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Il libro

A
Ke erdam, vivace centro di scambi commerciali
internazionali, non c’è niente che non possa essere
comprato e nessuno lo sa meglio di Kaz Brekker,
cresciuto nei vicoli bui e dannati del Barile, la zona più malfamata
della ci à, un rice acolo di sporcizia, vizi e violenza. Kaz, de o
anche Manisporche, è un ladro spietato, bugiardo e senza un
grammo di coscienza che si muove con disinvoltura tra bische
clandestine, traffici illeciti e bordelli, con indosso gli immancabili
guanti di pelle nera e un bastone decorato con una testa di corvo.
Uno che, nonostante la giovane età, tu i hanno imparato a temere
e rispe are.
Un giorno Brekker viene avvicinato da uno dei più ricchi e
potenti mercanti della ci à e gli viene offerta una ricompensa
esorbitante a pa o che riesca a liberare lo scienziato Bo Yul-Bayur
dalla leggendaria Corte di Ghiaccio, una fortezza considerata da
tu i inespugnabile. Una missione impossibile che Kaz non è in
grado di affrontare da solo. Assoldati i cinque compagni di
avventura – un detenuto con sete di vende a, un tiratore scelto
col vizio del gioco, uno scappato di casa con un passato da
privilegiato, una spia che tu i chiamano lo “Spe ro”, una ragazza
dotata di poteri magici –, ladri e delinquenti con capacità fuori dal
comune e così disperati da non tirarsi indietro nemmeno davanti
alla possibilità concreta di non fare più ritorno a casa, Kaz è
pronto a tentare l’ambizioso quanto azzardato colpo. Per riuscirci,
però, lui e i suoi compagni dovranno imparare a lavorare in
squadra e a fidarsi l’uno dell’altro, perché il loro potenziale può sì
condurli a compiere grandi cose, ma anche provocare grossi
danni...
Finalmente arriva in Italia il primo romanzo della duologia che
ha consacrato Leigh Bardugo come una delle voci più talentuose e
autorevoli della narrativa fantasy. Una serie ambientata in un
mondo articolato e straordinario, il GrishaVerse, dove si muovono
personaggi sapientemente costruiti e sfacce ati. Una storia
avventurosa ricca di colpi di scena che vi mancherà nell’istante
stesso in cui avrete le o l’ultima pagina.
L’autore

Leigh Bardugo, nata a Gerusalemme ma


cresciuta a Los Angeles, si è laureata a Yale e
ha lavorato, tra le altre cose, nella pubblicità e
nel giornalismo. È una scri rice conosciuta (e
amatissima) in tu o il mondo per le sue saghe
ambientate nel suggestivo GrishaVerse, dalle
quali Netflix sta sviluppando una serie tv.
Leigh Bardugo

SEI DI CORVI
GrishaVerse

Traduzione di Fabio Paracchini e Lorenza Pellegri


SEI DI CORVI

A Kayte,
arma segreta,
amica inaspe ata
GRISHA
Soldati del secondo esercito dominatori della piccola scienza

CORPORALKI
Ordine dei Vivi e dei Morti
Spaccacuore
Guaritori
Plasmaforme

ETHEREALKI
Ordine degli Evocatori
Chiamatempeste
Inferni
Scuotiacque

MATERIALKI
Ordine dei Fabrikator
Tempratori
Alchemi
PARTE PRIMA
TRAFFICI NELL’OMBRA
1
JOOST

Joost aveva due problemi: la luna e i baffi.


Avrebbe dovuto fare la ronda a casa Hoede, ma era da quindici
minuti che gironzolava intorno al muro del giardino affacciato a
sud-est, cercando di pensare a qualcosa di intelligente e romantico
da dire ad Anya.
Se soltanto gli occhi di lei fossero stati blu come il mare o verdi
come lo smeraldo. Invece, erano marroni – adorabili, un sogno...
Cioccolato fuso? Pelo di coniglio?
«Dille semplicemente che ha la pelle color chiaro di luna» gli
aveva suggerito il suo amico Pieter. «Le ragazze vanno ma e per
questo tipo di cose.»
Una soluzione perfe a, ma il tempo a Ke erdam non stava
collaborando.
Quel giorno non aveva spirato alcuna brezza dal porto, e una
nebbia grigia e la iginosa aveva avvolto d’umido i canali e i vicoli
tortuosi della ci à.
Anche qui, tra i palazzi della Geldstraat, l’aria sapeva di pesce e
acqua di sentina, e il fumo delle raffinerie che arrivava dalle isole più
esterne dell’abitato aveva spalmato una foschia salmastra sopra il
cielo scuro della no e. La luna piena sembrava più una vescica
purulenta in procinto di scoppiare che un gioiello.
E se avesse adulato la risata di Anya? Peccato che non l’avesse mai
sentita ridere. Non era molto bravo a fare ba ute.
Joost diede un’occhiata al proprio riflesso in uno dei pannelli in
vetro delle doppie porte che dalla casa imme evano nel giardino
laterale. Sua madre aveva ragione. Anche nella nuova uniforme,
sembrava ancora un bambino. Con delicatezza, si strofinò il dito sul
labbro superiore. Se solo gli fossero apparsi dei veri baffi. Avrebbe
giurato che li sentiva più folti del giorno prima.
Si era arruolato nella stadwatch da meno di sei se imane, e non
era neanche lontanamente così eccitante come si era immaginato.
Sperava di rincorrere i ladri lungo il Barile, di pa ugliare i porti, di
ispezionare per primo le navi cargo che a raccavano nelle banchine.
Ma da quando quell’ambasciatore era stato assassinato nel
municipio, il Consiglio dei Mercanti si era lamentato della sicurezza.
Così lui dov’era? Bloccato a girare in circolo a orno alla casa di
qualche fortunato mercante. Anche se non esa amente uno
qualunque. Nessuno poteva arrivare più in alto all’interno del
governo di Ke erdam di quanto il Consigliere Hoede era arrivato. Il
genere di uomo in grado di fare carriera.
Joost si sistemò il cappo o e il fucile, poi diede una pacca al
manganello che gli pesava al fianco. Forse Hoede lo avrebbe preso in
simpatia. “Occhio sveglio e bastone veloce” avrebbe de o. “Quel
ragazzo merita una promozione.”
«Sergente Joost Van Poel» sussurrò, assaporando il suono delle
parole. «Capitano Joost Van Poel.»
«Piantala di fissarti come un’idiota.»
Joost roteò su se stesso, le guance che prendevano fuoco, mentre
Henk e Rutger entravano spediti a grandi falcate nel giardino
laterale. Erano entrambi più vecchi, più grossi e più larghi di spalle
di Joost, ed erano le guardie private della casa del Consigliere
Hoede. E ciò comportava che indossassero un’uniforme verde
pallido, che portassero o imi fucili provenienti da Novyi Zem, e che
non perme essero mai a Joost di dimenticare la sua condizione di
umile soldato semplice della guardia ci adina.
«Trastullarti quel mucchie o di peluria non lo farà crescere più in
fre a» disse Rutger scoppiando a ridere.
Joost cercò di mantenere un minimo di dignità. «Devo finire il mio
giro di ronda.»
Rutger diede di gomito a Henk. «Significa che andrà a infilare la
testa nella bo ega Grisha per dare un’occhiata alla sua ragazza.»
«Oh, Anya, perché non usi la tua magia Grisha per farmi crescere
i baffi?» lo scimmio ò Henk.
Joost girò sui tacchi, le guance in fiamme, e si avviò a passo di
marcia verso il lato orientale della casa. Lo provocavano da quando
era arrivato. Se non fosse stato per Anya, probabilmente avrebbe
supplicato il suo capitano di assegnargli un altro incarico. Lui e
Anya si erano scambiati solo qualche parola durante i suoi giri di
ronda, ma lei era sempre la parte migliore della no e.
E poi doveva amme erlo, gli piaceva anche casa Hoede, per
quelle poche sbirciate che era riuscito a dare dalle finestre. Hoede
possedeva uno dei palazzi più maestosi sulla Geldstraat: pavimenti
lucidi a scacchiera, con riquadri bianchi e neri di pietra, pareti in
legno scuro e lucido illuminate da lampadari in cristallo soffiato che
galleggiavano come meduse nel soffi o a casse oni. A volte Joost
fingeva che fosse casa sua, e fantasticava di essere un ricco mercante
a passeggio nel proprio raffinato giardino.
Prima di svoltare l’angolo, fece un bel respiro. Anya, i tuoi occhi
sono marroni come... la corteccia di un albero? Avrebbe trovato qualcosa.
In ogni caso, meglio essere spontanei.
Fu sorpreso nel vedere aperte le porte a pannelli di vetro della
bo ega Grisha. Più delle ma onelle blu dipinte a mano della cucina
o della mensola del camino stracarica di tulipani in vaso, era questa
bo ega la vera prova della ricchezza di Hoede. Avere un Grisha sul
proprio libro paga non era cosa a buon mercato, e Hoede ne aveva
tre.
Ma Yuri non era seduto al bancone da lavoro, e Anya non si
vedeva da nessuna parte. C’era soltanto Retvenko, allungato su una
sedia in una vestaglia blu scuro, gli occhi chiusi, un libro aperto sul
pe o.
Joost gironzolò nell’atrio, poi si schiarì la voce. «Queste porte
dovrebbero essere chiuse a chiave di no e.»
«Casa è come fornace» disse Retvenko strascicando le parole e
senza aprire gli occhi, nel suo accento Ravkiano forte e avvolgente.
«Di’ a Hoede quando sme o sudare chiudo porte.»
Retvenko era un Chiamatempeste, più anziano degli altri Grisha a
contra o, i capelli corti striati d’argento. Girava voce che avesse
comba uto per la fazione perdente nella guerra civile di Ravka e che
fosse fuggito a Kerch dopo la guerra.
gg p g
«Sarò lieto di riportare le sue rimostranze al Consigliere Hoede»
mentì Joost. La casa era sempre surriscaldata, come se Hoede fosse
obbligato a bruciare carbone, ma non sarebbe stato Joost a tirar fuori
la faccenda. «Fino a quel momento...»
«Porti notizie di Yuri?» lo interruppe Retvenko, aprendo
finalmente gli occhi so o palpebre pesanti.
Joost guardò a disagio la scodella piena di acini di uva rossa e i
mucchie i di velluto bordeaux sul tavolo da lavoro. Yuri stava
studiando un modo per impregnare le tende della Padrona Hoede
con il colore rubino della fru a, ma qualche giorno prima si era
ammalato gravemente, e Joost da allora non l’aveva più visto. La
polvere aveva cominciato ad accumularsi sul velluto, e l’uva stava
andando a male.
«Non ho sentito niente.»
«Per forza non senti niente. Troppo occupato andare in giro con
stupida uniforme viola.»
Cosa aveva che non andava la sua uniforme? E perché Retvenko
doveva essere qui? Era il Chiamatempeste personale di Hoede e
spesso viaggiava con i carichi più preziosi del mercante, in modo da
garantire venti favorevoli e condurre le navi velocemente e al sicuro
in porto. Perché ora non era via per mare?
«Penso che Yuri potrebbe essere in quarantena.»
«Molto utile» disse Retvenko con scherno. «Puoi sme ere di
allungare collo come oca giuliva» aggiunse. «Anya andata via.»
Joost sentì che la sua faccia era tornata a sco are. «E dov’è?»
chiese, cercando di suonare autorevole. «Dovrebbe essere dentro
quando fa buio.»
«Un’ora fa, Hoede la prende. Come no e quando venuto per
Yuri.»
«In che senso, “venuto per Yuri”? Yuri si è ammalato.»
«Hoede viene per Yuri, Yuri torna indietro malato. Due giorni
dopo, Yuri sparisce per sempre. Adesso Anya.»
Per sempre?
«Forse c’è stata un’emergenza. Se qualcuno ha avuto bisogno di
essere curato...»
«Prima Yuri, adesso Anya. Io sarò prossimo, e nessuno si
accorgerà tranne povero piccolo Polizio o Joost. Vai adesso.»
«Se il Consigliere Hoede...»
Retvenko sollevò un braccio e una raffica d’aria spinse Joost
indietro. Joost barcollò, ma riuscì a restare in piedi, aggrappandosi
allo stipite della porta.
«Ho de o adesso.» Retvenko disegnò un cerchio nel vuoto e la
porta si chiuse con violenza. Joost mollò la presa appena in tempo
per evitare di ritrovarsi con le dita spappolate, e cadde nel giardino.
Si rimise in piedi più in fre a che poté, ripulendo l’uniforme dal
fango, con la vergogna che gli strizzava le budella. Uno dei pannelli
di vetro si era ro o per via dell’urto. Joost, guardandoci dentro, vide
che il Chiamatempeste stava facendo un sorrise o.
«Questo verrà detra o dal suo contra o» disse, puntando l’indice
verso il pannello ro o. Detestò il modo in cui la sua voce risuonò,
meschina e petulante.
Retvenko gli fece ciao con la mano, e le porte sussultarono nei
loro cardini. Senza neanche pensarci, Joost fece un passo indietro.
«Vai a fare tuoi giri, piccolo cane da guardia» gridò Retvenko.
«Ti è andata bene» lo derise Rutger, appoggiato al muro del
giardino.
Da quant’è che stava lì? «Non hai niente di meglio da fare che
seguirmi?» gli chiese Joost.
«Tu e le guardie devono presentarsi a rapporto alla rimessa.
Anche tu. O sei troppo occupato a farti dei nuovi amici?»
«Gli stavo chiedendo di chiudere la porta.»
Rutger scrollò la testa. «Non si chiede. Si ordina. Sono servi. Non
ospiti di riguardo.»
Joost prese a camminargli accanto, dentro di sé ancora in fiamme
per l’umiliazione. La cosa peggiore era che Rutger aveva ragione.
Retvenko non aveva il diri o di parlargli a quel modo. Ma lui cosa
poteva fare? Anche se avesse avuto il coraggio di me ersi a litigare
con un Chiamatempeste, sarebbe stato come a accare briga con un
vaso costoso. I Grisha non erano soltanto dei servitori; erano le
preziose proprietà di Hoede.
A ogni modo, che cosa aveva voluto dire Retvenko a proposito di
Yuri e Anya portati via? Stava forse coprendo Anya? I Grisha so o
contra o erano tenuti a stare in casa per un buon motivo. Andare in
giro per le strade senza protezione voleva dire rischiare di essere
rapiti da uno schiavista e scomparire nel nulla. “Forse si vede con
qualcuno” suppose tristemente Joost.
I suoi pensieri furono interro i dal tripudio di luce e a ività giù
alla rimessa che si affacciava sul canale. Sull’altra sponda poteva
vedere altre eleganti dimore di mercanti, alte e slanciate, i te i acuti
che stagliavano la loro sagoma scura contro il cielo nero, i loro
giardini e le loro rimesse illuminati dal chiarore delle lanterne.
Qualche se imana prima, a Joost era stato de o che la rimessa di
Hoede sarebbe stata ristru urata e quindi di escluderla dalla ronda.
Ma quando lui e Rutger vi entrarono, Joost non vide né vernici né
ponteggi. Gondels e remi erano stati spinti contro le pareti. Le altre
guardie della casa erano là nelle loro divise verdemare, e Joost
riconobbe due guardie della stadwatch in viola. Tu avia la maggior
parte dello spazio era occupata da una scatola gigantesca – una
specie di gabbia che sembrava fa a di acciaio rinforzato, i profili
spessi e inchiavardati, un’ampia finestra incastonata in una delle
pareti. A raverso il vetro, con una curvatura ondulata, Joost vide
una ragazza seduta a un tavolo, che si stringeva forte le vesti di seta
rossa a orno al corpo. Dietro di lei, una guardia della stadwatch
stava in piedi sull’a enti.
“Anya” realizzò Joost con un sussulto. Gli occhi di lei erano
spalancati e terrorizzati, il viso pallido. Il ragazzino che le stava di
fronte sembrava spaventato il doppio di lei. Aveva i capelli arruffati
come se fosse appena sceso dal le o, e le gambe gli penzolavano giù
dalla sedia e scalciavano nervosamente l’aria.
«Perché tu e queste guardie?» domandò Joost. Ce ne dovevano
essere più di dieci radunate dentro la rimessa. C’era anche il
Consigliere Hoede, insieme a un mercante che Joost non conosceva,
entrambi vestiti in nero mercantile. Joost si raddrizzò quando vide
che stavano parlando al capitano della stadwatch. Sperò di essersi
tolto via dall’uniforme tu o il fango del giardino. «Di cosa si tra a?»
Rutger scrollò le spalle. «Chi se ne frega. Almeno è una novità.»
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Joost si girò a guardare al di là del vetro. Anya lo stava fissando,
ma lo sguardo era fuori fuoco. Il giorno in cui lui era arrivato a casa
Hoede, lei gli aveva guarito un livido sulla guancia. Non era niente
di che, la traccia gialloverde di una bo a che si era preso in faccia
durante un allenamento, ma a quanto pareva Hoede se n’era accorto
e a lui non piaceva che le sue guardie avessero l’aspe o di
delinquenti. Joost era stato spedito nella bo ega Grisha, e Anya lo
aveva fa o sedere in un quadrato di luce, disegnato dal tardo sole
invernale. Con le dita fresche gli aveva sfiorato la pelle e, anche se il
prurito era stato terribile, appena pochi secondi dopo era come se il
livido non ci fosse mai stato.
Quando Joost l’aveva ringraziata, Anya aveva sorriso e lui si era
sentito perso. Sapeva di essere un caso senza speranza. Anche se lei
avesse avuto qualche interesse per lui, Joost non si sarebbe mai
potuto perme ere di acquistare il suo contra o da Hoede, e lei non
avrebbe mai potuto sposarlo a meno che Hoede non l’avesse
permesso. Ma questo non l’aveva dissuaso dal passare a trovarla per
dirle ciao o dal portarle qualche regalino. Più di tu i le era piaciuta
la cartina di Kerch, un disegno bizzarro del loro paese, un’isola
circondata dalle sirene che nuotano nel Mare Vero e dalle navi
sospinte dai venti, raffigurati come uomini con le guance paffute. Era
un souvenir di poche pretese, di quelli che i turisti si compravano
sullo Stave dell’Est, ma sembrava averla resa felice.
Ora si azzardò ad alzare una mano in segno di saluto. Anya non
accennò alcuna reazione.
«Non può vederti, idiota» ghignò Rutger. «Il vetro è specchiato
sul lato opposto.»
Le guance di Joost si fecero rosse. «Come potevo saperlo?»
«Apri gli occhi e fai a enzione per una volta.»
Prima Yuri, ora Anya. «Perché hanno bisogno di una Guaritrice
Grisha? Quel ragazzo è ferito?»
«A me sembra a posto.»
Hoede e il capitano parevano aver raggiunto un qualche accordo.
A raverso il vetro, Joost vide Hoede entrare nella gabbia e dare al
ragazzo una pacca d’incoraggiamento. Ci dovevano essere dei
condo i di ventilazione all’interno perché sentì il mercante dire: «Fai
p
il bravo, e ci sarà qualche kruge per te». Poi Hoede afferrò il mento
di Anya con una mano punteggiata di macchie dell’età. Lei si
irrigidì, e le budella di Joost si a orcigliarono. Hoede diede ad Anya
una scrollatina. «Fai come ti è stato de o, e presto sarà tu o finito,
ja?»
Lei fece un sorrisino tirato. «Certamente, Onkle.»
Hoede sussurrò qualche parola alla guardia che era alle spalle di
Anya, poi uscì dalla gabbia. La porta si chiuse con un fragoroso
suono metallico, e Hoede fece sca are una pesante serratura.
Hoede e l’altro mercante presero posto quasi di fronte a Joost e
Rutger.
L’uomo che Joost non conosceva disse: «Sei sicuro che sia saggio?
Questa ragazza è una Corporalki. Dopo quello che è successo al tuo
Fabrikator...».
«Se si tra asse di Retvenko, sarei preoccupato. Ma Anya ha
un’indole docile. È una Guaritrice. Non incline all’aggressione.»
«E hai abbassato il dosaggio?»
«Sì, ma siamo d’accordo che se o erremo gli stessi risultati del
Fabrikator, il Consiglio mi ricompenserà? Non mi si può chiedere di
affrontare quella spesa.»
Quando il mercante annuì, Hoede fece segno al capitano.
«Procediamo.»
Gli stessi risultati del Fabrikator. Retvenko sosteneva che Yuri fosse
sparito. Era a questo che si riferiva Hoede?
«Sergente» disse il capitano, «siete pronti?»
La guardia dentro la gabbia rispose: «Sissignore». Ed estrasse un
coltello.
Joost deglutì a fatica.
«Prima prova» disse il capitano.
La guardia si piegò in avanti e ordinò al ragazzino di arrotolarsi la
manica. Quello obbedì e tirò fuori il braccio, infilandosi in bocca il
pollice dell’altro mano. “Troppo grande per farlo ancora” pensò
Joost. Ma il ragazzino doveva essere molto spaventato. Joost aveva
dormito con un orsacchio o fa o con un calzino fino a quasi
qua ordici anni, cosa per cui i suoi fratelli maggiori l’avevano
sfo uto senza pietà.
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«Sentirai pungere leggermente» disse la guardia.
Il ragazzino tenne il pollice in bocca e annuì, gli occhi sgranati.
«Non è davvero necessario» disse Anya.
«Silenzio, per favore» replicò Hoede.
La guardia diede una pacca al ragazzino e poi fece un luminoso
taglio rosso nel suo avambraccio. Il giovane scoppiò
immediatamente a piangere.
Anya provò ad alzarsi dalla sedia, ma la guardia, con severità, le
piazzò una mano sulla spalla.
«È tu o a posto, sergente» disse Hoede. «La lasci fare.»
Anya si sporse in avanti e prese la mano del ragazzino con
delicatezza. «Sssh» disse gentilmente. «Lascia che ti aiuti.»
«Farà male?» deglutì l’altro.
Lei sorrise. «Per niente. Solo un po’ di prurito. Cercherai di stare
fermo per me?»
Joost si ritrovò a sporgersi in avanti. Non aveva mai visto
veramente Anya guarire qualcuno.
Lei prese un fazzole o dalla tasca e ripulì il sangue in eccesso. Poi
le sue dita sfiorarono con a enzione la ferita. Joost guardò stupefa o
la pelle che lentamente sembrava rigenerarsi e ricongiungersi.
Pochi minuti dopo, il ragazzino fece un gran sorriso e porse il
braccio. Appariva leggermente arrossato, ma era morbido e senza
traccia di cicatrici. «Era una magia?»
Anya gli diede un colpe o sulla punta del naso. «Più o meno. La
stessa magia che fa il tuo corpo quando gli dai un po’ di tempo e un
pezzo di garza.»
Il ragazzino sembrava quasi deluso.
«Bene, bene» disse Hoede con impazienza. «Ora la parem.»
Joost aggro ò le sopracciglia. Non aveva mai sentito quella
parola.
Il capitano fece cenno al sergente. «Seconda prova.»
«Tira fuori il braccio» disse quello al ragazzino per la seconda
volta.
Lui scrollò la testa. «Non mi piace questa parte.»
«Muoviti.»
Il labbro inferiore del ragazzino tremò, ma eseguì l’ordine.
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La guardia lo tagliò di nuovo.
Poi piazzò una bustina di carta cerata sul tavolo di fronte ad
Anya.
«Inghio i il contenuto del pacche o» la istruì Hoede.
«Che cos’è?» chiese lei, la voce tremante.
«Questo non ti riguarda.»
«Che cos’è?» ripeté.
«Non ti ucciderà. Ti dobbiamo chiedere di svolgere dei semplici
compiti per valutare gli effe i della droga. Il sergente è lì per
assicurarsi che tu faccia soltanto quello che ti viene de o e
nient’altro, capito?»
Anya serrò la mascella, ma annuì.
«Nessuno ti farà del male» disse Hoede. «Ma ricorda, se colpisci il
sergente, non hai vie di fuga da quella gabbia. Le porte sono chiuse
dall’esterno.»
«Che cos’è quella roba?» sussurrò Joost.
«Non lo so» disse Rutger.
«Che cosa sai?» bisbigliò.
«Abbastanza da tenere il becco chiuso.»
Joost lo guardò storto.
Con le mani che le tremavano, Anya sollevò la piccola busta
cerata e aprì la lingue a.
«Vai avanti» disse Hoede.
Lei rovesciò la testa all’indietro e mandò giù la polvere. Rimase
seduta per un momento, in a esa, le labbra contra e.
«È solo jurda?» domandò, speranzosa. Anche Joost si ritrovò a
sperarlo. La jurda non era niente di pericoloso, una sostanza
eccitante che tu i nella stadwatch masticavano per rimanere svegli
durante le ore di guardia no urne.
«Di che cosa sa?» chiese Hoede.
«Di jurda ma più dolce.»
Anya inspirò bruscamente. Con le mani afferrò il tavolo, le pupille
dilatate al punto che gli occhi sembravano quasi del tu o neri.
«Oooh» disse, con un sospiro. Ricordava le fusa di un ga o.
La guardia strinse la presa sulla sua spalla.
«Come ti senti?»
Lei fissò lo specchio e sorrise. La lingua, con macchie color
ruggine, le fece capolino tra i denti bianchi. Joost sentì
improvvisamente freddo.
«Proprio com’è successo con il Fabrikator» mormorò il mercante.
«Guarisci il ragazzo» ordinò Hoede.
Lei agitò la mano nell’aria, con un gesto quasi sprezzante, e il
taglio sul braccio si rimarginò all’istante.
Il sangue si sollevò velocemente dalla pelle in tante goccioline
vermiglie che poi svanirono. La pelle appariva perfe amente liscia,
ogni traccia di sangue e ogni rossore spariti. Il ragazzino era
raggiante. «Questa era proprio magia.»
«Fa sentire come se fosse magia» disse Anya con lo stesso sorriso
inquietante.
«Non l’ha neanche toccato» disse meravigliato il capitano.
«Anya» cominciò Hoede. «Ascolta a entamente. Ora diremo al
capitano di procedere con la prossima prova.»
«Mmh» mugugnò lei.
«Sergente» disse Hoede. «Amputa il pollice.»
Il ragazzino fece un urlo e ricominciò a piangere. Nascose le mani
tra le gambe per proteggerle.
“Dovrei fermare tu o questo” pensò Joost. “Dovrei trovare un
modo per proteggerla, per proteggerli entrambi.” Ma poi cosa
sarebbe successo? Lui non era nessuno, nuova recluta della
stadwatch, nuovo in questa casa. “Oltretu o” si scoprì a pensare
pieno di vergogna, “voglio tenermi il mio lavoro.”
Anya sorrise appena e inclinò la testa all’indietro in modo da
guardare il sergente. «Rompi il vetro.»
«Che cos’ha de o?» domandò il mercante.
«Sergente!» tuonò il capitano.
«Rompi il vetro» ripeté Anya. Il viso del sergente si rilassò. Piegò
la testa da un lato come per ascoltare una melodia lontana, poi
sollevò il fucile e lo puntò.
«Me ilo giù!» urlò qualcuno.
Joost si bu ò a terra, coprendosi la testa mentre la raffica di spari
gli riempì le orecchie e pezzi di vetro gli piovvero sulle mani e sulla
schiena.
I suoi pensieri erano in preda al panico. La mente cercava di
negare, ma lui sapeva cosa aveva appena visto. Anya aveva ordinato
al sergente di rompere il vetro. Lei glielo aveva fa o fare. Ma non
poteva essere vero. I Grisha Corporalki erano specializzati nel corpo
umano. Potevano fermarti il cuore, rallentarti il respiro, spezzarti le
ossa. Ma non potevano entrarti in testa.
Per un momento ci fu silenzio. Poi Joost fu in piedi come tu i gli
altri, alla ricerca del proprio fucile. Hoede e il capitano gridarono
nello stesso istante.
«Prendetela!»
«Sparatele!»
«Hai idea di quanto costa?» lo rimbeccò Hoede. «Qualcuno la
blocchi! Non sparate!»
Anya alzò le mani, le maniche rosse spalancate. «Aspe ate» disse.
Il panico di Joost si dileguò. Sapeva di essere stato spaventato, ma
la paura adesso era lontana. Si sentiva pieno di speranza. Non era
sicuro di quello che sarebbe arrivato, o quando, solo che sarebbe
arrivato e che era fondamentale essere pronti a riceverlo. Avrebbe
potuto essere qualcosa di buono o di ca ivo. Non gli importava
veramente. Il suo cuore era libero da preoccupazioni e desideri. Non
si aspe ava niente, non voleva niente, la mente era muta, il respiro
fermo. Doveva solo aspe are.
Vide Anya alzarsi e tirare su il ragazzino. La sentì canticchiargli
teneramente qualcosa, qualche ninna nanna Ravkiana.
«Apri la porta ed entra, Hoede» disse lei. Joost sentì le parole, le
capì, le dimenticò.
Hoede si incamminò e aprì la serratura. Entrò nella gabbia
d’acciaio.
«Fai come ti viene de o, e presto sarà tu o finito, ja?» mormorò
Anya con un sorriso. I suoi occhi erano neri come piscine senza
fondo. La sua pelle in fiamme, splendente, incandescente. Un
pensiero baluginò nella mente di Joost... “Bella come la luna”.
Anya spostò il peso del ragazzino da un braccio all’altro. «Non
guardare» gli sussurrò all’orecchio. «Ora» disse rivolta a Hoede.
«Prendi il coltello.»
2
INEJ

