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A
Ke erdam, vivace centro di scambi commerciali
internazionali, non c’è niente che non possa essere
comprato e nessuno lo sa meglio di Kaz Brekker,
cresciuto nei vicoli bui e dannati del Barile, la zona più malfamata
della ci à, un rice acolo di sporcizia, vizi e violenza. Kaz, de o
anche Manisporche, è un ladro spietato, bugiardo e senza un
grammo di coscienza che si muove con disinvoltura tra bische
clandestine, traffici illeciti e bordelli, con indosso gli immancabili
guanti di pelle nera e un bastone decorato con una testa di corvo.
Uno che, nonostante la giovane età, tu i hanno imparato a temere
e rispe are.
Un giorno Brekker viene avvicinato da uno dei più ricchi e
potenti mercanti della ci à e gli viene offerta una ricompensa
esorbitante a pa o che riesca a liberare lo scienziato Bo Yul-Bayur
dalla leggendaria Corte di Ghiaccio, una fortezza considerata da
tu i inespugnabile. Una missione impossibile che Kaz non è in
grado di affrontare da solo. Assoldati i cinque compagni di
avventura – un detenuto con sete di vende a, un tiratore scelto
col vizio del gioco, uno scappato di casa con un passato da
privilegiato, una spia che tu i chiamano lo “Spe ro”, una ragazza
dotata di poteri magici –, ladri e delinquenti con capacità fuori dal
comune e così disperati da non tirarsi indietro nemmeno davanti
alla possibilità concreta di non fare più ritorno a casa, Kaz è
pronto a tentare l’ambizioso quanto azzardato colpo. Per riuscirci,
però, lui e i suoi compagni dovranno imparare a lavorare in
squadra e a fidarsi l’uno dell’altro, perché il loro potenziale può sì
condurli a compiere grandi cose, ma anche provocare grossi
danni...
Finalmente arriva in Italia il primo romanzo della duologia che
ha consacrato Leigh Bardugo come una delle voci più talentuose e
autorevoli della narrativa fantasy. Una serie ambientata in un
mondo articolato e straordinario, il GrishaVerse, dove si muovono
personaggi sapientemente costruiti e sfacce ati. Una storia
avventurosa ricca di colpi di scena che vi mancherà nell’istante
stesso in cui avrete le o l’ultima pagina.
L’autore
SEI DI CORVI
GrishaVerse
A Kayte,
arma segreta,
amica inaspe ata
GRISHA
Soldati del secondo esercito dominatori della piccola scienza
CORPORALKI
Ordine dei Vivi e dei Morti
Spaccacuore
Guaritori
Plasmaforme
ETHEREALKI
Ordine degli Evocatori
Chiamatempeste
Inferni
Scuotiacque
MATERIALKI
Ordine dei Fabrikator
Tempratori
Alchemi
PARTE PRIMA
TRAFFICI NELL’OMBRA
1
JOOST
Kaz Brekker non aveva bisogno di un motivo. Questo era quello che
si sussurrava nelle strade di Ke erdam, nelle taverne e nelle
caffe erie, nei vicoli bui e dannati del quartiere del piacere noto
come il Barile. Il ragazzo che chiamavano Manisporche non aveva
bisogno di un motivo più di quanto avesse bisogno di
un’autorizzazione per spaccare una gamba, per rompere un’alleanza,
o per cambiare le sorti di un uomo girando una carta.
Naturalmente si sbagliavano, considerò Inej mentre a raversava il
ponte sopra le acque nere del Beurskanal per dirigersi verso la
piazza principale deserta che fronteggiava la Borsa. Ogni a o di
violenza era deliberato e a ogni cortesia erano legati così tanti fili
invisibili da me ere in scena uno spe acolo di marione e. Kaz aveva
sempre i suoi motivi. Inej non poteva mai essere certa che fossero
buoni. Specialmente questa no e.
Inej controllò i propri coltelli, recitando in silenzio i loro nomi
come faceva sempre quando pensava che avrebbe potuto trovarsi nei
guai. Era un’abitudine pratica, ma anche una consolazione. Le lame
erano le sue compagne. Le piaceva sapere che sarebbero state pronte
per qualunque cosa la no e avesse portato con sé.
Inej vide Kaz e gli altri radunati vicino al grande arco in pietra che
segnalava l’ingresso orientale alla Borsa. Tre parole erano state
scolpite nella roccia sopra di loro: ENJENT, VOORHENT, ALMHENT.
Industriosità, Integrità, Prosperità.
Si tenne vicina alle vetrine con le saracinesche abbassate che
costeggiavano la piazza, evitando le sacche di luce a gas sfarfallante
create dai lampioni. Mentre avanzava, passò in rassegna la squadra
che Kaz aveva portato con sé: Dirix, Ro y, Muzzen e Keeg, Anika e
Pim, e i suoi secondi per il convegno di stasera, Jesper e Bolliger il
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Grande. Si spingevano e si bu avano l’uno contro l’altro, ridendo,
pestando i piedi contro il freddo improvviso che questa se imana
aveva sorpreso la ci à, l’ultimo colpo di coda dell’inverno prima che
la primavera iniziasse sul serio. Erano tu i grossi e rissosi, reclutati
tra i membri più giovani degli Scarti, la gente di cui Kaz si fidava di
più. Inej fece caso al luccichio dei coltelli infilati nelle cinture, ai tubi
di ferro, alle catene pesanti, ai manici delle asce decorati di borchie
arrugginite e, qui e là, al bagliore di una canna di pistola ben oliata.
Inej scivolò silenziosamente nei loro ranghi, scrutando le ombre
vicino alla Borsa per capire se fossero spie delle Punte Nere.
«Tre navi!» stava dicendo Jesper. «Le hanno mandate gli Shu.
Stavano semplicemente ancorate al Primo Porto, con i cannoni
spianati, le bandiere rosse che volteggiavano, imbo ite d’oro fino
alle vele.»
Bolliger il Grande fece un fischio so ovoce. «Mi sarebbe piaciuto
vederlo.»
«Mi sarebbe piaciuto rubarlo» replicò Jesper. «Mezzo Consiglio
dei Mercanti era laggiù ad agitarsi e a spiare, nel tentativo di capire
cosa fare.»
«Non vogliono che gli Shu paghino i loro debiti?» domandò
Bolliger il Grande.
Kaz scrollò la testa, e i capelli neri brillarono alla luce dei
lampioni. Era un insieme di linee dure e spigoli inconfondibili –
mascella squadrata, corporatura muscolosa, giacca di lana a illata
sulle spalle. «Sì e no» disse lui con la sua voce roca. «È sempre bene
avere un paese in debito con te. Rende le negoziazioni più
amichevoli.»
«Forse gli Shu hanno finito di essere amichevoli» disse Jesper.
«Non dovevano mandare quel tesoro tu o in una volta. Pensi che
siano stati loro a infilzare quell’ambasciatore?»
Gli occhi di Kaz scovarono subito Inej nella folla. Ke erdam era
stata in fermento per se imane a causa dell’omicidio
dell’ambasciatore. Aveva quasi distru o le relazioni tra i Kerch e gli
Zemeni e messo in subbuglio il Consiglio dei Mercanti. Gli Zemeni
incolpavano i Kerch. I Kerch sospe avano degli Shu. A Kaz non
interessava chi fosse il responsabile; l’omicidio lo affascinava solo in
p
quanto non riusciva a immaginare come fosse stato portato a
termine. In uno dei corridoi più affollati della Stadhall, davanti a più
di dodici ufficiali del governo, l’ambasciatore del commercio Zemeni
era andato al gabine o. Nessun altro ci era entrato o ne era uscito,
ma quando il suo assistente aveva bussato alla porta pochi minuti
dopo, non era arrivata nessuna risposta. Bu ata giù la porta,
avevano trovato l’ambasciatore a faccia in giù sulle ma onelle
bianche, un coltello nella schiena, il rubine o del lavandino ancora
aperto.
A distanza di qualche ora, Kaz aveva mandato Inej a svolgere
delle indagini nei locali dell’edificio. Il gabine o non aveva altri
ingressi, niente finestre o camini, e persino Inej non padroneggiava
l’arte di infilarsi dentro le tubature. Eppure l’ambasciatore Zemeni
era morto. Kaz odiava i rompicapo che non riusciva a risolvere, e lui
e Inej avevano archite ato un centinaio di teorie per spiegare
l’omicidio... nessuna delle quali li soddisfaceva. Tu avia questa no e
avevano problemi più urgenti.
Inej vide Kaz fare segno a Jesper e a Bolliger il Grande di
spogliarsi delle armi. La legge della strada voleva che per un
convegno di quel genere ciascun vicecomandante fosse
accompagnato da due dei propri soldati semplici e che tu i fossero
disarmati. Convegno. La parola suonava come un inganno –
curiosamente cerimoniosa, obsoleta. Non importava cosa la legge
della strada decretasse, questa no e sapeva di violenza.
«Avanti, me i giù quelle pistole» disse Dirix a Jesper.
Con un sospiro, quello si slacciò il cinturone dai fianchi. Inej
dove e amme ere che, senza, sembrava un po’ meno se stesso. Il
tiratore scelto Zemeni aveva le gambe lunghe, la pelle scura e non
stava fermo un a imo. Preme e le labbra sul manico perlato delle
sue preziose rivoltelle, donando a ciascuna un bacio addolorato.
«Abbi cura delle mie bambine» disse Jesper mentre le porgeva a
Dirix. «Se le ritrovo con anche solo un graffio o una ammaccatura,
scriverò “perdonami” sul tuo pe o con i buchi delle pallo ole.»
«Non sprecheresti le munizioni.»
«E poi sarebbe morto a metà della parola “perdonami”» disse
Bolliger il Grande mentre nelle mani di Ro y lasciava cadere
g y
un’acce a, un coltello a serramanico e la sua arma preferita: una
spessa catena appesantita da un grosso lucche o.
Jesper roteò gli occhi. «Il punto è mandare un messaggio. Qual è il
senso di un tizio morto stecchito con la parola “perd” scri a sul
pe o?»
«Veniamo a un compromesso» rispose Kaz. «“Scusa” fa lo stesso
effe o e spreca meno pallo ole.»
Dirix scoppiò a ridere, ma a Inej non sfuggì il fa o che reggeva le
rivoltelle di Jesper con grande a enzione.
«E quello?» domandò Jesper, indicando il bastone da passeggio di
Kaz.
La risata di Kaz suonò bassa e priva di umorismo. «Chi
negherebbe a un povero storpio il suo bastone?»
«Se lo storpio sei tu, ogni uomo dotato di buon senso.»
«Allora è un bene che stiamo per incontrare Geels.» Kaz estrasse
un orologio dal taschino del gilè. «È quasi mezzano e.»
Inej volse lo sguardo alla Borsa. Era poco più di un largo cortile
re angolare circondato da magazzini e uffici di spedizione. Ma
durante il giorno era il cuore di Ke erdam, animato dal via vai dei
ricchi mercanti che compravano e vendevano azioni nei viaggi di
lavoro che li conducevano nei porti della ci à. Adesso che erano
quasi dodici rintocchi di campana, la Borsa era deserta a eccezione
delle guardie che controllavano la recinzione e il te o. Guardie
comprate a suon di mazze e per volgere gli occhi altrove durante il
convegno di questa no e.
La Borsa era una delle poche zone della ci à ancora non spartite e
rivendicate nelle lo e senza fine tra le bande rivali di Ke erdam. Era
considerata territorio neutrale. Ma a Inej non sembrava neutrale.
Sembrava il silenzio dei boschi prima dello sca o della tagliola e
degli strilli del coniglio. Sembrava una trappola.
«È un errore» disse. Bolliger il Grande sussultò; non si era accorto
che lei era lì in piedi. Inej udì il nome che gli Scarti le avevano
affibbiato passare tra i ranghi in un sussurro: lo Spe ro. «Geels sta
tramando qualcosa.»
«Certo che sì» disse Kaz. La sua voce aveva la consistenza ruvida
e raschiosa di una pietra sfregata contro un’altra pietra. Inej si
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chiedeva ogni volta se Kaz avesse avuto quella voce anche da
bambino. Sempre che fosse mai stato un bambino.
«Allora perché venire qui stano e?»
«Perché così vuole Per Haskell.»
“Al vecchio piace fare le cose alla vecchia maniera” pensò Inej
senza dirlo, ed ebbe il sospe o che gli altri Scarti stessero pensando
la stessa cosa.
«Ci farà uccidere tu i.»
Jesper stiracchiò le lunghe braccia sopra la testa e fece un gran
sorriso, mostrando i denti bianchi in contrasto con la pelle scura. Lui
doveva ancora rinunciare al suo fucile, la cui sagoma sulla schiena lo
faceva assomigliare a un uccello sgraziato dalle zampe lunghe.
«Secondo la statistica, farà probabilmente uccidere solo qualcuno di
noi.»
«Non si scherza su queste cose» replicò Inej. Lo sguardo che le
rivolse Kaz era divertito. Lei sapeva come doveva sembrargli: rigida,
pignola, come una vecchia bacucca che lancia le sue tragiche profezie
dal portico. Non le piaceva, ma era anche certa di avere ragione. E
poi le donne anziane qualcosa la sapranno pure, sennò vivrebbero
solo per accumulare rughe e berciare dalle loro porte di casa.
«Jesper non sta scherzando, Inej» disse Kaz. «Sta calcolando le
probabilità.»
Bolliger il Grande fece scrocchiare le sue enormi nocche. «Be’, io
ho della birra chiara e una padellata di uova che mi aspe ano al
Kooperom, per cui non posso essere quello che muore stano e.»
«Ti va di fare una scommessa?» chiese Jesper.
«Non scomme erò sulla mia morte.»
Kaz si girò il cappello in testa e fece scorrere le dita guantate
lungo l’orlo in un veloce saluto militare. «Perché no, Bolliger? Lo
facciamo tu i i giorni.»
Aveva ragione. L’obbligo di Inej nei confronti di Per Haskell
comportava che lei scomme esse la propria vita ogni volta che
acce ava un nuovo lavoro o un nuovo incarico, ogni volta che
lasciava la propria stanza alla Stecca. Questa no e non era diversa.
Kaz urtò il selciato con il bastone da passeggio quando le
campane della Chiesa di Barter iniziarono a ba ere i colpi. Il gruppo
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si fece silenzioso. Il tempo delle chiacchiere era finito. «Geels non è
astuto, ma è sveglio abbastanza da essere un problema» disse Kaz.
«Non importa cosa senti, tu non ti unisci alla mischia finché io non
do l’ordine. Stai a enta.» Poi rivolse a Inej un veloce cenno del capo.
«E stai nascosta.»
«Nessun rimpianto» disse Jesper mentre lanciava il suo fucile a
Ro y.
«Nessun funerale» mormorò in risposta il resto degli Scarti. Tra di
loro, valeva come un “buona fortuna”.
Prima che Inej si mescolasse tra le ombre, Kaz le toccò il braccio
con la testa di corvo del suo bastone. «Dai un occhio alle guardie sul
te o. Geels potrebbe essersele comprate.»
«Allora...» cominciò lei, ma Kaz era già sparito.
Inej alzò le mani in un gesto di frustrazione. Aveva un centinaio di
domande, ma come al solito Kaz stava dando una stre a alle
risposte.
Inej tro erellò verso il canale che si affacciava sul muro della
Borsa. Solo ai vicecomandanti e ai loro secondi era permesso di
entrare durante il convegno. Però, nel caso le Punte Nere si fossero
messe in testa strane idee, gli altri Scarti avrebbero aspe ato subito
fuori dall’arco orientale con le armi sguainate. Sapeva che Geels
avrebbe avuto la sua squadra di Punte Nere ben armate radunata
all’ingresso occidentale.
Inej si sarebbe fa a strada tra di loro. Le regole della condo a
leale tra bande venivano dall’epoca di Per Haskell. In più, lei era lo
Spe ro – l’unica legge che le si poteva applicare era la legge di
gravità, e c’erano giorni in cui sfidava anche quella.
Il piano inferiore della Borsa era occupato da depositi senza
finestre, e Inej individuò il tubo di una grondaia per arrampicarsi.
L’a imo prima di appoggiarvi sopra la mano, qualcosa la fece
esitare. Estrasse dalla tasca un osso di luce e lo scrollò, ge ando un
pallido bagliore verde sopra il tubo. Era coperto d’olio. Seguì il
muro, alla ricerca di un altro punto, e trovò a portata di mano un
cornicione di pietra che sosteneva una statua con i tre pesci volanti
di Kerch. Si sollevò in punta di piedi e con prudenza esplorò con la
mano il bordo del cornicione. Era stato ricoperto di cocci di vetro.
“Mi stanno aspe ando” pensò con feroce piacere.
Si era unita agli Scarti meno di due anni prima, appena qualche
giorno dopo il suo quindicesimo compleanno. Era stata una
questione di sopravvivenza, ma la gratificava sapere che, in così
poco tempo, era diventata qualcuno da gestire con precauzione.
Ciononostante, se le Punte Nere credevano che trucche i come
questo avrebbero impedito allo Spe ro di raggiungere il suo
obie ivo, si sbagliavano di grosso.
Estrasse due chiodi da arrampicata dalla tasca del corpe o
imbo ito e li incastrò, prima l’uno e poi l’altro, tra le fessure del
muro per spingersi in alto, con i piedi che andavano alla ricerca delle
prese e degli appigli più piccoli nella roccia. Come un bambino che
impara a stare in equilibrio sulla corda da funambolo, lei era sempre
andata a piedi nudi. Ma le strade di Ke erdam erano troppo fredde
e bagnate. Dopo qualche bru a caduta, aveva pagato un Grisha
Fabrikator che lavorava di nascosto fuori da un negozio di liquori
sulla Wijnstraat perché le fabbricasse un paio di scarpe e di pelle
con la suola di gomma morbida. Le aderivano perfe amente ai piedi
e le davano la certezza di tenere la presa su ogni superficie.
Al secondo piano della Borsa, si issò sul davanzale di una finestra
largo a sufficienza soltanto per appollaiarcisi sopra.
Kaz aveva fa o del suo meglio per insegnarglielo, ma Inej non era
ancora brava quanto lui come scassinatrice, e le ci volle qualche
tentativo per forzare la serratura. Alla fine sentì un bel clic, e la
finestra si aprì su un ufficio deserto, dalle pareti tappezzate con
cartine geografiche che evidenziavano le ro e commerciali e lavagne
che elencavano i prezzi di mercato e i nomi delle navi. Si piegò per
entrare dentro, richiuse con il chiavistello e si fece strada dietro le
scrivanie vuote, sulle quali i contra i erano impilati con ordine.
A raversò la sala, raggiunse una serie di porte so ili e uscì su un
balcone che si affacciava sul cortile centrale della Borsa. Tu i gli
uffici navali ne avevano uno. Da qui, i messaggeri annunciavano
partenze e arrivi delle scorte in magazzino, o issavano la bandiera
nera per segnalare che una nave era stata persa al largo con tu o il
suo carico. La sala contra azioni della Borsa vomitava un turbinio di
traffici, i fa orini diffondevano le notizie in tu a la ci à, e il prezzo
delle merci, dei tassi di cambio e delle azioni nei viaggi in partenza si
alzava o si abbassava. Ma questa no e era tu o silenzioso.
Dal porto arrivò una folata di vento che recava con sé l’odore del
mare, e arruffò i capelli sfuggiti dalla treccia sulla nuca di Inej. Giù,
vide la luce oscillante delle lanterne e udì il bastone di Kaz ba ere
sui sassi mentre lui e i suoi secondi a raversavano la piazza. Sul lato
opposto, notò un’altra serie di lanterne che avanzavano verso di loro.
Le Punte Nere erano arrivate.
Inej si alzò il cappuccio. Salì sopra la balaustra e balzò senza far
rumore sul balcone accanto, poi su quello successivo, seguendo gli
altri lungo la piazza, cercando di stargli il più vicino possibile. La
giacca scura di Kaz si increspava nell’aria salata, il suo passo
zoppicante era più pronunciato questa no e, come sempre quando il
tempo era freddo. Inej riusciva a sentire Jesper, che teneva accesa la
conversazione, e i sogghigni di Bolliger il Grande, che echeggiavano
bassi.
Mentre si portava più vicino all’altro lato della piazza, Inej vide
che Geels aveva scelto di portarsi dietro come secondi Elzinger e
Oomen – esa amente come lei aveva previsto. Inej conosceva la
forza e la debolezza di ciascun membro delle Punte Nere, per non
parlare dei Segugi di Harley, degli Scoperchiati, dei Becchi di Rasoio,
dei Centesimi di Leone, e di ogni altra banda che operava nelle
strade di Ke erdam. Era il suo lavoro sapere che Geels si fidava di
Elzinger perché erano cresciuti insieme tra le fila delle Punte Nere, e
perché Elzinger era solido come un ammasso di rocce: alto quasi
se e piedi, muscoloso, con una faccia larga e schiacciata che si
incastrava in un collo spesso come un traliccio.
Inej fu improvvisamente felice che Bolliger il Grande fosse con
Kaz. Che lui avesse scelto Jesper come uno dei suoi secondi non era
una sorpresa. Nervoso com’era Jesper, con o senza le sue rivoltelle,
in un comba imento dava il meglio di sé, e lei sapeva che avrebbe
fa o qualunque cosa per Kaz. Era stata meno sicura quando Kaz
aveva insistito per Bolliger il Grande: faceva il bu afuori al Club dei
Corvi, ed era perfe amente a rezzato per ge are in strada ubriaconi
e perditempo, ma era troppo pesante e poco agile per essere di aiuto
p p pp p p g p
quando si arrivava a una vera rissa. Comunque, era perlomeno alto
abbastanza da guardare Elzinger dri o negli occhi.
Inej non voleva pensare eccessivamente all’altro secondo di Geels.
Oomen la rendeva nervosa. Non era fisicamente minaccioso come
Elzinger. Anzi, Oomen aveva l’aspe o di uno spaventapasseri – non
che fosse scheletrico, ma era come se so o i vestiti il suo corpo fosse
stato messo insieme congiungendo le articolazioni sbagliate. Si
diceva che una volta avesse spaccato il cranio di un uomo a mani
nude, che si fosse ripulito i palmi sul davanti della camicia e che
fosse andato avanti a bere.
Inej cercò di me ere a tacere l’agitazione che montava dentro di
lei, e si mise ad ascoltare i convenevoli di Geels e Kaz in piazza,
mentre i loro secondi si perquisivano l’un l’altro per accertarsi che
nessuno avesse portato con sé delle armi.
«Ca ivone» disse Jesper mentre estraeva un coltellino dalla
manica di Elzinger e lo lanciava dall’altra parte della piazza.
«Pulito» sentenziò Bolliger il Grande mentre finiva di perquisire
Geels e passava a Oomen.
Kaz e Geels discutevano del tempo e del sospe o che il Kooperom
servisse gli alcolici annacquati ora che l’affi o era stato alzato,
girando a orno al vero motivo per cui erano venuti qui stasera. In
teoria, avrebbero chiacchierato, si sarebbero chiesti scusa, si
sarebbero de i d’accordo nel rispe are i confini del Quinto Porto,
poi tu i fuori a cercarsi qualcosa da bere insieme – almeno questo
era quello che Per Haskell aveva insistito che facessero.
“Ma che cosa ne sa Per Haskell?” pensò Inej mentre cercava con
gli occhi le guardie che pa ugliavano il te o di sopra, tentando di
individuare la loro sagoma nel buio. Haskell era a capo degli Scarti,
ma in questi giorni preferiva sedere al caldo del suo ufficio, a bere
birra tiepida, a costruire modellini di navi, e a raccontare le lunghe
storie delle sue imprese a chiunque le volesse stare a sentire.
Sembrava che pensasse che le guerre per il territorio potessero
essere gestite come una volta: con una piccola zuffa e una stre a di
mano amichevole. Ma tu i quanti i sensi di Inej le dicevano che non
era quello il modo in cui le cose sarebbero andate a finire. Suo padre
avrebbe de o che le ombre erano al lavoro questa no e. Qualcosa di
bru o stava per accadere.
Kaz era in piedi con entrambe le mani infilate nei guanti e
appoggiate sulla testa di corvo intagliata in cima al suo bastone.
Dava l’idea di essere totalmente a proprio agio, il viso stre o tenuto
in ombra dalla tesa del cappello. Per lo più, i membri delle bande del
Barile amavano vestire in modo appariscente: pancio i vistosi,
orologi da taschino incastonati di gemme false, pantaloni in ogni
tessuto e fantasia immaginabile. Kaz era l’eccezione, l’immagine
della sobrietà, con i suoi gilè scuri e i suoi pantaloni dal taglio
semplice e su misura nel rispe o delle linee più severe. All’inizio,
Inej aveva pensato che fosse una questione di gusto, ma poi era
arrivata a capire che si tra ava di uno scherzo che lui giocava ai
mercanti onesti. Gli piaceva sembrare uno di loro.
«Sono un uomo d’affari» le aveva de o. «Niente di più, niente di
meno.»
«Tu sei un ladro, Kaz.»
«Non è quello che ho appena de o?»
Ora assomigliava a qualche specie di prete venuto a raccogliere in
preghiera un gruppo di acrobati da circo. “Un giovane prete” pensò
in preda a un altro a acco d’ansia.
Kaz aveva definito Geels vecchio e bollito, ma di certo non era
come appariva stasera. Il vicecomandante delle Punte Nere poteva
anche avere delle rughe che gli sgualcivano il contorno occhi e delle
guance cascanti so o le base e, ma pareva sicuro di sé, competente.
Accanto a lui Kaz sembrava... be’, un diciasse enne.
«Siamo onesti, ja? Tu i noi vogliamo gra are via qualcosa in più»
disse Geels, tamburellando sui bo oni a specchio del suo pancio o
giallo-verde. «Non è giusto da parte tua prosciugare ogni turista
pieno di soldi che scende da una nave da crociera a Quinto Porto.»
«Quinto Porto è nostro» replicò Kaz. «Gli Scarti spennano per
primi i polli che arrivano a cercare qualche divertimento.»
Geels scrollò la testa. «Tu sei così giovane, Brekker» disse con una
risatina indulgente. «Forse non ti rendi conto di come funzionano
queste cose. I porti appartengono alla ci à, e noi abbiamo i nostri
diri i come chiunque altro. Dobbiamo tu i campare.»
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Tecnicamente, era vero. Ma Quinto Porto era un luogo inservibile
e quasi del tu o abbandonato all’epoca in cui Kaz se ne era
impadronito. Lui l’aveva riportato alla luce, aveva ricostruito i moli e
le banchine, e aveva dovuto ipotecare il Club dei Corvi per farlo. Per
Haskell aveva imprecato contro di lui e lo aveva accusato di essere
un pazzo ad affrontare dei costi simili, ma alla fine aveva ceduto.
Stando a quanto diceva Kaz, le esa e parole del vecchio erano state:
“Prendi tu a la corda e impiccati”.
Ma gli sforzi erano stati ripagati in meno di un anno. Ora Quinto
Porto offriva ormeggi tanto alle navi mercantili quanto alle barche
che da tu o il mondo portavano turisti e soldati desiderosi di
scoprire le a ra ive e assaporare i piaceri di Ke erdam. Gli Scarti
erano i primi ad accoglierli e a condurli – loro e i loro portafogli – nei
bordelli, nelle taverne e nelle bische di proprietà della banda. Quinto
Porto aveva reso il vecchio molto ricco, e aveva consolidato gli Scarti
come figure di spicco nel Barile in un modo che nemmeno il successo
del Club dei Corvi aveva o enuto. Ma insieme ai profi i erano
arrivate le a enzioni indesiderate. Era da un anno che Geels e le
Punte Nere creavano problemi agli Scarti, sconfinando a Quinto
Porto, andando a caccia di polli che non spe avano a loro.
«Quinto Porto è nostro» ripeté Kaz. «Non sono qui per negoziare.
Ti stai introme endo nel nostro traffico dalle banchine, e hai
interce ato un carico di jurda che avrebbe dovuto a raccare due
no i fa.»
«Non so di cosa tu stia parlando.»
«So che ti viene facile, Geels, ma cerca di non fare il finto tonto
con me.»
Geels avanzò di un passo. Jesper e Bolliger il Grande si
irrigidirono.
«Piantala di mostrare i muscoli, ragazzino» disse Geels. «Lo
sappiamo tu i che il vecchio non ce l’ha lo stomaco per una vera
scazzo ata.»
La risata di Kaz suonò asciu a come il fruscio delle foglie secche.
«Ma ci sono io alla tua tavola, Geels, e non sono qui per darti solo un
assaggio. Se vuoi la guerra, farò in modo di farti mangiare fino a
scoppiare.»
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«E se tu non sei in circolazione, Brekker? Lo sanno tu i che sei tu
la spina dorsale dell’operazione Haskell: basta spezzarla e gli Scarti
crollano a terra.»
Jesper sbuffò. «Stomaco, spina dorsale. Adesso a chi tocca? Alla
milza?»
«Chiudi quella bocca» ringhiò Oomen. Le regole del convegno
volevano che soltanto i vicecomandanti potessero parlare una volta
che le negoziazioni avevano avuto inizio. Jesper mosse le labbra per
formare la parola “scusa” ed esasperò in modo esagerato il gesto di
tapparsi la bocca.
«Sono ragionevolmente certo che tu mi stia minacciando, Geels»
disse Kaz. «Ma voglio essere sicuro al cento per cento prima di
decidere cosa fare a riguardo.»
«Sicuro di te, vero, Brekker?»
«Di me e di nessun altro.»
Geels scoppiò a ridere e diede di gomito a Oomen. «Ma senti
questo presuntuoso piccolo pezzo di merda. Brekker, queste strade
non sono tue. I bambini come te sono pulci. Ogni qualche anno salta
fuori una nuova nidiata a dare fastidio ai migliori, finché un cane
grosso decide di gra arsele via. E lascia che te lo dica, io sono
piu osto stanco di sentire prurito.» Incrociò le braccia, con la
soddisfazione che gli si riversava fuori in ondate compiaciute. «E se
ti dicessi che ci sono due guardie con i loro fucili d’ordinanza
puntati contro di te e contro i tuoi, proprio adesso?»
A Inej si strizzarono le budella. Era questo che intendeva Kaz
quando aveva de o che Geels forse si era comprato le guardie?
Kaz guardò in alto verso il te o. «Assoldare le guardie ci adine
per i tuoi omicidi? Oserei dire che è un proge o costoso per una
banda come le Punte Nere. Non sono convinto che i tuoi fondi
possano sostenere questo tipo di spesa.»
Inej si arrampicò sulla balaustra e si lanciò, lasciando la sicurezza del
balcone, per puntare al te o. Se fossero sopravvissuti a stano e, ci
avrebbe pensato lei a uccidere Kaz.
C’erano sempre due guardie della stadwatch appostate sul te o
della Borsa. Qualche kruge proveniente dalle tasche degli Scarti e
delle Punte Nere aveva fa o in modo che non interferissero con il
convegno, una transazione abbastanza comune.
Ma Geels stava insinuando qualcosa di molto diverso. Aveva
davvero corro o le guardie della ci à per farle diventare i suoi
cecchini? In questo caso, le probabilità degli Scarti di sopravvivere
alla no e si erano appena rido e alla punta di un coltello.
Come la maggior parte degli edifici di Ke erdam, la Borsa aveva
un te o spiovente per far scivolare via la pioggia torrenziale, così le
guardie lo pa ugliavano da una stre a passerella che dava sul
cortile. Inej la ignorò. Era la via più semplice, ma l’avrebbe esposta
troppo. Invece si arrampicò sulle tegole scivolose del te o e iniziò a
strisciare, con il corpo inclinato a un’angolazione instabile,
muovendosi come un ragno mentre teneva un occhio sulla passerella
in cui c’erano le guardie e un orecchio sulla conversazione di so o.
Forse Geels stava bluffando. O forse due guardie erano curve
sopra la balaustra proprio in questo momento, e avevano Kaz o
Jesper o Bolliger il Grande so o tiro.
«C’è costato un po’» ammise Geels. «Al momento, siamo ancora
una piccola impresa, e le guardie ci adine non sono a buon mercato.
Ma il premio varrà la pena.»
«Il premio sarei io?»
«Il premio saresti tu.»
«Sono lusingato.»
«Gli Scarti non dureranno una se imana senza di te.»
«Gli darei un mese, per pura inerzia.»
Quel pensiero si diba é con rumore nella testa di Inej. Se Kaz
morisse, resterei? Oppure disonorerei il mio debito? Correrei il rischio con
gli scagnozzi di Haskell?
Se non si fosse data una mossa, l’avrebbe scoperto di sicuro.
«Piccolo ra o arrogante dei bassifondi.» Geels rise. «Non vedo
l’ora di cancellarti quello sguardo dalla faccia.»
«E allora fallo» disse Kaz. Inej si azzardò a guardare giù. La sua
voce era cambiata, ogni ironia sparita.
«Devo farti piantare una pallo ola nella gamba buona, Brekker?»
“Dove sono le guardie?” si chiese Inej, accelerando il passo.
A raversò di corsa la ripida pendenza del te o. La Borsa si
p p
estendeva in lunghezza più o meno quanto un isolato della ci à. Il
territorio da controllare era troppo.
«Piantala di blaterare, Geels. Digli di sparare.»
«Kaz...» disse Jesper nervosamente.
«Avanti. Tira fuori le palle e dai l’ordine.»
A che gioco stava giocando Kaz? Se l’era aspe ato? Aveva
semplicemente dato per scontato che Inej avrebbe raggiunto le
guardie in tempo?
Guardò giù di nuovo. Geels era in trepidante a esa. Fece un
respiro profondo, gonfiando il pe o. Inej vacillò, e dove e farsi forza
per non scivolare dal bordo del te o. Sta per farlo. Vedrò morire Kaz.
«Fuoco!» gridò Geels.
Uno sparo spezzò l’aria. Bolliger il Grande si lasciò sfuggire un
lamento e si accasciò a terra.
«Dannazione!» sbraitò Jesper, piegandosi su un ginocchio accanto
a Bolliger e pigiando la mano sul buco della pallo ola mentre
l’omone gemeva. «Tu, miserabile ciccione!» inveì contro Geels. «Hai
appena violato il territorio neutrale.»
«E chi lo dice che non avete sparato voi per primi?» replicò Geels.
«E chi lo verrà a sapere? Nessuno di voi uscirà vivo da qui.»
La voce di Geels suonava troppo alta. Stava cercando di
mantenere il controllo, ma Inej poteva sentire il terrore pulsare nelle
sue parole, il convulso ba ito d’ali di un uccello terrorizzato. Ma
perché? Solo qualche istante prima si era comportato da spaccone.
