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UNIVERSIT DEGLI STUDI DI MILANO Facolt di Scienze Politiche Corso di Laurea triennale in Scienze Politiche

GIORNALISMO: DA PROFESSIONE A PASSIONE


Elaborato finale di: Giulia Laura FERRARI

Relatore: Prof. Adam Erik ARVIDSSON

Anno Accademico 2010-2011


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Indice
Introduzione.................................................................................................. 3 1 Le professioni, un approccio sociologico ..................................................5
1.1 Le professioni in Weber.................................................................................5 1.2 Le professioni in Parsons...............................................................................9

2 Capitalismo cognitivo: cambiata la produzione, cambiato il lavoro...12


2.1 Accumulazione flessibile, lavoro autonomo di seconda generazione.........12 2.1 Lavoro autonomo e settore editoriale, l'analisi di Cristina Morini..............17

3 La professione giornalistica in Italia........................................................ 20


3.1 Storia della professione giornalistica in Italia, le istituzioni e le norme.....20 3.2 La professione nei fatti e nei numeri........................................................... 26

4 Caso studio.............................................................................................. 30
4.1 Premesse metodologiche............................................................................. 30 4.2 Quando e perch hai scelto questa professione?.........................................32 4.3 Cosa hai fatto per intraprendere questo percorso?......................................35 4.4 Quali sono le capacit richieste per svolgere al meglio questo lavoro?......37 4.5 Il lavoro nei fatti e le prospettive.................................................................39 4.6 Ordine e identit professionale, io sono speciale........................................45

Conclusioni................................................................................................. 48 Appendice................................................................................................... 52 Bibliografia................................................................................................. 53

Introduzione
I professionisti si distinguono dagli imprenditori o da generici lavoratori per quattro caratteristiche fondamentali: una specifica competenza tecnica di alto livello, un impegno orientato al servizio, un elevato senso di responsabilit e una buona autonomia economica. Oggi i giovani giornalisti professionisti si rispecchiano in questo quadro? La definizione tradizionale di giornalismo come professione in Italia ancora valida? Questa analisi deve parte della sua esistenza alla cronaca. Infatti nel dibattito pubblico, sempre pi spesso, si impongono riflessioni sullo stato della professione giornalistica. Da un lato i giornalisti, la casta, sono accusati di aver abbandonato la ricerca della verit o di essere morbosi ed invadenti, dall'altro sono gli stessi giornalisti precari a tentare con ogni mezzo di attirare l'attenzione sulle loro condizioni lavorative e di vita, arrivando fino allo sciopero della fame. Il giornalismo cambiato, ci evidente: sono cambiati i mezzi, i tempi, gli ambienti, il contenuto, lo status sociale. Ma non sono cambiate le norme che regolano l'accesso alla professione, n sono state integrate le condizioni contrattuali. La domanda sorge spontanea: cosa vuol dire oggi fare del giornalismo la propria professione? Quando il giornalismo pu essere definito professione? Com' la professione giornalistica nei fatti? Per rispondere a queste domande sar necessario prendere in considerazione diversi aspetti. Innanzitutto, sar utile individuare i teoremi su cui si basa la definizione sociologica di professione intellettuale e di professione in genere. Queste sono infatti le fondamenta su cui sono stati costruiti gli ordini professionali in Italia, gli unici custodi e arbitri delle professioni. In seguito sar necessario capire come e come mai cambiato il mondo del lavoro, e in particolare il mondo dell'editoria. Definiti i contesti teorici, procederemo analizzando direttamente l'oggetto della nostro esame: la professione giornalistica in Italia, la sua storia, le norme che la regolano e il lavoro nei fatti. A questo punto i contrasti tra la definizione classica di professione e le 3

caratteristiche del lavoro giornalistico nel capitalismo cognitivo risulteranno evidenti. Per verificarne gli effetti e comprenderne le sfumature proporremo i risultati di una ricerca qualitativa svolta su un campione di nove giovani giornalisti professionisti o aspiranti tali. Per liberare fin da subito il lettore da ogni pregiudizio importante chiarire che questa tesi non vuole decretare la fine di una professione. Il giornalismo come professione sopravvive mutato nella narrazione dei giornalisti intervistati, ed caratterizzato da una nuova e diversa identit professionale, che l'anima del lavoro autonomo di seconda generazione.

1 Le professioni, un approccio sociologico


1.1 Le professioni in Weber
Introducendo questo autore fondamentale, che ispir le teorie funzionaliste (primo su tutti Talcott Parsons) e le teorie neoweberiane degli anni 70, non si pu non evitare una precisazione. Weber non si occup n esclusivamente n approfonditamente dello studio delle professioni: le sue elaborazioni sulla burocrazia lasciarono nellombra il concetto di professione (Tousijn, 1997). Concetto che Weber esamin solo in due occasioni, trattando specificatamente la professione accademica e la professione politica. Ci stiamo riferendo alle due conferenze tenutesi rispettivamente nel 1917 e nel 1919 presso lUniversit di Monaco dal titolo Wissenschaft als Beruf, La Scienza come Professione, e Politik als Beruf, la Politica come Professione. L'analisi svolta in questo lavoro si basa dunque su questi due testi. Si compirebbe di certo una leggerezza storica pensando che lo stato danimo e le riflessioni dellautore non siano cambiati tra il 1917 e il 1919, anche se le due conferenze sono state originariamente pubblicate assieme (sia in Germania che in Italia) sotto il comune titolo di Il Lavoro Intellettuale come Professione. Domande e risposte sul Beruf si rincorrono, e rimbalzano, tra le due dissertazioni, immerse in fondamentali riflessioni sul progresso scientifico e sul potere politico. In entrambe le conferenze Weber descrive le condizioni degli intellettuali di professione. Chi sceglie la via della scienza come professione sceglie una strada molto dura, a tal punto che agli studenti che chiedono consigli su come diventare scienziati Weber suggerisce di rispondere Lasciate ogni speranza (Weber 2004: 12). Una strada fatta di continue delusioni, in cui non sempre il talento e lapplicazione vengono premiati; in cui un professore, ad esempio, viene criticato dagli studenti esclusivamente per il tono di voce, e non magari per le sue conoscenze. Una strada lunga e burocratica (almeno in Germania). Anche coloro che sono convinti della vocazione che li spinge lungo questa via non sono esenti da danni interiori. Due sono le domande centrali di questa lunga riflessione: 5

che cosa significa la scienza come professione per colui che si dedica ad essa? e che cos la professione della scienza nella vita complessiva dellumanit? E qual il suo valore? (Weber 2004: 21) Anche la carriera giornalistica una via non per tutti. Tantomeno per i caratteri deboli, in particolare per uomini che possono conservare il proprio equilibrio interiore soltanto in una situazione sicura e stabile. Se gi la vita del giovane studioso esposta al rischio, questi perlomeno circondato dalle salde convinzioni di ceto che lo proteggono da ogni sbandamento. La vita del giornalista invece in ogni senso un puro azzardo, e si svolge in condizioni che mettono alla prova la propria sicurezza interiore, come assai raramente accade in altre situazioni. (Weber 2004: 77) I giornalisti inoltre subiscono continue critiche a causa del loro lavoro di scrittori a pagamento (Weber 2004: 100), essendo spesso identificati come persone eticamente squallide, per colpa di coloro i quali svolgono la professione solo per i propri interessi. Quali gioie interiori essa dunque in grado di offrire e quali attitudini personali presuppone in chi vi si dedica?(Weber 2004: 100) Queste sono le domande che poneva Weber, domande tutt'ora valide dato che, come vedremo in seguito, la condizione lavorativa dei giornalisti complicata da un contesto di precariet e insicurezza tipici dell'attuale modello produttivo. Le risposte si trovano nelle caratteristiche delle professioni intellettuali che, organizzando i passaggi centrali di entrambe le conferenze di Monaco, si possono ridurre a tre fondamentali aspetti. Il primo la specializzazione, la conoscenza specifica. Colui che sceglie un lavoro intellettuale come professione deve conoscere profondamente ci di cui si occupa, seguire una carriera di studi e mettersi alla prova con lapplicazione costante e la ricerca. La specializzazione un ingrediente necessario per la produzione di valore nel lavoro intellettuale, in quanto: soltanto nel caso di una rigorosa specializzazione lindividuo pu acquisire la sicura coscienza di produrre qualcosa di realmente compiuto in ambito scientifico (Weber 2004: 13), qualcosa di innovativo.

La seconda caratteristica, non di minore importanza, la passione. La passione per Weber lanima della professione, ci evidente fin dal titolo. Infatti il termine tedesco beruf non esattamente traducibile in Italiano: significa al contempo professione e vocazione/passione. La scelta di una professione deve essere fatta per passione, se ci non fosse non si produrrebbe alcun valore. Uno non possiede la vocazione per la scienza, e far bene a dedicarsi ad altro. Infatti per luomo in quanto uomo non ha valore alcuno ci che non pu fare con passione (Weber 2004: 13). la passione che attribuisce personalit, prestigio e potere ai professionisti. Uno studioso che s applicher alle sue ricerche con passione diventer una personalit scientifica, un uomo politico mosso dalla passione avr autorit e potere carismatico. Ma che cos la passione? lo stesso Weber a precisarlo, dato che evidente il rischio di fraintendimenti. Passione nel senso di sachlichkeit: dedizione appassionata a una causa. La passione dunque la spinta verso uno scopo, che a sua volta non deve essere confuso con linteresse personale. Se laspirazione al potere mossa da vanit, se non vi servizio alla causa (Weber 2004: 17,103) ma solo autoesaltazione, luomo compie un peccato contro lo spirito santo della sua professione (Weber 2004: 102). Da questa riflessione discende la terza caratteristica del lavoro intellettuale come professione: la responsabilit. Per responsabilit si intende la costante valutazione delle proprie scelte (autocritica) e degli effetti delle proprie azioni (lungimiranza), e la conformit di queste all etica della responsabilit(Weber 2004: 109). Se da un lato la responsabilit di uno scienziato diversa da quella di un politico e, potremmo aggiungere, la responsabilit di un medico diversa da quella di un ingegnere, dall'altro essa deve essere sempre presente: necessaria alluomo per auto-limitarsi in funzione della causa, la semplice passione, per quanto autenticamente vissuta, non ancora sufficiente (Weber 2004: 101). A queste tre caratteristiche del lavoro intellettuale come professione si aggiunge poi una condizione importante e necessaria affinch esso possa essere svolto nel migliore dei modi: la sicurezza economica. Weber introduce questo tema parlando di cosa voglia dire scegliere la politica come professione, le risposte sono due: si 7

pu vivere per la politica o della politica. Chi vive per la politica deve avere le disponibilit economiche necessarie per non doversi preoccupare del guadagno derivante dalla propria attivit, chi vive della politica deve poter guadagnare sempre a sufficienza per poter svolgere la sua professione come servizio e non come strumento darricchimento personale. Da ci segue che se non si vuole limitare laccesso alla professione solo a coloro i quali vivono di rendita necessario garantire a tutti coloro scelgano questa strada redditi regolari e sicuri (Weber 2004: 61). Riassumendo, colui che sceglie un lavoro intellettuale come professione deve possedere tre caratteristiche: una conoscenza specifica, la passione e il senso di responsabilit. Inoltre affinch egli possa proseguire in questa scelta necessario che gli sia garantita l'autonomia economica. Saranno queste condizioni a permettere al giornalista di intraprendere una strada professionale cos ardua e apparentemente priva di soddisfazioni. Sar in particolare la passione, la dedizione appassionata alla causa professionale, ad animare e sostenere colui che sceglie un lavoro il giornalismo come professione.

