stessa nozione di indistinguibilit a livello introspettivo di un'esperienza da un'esperienza veridica andrebbe secondo lui ridotta alla nozione delle propriet fenomeniche menzionate sopra (che, ricordiamolo, sono rappresentazionali, trasparenti e non attuali). Martin ribadisce a questo punto che nulla ci impedisce di immaginare casi di allucinazione del tutto indistinguibili da un'esperienza veridica di una tarantola, non caratterizzate da un insieme di propriet fenomeniche E1, E2, E3,..., trasparenti e non attuali, bens da un insieme di propriet fenomeniche E'1, E'2, E'3,..., attuali e non trasparenti, oppure da un insieme di propriet fenomeniche E''1, E''2, E''3,..., trasparenti e attuali. Questi insiemi di propriet fenomeniche sono tutti sufficienti a spiegare il modo in cui la sua esperienza gli appare introspettivamente, e quindi a spiegare il suo comportamento e sono tutti possibili determinazioni della propriet IND.

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Per questo motivo l'insieme di propriet fenomeniche E1, E2, E3,..., non pu essere considerato esaustivo della propriet di essere indistinguibile a livello introspettivo da un'esperienza veridica corrispondente. Ed cos, sostiene Martin, in modo analogo alla non riducibilit della propriet ROSSO alla propriet SCARLATTO. Gli insiemi di propriet fenomeniche citati sopra saranno determinazioni del determinabile CARATTERE INTRINSECO DI UN'ESPERIENZA PERCETTIVA, propriet che per il disgiuntivista definita dall'indistinguibilit a livello introspettivo da un'esperienza veridica corrispondente. Quegli insiemi, non essendo necessari n sufficienti a spiegare tutto ci che spiega la propriet dell'indiscriminabilit, saranno ridondanti a livello esplicativo in modo analogo alla ridondanza della propriet SCARLATTO rispetto alla propriet ROSSO, dell'esempio visto nel precedente paragrafo. Questo pu far recuperare al disgiuntivista la posizione di svantaggio in cui si trovava rispetto ai teorici di CKA, perch rende anche questi ultimi vulnerabili al problema della ridondanza. Il disgiuntivista potr sostenere che vi una propriet del carattere intrinseco dell'esperienza nel caso delle allucinazioni che presente anche nelle esperienze veridiche, che rende conto della fenomenologia delle esperienze percettive e quindi anche del loro ruolo esplicativo. Si tratta della propriet IND che definisce il carattere intrinseco delle esperienze percettive. Questa propriet rende pressoch superflui gli insiemi di propriet fenomeniche E 1, E2, E3,..., e E'1, E'2, E'3,..., nello spiegare il comportamento di un soggetto che esperisce. Vi per un ovvio problema. IND rende ridondante a livello esplicativo anche l'insieme E'' 1, E''2, E''3,..., che raccoglie propriet fenomeniche trasparenti e attuali, cio le propriet fenomeniche che il disgiuntivista sostiene essere presenti nel caso delle esperienze veridiche. Fare appello a IND sembra quindi, in prima battuta, non portare alla risoluzione del problema della ridondanza per il disgiuntivista, ma solo allargare tale problema anche ai resoconti forniti dalle teorie

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avversarie. Ma IND porta la posizione disgiuntivista a un paradosso, che appare essere un problema ben pi grave di quello della ridondanza esplicativa. IND ha un ruolo nello spiegare il comportamento di James di fronte a un ragno perch fa riferimento all'esperienza veridica di un ragno da parte sua. Il ruolo esplicativo di IND riguardo al comportamento di un soggetto deriva, spiega Martin, dal ruolo esplicativo di un'esperienza di tipo V riguardo a quello stesso comportamento. Questo perch da un lato l'indistinguibilit di un'esperienza da un'esperienza che appartiene a V, e non a un'altro insieme, sufficiente a spiegare, a parit di condizioni per quanto concerne il corpo di James, il suo comportamento nel caso di un'allucinazione di una tarantola. Dall'altro perch l'indistinguibilit da un'esperienza che appartiene a V anche condizione necessaria, perch se, poniamo, l'esperienza di James fosse indistinguibile dal semplice immaginare un ragno di fronte a lui, James non avrebbe certo lo stesso tipo di reazione descritto sopra. E' possibile perci affermare che il ruolo esplicativo di IND riguardo al comportamento di un soggetto deriva dal ruolo esplicativo di V. Ho spiegato precedentemente che la propriet IND presente sia nei casi in cui V esemplificato sia nei casi in cui esemplificato l'insieme H delle esperienze allucinatorie. Se applicassimo il principio utilizzato nel caso dell'esempio dei campioni di stoffa allora la propriet IND taglierebbe fuori da qualunque ruolo esplicativo la propriet V, il che vorrebbe dire che le esperienze veridiche non avrebbero alcun ruolo nello spiegare il comportamento dei soggetti. Ma si appena detto che IND ha un ruolo esplicativo in virt di V. Se V perde questo ruolo allora lo perde anche IND, e cos si finisce per negare che l'indistinguibilit di un'esperienza da un'esperienza veridica sia condizione sufficiente e necessaria a spiegare il comportamento di un soggetto36. Per evitare questa conclusione spiacevole il disgiuntivista ha due strade. La prima negare
36 Cfr., M.G.F. Martin, The Limits of Self Awarness, pg.299.

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che l'appartenenza di un'esperienza a V abbia mai un ruolo nello spiegare il comportamento di un soggetto, e fare dipendere il ruolo esplicativo di IND da un'altra propriet, poniamo una propriet generica P.

IND = ~K[tramite introspezione] ~(x P)

Il problema che questo accorgimento non metterebbe il disgiuntivista al riparo dal paradosso descritto sopra. Questo perch basterebbe immaginare casi in cui la propriet P assente e tuttavia l'esperienza indistinguibile da un'esperienza che sia P, e a quel punto la propriet P diverrebbe anch'essa superflua nello spiegare le conseguenze dell'esperienza stessa. In altre parole avremmo tagliato fuori anche la propriet P, in modo del tutto analogo al caso della propriet V. L'unica soluzione che sembra avere a disposizione il disgiuntivista porre un limite all'applicazione della regola dello screening off. Questa regola stata applicata al caso delle due macchine che smistano stoffa e al caso appena visto. Essa si basa sull'intuizione secondo cui se una propriet determinabile presente in pi casi rispetto a una sua determinazione, cio se ad esempio la propriet ROSSO presente in pi casi rispetto alla propriet SCARLATTO, e gli effetti che seguono dalla presenza di queste due propriet sono gli stessi, allora la propriet determinabile avr un ruolo preminente dal punto di vista esplicativo e taglier fuori [screen off ] la propriet che una sua determinazione. Questo principio deve il suo carattere intuitivo al fatto che, rimanendo all'esempio dei colori, non possibile derivare a priori da una situazione teorica i possibili effetti della propriet ROSSO dagli effetti della propriet SCARLATTO, mentre possibile il contrario. Il motivo di ci che la propriet ROSSO in grado di spiegare una quantit di fatti ben maggiore rispetto alla propriet SCARLATTO. Cio se consideriamo gli effetti possibili del

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determinabile ROSSO, essi comprenderanno gli effetti possibili di tutte le sue determinazioni, quindi anche della propriet SCARLATTO. Mentre dagli effetti possibili della determinazione SCARLATTO, essendo questo solo un sottoinsieme dell'insieme dei possibili effetti di ROSSO, non sar possibile derivare, a parit di condizioni, gli effetti possibili della propriet ROSSO. Quanto detto giustifica il parallelismo con il caso di IND e E 1, E2, E3,..., visto che possiamo considerare E1, E2, E3,..., come una delle determinazioni della propriet IND. E la stessa cosa varr per quanto riguarda IND e E' 1, E'2, E'3,...,. Tramite un insieme di propriet fenomeniche trasparenti e non attuali, o attuali e non trasparenti, non perci possibile spiegare tutto ci che spiegabile con IND, perch IND comprende anche altri tipi di determinazione. D'altra parte IND pu spiegare tutto ci che spiegano E 1, E2, E3,..., e E'1, E'2, E'3,..., perch essi sono determinazioni di IND e quindi i loro effetti sono compresi tra gli effetti possibili di IND. Nel caso per in cui l'insieme degli effetti possibili di un determinabile dipenda dall'insieme degli effetti possibili di una sua determinazione, allora negare a quest'ultimo insieme un ruolo esplicativo nello spiegare un certo tipo di effetto significher negare questo ruolo anche al primo insieme. E' questo il caso del rapporto tra V e IND. V coincide con l'insieme E'' 1, E''2, E''3,..., che non altro che l'insieme degli insiemi di propriet fenomeniche trasparenti e attuali, cio l'insieme delle esperienze veridiche secondo il disgiuntivista. Il fatto che da V derivino determinati effetti permette che tali effetti possano occorrere anche nel caso di IND. Questo perch l'insieme degli effetti possibili di V coincide con l'insieme degli effetti possibili di IND, perci il ruolo esplicativo di IND derivabile a priori dal ruolo esplicativo di V. Questo a differenza del caso di SCARLATTO e ROSSO dove gli insiemi di effetti possibili non sono identici ma sono l'uno sottoinsieme dell'altro, per cui il ruolo esplicativo di ROSSO non derivabile a priori dal ruolo esplicativo di SCARLATTO. Questa differenza fra i due casi pu indicare, secondo Martin, la non applicabilit del principio dello screening off.

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Il caso del rapporto tra IND e V non molto diverso secondo Martin da casi di preenzione. Vediamo un esempio. Immaginiamo due situazioni possibili. Nella prima Marco e Sergio sparano a Giulio e il proiettile di Marco attraversa il cuore di Giulio uccidendolo, prima che il proiettile di Sergio arrivi. Nella seconda Sergio spara a Giulio e lo uccide colpendolo esattamente nello stesso punto del cuore rispetto al proiettile sparato da Marco nell'esempio precedente. Visto che la pallottola sparata da Sergio presente in entrambi i casi, il principio dello screening off porterebbe a negare che la pallottola di Marco spieghi la morte di Giulio nel primo esempio. Una conclusione del genere sarebbe chiaramente scorretta non solo perch nel primo esempio la pallottola di Marco colpisce Giulio al cuore prima della pallottola di Sergio, ma anche perch se la pallottola di Marco non ha un ruolo nello spiegare la morte di Giulio nel primo esempio non si capisce perch la pallottola di Sergio debba avere questo ruolo nel secondo esempio. In altre parole se la pallottola di Marco non spiega un certo tipo di effetto, nemmeno la pallottola di Sergio pu spiegarlo. Questo perch il fatto che una pallottola sia in grado di provocare la morte di qualcuno un qualcosa di assodato a partire dall'esperienza. Una volta che sappiamo per esperienza che una pallottola ha questo tipo di effetto possiamo dedurre che un'altra pallottola avr il medesimo tipo di effetto. Perch un certo tipo di oggetto ha provocato la morte di Giulio? Perch quell'oggetto era una pallottola sparata da una pistola. Se questo stesso tipo di oggetto non spiegasse la morte di Giulio nel primo caso, non la spiegherebbe nemmeno nel secondo caso osservato. Viceversa se non la spiegasse nel secondo caso non la spiegherebbe nemmeno nel primo. Nell'esempio mostrato non vale quindi il principio dello screening off perch abbiamo due situazioni in cui la capacit esplicativa di un evento derivabile dalla capacit esplicativa di un altro evento. Nel caso di un'esperienza che goda solo della propriet IND, cio di un'allucinazione, e di

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un'esperienza che sia V abbiamo due tipi di eventi in cui la capacit esplicativa del primo tipo riducibile alla capacit esplicativa del secondo tipo. In questo caso, sostiene Martin, in maniera analoga ai casi di preenzione, non sarebbe applicabile il principio di screening off, e quindi si eviterebbe il paradosso che ho spiegato riguardo al rapporto tra IND e V. Quindi, per quanto IND tagli fuori dalla spiegazione del comportamento di un soggetto l'insieme di propriet E1, E2, E3,..., e l'insieme di propriet E' 1, E'2, E'3,..., non far lo stesso con l'insieme di propriet E''1, E''2, E''3,..., cio con V.

11 BREVE RIASSUNTO DI QUANTO SINORA DETTO Riassumo ci che ho detto sinora in questo capitolo, per poterne tirare le fila. Ho spiegato nei primi paragrafi che il disgiuntivista, per rispondere ai problemi posti dai casi di allucinazione le cui cause prossimali siano dello stesso tipo rispetto a esperienze veridiche corrispondenti, pu tentare di affidarsi ad argomentazioni a favore dell'indeterminismo causale. Al di l della reale sostenibilit dell'indeterminismo, si visto che esso espone comunque il disgiuntivista all'argomento che Martin mutua da Robinson, e quindi al problema della ridondanza esplicativa. Quell'argomento dimostra infatti che il tipo specifico a cui appartiene il carattere intrinseco di un'allucinazione pu occorrere con ogni probabilit nell'esperienza veridica con cui l'allucinazione condivide le stesse cause prossimali. E poich a ogni esperienza veridica possiamo far corrispondere un'allucinazione con le medesime cause prossimali, allora possibile concludere che tutte le esperienze veridiche godono del carattere intrinseco di allucinazioni corrispondenti. Il disgiuntivista, come ho spiegato, pu replicare che il tipo specifico delle allucinazioni pur essendo presente anche nel caso delle esperienze veridiche non ne esaurisce il tipo specifico, e individua solo una delle propriet costitutive del carattere intrinseco delle esperienze veridiche stesse. A questo punto il disgiuntivista viene posto di fronte al problema della ridondanza, e per

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rispondervi deve sostenere che l'unica propriet che il carattere intrinseco delle allucinazioni indistinguibili dalle esperienze veridiche possiede, appunto l'indistinguibilit da un'esperienza veridica corrispondente. In altre parole l'unica propriet che il carattere intrinseco delle allucinazioni indistinguibili da esperienze di tipo V possieder, sar la propriet IND. IND individuer le allucinazioni indistinguibili da esperienze veridiche come esperienze percettive, e inoltre fornir il criterio per distinguere un'allucinazione di un tipo da un'altra. IND, essendo una condizione epistemologica che deriva a priori la sua capacit esplicativa da V, non taglier V fuori dal suo ruolo esplicativo. In questo modo il disgiuntivista sembra aver risposto al problema della ridondanza, e sembra aver spiegato come il carattere intrinseco delle esperienze veridiche possa essere dello stesso tipo del carattere intrinseco delle allucinazioni, pur non essendo dello stesso tipo specifico. Per il prezzo pagato dal disgiuntivista per giustificare la sua teoria, pu incalzare a questo punto il difensore di CKA, molto alto. Questo perch vi sono due forti critiche che gli possono essere avanzate. Discuter la prima di esse, e la difesa di Martin, nel prossimo paragrafo.