Kaz Brekker non aveva bisogno di un motivo. Questo era quello che
si sussurrava nelle strade di Ke erdam, nelle taverne e nelle
caffe erie, nei vicoli bui e dannati del quartiere del piacere noto
come il Barile. Il ragazzo che chiamavano Manisporche non aveva
bisogno di un motivo più di quanto avesse bisogno di
un’autorizzazione per spaccare una gamba, per rompere un’alleanza,
o per cambiare le sorti di un uomo girando una carta.
Naturalmente si sbagliavano, considerò Inej mentre a raversava il
ponte sopra le acque nere del Beurskanal per dirigersi verso la
piazza principale deserta che fronteggiava la Borsa. Ogni a o di
violenza era deliberato e a ogni cortesia erano legati così tanti fili
invisibili da me ere in scena uno spe acolo di marione e. Kaz aveva
sempre i suoi motivi. Inej non poteva mai essere certa che fossero
buoni. Specialmente questa no e.
Inej controllò i propri coltelli, recitando in silenzio i loro nomi
come faceva sempre quando pensava che avrebbe potuto trovarsi nei
guai. Era un’abitudine pratica, ma anche una consolazione. Le lame
erano le sue compagne. Le piaceva sapere che sarebbero state pronte
per qualunque cosa la no e avesse portato con sé.
Inej vide Kaz e gli altri radunati vicino al grande arco in pietra che
segnalava l’ingresso orientale alla Borsa. Tre parole erano state
scolpite nella roccia sopra di loro: ENJENT, VOORHENT, ALMHENT.
Industriosità, Integrità, Prosperità.
Si tenne vicina alle vetrine con le saracinesche abbassate che
costeggiavano la piazza, evitando le sacche di luce a gas sfarfallante
create dai lampioni. Mentre avanzava, passò in rassegna la squadra
che Kaz aveva portato con sé: Dirix, Ro y, Muzzen e Keeg, Anika e
Pim, e i suoi secondi per il convegno di stasera, Jesper e Bolliger il
p g p g
Grande. Si spingevano e si bu avano l’uno contro l’altro, ridendo,
pestando i piedi contro il freddo improvviso che questa se imana
aveva sorpreso la ci à, l’ultimo colpo di coda dell’inverno prima che
la primavera iniziasse sul serio. Erano tu i grossi e rissosi, reclutati
tra i membri più giovani degli Scarti, la gente di cui Kaz si fidava di
più. Inej fece caso al luccichio dei coltelli infilati nelle cinture, ai tubi
di ferro, alle catene pesanti, ai manici delle asce decorati di borchie
arrugginite e, qui e là, al bagliore di una canna di pistola ben oliata.
Inej scivolò silenziosamente nei loro ranghi, scrutando le ombre
vicino alla Borsa per capire se fossero spie delle Punte Nere.
«Tre navi!» stava dicendo Jesper. «Le hanno mandate gli Shu.
Stavano semplicemente ancorate al Primo Porto, con i cannoni
spianati, le bandiere rosse che volteggiavano, imbo ite d’oro fino
alle vele.»
Bolliger il Grande fece un fischio so ovoce. «Mi sarebbe piaciuto
vederlo.»
«Mi sarebbe piaciuto rubarlo» replicò Jesper. «Mezzo Consiglio
dei Mercanti era laggiù ad agitarsi e a spiare, nel tentativo di capire
cosa fare.»
«Non vogliono che gli Shu paghino i loro debiti?» domandò
Bolliger il Grande.
Kaz scrollò la testa, e i capelli neri brillarono alla luce dei
lampioni. Era un insieme di linee dure e spigoli inconfondibili –
mascella squadrata, corporatura muscolosa, giacca di lana a illata
sulle spalle. «Sì e no» disse lui con la sua voce roca. «È sempre bene
avere un paese in debito con te. Rende le negoziazioni più
amichevoli.»
«Forse gli Shu hanno finito di essere amichevoli» disse Jesper.
«Non dovevano mandare quel tesoro tu o in una volta. Pensi che
siano stati loro a infilzare quell’ambasciatore?»
Gli occhi di Kaz scovarono subito Inej nella folla. Ke erdam era
stata in fermento per se imane a causa dell’omicidio
dell’ambasciatore. Aveva quasi distru o le relazioni tra i Kerch e gli
Zemeni e messo in subbuglio il Consiglio dei Mercanti. Gli Zemeni
incolpavano i Kerch. I Kerch sospe avano degli Shu. A Kaz non
interessava chi fosse il responsabile; l’omicidio lo affascinava solo in
p
quanto non riusciva a immaginare come fosse stato portato a
termine. In uno dei corridoi più affollati della Stadhall, davanti a più
di dodici ufficiali del governo, l’ambasciatore del commercio Zemeni
era andato al gabine o. Nessun altro ci era entrato o ne era uscito,
ma quando il suo assistente aveva bussato alla porta pochi minuti
dopo, non era arrivata nessuna risposta. Bu ata giù la porta,
avevano trovato l’ambasciatore a faccia in giù sulle ma onelle
bianche, un coltello nella schiena, il rubine o del lavandino ancora
aperto.
A distanza di qualche ora, Kaz aveva mandato Inej a svolgere
delle indagini nei locali dell’edificio. Il gabine o non aveva altri
ingressi, niente finestre o camini, e persino Inej non padroneggiava
l’arte di infilarsi dentro le tubature. Eppure l’ambasciatore Zemeni
era morto. Kaz odiava i rompicapo che non riusciva a risolvere, e lui
e Inej avevano archite ato un centinaio di teorie per spiegare
l’omicidio... nessuna delle quali li soddisfaceva. Tu avia questa no e
avevano problemi più urgenti.
Inej vide Kaz fare segno a Jesper e a Bolliger il Grande di
spogliarsi delle armi. La legge della strada voleva che per un
convegno di quel genere ciascun vicecomandante fosse
accompagnato da due dei propri soldati semplici e che tu i fossero
disarmati. Convegno. La parola suonava come un inganno –
curiosamente cerimoniosa, obsoleta. Non importava cosa la legge
della strada decretasse, questa no e sapeva di violenza.
«Avanti, me i giù quelle pistole» disse Dirix a Jesper.
Con un sospiro, quello si slacciò il cinturone dai fianchi. Inej
dove e amme ere che, senza, sembrava un po’ meno se stesso. Il
tiratore scelto Zemeni aveva le gambe lunghe, la pelle scura e non
stava fermo un a imo. Preme e le labbra sul manico perlato delle
sue preziose rivoltelle, donando a ciascuna un bacio addolorato.
«Abbi cura delle mie bambine» disse Jesper mentre le porgeva a
Dirix. «Se le ritrovo con anche solo un graffio o una ammaccatura,
scriverò “perdonami” sul tuo pe o con i buchi delle pallo ole.»
«Non sprecheresti le munizioni.»
«E poi sarebbe morto a metà della parola “perdonami”» disse
Bolliger il Grande mentre nelle mani di Ro y lasciava cadere
g y
un’acce a, un coltello a serramanico e la sua arma preferita: una
spessa catena appesantita da un grosso lucche o.
Jesper roteò gli occhi. «Il punto è mandare un messaggio. Qual è il
senso di un tizio morto stecchito con la parola “perd” scri a sul
pe o?»
«Veniamo a un compromesso» rispose Kaz. «“Scusa” fa lo stesso
effe o e spreca meno pallo ole.»
Dirix scoppiò a ridere, ma a Inej non sfuggì il fa o che reggeva le
rivoltelle di Jesper con grande a enzione.
«E quello?» domandò Jesper, indicando il bastone da passeggio di
Kaz.
La risata di Kaz suonò bassa e priva di umorismo. «Chi
negherebbe a un povero storpio il suo bastone?»
«Se lo storpio sei tu, ogni uomo dotato di buon senso.»
«Allora è un bene che stiamo per incontrare Geels.» Kaz estrasse
un orologio dal taschino del gilè. «È quasi mezzano e.»
Inej volse lo sguardo alla Borsa. Era poco più di un largo cortile
re angolare circondato da magazzini e uffici di spedizione. Ma
durante il giorno era il cuore di Ke erdam, animato dal via vai dei
ricchi mercanti che compravano e vendevano azioni nei viaggi di
lavoro che li conducevano nei porti della ci à. Adesso che erano
quasi dodici rintocchi di campana, la Borsa era deserta a eccezione
delle guardie che controllavano la recinzione e il te o. Guardie
comprate a suon di mazze e per volgere gli occhi altrove durante il
convegno di questa no e.
La Borsa era una delle poche zone della ci à ancora non spartite e
rivendicate nelle lo e senza fine tra le bande rivali di Ke erdam. Era
considerata territorio neutrale. Ma a Inej non sembrava neutrale.
Sembrava il silenzio dei boschi prima dello sca o della tagliola e
degli strilli del coniglio. Sembrava una trappola.
«È un errore» disse. Bolliger il Grande sussultò; non si era accorto
che lei era lì in piedi. Inej udì il nome che gli Scarti le avevano
affibbiato passare tra i ranghi in un sussurro: lo Spe ro. «Geels sta
tramando qualcosa.»
«Certo che sì» disse Kaz. La sua voce aveva la consistenza ruvida
e raschiosa di una pietra sfregata contro un’altra pietra. Inej si
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chiedeva ogni volta se Kaz avesse avuto quella voce anche da
bambino. Sempre che fosse mai stato un bambino.
«Allora perché venire qui stano e?»
«Perché così vuole Per Haskell.»
“Al vecchio piace fare le cose alla vecchia maniera” pensò Inej
senza dirlo, ed ebbe il sospe o che gli altri Scarti stessero pensando
la stessa cosa.
«Ci farà uccidere tu i.»
Jesper stiracchiò le lunghe braccia sopra la testa e fece un gran
sorriso, mostrando i denti bianchi in contrasto con la pelle scura. Lui
doveva ancora rinunciare al suo fucile, la cui sagoma sulla schiena lo
faceva assomigliare a un uccello sgraziato dalle zampe lunghe.
«Secondo la statistica, farà probabilmente uccidere solo qualcuno di
noi.»
«Non si scherza su queste cose» replicò Inej. Lo sguardo che le
rivolse Kaz era divertito. Lei sapeva come doveva sembrargli: rigida,
pignola, come una vecchia bacucca che lancia le sue tragiche profezie
dal portico. Non le piaceva, ma era anche certa di avere ragione. E
poi le donne anziane qualcosa la sapranno pure, sennò vivrebbero
solo per accumulare rughe e berciare dalle loro porte di casa.
«Jesper non sta scherzando, Inej» disse Kaz. «Sta calcolando le
probabilità.»
Bolliger il Grande fece scrocchiare le sue enormi nocche. «Be’, io
ho della birra chiara e una padellata di uova che mi aspe ano al
Kooperom, per cui non posso essere quello che muore stano e.»
«Ti va di fare una scommessa?» chiese Jesper.
«Non scomme erò sulla mia morte.»
Kaz si girò il cappello in testa e fece scorrere le dita guantate
lungo l’orlo in un veloce saluto militare. «Perché no, Bolliger? Lo
facciamo tu i i giorni.»
Aveva ragione. L’obbligo di Inej nei confronti di Per Haskell
comportava che lei scomme esse la propria vita ogni volta che
acce ava un nuovo lavoro o un nuovo incarico, ogni volta che
lasciava la propria stanza alla Stecca. Questa no e non era diversa.
Kaz urtò il selciato con il bastone da passeggio quando le
campane della Chiesa di Barter iniziarono a ba ere i colpi. Il gruppo
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si fece silenzioso. Il tempo delle chiacchiere era finito. «Geels non è
astuto, ma è sveglio abbastanza da essere un problema» disse Kaz.
«Non importa cosa senti, tu non ti unisci alla mischia finché io non
do l’ordine. Stai a enta.» Poi rivolse a Inej un veloce cenno del capo.
«E stai nascosta.»
«Nessun rimpianto» disse Jesper mentre lanciava il suo fucile a
Ro y.
«Nessun funerale» mormorò in risposta il resto degli Scarti. Tra di
loro, valeva come un “buona fortuna”.
Prima che Inej si mescolasse tra le ombre, Kaz le toccò il braccio
con la testa di corvo del suo bastone. «Dai un occhio alle guardie sul
te o. Geels potrebbe essersele comprate.»
«Allora...» cominciò lei, ma Kaz era già sparito.
Inej alzò le mani in un gesto di frustrazione. Aveva un centinaio di
domande, ma come al solito Kaz stava dando una stre a alle
risposte.
Inej tro erellò verso il canale che si affacciava sul muro della
Borsa. Solo ai vicecomandanti e ai loro secondi era permesso di
entrare durante il convegno. Però, nel caso le Punte Nere si fossero
messe in testa strane idee, gli altri Scarti avrebbero aspe ato subito
fuori dall’arco orientale con le armi sguainate. Sapeva che Geels
avrebbe avuto la sua squadra di Punte Nere ben armate radunata
all’ingresso occidentale.
Inej si sarebbe fa a strada tra di loro. Le regole della condo a
leale tra bande venivano dall’epoca di Per Haskell. In più, lei era lo
Spe ro – l’unica legge che le si poteva applicare era la legge di
gravità, e c’erano giorni in cui sfidava anche quella.
Il piano inferiore della Borsa era occupato da depositi senza
finestre, e Inej individuò il tubo di una grondaia per arrampicarsi.
L’a imo prima di appoggiarvi sopra la mano, qualcosa la fece
esitare. Estrasse dalla tasca un osso di luce e lo scrollò, ge ando un
pallido bagliore verde sopra il tubo. Era coperto d’olio. Seguì il
muro, alla ricerca di un altro punto, e trovò a portata di mano un
cornicione di pietra che sosteneva una statua con i tre pesci volanti
di Kerch. Si sollevò in punta di piedi e con prudenza esplorò con la
mano il bordo del cornicione. Era stato ricoperto di cocci di vetro.
“Mi stanno aspe ando” pensò con feroce piacere.
Si era unita agli Scarti meno di due anni prima, appena qualche
giorno dopo il suo quindicesimo compleanno. Era stata una
questione di sopravvivenza, ma la gratificava sapere che, in così
poco tempo, era diventata qualcuno da gestire con precauzione.
Ciononostante, se le Punte Nere credevano che trucche i come
questo avrebbero impedito allo Spe ro di raggiungere il suo
obie ivo, si sbagliavano di grosso.
Estrasse due chiodi da arrampicata dalla tasca del corpe o
imbo ito e li incastrò, prima l’uno e poi l’altro, tra le fessure del
muro per spingersi in alto, con i piedi che andavano alla ricerca delle
prese e degli appigli più piccoli nella roccia. Come un bambino che
impara a stare in equilibrio sulla corda da funambolo, lei era sempre
andata a piedi nudi. Ma le strade di Ke erdam erano troppo fredde
e bagnate. Dopo qualche bru a caduta, aveva pagato un Grisha
Fabrikator che lavorava di nascosto fuori da un negozio di liquori
sulla Wijnstraat perché le fabbricasse un paio di scarpe e di pelle
con la suola di gomma morbida. Le aderivano perfe amente ai piedi
e le davano la certezza di tenere la presa su ogni superficie.
Al secondo piano della Borsa, si issò sul davanzale di una finestra
largo a sufficienza soltanto per appollaiarcisi sopra.
Kaz aveva fa o del suo meglio per insegnarglielo, ma Inej non era
ancora brava quanto lui come scassinatrice, e le ci volle qualche
tentativo per forzare la serratura. Alla fine sentì un bel clic, e la
finestra si aprì su un ufficio deserto, dalle pareti tappezzate con
cartine geografiche che evidenziavano le ro e commerciali e lavagne
che elencavano i prezzi di mercato e i nomi delle navi. Si piegò per
entrare dentro, richiuse con il chiavistello e si fece strada dietro le
scrivanie vuote, sulle quali i contra i erano impilati con ordine.
A raversò la sala, raggiunse una serie di porte so ili e uscì su un
balcone che si affacciava sul cortile centrale della Borsa. Tu i gli
uffici navali ne avevano uno. Da qui, i messaggeri annunciavano
partenze e arrivi delle scorte in magazzino, o issavano la bandiera
nera per segnalare che una nave era stata persa al largo con tu o il
suo carico. La sala contra azioni della Borsa vomitava un turbinio di
traffici, i fa orini diffondevano le notizie in tu a la ci à, e il prezzo
delle merci, dei tassi di cambio e delle azioni nei viaggi in partenza si
alzava o si abbassava. Ma questa no e era tu o silenzioso.
Dal porto arrivò una folata di vento che recava con sé l’odore del
mare, e arruffò i capelli sfuggiti dalla treccia sulla nuca di Inej. Giù,
vide la luce oscillante delle lanterne e udì il bastone di Kaz ba ere
sui sassi mentre lui e i suoi secondi a raversavano la piazza. Sul lato
opposto, notò un’altra serie di lanterne che avanzavano verso di loro.
Le Punte Nere erano arrivate.
Inej si alzò il cappuccio. Salì sopra la balaustra e balzò senza far
rumore sul balcone accanto, poi su quello successivo, seguendo gli
altri lungo la piazza, cercando di stargli il più vicino possibile. La
giacca scura di Kaz si increspava nell’aria salata, il suo passo
zoppicante era più pronunciato questa no e, come sempre quando il
tempo era freddo. Inej riusciva a sentire Jesper, che teneva accesa la
conversazione, e i sogghigni di Bolliger il Grande, che echeggiavano
bassi.
Mentre si portava più vicino all’altro lato della piazza, Inej vide
che Geels aveva scelto di portarsi dietro come secondi Elzinger e
Oomen – esa amente come lei aveva previsto. Inej conosceva la
forza e la debolezza di ciascun membro delle Punte Nere, per non
parlare dei Segugi di Harley, degli Scoperchiati, dei Becchi di Rasoio,
dei Centesimi di Leone, e di ogni altra banda che operava nelle
strade di Ke erdam. Era il suo lavoro sapere che Geels si fidava di
Elzinger perché erano cresciuti insieme tra le fila delle Punte Nere, e
perché Elzinger era solido come un ammasso di rocce: alto quasi
se e piedi, muscoloso, con una faccia larga e schiacciata che si
incastrava in un collo spesso come un traliccio.
Inej fu improvvisamente felice che Bolliger il Grande fosse con
Kaz. Che lui avesse scelto Jesper come uno dei suoi secondi non era
una sorpresa. Nervoso com’era Jesper, con o senza le sue rivoltelle,
in un comba imento dava il meglio di sé, e lei sapeva che avrebbe
fa o qualunque cosa per Kaz. Era stata meno sicura quando Kaz
aveva insistito per Bolliger il Grande: faceva il bu afuori al Club dei
Corvi, ed era perfe amente a rezzato per ge are in strada ubriaconi
e perditempo, ma era troppo pesante e poco agile per essere di aiuto
p p pp p p g p
quando si arrivava a una vera rissa. Comunque, era perlomeno alto
abbastanza da guardare Elzinger dri o negli occhi.
Inej non voleva pensare eccessivamente all’altro secondo di Geels.
Oomen la rendeva nervosa. Non era fisicamente minaccioso come
Elzinger. Anzi, Oomen aveva l’aspe o di uno spaventapasseri – non
che fosse scheletrico, ma era come se so o i vestiti il suo corpo fosse
stato messo insieme congiungendo le articolazioni sbagliate. Si
diceva che una volta avesse spaccato il cranio di un uomo a mani
nude, che si fosse ripulito i palmi sul davanti della camicia e che
fosse andato avanti a bere.
Inej cercò di me ere a tacere l’agitazione che montava dentro di
lei, e si mise ad ascoltare i convenevoli di Geels e Kaz in piazza,
mentre i loro secondi si perquisivano l’un l’altro per accertarsi che
nessuno avesse portato con sé delle armi.
«Ca ivone» disse Jesper mentre estraeva un coltellino dalla
manica di Elzinger e lo lanciava dall’altra parte della piazza.
«Pulito» sentenziò Bolliger il Grande mentre finiva di perquisire
Geels e passava a Oomen.
Kaz e Geels discutevano del tempo e del sospe o che il Kooperom
servisse gli alcolici annacquati ora che l’affi o era stato alzato,
girando a orno al vero motivo per cui erano venuti qui stasera. In
teoria, avrebbero chiacchierato, si sarebbero chiesti scusa, si
sarebbero de i d’accordo nel rispe are i confini del Quinto Porto,
poi tu i fuori a cercarsi qualcosa da bere insieme – almeno questo
era quello che Per Haskell aveva insistito che facessero.
“Ma che cosa ne sa Per Haskell?” pensò Inej mentre cercava con
gli occhi le guardie che pa ugliavano il te o di sopra, tentando di
individuare la loro sagoma nel buio. Haskell era a capo degli Scarti,
ma in questi giorni preferiva sedere al caldo del suo ufficio, a bere
birra tiepida, a costruire modellini di navi, e a raccontare le lunghe
storie delle sue imprese a chiunque le volesse stare a sentire.
Sembrava che pensasse che le guerre per il territorio potessero
essere gestite come una volta: con una piccola zuffa e una stre a di
mano amichevole. Ma tu i quanti i sensi di Inej le dicevano che non
era quello il modo in cui le cose sarebbero andate a finire. Suo padre
avrebbe de o che le ombre erano al lavoro questa no e. Qualcosa di
bru o stava per accadere.
Kaz era in piedi con entrambe le mani infilate nei guanti e
appoggiate sulla testa di corvo intagliata in cima al suo bastone.
Dava l’idea di essere totalmente a proprio agio, il viso stre o tenuto
in ombra dalla tesa del cappello. Per lo più, i membri delle bande del
Barile amavano vestire in modo appariscente: pancio i vistosi,
orologi da taschino incastonati di gemme false, pantaloni in ogni
tessuto e fantasia immaginabile. Kaz era l’eccezione, l’immagine
della sobrietà, con i suoi gilè scuri e i suoi pantaloni dal taglio
semplice e su misura nel rispe o delle linee più severe. All’inizio,
Inej aveva pensato che fosse una questione di gusto, ma poi era
arrivata a capire che si tra ava di uno scherzo che lui giocava ai
mercanti onesti. Gli piaceva sembrare uno di loro.
«Sono un uomo d’affari» le aveva de o. «Niente di più, niente di
meno.»
«Tu sei un ladro, Kaz.»
«Non è quello che ho appena de o?»
Ora assomigliava a qualche specie di prete venuto a raccogliere in
preghiera un gruppo di acrobati da circo. “Un giovane prete” pensò
in preda a un altro a acco d’ansia.
Kaz aveva definito Geels vecchio e bollito, ma di certo non era
come appariva stasera. Il vicecomandante delle Punte Nere poteva
anche avere delle rughe che gli sgualcivano il contorno occhi e delle
guance cascanti so o le base e, ma pareva sicuro di sé, competente.
Accanto a lui Kaz sembrava... be’, un diciasse enne.
«Siamo onesti, ja? Tu i noi vogliamo gra are via qualcosa in più»
disse Geels, tamburellando sui bo oni a specchio del suo pancio o
giallo-verde. «Non è giusto da parte tua prosciugare ogni turista
pieno di soldi che scende da una nave da crociera a Quinto Porto.»
«Quinto Porto è nostro» replicò Kaz. «Gli Scarti spennano per
primi i polli che arrivano a cercare qualche divertimento.»
Geels scrollò la testa. «Tu sei così giovane, Brekker» disse con una
risatina indulgente. «Forse non ti rendi conto di come funzionano
queste cose. I porti appartengono alla ci à, e noi abbiamo i nostri
diri i come chiunque altro. Dobbiamo tu i campare.»
q p
Tecnicamente, era vero. Ma Quinto Porto era un luogo inservibile
e quasi del tu o abbandonato all’epoca in cui Kaz se ne era
impadronito. Lui l’aveva riportato alla luce, aveva ricostruito i moli e
le banchine, e aveva dovuto ipotecare il Club dei Corvi per farlo. Per
Haskell aveva imprecato contro di lui e lo aveva accusato di essere
un pazzo ad affrontare dei costi simili, ma alla fine aveva ceduto.
Stando a quanto diceva Kaz, le esa e parole del vecchio erano state:
“Prendi tu a la corda e impiccati”.
Ma gli sforzi erano stati ripagati in meno di un anno. Ora Quinto
Porto offriva ormeggi tanto alle navi mercantili quanto alle barche
che da tu o il mondo portavano turisti e soldati desiderosi di
scoprire le a ra ive e assaporare i piaceri di Ke erdam. Gli Scarti
erano i primi ad accoglierli e a condurli – loro e i loro portafogli – nei
bordelli, nelle taverne e nelle bische di proprietà della banda. Quinto
Porto aveva reso il vecchio molto ricco, e aveva consolidato gli Scarti
come figure di spicco nel Barile in un modo che nemmeno il successo
del Club dei Corvi aveva o enuto. Ma insieme ai profi i erano
arrivate le a enzioni indesiderate. Era da un anno che Geels e le
Punte Nere creavano problemi agli Scarti, sconfinando a Quinto
Porto, andando a caccia di polli che non spe avano a loro.
«Quinto Porto è nostro» ripeté Kaz. «Non sono qui per negoziare.
Ti stai introme endo nel nostro traffico dalle banchine, e hai
interce ato un carico di jurda che avrebbe dovuto a raccare due
no i fa.»
«Non so di cosa tu stia parlando.»
«So che ti viene facile, Geels, ma cerca di non fare il finto tonto
con me.»
Geels avanzò di un passo. Jesper e Bolliger il Grande si
irrigidirono.
«Piantala di mostrare i muscoli, ragazzino» disse Geels. «Lo
sappiamo tu i che il vecchio non ce l’ha lo stomaco per una vera
scazzo ata.»
La risata di Kaz suonò asciu a come il fruscio delle foglie secche.
«Ma ci sono io alla tua tavola, Geels, e non sono qui per darti solo un
assaggio. Se vuoi la guerra, farò in modo di farti mangiare fino a
scoppiare.»
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«E se tu non sei in circolazione, Brekker? Lo sanno tu i che sei tu
la spina dorsale dell’operazione Haskell: basta spezzarla e gli Scarti
crollano a terra.»
Jesper sbuffò. «Stomaco, spina dorsale. Adesso a chi tocca? Alla
milza?»
«Chiudi quella bocca» ringhiò Oomen. Le regole del convegno
volevano che soltanto i vicecomandanti potessero parlare una volta
che le negoziazioni avevano avuto inizio. Jesper mosse le labbra per
formare la parola “scusa” ed esasperò in modo esagerato il gesto di
tapparsi la bocca.
«Sono ragionevolmente certo che tu mi stia minacciando, Geels»
disse Kaz. «Ma voglio essere sicuro al cento per cento prima di
decidere cosa fare a riguardo.»
«Sicuro di te, vero, Brekker?»
«Di me e di nessun altro.»
Geels scoppiò a ridere e diede di gomito a Oomen. «Ma senti
questo presuntuoso piccolo pezzo di merda. Brekker, queste strade
non sono tue. I bambini come te sono pulci. Ogni qualche anno salta
fuori una nuova nidiata a dare fastidio ai migliori, finché un cane
grosso decide di gra arsele via. E lascia che te lo dica, io sono
piu osto stanco di sentire prurito.» Incrociò le braccia, con la
soddisfazione che gli si riversava fuori in ondate compiaciute. «E se
ti dicessi che ci sono due guardie con i loro fucili d’ordinanza
puntati contro di te e contro i tuoi, proprio adesso?»
A Inej si strizzarono le budella. Era questo che intendeva Kaz
quando aveva de o che Geels forse si era comprato le guardie?
Kaz guardò in alto verso il te o. «Assoldare le guardie ci adine
per i tuoi omicidi? Oserei dire che è un proge o costoso per una
banda come le Punte Nere. Non sono convinto che i tuoi fondi
possano sostenere questo tipo di spesa.»
Inej si arrampicò sulla balaustra e si lanciò, lasciando la sicurezza del
balcone, per puntare al te o. Se fossero sopravvissuti a stano e, ci
avrebbe pensato lei a uccidere Kaz.
C’erano sempre due guardie della stadwatch appostate sul te o
della Borsa. Qualche kruge proveniente dalle tasche degli Scarti e
delle Punte Nere aveva fa o in modo che non interferissero con il
convegno, una transazione abbastanza comune.
Ma Geels stava insinuando qualcosa di molto diverso. Aveva
davvero corro o le guardie della ci à per farle diventare i suoi
cecchini? In questo caso, le probabilità degli Scarti di sopravvivere
alla no e si erano appena rido e alla punta di un coltello.
Come la maggior parte degli edifici di Ke erdam, la Borsa aveva
un te o spiovente per far scivolare via la pioggia torrenziale, così le
guardie lo pa ugliavano da una stre a passerella che dava sul
cortile. Inej la ignorò. Era la via più semplice, ma l’avrebbe esposta
troppo. Invece si arrampicò sulle tegole scivolose del te o e iniziò a
strisciare, con il corpo inclinato a un’angolazione instabile,
muovendosi come un ragno mentre teneva un occhio sulla passerella
in cui c’erano le guardie e un orecchio sulla conversazione di so o.
Forse Geels stava bluffando. O forse due guardie erano curve
sopra la balaustra proprio in questo momento, e avevano Kaz o
Jesper o Bolliger il Grande so o tiro.
«C’è costato un po’» ammise Geels. «Al momento, siamo ancora
una piccola impresa, e le guardie ci adine non sono a buon mercato.
Ma il premio varrà la pena.»
«Il premio sarei io?»
«Il premio saresti tu.»
«Sono lusingato.»
«Gli Scarti non dureranno una se imana senza di te.»
«Gli darei un mese, per pura inerzia.»
Quel pensiero si diba é con rumore nella testa di Inej. Se Kaz
morisse, resterei? Oppure disonorerei il mio debito? Correrei il rischio con
gli scagnozzi di Haskell?
Se non si fosse data una mossa, l’avrebbe scoperto di sicuro.
«Piccolo ra o arrogante dei bassifondi.» Geels rise. «Non vedo
l’ora di cancellarti quello sguardo dalla faccia.»
«E allora fallo» disse Kaz. Inej si azzardò a guardare giù. La sua
voce era cambiata, ogni ironia sparita.
«Devo farti piantare una pallo ola nella gamba buona, Brekker?»
“Dove sono le guardie?” si chiese Inej, accelerando il passo.
A raversò di corsa la ripida pendenza del te o. La Borsa si
p p
estendeva in lunghezza più o meno quanto un isolato della ci à. Il
territorio da controllare era troppo.
«Piantala di blaterare, Geels. Digli di sparare.»
«Kaz...» disse Jesper nervosamente.
«Avanti. Tira fuori le palle e dai l’ordine.»
A che gioco stava giocando Kaz? Se l’era aspe ato? Aveva
semplicemente dato per scontato che Inej avrebbe raggiunto le
guardie in tempo?
Guardò giù di nuovo. Geels era in trepidante a esa. Fece un
respiro profondo, gonfiando il pe o. Inej vacillò, e dove e farsi forza
per non scivolare dal bordo del te o. Sta per farlo. Vedrò morire Kaz.
«Fuoco!» gridò Geels.
Uno sparo spezzò l’aria. Bolliger il Grande si lasciò sfuggire un
lamento e si accasciò a terra.
«Dannazione!» sbraitò Jesper, piegandosi su un ginocchio accanto
a Bolliger e pigiando la mano sul buco della pallo ola mentre
l’omone gemeva. «Tu, miserabile ciccione!» inveì contro Geels. «Hai
appena violato il territorio neutrale.»
«E chi lo dice che non avete sparato voi per primi?» replicò Geels.
«E chi lo verrà a sapere? Nessuno di voi uscirà vivo da qui.»
La voce di Geels suonava troppo alta. Stava cercando di
mantenere il controllo, ma Inej poteva sentire il terrore pulsare nelle
sue parole, il convulso ba ito d’ali di un uccello terrorizzato. Ma
perché? Solo qualche istante prima si era comportato da spaccone.
Fu allora che Inej si accorse che Kaz non si era ancora mosso.
«Non hai un bell’aspe o, Geels.»
«Sto bene» disse lui. Ma non era vero. Era pallido e malfermo. Gli
occhi sfrecciavano a destra e a sinistra come in cerca delle ombre
sulla passerella del te o.
«Davvero?» chiese Kaz, come per fare conversazione. «Le cose
non stanno andando esa amente come previsto, giusto?»
«Kaz» disse Jesper. «Bolliger sta perdendo sangue.»
«Bene» replicò Kaz.
«Ha bisogno di un medico!»
Kaz rivolse all’uomo ferito il più freddo degli sguardi. «Quello di
cui ha bisogno è sme ere di piagnucolare ed essere grato che non ho
g p g g
chiesto a Holst di piantargli una pallo ola in testa.»
Anche da lassù, Inej vide Geels trasalire.
«È il nome della sentinella, giusto?» domandò Kaz. «Willem Holst
e Bert Van Daal, le due guardie ci adine in servizio stasera. Quelle
che ti sei comprato dilapidando i fondi delle Punte Nere?»
Geels non disse niente.
«A Willem Holst» gridò Kaz, la voce che saliva flu uando fino al
te o, «piace scomme ere quasi quanto piace a Jesper, così i tuoi
soldi gli hanno fa o gola. Ma Holst ha problemi molto più grossi...
chiamiamoli desideri. Non scenderò nei de agli. Un segreto non è
una moneta. Non ha più valore, una volta speso. Ti basti sapere che
farebbe rivoltare lo stomaco persino a te. Non è vero, Holst?»
La risposta fu un altro sparo. Che colpì i cio oli accanto ai piedi di
Geels. L’uomo si lasciò uscire un lamento scioccato e fece un salto
indietro.
Questa volta Inej ebbe modo di rintracciare l’origine dello sparo. Il
colpo era partito da qualche parte nella zona occidentale
dell’edificio. Se Holst era là, voleva dire che l’altra sentinella – Bert
Van Daal – si trovava a est. Kaz aveva neutralizzato anche lui?
Oppure stava contando su di lei? Salì di corsa sul te o.
«Sparagli, Holst!» urlò Geels, con una disperazione evidente nella
voce. «Sparagli in testa!»
Kaz fece una smorfia di disgusto. «Pensi veramente che il segreto
morirebbe con me? Avanti, Holst» lo incalzò. «Me imi un proie ile
nel cranio. I corrieri arriveranno di corsa alla porta di tua moglie e
del tuo capitano prima ancora che io tocchi terra.»
Niente spari.
«Come hai fa o?» chiese Geels in modo brusco. «Come sei venuto
a sapere chi sarebbe stato in servizio stano e? Ho dovuto pagare un
occhio della testa per o enere l’elenco dei turni. Non avresti potuto
offrire di più.»
«Me iamola così: la mia valuta unge meglio le ruote.»
«I soldi sono soldi.»
«Io smercio informazioni, Geels, le cose che gli uomini fanno
quando pensano che nessuno li stia guardando. La vergogna ha un
valore che il denaro non potrà mai avere.»
p
Stava a irando l’a enzione su di sé, Inej lo vedeva, così da
guadagnare tempo per lei, che intanto balzava sopra le tegole di
ardesia.
«Sei preoccupato per la seconda sentinella?» Il buon vecchio Bert
Van Daal?» chiese Kaz. «Forse è quassù proprio ora, a domandarsi
cosa fare. Sparare a me? Sparare a Holst? O forse mi sono comprato
anche lui, ed è pronto a farti un buco nel pe o, Geels.» Si sporse
come se lui e Geels stessero condividendo un grosso segreto. «Perché
non dai l’ordine a Van Daal e non lo scopri?»
Geels aprì e chiuse la bocca come un pesce, poi strillò: «Van
Daal!».
Non appena la guardia mosse le labbra per rispondere, Inej
scivolò dietro di lui e gli mise una lama alla gola. Aveva avuto a
malapena il tempo di individuare la sua ombra e sli are veloce giù
per le tegole del te o. Santi numi, a Kaz piaceva farcela per un pelo.
«Sssh» sussurrò all’orecchio di Van Daal. Gli diede un colpe o nel
fianco in modo che lui potesse sentire la punta del secondo pugnale
premuta sul rene.
«Ti prego» piagnucolò. «Io...»
«Mi piace quando gli uomini supplicano» disse lei. «Ma non è
questo il momento.»
Di so o, il pe o di Geels si alzava e si abbassava in preda al
panico. «Van Daal!» gridò di nuovo. Quando si girò verso Kaz, la sua
faccia era stravolta dalla rabbia. «Sempre un passo avanti, vero?»
«Geels, quando si tra a di te, mi vien da dire che parto
avvantaggiato.»
Ma Geels fece un sorriso – un sorrisino, tirato e soddisfa o. “Il
sorriso del vincitore” realizzò Inej in preda a una nuova paura.
«Non è ancora finita.» Geels infilò una mano nella giacca ed
estrasse una grossa pistola nera.
«Era ora» disse Kaz. «La grande rivelazione. Finalmente Jesper
può sme erla di piangere su Bolliger come una vedova.»
Jesper fissò la pistola con uno sguardo scioccato e furibondo.
«Bolliger l’ha perquisito. Lui... Oh, Bol il Grande, sei un idiota» disse
con un gemito.
Inej non riusciva a credere ai propri occhi. Alla guardia tra le sue
braccia scappò uno squi io. Per la rabbia e la sorpresa, aveva
premuto un po’ troppo. «Rilassati» gli disse, mollando leggermente
la presa. Ma, per tu i i Santi, accidenti se voleva infilare un coltello
da qualche parte. Bolliger il Grande era stato l’unico a perquisire
Geels. Non poteva non essersi accorto della pistola.
Li aveva traditi.
Era per questo che Kaz aveva insistito nel portarsi dietro Bolliger
il Grande stano e... per avere la prova pubblica che era passato dalla
parte delle Punte Nere? Era di certo quello il motivo per cui aveva
lasciato che Holst gli piantasse una pallo ola in pancia. E allora?
Adesso tu i sapevano che Bol il Grande era un traditore. Ma Kaz
aveva ancora una pistola puntata al pe o.
Geels fece un sorrise o. «Kaz Brekker, il grande artista della fuga.
Come farai a scappare questa volta?»
«Uscendo dalla stessa parte dalla quale sono entrato.» Kaz ignorò
la pistola e indirizzò la sua a enzione all’uomo grande e grosso che
giaceva a terra. «Sai qual è il tuo problema, Bolliger?» Pungolò la
ferita nel ventre di Bol il Grande con la punta del suo bastone. «Non
era una domanda retorica. Sai qual è il tuo problema più grosso?»
Bolliger si lamentò. «Nooo.»
«Prova a indovinare» sibilò Kaz.
Bol il Grande non disse niente, emise solo un altro guaito
tremolante.
«D’accordo, te lo dico io. Sei pigro. Lo so io. E lo sanno tu i. Per
cui mi sono dovuto chiedere perché mai il più pigro dei miei
bu afuori si alzasse la ma ina presto due volte alla se imana e si
facesse a piedi due miglia in più per fare colazione da Friggicilla,
specialmente quando le uova del Kooperom sono molto meglio. Bol
il Grande diventa ma iniero, le Punte Nere iniziano a
spadroneggiare intorno a Quinto Porto e poi interce ano il nostro
carico di jurda più grosso. Non è stato un collegamento difficile da
fare.» Kaz sospirò e disse, rivolto a Geels: «Questo è quello che
succede quando le persone stupide iniziano a fare grandi proge i,
ja?».
«Non importa granché ora, che dici?» replicò Geels. «Questa farà
dei gran bru i danni, sto per spararti da distanza ravvicinata. Forse
le tue guardie colpiranno me o i miei ragazzi, ma tu di sicuro non
schiverai questo proie ile.»
Kaz fece un passo avanti, verso la canna della pistola, che ora
premeva dire amente contro il suo pe o. «No di sicuro, Geels.»
«Tu credi che non lo farò.»
«Oh, io credo che tu lo faresti con gioia, sulle note di una canzone
nel tuo cuore nero. Ma non lo farai. Non stano e.»
Il dito di Geels freme e sul grille o.
«Kaz» disse Jesper. «Tu o questo “sparami” sta iniziando a
preoccuparmi.»
Oomen non si disturbò a rinfacciare a Jesper il fa o che stesse
parlando ad alta voce. Un uomo era a terra. Il territorio neutrale era
stato violato. L’odore acre e pungente della polvere da sparo
aleggiava ancora nell’aria – e in aggiunta a tu o questo c’era una
domanda, inespressa, come se la Signora con la Falce in persona
fosse in a esa della risposta: quanto sangue sarebbe stato sparso
stano e?
Una sirena ululò in lontananza.
«Burstraat diciannove» disse Kaz.
Finora Geels aveva spostato leggermente il suo peso da un piede
all’altro; ora si immobilizzò.
«È l’indirizzo della tua ragazza, vero, Geels?»
L’altro deglutì. «Non ho una ragazza.»
«Oh sì che ce l’hai» lo sbeffeggiò Kaz. «È anche carina. Be’, carina
il giusto per una canaglia come te. Sembra dolce. Tu la ami, vero?»
Persino dal te o, Inej riusciva a vedere il luccichio del sudore sulla
faccia cerea di Geels. «Ma certo che la ami. Nessun’altra altre anto
graziosa avrebbe mai rivolto lo sguardo due volte a uno scarto del
Barrel come te, ma lei è diversa. Ti trova affascinante. Un chiaro
segnale di follia, se vuoi il mio parere, ma l’amore, si sa, è strano. Le
piace appoggiare la sua testolina sulla tua spalla? Ascoltarti mentre
le racconti com’è andata la giornata?»
Geels guardò Kaz come se lo vedesse finalmente per la prima
volta. Il ragazzo a cui aveva parlato era stato presuntuoso,
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avventato, facile alle risate, ma non spaventoso... non veramente.
Ora il mostro era qui, con lo sguardo spento e senza nulla da temere.
Kaz Brekker era sparito, ed era arrivato Manisporche a fare,
appunto, il lavoro sporco.
«Vive al numero diciannove della Burstraat» continuò Kaz nella
sua voce rauca. «Al terzo piano, con i gerani alle finestre. Ci sono
due Scarti in a esa fuori dalla sua porta proprio ora, e se io non esco
fuori di qui tu o intero e in buone condizioni, daranno fuoco a quel
posto dalle fondamenta al te o. Le fiamme saliranno nel giro di
qualche secondo, incenerendo tu o da entrambi i lati con la povera
Elise intrappolata in mezzo. I suoi capelli biondi prenderanno fuoco
per primi. Come lo stoppino di una candela.»
«Stai bluffando» disse Geels, ma la mano che reggeva la pistola
tremava.
Kaz alzò la testa e trasse un respiro profondo. «Si sta facendo
tardi. Hai sentito la sirena. C’è un odore salmastro nell’aria, di mare,
di sale, e forse... è fumo l’odore che sento?» C’era del piacere nella
sua voce.
“Oh, in nome dei Santi, Kaz” pensò Inej tristemente. “Che cosa
hai fa o?”
Di nuovo, il dito di Geels freme e sul grille o, e Inej si irrigidì.
«Lo so, Geels. Lo so» disse Kaz comprensivo. «Tu o quel
pianificare e complo are e corrompere per niente. Ecco a cosa stai
pensando in questo momento. A quanto ti farà male tornare a casa
sapendo quel che hai perso. A quanto si arrabbierà il tuo capo
quando ti presenterai a mani vuote e molto più povero per niente. A
quanta soddisfazione ti darebbe piantarmi una pallo ola nel cuore.
Puoi farlo. Tira il grille o. Possiamo cadere a terra insieme. Possono
portare fuori i nostri corpi e bruciarli alla Chia a del Mietitore, dove
vanno a finire tu i i poveracci. Oppure il tuo orgoglio può incassare
questo colpo e tu puoi tornartene sulla Burstraat, adagiare la testa
nel grembo della tua ragazza, addormentarti mentre ancora respiri e
sognare la tua vende a. Sta a te, Geels. Ce ne andiamo a casa
stano e?»
Geels cercò lo sguardo di Kaz, e qualunque cosa ci vide gli fece
afflosciare le spalle. Inej si sorprese a provare una fi a di
p j p p
compassione per lui. Era entrato qui tu o gasato, spavaldo, un
sopravvissuto, un campione del Barile. E ne sarebbe uscito da
vi ima, l’ennesima, di Kaz Brekker.
«Un giorno avrai quello che ti meriti, Brekker.»
«L’avrò» disse Kaz, «se c’è una giustizia a questo mondo. E
sappiamo tu i quanto sia improbabile.»
Geels lasciò cadere il braccio. La pistola penzolava inutile al suo
fianco.
Kaz fece un passo indietro, spazzolando il punto della camicia
dov’era stata appoggiata la canna della pistola. «Di’ al tuo generale
di tenere le Punte Nere alla larga da Quinto Porto, e che ci
aspe iamo un risarcimento per il carico di jurda che abbiamo perso,
più il cinque per cento per aver estra o il ferro in territorio neutrale
e un altro cinque per cento per essere un così spe acolare ammasso
di teste di cazzo.»
Poi, all’improvviso, il bastone di Kaz roteò bruscamente e disegnò
un arco.
Geels lanciò un urlo quando le ossa del polso gli si spezzarono. La
pistola sferragliò sul selciato.
«L’avevo abbassata!» strillò Geels, reggendosi la mano. «L’avevo
abbassata!»
«Puntamela contro un’altra volta e ti spacco tu i e due i polsi, così
dovrai assumere qualcuno che ti aiuti a pisciare.» Kaz si sollevò la
tesa del cappello con la cima del bastone. «O forse puoi chiedere alla
tua adorabile Elise di darti una mano.»
Kaz si accovacciò a terra accanto a Bolliger. L’omone uggiolò.
«Guardami. Ammesso che tu non muoia dissanguato stano e, hai
tempo fino al tramonto di domani per andartene da Ke erdam. Se
vengo a sapere che sei da qualche parte a orno ai confini della ci à,
ti ritroverai dentro un barile del Friggicilla.» Poi guardò Geels. «Se
scopro che lo stai aiutando, o che lavora per le Punte Nere, stai
tranquillo che vengo a cercarti.»
«Ti prego, Kaz» supplicò Bolliger.
«Avevi una casa, e ne hai distru o la porta con una palla da
demolizione. Non cercare la mia comprensione.» Si rialzò e controllò
l’orologio da taschino. «Non mi aspe avo che andasse così tanto per
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le lunghe. Sarà meglio che mi incammini o la povera Elise soffrirà un
po’ il caldo.»
Geels scrollò la testa. «C’è qualcosa che non va in te, Brekker. Non
so cos’è, ma non sei a posto.»
Kaz piegò la testa di lato. «Tu vieni dalla periferia, giusto, Geels?
Arrivato in ci à per cercare fortuna?» Si lisciò il bavero della giacca
con una mano guantata. «Bene, io sono quel genere di bastardo che
soltanto nel Barile sono capaci di fabbricare.»
Kaz diede le spalle alle Punte Nere, nonostante ai loro piedi ci
fosse la pistola carica, e zoppicando si avviò sull’accio olato verso
l’arco orientale. Jesper si accucciò vicino a Bolliger e gli diede un
buffe o gentile sulla guancia. «Idiota» disse con tristezza, e seguì
Kaz fuori dalla Borsa.
Dal te o, Inej continuò a guardare Oomen che raccoglieva la
pistola di Geels e la me eva nella fondina, e le Punte Nere che si
scambiavano qualche parola so ovoce.
«Non andartene» implorava Bolliger il Grande. «Non
abbandonarmi.» Cercò di aggrapparsi ai risvolti dei pantaloni di
Geels.
L’uomo se lo scrollò di dosso. Lo lasciarono rannicchiato su un
fianco, a perdere sangue sul selciato.
Inej strappò il fucile dalle mani di Van Daal prima di lasciarlo
andare. «Vai a casa» disse alla guardia.
Lui ge ò una singola occhiata terrorizzata da sopra la spalla e
sparì di corsa giù per la passerella.
Di so o, Bol il Grande cercava di trascinarsi sul pavimento della
Borsa. Avrebbe potuto essere abbastanza stupido da rincrociare Kaz
Brekker, ma era sopravvissuto a lungo nel Barile, e per quello ci
voleva una certa forza di volontà. Poteva farcela.
“Aiutalo” disse una voce dentro di lei. Fino a pochi minuti prima,
era stato suo fratello d’armi. Sembrava sbagliato lasciarlo da solo.
Avrebbe potuto raggiungerlo, offrirsi di me ere fine alla sua
sofferenza velocemente, tenergli la mano mentre se ne andava.
Avrebbe potuto andare a chiamare un medico per salvarlo.
Invece disse una veloce preghiera nella lingua dei suoi Santi e
iniziò a scendere lungo il muro esterno. Inej aveva pietà del ragazzo
g j p g
che avrebbe potuto morire da solo, senza nessuno che gli desse un
po’ di conforto nelle sue ultime ore, o che avrebbe potuto
sopravvivere e trascorrere tu o il resto della vita in esilio. Ma il
lavoro di stano e non era ancora finito, e lo Spe ro non aveva tempo
per i traditori.
3
KAZ