1.2 Le professioni in Parsons


Proseguendo nell'indagine teorica del concetto di professione, un'autore fondamentale Talcott Parsons, nel suo lavoro infatti ritroviamo le stesse considerazioni che hanno ispirato la creazione degli ordini professionali italiani negli venti del '900 (Cfr. cap. 3.1). giusto premettere che i punti di contatto tra questa analisi e quella di Weber sono molti, dato che il padre fondatore della sociologia moderna aveva influito notevolmente sulla formazione di Parsons. Riprenderemo questo punto dopo aver esposto il concetto di professione nella teoria funzionalista parsonsiana. Le professioni sono caratterizzate da alcune caratteristiche peculiari, anche se non esclusive (Parsons; 1956). Semplificando, in funzione di chiarezza, se ne possono individuare quattro fondamentali. La prima il possesso, da parte dei loro membri, di una specifica conoscenza tecnica di alto livello. Conoscenza che necessaria per accedere ad una professione regolamentata da un ordine professionale o, anche quando questultimo non sia istituzionalizzato, per farsi accettare come professionista dalla comunit. Listruzione professionale in generale universitaria e, in alcuni casi, completata da studi professionali specifici gestiti dagli stessi ordini professionali. Ai professionisti, dice Parsons, richiesta una conoscenza funzionalmente specifica, razionale e universale. Una conoscenza che fornisca gli strumenti per scegliere il modo migliore o pi efficace per risolvere un caso . Le scelte e le azioni dei professionisti non devono essere mosse da tradizionalismo o egoismo, n il rapporto con il paziente/cliente pu essere intimo o soggettivo. Da questa prima riflessione deriva la seconda caratteristica fondamentale delle professioni: lorientamento al servizio. Lagire dei professionisti non normato n da un pensiero egoistico, che viene tradizionalmente associato agli uomini daffari, n da un puro slancio altruistico, anche se a prima vista questo movente sembra pi appropriato allagire professionale. Parsons contesta la semplice distinzione tra uomini daffari egoisti e professionisti altruistici, si tratta infatti di 9

una divisione accettata per consuetudine ma che non regge in un'ottica funzionale. Egli sottolinea che lo scopo dellazione di un imprenditore e di un professionista in realt il medesimo: il successo. Ci che distingue le due figure sono le situazioni in cui essi agiscono e quindi il contesto in cui entrambi cercano di raggiungere il successo. Un mercanete-imprenditore che vorr raggiungere il successo si preoccuper di incrementare le vendite, il guadagno personale e di conseguenza la sua fama tra i commercianti. Mentre per un professionista lorientamento al servizio sar la corretta direzione per giungere al successo. Sar lorientamento al servizio che permetter al professionista di aggiudicarsi la stima del cliente, gli onori e i riconoscimenti dei colleghi. La terza caratteristica fondamentale delle professioni quella che Parsons chiama responsabilit fiduciaria. Per responsabilit fiduciaria si intende un senso di responsabilit che va oltre la difesa degli interessi di questo o quel cliente , un senso di responsabilit che obbliga a rispondere delle proprie azioni direttamente alla professione. In particolare, il professionista responsabile della tutela del patrimonio culturale che la professione custodisce ed responsabile degli interessi pubblici su cui la conservazione e lo sviluppo delle competenze professionali hanno effetto. Un avvocato che difende un cliente accusato di omicidio certamente responsabile verso il proprio cliente, a cui dovr garantire la miglior difesa possibile, ma ancor prima responsabile verso il diritto, che dovr rispettare e difendere, e verso gli interessi della societ, che sarebbe danneggiata dalla presenza di un assassino in libert. Infine, la quarta caratteristica fondamentale di una professione la sua relativa autonomia, che si manifesta nei privilegi economici e nelle libert attinenti allo specifico status giuridico del professionista. Questi elementi permettono ai professionisti di godere di quella sicurezza e indipendenza necessarie per svolgere i propri compiti senza incorrere nei rischi di corruttibilit economica o condizionamento politico. Le quattro caratteristiche peculiari delle professioni appena esposte, competenza tecnica, orientamento al servizio, responsabilit e autonomia, si ergono sulle 10

fondamenta della teoria weberiana. In particolare vi una corrispondenza quasi totale tra tre dei punti esaminati: la specializzazione weberiana diventa la pi industriale competenza tecnica, la responsabilit permane maggiormente articolata nella responsabilit fiduciaria e la sicurezza economica declinata nella funzionale autonomia dei professionisti. Alcune sottili ma importanti differenze si trovano nella seconda caratteristica esposta da entrambi gli autori: la passione come dedizione appassionata alla causa e l'orientamento al servizio in funzione del successo. Se nei fatti evidente che si stia parlando quasi della stessa cosa, nella sua definizione Weber pone maggiormente l'accento sull'individuo e sulla sua vocazione allo scopo, mentre Parsons declina, coerentemente, il concetto in un ottica funzionalista. Questa riflessione ci sar utile successivamente quando, nella nostra ricerca, ci chiederemo perch un giovane scelga il giornalismo come professione.

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2 Capitalismo cognitivo: cambiata la produzione, cambiato il lavoro


2.1 Accumulazione flessibile, lavoro autonomo di seconda generazione
Premesso che sono molti i punti da cui poter osservare e descrivere la societ post-industriale, in questo lavoro ci interessa capire quali siano le peculiarit del organizzazione e definizione del lavoro nel capitalismo avanzato. Procediamo dunque ripercorrendo le tappe principali del passaggio dalla produzione taylorista a quella post-industriale in Italia (per evidenziare le differenze tra i due paradigmi) e tracciando il profilo del lavoratore/professionista tipo che agisce in questa nuova sfera produttiva, economica, sociale e spaziale scomposta e frammentata (Fumagalli 1997). Negli anni '70 si assiste ad un calo della produttivit industriale e alla saturazione di alcuni mercati, in particolare per quei beni di consumo che avevano permesso il boom economico del dopoguerra. Inizia quindi un processo di deindustrializzazione, inteso come il superamento della rigidit strutturale del modello fordista (prima fase di flessibilizzazione), che si prolunga fino al 1979 e che vede il suo epicentro nel triangolo industriale Piemonte-Lombardia-Liguria. In modo complementare fiorisce una rete di piccole imprese di fornitura e contoterzismo, innovative e dinamiche, che acquisiscono un ruolo importante un tempo oscurato dalla grande industria integrata. A partire dagli anni '80 inizia la seconda fase di flessibilizzazione dell'industria italiana. Il sistema viene completamente ripensato: attraverso l'innovazione tecnologica e l'esternalizzazione di alcuni processi produttivi si punta a progettare fabbriche snelle. L'insieme delle piccole imprese da complementare diviene elemento strutturale del nuovo processo produttivo industriale. Il nuovo modello prevede una grande industria che mantiene solo alcune funzioni di controllo, gestione e assemblaggio da cui si dirama una rete di piccole imprese che svolgono frammenti di produzione in modo autonomo ma interdipendenti tra loro lungo un unico ciclo di produzione (Fumagalli 1997: 141). Nel giro di pochi anni questa 12

struttura torner ad essere fondamentalmente oligopolistica, infatti le piccole imprese perderanno molta autonomia. Ma il sistema ormai profondamente cambiato. I lavoratori non appartengono ad una classe specifica ma sono inseriti in un flusso di individualit lavorative autonome (svolte al di fuori della fabbrica) o salariate (pi tradizionali). Si tratta di un modello produttivo con bassi livelli di conflittualit, che ruota attorno al paradigma dell'accumulazione flessibile dal punto di vista tecnologico, produttivo e organizzativo (Fumagalli 1997: 137). Vediamone velocemente i dettagli. Sul piano tecnico, gli strumenti della flessibilit tecnologica (come il CAD nella progettazione) hanno permesso di coniugare simultaneamente la produzione automatizzata e la differenziazionepersonalizzazione del prodotto. Sul piano produttivo, macroeconomico, si riscontra innanzitutto l'invalidit del nesso produzione-occupazione, dato che l'aumento della produzione dato quasi interamente da innovazioni di processo: si migliora il come produrre non si crea nuova occupazione. In secondo luogo l'invalidit del nesso salario-produttivit, come conseguenza del punto precedente. Terzo l'ininfluenza della struttura dei consumi nazionali. Il guadagno non dipende pi dalla domanda di beni, ma dalle valutazioni finanziarie, infatti la quotazione del marchio che crea valore. Dal punto di vista organizzativo lo Stato (come agente economico) ha perso ormai tutte le caratteristiche che possedeva nel sistema fordista: nel paradigma dell'accumulazione flessibile il welfare state non ha pi alcuna funzione specifica ma rappresenta solo una rigidit, e come tale, deve essere abolito (Fumagalli 1997: 139) . In pratica siamo di fronte ad un sistema industriale costituito da una rete flessibile di piccole imprese collegate ad una azienda principale (proprietaria del marchio) che produce valore (finanziario) attraverso l' innovazione continua dei prodotti, che sono sempre pi flessibili e adattabili alle richieste del singolo cliente. cambiata la produzione, cambiato il lavoro. innanzitutto evidente che il lavoro non si svolge pi solo all'interno della fabbrica: una parte della forza lavoro esce dalla fabbrica per diventare indipendente, autonoma. E proprio l'analisi del lavoro autonomo di seconda 13

generazione, come lo definisce Sergio Bologna, ci fornisce strumenti necessari per comprendere la professione giornalistica oggi, che corrisponde sempre pi ad un lavoro freelance. Sergio Bologna nel 1997 individua 10 variabili che caratterizzano il lavoro autonomo specificatamente post-fordista. CONTENUTO Se da un lato il contenuto del lavoro autonomo non per definizione diverso dal contenuto del lavoro salariato, dall'altro cambia per l'assenza di prescrittivit, la responsabilit dell'organizzazione quindi del lavoratore stesso. Ma ci che differenzia in maniera sostanziale il lavoro autonomo da quello salariato il contenuto di operazioni relazionali e comunicative che esso richiede(Bologna 1997: 15). proprio questo lavoro immateriale-relazionale che produce innovazione, reti e valore. LA PERCEZIONE DELLO SPAZIO Mentre da un lato il lavoro non non svolto pi solo sul posto di lavoro, dall'altro le attivit svolte sul posto di lavoro non sono esclusivamente lavorative in senso stretto. Sul posto di lavoro si trasferiscono modi e attivit appartenenti alla vita privata e il lavoro stesso si esercita in contesti privati, apparentemente non lavorativi. In riferimento a ci Bologna parla di domenstication del luogo di lavoro. LA PERCEZIONE DEL TEMPO
Si potrebbe dire che la differenza fondamentale tra lavoro salariato e lavoro autonomo consiste nella diversa organizzazione del tempo(Bologna 1997: 21)

Il lavoratore autonomo abbandona turni e cartellino. Inoltre il tempo del lavoro si allunga e si intensifica a causa del fatto che la retribuzione non pi commisurata a unit di tempo elementari, ma alla prestazione lavorativa finita entro il termine di consegna. Inoltre dato che una parte del tempo lavorativo, forse la parte che produce maggior valore, dedicata ad attivit socio-relazionali diventa sempre pi difficile distinguere il tempo del lavoro dal tempo della vita. La percezione del tempo cambia nella valutazione del presente come nella progettazione del futuro. 14

LA FORMA DELLA RETRIBUZIONE Il salario sostituito dalla fattura. Dato che il salario garantiva la sussistenza minima al lavoratore, a questo principio fondamentale si sostituisce un senso di rischio esistenziale. IDENTITA' PROFESSIONALE
L'identit professionale la forma di riconoscimento del lavoro autonomo. L'identit professionale sembra riassumere l'intero statuto sociale del lavoro autonomo (Bologna 1997: 27) .