12 PERSONE DISTRATTE, ANIMALI, CAPACITA' DI DISCRIMINAZIONE La propriet IND, come ho spiegato, la propriet che secondo il disgiuntivista permette di includere sia le esperienze veridiche sia le allucinazioni all'interno della classe E delle esperienze percettive. L'occorrenza di IND inoltre, secondo il disgiuntivista, una delle condizioni necessarie affinch un'esperienza percettiva abbia un elemento presentato, cio affinch sia dotata di un riferimento. Ho spiegato nel primo capitolo che l'elemento presentato in senso generale ci su cui verte immediatamente l'esperienza. IND sar condizione necessaria del possesso di un elemento presentato da parte dell'esperienza, sia nel caso in cui

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vi sia un oggetto a costituirne il carattere intrinseco, sia nel caso in cui non vi sia nessun oggetto che ricopra questo ruolo. Cio dal fatto un'esperienza percettiva verta su un certo tipo di oggetto o propriet, seguir necessariamente il godimento della propriet IND in riferimento a quel tipo di oggetto e non a un altro. Questo vuol dire che IND permette di distinguere un'esperienza che verte su un certo oggetto, la cui presenza di fronte al soggetto sia attuale o meno, da un'esperienza che verta su un altro oggetto. Se ad esempio sto vedendo una mela rossa, condizione necessaria affinch la mia esperienza veridica sia un'esperienza percettiva di una mela rossa piuttosto che di, poniamo, un limone, il suo essere indistinguibile a livello introspettivo dall'esperienza veridica di una mela rossa ( a questa condizione necessaria, nel caso dell'esperienza veridica, se ne aggiunger ovviamente un'altra altrettanto necessaria, cio il fatto che la mela sia parte costitutiva dell'esperienza). Se invece la mia esperienza veridica vertesse su un limone, allora sarebbe indistinguibile dall'esperienza veridica di un limone. In altre parole la propriet IND condizione necessaria alla differenza di contenuto tra esperienze veridiche, e alla distinzione tra le esperienze veridiche stesse. Stessa cosa varr, ovviamente, per la distinzione tra allucinazioni con diverso contenuto, quando per esempio vertano su una mela rossa piuttosto che su un limone. Perci in generale possibile affermare che la propriet IND condizione necessaria alla distinzione del riferimento del contenuto delle esperienze percettive, indipendentemente dal fatto che il riferimento, o elemento presentato, sia parte costitutiva o meno del contenuto stesso. La propriet IND inoltre condizione sufficiente a individuare il l'elemento presentato o riferimento di un'esperienza percettiva. Questo perch, secondo il disgiuntivista, se la mia esperienza indistinguibile dall'esperienza veridica, poniamo, di una mela rossa, questo sufficiente affinch la mia esperienza verta su una mela rossa. Quanto detto pone un problema pressante per il disgiuntivista. Egli afferma che l'occorrenza di IND condizione necessaria e sufficiente a classificare un'esperienza come esperienza

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percettiva che verte su di un certo tipo di oggetto; tuttavia possibile indicare dei controesempi di esperienze percettive che cadrebbero fuori dal criterio di individuazione basato su IND. Immaginiamo che un uomo di nome James sia dotato di organi di senso perfettamente funzionanti, ma che in alcune situazioni tenda sistematicamente a prestare poca attenzione a certi dettagli della scena che gli si presenta davanti. Questo fa s che James, nonostante sia in grado di farlo, non distingua mai l'apparenza di un olmo dall'apparenza di un faggio. Ci non toglie che vi sia una forte intuizione che James abbia comunque due esperienze percettive, in questo caso due esperienze veridiche, dal contenuto diverso, una che verte su un olmo e una che verte su un faggio. Il criterio dell'indistinguibilit prescrive per che se due esperienze sono indistinguibili per un soggetto allora hanno lo stesso riferimento, o elemento presentato, e quindi lo stesso contenuto. Questo vuol dire che nel caso di James la sua esperienza veridica di un faggio e la sua esperienza veridica di un olmo avranno lo stesso elemento presentato, o riferimento, e perci hanno lo stesso contenuto. Il che contraddice l'intuizione di cui sopra 37, in base alla quale anche se James distratto, le sue due esperienze vertono una su un faggio e una su un olmo, quindi non possono avere lo stesso contenuto. Questo controesempio pu portare ad affermare che la propriet IND non sufficiente a individuare il contenuto delle esperienze veridiche38. Gli animali pongono problemi analoghi. I cani sono in generale considerati degli esseri senzienti, cio dotati di una loro soggettivit ed in grado di avere esperienze percettive. Inoltre possibile affermare che per un cane l'esperienza visiva, poniamo, di una ciotola colma di acqua ha contenuto diverso da, e quindi diversa da, un'esperienza visiva di un osso di bue. Allo stesso tempo non si ritiene che il
37 Cfr., M.G.F. Martin, The Limits Of Self Awarness, pg. 303. 38 D'altra parte un esempio simile potrebbe essere formulato per i casi di allucinazione. Ma se IND non sufficiente a individuare il contenuto di un'esperienza allucinatoria, allora vuol dire che abbiamo bisogno di ulteriori propriet per caratterizzare a livello intrinseco le allucinazioni. Queste propriet sarebbero propriet fenomeniche peculiari delle allucinazioni, che in base all'argomento di Robinson sarebbero presenti anche nelle percezioni. Il che finirebbe per riproporre in modo pressante il problema della ridondanza.

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cane abbia la capacit di formulare giudizi sul contenuto delle proprie esperienze come adesso sto avendo un'esperienza di un osso piuttosto che adesso sto avendo un'esperienza di una ciotola piena d'acqua. Inoltre si ritiene che questa incapacit nel formulare giudizi sulle proprie esperienze sia conseguenza dell'incapacit del cane di analizzare introspettivamente il contenuto delle proprie esperienze. Ora, se applichiamo il criterio di individuazione dell'elemento presentato di un'esperienza percettiva basato su IND, l'esperienza della ciotola piena di acqua non potr essere per il cane diversa dall'esperienza di un osso di bue. Questo perch il cane manca della capacit di distinguere attraverso un'analisi introspettiva il contenuto delle due esperienze percettive che ho indicato, che quindi dovranno vertere, se verteranno su qualcosa, sul medesimo tipo di oggetto. Se generalizziamo questo esempio arriviamo alla conseguenza inaccettabile che le esperienze del cane hanno tutte lo stesso elemento presentato. Questo se riteniamo che il cane abbia una capacit introspettiva di qualche tipo, ma fallisca sistematicamente nell'esercitarla. In alternativa il cane potrebbe non possedere proprio la capacit dell'introspezione, cio non possedere l'organo preposto all'esercizio dell'introspezione, per cui le esperienze del cane non verterebbero su alcunch, cio non sarebbero dotate di un contenuto. La prima conclusione andrebbe contro l'idea che i cani sono esseri in grado di muoversi con un minimo criterio all'interno di un ambiente, in virt del loro essere capaci di distinguere tra i loro tipi di esperienza39. La seconda negherebbe alle esperienze veridiche dei cani un contenuto, rendendole nel migliore dei casi una mera impressione di vedere. I due esempi mostrati mettono in luce la necessit per il disgiuntivista di specificare meglio il concetto di indistinguibilit. Gli esempi di James e degli animali sono efficaci perch mostrano le lacune di una nozione troppo generica di indistinguibilit. Una nozione troppo generica come quella sinora proposta vulnerabile a controesempi in cui un soggetto non utilizza le sue capacit introspettive, come nel caso di James, oppure semplicemente non
39 Cfr. M.G.F. Martin, On Being Alienated, Pg. 31.

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dotato di capacit introspettive, come nel caso del cane. Il disgiuntivista pu a questo punto replicare che la nozione di indistinguibilit a cui fa riferimento non da collegare a capacit specifiche, o a condizioni contingenti nell'esercizio delle capacit da parte di un soggetto, ma una nozione impersonale. Questa nozione di indistinguibilit viene chiarita da Martin portando l'attenzione sulla differenza tra un'indistinguibilit simpliciter e un'indistinguibilit legata a condizioni contestuali e soggettive. Per esempio, il fatto che io non distingua il colore di un'arancia dal colore di un'altra arancia pu essere legato a due fattori. Ammettiamo che le due arance siano di colori leggermente diversi, poniamo arancione e rosso, e io non abbia le capacit visive indispensabili per distinguere questi due colori tra loro, oppure che la luce che illumina la scena impedisca alla differenza tra le due sfumature di emergere. La mancata percezione della diversit di sfumature sarebbe comunque da ascrivere a fattori non legati alle propriet costitutive delle arance, cio a limiti miei che al contesto in cui ho l'esperienza. Sarebbe diverso se le due arance fossero dello stesso identico colore, poniamo una determinata sfumatura di rosso. In tal caso le due occorrenze della propriet ROSSO pur essendo numericamente distinte, non sarebbero per me distinguibili dal punto di vista fenomenico. L'indistinguibilit delle due occorrenze di rosso sarebbe da ascrivere alle propriet intrinseche delle due arance. E' al secondo tipo di indistinguibilit che il disgiuntivista fa riferimento, cio a un'indistinguibilit fondata su caratteristiche delle entit che risultano indistinguibili, non sulle capacit possedute da un soggetto o sulle condizioni contestuali in cui il soggetto ha un'esperienza percettiva. Nel secondo esempio, se le due sfumature di rosso sono esattamente le stesse, allora neppure un soggetto dotato di una vista fuori dal comune potrebbe

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distinguerle tra loro, cio sapere che non sono lo stesso tipo di sfumatura perch, banalmente, sono proprio lo stesso tipo di sfumatura di rosso. A questo punto occorre definire questo diverso tipo di indistinguibilit, l'indistinguibilit impersonale [impersonal

indistinguishability], separandola dall'indistinguibilit legata a condizioni soggettive o contestuali. Riporto qui la precedente definizione di indistinguibilit a livello introspettivo di un evento x da un'esperienza veridica:

IND = ~K[tramite introspezione] ~(x V)

Per definire l'indistinguibilit in senso impersonale occorre escludere che essa sia relativizzabile ai contesti in cui il soggetto esperisce, nonch alle condizioni del soggetto. Per questo occorrer affermare che IND vale per qualunque soggetto e per qualunque contesto in cui il soggetto si trovi ad esperire. Possiamo perci affermare che un x gode della propriet IND[impersonale] se e solo se per tutti i soggetti S e per tutti i contesti C, non possibile sapere tramite introspezione che x non appartiene a V. Possiamo definire la propriet IND[impersonale] anche nel seguente modo:

IND[impersonale]x = zySzCy(~K[tramite introspezione] ~(x V))40

Questa nozione di indistinguibilit servir al disgiuntivista per definire intensionalmente la classe E delle esperienze percettive, in modo pi preciso ed esente dai controesempi che abbiamo visto. (x E) sse ( (x un'esperienza) & zySzCy(~K[tramite introspezione] ~(x V))

40 Il simbolo ha la funzione di quantificatore universale.

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Il disgiuntivista pu cos affermare che nei controesempi citati viene usata una nozione di indistinguibilit relativizzata ai contesti e alle capacit dei soggetti, che non la nozione di indistinguibilit da lui sfruttata. Egli sosterr perci che il ruolo di IND[impersonale] nel definire la classe E non viene minacciato dai due casi che sono stati proposti. Vi sono per altre obiezioni all'utilizzo della propriet dell'indistinguibilit nella maniera sostenuta dal disgiuntivista. Ne discuter due nel prossimo paragrafo.

13 VEDERE E IMMAGINARE Le due obiezioni che esporr in questo paragrafo sono state avanzate da A.D. Smith. La prima di esse afferma che individuare il carattere intrinseco delle esperienze allucinatorie esclusivamente attraverso una condizione epistemologica significa negare loro una fenomenologia. La condizione epistemologica proposta da Martin per definire un'esperienza allucinatoria x l'impossibilit per qualunque soggetto in qualunque contesto di utilizzare la facolt dell'introspezione in modo da distinguere x da un'esperienza veridica corrispondente. Questa propriet l'unica propriet di cui godono le esperienze allucinatorie, secondo Martin. La facolt dell'introspezione pu essere definita a grandi linee come la capacit da parte di un soggetto di avere stati mentali il cui contenuto verte su altri stati mentali. Intuitivamente, cos come la mia capacit di distinguere uno stato mentale a da uno stato mentale b legata a come a e b mi appaiono nell'introspezione, anche la mia incapacit di distinguere a da uno stato mentale c legata a come a e c mi appaiono nell'introspezione. Cio la mia capacit, cos come la mia incapacit, di individuare uno stato mentale come di un certo tipo, tramite l'introspezione, deve essere basata su un'apparenza che mi presenta in un certo modo lo stato su cui l'introspezione verte. Il problema che la condizione usata da Martin per definire le allucinazioni cita solo l'incapacit da parte del soggetto di distinguere la propria esperienza da un'esperienza veridica, ed escludendo condizioni ulteriori sembra escludere che

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quell'incapacit sia vincolata a un certo modo in cui l'esperienza appare. Se a e c sono allucinazioni, allora la mia incapacit di distinguerle tra loro deve essere fondata sul modo in cui esse mi appaiono, ma l'apparenza di a e c un'ulteriore propriet che si aggiunge alla propriet dell'indistinguibilit da un'esperienza veridica. Analogamente un diverso modo di apparire a un'analisi introspettiva sembra essere il criterio per distinguere due allucinazioni diverse. Ma il disgiuntivista non pu ammettere un'apparenza che costituisca il carattere intrinseco delle allucinazioni insieme alla propriet IND, perch questo riproporrebbe il problema della ridondanza. D'altra parte, il disgiuntivista arriva cos ad affermare che l'unica caratteristica che definisce la mia esperienza allucinatoria di una mela rossa il mio non essere in grado di distinguerla dall'esperienza veridica di una mela rossa. Ma se la mia allucinazione della mela rossa non ha la propriet di apparire in un certo modo non si capisce su cosa sia fondata l'incapacit a livello impersonale di distinguerla dall'esperienza veridica. Inoltre, e qui sta il punto centrale della critica di Smith, negare un'apparenza che sia intrinseca alle allucinazioni e che fondi la la loro indistinguibilit da esperienze veridiche corrispondenti, significa negare alle allucinazioni una loro fenomenologia. L'errore del disgiuntivista secondo Smith da ascrivere al fatto che IND una condizione epistemologica, e in quanto tale non basta da sola a costituire il carattere intrinseco di un insieme di propriet fenomeniche, e nemmeno di una singola propriet fenomenica. Prendiamo il caso della propriet, intesa come propriet oggettuale, ROSSO, e della sua occorrenza rosso. Secondo il disgiuntivista, nel caso di un'esperienza veridica l'occorrenza di una propriet fenomenica R, che verta su un'occorrenza di ROSSO, costituita da due propriet: la presentazione dell'occorrenza rosso, e l'essere indistinguibile a livello impersonale da un'esperienza veridica di rosso. Quest'ultima propriet, come ho spiegato in precedenza, un determinabile la cui determinazione pu essere vincolata o meno alla