Grida di giubilo accolsero Kaz mentre spuntava dall’arco orientale,


con Jesper subito dietro che, se non si ingannava, stava già me endo
il broncio.
Dirix, Ro y e gli altri si fiondarono da loro, urlando e sparando, le
rivoltelle di Jesper puntate in alto. La banda aveva visto poco di
quello che era successo con Geels, ma in compenso avevano sentito
quasi tu o. Ora stavano scandendo lo slogan: “La Burstraat va a
fuoco! Gli Scarti non hanno acqua!”.
«Non riesco a credere che abbia infilato la coda tra le gambe» lo
schernì Ro y. «Aveva una pistola carica in mano!»
«Dicci cosa sapevi sulla guardia» supplicò Dirix.
«Non può essere una delle solite cose.»
«Ho sentito che c’era questo ragazzo a Sloken a cui piaceva
rotolarsi nel succo di mela e poi prendere due...»
«Non dirò niente» disse Kaz. «Holst potrebbe tornare utile in
futuro.»
L’atmosfera era nervosa, e le risate avevano l’isteria tipica di
quando il disastro è imminente. Alcuni si erano aspe ati uno scontro
e non vedevano l’ora che ce ne fosse uno. Ma Kaz sapeva che c’era
qualcos’altro in ballo, e non aveva mancato di notare che nessuno
aveva menzionato Bolliger il Grande. Il suo tradimento li aveva
colpiti duramente – sia scoprirlo sia il modo in cui Kaz l’aveva
punito. Dietro tu e quelle urla e quegli spintoni, c’era paura. Bene.
Kaz contava sul fa o che gli Scarti fossero tu i assassini, ladri e
bugiardi. Doveva però essere sicuro che non prendessero l’abitudine
di mentire a lui.
Spedì due di loro a controllare Bol il Grande, e ad accertarsi che se
si fosse rimesso in piedi avrebbe lasciato la ci à. Gli altri potevano
p p
tornare alla Stecca e al Club dei Corvi ad affogare le preoccupazioni
nell’alcol, a fare casino e a far girare la voce di come si erano svolti
gli eventi della no e. Avrebbero raccontato cosa avevano visto,
avrebbero ricamato il resto, e a ogni versione Manisporche sarebbe
diventato sempre più pazzo e spietato. Ma Kaz aveva degli affari da
sbrigare, e la sua prima tappa sarebbe stata Quinto Porto.
Jesper incrociò il suo cammino. «Avresti dovuto avvisarmi su
Bolliger il Grande» disse in un sussurro furioso.
«Non dirmi cosa devo fare, Jes.»
«Pensi che anch’io sia un venduto?»
«Se lo pensassi, adesso ti staresti infilando le budella nella pancia
sul pavimento della Borsa come Bolliger il Grande, quindi piantala
di dare aria alla bocca.»
Jesper scrollò la testa e mise le mani sulle rivoltelle che si era fa o
restituire da Dirix. Tu e le volte che era di ca ivo umore gli piaceva
accarezzare una pistola, come un bambino che cerca il conforto del
suo pupazzo preferito.
Sarebbe stato piu osto facile fare pace. Kaz avrebbe potuto dire a
Jesper che sapeva che era pulito, ricordargli che si era fidato al punto
da avere solo lui come secondo in un confli o che avrebbe potuto
finire veramente male. Invece gli disse: «Vai, Jesper. C’è un conto
aperto che ti aspe a al Club dei Corvi. Gioca fino a domani ma ina
o finché la fortuna ti volterà le spalle, qualunque cosa arrivi prima».
Jesper lo guardò storto, ma non riuscì a tenere il barlume di
cupidigia lontano dai suoi occhi. «Un’altra mazze a?»
«Sono una persona abitudinaria.»
«Buon per te, lo sono anch’io.» Esitò abbastanza a lungo da
aggiungere: «Non ci vuoi con te? I ragazzi di Geels saranno nervosi,
dopo quello che è successo».
«Lasciali venire» rispose Kaz, e svoltò sulla Nemstraat senza dire
altro. Se non eri in grado di camminare da solo per Ke erdam una
volta calato il buio, allora tanto valeva che ti appendessi al collo un
cartello con scri o “smidollato” e che ti sdraiassi a terra a prenderle.
Sentiva gli sguardi degli Scarti sulla schiena mentre si avviava
verso il ponte. Non aveva bisogno di ascoltare i loro bisbigli per
sapere cosa si stavano dicendo. Volevano bere insieme a lui, farsi
p
raccontare come aveva fa o a scoprire che Bolliger il Grande era
passato dalla parte delle Punte Nere, ascoltarlo mentre descriveva lo
sguardo di Geels nel momento in cui aveva abbassato la pistola. Ma
erano situazioni che con Kaz non avrebbero mai vissuto, e se non gli
stava bene potevano cercarsi un’altra banda.
Indipendentemente da cosa pensavano di lui, stano e avrebbero
camminato a testa più alta. Ecco perché restavano, perché gli
offrivano la loro versione migliore di lealtà. Quando era diventato
ufficialmente un membro degli Scarti aveva dodici anni, e la banda
era lo zimbello della ci à, bambini di strada e scrocconi senza futuro
che facevano il gioco delle tre carte e altri imbrogli da qua ro soldi
fuori da una baracca fatiscente nella zona peggiore del Barile. Ma a
lui non serviva una banda importante, piu osto una banda che
poteva diventare importante – una banda che aveva bisogno di lui.
Ora avevano il loro territorio, la loro bisca, e quella baracca era
diventata la Stecca, un posto accogliente dove potevi mangiare un
pia o caldo o rifugiarti quand’eri ferito. Ora gli Scarti erano temuti.
Era stato Kaz a dargli tu o questo. Non era tenuto a dargli, in più,
anche le chiacchiere.
E poi, ci avrebbe pensato Jesper a spianare le cose. Qualche
bicchiere giù per la gola, qualche mano alzata e il buon cara ere del
suo tiratore scelto sarebbe riemerso. Reggeva il rancore tanto quanto
reggeva l’alcol, e aveva il dono di far sembrare le vi orie di Kaz
come se fossero le vi orie di tu i.
Non appena si diresse verso uno dei canale i che l’avrebbero
portato dietro Quinto Porto, Kaz si accorse che si sentiva – per tu i i
Santi – quasi fiducioso. Forse avrebbe dovuto farsi vedere da un
medico. Le Punte Nere gli erano stati alle calcagna per se imane, e
ora lui li aveva costre i a compiere la loro mossa. Anche la gamba
non gli faceva troppo male, malgrado il freddo invernale. Il dolore
era sempre lì, ma questa no e pulsava solo leggermente.
Ciononostante, una parte di lui si domandava se il convegno fosse
stato una specie di esame che gli aveva preparato Per Haskell.
Haskell era capacissimo di convincersi di essere lui il genio che
aveva fa o rifiorire gli Scarti, specialmente se uno dei suoi compagni
di merenda glielo andava sussurrando nell’orecchio. Quest’idea non
g
lo faceva stare tranquillo, ma Kaz si sarebbe preoccupato di Per
Haskell il giorno dopo. Per il momento, avrebbe verificato che tu o
al porto stesse procedendo come da programma e poi sarebbe
tornato a casa alla Stecca per un po’ di meritato riposo.
Sapeva che Inej lo stava seguendo come un’ombra. Era stata con
lui per tu o il tempo, dalla Borsa in poi. Non le chiese di uscire allo
scoperto. Si sarebbe fa a vedere quando fosse stata pronta. Di solito
gli piaceva la quiete; anzi, avrebbe cucito volentieri la bocca alla
maggior parte delle persone. Ma quando voleva, Inej sapeva come
farti pesare il suo silenzio. Ti portava al limite.
Kaz riuscì a sopportarlo fino a dopo le ringhiere di ferro di
Zen bridge, con l’inferriata ricoperta da piccoli pezzi di corda
allacciati in nodi elaborati, le preghiere per tornare a casa sani e salvi
che lasciavano i marinai. Sciocche superstizioni. Alla fine cede e e
disse: «Sputa il rospo, Spe ro».