Con l'affermazione del lavoro autonomo di seconda generazioni viene riaffermata la professionalit in quanto attributo specifico di una persona, di un individuo. Le conoscenze, le capacit messe al lavoro sono personali quindi assistiamo a una forte riaffermazione del ruolo della persona umana, dell'importanza delle singole diversit individuali. (Bologna 1997: 27). Come l'artigiano, il professionista autonomo, apparentemente escluso dalla fabbrica, acquisisce uno status sociale definito. RISORSE NECESSARIE ALL'INGRESSO Le condizioni necessarie per

intraprendere una carriera lavorativa indipendente non sono affatto trascurabili: i. una rete di conoscenze e relazioni personali, familiari e sociali, ii. il possesso di conoscenze specialistiche, iii. forza-invenzione, ossia la creativit e la capacit di investire sulle proprie attitudini, anche caratteriali. Si tratta evidentemente di un grosso investimento iniziale non accessibile a tutti. RISORSE NECESSARIE AL MANTENIMENTO Queste risorse sono pi difficili da identificare e reperire di quelle necessarie all'ingresso. Il lavoratore indipendente dovr dedicare molte energie e ingegno per assicurarsi le risorse necessarie alla continuazione del proprio lavoro, aspetto che non tocca minimamente il lavoratore salariato. MERCATO Lo stato tipico del lavoratore autonomo quello della permanenza sul mercato, situazione a cui il lavoratore salariato si sottrae una volta ottenuto un contratto di lavoro. Questa condizione caratterizzata da una costante sensazione di rischio e di angoscia del vuoto. 15

ORGANIZZAZIONE E RAPPRESENTANZA DEGLI INTERESSI I lavoratori autonomi, soli e sparsi nel territorio sono estranei alla rappresentanza sindacale, n potrebbero mai aggregarsi sulle basi tipiche di quell'associazionismo lavorativo, dato che il livello di conflittualit con il committente , per definizione, estremamente basso. L'unica forma aggregativa e di condivisione degli interessi apparentemente possibile quella delle cooperative o societ di mutuo soccorso. CITTADINANZA Il lavoratore indipendente sentendosi escluso dalla struttura sociale del lavoratore salariato si sente escluso dalla cittadinanza (intesa come amministrazione e garanzia di diritti) e a seguito di ci si rifugia nel locale (dimensione rassicurante e concreta) o nel globale (prospettiva su cui investire e fare progetti). I professionisti decritti da Bologna sono evidentemente diversi dai professionisti classici. Alcune delle modificazioni subite dal lavoro nel capitalismo cognitivo rischiano di mettere a dura prova le definizioni teoriche di Weber e Parsons. In particolare la competenza tecnica specifica perde di importanza a fronte delle capacit relazionali che costituiscono la parte produttiva del lavoro stesso. Le modificazioni riguardanti l'identit professionale colpiscono una parte della responsabilit fiduciaria, dato che era il rapporto con la professione e gli altri professionisti a dettare i limiti consentiti e le norme etiche a cui attenersi. Infine, ma non di minore importanza, risulta evidente che la perdita di sicurezza data dall'assenza del salario, gli ingenti investimenti richiesti dalle risorse necessarie all'ingresso e al mantenimento, e l'instabilit della permanenza sul mercato condizionano fortemente l'autonomia del professionista, che costretto ad adattarsi di continuo al contesto per assicurarsi la sopravvivenza.

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2.1 Lavoro autonomo e settore editoriale, l'analisi di Cristina Morini


Cristina Morini ha condotto un'importante verifica del concetto di lavoro autonomo di seconda generazione sul caso studio dell'editoria. Questa analisi parte dall'osservazione dell'andamento del settore stampa italiana. Negli anni '90 si assiste ad una profonda trasformazione dell'editoria italiana, la cui storia intrecciata nelle vicende dei maggiori gruppi editoriali del Paese. La direzione in cui evolve il mercato dell'editoria segnata da tre fattori: la perdita di fatturazione a causa della contrazione delle vendite; la destrutturazione del settore in una rete di micro imprese editoriali, che hanno normalmente vita brevissima e svolgono attivit di service; la concentrazione del valore in pochi grossi gruppi editoriali, internamente organizzati a scatole cinesi, ai vertici dei quali si alternano i soliti nomi noti (dell'editoria e della politica). In pratica anche in questo settore la flessibilizzazione e l'esternalizzazione delle mansioni hanno prodotto filiere che si mantengono su un groviglio di piccole imprese spesso costituite da un singolo lavoratore, diventato imprenditore di se stesso (Morini 1997: 271). Il lavoro giornalistico inevitabilmente cambiato: se da un lato non possibile tipizzare il nuovo giornalista dato che sul mercato del lavoro convivono casi differenti (assunti, giornalisti pagati a pezzo, giornalisti pagati a ore, service, cooperative etc.), dall'altro sono evidenti gli effetti che questo cambiamento ha prodotto nel lavoro di tutti. Innanzitutto, si assistito ad una riduzione delle figure lavorative a favore della concentrazione delle mansioni su pochi addetti che svolgono segmenti sempre pi ampi della produzione giornalistica e non. In secondo luogo la flessibilizzazione accettata (e subita) dai lavoratori esternalizzati incide sui lavoratori salariati (interni) che per mantenere la loro posizione devono dimostrare di possedere un simile livello di produttivit e capacit d'adattamento. In sostanza lavora di pi chi continua a stare all'interno del sistema che si trova a dover far fronte a nuove mansioni e a una moltiplicazione di richieste, collegata alla riduzione del numero degli addetti e degli investimenti e allo stesso tempo lavora di pi chi si trova all'esterno. Soprattutto per una questione di reddito, per la necessit di muoversi sulla base dell'imperativo della disponibilit, per la 17

rapidit dei tempi di consegna imposti dalla committenza (Morini 1997: 281). Non ci troviamo di fronte a una diminuzione della necessit di lavoro ma a una sua modificazione. Il lavoro organizzato su un continuum di urgenza a causa del quale si lavora di pi e si perde la distinzione completa tra tempo di vita e tempo di lavoro. La redazione giornalistica, il luogo di confronto, cooperazione, organizzazione del lavoro, perde sempre pi di senso e il lavoro svolto al di fuori di essa ormai intrecciato con attivit non lavorative quali: la cura degli affetti, il consumo, il tempo libero etc. A ci va aggiunto che l'informazione ormai un prodotto omologato, generato da poche fonti e rivenduto in diverse salse a pi clienti. ormai evidente come nel lavoro giornalistico atipico ci che fa la differenza, ci che crea quel valore aggiunto che giustifica il compenso, sono le capacit relazionali. Per il giornalista le capacit relazionali permettono di trovare e mantenere un lavoro, per l'editore le capacit relazionali dei giornalisti permetterebbero di innovare la produzione e il prodotto.
Quello che emerge con forza che un'impresa non innovativa per il solo fatto di investire in tecnologie avanzate. L'innovazione che merita di essere realmente incentivata quella che sviluppa il capitale cognitivo sociale, mentre, al contrario, l'industria culturale attuale penalizza gli apporti delle singole individualit e preferisce spostare una sorta si assurda collettivizzazione verso il basso dei saperi consentita delle tecnologie (Morini 1997:288).

Una parte consistente della riflessione di Morini si concentra proprio sulla perdita dell'identit professionale dei lavoratori dell'editoria, in particolare per i lavoratori della carta stampata. La riflessione su questo aspetto parte dalla registrazione di una (apparente) contraddizione: in un lavoro strutturato secondo il paradigma post-fordista come quello del giornalismo negli anni '90, vengono attuati meccanismi tipicamente fordisti come l'abbattimento dei tempi di produzione, il contenimento dei prezzi e l'aumento della produzione alle condizioni precedenti. evidente quanto queste scelte comportino una riduzione della qualit dell'informazione e quanto la precarizzazione del lavoro giornalistico porti alla 18

svalorizzazione della professione (Morini 1997: 291). Per chi ha scelto la strada del giornalismo come professione gli effetti di questa modificazione sono sostanziali: il ruolo del collaboratore massificato e lentamente privato dell'identit professionale a cui aspirava.
Si genera una sfasatura tra le aspettative del lavoro concreto, che si credeva direttamente collegato con un alto profilo professionale, con conseguente riconoscimento del proprio sapere e della propria specializzazione, e la realt a cui le forze intellettuali vengono piegate (Morini 1997: 284).

Questo studio svolto nella seconda met degli anni novanta, dimostra l'applicabilit della definizione di lavoro autonomo di seconda generazione al caso dell'editoria e mette in luce alcune modificazioni del lavoro che, come abbiamo gi detto (Cfr. cap. 2.1) incidono sull'idea del giornalismo come professione.

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3 La professione giornalistica in Italia


3.1 Storia della professione giornalistica in Italia, le istituzioni e le norme
La diffusione dei primi giornali in Italia avvenne in sostanziale sincronia con gli altri Paesi europei, a partire dal 1700 molte delle principali citt degli Stati italiani avevano una gazzetta locale. Inizialmente a svolgere il lavoro giornalistico erano scrittori, uomini di cultura e scienza, prestati all'informazione e alla divulgazione. Grazie alleco della rivoluzione francese e al periodo Napoleonico, si diffuse il giornalismo politico che affianc il giornalismo letterario dei periodici culturali o scientifici in circolazione. Dalla met del 1800, nonostante la diffusione dei giornali italiani rimanesse indietro rispetto a quella degli altri Stati europei, fior il dibattito sulla funzione educatrice e sociale del giornalismo. (Murialdi 2006) La vera svolta avvenne a fine secolo: nellItalia unita vennero alla luce i primi quotidiani moderni (per la maggior parte nati a Milano), aument il numero dei lettori e la distribuzione venne notevolmente migliorata. Il giornalismo divent una professione definita e svolta a tempo pieno. Nel primo 900 vi erano una decina di giornali collettivi (Murialdi 2006: 93), cos definiti perch realizzati da una nutrita e stabile redazione. Al critico letterario (spesso un collaboratore esterno) si affiancava un esercito di cronisti cittadini, di bianca, nera o giudiziaria, che svolgevano il mestiere strada per strada curando le proprie fonti. Nel 1908 nacque la Federazione Nazionale della Stampa, associazione che aveva come obbiettivo la tutela degli interessi della categoria dei giornalisti, che ereditava lesperienza di altre realt di associazionismo locale nate gi nei decenni precedenti (Tartaglia 2008). La FNSI fu il primo organo ufficiale del giornalismo italiano, per accedervi era necessario dimostrare di essere giornalisti professionisti, dimostrare cio l'esclusivit dell'esercizio dell'attivit giornalistica. I primi obbiettivi dellFNSI furono di carattere sindacale e riguardanti la clausola di coscienza. Nel giro di alcuni anni si deline la figura professionale e contrattuale del giornalista professionista. Un cambiamento sostanziale in merito all'organizzazione e svolgimento della 20

professione avvenne sotto il regime fascista. Dopo un escalation di minacce pi o meno esplicite da parte del Duce si giunse nel 1925 alla nuova Legge sulla Stampa che stringeva i giornali in una morsa liberticida. Col primo articolo si creava la figura del direttore responsabile del giornale (persona facilmente controllabile dal partito fascista) e allarticolo 7 veniva istituito lOrdine dei Giornalisti al quale era necessario essere iscritti per poter esercitare la professione in seguito ci si limiter ad istituire un Albo dei Giornalisti gestito dal sindacato fascista. Per essere iscritti allalbo era necessario ottenere dal prefetto un certificato di buona condotta politica. Limpianto teorico che sottendeva alla legge fascistissima era quel senso altissimo di responsabilit di cui aveva gi parlato Mussolini alla prima riunione dei giornalisti fascisti, e la prevalenza della libert dello Stato su quella del cittadino (Murialdi 2006: 136). Nel 1926 venne chiusa la Federazione Nazionale della Stampa, ma come contropartita venne aperto lInpgi Istituto Nazionale Previdenza dei Giornalisti. Come si detto lOrdine dei Giornalisti, bench istituito, non venne mai reso operativo, al suo posto nel 1928 fu creato un Albo. Dora in avanti per poter svolgere la professione era necessario essere iscritti ad uno dei tre elenchi dellAlbo: giornalisti professionisti, giornalisti praticanti, giornalisti pubblicisti. Liscrizione si otteneva dimostrando di possedere un regolare contratto con un quotidiano (successivamente con una radio o una televisione). La resistenza al regime da parte dei giornalisti italiani in esilio, e non solo, fu forte e fondamentale. Il 26 luglio 1943, il giorno dopo la destituzione di Mussolini dal Gran Consiglio del fascismo, fu rifondata la Federazione Nazionale della Stampa. Il programma della nuova associazione verteva su quattro punti fondamentali:
riunire in un'unica organizzazione tutti i giornalisti italiani non asserviti al fascismo, promuovere la restaurazione della libert di stampa, che nelle libere democrazie moderne fondamento e presidio di ogni libert e di ogni progresso civile, ricostituire le associazioni regionali, impedire che i giornalisti coinvolti con il fascismo corrotto e corruttore cerchino di sopravvivere comunque nei ranghi dell'autentico ed onorato giornalismo italiano (Tartaglia 2008).