Fu allora che Inej si accorse che Kaz non si era ancora mosso.
«Non hai un bell’aspe o, Geels.»
«Sto bene» disse lui. Ma non era vero. Era pallido e malfermo. Gli
occhi sfrecciavano a destra e a sinistra come in cerca delle ombre
sulla passerella del te o.
«Davvero?» chiese Kaz, come per fare conversazione. «Le cose
non stanno andando esa amente come previsto, giusto?»
«Kaz» disse Jesper. «Bolliger sta perdendo sangue.»
«Bene» replicò Kaz.
«Ha bisogno di un medico!»
Kaz rivolse all’uomo ferito il più freddo degli sguardi. «Quello di
cui ha bisogno è sme ere di piagnucolare ed essere grato che non ho
g p g g
chiesto a Holst di piantargli una pallo ola in testa.»
Anche da lassù, Inej vide Geels trasalire.
«È il nome della sentinella, giusto?» domandò Kaz. «Willem Holst
e Bert Van Daal, le due guardie ci adine in servizio stasera. Quelle
che ti sei comprato dilapidando i fondi delle Punte Nere?»
Geels non disse niente.
«A Willem Holst» gridò Kaz, la voce che saliva flu uando fino al
te o, «piace scomme ere quasi quanto piace a Jesper, così i tuoi
soldi gli hanno fa o gola. Ma Holst ha problemi molto più grossi...
chiamiamoli desideri. Non scenderò nei de agli. Un segreto non è
una moneta. Non ha più valore, una volta speso. Ti basti sapere che
farebbe rivoltare lo stomaco persino a te. Non è vero, Holst?»
La risposta fu un altro sparo. Che colpì i cio oli accanto ai piedi di
Geels. L’uomo si lasciò uscire un lamento scioccato e fece un salto
indietro.
Questa volta Inej ebbe modo di rintracciare l’origine dello sparo. Il
colpo era partito da qualche parte nella zona occidentale
dell’edificio. Se Holst era là, voleva dire che l’altra sentinella – Bert
Van Daal – si trovava a est. Kaz aveva neutralizzato anche lui?
Oppure stava contando su di lei? Salì di corsa sul te o.
«Sparagli, Holst!» urlò Geels, con una disperazione evidente nella
voce. «Sparagli in testa!»
Kaz fece una smorfia di disgusto. «Pensi veramente che il segreto
morirebbe con me? Avanti, Holst» lo incalzò. «Me imi un proie ile
nel cranio. I corrieri arriveranno di corsa alla porta di tua moglie e
del tuo capitano prima ancora che io tocchi terra.»
Niente spari.
«Come hai fa o?» chiese Geels in modo brusco. «Come sei venuto
a sapere chi sarebbe stato in servizio stano e? Ho dovuto pagare un
occhio della testa per o enere l’elenco dei turni. Non avresti potuto
offrire di più.»
«Me iamola così: la mia valuta unge meglio le ruote.»
«I soldi sono soldi.»
«Io smercio informazioni, Geels, le cose che gli uomini fanno
quando pensano che nessuno li stia guardando. La vergogna ha un
valore che il denaro non potrà mai avere.»
p
Stava a irando l’a enzione su di sé, Inej lo vedeva, così da
guadagnare tempo per lei, che intanto balzava sopra le tegole di
ardesia.
«Sei preoccupato per la seconda sentinella?» Il buon vecchio Bert
Van Daal?» chiese Kaz. «Forse è quassù proprio ora, a domandarsi
cosa fare. Sparare a me? Sparare a Holst? O forse mi sono comprato
anche lui, ed è pronto a farti un buco nel pe o, Geels.» Si sporse
come se lui e Geels stessero condividendo un grosso segreto. «Perché
non dai l’ordine a Van Daal e non lo scopri?»
Geels aprì e chiuse la bocca come un pesce, poi strillò: «Van
Daal!».
Non appena la guardia mosse le labbra per rispondere, Inej
scivolò dietro di lui e gli mise una lama alla gola. Aveva avuto a
malapena il tempo di individuare la sua ombra e sli are veloce giù
per le tegole del te o. Santi numi, a Kaz piaceva farcela per un pelo.
«Sssh» sussurrò all’orecchio di Van Daal. Gli diede un colpe o nel
fianco in modo che lui potesse sentire la punta del secondo pugnale
premuta sul rene.
«Ti prego» piagnucolò. «Io...»
«Mi piace quando gli uomini supplicano» disse lei. «Ma non è
questo il momento.»
Di so o, il pe o di Geels si alzava e si abbassava in preda al
panico. «Van Daal!» gridò di nuovo. Quando si girò verso Kaz, la sua
faccia era stravolta dalla rabbia. «Sempre un passo avanti, vero?»
«Geels, quando si tra a di te, mi vien da dire che parto
avvantaggiato.»
Ma Geels fece un sorriso – un sorrisino, tirato e soddisfa o. “Il
sorriso del vincitore” realizzò Inej in preda a una nuova paura.
«Non è ancora finita.» Geels infilò una mano nella giacca ed
estrasse una grossa pistola nera.
«Era ora» disse Kaz. «La grande rivelazione. Finalmente Jesper
può sme erla di piangere su Bolliger come una vedova.»
Jesper fissò la pistola con uno sguardo scioccato e furibondo.
«Bolliger l’ha perquisito. Lui... Oh, Bol il Grande, sei un idiota» disse
con un gemito.
Inej non riusciva a credere ai propri occhi. Alla guardia tra le sue
braccia scappò uno squi io. Per la rabbia e la sorpresa, aveva
premuto un po’ troppo. «Rilassati» gli disse, mollando leggermente
la presa. Ma, per tu i i Santi, accidenti se voleva infilare un coltello
da qualche parte. Bolliger il Grande era stato l’unico a perquisire
Geels. Non poteva non essersi accorto della pistola.
Li aveva traditi.
Era per questo che Kaz aveva insistito nel portarsi dietro Bolliger
il Grande stano e... per avere la prova pubblica che era passato dalla
parte delle Punte Nere? Era di certo quello il motivo per cui aveva
lasciato che Holst gli piantasse una pallo ola in pancia. E allora?
Adesso tu i sapevano che Bol il Grande era un traditore. Ma Kaz
aveva ancora una pistola puntata al pe o.
Geels fece un sorrise o. «Kaz Brekker, il grande artista della fuga.
Come farai a scappare questa volta?»
«Uscendo dalla stessa parte dalla quale sono entrato.» Kaz ignorò
la pistola e indirizzò la sua a enzione all’uomo grande e grosso che
giaceva a terra. «Sai qual è il tuo problema, Bolliger?» Pungolò la
ferita nel ventre di Bol il Grande con la punta del suo bastone. «Non
era una domanda retorica. Sai qual è il tuo problema più grosso?»
Bolliger si lamentò. «Nooo.»
«Prova a indovinare» sibilò Kaz.
Bol il Grande non disse niente, emise solo un altro guaito
tremolante.
«D’accordo, te lo dico io. Sei pigro. Lo so io. E lo sanno tu i. Per
cui mi sono dovuto chiedere perché mai il più pigro dei miei
bu afuori si alzasse la ma ina presto due volte alla se imana e si
facesse a piedi due miglia in più per fare colazione da Friggicilla,
specialmente quando le uova del Kooperom sono molto meglio. Bol
il Grande diventa ma iniero, le Punte Nere iniziano a
spadroneggiare intorno a Quinto Porto e poi interce ano il nostro
carico di jurda più grosso. Non è stato un collegamento difficile da
fare.» Kaz sospirò e disse, rivolto a Geels: «Questo è quello che
succede quando le persone stupide iniziano a fare grandi proge i,
ja?».
«Non importa granché ora, che dici?» replicò Geels. «Questa farà
dei gran bru i danni, sto per spararti da distanza ravvicinata. Forse
le tue guardie colpiranno me o i miei ragazzi, ma tu di sicuro non
schiverai questo proie ile.»
Kaz fece un passo avanti, verso la canna della pistola, che ora
premeva dire amente contro il suo pe o. «No di sicuro, Geels.»
«Tu credi che non lo farò.»
«Oh, io credo che tu lo faresti con gioia, sulle note di una canzone
nel tuo cuore nero. Ma non lo farai. Non stano e.»
Il dito di Geels freme e sul grille o.
«Kaz» disse Jesper. «Tu o questo “sparami” sta iniziando a
preoccuparmi.»
Oomen non si disturbò a rinfacciare a Jesper il fa o che stesse
parlando ad alta voce. Un uomo era a terra. Il territorio neutrale era
stato violato. L’odore acre e pungente della polvere da sparo
aleggiava ancora nell’aria – e in aggiunta a tu o questo c’era una
domanda, inespressa, come se la Signora con la Falce in persona
fosse in a esa della risposta: quanto sangue sarebbe stato sparso
stano e?
Una sirena ululò in lontananza.
«Burstraat diciannove» disse Kaz.
Finora Geels aveva spostato leggermente il suo peso da un piede
all’altro; ora si immobilizzò.
«È l’indirizzo della tua ragazza, vero, Geels?»
L’altro deglutì. «Non ho una ragazza.»
«Oh sì che ce l’hai» lo sbeffeggiò Kaz. «È anche carina. Be’, carina
il giusto per una canaglia come te. Sembra dolce. Tu la ami, vero?»
Persino dal te o, Inej riusciva a vedere il luccichio del sudore sulla
faccia cerea di Geels. «Ma certo che la ami. Nessun’altra altre anto
graziosa avrebbe mai rivolto lo sguardo due volte a uno scarto del
Barrel come te, ma lei è diversa. Ti trova affascinante. Un chiaro
segnale di follia, se vuoi il mio parere, ma l’amore, si sa, è strano. Le
piace appoggiare la sua testolina sulla tua spalla? Ascoltarti mentre
le racconti com’è andata la giornata?»
Geels guardò Kaz come se lo vedesse finalmente per la prima
volta. Il ragazzo a cui aveva parlato era stato presuntuoso,
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avventato, facile alle risate, ma non spaventoso... non veramente.
Ora il mostro era qui, con lo sguardo spento e senza nulla da temere.
Kaz Brekker era sparito, ed era arrivato Manisporche a fare,
appunto, il lavoro sporco.
«Vive al numero diciannove della Burstraat» continuò Kaz nella
sua voce rauca. «Al terzo piano, con i gerani alle finestre. Ci sono
due Scarti in a esa fuori dalla sua porta proprio ora, e se io non esco
fuori di qui tu o intero e in buone condizioni, daranno fuoco a quel
posto dalle fondamenta al te o. Le fiamme saliranno nel giro di
qualche secondo, incenerendo tu o da entrambi i lati con la povera
Elise intrappolata in mezzo. I suoi capelli biondi prenderanno fuoco
per primi. Come lo stoppino di una candela.»
«Stai bluffando» disse Geels, ma la mano che reggeva la pistola
tremava.
Kaz alzò la testa e trasse un respiro profondo. «Si sta facendo
tardi. Hai sentito la sirena. C’è un odore salmastro nell’aria, di mare,
di sale, e forse... è fumo l’odore che sento?» C’era del piacere nella
sua voce.
“Oh, in nome dei Santi, Kaz” pensò Inej tristemente. “Che cosa
hai fa o?”
Di nuovo, il dito di Geels freme e sul grille o, e Inej si irrigidì.
«Lo so, Geels. Lo so» disse Kaz comprensivo. «Tu o quel
pianificare e complo are e corrompere per niente. Ecco a cosa stai
pensando in questo momento. A quanto ti farà male tornare a casa
sapendo quel che hai perso. A quanto si arrabbierà il tuo capo
quando ti presenterai a mani vuote e molto più povero per niente. A
quanta soddisfazione ti darebbe piantarmi una pallo ola nel cuore.
Puoi farlo. Tira il grille o. Possiamo cadere a terra insieme. Possono
portare fuori i nostri corpi e bruciarli alla Chia a del Mietitore, dove
vanno a finire tu i i poveracci. Oppure il tuo orgoglio può incassare
questo colpo e tu puoi tornartene sulla Burstraat, adagiare la testa
nel grembo della tua ragazza, addormentarti mentre ancora respiri e
sognare la tua vende a. Sta a te, Geels. Ce ne andiamo a casa
stano e?»
Geels cercò lo sguardo di Kaz, e qualunque cosa ci vide gli fece
afflosciare le spalle. Inej si sorprese a provare una fi a di
p j p p
compassione per lui. Era entrato qui tu o gasato, spavaldo, un
sopravvissuto, un campione del Barile. E ne sarebbe uscito da
vi ima, l’ennesima, di Kaz Brekker.
«Un giorno avrai quello che ti meriti, Brekker.»
«L’avrò» disse Kaz, «se c’è una giustizia a questo mondo. E
sappiamo tu i quanto sia improbabile.»
Geels lasciò cadere il braccio. La pistola penzolava inutile al suo
fianco.
Kaz fece un passo indietro, spazzolando il punto della camicia
dov’era stata appoggiata la canna della pistola. «Di’ al tuo generale
di tenere le Punte Nere alla larga da Quinto Porto, e che ci
aspe iamo un risarcimento per il carico di jurda che abbiamo perso,
più il cinque per cento per aver estra o il ferro in territorio neutrale
e un altro cinque per cento per essere un così spe acolare ammasso
di teste di cazzo.»
Poi, all’improvviso, il bastone di Kaz roteò bruscamente e disegnò
un arco.
Geels lanciò un urlo quando le ossa del polso gli si spezzarono. La
pistola sferragliò sul selciato.
«L’avevo abbassata!» strillò Geels, reggendosi la mano. «L’avevo
abbassata!»
«Puntamela contro un’altra volta e ti spacco tu i e due i polsi, così
dovrai assumere qualcuno che ti aiuti a pisciare.» Kaz si sollevò la
tesa del cappello con la cima del bastone. «O forse puoi chiedere alla
tua adorabile Elise di darti una mano.»
Kaz si accovacciò a terra accanto a Bolliger. L’omone uggiolò.
«Guardami. Ammesso che tu non muoia dissanguato stano e, hai
tempo fino al tramonto di domani per andartene da Ke erdam. Se
vengo a sapere che sei da qualche parte a orno ai confini della ci à,
ti ritroverai dentro un barile del Friggicilla.» Poi guardò Geels. «Se
scopro che lo stai aiutando, o che lavora per le Punte Nere, stai
tranquillo che vengo a cercarti.»
«Ti prego, Kaz» supplicò Bolliger.
«Avevi una casa, e ne hai distru o la porta con una palla da
demolizione. Non cercare la mia comprensione.» Si rialzò e controllò
l’orologio da taschino. «Non mi aspe avo che andasse così tanto per
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le lunghe. Sarà meglio che mi incammini o la povera Elise soffrirà un
po’ il caldo.»
Geels scrollò la testa. «C’è qualcosa che non va in te, Brekker. Non
so cos’è, ma non sei a posto.»
Kaz piegò la testa di lato. «Tu vieni dalla periferia, giusto, Geels?
Arrivato in ci à per cercare fortuna?» Si lisciò il bavero della giacca
con una mano guantata. «Bene, io sono quel genere di bastardo che
soltanto nel Barile sono capaci di fabbricare.»
Kaz diede le spalle alle Punte Nere, nonostante ai loro piedi ci
fosse la pistola carica, e zoppicando si avviò sull’accio olato verso
l’arco orientale. Jesper si accucciò vicino a Bolliger e gli diede un
buffe o gentile sulla guancia. «Idiota» disse con tristezza, e seguì
Kaz fuori dalla Borsa.
Dal te o, Inej continuò a guardare Oomen che raccoglieva la
pistola di Geels e la me eva nella fondina, e le Punte Nere che si
scambiavano qualche parola so ovoce.
«Non andartene» implorava Bolliger il Grande. «Non
abbandonarmi.» Cercò di aggrapparsi ai risvolti dei pantaloni di
Geels.
L’uomo se lo scrollò di dosso. Lo lasciarono rannicchiato su un
fianco, a perdere sangue sul selciato.
Inej strappò il fucile dalle mani di Van Daal prima di lasciarlo
andare. «Vai a casa» disse alla guardia.
Lui ge ò una singola occhiata terrorizzata da sopra la spalla e
sparì di corsa giù per la passerella.
Di so o, Bol il Grande cercava di trascinarsi sul pavimento della
Borsa. Avrebbe potuto essere abbastanza stupido da rincrociare Kaz
Brekker, ma era sopravvissuto a lungo nel Barile, e per quello ci
voleva una certa forza di volontà. Poteva farcela.
“Aiutalo” disse una voce dentro di lei. Fino a pochi minuti prima,
era stato suo fratello d’armi. Sembrava sbagliato lasciarlo da solo.
Avrebbe potuto raggiungerlo, offrirsi di me ere fine alla sua
sofferenza velocemente, tenergli la mano mentre se ne andava.
Avrebbe potuto andare a chiamare un medico per salvarlo.
Invece disse una veloce preghiera nella lingua dei suoi Santi e
iniziò a scendere lungo il muro esterno. Inej aveva pietà del ragazzo
g j p g
che avrebbe potuto morire da solo, senza nessuno che gli desse un
po’ di conforto nelle sue ultime ore, o che avrebbe potuto
sopravvivere e trascorrere tu o il resto della vita in esilio. Ma il
lavoro di stano e non era ancora finito, e lo Spe ro non aveva tempo
per i traditori.
3
KAZ
Kaz si svegliò per via del forte odore di ammoniaca. La testa gli
sobbalzò all’indietro mentre riprendeva del tu o conoscenza.
L’uomo anziano di fronte a lui indossava la toga di un do ore
universitario. Aveva una bo iglie a di sali d’ammonio tra le mani e
la sventolava so o il naso di Kaz. La puzza era quasi insopportabile.
«Stammi alla larga» gracchiò Kaz.
Il do ore lo fissò senza alcuna emozione, rime endo i sali
d’ammonio in un borsellino di pelle. Kaz mosse le dita, ma era tu o
quello che era in grado di fare. Era stato legato a una sedia con le
braccia dietro la schiena. Qualunque cosa fosse quella che gli
avevano inie ato, lo aveva lasciato intontito.
Il do ore si mosse di lato, e Kaz sba é le palpebre due volte,
cercando di schiarirsi la vista e di dare un senso al lusso assurdo
dell’ambiente che lo circondava. Si era aspe ato di svegliarsi nel
covo delle Punte Nere o di qualche altra banda rivale. Ma questa non
era la tipica pacco iglia da qua ro soldi del Barile. Per agghindare
una casa occupata abusivamente in quel modo ci voleva del denaro
vero. Pannelli di mogano affollati di intagli di onde schiumose e
pesci volanti, librerie ricoperte di libri, finestre istoriate, e Kaz era
piu osto sicuro che ci fosse un vero DeKappel, uno di quei discreti
ritra i a olio di donna con un libro aperto in grembo e un agnello
disteso ai piedi. L’uomo che lo osservava da dietro un’ampia
scrivania aveva l’aspe o di un ricco mercante. Ma se questa era casa
sua, perché c’erano i soldati armati della stadwatch di guardia alla
porta?
“Dannazione” pensò Kaz, “sono in arresto?” Nel caso, questo
mercante sarebbe rimasto a bocca aperta. Grazie a Inej, aveva delle
informazioni su ogni giudice, ufficiale giudiziario e alto consigliere
di Kerch. Sarebbe uscito dalla sua cella prima dell’alba. Solo che non
era in una prigione, era incatenato a una sedia, per cui cosa diavolo
stava succedendo?
L’uomo era sulla quarantina, aveva una faccia scavata ma bella e
un’a accatura dei capelli che stava ba endo la ritirata sulla fronte.
Quando Kaz incontrò il suo sguardo, l’uomo si schiarì la gola e
congiunse le dita.
«Signor Brekker, spero che non si senta troppo indisposto.»
«Mandi via questa vecchia piaga. Sto bene.»
Il mercante fece un cenno con la testa al do ore. «Può andare. Per
favore, mi faccia avere la sua parcella. E, ovviamente, apprezzerei la
sua discrezione al riguardo.»
Il do ore chiuse la borsa e uscì dalla stanza. Subito dopo, il
mercante si alzò e sollevò un fascio di carte dalla scrivania.
Indossava l’abito a redingote perfe amente tagliato su misura di tu i
i mercanti di Kerch – scuro, sofisticato, volutamente serio e
compassato. Ma gli accessori raccontavano a Kaz tu o quello che gli
p g q g
serviva sapere: l’orologio da tasca era d’oro, con grosse maglie di
foglie d’alloro, e il fermacrava a era un enorme, perfe o rubino.
“Per avermi legato a questa sedia, staccherò quel brillocco dalla
montatura e userò il fermaglio per infilzare il tuo ricco collo” pensò
Kaz. Ma tu o ciò che disse fu: «Van Eck».
L’uomo annuì. Nessun inchino, ovviamente. I mercanti non si
inchinavano davanti alla gentaglia del Barile. «Mi conosce, dunque?»
Kaz conosceva i simboli e i gioielli di tu e le casate di mercanti di
Kerch. Lo stemma dei Van Eck era l’alloro rosso. Non bisognava
essere dei luminari per fare il collegamento.
«La conosco» disse Kaz. «Lei è uno di quei mercanti sempre
pronti a fare una crociata per ripulire il Barile.»
Van Eck fece un altro piccolo cenno di assenso con il capo. «Io
cerco di trovare un lavoro onesto alle persone.»
Kaz rise. «Qual è la differenza tra scomme ere al Club dei Corvi e
fare speculazioni finanziarie alla Borsa?»
«Il primo è ladrocinio, l’altro è commercio.»
«Un uomo che perde il proprio denaro potrebbe far fatica a
distinguerli.»
«Il Barile è un rice acolo di sporcizia, vizi, violenza.»
«Quante delle navi che manda fuori dai porti di Ke erdam non
tornano più?»
«Questo non...»
«Una su cinque, Van Eck. Un’imbarcazione su cinque che spedisce
a cercare caffè e jurda e rotoli di seta affonda negli abissi del mare, si
schianta sulle rocce, diventa bo ino dei pirati. Una ciurma su cinque
muore, i loro cadaveri dispersi in acque straniere, cibo per pesci che
nuotano nelle acque profonde. Non parliamo di violenza.»
«Non discuterò di questioni etiche con un ragazzino del Barile.»
Kaz non si aspe ava davvero che lo facesse. Stava solo
guadagnando tempo mentre controllava quanto fossero stre e le
mane e che aveva ai polsi.
Con le dita tastò la lunghezza della catena fin dove riuscì, e
intanto continuava a scervellarsi per capire dove fosse. Anche se Kaz
non l’aveva mai incontrato prima di persona, aveva avuto i suoi
motivi per studiare nel de aglio la piantina della casa di Van Eck. E
dovunque fossero, non erano nel palazzo del mercante.
«Dal momento che non mi ha portato qui per filosofeggiare, a che
pro allora?» Era la classica domanda che dava inizio a una riunione.
Un convenevole tra pari, non la supplica di un prigioniero.
«Ho una proposta per lei. O, meglio, il Consiglio ne ha una.»
Kaz nascose lo stupore. «Il Consiglio dei Mercanti è solito
cominciare tu e le negoziazioni con un pestaggio?»
«Lo consideri un avvertimento. E una dimostrazione.»
A Kaz tornò in mente la forma nel vicolo, il modo in cui era
apparsa e scomparsa come un fantasma. Jordie.
Si sforzò di riordinare le idee. Lascia perdere Jordie, idiota. Stai
concentrato. Lo avevano acciuffato perché si era fissato su una vi oria
e si era distra o. Questo era il suo castigo, e non era un errore che
avrebbe fa o di nuovo. Il che non spiega il fantasma. Per il momento,
mise quel pensiero da parte.
«E in che modo potrei tornare utile al Consiglio?»
Van Eck sfogliò le carte che aveva in mano. «La prima volta che è
stato arrestato aveva dieci anni» disse, scorrendo la pagina.
«La prima volta non si scorda mai.»
«Due volte in quello stesso anno, due volte l’anno dopo. Quando
aveva qua ordici anni è stato ca urato dalla stadwatch durante
un’irruzione in una bisca, ma da allora non è più finito dietro le
sbarre.»
Era vero. Nessuno aveva più pizzicato Kaz negli ultimi tre anni.
«Ora sono pulito» disse. «Ho trovato un lavoro onesto, la mia vita è
tu a casa e chiesa.»
«Non sia blasfemo» replicò Van Eck gentilmente, ma con un
rapido lampo d’ira negli occhi.
“Un uomo di fede” notò Kaz, mentre la sua mente passava in
rassegna tu o quello che sapeva di Van Eck: agiato, devoto, un
vedovo risposatosi di recente con una donna non molto più grande
di Kaz. E poi, ovviamente, c’era il mistero del figlio.
Van Eck continuò a scorrere le pagine del dossier. «Lei gestisce le
scommesse dei comba imenti di pugilato, delle corse dei cavalli e
dei giochi d’azzardo di sua proprietà. È stato il capo sala del Club
g p p p
dei Corvi per più di due anni. Il più giovane ad aver mai gestito una
ricevitoria di scommesse, e in quei due anni ha raddoppiato i
profi i. Lei è un rica atore.»
«Tra o le informazioni.»
«Un genio della truffa.»
«Creo opportunità.»
«Un ruffiano e un assassino.»
«Non sfru o le prostitute e uccido solo per giusta causa.»
«E quale sarebbe questa giusta causa?»
«La stessa che ha lei, mercante. Il profi o.»
«Come o iene le sue informazioni, signor Brekker?»
«Si potrebbe dire che sono un grimaldello.»
«Dev’essere un grimaldello molto dotato.»
«Lo sono eccome.» Kaz sli ò leggermente indietro con la schiena.
«Vede, ogni uomo è una cassaforte, un caveau di segreti e desideri.
Ora, ci sono quelli che usano modi brutali, ma io preferisco un
approccio più gentile: la giusta pressione esercitata al momento
giusto, nel posto giusto. È una cosa delicata.»
«Lei parla sempre per metafore, signor Brekker?»
Kaz sorrise. «Non è una metafora.»
Fu in piedi, libero, prima che le catene toccassero terra. Superò
con un salto la scrivania, con una mano agguantò un tagliacarte che
vi era appoggiato sopra e con l’altra afferrò la camicia di Van Eck. A
Kaz girava la testa, e si sentiva braccia e gambe intorpidite per essere
rimasto bloccato a lungo sulla sedia, ma con un’arma in mano tu o
acquistava una luce migliore.
Le guardie di Van Eck lo fronteggiarono, con le pistole e le spade
sguainate. Poteva sentire il cuore del mercante ba ere forte so o la
lana dell’abito.
«Non credo di dover sprecare fiato con le minacce» cominciò Kaz.
«Mi dica come raggiungere la porta o verrà via dalla finestra con
me.»
«Penso di riuscire a farle cambiare idea.»
Kaz gli diede una spintarella. «Non mi interessa chi è lei o quant’è
grande quel rubino. Non può trascinarmi via dalle mie strade. E non
fa un pa o con me mentre sono legato.»
p g
«Mikka» chiamò Van Eck.
E a quel punto accadde di nuovo. Un ragazzo entrò nella stanza
dalla libreria a muro. Era bianco come un cadavere e indossava una
giacca blu ricamata da Grisha Scuotiacque con un fiocco rosso e oro
sul bavero a segnalare il suo legame con la casa dei Van Eck. Ma
nemmeno un Grisha poteva andare a spasso a raverso le pareti.
“Drogato” pensò Kaz, cercando di dominare il panico. “Sono stato
drogato.” Oppure era un qualche numero di illusionismo, del genere
che me evano in scena nei teatri dello Stave dell’Est – una ragazza
tagliata in due, colombe che uscivano da una teiera.
«Cosa diavolo è?» ringhiò.
«Mi lasci andare e glielo spiegherò.»
«Me lo può spiegare lì dov’è.»
Van Eck sbuffò fuori un breve respiro tremante. «Quelli che vede
sono gli effe i della jurda parem.»
«La jurda è solo uno stimolante.» I fiorellini essiccati erano
coltivati a Novyi Zem e venduti nei negozi di tu a Ke erdam. Nei
primi tempi con gli Scarti, Kaz l’aveva masticata per restare sveglio
durante i turni di sorveglianza. Gli aveva macchiato i denti di
arancione per giorni. «È innocua» disse.
«La jurda parem è una sostanza completamente diversa, e
sicuramente non è innocua.»
«Quindi mi ha drogato.»
«Non lei, signor Brekker. Mikka.»
Kaz si rese finalmente conto del pallore malato sulla faccia del
Grisha. Aveva ombre scure so o gli occhi, e la corporatura fragile e
tremolante di qualcuno che aveva saltato parecchi pasti e sembrava
non importargli.
«La jurda parem è parente della jurda comune» continuò Van Eck.
«Viene dalla stessa pianta. Non sappiamo bene come funziona il
processo per sintetizzarla, ma un campione è stato mandato al
Consiglio dei Mercanti di Kerch da uno scienziato di nome Bo Yul-
Bayur.»
«Uno Shu?»
«Sì. Voleva lasciare il suo paese, così ci ha mandato un campione
per convincerci degli straordinari effe i della droga. La prego,
p g g p g
signor Brekker, è una posizione davvero scomoda. Se non le
dispiace, le faccio consegnare una pistola così almeno ci sediamo e
parliamo in maniera più civile.»
«Una pistola e il mio bastone.»
Van Eck fece cenno a una delle guardie, che uscì dalla stanza e
ritornò dopo un momento con il bastone da passeggio. Kaz era a dir
poco felice che fosse passato per una dannata porta.
«Prima la pistola» disse Kaz. «Lentamente.» La guardia sfoderò la
propria arma e la porse tenendola per il calcio. Kaz l’afferrò e la
caricò velocemente in un solo gesto, poi lasciò andare Van Eck,
lanciò il tagliacarte sulla scrivania e strappò il proprio bastone dalla
mano della guardia. La pistola era più utile, ma il bastone dava a
Kaz un sollievo che non si poneva il problema di quantificare.
Van Eck fece qualche passo indietro, me endo un po’ di distanza
tra lui e l’arma carica di Kaz. Non sembrava aver voglia di sedersi.
Nemmeno Kaz, che si portò vicino alla finestra, pronto a uscire da lì
se necessario.
Van Eck fece un respiro profondo e cercò di sistemarsi i vestiti.
«Quel bastone è davvero un capolavoro, signor Brekker. È stato
realizzato da un Fabrikator?»
In effe i, era opera di un Grisha Fabrikator, imbo ito di piombo e
perfe amente bilanciato per spezzare le ossa. «Niente che la
riguardi. Vada avanti a raccontare, Van Eck.»
Il mercante si schiarì la gola. «Quando Bo Yul-Bayur ci mandò il
campione di jurda parem, la somministrammo a tre Grisha, uno per
ogni Ordine.»
«Volontari entusiasti?»
«So o contra o» ammise Van Eck. I primi due erano un
Fabrikator e una Guaritrice al servizio del Consigliere Hoede. Mikka
è uno Scuotiacque. Lui è mio. E ha visto cosa è in grado di fare so o
l’effe o di quella sostanza.»
Hoede. Perché quel nome gli diceva qualcosa?
«Non lo so cos’ho visto» ammise Kaz mentre lanciava un’occhiata
a Mikka. Lo sguardo del ragazzo era fisso su Van Eck come se stesse
aspe ando un altro ordine. O forse un’altra dose.
«Uno Scuotiacque qualunque è in grado di controllare le correnti,
di raccogliere l’acqua o l’umidità dall’aria o da una superficie nelle
vicinanze. Gli Scuotiacque supervisionano le maree nei nostri porti.
Ma so o l’effe o della jurda parem, possono modificare il proprio
stato da solido a liquido a gassoso e viceversa, e fare lo stesso con
altri ogge i. Anche un muro.»
Kaz fu tentato di negare, ma non avrebbe potuto spiegare in altro
modo quello che aveva appena visto. «Come?»
«Difficile da dire. Ha presente gli amplificatori che indossano
alcuni Grisha?»
«Li ho visti» rispose Kaz. Ossa di animali, denti, squame. «So che
sono difficili da trovare.»
«Alquanto. Ma gli amplificatori possono solo aumentare il potere
di un Grisha. La jurda parem altera la percezione di un Grisha.»
«E quindi?»
«I Grisha manipolano la materia ai suoi livelli più essenziali. Loro
la chiamano la Piccola Scienza. So o l’effe o della parem, queste
manipolazioni diventano più veloci e di gran lunga più precise. In
teoria, la jurda parem è soltanto uno stimolante come la sua banale
cugina. Ma sembra accentuare e perfezionare i sensi dei Grisha. Che
riescono a creare connessioni a una velocità straordinaria. Diventano
possibili cose che non dovrebbero esserlo.»
«Cosa fa a quelli come noi?»
Van Eck sembrò irritarsi leggermente all’idea di essere paragonato
a Kaz, ma disse: «È letale. Una mente comune non può tollerare la
parem nemmeno alle dosi più basse».
«Ha de o che l’avete somministrata a tre Grisha. Gli altri due che
cosa sono in grado di fare?»
«Qui» disse Van Eck, allungando la mano verso un casse o della
scrivania.
Kaz sollevò la pistola. «Piano.»
Con esasperata lentezza, Van Eck infilò la mano nel casse o ed
estrasse un ma oncino d’oro. «Questo era piombo.»
«Sì, certo, come no?!»
Van Eck si strinse nelle spalle. «Posso solo dirle ciò che ho visto. Il
Fabrikator ha preso un pezzo di piombo tra le mani, e dopo pochi
p p p p p
istanti abbiamo o enuto questo.»
«Come fa a sapere che è autentico?» chiese Kaz.
«Ha lo stesso punto di fusione dell’oro, lo stesso peso e la stessa
malleabilità. Se non è identico all’oro in tu o e per tu o, la
differenza ci è sfuggita. Lo faccia valutare anche lei, se vuole.»
Kaz si infilò il bastone so o il braccio e prese il pesante
ma oncino dalla mano di Van Eck. Se lo fece scivolare in tasca. Che
fosse vero o solo un’imitazione verosimile, con un bel pezzo giallo
così grosso ci potevi comprare un sacco di cose nelle strade del
Barile.
«Potrebbe provenire da qualunque parte» puntualizzò Kaz.
«Porterei qui il Fabrikator di Hoede a mostrarglielo di persona,
ma non si sente bene.»
Lo sguardo di Kaz sca ò alla faccia malaticcia di Mikka e alla sua
fronte sudata. Evidentemente, la droga aveva il suo prezzo.