La voce di lei arrivò dall’oscurità. «Non hai mandato nessuno


sulla Burstraat.»
«Perché avrei dovuto?»
«Se Geels non arriva là in tempo...»
«Nessuno sta dando fuoco al numero civico diciannove.»
«Ho sentito la sirena.»
«Una fortuita coincidenza. Ho colto l’occasione che mi si è
presentata.»
«Stavi bluffando, quindi. Quella ragazza non è mai stata in
pericolo.»
Kaz scrollò le spalle, non era disposto a darle una risposta. Inej
cercava sempre di cavargli fuori delle briciole di umanità. «Quando
tu i pensano che sei un mostro, non devi più perdere tempo a fare
cose mostruose.»
«Perché mai hai acconsentito all’incontro se sapevi che era una
trappola?» Lei era da qualche parte alla sua destra, e si spostava
senza far rumore. Kaz aveva sentito gli altri membri della banda dire
che lei si muoveva come un ga o, ma lui sospe ava che i ga i si
sarebbero seduti a entamente ai suoi piedi per imparare quelle
tecniche.
«Definirei questa no e un trionfo» disse lui. «Tu no?»
«C’è mancato poco che tu rimanessi ucciso. E anche Jesper.»
«Geels ha svuotato le casse delle Punte Nere per delle bustarelle
inutili. Noi abbiamo fa o uscire allo scoperto un traditore, ristabilito
i nostri diri i su Quinto Porto, e io non ho un graffio. È stata una
no e eccellente.»
«Da quant’è che sapevi di Bolliger il Grande?»
«Se imane. Per un po’ saremo a corto di personale. Il che mi fa
venire in mente che devi licenziare Rojakke.»
«Perché? Non c’è nessuno come lui ai tavoli da gioco.»
«È pieno il mondo di figli di pu ana che sanno come far girare le
carte. Rojakke è un po’ troppo veloce. Sta facendo la cresta.»
«È un bravo croupier, e ha una famiglia da mantenere. Potresti
dargli un avvertimento, prendergli un dito.»
«A quel punto non sarebbe più tanto bravo come croupier, non
credi?»
Quando un croupier veniva colto a fare la cresta in una bisca, il
capo sala gli amputava un mignolo. Era una di quelle punizioni
assurde che in qualche modo erano state codificate come regole delle
bande. Toglieva abilità alla mano del ladro, lo costringeva a
rimparare come mescolare le carte, e faceva capire a ogni futuro
dipendente che sarebbe stato tenuto d’occhio. Ma lo rendeva anche
maldestro ai tavoli da gioco. Lo faceva concentrare sulle cose
semplici, come i gesti delle mani, invece di fargli osservare i
giocatori.
Kaz non poteva vedere la faccia di Inej nel buio, ma avvertiva il
suo sguardo di disapprovazione.
«L’avidità è il tuo dio, Kaz.»
Lui per poco non scoppiò a ridere. «No, Inej. L’avidità si inchina
di fronte a me. È la mia serva e la mia musa.»
«E allora qual è il dio che onori?»
«Qualunque dio mi conceda la fortuna.»
«Non credo che gli dèi funzionino così.»
«Non credo che me ne freghi qualcosa.»
Inej sospirò esasperata. Nonostante tu o quello che aveva
passato, lei credeva ancora che i suoi Santi Suli la stessero
p
proteggendo. Kaz lo sapeva, e per qualche motivo gli piaceva farla
innervosire. Adesso desiderò poter interpretare la sua espressione.
Era sempre così gratificante vedere quel piccolo solco tra le sue
sopracciglia nere.
«Come facevi a sapere che avrei raggiunto Van Daal in tempo?»
domandò lei.
«Perché ci riesci sempre.»
«Avresti dovuto darmi qualche informazione in più.»
«Ho pensato che i tuoi Santi avrebbero apprezzato la sfida.»
Per un po’ lei non disse niente, poi la udì da qualche parte dietro
di lui. «Gli uomini deridono gli dèi finché non hanno bisogno di
loro.»
Lui non la vide andar via, percepì solo la sua assenza.
Kaz, irritato, scrollò la testa. Se avesse de o che si fidava di Inej
l’avrebbe sparata grossa, ma a se stesso poteva amme ere che era
arrivato a farci affidamento. Era stata una decisione di pancia saldare
il suo contra o con il Serraglio, ed era costato tanto agli Scarti. Era
stato necessario convincere Per Haskell, ma Inej era stata uno degli
investimenti migliori che Kaz avesse mai fa o. Essere così abile a
restare invisibile faceva di lei un’eccellente ladra di segreti, la
migliore nel Barile. Ma il fa o che potesse semplicemente
scomparire lo impensieriva. Non aveva neanche un odore. Tu e le
persone ce l’hanno, e quegli odori raccontano delle cose – una traccia
di disinfe ante sulle dita di una donna o di legna bruciata tra i suoi
capelli, la lana umida dell’abito di un uomo, o il retrogusto di
polvere da sparo che si tra iene sui polsini della sua camicia. Ma
non Inej. In qualche modo lei controllava l’invisibilità. Era una
risorsa preziosa. E allora perché non poteva semplicemente fare il
suo lavoro e risparmiargli i suoi malumori?
All’improvviso, Kaz seppe di non essere da solo. Si fermò, in
ascolto. Aveva tagliato per un vicole o spaccato in due da un canale
torbido. Non c’erano lampioni e non c’era il minimo passaggio,
nient’altro che la luna luminosa e le barche e che sba evano contro
gli a racchi. Aveva abbassato la guardia, lasciato che la sua mente
vagasse distra a.
La sagoma scura di un uomo apparve in cima al vicolo.
g pp
«Cosa vuoi?» chiese Kaz.
La forma balzò verso di lui. Kaz mosse il bastone in un arco basso.
Avrebbe dovuto entrare a dire o conta o con le gambe del suo
assalitore, invece andò a fondo nello spazio vuoto. Kaz incespicò,
l’equilibrio perso per via della forza del colpo.
Poi, chissà come, l’uomo era in piedi proprio di fronte a lui. Un
pugno entrò in ro a di collisione con la sua mascella. Kaz scrollò via
le stelle che facevano fuochi artificiali nella sua testa. Ruotò il corpo
indietro e diede un altro colpo di bastone. Ma non c’era nessuno lì.
L’impugnatura della canna da passeggio sibilò nel nulla e si schiantò
contro il muro.
Kaz si vide strappare il bastone dalle mani da qualcuno alla sua
destra. Ce n’era più di uno?
E poi una figura si fece avanti a raverso il muro. La mente di Kaz
farfugliò e vacillò, nel tentativo di spiegare che quello che gli era
sembrato un banco di nebbia diventava un mantello, degli stivali, la
pallida carnagione di una faccia.
“Fantasmi” pensò Kaz. La paura di un bambino, ma arrivò con la
certezza più assoluta.
Alla fine, Jordie era venuto a prendersi la sua vende a. È tempo di
pagare i tuoi debiti, Kaz. Non si ha mai niente per niente.
Il pensiero a raversò il suo cervello in un’onda umiliante e
insensata di panico, poi il fantasma gli fu sopra, e lui avvertì la
puntura di un ago affondargli nel collo. Un fantasma con una siringa?
“Follia” pensò. E subito dopo fu tu o buio.