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Nel 1946 ci fu il primo congresso della nuova FNSI, in cui si svolse un fertile dibattito. Nel 1948 la Costituzione della Repubblica Italiana sanc la libert di stampa con il fondamentale articolo 21, riguardante la libert di espressione e la specifica libert di stampa. L' 8 febbraio 1948 fu approvata la legge n. 47 (detta legge fondamentale sulla stampa) tuttora in vigore, che garantisce libert ai giornali, che per esistere devono essere semplicemente registrati presso il tribunale, prescrive l'obbligo del direttore responsabile, regolamenta il diritto di rettifica e il reato di diffamazione. In quell'occasione l'assemblea legislativa aveva discusso a lungo anche dell'opportunit di un Ordine dell'attivit professionale, proposta che suscit un'iniziale diffidenza per il richiamo al recente passato. Il fascismo era stato superato nei principi ma, come in molte altre istituzioni del Paese, la sua impronta burocratica persisteva ormai normalizzata. Si pensava che un Ordine che regolamentasse l'accesso alla professione fosse l'unico modo per salvaguardare il lavoro e l'integrit etica e deontologica dei giornalisti. Alla fine, la legge istitutiva dell'Ordine Nazionale dei Giornalisti fu approvata nel 1963: legge 3 febbraio 1963, n. 169.
ART. 1 ORDINE DEI GIORNALISTI istituito l'Ordine dei giornalisti. Ad esso appartengono i giornalisti professionisti e i pubblicisti, iscritti nei rispettivi elenchi dell'Albo. Sono professionisti coloro che esercitano in modo esclusivo e continuativo la professione di giornalista. Sono pubblicisti coloro che svolgono attivit giornalistica non occasionale e retribuita anche se esercitano altre professioni o impieghi. Le funzioni relative alla tenuta dell'Albo, e quelle relative alla disciplina degli iscritti, sono esercitate, per ciascuna regione o gruppo di regioni da determinarsi nel Regolamento, da un Consiglio dell'Ordine, secondo le norme della presente legge. Tanto gli Ordini regionali e interregionali, quanto l'Ordine nazionale, ciascuno nei limiti della propria competenza, sono persone giuridiche di diritto pubblico.

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La legge del '63

fornisce l'unica definizione ufficiale di giornalista

professionista: il professionista colui che svolge l'attivit giornalistica in modo esclusivo e a tempo pieno, deve essere dunque iscritto all'albo dei professionisti. inoltre istituito un albo dei pubblicisti ed alcuni albi speciali (tra cui quello dei praticanti). Per potersi iscrivere all'albo dei professionisti necessario avere la cittadinanza italiana, aver compiuto i 21 anni di et, aver superato l'esame d'idoneit professionale e non avere condanne penali che comportino l'interdizione dai pubblici uffici. Inoltre per essere ammessi all'esame di idoneit necessario aver svolto un periodo di praticantato di 18 mesi presso una redazione (praticantato contrattualizzato o riconosciuto d'ufficio ex post) o, in alternativa, aver svolto un corso biennale presso una scuola riconosciuta dall'Ordine (a cui, oggi, si pu accedere dopo aver conseguito un diploma di laurea triennale). Dal 2008 stata approvata dal Consiglio Nazionale dell'Ordine dei giornalisti una proposta di riforma della legge 69/1963, che prevedrebbe, tra le altre cose, irrigidimento dell'accesso alla professione attraverso l'indispensabile carriera universitaria. Dall'iscrizione all'Ordine derivano per i giornalisti una serie di diritti e doveri (art. 2) come il diritto alla libert di informazione e critica e l'obbligo al rispetto della verit sostanziale dei fatti e l'assoggettamento ai poteri disciplinari dell'Ordine. Infatti, l'Ordine ha il compito di regolare l'accesso alla professione e vigilare sul rispetto da parte degli iscritti delle norme di deontologia professionale. Le norme deontologiche e comportamentali sono raccolte in una serie di protocolli firmati dall'Ordine: la Carta informazione e pubblicit, la Carta di Treviso, la Carta dei doveri del giornalista, la Carta informazione e sondaggi, il Codice deontologico e la Carta dei doveri dell'informazione economica. I giornalisti che non rispettino le norme professionali incorrono in sanzioni disciplinari, che vanno dall'avvertimento alla radiazione dall'albo. L'ordine dei giornalisti funziona quindi come una sorta di tribunale a tutela dell'informazione e dei propri membri. Al fianco, e storicamente a supporto, dell'Ordine dei Giornalisti vi la 23

Federazione Nazionale della Stampa, che dal '43 ad oggi ha svolto un ruolo fondamentale nella definizione delle condizioni contrattuali della professione, difendendone i diritti sindacali di fronte alla Federazione Italiana Editori Giornali (nata nel 1950 dalla fusione dell'Associazione degli editori dell'alta Italia e l'Unione Nazionale Editori ). Il Contratto Nazionale di Lavoro Giornalistico il pi alto risultato di questa attivit. L'attuale Contratto Nazionale, firmato a Roma 26 marzo 2009 tra FNSI e FIEG rimarr in vigore fino al 2013. Il principi del Contratto Nazionale si trovano nel suo primo articolo e sono essenziali per delineare i contorni dell'attivit giornalistica propriamente detta. Innanzitutto l'accordo richiama, citandola, la legge n.69/1963. In questo modo viene espressa la funzione complessiva del Contratto stesso: regolare i rapporti economici tra giornalisti ed editori al fine di garantire la piena autonomia professionale e la salvaguardia della libert d'informazione e critica. In secondo luogo, l'art. 1 indica tre requisiti (due oggettivi e uno soggettivo) necessari per l'applicabilit del contratto stesso. Il primo requisito oggettivo la presenza di un'attivit di tipo giornalistica, che deve avere carattere di continuit e deve essere svolta sotto il vincolo della dipendenza. Il secondo requisito oggettivo che il datore di lavoro sia un editore. Infine il terzo requisito, quest'ultimo soggettivo, che il lavoratore sia un giornalista professionista (iscritto all'Albo) e al contempo subordinato. In sostanza il Contratto Nazionale si applica ai giornalisti professionisti, iscritti all'Albo, che svolgono un attivit giornalistica continuativa in condizione di subordinazione e alle dipendenze di un editore. fin da subito evidente che non tutte le attivit giornalistiche quotidianamente svolte da molti professionisti rientrano in questa definizione. Sono esclusi dalla regolamentazione del Contratto Nazionale tutti i giornalisti che conducono la professione in modo autonomo. Il principio di questa esclusione si basa sull'assunto secondo cui chi sceglie la strada dell'autonomia professionale abbia sufficiente potere contrattuale per ottenere un trattamento giusto e dignitoso. La stessa FNSI ha riconosciuto l'irrealt di questa considerazione e gi dal 1995 aveva posto il problema alla FIEG. Da quel confronto era nato nel 2001 l'Accordo sul lavoro autonomo, che 24

dovrebbe tutelare maggiormente questo segmento di mercato vincolando la remunerazione al principio costituzionale di proporzionalit della retribuzione del lavoro autonomo (art. 36 Cost.). Nei fatti per l'Accordo non ha funzione vincolante e non ha quindi prodotto effetti sostanziali (Chiuso&Borali 2010). importante ora fare una precisazione: il Contratto Nazionale, all'art.2 sancisce l'obbligo di applicazione della normativa anche al collaboratore fisso, che nonostante non abbia vincoli di presenza in redazione e di orario, comunque a tutti gli effetti un lavoratore dipendente. La professione giornalistica descritta attraverso queste norme appare molto simile a quella descritta da Talcott Parsons nel 1939: per accedervi richiesta una competenza specifica che si dovrebbe acquisire nei due anni di praticantato o alla scuola di giornalismo, il giornalista agire con spirito di servizio nei confronti dell'informazione e sar responsabile delle sue azioni di fronte all'Ordine dei Giornalisti. Infine il Contratto Nazionale assicura ai giornalisti dipendenti la stabilit economica e le libert necessarie per svolgere al meglio la propria professione. A questo punto per sorge spontanea una domanda: il lavoro giornalistico nei fatti rispecchia il ritratto che ne danno norme e accordi?

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3.2 La professione nei fatti e nei numeri


Nonostante l'accesso alla professione sia mediato da norme, condizioni e per i professionisti anche un test d'idoneit, in Italia attualmente vi sono pi di 110.000 giornalisti iscritti agli albi professionali, per l'esattezza 23.044 professionisti , 1.610 praticanti 63.331 pubblicisti (dati forniti dall'Ordine dei Giornalisti, dati aggiornati al 30/09/2010). Si tratta di una cifra enorme che, considerando il trend degli ultimi anni, destinata ad aumentare. Prendendo ad esempio il solo Albo dei professionisti ogni anno si iscrivono all'esame di Stato mille e pi persone e 700800 di loro supereranno la prova, mentre sull'altro fronte 300 professionisti all'anno vanno in pensione (Voltolina 2010). In sostanza, per ogni posto che si libera accedono alla professione pi di due persone. Abbiamo gi visto quali sono le condizioni necessarie per poter diventare giornalista professionista: 21 anni, cittadinanza, praticantato, test d'idoneit. Ma quanto costa intraprendere questa strada? Il contratto di praticantato ormai un miraggio per quasi tutti coloro che intraprendono questa carriera, infatti solo il 10% di coloro che accedono all'esame d'idoneit ha svolto un regolare praticantato presso una redazione. Il 70% degli aspiranti giornalisti accede al test attraverso il praticantato d'ufficio, cio il praticantato riconosciuto ex post dall'Ordine. La Repubblica degli Stagisti ha ribattezzato questa possibilit praticantato di serie C in quanto appare evidente che non si difronte ad un percorso di formazione strutturato e finalizzato all'inserimento professionale come il concetto originario di praticantato pretenderebbe. La conoscenza tecnica specifica sar comunque garantita? Tornando ai dati, il restante 20% dei candidati accede all'esame dopo aver frequentato una scuola di giornalismo. questa l'unica strada possibile per coloro che non abbiano una rete di relazioni che gli permetta di accedere direttamente ad una redazione. Attualmente in Italia vi sono 16 scuole di giornalismo riconosciute dall'Ordine. In tutte il percorso formativo ha durata biennale a frequenza obbligatoria, vi si accede dopo aver conseguito una laurea di I livello e superando una selezione. I costi d'iscrizione variano da scuola a scuola, ma sono paragonabili ad un master universitario. Prendendo il caso delle quattro 26

scuole milanesi (Master Biennale in Giornalismo Universit Cattolica Sacro Cuore, Master Biennale della Scuola di Giornalismo dell'Universit degli Studi di Milano, Master Biennale di Giornalismo Universit IULM, Master Biennale della Scuola di Giornalismo Walter Tobagi dell'Universit degli Studi di Milano) il costo medio di 10.875 euro, a cui si potrebbero aggiungere le spese di trasferimento per gli studenti che abitano fuori zona. L'accesso tramite scuola di giornalismo dunque una strada ad accesso economico ed evidente che non tutti possano intraprenderla. In conclusione chi decide di accedere a questa professione costretto a fare un investimento iniziale notevole. Tornando al numero dei giornalisti in Italia, di per s l'allargamento degli iscritti all'Ordine non costituisce n un problema n una stranezza, l'elemento che pone qualche criticit lo stato di salute della stampa Italiana negli ultimi anni. Nel 2009 il settore dell'editoria ha affrontato un periodo di fortissima crisi, caratterizzato da una flessione negativa dei ricavi su quotidiani e periodici intorno al 14,3%, causata della diminuzione degli introiti pubblicitari (fattore che ha colpito soprattutto i media pi tradizionali) e il calo delle vendite. Nel 2010 per recuperare parte delle perdite una delle strategie di compensazione attuate dagli editori stato il contenimento dei costi, primo tra tutti il costo del personale (che nei quotidiani si abbassato del 9,5%). Molti gruppi editoriali hanno dichiarato lo stato di crisi, bloccato le assunzioni e ogni altra forma d'inserimento, compresi gli stage delle scuole di giornalismo. L'unico settore che ha osservato un trend positivo stato quello dell'informazione on line (per lo pi gratuita): il numero degli utenti cresciuto del 37%. Riassumendo con le parole usate dalla FIEG nella relazione sulla Stampa in Italia 2008-2010:
I problemi chiave con i quali deve confrontarsi leditoria giornalistica sono sostanzialmente legati ad un mercato che non si espande sufficientemente nelle sue due tradizionali componenti vendite delle copie e di spazi pubblicitari ed

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allesigenza di individuare nuove linee di crescita dei ricavi.