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presenza effettiva di un oggetto o propriet concreti. Per il disgiuntivista nel caso dell'esperienza veridica del colore rosso vi un vincolo di necessit (in entrambe le direzioni) tra la presentazione di rosso, e la propriet dell'indistinguibilit dell'esperienza da un'esperienza veridica di rosso. Nel caso dell'allucinazione di un'occorrenza di ROSSO, che conta anch'essa come esperienza percettiva di rosso, la propriet dell'indistinguibilit impersonale compare isolatamente, ed sufficiente a rendere conto del sembrare al soggetto di avere di fronte a s una sfumatura di rosso. Ora, secondo Smith, ammettere che le allucinazioni possano essere spiegate cos equivale ad accettare una sorta di zombie filosofico, cio un'esperienza percettiva di rosso priva della propriet fenomenica R, cio di quella propriet che ha la funzione di presentare a un soggetto la propriet ROSSO. Questo discorso generalizzabile per qualunque propriet fenomenica P. Questo perch una propriet epistemologica non pu essere considerata sufficiente a rendere conto della fenomenologia di un'esperienza per nessuna delle propriet fenomeniche che la costituiscono. Anche ammettendo che nel caso delle esperienze veridiche la presentazione attuale e trasparente dell'oggetto, unitamente alla propriet dell'indistinguibilit impersonale, assolva bene al compito di spiegare la fenomenologia dell'esperienza, il caso delle allucinazioni sembra richiedere qualcosa di pi rispetto a quanto afferma il disgiuntivista. In buona sostanza Smith afferma che se riduciamo le propriet fenomeniche dell'esperienza, nel caso delle allucinazioni, a propriet epistemologiche, negando al contempo che esse godano di qualunque altra propriet, finiamo per negare loro una fenomenologia. Questa fenomenologia garantita solo da propriet che si aggiungano a quelle epistemologiche. Secondo Smith, queste propriet aggiuntive sono propriet rappresentazionali. Veniamo ora alla seconda obiezione avanzata da Smith.

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Se il disgiuntivista si ostinasse, respingendo quanto detto sopra, a ritenere la propriet IND[impersonale] l'unica propriet che specifica il carattere intrinseco delle esperienze allucinatorie, finirebbe con l'includere nella classe E anche esperienze che, secondo Smith, non sono esperienze percettive. IND[impersonale], cio la propriet dell'indistinguibilit impersonale, secondo Martin non solo l'unica propriet di cui gode il carattere intrinseco delle allucinazioni, ma deve, visto che le allucinazioni sono esperienze percettive, essere condizione sufficiente a classificare un'esperienza come esperienza percettiva. I casi problematici a cui allude Smith vengono da lui chiamati pessimi esempi [very bad cases], perch pur avendo tra le proprie caratteristiche quella di essere indistinguibili da esperienze veridiche, non sono semplicemente dei cattivi esempi [bad cases], cio allucinazioni o illusioni, e nemmeno dei casi di esperienza veridica o buoni esempi [good cases], perci non sono casi di esperienza percettiva. Poniamo che mi sembri di percepire un velocissimo flash di luce rosa negli occhi, un flash talmente rapido da non essere sicuro che ci sia stato veramente. In questo caso, secondo Smith, potrei aver avuto l'esperienza veridica di un flash di luce rosa, oppure una velocissima allucinazione, oppure avere semplicemente pensato di vedere un velocissimo flash di luce rosa. Questo caso potrebbe accadere se involontariamente io avessi immaginato un simile flash, e poi avessi confuso questa mia visualizzazione mentale con l'esperienza veridica di un flash rosa. Un caso come questo conterebbe come caso di immaginazione, per quanto involontaria, e quindi non potrebbe essere classificato come esperienza percettiva 41. D'altra parte possiamo affermare che il carattere intrinseco di un'esperienza di questo genere indistinguibile dall'esperienza veridica di un flash rosa. Ma se cos allora abbiamo un caso di immaginazione che conta come esperienza percettiva, in base alla definizione intensionale data da Martin di esperienza percettiva, ma, secondo Smith, l'esperienza del mio immaginare di avere un flash rosa davanti agli occhi non pu essere descritta come esperienza percettiva.
41 Cfr., A.D. Smith, Disjunctivism and Discriminability, pp. 184-186.

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Anche se casi di autoinganno del genere appena descritto non avessero mai luogo, continua Smith, ci non toglie che la sola concepibilit di casi di immaginazione che godano della propriet IND possa essere problematica per il disgiuntivista. Questa concepibilit non pu essere messa in discussione, secondo Smith, di conseguenza la definizione intensionale di E data dal disgiuntivista non pu essere considerata soddisfacente, perch include casi che andrebbero intuitivamente esclusi. Inoltre, secondo Smith sono concepibili e dunque possibili casi di sogno o di ipnosi nei quali il soggetto sta semplicemente visualizzando qualcosa, ma egli scambia questa visualizzazione, del tutto involontaria, per un'esperienza veridica. Ancora una volta avremmo casi di esperienze non percettive che in base alla classificazione proposta dal disgiuntivista cadrebbero erroneamente all'interno della classe E. Il disgiuntivista potrebbe a questo punto replicare che nei casi appena descritti di pessimi esempi le capacit del soggetto coinvolto nell'esperienza sono rilevanti, per cui non si pu trattare di indistinguibilit a livello impersonale. Nell'esempio del flash rosa, la mia incapacit di individuare le caratteristiche di esperienze di durata molto breve, responsabile del mio non riuscire a distinguere il semplice pensare di avere per un attimo un flash rosa davanti agli occhi, dall'avere effettivamente un flash rosa davanti agli occhi. Un soggetto dotato di capacit introspettive fuori dalla norma potrebbe, in linea teorica, identificare quell'esperienza nella maniera corretta, senza confonderla con un caso di esperienza veridica. Questo per risponderebbe solo alla seconda obiezione di Smith. La prima obiezione di Smith ha messo in luce la forte intuizione che la propriet IND, intesa in modo impersonale o meno, lasci fuori la fenomenologia delle esperienze allucinatorie. Inoltre se confrontiamo il caso di due esperienze indistinguibili a livello impersonale, col caso di oggetti concreti tra loro indistinguibili, l'intuizione che il disgiuntivista abbia lasciato fuori qualcosa di importante nella sua definizione di allucinazione diventa ancora pi forte.

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Nel precedente paragrafo ho introdotto la nozione di indistinguibilit impersonale avvalendomi di un esempio tratto dai casi di esperienza veridica. Nelle esperienze veridiche sono presentati al soggetto oggetti e propriet di oggetti. Il problema che dire che due oggetti non sono distinguibili l'uno dall'altro, e che la loro indistinguibilit non determinata n dal contesto in cui l'oggetto inserito n da limiti nelle capacita del soggetto, porta alla conclusione intuitiva che i due oggetti condividono delle propriet che fanno s che appaiano nel modo in cui appaiono. Se ammettiamo che due esperienze siano indistinguibili introspettivamente, e a livello impersonale, tra loro allo stesso modo in cui due oggetti sono impersonalmente indistinguibili nelle esperienze veridiche, allora le due esperienze devono condividere delle propriet positive che determinano il modo in cui appaiono. Queste propriet devono perci, essendo positive, essere distinte dalla propriet negativa, posseduta da un'esperienza percettiva, del non essere distinguibile a livello impersonale da un'esperienza veridica corrispondente. Ora, se il possesso della propriet IND intesa in senso impersonale implica il possesso di propriet positive distinte da IND, allora delle propriet positive distinte da IND devono essere possedute anche dalle allucinazioni indistinguibili da esperienze veridiche corrispondenti. Ma questo va contro la definizione di allucinazione fornita dal disgiuntivista. Questa obiezione mette in luce il fatto che il disgiuntivista deve individuare una qualche differenza tra il tipo di accesso che un soggetto ha all'elemento presentato nel caso delle esperienze veridiche, e il tipo di accesso all'elemento presentato nel caso dell'introspezione. Elemento presentato che nell'ultimo caso non un oggetto o propriet del mondo fisico, ma un evento mentale, nella fattispecie un'esperienza percettiva.

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14 LA RISPOSTA DI MARTIN Martin espone la sua replica alle argomentazioni di Smith nel saggio On Being Alienated, a cui ho gi fatto riferimento per introdurre la nozione di indiscriminabilit impersonale. La sua prima osservazione concerne il modello di atto introspettivo che Smith presuppone. In base a questo modello la fenomenologia dell'esperienza e l'atto introspettivo che verte su di essa vanno rigorosamente distinti. Il senso in cui vanno distinti, secondo questo modello, il seguente42. E' possibile avere esperienze percettive, quindi trovarsi in uno stato mentale dotato di una fenomenologia tale per cui al soggetto sembri che oggetti esterni a lui gli appaiano in una certa maniera, anche in assenza di uno stato mentale che verta sull'esperienza percettiva. E' possibile cio avere un'esperienza percettiva anche in assenza di un atto introspettivo che verta su di essa, e pi in generale anche in assenza di qualunque capacit introspettiva. In altre parole la fenomenologia delle esperienze percettive indipendente dall'esercizio dell'introspezione. Cio la fenomenologia della mia esperienza percettiva di, poniamo, un tavolo, non condizione sufficiente all'occorrenza di un atto di consapevolezza che verta sulla mia esperienza del tavolo. La fenomenologia dell'esperienza sar per condizione necessaria all'occorrenza di atti introspettivi che vertano sull'esperienza stessa. Questo vuol dire che se io compio un atto introspettivo sulla mia esperienza, allora deve esservi una fenomenologia dell'esperienza su cui il mio atto introspettivo verte. Se tale fenomenologia mancasse, e ci ostinassimo ad affermare che un atto introspettivo ha luogo ugualmente, avremmo indicato uno stato del soggetto che non sarebbe per lui la consapevolezza di una sua esperienza percettiva, ma al massimo l'assenza di un'esperienza percettiva in assenza della consapevolezza di questo fatto. Il disgiuntivista afferma che i casi di allucinazione sono casi in cui l'unica propriet di cui gode il carattere intrinseco dell'esperienza la non possibilit, per il soggetto, di sapere
42 Cfr. M.G.F. Martin, On Being Alienated, pgg. 20-27.

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attraverso l'introspezione che la sua esperienza non un'esperienza veridica particolare. Il disgiuntivista cos sembra privare le allucinazioni di una loro fenomenologia. Ma negare alle allucinazioni una loro fenomenologia significa negare ad esse sia un contenuto sia eventuali caratteristiche qualitative (cio dei qualia43). Il che equivale a negare che il soggetto stia avendo un'esperienza percettiva, anche se il soggetto non consapevole di questo fatto. Inoltre, intendere le capacit introspettive in senso impersonale porta inevitabilmente a concludere che tra i due eventi indistinguibili vi sia un'apparenza in comune, che conta come propriet positiva dei due eventi stessi. Perci il disgiuntivista sembra costretto o a negare che le allucinazioni sono esperienze percettive, tesi alquanto implausibile, o a ritrattare l'idea secondo cui le allucinazioni non possono godere di alcuna propriet a livello intrinseco a parte una propriet negativa di tipo epistemologico. Martin risponde a questo punto che vi sono tutti i motivi per ritenere che il resoconto presupposto da Smith, per quanto riguarda la facolt dell'introspezione, non sia affatto adeguato. Un resoconto alternativo pu evitare al disgiuntivista i problemi appena posti, mentre il resoconto presupposto dalla critica di Smith va a sua volta incontro a un serio problema. Dir anzitutto di quale problema si tratta, e poi concluder esponendo il resoconto alternativo proposto da Martin. Anzitutto Smith, e in generale i teorici di CKA44, ritengono, secondo Martin, che l'atto introspettivo che verte su uno stato mentale non vada identificato con quello stesso stato mentale. In questo Martin coglie un'analogia rispetto a quanto avviene nel caso delle esperienze veridiche, dove l'accesso all'oggetto percepito, cio l'esperienza che verte su di
43 Anche i qualia, per le teorie sull'esperienza percettiva che li accettano, sono una modalit in cui qualcosa mi appare nel momento in cui ho un'esperienza, cio una componente della sua fenomenologia. Se neghiamo una fenomenologia a un dato evento, neghiamo anche che vi siano dei qualia presentati in quell'evento. 44 Ricordo che la sigla CKA sta per Common Kind Argument, in italiano tesi del massimo comune denominatore.