Kaz si svegliò per via del forte odore di ammoniaca. La testa gli
sobbalzò all’indietro mentre riprendeva del tu o conoscenza.
L’uomo anziano di fronte a lui indossava la toga di un do ore
universitario. Aveva una bo iglie a di sali d’ammonio tra le mani e
la sventolava so o il naso di Kaz. La puzza era quasi insopportabile.
«Stammi alla larga» gracchiò Kaz.
Il do ore lo fissò senza alcuna emozione, rime endo i sali
d’ammonio in un borsellino di pelle. Kaz mosse le dita, ma era tu o
quello che era in grado di fare. Era stato legato a una sedia con le
braccia dietro la schiena. Qualunque cosa fosse quella che gli
avevano inie ato, lo aveva lasciato intontito.
Il do ore si mosse di lato, e Kaz sba é le palpebre due volte,
cercando di schiarirsi la vista e di dare un senso al lusso assurdo
dell’ambiente che lo circondava. Si era aspe ato di svegliarsi nel
covo delle Punte Nere o di qualche altra banda rivale. Ma questa non
era la tipica pacco iglia da qua ro soldi del Barile. Per agghindare
una casa occupata abusivamente in quel modo ci voleva del denaro
vero. Pannelli di mogano affollati di intagli di onde schiumose e
pesci volanti, librerie ricoperte di libri, finestre istoriate, e Kaz era
piu osto sicuro che ci fosse un vero DeKappel, uno di quei discreti
ritra i a olio di donna con un libro aperto in grembo e un agnello
disteso ai piedi. L’uomo che lo osservava da dietro un’ampia
scrivania aveva l’aspe o di un ricco mercante. Ma se questa era casa
sua, perché c’erano i soldati armati della stadwatch di guardia alla
porta?
“Dannazione” pensò Kaz, “sono in arresto?” Nel caso, questo
mercante sarebbe rimasto a bocca aperta. Grazie a Inej, aveva delle
informazioni su ogni giudice, ufficiale giudiziario e alto consigliere
di Kerch. Sarebbe uscito dalla sua cella prima dell’alba. Solo che non
era in una prigione, era incatenato a una sedia, per cui cosa diavolo
stava succedendo?
L’uomo era sulla quarantina, aveva una faccia scavata ma bella e
un’a accatura dei capelli che stava ba endo la ritirata sulla fronte.
Quando Kaz incontrò il suo sguardo, l’uomo si schiarì la gola e
congiunse le dita.
«Signor Brekker, spero che non si senta troppo indisposto.»
«Mandi via questa vecchia piaga. Sto bene.»
Il mercante fece un cenno con la testa al do ore. «Può andare. Per
favore, mi faccia avere la sua parcella. E, ovviamente, apprezzerei la
sua discrezione al riguardo.»
Il do ore chiuse la borsa e uscì dalla stanza. Subito dopo, il
mercante si alzò e sollevò un fascio di carte dalla scrivania.
Indossava l’abito a redingote perfe amente tagliato su misura di tu i
i mercanti di Kerch – scuro, sofisticato, volutamente serio e
compassato. Ma gli accessori raccontavano a Kaz tu o quello che gli
p g q g
serviva sapere: l’orologio da tasca era d’oro, con grosse maglie di
foglie d’alloro, e il fermacrava a era un enorme, perfe o rubino.
“Per avermi legato a questa sedia, staccherò quel brillocco dalla
montatura e userò il fermaglio per infilzare il tuo ricco collo” pensò
Kaz. Ma tu o ciò che disse fu: «Van Eck».
L’uomo annuì. Nessun inchino, ovviamente. I mercanti non si
inchinavano davanti alla gentaglia del Barile. «Mi conosce, dunque?»
Kaz conosceva i simboli e i gioielli di tu e le casate di mercanti di
Kerch. Lo stemma dei Van Eck era l’alloro rosso. Non bisognava
essere dei luminari per fare il collegamento.
«La conosco» disse Kaz. «Lei è uno di quei mercanti sempre
pronti a fare una crociata per ripulire il Barile.»
Van Eck fece un altro piccolo cenno di assenso con il capo. «Io
cerco di trovare un lavoro onesto alle persone.»
Kaz rise. «Qual è la differenza tra scomme ere al Club dei Corvi e
fare speculazioni finanziarie alla Borsa?»
«Il primo è ladrocinio, l’altro è commercio.»
«Un uomo che perde il proprio denaro potrebbe far fatica a
distinguerli.»
«Il Barile è un rice acolo di sporcizia, vizi, violenza.»
«Quante delle navi che manda fuori dai porti di Ke erdam non
tornano più?»
«Questo non...»
«Una su cinque, Van Eck. Un’imbarcazione su cinque che spedisce
a cercare caffè e jurda e rotoli di seta affonda negli abissi del mare, si
schianta sulle rocce, diventa bo ino dei pirati. Una ciurma su cinque
muore, i loro cadaveri dispersi in acque straniere, cibo per pesci che
nuotano nelle acque profonde. Non parliamo di violenza.»
«Non discuterò di questioni etiche con un ragazzino del Barile.»
Kaz non si aspe ava davvero che lo facesse. Stava solo
guadagnando tempo mentre controllava quanto fossero stre e le
mane e che aveva ai polsi.
Con le dita tastò la lunghezza della catena fin dove riuscì, e
intanto continuava a scervellarsi per capire dove fosse. Anche se Kaz
non l’aveva mai incontrato prima di persona, aveva avuto i suoi
motivi per studiare nel de aglio la piantina della casa di Van Eck. E
dovunque fossero, non erano nel palazzo del mercante.
«Dal momento che non mi ha portato qui per filosofeggiare, a che
pro allora?» Era la classica domanda che dava inizio a una riunione.
Un convenevole tra pari, non la supplica di un prigioniero.
«Ho una proposta per lei. O, meglio, il Consiglio ne ha una.»
Kaz nascose lo stupore. «Il Consiglio dei Mercanti è solito
cominciare tu e le negoziazioni con un pestaggio?»
«Lo consideri un avvertimento. E una dimostrazione.»
A Kaz tornò in mente la forma nel vicolo, il modo in cui era
apparsa e scomparsa come un fantasma. Jordie.
Si sforzò di riordinare le idee. Lascia perdere Jordie, idiota. Stai
concentrato. Lo avevano acciuffato perché si era fissato su una vi oria
e si era distra o. Questo era il suo castigo, e non era un errore che
avrebbe fa o di nuovo. Il che non spiega il fantasma. Per il momento,
mise quel pensiero da parte.
«E in che modo potrei tornare utile al Consiglio?»
Van Eck sfogliò le carte che aveva in mano. «La prima volta che è
stato arrestato aveva dieci anni» disse, scorrendo la pagina.
«La prima volta non si scorda mai.»
«Due volte in quello stesso anno, due volte l’anno dopo. Quando
aveva qua ordici anni è stato ca urato dalla stadwatch durante
un’irruzione in una bisca, ma da allora non è più finito dietro le
sbarre.»
Era vero. Nessuno aveva più pizzicato Kaz negli ultimi tre anni.
«Ora sono pulito» disse. «Ho trovato un lavoro onesto, la mia vita è
tu a casa e chiesa.»
«Non sia blasfemo» replicò Van Eck gentilmente, ma con un
rapido lampo d’ira negli occhi.
“Un uomo di fede” notò Kaz, mentre la sua mente passava in
rassegna tu o quello che sapeva di Van Eck: agiato, devoto, un
vedovo risposatosi di recente con una donna non molto più grande
di Kaz. E poi, ovviamente, c’era il mistero del figlio.
Van Eck continuò a scorrere le pagine del dossier. «Lei gestisce le
scommesse dei comba imenti di pugilato, delle corse dei cavalli e
dei giochi d’azzardo di sua proprietà. È stato il capo sala del Club
g p p p
dei Corvi per più di due anni. Il più giovane ad aver mai gestito una
ricevitoria di scommesse, e in quei due anni ha raddoppiato i
profi i. Lei è un rica atore.»
«Tra o le informazioni.»
«Un genio della truffa.»
«Creo opportunità.»
«Un ruffiano e un assassino.»
«Non sfru o le prostitute e uccido solo per giusta causa.»
«E quale sarebbe questa giusta causa?»
«La stessa che ha lei, mercante. Il profi o.»
«Come o iene le sue informazioni, signor Brekker?»
«Si potrebbe dire che sono un grimaldello.»
«Dev’essere un grimaldello molto dotato.»
«Lo sono eccome.» Kaz sli ò leggermente indietro con la schiena.
«Vede, ogni uomo è una cassaforte, un caveau di segreti e desideri.
Ora, ci sono quelli che usano modi brutali, ma io preferisco un
approccio più gentile: la giusta pressione esercitata al momento
giusto, nel posto giusto. È una cosa delicata.»
«Lei parla sempre per metafore, signor Brekker?»
Kaz sorrise. «Non è una metafora.»
Fu in piedi, libero, prima che le catene toccassero terra. Superò
con un salto la scrivania, con una mano agguantò un tagliacarte che
vi era appoggiato sopra e con l’altra afferrò la camicia di Van Eck. A
Kaz girava la testa, e si sentiva braccia e gambe intorpidite per essere
rimasto bloccato a lungo sulla sedia, ma con un’arma in mano tu o
acquistava una luce migliore.
Le guardie di Van Eck lo fronteggiarono, con le pistole e le spade
sguainate. Poteva sentire il cuore del mercante ba ere forte so o la
lana dell’abito.
«Non credo di dover sprecare fiato con le minacce» cominciò Kaz.
«Mi dica come raggiungere la porta o verrà via dalla finestra con
me.»
«Penso di riuscire a farle cambiare idea.»
Kaz gli diede una spintarella. «Non mi interessa chi è lei o quant’è
grande quel rubino. Non può trascinarmi via dalle mie strade. E non
fa un pa o con me mentre sono legato.»
p g
«Mikka» chiamò Van Eck.
E a quel punto accadde di nuovo. Un ragazzo entrò nella stanza
dalla libreria a muro. Era bianco come un cadavere e indossava una
giacca blu ricamata da Grisha Scuotiacque con un fiocco rosso e oro
sul bavero a segnalare il suo legame con la casa dei Van Eck. Ma
nemmeno un Grisha poteva andare a spasso a raverso le pareti.
“Drogato” pensò Kaz, cercando di dominare il panico. “Sono stato
drogato.” Oppure era un qualche numero di illusionismo, del genere
che me evano in scena nei teatri dello Stave dell’Est – una ragazza
tagliata in due, colombe che uscivano da una teiera.
«Cosa diavolo è?» ringhiò.
«Mi lasci andare e glielo spiegherò.»
«Me lo può spiegare lì dov’è.»
Van Eck sbuffò fuori un breve respiro tremante. «Quelli che vede
sono gli effe i della jurda parem.»
«La jurda è solo uno stimolante.» I fiorellini essiccati erano
coltivati a Novyi Zem e venduti nei negozi di tu a Ke erdam. Nei
primi tempi con gli Scarti, Kaz l’aveva masticata per restare sveglio
durante i turni di sorveglianza. Gli aveva macchiato i denti di
arancione per giorni. «È innocua» disse.
«La jurda parem è una sostanza completamente diversa, e
sicuramente non è innocua.»
«Quindi mi ha drogato.»
«Non lei, signor Brekker. Mikka.»
Kaz si rese finalmente conto del pallore malato sulla faccia del
Grisha. Aveva ombre scure so o gli occhi, e la corporatura fragile e
tremolante di qualcuno che aveva saltato parecchi pasti e sembrava
non importargli.
«La jurda parem è parente della jurda comune» continuò Van Eck.
«Viene dalla stessa pianta. Non sappiamo bene come funziona il
processo per sintetizzarla, ma un campione è stato mandato al
Consiglio dei Mercanti di Kerch da uno scienziato di nome Bo Yul-
Bayur.»
«Uno Shu?»
«Sì. Voleva lasciare il suo paese, così ci ha mandato un campione
per convincerci degli straordinari effe i della droga. La prego,
p g g p g
signor Brekker, è una posizione davvero scomoda. Se non le
dispiace, le faccio consegnare una pistola così almeno ci sediamo e
parliamo in maniera più civile.»
«Una pistola e il mio bastone.»
Van Eck fece cenno a una delle guardie, che uscì dalla stanza e
ritornò dopo un momento con il bastone da passeggio. Kaz era a dir
poco felice che fosse passato per una dannata porta.
«Prima la pistola» disse Kaz. «Lentamente.» La guardia sfoderò la
propria arma e la porse tenendola per il calcio. Kaz l’afferrò e la
caricò velocemente in un solo gesto, poi lasciò andare Van Eck,
lanciò il tagliacarte sulla scrivania e strappò il proprio bastone dalla
mano della guardia. La pistola era più utile, ma il bastone dava a
Kaz un sollievo che non si poneva il problema di quantificare.
Van Eck fece qualche passo indietro, me endo un po’ di distanza
tra lui e l’arma carica di Kaz. Non sembrava aver voglia di sedersi.
Nemmeno Kaz, che si portò vicino alla finestra, pronto a uscire da lì
se necessario.
Van Eck fece un respiro profondo e cercò di sistemarsi i vestiti.
«Quel bastone è davvero un capolavoro, signor Brekker. È stato
realizzato da un Fabrikator?»
In effe i, era opera di un Grisha Fabrikator, imbo ito di piombo e
perfe amente bilanciato per spezzare le ossa. «Niente che la
riguardi. Vada avanti a raccontare, Van Eck.»
Il mercante si schiarì la gola. «Quando Bo Yul-Bayur ci mandò il
campione di jurda parem, la somministrammo a tre Grisha, uno per
ogni Ordine.»
«Volontari entusiasti?»
«So o contra o» ammise Van Eck. I primi due erano un
Fabrikator e una Guaritrice al servizio del Consigliere Hoede. Mikka
è uno Scuotiacque. Lui è mio. E ha visto cosa è in grado di fare so o
l’effe o di quella sostanza.»
Hoede. Perché quel nome gli diceva qualcosa?
«Non lo so cos’ho visto» ammise Kaz mentre lanciava un’occhiata
a Mikka. Lo sguardo del ragazzo era fisso su Van Eck come se stesse
aspe ando un altro ordine. O forse un’altra dose.
«Uno Scuotiacque qualunque è in grado di controllare le correnti,
di raccogliere l’acqua o l’umidità dall’aria o da una superficie nelle
vicinanze. Gli Scuotiacque supervisionano le maree nei nostri porti.
Ma so o l’effe o della jurda parem, possono modificare il proprio
stato da solido a liquido a gassoso e viceversa, e fare lo stesso con
altri ogge i. Anche un muro.»
Kaz fu tentato di negare, ma non avrebbe potuto spiegare in altro
modo quello che aveva appena visto. «Come?»
«Difficile da dire. Ha presente gli amplificatori che indossano
alcuni Grisha?»
«Li ho visti» rispose Kaz. Ossa di animali, denti, squame. «So che
sono difficili da trovare.»
«Alquanto. Ma gli amplificatori possono solo aumentare il potere
di un Grisha. La jurda parem altera la percezione di un Grisha.»
«E quindi?»
«I Grisha manipolano la materia ai suoi livelli più essenziali. Loro
la chiamano la Piccola Scienza. So o l’effe o della parem, queste
manipolazioni diventano più veloci e di gran lunga più precise. In
teoria, la jurda parem è soltanto uno stimolante come la sua banale
cugina. Ma sembra accentuare e perfezionare i sensi dei Grisha. Che
riescono a creare connessioni a una velocità straordinaria. Diventano
possibili cose che non dovrebbero esserlo.»
«Cosa fa a quelli come noi?»
Van Eck sembrò irritarsi leggermente all’idea di essere paragonato
a Kaz, ma disse: «È letale. Una mente comune non può tollerare la
parem nemmeno alle dosi più basse».
«Ha de o che l’avete somministrata a tre Grisha. Gli altri due che
cosa sono in grado di fare?»
«Qui» disse Van Eck, allungando la mano verso un casse o della
scrivania.
Kaz sollevò la pistola. «Piano.»
Con esasperata lentezza, Van Eck infilò la mano nel casse o ed
estrasse un ma oncino d’oro. «Questo era piombo.»
«Sì, certo, come no?!»
Van Eck si strinse nelle spalle. «Posso solo dirle ciò che ho visto. Il
Fabrikator ha preso un pezzo di piombo tra le mani, e dopo pochi
p p p p p
istanti abbiamo o enuto questo.»
«Come fa a sapere che è autentico?» chiese Kaz.
«Ha lo stesso punto di fusione dell’oro, lo stesso peso e la stessa
malleabilità. Se non è identico all’oro in tu o e per tu o, la
differenza ci è sfuggita. Lo faccia valutare anche lei, se vuole.»
Kaz si infilò il bastone so o il braccio e prese il pesante
ma oncino dalla mano di Van Eck. Se lo fece scivolare in tasca. Che
fosse vero o solo un’imitazione verosimile, con un bel pezzo giallo
così grosso ci potevi comprare un sacco di cose nelle strade del
Barile.
«Potrebbe provenire da qualunque parte» puntualizzò Kaz.
«Porterei qui il Fabrikator di Hoede a mostrarglielo di persona,
ma non si sente bene.»
Lo sguardo di Kaz sca ò alla faccia malaticcia di Mikka e alla sua
fronte sudata. Evidentemente, la droga aveva il suo prezzo.
«Amme iamo che sia tu o vero e non un trucche o da qua ro
soldi. Io che cosa c’entro?»
«Ha forse sentito in giro la storia degli Shu che hanno estinto per
intero il loro debito a Kerch con un improvviso afflusso d’oro?
L’omicidio dell’ambasciatore del commercio di Novyi Zem? Il furto
di documenti da una base militare a Ravka?»
Quindi era quello il segreto dietro l’uccisione dell’ambasciatore in
gabine o.
E l’oro nelle tre navi Shu doveva essere opera di un Fabrikator.
Kaz non sapeva nulla dei documenti Ravkiani, ma annuì
comunque.
«Secondo noi dietro tu i questi avvenimenti ci sono i Grisha, che
stanno agendo so o il controllo del governo Shu e so o l’effe o della
jurda parem.» Van Eck si strofinò una guancia con la mano. «Signor
Brekker, vorrei che si soffermasse un a imo a rifle ere su quanto sto
per dirle. Uomini in grado di passare a raverso i muri... nessuna
camera blindata e nessuna fortezza saranno più al sicuro. Persone
che possono trasformare il piombo in oro, o in qualunque altra cosa
se è per questo, che possono modificare l’essenza della materia di cui
è fa o il mondo... i mercati finanziari sprofonderebbero nel caos.
L’economia mondiale crollerebbe.»
«Estremamente eccitante. Che cosa vuole da me, Van Eck? Vuole
che rubi una spedizione? La formula?»
«No, desidero che lei ci porti quell’uomo.»
«Vuole che rapisca Bo Yul-Bayur?»
«Che lo salvi. Un mese fa ricevemmo un messaggio da Yul-Bayur
in cui ci pregava di dargli asilo. Era preoccupato dalle mire del suo
governo sulla jurda parem, e noi concordammo di aiutarlo a
espatriare. Organizzammo un rendez-vous, ma ci fu una
schermaglia nel luogo dell’appuntamento.»
«Con gli Shu?»
«No, con i Fjerdiani.»
Kaz alzò un sopracciglio. I Fjerdiani dovevano avere spie
dappertu o a Shu Han o a Kerch se avevano saputo della droga e
dei piani di Bo Yul-Bayur così in fre a. «E allora fatelo sorvegliare
da qualche vostro agente segreto.»
«La situazione diplomatica è un po’ delicata. È di vitale
importanza che il nostro governo non sia collegato a Yul-Bayur in
alcun modo.»
«Sa meglio di me che probabilmente è già morto. I Fjerdiani
odiano i Grisha. Non perme eranno mai che la conoscenza di questa
droga si diffonda.»
«Le nostre fonti sostengono che è vivissimo e che è in a esa di
giudizio.» Van Eck si schiarì la gola. «Alla Corte di Ghiaccio.»
Kaz fissò Van Eck per un lungo istante, poi scoppiò a ridere.
«Bene, è stato un piacere essere reso incosciente e tenuto prigioniero
da lei, Van Eck. Può stare tranquillo che la sua ospitalità sarà
ripagata al momento opportuno. Ora mi faccia condurre alla porta
da uno dei suoi lacchè.»
«Siamo disposti a offrile cinque milioni di kruge.»
Kaz si mise la pistola in tasca.
Adesso non temeva più per la sua vita, era solo irritato che questo
ciarlatano gli avesse fa o perdere tempo. «La sorprenderà, Van Eck,
ma noi ra i dei canali teniamo alla nostra pellaccia quanto voi alla
vostra.»
«Dieci milioni.»
«Cosa me ne faccio se non avrò più una vita per godermeli? Dov’è
il mio cappello... non è che il suo Scuotiacque l’ha lasciato nel
vicolo?»
«Venti.»
Kaz si fermò. Ebbe l’inquietante sensazione che il pesce intagliato
sui pannelli di mogano si fosse bloccato nel bel mezzo di un guizzo
per ascoltare. «Venti milioni di kruge?»
Van Eck annuì. Non sembrava contento.
«Dovrei convincere una squadra a partire per una missione
suicida. Non sarà a buon mercato.» Questo non era del tu o vero. A
dispe o di quello che aveva de o, il Barile era pieno di gente che
non aveva tu i questi motivi per vivere.
«Venti milioni di kruge le sembra un prezzo a buon mercato?»
sca ò Van Eck.
«La Corte di Ghiaccio non è mai stata violata.»
«Questo è il motivo per cui abbiamo bisogno di lei, signor
Brekker. È possibile che Bo Yul-Bayur sia già morto o che abbia
rivelato tu i i suoi segreti ai Fjerdiani, ma noi crediamo di avere
almeno un po’ di tempo per agire prima che la formula della jurda
parem sia divulgata.»
«Se gli Shu hanno la formula...»
«Yul-Bayur ha dichiarato di aver fa o in modo di sviare i suoi
superiori e di tenere segreti gli ingredienti della formula. Secondo
noi stanno conducendo degli esperimenti su una fornitura limitata
che Yul-Bayur gli ha lasciato.»
L’avidità si inchina di fronte a me. Forse Kaz era stato un po’
presuntuoso al riguardo. Ora l’avidità gli stava facendo acce are
l’offerta. La musa era al lavoro, stava vincendo le sue resistenze, lo
stava rime endo al suo posto.
Venti milioni di kruge. Che tipo di colpo sarebbe stato? Kaz non
sapeva niente di spionaggio o di controversie diplomatiche, ma
perché portare via Bo Yul-Bayur dalla Corte di Ghiaccio avrebbe
dovuto essere diverso dal so rarre ogge i di valore dalla cassaforte
di un mercante? “La cassaforte più inespugnabile del mondo”
ricordò a se stesso. Avrebbe avuto bisogno di una squadra di
superspecialisti, una squadra così disperata che non si sarebbe tirata
p p q p
indietro davanti alla possibilità concreta di non fare mai ritorno. E
non avrebbe potuto a ingere ai ranghi degli Scarti. Tra le loro fila
non c’erano i talenti che facevano al caso suo. E questo significava
che avrebbe dovuto guardarsi le spalle più del solito.
Ma se si fossero organizzati, anche dopo aver dato a Per Haskell
la propria parte, la fe a di Kaz sarebbe stata sufficiente per cambiare
tu o, per far finalmente avverare il sogno che aveva avuto sin da
quando era strisciato fuori da un porto gelido con la vende a che gli
scavava un buco ardente nel cuore. Il suo debito verso Jordie alla fine
sarebbe stato ripagato.
Ci sarebbero stati anche altri vantaggi. Il Consiglio di Kerch
sarebbe stato in debito con lui, per non parlare di quello che avrebbe
fa o questo colpo alla sua reputazione.
Introdursi nell’impenetrabile Corte di Ghiaccio e portar via
qualcosa di prezioso dalla roccaforte dell’aristocrazia Fjerdiana e
della sua potenza militare? Con un’impresa come quella all’occhiello
e quel genere di ricompensa so omano, non avrebbe più avuto
bisogno di Per Haskell. Avrebbe potuto avviare un’a ività per conto
proprio.
Ma c’era qualcosa che non tornava. «Perché io? Perché gli Scarti?
Ci sono bande con più esperienza là fuori.»
Mikka iniziò a tossire, e Kaz vide del sangue sulla manica della
sua camicia.
«Siediti» ordinò con gentilezza Van Eck a Mikka, aiutandolo a
sedersi e porgendogli un fazzole o. Fece cenno a una guardia.
«Dell’acqua.»
«Allora?» lo incalzò Kaz.
«Quanti anni ha, signor Brekker?»
«Diciasse e.»
«Lei non viene arrestato da quando ne aveva qua ordici, e dal
momento che so per certo che lei non è un uomo onesto più di
quanto sia mai stato un ragazzo onesto, posso semplicemente
dedurre che ha la qualità che più di tu e mi serve in un criminale:
non si fa ca urare.» A quel punto Van Eck sorrise leggermente. «C’è
poi anche la questione del mio DeKappel.»
«Sono certo di non sapere di cosa stia parlando.»
p p
«Sei mesi fa, un dipinto a olio di DeKappel del valore di quasi
centomila kruge è sparito da casa mia.»
«Una grossa perdita.»
«Può ben dirlo, sopra u o perché mi avevano assicurato che la
mia galleria d’arte fosse inaccessibile e che le serrature alle porte
fossero impossibili da forzare.»
«Mi sembra di ricordare di aver le o qualcosa al riguardo.»
«Sì» ammise Van Eck con un piccolo sospiro. «L’orgoglio è una
cosa pericolosa. Ero impaziente di sfoggiare il mio acquisto e le
precauzioni che avevo preso per proteggerlo. Eppure, nonostante
tu e le mie tutele, nonostante i cani e gli allarmi e il personale di
servizio più fidato di tu a Ke erdam, il mio dipinto è scomparso.»
«Le mie condoglianze.»
«Deve ancora spuntare fuori da qualche parte sul mercato
mondiale.»
«Forse il suo ladro aveva già pronto un acquirente.»
«Può essere, di certo. Ma sono più incline a credere che il ladro
l’abbia preso per un altro motivo.»
«E quale sarebbe?»
«Dimostrare che ne era capace.»
«Mi sembra un rischio stupido.»
«Be’, chi può conoscere i moventi dei ladri?»
«Io no di certo.»
«Da quel che so della Corte di Ghiaccio, chiunque abbia rubato il
mio DeKappel è proprio la persona che mi serve per questo lavoro.»
«Allora farebbe meglio ad assumerlo. O assumerla.»
«Assolutamente. Ma dovrò accontentarmi di lei.» Van Eck
sostenne lo sguardo di Kaz come se sperasse di trovarci una
confessione scri a. Alla fine, chiese: «Abbiamo un accordo, quindi?».
«Non abbia fre a. Che cosa mi dice della Guaritrice?»
Van Eck apparve confuso. «Chi?»
«Ha de o che avete somministrato la droga a un Grisha di ciascun
Ordine. Mikka è uno Scuotiacque, il suo Etherealki. Il Fabrikator che
ha realizzato quell’oro era un Materialki. Quindi cos’è successo alla
Corporalki? La Guaritrice?»
Van Eck trasalì leggermente, ma si limitò a dire: «Vuole
accompagnarmi, signor Brekker?».
Con cautela, tenendo d’occhio Mikka e le guardie, Kaz seguì Van
Eck fuori dalla sala e lungo il corridoio. La casa trasudava la
ricchezza del mercante: pannelli di legno scuro alle pareti, pavimenti
rivestiti di piastrelle bianche e nere, tu e di o imo gusto, tu e
impeccabilmente fa e a mano e perfe amente posate. Ma aveva il
calore di un cimitero. Le stanze erano deserte, le tende tirate, i mobili
coperti da lenzuola bianche tanto che ogni sala in ombra che
oltrepassavano sembrava un paesaggio marino abbandonato e
riempito alla rinfusa di iceberg.
Hoede. Ora il nome andò al suo posto. C’era stato un qualche tipo
di incidente al palazzo di Hoede sulla Geldstraat la se imana
precedente. Tu a la zona era stata isolata e pullulava di stadwatch.
Stando alle chiacchiere che erano arrivate a Kaz, era scoppiata
un’epidemia di febbre bubbonica, ma nemmeno Inej era riuscita a
scoprire di più.
«Questa è la casa del Consigliere Hoede» disse Kaz, e gli venne la
pelle d’oca. Non voleva avere niente a che fare con la pestilenza, ma
né il mercante né le guardie sembravano minimamente preoccupati.
«Pensavo che questo posto fosse in quarantena.»
«Per noi, quello che è successo qui non è pericoloso. E se lei farà il
suo lavoro, signor Brekker, non lo sarà mai.»
Van Eck lo guidò a raverso una porta verso un giardino
estremamente curato, fi o di ciclamini profumati appena sbocciati.
L’odore colpì Kaz come un pugno in faccia. I ricordi di Jordie
affiorarono all’istante, freschi e vividi, e per un istante Kaz non stava
più camminando nel giardino di un ricco mercante a lato di un
canale, ma era nell’erba alta fino alle ginocchia, il sole caldo che gli
inondava la faccia e la voce di suo fratello che lo chiamava a casa.
Kaz si scosse. “Mi serve una tazza del caffè più nero e più amaro
che c’è” pensò. “Oppure un vero cazzo o in faccia.”
Van Eck lo stava conducendo a una rimessa affacciata sul canale.
La luce che filtrava dalle persiane chiuse delle finestre disegnava
delle forme sul sentiero del giardino. Un solitario soldato della
guardia ci adina sca ò sull’a enti accanto alla porta mentre Van Eck
g p
estraeva una chiave dalla tasca e la introduceva nella pesante
serratura. Kaz si portò alla bocca la manica non appena il tanfo
dell’edificio chiuso lo raggiunse – urina ed escrementi. Alla faccia dei
ciclamini appena sbocciati.
L’interno era illuminato da due lanterne alle pareti. Un drappello
di soldati era in piedi di fronte a una grande scatola in ferro, dai cui
vetri ro i si spargeva immondizia sul pavimento. Alcuni
indossavano l’uniforme viola della stadwatch, altri la divisa verde
mare della casata di Hoede. A raverso quella che Kaz riconobbe
come una finestra d’osservazione, vide un’altra guardia ci adina
davanti a un tavolo vuoto e a due sedie ribaltate. Esa amente come
gli altri, la guardia aveva le braccia penzoloni lungo i fianchi, la
faccia inespressiva, gli occhi aperti, persi nel nulla. Van Eck accese la
luce di una lanterna, e Kaz vide un uomo dentro una divisa viola che
giaceva sul pavimento, gli occhi chiusi.
Van Eck sospirò e si accovacciò per rigirare il corpo. «Ne abbiamo
perso un altro» disse.
Era un ragazzino, con giusto un alone di baffi sul labbro
superiore.
Van Eck diede ordine al soldato che li aveva lasciati entrare di
sollevare il cadavere e portarlo fuori dalla stanza con l’aiuto di una
guardia della propria scorta. Gli altri soldati non reagirono,
continuarono semplicemente a fissare nel vuoto davanti a loro.
Kaz riconobbe uno di loro, Henrik Dahlman, il capitano della
stadwatch.
«Dahlman» lo chiamò, ma l’uomo non rispose. Kaz agitò una
mano davanti al viso del capitano, poi fece schioccare le dita vicino
al suo orecchio. Nient’altro che un lento, indifferente ba ito di ciglia.
Kaz sollevò la pistola e la puntò dire amente alla fronte del
capitano. Tirò il cane della pistola. L’uomo non trasalì, non reagì. Le
sue pupille non si contrassero.
«È come se fosse morto» disse Van Eck. «Spari. Gli faccia saltare le
cervella. Non protesterà e gli altri non reagiranno.»
Kaz abbassò la pistola, e il gelo gli scese nella profondità delle
ossa. «Che cos’hanno? Che cosa gli è capitato?»
«La Grisha era una Corporalki so o contra o a servizio presso la
casa del Consigliere Hoede. Dal momento che era una Guaritrice e
non una Spaccacuore, Hoede pensò di andare sul sicuro scegliendo
lei per sperimentare la parem.»
Sembrava piu osto sensato. Kaz aveva visto gli Spaccacuore al
lavoro. Potevano romperti le cellule, incendiarti il cuore nel pe o,
rubarti il fiato dai polmoni, o rallentarti il polso finché non finivi in
coma, e tu o senza neanche me erti un dito addosso. Se quello che
Van Eck aveva de o era vero anche solo in parte, l’idea di uno di
loro drogato di jurda parem era spaventosa. Per cui i mercanti
avevano preferito provare la droga su una Guaritrice. Ma a quanto
pareva le cose non erano andate secondo i loro piani.
«Lei l’ha drogata e la Grisha ha ucciso il suo padrone?»
«Non esa amente» disse Van Eck, schiarendosi la gola. «La
tenevano in quella cella so o osservazione. Entro pochi secondi
dall’assunzione della parem, lei prese il controllo della guardia
dentro la stanza.»
«Come?»
«Non lo sappiamo con certezza. Ma qualunque metodo abbia
usato, le ha permesso di so ome ere anche queste guardie.»
«Non è possibile.»
«No? Il cervello è solo un altro organo, un ammasso di cellule e
impulsi. Perché un Grisha so o l’effe o della jurda parem non
dovrebbe essere in grado di manovrarlo?»
Lo sce icismo di Kaz doveva essere evidente.
«Guardi quegli uomini» insiste e Van Eck. «La Grisha ha de o
loro di aspe are. E questo è esa amente quello che stanno facendo...
è tu o quello che hanno fa o finora.»
Kaz studiò più a entamente il gruppe o silenzioso. I loro occhi
non erano spenti o morti, i loro corpi non erano del tu o a riposo.
Erano in a esa.
Soffocò un brivido.
Ne aveva viste di cose bizzarre, e straordinarie, ma niente di
simile a quello di cui adesso era testimone.
«Cos’è successo a Hoede?»
«La Grisha gli ordinò di aprire la porta, e quando lui obbedì, lei
gli comandò di amputarsi il pollice. Se noi sappiamo com’è andata è
solo perché era presente un ragazzino che lavora in cucina. La
Grisha non lo toccò nemmeno, ma lui sostiene che Hoede si sia
affe ato via il pollice sorridendo per tu o il tempo.»
A Kaz non piaceva l’idea di una Grisha che gli spostava le cose
nella testa. Ma non si sarebbe stupito se Hoede si fosse meritato tu o
quello che gli era capitato. Durante la guerra civile di Ravka,
parecchi Grisha erano sfuggiti ai comba imenti e avevano pagato il
loro ingresso a Kerch finendo so o contra o, senza rendersi conto
che si erano di fa o rido i da soli in schiavitù.
«Il mercante è morto?»
«Il Consigliere Hoede ha perso una grande quantità di sangue, ma
si trova nelle stesse condizioni di questi uomini. È stato portato in
campagna con la sua famiglia e il personale di servizio della casa.»
«La Guaritrice Grisha è tornata a Ravka?» chiese Kaz.
Van Eck fece cenno a Kaz di uscire dall’inquietante rimessa e
chiuse a chiave la porta dietro di loro.
«Deve averci provato» disse mentre ripercorrevano i propri passi
a raverso il giardino e lungo il fianco della casa. «Sappiamo che si è
procurata una piccola imbarcazione, e sospe iamo che si sia dire a
verso Ravka, ma abbiamo trovato il suo corpo trascinato a riva due
giorni fa vicino a Terzo Porto. Pensiamo che sia annegata nel
tentativo di rientrare in ci à.»
«Perché avrebbe dovuto tornare qui?»
«Per la jurda parem.»
Kaz pensò agli occhi brillanti di Mikka e alla sua pelle cerea. «Dà
così tanta dipendenza?»
«Sembra che basti una dose sola. Una volta che la droga ha fa o il
suo corso, lascia il corpo del Grisha spossato e con un desiderio
intenso. È decisamente debilitante.»
Decisamente debilitante suonava un po’ ridu ivo. Il Consiglio delle
Maree controllava l’ingresso ai porti di Ke erdam. Se la Guaritrice
drogata aveva cercato di tornare di no e a bordo di una barche a,
non avrebbe avuto grandi chance contro la corrente. Kaz pensò
ancora alla faccia smunta di Mikka, al modo in cui i vestiti gli
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cascavano addosso. Era stata la droga a ridurlo così. Era strafa o di
jurda parem e già in scimmia per la dose successiva. Sembrava anche
in procinto di avere un collasso. Quanto a lungo poteva reggere un
Grisha?
Era una domanda interessante, ma irrilevante rispe o alla
faccenda in questione.
Erano arrivati al cancello principale. Era giunto il momento di
parlare di affari.
«Trenta milioni di kruge» disse Kaz.
«Abbiamo de o venti!» farfugliò Van Eck.
«Lei ha de o venti. È evidente che è disperato.» Kaz guardò verso
la rimessa, dove c’era una stanza piena di uomini che aspe avano
semplicemente di morire. «E ora posso capire perché.»
«Il Consiglio vorrà la mia testa.»
«Canteranno le sue lodi una volta che avrà Bo Yul-Bayur nascosto
al sicuro dovunque vorrà tenerlo.»
«Novyi Zem.»
Kaz si strinse nelle spalle. «Può infilarlo in una caffe iera per quel
che me ne importa.»
Lo sguardo di Van Eck ca urò il suo. «Lei ha visto cosa può fare
questa droga. Le posso assicurare che questo è solo l’inizio. Se la
jurda parem circolasse nel mondo, la guerra sarebbe inevitabile. I
nostri scambi commerciali verrebbero distru i, e i nostri mercati
crollerebbero. Kerch non sopravvivrebbe. Le nostre speranze sono
riposte in lei, signor Brekker. Se lei fallirà, tu o il mondo ne patirà.»
«Oh, anche peggio, Van Eck. Se io fallirò, non verrò pagato.»
L’espressione di disgusto sulla faccia del mercante era qualcosa
che da sola si meritava un dipinto a olio di DeKappel in
commemorazione.
«Non sia così deluso. Consideri invece quanto sarebbe stato
deprimente scoprire che questo ra o dei canali cova dentro di sé una
traccia di patrio ismo. Avrebbe dovuto togliersi quella smorfia di
ribrezzo da so o il naso e tra armi con qualcosa di simile al
rispe o.»
«La ringrazio per avermi risparmiato quel disagio» disse Van Eck
sdegnato. Aprì la porta, poi si fermò. «Davvero mi domando cosa
g p p p
sarebbe diventato un ragazzo della sua intelligenza se le circostanze
fossero state diverse.»
“Lo chieda a Jordie” pensò Kaz con una fi a di rabbia. Ma si
limitò a scrollare le spalle. «Deruberei dei fessi di livello superiore.
Trenta milioni di kruge.»
Van Eck annuì. «Trenta. Un pa o è un pa o.»
«Un pa o è un pa o» disse Kaz. Si diedero la mano.
Mentre quella perfe amente curata di Van Eck stringeva le dita
guantate di Kaz, il mercante ridusse gli occhi a una fessura.
«Perché indossa i guanti, signor Brekker?»
Kaz alzò un sopracciglio. «Sono sicuro che conosce le storie che si
raccontano.»
«Una più mostruosa dell’altra.»
Anche Kaz le conosceva. Le mani di Brekker erano macchiate di
sangue. Le mani di Brekker erano coperte di cicatrici. Brekker aveva
degli artigli al posto delle dita perché era un mezzo diavolo. Il tocco
di Brekker bruciava come il fuoco: se solo avessi sfiorato la sua pelle
nuda, la tua si sarebbe seccata e poi sarebbe caduta.
«Ne scelga una» disse Kaz mentre spariva nella no e, i pensieri
già rivolti ai trenta milioni di kruge e alla banda che lo avrebbe
aiutato a o enerli. «Sono tu e vere a sufficienza.»
4
INEJ