In questo contesto il lavoro autonomo diventa una prospettiva molto conveniente per gli editori, che non devono applicare le condizioni del Contratto Nazionale e vedono nelle esternalizzazioni una strategia di riduzione dei costi, e l'unica via percorribile per i tanti giornalisti che tentano di sopravvivere in un mercato del lavoro fortemente bloccato. Come abbiamo gi visto non vi sono contratti o accordi nazionali che regolamentino il lavoro giornalistico autonomo e, allo stesso modo, non ci sono valori ufficiali sulla dimensione di questo segmento di mercato. Quali solo le reali condizioni del lavoro autonomo giornalistico in Italia? Da uno studio dal titolo Professionisti: a quali condizioni pubblicato nell'aprile 2011 dall'Istituto Ricerche Economiche e Sociali emergono dei dati interessanti anche per quanto riguarda la professione giornalistica. Rispetto alla competenza tecnica e il contenuto del proprio lavoro, il 26,9% degli intervistati dichiara di essere costretto a svolgere spesso o quasi sempre compiti che non hanno a che vedere con la propria professione. Inoltre il 63% degli intervistati sostiene di aver scelto il lavoro autonomo Perch l'unico modo di lavorare in questo mercato e non per libera scelta. I giornalisti autonomi lavorano una media di 8,4 ore al giorno per circa 9,5 mesi l'anno, chiaramente alternando lavoro e brevi periodi di disoccupazione. Il 49,6% degli intervistati fa molta fatica a conciliare i tempi di lavoro con i carichi famigliari. Il 59,6% dei giornalisti autonomi nel 2009 ha percepito meno di 15000 euro lordi e il 72,2% dichiara di avere una possibilit
pessima o insufficiente di riuscire a contrattare le proprie condizioni di lavoro. In sostanza l'autonomia dei giornalisti indietreggia rispetto allo strapotere dei committenti. Per finire, nonostante siano avvertiti alcuni vantaggi rispetto alle condizioni dei colleghi dipendenti (pi autonomia e orario pi flessibile) la percezione degli svantaggi molto elevata: i giornalisti autonomi ritengono di avere minori tutele, un peggiore trattamento economico, pi oneri fiscali e un minore riconoscimento professionale. A questo punto, confrontando questi dati con il paradigma teorico presentato nel

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primo capitolo, possiamo concludere con sicurezza che i cambiamenti avvenuti nel lavoro giornalistico hanno fortemente eroso uno dei quattro pilastri su cui si reggeva la professione: l'autonomia. Inoltre, in base alle tesi sul lavoro autonomo di seconda generazione (Cfr. Cap. 2.1) possibile ipotizzare che anche la competenza tecnica e la responsabilit fiduciaria siano state danneggiate o modificate. Per verificare queste ipotesi si condotta la ricerca empirica che sar esposta nel prossimo capitolo.

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4 Caso studio
4.1 Premesse metodologiche
La ricerca qualitativa alla base di questo elaborato stata svolta coinvolgendo giovani giornalisti professionisti di Milano. Pi specificatamente si deciso di intervistare 9 persone di et compresa tra i 22 e i 30 anni che avessero scelto il giornalismo come professione. Per essere sicuri che i soggetti individuati avessero scelto consciamente questa strada si ritenuto opportuno limitare il campione a persone che avessero frequentato (o stessero frequentando) una scuola di giornalismo riconosciuta dall'Ordine dei Giornalisti: infatti evidente che questa via d'accesso alla professione richiede un investimento e una determinazione sufficienti a dimostrare la volont di una scelta cos importante. Coerentemente, il limite inferiore della fascia d'et scelta stato posto in relazione al fatto che per poter accedere ad una scuola di giornalismo necessario aver conseguito almeno una laurea di primo livello, che richiede un periodo di formazione di 3 anni. Il limite superiore invece, 30 anni, stato individuato nell'ottica di creare un campione generazionale. La ricerca stata svolta a Milano. Gli intervistati sono giovani che hanno intrapreso la carriera giornalistica tramite l'iscrizione a una della quattro scuole di giornalismo della citt. Individuati limiti del campione si cercato di garantire una certa completezza dei risultati prestando attenzione alla distribuzione all'interno della fascia d'et e cercando di individuare persone con percorsi lavorativi differenti l'una dall'altra. Due intervistati stanno attualmente frequentando una scuola di giornalismo, sono dunque praticanti e aspiranti professionisti, quattro sono giornalisti professionisti da 1-2 anni e tre da pi di 3 anni. Gli intervistati sono stati contattati attingendo inizialmente alle conoscenze personali e successivamente attraverso i network degli stessi intervistati. L'indagine si svolta attraverso interviste semi-strutturate che avevano come obbiettivo quello di comprendere che cosa significhi oggi scegliere il giornalismo 30

come professione. Le interviste, della durata massima di due ore, sono state condotte seguendo una traccia che ripercorreva la carriera professionale dalle prime esperienze alle prospettive future di breve termine (Cfr. Appendice 1). Le interviste sono state fatte nell'arco di due mesi e sicuramente le risposte emerse nelle prime tre hanno influenzato le tracce sulle quali si sono strutturate le altre. In sostanza si ristretto il campo d'indagine a quegli aspetti che si ritenevano pi significativi ed interessanti. Il lavoro di raccolta delle informazioni ha permesso di acquisire molto materiale da cui emergono infiniti spunti d'approfondimento che, per ragioni di spazio, non sono stati trattati in questa sede e che meriterebbero un'analisi pi approfondita in futuro.

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4.2 Quando e perch hai scelto questa professione?


Tutte le interviste si sono aperte con la domanda: ti ricordi quando hai scelto di fare il giornalista? Si sono registrate due tipi di risposte. La maggior parte dei giornalisti dichiara di aver vissuto una sorta di colpo di fulmine durante l'adolescenza, leggendo un libro, un articolo di giornale o semplicemente perch amava scrivere. Qualcun altro invece dichiara di non aver mai compiuto una vera e propria scelta: la professione arrivata da s, spontaneamente, come logica conseguenza delle inclinazioni personali. Il comune denominatore di queste risposte l'idea che la professione giornalistica sia una cosa che ti senti dentro, qualcosa di te che puoi esprimere anche nel lavoro. Tutti ammettono che da ragazzi avevano un'idea molto romantica della professione, possedevano la raffigurazione di un'idea che tratta da film, libri e racconti.
Ho deciso che nella vita avrei fatto la giornalista quando andavo al liceo con il giornalino della scuola, verso i 17 anni. Mi piaceva il giornalismo per il fatto di poter raccontare storie, sai come nei film: le relazioni, la vita caotica Avevo unidea da ragazzina del lavoro da giornalista. Allora pensavo che ad un giornalista servisse saper scrivere, io adoravo scrivere. Credevo che fare il giornalista fosse saper scrivere e voler scrivere. [1] La mia professione venuta naturalmente, ho studiato scienze della comunicazione e poi ho fatto la scuola di giornalismo. [] Ci che mi appassionava della carriera giornalistica era lidea di scrivere, io ho sempre pensato di lavorare scrivendo, ma dato che fare lo scrittore mi sembrava una carriera meno praticabile ho deciso di fare il giornalista. E poi cera anche unidea romantica dietro. [2] La decisione definitiva l'ho presa a 17 anni. Ne avevo un'idea ideale, il giornalista uno che va in giro, incontra le persone, racconta.. Il giornalista una persona che guarda il mondo e lo racconta a milioni di persone. Quando ho deciso che avrei fatto questo lavoro ne avevo un'idea idealistica, romantica. [3] Un parente per aiutarmi a superare un grosso periodo di crisi mi ha detto: ma ti ricordi che da piccolo scrivevi bene e dicevi che volevi fare il giornalista? Iscriviti ai test delle scuole di giornalismo!. L'ho fatto, stato orribile, pensavo

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di aver fatto schifo... Insomma ho fatto il test senza interesse. [] Se non avessi passato il test non ho la minima idea di cosa avrei fatto. Ma la sicurezza della mia strada arrivata con la prima esperienza lavorativa. Il mio primo stage stato prosso un importante quotidiano nazionale. Ed stato un grande amore, proprio un grande amore! [4] Ho deciso di fare la giornalista alle elementari! S proprio cos, ho letto un libro che parlava della storia di una ragazza che indagava sulle vite delle persone... e insomma io volevo fare quello e il modo migliore per farlo era fare la giornalista! [5] Io ho deciso alle medie, leggevo il giornale, ho iniziato a leggere una raccolta di articoli di Montanelli, e mi piaciuta l'idea di poter fare questo lavoro. Mi ispirava il lavoro del giornalista, come quando un dice vorrei far la ballerina, io volevo fare la giornalista, anche per l'idea romanzata del mestiere. [6] Quando ho scelto questo lavoro, ho fatto anche una scelta valoriale. Io ritenevo consono al il mio carattere, alle mie inclinazioni. Quindi allineato a tutta una serie di valori che io avrei seguito con piacere e con una certa inclinazione. [7] Non so se ho fatto una scelta, non mi vedevo in banca, non mi vedevo ingegnere, non avvocato, non commercialista io mi vedo giornalista, questo quello che amo fare, sono i miei interessi, io mi rifletto nella professione per quello che sono. [8]

Proseguendo nelle interviste risulta per tutti evidente che la professione nei fatti non cos romantica come se l'aspettavano, ma la motivazione e l'attaccamento a quell'idea passionale del giornalismo non sembra diminuire. Soprattutto tra le femmine c' chi si da delle scadenze: termini entro cui cercare di raggiungere e verificare i propri obbiettivi. Ma in generale nessuno ha concretamente studiato un piano B una reale alternativa alla propria professione.
Posso dirti che la professione giornalistica non come me la immaginavo, mi immaginavo di andare in giro, cercare notizie molto meno di questo. Per io voglio sperare che le cose cambino. Da quello che ho capito questa situazione cos adesso. Io voglio sperare che sia solo un momento di crisi, e che un domani la professione torni ad essere quello che pensavo che fosse. Io continua a crederci.[1]

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Io adesso voglio fare il giornalista perch divertente, perch lo so fare, si adatta bene a quello che sono oggi, e perch si adatta bene alle mie caratteristiche, soprattutto alimenta la mia curiosit. Non ho motivo per voler cambiare strada. [4]

Indagando invece il perch si scelga di fare i giornalisti, quali siano le motivazioni importanti che portano a impegnarsi in questa professione a tempo pieno e in modo esclusivo, sono emersi risultati quasi inaspettati. Infatti solo tre persone hanno dichiarato essere spinte dallo spirito di servizio che il diritto all'informazione richiede, chi ha dato questa risposta svolge il proprio lavoro credendo nell'importanza dell'informazione e nella funzione sociale e politica del giornalismo. Le rimanenti sei persone hanno invece addotto motivazioni pi emozionali, pi legate all'espressione delle proprie inclinazioni e alla realizzazione di s. Nessuno degli intervistati si soffermato su ragioni di carattere economico, dato che nessuno immagina di potersi arricchire o avere una posizione stabile a breve-medio termine.
La mia scelta stata da sempre lavorare in una struttura che stimo, dove si faccia informazione e dove io possa crescere. importante ci di cui parlo e, altrettanto, la testata per cui lavoro. Per me sono pi importanti queste cose rispetto ai soldi, o almeno lo sono nella maggior parte dei casi. [7] Chiariamo: non ho nessuna capacit filantropica, non faccio giornalismo perch una cosa utile, non lo faccio per l'informazione in se. L'ethos del giornalismo non mi piace, mi sembra ipocrita, non credo che si faccia per gli altri o per una missione filantropica, credo che dietro a questa passione ci sia in realt una grande vanit... e non ammetterlo non va bene. [4]

Un'importante riflessione conclusiva va fatta sul linguaggio usato dai giovani giornalisti per parlare della propria professione. Tutti gli intervistati hanno usato molti vocaboli attinenti alla sfera emozionale, in particolare ricorrono parole come: amore, sentimento, passione, fiducia, credere, odiare, frustrazione, consolare, piacere.