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esso, va tenuto distinto dall'oggetto percepito. Estendendo questa intuizione al caso dell'introspezione, il teorico CKA finisce col ritenere che anche nei casi di esperienze che vertano su esperienze, e non su oggetti, ci su cui verte l'esperienza vada tenuto distinto dall'accesso che il soggetto ha rispetto all'esperienza stessa. Cio il teorico di CKA ritiene che lo stato mentale che l'elemento presentato nell'introspezione vada distinto dall'introspezione stessa. Oltre a questo i sostenitori della tesi del massimo comune denominatore ritengono che nell'ambito dell'introspezione non vi sia differenza tra il modo in cui le cose appaiono ad un soggetto e il modo in cui esse effettivamente sono. Cio se, poniamo, attraverso l'introspezione mi sembra di avere un'esperienza che pu essere classificata come esperienza di una mela rossa, allora sto effettivamente avendo un'esperienza di una mela rossa. Questo fatto varr indipendentemente dal trovarmi in una situazione in cui sia stato un neurochirurgo a indurre in me questo tipo di esperienza, e non la presenza effettiva di una mela rossa di fronte a me. Un ipotetico scienziato malvagio potrebbe ingannarmi riguardo al tipo di oggetto che avrei di fronte, che non sarebbe in quel caso una mela rossa, ma, poniamo, un limone, ma non riguardo al fatto di stare avendo un'esperienza il cui contenuto verte su una mela rossa. Ora, argomenta Martin, se intendiamo l'evento mentale su cui verte l'introspezione come distinto dall'atto introspettivo stesso, vi sono alcuni vincoli che necessariamente si impongono, nel momento in cui accettiamo l'analogia con l'accesso che abbiamo agli oggetti fisici tramite i sensi. Quando ho un'esperienza veridica di una mela rossa vi una piena corrispondenza tra il modo in cui la mela mi sembra che sia, e il modo in cui la mela effettivamente. Il fatto che questi due modi corrispondano legato al fatto che tutte le condizioni necessarie affinch quell'esperienza veridica abbia luogo sono soddisfatte. Queste condizioni saranno, ad esempio, il fatto che l'ambiente sia illuminato, il fatto che il vaso sia la causa distale dell'esperienza che ne ho, il fatto che i miei organi di senso funzionino

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correttamente, e non traducano lo stimolo prossimale nell'esperienza di qualcosa d'altro rispetto alla mela. Le condizioni saranno molte altre ancora, ci che conta che esse definiranno la situazione S, che comprende condizioni sia del soggetto, sia del contesto, sia dell'oggetto, la cui occorrenza sufficiente a determinare l'occorrenza dell'evento che l'esperienza veridica della mela rossa. Secondo Martin questa situazione deve essere intesa come il corretto funzionamento di un meccanismo che comprende la relazione tra l'oggetto, il soggetto con i suoi organi di senso, e il contesto in cui il soggetto e l'oggetto sono inseriti. Ritenere che l'introspezione sia, analogamente al caso delle esperienze veridiche, un caso di accesso a un evento distinto dallo stato mentale che verte sull'evento stesso, implica, secondo Martin, presupporre l'esistenza di un meccanismo dell'introspezione e quindi la definizione di condizioni ottimali all'esercizio di questa facolt45. Facolt che andrebbe intesa come localizzata in un organo dell'introspezione che ha la funzione di monitorare gli stati mentali di un soggetto. Se un soggetto si trova in uno stato mentale, e se questo organo funziona correttamente, perch strutturato nella maniera adeguata e il contesto in cui inserito il soggetto lo permette, allora il modo in cui lo stato mentale appare rispecchia correttamente il modo in cui esso . D'altra parte se esistono condizioni ottimali per l'esercizio della facolt dell'introspezione, esiste la possibilit, quantomeno logica, che tali condizioni non si verifichino, e che l'organo dell'introspezione fallisca nel suo compito. Il teorico del massimo comune denominatore presuppone per che nel caso dell'introspezione non vi sia mai la possibilit di distinguere tra il modo in cui l'evento su cui verte l'introspezione appare, e il modo in cui tale evento . A questo punto, fa notare Martin, l'unica maniera in cui il teorico di CKA pu affermare ci, presupponendo che il meccanismo dell'introspezione funzioni sempre correttamente. Questo presuppone l'infallibilit della
45 Ivi, pg. 36.

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facolt dell'introspezione nell'identificare correttamente il carattere intrinseco, cio la fenomenologia, di un'esperienza percettiva. In questo modo il teorico di CKA riesce a negare che esista la possibilit pratica che un atto di introspezione fornisca un resoconto non veritiero delle propriet dell'evento mentale su cui esso verte. D'altra parte se distinguere tra evento mentale e atto introspettivo che verte su di esso comporta presupporre l'esistenza di un meccanismo dell'introspezione, sappiamo che in generale per qualunque meccanismo, anche se in concreto non accade mai che esso fallisca nel suo compito, pu essere concepito un caso possibile in cui esso funziona in una maniera scorretta. A tale proposito propongo un esempio di come la mia facolt introspettiva potrebbe cadere in errore. Supponiamo che io in questo momento stia avendo un'esperienza percettiva che verte su delle righe scritte su un foglio e delle mani che lo sorreggono. A questo punto potrei utilizzare la mia capacit introspettiva per identificare la fenomenologia dell'esperienza. Se tale fenomenologia distinta dal mio atto introspettivo non affatto assurdo concepire una situazione possibile in cui io e la mia esperienza percettiva siamo inseriti, e tale da impedire un corretto accesso tramite introspezione all'esperienza stessa. Immaginiamo ad esempio un contesto in cui uno scienziato malvagio abbia modificato il mio cervello nella maniera seguente. Immaginiamo che nel momento in cui io tento di sfruttare quella parte del cervello preposta all'introspezione per analizzare la mia esperienza, un microchip, inserito nel mio cranio dallo scienziato, intervenga a rimpiazzare la fenomenologia dell'esperienza che voglio monitorare con un'altra fenomenologia, poniamo quella dell'esperienza di un paio di guanti posati sulla scrivania. Questo vuol dire che anche se per me stato possibile avere l'esperienza di un foglio con delle mani che lo sorreggono, non stato altrettanto possibile raggiungere la consapevolezza di questo fatto, perch l'atto introspettivo che me l'avrebbe permesso stato sabotato dal microchip inserito nel mio cranio. Inoltre possiamo anche

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immaginare che il microchip intervenga a sabotare la mia introspezione sia nel momento in cui sto avendo l'esperienza percettiva sia nel momento in cui richiamo alla memoria quell'esperienza, impedendomi di fatto di sapere anche a posteriori che tipo di esperienza ho avuto. Ora, questo esempio, partendo da premesse accettate dal teorico CKA, porta ad accettare la possibilit, almeno teorica, che un soggetto si stia sbagliando nell'identificare la fenomenologia della sua esperienza. Questa una possibilit che il teorico CKA pu difficilmente lasciare aperta, perch mette in dubbio anche la verit dell'intuizione secondo cui le esperienze veridiche possiedono, ad un'analisi introspettiva, la propriet della trasparenza. D'altra parte se nell'introspezione opera un meccanismo simile al meccanismo in opera nelle esperienze percettive, perch mai tale meccanismo nel caso dell'introspezione dovrebbe metterci in una condizione epistemologica migliore? Nell'esempio preso in esame si potrebbe obiettare che io potrei anche accorgermi della discrepanza tra la fenomenologia della mia esperienza e la fenomenologia che l'introspezione rende manifesta, attraverso un meccanismo di monitoraggio di ordine superiore che mi informi dell'anomalia. In questo modo l'esperienza non mi sembrerebbe pi come essa non in realt, perch sarei in grado di capire che la fenomenologia resa a me disponibile dall'introspezione non quella dell'esperienza che volevo analizzare. D'altra parte anche questo meccanismo di monitoraggio pu essere concepito come inserito in situazioni tali da renderlo fallibile, in cui, ancora una volta, io scambierei la fenomenologia della mia esperienza per ci che in realt essa non . Il disgiuntivista, secondo Martin, ha a disposizione un resoconto dell'introspezione che non va incontro a questo problema, cio che non presuppone l'esistenza di meccanismi dell'introspezione infallibili di fatto, ma che a livello teorico sarebbero fallibili. Anzitutto Martin afferma che non ha senso sostenere una dicotomia tra condizioni ottimali e

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non ottimali nell'esercizio della facolt dell'introspezione. Negare che vi siano condizioni ottimali o non ottimali per l'esercizio dell'introspezione significa per Martin negare che vi siano situazioni possibili in cui l'esperienza che un soggetto ha, gli appaia in un modo diverso da come effettivamente. Un'affermazione del genere porta a negare che l'introspezione sia un meccanismo. Da un lato perch qualunque meccanismo che fallisce sistematicamente nel suo compito, pu anche essere concepito come inserito in una situazione possibile in cui darebbe dei risultati corretti. Dall'altro perch qualunque meccanismo che sistematicamente d risultati corretti, pu essere anche concepito come inserito all'interno di una situazione possibile che lo porta a funzionare non correttamente. Cio la nozione di meccanismo esclude la nozione di un meccanismo assolutamente infallibile, cio infallibile in qualunque mondo possibile. In generale possibile affermare la nozione di meccanismo implica la distinzione tra condizioni ottimali e non ottimali per il suo funzionamento. Perci se neghiamo che per l'introspezione valga una distinzione tra condizioni ottimali e non ottimali per il suo esercizio, allora stiamo negando che l'introspezione sia un meccanismo. Ma il fatto che l'introspezione sia un meccanismo segue, secondo Martin, e come ho spiegato all'inizio del paragrafo, dalla distinzione tra atto introspettivo e fenomenologia dell'esperienza percettiva; distinzione supportata dall'analogia con i casi di esperienza veridica. Negare il carattere di meccanismo dell'introspezione viene quindi utilizzato da Martin per negare la distinzione tra atto introspettivo ed esperienza percettiva stessa, cio tra l'esperienza percettiva e la consapevolezza che ne abbiamo. Questo pur continuando ad affermare la distinzione tra il giudizio che verte sull'esperienza e l'esperienza stessa. Martin, alla luce di queste osservazioni, conclude che la facolt dell'introspezione gi posseduta dal soggetto nel momento in cui il soggetto capace di esperire. Secondo Martin l'avere un'esperienza percettiva si identifica con l'assumere un punto di vista sul mondo, e questo a sua volta si identifica con una forma primaria di consapevolezza di quel punto di

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vista, che per lui una forma primaria di introspezione. Esiste poi una forma di consapevolezza di ordine superiore dei nostri stati mentali, che entra in campo nel momento in cui un soggetto capace di formulare giudizi sui propri stati mentali. Ma questa capacit, che una capacit di tipo cognitivo, e che non abbiamo in comune con gli animali, non va confusa con un'altra capacit pi primitiva ma basilare, cio con la capacit di assumere una prospettiva sul mondo, che non altro che l'essere degli individui capaci di avere esperienze percettive, ed tutt'uno con la consapevolezza di incarnare tale prospettiva. Questa consapevolezza non ha bisogno di altro, per essere descritta, se non della propriet IND[impersonale], o dell'indistinguibilit impersonale. La propriet IND[impersonale], identificandosi con la prospettiva del soggetto sul mondo, non altro che il sembrare a lui che qualcosa di esterno gli appaia in una certa maniera. Identificandosi con questo sembrare, IND [impersonale] rende conto di ci che a livello fenomenologico comune a esperienze veridiche e allucinazioni. Questa componente fenomenologica l'esperienza del non essere consapevoli della distinzione della propria esperienza da una determinata esperienza veridica. Questo tipo di esperienza ha luogo banalmente nel caso di un'esperienza veridica, perch l'esperienza veridica anche l'esperienza del non sapere che la propria esperienza non un'esperienza veridica, per il fatto ovvio che essa un'esperienza veridica. E tale esperienza di inconsapevolezza varr a livello impersonale, perch qualunque soggetto si trovi ad avere l'esperienza veridica di una mela rossa, non potr in nessun caso sapere che la propria esperienza non l'esperienza veridica di una mela rossa. Allo stesso tempo il soggetto potr, secondo il disgiuntivista, sapere che davanti a s ha una mela rossa, e che la sua esperienza l'esperienza veridica di una mela rossa. Nel caso di un'allucinazione indistinguibile dall'esperienza veridicca di una mela rossa, la condizione epistemologica di un soggetto invece doppiamente svantaggiosa. In primo luogo il soggetto non sa di non avere di fronte una mela rossa, e per questo motivo in errore

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riguardo a ci che di fronte a lui. In secondo luogo il soggetto non pu sapere, unicamente attraverso l'introspezione, che tipo di esperienza la sua esperienza, perch basandosi unicamente sul carattere intrinseco dell'allucinazione di cui soffre, pu solo arrivare alla conclusione di avere un'esperienza veridica con un contenuto che ha come propria parte costitutiva una mela rossa. Perci, secondo Martin, nel caso delle allucinazioni il soggetto non solo non sa come fatto il mondo, ma nemmeno che tipo di di esperienza sta avendo. Se poi il soggetto dotato anche della capacit di formulare giudizi sul mondo e sulla propria esperienza, e basa il suo giudizio unicamente sulle caratteristiche intrinseche dell'esperienza, egli formuler un giudizio sbagliato sia sul mondo sia sulla propria esperienza. Egli infatti la giudicherebbe un'esperienza trasparente e attuale, cio una vera e propria esperienza veridica, in linea con il realismo ingenuo, e non l'esperienza dell'assenza di consapevolezza del fatto che tale esperienza non un'esperienza veridica. Egli cio la giudicherebbe, sulla base dell'introspezione, un'esperienza costituita unicamente dalla mela rossa davanti a lui e dalla scena in cui la mela appare inserita, e non un'esperienza la cui unica propriet data dal non essere consapevole del fatto che l'esperienza non costituita dalla mela rossa e dalla scena in cui la mela inserita. Questo perch l'unico elemento su cui pu basare il proprio giudizio, trattandosi di un'analisi solo introspettiva, la propria inconsapevolezza che costituisce l'esperienza stessa, e non la consapevolezza di questa inconsapevolezza. Secondo Martin non abbiamo bisogno di nient'altro per spiegare la fenomenologia della mia allucinazione di una mela rossa se non il fatto che non possibile distinguere, per chiunque abbia un'esperienza di questo tipo, il carattere intrinseco di tale esperienza dal carattere intrinseco dell'esperienza veridica di una mela rossa. In base a quanto detto, per il disgiuntivista l'esperienza allucinatoria non l'assenza di esperienza in assenza della consapevolezza di questo fatto, come sostenuto nella critica di Smith. L'identificazione di atto introspettivo e fenomenologia permette di affermare invece

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che l'allucinazione non altro che l'esperienza dell'assenza di consapevolezza del tipo di esperienza che si sta avendo, oltre che di come il mondo realmente fatto. Se un teorico di CKA nega l'identificazione proposta da Martin, il risultato una distinzione tra evento mentale e atto introspettivo, che porta a una condizione epistemologica spiacevole sia nel caso del carattere intrinseco dell'esperienza veridica, che per il teorico di CKA non garantisce da solo una relazione col mondo, sia nel caso dell'introspezione, che non garantisce da sola una relazione conoscitiva con i propri stati mentali a meno di non presupporre un meccanismo infallibile dell'introspezione. Con queste ultime considerazioni ho terminato l'esposizione del disgiuntivismo di Mike Martin. Il prossimo capitolo sar dedicato a una forma pi debole di disgiuntivismo, sostenuta da Paul Snowdon.