Inej seppe che Kaz era rientrato alla Stecca nell’istante in cui lui
varcò la porta. La sua presenza riecheggiò nelle stanze anguste e nei
corridoi sbilenchi mentre ogni delinquente, ladro, spacciatore e
truffatore presente si mise in allerta. Il vicecomandante preferito di
Per Haskell era a casa.
La Stecca non era granché, un edificio qualunque nella zona
peggiore del Barile, tre piani accatastati uno sopra l’altro, con una
mansarda e un te o aguzzo. In questa zona la maggior parte degli
edifici era stata costruita senza fondamenta, molti si ergevano
dire amente sul terreno paludoso dove i canali erano stati scavati a
casaccio. Si appoggiavano l’uno all’altro come amici ubriachi in un
bar, inclinati ad angoli improbabili. Inej ne aveva visitati parecchi
durante le sue commissioni per gli Scarti, e non erano messi molto
meglio all’interno: freddi e umidi, l’intonaco scrostato dai muri,
fessure alle finestre grosse abbastanza da lasciar entrare pioggia e
neve. Però Kaz aveva speso del denaro di tasca propria perché gli
spifferi della Stecca fossero eliminati e le pareti coibentate. La Stecca
era bru a, storta e affollata, ma era magnificamente asciu a.
La stanza di Inej si trovava al terzo piano, una fe a striminzita di
spazio a malapena sufficiente a farci stare una brandina e un baule,
ma con una finestra che dava sui te i appuntiti e sul guazzabuglio di
comignoli del Barile. Quando il vento arrivava a pulire la coltre di
fumo di carbone sospesa sulla ci à, Inej riusciva persino a vedere un
pezze o blu di porto.
Sebbene l’alba fosse distante ancora qualche ora, la Stecca era del
tu o sveglia. La casa era davvero silenziosa solo durante le lente ore
pomeridiane, questa no e inoltre tu i erano eccitati dalle notizie
della resa dei conti tenutasi alla Borsa, dalla punizione di Bolliger il
Grande, e ora dal licenziamento del povero Rojakke.
Dopo aver parlato con Kaz, Inej era andata dire amente a cercare
il mazziere al Club dei Corvi. Lui era al tavolo a dare le carte di Tre
Uomo Mora per Jesper e per un paio di turisti di Ravka. Quando
ebbe finito di servire la mano, Inej gli aveva proposto di scambiare
due parole in uno dei privé per risparmiargli l’imbarazzo di essere
licenziato di fronte ai suoi amici, ma Rojakke non aveva voluto.
“Non è giusto” aveva urlato nel momento in cui lei gli aveva
riportato gli ordini di Kaz. “Non sono un baro!”
“Prenditela con Kaz” aveva risposto Inej con calma.
“E abbassa la voce” aveva aggiunto Jesper, ge ando uno sguardo
ai turisti e ai marinai seduti ai tavoli vicini. Le risse erano all’ordine
del giorno nel Barile, ma non tra le mura del Club dei Corvi. Se avevi
qualcosa di cui lagnarti, la risolvevi fuori, dove non rischiavi di
interferire nella pratica sacrosanta di separare i polli dal loro denaro.
“Dov’è Brekker?” aveva ringhiato Rojakke.
“Non lo so.”
“Tu sai sempre tu o di tu i” aveva de o il croupier in tono di
scherno, facendo un passo in avanti, l’odore di birra chiara e cipolle
nell’alito. “Non è per questo che ti paga Manisporche?”
“Non so dove sia o quando tornerà. Ma so per certo che non vuoi
essere qui quando lo farà.”
“Dammi la mia paga. Mi spe a, per il mio ultimo turno di
lavoro.”
“Brekker non ti deve niente.”
“Non ha nemmeno il coraggio di dirmelo in faccia? Manda una
ragazzina come te a darmi il benservito? Forse devo scuoterti fino a
farti uscire qualche moneta.” Rojakke aveva allungato le braccia per
afferrare Inej per il colle o della camicia, ma lei lo aveva scansato
facilmente. Lui aveva cercato di afferrarla di nuovo.
Con la coda dell’occhio Inej vide Jesper alzarsi dal suo posto, ma
lei gli fece segno di no e strinse le dita intorno al tirapugni che
teneva nella tasca sul fianco destro. Con una rapida mossa, tirò un
colpo sulla guancia sinistra di Rojakke.
La mano di lui era salita a toccarsi la faccia. “Ehi” aveva de o. “Io
non ti ho neanche toccata. Facevo per dire.”
Ora tu i stavano guardando, così lei lo colpì di nuovo. A
prescindere dalle regole del Club dei Corvi, questo aveva la priorità.
Quando Kaz l’aveva portata alla Stecca, l’aveva avvisata che lui non
ci sarebbe stato a proteggerla, che avrebbe dovuto cavarsela da sola,
e lei se l’era cavata da sola. Sarebbe stato più facile girarsi dall’altra
parte quando la insultavano o quando si avvicinavano furtivamente
per o enere una carezza, ma se avesse fa o così ben presto si
sarebbe ritrovata una mano dentro la camice a o schiacciata contro
un muro da qualcuno che ci stava provando. Per cui non aveva mai
permesso che le piovessero addosso insulti o ba ute a doppio senso.
Aveva sempre colpito per prima e colpito duro. A volte aveva anche
procurato qualche taglio. Era faticoso, ma a Kerch non c’era niente di
sacro tranne il commercio, così lei era andata dri a per la sua strada,
che consisteva nel rendere il pericolo più grosso del premio quando
si tra ava di mancarle di rispe o. Con espressione stupita, Rojakke
si toccò con le dita il bru o livido che si stava formando sulla
guancia, come se fosse stato un po’ tradito. “Pensavo che eravamo
amici” aveva protestato lui. La cosa triste era che lo erano veramente.
Ma per il momento, lui era solo un uomo spaventato che cercava di
sentirsi più grosso di qualcun altro.
“Rojakke” aveva de o lei. “Ho visto come fai andare il mazzo di
carte. Puoi trovarti un lavoro praticamente in ogni bisca. Vai a casa e
sii grato che Kaz non voglia indietro quello che gli hai preso di
nascosto?”
Se n’era andato, un po’ traballante, ancora con la mano sul livido
come un moccioso scioccato, e Jesper l’aveva raggiunta.
“Ha ragione lui, e lo sai. Kaz non dovrebbe mandare te a fare il
suo lavoro sporco.”
“Sono tu i lavori sporchi.”
“Ma ci tocca farli comunque” aveva de o lui con un sospiro.
“Hai l’aria stanca. Non vai a dormire?”
Jesper le aveva fa o l’occhiolino. “Non finché le carte girano per il
verso giusto. Resta e fa i un giro. Offre Kaz.”
“Veramente, Jesper?” aveva de o lei, alzandosi il cappuccio. “Se
volessi vedere degli uomini scavarsi da soli la fossa, mi cercherei un
cimitero.”
“Eddai, Inej” l’aveva chiamata indietro lui mentre lei varcava le
doppie porte per uscire in strada. “Tu mi porti fortuna.”
“Santi numi, se lo crede veramente dev’essere proprio alla fru a”
aveva pensato. Tu a la fortuna lei se l’era lasciata alle spalle, in un
accampamento Suli sulle sponde occidentali di Ravka. E c’era da
dubitare che l’avrebbe ritrovata.
Ora Inej lasciò la sua stanze a nella Stecca e si diresse al piano di
so o usando i corrimani delle ringhiere. Non aveva motivo, qui, di
celare i suoi movimenti, ma il silenzio era ormai diventato
un’abitudine, e i gradini tendevano a squi ire come topi che si
accoppiavano. Quando raggiunse il pianero olo del secondo piano e
vide la folla accalcarsi di so o, esitò.
Kaz era stato via più a lungo di quanto chiunque si fosse
aspe ato, e non appena varcò l’ingresso buio, fu abbordato da tu i
quelli che volevano congratularsi con lui per come aveva sconfi o
Geels e che volevano notizie sulle Punte Nere.
«In giro si dice che Geels stia già me endo insieme i suoi per
a accarci» disse Anika.
«Lasciamoglielo fare!» brontolò Dirix. «Ho il suo nome scri o sul
manico della mia ascia.»
«Geels non si farà vivo per un po’» disse Kaz mentre iniziò a
percorrere il corridoio. «Non ha i numeri per affrontarci in strada, e
le sue casse sono troppo vuote per reclutare altra gente. Non
dovreste essere già in cammino per il Club dei Corvi?»
Bastò il sopracciglio sollevato a far precipitare fuori Anika e a
spedire Dirix alle sue calcagna. Arrivarono altri a congratularsi o a
lanciare minacce contro le Punte Nere. Nessuno, però, si avvicinò al
punto da dargli una pacca sulla spalla: quello sarebbe stato un buon
modo per perdere la mano.
Inej sapeva che Kaz si sarebbe fermato a parlare con Per Haskell, e
così, invece di scendere l’ultima rampa di scale, si avviò per il
corridoio. Qui c’era un armadio pieno di cianfrusaglie, vecchie sedie
dagli schienali ro i, teli macchiati di vernice. Inej spostò un cesto
g j p
pieno di a rezzi per pulire che lei aveva piazzato là proprio perché
sapeva che nessuno della Stecca l’avrebbe mai toccato. La grata che
c’era dietro offriva una visuale perfe a dell’ufficio di Per Haskell. Si
sentì un po’ in colpa ad ascoltare Kaz di nascosto, ma era stato lui a
farla diventare una spia. Non puoi addestrare un falcone e poi
aspe arti che non vada a caccia.
A raverso la grata Inej sentì Kaz bussare alla porta di Per Haskell
e porgere i suoi saluti.
«Di ritorno vivo e vegeto?» chiese il vecchio. Era seduto nella sua
poltrona preferita, a giocherellare con un modellino di nave che
stava costruendo ormai da un anno, e una pinta di birra a portata di
mano, come sempre.
«Non avremo più problemi con Quinto Porto.»
Haskell grugnì e tornò al suo modellino. «Chiudi la porta.»
Inej sentì l’uscio sba ere e i rumori dal corridoio che si
smorzavano. Riusciva a vedere la punta della testa di Kaz. I suoi
capelli neri erano umidi. Doveva aver iniziato a piovere.
«Era più opportuno aspe are il mio permesso prima di punire
Bolliger» disse Haskell.
«Se avessi prima parlato con te, la voce avrebbe potuto spargersi in
giro.»
«Secondo te avrei lasciato che accadesse?»
Le spalle di Kaz si sollevarono. «Questo posto non è diverso da
tu i gli altri, qui a Ke erdam. Ci sono delle fughe di notizie.» Inej
avrebbe giurato che lui guardasse dri o alla grata mentre lo diceva.
«Non mi piace, ragazzo. Bolliger il Grande era un mio soldato, non
tuo.»
«Certamente» disse Kaz, ma entrambi sapevano che era una
menzogna. Gli Scarti di Haskell erano guardie malconce, truffatori e
furfanti di vecchia generazione. Bolliger era uno del giro di Kaz:
sangue fresco, giovane e impavido. Forse troppo impavido.
«Sei sveglio, Brekker, ma devi imparare l’arte della pazienza.»
«Sissignore.»
Il vecchio abbaiò una risata e gli fece il verso. «“Sissignore.
Nossignore.” Quando sei così rispe oso, è perché hai in mente
qualcosa. Quindi cosa bolle in pentola?»
q p
«Un colpo» disse Kaz. «Potrei aver bisogno di un periodo di
congedo.»
«La cifra è grossa?»
«Molto grossa.»
«Il rischio è grosso?»
«Anche, sì. Ma tu avrai il tuo venti per cento.»
«Tu non farai nessuna mossa senza il mio permesso, capito?»
Kaz doveva aver annuito perché Per Haskell si appoggiò allo
schienale della sedia e bevve un sorso di birra. «Saremo ricchi?»
«Ricchi come Santi con le corone d’oro.»
Il vecchio sbuffò. «Basta che io non debba vivere come uno di
loro.»
«Parlerò con Pim» disse Kaz. «Può sostituirmi lui mentre io sarò
via.»
Inej si accigliò. Dove doveva andare Kaz? Non le aveva accennato
nessun colpo grosso. E perché Pim? Il pensiero la mise un po’ in
imbarazzo. Poteva quasi sentire la voce di suo padre: “Sei così
impaziente di diventare Regina dei Ladri, Inej?”. Una cosa era fare il
proprio lavoro e farlo bene. Un’altra era voler far carriera. Lei non
desiderava un posto a tempo indeterminato presso gli Scarti. Voleva
ripagare il suo debito e liberarsi di Ke erdam per sempre, allora
perché le importava così tanto che Kaz avesse scelto Pim per guidare
la banda in sua assenza? Perché sono più sveglia di Pim. Perché Kaz si
fida più di me che di lui. Ma forse Kaz non credeva che la banda
avrebbe dato re a a una ragazza come lei, che da due soli anni era
fuori dai bordelli e non ne aveva ancora diciasse e. Portava le
maniche lunghe e il fodero del coltello nascondeva quasi del tu o la
cicatrice all’interno dell’avambraccio sinistro, dove una volta c’era il
tatuaggio del Serraglio, ma tu i sapevano che era lì.
Kaz uscì dall’ufficio di Haskell, e Inej lasciò il suo osservatorio per
aspe arlo mentre lui zoppicava su per le scale.
«Rojakke?» chiese lui, mentre le passava accanto e iniziava a salire
verso il secondo piano.
«Andato» disse lei, me endosi in fila dietro di lui.
«Ha opposto molta resistenza?»
«Niente che non potessi gestire.»
p g
«Non ti ho chiesto questo.»
«Era arrabbiato. Potrebbe tornare qua a orno a cercare guai.»
«Quelli non mancano mai» disse Kaz mentre raggiungevano
l’ultimo piano. La mansarda era stata trasformata nel suo ufficio e
nella sua camera da le o. Inej sapeva che tu e quelle rampe di scale
erano micidiali per la sua gamba malata, ma lui sembrava
apprezzare il fa o di avere tu o il piano per sé.
Entrò nel suo ufficio e senza girarsi verso di lei disse: «Chiudi la
porta».
La stanza era quasi del tu o occupata da una scrivania di fortuna
– la porta di un magazzino appoggiata su due pile di casse e della
fru a – sepolta dalle scartoffie. Alcuni capibanda avevano iniziato a
usare le calcolatrici, delle macchine che facevano strani rumori
metallici, piene di bo oni d’o one e rotoli di carta, ma Kaz faceva
tu i i conti del Club dei Corvi a mente. Aveva dei libri, ma solo per
far stare tranquillo il vecchio e perché così aveva qualcosa su cui
puntare il dito quando accusava qualcuno di aver imbrogliato o
quando era in cerca di nuovi investitori.
Questo era uno dei grandi cambiamenti che Kaz aveva introdo o
nella gestione della banda. Ai negozianti qualsiasi e agli uomini
d’affari onesti aveva dato la possibilità di acquistare le azioni del
Club dei Corvi. All’inizio erano stati sce ici, sicuri che si tra asse di
una truffa, ma lui li aveva coinvolti con piccoli interessi, e aveva fa o
in modo di me ere insieme abbastanza capitale da comprare il
vecchio edificio fatiscente, dargli una rinfrescata e farlo funzionare.
Quei primi investitori erano stati ripagati molto bene. O così si
raccontava. Inej non poteva mai sapere con certezza quali delle storie
che circolavano su Kaz fossero vere e quali dicerie che lui stesso
aveva messo in giro per i propri scopi. Per quello che ne sapeva lei,
Kaz aveva portato via a qualche povero onesto commerciante i
risparmi di una vita intera pur di far decollare il Club dei Corvi.
«Ho un lavoro per te» disse Kaz mentre scartabellava i conti del
giorno precedente. Ogni foglio veniva degnato a malapena di uno
sguardo e memorizzato. «Cosa ne diresti di qua ro milioni di
kruge?»
«Così tanti soldi sono più una maledizione che un dono.»
p
«Mia piccola idealista Suli. Tu o quello che ti serve è la pancia
piena e la strada libera?» disse lui, prendendola in giro.
«E il cuore leggero, Kaz.» Quella era la parte difficile.
Lui scoppiò a ridere apertamente mentre infilava la porta che
dava sulla piccola camera da le o. «Non c’è speranza, allora.
Preferisco i soldi in contanti. E tu li vuoi o no?»
«Fare regali non è il tuo lavoro. Di cosa si tra a?»
«Un colpo impossibile, morte quasi certa, ostacoli praticamente
insuperabili, ma se dovessimo farcela...» Si interruppe, le dita sui
bo oni del gilè, lo sguardo distante, quasi sognante. Era raro sentire
così tanta eccitazione nella sua voce rauca.
«Dovessimo farcela...?» lo imbeccò lei.
Lui le rivolse un gran sorriso, improvviso e impetuoso come un
tuono, gli occhi neri come il caffè amaro. «Saremo re e regine, Inej.
Re e regine.»
«Mmh» fece lei in modo evasivo, fingendo di esaminare uno dei
propri pugnali, determinata a ignorare il sorriso di lui. Kaz non era
tipo da sorridere a vanvera e fare proge i con lei. Era un giocatore
pericoloso che aveva sempre un secondo fine. “Sempre” ricordò a se
stessa con fermezza. Inej distolse lo sguardo e sistemò una pila di
fogli sulla scrivania mentre Kaz si levava gilè e camicia. Non sapeva
se essere lusingata o offesa dal fa o che lui nemmeno considerasse la
sua presenza.
«Quanto tempo staremo via?» chiese lei, lanciandogli un’occhiata
a raverso la porta aperta. Era ricoperto da muscoli e cicatrici, ma
aveva soltanto due tatuaggi: il corvo e il calice degli Scarti
sull’avambraccio e una R nera sul bicipite. Non gli aveva mai chiesto
che cosa significasse.
Furono le mani ad a rarre la sua a enzione nel momento in cui
lui si sfilò i guanti di pelle e immerse un panno nel catino. Kaz si
toglieva i guanti solamente nelle proprie stanze e, per quel che ne
sapeva, soltanto davanti a lei. Qualunque mala ia stesse
nascondendo, lei non ne vedeva traccia, solo dita snelle e abili a
scassinare, e il segno lucido di una cicatrice che risaliva a qualche
vecchia rissa di strada.
«Qualche se imana, forse un mese» disse lui, mentre si sfregava il
panno so o le ascelle e sui muscoli tesi del pe o, con l’acqua che gli
scorreva lungo il torso.
“Per tu i i Santi” pensò Inej mentre le guance le prendevano
fuoco. Aveva perso quasi ogni senso del pudore ai tempi della sua
permanenza nel bordello del Serraglio, ma c’era un limite a tu o.
Cosa avrebbe de o Kaz se lei si fosse spogliata all’improvviso e
avesse preso a lavarsi di fronte a lui? “Probabilmente mi direbbe di
non sgocciolare sulla scrivania” pensò aggro ando le sopracciglia.
«Un mese?» disse lei. «Sei sicuro che sia una buona idea partire
con le Punte Nere così su di giri?»
«È questa la mossa giusta da fare. A proposito, raduna Jesper e
Muzzen. Li voglio qui per l’alba. E mi serve che Wylan si presenti al
Club dei Corvi domani no e.»
«Wylan? Se è per un lavoro grosso...»
«Fallo e basta.»
Inej incrociò le braccia. Il minuto prima la faceva arrossire, quello
dopo le faceva venir voglia di ucciderlo. «Intendi spiegarmi
qualcosa?»
«Quando ci saremo tu i.» Si infilò una camicia pulita, poi esitò
mentre si abbo onava il colle o. «Questo non è un incarico come gli
altri, Inej. È un lavoro che puoi prendere o lasciare come meglio
credi.»
Dentro, le suonò un campanello d’allarme. Me eva a repentaglio
la propria vita ogni giorno nelle strade del Barile. Aveva ucciso per
gli Scarti, rubato, rovinato brava e bru a gente, e Kaz non aveva mai
messo in dubbio, a ogni incarico, che fosse un ordine a cui obbedire.
Questo era il prezzo che aveva acce ato quando Per Haskell aveva
acquistato il suo contra o e l’aveva liberata dal Serraglio. Ma allora
cosa c’era di diverso in questo colpo?
Kaz finì di allacciarsi i bo oni, indossò un gilè grigio scuro e le
lanciò qualcosa. Brillò alla luce, e lei lo prese al volo con una mano.
Quando aprì il pugno, vide un grosso fermacrava a di rubino
circondato da foglie d’oro.
«Rivendilo» disse Kaz.
«Di chi è?»
«Ora è nostro.»
«Di chi era?»
Kaz rimase in silenzio. Raccolse la giacca e usò una spazzola per
togliere il fango che si era seccato sopra. «Qualcuno che avrebbe
dovuto pensarci due volte prima di aggredirmi alle spalle.»
«Aggredirti?»
«Mi hai sentito.»
«Qualcuno ti ha colto di sorpresa?»
Lui la guardò e annuì una volta. Una sensazione di malessere
serpeggiò dentro di lei e si a orcigliò in una spirale d’ansia. Nessuno
prendeva Kaz in contropiede. Era il tipo più duro e più pericoloso in
giro per i vicoli del Barile. Lei faceva affidamento su questo. E anche
lui.
«Non accadrà più» promise Kaz.
Indossò dei guanti puliti, afferrò il bastone da passeggio e infilò la
porta per uscire. «Sarò di ritorno fra qualche ora. Me i in cassaforte
il DeKappel che abbiamo portato via dalla casa di Van Eck. Credo
che sia arrotolato so o il mio le o. Ah, ordinami un cappello
nuovo.»
«Per favore.»
Kaz tirò un sospiro e si preparò ad affrontare tre dolorose rampe
di scale. Si guardò alle spalle e disse: «Per favore, mia cara Inej,
tesoro del mio cuore, vuoi farmi l’onore di acquistarmi un cappello
nuovo?».
Inej ge ò un’occhiata eloquente al bastone. «Guardati le spalle»
disse, poi saltò sulla balaustra e andò giù un piano dopo l’altro,
scivolando agile e sciolta come burro in padella.
5
KAZ