«Amme iamo che sia tu o vero e non un trucche o da qua ro
soldi. Io che cosa c’entro?»
«Ha forse sentito in giro la storia degli Shu che hanno estinto per
intero il loro debito a Kerch con un improvviso afflusso d’oro?
L’omicidio dell’ambasciatore del commercio di Novyi Zem? Il furto
di documenti da una base militare a Ravka?»
Quindi era quello il segreto dietro l’uccisione dell’ambasciatore in
gabine o.
E l’oro nelle tre navi Shu doveva essere opera di un Fabrikator.
Kaz non sapeva nulla dei documenti Ravkiani, ma annuì
comunque.
«Secondo noi dietro tu i questi avvenimenti ci sono i Grisha, che
stanno agendo so o il controllo del governo Shu e so o l’effe o della
jurda parem.» Van Eck si strofinò una guancia con la mano. «Signor
Brekker, vorrei che si soffermasse un a imo a rifle ere su quanto sto
per dirle. Uomini in grado di passare a raverso i muri... nessuna
camera blindata e nessuna fortezza saranno più al sicuro. Persone
che possono trasformare il piombo in oro, o in qualunque altra cosa
se è per questo, che possono modificare l’essenza della materia di cui
è fa o il mondo... i mercati finanziari sprofonderebbero nel caos.
L’economia mondiale crollerebbe.»
«Estremamente eccitante. Che cosa vuole da me, Van Eck? Vuole
che rubi una spedizione? La formula?»
«No, desidero che lei ci porti quell’uomo.»
«Vuole che rapisca Bo Yul-Bayur?»
«Che lo salvi. Un mese fa ricevemmo un messaggio da Yul-Bayur
in cui ci pregava di dargli asilo. Era preoccupato dalle mire del suo
governo sulla jurda parem, e noi concordammo di aiutarlo a
espatriare. Organizzammo un rendez-vous, ma ci fu una
schermaglia nel luogo dell’appuntamento.»
«Con gli Shu?»
«No, con i Fjerdiani.»
Kaz alzò un sopracciglio. I Fjerdiani dovevano avere spie
dappertu o a Shu Han o a Kerch se avevano saputo della droga e
dei piani di Bo Yul-Bayur così in fre a. «E allora fatelo sorvegliare
da qualche vostro agente segreto.»
«La situazione diplomatica è un po’ delicata. È di vitale
importanza che il nostro governo non sia collegato a Yul-Bayur in
alcun modo.»
«Sa meglio di me che probabilmente è già morto. I Fjerdiani
odiano i Grisha. Non perme eranno mai che la conoscenza di questa
droga si diffonda.»
«Le nostre fonti sostengono che è vivissimo e che è in a esa di
giudizio.» Van Eck si schiarì la gola. «Alla Corte di Ghiaccio.»
Kaz fissò Van Eck per un lungo istante, poi scoppiò a ridere.
«Bene, è stato un piacere essere reso incosciente e tenuto prigioniero
da lei, Van Eck. Può stare tranquillo che la sua ospitalità sarà
ripagata al momento opportuno. Ora mi faccia condurre alla porta
da uno dei suoi lacchè.»
«Siamo disposti a offrile cinque milioni di kruge.»
Kaz si mise la pistola in tasca.
Adesso non temeva più per la sua vita, era solo irritato che questo
ciarlatano gli avesse fa o perdere tempo. «La sorprenderà, Van Eck,
ma noi ra i dei canali teniamo alla nostra pellaccia quanto voi alla
vostra.»
«Dieci milioni.»
«Cosa me ne faccio se non avrò più una vita per godermeli? Dov’è
il mio cappello... non è che il suo Scuotiacque l’ha lasciato nel
vicolo?»
«Venti.»
Kaz si fermò. Ebbe l’inquietante sensazione che il pesce intagliato
sui pannelli di mogano si fosse bloccato nel bel mezzo di un guizzo
per ascoltare. «Venti milioni di kruge?»
Van Eck annuì. Non sembrava contento.
«Dovrei convincere una squadra a partire per una missione
suicida. Non sarà a buon mercato.» Questo non era del tu o vero. A
dispe o di quello che aveva de o, il Barile era pieno di gente che
non aveva tu i questi motivi per vivere.
«Venti milioni di kruge le sembra un prezzo a buon mercato?»
sca ò Van Eck.
«La Corte di Ghiaccio non è mai stata violata.»
«Questo è il motivo per cui abbiamo bisogno di lei, signor
Brekker. È possibile che Bo Yul-Bayur sia già morto o che abbia
rivelato tu i i suoi segreti ai Fjerdiani, ma noi crediamo di avere
almeno un po’ di tempo per agire prima che la formula della jurda
parem sia divulgata.»
«Se gli Shu hanno la formula...»
«Yul-Bayur ha dichiarato di aver fa o in modo di sviare i suoi
superiori e di tenere segreti gli ingredienti della formula. Secondo
noi stanno conducendo degli esperimenti su una fornitura limitata
che Yul-Bayur gli ha lasciato.»
L’avidità si inchina di fronte a me. Forse Kaz era stato un po’
presuntuoso al riguardo. Ora l’avidità gli stava facendo acce are
l’offerta. La musa era al lavoro, stava vincendo le sue resistenze, lo
stava rime endo al suo posto.
Venti milioni di kruge. Che tipo di colpo sarebbe stato? Kaz non
sapeva niente di spionaggio o di controversie diplomatiche, ma
perché portare via Bo Yul-Bayur dalla Corte di Ghiaccio avrebbe
dovuto essere diverso dal so rarre ogge i di valore dalla cassaforte
di un mercante? “La cassaforte più inespugnabile del mondo”
ricordò a se stesso. Avrebbe avuto bisogno di una squadra di
superspecialisti, una squadra così disperata che non si sarebbe tirata
p p q p
indietro davanti alla possibilità concreta di non fare mai ritorno. E
non avrebbe potuto a ingere ai ranghi degli Scarti. Tra le loro fila
non c’erano i talenti che facevano al caso suo. E questo significava
che avrebbe dovuto guardarsi le spalle più del solito.
Ma se si fossero organizzati, anche dopo aver dato a Per Haskell
la propria parte, la fe a di Kaz sarebbe stata sufficiente per cambiare
tu o, per far finalmente avverare il sogno che aveva avuto sin da
quando era strisciato fuori da un porto gelido con la vende a che gli
scavava un buco ardente nel cuore. Il suo debito verso Jordie alla fine
sarebbe stato ripagato.
Ci sarebbero stati anche altri vantaggi. Il Consiglio di Kerch
sarebbe stato in debito con lui, per non parlare di quello che avrebbe
fa o questo colpo alla sua reputazione.
Introdursi nell’impenetrabile Corte di Ghiaccio e portar via
qualcosa di prezioso dalla roccaforte dell’aristocrazia Fjerdiana e
della sua potenza militare? Con un’impresa come quella all’occhiello
e quel genere di ricompensa so omano, non avrebbe più avuto
bisogno di Per Haskell. Avrebbe potuto avviare un’a ività per conto
proprio.
Ma c’era qualcosa che non tornava. «Perché io? Perché gli Scarti?
Ci sono bande con più esperienza là fuori.»
Mikka iniziò a tossire, e Kaz vide del sangue sulla manica della
sua camicia.
«Siediti» ordinò con gentilezza Van Eck a Mikka, aiutandolo a
sedersi e porgendogli un fazzole o. Fece cenno a una guardia.
«Dell’acqua.»
«Allora?» lo incalzò Kaz.
«Quanti anni ha, signor Brekker?»
«Diciasse e.»
«Lei non viene arrestato da quando ne aveva qua ordici, e dal
momento che so per certo che lei non è un uomo onesto più di
quanto sia mai stato un ragazzo onesto, posso semplicemente
dedurre che ha la qualità che più di tu e mi serve in un criminale:
non si fa ca urare.» A quel punto Van Eck sorrise leggermente. «C’è
poi anche la questione del mio DeKappel.»
«Sono certo di non sapere di cosa stia parlando.»
p p
«Sei mesi fa, un dipinto a olio di DeKappel del valore di quasi
centomila kruge è sparito da casa mia.»
«Una grossa perdita.»
«Può ben dirlo, sopra u o perché mi avevano assicurato che la
mia galleria d’arte fosse inaccessibile e che le serrature alle porte
fossero impossibili da forzare.»
«Mi sembra di ricordare di aver le o qualcosa al riguardo.»
«Sì» ammise Van Eck con un piccolo sospiro. «L’orgoglio è una
cosa pericolosa. Ero impaziente di sfoggiare il mio acquisto e le
precauzioni che avevo preso per proteggerlo. Eppure, nonostante
tu e le mie tutele, nonostante i cani e gli allarmi e il personale di
servizio più fidato di tu a Ke erdam, il mio dipinto è scomparso.»
«Le mie condoglianze.»
«Deve ancora spuntare fuori da qualche parte sul mercato
mondiale.»
«Forse il suo ladro aveva già pronto un acquirente.»
«Può essere, di certo. Ma sono più incline a credere che il ladro
l’abbia preso per un altro motivo.»
«E quale sarebbe?»
«Dimostrare che ne era capace.»
«Mi sembra un rischio stupido.»
«Be’, chi può conoscere i moventi dei ladri?»
«Io no di certo.»
«Da quel che so della Corte di Ghiaccio, chiunque abbia rubato il
mio DeKappel è proprio la persona che mi serve per questo lavoro.»
«Allora farebbe meglio ad assumerlo. O assumerla.»
«Assolutamente. Ma dovrò accontentarmi di lei.» Van Eck
sostenne lo sguardo di Kaz come se sperasse di trovarci una
confessione scri a. Alla fine, chiese: «Abbiamo un accordo, quindi?».
«Non abbia fre a. Che cosa mi dice della Guaritrice?»
Van Eck apparve confuso. «Chi?»
«Ha de o che avete somministrato la droga a un Grisha di ciascun
Ordine. Mikka è uno Scuotiacque, il suo Etherealki. Il Fabrikator che
ha realizzato quell’oro era un Materialki. Quindi cos’è successo alla
Corporalki? La Guaritrice?»
Van Eck trasalì leggermente, ma si limitò a dire: «Vuole
accompagnarmi, signor Brekker?».
Con cautela, tenendo d’occhio Mikka e le guardie, Kaz seguì Van
Eck fuori dalla sala e lungo il corridoio. La casa trasudava la
ricchezza del mercante: pannelli di legno scuro alle pareti, pavimenti
rivestiti di piastrelle bianche e nere, tu e di o imo gusto, tu e
impeccabilmente fa e a mano e perfe amente posate. Ma aveva il
calore di un cimitero. Le stanze erano deserte, le tende tirate, i mobili
coperti da lenzuola bianche tanto che ogni sala in ombra che
oltrepassavano sembrava un paesaggio marino abbandonato e
riempito alla rinfusa di iceberg.
Hoede. Ora il nome andò al suo posto. C’era stato un qualche tipo
di incidente al palazzo di Hoede sulla Geldstraat la se imana
precedente. Tu a la zona era stata isolata e pullulava di stadwatch.
Stando alle chiacchiere che erano arrivate a Kaz, era scoppiata
un’epidemia di febbre bubbonica, ma nemmeno Inej era riuscita a
scoprire di più.
«Questa è la casa del Consigliere Hoede» disse Kaz, e gli venne la
pelle d’oca. Non voleva avere niente a che fare con la pestilenza, ma
né il mercante né le guardie sembravano minimamente preoccupati.
«Pensavo che questo posto fosse in quarantena.»
«Per noi, quello che è successo qui non è pericoloso. E se lei farà il
suo lavoro, signor Brekker, non lo sarà mai.»
Van Eck lo guidò a raverso una porta verso un giardino
estremamente curato, fi o di ciclamini profumati appena sbocciati.
L’odore colpì Kaz come un pugno in faccia. I ricordi di Jordie
affiorarono all’istante, freschi e vividi, e per un istante Kaz non stava
più camminando nel giardino di un ricco mercante a lato di un
canale, ma era nell’erba alta fino alle ginocchia, il sole caldo che gli
inondava la faccia e la voce di suo fratello che lo chiamava a casa.
Kaz si scosse. “Mi serve una tazza del caffè più nero e più amaro
che c’è” pensò. “Oppure un vero cazzo o in faccia.”
Van Eck lo stava conducendo a una rimessa affacciata sul canale.
La luce che filtrava dalle persiane chiuse delle finestre disegnava
delle forme sul sentiero del giardino. Un solitario soldato della
guardia ci adina sca ò sull’a enti accanto alla porta mentre Van Eck
g p
estraeva una chiave dalla tasca e la introduceva nella pesante
serratura. Kaz si portò alla bocca la manica non appena il tanfo
dell’edificio chiuso lo raggiunse – urina ed escrementi. Alla faccia dei
ciclamini appena sbocciati.
L’interno era illuminato da due lanterne alle pareti. Un drappello
di soldati era in piedi di fronte a una grande scatola in ferro, dai cui
vetri ro i si spargeva immondizia sul pavimento. Alcuni
indossavano l’uniforme viola della stadwatch, altri la divisa verde
mare della casata di Hoede. A raverso quella che Kaz riconobbe
come una finestra d’osservazione, vide un’altra guardia ci adina
davanti a un tavolo vuoto e a due sedie ribaltate. Esa amente come
gli altri, la guardia aveva le braccia penzoloni lungo i fianchi, la
faccia inespressiva, gli occhi aperti, persi nel nulla. Van Eck accese la
luce di una lanterna, e Kaz vide un uomo dentro una divisa viola che
giaceva sul pavimento, gli occhi chiusi.
Van Eck sospirò e si accovacciò per rigirare il corpo. «Ne abbiamo
perso un altro» disse.
Era un ragazzino, con giusto un alone di baffi sul labbro
superiore.
Van Eck diede ordine al soldato che li aveva lasciati entrare di
sollevare il cadavere e portarlo fuori dalla stanza con l’aiuto di una
guardia della propria scorta. Gli altri soldati non reagirono,
continuarono semplicemente a fissare nel vuoto davanti a loro.
Kaz riconobbe uno di loro, Henrik Dahlman, il capitano della
stadwatch.
«Dahlman» lo chiamò, ma l’uomo non rispose. Kaz agitò una
mano davanti al viso del capitano, poi fece schioccare le dita vicino
al suo orecchio. Nient’altro che un lento, indifferente ba ito di ciglia.
Kaz sollevò la pistola e la puntò dire amente alla fronte del
capitano. Tirò il cane della pistola. L’uomo non trasalì, non reagì. Le
sue pupille non si contrassero.
«È come se fosse morto» disse Van Eck. «Spari. Gli faccia saltare le
cervella. Non protesterà e gli altri non reagiranno.»
Kaz abbassò la pistola, e il gelo gli scese nella profondità delle
ossa. «Che cos’hanno? Che cosa gli è capitato?»
«La Grisha era una Corporalki so o contra o a servizio presso la
casa del Consigliere Hoede. Dal momento che era una Guaritrice e
non una Spaccacuore, Hoede pensò di andare sul sicuro scegliendo
lei per sperimentare la parem.»
Sembrava piu osto sensato. Kaz aveva visto gli Spaccacuore al
lavoro. Potevano romperti le cellule, incendiarti il cuore nel pe o,
rubarti il fiato dai polmoni, o rallentarti il polso finché non finivi in
coma, e tu o senza neanche me erti un dito addosso. Se quello che
Van Eck aveva de o era vero anche solo in parte, l’idea di uno di
loro drogato di jurda parem era spaventosa. Per cui i mercanti
avevano preferito provare la droga su una Guaritrice. Ma a quanto
pareva le cose non erano andate secondo i loro piani.
«Lei l’ha drogata e la Grisha ha ucciso il suo padrone?»
«Non esa amente» disse Van Eck, schiarendosi la gola. «La
tenevano in quella cella so o osservazione. Entro pochi secondi
dall’assunzione della parem, lei prese il controllo della guardia
dentro la stanza.»
«Come?»
«Non lo sappiamo con certezza. Ma qualunque metodo abbia
usato, le ha permesso di so ome ere anche queste guardie.»
«Non è possibile.»
«No? Il cervello è solo un altro organo, un ammasso di cellule e
impulsi. Perché un Grisha so o l’effe o della jurda parem non
dovrebbe essere in grado di manovrarlo?»
Lo sce icismo di Kaz doveva essere evidente.
«Guardi quegli uomini» insiste e Van Eck. «La Grisha ha de o
loro di aspe are. E questo è esa amente quello che stanno facendo...
è tu o quello che hanno fa o finora.»
Kaz studiò più a entamente il gruppe o silenzioso. I loro occhi
non erano spenti o morti, i loro corpi non erano del tu o a riposo.
Erano in a esa.
Soffocò un brivido.
Ne aveva viste di cose bizzarre, e straordinarie, ma niente di
simile a quello di cui adesso era testimone.
«Cos’è successo a Hoede?»
«La Grisha gli ordinò di aprire la porta, e quando lui obbedì, lei
gli comandò di amputarsi il pollice. Se noi sappiamo com’è andata è
solo perché era presente un ragazzino che lavora in cucina. La
Grisha non lo toccò nemmeno, ma lui sostiene che Hoede si sia
affe ato via il pollice sorridendo per tu o il tempo.»
A Kaz non piaceva l’idea di una Grisha che gli spostava le cose
nella testa. Ma non si sarebbe stupito se Hoede si fosse meritato tu o
quello che gli era capitato. Durante la guerra civile di Ravka,
parecchi Grisha erano sfuggiti ai comba imenti e avevano pagato il
loro ingresso a Kerch finendo so o contra o, senza rendersi conto
che si erano di fa o rido i da soli in schiavitù.
«Il mercante è morto?»
«Il Consigliere Hoede ha perso una grande quantità di sangue, ma
si trova nelle stesse condizioni di questi uomini. È stato portato in
campagna con la sua famiglia e il personale di servizio della casa.»
«La Guaritrice Grisha è tornata a Ravka?» chiese Kaz.
Van Eck fece cenno a Kaz di uscire dall’inquietante rimessa e
chiuse a chiave la porta dietro di loro.
«Deve averci provato» disse mentre ripercorrevano i propri passi
a raverso il giardino e lungo il fianco della casa. «Sappiamo che si è
procurata una piccola imbarcazione, e sospe iamo che si sia dire a
verso Ravka, ma abbiamo trovato il suo corpo trascinato a riva due
giorni fa vicino a Terzo Porto. Pensiamo che sia annegata nel
tentativo di rientrare in ci à.»
«Perché avrebbe dovuto tornare qui?»
«Per la jurda parem.»
Kaz pensò agli occhi brillanti di Mikka e alla sua pelle cerea. «Dà
così tanta dipendenza?»
«Sembra che basti una dose sola. Una volta che la droga ha fa o il
suo corso, lascia il corpo del Grisha spossato e con un desiderio
intenso. È decisamente debilitante.»
Decisamente debilitante suonava un po’ ridu ivo. Il Consiglio delle
Maree controllava l’ingresso ai porti di Ke erdam. Se la Guaritrice
drogata aveva cercato di tornare di no e a bordo di una barche a,
non avrebbe avuto grandi chance contro la corrente. Kaz pensò
ancora alla faccia smunta di Mikka, al modo in cui i vestiti gli
g
cascavano addosso. Era stata la droga a ridurlo così. Era strafa o di
jurda parem e già in scimmia per la dose successiva. Sembrava anche
in procinto di avere un collasso. Quanto a lungo poteva reggere un
Grisha?
Era una domanda interessante, ma irrilevante rispe o alla
faccenda in questione.
Erano arrivati al cancello principale. Era giunto il momento di
parlare di affari.
«Trenta milioni di kruge» disse Kaz.
«Abbiamo de o venti!» farfugliò Van Eck.
«Lei ha de o venti. È evidente che è disperato.» Kaz guardò verso
la rimessa, dove c’era una stanza piena di uomini che aspe avano
semplicemente di morire. «E ora posso capire perché.»
«Il Consiglio vorrà la mia testa.»
«Canteranno le sue lodi una volta che avrà Bo Yul-Bayur nascosto
al sicuro dovunque vorrà tenerlo.»
«Novyi Zem.»
Kaz si strinse nelle spalle. «Può infilarlo in una caffe iera per quel
che me ne importa.»
Lo sguardo di Van Eck ca urò il suo. «Lei ha visto cosa può fare
questa droga. Le posso assicurare che questo è solo l’inizio. Se la
jurda parem circolasse nel mondo, la guerra sarebbe inevitabile. I
nostri scambi commerciali verrebbero distru i, e i nostri mercati
crollerebbero. Kerch non sopravvivrebbe. Le nostre speranze sono
riposte in lei, signor Brekker. Se lei fallirà, tu o il mondo ne patirà.»
«Oh, anche peggio, Van Eck. Se io fallirò, non verrò pagato.»
L’espressione di disgusto sulla faccia del mercante era qualcosa
che da sola si meritava un dipinto a olio di DeKappel in
commemorazione.
«Non sia così deluso. Consideri invece quanto sarebbe stato
deprimente scoprire che questo ra o dei canali cova dentro di sé una
traccia di patrio ismo. Avrebbe dovuto togliersi quella smorfia di
ribrezzo da so o il naso e tra armi con qualcosa di simile al
rispe o.»
«La ringrazio per avermi risparmiato quel disagio» disse Van Eck
sdegnato. Aprì la porta, poi si fermò. «Davvero mi domando cosa
g p p p
sarebbe diventato un ragazzo della sua intelligenza se le circostanze
fossero state diverse.»
“Lo chieda a Jordie” pensò Kaz con una fi a di rabbia. Ma si
limitò a scrollare le spalle. «Deruberei dei fessi di livello superiore.
Trenta milioni di kruge.»
Van Eck annuì. «Trenta. Un pa o è un pa o.»
«Un pa o è un pa o» disse Kaz. Si diedero la mano.
Mentre quella perfe amente curata di Van Eck stringeva le dita
guantate di Kaz, il mercante ridusse gli occhi a una fessura.
«Perché indossa i guanti, signor Brekker?»
Kaz alzò un sopracciglio. «Sono sicuro che conosce le storie che si
raccontano.»
«Una più mostruosa dell’altra.»
Anche Kaz le conosceva. Le mani di Brekker erano macchiate di
sangue. Le mani di Brekker erano coperte di cicatrici. Brekker aveva
degli artigli al posto delle dita perché era un mezzo diavolo. Il tocco
di Brekker bruciava come il fuoco: se solo avessi sfiorato la sua pelle
nuda, la tua si sarebbe seccata e poi sarebbe caduta.
«Ne scelga una» disse Kaz mentre spariva nella no e, i pensieri
già rivolti ai trenta milioni di kruge e alla banda che lo avrebbe
aiutato a o enerli. «Sono tu e vere a sufficienza.»
4
INEJ
Inej seppe che Kaz era rientrato alla Stecca nell’istante in cui lui
varcò la porta. La sua presenza riecheggiò nelle stanze anguste e nei
corridoi sbilenchi mentre ogni delinquente, ladro, spacciatore e
truffatore presente si mise in allerta. Il vicecomandante preferito di
Per Haskell era a casa.
La Stecca non era granché, un edificio qualunque nella zona
peggiore del Barile, tre piani accatastati uno sopra l’altro, con una
mansarda e un te o aguzzo. In questa zona la maggior parte degli
edifici era stata costruita senza fondamenta, molti si ergevano
dire amente sul terreno paludoso dove i canali erano stati scavati a
casaccio. Si appoggiavano l’uno all’altro come amici ubriachi in un
bar, inclinati ad angoli improbabili. Inej ne aveva visitati parecchi
durante le sue commissioni per gli Scarti, e non erano messi molto
meglio all’interno: freddi e umidi, l’intonaco scrostato dai muri,
fessure alle finestre grosse abbastanza da lasciar entrare pioggia e
neve. Però Kaz aveva speso del denaro di tasca propria perché gli
spifferi della Stecca fossero eliminati e le pareti coibentate. La Stecca
era bru a, storta e affollata, ma era magnificamente asciu a.
La stanza di Inej si trovava al terzo piano, una fe a striminzita di
spazio a malapena sufficiente a farci stare una brandina e un baule,
ma con una finestra che dava sui te i appuntiti e sul guazzabuglio di
comignoli del Barile. Quando il vento arrivava a pulire la coltre di
fumo di carbone sospesa sulla ci à, Inej riusciva persino a vedere un
pezze o blu di porto.
Sebbene l’alba fosse distante ancora qualche ora, la Stecca era del
tu o sveglia. La casa era davvero silenziosa solo durante le lente ore
pomeridiane, questa no e inoltre tu i erano eccitati dalle notizie
della resa dei conti tenutasi alla Borsa, dalla punizione di Bolliger il
Grande, e ora dal licenziamento del povero Rojakke.
Dopo aver parlato con Kaz, Inej era andata dire amente a cercare
il mazziere al Club dei Corvi. Lui era al tavolo a dare le carte di Tre
Uomo Mora per Jesper e per un paio di turisti di Ravka. Quando
ebbe finito di servire la mano, Inej gli aveva proposto di scambiare
due parole in uno dei privé per risparmiargli l’imbarazzo di essere
licenziato di fronte ai suoi amici, ma Rojakke non aveva voluto.
“Non è giusto” aveva urlato nel momento in cui lei gli aveva
riportato gli ordini di Kaz. “Non sono un baro!”
“Prenditela con Kaz” aveva risposto Inej con calma.
“E abbassa la voce” aveva aggiunto Jesper, ge ando uno sguardo
ai turisti e ai marinai seduti ai tavoli vicini. Le risse erano all’ordine
del giorno nel Barile, ma non tra le mura del Club dei Corvi. Se avevi
qualcosa di cui lagnarti, la risolvevi fuori, dove non rischiavi di
interferire nella pratica sacrosanta di separare i polli dal loro denaro.
“Dov’è Brekker?” aveva ringhiato Rojakke.
“Non lo so.”
“Tu sai sempre tu o di tu i” aveva de o il croupier in tono di
scherno, facendo un passo in avanti, l’odore di birra chiara e cipolle
nell’alito. “Non è per questo che ti paga Manisporche?”
“Non so dove sia o quando tornerà. Ma so per certo che non vuoi
essere qui quando lo farà.”
“Dammi la mia paga. Mi spe a, per il mio ultimo turno di
lavoro.”
“Brekker non ti deve niente.”
“Non ha nemmeno il coraggio di dirmelo in faccia? Manda una
ragazzina come te a darmi il benservito? Forse devo scuoterti fino a
farti uscire qualche moneta.” Rojakke aveva allungato le braccia per
afferrare Inej per il colle o della camicia, ma lei lo aveva scansato
facilmente. Lui aveva cercato di afferrarla di nuovo.
Con la coda dell’occhio Inej vide Jesper alzarsi dal suo posto, ma
lei gli fece segno di no e strinse le dita intorno al tirapugni che
teneva nella tasca sul fianco destro. Con una rapida mossa, tirò un
colpo sulla guancia sinistra di Rojakke.
La mano di lui era salita a toccarsi la faccia. “Ehi” aveva de o. “Io
non ti ho neanche toccata. Facevo per dire.”
Ora tu i stavano guardando, così lei lo colpì di nuovo. A
prescindere dalle regole del Club dei Corvi, questo aveva la priorità.
Quando Kaz l’aveva portata alla Stecca, l’aveva avvisata che lui non
ci sarebbe stato a proteggerla, che avrebbe dovuto cavarsela da sola,
e lei se l’era cavata da sola. Sarebbe stato più facile girarsi dall’altra
parte quando la insultavano o quando si avvicinavano furtivamente
per o enere una carezza, ma se avesse fa o così ben presto si
sarebbe ritrovata una mano dentro la camice a o schiacciata contro
un muro da qualcuno che ci stava provando. Per cui non aveva mai
permesso che le piovessero addosso insulti o ba ute a doppio senso.
Aveva sempre colpito per prima e colpito duro. A volte aveva anche
procurato qualche taglio. Era faticoso, ma a Kerch non c’era niente di
sacro tranne il commercio, così lei era andata dri a per la sua strada,
che consisteva nel rendere il pericolo più grosso del premio quando
si tra ava di mancarle di rispe o. Con espressione stupita, Rojakke
si toccò con le dita il bru o livido che si stava formando sulla
guancia, come se fosse stato un po’ tradito. “Pensavo che eravamo
amici” aveva protestato lui. La cosa triste era che lo erano veramente.
Ma per il momento, lui era solo un uomo spaventato che cercava di
sentirsi più grosso di qualcun altro.
“Rojakke” aveva de o lei. “Ho visto come fai andare il mazzo di
carte. Puoi trovarti un lavoro praticamente in ogni bisca. Vai a casa e
sii grato che Kaz non voglia indietro quello che gli hai preso di
nascosto?”
Se n’era andato, un po’ traballante, ancora con la mano sul livido
come un moccioso scioccato, e Jesper l’aveva raggiunta.
“Ha ragione lui, e lo sai. Kaz non dovrebbe mandare te a fare il
suo lavoro sporco.”
“Sono tu i lavori sporchi.”
“Ma ci tocca farli comunque” aveva de o lui con un sospiro.
“Hai l’aria stanca. Non vai a dormire?”
Jesper le aveva fa o l’occhiolino. “Non finché le carte girano per il
verso giusto. Resta e fa i un giro. Offre Kaz.”
“Veramente, Jesper?” aveva de o lei, alzandosi il cappuccio. “Se
volessi vedere degli uomini scavarsi da soli la fossa, mi cercherei un
cimitero.”
“Eddai, Inej” l’aveva chiamata indietro lui mentre lei varcava le
doppie porte per uscire in strada. “Tu mi porti fortuna.”
“Santi numi, se lo crede veramente dev’essere proprio alla fru a”
aveva pensato. Tu a la fortuna lei se l’era lasciata alle spalle, in un
accampamento Suli sulle sponde occidentali di Ravka. E c’era da
dubitare che l’avrebbe ritrovata.
Ora Inej lasciò la sua stanze a nella Stecca e si diresse al piano di
so o usando i corrimani delle ringhiere. Non aveva motivo, qui, di
celare i suoi movimenti, ma il silenzio era ormai diventato
un’abitudine, e i gradini tendevano a squi ire come topi che si
accoppiavano. Quando raggiunse il pianero olo del secondo piano e
vide la folla accalcarsi di so o, esitò.
Kaz era stato via più a lungo di quanto chiunque si fosse
aspe ato, e non appena varcò l’ingresso buio, fu abbordato da tu i
quelli che volevano congratularsi con lui per come aveva sconfi o
Geels e che volevano notizie sulle Punte Nere.
«In giro si dice che Geels stia già me endo insieme i suoi per
a accarci» disse Anika.
«Lasciamoglielo fare!» brontolò Dirix. «Ho il suo nome scri o sul
manico della mia ascia.»
«Geels non si farà vivo per un po’» disse Kaz mentre iniziò a
percorrere il corridoio. «Non ha i numeri per affrontarci in strada, e
le sue casse sono troppo vuote per reclutare altra gente. Non
dovreste essere già in cammino per il Club dei Corvi?»
Bastò il sopracciglio sollevato a far precipitare fuori Anika e a
spedire Dirix alle sue calcagna. Arrivarono altri a congratularsi o a
lanciare minacce contro le Punte Nere. Nessuno, però, si avvicinò al
punto da dargli una pacca sulla spalla: quello sarebbe stato un buon
modo per perdere la mano.
Inej sapeva che Kaz si sarebbe fermato a parlare con Per Haskell, e
così, invece di scendere l’ultima rampa di scale, si avviò per il
corridoio. Qui c’era un armadio pieno di cianfrusaglie, vecchie sedie
dagli schienali ro i, teli macchiati di vernice. Inej spostò un cesto
g j p
pieno di a rezzi per pulire che lei aveva piazzato là proprio perché
sapeva che nessuno della Stecca l’avrebbe mai toccato. La grata che
c’era dietro offriva una visuale perfe a dell’ufficio di Per Haskell. Si
sentì un po’ in colpa ad ascoltare Kaz di nascosto, ma era stato lui a
farla diventare una spia. Non puoi addestrare un falcone e poi
aspe arti che non vada a caccia.
A raverso la grata Inej sentì Kaz bussare alla porta di Per Haskell
e porgere i suoi saluti.
«Di ritorno vivo e vegeto?» chiese il vecchio. Era seduto nella sua
poltrona preferita, a giocherellare con un modellino di nave che
stava costruendo ormai da un anno, e una pinta di birra a portata di
mano, come sempre.
«Non avremo più problemi con Quinto Porto.»
Haskell grugnì e tornò al suo modellino. «Chiudi la porta.»
Inej sentì l’uscio sba ere e i rumori dal corridoio che si
smorzavano. Riusciva a vedere la punta della testa di Kaz. I suoi
capelli neri erano umidi. Doveva aver iniziato a piovere.
«Era più opportuno aspe are il mio permesso prima di punire
Bolliger» disse Haskell.
«Se avessi prima parlato con te, la voce avrebbe potuto spargersi in
giro.»
«Secondo te avrei lasciato che accadesse?»
Le spalle di Kaz si sollevarono. «Questo posto non è diverso da
tu i gli altri, qui a Ke erdam. Ci sono delle fughe di notizie.» Inej
avrebbe giurato che lui guardasse dri o alla grata mentre lo diceva.
«Non mi piace, ragazzo. Bolliger il Grande era un mio soldato, non
tuo.»
«Certamente» disse Kaz, ma entrambi sapevano che era una
menzogna. Gli Scarti di Haskell erano guardie malconce, truffatori e
furfanti di vecchia generazione. Bolliger era uno del giro di Kaz:
sangue fresco, giovane e impavido. Forse troppo impavido.
«Sei sveglio, Brekker, ma devi imparare l’arte della pazienza.»
«Sissignore.»
Il vecchio abbaiò una risata e gli fece il verso. «“Sissignore.
Nossignore.” Quando sei così rispe oso, è perché hai in mente
qualcosa. Quindi cosa bolle in pentola?»
q p
«Un colpo» disse Kaz. «Potrei aver bisogno di un periodo di
congedo.»
«La cifra è grossa?»
«Molto grossa.»
«Il rischio è grosso?»
«Anche, sì. Ma tu avrai il tuo venti per cento.»
«Tu non farai nessuna mossa senza il mio permesso, capito?»
Kaz doveva aver annuito perché Per Haskell si appoggiò allo
schienale della sedia e bevve un sorso di birra. «Saremo ricchi?»
«Ricchi come Santi con le corone d’oro.»
Il vecchio sbuffò. «Basta che io non debba vivere come uno di
loro.»
«Parlerò con Pim» disse Kaz. «Può sostituirmi lui mentre io sarò
via.»