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III Il disgiuntivismo di Paul Snowdon

1 UN'ANALISI DEL CONCETTO DI VEDERE Nei due precedenti capitoli ho esposto una versione di disgiuntivismo, sostenuta da Martin, la quale afferma che la teoria migliore per rendere conto delle apparenze che si presentano a un soggetto nei casi di esperienza veridica e nei casi di allucinazione, quella che preserva il realismo ingenuo per quanto riguarda le esperienze veridiche e le illusioni, e al contempo sostiene che la posizione epistemologica del soggetto doppiamente svantaggiosa nei casi di allucinazione. Ho spiegato nel secondo capitolo come quest'ultima affermazione del disgiuntivista viene giustificata da Martin. In questo capitolo spiegher come, anche nell'ipotesi che i controesempi di Smith risultino decisivi nel confronto tra disgiuntivismo e teoria del massimo comune denominatore, il disgiuntivismo pu ridursi a una teoria meno radicale rispetto a quella discussa finora, ma comunque valida. La teoria sostenuta da Paul Snowdon in due saggi, The Objects of Perceptual Experience e Perception, Vision and Causation. Entrambi questi saggi propongono un'analisi concettuale del vedere46 Snowdon impone una limitazione al tipo di dati che possono essere usati per dare una definizione47 del vedere. Pi precisamente esclude nella sua definizione del concetto di vedere vincoli empirici, cio vincoli che derivano da analisi di tipo sperimentale, condotte attraverso gli strumenti di misurazione adottati in ambito scientifico, all'interno di discipline come la fisica, la fisiologia, la neurologia etc. Per esempio, se dati provenienti dalla fisiologia
46 Con il termine vedere intendo qui il vedere genuino, cos come l'ho definito nel secondo capitolo. Uso solo il termine vedere e non vedere genuino per rimanere fedele alla terminologia usata da Snowdon, che usa implicitamente il termine vision sia per le percezioni sia per le illusioni. 47 Cfr., P. Snowdon, Perception, Vision and Causation, pg. 34 e The Objects of Perceptual Experience, pgg. 4950.

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sperimentale dicono che il mio vedere una mela rossa ha come condizione necessaria l'occorrenza di determinate cause prossimali, questo un elemento che non pu rientrare nella definizione di vedere che stiamo cercando, perch la definizione non pu pi dirsi concettuale. Secondo Snowdon, il concetto di vedere deve essere ricavato unicamente da un'analisi delle esperienze visive cos come appaiono a qualunque soggetto,

indipendentemente dalla sua educazione e dal tipo di attivit che svolge. Secondo Snowdon, tale analisi concettuale del vedere coincide con un'analisi del modo in cui le esperienze visive si presentano a un'analisi introspettiva. Questo perch, una volta escluso che tale concetto sia posseduto in modo innato, la sua origine nei soggetti dotati di capacit concettuali va ascritta al modo in cui le esperienze visive appaiono, cio alla loro fenomenologia. Si potrebbe obiettare, a questo punto, che definire questo tipo di analisi come concettuale incoerente da parte di un disgiuntivista. In fondo proprio il disgiuntivista a dire che l'analisi introspettiva delle esperienze veridiche non pu che tradursi in una descrizione degli oggetti concreti che ne sono parte costitutiva e questa descrizione riguarda solo oggetti empirici 48. Quest'analisi, per quanto non di tipo sperimentale, sembra quindi tradursi anche in un'analisi delle propriet di oggetti fisici, e quindi, intuitivamente, in un'analisi di tipo empirico. Sembra quindi che pur parlando di analisi concettuale nel caso del vedere, il disgiuntivista stia in realt nascondendo un'analisi che almeno in parte non pu che essere empirica. Snowdon non risolve esplicitamente questa ambiguit, ma ritengo che dal suo discorso siano ricavabili alcune precisazioni che permettono di superarla. Anche ammettendo che il concetto di vedere venga ricavato dalla fenomenologia delle esperienze visive stesse, il disgiuntivista non pu fare a meno di includere in queste esperienze oggetti e propriet di oggetti. E' quindi inevitabile per il disgiuntivista affermare che il concetto di vedere un concetto empirico. Una volta per che tale concetto si sia
48 Anche nel caso delle illusioni l'analisi introspettiva non potr prescindere, almeno in parte, dalla descrizione delle propriet reali degli oggetti, e quindi anche il concetto di vedere ricavabile dalle illusioni intuitivamente risulta essere un concetto empirico.

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formato in un soggetto, la sua analisi pu concentrarsi unicamente sul concetto di vedere cos acquisito, e non deve avvalersi di esperienze ulteriori. In questo senso avremmo in effetti un'analisi che potr dirsi concettuale, anche se il concetto che stiamo analizzando lo possediamo grazie al fatto di aver avuto delle esperienze del mondo fisico. Ritengo che si possa perci reinterpretare quanto affermato da Snowdon, definendo analisi concettuale un'analisi che non presuppone l'utilizzo di dati empirici a parte quelli che sono stati necessari alla formazione del concetto stesso nel soggetto che lo possiede. Questa definizione di analisi concettuale pu essere accettata anche se i dati provenienti dall'introspezione vengono considerati dati empirici, purch tali dati siano serviti alla formazione del concetto di vedere nel soggetto. L'analisi concettuale che propone Snowdon non un'analisi definibile come analisi a priori, perch il concetto di vedere deve comprendere il riferimento a propriet molto generali che gli oggetti possiedono, per esempio la propriet di apparire ai soggetti secondo modalit che sono vincolate alle loro caratteristiche fisiche. Queste propriet sono per, secondo Snowdon, responsabili della formazione del concetto di vedere nei soggetti. Perci esse possono tranquillamente comparire nell'analisi proposta da Snowdon, che per un'analisi concettuale, ma non a priori.

2 LA TEORIA CAUSALE DELLA VISIONE Snowdon, prima di introdurre la forma di disgiuntivismo da lui sostenuta, espone la definizione di vedere della teoria antagonista. Questa la teoria causale, che per lui un obiettivo polemico. La definizione della teoria causale del vedere, nell'analisi di Snowdon, si compone di due parti, che qui di seguito espongo:

1) una verit concettuale che, necessariamente, se P (un soggetto) vede O (un oggetto) 130

allora O causalmente responsabile di un'esperienza interna E, di P49.

2) non sufficiente, affinch P veda O, che O sia causalmente responsabile di un'esperienza E di P.

Che 2 sia vera, secondo Snowdon un fatto che non pu essere messo in dubbio. A conferma di questo possibile citare dei particolari casi di allucinazione. Per mostrare ci esporr un esempio abbastanza semplice, poi formuler un'obiezione a cui seguir un ulteriore esempio, che confermer 2. Immaginiamo che uno scienziato abbia installato nel mio cervello un microchip attivabile a distanza tramite un pulsante, e tale microchip sia capace di generare in me l'allucinazione di stare vedendo una colonna dorica. Ora, poniamo che lo scienziato si trovi di fronte a me e che io lo veda. Ad un certo punto egli preme il pulsante e io ho l'allucinazione di una colonna dorica. Lo scienziato causa, con la sua azione, la mia esperienza, ma questo fatto non condizione sufficiente a far s che io veda lo scienziato di fronte a me, invece di avere un'allucinazione di una colonna dorica. Si potrebbe obiettare che un oggetto O pu ancora causare un'esperienza E, e che tale causazione condizione sufficiente ad avere un'esperienza veridica di O, se con E intendiamo un'esperienza indistinguibile a livello introspettivo da un'esperienza veridica di O. Rispetto a questa obiezione esistono per altri controesempi. Immaginiamo una scena cos costruita. Sono chiuso in una stanza che ha un'unica finestra. Questa finestra in realt uno schermo ad alta definizione che trasmette l'immagine di una colonna dorica posta fuori dalla finta
49 Presento qui la traduzione della formulazione del primo principio della teoria causale, che fornisce Snowdon. Cfr. P. Snowdon, The Objects of Perceptual Experience, pg. 50.

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finestra. Il caso vuole, per, che dietro alla finestra, fuori dalla stanza, vi sia effettivamente una colonna dorica, del tutto identica a quella che vedo sullo schermo. Inoltre la colonna mostrata nello schermo posta in uno scenario identico a quello fuori dalla mia stanza, bench si trovi in un luogo a migliaia di chilometri di distanza da dove sono io. A tutto questo aggiungiamo un ulteriore particolare, cio che la colonna dorica posta appena fuori dalla mia finestra stata appoggiata su di un pulsante che ha provocato l'accensione dello schermo. La colonna dorica posta a poca distanza dalla mia stanza causalmente responsabile di un'esperienza per me indistinguibile dall'esperienza veridica di una colonna dorica fuori dalla mia finestra. Cionondimeno la colonna dorica che sto percependo non quella fuori dalla mia finestra, ma quella posta a migliaia di chilometri dalla stanza in cui mi trovo. Abbiamo quindi un esempio di un oggetto O che causa in un soggetto S un'esperienza E indistinguibile da un'esperienza veridica di O, dove per E non un'esperienza veridica di O. Questo un'ulteriore esempio a conferma di 2. Alla luce di casi possibili come i due che ho esposto, gran parte del programma di ricerca nel campo delle teorie causali della visione stato riservato alla ricerca di ulteriori condizioni che precisino meglio il tipo di ruolo causale che l'oggetto percepito deve avere nei confronti del soggetto percipiente. Queste ulteriori condizioni, unitamente ai principi 1 e 2, dovrebbero costituire un insieme di condizioni necessarie e sufficienti a individuare un'esperienza visiva che verta su un oggetto O, in presenza dell'oggetto O, come un vedere O. Anche secondo Snowdon 2 vero, ma la verit di 2 non ha necessariamente la conseguenza di dover precisare meglio le condizioni causali che precedono l'atto percettivo. Infatti a venir messa in dubbio pu essere la concezione di stato mentale che viene adottata nel caso del vedere, e non il tipo di connessioni causali che essa comporta. Posto che 2 con ogni probabilit vero, la discussione riguardo alla teoria causale della visione va secondo Snowdon concentrata sulla verit o falsit di 1. Prima di discutere gli

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argomenti possibili contro la premessa 1, bene per esplicitare tutti gli assunti in essa presenti, per considerare quali di questi possono essere negati, e a quale prezzo.

3 ESPLICITAZIONE DELLA PRIMA PREMESSA Ripropongo qui il primo principio della teoria causale della visione:

una verit concettuale che, necessariamente, se P (un soggetto) vede O (un oggetto) allora O causalmente responsabile di un'esperienza interna E, di P.

Secondo Snowdon, questo principio viene solitamente sostenuto tenendo impliciti tre assunti. Il primo che se un soggetto S vede un oggetto O allora O una causa che genera degli effetti su S, cio O ha un ruolo causale nei confronti di S. Questo assunto non dice ancora nulla riguardo al tipo di effetto che O deve avere su S, e si limita ad affermare che un effetto di qualche tipo c'. Questa lacuna riempita dal secondo assunto, il quale afferma che l'effetto prodotto su S da O uno stato E interno ad S, che pu essere descritto come il sembrare a S che O sia di fronte a lui. Questo stato va inteso non come un giudizio formulato da S su ci che ha di fronte, ma come uno stato dotato di una fenomenologia che presenta a S l'oggetto O in un certo modo. Inifine vi il terzo assunto, il quale non altro che l'affermazione secondo cui il primo e il secondo assunto sono verit implicate dal nostro concetto ordinario di vedere. Snowdon dedica i due saggi che ho menzionato alla discussione della possibilit che il terzo assunto sia in realt falso, e che quindi il primo e il secondo assunto, anche nel caso in cui siano veri, non lo siano concettualmente, ma al massimo empiricamente. La tesi di Snowdon essenzialmente negativa, egli afferma cio che non vero che si possa dimostrare tramite

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un'analisi concettuale che i casi di vedere sono come afferma la teoria causale della visione, e anzi questa analisi lascia aperta la possibilit che le cose stiano in modo radicalmente diverso, cio nella maniera descritta dal disgiuntivista. La descrizione fornita da quest'ultimo potrebbe anche essere falsa alla luce di analisi empiriche, ma la sua falsit non potrebbe essere dimostrata a partire dall'analisi del concetto di vedere. D'altra parte, si potrebbe obiettare, il disgiuntivista potrebbe anche aderire al causalismo, e il discorso sul principio del naturalismo dell'esperienza che ho fatto nel primo capitolo mostra questo fatto. Il punto che anche in questo caso il causalismo non potrebbe essere sostenuto sulla base di osservazioni concernenti il concetto di vedere (per ragioni che spiegher meglio nei paragrafi 4 e 6). Qual il tipo di analisi del concetto di vedere che il sostenitore della teoria causale della visione propone per arrivare al principio 1? L'analisi in questione, tiene come punto fermo l'idea che il vedere uno stato interno al soggetto. Stabilito questo, si prendono in esame esperienze possibili il cui contenuto rappresenta correttamente ci che si trova di fronte al soggetto, ma che intuitivamente non contano come casi di vedere50. Sono le cosiddette allucinazioni veridiche. Ecco un esempio51. Immaginiamo che S sia stato rapito da malintenzionati e da questi abbandonato in pieno deserto con un cappuccio legato attorno alla testa. Poniamo inoltre che, a causa delle privazioni legate alla prigionia precedentemente subita, lo sfortunato S abbia un'allucinazione di un'oasi di fronte a lui, mentre ha ancora indosso il cappuccio e quindi nulla della scena di fronte a lui gli pu apparire. In questo caso, S non sta vedendo nulla, ma sta solo avendo

50 In questo discorso mi limito al confronto tra esperienze veridiche e allucinazioni, ma l'esempio fornito in seguito valido anche nel confronto tra illusioni e allucinazioni. Infatti nemmeno un'allucinazione indistinguibile da un'illusione pu contare come caso di vedere, se la scena di fronte al soggetto non causa in alcun modo l'esperienza del soggetto, anche nel caso in cui tale scena identica a un'altra che normalmente darebbe luogo a un'illusione (questo naturalmente se assumiamo che le illusioni contino come casi di vedere). 51 Per introdurre il concetto di allucinazione veridica riporto qui, in una versione che ho leggermente modificato, l'esempio utilizzato da Snowdon, il quale a sua volta lo riprende da David Pears. Cfr. D.F. Pears, The Causal Theory of Perception, in Synthese, pg. 42.

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un'esperienza che probabilmente il riflesso del suo desiderio di trovare un luogo di salvezza. Supponiamo, a questo punto, che i rapitori di S siano stati cos magnanimi da abbandonarlo proprio nei pressi di un'oasi, che si trova di fronte a lui nel momento in cui ha l'allucinazione, e che tale oasi abbia le stesse identiche fattezze dell'oasi rappresentata nell'allucinazione. In questo caso S sta avendo un'allucinazione veridica, cio un'esperienza che rappresenta correttamente ci che si trova davanti al soggetto ma che intuitivamente non pu contare come caso di esperienza veridica. Ora, se assumiamo che lo stato in cui si trova S un suo stato interno, vi la forte intuizione che ci che impedisce all'esperienza di S di contare come caso di vedere, la mancanza di una connessione causale che vada dall'oasi di fronte a S allo stato mentale in cui S si trova. Si tratta di un'inferenza alla miglior spiegazione la cui conclusione , per l'appunto, il principio 1.