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4.3 Cosa hai fatto per intraprendere questo percorso?


Tutti gli intervistati hanno investito molto per poter diventare giornalisti. Innanzitutto, hanno seguito una carriera di studi precisa, in materie sociali e umanistiche, che si conclusa con un master biennale in giornalismo riconosciuto dall'Ordine dei giornalisti. In secondo luogo, otto persone su nove hanno iniziato le prime esperienze lavorative gi durante gli studi. Molti di loro avrebbero preferito accedere alla professione attraverso un praticantato in redazione, strada che dopo le prime esperienze apparsa impercorribile.
Tutti mi hanno sempre detto che era dura, che la professione era in crisi... ma io mi sono sempre detta che ero brava. Che avrebbe rinunciato qualcun altro al posto mio. Ho investito tanto in questa scelta. Gi a 17 anni ho iniziato a mandare i curriculum. Poi per caso ho conosciuto un giornalista e tramite lui sono entrata come collaboratrice in un giornale locale. Poi all'universit ho fatto lo stage in un giornale. Poi da l ho continuato a lavorare. Pensavo che se volevo fare la giornalista era necessario iniziare subito. Sapevo che c'era una lunga gavetta, quindi dovevo iniziare subito. Inoltre io avevo visto fin da subito le scuole di giornalismo e ho fatto in modo di prepararmi in tutti i 3 anni di universit per poter entrare in una scuola: ho fatto tutti i corsi e seminari sul giornalismo che c'erano, sono stata all'estero per 9 mesi per l'inglese. Sapevo di essere la pi giovane, volevo cercare di avere comunque qualche carta in pi.[3] Io ho investito molto per diventare una giornalista. In primo luogo si tratta di un grande compromesso economico. La scuola di giornalismo una strada ad accesso economico, nel senso che non possono farla tutti. Inoltre se non sei di Milano/Roma devi sostenere anche le spese di un trasferimento. Oltretutto nei due anni della scuola hai la frequenza a tempo pieno e dunque quasi impossibile lavorare se non piccole collaborazioni che non ti permettono di certo di mantenerti. Quindi un compromesso importante. Certo si pu dire: beh come fare un master. Vero. Ma bisogna valutarlo. Soprattutto per tutti coloro che scelgono di fare la scuola di giornalismo come ultima chance prima di mollare questo lavoro. Un altro compromesso per me stato dover lasciare la mia terra, la mia famiglia. E un altro compromesso sapere che ora per qualche anno non posso andare via da Milano, perch qui ho le maggiori prospettive ora. E per me

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questo un grosso compromesso, perch se fosse per me non starei qui, in questa citt. E poi, si trattato anche di un grosso compromesso in serenit e salute fisica. Lo sforzo, il lavoro, le poche ore di sonno, questi anni li ho sentiti pesanti. Per ora per raggiungere il mio obbiettivo so di dover fare questi compromessi.[7] Per fare il giornalista a tutti gli effetti per ho dovuto fare tantissimo. Mi sono dovuto riscrivere, totalmente. L'investimento stato tutto interno, una riprogrammazione di valori obbiettivi stili di vita. Io prima ero uno che cercava scorciatoie, che non voleva faticare. Facendo il giornalista ho imparato che molto importante amare ci che fai e dove lo fai. [4]

Si pu concludere quindi che chi sceglie di intraprendere questa carriera professionale deve affrontare un grosso investimento iniziale, non solo economico economico. Il livello di determinazione in chi decide di diventare giornalista professionista dunque molto elevato.

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4.4 Quali sono le capacit richieste per svolgere al meglio questo lavoro?
Una delle cose pi inaspettate che sono emerse dalle interviste riguarda le capacit richieste al giornalista professionista. Nonostante tutti gli intervistati abbiano dedicato molto del loro tempo alla formazione, la scrittura, le lingue straniere, gli studi sociali, nessuno di loro ha posto le conoscenze specifiche classiche del giornalismo come un elemento essenziale per svolgere questa professione. Gli intervistati ritengono di aver bisogno di altri tipi di conoscenze. Per prima cosa, risultano essere fondamentali le capacit personali e caratteriali: spigliatezza, curiosit, saper ascoltare, fiducia, creativit. Tutti gli intervistati sono coscienti che con questi strumenti si crea il vero valore aggiunto della loro prestazione. Chi possiede e allena queste doti avr maggior successo di chi sa scrivere bene o sa verificare pi attentamente le fonti. In secondo luogo, tutti hanno sottolineato l'importanza di saper padroneggiare i mezzi tecnici, un tempo strumenti degli operatori, montatori e grafici, come telecamere, software specifici, strumenti di web editing. Infine necessario affinare quelle capacit d'adattamento e disponibilit alla flessibilit proprie delle prime esperienze lavorative, capacit che da tattiche di sopravvivenza potrebbero diventare utili strategie per trovare e mantenere il lavoro.
Una delle cose fondamentali per lavorare da giornalista free lance, secondo me guadagnarsi la fiducia da parte della redazione, perch se non si fidano di te, non si fidano del tuo lavoro non ti richiameranno mai. Quindi devi essere, s in grado di proporre, ma devi essere anche in grado di guadagnarti la loro fiducia.[9] Le cose tecniche, la lingua straniera, saper scrivere un pezzo, queste cose sapevo farle. Ho dovuto sviluppare pi caratteristiche relazionali, che secondo me sono una parte fondamentale del lavoro del giornalista. Giornalista diverso da scrivere bene, ma devi mettere in gioco tante caratteristiche personali. Sapersi relazionale, fondamentale saper ascoltare, avere senso critico, spigliatezza. Insomma, solo una piccola parte dellessere giornalista la scrittura, anche

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perch se no uno farebbe lo scrittore. Anche il fatto di essere svegli. Cio se tu sei sveglio e scrivi un po malino non ti preoccupare che fai pezzo di apertura molto prima magari di uno che scrive da dio e per non coglie magari qual la notizia, cos la cosa da mettere in apertura, cos la cosa che ti pu titolare il pezzo. [7] Io per essere un bravo freelance devo essere iper-flessibile, devo sapere adattarmi a tutto, ma allo stesso tempo quando mi propongo devo propormi per competenze specifiche. Devo sapermi rappresentare. [7]

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4.5 Il lavoro nei fatti e le prospettive


Su nove persone intervistate otto non sono contrattualizzate presso un editore. L'unica giornalista dipendente ha ottenuto il contratto attraverso il superamento di un concorso pubblico, prima di quest'occasione lavorava come freelance o stagista. I giornali, le televisioni, le agenzie aggirano i contratti proponendo ai giornalisti rapporti di lavoro autonomo (freelance), stage a volte non retribuiti o condizioni di lavoro abusivo. In sostanza la quasi totalit degli intervistati non pu godere delle condizioni lavorative assicurate dal Contratto Nazionale, sia per quanto concerne le mansioni svolte che per la remunerazione. Ogni giornalista ha un percorso e una storia lavorativa diversa dall'altro, ma nelle interviste si ritrovano alcune caratteristiche che potremmo definire costanti della professione giornalistica nel 2011, caratteristiche ormai accettate dagli stessi giornalisti. La prima costante del lavoro giornalistico che si svolgono sempre pi compiti non giornalistici. Sei intervistati hanno svolto o svolgono con continuit lavori non giornalistici che contribuiscono almeno al 50% delle loro entrate economiche. Da un lato sono gli stessi lavoratori a valutare la possibilit di svolgere lavori diversi, cessando quindi di essere giornalisti a tempo pieno, nonostante siano professionisti iscritti all'Albo. Dall'altro il lavoro giornalistico in s cambiato: include oggi attivit nuove come il montaggio video e l'impaginazione, un tempo affidate ai tecnici e ai grafici. E ancora, la stessa condizione di lavoratore autonomo che obbliga i giornalisti a preoccuparsi di aspetti legati all'amministrazione, l'organizzazione e la pianificazione del lavoro.
Non escludo di fare anche un secondo lavoro. Non il pizzaiolo, ma altri lavori come ufficio stampa, copy per la pubblicit. Se avessi lopportunit credo che non esiterei a farlo. Non so se posso, parlo delle norme dellOrdine, se posso ufficialmente fare anche un secondo lavoro. Ma io lo farei. [2] Io ora non mi sento un giornalista in esclusiva, mi sento un giornalistaimprenditore. Secondo me questo tipo di lavoro pu capitare a chi sceglie di fare il giornalista. Anche se non proprio un lavoro giornalistico c' bisogno di un

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giornalista dietro. Per la flessibilit mentale, la capacit di cogliere... Anche se l'obbiettivo non l'informazione necessario che lo facciano i giornalisti. Questa una contraddizione, ma fa parte delle cose. [4] E per il resto abbiamo imparato a fare tutto da noi: amministrazione, buste paga, turni, commercialista, telefono, contratti, gestione. Noi non siamo pi solo giornalisti abbiamo dovuto mettere in campo tutta una serie di altre cose non fanno esattamente parte del nostro lavoro, anche se in realt abbiamo imparato tante cose importanti. [7] L [testata giornalistica di una televisione nazionale] lattivit assegnata agli stagisti il sommario, cio il montaggio del sommario. L infatti montano i giornalisti, senza montatore. Di base facevamo questo. [1]

La seconda caratteristica comune a tutte le esperienze raccolte la dilatazione della giornata lavorativa. La giornata lavorativa oscilla per tutti tra le 10 e le 12 ore e il lavoro pu occupare anche il week end, le sere e i giorni festivi.
Il collaboratore deve essere assolutamente disponibile, anche alle 9 di sera deve essere in grado di scrivere 5000 battute... deve riuscire a dare meno problemi possibili alla redazione, perch la redazione si rivolge e continua a rivolgersi al collaboratore perch ha fiducia nel fatto che lui porti a termine il lavoro [9] Io lavoro 11-12 ore al giorno. Con una pausa pranzo, poi i turni dipendono dalle conferenze stampa... Il tuo lavoro teoricamente continuo, il tuo lavoro teoricamente pu avvenire in qualsiasi momento della tua giornata [] Si presume che se tu vuoi fare questo lavoro e non hai un contratto il 16 agosto lavori, lavori il 25 dicembre come freelance, se va bene pagato pochissimo, ma devi immolarti. Perch si presume che tu ti immoli. Tanto se non ti immoli tu si immola un altro, quindi meglio che ti immoli tu. [6]