Inej si accigliò. Dove doveva andare Kaz? Non le aveva accennato
nessun colpo grosso. E perché Pim? Il pensiero la mise un po’ in
imbarazzo. Poteva quasi sentire la voce di suo padre: “Sei così
impaziente di diventare Regina dei Ladri, Inej?”. Una cosa era fare il
proprio lavoro e farlo bene. Un’altra era voler far carriera. Lei non
desiderava un posto a tempo indeterminato presso gli Scarti. Voleva
ripagare il suo debito e liberarsi di Ke erdam per sempre, allora
perché le importava così tanto che Kaz avesse scelto Pim per guidare
la banda in sua assenza? Perché sono più sveglia di Pim. Perché Kaz si
fida più di me che di lui. Ma forse Kaz non credeva che la banda
avrebbe dato re a a una ragazza come lei, che da due soli anni era
fuori dai bordelli e non ne aveva ancora diciasse e. Portava le
maniche lunghe e il fodero del coltello nascondeva quasi del tu o la
cicatrice all’interno dell’avambraccio sinistro, dove una volta c’era il
tatuaggio del Serraglio, ma tu i sapevano che era lì.
Kaz uscì dall’ufficio di Haskell, e Inej lasciò il suo osservatorio per
aspe arlo mentre lui zoppicava su per le scale.
«Rojakke?» chiese lui, mentre le passava accanto e iniziava a salire
verso il secondo piano.
«Andato» disse lei, me endosi in fila dietro di lui.
«Ha opposto molta resistenza?»
«Niente che non potessi gestire.»
p g
«Non ti ho chiesto questo.»
«Era arrabbiato. Potrebbe tornare qua a orno a cercare guai.»
«Quelli non mancano mai» disse Kaz mentre raggiungevano
l’ultimo piano. La mansarda era stata trasformata nel suo ufficio e
nella sua camera da le o. Inej sapeva che tu e quelle rampe di scale
erano micidiali per la sua gamba malata, ma lui sembrava
apprezzare il fa o di avere tu o il piano per sé.
Entrò nel suo ufficio e senza girarsi verso di lei disse: «Chiudi la
porta».
La stanza era quasi del tu o occupata da una scrivania di fortuna
– la porta di un magazzino appoggiata su due pile di casse e della
fru a – sepolta dalle scartoffie. Alcuni capibanda avevano iniziato a
usare le calcolatrici, delle macchine che facevano strani rumori
metallici, piene di bo oni d’o one e rotoli di carta, ma Kaz faceva
tu i i conti del Club dei Corvi a mente. Aveva dei libri, ma solo per
far stare tranquillo il vecchio e perché così aveva qualcosa su cui
puntare il dito quando accusava qualcuno di aver imbrogliato o
quando era in cerca di nuovi investitori.
Questo era uno dei grandi cambiamenti che Kaz aveva introdo o
nella gestione della banda. Ai negozianti qualsiasi e agli uomini
d’affari onesti aveva dato la possibilità di acquistare le azioni del
Club dei Corvi. All’inizio erano stati sce ici, sicuri che si tra asse di
una truffa, ma lui li aveva coinvolti con piccoli interessi, e aveva fa o
in modo di me ere insieme abbastanza capitale da comprare il
vecchio edificio fatiscente, dargli una rinfrescata e farlo funzionare.
Quei primi investitori erano stati ripagati molto bene. O così si
raccontava. Inej non poteva mai sapere con certezza quali delle storie
che circolavano su Kaz fossero vere e quali dicerie che lui stesso
aveva messo in giro per i propri scopi. Per quello che ne sapeva lei,
Kaz aveva portato via a qualche povero onesto commerciante i
risparmi di una vita intera pur di far decollare il Club dei Corvi.
«Ho un lavoro per te» disse Kaz mentre scartabellava i conti del
giorno precedente. Ogni foglio veniva degnato a malapena di uno
sguardo e memorizzato. «Cosa ne diresti di qua ro milioni di
kruge?»
«Così tanti soldi sono più una maledizione che un dono.»
p
«Mia piccola idealista Suli. Tu o quello che ti serve è la pancia
piena e la strada libera?» disse lui, prendendola in giro.
«E il cuore leggero, Kaz.» Quella era la parte difficile.
Lui scoppiò a ridere apertamente mentre infilava la porta che
dava sulla piccola camera da le o. «Non c’è speranza, allora.
Preferisco i soldi in contanti. E tu li vuoi o no?»
«Fare regali non è il tuo lavoro. Di cosa si tra a?»
«Un colpo impossibile, morte quasi certa, ostacoli praticamente
insuperabili, ma se dovessimo farcela...» Si interruppe, le dita sui
bo oni del gilè, lo sguardo distante, quasi sognante. Era raro sentire
così tanta eccitazione nella sua voce rauca.
«Dovessimo farcela...?» lo imbeccò lei.
Lui le rivolse un gran sorriso, improvviso e impetuoso come un
tuono, gli occhi neri come il caffè amaro. «Saremo re e regine, Inej.
Re e regine.»
«Mmh» fece lei in modo evasivo, fingendo di esaminare uno dei
propri pugnali, determinata a ignorare il sorriso di lui. Kaz non era
tipo da sorridere a vanvera e fare proge i con lei. Era un giocatore
pericoloso che aveva sempre un secondo fine. “Sempre” ricordò a se
stessa con fermezza. Inej distolse lo sguardo e sistemò una pila di
fogli sulla scrivania mentre Kaz si levava gilè e camicia. Non sapeva
se essere lusingata o offesa dal fa o che lui nemmeno considerasse la
sua presenza.
«Quanto tempo staremo via?» chiese lei, lanciandogli un’occhiata
a raverso la porta aperta. Era ricoperto da muscoli e cicatrici, ma
aveva soltanto due tatuaggi: il corvo e il calice degli Scarti
sull’avambraccio e una R nera sul bicipite. Non gli aveva mai chiesto
che cosa significasse.
Furono le mani ad a rarre la sua a enzione nel momento in cui
lui si sfilò i guanti di pelle e immerse un panno nel catino. Kaz si
toglieva i guanti solamente nelle proprie stanze e, per quel che ne
sapeva, soltanto davanti a lei. Qualunque mala ia stesse
nascondendo, lei non ne vedeva traccia, solo dita snelle e abili a
scassinare, e il segno lucido di una cicatrice che risaliva a qualche
vecchia rissa di strada.
«Qualche se imana, forse un mese» disse lui, mentre si sfregava il
panno so o le ascelle e sui muscoli tesi del pe o, con l’acqua che gli
scorreva lungo il torso.
“Per tu i i Santi” pensò Inej mentre le guance le prendevano
fuoco. Aveva perso quasi ogni senso del pudore ai tempi della sua
permanenza nel bordello del Serraglio, ma c’era un limite a tu o.
Cosa avrebbe de o Kaz se lei si fosse spogliata all’improvviso e
avesse preso a lavarsi di fronte a lui? “Probabilmente mi direbbe di
non sgocciolare sulla scrivania” pensò aggro ando le sopracciglia.
«Un mese?» disse lei. «Sei sicuro che sia una buona idea partire
con le Punte Nere così su di giri?»
«È questa la mossa giusta da fare. A proposito, raduna Jesper e
Muzzen. Li voglio qui per l’alba. E mi serve che Wylan si presenti al
Club dei Corvi domani no e.»
«Wylan? Se è per un lavoro grosso...»
«Fallo e basta.»
Inej incrociò le braccia. Il minuto prima la faceva arrossire, quello
dopo le faceva venir voglia di ucciderlo. «Intendi spiegarmi
qualcosa?»
«Quando ci saremo tu i.» Si infilò una camicia pulita, poi esitò
mentre si abbo onava il colle o. «Questo non è un incarico come gli
altri, Inej. È un lavoro che puoi prendere o lasciare come meglio
credi.»
Dentro, le suonò un campanello d’allarme. Me eva a repentaglio
la propria vita ogni giorno nelle strade del Barile. Aveva ucciso per
gli Scarti, rubato, rovinato brava e bru a gente, e Kaz non aveva mai
messo in dubbio, a ogni incarico, che fosse un ordine a cui obbedire.
Questo era il prezzo che aveva acce ato quando Per Haskell aveva
acquistato il suo contra o e l’aveva liberata dal Serraglio. Ma allora
cosa c’era di diverso in questo colpo?
Kaz finì di allacciarsi i bo oni, indossò un gilè grigio scuro e le
lanciò qualcosa. Brillò alla luce, e lei lo prese al volo con una mano.
Quando aprì il pugno, vide un grosso fermacrava a di rubino
circondato da foglie d’oro.
«Rivendilo» disse Kaz.
«Di chi è?»
«Ora è nostro.»
«Di chi era?»
Kaz rimase in silenzio. Raccolse la giacca e usò una spazzola per
togliere il fango che si era seccato sopra. «Qualcuno che avrebbe
dovuto pensarci due volte prima di aggredirmi alle spalle.»
«Aggredirti?»
«Mi hai sentito.»
«Qualcuno ti ha colto di sorpresa?»
Lui la guardò e annuì una volta. Una sensazione di malessere
serpeggiò dentro di lei e si a orcigliò in una spirale d’ansia. Nessuno
prendeva Kaz in contropiede. Era il tipo più duro e più pericoloso in
giro per i vicoli del Barile. Lei faceva affidamento su questo. E anche
lui.
«Non accadrà più» promise Kaz.
Indossò dei guanti puliti, afferrò il bastone da passeggio e infilò la
porta per uscire. «Sarò di ritorno fra qualche ora. Me i in cassaforte
il DeKappel che abbiamo portato via dalla casa di Van Eck. Credo
che sia arrotolato so o il mio le o. Ah, ordinami un cappello
nuovo.»
«Per favore.»
Kaz tirò un sospiro e si preparò ad affrontare tre dolorose rampe
di scale. Si guardò alle spalle e disse: «Per favore, mia cara Inej,
tesoro del mio cuore, vuoi farmi l’onore di acquistarmi un cappello
nuovo?».
Inej ge ò un’occhiata eloquente al bastone. «Guardati le spalle»
disse, poi saltò sulla balaustra e andò giù un piano dopo l’altro,
scivolando agile e sciolta come burro in padella.
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KAZ
Jesper stava bene quando le persone gli sparavano. Non perché gli
piacesse l’idea di morire (anzi, quell’eventualità era sicuramente un
inconveniente), ma quando si preoccupava di rimanere vivo non
poteva perme ersi di pensare a nient’altro. Quel suono – il veloce,
scioccante rimbombo di uno sparo – faceva concentrare la sua mente
sbandata, irascibile e sempre a zonzo, come nessun’altra cosa al
mondo. Era meglio che stare seduto ai tavoli da gioco ad aspe are di
perdere, ed era meglio che stare in piedi alla Ruota della Fortuna di
Makker a veder uscire il proprio numero.
L’aveva scoperto durante il primo comba imento alla frontiera
Zemeni. Suo padre sudava, tremava, ed era a malapena in grado di
ricaricare il fucile. Ma Jesper aveva scoperto la propria vocazione.
Ora incrociò le braccia in cima alla cassa dietro cui si era riparato
e fece fuoco con entrambe le canne. Le sue rivoltelle erano di
fabbricazione Zemeni, potevano sparare sei colpi in rapida
successione e non temevano confronti con altre pistole a Ke erdam.
Le sentì diventare calde nelle sue mani.
Kaz li aveva avvisati di anticipare la concorrenza perché altre
squadre si sarebbero date da fare per o enere la ricompensa a ogni
costo, ma erano appena all’inizio della missione ed era un po’ presto
perché le cose andassero già così male. Erano circondati, almeno uno
di loro era a terra, e la barca bruciava alle loro spalle. Avevano perso
il mezzo di trasporto per Fjerda, e se gli spari che gli piovevano
addosso volevano dire qualcosa, i nemici erano di gran lunga di più.
Però sarebbe potuta andare peggio; potevano essere sulla barca al
momento dell’esplosione.
Jesper si accucciò per ricaricare le pistole e quasi non poté credere
ai propri occhi. Wylan Van Eck era raggomitolato sul molo, e teneva
p p y gg
le sue mani lisce da mercante sopra la testa. Jesper tirò un sospiro,
sparò qualche colpo per coprirsi e balzò allo scoperto, fuori dal
dolce, confortante rifugio della cassa. Afferrò Wylan per il colle o
della camicia e, a stra oni, lo trascinò al riparo.
Jesper gli diede una scrollata. «Fa i forza, ragazzino.»
«Non sono un ragazzino» bofonchiò Wylan, spingendo via le
mani di Jesper.
«D’accordo, sei un grande statista. Sei capace di sparare?»
Wylan annuì lentamente. «Tiro al pia ello.»
Jesper sollevò gli occhi al cielo. Si sfilò il fucile dalla schiena e lo
spinse verso Wylan, schiacciandoglielo sul pe o. «Grandioso.
Questo è proprio come sparare ai piccioni di argilla, solo che fanno
un rumore diverso quando ne prendi uno.»
Jesper ruotò su se stesso, le rivoltelle in alto, mentre una figura gli
appariva nella coda dell’occhio, ma era solamente Kaz.
«Dirigetevi a est sul molo successivo e imbarcatevi all’a racco
ventidue» disse Kaz.
«Cosa c’è all’a racco ventidue?»
«La vera Ferolind.»
«Ma...»
«La barca che hanno fa o saltare era un’esca.»
«Tu lo sapevi?»
«No, ho preso delle precauzioni. È il mio lavoro, Jesper.»
«Avresti potuto dirci che...»
«E l’esca non avrebbe più avuto senso. Da i una mossa.» Kaz
guardò Wylan, che stava in piedi a cullare il fucile come se fosse
stato un neonato. «E fai in modo che lui arrivi alla nave tu o intero.»
Jesper osservò Kaz svanire nell’ombra, il bastone in una mano, la
pistola nell’altra. Anche con una sola gamba buona, era agile in
modo sinistro.
A quel punto Jesper diede a Wylan un altro spintone. «Andiamo.»
«Andiamo?»
«Non hai sentito cos’ha de o Kaz? Dobbiamo arrivare all’a racco
ventidue.»
Wylan annuì senza parlare. Aveva lo sguardo confuso e gli occhi
così sgranati che sembravano bicchieri.
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«Stammi dietro e cerca di non farti ammazzare. Pronto?»
Wylan fece segno di no con la testa.
«Allora fai finta che non te l’abbia chiesto.» Piazzò la mano di
Wylan sul manico del fucile. «Avanti.»
Jesper sparò un’altra serie di colpi all’impazzata, qua e là, nella
speranza di mascherare la loro posizione. Con una pistola scarica,
saltò fuori dalla cassa ed entrò nell’ombra. Una parte di lui si era
aspe ata che Wylan non lo seguisse, invece riusciva a sentire il
mercantuccio dietro di lui respirare forte, un fischio basso nei
polmoni mentre puntavano alla pila successiva di barili.
Jesper sibilò mentre una pallo ola gli sfrecciava accanto alla
guancia, abbastanza vicino da lasciare il segno della bruciatura.
Si ge arono dietro i barili. Da dove si trovava, vide che Nina era
in mezzo a due pile di casse. Aveva le braccia alzate, e quando uno
dei suoi aggressori si spostò dove lei poteva vederlo, gli sferrò un
pugno. Il ragazzo si accasciò a terra, stringendosi il pe o. Tu avia, in
questo parapiglia, lei era in svantaggio. Gli Spaccacuore avevano
bisogno di vedere i loro bersagli per poterli bu are giù.
Helvar era accanto a lei con la schiena alle casse, le mani legate.
Una precauzione ragionevole, ma il Fjerdiano sarebbe stato un aiuto
prezioso, e Jesper ebbe solo un istante per chiedersi perché mai Kaz
lo avesse lasciato in quella situazione difficoltosa: subito dopo Nina
estrasse un coltello dalla manica e tagliò le corde ai polsi di Helvar.
Quindi gli schiaffò una pistola in mano. «Difenditi» disse con un
ringhio, e tornò a concentrarsi sul comba imento.
“Stupida mossa” pensò Jesper. “Non si volta la schiena a un
Fjerdiano incazzato.” Helvar sembrava che stesse seriamente
prendendo in considerazione l’idea di spararle. Jesper sollevò la
rivoltella, pronto a far crollare a terra il gigante. Ma l’a imo dopo
Helvar era in piedi accanto a Nina, a mirare verso il labirinto di casse
davanti. Proprio come se stessero comba endo fianco a fianco. Kaz
aveva lasciato Ma hias insieme a Nina di proposito? Jesper non
sapeva mai se quella di Kaz era astuta pianificazione o fortuna
sfacciata.
Fece un fischio acuto. Nina diede un’occhiata alle spalle e il suo
sguardo incontrò quello di Jesper. Lui mostrò due dita, due volte, e
g q p
lei fece un rapido cenno della testa. Nina aveva sempre saputo che
l’a racco ventidue era la loro vera meta? E Inej? Kaz lo stava facendo
di nuovo: giocare con le informazioni, tenere all’oscuro qualcuno,
oppure tu i, costringerli a indovinare la mossa a seguire. Era una
cosa che Jesper detestava, ma non poteva negare che così facendo
avevano ancora la possibilità di arrivare a Fjerda. Se fossero riusciti a
imbarcarsi sulla seconda gole a.
Jesper fece segno a Wylan, e insieme continuarono a farsi strada
dietro le barche e le navi ormeggiate lungo la banchina, tenendosi
più bassi possibile.
«Laggiù!» sentì una voce gridare da qualche parte dietro di lui.
Erano stati avvistati.
«Dannazione» disse Jesper. «Corri!»
Si precipitarono giù per la banchina. All’a racco ventidue c’era
una gole a con il nome Ferolind scri o su un fianco. Era inquietante
quanto assomigliasse all’altra. Non c’erano lanterne accese a bordo,
ma non appena lui e Wylan salirono sulla rampa, apparvero due
marinai.
«Siete i primi ad arrivare» disse Ro y.
«Speriamo di non essere anche gli ultimi. Siete armati?»
Ro y annuì. «Brekker ci ha de o di rimanere nascosti finché...»
«Eccolo, il finché» concluse Jesper indicando gli uomini all’assalto
che puntavano verso di loro e riprendendosi il fucile che aveva dato
a Wylan. «Devo trovare un punto in alto. Respingeteli e teneteli
impegnati il più a lungo possibile.»
«Jesper» incominciò a dire Wylan.
«Non far passare nessuno. Se prendono questa gole a, siamo
spacciati.» Gli uomini che stavano dando loro la caccia non volevano
soltanto impedire agli Scarti di lasciare il porto. Li volevano morti.
Jesper sparò ai due tizi che guidavano l’assalto sulla banchina.
Uno cadde, l’altro rotolò a sinistra e si riparò dietro il bompresso di
un peschereccio. Jesper esplose altri tre colpi, poi sca ò di corsa
verso l’albero della barca.
So o di lui sentiva esplodere altri colpi di arma da fuoco. Salì per
dieci piedi, venti, gli stivali che si impigliavano nel sartiame.
Avrebbe dovuto fermarsi per levare di mezzo le cime. Aveva quasi
p q
raggiunto la coffa quando sentì una lama rovente di dolore
affondargli nella coscia. Scivolò e per un momento penzolò sopra il
ponte con nient’altro a reggerlo che i palmi sudati aggrappati alle
cime. Costrinse le gambe a darsi da fare e cercò un appiglio con la
punta degli stivali. La gamba destra era quasi inutilizzabile per via
dello sparo, e dove e tirarsi su per fare gli ultimi piedi che ancora
mancavano, con le braccia tremanti per lo sforzo e il cuore che
pompava forte nelle orecchie. Tu i e cinque i sensi sembravano in
fiamme. Decisamente meglio di una serie fortunata al tavolo da
gioco.
Non si fermò per riposare. Agganciò la gamba ferita nel sartiame,
ignorando la sofferenza, puntò l’occhio nel mirino del fucile e
cominciò a eliminare chiunque si trovasse nel suo raggio d’azione.
“Qua ro milioni di kruge” disse a se stesso mentre ricaricava il
fucile e cercava un altro nemico in vista. La foschia rendeva la
visibilità difficile, ma sparare era l’abilità che gli aveva permesso di
restare negli Scarti anche dopo che i suoi debiti si erano accumulati,
ed era diventato evidente che Jesper amasse le carte molto più di
quanto la fortuna amasse lui. Qua ro milioni di kruge avrebbero
cancellato i suoi debiti e l’avrebbero reso ricco per un bel pezzo.
Individuò Nina e Ma hias che tentavano di farsi strada sul molo,
c’erano almeno dieci uomini sul loro cammino. Kaz sembrava che
stesse correndo nella direzione opposta, e Inej non si vedeva da
nessuna parte, per quanto questo non significasse granché
tra andosi dello Spe ro. Poteva essere appesa a due passi di
distanza da lui, per quel che ne sapeva.
«Jesper!»
Il grido arrivava da so o, e a Jesper ci volle un momento per
rendersi conto che era Wylan che lo stava chiamando. Provò a
ignorarlo e a riprendere la mira.
«Jesper!»
Lo ucciderò, quel piccolo idiota. «Che cosa vuoi?» gli gridò di
rimando.
«Chiudi gli occhi!»
«Non puoi baciarmi da lì so o, Wylan.»
«Tu fallo!»
«Sarà meglio per te che sia una cosa importante!» E chiuse gli
occhi.
«Sono chiusi?»
«Dannazione, Wylan, sì, sono...»
Ci fu un urlo stridulo e penetrante, e poi un bagliore fiorì dietro le
palpebre di Jesper. Quando svanì, aprì gli occhi.
Di so o, i nemici barcollavano, accecati dalla bomba luminosa che
Wylan aveva lanciato. Invece Jesper riusciva a vedere perfe amente.
“Non male per essere il figlio di un mercante” pensò, e aprì il fuoco.
12
INEJ
Era troppo per lui. Non aveva previsto quanto sarebbe stato difficile
rivedere la propria patria per la prima volta dopo così tanto tempo.
Aveva avuto più di una se imana a bordo della Ferolind per
prepararsi, ma la mente era stata occupata dal pensiero del sentiero
che aveva intrapreso, da Nina, dalla magia malvagia che lo aveva
tolto dalla prigione e messo su una barca spedita a tu a velocità a
nord so o un cielo sconfinato, ancora legato non solo dalle catene,
ma anche dal peso di quello che era in procinto di fare. Avvistò per
la prima volta la costa se entrionale nel pomeriggio inoltrato, ma
Specht decise di aspe are fino al tramonto per approdare sulla
terraferma, nella speranza che il crepuscolo concedesse loro un po’
di copertura. Si vedevano villaggi di cacciatori di balene lungo la
costa, e nessuno era impaziente di farsi notare. Nonostante il
travestimento da cacciatori di pellicce, gli Scarti davano comunque
nell’occhio.
Passarono la no e sulla barca. All’alba del giorno dopo, Nina
trovò Ma hias intento a montare l’a rezzatura invernale che Jesper e
Inej avevano distribuito. Ma hias era impressionato dalla capacità di
recupero di Inej. Benché avesse ancora dei cerchi scuri so o gli occhi,
non si muoveva in modo rigido, e se aveva dei dolori li mascherava
bene.
Nina gli mostrò una chiave. «Kaz mi ha mandata a toglierti le
catene.»
«Me le rime erai di no e?»
«Spe a a Kaz deciderlo. E a te, suppongo. Siediti.»
«Basta che tu mi dia la chiave.»
Nina si schiarì la gola. «Vuole anche che ti modifichi.»
«Cosa? Perché?» L’idea che Nina cambiasse il suo aspe o con la
stregoneria gli era intollerabile.
«Siamo a Fjerda ora. Kaz vuole che tu sembri un po’ meno... un
po’ meno te stesso, non si sa mai.»
«Hai idea di quanto è grande questo paese? Le probabilità che...»
«Le probabilità che tu venga riconosciuto saranno
considerevolmente più alte alla Corte di Ghiaccio, e io non riesco a
fare modifiche al tuo aspe o tu e in una volta.»
«Perché?»
«Non sono una Plasmaforme così brava. Ormai fa parte
dell’addestramento di tu i i Corporalki, ma io non ci sono portata.»
Ma hias fece un verso.
«Che cosa c’è?» domandò lei.
«Non ti ho mai sentita amme ere che non sei brava in qualcosa.»
«Sai com’è, succede così raramente.»
Si rese conto con orrore che le labbra gli si stavano aprendo in un
sorriso, ma non fece fatica a reprimerlo pensando alla propria faccia
ritoccata. «Cosa ti ha chiesto di farmi Brekker?»
«Niente di radicale. Cambierò il colore degli occhi, i capelli...
quelli che ti restano. Non sarà permanente.»
«Non voglio.» Non ti voglio vicina a me.
«Non ci vorrà molto, e non ti farà male, ma se preferisci
discuterne con Kaz...»
«Come non de o» disse lui, preparandosi. Era inutile discutere
con Brekker, non quando poteva semplicemente deriderlo con la
promessa della grazia. Ma hias sollevò un secchio, lo capovolse e ci
si sede e sopra. «Ora posso avere la chiave?»
Nina gliela porse e lui si liberò i polsi mentre lei si mise a
rovistare nel cofane o che aveva portato con sé. Aveva una maniglia
e tanti casse ini pieni di polveri e di pigmenti. Nina tirò fuori da un
casse o un bara olo che conteneva qualcosa di nero.
«Che cos’è?»
«Antimonio.» Fece un passo verso di lui e gli spinse indietro il
mento con la punta dell’indice. «Rilassa la mascella, Ma hias. O ti
sbriciolerai tu i i denti per niente.»
Lui incrociò le braccia.
Nina iniziò a far cadere un po’ di antimonio sul cuoio capelluto di
lui e fece un sospiro sconsolato. «Perché il prode drüskelle Ma hias
Helvar non mangia la carne?» domandò in tono melodrammatico
mentre si dava da fare. «Questa è una storia triste davvero, bambino
mio. Una Grisha ca iva gli ha estra o tu i i denti, e ora può
mangiare solo budino.»
«Finiscila» brontolò lui.
«Di fare cosa? Tieni la testa inclinata all’indietro.»
«Che cosa stai facendo?»
«Ti sto scurendo ciglia e sopracciglia. Quello che fanno le ragazze
prima di andare alle feste.» Lui doveva aver fa o una smorfia perché
lei scoppiò a ridere. «Guarda che faccia che hai!»
Nina si sporse in avanti e i suoi capelli castani e ondulati gli
sfiorarono le guance intanto che l’antimonio gli colava sulle
sopracciglia. La mano di lei gli circondò la guancia.
«Chiudi gli occhi» sussurrò. Gli passò i pollici sulle ciglia, e lui si
rese conto che stava tra enendo il respiro.
«Non sai più di rosa» disse lui, poi desiderò prendersi a calci da
solo. Non avrebbe dovuto fare a enzione al profumo di Nina.
«Più probabile che sappia di acqua di sentina.»
No, aveva un buon profumo, dolce come... «Caramelle al la e?»
Lei spostò lo sguardo con fare colpevole. «Kaz ha de o di me ere
in valigia quello che ci serviva per il viaggio. Una ragazza deve pur
mangiare.» Si mise la mano in tasca ed estrasse un sacche o di
caramelle. «Ne vuoi una?»
Sì. «No.»
Lei fece spallucce e se ne infilò una in bocca. Rovesciò gli occhi e
sospirò felice. «Che buona.»
Era umiliante, ma avrebbe potuto guardarla mangiare per ore. Era
una delle cose che gli piacevano di più di Nina: lei gustava tu o, che
fosse una caramella o l’acqua fredda di un ruscello o la carne di
renna essiccata.
«E adesso gli occhi» disse lei con la caramella in bocca mentre
estraeva una bo iglie a dal suo cofane o. «Devi tenerli aperti.»
«Che cos’è quella roba?» chiese lui nervosamente.
«Una tintura realizzata da una Grisha che si chiama Genya Safin.
È il modo più sicuro per cambiare il colore degli occhi.»
Nina si sporse in avanti un’altra volta. Aveva le guance rosa per il
freddo e la bocca leggermente aperta. Le sue labbra erano a pochi
pollici da quelle di lui. Se Ma hias si fosse messo a sedere più dri o,
si sarebbero baciati.
«Devi guardare verso di me» gli spiegò lei.
Lo sto facendo. Lui spostò gli occhi su di lei. “Ti ricordi di questa
costa, Nina?” voleva chiederle, sebbene lei dovesse ricordarsela per
forza.
«Di che colore me li fai?»
«Sssh. Questo è difficile.» Applicò qualche goccia sulla punta
delle dita e le avvicinò agli occhi di Ma hias.
«Perché non le me i dentro e basta?»
«Perché non la sme i di parlare? Vuoi che ti accechi?»
Lui si zi ì.
Alla fine Nina si ritrasse, lasciando vagare lo sguardo sui
lineamenti di lui. «Marroncini» disse. Poi gli fece l’occhiolino.
«Come le caramelle al la e.»
«Cosa hai intenzione di fare a proposito di Bo Yul-Bayur?»
Lei si raddrizzò e si allontanò, l’espressione di chi sta per
chiudersi in se stesso. «Che cosa vuoi dire?»
Gli dispiacque veder sparire la Nina disinvolta di poco prima, ma
non aveva importanza. Si girò a guardare che nessuno stesse
ascoltando. «Sai perfe amente cosa voglio dire. Non ci credo
neanche per un secondo che perme erai a questa gentaglia di
consegnare Bo Yul-Bayur al Consiglio dei Mercanti di Kerch.»
Lei rimise la bo iglie a in uno dei casse ini. «Per fissare il colore
dovremo ripetere l’operazione almeno altre due volte prima di
arrivare alla Corte di Ghiaccio. Raccogli le tue cose. Kaz ci vuole
pronti a sbarcare allo scoccare dell’ora.» Fece sca are il coperchio del
cofane o e raccolse le catene. Quindi si dileguò.
Inej si sentiva come se lei e Kaz fossero diventati soldati gemelli, che
marciavano, facevano finta che andasse tu o bene e nascondevano
ferite e lividi al resto della banda.
Ci vollero altri due giorni di cammino per raggiungere le
scogliere che sovrastavano Djerholm, ma procedere era più facile
adesso che puntavano a sud verso la costa. Le temperature si erano
fa e più miti, la terra era scongelata, e Inej iniziò a vedere i primi
segni della primavera. Aveva pensato che Djerholm sarebbe stata
simile a Ke erdam: un groviglio di strade nere, grigie e marroni, fi e
di nebbia e fumo di carbone, e navi di ogni genere nel porto, che
palpitavano per la fre a e per il trambusto commerciale. Il porto di
Djerholm era affollato di navi, ma le sue strade pulite portavano
verso l’acqua in modo ordinato, e le case erano dipinte di tu i i
colori – rosso, blu, giallo, rosa – come per sfidare le lande bianche e
selvagge e i lunghi inverni del profondo Nord. Persino i capannoni
vicino alle banchine avevano colori allegri. Era così che da bambina
aveva immaginato le ci à, dove tu o era del colore delle caramelle
ed era al proprio posto.
La Ferolind stava già aspe ando al molo, comodamente a raccata,
con la bandiera di Kerch che svolazzava e i simboli verde-arancio
della Compagnia della Baia Haanraadt? Se il piano fosse andato
come sperava Kaz, domani no e avrebbero passeggiato lungo il
molo di Djerholm con Bo Yul-Bayur al seguito, sarebbero risaliti
sulla loro nave e sarebbero stati in mare aperto prima che chiunque a
Fjerda si accorgesse di qualcosa. Preferì non pensare a come sarebbe
stata la no e dell’indomani se il piano fosse andato storto.
Inej alzò lo sguardo sulla Corte di Ghiaccio, ferma come una
grande sentinella bianca sopra una scogliera imponente affacciata
g p g p
sul porto. Ma hias aveva definito inscalabili le sue mura, e lei
doveva amme ere che rappresentavano una bella sfida anche per lo
Spe ro. Sembravano incredibilmente alte, e a distanza la loro
superficie in calce bianca appariva pulita e luminosa come il
ghiaccio.
«Cannoni» disse Jesper.
Kaz sbirciò in alto verso l’artiglieria pesante puntata sulla baia.
«Sono entrato di nascosto in banche, depositi, palazzi, musei, camere
blindate, una biblioteca di libri rari, e una volta nella camera da le o
di un diplomatico Kaelish in visita che aveva una moglie con la
passione per gli smeraldi. Ma non sono mai stato preso a
cannonate.»
«C’è sempre una prima volta» commentò Jesper.
Inej serrò le labbra. «Speriamo che non sia questa.»
«Quei cannoni sono là per fermare le navi da guerra nemiche»
disse Jesper con sicumera. «Sarà dura che riescano a colpire una
piccola gole a striminzita che si apre un varco tra le onde in cerca di
fama e fortuna.»
«Citerò le tue parole quando una palla di cannone mi a errerà in
grembo» disse Nina.
Scivolarono agilmente nel via vai di viaggiatori e commercianti, là
dove la strada della scogliera incrociava quella se entrionale che
portava a Djerholm Alta. La ci à alta era l’estensione scoordinata
della ci à bassa, una raccolta caotica di bo eghe, mercati e locande
che offrivano i propri servizi alle guardie e al personale al lavoro
presso la Corte di Ghiaccio così come alla gente di passaggio. Per
fortuna, la folla era così numerosa e variegata che l’ennesimo gruppo
di stranieri passò inosservato, e Inej si scoprì a tirare il fiato. Aveva
temuto che lei e Jesper sarebbero stati troppo appariscenti nel mare
di teste bionde della capitale di Fjerda. Forse anche l’equipaggio che
arrivava da Shu Han stava facendo affidamento sulla folla
disordinata per non essere scoperto.
I segni dei festeggiamenti per Hringkälla erano dappertu o. I
negozi sfoggiavano in vetrina dei bisco i al pepe a forma di lupo,
alcuni pendevano come decorazioni dagli alberi più grossi e contorti,
e il ponte che abbracciava la gola del fiume era stato addobbato con i
p g
nastri color argento di Fjerda. Una strada sola per entrare nella Corte
di Ghiaccio e una strada sola per uscire. L’indomani avrebbero
a raversato il ponte da vincitori?
«Cosa sono?» chiese Wylan, fermandosi davanti al carre o di un
venditore ambulante carico di ghirlande realizzate con rame i
contorti e nastri d’argento.
«Alberi di frassino» rispose Ma hias. «Sacri a Djel.»
«Dovrebbe essercene uno nel bel mezzo dell’Isola Bianca» disse
Nina, ignorando l’occhiata preoccupata che le indirizzò il Fjerdiano.