4 DUE MODI PER NEGARE IL PRIMO PRINCIPIO DELLA TEORIA CAUSALE Secondo Snowdon esistono due modi plausibili per negare il principio che sto esaminando. Entrambi questi modi si basano sull'ammissione della possibilit che il vedere sia uno stato non interno, e cio un'esperienza che ha come elemento costitutivo oggetti e propriet del mondo fisico. Il vedere inteso in questo modo coincide con ci che il realista ingenuo intende con esperienza percettiva del mondo esterno52. Ora, se si riuscisse a dimostrare che l'esperienza veridica di un oggetto un esempio di vedere che conta come stato non interno, allora il principio 1 non potrebbe essere vero, perch esso afferma che tutti gli stati che contano come vedere devono essere interni al soggetto. A questo punto, un sostenitore della teoria causale potrebbe modificare 1, e accettare l'idea che ci sono esperienze non interne. Ma a quel punto sarebbe difficile per lui utilizzare
52 Cfr. Introduzione, pg. 2.

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esperienze non interne in inferenze alla miglior spiegazione a partire da esempi di allucinazione veridica, come nel caso dell'oasi visto precedentemente. Poniamo che sia vero il realismo ingenuo, e che quindi il vedere un'oasi vada interpretato in senso esternista. Se il realismo ingenuo vero, allora nel caso dell'allucinazione veridica di un'oasi il soggetto sta avendo un'esperienza intrinsecamente diversa dall'esperienza veridica di un'oasi. Il fatto che tale allucinazione sia intrinsecamente diversa dal vedere un'oasi indica gi una condizione necessaria al vedere53 di cui l'allucinazione priva. Diverrebbe pi difficile affermare a quel punto, a partire da un'analisi concettuale, che vi un'ulteriore condizione che l'allucinazione veridica non soddisfa e che responsabile del fatto che essa non un vedere: la mancata connessione causale con la scena di fronte al soggetto. E' chiaro quindi che il sostenitore della teoria causale della visione deve tener ferma l'assunzione che i casi di vedere sono stati interni al soggetto (cio dare un'interpretazione internista di essi), altrimenti la sua teoria perderebbe il supporto dato dagli esempi di allucinazione veridica. Senza il supporto di questi ultimi dovrebbe cercare un sostegno empirico alla sua posizione, il che presupporrebbe ancora la negazione di 1, e la sua sostituzione con un principio che non affermi che la verit della teoria causale una verit concettuale. Un'ulteriore conseguenza di quanto detto che nemmeno un sostenitore del disgiuntivismo, nel caso in cui voglia difendere una propria concezione causale del vedere, potrebbe farlo avvalendosi degli esempi di allucinazione veridica. Ma torniamo ai possibili modi di negare 1, posto che il sostenitore della teoria causale deve intendere E come uno stato interno al soggetto. Come ho gi detto un oppositore di 1 pu scegliere di affermare che E uno stato non interno. Questo vorrebbe dire aderire alla forma di disgiuntivismo che ho esposto nei capitoli precedenti e cio sostenere che una verit che emerge dall'analisi introspettiva dei casi di
53 Condizione che varrebbe anche per le illusioni, visto che la definizione di realismo ingenuo che ho dato implica che anche il carattere intrinseco delle illusioni , per quanto solo in parte, costituito da propriet di oggetti concreti.

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vedere, e quindi una verit concettuale nel senso che ho spiegato nel primo paragrafo, il fatto che le nostre esperienze veridiche comprendono come loro parte costitutiva l'oggetto o propriet su cui vertono. Questo equivarrebbe a negare uno degli assunti impliciti in 1, e quindi a negare 1. Esiste comunque, secondo Snowdon, un secondo modo di negare 1, un modo compatibile con la negazione della forma di disgiuntivismo esposta finora. In particolare nel primo capitolo, ho spiegato come Martin chiami a sostegno della propria tesi alcune intuizioni per lui ovvie sul carattere intrinseco delle esperienze veridiche. Queste intuizioni concernono la fenomenologia di ci che per lui conta come vedere 54 e quindi determinano il concetto empirico di vedere. Ora, secondo Snowdon possibile negare che l'introspezione permetta di stabilire se le nostre esperienze veridiche sono stati interni oppure stati non interni. Accettare questo comporta la negazione di 1, perch a sostegno di 1 non vi potrebbe essere alcuna analisi concettuale, essendo il concetto di vedere, secondo Snowdon, ricavato dall'introspezione. Allo stesso tempo la tesi di Snowdon comporterebbe anche la negazione del disgiuntivismo sostenuto da Martin, perch negherebbe qualunque supporto introspettivo, e quindi anche concettuale, all'idea che che le nostre esperienze veridiche sono costituite dagli oggetti percepiti. Questo perch, come ho spiegato nel primo capitolo, Martin ritiene che la verit del realismo ingenuo, che una tesi esternista, sia ricavabile dall'introspezione. Questo ancora non equivarrebbe alla negazione del realismo ingenuo, che non ho presentato nell'introduzione come una tesi necessariamente derivata dall'introspezione, ma a una sospensione del giudizio sia sulla verit del realismo ingenuo sia sulla verit dell'affermazione secondo cui le esperienze che si hanno nei casi di vedere sono stati interni ai soggetti.
54 Nel caso di Martin solo le esperienze veridiche, perch Martin un disgiuntivista di tipo V v IH (vedi cap. 2, 5).

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5 VEDERE vs MERO SEMBRARE DI VEDERE Come ho gi detto, i casi di allucinazione veridica sono utilizzati dal sostenitore della teoria causale per dimostrare che se un soggetto P vede un oggetto O allora O causalmente responsabile di un'esperienza E interna a P. Dagli esempi che Snowdon fornisce, ritengo sia ricavabile la seguente definizione di allucinazione veridica:

Allucinazione Veridicadef = esperienza interna a un soggetto, ottenuta esclusivamente attraverso l'attivazione delle aree del cervello preposte alla visione, nella quale il contenuto dell'esperienza stessa soddisfatto dalla scena di fronte al soggetto, e in cui la scena di fronte al soggetto non ha alcun ruolo di tipo causale nei suoi confronti.

Vediamo ora in forma normale come il sostenitore della teoria causale arriva alla conclusione che l'assunto 1 della teoria causale della visione vero.

1. E' una verit concettuale che se un soggetto P vede un oggetto O allora vi nel soggetto S l'occorrenza di un'esperienza interna E. Premessa

2. Sono concettualmente possibili casi di un'allucinazione veridica, cio di esperienze percettive che intuitivamente non possono contare come vedere, pur essendo dotate di un contenuto che corrisponde alla scena di fronte al soggetto. Premessa

3. Nei casi di allucinazione veridica, nel soggetto S occorre uno stato mentale interno, dello stesso tipo presente nel caso del vedere, e che chiameremo perci anch'esso E. Premessa

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4. Nei casi di allucinazione veridica, manca una connessione causale che vada dalla scena di fronte al soggetto, allo stato E interno al soggetto. Premessa

5. Una connessione causale che vada dalla scena di fronte a S, a S stesso condizione necessaria Da 1, 2, 3, 4 all'occorrenza di un'esperienza che conti come vedere in S.

6. E' una verit concettuale che se un soggetto S vede un oggetto O allora O causalmente responsabile per dell'occorrenza di un'esperienza E interna ad S 55. Da 5

L'argomento non di per s valido, perch 5 non segue necessariamente da 1, 2, 3, 4, anche se accettiamo l'assunto che l'esperienza E causata in P da O un'esperienza interna. L'unico modo di accettare l'argomento perci considerandolo un'inferenza alla miglior spiegazione. Nel caso di 5 si potrebbe, in alternativa, ipotizzare che vi siano delle condizioni non causali che l'allucinazione veridica non soddisfa e fanno s che questa non possa essere un vedere. Snowdon esclude questa possibilit56. In primo luogo, sappiamo che vi sono due condizioni basilari che devono essere soddisfatte, affinch un'esperienza conti come vedere. La prima che vi sia un oggetto di fronte al soggetto, mentre la seconda che vi sia una corrispondenza tra la scena di fronte al soggetto e il contenuto dell'esperienza. Abbiamo visto che i casi di allucinazione veridica portano a escludere che queste due condizioni siano sufficienti. Ammettiamo inoltre che le premesse 1, 2, 3, 4 dell'argomento che ho esposto in forma
55 Nella nota 43 ho spiegato che con il termine vedere bisogna intendere qui sia il caso delle esperienze veridiche sia il caos delle illusioni. L'argomento che ho presentato pu essere considerato generalizzabile anche alle illusioni perch esse comportano comunque un contatto cognitivo con almeno alcune propriet di oggetti. Per cui anche nel caso delle illusioni, se l'argomento viene accettato, vi sar una connessione causale tra la scena e lo stato interno al soggetto. 56 Cfr., P. Snowdon, Perception, Vision and Causation, cit., pg. 40.

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normale siano vere. Se escludiamo, all'interno di un'analisi concettuale, che vi siano condizioni causali necessarie all'occorrenza del vedere, occorrer individuare altre condizioni del vedere che l'allucinazione veridica non soddisfa. Tali condizioni non possono essere la corrispondenza tra la scena di fronte al soggetto e il contenuto dell'esperienza, n la presenza di oggetti di fronte al soggetto57. Dovranno plausibilmente essere condizioni specifiche alla scena di volta in volta presente di fronte al soggetto. Il problema che le scene di fronte al soggetto possono essere molto diverse tra loro, per cui qualunque condizione non causale relativa a una scena potrebbe non valere in un'altra scena. Il risultato sarebbe che non potremmo avere una condizione che sia davvero generalizzabile a tutti i casi di vedere e finiremmo per restringere indebitamente il concetto di vedere. Se teniamo ferme le altre premesse dell'argomento, il passaggio da 4 a 5 sembra perci l'unico plausibile, anche se tale passaggio non necessario dal punto di vista strettamente inferenziale. L'alternativa proposta da Snowdon, come dovrebbe gi essere chiaro dai precedenti paragrafi, la messa in dubbio della premessa 1 dell'argomento che ho proposto in forma normale, e cio negare che per il vedere vero che:

(a) (P vede un oggetto O) (vi un'esperienza interna E che P ha)

Secondo Snowdon quest'ultima affermazione tutta da dimostrare 58. E anzi, l'analisi del concetto di vedere non pu portare a escludere la verit della seguente affermazione, che nega (a):

57 Perch i casi di allucinazione veridica, da definizione, soddisfano gi quelle condizioni. 58 Cfr., P. Snowdon, The Objects of Perceptual Experience, cit., pg. 54.

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(b) (P vede un oggetto O) (vi un'esperienza non interna E che P ha)

Una replica iniziale a quest'argomento pu essere che non si pu negare che nel caso delle allucinazioni veridiche il soggetto P stia avendo un'esperienza percettiva che non pu comprendere nulla di esterno a lui; quindi se tale esperienza ha delle caratteristiche intrinseche, e vi ogni ragione per affermarlo, saranno caratteristiche interne al soggetto P. A partire da questo si potrebbe essere tentati di affermare che anche il caso di vedere indistinguibile da una certa allucinazione, un'esperienza interna al soggetto P. D'altra parte, per quanto Snowdon sia d'accordo nell'affermare che nei casi di allucinazione veridica l'esperienza che il soggetto ha un'esperienza interna, egli fa notare che questo non permette ancora di inferire che nei casi di vedere l'esperienza E sia interna al soggetto P, piuttosto che non interna. D'altra parte, per tentare di arrivare alla sua conclusione il sostenitore della teoria causale potrebbe appellarsi a un resoconto del modo in cui le persone parlano delle proprie esperienze. Egli potrebbe affermare che sia nel caso dell'allucinazione veridica di un'oasi sia nel caso del vedere un'oasi, vera la seguente proposizione: a P sembra che ci sia un'oasi davanti a lui. Il passo successivo sarebbe poi sostenere che, visto che questa proposizione vera in entrambi i casi di esperienza, allora deve essere resa vera dagli stessi tipi di occorrenze. Perci, se si accetta l'idea che nei casi di allucinazione l'esperienza E interna al soggetto P, allora l'esperienza E non pu essere di un tipo differente nel caso del vedere, e deve essere un evento interno a P. Questa replica viene respinta da Snowdon, per il semplice fatto che non vero che se una proposizione del tipo a P sembra che ci sia un F vera sia per le allucinazioni sia per i casi di vedere, allora resa vera esattamente dallo stesso tipo di occorrenze. Nulla impedisce di fornire un resoconto del significato dell'espressione linguistica a P sembra che ci sia un'oasi

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di fronte a lui che sia di tipo disgiuntivo. La formulazione da parte di Snowdon di questo resoconto disgiuntivo, la seguente:

(a P sembra che ci un'oasi di fronte a lui) sse ((c' qualcosa di fronte a P che ha l'apparenza di un'oasi) v (per P come se di fronte a lui ci fosse qualcosa che ha l'apparenza di un'oasi))

A partire da questo esempio possibile ricavare la seguente analisi dell'enunciato a P sembra che ci sia un F:

I. (a P sembra che ci sia un F) sse ((c' qualcosa che ha l'apparenza di un F per P ) v (per P come se ci fosse qualcosa che ha l'apparenza di un F ))

Si tratta di una definizione di disgiuntivismo che si avvale dell'ambiguit del significato del termine sembrare, il quale pu indicare un sembrare a cui corrisponda qualcosa nel mondo, oppure un mero sembrare a cui non corrisponda nulla di reale. La scelta del disgiuntivista rifiutare l'idea che il mero sembrare del secondo disgiunto sia presente anche nel primo disgiunto, perch questo, per il problema noto della ridondanza, porterebbe alla conclusione che un'esperienza veridica di un F non sia altro che un mero sembrare che ci sia qualcosa che ha l'apparenza di un F, pi un'ulteriore condizione. La definizione va interpretata secondo Snowdon come affermante che la proposizione a P sembra che ci sia un F resa vera da due tipi distinti di occorrenze. Nel primo caso P vede O come F, O ha la propriet di apparire come F, e tale propriet parte dell'esperienza di P. Cio vi l'occorrenza di una relazione tra un oggetto e un soggetto che del tipo O appare a P, tale per cui un oggetto ha tra le sue propriet l'apparire in un certo modo, e questo suo apparire parte costitutiva del sembrare a P che O gli appaia come F.