Kaz seguì lo Stave dell’Est verso il porto, a raverso i confini del


quartiere delle bische del Barile. Il famigerato groviglio di stradine e
corsi d’acqua secondari noto come il Barile si infilava come una
parentesi tra due canali importanti, lo Stave dell’Est e lo Stave
dell’Ovest, ognuno dei quali soddisfaceva i bisogni di una clientela
particolare. Gli edifici del Barile erano diversi da quelli di tu e le
altre zone di Ke erdam, più alti, più ampi, dipinti in colori
sgargianti, a reclamare l’a enzione dei passanti: lo Scrigno del
Tesoro, l’Ansa d’Oro, il Ba ello di Weddel. Le migliori case da gioco
si trovavano a nord, nella zona di lusso del Coperchio, la sezione del
canale più vicina ai porti, in posizione favorevole per a rarre turisti
e marinai che arrivavano allo scalo.
“Ma non il Club dei Corvi” rifle é Kaz mentre alzava lo sguardo
verso la facciata nera e rosso cremisi. Ce n’era voluto per adescare
turisti e mercanti amanti del rischio e indurli ad andare a divertirsi
così a sud. Ora le campane stavano per suonare qua ro rintocchi ed
era ancora pieno di gente ammassata fuori dal club. Kaz osservò la
marea di persone fluire tra le colonne nere dei portici, so o l’occhio
vigile del corvo d’argento ossidato che spiegava le ali sopra l’entrata.
“Benede i polli” pensò. “Che siate benede i, sempre pronti a
svuotare i portafogli nelle casse degli Scarti a cuor contento.” Gli
imbonitori lì di fronte urlavano ai potenziali clienti, offrendo loro
bevute gratis, tazze di caffè bollente e l’affare più onesto di tu a
Ke erdam. Li salutò con un cenno del capo e proseguì più a nord.
C’era solo un’altra bisca sullo Stave che gli interessava: il Palazzo
di Smeraldo, l’orgoglio e la gioia di Pekka Rollins. L’edificio era di
un bru o verde, addobbato da alberi sintetici carichi di monete d’oro
e d’argento false. Il posto era stato ere o come una specie di tributo
g p p
all’eredità Kaelish di Rollins e alla sua banda, i Centesimi di Leone.
Anche le ragazze che lavoravano ai banconi e ai tavoli da qua ro
soldi indossavano tubini aderenti in seta di un verde scintillante, e si
tingevano i capelli di un rosso scuro e innaturale per avere l’aspe o
delle ragazze dell’Isola Errante. Appena Kaz entrò allo Smeraldo,
guardò in alto verso le monete false e lasciò che la rabbia lo
invadesse. Questa no e gli serviva come promemoria di quello che
aveva perso, e di quello che voleva riguadagnare. Gli serviva per
prepararsi a quest’impresa sconsiderata.
«Una cosa alla volta» mormorò tra sé. Erano le uniche parole che
tenevano a bada il suo furore, che gli impedivano di marciare
a raverso le sgargianti porte verde e oro dello Smeraldo, insistere
per o enere un incontro privato con Rollins e tagliargli la gola. Una
cosa alla volta. Era la frase che lo faceva dormire di no e, che gli
consentiva di andare avanti ogni giorno, che teneva lontano il
fantasma di Jordie. Perché una morte veloce sarebbe stata troppo
generosa per Pekka Rollins.
Kaz guardò il flusso di clienti entrare e uscire dalle porte dello
Smeraldo e intravide i propri strilloni, uomini e donne che aveva
assunto per a irare i clienti di Pekka a sud con la prospe iva di
affari migliori, vincite più grosse, ragazze più carine.
«Da dove arrivi, così pieno di soldi?» disse uno di loro, a voce più
alta del necessario.
«Appena uscito dal Club dei Corvi. Gli ho levato un centinaio di
kruge in sole due ore» rispose l’altro.
«Non mi dire!»
«Davvero! Ho risalito lo Stave per farmi una birra e vedere un
amico. Perché non ti unisci a noi, e ci torniamo tu i assieme?»
«Il Club dei Corvi! Chi l’avrebbe mai de o?»
«Avanti. Ti offro da bere. Offro da bere a tu i!»
E se ne andarono ridendo, lasciando che tu i i clienti abituali
a orno a loro si domandassero se non fosse il caso di affrontare
qualche ponte, scendere per il canale e scoprire se le probabilità di
fare fortuna fossero migliori laggiù – mentre la serva di Kaz,
l’avidità, li conduceva come un pifferaio con il flauto in mano.
Kaz si era accertato che gli strilloni si alternassero e cambiassero
connotati in modo da non farsi scoprire dai bu afuori di Pekka, e
cliente dopo cliente, come una sanguisuga, aveva spremuto via il
giro d’affari dello Smeraldo. Era uno dei tanti piccoli modi che aveva
trovato per diventare più forte a spese di Pekka: interce are i suoi
carichi di jurda, fargli pagare il dazio per accedere a Quinto Porto,
ba erlo sui prezzi degli immobili per tenere le sue proprietà sfi e, e
lentamente, molto lentamente, tirare i fili che tenevano insieme la
sua vita.
Nonostante le menzogne che aveva fa o circolare e i proclami che
questa no e aveva fa o a Geels, Kaz non era un bastardo. Non era
nemmeno di Ke erdam. Lui aveva nove anni e Jordie tredici quando
erano arrivati per la prima volta in ci à, con un assegno che
proveniva dalla vendita della fa oria del padre cucito al sicuro nella
tasca interna del vecchio cappo o di Jordie. Kaz si vide com’era
allora, mentre camminava lungo lo Stave con gli occhi sgranati, la
mano stre a in quella di Jordie per non essere portato via dalla folla.
Odiava i ragazzini che erano stati, due stupidi polli pronti per essere
spennati.
Ma quei ragazzini erano spariti da un pezzo, ed era rimasto
soltanto Pekka Rollins ancora da punire.
Un giorno Rollins sarebbe andato da Kaz in ginocchio,
implorando aiuto. E se Kaz fosse riuscito a portare a termine questo
lavoro per Van Eck, quel giorno sarebbe arrivato molto prima di
quanto avesse mai sperato. Una cosa alla volta, ti distruggerò.
Ma se voleva avere delle possibilità di introdursi nella Corte di
Ghiaccio, doveva formare la squadra giusta, e le vicende delle
prossime ore l’avrebbero portato un po’ più vicino ad assicurarsi due
pezzi decisamente cruciali del puzzle.
Svoltò in un viale o che costeggiava uno dei canali più piccoli. Ai
turisti e ai mercanti piaceva tenersi sulle strade principali ben
illuminate, così il traffico a piedi qui era scarso, e lui poteva fare
prima. Presto apparvero le luci e la musica dello Stave dell’Ovest, il
canale ostruito da persone di ogni rango e paese in cerca di
distrazioni.
Dalle porte spalancate delle case d’appuntamento fuoriusciva la
musica, e gli uomini e le donne poltrivano sui divani con addosso
poco più di qualche scampolo di seta e qualche chincaglieria
pacchiana. Gli acrobati penzolavano dalle corde sopra il canale, i
loro corpi flessuosi coperti da nient’altro che lustrini, mentre gli
artisti di strada suonavano il violino nella speranza di raggranellare
una moneta o due dai passanti. I venditori ambulanti urlavano
all’indirizzo delle slanciate gondels private dei ricchi mercanti, così
come dei grossi traghe i che dal Coperchio portavano turisti e
marinai sulla terraferma.
Molti visitatori non entravano mai nei bordelli dello Stave
dell’Ovest. Venivano solo a osservare la folla, che era uno spe acolo
di per sé. In parecchi sceglievano di recarsi in questa zona del Barile
in incognito: velati, mascherati o so o dei mantelli che lasciavano
visibili solo il bianco degli occhi. Compravano i costumi in una delle
bo eghe di articoli speciali nei pressi dei canali principali, e a volte
abbandonavano i loro compagni per un giorno o una se imana, o
comunque finché non esaurivano i fondi. Si travestivano da Signor
Cremisi o da Sposa Perduta, oppure indossavano la maschera,
gro esca e dagli occhi sporgenti, del Folle: tu i personaggi della
Commedia Bruta. E poi c’erano gli Sciacalli, un gruppo di teppisti,
più o meno giovani, che scorrazzava per il Barile con il viso coperto
dalle maschere rosse laccate dei cartomanti Suli.
Kaz si ricordò di quando Inej aveva visto in vetrina per la prima
volta le maschere da sciacallo. Non era stata capace di tra enere il
disprezzo. “I veri cartomanti Suli sono rari e speciali. Sono uomini e
donne infusi di santità. Queste maschere, passate di mano in mano
come gioca oli da festa, sono simboli sacri.”
“Ho visto dei cartomanti Suli lavorare nei carrozzoni e sulle navi
di piacere, Inej. Non sembravano particolarmente santi.”
“Quelli fanno finta. Fanno i pagliacci per te e per quelli della tua
risma.”
“La mia risma” e Kaz era scoppiato a ridere.
Lei aveva agitato la mano indignata. “Shevrati” aveva de o.
“Zoticoni ignoranti. Ridono di voi dietro quelle maschere.”
“Non di me, Inej. Io non ho mai allungato una moneta per farmi
predire il futuro da nessuno, ciarlatani o santi che fossero.”
“Il destino ha piani per tu i noi, Kaz.”
“Che destino era quello che ti ha portato via dalla tua famiglia e ti
ha chiusa in un bordello a Ke erdam? O è stata semplicemente
sfortuna?”
“Non lo so ancora” aveva risposto lei con freddezza.
In momenti come quello, lui era certo che lei lo detestasse.
Kaz si fece largo tra la folla, un’ombra in un turbinio di colori.
Tu e le case di piacere più importanti avevano una specialità, alcune
più ovvie di altre. Lui passò accanto all’Iris Blu, alla Ga a Storta, agli
uomini barbuti che lanciavano occhiatacce dalle vetrine della Fucina,
all’Obscura, al Frustino di Vimini, alle bionde ingenue della Casa di
Neve, e ovviamente al Serraglio, anche conosciuto come Casa delle
Creature Esotiche, dove Inej era stata costre a a indossare delle finte
vesti di seta Suli. Individuò Tante Heleen, con le sue penne di
pavone e il suo famoso girocollo di diamanti, circondata da
ammiratori nel salo o dorato. Gestiva il Serraglio, procurava le
ragazze, faceva in modo che si comportassero bene. Quando vide
Kaz, ridusse le labbra a una so ile riga amara e sollevò il calice di
vino, in un gesto più di minaccia che di brindisi. Lui la ignorò e
passò oltre.
La Casa della Rosa Bianca era uno dei locali più lussuosi sullo
Stave dell’Ovest. Aveva un molo privato, e la facciata di scintillante
pietra bianca le dava più l’aspe o di un palazzo mercantile che di
una casa di tolleranza. I riquadri delle finestre rigurgitavano di rose
bianche rampicanti in ogni stagione, e il loro profumo denso e dolce
avviluppava l’aria sopra questo tra o del canale.
L’ingresso era persino più profumato. Enormi vasi in alabastro
traboccavano di rose bianche, e uomini e donne – alcuni mascherati
o velati, altri a viso scoperto – aspe avano il loro turno su divani
d’avorio, sorseggiando vino quasi incolore e sbocconcellando dolce i
alla vaniglia affogati nel liquore alla mandorla.
Il ragazzo all’ingresso indossava un abito di velluto color crema
con una rosa bianca all’occhiello. Aveva i capelli bianchi e gli occhi
neutri. Fa a eccezione per gli occhi, poteva sembrare albino, ma Kaz
p g p
aveva scoperto che era stato modificato da un Grisha per andare
incontro al gusto della Casa.
«Signor Brekker» salutò il ragazzo. «Nina è con un cliente.»
Kaz annuì e scivolò lungo il corridoio dietro un cespuglio di rose
in vaso, resistendo alla tentazione di seppellire il naso nel colle o
della camicia. A Onkle Felix, il gestore della Rosa Bianca, piaceva
dire che le ragazze della sua casa erano dolci come i suoi boccioli.
Ma era una ba uta sarcastica. Quell’innesto particolare di rose
bianche, l’unico abbastanza robusto da sopravvivere all’umidità di
Ke erdam, non aveva odore. Tu i i fiori venivano spruzzati con del
profumo.
Kaz fece scorrere le dita su un pannello posizionato dietro il vaso
con il cespuglio e preme e il pollice in un incavo del muro. Il
pannello si aprì, e lui salì per una scala a chiocciola di servizio.
La stanza di Nina era al terzo piano. La porta della camera da
le o a igua era aperta, così Kaz scivolò dentro, spostò di lato una
natura morta e pigiò la faccia contro il muro. Gli spioncini erano una
peculiarità di tu i i bordelli. Erano un modo per garantirsi la
sicurezza e l’onestà dei dipendenti, e offrivano un brivido a tu i
quelli che godevano nel guardare gli altri darsi piacere. Kaz aveva
visto così tanti poveracci dei quartieri bassi sfogare i propri istinti
negli angoli bui dei vicoli che la cosa aveva perso il suo fascino. In
più, sapeva che chiunque avesse occhieggiato a raverso questo
spioncino in particolare nella speranza di eccitarsi sarebbe stato
profondamente deluso.
Un omino pelato era seduto, completamente vestito, a un tavolo
rotondo drappeggiato con un panno color avorio, e teneva le mani
ordinatamente incrociate accanto a un vassoio da caffè in argento.
Nina Zenik era in piedi dietro di lui, avvolta nella kefta di seta rossa
che promuoveva il suo stato di Grisha Spaccacuore, il palmo di una
mano pressato sulla fronte del cliente, l’altro sulla nuca.
Era alta e solida come la polena di una nave intagliata da una
mano generosa. I due stavano in silenzio, quasi fossero stati
congelati lì al tavolo. Non c’era neanche un le o nella stanza, solo un
piccolo sofà dove Nina si rannicchiava ogni no e.
Quando Kaz aveva chiesto a Nina perché, lei aveva
semplicemente risposto: «Non voglio che qualcuno si me a in testa
delle idee».
«A un uomo non serve un le o per me ersi in testa delle idee,
Nina.»
Nina aveva fa o svolazzare le ciglia. «E tu cosa ne sai, Kaz?
Togliti quei guanti, e vediamo che idee ti vengono.»
Kaz aveva tenuto lo sguardo fisso sui suoi occhi finché lei non li
aveva abbassati. Non era interessato a flirtare con Nina Zenik, e
sapeva che nemmeno lei era minimamente interessata a lui. A Nina,
semplicemente, piaceva provarci con tu i e tu o. Una volta l’aveva
vista fare gli occhi dolci a un paio di scarpe nella vetrina di un
negozio.
Nina e l’uomo pelato restavano seduti, senza parlare, mentre i
minuti scorrevano, e quando l’orologio scoccò l’ora, lui si alzò e le
baciò la mano.
«Vai» disse lei in tono solenne. «Vai in pace.»
Il pelato le baciò la mano un’altra volta, con le lacrime agli occhi.
«Grazie.»
Non appena il cliente fu nel corridoio, Kaz uscì dalla camera da
le o e bussò alla porta di Nina.
Lei aprì con cautela, senza togliere la catenella dal chiavistello.
«Oh» disse quando lo vide. «Sei tu.»
Non sembrava particolarmente contenta di vederlo. Niente di
strano. Difficile che Kaz Brekker alla porta fosse una buona cosa.
Nina tolse la catenella e lasciò che Kaz entrasse mentre lei sgusciava
fuori dalla kefta rossa, mostrando una so oveste di raso così so ile
che a malapena si poteva definire un indumento.
«Per tu i i Santi, come odio quest’affare» disse lei, calciando via la
kefta e prendendo da un casse o una vestaglia logora.
«Cos’ha che non va?» domandò Kaz.
«Non è fa a bene. E prude.» La kefta era prodo a a Kerch, non a
Ravka: era un costume, non un’uniforme. Kaz sapeva che Nina non
l’avrebbe mai indossata per strada; semplicemente troppo rischioso
per una Grisha. La sua appartenenza agli Scarti faceva sì che
chiunque le avesse fa o qualcosa di male avrebbe rischiato una
q q
punizione da parte della banda, ma la vende a non avrebbe contato
granché per lei se si fosse ritrovata legata su una nave di schiavi
dire a chissà dove.
Nina si bu ò su una delle sedie a orno al tavolo e liberò i piedi
dalle scarpe e ingioiellate, sprofondando le dita nel soffice tappeto
bianco. «Aaah» disse con soddisfazione. «Molto meglio.» Si cacciò in
bocca uno dei dolce i del vassoio e biascicò: «Cosa vuoi, Kaz?».
«Ti sono finite delle briciole nella scollatura.»
«Chissenefrega» disse lei, addentando un altro pezzo di dolce.
«Ho una fame.»
Kaz scrollò la testa, divertito e impressionato da quanto in fre a
Nina sme esse di recitare la parte della sapiente sacerdotessa
Grisha. Avrebbe dovuto fare l’a rice, pensò. «Quello era Van
Aakster, il mercante?» chiese Kaz.
«Sì.»
«Sua moglie è morta un mese fa, e da allora i suoi affari vanno a
picco. Ora che viene a farti visita, possiamo aspe arci un’inversione
di ro a?»
A Nina non serviva un le o perché la sua specialità erano le
emozioni. Lei trafficava in gioia, calma, sicurezza. La maggior parte
dei Grisha Corporalki si concentravano sul corpo – per uccidere o
per guarire – ma Nina aveva bisogno di un lavoro che la mantenesse
a Ke erdam e la tenesse fuori dai guai. Così, invece di rischiare la
vita e fare più soldi come mercenaria, rallentava i ba iti cardiaci,
placava il respiro, rilassava i muscoli. Aveva un secondo lavoro
piu osto redditizio come Plasmaforme, che consisteva nel prendersi
cura delle rughe e dei doppi menti della Kerch benestante, ma la sua
principale fonte di reddito proveniva dalla manipolazione degli stati
d’animo. I suoi clienti si sentivano soli, in lu o, tristi per nessun
motivo al mondo, e se ne andavano rinfrancati, le loro ansie sedate.
L’effe o non durava a lungo, ma a volte solo l’illusione della felicità
bastava a farli sentire in grado di affrontare un altro giorno. Nina
sosteneva che avesse a che fare con le ghiandole, ma a Kaz non
importavano i de agli finché lei era presente quando lui ne aveva
bisogno e pagava in orario a Per Haskell la sua percentuale.
«Mi aspe o che tu veda un cambiamento» disse Nina. Finì
l’ultimo dolce o, si leccò le dita con gusto, poi mise il vassoio fuori
dalla porta e suonò il campanello per chiamare una cameriera. «Van
Aakster ha iniziato a venire alla fine della scorsa se imana e da
allora è stato qui ogni giorno.»
«Eccellente.» Kaz si appuntò in testa di acquistare dei titoli a
basso costo della compagnia di Van Aakster. Anche se gli stati
umorali dell’uomo erano opera di Nina, le azioni sarebbero salite.
Kaz esitò e poi disse: «Lo fai sentire meglio, stemperi la sua angoscia
e tu o il resto... ma saresti in grado di forzarlo a fare qualcosa? Per
esempio, scordarsi di sua moglie?».
«Alterare i percorsi della sua mente? Non essere assurdo.»
«Il cervello è un organo come gli altri» disse Kaz parafrasando
Van Eck.
«Sì, ma è uno di quelli particolarmente complessi. Controllare o
alterare i pensieri di un’altra persona... be’, non è come abbassare le
pulsazioni o rilasciare una sostanza chimica per migliorare l’umore
di qualcuno. Ci sono troppe variabili. Nessun Grisha è in grado di
farlo.»
“Eppure” pensò Kaz. «Per cui tu tra i i sintomi, non la causa.»
Lei fece spallucce. «Quel mercante sta evitando il dolore invece di
elaborarlo. Se io sono la sua soluzione, non supererà mai per
davvero la morte della moglie.»
«Quindi lo manderai per la sua strada? Gli consiglierai di trovarsi
un’altra moglie e di sme erla di me ere piede qui?»
Lei si passò la spazzola tra i lucenti capelli castani e lo guardò
dallo specchio. «Per Haskell ha in programma di cancellare il mio
debito?»
«Assolutamente no.»
«Allora Van Aakster ha il permesso di piangere a modo suo. Ho
un altro cliente in agenda fra mezz’ora, Kaz. Vieni al punto.»
«Il tuo cliente aspe erà. Cosa sai della jurda parem?»
Nina fece di nuovo spallucce. «Ci sono delle voci, ma per me sono
senza senso.» Con l’eccezione del Consiglio delle Maree, i pochi
Grisha che lavoravano a Ke erdam si conoscevano tu i l’un l’altro e
si scambiavano informazioni di buon grado. Molti erano in fuga da
g g
qualcosa, a enti a evitare di destare l’a enzione degli schiavisti o
l’interesse del governo Ravkiano.
«Non sono solo voci.»
«Chiamatempeste che volano? Scuotiacque che si trasformano in
vapore?»
«Fabrikator che trasformano il piombo in oro.» Si frugò nella tasca
e le lanciò il lingo o giallo. «È vero.»
«I Fabrikator producono tessuti. Si dile ano con metalli e
intelaiature. Non possono trasformare una cosa in un’altra.» Sollevò
il lingo o alla luce. «Avresti potuto trovarlo ovunque» disse, proprio
come aveva de o lui a Van Eck poche ore prima.
Senza essere invitato, Kaz si sede e sul divano morbido e allungò
in avanti la gamba malandata. «La jurda parem esiste, Nina, e se sei
ancora la piccola brava soldatessa Grisha che io penso tu sia, starai a
sentire che cosa fa a quelli come te.»
Lei si rigirò il ma oncino d’oro tra le mani, poi si strinse nella
vestaglia e si rannicchiò in fondo al divano. Di nuovo, Kaz rimase
incantato dalla trasformazione. In queste stanze, lei recitava la parte
che i suoi clienti volevano vedere in scena: la potente Grisha, sicura
del proprio sapere. Ma seduta lì con le sopracciglia aggro ate e i
piedi raccolti so o di sé, appariva per quello che effe ivamente era:
una ragazza di diciasse e anni, allevata nel lusso prote o del Piccolo
Palazzo, lontana da casa, faticando per tirare avanti ogni giorno.
«Dimmi tu o» acconsentì lei.
Kaz si mise a raccontare. Tenne per sé i de agli della proposta di
Van Eck, ma le parlò di Bo Yul-Bayur, della jurda parem, e della sua
capacità di dare assuefazione, ponendo particolare enfasi sul furto
dei documenti militari Ravkiani.
«Se è tu o vero, allora Bo Yul-Bayur dev’essere eliminato.»
«Non è questo il lavoro, Nina.»
«Questo non ha a che fare con i soldi.»
Aveva sempre a che fare con i soldi. Ma Kaz sapeva che c’era
bisogno di un altro tipo di motivazione. Nina amava il proprio paese
e il proprio popolo. Riponeva ancora speranze nel futuro di Ravka e
nel Secondo Esercito, l’élite militare Grisha che era stata quasi
disintegrata durante la guerra civile.
g g
Gli amici di Nina che erano rimasti a Ravka credevano che fosse
morta, vi ima dei cacciatori di streghe Fjerdiani, e per il momento
lei preferiva lasciare che lo pensassero. Ma Kaz sapeva che lei
sperava di fare ritorno, un giorno.
«Nina, il nostro compito è recuperare Bo Yul-Bayur, e a me serve
un Corporalki per farlo. Voglio te nella mia squadra.»
«Dovunque si sia nascosto, lasciarlo in vita dopo che l’avrai
trovato sarebbe la più ignobile delle irresponsabilità. La mia risposta
è no.»
«Non si è nascosto. I Fjerdiani lo tengono prigioniero alla Corte di
Ghiaccio.»
Nina fece una pausa. «Allora è come se fosse morto.»
«Il Consiglio dei Mercanti non la pensa così. Non si
prenderebbero questo disturbo e non ci offrirebbero questo tipo di
ricompensa se pensassero che è già stato eliminato. Van Eck era
preoccupato. Si vedeva.»
«Il mercante con cui hai parlato?»
«Sì. Sostiene che i loro servizi segreti sono affidabili. Se non lo
sono, be’, ne subirò le conseguenze. Ma se Bo Yul-Bayur è vivo,
qualcuno dovrà farlo evadere dalla Corte di Ghiaccio. Perché non
noi?»
«La Corte di Ghiaccio» ripeté Nina, e Kaz sapeva che aveva
iniziato a me ere insieme i pezzi. «A te non serve solo un
Corporalki, vero?»
«No. Mi serve qualcuno che conosca la Corte, dentro e fuori.»
Lei balzò in piedi e iniziò a camminare per la stanza, le mani sui
fianchi, la vestaglia che le sventolava a orno. «Sei uno stronzo, lo
sai? Quante volte sono venuta da te, a implorarti di aiutare Ma hias?
E ora che sei tu a volere qualcosa...»
«Quella di Haskell non è un’associazione di beneficenza.»
«Non scaricare tu o sul vecchio» sca ò lei. «Se avessi voluto
aiutarmi, avresti potuto farlo.»
«E perché avrei dovuto?»
Lei andò in confusione. «Perché... perché...»
«Quando mai ho fa o qualcosa gratis?»
Nina aprì la bocca e la richiuse.
p
«Lo sai quanti favori avrei dovuto chiedere? Quante mazze e
avrei dovuto pagare per tirare fuori di galera Ma hias Helvar? Il
prezzo sarebbe stato troppo alto.»
«E adesso invece?» riuscì a dire lei, gli occhi ancora fiammeggianti
d’ira.
«Adesso la libertà di Helvar vale qualcosa.»
«Qualc...»
Lui alzò una mano a interromperla. «Vale qualcosa per me.»
Nina si portò le mani alle tempie. «Anche se arrivassi a lui,
Ma hias non ti aiuterà mai.»
«Si tra a solo di usare la leva giusta, Nina.»
«Non lo conosci.»
«Dici? È come tu i gli altri, motivato dall’avidità, dall’orgoglio e
dalla sofferenza. Dovresti capirlo meglio di chiunque altro.»
«Helvar è motivato dall’onore e solo dall’onore. Non puoi
corromperlo o minacciarlo.»
«Poteva essere vero un tempo, Nina, ma è stato un anno molto
lungo. Helvar è cambiato.
«L’hai visto?» Gli occhi sgranati, ansiosi di sapere. “Eccola lì”
pensò Kaz, “il Barile non ha ancora spento la tua speranza.”
«L’ho visto.»
Nina fece un respiro profondo, fremente. «Vuole la sua vende a,
Kaz.»
«Quello che vuole non è quello di cui ha bisogno» disse Kaz. «Per
usare la leva giusta, devi conoscere la differenza.»
6
NINA