«È dove i drüskelle si radunano per la cerimonia dell’ascolto.»
Kaz picchie ò il bastone da passeggio per terra. «Perché è la
prima volta che ne sento parlare?»
«Il frassino è alimentato dallo spirito di Djel» disse Ma hias. «È il
frassino il posto migliore dove sentire la sua voce.»
Kaz sba é velocemente le palpebre. «Non è quello che ho chiesto.
Perché non c’è nelle nostre mappe?»
«Perché è il luogo più sacro di tu a Fjerda ed è irrilevante per la
nostra missione.»
«Decido io cos’è rilevante. C’è qualcos’altro che hai deciso di
escludere nella tua enorme saggezza?»
«La Corte di Ghiaccio è enorme» disse Ma hias girandosi
dall’altra parte. «Non posso etiche are ogni fessura e ogni angolo.»
«Allora speriamo che non ci sia niente appostato in quegli angoli»
replicò Kaz.
Djerholm Alta non aveva un vero e proprio centro, ma buona
parte delle taverne, delle locande e delle bancarelle era ammassata
alla base della collina che portava alla Corte di Ghiaccio. Kaz li
condusse in giro per le strade come se non avessero una meta
precisa, finché trovò una taverna malmessa chiamata Gestinge.
«Qui?» si lamentò Jesper, sbirciando nella sala principale, fredda e
umida. Il posto puzzava di pesce e aglio.
Kaz lanciò un’occhiata significativa verso l’alto e disse: «La
terrazza».
«Che cos’è una gestinge?» pensò Inej a voce alta.
«Significa “paradiso”» disse Ma hias. Anche lui sembrava
dubbioso.
Ci pensò Nina a chiedere un tavolo per tu i sulla terrazza della
taverna. Era pressoché deserta, la stagione ancora troppo fredda per
a irare fuori i clienti. O forse erano scoraggiati dal cibo: aringhe in
olio rancido, pane nero stantio, e burro che aveva chiaramente sopra
della muffa.
Jesper guardò verso il proprio pia o e geme e. «Kaz, se mi vuoi
morto, preferirei un proie ile al posto del veleno.»
Nina arricciò il naso. «Se non mi va di mangiare, poco ma sicuro
c’è un problema.»
«Siamo qui per il panorama, non per il cibo.»
Dal loro tavolo avevano una buona vista, per quanto distante, del
cancello esterno della Corte di Ghiaccio e del primo posto di
guardia.
Era stato costruito dentro una volta bianca formata da due
monumentali lupi di pietra seduti sulle zampe posteriori, e
sovrastava la strada che portava su per la collina verso la Corte.
Inej e gli altri osservarono il via vai dal cancello mentre
piluccavano dai pia i, in a esa dei carri dei prigionieri.
Finalmente a Inej era tornato l’appetito, e stava mangiando il più
possibile per recuperare le forze, ma la pellicola sopra la zuppa che
aveva ordinato non era di aiuto.
Il caffè non c’era, per cui ordinarono del tè e bicchierini di
brännvin: bruciava la gola quando scendeva ma aiutava a scaldarsi
contro il vento che si era alzato, e che muoveva i nastri d’argento
legati ai grossi rami di frassino ai lati della strada so ostante.
«Presto daremo nell’occhio» disse Nina. «Questo non è il genere
di posto in cui la gente si tra iene a lungo.»
«Forse non hanno nessuno da portare in prigione» suggerì Wylan.
«C’è sempre qualcuno da portare in prigione» replicò Kaz, poi
allungò il mento verso la strada. «Guarda.»
Un carro squadrato si stava fermando al posto di guardia. Una
tela nera copriva il te o e i lati, ed era trainato da qua ro cavalli
tarchiati. La porta sul retro era di ferro pesante, chiusa a chiave e
sprangata.
Kaz infilò la mano nella tasca della giacca. «Tieni» disse, e porse a
Jesper un libro so ile dalla copertina sofisticata.
p p
«Ci leggiamo delle storie?»
«Basta che lo apri e vai in fondo.»
Jesper spalancò il volume e scrutò l’ultima pagina, perplesso.
«Quindi?»
«Sollevalo, così non siamo costre i a vedere la tua bru a faccia.»
«La mia faccia ha personalità. Inoltre... oh!»
«Un’o ima le ura, vero?»
«Chi poteva immaginare che avessi una passione per la
le eratura?»
Jesper passò il libro a Wylan, che lo prese esitando. «Che cosa
dice?»
«Tu guarda» disse Jesper.
Wylan aggro ò la fronte e sollevò il libro, poi sorrise a trentadue
denti. «Dove l’hai preso?»
Fu il turno di Ma hias, che si lasciò scappare un grugnito
stupefa o.
«Lo chiamano il libro senza retro» disse Kaz mentre Inej prendeva
il volume da Nina e lo sollevava. Le pagine erano piene dei soliti
sermoni, ma la raffinata quarta di copertina nascondeva due lenti
che facevano da binocolo.
Kaz le aveva de o di tenere d’occhio le donne che al Club dei
Corvi utilizzavano specchie i del genere.
Riuscivano a vedere che carte avevano i giocatori dall’altra parte
della stanza, e poi avvisavano il loro socio seduto al tavolo.
«Astuto» commentò mentre guardava dentro il binocolo. Per la
barista e gli altri clienti sulla terrazza loro si stavano passando di
mano un libro per disquisire di qualche passaggio interessante.
In realtà, Inej guardava da vicino la gabbiola del posto di guardia e il
carro posteggiato di fronte.
Il cancello tra i lupi era in ferro ba uto, aveva il simbolo del
frassino sacro ed era delimitato da una recinzione alta e guarnita da
spuntoni che circondava il perimetro della Corte di Ghiaccio.
«Qua ro guardie» rimarcò, proprio come aveva de o Ma hias.
Due erano collocate a entrambi i lati della portineria, e una di loro
stava chiacchierando con il conducente del carro del carcere, che gli
porse un pacche o di documenti.
p p
«Sono la prima linea di difesa» disse Ma hias. «Controllano i
documenti, verificano le identità e segnalano chiunque a loro avviso
richieda un’indagine più approfondita. Domani, a quest’ora, la fila
che a raversa il cancello sarà piena di ospiti per la festa di
Hringkälla e si snoderà fino al burrone.»
«A quest’ora, domani, saremo dentro» disse Kaz.
«Ogni quanto passano i carri?» domandò Jesper.
«Dipende» disse Ma hias. «Di solito arrivano la ma ina. A volte
nel primo pomeriggio. Ma non credo che vogliano far arrivare i
prigionieri insieme agli ospiti.»
«Allora dobbiamo essere sul primo carro» concluse Kaz.
Inej sollevò di nuovo il libro senza retro. Il conducente del carro
indossava un’uniforme grigia simile a quelle delle guardie al
cancello ma senza fascia e decorazioni.
Scese dal posto di guida e andò ad aprire la pesante porta di ferro.
«Santi numi» disse Inej appena la porta venne aperta. Dieci
prigionieri erano seduti sulle panchine disposte nel carro per il
lungo, con mani e piedi ammane ati e dei sacchi neri a coprirgli la
testa.
Restituì il libro a Ma hias, e mentre questo rifaceva il giro lei sentì
l’apprensione generale salire. Soltanto Kaz sembrava indifferente.
«Incappucciati e incatenati?» disse Jesper. «Sei sicuro che non
possiamo entrare spacciandoci per artisti? Pare che Wylan sia un
asso con il flauto.»
«Entreremo per quello che siamo: criminali» disse Kaz.
Nina diede un’occhiata dentro le lenti del libro. «Stanno contando
i prigionieri.»
Ma hias annuì. «Se le procedure non sono cambiate, faranno un
conteggio veloce al primo posto di blocco, poi un altro al prossimo,
dove perlustreranno l’interno e il telaio alla ricerca di qualunque
merce di contrabbando.»
Nina passò il libro a Inej. «Quando aprirà la porta, il conducente
si accorgerà che ci sono sei prigionieri in più.»
«Se soltanto ci avessi pensato» disse Kaz seccamente. «Immagino
che non abbiate mai scippato un portafogli.»
«E io immagino che tu abbia trascurato il tuo taglio di capelli.»
g g p
Kaz si accigliò e fece scorrere una mano ai lati della testa,
imbarazzato. «Non c’è niente, nel mio taglio, che qua ro milioni di
kruge non possano sistemare.»
Jesper piegò la testa di lato, gli occhi grigi accesi. «Useremo un
bisco o in tasca, vero?»
«Esa amente.»
«Non conosco questa parola, bisco ointasca» disse Ma hias,
sillabando.
Nina diede a Kaz un’occhiataccia. «Nemmeno io. Non siamo
gente di strada come te, Manisporche.»
«E non lo sarete mai» disse Kaz tranquillamente. «Ricordate il
nostro pollo?» Wylan trasalì. «Facciamo che il pollo è un turista che
cammina per il Barile. Ha sentito dire che è il posto giusto per venir
derubati, così continua a dare dei colpe i al portafogli per accertarsi
che sia ancora al suo posto, congratulandosi con se stesso per essere
così cauto e a ento. Non è mica uno sciocco, lui. Naturalmente, ogni
volta che si dà una pacca sulla tasca di dietro o sul davanti della
giacca, che cosa sta facendo? Sta dicendo a ogni ladro dello Stave
dove tiene esa amente la sua roba.»
«Per tu i i Santi» borbo ò Nina. «Facile che l’abbia fa o anch’io.»
«Tu i lo fanno» disse Inej.
Jesper sollevò un sopracciglio. «Non tu i.»
«Solo perché tu non hai mai niente nel tuo portafogli» riba é Nina.
«Ca iva.»
«Mi a engo ai fa i.»
«I fa i sono per chi non ha immaginazione» disse Jesper con un
gesto sprezzante.
«Ora, un pessimo ladro» continuò Kaz, «uno che non sa come
muoversi, arraffa il portafogli e cerca di svignarsela. Un o imo
sistema per farsi pizzicare dalla stadwatch. Invece un ladro che sa il
fa o proprio, come me, so rae il portafogli e me e qualcos’altro al
suo posto.»
«Un bisco o?»
«“Bisco o in tasca” è solo un modo di dire. Può essere una pietra,
una sapone a, anche un vecchio pezzo di pane se è della dimensione
giusta. Un ladro che sa il fa o proprio può dirti quant’è pesante un
g p p p q p
portafogli già solo dal modo in cui modifica la piega di un cappo o.
Il ladro fa la sostituzione e il povero pollo continua a darsi pacche
sulla tasca, tu o contento. Solo quando proverà a comprarsi
un’omele e o a fare una puntata al tavolo si renderà conto di essere
un idiota. A quel punto il ladro sarà al sicuro da qualche parte, a
contare la refurtiva.»
Wylan si mosse a disagio sulla sedia. «Ingannare gli ingenui non è
qualcosa di cui andare fieri.»
«Lo è, se lo fai bene.» Kaz indicò con un cenno del capo il carro
del carcere, che aveva appena ripreso il cammino su per la strada
verso la Corte di Ghiaccio e il secondo posto di blocco. «Noi saremo
il bisco o.»
«Aspe a» disse Nina. «La porta si chiude solo da fuori. Come
facciamo a entrare e a richiuderla?»
«Questo è un problema solo se non conosci un ladro che sa il fa o
suo. Lascia che della serratura mi occupi io.»
Jesper si stiracchiò le lunghe gambe. «Per cui dobbiamo liberare,
slegare e neutralizzare sei prigionieri, prendere il loro posto, e chissà
come risigillare ben bene il carro senza che le guardie o gli altri
prigionieri se ne rendano conto?»
«Giusto.»
«C’è qualche altra impresa impossibile che gradiresti farci me ere
a segno?»
Un sorriso sfacciato baluginò sul viso di Kaz. «Ti farò una lista.»
A Nina era bastata meno di un’ora per scoprire che la maggior parte
dei carri della prigione passavano accanto a una locanda nota come
la Stazione di Warden, situata sul percorso verso la Corte di
Ghiaccio. Inej e gli altri dove ero scarpinare per quasi due miglia
fuori da Djerholm Alta per individuare la locanda, che era troppo
affollata di contadini e braccianti locali per rivelarsi utile ai loro
scopi, così si spinsero più lontano lungo la strada, ma ora che
trovarono un posto abbastanza nascosto e con una macchia d’alberi
abbastanza grande, Inej sentì che stava quasi per svenire. Ringraziò i
propri Santi per l’energia apparentemente senza limiti di Jesper, che
si offrì allegramente di andare avanti e fare da vede a. Quando il
carro dei prigionieri fosse transitato nei pressi, avrebbe avvisato il
resto della banda con un segnale luminoso, poi sarebbe tornato da
loro di corsa.
Nina si prese qualche minuto per modificare l’avambraccio di
Jesper, cancellando il tatuaggio degli Scarti e lasciando al suo posto
un pezzo di pelle chiazzato. Quella no e avrebbe pensato ai tatuaggi
di Kaz e ai propri. Era possibile che nessuno in prigione riconoscesse
le bande di Ke erdam o i marchi dei bordelli, ma non c’era motivo di
correre il rischio.
«Nessun rimpianto» sentenziò Jesper mentre si allontanava nel
crepuscolo, le lunghe gambe che divoravano facilmente la distanza.
«Nessun funerale» risposero gli altri in coro. Inej lo benedisse
anche con una vera preghiera. Sapeva che Jesper era ben armato ed
era in grado di badare a se stesso, ma tra la figura allampanata e la
carnagione Zemeni era troppo appariscente per stare tranquilli.
Si accamparono in un canale asciu o delimitato da un groviglio di
arbusti, e a turno sonnecchiarono sul duro terreno roccioso e fecero
la guardia. Nonostante la fatica, Inej era convinta che non sarebbe
riuscita a dormire, ma la prima cosa di cui fu di nuovo consapevole
era che il sole era alto sopra di loro, una sacca luminosa in un cielo
p
coperto di nuvole. Doveva essere mezzogiorno inoltrato. Nina era
accanto a lei con un pezzo di bisco o al pepe a forma di lupo che
aveva comprato a Djerholm Alta. Inej vide che qualcuno aveva
acceso un fuocherello, e le tracce appiccicose della paraffina fusa
erano visibili tra le ceneri.
«Dove sono gli altri?» domandò, guardandosi a orno nel canale
deserto.
«Per strada. Kaz ci ha de o di lasciarti dormire.»
Si sfregò gli occhi. Immaginava che fosse un tra amento di favore
per via delle sue ferite. Forse non aveva nascosto affa o la propria
spossatezza. Una raffica improvvisa di scoppie ii proveniente dalla
strada la rimise in piedi, con i pugnali in mano, in un istante.
«Calma» disse Nina. «È solo Wylan.»
Jesper doveva aver già dato il segnale. Inej prese il bisco o dalla
mano di Nina e andò di corsa da Kaz e Ma hias che stavano
guardando Wylan alle prese con qualcosa alla base di un grosso
abete rosso. Risuonò un’altra serie di schiocchi, e comparvero delle
nuvole e di fumo nel punto in cui il tronco dell’albero si univa al
terreno. Per un po’ sembrò che non fosse successo niente, poi le
radici si staccarono dal suolo, arricciandosi e appassendo.
«Che cos’era quella roba?» chiese Inej.
«Concentrato di sale» disse Nina.
Inej piegò la testa di lato. «Ma hias sta... pregando?»
«Sta recitando una benedizione. I Fjerdiani lo fanno tu e le volte
che tagliano un albero.»
«Tu e le volte?»
«Le benedizioni dipendono da come intendi usare il legno. Ce n’è
una per le case, una per i ponti.» Si fermò. «Una per accendere il
fuoco.»
Ci volle meno di un minuto per abba ere l’albero in modo che il
tronco bloccasse la strada. Con le radici inta e, sembrava che fosse
stato semplicemente colpito da una mala ia.
«Quando il carro si sarà fermato, l’albero ci farà guadagnare circa
quindici minuti, non di più» disse Kaz. «Muoviamoci in fre a. I
prigionieri dovrebbero essere incappucciati, ma saranno in grado di
sentire, quindi neanche una parola. Non possiamo perme erci di
q p p p
destare dei sospe i. Per quello che ne sanno loro, è una fermata di
routine, e noi vogliamo che continuino a pensarlo.»
Mentre Inej aspe ava nel canale insieme agli altri, passò in
rassegna tu o quello che poteva andare storto. I prigionieri potevano
non essere incappucciati. Le guardie potevano aver messo uno di
loro nel retro del carro. E se invece ce l’avessero fa a? Bene, allora
avrebbero raggiunto la Corte di Ghiaccio da detenuti. Nemmeno
questo prome eva particolarmente bene.
Proprio quando stava iniziando a chiedersi se Jesper si fosse
sbagliato e avesse mandato il segnale troppo presto, il carro del
carcere apparve all’orizzonte. Li oltrepassò e si fermò davanti
all’albero. Inej sentì il conducente inveire contro il compagno di
viaggio.
Scivolarono entrambi giù dai sedili e si diressero verso il tronco.
Per un lungo minuto, rimasero lì fermi a fissarlo. La guardia più
grossa si tolse il cappello e si gra ò la pancia.
«Quanto sono pigri?» mormorò Kaz.
Alla fine, sembrarono acce are l’idea che l’albero non si sarebbe
spostato da solo. Tornarono al carro a recuperare un rotolone di
corda e staccarono un cavallo per trascinare l’albero oltre il ciglio
della strada.
«State pronti» disse Kaz. Si portò in fre a sulla cima del canale
fino a raggiungere il retro del carro. Aveva lasciato il bastone da
passeggio nel fosso e qualunque dolore avesse lo mascherava bene.
Fece scivolare fuori i grimaldelli dalla fodera della giacca e cullò
delicatamente il lucche o, quasi con amore. In pochi secondi sca ò,
e Kaz spinse il chiavistello di lato. Diede un’occhiata agli uomini che
stavano legando la corda all’albero e aprì la porta.
Inej era nervosa, in a esa del segnale. Che non arrivò. Kaz stava là
in piedi, a guardare dentro il carro.
«Cosa succede?» sussurrò Wylan.
«Forse non sono incappucciati?» rispose lei. Da dove si trovavano,
non riuscivano a vedere. «Vado io.» Non potevano radunarsi sul
retro del carro tu i in una volta.
Inej si arrampicò fuori dal canale e arrivò dietro a Kaz. Lui era
ancora lì in piedi, immobile. Lei gli sfiorò velocemente la spalla, e lui
p g p
sussultò. Kaz Brekker sussultò. Che cosa stava succedendo? Non
poteva chiederglielo e rischiare che i prigionieri lo sentissero. Così
sbirciò dentro il carro.
I detenuti erano tu i ammane ati e avevano tu i un cappuccio
nero sulla testa. Ma ce n’erano molti di più che nel carro che avevano
visto al posto di blocco. Invece di essere seduti e incatenati alle
panchine sui due lati, erano in piedi, pigiati l’uno sull’altro. Piedi e
mani erano legati, e portavano tu i un collare di ferro agganciato al
te o del carro. Se uno si lasciava cadere o si piegava troppo, il collare
gli mozzava il respiro. Non era bello, ma erano così ammassati da
dare l’idea che nessuno avrebbe veramente potuto cadere e
strozzarsi.
Inej diede a Kaz un altro colpe o con il gomito. La faccia di lui era
pallida, quasi cerea, ma perlomeno questa volta non rimase fermo. Si
issò all’interno, muovendosi a sca i e in modo sgraziato, e si mise a
sganciare i collari dei prigionieri.
Inej fece un cenno a Ma hias, e lui balzò fuori dal canale per
raggiungerli.
«Cosa succede?» chiese uno dei prigionieri in Ravkiano, la voce
terrorizzata.
«Tig!» ringhiò ferocemente Ma hias in Fjerdiano. Ci fu un fremito
tra gli uomini sul carro, come se si fossero tu i messi sull’a enti.
Senza farci caso, anche Inej aveva raddrizzato la schiena. Una sola
parola e tu o l’a eggiamento di Ma hias era cambiato, come se
fosse bastato un solo ordine brusco a farlo rientrare nella divisa da
drüskelle. Inej lo osservò, tesa. Aveva iniziato a sentirsi a proprio
agio con lui. Un’abitudine facile in cui cadere, ma poco saggia.
Kaz aprì sei blocchi di ceppi a mani e piedi. Uno a uno, Inej e
Ma hias spinsero i sei prigionieri vicinissimi alla porta. Non c’era il
tempo di valutare il peso, l’altezza e nemmeno se fossero uomini o
donne.
Li guidarono sul ciglio del canale, e intanto tenevano d’occhio le
guardie e i lavori in corso sulla strada. «Cosa succede?» osò chiedere
uno dei detenuti. Ma un altro veloce «Tig!» di Ma hias lo fece tacere.
Una volta nascosti alla vista, Nina abbassò le loro pulsazioni fino
a farli svenire. Solo allora Wylan rimosse i cappucci: qua ro uomini,
y pp q
uno dei quali piu osto anziano, una donna di mezza età e un
ragazzo Shu. Non era esa amente l’ideale, ma c’era da sperare che le
guardie non avessero fa o un’ispezione accurata. Dopo tu o, un
gruppo di detenuti con mani e piedi nei ceppi, che tipo di problemi
poteva creare?
Nina inie ò un sonnifero nei prigionieri per allungare il loro stato
di incoscienza, e Wylan diede una mano a farli rotolare nel fosso
dietro gli alberi.
«Li lasciamo lì così?» sussurrò Wylan a Inej mentre tornavano di
corsa al carro con i cappucci dei prigionieri in mano.
Gli occhi di Inej erano puntati sulle guardie che stavano
spostando l’albero, e non guardarono Wylan mentre diceva: «Si
sveglieranno molto presto e se la daranno a gambe. Potrebbero
anche raggiungere la costa e la libertà. Gli stiamo facendo un
favore».
«Non sembra un favore. Sembra che li stiamo lasciando in un
fosso.»
«Silenzio» ordinò lei. Non era né il momento né il posto per i
cavilli morali. Se Wylan non conosceva la differenza tra essere in
catene ed essere libero, era sul punto di scoprirlo.
Inej mise una mano a coppa sulla bocca e fece un piccolo, tenero
richiamo d’uccello. Avevano ancora qua ro minuti, forse cinque,
prima che le guardie ripulissero la strada. Per fortuna, stavano
facendo un discreto baccano incitando il cavallo e strillandosi
addosso l’uno l’altro.
Ma hias legò Wylan per primo, poi Nina. Inej lo vide irrigidirsi
mentre Nina sollevava i capelli per farsi me ere il collare, esponendo
così alla vista la curva bianca del collo. Quando lui le avvicinò il
collare alla gola, Nina lo fissò negli occhi da sopra la spalla, e lo
sguardo che si scambiarono avrebbe potuto sciogliere intere miglia
di ghiaccio nordico. Ma hias si allontanò di corsa. Inej per poco non
scoppiò a ridere. Così bastava questo a far scappare il drüskelle e a
riportare indietro, al suo posto, il ragazzo.
Poi fu il turno di Jesper, che aveva il fiatone per via della corsa
con cui era tornato. Mentre lei gli calava il sacco sulla testa, lui le fece
l’occhiolino. Si sentivano le guardie chiamarsi avanti e indietro.
g
Inej chiuse il collare di Ma hias e si alzò in punta di piedi per
infilargli il cappuccio in testa. Ma quando stava per fare lo stesso con
Nina, la Grisha sba é gli occhi rapidamente, indicando con la testa
la porta del carro. Voleva sapere come avrebbe fa o Kaz a chiuderli
dentro.
«Guarda» sillabò Inej con le labbra.
Kaz fece un cenno a Inej e lei saltò giù, chiuse la porta del carro,
serrò il lucche o e fece scivolare il chiavistello. Un a imo dopo il
lato opposto della porta si spalancò. Kaz aveva semplicemente tolto i
cardini. Era un trucco che aveva usato un sacco di volte quando una
serratura era troppo complicata da scassinare velocemente, oppure
volevano che il furto sembrasse un lavoro fa o dall’interno.
“L’ideale per fingere un suicidio” le aveva de o Kaz una volta, e lei
non aveva mai capito se lui dicesse sul serio.
Inej diede un’ultima occhiata alla strada. Gli uomini avevano
finito con l’albero. Quello grosso si stava togliendo la polvere dalle
mani e dava delle manate alla schiena del cavallo. L’altro si stava già
avvicinando al davanti del carro. Inej afferrò il bordo e si sollevò,
infilandosi dentro. Kaz si mise immediatamente a riposizionare i
cardini. Inej calò il cappuccio sulla faccia stupefa a di Nina e si mise
accanto a Jesper.
Ma anche se la luce era fioca, avrebbe de o che Kaz si stava
muovendo troppo lentamente, e che le sue dita erano più impacciate
di come le avesse mai viste. Cos’aveva che non andava? E perché si
era immobilizzato davanti alla porta del carro? Qualcosa lo aveva
fa o tentennare, ma cosa?
Udì un ping metallico quando Kaz fece cadere una delle viti.
Scrutò il pavimento e con un calce o fece rotolare la vite verso di lui,
cercando di non badare al cuore che le martellava nel pe o.
Kaz si accucciò per rime ere al proprio posto la seconda cerniera.
Stava respirando a fatica. Lavorava senza luce, servendosi solo del
ta o, con quei malede i guanti di pelle che insisteva per avere
sempre addosso, eppure Inej non credeva fossero quelle le ragioni
per cui sembrava così agitato. Sentì dei passi alla destra del carro,
una guardia urlò qualcosa all’altra.
Avanti, Kaz.
Non si era data il tempo per spazzar via le loro impronte. E se la
guardia le avesse notate? Se avesse dato uno stra one alla porta e
questa fosse venuta via dai cardini, rivelando Kaz Brekker, senza
cappuccio e senza catene?
Inej udì un altro ping. Kaz imprecò una volta so ovoce.
All’improvviso, la porta vibrò quando la guardia fece sbatacchiare il
lucche o chiuso. Kaz sorresse la cerniera con una mano. La fessura
di luce so o la porta si allargò. Inej tornò a respirare.
I cardini tennero.
Un altro urlo in Fjerdiano, altri passi. Poi lo schiocco delle redini e
il carro balzò in avanti, rimbombando sulla strada. Inej si permise di
tirare il fiato. La gola le era diventata completamente secca.
Kaz le si mise di fianco. Le abbassò il cappuccio sulla testa e
l’odore di muffa le riempì le narici. Lui si sarebbe incappucciato da
solo e poi si sarebbe legato. Roba piu osto facile, un trucche o per
maghi da qua ro soldi, e Kaz quei trucche i li conosceva tu i. Il
braccio di lui preme e contro quello di lei dalla spalla al gomito,
mentre si chiudeva il collare. Diversi corpi si mossero, accalcandosi
intorno a lei.
Per il momento erano salvi. Ma nonostante il cigolio delle ruote
del carro, Inej sentiva che il respiro di Kaz era peggiorato: ansimi
corti e rapidi, come quelli di un animale chiuso in trappola. Era un
rumore che non avrebbe mai immaginato di sentirgli fare.
Fu proprio perché lo stava ascoltando così a entamente che colse
il momento esa o in cui Kaz Brekker, Manisporche, il bastardo del
Barile, il ragazzo più pericoloso di Ke erdam, svenne.
22
KAZ
Il denaro che il signor Her oon aveva lasciato a Kaz e Jordie finì
dopo una se imana. Jordie tentò di restituire il suo cappo o nuovo,
ma il negozio non se lo riprese, e gli stivali di Kaz erano stati
evidentemente usati.
Quando portarono in banca il prestito che il signor Her oon
aveva firmato, scoprirono che – a dispe o di tu i i timbri
all’apparenza ufficiali – era un pezzo di carta senza valore. Nessuno
conosceva il signor Her oon o il suo socio in affari.
Due giorni dopo furono sfra ati dalla pensione, e dove ero
cercarsi un ponte so o cui dormire, ma ben presto la stadwatch li
fece sloggiare. Dopodiché, vagarono senza una meta fino al ma ino.
Jordie insiste e per tornare alla caffe eria. Sede ero a lungo nel
parcheggio dall’altra parte della strada, ma quando si fece no e la
ronda ricominciò a girare, e Kaz e Jordie si diressero a sud, nelle
strade del Barile più profondo, dove le guardie non si davano la
pena di perlustrare.
Dormirono in un giroscala, in un vicole o alle spalle di una
taverna, infilati tra una stufa abbandonata e i sacchi dei rifiuti della
cucina. Nessuno diede loro fastidio quella no e, ma quella dopo
furono scoperti da una banda di ragazzi che li avvisò di trovarsi nel
territorio dei Becchi di Rasoio. Diedero una bastonata a Jordie e
bu arono Kaz nel canale, ma non prima di avergli portato via gli
stivali.
Jordie ripescò Kaz dall’acqua e gli diede il suo cappo o asciu o.
“Ho fame” aveva de o Kaz.
“Io no” aveva risposto Jordie. E per qualche motivo Kaz lo aveva
trovato divertente, ed entrambi iniziarono a ridere. Jordie strinse Kaz
tra le braccia dicendo: “La ci à sta vincendo. Ma vediamo chi
vincerà per ultimo”.
Il ma ino dopo, Jordie si svegliò con la febbre.
Negli anni a venire la gente avrebbe chiamato l’esplosione di
pestilenza che colpì Ke erdam la Piaga della Favorita, per via della
nave che si credeva avesse portato il contagio in ci à. I bassifondi del
Barile furono i più colpiti. I corpi si accumulavano nelle strade, e i
traghe i dei becchini passavano per i canali usando badili e uncini
per issare i cadaveri a bordo e portarli alla Chia a del Mietitore per
bruciarli.
A Kaz la febbre arrivò due giorni dopo quella di Jordie. Non
avevano soldi per medici o medicine, così si misero vicini dentro un
mucchio di scatole di legno ro e che soprannominarono il Nido.
Nessuno si presentò a farli alzare. Le bande erano state messe
fuori gioco dal morbo.
Quando la febbre divenne molto alta, Kaz sognò di essere tornato
alla fa oria, e quando bussò alla porta vide che il Jordie dei sogni e il
Kaz dei sogni erano già lì, seduti al tavolo della cucina. Loro lo
guardarono dalla finestra, ma non lo fecero entrare, e allora lui vagò
per il prato, timoroso di coricarsi nell’erba alta.
Quando si svegliò, non sentì odore di fieno o di trifoglio o di mele,
solo fumo di carbone e il tanfo dolciastro della verdura marcia nella
spazzatura. Jordie era coricato accanto a lui e fissava il cielo. “Non
lasciarmi” voleva dirgli Kaz, ma era troppo stanco. Così appoggiò la
testa sul pe o di Jordie. C’era già qualcosa che non andava, era
freddo e duro.
Crede e di sognare quando i becchini lo issarono sul traghe o dei
morti. Si sentì cadere, e poi si ritrovò dentro un ammasso di corpi.
Voleva urlare, ma era troppo debole. Erano ovunque, gambe e
braccia e pance rigide, arti in decomposizione e facce dalle labbra blu
piagate dalle pustole della peste. Galleggiò dentro e fuori lo stato di
coscienza, e mentre la barca usciva in mare non sapeva più cosa
fosse reale e cosa fosse un’allucinazione data dalla febbre. Quando lo
ge arono nelle acque basse della Chia a del Mietitore, in qualche
modo trovò la forza di urlare.
“Sono vivo” aveva gridato, più forte che riusciva. Ma era così
piccolo, e il traghe o si stava già allontanando per tornare al porto.
Kaz cercò di trascinare Jordie fuori dall’acqua. Il suo corpo era
ricoperto dalle piccole piaghe suppuranti che avevano dato alla
febbre bubbonica quel nome, la pelle bianca e livida. Kaz ripensò al
cagnolino meccanico, alla cioccolata calda che avevano bevuto sul
ponte. Pensò che il paradiso doveva essere come la cucina nella casa
sulla Zelverstraat e doveva profumare come l’hutspot dentro il forno
degli Her oon. Aveva ancora il nastro rosso di Saskia. In paradiso
avrebbe potuto ridarglielo. Avrebbero fa o dei dolce i ricavandoli
dall’impasto di mele cotogne. Margit avrebbe suonato il piano, e lui
si sarebbe addormentato accanto al fuoco. Chiuse gli occhi e a ese di
morire.
Kaz si aspe ava di svegliarsi nell’altro mondo, al caldo e al sicuro,
con la pancia piena e Jordie accanto. Invece, si svegliò circondato da
cadaveri. Giaceva nelle acque basse della Chia a del Mietitore, i
vestiti fradici, la pelle tu a grinzosa per essere rimasta a mollo così a
lungo. Il corpo di Jordie era vicino a lui, a malapena riconoscibile,
bianco e gonfio di gas, e galleggiava sulla superficie dell’acqua come
un raccapricciante pesce degli abissi.
Kaz vedeva più chiaramente, e le eruzioni cutanee si erano
diradate. La febbre era svanita. Non aveva più fame, ma aveva così
tanta sete che pensava di impazzire.
Per tu o il giorno e per tu a la no e aspe ò in quell’ammasso di
corpi, guardando verso il porto, sperando nel ritorno del traghe o
dei morti. Dovevano venire ad appiccare il fuoco che avrebbe
bruciato i cadaveri, ma quando? I becchini passavano ogni giorno? A
giorni alterni? Era debole e disidratato. Sapeva che non avrebbe
resistito a lungo. La riva sembrava così lontana, e sapeva anche di
essere troppo debole per nuotare fin là. Era sopravvissuto alla
febbre, ma avrebbe benissimo potuto morire qui fuori, sulla Chia a
del Mietitore. Gli importava? Non c’era niente in ci à, per lui, se non
altra fame e altri vicoli bui e altra umidità lungo i canali. Ma anche
mentre lo pensava, sapeva che non era vero. C’era la vende a ad
aspe arlo, vende a per Jordie e forse anche per se stesso. Ma
avrebbe dovuto andare a cercarsela.
Quando venne no e e la marea cambiò direzione, Kaz si costrinse
a me ere le mani sul corpo di Jordie. Era troppo debole per nuotare
da solo, ma con l’aiuto di Jordie avrebbe potuto galleggiare. Si tenne
stre o a suo fratello e si mise a scalciare l’acqua verso le luci di
Ke erdam. Andarono insieme alla deriva, il corpo gonfio di Jordie
che faceva da za era. Kaz continuò a scalciare, cercando di non
pensare a suo fratello, alla sensazione della carne flaccida di Jordie
so o le mani; cercò di non pensare a nient’altro che al ritmo delle
proprie gambe che si muovevano nelle acque del mare. Aveva
sentito dire che c’erano degli squali in quelle acque, ma sapeva che
non l’avrebbero toccato. Anche lui era un mostro, adesso.