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Un'esperienza di questo genere, non pu essere un'esperienza interna a P. Nel secondo caso, quello delle allucinazioni, la proposizione a P sembra che ci sia un F resa vera dall'occorrenza di uno stato interno a P, che perci non costituito da alcun oggetto o propriet esterni a P. Intesa in questo modo, I implica la verit di (b) (P vede un oggetto O) (vi un'esperienza non interna E che P intrattiene). Inoltre chiaro che la falsit di (b) implica la falsit di I, perch il disgiuntivismo cos come stato definito implica la verit di (b). La tesi di Snowdon, comunque, pi moderata rispetto al sostegno della verit di I e quindi di (b). Come ho gi detto, Snowdon sostiene che, a partire da un'analisi concettuale non possibile affermare n che (b) vera, perci la falsit di I non pu essere esclusa da una tale analisi, n che vero (a)59. Ma se (a) pu essere falso, allora viene a mancare il supporto alla teoria causale basato sui casi di allucinazione veridica. Questo perch la plausibilit dell'inferenza alla miglior spiegazione a partire da questi casi basata sulla verit di (a). Se ad essere vero fosse (b), l'inferenza alla miglior spiegazione a partire da casi come quello dell'oasi non sarebbe pi plausibile, per i motivi che ho spiegato alla fine del paragrafo 4. Perci la verit di (a) la premessa indispensabile per poter sostenere che la teoria causale una verit concettuale. Ma secondo Snowdon, dato che la falsit di (a) non pu essere esclusa da un'analisi concettuale, allora la tesi secondo cui la verit della teoria causale una verit concettuale non pu ancora essere dimostrata.

6 TRASPARENZA E TEORIA CAUSALE Nel precedente paragrafo ho spiegato che secondo Snowdon non vi nulla nell'analisi concettuale del vedere che permetta di affermare che gli oggetti percepiti abbiano un ruolo causale nei confronti delle esperienze.
59 Vedi pg. 12 del presente capitolo.

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Come abbiamo visto il sostegno a quest'ultima idea viene fondato sul presupposto che le esperienze che i soggetti hanno quando vedono siano interne ai soggetti stessi. Questo presupposto pu secondo Snowdon essere messo in dubbio perch l'analisi introspettiva delle nostre esperienze non permette di decidere se il loro carattere intrinseco sia interno o non interno al soggetto. Il che, come abbiamo visto, mina la premessa 1 dell'argomento usato a sostegno della teoria causale. Successivamente, Snowdon espone un'ulteriore critica alla teoria causale della percezione, attraverso un argomento che presento qui, per motivi di chiarezza, in una versione leggermente modificata60:

i. Quando vediamo un oggetto, non c' nulla dello stato mentale che implicato dal vedere quell'oggetto, che sia a noi manifesto e che possa contare come un effetto indotto dall'oggetto visto, e quindi da esso distinto. Premessa

ii. Il nostro concetto ordinario di visione viene ricavato dalla consapevolezza delle nostre esperienze visive che deriva dall'introspezione.

iii. E' implausibile affermare che il nostro concetto ordinario di vedere un concetto causale, con un'esperienza come effetto finale distinto dall'oggetto stesso. Da i e ii

L'esempio che Snowdon propone a sostegno della premessa i il seguente. Poniamo che io stia vedendo un libro di fronte a me, e che il mio vedere conti come esperienza veridica. Il sostenitore della teoria causale deve trovare supporto a livello introspettivo all'idea che l'esperienza del libro uno stato interno al soggetto, che viene causato da un oggetto non interno al soggetto stesso. Se di relazione causale si tratta, l'analisi introspettiva dovr
60 Cfr., P. Snowdon, The Objects of Perceptual Experience, cit., pg. 61-62.

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individuare due entit, una che conti come causa e l'altra come effetto, di cui solo una interna al soggetto. Il problema che tramite un'analisi introspettiva dell'esperienza non vi nulla da rintracciare a parte il libro di fronte a me e lo scenario in cui inserito. Cio, per il principio di trasparenza, non vi nulla a cui posso rivolgere la mia attenzione se non ci su cui la mia esperienza verte. Questo vuol dire che l'analisi introspettiva permette di affermare solamente che la mia esperienza verte su un libro. Ma, secondo Snowdon, essa non dice se l'esperienza che io sto avendo interna a me oppure non interna, cio costituita dall'oggetto su cui verte. E non dice nemmeno se l'esperienza un effetto dell'oggetto, perch tutto ci che viene individuato analizzandola l'oggetto stesso. Quindi manca la possibilit di individuare attraverso l'introspezione uno stato distinto dall'oggetto che conti come possibile effetto del libro. L'analisi introspettiva non giustifica nemmeno l'affermazione secondo cui il libro causa di uno stato non interno al soggetto, perch se lo stato mentale in questione costituito dall'oggetto percepito, per poter affermare che questo causa il primo sulla base di un'analisi introspettiva, quest'ultima deve quantomeno permettere di individuare qualche elemento dello stato mentale che sia distinto dall'oggetto stesso. Ancora una volta la trasparenza dell'esperienza non fornisce supporto a quest'ultima possibilit, perci nemmeno modificando la sua posizione in senso esternista, il sostenitore della teoria causale potrebbe affermare che la connessione causale tra oggetti percepiti ed esperienze veridiche una verit concettuale. Questo per il semplice fatto che l'analisi introspettiva, da cui presumibilmente deriva il nostro concetto di vedere, non permette di individuare nulla che costituisca l'esperienza e che conti come effetto dell'oggetto percepito

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7 PENSIERI DIMOSTRATIVI In virt degli argomenti che ho esposto, Snowdon sostiene che a partire da un'analisi concettuale delle nostre esperienze visive non possibile dimostrare la falsit di una spiegazione di stampo disgiuntivista. Con questo Snowdon non ritiene, bene sottolinearlo, che la teoria causale sia stata falsificata. Quest'ultima anzi vera, ed dimostrata ampiamente in ambito scientifico, nel momento in cui viene trattata come tesi di tipo empirico. E' in quanto tesi di tipo concettuale che la teoria causale, secondo Snowdon, deve essere negata. Inoltre, nella sua versione empirica la teoria causale viene generalmente accettata dai disgiuntivisti, come fa lo stesso Martin nella sua discussione del principio del naturalismo dell'esperienza. Nella parte finale dei due saggi che sto esaminando, Snowdon si chiede, una volta appurato, secondo lui, che un'analisi concettuale non pu portare a escludere una teoria disgiuntiva della visione, quale sia la forma pi plausibile da dare a quest'ultima. Nella forma proposta da Snowdon svolgono un ruolo fondamentale i giudizi dimostrativi. Per giudizio dimostrativo intendo qualunque giudizio in cui compare un termine deittico, o dimostrativo appunto, come ad esempio: questo, lui, l etc. Questi termini hanno una particolarit, cio che il loro riferimento vincolato ad alcune caratteristiche del contesto in cui il dimostrativo viene utilizzato. Per contesto intendo un insieme di condizioni che comprende l'oggetto indicato dal deittico, altri oggetti oltre a quello indicato tramite il deittico, il soggetto che utilizza il deittico, la collocazione spaziale degli oggetti stessi e il momento in cui deittico viene utilizzato. Una variazione all'interno di queste condizioni pu far s che uno stesso deittico in due contesti diversi non abbia lo stesso riferimento. Per fare un esempio, se mi trovo su un treno in movimento, il mio mio gesto di indicare fuori dalla finestra pronunciando la parola l ha un riferimento differente a seconda del momento in cui lo compio, perch oggetti diversi scorrono davanti al finestrino.

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Per semplicit, considerer unicamente casi in cui il termine deittico svolge il ruolo di soggetto all'interno del giudizio. L'esempio fornito da Snowdon per esporre il suo breve resoconto il seguente61. Supponiamo che la scena su cui verte l'esperienza veridica di un soggetto contenga unicamente una luce artificiale, propagata da una lampadina, e che il soggetto sia un essere umano con capacit linguistiche e cognitive ordinarie. Ammettiamo inoltre che nulla nel contesto lo porti a nutrire dubbi riguardo alla scena 62 di fronte a lui e che egli ritenga effettivamente di stare avendo l'esperienza veridica di una lampadina artificiale. Egli allora dovr ritenere vero il giudizio: Sto vedendo una lampadina che manda una luce artificiale. Se ritiene vero quest'ultimo giudizio, allora deve considerare vero anche il seguente giudizio dimostrativo: Questa [che ho di fronte] una lampadina. Dato che anche quest'ultimo giudizio vero, trattandosi da ipotesi di un caso di esperienza veridica, allora il riferimento del deittico questa nel secondo giudizio deve essere appunto la lampadina. Nel caso in cui invece il soggetto non ritenga vero il giudizio dimostrativo, non potr ritenere vero nemmeno il giudizio Sto vedendo una lampadina che manda una luce artificiale. A questo punto si pu essere tentati di affermare che se un soggetto ritiene di avere l'esperienza veridica di un oggetto F allora deve ritenere vero un giudizio dimostrativo che afferma che un determinato oggetto di fronte a lui F. Questa affermazione non pu essere accettata, perch possiamo immaginare facilmente casi in cui un soggetto ritiene di avere l'esperienza veridica di un oggetto che F, ma non ritiene di poter formulare un giudizio dimostrativo su un oggetto determinato. Poniamo che mi vengano presentate insieme un'arancia reale e due arance di cera costruite con tale perizia da non essere distinguibili dall'arancia reale. Io sono stato inoltre informato del fatto che solo un'arancia reale, e non mi permesso toccare ci che ho di fronte per
61 Cfr., P. Snowdon, Perception, Vision and Causation, cit., pg. 43. 62 Il termine scena riferito allo spazio in cui inserito al soggetto, e all'insieme di oggetti che sono collocati nello spazio stesso e che possono essere indicati per mezzo di deittici.

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capire quale sia. Evidentemente in questo caso riterrei vero il giudizio Sto vedendo un'arancia reale, ma non riterrei di avere sufficienti elementi per formulare un giudizio dimostrativo come quella l'arancia reale, perch sarei incerto riguardo al riferimento da assegnare al deittico. In casi particolari come questo, per poter affermare il nesso tra giudizi del primo tipo e giudizi dimostrativi, occorrerebbe indicare un giudizio dimostrativo costruito come una disgiunzione, ad esempio questa l'arancia reale, oppure questa, oppure questa. Una volta formulate queste osservazioni sul legame tra giudizi che concernono il tipo di esperienza che un soggetto sta avendo e giudizi dimostrativi, Snowdon ritiene di poter sfruttare la nozione di giudizio dimostrativo per fare delle osservazioni pi generali sul concetto di vedere. Snowdon ritiene che la nozione di giudizio dimostrativo, o pi in generale di pensiero dimostrativo, sia un buon candidato per individuare i casi di vedere per il disgiuntivista. La prima definizione che fornisce la seguente:

Se S vede O e O F allora c' qualche oggetto con il quale S in una relazione tale che se identificasse, tramite un giudizio dimostrativo, O come F, allora il suo giudizio sarebbe corretto63.

Questa definizione ancora incompleta, perch non specifica se vadano inclusi solo i soggetti che sono in grado di formulare giudizi dimostrativi, o se tutti i soggetti privi di linguaggio vadano esclusi. Chiaramente quest'ultima eventualit dev'essere evitata perch gran parte degli animali, pur essendo privi di linguaggio, sono in grado di vedere ci che gli sta attorno. Snowdon preferisce perci utilizzare, nel secondo saggio, non la nozione di giudizio dimostrativo ma quella di pensiero dimostrativo. Per Snowdon questa nozione coincide con
63 Cfr., P. Snowdon, Perception, Vision and Causation, cit., pg. 44.

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quella di pensiero singolare. Essa va cio interpretata come la nozione del pensiero, o atto di consapevolezza, rivolto da un soggetto ad un oggetto, e che sia tale da essere vincolato per il suo riferimento all'oggetto stesso, in modo tale che se l'oggetto venisse sostituito con qualcos'altro allora il contenuto del pensiero verterebbe su qualcosa di diverso. Vediamo la seconda definizione.

Se S vede O allora S si trova in una relazione esperienziale R che (i) visiva e (ii) tale che il suo ottenimento implica che O oggetto di un pensiero dimostrativo da parte di P, se P attento a ci che ha di fronte ed opportunamente dotato dal punto di vista cognitivo64.

Questa definizione del concetto di vedere fornisce due condizioni necessarie, (i) e (ii), ma non specifica ancora se esse siano condizioni sufficienti a individuare il concetto di vedere. Si tratta, per ammissione dello stesso Snowdon, di una definizione provvisoria. Essa comunque rende gi conto di alcune caratteristiche del nostro concetto ordinario di vedere. Una di queste la possibilit teorica dello scetticismo riguardo alle esperienze percettive. Tutti, grosso modo, siamo in grado di comprendere l'affermazione dello scettico quando sostiene che non possiamo essere mai certi di vedere65 gli oggetti del mondo. Ci vuol dire che riusciamo ad assegnare un significato alla sua tesi, e questo non pu che avvenire a partire dalla considerazione della possibilit che le nostre esperienze percettive non ci mettano mai in contatto cognitivo con oggetti del mondo. Secondo Snowdon, accettare questa possibilit significa sostenere che anche quando abbiamo esperienze che crediamo veridiche non possiamo davvero essere certi che i nostri giudizi dimostrativi abbiano come riferimento oggetti del mondo. Questo vuol dire che se lo scettico ha ragione allora nemmeno nel caso
64 Cfr., P. Snowdon, The Objects of Perceptual Experience, cit., pg. 67. 65 Ricordo qui che con vedere intendo il vedere genuino, cio un'esperienza che mette il soggetto in condizione di conoscere gli oggetti del mondo in almeno alcune delle loro propriet..