Inoltre, al tempo dedicato al lavoro non corrisponde una congrua remunerazione. Infatti come freelance si viene pagati per i pezzi effettivamente pubblicati non per i pezzi prodotti o per il tempo dedicato alla loro realizzazione. In generale si pu dire che il lavoro giornalistico sia attualmente mal pagato, tanto che nessuno degli intervistati senza contratto riesce a mantenersi solo con quelle entrate.
I lati negativi della situazione da freelance sono economici, assolutamente

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economici. Io lavoro molto, 12 ore al giorno anche. Lavoro tanto e guadagno pochissimo. Lavorare cos tanto e guadagnare cos poco frustrante. [2] Io vengo pagata anche abbastanza bene 40-50 euro al pezzo lorde, quelli che vengono pagati oggettivamente molto poco sono i collaboratori che lavorano sul locale 10-20 euro al pezzo lorde. Nel mio caso anche pubblicandone 8-9-10 al mese porti a casa 300-350 euro netti con un carico di lavoro che di 3 giorni a settimana [produttivi]. Ovviamente avendo altro con cui integrare... se vivi solo di questo... non puoi vivere solo di questo, ovvio. [9] Io sono pagata intorno ai 450-500 euro al mese, che non poco. Cio poco, ma non poco se ti guardi intorno. Ad esempio, parlavo con una ragazza che ha un contratto in una grossa emittente tv nazionale, beh lei prendeva 500 euro al mese, e quella una struttura assolutamente non paragonabile al giornale di cronaca locale per cui lavoro io, sia per dimensioni che introiti pubblicitari. Io direi che nel mio giornale mi pagano una cifra decorosa. [6]

La quarta caratteristica riscontrabile una diretta conseguenza delle precedenti: un forte senso di rischio e insicurezza rispetto al proprio lavoro attuale e futuro. Spesso questi sentimenti sono apparentemente celati da strategie e obbiettivi chiari, ma emergono tra le righe di tutte le interviste.

Mi piacerebbe avere un portafoglio pi ampio di collaborazioni, mi piacerebbe essere meno dipendente da una sola testata. Sai per un freelance una cosa importante. Se un giorno, al periodico per cui lavoro non sono pi simpatico diventa un problema, loro mi hanno per le palle. Un giornalista freelance che ha una sola collaborazione in una posizione scomoda. [4] Ho finito da poco il mio stage. E sto aspettando una telefonata. Perch loro mi hanno parlato -spero che mantengano- la promessa di un contratto per una sostituzione estiva di 3 mesi. Non mi hanno in realt detto i dettagli. Mi hanno detto tieniti libera, riposati ora che poi dovrai lavorare tutta lestate e dovrai saltare i giorni di riposo. Io spero mantengano la promessa. [1] Il mio vero problema questo: io non ho davanti una prospettiva per cui non so che se collaboro X anni, poi mi fanno il contratto. Potrebbero farmelo come non farmelo. Potrebbero farmi un contratto a tempo indeterminato domani, come

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andare avanti 10 anni e non avere mai un contratto nemmeno di due mesi su una collaborazione estiva.. Il problema proprio questo: tu non lo puoi sapere. [6]

Come si detto ogni intervistato ha vissuto esperienze diverse in termini di contesti, modalit, tempi, occasioni... Ma tenendo presente queste caratteristiche costanti della professione giornalistica attuale e osservando il modo in cui i soggetti affrontano e organizzano la loro carriera si possono individuare alcune tipologie di nuovi giornalisti professionisti. Innanzitutto, gli intervistati si possono dividere in freelance per scelta e aspiranti dipendente. Questa tipologia evidentemente dedotta delle due strade percorribili per uscire dalla precariet stagnante degli stage. Il freelance per scelta si auto definisce imprenditore di se stesso, rifiuta l'idea del giornalista tradizionale in redazione e aspira ad esprimere le proprie capacit in totale autonomia. Il freelance per scelta sa che data la situazione economica attuale non pu aspirare ad un contratto ed intende sfruttare questa occasione a suo favore. Per i freelance per scelta gli aspetti positivi del lavoro autonomo autonomia, nessuna gerarchia, tempi flessibili, libert sui contenuti - sono pi importanti degli aspetti negativi, che si dovrebbero risolvere col tempo.
Da un punto di vista di come vorresti lavorare ti dico: freelance tutta la vita! Non c niente di pi bello che essere il capo di te stesso e scrivere da te le tue storie, da un altro punto di vista il fatto di non avere molte certezze economiche un punto negativo. Quello che voglio cercare di fare trovare un equilibrio tra le 2 cose. Si tratta di un obbiettivo di medio termine. Lavorare con alcune certezze e tanta autonomia. Credo nella possibilit di realizzare questo obbiettivo, se non ci credessi non stare qui. Ma chiariamo, come lavoratore dipendente mi ci vedo solo per brevi periodi, dipendente-dipendente non mi ci vedo. [8] Penso che non vorrei mai lavorare in redazione, fisso sempre sugli stessi argomenti Io mi auguro di fare il freelance non solo perch sono obbligato a farlo ma anche perch io voglio farlo! Io non ho un capo, questo eccezionale![2] Non vorrei mai essere assunto dal periodico per cui lavoro come collaboratore,

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una cosa che non potrei rifiutare ma che mi terrorizza! [4] ...cio magari uno riceve una proposta dall'economia del Sole24ore, s ok, un buon contratto... ma per.. come fai? Dopo che ti sei abituato a lavorare per conto tu, a poter scegliere, poter dire i s e poter dire i no, a metterci la tua scelta. Come fai a ritrovarti in una struttura grossa e gerarchizzata, non cos facile. Alcuni colleghi che hanno ottenuto dei contratti in Rai addirittura invidiano la nostra situazione, il nostro modo di lavorare. [9]

Gli aspiranti dipendenti invece sognano di ottenere un contratto di lavoro classico o comunque sperano di stabilizzarsi in un ambiente lavorativo con delle certezze. Per gli aspiranti dipendenti i contro del lavoro da freelance sono tali da giustificarne il rifiuto. Per dato che la crisi evidente, anche loro sanno che non sar facile ottenere un contratto di lavoro, tanto che non hanno una strategia precisa per raggiungere il loro obbiettivo e spesso vivono una situazione di forte insicurezza.
Pro e contro dell'essere freelance: non hai orari , che per me per un contro perch preferire essere pi inquadrata. Un altro contro che lavori sempre nei week end, dato che in redazione c' meno gente e quindi pi facile che si contattino i collaboratori. Un contro anche non essere stabilissimo, perch nonostante ci sia un rapporto stabile, basato sulla fiducia, sulla conoscenza, non c' niente di contrattualizzato... e pu andare come non andare. Se tu avessi un contratto in cui si stabilisce che tu scrivi minimo 20 articoli al mese, sapresti che, comunque vada, tu scriverai i tuoi 20 articoli. I pro sono: la maggiore libert, la possibilit di poterti proporre ad altre testate e cercare anche altrove. Per una cosa che un pro in linea teorica, in linea pratica effettivamente difficile, perch purtroppo il mercato oggi talmente saturo che difficile riuscire a trovare altro. [9] Secondo me come freelance non sar mai pagata per tutto il mio lavoro. Ne parlavo una volta con un ragazzo che era da 4 anni e mezzo freelance puro e ogni anno non riceveva il contratto che si aspettava perch ogni anno lo facevano ad un altro e non a lui. Onestamente io non so come facesse. Ma anche altri miei colleghi. Onestamente non so come facciano, io non credo di potercela fare. [] Nel resto dell'universo mondo un freelance come il giornalista

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freelance non esiste, non c' questa distorsione totale in altre professioni! [6]

Un ulteriore riflessione va fatta per il freelance per scelta. All'interno di questa categoria, che conta cinque intervistati, possibile individuare un sottogruppo di due persone che aspirano ad un futuro lavorativo autonomo ma inserito all'interno di una rete-cooperativa di persone a cui affidarsi, con cui aumentare il proprio potere contrattuale e grazie alla quale migliorare la loro condizione di freelance puri.
Se il lavoro da freelance funzionasse bene sarebbe vantaggioso per me e gli editori. [] Pian pianino dato il mio numero di collaborazioni dovrei avere sempre pi potere contrattuale, cosa che ora non ho. Ora quando mi propongo accetto la proposta che arriva dalleditore. Per credo anche che le cose non cambieranno mai se sar da solo, da solo cosa posso cambiare gran ch. [2] Io non farei mai il freelance puro, rispetto alla cooperativa intendo. Il lavoro non sarebbe diverso, ma non hai forza contrattuale e non hai la forza della rete. Il gruppo fondamentale. Ho dei colleghi che hanno deciso di fare i freelance puri ma dura. Il gruppo un bel valore aggiunto. [7]

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4.6 Ordine e identit professionale, io sono speciale


Il lavoro giornalistico indubbiamente cambiato, nel contenuto, nei modi, nei tempi, nella sua stessa rappresentazione. Invece non sono cambiate le istituzioni e le norme della professione giornalistica. Nell'ultima parte delle interviste abbiamo cercato di capire se i giovani giornalisti si identificano ancora con la loro professione. Nei confronti dell'Ordine dei Giornalisti vi un assoluto disinteresse o talvolta insofferenza. Nonostante gli intervistati abbiano investito energie e risorse per entrare a pieno titolo nell'Albo dei professionisti ritengono che questa istituzione sia distante dal loro lavoro. L'Ordine inutile, vecchio, bloccato e talvolta arriva ad essere un impedimento per i giovani professionisti. La stessa deontologia o etica del giornalismo ha perso di valore come fattore identificante.
Essere giornalista professionista, cio iscritto all'Albo, non mi serve a nulla, sinceramente non gliene frega niente a nessuno quando mi propongo. [2] L'Ordine nei miei confronti non ha fatto nulla di buono e nulla di negativo, ma credo che se si accorgesse di me proverebbe a fermarmi, la mia esperienza professionale contraria a ci che l'Ordine tenta di tutelare. [4] Secondo me l'Ordine dovrebbe essere abolito, secondo me l'Ordine un retaggio assolutamente fascista e del tutto anacronistico. In un mondo ideale serve una struttura che sorvegli e disciplini la deontologia della professione, ma che non sia un organo a fini di lucro e che non campi sulle spalle di chi ne fa parte. In termini pratici l'Ordine ora non controlla la deontologia e l'etica della professione e chiude un sacco di occhi su anomalie di questo mondo che in realt non dovrebbe tollerare. Quindi io sono per l'abolizione dell'Ordine. [9] Per noi rispetto all'Ordine pi interessante la rete delle cooperative perch ci offre contatti, network. [7] Secondo me l'Ordine, se volesse essere utile, dovrebbe decidere i minimi salariali. Magari un sistema ancorato alle lunghezze. E poi dovrebbe verificare i pagamenti, attualmente alcune testate pagano tra 6 mesi. [6]

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Risulta difficile identificarsi con i colleghi pi anziani e con il posto di lavoro. Nel primo caso si ritiene che i giornalisti vecchio stile non sappiano cosa sia il lavoro attuale, il lavoro vero, e usufruiscano di una serie di immotivati privilegi ormai inaccessibili ai giovani precari. Nei confronti del posto di lavoro invece i giovani giornalisti lamentano di non potersi identificare dato che non fanno ufficialmente parte della redazione: sono solo stagisti o collaboratori esterni.
Noi non ci identifichiamo del tutto con i giornalisti. Perch diciamo: caspita ma questi non si rendono conto di cosa vuol dire fare questo lavoro oggi. La sentiamo la differenza con quelli assunti in redazione. Andare cos a cercarsi il lavoro, i giornalisti classici non sanno cosa voglia dire, anche il fatto di uscire con la telecamera. Queste cose fanno parte della nuova piega che ha preso la professione, c' un varco enorme tra noi e i vecchi assunti, e parliamo di soli 10 anni fa. [7] Mi identifico molto di pi con la scuole con cui sono contrattualizzata [presso cui lavoro come educatrice] che con il giornale con cui collaboro. Non perch non voglia identificarmi ma perch materialmente non posso farlo [9] Non so se posso identificarmi con i giornalisti, con i giornalisti professionisti come me. Cio credo che per identificarti tu dovresti essere certo che almeno per altri 5 anni farai questo lavoro, e io non ne sono sicura. Oltre al fatto che essendo cos precaria la situazione io non posso identificare me stessa col lavoro che faccio. Se mi identificassi col mio lavoro, e perdessi il mio lavoro.. ed possibile, gi tra 3 mesi. [6]

Detto questo per tutti gli intervistati si sentono e si definiscono giornalisti professionisti, quindi non vi un totale rifiuto dell'identit professionale ma la volont di distinguersi, di affermare la propria diversit, il proprio essere speciali. Ognuno di loro racconta con orgoglio di avere svolto esperienze diverse dagli altri, di avere inclinazioni personali che lo rendono diverso, e a volte preferibile, rispetto all'indistinto gruppo dei giornalisti. Se da un lato non vi identificazione con le istituzioni o il contesto lavorativo, dall'altro i giovani che scelgono il giornalismo come professione rivendicano un'identit professionale del tutto personale, individuale.