Continuò a scalciare, e quando venne l’alba sollevò lo sguardo e si
ritrovò all’estremità orientale del Coperchio. Il porto era quasi
deserto; il morbo aveva arrestato l’andirivieni delle navi a Kerch.
Le ultime cento iarde furono le più difficili. La marea era cambiata
di nuovo, e gli stava remando contro. Ma ora Kaz era pieno di
speranza, speranza e furia, due fiamme gemelle che ardevano dentro
di lui e che lo portarono fino al molo e su per la scala a pioli. Quando
arrivò in cima, cadde di peso sulla schiena e finì sulle assi di legno, al
che si sforzò di girarsi. Il corpo di Jordie era prigioniero della
corrente, e continuava ad andare a sba ere contro il traliccio so o il
molo. Gli occhi erano ancora aperti, e per un istante Kaz pensò che
suo fratello lo stesse fissando. Ma Jordie non parlò, non sba é le
palpebre e il suo sguardo non cambiò quando la marea lo liberò dal
traliccio e se lo portò via verso il mare.
“Dovrei chiudergli gli occhi” pensò Kaz. Ma sapeva che se fosse
sceso per la scala a pioli e si fosse ribu ato in acqua, non sarebbe
riemerso mai più. Si sarebbe lasciato annegare, e questo non era più
possibile. Lui doveva vivere. Qualcuno doveva pagare.
Nel carro del carcere, Kaz si svegliò a causa di un colpo secco alla
coscia. Era un pezzo di ghiaccio ed era al buio. C’erano dei corpi
a orno a lui, pigiati sulla schiena e sui fianchi. Stava annegando nei
cadaveri.
«Kaz.» Un sussurro.
Lui trasalì.
Un altro colpo alla coscia.
«Kaz.» La voce di Inej. Cercò di fare un respiro profondo dal naso.
La sentì allontanarsi da lui. In qualche modo, negli spazi ristre i del
carro, stava provando a fargli spazio. Il cuore gli martellava nel
pe o.
«Continua a parlare» gracchiò.
«Cosa?»
«Continua a parlare.»
«Stiamo varcando il cancello della prigione. Abbiamo superato i
primi due posti di blocco.»
A queste parole tornò a essere del tu o presente a se stesso.
Avevano superato due posti di blocco. Voleva dire che erano stati
contati. Qualcuno aveva aperto la porta – non una ma due volte –
forse gli aveva anche messo le mani addosso, e lui non si era
svegliato. Avrebbero potuto derubarlo, ucciderlo. Aveva immaginato
di morire in migliaia di modi diversi, ma mai nel sonno.
Si sforzò di respirare profondamente, nonostante la puzza dei
corpi. Aveva tenuto addosso i guanti, e le guardie avrebbero potuto
notarli facilmente: era stata una stupida concessione alla propria
debolezza, ma se non l’avesse fa o, poco ma sicuro sarebbe
impazzito del tu o.
Dietro di lui poteva sentire gli altri prigionieri bisbigliare in lingue
diverse. Malgrado le paure che l’oscurità risvegliava dentro di lui,
era grato di essere al buio. Poteva solo sperare che il resto della
banda, incappucciato e confinato dentro le proprie ansie, non avesse
notato niente di strano nel suo comportamento. Era stato fiacco,
lento a reagire quando avevano teso l’agguato al carro, ma questo era
tu o, e avrebbe potuto trovare una giustificazione per spiegare
l’accaduto.
Odiava l’idea che Inej l’avesse visto conciato a quel modo, che
chiunque potesse averlo visto, ma sulla scia di quel pensiero ne
arrivò un altro: “Meglio che sia toccato a lei”. Sapeva fin dentro le
ossa che Inej non ne avrebbe mai fa o parola con nessuno, che non
avrebbe mai usato quell’informazione contro di lui. Lei faceva
affidamento sulla sua reputazione. Non l’avrebbe mai fa o apparire
debole. Ma c’era qualcosa in più di quello, vero? Inej non l’avrebbe
q p q j
mai tradito. Lui lo sapeva. Kaz si sentì male. Anche se le aveva
affidato la propria vita un’infinità di volte, era molto più spaventosa
l’idea affidarle questa vergogna.
Il carro si fermò. Il catenaccio scivolò indietro e la porta si aprì.
Sentì parlare in Fjerdiano, poi dei rumori di sfregamento e un
tunc. Il collare era slacciato, e fu condo o giù dal carro su una specie
di rampa insieme agli altri prigionieri. Udì il suono di quello che
sembrava un cancello che si apriva cigolando, e furono radunati lì
davanti, con i piedi che si trascinavano dietro le catene.
Kaz strizzò gli occhi quando gli strapparono via di colpo il
cappuccio. Erano in piedi in un ampio cortile. L’imponente cancello
fissato nelle mura ad anello si stava già abbassando per chiudersi e
andò a sba ere contro le pietre in una raffica sinistra di cigolii e
scricchiolii. Quando Kaz sollevò lo sguardo, vide che c’erano guardie
piazzate su tu o il te o del cortile con i fucili puntati verso i
prigionieri. Le guardie di so o, nel cortile, stavano passando in
rassegna le file di detenuti in catene, cercando di abbinarli ai nomi e
alle descrizioni sui documenti del conducente.
Ma hias aveva descri o la stru ura della Corte di Ghiaccio nei
de agli, ma aveva de o ben poco a proposito del suo vero aspe o.
Kaz si era aspe ato qualcosa di umido e vetusto: arcigna pietra
grigia, pronta per la ba aglia. Invece era circondato da marmo così
bianco che alla luce sembrava quasi blu. Era come se stesse vagando
dentro qualche versione surreale delle terre inospitali che avevano
a raversato su al Nord. Era impossibile distinguere il vetro dal
ghiaccio o dalla pietra.
«Se questa non è opera di un Fabrikator, allora io sono la regina
degli spiriti di legno» borbo ò Nina in Kerch.
«Tig!» ordinò una delle guardie. Le conficcò il fucile in pancia, e
lei si piegò in due per il dolore. Ma hias tenne la testa girata
dall’altra parte, ma Kaz non mancò di notare quanto era teso.
Le guardie Fjerdiane gesticolavano sopra le carte, nel tentativo di
far coincidere i numeri e le identità dei prigionieri con i detenuti
riuniti davanti a loro. Era il primo momento in cui rischiavano
veramente di essere smascherati, e Kaz non aveva il minimo
controllo della situazione. Sarebbe stato troppo dispendioso in
pp p
termini di tempo, e troppo pericoloso, individuare e scegliere i
prigionieri da sostituire. Era un rischio calcolato, ma ora Kaz poteva
soltanto aspe are e sperare che la pigrizia e la burocrazia facessero il
resto.
Appena le guardie passarono oltre, Inej aiutò Nina a rialzarsi.
«Stai bene?» chiese Inej, e Kaz si sentì a ra o dalla voce di lei
come l’acqua che scende a valle.
Lentamente, Nina si raddrizzò e si rimise in piedi. «Tu o a posto»
sussurrò. «Ma credo che non dovremo più preoccuparci della banda
di Pekka Rollins.»
Kaz seguì lo sguardo di Nina in cima alle mura ad anello, in alto
sopra il cortile, dove cinque uomini erano stati impalati, infilzati
sulle picche come carne da arrostire, le schiene piegate, gli arti
penzolanti. Kaz dove e strizzare gli occhi ma riconobbe Eroll Aerts,
il miglior scassinatore di Rollins. I lividi e le ferite delle percosse che
gli erano state infli e prima di morire erano di un viola profondo
alla luce del ma ino, e Kaz riusciva giusto a distinguere una macchia
nera sul suo braccio: il tatuaggio del Centesimo di Leone.
Scrutò le altre facce: erano troppo gonfie e deformate nello
spasimo della morte per identificarle. Uno di loro poteva essere
Rollins? Kaz avrebbe dovuto felicitarsi che un’altra banda fosse fuori
gioco, ma Rollins non era uno sciocco, e il pensiero che la sua cricca
non fosse riuscita a superare il cancello della Corte di Ghiaccio era
più che snervante. Inoltre, se Rollins avesse incontrato la morte in
cima a una picca Fjerdiana... No, Kaz lo escluse. Pekka Rollins era
suo.
Ora le guardie stavano discutendo con il conducente, e una di loro
stava indicando Inej.
«Cosa succede?» bisbigliò a Nina.
«Sostengono che i documenti non sono corre i, che c’è una
ragazza Suli al posto di un ragazzo Suli.»
«E il conducente?» domandò Inej.
«Lui continua a dire che non è un suo problema.»
«Bravo, così che si fa» mormorò Kaz come incoraggiamento.
Li guardò andare avanti e indietro. Era quello il bello di tu e le
misure preventive e dei livelli di sicurezza. Le guardie erano sempre
p g p
convinte di poter contare su qualcun altro per correggere un errore o
risolvere un problema. La pigrizia non era affidabile tanto quanto
l’avidità, ma era comunque un’o ima leva. Le guardie stavano
parlando dei prigionieri – incatenati, circondati da tu e le parti, e in
procinto di essere bu ati in cella. Inoffensivi.
Alla fine, una delle guardie carcerarie fece un sospiro e un segnale
ai compari. «Diveskemen.»
«Avanti» tradusse Nina, e poi continuò a tradurre mentre la
guardia parlava. «Portateli nel blocco orientale e lasciate che se la
vedano quelli del turno dopo.»
Kaz si permise di tirare un velocissimo sospiro di sollievo.
Come previsto, le guardie divisero il gruppo di detenuti in
uomini e donne, poi condussero entrambe le file, con le catene che
tintinnavano, dentro un portale quasi circolare che aveva la forma
della bocca spalancata di un lupo.
Entrarono in una stanza dove una donna anziana era seduta con
le mani legate, fiancheggiata da sorveglianti. I suoi occhi erano
assenti. A ogni prigioniero che si avvicinava, la donna prendeva il
polso.
Un amplificatore umano. Kaz sapeva che Nina aveva lavorato con
loro quando aveva passato al setaccio l’Isola Errante per trovare dei
Grisha da arruolare nel Secondo Esercito. Gli amplificatori potevano
avvertire la presenza del potere Grisha tramite il ta o, e un loro
tipico impiego era nei tornei di carte con puntate alte, per accertarsi
che nessun giocatore al tavolo fosse un Grisha. Chiunque sapesse
alterare le pulsazioni di un altro giocatore o anche alzare la
temperatura in una stanza godeva di un vantaggio ingiusto. Ma i
Fjerdiani li usavano per un altro scopo: per essere certi che nessun
Grisha penetrasse all’interno delle loro mura senza essere
identificato.
Kaz guardò Nina avvicinarsi. Tremava mentre tendeva il braccio.
La donna serrò le dita a orno al suo polso. Le ciglia freme ero
appena. Poi lasciò andare la mano di Nina e le fece un gesto di
saluto.
Aveva capito e fa o finta di niente? O la paraffina che avevano
usato per ricoprire il braccio di Nina aveva funzionato?
p p
Mentre venivano condo i all’interno di una volta sulla sinistra,
Kaz intravide Inej sparire dentro l’arco di fronte insieme alle altre
prigioniere di sesso femminile. Sentì una fi a al pe o, e realizzò con
inquietudine che si tra ava di un a acco di panico. Lei era stata
quella che, nel carro, lo aveva fa o uscire dallo stato confusionale. La
sua voce lo aveva portato fuori dall’oscurità; era stata il laccio che lui
aveva afferrato e usato per tirarsi fuori e recuperare una parvenza di
sanità mentale.
I prigionieri di sesso maschile furono condo i, sferragliando, su
per una buia rampa di scale fino a una passerella di metallo. Alla
loro sinistra c’era la mole bianca e liscia delle mura ad anello. Alla
loro destra la passerella si affacciava su un grosso recinto di vetro,
lungo quasi un quarto di miglio e abbastanza alto da accogliere
comodamente una nave mercantile. La passerella era illuminata da
una grossa lanterna di ferro che pendeva dal soffi o come un
bozzolo luminoso. Guardando in basso, Kaz vide file di carri
pesantemente corazzati e sormontati da torre e a cupola. Le ruote
erano larghe e agganciate a un ba istrada spesso. Da ogni carro
sporgeva un’enorme canna da fuoco – una cosa a metà strada tra un
fucile e un cannone – proprio là dove ci sarebbe dovuta essere una
squadra di cavalli da traino.
«Cosa sono quelle?» sussurrò.
«Torvegen» disse Ma hias so ovoce. «Non c’è bisogno dei cavalli
per tirarli. Quando me ne andai stavano ancora perfezionando il
proge o.»
«Niente cavalli?»
«Carri armati» bisbigliò Jesper. «Ho visto i prototipi quando
lavoravo con un armaiolo a Novyi Zem. Mitragliatrici nella torre a,
e quel grosso cilindro che sporge sul davanti? Una vera potenza di
fuoco.»
C’erano anche pezzi di artiglieria pesante a gravità nel recinto,
rastrelliere piene di fucili, munizioni, e quelle bombe e nere che i
Ravkiani chiamavano grenatye. Sulle pareti dietro il vetro erano
esposte le armi più antiche, messe in mostra in modo preciso: asce,
lance, archi lunghi. Sopra tu o, pendeva uno stendardo bianco e
argento: STRYMAKT FJERDAN .
g
Quando Kaz posò lo sguardo su Ma hias, il gigante mormorò:
«Potenza Fjerdiana».
Sbirciò a raverso il vetro spesso. Se ne intendeva di misure di
protezione, e Nina aveva ragione, questo vetro era un altro esempio
di manifa ura Fabrikator, antiproie ile e antisfondamento.
Entrando e uscendo dalla prigione, i detenuti avrebbero visto armi,
armamenti, macchine da guerra: tu i brutali promemoria della forza
dello stato Fjerdiano.
“Andate avanti a tirarvela” pensò. “Non importa quanto siano
grandi le canne delle vostre pistole se non sapete dove puntarle.”
Dall’altra parte del recinto, Kaz vide una seconda passerella, sulla
quale stavano sfilando le prigioniere.
Inej starà bene. Doveva restare lucido. Erano in territorio nemico
adesso, un luogo pieno di pericoli, il tipo di pericoli da cui non esci
vivo se non mantieni l’autocontrollo. La squadra di Pekka era
arrivata così lontano prima di essere scoperta? E dov’era Pekka? Se
n’era rimasto al sicuro a Kerch, o anche lui era prigioniero dei
Fjerdiani?
Niente di tu o ciò era importante al momento. Doveva
concentrarsi sul piano e trovare Yul-Bayur. Lanciò un’occhiata agli
altri. Wylan sembrava che fosse lì lì per farsela addosso. Helvar era
serio come al solito. Jesper sorrise e sussurrò: «Be’, ci siamo dati da
fare per rinchiuderci da soli nel carcere più sicuro del mondo. O
siamo dei geni o siamo i più stupidi figli di pu ana mai visti».
«Lo sapremo presto.»
Furono condo i in un’altra stanza bianca, dotata di vasche di
stagno e tubi di gomma.
La guardia farfugliò qualcosa in Fjerdiano, e Kaz vide che
Ma hias e alcuni degli altri incominciavano a spogliarsi. Deglutì la
bile che gli salì in gola e si rifiutò di vomitare.
Poteva farcela, doveva farcela. Pensò a Jordie. Cos’avrebbe de o
Jordie se il suo fratellino avesse perso l’ultima occasione di farsi
giustizia solamente perché non era in grado di tenere a bada una
stupida nausea? Ma questo servì solo a riportargli alla memoria la
carne fredda di Jordie, il modo in cui si disfaceva nell’acqua salata, e
l’ammasso di cadaveri intorno a lui sul traghe o. La vista gli si
appannò.
“Torna in te, Brekker” si rimproverò duramente. Non servì a
niente. Stava per svenire di nuovo, e poi sarebbe tu o finito. Una
volta Inej si era offerta di insegnargli come cadere.
“Il trucco non sta nell’andare giù” gli aveva de o ridendo. “No,
Kaz” aveva continuato, “il trucco sta nel tornare su.” Le solite
banalità Suli, però il ricordo della voce di lei era di aiuto. Lui era
meglio di così. Lui doveva essere meglio di così. Non solo per Jordie,
ma per la sua banda. Li aveva portati fin qui. Aveva portato Inej. Era
suo dovere farli uscire.
“Il trucco sta nel tornare su.” Tenne la voce di Inej in testa e ripeté
quelle parole, ancora e ancora, mentre si toglieva gli stivali, i vestiti,
e alla fine i guanti.
Vide che Jesper gli stava fissando le mani. «Che cosa ti aspe avi?»
gli ringhiò.
«Degli artigli, almeno» disse Jesper, spostando lo sguardo sui
propri piedi nudi. «Oppure un pollice con le spine.»
La guardia, dopo aver ge ato i loro vestiti in un bidone che senza
dubbio sarebbe stato portato all’inceneritore, fece ritorno. Inclinò la
testa di Kaz all’indietro, gli aprì a forza la bocca e si mise a tastare in
giro con le sue grasse dita. Negli occhi gli sbocciarono delle macchie
nere mentre lo ava per restare cosciente. Le dita della guardia
passarono nel punto tra i denti dove Kaz aveva incastrato il dische o
di baleen, poi gli pizzicarono l’interno delle guance.
«Ondetjarn!» esclamò la guardia. «Fellenjuret!» urlò di nuovo
mentre gli estraeva due so ili pezzi di metallo dalla bocca. I
grimaldelli colpirono il pavimento di pietra con un plinc-plinc. La
guardia gli gridò qualcosa in Fjerdiano e lo schiaffeggiò forte in
faccia. Kaz cadde in ginocchio, ma si costrinse a rialzarsi. Notò
l’espressione terrorizzata di Wylan, ma era tu o quello che poteva
fare per rimanere in piedi mentre l’uomo lo spingeva dentro la fila in
a esa di fare una doccia ghiacciata.
Quando emerse, fradicio e tremante, un’altra guardia gli porse i
pantaloni sbiaditi della divisa carceraria e una casacca, prelevandoli
dalla pila di panni accanto. Kaz se li infilò, poi zoppicò verso la sala
p p p pp
d’a esa con il resto dei prigionieri. In quel momento, avrebbe
rinunciato alla metà dei suoi trenta milioni di kruge in cambio del
peso familiare del suo bastone.
Le celle di detenzione preventiva assomigliavano molto di più alla
prigione che si era immaginato: niente pietra bianca o vetrate, solo
umida pietra grigia e sbarre di ferro.
Furono radunati in una cella già affollata. Helvar si sede e con la
schiena al muro a sorvegliare gli uomini che andavano su e giù,
guardandoli di traverso. Kaz si appoggiò alle sbarre, a osservare le
guardie andarsene. Sentiva i corpi muoversi dietro di lui. C’era
spazio a sufficienza, ma erano comunque troppo vicini. “Solo un
altro po’” si disse. Le mani erano insopportabilmente nude.
Kaz aspe ò. Sapeva cosa stava per succedere. Aveva soppesato gli
altri detenuti non appena erano entrati nella cella, e sapeva che
sarebbe stato il Kaelish robusto e con la voglia sulla pelle ad arrivare
da lui. Era agitato, nervoso, e aveva notato chiaramente la zoppia di
Kaz.
«Ehi, storpio» disse il Kaelish in Fjerdiano. Ci riprovò in Kerch,
con una cadenza forte. «Ehi, storpio.» Non c’era bisogno che si
disturbasse. Kaz sapeva come si diceva “storpio” in tantissime
lingue.
L’istante successivo, Kaz sentì l’aria spostarsi mentre il Kaelish
allungava un braccio verso di lui. Fece un passo a sinistra, e
l’aggressore barcollò in avanti, trasportato dal proprio slancio. Kaz lo
assecondò, gli afferrò il braccio e lo infilò nello spazio tra le sbarre,
fino alla spalla. Il Kaelish si lasciò sfuggire un sonoro grugnito
quando la faccia gli si spiaccicò contro le sbarre di ferro.
Kaz puntellò l’avambraccio dell’uomo a una sbarra. Si lasciò
andare con tu o il peso contro il corpo dell’avversario, e sentì un
rumore appagante quando il braccio del Kaelish si dislocò dalla
spalla. Non appena l’uomo aprì la bocca per urlare, Kaz gliela coprì
con una mano e gli tappò il naso con l’altra. La sensazione della
carne nuda sulle dita gli fece venir voglia di vomitare.
«Sssh» disse, usando la presa sul naso dell’uomo per spingerlo
indietro verso la panca contro il muro. Gli altri prigionieri si fecero
da parte per liberare il passaggio.
p p p gg
L’uomo crollò a sedere, senza fiato e con gli occhi che gli
lacrimavano. Kaz continuò a tappargli naso e bocca. Il Kaelish
tremava so o la sua presa.
«Vuoi che te lo rime a a posto?» gli chiese Kaz.
Il Kaelish uggiolò.
«Lo vuoi?»
Il Kaelish uggiolò più forte mentre i prigionieri osservavano.
«Tu urla, e io farò in modo che tu non possa usarlo mai più, ci
siamo intesi?»
Lasciò andare la bocca dell’uomo e con una spinta rimise il
braccio in posizione. Il Kaelish rotolò sul fianco, si rannicchiò sulla
panca e si mise a piangere.
Kaz si pulì le mani sui pantaloni e tornò nell’angolo accanto alle
sbarre. Sentiva gli sguardi degli altri su di sé, ma ora sapeva che
l’avrebbero lasciato in pace.
Helvar gli andò accanto. «Era veramente necessario?»
«No.»
Invece sì: per essere lasciati in pace mentre facevano quello che
dovevano fare, e per ricordare a se stesso che non era un debole.
23
JESPER
Kaz passò di corsa davanti alle celle più in alto, dedicando giusto
qualche istante per dare un’occhiata veloce dentro ogni grata. Bo
Yul-Bayur non era qui. E lui non aveva molto tempo.
Una parte di lui si sentiva fuori asse. Non aveva il bastone. Era a
piedi nudi. Indossava vestiti strani, le sue mani erano pallide e senza
guanti. Non si sentiva del tu o se stesso. No, non era proprio vero.
Si sentiva lo stesso Kaz delle se imane successive alla morte di
Jordie, un animale selvaggio che lo ava per sopravvivere. Avvistò
un detenuto Shu in una cella.
«Sesh-uyeh» sussurrò. Ma se l’uomo riconobbe la parola d’ordine,
non lo diede a vedere. «Yul-Bayur?» Niente. L’uomo iniziò a urlare
contro di lui in Shu, e Kaz si affre ò a raggiungere le celle che
restavano, poi uscì di soppia o sul pianero olo e si fiondò al piano
di so o più veloce che riuscì. Sapeva che si stava comportando in
modo incosciente ed egoista, ma non era per quello che lo
chiamavano Manisporche? Nessun colpo era troppo rischioso.
Nessuna azione troppo spregevole. Per Manisporche l’unica cosa che
contava era portare a termine il lavoro sporco. Non sapeva bene cosa
lo guidasse. Pekka Rollins poteva non essere qui. Poteva essere
morto. Ma lui non ci credeva. Lo saprei. In qualche modo lo saprei. «La
tua morte è mia» sussurrò.
O o rintocchi
Dove diavolo è Kaz? Jesper saltellò da un piede all’altro davanti
all’inceneritore, mentre l’o uso fragore delle campane d’allarme gli
riempiva le orecchie e gli sbatacchiava i pensieri. Protocollo Giallo?
Protocollo Rosso? Non riusciva a ricordare quale fosse. Tu o il loro
piano si basava sul presupposto di non sentire mai la sirena di un
allarme.
Inej aveva legato il capo di una fune al te o e aveva lanciato giù
l’altra estremità perché loro si arrampicassero. Jesper aveva spedito
su Wylan e Ma hias insieme al resto della corda, un paio di cesoie
che aveva trovato in lavanderia e un rozzo rampino che aveva
fabbricato a partire dalle stecche di metallo di un’asse da bucato. Poi
aveva ripulito il pavimento della stanza dei rifiuti dagli schizzi di
pioggia e umidità, e si era accertato che non ci fossero segni della
loro presenza. Non era rimasto nient’altro da fare a parte aspe are –
e lasciarsi prendere dal panico quando l’allarme a accò a suonare.
Sentì delle persone gridare, e ci fu una raffica di passi di stivale
dall’altra parte del soffi o. In ogni istante, qualche guardia
particolarmente sagace avrebbe potuto avventurarsi di so o per dare
un’occhiata al seminterrato. Se lo avessero trovato accanto
all’inceneritore, la via di fuga per il te o sarebbe risultata ovvia.
Sarebbe stato incriminante non solo per se stesso ma anche per gli
altri.
Avanti, Kaz. Sto aspe ando te. Tu i lo stavano aspe ando. Nina era
arrivata fiondandosi dentro la stanza solo pochi minuti prima, a
corto di fiato.
“Vai!” aveva strillato. “Che cosa stai aspe ando?”
Ma quando lui le aveva chiesto dove fosse Kaz, il viso di Nina si
era accartocciato.
“Speravo fosse con voi.”
Si era dileguata su per la fune, grugnendo per lo sforzo,
lasciandolo in piedi lì so o, immobilizzato dall’indecisione. Le
guardie avevano ca urato Kaz? Era da qualche parte, nel carcere, a
lo are per la propria vita?
Lui è Kaz Brekker. Anche se l’avessero rinchiuso, sarebbe stato in
grado di evadere da qualunque cella e liberarsi da qualunque paio di
mane e. Jesper avrebbe potuto lasciargli della fune, e pregare che la
pioggia e l’inceneritore che si andava raffreddando bastassero a
impedire che l’estremità prendesse fuoco. Ma se fosse rimasto lì
fermo come uno scemo, avrebbe tradito la loro via di fuga e
avrebbero fa o tu i una triste fine. Non c’era altro da fare che
arrampicarsi.
Agguantò la fune proprio mentre Kaz sfrecciava a raverso la
porta. La sua casacca era coperta di sangue, i suoi capelli neri un
disastro.
«Sbrigati» disse senza preamboli.
Mille domande gli si affollarono in testa, ma non si fermò a porle.
Si dondolò sopra le braci e iniziò ad arrampicarsi. Da sopra, la
pioggia stava ancora scendendo con un leggero picchie io e sentì la
fune vibrare quando Kaz l’afferrò. Non appena guardò giù, lo vide
tenersi forte per chiudere le porte dell’inceneritore dietro di loro.
Mise una mano sopra l’altra, spingendosi nodo dopo nodo, con le
braccia che cominciavano già a fargli male, la corda che gli lacerava i
palmi, appoggiando i piedi contro il muro dell’inceneritore quando
ne aveva bisogno, per poi balzare indietro per via del calore dei
ma oni. Come aveva fa o Inej ad affrontare questa scalata senza
niente a cui sostenersi?
Lassù in alto, le campane d’allarme dell’Orologio Maggiore
sferragliavano ancora come un casse o pieno di pentole su tu e le
furie. Che cos’era andato storto? Perché Kaz e Nina si erano divisi? E
come avrebbero fa o a cavarsi fuori da questa situazione?
Jesper scosse la testa e cercò di scrollar via le gocce di pioggia
dagli occhi, con i muscoli della schiena che urlavano mentre saliva
g
sempre più in alto.
«Siano ringraziati i Santi» rantolò quando Ma hias e Wylan lo
afferrarono per le spalle e lo trascinarono su per l’ultimo breve tra o.
Ruzzolò oltre il bordo del comignolo e finì sul te o, fradicio e
tremante come un mice o mezzo annegato. «Kaz sta salendo.»
Ma hias e Wylan presero la corda per tirarlo su. Jesper non era
certo che Wylan fosse veramente d’aiuto, ma stava di sicuro dandosi
un gran da fare. Trascinarono Kaz fuori dalla tromba
dell’inceneritore. Lui cadde di peso sulla schiena, ansimando per la
mancanza d’aria. «Dov’è Inej?» disse con il fiato corto. «Dov’è Nina?»
«Sono già sul te o dell’ambasciata» rispose Ma hias.
«Lasciate questa fune e prendete le altre» disse Kaz.
«Muoviamoci.»
Ma hias e Wylan ge arono in un cumulo di sporcizia la corda
usata per arrampicarsi nell’inceneritore e agguantarono due rotoli di
fune puliti. Jesper ne prese un terzo e si sforzò di me ersi in piedi.
Seguì Kaz sul bordo del te o dove Inej aveva a accato una fune che
scorreva dalla cima della prigione alla cima dell’ambasciata più
so o. Qualcuno aveva montato un’imbracatura per quelli che,
sprovvisti del dono speciale dello Spe ro, non potevano farsi beffe
della gravità.
«Siano ringraziati i Santi, Djel e tua zia Eva» disse Jesper con
gratitudine, e scivolò giù lungo la fune seguito dagli altri.
Il te o dell’ambasciata era incurvato, probabilmente per far
andare giù la neve, ed era un po’ come camminare sulla schiena
gobba di un’enorme balena. Era anche decisamente più... permeabile
del te o della prigione. Era punteggiato da molteplici punti
d’ingresso: ventole, comignoli, lucernari di vetro a forma di cupola.
Nina e Inej si erano rannicchiate alla base della cupola più grande,
un lucernario filigranato che dava sull’ingresso rotondo
dell’ambasciata. Non offriva molto riparo dalla pioggia che andava
diminuendo, ma se qualche guardia sulle mura avesse spostato
l’a enzione dalla strada d’ingresso al te o della Corte, loro non
sarebbero state viste.
Nina aveva i piedi di Inej in grembo.
«Non riesco a toglierle tu a la gomma dai talloni» disse quando li
vide avvicinarsi.
«Aiutala» disse Kaz.
«Io?» replicò Jesper. «Non stai dicendo...»
«Fallo.»
Jesper avanzò lentamente sul lucernario per dare un’occhiata da
vicino ai piedi pieni di vesciche di Inej, ben consapevole che Kaz
stava seguendo i suoi movimenti. La reazione di lui, l’ultima volta
che Inej era stata ferita, era stata decisamente inquietante, ma queste
piaghe non erano neanche vagamente paragonabili a una pugnalata
– e stavolta Kaz non aveva le Punte Nere da incolpare. Jesper si
concentrò sui frammenti di gomma per estrarli dalla pelle di Inej
nello stesso modo in cui aveva estra o il ferro dalle sbarre della
prigione.
Inej conosceva il suo segreto, ma Nina lo stava guardando a bocca
aperta. «Sei un Fabrikator?»
«Mi crederesti se ti rispondessi di no?»
«Perché non me l’hai mai de o?»
«L’hai mai chiesto?» domandò lui con scarsa convinzione.
«Jesper...»
«Lascia perdere.» Nina serrò le labbra, ma lui sapeva che questa
non sarebbe stata l’ultima volta che ne avrebbero parlato. Si
rifocalizzò sui piedi di Inej. «Santi numi» disse.
Inej fece una smorfia. «Sono messi così male?»
«No, sono solo veramente bru i.»
«Però ti hanno portato su questo te o.»
«Ma siamo bloccati qui?» chiese Nina. L’Orologio Maggiore smise
di suonare, e nel silenzio che seguì Jesper chiuse gli occhi per il
sollievo. «Era ora.»
«Cos’è successo alla prigione?» domandò Wylan, la cui voce era
tornata a scricchiolare per la paura. «Che cosa ha innescato
l’allarme?»
«Mi sono imba uta in due guardie» disse Nina.
Jesper sollevò lo sguardo da quello che stava facendo. «E non le
hai stese?»
«Sì. Ma una delle due ha fa o partire qualche colpo. Un’altra è
arrivata di corsa. E in quel momento le campane hanno cominciato a
suonare.»
«Dannazione. Quindi è stato quello a far partire l’allarme?»
«Forse» disse Nina. «Tu dov’eri, Kaz? Io non sarei stata ancora
sulle scale se non avessi dovuto perder tempo a cercarti. Perché non
c’eri sul pianero olo?»
Kaz stava guardando giù a raverso il vetro della cupola. «Ho
deciso di perlustrare anche le celle al quinto piano.»
Tu i lo fissarono. Jesper sentì che il proprio bru o cara ere era
sul punto di esplodere.
«Che diavolo stai facendo?» disse. «Ti levi di mezzo prima che io
e Ma hias torniamo, poi decidi di allargare le ricerche e lasci che
Nina pensi che tu sia nei guai?»
«C’era una cosa di cui dovevo occuparmi.»
«Non te la cavi così.»
«Ho avuto un presentimento» disse Kaz. «E l’ho seguito.»
L’espressione che fece Nina fu di autentica incredulità. «Un
presentimento?»
«Mi sono sbagliato» brontolò Kaz. «Abbiamo finito?»
«No» disse Inej con calma. «Ci devi una spiegazione.»
Dopo un istante, Kaz continuò: «Sono andato a cercare Pekka
Rollins». Jesper non riuscì a decifrare l’occhiata che si scambiarono
Kaz e Inej; celava un passaggio di informazioni da cui lui era escluso.
«Per l’amore dei Santi, perché?» domandò Nina.
«Volevo sapere chi degli Scarti gli avesse fa o la soffiata.»
Jesper aspe ò. «E?»
«Non l’ho scoperto.»
«E il sangue sulla tua casacca?» chiese Ma hias.
«Uno scontro con una guardia.»
Jesper non ci crede e.
Kaz si passò una mano sugli occhi. «Ho fa o casino. Ho preso una
decisione sbagliata e mi merito di essere biasimato per questo. Ma
non cambia la nostra situazione.»
«Qual è la nostra situazione?» chiese Nina a Ma hias. «Cosa
faranno i Fjerdiani adesso?»
j
«L’allarme che hanno dato è il Protocollo Giallo, disordini nel
se ore.»
Jesper si preme e le tempie. «Non mi ricordo che cosa vuol dire.»
«Immagino che stiano pensando che ci sia un tentativo di
evasione in corso. Il se ore è già isolato dal resto della Corte di
Ghiaccio, per cui autorizzeranno un’ispezione, probabilmente per
scoprire chi è sparito dalle celle.»
«Troveranno quelli che abbiamo messo fuori gioco nel braccio
femminile e nel braccio maschile» disse Wylan. «Dobbiamo
andarcene da qui. Lasciamo perdere Bo Yul-Bayur.»
Ma hias agitò una mano nell’aria con fare sprezzante. «È troppo
tardi. Se le guardie ritengono che ci sia un’evasione in a o, i posti di
blocco saranno sulla massima allerta. Non perme eranno a nessuno
di uscire.»