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delle esperienze veridiche possiamo essere certi che il riferimento di deittici come questo, quello, l, sia un oggetto o propriet del mondo, nel momento del loro proferimento. Ora, per Snowdon, chiarire il significato del concetto di vedere, richiede anche spiegare come a partire da esso sia possibile formulare obiezioni scettiche come questa. La definizione che lui d lo permette, perch essa fornisce una spiegazione abbastanza agile di come un contatto cognitivo con il mondo potrebbe venire a mancare anche nei casi di esperienza veridica. Il contatto cognitivo potrebbe essere messo in dubbio dallo scettico sostenendo che anche nei casi di esperienze veridiche non si pu essere certi che i termini dimostrativi abbiano un riferimento o che il loro riferimento sia costituito da oggetti del mondo. Vi inoltre un'ulteriore condizione che questa definizione soddisfa. Essa consiste nel non escludere in linea di principio la possibilit che la l'esperienza veridica di un oggetto avvenga attraverso delle protesi sostitutive degli organi utilizzati normalmente da un soggetto. Il requisito della capacit di avere pensieri dimostrativi verso l'oggetto percepito compatibile con questa possibilit. Ad esempio, se sto vedendo un oggetto su uno schermo, e si tratta di un oggetto reale posto a migliaia di chilometri di distanza, il fatto che la mia esperienza veridica di esso sia mediata da una macchina non mi impedisce affatto di avere dei pensieri dimostrativi nei confronti dell'oggetto. Un oppositore di questa definizione del concetto di vedere potrebbe essere tentato di obiettare che essa non fornisce una condizione rilevante per distinguere il vedere dal mero sembrare di vedere. Questo perch anche nei casi di allucinazione, almeno a un primo esame, anche se nessun oggetto viene realmente percepito, possibile per un soggetto formulare giudizi dimostrativi, ed avere perci pensieri dimostrativi, che verterebbero non su oggetti reali, ma oggetti possibili. La tesi secondo cui nel caso delle allucinazioni il riferimento un oggetto possibile potrebbe essere rifiutata, ma ammettiamo pure che sia vera. Snowdon potrebbe comunque modificare la sua teoria non facendo pi coincidere la nozione

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di pensiero dimostrativo con la nozione di pensiero singolare, e intendendo quest'ultima come una determinazione del concetto di pensiero dimostrativo. Egli potrebbe definire i pensieri dimostrativi in modo disgiuntivo, cio come pensieri che sono o singolari, e che quindi hanno come loro condizione necessaria l'esistenza di un oggetto fisico a cui il pensiero sia rivolto, o pensieri non singolari ma comunque dimostrativi in quanto rivolti a oggetti possibili. Se modifichiamo la definizione del concetto di vedere che ho esposto in precedenza sostituendo l'espressione pensiero dimostrativo con l'espressione pensiero singolare cos intesa, allora possibile ancora affermare che essa indica una condizione rilevante nel distinguere i casi di vedere dai casi di allucinazione. Questa condizione la possibilit, per un soggetto che sia attento e sufficientemente dotato a livello cognitivo, di avere pensieri singolari, cio pensieri che hanno come loro condizione necessaria la presenza di oggetti fisici. Questa possibilit c' nel caso del vedere, mentre assente nel caso delle allucinazioni. Una seconda risposta possibile per Snowdon inoltre negare che nel caso delle allucinazioni vi sia alcun riferimento, e perci negare che per un soggetto che sta avendo un'allucinazione sia possibile avere dei pensieri dimostrativi di qualsiasi tipo.

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Conclusioni In questa parte del mio lavoro ripercorro il discorso fatto nei precedenti tre capitoli, e propongo alcune critiche nei confronti del disgiuntivismo. Nel primo capitolo ho discusso la definizione di realismo ingenuo che ho fornito nell'introduzione. Ho portato avanti questo discorso esponendo il punto di vista di M.Martin riguardo alle intuizioni rese disponibili dall'analisi introspettiva delle esperienze veridiche. La tesi di Martin , in primo luogo, che il realismo ingenuo rende conto del modo in cui le esperienze veridiche appaiono ad un'analisi introspettiva, e, in secondo luogo, che esso permette di spiegare la diversit tra le intuizioni a cui si sono appoggiati i teorici del rappresentazionalismo da un lato e i teorici dei dati di senso dall'altro. Il realismo ingenuo, secondo Martin, esprime la modalit primaria in cui le nostre esperienze veridiche ci appaiono, descrivendo il bagaglio di intuizioni che sono disponibili nell'esperienza ancora prima che una vera e propria riflessione filosofica sull'esperienza stessa abbia luogo. Le intuizioni che supportano il realismo ingenuo sono quelle definite tramite i principi dell'attualismo e della trasparenza. Nell'interpretazione di Martin, la teoria dei dati di senso e la teoria rappresentazionalista si sono appoggiate a solo uno di questi principi, escludendo l'altro alla luce dei casi di allucinazione. Secondo Martin, nel caso della teoria dei dati di senso il principio accettato come valido per il carattere intrinseco di qualunque esperienza percettiva l'attualismo, mentre nel caso della teoria rappresentazionalista il principio di trasparenza. Ho poi spiegato come Martin sostenga che il bagaglio di intuizioni che inizialmente supporta il realismo ingenuo, possa restringersi per via dell'influenza sia dei contesti storici sia della riflessione filosofica sui casi di allucinazione. La pressione di questi due fattori ha finito col rendere esclusive l'una rispetto all'altra la tesi di chi sostiene la verit dell'attualismo per una propriet fenomenica P qualsiasi, e la tesi di chi sostiene la verit della trasparenza per quella

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stessa propriet. Martin sostiene che questa esclusivit non un obbligo, perch le intuizioni disponibili a un'analisi introspettiva non portano, secondo il realista ingenuo, a negare n il principio dell'attualismo n il principio di trasparenza. Ho spiegato poi che secondo Martin la negazione della congiunzione dei due principi, attualismo e trasparenza, e quindi del realismo ingenuo, segue dall'analisi dei casi di allucinazione, previa accettazione dei principio del naturalismo dell'esperienza e della tesi del massimo comune denominatore. In secondo luogo, sempre secondo Martin, quale dei due principi venga effettivamente negato determinato dalla pressione del contesto storico il quale pu portare a rendere meno plausibile uno essi. Martin sostiene che, rispetto ai casi di allucinazione, la negazione della congiunzione dei principi dell'attualismo e della trasparenza, negazione implicata sia dalla teoria dei dati di senso sia dal rappresentazionalismo, non l'unica strada percorribile. Un'alternativa la negazione della tesi del massimo comune denominatore (o tesi CKA). La tesi del massimo comune denominatore, ricordiamolo, sostiene che data una qualunque esperienza veridica possibile indurre in un soggetto un'esperienza allucinatoria con il medesimo carattere intrinseco. Il problema che il disgiuntivismo vero e proprio affronta appunto come riuscire a negare in modo plausibile la tesi CKA. La sfida pi grossa per il disgiuntivista data dai casi di allucinazione ottenuti mediante le medesime cause prossimali delle esperienze veridiche. Gli argomenti basati su questi casi di allucinazione assumono, come ho spiegato nel secondo capitolo, la verit del principio stessa causa prossimale, medesimo effetto. Il disgiuntivista pu difendersi dagli argomenti che si appoggiano a questo principio ammettendo una forma di indeterminismo nel campo delle relazioni di causa ed effetto. A questo punto ho esposto l'argomento che Martin riprende da Robinson 66. Questo argomento, pur accettando i presupposti dell'indeterminismo causale e non affermando la tesi del massimo comune denominatore, pone in modo pressante per il disgiuntivista il problema
66 Vedi 8, cap 2.

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della ridondanza esplicativa. Questo problema impone al disgiuntivista di non limitarsi pi a dire che il carattere intrinseco delle allucinazioni e delle esperienze veridiche non pu essere lo stesso, ma di spiegare anche in cosa consiste il carattere intrinseco delle allucinazioni. Martin, nel difendere il disgiuntivismo dal problema della ridondanza, arriva a proporre una definizione del carattere intrinseco delle allucinazioni di tipo esclusivamente epistemologico. Egli fa questo attraverso la propriet IND, che viene poi precisata ulteriormente in forma impersonale. In base alla definizione di allucinazione fornita da Martin le allucinazioni non hanno altro carattere intrinseco a parte il non essere distinguibili a un'analisi introspettiva da un'esperienza veridica corrispondente. Ho poi spiegato come questa definizione di carattere intrinseco delle allucinazioni possa servire al disgiuntivista per evitare il problema della ridondanza. La parte finale del secondo capitolo stata dedicata alla replica di Martin alle obiezioni di Smith. Quest'ultimo ha fornito degli argomenti contro l'idea che una condizione esclusivamente epistemologica possa bastare a definire il carattere intrinseco delle allucinazioni. All'interno della replica di Martin a Smith, ho spiegato come la difesa fatta da Martin della propria teoria lo porti a precisare meglio il modo in cui egli intende la nozione di introspezione che usa per definire la propriet IND. Come abbiamo visto nella conclusione del secondo capitolo, Martin sostiene che va negato il parallelismo tra facolt percettive e facolt introspettive perch esso presuppone una distinzione rigida tra atto introspettivo e stato mentale su cui l'atto stesso verte. Al di l del peso da assegnare alle obiezioni di Smith, ritengo che un'ulteriore critica possa essere fatta al disgiuntivismo di Martin. Abbiamo visto dall'esposizione del pensiero di Martin quali vincoli il disgiuntivista sia costretto a porre alla sua teoria circa il carattere intrinseco delle allucinazioni.

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Martin arriva, attraverso un complesso percorso argomentativo, alla conclusione che nel caso delle allucinazioni l'esperienza intrattenuta da un soggetto deve essere l'esperienza dell'assenza di consapevolezza del fatto di non stare avendo l'esperienza veridica di un particolare oggetto, e che non vi sia altra propriet posseduta dalle allucinazioni a parte questa condizione epistemologica. Poniamo che il carattere intrinseco di una mia allucinazione vada definito come il non poter essere consapevole, attraverso l'introspezione, del fatto di non stare avendo l'esperienza veridica di una mela rossa. Abbiamo visto che nel caso delle allucinazioni, secondo Martin, il contenuto dell'esperienza non di tipo rappresentazionale. Ora, affinch il carattere intrinseco delle allucinazioni sia di tipo esclusivamente epistemologico e non rappresentazionale, occorre escludere che tale carattere intrinseco possieda delle condizioni di soddisfazione. Infatti se le possedesse, esse sarebbero delle propriet ulteriori possedute dall'esperienza, presenti sia nel caso dell'allucinazione sia nel caso dell'esperienza veridica corrispondente, per via dell'argomento di Robinson. Tali condizioni di soddisfazione introdurrebbero un carattere di tipo rappresentazionale anche nel caso dell'esperienza veridica. Ma questo carattere, essendo gi sufficiente a spiegare il comportamento dei soggetti sia nelle allucinazioni sia nelle esperienze veridiche, renderebbe ridondante dal punto di vista esplicativo la propriet DISJ, la quale data dalla congiunzione di ACT e TRANS 67 ed considerata dal disgiuntivista necessariamente presente nel caso delle esperienze veridiche. Affinch questa conseguenza sia scongiurata il disgiuntivista deve affermare che la fenomenologia delle allucinazioni non dotata di condizioni di soddisfazione, il che impedisce di affermare che le allucinazioni abbiano un contenuto dotato di un valore di verit. Saranno i giudizi formulati a partire dalle esperienze allucinatorie ad essere veri o falsi a seconda di come fatto il mondo ma non le allucinazioni stesse. Queste ultime, per Martin si riducono a mere impressioni di stare
67 Cio delle propriet rispettivamente dell'attualismo e della trasparenza.

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vedendo un oggetto piuttosto che un altro, ma prive di condizioni di verit che siano ad esse intrinseche. Ma questo, e qui faccio la mia critica, equivale di fatto a negare che le allucinazioni siano dotate di un contenuto, se intendiamo il contenuto come una proposizione definita dalle sue condizioni di soddisfazione. Ritengo inoltre che per un disgiuntivista sarebbe problematico affermare che le allucinazioni sono mere impressioni prive di contenuto, perch se esse sono questo non vedo un criterio per distinguere tali impressioni tra loro. Si potrebbe sostenere che queste impressioni sono distinguibili tra loro per gli aspetti qualitativi che coinvolgono, o qualia, ma questi sarebbero un'ulteriore propriet positiva che si aggiungerebbe a IND, e riproporrebbero il problema della ridondanza. Quest'ultimo problema sembra costringere il disgiuntivista a negare alle allucinazioni sia un contenuto sia aspetti puramente qualitativi, ma se neghiamo entrambe queste cose non ritengo che sia pi chiaro se per il disgiuntivista le allucinazioni sono ancora degli stati mentali. Naturalmente non considero questo argomento conclusivo per un giudizio sulla teoria disgiuntivista portata avanti da Michael Martin. Penso comunque che questo punto andrebbe approfondito dai difensori di questa forma di disgiuntivismo. Concludo con alcune osservazioni collegate a quanto ho detto nel capitolo su Snowdon. Snowdon, nei due saggi che ho preso in esame, non affronta i vari problemi di cui mi sono occupato nel secondo capitolo, anche perch questi saggi, va ricordato, sono molto meno recenti rispetto a quelli di Martin che ho analizzato. La lettura di essi stata comunque molto utile per valutare la tesi di Martin sul caso delle allucinazioni. Inoltre, anche ammettendo che la critica che ho appena formulato abbia un peso, la tesi di Snowdon non ne sarebbe scalfita perch essa non pu essere soggetta a considerazioni di ordine empirico come quelle che hanno portato Martin a definire il carattere intrinseco delle allucinazioni unicamente attraverso una condizione di tipo epistemologico. La tesi portata avanti da Snowdon non lo

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costringe a negare un carattere rappresentazionale alle allucinazioni, perch la sua tesi, essendo di tipo concettuale nel senso che ho spiegato, non soggetta a critiche basate sul principio stessa causa prossimale, medesimo effetto 68. Snowdon considererebbe quest'ultimo principio come basato su considerazioni empiriche, e quindi non utilizzabile in una critica contro la sua forma di disgiuntivismo, che basata su un'analisi di tipo concettuale. Quest'analisi, oltre a lasciare aperta la possibilit che la teoria causale della visione non sia vera, mostra che fintantoch ci limitiamo a un'analisi del concetto di vedere non vi nulla che porti ad affermare che il carattere intrinseco delle allucinazioni debba anche occorrere nelle esperienze veridiche indistinguibili da esse. Per cui, finch ci limitiamo a un'analisi concettuale, ammettere un carattere rappresentazionale nelle allucinazioni non implica che tale carattere debba occorrere anche nelle esperienze veridiche. Questo perch l'unico modo per affermare ci sarebbe basandosi sull'argomento di Robinson, che per si avvale di un principio, il principio stessa causa prossimale, medesimo effetto, che appartiene all'ambito empirico e non all'ambito concettuale.

68 Vedi 7, cap. 2.

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Nota bibliografica

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Il testo dal titolo Uncovering Appearances, attualmente disponibile unicamente presso il sito http://www.homepages.ucl.ac.uk/~uctymfm/chapters.htm.

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I testi che seguono, anche se non sono stati direttamente trattati all'interno del lavoro di tesi, sono stati comunque oggetto di lettura, e sono stati utili ad acquisire una visione complessiva e preliminare dei problemi che ho analizzato. Brewer B. How to Account for Illusion, in Adrian Haddock and Fiona MacPherson Disjunctivism: Perception, Action, Knowledge, 2009, Oxford University Press. Byrne A. e Logue H. Heither/Or in Adrian Haddock and Fiona MacPherson Disjunctivism: Perception, Action, Knowledge, 2009, Oxford University Press. Calabi C. Filosofia della percezione, 2009, editrice Laterza, Roma Bari.

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