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Mi vedo un po diverso dagli altri giovani giornalisti, io sono un vero freelance e come me siamo rari. [2] Io mi vedo giornalista, questo quello che amo fare, sono i miei interessi, io mi rifletto nella professione per quello che sono. Ma allo stesso tempo non mi identifico molto con gli altri giornalisti, io sono un fotogiornalista mi sento diverso. Ho fatto un percorso diverso, mio. [8] Io so che il giornalismo la mia professione... sono un professionista del giornalismo. Ecco l'espressione professionista del giornalismo mi piace, giornalista professionista meno. [4] Io credo che le scuole di giornalismo stiano creando una nuova generazione di giornalisti con una mentalit diversa, che cambier le cose. Per esempio, per noi normale la multimedialit... [1]

Note al capitolo 4
[1] Donna, 27 anni, giornalista professionista, disoccupata. [2] Uomo, 26 anni, giornalista professionista, freelance con Partita IVA. [3] Donna, 22 anni, giornalista praticante, studente scuola di giornalismo. [4] Uomo, 29 anni, giornalista professionista, freelance con Partita IVA e imprenditore. [5] Donna, 28 anni, giornalista professionista, assunta contratto a tempo determinato. [6] Donna, 27 anni, giornalista professionista, freelance e tirocinante presso una redazione. [7] Donna, 27 anni, giornalista professionista, socia di una cooperativa - service giornalistico [8] Uomo, 25 anni, giornalista praticante, studente scuola di giornalismo, fotografo freelance. [9] Donna, 25 anni, giornalista professionista, freelance.

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Conclusioni
La ricerca svolta ci ha permesso di verificare la valenza dalla definizione funzionalista delle professioni data da Parsons, alla luce delle modificazioni causate dal superamento del sistema di produzione taylorista. Questo controllo era infatti risultato necessario dopo aver esaminato le caratteristiche del lavoro autonomo di seconda generazione, caratteristiche che apparivano in contraddizione con la definizione del lavoro giornalistico data dall'ordinamento professionale, condivisa delle associazioni di rappresentanza e teoricamente accettata dai giornalisti professionisti. Innanzitutto la ricerca svolta ci permette di confermare quanto gi affermato in precedenza: l'autonomia, fatta di privilegi economici e libert, non pu pi essere assicurata ai giornalisti professionisti, che sono costretti ad accettare rapporti di collaborazione autonomi con bassi compensi e scarse tutele. Il lavoro giornalistico infatti raramente regolarizzato attraverso contratti e, nella maggior parte dei casi esaminati, i giornalisti non sono in grado di mantenersi autonomamente. L'orario di lavoro si allunga e la retribuzione rimane insufficiente, la sensazione di insicurezza pervasiva. Nelle interviste troviamo conferma alle tesi di Bologna riguardanti la percezione dello spazio e del tempo, la scomparsa del salario mensile e la necessaria disponibilit costante sul mercato del lavoro. Tutti questi elementi portano i giovani giornalisti a vivere un sentimento di angoscia del vuoto, al punto che sei di loro svolgono o pensano di svolgere un secondo lavoro non giornalistico. La mancata autonomia incide anche sulle prospettive future. Gli aspiranti dipendenti, una parte minoritaria degli intervistati, sentono di subire involontariamente le attuali condizioni di lavoro e auspicano di poter essere regolarizzati con con un contratto tradizionale; al contrario sei freelance per scelta sono coscienti che il lavoro autonomo la forma lavoro propria della produzione post-fordista, sono intenzionati a incrementare le loro capacit imprenditoriali e a sfruttare le possibilit di cooperazione tra lavoratori indipendenti. Dalle interviste emersa una seconda conferma a quanto ipotizzato durante la 48

trattazione teorica: la competenza tecnica specifica, caratteristica peculiare dei professionisti, ha perso d'importanza rispetto alle capacit relazionali. Come dimostrato anche dallo studio di Cristina Morini, il contenuto della professione giornalistica irrimediabilmente cambiato. Da un lato sono stati assorbiti compiti e mansioni non giornalistiche che non si acquisiscono con la formazione ufficiale richiesta dall'Ordine dei giornalisti, ma con il lavoro sul campo e l'esperienza pratica. Dall'altro competenze diffuse e non prettamente lavorative, come la fiducia, l'ascolto, la curiosit, hanno acquisito un ruolo centrale. Gli intervistati sono coscienti di questo cambiamento al punto tale che si adoperano per essere perfettamente in grado di governare e incrementare queste caratteristiche personali e caratteriali messe costantemente al lavoro. Infine, stata confermata la tesi secondo la quale nel lavoro autonomo di seconda generazione l'identit professionale muta rendendo debole il concetto di responsabilit fiduciaria. I giornalisti intervistati non si identificano pi n con le istituzioni professionali n con i colleghi vecchio stampo. Di conseguenza tende a scomparire la responsabilit fiduciaria, che basava la sua efficacia sul timore delle sanzioni dell'Ordine dei giornalisti o la paura di poter danneggiare la professione nel suo complesso. Sempre in riferimento all'identificazione professionale, gli intervistati affermano di potersi comunque definire giornalisti, rivendicando per un identit basata sulla propria individualit. Tanto pi il ruolo del collaboratore giornalistico viene massificato e il prodotto giornalistico omologato (Morini 1997), tanto pi la rivendicazione della propria individualit diventa indispensabile. I giovani giornalisti si sentono speciali e diversi, affermano inoltre che alla base della loro professionalit stia proprio questa individualit messa al lavoro attraverso le proprie competenze relazionali. Quanto ipotizzato nella discussione teorica stato dunque confermato: l'autonomia stata corrosa da condizioni di lavoro faticose e vincolanti, la conoscenza tecnica specifica ha perso d'importanza a causa della centralit delle competenze relazionali e le mutazioni riguardanti l'identit professionale hanno minato le basi della responsabilit fiduciaria. 49

Attraverso la ricerca emerso inoltre un aspetto non ipotizzato in precedenza: indagando il perch della scelta della professione giornalistica si notato che l'orientamento al servizio una motivazione ormai minoritaria, a fronte di una pi forte adesione emozionale. L'orientamento al servizio non pi funzionale al successo di un giornalista professionista, in quanto stato sostituito dal desiderio di realizzazione di un percorso personale, dal desiderio di espressione della propria individualit. Il riconoscimento e la stima altrui si ottengono attraverso la la manifestazione della propria individualit, attraverso la firma e l'ampiezza delle reti di conoscenze. Riassumendo, i quattro pilastri su cui si reggeva la definizione parsonsiana di professione -la conoscenza funzionale specifica, l'orientamento al servizio, la responsabilit fiduciaria e l'autonomia- non sono pi in grado di definire la professione giornalistica che mutata conseguentemente al mutare della produzione e che ha raggiunto un alto grado di complessit, tipico del lavoro autonomo di seconda generazione. La definizione istituzionale e legislativa della professione giornalistica non corrisponde pi al lavoro giornalistico nei fatti e con la definizione data dagli stessi giornalisti. Ora con l'intento di proporre un punto di partenza da cui tentare di ri-definire il concetto di giornalismo come professione, potremmo tornare alle domande che Weber poneva nel 1917. Che cosa significa la scienza come professione per colui che si dedica ad essa?, a cui seguiva la risposta: passione, sachlichkeit, dedizione appassionata a una causa. Se oggi ci domandassimo che cosa significa il giornalismo come professione per colui che si dedica ad esso?, la risposta potrebbe essere: passione, espressione della propria individualit attraverso le proprie emozioni e le proprie capacit relazionali. In questo contesto il concetto di beruf weberiano, professione-passione, che si era perso nel paradigma funzionalista riacquisisce valore, anche se in modo evidentemente nuovo. Nell'esposizione della ricerca abbiamo gi avuto modo di sottolineare quanto gli intervistati siano legati sentimentalmente al proprio lavoro, quanto la componente emotiva sia determinante nel definire il lavoro giornalistico il proprio lavoro. La 50

componente di passionate-work (McRobbie) centrale in tutta l'esperienza lavorativa indagata: un elemento determinante nella scelta della professione, garantisce un buon livello di resistenza di fronte a condizioni economiche fortemente negative e ispira speranze per il futuro. Un secondo elemento emerso come costante del giornalismo come professione nel capitalismo cognitivo la centralit dell'individuo, che rivendica la propria unicit facendone un valore spendibile in campo lavorativo. In un contesto scomposto e frammentato, in una moltitudine, l'individuo rivendica con maggior forza la propria specificit e ci accade anche nel lavoro giornalistico. Se da sempre, in questo ambito, linguaggio e comunicazione sono stati gli strumenti del mestiere, ora per creare valore necessario mettere al lavoro se stessi, ridefinire la propria soggettivit in funzione delle reti, dei consumi, della creativit. Questi due elementi appartengono propriamente al giornalista freelance per scelta, che sembra essere il professionista che pi si pu adattare alle attuali condizioni lavorative. Un aspetto che meriterebbe maggiore attenzione e comprensione sono le strategie attuabili per poter governare questa scelta lavorativa. Sarebbe necessario capire quali siano i contrappesi necessari alla precariet e all'instabilit cronica a cui sono sottoposti i giornalisti freelance. Su questo punto alcuni degli intervistati hanno proposto la via della cooperazione e della coalizzazione, una via che immaginata innovativa rispetto agli ordini professionali, le rappresentanze lavorative sindacali e l'associazionismo classico. Nei fatti ci sono ancora scarse esperienze in questa direzione. Oggi un giovane che intende fare del giornalismo la propria professione sa che non potr godere n di una struttura professionale a cui appoggiarsi, n di una decente autonomia economica, potr aggrapparsi solo alla propria passione. La passione nel giornalismo potrebbe essere sia uno scudo sotto cui sopportare il peso dell'insicurezza e dell'autosfruttamento sia l'arma vincente per produrre valore dal proprio lavoro.

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Appendice
Traccia interviste semi-strutturate
a) Fare il giornalista, la scelta, la scuola quando hai scelto di voler diventare un giornalista? cosa pensavi che fosse? Avresti potuto fare un altro lavoro? Cosa hai fatto per diventare giornalista? (esperienza della scuola) Cosa rimasto della tua idea del mestiere del giornalista?

b) Il tuo attuale lavoro la tua giornata tipo sei soddisfatto? Le esperienze lavorative o la scuola hanno modificato le tue aspettative? Hai mai il dubbio di aver fatto la scelta sbagliata? Pro e contro della tua situazione contrattuale Secondo te potrai superare la tua condizione di precario? Hai in mente un percorso per riuscirci? Come ti vedi tra cinque anni?

c) Identit professionale e Ordine dei Giornalisti Cosa pensi dell'Ordine dei Giornalisti? Ti identifichi con l'Ordine? Ti identifichi con i tuoi colleghi o il tuo posto di lavoro?

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