«Possiamo comunque provarci» disse Jesper. «Fasciamo i piedi di
Inej.»
Lei li contrasse, poi si alzò e collaudò le piante nude sulla ghiaia.
«Li sento bene. I calli sono spariti, comunque.»
«Per le lamentele, ho un indirizzo da darti» disse Nina facendole
l’occhiolino.
«Bene, lo Spe ro è in grado di deambulare» disse Jesper,
passandosi una manica sulla faccia bagnata. La pioggia si era
dissolta in nebbiolina. «Troviamo uno spazio accogliente dove
colpire i festaioli sulla testa e uscire da questo posto tu i in
ghingheri a passo di valzer.»
«Passando davanti al cancello dell’ambasciata e a due posti di
blocco?» disse Ma hias, sce ico.
«Nessuno, per quel che ne sanno loro, è fuggito dal se ore della
prigione. Hanno visto Nina e Kaz, e quindi sanno che dei detenuti
sono fuori dalle loro celle, ma le guardie dei posti di blocco
cercheranno delinquenti con la divisa carceraria, non diplomatici
profumati in abito da sera. Dobbiamo agire prima che si accorgano
che sei persone sono a piede libero nel cerchio esterno.»
«Scordatelo» disse Nina. «Sono venuta qui per trovare Bo Yul-
Bayur, e non me ne vado senza di lui.»
«A che pro?» disse Wylan. «Anche se ce la facessimo a
raggiungere l’Isola Bianca e a trovare Yul-Bayur, non avremmo
modo di uscire. Jesper ha ragione: dobbiamo andarcene adesso,
mentre abbiamo ancora una possibilità.»
Nina incrociò le braccia. «Dovessi raggiungere l’Isola Bianca da
sola, lo farò.»
«Potrebbe non essere un’opzione» disse Ma hias. «Guarda.»
Si raccolsero a orno alla cupola di vetro. Nella rotonda di so o
c’era un ammasso di gente che beveva, rideva, si salutava, dando vita
a una specie di festa turbolenta prima delle celebrazioni ufficiali
sull’Isola Bianca.
Mentre osservavano la scena, un gruppo di guardie si fece strada
a fatica dentro la stanza, cercando di ordinare la folla e me erla in
fila.
«Stanno aggiungendo un posto di blocco» disse Ma hias.
«Verificheranno le generalità di tu i un’altra volta prima di
perme ere alla gente di accedere al ponte di vetro.»
«A causa del Protocollo Giallo?» chiese Jesper.
«Probabile. Una precauzione.»
Era come vedere l’ultima goccia di fortuna prosciugarsi dentro un
bicchiere.
«Questo taglia la testa al toro» disse Jesper. «Salviamo il salvabile
e andiamocene adesso.»
«C’è un modo» disse Inej con calma. Tu i si girarono a guardarla.
La luce gialla della cupola aveva creato una pozza nei suoi occhi
scuri. «Possiamo superare il posto di blocco e arrivare all’Isola
Bianca.» Indicò un punto, di so o, dove due gruppe i di persone
erano entrati nella rotonda dal cortile della portineria e stavano
scrollandosi via la pioggerellina dai vestiti. Le ragazze della Casa
dell’Iris Blu erano facilmente identificabili dal colore dei loro abiti e
dai fiori che sfoggiavano al collo e tra i capelli. E nessuno poteva
confondere gli uomini dell’Incudine: enormi tatuaggi messi in
mostra con orgoglio e braccia nude nonostante il freddo. «Le
delegazioni dello Stave dell’Ovest hanno iniziato ad arrivare.
Possiamo mescolarci con loro.»
«Inej» disse Kaz.
j
«Entreremo io e Nina» continuò lei. La schiena era diri a, la voce
ferma. Assomigliava a una condannata a morte che fronteggiava il
plotone d’esecuzione e mandava al diavolo la benda sugli occhi.
«Entreremo con il Serraglio.»
28
INEJ
O o rintocchi e mezzo
Kaz la stava guardando a entamente, gli occhi color caffè amaro che
scintillavano alla luce della cupola.
«Hai presente quei costumi» disse lei, «mantelli pesanti, cappucci.
È tu o quello che i Fjerdiani vedranno. Un cerbia o Zemeni. Una
giumenta Kaelish.» Deglutì e costrinse le parole successive a uscirle
di bocca. «Una lince Suli.» Non persone, non ragazze, solo adorabili
ogge i da collezione. “Ho sempre voluto rotolarmi con una ragazza
Zemeni” sussurravano i clienti. “Una ragazza Kaelish con i capelli
rossi. Una ragazza Suli con la pelle color caramello bruciato.”
«È un rischio» disse Kaz.
«Quale colpo non lo è?»
«Kaz, tu e Ma hias come farete a passare?» domandò Nina.
«Potremmo aver bisogno di te per le serrature, e se le cose si me ono
male sull’isola, non voglio finire bloccata. Dubito che possiate farvi
passare per dei membri del Serraglio.»
«Non dovrebbe essere un problema» disse Kaz. «Anche se Helvar
ce l’ha tenuto nascosto.»
«È così?» chiese Inej.
«Non è...» Ma hias si passò una mano tra i capelli rasati. «Come
fai a sapere queste cose, demjin?» ringhiò verso Kaz.
«Logico. Tu a la Corte di Ghiaccio è un capolavoro di misure di
sicurezza e sistemi a doppia protezione. Quel ponte di vetro fa
impressione, ma in caso d’emergenza ci dev’essere un altro modo
per mandare rinforzi all’Isola Bianca e portare fuori la famiglia
reale.»
«Sì» disse Ma hias esasperato. «C’è una seconda strada per
arrivare all’Isola Bianca. Ma è un casino.» Lanciò un’occhiata a Nina.
«E di certo non può essere affrontata dentro un abito da sera.»
«Aspe ate un a imo» li interruppe Jesper. «Che cosa importa se
arrivate tu i sull’Isola Bianca? Me iamo che Nina si faccia spifferare
da qualche Fjerdiano dov’è rinchiuso Yul-Bayur, e lo portate qui.
Saremo intrappolati. Per quell’ora, le guardie carcerarie avranno
finito di perlustrare in giro e avranno capito che sei detenuti in
qualche modo sono usciti dal se ore. Avremo perso ogni chance di
varcare i cancelli dell’ambasciata e i posti di blocco.» Kaz sbirciò oltre
la cupola, verso il cortile aperto dell’ambasciata e, ancora più in là,
verso la portineria delle mura ad anello.
«Wylan, quanto sarebbe difficile me ere fuori uso uno di quei
cancelli?»
«Per farlo aprire?»
«No, per tenerlo chiuso.»
«Intendi dire per romperlo?» Wylan alzò le spalle. «Non dovrebbe
essere troppo difficile. Non sono riuscito a vedere il congegno che lo
regola quando siamo entrati, ma dallo schema direi che è piu osto
comune.»
«Carrucole, ruote dentate, qualche vite davvero grossa?»
«Be’, sì, e un argano di notevoli dimensioni. I cavi gli si avvolgono
a orno come una grande bobina, e le guardie lo girano con una
specie di maniglia o di timone.»
«So come funziona un timone. Puoi staccarne uno?»
«Penso di sì, ma è il sistema d’allarme a cui i cavi sono a accati che è
complicato. Dubito di riuscirci senza innescare il Protocollo Nero.»
«Bene» disse Kaz. «Allora è quello che faremo.»
Jesper alzò una mano. «Scusate, il Protocollo Nero non è quello
che vogliamo evitare a tu i i costi?»
«Mi sembra di ricordare che il Protocollo Nero equivalga morte
certa» disse Nina.
«Non se lo usiamo contro di loro. Questa no e, quasi tu a la
sicurezza della Corte è concentrata sull’Isola Bianca e, proprio qui,
nell’ambasciata. Quando suonerà il Protocollo Nero, il ponte di vetro
verrà chiuso e tu e quelle guardie saranno intrappolate sull’isola
insieme agli ospiti.»
«E la strada alternativa di Ma hias per uscire dall’isola?» chiese
Nina.
«Non possono spostare un grosso spiegamento di forze da quella
parte» riconobbe Ma hias. «Perlomeno, non in fre a.»
Kaz fissò l’Isola Bianca, la testa piegata, lo sguardo leggermente
velato.
«È la faccia che fa quando trama qualcosa» mormorò Inej.
Jesper annuì. «Proprio quella.»
Le sarebbe mancato quello sguardo.
«Tre cancelli nelle mura ad anello» disse Kaz. «Il cancello della
prigione è so o stre a sorveglianza a causa del Protocollo Giallo. Il
cancello dell’ambasciata è un collo di bo iglia stipato di ospiti: i
Fjerdiani non faranno passare le truppe da lì. Jesper, a te e a Wylan
rimane solo il cancello nel se ore dei drüskelle di cui occuparvi. Fate
sca are il Protocollo Nero, poi distruggetelo. Sfasciatelo a tal punto
che le guardie chiamate a raccolta non riescano a uscire per
seguirci.»
«Sono il primo a voler rinchiudere i Fjerdiani nella loro stessa
fortezza» disse Jesper. «Davvero. Ma come facciamo a uscirne noi?
Una volta innescato il Protocollo Nero, voi sarete bloccati su
quell’isola e noi saremo bloccati nel cerchio esterno. Senza armi e
senza esplosivi.»
Il sorriso di Kaz era tagliente come un rasoio. «Meno male che
siamo dei ladri come si deve. Vorrà dire che faremo un po’ di
shopping: e andrà tu o sul conto di Fjerda. Inej» disse, «cominciamo
con qualcosa di brillante.»
Accanto alla grande cupola di vetro, Kaz espose quello che aveva in
mente nei de agli. Se il piano precedente era stato coraggioso,
almeno faceva perno sulla discrezione. Il piano a uale era audace,
forse persino folle. Non avrebbero semplicemente annunciato la loro
presenza ai Fjerdiani, l’avrebbero strombazzata. La banda si sarebbe
separata un’altra volta, e un’altra volta avrebbero cronometrato i
movimenti basandosi sui rintocchi dell’Orologio Maggiore, ma a
g gg
questo giro ci sarebbe stato ancora meno spazio per fare errori. Inej
ispezionò il proprio cuore, aspe andosi di trovarci cautela, paura.
Ma sentì solo che era pronta. Questo non era un colpo che stava
me endo a segno per ripagare il proprio debito a Per Haskell. Non
era un incarico da portare a termine per Kaz o per gli Scarti. Era per
se stessa che lo faceva: per il denaro, e per il sogno che il denaro
avrebbe realizzato.
Mentre Kaz andava avanti a spiegare e Jesper usava le cesoie della
lavanderia per tagliare la corda in parti uguali, Wylan dava una
mano a preparare lei e Nina. Per farsi passare da ragazze del
Serraglio, avrebbero dovuto avere dei tatuaggi. Incominciarono da
Nina. Utilizzando uno dei grimaldelli di Kaz e la pirite di rame che
Jesper aveva estra o dal te o, Wylan disegnò sul braccio di Nina la
migliore imitazione che gli riuscì della piuma del Serraglio,
seguendo la descrizione di Inej e facendo delle correzioni laddove
necessario. Poi Nina fece penetrare l’inchiostro nella propria pelle. A
una Corporalki non serviva un ago da tatuaggi. Nina fece del suo
meglio per spianare le cicatrici sull’avambraccio di Inej. Il lavoro non
era perfe o, ma non c’era tempo e fare la Plasmaforme non era la
vocazione di Nina. Wylan tracciò lo schizzo di una seconda piuma di
pavone sulla pelle di Inej.
Nina si fermò: «Sei sicura?».
Inej fece un respiro profondo. «Sono colori di guerra» disse, sia a
Nina sia a se stessa. «È il marchio che devo avere.»
«È solo temporaneo» le promise Nina. «Te lo toglierò non appena
saremo al porto.»
Il porto. Inej pensò alla Ferolind e alle sue bandiere spensierate, e
cercò di tenere quell’immagine in testa mentre guardava la propria
pelle assorbire la piuma di pavone.
Quei tatuaggi non avrebbero superato nessun esame scrupoloso,
ma la speranza era che non ce ne sarebbe stato bisogno.
E finalmente si alzarono. Inej aveva previsto che il Serraglio sarebbe
arrivato tardi – Tante Heleen adorava le entrate a effe o – ma
dovevano comunque essere pronti ad agire quando fosse giunto il
momento.
E tu avia esitarono. La consapevolezza che avrebbero potuto non
rivedersi più, che alcuni di loro – forse tu i – avrebbero potuto non
farcela a sopravvivere a quella no e, rendeva l’aria pesante. Un
giocatore d’azzardo, un detenuto, un figlio ribelle, una Grisha
smarrita, una ragazza Suli che era diventata un’assassina, un ragazzo
del Barile che era diventato qualcosa di peggio. Inej guardò i suoi
bizzarri compagni di ventura, a piedi nudi, tremanti nelle divise
carcerarie sporche di fuliggine, i lineamenti illuminati dalla luce
dorata della cupola e ammorbiditi dalla nebbiolina sospesa nell’aria.
Che cosa li teneva insieme? L’avidità? La disperazione? O era
semplicemente perché sapevano che se uno di loro o tu i quanti
fossero scomparsi quella no e, nessuno sarebbe venuto a cercarli? La
madre e il padre di Inej forse versavano ancora delle lacrime per la
figlia che avevano perso, ma se lei fosse morta tra qualche ora,
nessuno avrebbe pianto per la ragazza che era adesso. Non aveva
una famiglia, non aveva genitori e non aveva fratelli e sorelle, solo
persone con cui comba ere fianco a fianco. Ma forse anche quello era
qualcosa di cui essere grati.
Fu Jesper a parlare per primo. «Nessun rimpianto» disse
sorridendo.
«Nessun funerale» risposero tu i gli altri in coro. Persino
Ma hias mormorò le parole a bassa voce.
«Se qualcuno di voi la scampa, faccia in modo che la mia cassa da
morto resti aperta» disse Jesper mentre si caricava in spalla due
rotoli di fune e faceva segno a Wylan di seguirlo sul te o. «Il mondo
si merita questa faccia fino all’ultimo momento.»
Inej si stupì appena nel vedere l’intensità dello sguardo che si
scambiarono Nina e Ma hias. Era cambiato qualcosa tra loro dopo la
ba aglia con gli Shu, ma Inej non avrebbe saputo dire cosa.
Ma hias si schiarì la voce e fece a Nina un piccolo inchino
imbarazzato. «Posso scambiare due parole con lei in privato?»
Nina ricambiò l’inchino con un’aria decisamente più raffinata, e si
lasciò condurre via da lui. Inej era contenta; anche lei voleva avere
un momento da sola con Kaz.
«Ho qualcosa per te» disse, ed estrasse i guanti di pelle di Kaz
dalla manica della casacca della prigione.
p g
Lui li fissò. «Come...»
«Li ho recuperati dalla pila dei vestiti scartati. Prima di
arrampicarmi.»
«Sei piani al buio.»
Lei annuì.
Non si aspe ava ringraziamenti. Non per la scalata, non per i
guanti, non per qualsiasi altra cosa.
Lui se l’infilò lentamente, e osservò le proprie mani pallide e
vulnerabili scomparirvi dentro. Erano mani da prestigiatore: lunghe
dita aggraziate fa e per aprire serrature, nascondere monete, far
sparire cose.
«Quando torneremo a Ke erdam prenderò la mia parte e lascerò
gli Scarti.»
Lui spostò lo sguardo altrove. «Fai bene. Sei sprecata per il
Barile.»
Era tempo di muoversi. «Buona fortuna, Kaz.»
Kaz l’afferrò per un polso. «Inej.» Il pollice rivestito dal guanto
l’accarezzò dove le pulsava il sangue e seguì la punta della piuma
tatuata. «Se non ne usciamo vivi, voglio che tu sappia...»
Lei rimase in a esa. Sentì che la speranza, dentro di lei, faceva
frusciare le ali, pronta a spiccare il volo se Kaz avesse pronunciato le
parole giuste. Per cui la costrinse a stare immobile. Quelle parole non
sarebbero mai arrivate. Il cuore è una freccia.
Allungò una mano e gli toccò una guancia. Era convinta che si
sarebbe tirato indietro, che le avrebbe persino colpito la mano. In
quasi due anni di ba aglie fianco a fianco, di complo i orditi fino a
tarda no e, di colpi impossibili, di commissioni clandestine e pranzi
a base di patate fri e e hutspot ingollati di corsa mentre si
precipitavano da un posto all’altro, questa era la prima volta che lei
lo toccava veramente, senza la barriera dei guanti, della giacca o
delle maniche della camicia. Gli incorniciò la guancia con la mano.
La pelle di lui era fredda e umida per via della pioggia. Kaz restò
fermo, ma lei vide un tremito a raversarlo, come se stesse
conducendo una guerra con se stesso.
«Se non ne usciamo vivi, io morirò senza paura, Kaz. Tu puoi dire
lo stesso?»
Gli occhi di lui erano quasi neri, le pupille dilatate. Inej si rese
conto che stava impiegando fino all’ultima briciola della sua
spaventosa forza di volontà per restare fermo so o il tocco delle dita
di lei. E malgrado tu o non si tirò indietro. Lei seppe che questo era
il massimo che lui poteva offrirle. Non era abbastanza.
Lei tirò via la mano. Lui respirò a fondo.
Kaz le aveva de o di non volere le sue preghiere e quindi lei non
le avrebbe de e, ma gli augurò comunque di salvarsi. Aveva uno
scopo tu o suo ora, il cuore aveva una direzione, e sebbene le facesse
male sapere che quel cammino l’avrebbe portata via da lui, l’avrebbe
acce ato.
Inej raggiunse Nina sul bordo della cupola per aspe are insieme
l’arrivo del Serraglio. La cupola era larga e poco profonda, tu a fa a
di vetro e intrecci d’argento. Inej vide che c’era un mosaico sul
pavimento dell’ampia rotonda di so o. Appariva per brevi istanti tra
un individuo e l’altro: due lupi che si inseguivano, destinati a
rincorrersi in cerchio fino a che ci fosse stata la Corte di Ghiaccio.
Gli ospiti che entravano dal grande portale ad arco venivano
condo i dentro alcune stanze fuori dalla rotonda, divisi in gruppe i
e perquisiti per verificare che non avessero armi con sé. Inej vide
delle guardie uscire con delle spille, degli aculei di porcospino,
addiri ura delle fasce che lei immaginò contenessero del metallo o
dei fili.
«Non sei obbligata, lo sai» disse Nina. «Non sei obbligata a
rime erti addosso quelle vesti di seta.»
«Ho fa o di peggio.»
«Lo so. Hai scalato sei piani di inferno per noi.»
«Non è quello che intendevo.»
Nina fece una pausa. «So anche questo.» Esitò, poi disse: «La
ricompensa è così importante per te?». Inej fu sorpresa di sentire del
senso di colpa nella voce di Nina.
L’Orologio Maggiore iniziò a suonare i nove rintocchi. Inej puntò
lo sguardo in basso sui lupi che si inseguivano sul pavimento della
rotonda. «Non so bene perché ho cominciato» ammise. «Ma so
perché devo finire. So perché il destino mi ha portata qui, perché mi
ha messa sul cammino di questa ricompensa.»
Si manteneva vaga perché non si sentiva ancora pronta a parlare
del sogno che le si era acceso nel cuore: una banda tu a sua, una
nave so o il suo comando, una crociata. Sentiva di doverlo tenere
segreto, come un nuovo seme che avrebbe potuto diventare qualcosa
di straordinario se non fosse stato costre o a sbocciare troppo
presto. Non sapeva nemmeno come manovrare una barca a vela.
Eppure una parte di lei voleva raccontare tu o a Nina. Se Nina non
avesse deciso di tornare a Ravka, una Spaccacuore sarebbe stato un
acquisto eccellente per la sua banda.
«Eccole» disse Nina.
Le ragazze del Serraglio entrarono dalle porte della rotonda, gli
abiti da sera che scintillavano alla luce delle candele, i cappucci dei
mantelli che nascondevano i visi. Ogni cappuccio rappresentava un
animale: un cerbia o Zemeni dalle orecchie morbide e le graziose
macchie bianche, una giumenta Kaelish dal codino ramato, un
serpente Shu dalle squame rosse decorate di perline, una volpe
Ravkiana, un leopardo delle Colonie del Sud, un corvo imperiale, un
ermellino, e naturalmente la lince Suli. La ragazza bionda e alta che
interpretava il ruolo del lupo Fjerdiano in pelliccia d’argento era la
grande assente.
Delle soldatesse in uniforme andarono loro incontro.
«Non la vedo» disse Nina.
«Aspe a. Il Pavone entrerà per ultimo.»
E infa i eccola lì: Heleen Van Houden, luccicante nel suo abito di
raso color verde acqua e con un’elaborata gorgiera di penne di
pavone a incorniciarle la testa color oro.
«Sobria» disse Nina.
«La sobrietà non vende nel Barile.»
Inej fece un fischio acuto e cingue ante. Quello di Jesper arrivò da
qualche parte in lontananza. “Ci siamo” pensò. Aveva dato lo
spintone, e ora il macigno stava rotolando giù dalla montagna. Chi
poteva sapere quali danni avrebbe fa o e cosa sarebbe stato
ricostruito sopra le macerie?
Nina guardò a raverso il vetro e strabuzzò gli occhi. «Come fa a
non crollare so o il peso di tu i quei diamanti? Non possono essere
veri.»
«Oh, sono veri eccome» disse Inej. Quei gioielli erano stati
comprati con il sudore e il sangue e il dolore di ragazze come lei.
Le guardie separarono le ragazze del Serraglio in tre gruppi,
mentre Heleen veniva scortata via da sola. Non si poteva pretendere
che il Pavone si levasse i vestiti e sollevasse le gonne di fronte a loro.
«Eccole» disse Inej, indicando il gruppo che comprendeva la lince
Suli e la giumenta Kaelish. Si stavano dirigendo verso le porte sulla
sinistra della rotonda.
Mentre Nina fissava il gruppo, Inej si spostò sopra il te o,
seguendo la loro traie oria. «Quale porta?» chiese.
«La terza a destra» disse Nina. Inej si spostò verso il condo o
d’aria più vicino e sollevò la griglia. Sarebbe stato bello stre o per
Nina, ma se la sarebbero cavata. Scivolò dentro il condo o di
ventilazione, accovacciandosi e procedendo nel tunnel. Sentì dietro
di sé un grugnito e a seguire un sonoro sbam nel momento in cui
Nina urtò il fondo del cunicolo come un sacco di biancheria. Inej
trasalì. Bisognava sperare che i rumori della folla di so o avessero
coperto i loro. O che alla Corte di Ghiaccio ci fossero dei ra i
davvero grossi.
Strisciarono avanti, sbirciando nelle ventole mentre procedevano.
Alla fine si ritrovarono a guardare dentro una specie di sale a
sequestrata dai militari per perquisire gli ospiti.
Le Creature Esotiche si erano tolte i mantelli e li avevano
appoggiati su un lungo tavolo ovale. Una soldatessa bionda le stava
ispezionando: tastava le cuciture e gli orli dei costumi e infilava
persino le dita nei capelli, mentre l’altra soldatessa stava a guardare
con una mano sul fucile. Sembrava che l’arma la me esse a disagio.
Inej sapeva che i Fjerdiani non perme evano alle donne di prestare
servizio militare nei reparti di comba imento. Forse le soldatesse
erano state prece ate da qualche altro reparto.
Inej e Nina a esero che le guardie avessero finito di perquisire le
ragazze, i mantelli e le borse e con le perline.
«Ven tidder» disse una delle due mentre uscivano dalla stanza per
consentire alle ragazze di rime ersi a posto.
«Cinque minuti» tradusse Nina in un bisbiglio.
«Vai» disse Inej.
«Mi serve che ti sposti.»
«Perché?»
«Perché ho bisogno della visuale libera, e al momento tu o quello
che vedo è il tuo sedere.»
Inej lo fece, e un istante dopo udì qua ro tonfi delicati mentre le
ragazze del Serraglio crollavano sul tappeto blu scuro.
Velocemente, tolse la griglia con uno stra one e cadde sulla
superficie lucida del tavolo. Nina ruzzolò giù dietro di lei, a errando
come un sacco.
«Scusa» disse con un gemito mentre si rime eva dri a.
Inej per poco non scoppiò a ridere. «Sei così leggiadra in ba aglia,
tranne quando ti cali dall’alto.»
«Quel giorno ho saltato la scuola.»
Svestirono le ragazze Suli e Kaelish lasciandole in biancheria
intima, quindi legarono i polsi e le caviglie di tu e le ragazze con i
cordoni delle tende e le imbavagliarono strappandosi via dei pezzi
di divisa.
«Il tempo scorre» disse Inej.
«Scusami» sussurrò Nina alla ragazza Kaelish.
In condizioni normali avrebbe usato dei pigmenti per cambiarsi il
colore dei capelli, ma non c’era proprio tempo. Quindi strizzò il
rosso acceso della ragazza facendolo colare dire amente dalle
ciocche di lei, lasciando la povera Kaelish con dei capelli bianchi che
in alcuni punti sembravano vagamente arrugginiti, e dando ai propri
un colore che non era esa amente il rosso Kaelish. Gli occhi di Nina
erano verdi e non azzurri, ma quel tipo di modifica non poteva
essere fa a di corsa, per cui avrebbero dovuto accontentarsi. Prese
della cipria bianca dalla borse a della ragazza e fece del proprio
meglio per schiarirsi la pelle.
Mentre Nina si dava da fare, Inej trascinò le altre ragazze dentro
un armadio di legno color argento addossato sulla parete più
lontana, sistemando le gambe in modo che rimanesse dello spazio
per la Kaelish.
Sentì una fi a di senso di colpa quando si accertò che il bavaglio
della Suli fosse a posto.
Tante Heleen doveva averla comprata per rimpiazzarla; aveva la
stessa pelle bronzea, la stessa massa di capelli neri. Aveva però una
corporatura diversa, morbida e con le curve anziché magra e
spigolosa. Forse era arrivata da Tante Heleen di sua spontanea
volontà. Forse aveva scelto lei quella vita. Inej sperava fosse vero.
«Che i Santi ti proteggano» sussurrò alla ragazza priva di sensi.
Bussarono alla porta e una voce parlò in Fjerdiano.
«Serve la stanza per le ragazze del turno dopo» bisbigliò Nina.
Inej e Nina spinsero la Kaelish nell’armadio e in qualche modo
riuscirono ad accostare i ba enti e a chiuderli a chiave, poi si
infilarono nei loro costumi. Inej fu felice di non avere il tempo di
soffermarsi sulla sgradita familiarità della seta sulla pelle e
sull’orribile tintinnio dei campanelli alle caviglie. Si bu arono
addosso i mantelli e si diedero una veloce occhiata allo specchio.
Nessuno dei due costumi andava bene. Le vesti di seta viola di
Inej erano troppo larghe, e per quanto riguarda Nina...
«Cosa diavolo dovrebbe essere?» disse, guardandosi in basso.
L’abito a illato le copriva a malapena la consistente scollatura e le
stava appiccicato sulle natiche. Era stato realizzato per dare
l’impressione di essere fa o di squame verdi e blu, che diventavano
un ventaglio di chiffon luccicante.
«Una sirena?» suggerì Inej. «O un’onda?»
«Pensavo di essere un cavallo.»
«Be’, di certo non ti avrebbero messo addosso un vestito di
zoccoli.»
Nina passò le mani sul proprio ridicolo costume. «Sto per
diventare molto popolare.»
«Mi domando cosa direbbe Ma hias del tuo travestimento.»
«Non lo approverebbe.»
«Non approva niente che ti riguardi. Ma quando ridi, si solleva di
sca o come un tulipano nell’acqua fresca.»
Nina sbuffò. «Il tulipano Ma hias.»
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«Il grosso, minaccioso tulipano giallo.»
«Sei pronta?» chiese Nina mentre si calavano i cappucci fino a
coprirsi del tu o la faccia.
«Sì.» Inej diceva sul serio. «Bisognerà distrarle. Altrimenti si
accorgeranno che sono entrate in qua ro e ne stanno uscendo solo
due.»
«Lascia fare a me. E stai a enta all’orlo del tuo vestito.»
Non appena aprirono la porta per uscire in corridoio, le soldatesse
fecero loro cenno di muoversi, impazienti. So o il mantello, Nina
fece schioccare le dita con forza. Una delle due fece un verso simile a
un belato quando il sangue cominciò a uscirle a fio i dal naso e le
zampillò, in modo comicamente assurdo, sul davanti dell’uniforme.
L’altra indietreggiò, ma l’istante successivo si tastò lo stomaco. Nina
stava ruotando lentamente il polso, procurando alla donna delle
ondate di nausea.
«L’orlo» ripeté Nina con calma.
Inej ebbe appena il tempo di tirare su il mantello prima che la
guardia si piegasse in due e riversasse la cena sulle piastrelle del
pavimento. Gli ospiti nel corridoio strillarono e si spintonarono a
vicenda per allontanarsi da lì. Nina e Inej volteggiarono a orno,
eme endo appropriati squi ii di disgusto.
«Probabilmente il sangue dal naso sarebbe stato sufficiente»
bisbigliò Inej.
«In certi casi meglio non risparmiarsi.»
«Se non ti conoscessi bene, penserei che ti piace far soffrire i
Fjerdiani.»
Tennero la testa bassa e si intrufolarono nel mare di gente che
affollava la rotonda, ignorando il cerbia o Zemeni che tentava di
indirizzarle dall’altra parte della stanza. Era fondamentale che non si
avvicinassero troppo alle vere ragazze del Serraglio. Inej sperava che
i loro mantelli non fossero facili da rintracciare nella folla.
«Questa qui» disse Inej, spingendo Nina dentro una fila lontana
dalle ragazze del Serraglio. Sembrava muoversi un po’ più veloce.
Ma quando arrivarono ai controlli, Inej si chiese se non avesse scelto
la fila sbagliata. Questa guardia sembrava persino più severa e con
meno senso dell’umorismo delle altre. Tese la mano per avere i
documenti di Nina e li scrutò con freddi occhi azzurri.
«Qua c’è scri o che lei ha le lentiggini» disse in Kerch.
«Le ho» disse Nina affabilmente. «Solo che adesso non si vedono.
Vuole vederle?»
«No» rispose il Fjerdiano, gelido. «Lei è più alta di quel che risulta
qui.»
«Gli stivali» disse Nina. «Mi piace poter guardare un uomo negli
occhi. Lei ha degli occhi bellissimi.»
Lui osservò le carte, poi la scrutò. «A un primo sguardo direi che
lei pesi più di quello che dice questa carta.»
Nina scrollò astutamente le spalle, facendo scendere le squame
della scollatura. «Quando sono in vena mi piace mangiare» disse, e
protese le labbra senza vergogna. «E io sono sempre in vena.»
Inej si sforzò di mantenere un’espressione seria in viso. Se Nina si
fosse messa anche a sba ere le ciglia, non ce l’avrebbe fa a e sarebbe
scoppiata a ridere.
Ma il Fjerdiano sembrava essersela bevuta. Forse Nina faceva
quello stupefacente effe o su tu i i bacche oni del Nord.
«Può andare» disse la guardia in tono burbero. Poi aggiunse:
«Potrei... potrei essere alla festa più tardi».
Nina fece scorrere un dito sul braccio di lui. «Le concederò un
ballo.»
L’uomo sorrise come uno sciocco, poi si schiarì la gola e tornò alla
sua espressione severa. “Santi numi” pensò Inej, “dev’essere
estenuante essere sempre così impassibili.”
Il Fjerdiano guardò i documenti di Inej in modo superficiale,
ancora immerso nel pensiero di scartare uno dopo l’altro gli strati di
chiffon verde e blu di Nina.
Le fece segno di procedere, ma appena fece un passo avanti Inej
inciampò.
«Aspe i» disse la guardia.
Lei si fermò. Nina si guardò alle spalle.
«Cos’hanno le sue scarpe?»
«Mi stanno un pochino grandi» rispose Inej. «Si sono allargate più
di quel che mi aspe assi.»
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«Mi faccia vedere le braccia» disse la guardia.
«Perché?»
«Lo faccia e basta» replicò la guardia con durezza.
Inej liberò le braccia dal mantello e le tese verso di lui, mostrando
lo sgraziato tatuaggio a forma di piuma di pavone.
Una guardia con i gradi da capitano si sporse a vedere. «Che cosa
c’è?»
«È una Suli, non c’è dubbio, e ha il tatuaggio del Serraglio, ma mi
sembra un po’ strano.»
Inej scrollò le spalle. «Mi sono procurata una bru a ustione da
bambina.»
Il capitano indicò un gruppo di festanti dall’aria infastidita
radunato accanto all’entrata e circondato dalle guardie. «Tu i i
sospe ati vanno là. Me ila con loro, la riportiamo al posto di blocco
e riverifichiamo i documenti.»
«Mi perderò la festa» disse Inej.
La guardia la ignorò, la prese per un braccio e la spinse indietro
verso l’ingresso mentre le altre persone in coda guardavano e
bisbigliavano. Il cuore prese a martellarle in pe o.
Nina era terrorizzata, pallida in viso persino so o la cipria, ma
non c’era niente che Inej potesse dire per rassicurarla. Le fece un
velocissimo cenno con il capo. “Vai” pensò in silenzio. “Tocca a te
ora.”
29
MATTHIAS
Nove rintocchi
«E se dicessi di no, Brekker?» Era solo una sterile polemica, Ma hias
lo sapeva benissimo. Il tempo per protestare era finito da un pezzo.
Stavano già correndo lungo il te o dolcemente ricurvo
dell’ambasciata verso il se ore dei drüskelle, Wylan ansimando per
lo sforzo, Jesper procedendo disinvolto a grandi falcate e Brekker
tenendo il passo malgrado fosse senza bastone. Ma a Ma hias non
piaceva il modo in cui questo ladruncolo sapeva leggergli nel
pensiero. «E se non ti consegnassi l’ultimo pezzo che resta di me e
del mio onore?»
«Lo farai, Helvar. Proprio in questo momento Nina sta arrivando
all’Isola Bianca. Hai veramente intenzione di abbandonarla là?»
«Fai troppe supposizioni.»
«A me sembra di fare quelle che servono.»
«Questi sono i tribunali, giusto?» disse Jesper mentre correvano
sul te o, ca urando con lo sguardo le immagini degli eleganti cortili
di so o, ciascuno costruito a orno a una fontana gorgogliante e
punteggiato di fruscianti alberi ricoperti di ghiaccio. «Immagino che
ci siano posti peggiori dove essere condannati a morte.»
«C’è acqua dappertu o» disse Wylan. «Le fontane sono il simbolo
di Djel?»
«La sorgente» replicò Kaz in tono ispirato, «che ripulisce tu i i
peccati.»
«O dove ti affogano e ti fanno confessare» disse Wylan.
Jesper sbuffò. «Wylan, i tuoi ragionamenti hanno preso una piega
molto cupa. Temo che gli Scarti abbiano una ca iva influenza su di
te.»
Usarono una corda doppia e il rampino per passare al te o del
se ore dei drüskelle. Wylan dove e essere imbracato, invece Jesper e
Kaz si spostarono agilmente, una mano dopo l’altra, con inquietante
velocità. Ma hias si mosse con maggiore cautela, e anche se non lo
diede a vedere non gli piacque il modo in cui la corda scricchiolò e si
piegò so o il suo peso.
Gli altri lo tirarono sul te o di pietra dei drüskelle, e quando
Ma hias si alzò in piedi fu colpito da un’ondata di vertigini. Più di
ogni altro posto alla Corte di Ghiaccio, più di ogni altro posto al
mondo, qui è dove si sentiva a casa. Ma era una casa capovolta, e la
sua vita aveva la prospe iva sbagliata. Sbirciando nell’oscurità, vide
gli imponenti lucernari a forma di piramide.
Provò la sconvolgente sensazione che se avesse guardato
a raverso il vetro avrebbe visto se stesso mentre si allenava nella
sala delle esercitazioni, o seduto al tavolone dove si pranzava.
In lontananza udì i lupi abbaiare e uggiolare nelle gabbie accanto
alla portineria, domandandosi dove fossero finiti i loro padroni
quella no e. L’avrebbero riconosciuto se si fosse avvicinato con la
mano tesa? Non era certo di riconoscersi lui stesso. Tra i ghiacci del
Nord, le scelte che aveva fa o gli erano sembrate chiare. Ma ora i
suoi pensieri erano stati mandati in confusione da questi
delinquenti, dal coraggio di Inej e dall’audacia di Jesper, e da Nina,
sempre Nina. Non poteva negare il sollievo che aveva provato
quand’era spuntata dall’inceneritore, scarmigliata e ansimante,
terrorizzata ma viva. Quando lui e Wylan l’avevano tirata fuori dalla
canna fumaria, si era dovuto fare forza per lasciarla andare.
No, non avrebbe guardato a raverso quei lucernari. Non poteva
più perme ersi altre debolezze, non questa no e. Era tempo di
andare avanti.
Raggiunsero il bordo del te o che si affacciava sul fossato di
ghiaccio. Da qui sembrava solido, la superficie lucida come uno
specchio e illuminata dalle torri di guardia sull’Isola Bianca. Ma le
acque del fossato erano in costante movimento, celate soltanto da un
so ilissimo strato di brina.
Kaz allacciò un altro rotolo di fune al bordo del te o e si preparò a
calarsi sulla sponda in corda doppia.
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«Sapete cosa fare» disse rivolto a Jesper e a Wylan. «Undici
rintocchi e non prima.»
«Quando mai sono stato in anticipo?» domandò Jesper.
Kaz sparì oltre la fiancata. Ma hias lo seguì, le mani aggrappate
alla corda, i piedi nudi contro il muro. Quando guardò in su, vide
Wylan e Jesper che lo fissavano. Ma subito dopo, non c’erano più.
Il terreno che circondava il fossato di ghiaccio era poco più di una
crosta so ile e scivolosa di pietra bianca. Kaz si accovacciò,
schiacciandosi contro il muro, a guardare torvo davanti a sé. «Come
lo a raversiamo? Non vedo niente.»
«Perché non sei degno.»
«Non sono nemmeno miope. Non c’è niente laggiù.»
Ma hias prese a camminare seguendo il muro, passando la mano
sulla pietra all’altezza dell’anca. «Su Hringkälla i drüskelle
terminano la loro iniziazione» disse. «Passiamo da candidati a novizi
durante la cerimonia presso il sacro albero di frassino.»
«Dove l’albero vi parla.»
Ma hias resiste e alla tentazione di bu arlo in acqua. «Dove
speriamo di sentire la voce di Djel. Ma quello è il momento finale.
Per prima cosa, dobbiamo a raversare il fossato di ghiaccio senza
che nessuno ci veda. Se siamo giudicati degni, Djel ci mostra il
sentiero.»
In realtà, i drüskelle anziani rivelavano il segreto per a raversarlo
ai candidati che desideravano veder entrare nell’ordine; era un
modo per scartare i deboli o quelli che semplicemente non avevano
ingranato con il gruppo. Se ti eri fa o degli amici, se avevi
dimostrato quanto valevi, allora uno dei fratelli ti avrebbe preso da
parte e ti avrebbe de o che la no e dell’iniziazione avresti dovuto
andare sulla riva del fossato di ghiaccio e far scorrere la mano lungo
il muro del se ore dei drüskelle. Al centro della parete avresti
trovato l’incisione di un lupo che segnalava la presenza di un altro
ponte di vetro: non grande e arcuato come quello che abbracciava il
fossato dall’ala dell’ambasciata, ma pia o, dri o, e largo solo pochi
piedi. Stava proprio so o la superficie brinata, completamente
invisibile se non sapevi dove guardare. Era stato il Comandante
Brum in persona a dire a Ma hias come trovarlo, e anche il
trucche o per a raversarlo senza farsi vedere.
Ma hias dove e passare le dita sul muro due volte prima di
trovare il lupo intagliato. Lasciò che la mano vi indugiasse sopra un
istante, assaporando le tradizioni che lo collegavano all’ordine dei
drüskelle, antiche quanto la stessa Corte di Ghiaccio.
«Qui» disse.
Kaz si avvicinò strisciando i piedi e strizzò gli occhi per guardare
a raverso il fossato.
Poi si sporse, e Ma hias con uno stra one lo tirò indietro.
Indicò le torri di guardia in cima al muro che circondavano l’Isola
Bianca. «Così ti vedranno» disse. «Usa questo.»
Strisciò la mano lungo il muro e il palmo gli divenne bianco. La
no e dell’iniziazione, si era sfregato i vestiti e i capelli con quella
stessa polvere di gesso. Così mimetizzato, invisibile alle guardie
nelle torri, aveva a raversato lo stre o sentiero che conduceva
all’isola e si era riunito ai fratelli.
Ora lui e Kaz avrebbero fa o lo stesso, però Ma hias si accorse
che Kaz, per prima cosa, aveva riposto con cura i propri guanti. Inej
doveva averglieli restituiti.
Ma hias fece un passo avanti sul ponte segreto, poi sentì Kaz
eme ere un sibilo quando immerse i piedi nelle acque ghiacciate del
fossato.
«Hai freddo, Brekker?»
«Se soltanto ci fosse tempo per una bella nuotata. Muoviamoci.»
Malgrado le prese in giro a Kaz, nel tempo che impiegarono per
arrivare a metà strada tra la sponda e l’isola, i piedi di Ma hias
erano diventati insensibili, e lui era estremamente consapevole delle
torri di guardia sopra il fossato.
I drüskelle dovevano essere passati di qui, qualche ora prima.
Non aveva mai sentito di aspiranti drüskelle individuati o fucilati sul
ponte, ma tu o era possibile.
«Tu a questa fatica per diventare un cacciatore di streghe?» disse
Kaz dietro di lui. «Gli Scarti hanno bisogno di un rito di iniziazione
migliore.»
«Questa è solo una parte della cerimonia di Hringkälla.»
p g
«Sì, lo so, poi un albero vi svela la stre a di mano segreta.»
«Mi dispiace per te, Brekker. Non c’è niente di sacro nella tua
vita.»
Ci fu una lunga pausa, alla fine della quale Kaz disse: «Ti sbagli».
Il muro esterno dell’Isola Bianca si stagliava di fronte a loro,
rivestito da un motivo ornamentale di scaglie. Ci volle un momento
per individuare la rampa di scale che nascondeva il cancello. Solo
fino a poco prima, i drüskelle erano stati ammassati nella nicchia del
muro a dare il benvenuto ai nuovi fratelli, ma ora la nicchia era
vuota, la grata di ferro chiusa con la catena. Kaz fece in fre a con la
serratura, e ben presto si ritrovarono in un passaggio angusto che li
avrebbe condo i ai giardini, in fondo ai quali c’era la caserma della
guardia reale.
«Sei sempre stato bravo con le serrature?»
«No.»
«Come hai fa o a imparare?»
«Nel modo in cui si impara qualunque cosa. Smontandole.»
«E i trucchi magici?»
Kaz sbuffò. «Quindi non pensi più che io sia un demone?»
«So per certo che sei un demone, ma i tuoi trucchi sono umani.»
«Alcuni vedono una magia e dicono: “Impossibile!”. Ba ono le
mani, pagano e dopo dieci minuti circa se la sono già scordata. Altri
chiedono come funziona. Vanno a casa, vanno a le o, si girano e si
rigirano domandandosi come si faccia a farla. Gli ci vuole una buona
no e di sonno per scordarsi tu o. E poi ci sono quelli che restano
svegli, che ripensano al trucco continuamente, alla ricerca di quel che
è sfuggito alla percezione, di quella falla nell’illusione che rivela
cos’è stato a ingannare gli occhi; sono quelli che non si danno pace
finché non diventano loro stessi i massimi esperti di quel pezze o di
mistero. Io sono uno di questi.»
«Tu ami gli imbrogli.»
«Io amo gli enigmi. Gli imbrogli sono solo la mia lingua madre.»
«I giardini» disse Ma hias, indicando le siepi. «Possiamo seguirli
fino alla sala da ballo.»
Proprio mentre stavano per sbucare dal passaggio, due guardie
girarono l’angolo: entrambe nell’uniforme da drüskelle nera e
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argento, entrambe armate di fucile.
«Perjenger!» gridò sorpresa una di loro. “Prigionieri.” «Sten!»
Senza pensarci, Ma hias disse: «Desjenet, Djel comenden!». “State
giù, per volere di Djel.” Erano le parole di un comandante in capo
drüskelle, e lui le pronunciò con tu a l’autorità di cui era capace.
I soldati si scambiarono un’occhiata confusa. Quell’a imo di
esitazione fu sufficiente. Ma hias strappò di mano il fucile al primo
dei due e assestò una testata violentissima al drüskelle, che crollò a
terra.
Kaz andò addosso all’altro soldato, facendolo cadere. Il drüskelle
non mollò la presa sul fucile, ma Kaz scivolò dietro di lui e gli
schiacciò la gola con l’avambraccio, comprimendola finché gli occhi
del drüskelle si chiusero e la testa gli cadde in avanti mentre crollava
svenuto.
Kaz si scrollò di dosso il corpo della guardia e si alzò in piedi.
La realtà della situazione colpì Ma hias all’improvviso. Kaz non
aveva raccolto il fucile. Ma hias aveva un’arma in mano, e Kaz era
disarmato. Erano fermi, in piedi, davanti ai corpi di due drüskelle
privi di sensi, uomini che avrebbero dovuto essere i fratelli di
Ma hias. “Posso sparargli” pensò. “Condannare Nina e tu i loro
con un unico gesto.” Di nuovo, Ma hias ebbe la strana sensazione di
guardare la propria vita dal lato sbagliato. Aveva addosso la divisa
da detenuto, un intruso nel posto che una volta chiamava casa. Chi
sono io ora?
Guardò Kaz Brekker, un ragazzo che comba eva per una sola
causa: se stesso. Eppure, era un sopravvissuto, e un soldato anche lui
a suo modo. Aveva rispe ato l’accordo. In qualunque momento,
avrebbe potuto stabilire che Ma hias non gli serviva più: dopo che li
aveva aiutati a disegnare le mappe, dopo che avevano superato le
celle di detenzione, dopo che gli aveva rivelato il segreto del ponte. E
chiunque fosse diventato ora, Ma hias non avrebbe sparato a
qualcuno disarmato. Non era ancora finito così in basso.
Ma hias abbassò l’arma.
Le labbra di Kaz accennarono un vago sorriso. «Non ero sicuro di
cosa avresti fa o se fossimo arrivati a questo punto.»
«Nemmeno io» ammise Ma hias. Kaz sollevò un sopracciglio, e la
verità colpì Ma hias con la forza di un pugno. «Era un test. Tu l’hai
fa o apposta a non raccogliere il fucile.»
«Dovevo essere sicuro che tu fossi veramente con noi. Con tu i
noi.»
«Come facevi a sapere che non avrei sparato?»
«Perché, Ma hias, tu puzzi di corre ezza lontano un miglio.»
«Sei pazzo.»
«Conosci il segreto del gioco d’azzardo, Helvar?» Kaz pestò con il
piede buono il calcio del fucile al suolo, che saltò su, capovolgendosi.
Kaz se lo ritrovò in mano e puntato contro Ma hias nello spazio di
un respiro. Non era mai stato minimamente in pericolo. «Barare. Ora
ripuliamoci e me iamoci addosso quelle uniformi. Dobbiamo
andare a una festa.»
«Un giorno rimarrai a corto di trucchi, demjin.»
«Farai bene a sperare che non sia oggi.»
“Vedremo cosa ci porta questa no e” pensò Ma hias mentre
eseguiva gli ordini. “Gli imbrogli non sono la mia lingua madre, ma
sono ancora in tempo per imparare a parlarla.”
30
JESPER
Undici rintocchi
«È bella» disse Brum, «in modo esagerato. Sei stato forte a non
lasciarti sedurre.»
“Sono stato sedo o” pensò Ma hias. “E non solo dalla sua
bellezza.”
«L’allarme...» disse Ma hias.
«I suoi compatrioti, senza dubbio.»
«Ma...»
«Ma hias, ci penseranno i miei uomini. La Corte di Ghiaccio è al
sicuro.» Si voltò a guardare la cella di Nina. «Potremmo premere il
pulsante ora.»
«Non sarà pericolosa?»
«Abbiamo mescolato la jurda parem con un sedativo che li rende
più docili. Stiamo ancora lavorando ai dosaggi giusti, ma ci siamo. E
poi, con la seconda dose, ci pensa la dipendenza a tenerli so o
controllo.»
«La prima dose non basta?»
«Dipende dal Grisha.»
«Quante volte l’ha già fa o?»
Brum scoppiò a ridere. «Non le ho contate. Ma credimi, vorrà così
disperatamente dell’altra jurda parem che non oserà alzare un dito
contro di noi. È una trasformazione incredibile. Secondo me la
apprezzerai.»
A Ma hias si aggrovigliarono le budella. «Quindi lo scienziato è
rimasto in vita?»
«Ha fa o del suo meglio per replicare il processo di sintesi della
droga, ma è una cosa complicata. Alcuni lo i funzionano; altri non
sono altro che polvere. Vivrà finché ci tornerà utile.» Brum mise la
mano sulla spalla di Ma hias e addolcì lo sguardo. «Faccio fatica a
credere che tu sia davvero qui, vivo, in piedi di fronte a me. Pensavo
fossi morto.»
«Ho pensato lo stesso di lei.»
«Quando ti ho visto nella sala da ballo, ti ho riconosciuto a
malapena, malgrado l’uniforme. Sei così cambiato.»
«Ho dovuto perme ere alla strega di modificarmi.»
Il disgusto di Brum era evidente. «Tu le hai permesso di...»
In un certo senso, vedere quel tipo di reazione in qualcun altro
fece vergognare Ma hias del modo in cui aveva reagito con Nina.
«Era necessario» disse. «Dovevo farle credere che avevo sposato la
sua causa.»
«Adesso è tu o finito, Ma hias. Sei finalmente al sicuro e con la
tua gente.» Brum aggro ò la fronte. «C’è qualcosa che ti preoccupa.»
Ma hias guardò dentro la cella successiva a quella di Nina, e dentro
quella dopo, e poi in un’altra, procedendo lungo il corridoio con
Brum che gli andava dietro. Alcuni dei Grisha che vi erano rinchiusi
erano agitati, e camminavano in tondo ininterro amente. Altri
tenevano la faccia schiacciata contro il vetro. Altri ancora giacevano
semplicemente sul pavimento. «Non potete sapere della parem da
più di un mese. Da quanto tempo esiste questa stru ura?»
«L’ho fa a costruire quasi quindici anni fa con la benedizione del
re e del suo consiglio.»
Ma hias si fermò di colpo. «Quindici anni? Perché?»
«Ci serviva un posto dove me ere i Grisha dopo i processi.»
«Dopo? Quando i Grisha sono giudicati colpevoli, vengono
condannati a morte.»
Brum scrollò le spalle. «È comunque una condanna a morte, solo
che l’esecuzione è un po’ più lunga. Tanto tempo fa abbiamo
scoperto che i Grisha potevano rivelarsi una risorsa utile.»
Una risorsa. «Lei mi aveva de o che venivano cancellati dalla
faccia della terra. Che erano un flagello per il mondo naturale.»
«E lo sono, quando si mascherano da uomini. Non sono capaci di
pensare re amente, di avere una morale umana. Sono fa i per essere
controllati.»
«È per questo che ha voluto la parem?» gli chiese Ma hias
incredulo.
«Per anni abbiamo provato con i nostri metodi, ma con scarso
successo.»
«Ma ha visto cosa può fare la jurda parem, cosa può fare un Grisha
quando è dominato...»
«Una pistola, di suo, non è malvagia. E nemmeno una spada. La
jurda parem garantisce obbedienza. Trasforma i Grisha in quello a cui
sono sempre stati destinati.»
«Un Secondo Esercito?» domandò Ma hias, con la voce colma di
disprezzo.
«Un esercito è fa o di soldati. Queste creature sono nate per
essere armi. Sono nate per servire i soldati di Djel.» Brum gli scrollò
la spalla. «Ah, Ma hias, come mi sei mancato. La tua fede è sempre
stata così pura. Sono contento che tu sia rilu ante ad accogliere
questa misura, ma è la nostra possibilità di sferrare un colpo
mortale. Sai perché i Grisha sono così difficili da uccidere? Perché
non sono di questo mondo. Ma sono bravissimi a uccidersi l’un
l’altro. Loro la chiamano “dal simile al simile”. Aspe a di vedere gli
straordinari risultati che abbiamo raggiunto, gli armamenti che i loro
Fabrikator ci hanno aiutato a costruire.»
Ma hias guardò indietro, nel corridoio. «Nina Zenik ha passato
un anno a Kerch a contra are per la mia libertà. Non mi sembra il
comportamento di un mostro.»
«Una vipera rimane ferma prima di colpire? Un cane randagio ti
lecca la mano prima di azzannarti il collo? Un Grisha può anche
essere capace di gentilezza, ma questo non cambia l’essenza della
sua natura.»
Ma hias prese in considerazione la cosa. Pensò a Nina, in piedi,
terrorizzata in quella cella mentre la porta si chiudeva di sca o.
Aveva a eso a lungo di vederla imprigionata, punita com’era stato
punito lui. E tu avia, dopo tu o quello che avevano passato, non era
sorpreso che ora gli facesse male.
«Com’è lo scienziato Shu?» domandò a Brum.
«Ostinato. E ancora in lu o per il padre.»
Ma hias non sapeva niente del padre di Yul-Bayur, ma c’era una
domanda più importante da fare. «È al sicuro?»
«La camera del tesoro è il posto più sicuro sull’isola.»
«Lo tiene qui con i Grisha?»
Brum annuì. «La volta principale è stata trasformata in un
laboratorio per lui.»
«Ed è sicuro che stia bene?»
«Ho io il passe-partout» disse Brum, dando un colpe o al disco
che gli penzolava al collo, «ed è sorvegliato giorno e no e. Soltanto
pochi prescelti sanno che si trova qui. È tardi, e devo accertarmi che
il Protocollo Nero sia stato seguito, ma se ti va, domani ti porterò a
vederlo.» Brum mise un braccio sulle spalle di Ma hias. «E
sistemeremo il tuo ritorno e il tuo reinserimento.»
«Su di me grava ancora l’accusa di commercio di schiavi.»
«Faremo firmare alla ragazza una dichiarazione che annullerà
facilmente tu e le incriminazioni. Credimi, dopo che avrà avuto il
suo primo assaggio di jurda parem, farà qualunque cosa le chiederai e
anche di più. Ci sarà un’udienza, ma giuro che indosserai ancora i
colori dei drüskelle, Ma hias.»
I colori dei drüskelle. Li aveva portati con tale orgoglio. E i
sentimenti che aveva provato per Nina gli avevano procurato così
tanta vergogna. La vergogna c’era ancora, e forse ci sarebbe stata
sempre. Aveva trascorso troppi anni imbo ito di odio perché potesse
sparire nell’arco di una no e. Ma ora la vergogna era una eco, e tu o
quello che Ma hias sentiva era rimorso: per il tempo che aveva
sprecato, per il dolore che aveva causato, e sì, anche adesso, per
quello che stava per fare.
Si girò verso l’uomo che era diventato un padre e un mentore per
lui. Quando aveva perso la propria famiglia, era stato Brum a
reclutarlo nei drüskelle. Ma hias era giovane, arrabbiato, totalmente
inesperto. Ma quello che era rimasto del suo cuore spezzato l’aveva
dato alla causa. Una falsa causa. Una menzogna. Quando se n’era
accorto? Quando aveva aiutato Nina a seppellire i suoi amici?
Quando aveva comba uto fianco a fianco con lei? O era successo
molto tempo prima, quando lei aveva dormito tra le sue braccia,
quella prima no e tra i ghiacci? Quando lei lo aveva salvato,
impedendo che affogasse?
Nina gli aveva fa o del male, ma lo aveva fa o per proteggere il
suo popolo. Lo aveva ferito, ma aveva fa o tu o quello che era in
suo potere per aggiustare le cose. Gli aveva dimostrato in mille modi
di essere onesta e forte e generosa e molto umana, forse più
profondamente umana di chiunque altro avesse mai conosciuto. E se
lo era, allora i Grisha non rappresentavano il male assoluto. Erano
come tu i: ricchi di potenziale per compiere grandi cose, e anche
grossi danni. Fingere che non fosse così avrebbe fa o di Ma hias un
mostro.
«Comandante, lei mi ha insegnato così tanto» disse Ma hias. «Mi
ha insegnato a dare valore all’onore e alla forza. Mi ha dato gli
strumenti per cercare la mia vende a quando ne avevo più
bisogno.»
«E con quegli strumenti costruiremo un grande futuro, Ma hias.
Il tempo di Fjerda è finalmente giunto.»
Ma hias ricambiò l’abbraccio del proprio mentore.
«Non so se si sbaglia sui Grisha» gli disse con dolcezza. «So solo
che si sbaglia su di lei.»
Lo strinse applicando una presa che aveva imparato nelle sale di
esercitazione piene di echi presenti nella roccaforte dei drüskelle,
sale che non avrebbe mai più rivisto. Lo strinse mentre Brum si
diba eva per liberarsi e mentre il suo corpo si afflosciava.
Quando mollò la presa, Brum era sprofondato in uno stato di
incoscienza, eppure Ma hias sapeva di non sbagliarsi: era rimasta
impressa della collera sui suoi lineamenti. Si costrinse a
memorizzarla. Era giusto che lui si ricordasse quell’espressione. Alla
fine si era rivelato per davvero un traditore, e avrebbe dovuto
portarne il peso.
Quando erano entrati nell’enorme sala da ballo, Ma hias e Kaz si
erano appostati in un angolino in ombra accanto alle scale. Avevano
visto Nina entrare, infilata dentro quell’abominevole abito di squame
scintillanti, poi Ma hias aveva notato Brum. Allo stupore di scoprire
il proprio mentore ancora vivo aveva subito fa o seguito
l’angosciante constatazione che lui stava seguendo Nina.
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“Brum sa” aveva de o a Kaz. “Dobbiamo aiutarla.”
“Sii furbo, Helvar. Puoi salvarla e allo stesso tempo farci arrivare a
Yul-Bayur.”
Ma hias aveva annuito e si era tuffato nella folla. “L’onore” aveva
sentito Kaz mormorare dietro di lui “è come acqua di colonia a buon
mercato.”
Aveva abbordato Brum accanto alle scale. “Signore...”
“Non adesso.”
Ma hias era stato costre o a bloccargli il passaggio. “Signore.”
Brum a quel punto si era fermato. Il viso aveva mostrato prima
collera, poi confusione e alla fine stupita incredulità. “Ma hias?”
aveva sussurrato.
“Per favore, signore” aveva de o Ma hias in fre a. “Mi dia solo
un momento per spiegare. C’è una Grisha, qui, determinata ad
assassinare stano e uno dei suoi prigionieri. Se ha la pazienza di
ascoltarmi, posso illustrarle il complo o e come può essere fermato.”
Brum aveva fa o cenno a un drüskelle di tenere d’occhio Nina e
condusse Ma hias in una nicchia so o le scale. “Parla” aveva de o, e
Ma hias gli aveva raccontato la verità, o perlomeno una parte
essenziale: che aveva scampato il naufragio, che era quasi annegato,
che era stato ingiustamente accusato di schiavismo da Nina, che era
stato rinchiuso all’Anticamera dell’Inferno, e infine che gli era stata
promessa la grazia. Aveva addossato ogni responsabilità su Nina, e
non aveva de o niente di Kaz o degli altri. Quando Brum aveva
chiesto se Nina fosse in missione da sola, aveva semplicemente
risposto che non lo sapeva.
“Nina crede che io stia per accompagnarla sul ponte segreto. Mi
sono separato da lei appena ho potuto e sono venuto a cercarla.”
Una parte di lui era disgustata dalla facilità con cui le bugie gli
affioravano alle labbra, ma non avrebbe lasciato Nina alla sua mercé.
Ora lo guardò, Brum aveva la bocca leggermente aperta mentre
era incosciente. Una delle cose che aveva rispe ato di più del suo
mentore era l’implacabilità, la determinazione a compiere scelte
difficili per amore della causa. Però Brum ci aveva preso gusto a fare
ciò che aveva fa o a quei Grisha, a fare ciò che avrebbe fa o a Nina e
a Jesper. Forse le scelte difficili non erano mai state così difficili per
p p
Brum, non come lo erano state per Ma hias. Non si era tra ato di un
sacro dovere, portato a termine malvolentieri per il bene di Fjerda.
Erano state una fonte di gioia.
Fece scivolare via il passe-partout dal collo di Brum e lo trascinò
dentro una cella vuota, me endolo seduto contro il muro. Detestò
lasciarlo lì, il mento ciondoloni sul pe o, le gambe divaricate, senza
dignità. Detestò pensare alla vergogna che il comandante dei
drüskelle avrebbe provato, un guerriero tradito da qualcuno a cui
aveva offerto fiducia e affe o. Conosceva bene quel dolore.
Preme e velocemente la fronte contro quella di Brum. Sapeva che
il proprio mentore non poteva sentirlo, ma parlò ugualmente. «La
vita che vive, l’odio che prova: è un veleno. E io non riesco più a
berlo.»
Ma hias chiuse a chiave la porta della cella e si affre ò lungo il
corridoio per correre incontro a Nina, per correre incontro a qualcosa
di meglio.
36
JESPER
Undici rintocchi
Jesper a ese nella nicchia del muro, in una postazione da cecchino, il
luogo perfe o per uno come lui. “Che cosa abbiamo appena fa o?”
si chiese. Ma il sangue gli scorreva nelle vene, aveva il fucile in spalla
e il mondo era tornato ad avere un senso.
Ma allora dov’erano le guardie? Si era aspe ato di vederle
precipitarsi in cortile nel momento stesso in cui lui e Wylan avevano
innescato il Protocollo Nero.
«Ce l’ho!» urlò Wylan dietro di lui.
Jesper odiava l’idea di abbandonare quella postazione prima di
sapere a cosa andavano incontro, ma avevano poco tempo e
dovevano raggiungere il te o. «Va bene, andiamo.»
Corsero giù per le scale. Mentre stavano per sbucare dal
passaggio a volta della portineria, sei guardie arrivarono di corsa nel
cortile. Jesper si fermò di colpo e imbracciò il fucile.
«Torna indietro» disse a Wylan.
Ma Wylan stava indicando qualcosa dall’altra parte del cortile.
«Lo vedi?»
Le guardie non si stavano dirigendo verso la portineria; tu a la
loro a enzione era concentrata su un uomo in abiti color verde
militare, in piedi accanto a una lastra di pietra. Quell’uniforme...
Una donna passò a raverso il muro: era una figura fa a di nebbia
luminosa che quando arrivò accanto allo sconosciuto si solidificò. La
donna indossava la stessa tenuta verde militare.
«Scuotiacque» disse Wylan.
«Gli Shu.»
Le guardie aprirono il fuoco, e gli Scuotiacque svanirono, poi
riapparvero dietro i soldati e sollevarono le braccia.
Le guardie urlarono e fecero cadere a terra le armi. A orno a loro
si formò una foschia rossa, che divenne via via più fi a mentre i
soldati gridavano, con la pelle che sembrava ritirarsi dalle ossa.
«È il loro sangue» disse Jesper, con la bile che gli risaliva in gola.
«Per tu i i Santi, gli Scuotiacque li stanno prosciugando.» Le guardie
erano state spremute.
Il sangue formò delle pozze flu uanti dalla vaga forma umana,
ombre scivolose che volteggiavano nell’aria, rosse e umide, poi si
spiaccicò a terra nello stesso momento in cui le guardie crollarono,
con la pelle flaccida che pendeva dai loro corpi essiccati e formava
delle pieghe gro esche.
«Torniamo su» bisbigliò Jesper. «Dobbiamo andarcene.»
Ma era troppo tardi. La Scuotiacque donna scomparve. Nel tempo
di un respiro, era sulle scale. Con le mani si sollevò sopra la
ringhiera, si diede una spinta e piantò gli stivali contro il pe o di
Wylan, calciandolo indietro e mandandolo addosso a Jesper. I due
rotolarono sulla pietra nera del cortile.
Il fucile venne strappato di mano a Jesper e scaraventato via. Lui
cercò di rialzarsi e la Scuotiacque gli ammane ò le mani dietro la
nuca. Era sdraiato accanto a Wylan e gli Scuotiacque torreggiavano
sopra di loro. Alzarono le mani, e Jesper vide che la tenue foschia
rossa appariva su di lui. Stava per essere prosciugato. La forza
cominciava a svanire. Guardò alla sua sinistra, ma il fucile era troppo
lontano.
«Jesper» ansimò Wylan. «Il metallo. Lavoralo.» E poi cominciò a
urlare.
In un lampo, Jesper capì. Questa ba aglia non l’avrebbe vinta con
una pistola. Non c’era tempo per pensare, non c’era tempo per avere
dubbi.
Ignorò il dolore che gli lacerava la pelle e portò tu a l’a enzione
sui frammenti di ferro che gli erano rimasti a accati ai vestiti, i
trucioli e le minuscole pagliuzze dell’anello spezzato della catena.
Non era un granché, come Fabrikator, però gli Scuotiacque non si
aspe avano nemmeno che lo fosse. Spinse le mani avanti, e i pezze i
p p p
di metallo si sollevarono dall’uniforme in una nuvole a luccicante
che rimase sospesa nell’aria per un brevissimo istante, e poi si
scaraventò addosso agli Scuotiacque.
La donna strillò quando il metallo si fece largo nella sua carne, e
tentò di trasformarsi in foschia. Il suo compagno fece lo stesso, cercò
di liquefare i propri lineamenti ma quando li solidificò di nuovo, la
sua faccia era grigia, punteggiata di pezze i di ferro. Jesper non
mollò. Guidò la nuvole a dentro i loro organi, scavando a fondo.
Sentiva che gli Scuotiacque provavano a controllare le particelle di
metallo. Se si fosse tra ato di un proie ile o di una lama ce
l’avrebbero fa a, ma le pagliuzze erano troppe e troppo piccole. La
donna si abbracciò lo stomaco e cadde in ginocchio. L’uomo urlò e
tossì sangue e granelli neri di metallo.
«Aiuto» singhiozzò la donna. I bordi della sua sagoma sbiadirono
e il suo corpo vibrò mentre lo ava per svanire nella foschia.
Jesper lasciò cadere le mani. Lui e Wylan filarono via di corsa
dagli Scuotiacque che si contorcevano per il dolore.
Sarebbero morti? Aveva appena ucciso due della sua gente? Jesper
aveva solo desiderato di continuare a vivere. Pensò di nuovo allo
stendardo sulla parete, a tu e quelle strisce rosse, blu e viola.
Wylan lo tirò per il braccio. Il suo viso appariva leggermente
trasparente, con le vene troppo evidenti. «Jesper, dobbiamo andare.»
Lui annuì lentamente.
«Ora.»
Jesper si costrinse a muovere i piedi, a seguire Wylan e ad
arrampicarsi su per la corda fino al te o. Si sentiva stordito e gli
girava la testa. Gli altri dipendevano da lui, questo lo sapeva.
Doveva andare avanti. Ma si sentiva come se avesse lasciato una
parte di sé nel cortile di so o, qualcosa che non aveva neanche mai
saputo che ci fosse, intangibile come nebbia.
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NINA
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Sei di corvi
di Leigh Bardugo
Mappe di Keith Thompson
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GrishaVerse logo and GrishaVerse monogram used on cover and
spine with permission tm and © 2017 Leigh Bardugo. All rights
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Titolo dell’opera originale: Six of Crows
Ebook ISBN 9788852097393
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L’immagine
Il libro
L’autore
Frontespizio
Sei di corvi
GRISHA. Soldati del secondo esercito dominatori della piccola scienza
PARTE PRIMA. TRAFFICI NELL’OMBRA
1. JOOST
2. INEJ
3. KAZ
4. INEJ
5. KAZ
6. NINA
PARTE SECONDA. SERVA E MUSA
7. MATTHIAS
8. JESPER
9. KAZ
10. INEJ
11. JESPER
12. INEJ
13. KAZ
14. NINA
15. MATTHIAS
PARTE TERZA. DISPERATO
16. INEJ
17. JESPER
18. KAZ
19. MATTHIAS
20. NINA
PARTE QUARTA. IL TRUCCO PER CADERE
21. INEJ
22. KAZ
23. JESPER
24. NINA
25. INEJ
26. KAZ
PARTE QUINTA. IL GHIACCIO NON PERDONA
27. JESPER
28. INEJ
29. MATTHIAS
30. JESPER
31. NINA
32. JESPER
33. INEJ
34. NINA
35. MATTHIAS
36. JESPER
37. NINA
38. KAZ
PARTE SESTA. LADRI COME SI DEVE
39. INEJ
40. NINA
41. MATTHIAS
42. INEJ
43. NINA
44. JESPER
45. KAZ
46. PEKKA
RINGRAZIAMENTI
Copyright