La sensazione di nausea alla bocca dello stomaco non aveva niente a


che fare con il dondolio della barca a remi. Nina provò a fare dei
respiri profondi, a concentrarsi sulle luci del porto di Ke erdam che
scomparivano dietro di loro e sul tonfo regolare dei remi nell’acqua.
Accanto a lei, Kaz si aggiustò la maschera e il mantello, mentre
Muzzen vogava in modo energico, senza sosta, per condurli vicino a
Terrenjel, una delle isole e esterne di Kerch, vicino all’Anticamera
dell’Inferno e a Ma hias.
La nebbia aleggiava bassa sull’acqua, umida e avvolgente. Portava
con sé l’odore del catrame e dei cantieri navali sopra Imperjum, e
qualcos’altro: il tanfo dolciastro dei corpi in fiamme che arrivava
dalla Chia a del Mietitore, là dove Ke erdam si sbarazzava dei
morti che non potevano perme ersi di venir seppelliti nei cimiteri
fuori dalla ci à. “Disgustoso” pensò Nina, stringendosi nel mantello.
Perché mai qualcuno volesse vivere in un posto come questo era al
di là della sua comprensione.
Muzzen canticchiava tu o contento mentre remava. Nina lo
conosceva solo di sfuggita: un bu afuori e un sicario, come quel
disgraziato di Bolliger il Grande. Lei evitava la Stecca e il Club dei
Corvi il più possibile. Kaz l’aveva etiche ata come una snob per
questo, ma lei non era particolarmente interessata all’opinione che
aveva Kaz Brekker dei suoi gusti. Si voltò per guardare le spalle
enormi di Muzzen. Si domandò se Kaz se lo fosse portato dietro solo
per remare o perché si aspe ava guai stano e.
Per forza ci saranno guai. Stavano per entrare in una prigione. Non
era come andare a una festa. E allora perché erano vestiti così?
A mezzano e si era incontrata con loro a Quinto Porto, e quando
era salita a bordo della barche a a remi, Kaz le aveva passato una
p
cappa di seta blu e un velo dello stesso colore: i simboli della Sposa
Perduta, uno di quei costumi che i libertini amavano indossare
quando andavano a spassarsela nel Barile. Lui e Muzzen si erano
entrambi messi un grosso mantello arancione e una maschera del
Folle in bilico sopra la testa. Tu o quello che serviva loro era un
palcoscenico, e poi avrebbero potuto recitare in una di quelle cupe,
crudeli scene e tra e dalla Commedia Bruta che i Kerch
sembravano trovare così spassose.
Ora Kaz le diede una gomitata. «Abbassa il velo.» Anche lui si
calò la maschera; nella nebbia, il lungo naso e gli occhi sporgenti
erano doppiamente mostruosi.
Stava per arrendersi e per chiedere perché fossero necessari i
costumi quando si accorse che non erano soli. A raverso la nebbia
che si faceva di continuo più o meno fi a, vide altre barche scivolare
sull’acqua e trasportare le sagome di altri Folli, altre Spose, un Signor
Cremisi, una Regina Scarabeo. Che cosa ci facevano queste persone
all’Anticamera dell’Inferno?
Kaz si era rifiutato di me erla a parte dei de agli del piano, e
quando lei aveva insistito, aveva de o soltanto: “Sali sulla barca”.
Tipico di Kaz. Lui sapeva che non era tenuto a dirle niente perché la
speranza di liberare Ma hias aveva già spazzato via, in lei, ogni
briciola di buon senso. Per quasi un anno aveva tentato di convincere
Kaz a farlo evadere. Ora lui era in grado di offrire a Ma hias
qualcosa di più della libertà, ma il prezzo sarebbe stato molto
maggiore di quello che lei aveva previsto.
Quando si avvicinarono al fondo roccioso di Terrenjel, le luci
visibili erano poche. Per il resto, solo oscurità e onde che si
infrangevano.
«Non potevi limitarti a corrompere il dire ore della prigione?»
borbo ò Nina verso Kaz.
«Non ho bisogno che lui sappia di possedere qualcosa che
voglio.»
Quando lo scafo della barca gra ò la sabbia, due uomini si
precipitarono a trascinarli sulla terraferma. Le altre barche stavano
approdando nella stessa baia, tirate a riva da uomini che grugnivano
e imprecavano. A raverso il velo le loro fa ezze risultavano vaghe,
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ma Nina intravide i tatuaggi sulle braccia: un ga o selvatico dentro
una corona, il simbolo dei Centesimi di Leone.
«I soldi» disse uno di loro quando sbarcarono.
Kaz porse un sacche o di kruge e dopo che le monete furono
contate, il Centesimo di Leone fece loro cenno di andare.
Seguirono una fila di torce per un sentiero che saliva storto lungo
il lato so ovento della prigione. Nina reclinò indietro la testa per
osservare le alte torri scure della fortezza nota come Anticamera
dell’Inferno, un pugno nero di pietra che dal mare si proie ava verso
il cielo. L’aveva vista da lontano in passato, dopo aver pagato un
pescatore per portarla sull’isola. Ma quando lei gli aveva chiesto di
avvicinarsi, lui si era rifiutato. «Là gli squali sono ca ivi» aveva
sentenziato. «Hanno le pance piene di detenuti.» Nina rabbrividì al
ricordo.
Una porta era stata tenuta aperta, e un altro affiliato dei Centesimi
di Leone li lasciò passare. Si ritrovarono in una cucina scura,
sorprendentemente pulita, le pareti ricoperte da enormi tinozze più
ada e a una lavanderia che a una cucina. La stanza aveva uno strano
odore, un misto di aceto e salvia. “Come la cucina di un mercante”
pensò Nina. I Kerch credevano che il lavoro fosse simile alla
preghiera. Forse le mogli di un mercante venivano qui a sfregare
pavimenti, pareti e finestre, e a onorare Ghezen, il dio dell’industria
e del commercio, con l’acqua, il sapone e le loro mani rosse e irritate.
Nina resiste e alla tentazione di fare una ba utaccia. Potevano
sfregare quanto volevano. So o quell’odore di santità c’era
l’indelebile olezzo di muffa, urina e corpi non lavati da tempo. Ci
sarebbe voluto un vero miracolo per rimuoverlo.
A raversarono un’anticamera umida e malsana, e lei pensò che
avrebbero puntato verso le celle, invece superarono un’altra porta e
salirono in alto per una passerella in pietra che collegava l’edificio
principale a quella che sembrava un’altra torre.
«Dove stiamo andando?» bisbigliò Nina. Kaz non rispose. Si alzò
il vento, che le sollevò il velo e le sferzò le guance con l’acqua salata.
Mentre entrarono nella seconda torre, una figura emerse
dall’ombra e Nina soffocò a stento un urlo.
«Inej» disse, in un sussurro incerto. La ragazza Suli indossava le
corna e la tunica accollata dell’Imperatore Grigio, ma Nina la
riconobbe comunque. Nessun altro si muoveva a quel modo, come
se il mondo fosse fa o di fumo e lei ci stesse semplicemente
passando in mezzo.
«Come sei arrivata qui?» le chiese Nina in un sussurro.
«Sono arrivata prima con una chia a da carico.»
Nina digrignò i denti. «La gente va e viene dall’Anticamera
dell’Inferno per divertirsi?»
«Una volta alla se imana, sì» disse Inej, con le sue piccola corna
che andavano su e giù insieme alla testa.
«Che cosa intendi per una volta alla...»
«Fai silenzio» ringhiò Kaz.
«Non dirmi di stare zi a, Brekker» sussurrò Nina con furia. «Se è
così facile entrare all’Anticamera dell’Inferno...»
«Il problema non è entrare, è uscire. Ora taci e fai a enzione.»
Nina tra enne la rabbia. Doveva fidarsi di come Kaz stava
conducendo il gioco. Lui aveva fa o in modo che lei non avesse altra
scelta.
Entrarono in una stre oia. Questa torre era diversa dalla prima:
più vecchia, con le mura di pietra grezza squadrate e annerite dalle
torce fumanti. Qui la puzza dei corpi e dei rifiuti era più intenso,
intrappolato dall’umidità dell’acqua di mare.
Iniziarono a scendere a spirale nelle viscere della roccia. Nina si
aggrappò al muro. Non c’era nessuna ringhiera, e anche se non si
vedeva il fondo, nutriva qualche dubbio sulla possibilità di cadere
sul morbido. La discesa non durò a lungo, ma quando raggiunsero la
loro destinazione lei stava tremando, i muscoli contra i, più per la
consapevolezza che Ma hias fosse da qualche parte in questo posto
orrendo che per lo sforzo. È qui. È so o questo te o.
«Dove siamo?» bisbigliò mentre abbassavano la testa per infilarsi
dentro angusti tunnel di pietra e passavano davanti a caverne buie
chiuse da sbarre di ferro.
«Questa è la prigione vecchia» disse Kaz. «Quando fu costruita la
torre nuova, fu lasciata in piedi.»
Lei udì dei lamenti provenire da una delle celle.
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«Ci tengono ancora dei prigionieri qui?»
«Solo i peggiori.»
Nina sbirciò dentro le sbarre di una cella vuota. C’erano catene ai
muri, scurite dalla ruggine e da quello che doveva essere sangue.
Un rumore penetrò le pareti e le raggiunse le orecchie: colpi
ritmici. All’inizio pensò all’oceano, ma poi capì che era qualcuno che
cantava. Sbucarono nell’ansa di un tunnel.
Alla sua destra c’erano altre celle, ma la luce si riversava nel
tunnel dagli archi che si susseguivano a distanza ravvicinata sulla
sinistra, e in mezzo vide una folla chiassosa e turbolenta.
Il Centesimo di Leone li guidò lungo la galleria fino al terzo arco,
dove si trovava una guardia carceraria nella sua divisa blu e grigia,
con il fucile a tracolla sulla schiena. «Altri qua ro per te» gridò il
Centesimo di Leone per sovrastare il rumore della folla. Poi si girò
verso Kaz. «Quando vorrete uscire, la guardia chiamerà una guida.
Nessuno vaga qua in giro senza essere accompagnato, intesi?»
«Ma certo, chiaro, non ce lo sogneremmo neanche» disse Kaz da
dietro la sua ridicola maschera.
«Divertitevi» disse il Centesimo di Leone con un bru o ghigno.
La guardia carceraria fece loro cenno di avvicinarsi.
Nina mosse un passo so o l’arco e le sembrò di essere finita in
uno strano incubo. Si trovavano sopra un pianero olo che sporgeva
dalla roccia su un anfiteatro ricostruito rozzamente. La torre era stata
sventrata per fare posto a un’arena. Erano rimaste soltanto le mura
nere della vecchia prigione e la porzione di te o sopravvissuta alla
caduta o alla distruzione, per cui lassù in alto si vedeva il cielo
no urno, fi o di nubi e privo di stelle. Era come stare nel tronco
cavo di un grosso albero, morto da tempo, pieno di echi.
A orno a lei, uomini in maschera e donne velate, ammassati sugli
spalti, che pestavano i piedi mentre guardavano in basso. Le mura
che circondavano il ring erano illuminate dalle torce e la sabbia del
pavimento dell’arena, là dove aveva assorbito il sangue, era rossa e
umida.
Davanti all’imboccatura di una caverna, un uomo barbuto e
macilento in catene era in piedi, vicino a una grossa ruota di legno,
contrassegnata da quelli che sembravano simboli di animali. Era
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evidente che un tempo era stato un uomo forte, ma ora la pelle gli
pendeva flaccida e i muscoli erano flosci. Accanto a lui c’era un tizio
più giovane, che aveva addosso una pelle di leone spelacchiata a
fargli da mantello e il viso era incorniciato dalle fauci del felino. Tra
le orecchie da leone era stata posizionata una sgargiante corona
d’oro, e gli occhi erano stati rimpiazzati da due luccicanti monetine
d’argento.
«Gira la ruota!» ordinò quello più giovane.
Il prigioniero alzò le mani avvolte dalle catene e fece fare alla
ruota un bel giro. Un ago rosso ticche ava lungo i bordi mentre
girava, e produceva un allegro tintinnio metallico, finché lentamente
la ruota si fermò. Nina non riuscì a identificare il simbolo
dell’animale, ma la folla ululò, e le spalle dell’uomo si incurvarono
mentre una guardia si fece avanti per sfilargli le catene.
Il prigioniero le ge ò di lato nella sabbia, e l’istante dopo Nina lo
sentì: un ruggito che coprì persino i latrati eccitati della folla. La
guardia e l’uomo con la pelle di leone raggiunsero di corsa una scala
di corda tramite la quale furono tirati fuori dal ring e portati al
sicuro su una sporgenza, mentre il prigioniero afferrò un coltello
dall’aspe o malandato da un mucchio di armi che giaceva nella
sabbia. Poi si allontanò dall’imboccatura del tunnel quanto più poté.
Nina non aveva mai visto prima una creatura come quella che
strisciò fuori dalla galleria. Era una specie di re ile, con il corpo
massiccio ricoperto da squame grigioverdi, la testa larga e pia a, gli
occhi gialli a fessura. Si muoveva lentamente, in modo sinuoso,
scivolando pigramente con la pancia a terra. C’era una crosta bianca
a orno all’ampia mezzaluna che aveva per bocca, e quando aprì le
fauci per ruggire di nuovo, una specie di schiuma sgocciolò fuori dai
suoi denti aguzzi.
«Che cos’è quella cosa?» chiese Nina.
«Una rinca moten» rispose Inej. «Una lucertola del deserto. Il
veleno che le esce dalla bocca è mortale.»
«Non sembra veloce.»
«Sì. Non sembra.»
Il prigioniero si lanciò avanti con il coltello. La lucertolona si
mosse così velocemente che Nina non riuscì quasi a seguirla.
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L’istante prima l’uomo stava correndole incontro; quello dopo, il
re ile era dall’altra parte dell’arena. Pochi secondi più tardi si era
scagliata contro il prigioniero, bloccandolo a terra mentre lui urlava,
sgocciolandogli il veleno sulla faccia e lasciando dei buchi fumanti
dove entrava a conta o con la sua pelle.
La creatura si lasciò cadere di peso sulla vi ima producendo uno
scricchiolio rivoltante e si mise a dilaniargli lentamente una spalla
mentre lui giaceva là so o continuando a gridare.
La folla, delusa, fischiava.
Nina distolse gli occhi, incapace di guardare. «Che cos’è questo
orrore?»
«Benvenuta allo Spe acolo Infernale» disse Kaz. «Un’idea di
Pekka Rollins: l’ha avuta qualche anno fa e l’ha venduta al membro
giusto del Consiglio.»
«Il Consiglio dei Mercanti è al corrente?»
«Ovvio. Ci fanno dei gran soldi, qui.»
Nina si conficcò le dita nei palmi. Quando Kaz usava quel tono
condiscendente le faceva prudere le mani dalla voglia di tirargli un
ceffone.
Conosceva bene il nome di Pekka Rollins.
Al momento era il re del Barile, il proprietario non di uno ma di
due case da gioco – una sfarzoso, l’altra accessibile ai marinai con le
tasche semivuote – e di parecchi bordelli di lusso.
Quando Nina era arrivata a Ke erdam un anno prima era senza
un amico, senza un soldo e lontana da casa. Aveva trascorso la prima
se imana nei tribunali di Kerch, ad affrontare le accuse contro
Ma hias. Ma una volta finito di testimoniare, era stata scaricata
senza tante cerimonie a Primo Porto con appena i soldi sufficienti
per tornare a Ravka. Malgrado la smania di rientrare nel proprio
paese, non poteva lasciare Ma hias a marcire nell’Anticamera
dell’Inferno.
Non sapeva cosa fare, ma la notizia che c’era una nuova Grisha
Corporalki a Ke erdam era già circolata in ci à. Gli uomini di Pekka
Rollins la stavano aspe ando al porto per offrirle un posto sicuro
dove stare. L’avevano portata al Palazzo di Smeraldo, dove Pekka in
persona aveva insistito perché si unisse ai Centesimi di Leone,
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offrendole un lavoro alla Bo ega delle Dolcezze. Era stata lì lì per
dire di sì, rido a com’era senza un soldo e terrorizzata dagli
schiavisti che pa ugliavano le strade. Ma quella no e, Inej si era
intrufolata nella sua stanza all’ultimo piano del Palazzo di Smeraldo
con in mano una proposta di lavoro da parte di Kaz Brekker.
Nina non era mai riuscita a capire come avesse fa o Inej ad
arrampicarsi per sei piani di pietra, resi scivolosi dalla pioggia, nel
bel mezzo della no e, ma le condizioni degli Scarti erano di gran
lunga più favorevoli di quelle che le offrivano Pekka e i Centesimi di
Leone. Era un contra o che di fa o avrebbe potuto ripagare in un
anno o due se fosse stata brava a gestire i propri soldi. E Kaz aveva
mandato la persona giusta a sostenere la sua causa: una ragazza Suli,
più giovane di Nina solo di pochi mesi, che era cresciuta a Ravka e
che aveva passato un gran bru o anno vincolata per contra o al
Serraglio.
«Che cosa mi dici di Per Haskell?» aveva chiesto Nina quella
no e.
«Non molto» aveva ammesso Inej. «Non è né meglio né peggio
della maggior parte dei capi del Barile.»
«E Kaz Brekker?»
«Un bugiardo, un ladro, senza un grammo di coscienza. Ma terrà
fede a qualunque accordo prenderai con lui.»
Nina aveva percepito della convinzione nella voce di Inej. «Ti ha
liberata dal Serraglio?»
«Non c’è libertà nel Barile, solo condizioni migliori di altre. Le
ragazze di Tante Heleen non guadagnano niente per se stesse. Lei si
accerta che non succeda. Lei...» A quel punto Inej si era interro a
bruscamente, e Nina aveva sentito la rabbia scorrere potente dentro
di lei. «Kaz ha convinto Per Haskell a pagare per il mio risca o. Sarei
morta al Serraglio.»
«Potresti ancora morire, con gli Scarti.»
Gli occhi scuri di Inej avevano scintillato. «Potrei. Ma morirei in
piedi con un pugnale in mano.»
La ma ina successiva Inej aveva aiutato Nina a sga aiolare fuori
dal Palazzo di Smeraldo. Si erano incontrate con Kaz Brekker, e
nonostante i suoi modi algidi e quegli strani guanti di pelle, lei aveva
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acce ato di unirsi agli Scarti ed esercitare la professione presso la
Rosa Bianca. Neanche due giorni dopo una ragazza morì alla Bo ega
delle Dolcezze, strangolata nel suo le o da un cliente vestito da
Signor Cremisi che non fu mai individuato.
Nina si era fidata di Inej e non se ne era mai pentita, anche se in
quel preciso momento era furibonda con tu i. Vide un gruppo di
Centesimi di Leone pungolare la lucertola del deserto con lunghe
aste. Il mostro sembrava soddisfa o del suo pasto; si concesse di
tornare nel tunnel, spostando da una parte all’altra il proprio corpo
pesante con movimenti pigri e sinuosi.
La folla continuò a fischiare mentre le guardie entravano
nell’arena per rimuovere i resti del prigioniero, dalla cui carne
martoriata si levavano ancora piccoli tentacoli di fumo.
«Di cosa si lamentano?» domandò Nina con rabbia. «Non è per
questo che sono venuti qui?»
«Volevano un comba imento» disse Kaz. «Volevano che l’uomo
durasse di più.»
«È disgustoso.»
Kaz si strinse nelle spalle. «L’unica cosa disgustosa di questa
faccenda è che non ci ho pensato io per primo.»
«Questi uomini non sono schiavi, Kaz. Sono prigionieri.»
«Sono assassini e stupratori.»
«E ladri e truffatori. La tua gente.»
«Nina, dolcezza, non sono costre i a comba ere. Fanno la fila per
averne la possibilità. In cambio o engono cibo migliore, celle
private, alcol, jurda, rapporti sessuali con le ragazze dello Stave
dell’Ovest.»
Muzzen si scrocchiò le dita. «Meglio di quello che abbiamo alla
Stecca.»
Nina guardò le persone urlare e gridare e gli strilloni raccogliere
le scommesse tra gli spalti. I prigionieri dell’Anticamera dell’Inferno
potevano anche fare la fila per comba ere, ma era Pekka Rollins a
portare a casa i soldi veri.
«Helvar non... Helvar non comba e nell’arena, vero?»
«Secondo te siamo qui per l’atmosfera?» disse Kaz.
Era oltre gli schiaffi. «Sei consapevole del fa o che potrei muovere
le dita e fartela fare nei pantaloni?»
«Vacci piano, Spaccacuore. Mi piacciono questi pantaloni. E se ti
me i a incasinarmi gli organi vitali, Ma hias Helvar non rivedrà mai
più la luce del sole.»
Nina fece un sospiro e si risolse a non guardare in cagnesco
nessuno.
«Nina» mormorò Inej.
«Non ti ci me ere anche tu.»
«Si risolverà tu o. Lascia che Kaz faccia quello che sa fare
meglio.»
«È una persona orribile.»
«Ma efficiente. Essere arrabbiata con Kaz perché è spietato è come
essere arrabbiata con il fornello perché è caldo. Lo sai com’è fa o.»
Nina incrociò le braccia. «Ce l’ho anche con te.»
«Me? E perché?»
«Non lo so ancora. Ce l’ho e basta.»
Inej strinse rapidamente la mano di Nina, e dopo un momento lei
ricambiò. Con la testa nel pallone, sopportò fino in fondo il
comba imento successivo, e poi quello dopo ancora. Disse a se
stessa che era pronta: a rivederlo, rivederlo qui in questo posto
brutale. Dopo tu o, era una Grisha e un soldato del Secondo
Esercito. Aveva affrontato di peggio.
Ma quando Ma hias emerse dalla bocca della caverna, seppe che
non era vero niente. Nina lo riconobbe immediatamente. Ogni no e
dell’anno passato si era addormentata pensando al suo viso. Non
poteva sbagliarsi con quelle sopracciglia dorate e il taglio ne o di
quegli zigomi. Ma Kaz non aveva mentito: Ma hias era mutato. Il
ragazzo che ricambiava lo sguardo della folla con occhi furiosi era
uno straniero.
A Nina venne in mente la prima volta in cui lo aveva visto in un
bosco Kaelish illuminato dalla luna. La sua bellezza le era sembrata
ingiusta. In un’altra vita, avrebbe potuto credere che lui era venuto a
salvarla, un cavaliere senza macchia e senza paura con i capelli d’oro
e gli occhi dello stesso azzurro chiaro dei ghiacciai nordici. Ma aveva
capito come stavano le cose dal linguaggio che usava, e dal disgusto
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sulla sua faccia ogni volta che i suoi occhi si depositavano su di lei.
Ma hias Helvar era un drüskelle, un cacciatore di streghe Fjerdiano
incaricato di stanare i Grisha per so oporli a processo e poi
giustiziarli, per quanto a lei fosse sempre parso un Santo guerriero,
miniato d’oro.
Ora appariva per quello che era veramente: un assassino. Il torso
nudo sembrava intagliato nell’acciaio e, anche se non era possibile,
pareva più grande, come se la stru ura del suo corpo fosse cambiata
nel profondo. Prima la sua pelle era color miele; ora, so o la
sporcizia, era bianca come la pancia dei pesci. E i suoi capelli: aveva
capelli bellissimi, folti e dorati, che lui portava lunghi alla maniera
dei soldati Fjerdiani. Ora, come gli altri prigionieri, aveva la testa
rasata, probabilmente per evitare i pidocchi. La guardia che se ne era
occupata aveva fa o un disastro. Anche a distanza si vedevano i
tagli e i graffi sul cuoio capelluto, e piccole strisce di stoppa gialla nei
punti in cui il rasoio non era passato. E ciononostante, era ancora
bellissimo.
Ma hias guardò con aria truce la folla e diede alla ruota una
spinta così forte che per poco non la staccò dalla base.
Tic tic tic tic. Serpente. Tigre. Orso. Cinghiale. La ruota ticche ò
allegramente, poi rallentò e finalmente si fermò.
«No» disse Nina quando vide dove stava puntando l’ago.
«Poteva andargli peggio» replicò Muzzen. «Avrebbe potuto finire
di nuovo sulla lucertolona.»
Lei arpionò il braccio di Kaz a raverso il mantello e sentì i suoi
muscoli fremere. «Devi me ere fine a questa cosa.»
«Mollami, Nina.» La sua voce, ruvida come la ghiaia, era bassa,
ma lei ci sentì una minaccia reale.
Fece cadere la mano. «Per favore, tu non capisci. Lui...»
«Se sopravvive, porterò Ma hias Helvar fuori da qui questa no e
stessa, ma ora tocca a lui.»
Nina scrollò la testa per la frustrazione. «Non ci arrivi.»
La guardia tolse le mane e a Ma hias, e non appena le catene
caddero nella sabbia saltò sulla scala a pioli e chiese di essere messo
in salvo. La folla urlò e pestò i piedi. Invece Ma hias restò in
silenzio, anche quando si aprì il cancello, anche quando i lupi
q p q p
uscirono dal tunnel. Erano tre e ringhiavano, si azzannavano e si
rovinavano addosso l’un l’altro per raggiungerlo.
All’ultimo secondo Ma hias si accovacciò, a errando il primo
lupo nella polvere, poi rotolò alla sua destra per raccogliere il
coltello insanguinato che il comba ente precedente aveva lasciato
nella sabbia. Saltò in piedi, con la lama puntata davanti a sé, ma
Nina poteva percepire la sua rilu anza. Aveva la testa inclinata da
un lato, e lo sguardo che i suoi occhi azzurri lanciavano era di
supplica, come se stesse cercando di coinvolgere i due animali che
gli ruotavano intorno in qualche silenziosa tra ativa. Di qualunque
preghiera si fosse tra ato, rimase inascoltata. Il lupo sulla destra fece
un balzo. Ma hias si accucciò e ruotò su se stesso, piantando il
coltello nella pancia della belva, che emise un guaito straziante.
Ma hias sembrò sussultare. Questo gli costò dei secondi preziosi. Il
terzo lupo fu su di lui, e lo scaraventò nella sabbia. Le zanne gli
affondarono nella spalla. Ma hias rotolò, portandosi dietro
l’animale. Le fauci sca avano su e giù, e Ma hias le serrò tra le mani.
Poi le spalancò a forza, i muscoli delle braccia che si fle evano, la
faccia stravolta dalla ferocia. Nina chiuse forte gli occhi. Ci fu un crac
terribile. La folla ruggì.
Ma hias si inginocchiò sopra il lupo, che aveva le mascelle
spezzate e giaceva a terra contorcendosi per il dolore. Prese una
pietra e la schiantò con violenza sul cranio del povero animale, che si
immobilizzò. Le spalle di Ma hias crollarono. La gente ululava e
pestava i piedi. Soltanto Nina sapeva cosa gli costava, lui che era un
drüskelle. I lupi erano sacri per il suo popolo, venivano allevati per
comba ere, come i loro cavalli giganteschi. Erano amici e compagni,
e comba evano fianco a fianco con i loro padroni drüskelle.
Il primo lupo si era ripreso e gli stava girando intorno. “Muoviti,
Ma hias” pensò lei disperatamente. Lui si rimise in piedi, ma i suoi
movimenti erano lenti, stanchi. Il suo cuore non era qui, in questo
comba imento. I suoi nemici erano i lupi grigi, vagabondi e selvaggi,
e tu avia cugini dei lupi bianchi del Nord. Ma hias non aveva in
mano un coltello, solo la pietra insanguinata, e il lupo si aggirava
nella zona dell’arena che stava tra lui e il mucchio di armi.
La belva abbassò la testa e scoprì i denti.
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Ma hias si tuffò a sinistra. L’animale sca ò, e gli affondò le zanne
nel fianco. Lui grugnì, e colpì forte il suolo. Per un momento, Nina
pensò che avrebbe mollato e lasciato che il lupo si prendesse la sua
vita. Poi il ragazzo allungò un braccio e scavò con la mano dentro la
sabbia, alla ricerca di qualcosa. Le dita strinsero i ceppi che gli
avevano bloccato i polsi.
Li afferrò, avvolse la catena a orno alla gola del lupo e tirò, le
vene del collo tese come corde per lo sforzo. La faccia imbra ata di
sangue era schiacciata contro la gorgiera dell’animale, gli occhi erano
chiusi, le labbra si muovevano. Cosa stava dicendo? Una preghiera
drüskelle? Un saluto di addio?
Le zampe posteriori del lupo raspavano la sabbia. Gli occhi
roteavano, bianchi e spaventati spiccavano luminosi sulla pelliccia
arruffata. Un profondo guaito gli si levò dal pe o. E poi fu tu o
finito. Il corpo della creatura si placò. Entrambi i comba enti
giacevano immobili nella sabbia. Ma hias tenne gli occhi chiusi, la
faccia ancora seppellita nella pelliccia dell’animale.
La folla tuonò il suo apprezzamento. La scala a pioli fu abbassata
e il presentatore saltò giù, tirò in piedi Ma hias, gli afferrò il polso e
gli sollevò la mano in segno di vi oria. Poi gli diede un colpe o con
il gomito, e il ragazzo alzò la testa. A Nina mancò il respiro.
La faccia sporca di Ma hias era rigata dalle lacrime. La collera era
sparita, ed era come se una qualche specie di fiamma se ne fosse
andata via con lei. Gli occhi color mare del Nord erano più freddi
che mai, vuoti e inespressivi, spogliati di qualunque traccia di
umanità. Ecco quello che gli aveva fa o l’Anticamera dell’Inferno.
Ed era colpa di Nina.
Le guardie afferrarono Ma hias e tolsero i ceppi dalla gola del
lupo per chiuderli di nuovo ai suoi polsi. Mentre veniva condo o
via, la folla intonò un coro di protesta: «Ancora! Ancora!».
«Dove lo portano?» domandò Nina, la voce tremante.
«In una cella, a smaltire il comba imento» rispose Kaz.
«Chi gli controllerà le ferite?»
«Ci sono dei medici. Aspe eremo finché non saremo sicuri che sia
da solo.»
“Io potrei curarlo” pensò Nina. Ma una voce si levò dentro di lei,
cupa e beffarda. “Nemmeno tu puoi essere così sciocca, Nina.
Nessun Guaritore può curare quel ragazzo. Sei stata tu a fare in
modo che fosse così.”
I minuti se ne andavano in fumo e Nina non stava più nella pelle.
Gli altri guardarono il comba imento successivo: Muzzen
avidamente, piegando le dita e facendo previsioni sul risultato, Inej
ferma e silenziosa come una statua, Kaz imperscrutabile come
sempre, preso dalle sue trame dietro quell’orribile maschera. Nina si
rallentò il respiro, costrinse le proprie pulsazioni a scendere e cercò
di calmarsi ma non poté fare nulla per zi ire il tumulto che aveva in
pe o.
Finalmente, Kaz le diede un colpe o con il gomito. «Pronta, Nina?
Per primo il piantone.»
Lei lanciò un’occhiata alla guardia carceraria in piedi accanto
all’arco.
«Quanto?» Era un modo di dire del Barile. Quanto male vuoi che gli
faccia?
«Chiudigli gli occhi.» Fagli perdere conoscenza, ma non fargli
veramente male.
Seguirono Kaz verso l’arco dal quale erano entrati. La folla non ci
fece quasi caso, tu i gli occhi erano concentrati sui comba imenti.
«Avete bisogno della vostra guida?» domandò il piantone quando
si avvicinarono.
«Ho una domanda» disse Kaz. So o il mantello, Nina sollevò le
mani per sentire il sangue che scorreva nelle vene della guardia, il
tessuto dei suoi polmoni. «Su tua madre, mi chiedevo se siano vere
le voci che girano.»
Nina sentì il ba ito cardiaco della guardia accelerare bruscamente
e sospirò. «Mai farla facile, vero, Kaz?»
La guardia fece un passo avanti, con la pistola alzata. «Che cosa
hai de o? Io...» Le sue palpebre crollarono, esauste. «Tu non...» Nina
gli fece colare a picco la pressione, e lui cadde in avanti.
Muzzen lo afferrò prima che finisse a terra mentre Inej lo infilò
so o il mantello che era stato di Kaz fino a qualche istante prima.
Nina fu solo leggermente sorpresa di scoprire che Kaz indossava la
divisa delle guardie carcerarie.
«Non avresti potuto semplicemente chiedergli l’ora o qualcosa del
genere?» disse Nina. «E dove ti sei procurato quell’uniforme?»
Inej piazzò la maschera del Folle sul viso della guardia e Muzzen
gli passò un braccio a orno alla vita, tenendolo su come se
quell’uomo avesse alzato un po’ troppo il gomito. Poi lo mollarono
su una delle panche appoggiate al muro.
Kaz si tirò su le maniche della divisa. «Nina, la gente ama fidarsi
degli uomini vestiti bene. Possiedo uniformi della stadwatch e della
polizia portuale, e una livrea per ogni casa mercantile della
Geldstraat. Andiamo.»
Discesero la passerella.
Ma invece di rifare la strada per la quale erano venuti, girarono in
senso antiorario a orno alla vecchia torre, lasciandosi sulla sinistra il
muro dell’arena che vibrava per le voci e per i piedi della folla.
I soldati di guardia agli archi li degnarono di poco più di uno
sguardo ma qualcuno fece un cenno di saluto a Kaz, che procedeva a
passo spedito, la faccia seppellita nel colle o della divisa. Nina era
immersa così profondamente nei suoi pensieri che per poco non
inciampò quando Kaz sollevò una mano per indicare loro di
rallentare. Avevano svoltato in un passaggio tra due archi e si
trovavano al riparo di una grossa ombra. Davanti a loro, un medico
stava spuntando fuori da una cella accompagnato dalle guardie, e
una reggeva una lanterna. «Dormirà tu a la no e» disse il medico.
«Assicuratevi che beva qualcosa domani ma ina e controllategli le
pupille. Ho dovuto dargli un sonnifero potente.»
Appena gli uomini si mossero nella direzione opposta, Kaz fece
cenno ai suoi di andare avanti. La porta incastonata nella roccia era
di ferro ed era dotata solo di una stre a fessura a raverso la quale
venivano passati i pasti al prigioniero. Kaz si chinò sulla serratura.
Nina fissò la porta. «Questo posto è incivile.»
«Quasi tu i i comba enti migliori dormono nella torre vecchia»
replicò Kaz. «Li tengono lontani dagli altri carcerati.»
Nina guardò a destra e a sinistra, dove la luce filtrava dagli
ingressi dell’arena. In questi varchi c’erano guardie in piedi, al
g q g p
momento distra e, ma bastava che una sola girasse la testa. Se
fossero stati ca urati qui, i soldati si sarebbero presi la briga di
affidarli alla stadwatch per il processo, o li avrebbero semplicemente
bu ati nell’arena per farli divorare da una tigre?
“Magari qualcosa di meno dignitoso”pensò senza speranza. “Un
branco di topi con la rabbia.”
A Kaz bastò il tempo di qualche ba ito per forzare la serratura. La
porta si aprì con un cigolio e loro si infilarono dentro.
La cella era al buio pesto. Dopo un breve istante, il freddo
bagliore verde di un osso di luce ebbe un guizzo di vita accanto a
Nina. Inej reggeva in alto la piccola sfera di vetro. La sostanza al suo
interno era fa a dei corpi essiccati e frammentati dei pesci luminosi
d’alto mare. Gli ossi di luce erano piu osto diffusi tra i furfanti del
Barile che non volevano essere colti alla sprovvista in un vicolo
scuro, ma non potevano neanche ritrovarsi impacciati dal peso delle
lanterne.
“Perlomeno è pulito” pensò Nina, appena i suoi occhi si
abituarono all’oscurità. “Vuoto e gelido, ma non sudicio.” Vide un
giaciglio di coperte per cavalli e due secchi contro il muro, da uno
dei quali sporgeva uno straccio insanguinato.
Questo era quello per cui gli uomini dell’Anticamera dell’Inferno
facevano a gara: una cella privata, una coperta, acqua pulita, un
secchio per gli escrementi.
Ma hias dormiva con la schiena rivolta al muro. Anche nel
bagliore fioco dell’osso di luce, lei poteva vedere che il viso stava
iniziando a gonfiarsi. Sulle ferite era stato spalmato qualche tipo di
balsamo: calendula. Riconobbe l’odore.
Nina si mosse verso di lui, ma Kaz la fermò me endole una mano
sul braccio. «Lascia che Inej valuti il danno.»
«Io posso...» cominciò Nina.
«Mi serve che tu lavori su Muzzen.»
Inej lanciò a Kaz il bastone con la testa di corvo che doveva aver
nascosto so o il costume da Imperatore Grigio e si curvò sopra il
corpo di Ma hias con l’osso di luce. Muzzen fece un passo avanti. Si
tolse il mantello, la camicia e la maschera da Folle. La testa era
rasata, e indossava i pantaloni forniti dalla prigione. Nina guardò
p p g g
Ma hias e poi tornò a fissare Muzzen, e capì che cosa aveva in mente
Kaz. I due ragazzi erano più o meno alti e grossi uguali, ma la
somiglianza finiva lì.
«Non puoi davvero pensare che Muzzen possa prendere il posto
di Ma hias.»
«Non è qui per la sua brillante conversazione» replicò Kaz. «Tu
devi riprodurre le ferite di Helvar. Inej, cosa abbiamo in repertorio?»
«Nocche ammaccate, denti scheggiati, due costole ro e» disse
Inej. «La terza e la quarta a sinistra.»
«La sua sinistra o la tua?» domandò Kaz.
«La sua.»
«Non funzionerà» disse Nina in tono frustrato. «Io posso anche
riprodurre i danni riportati dal corpo di Helvar, ma non sono una
Plasmaforme abbastanza abile da far assomigliare Muzzen a lui.»
«Tu fidati di me e basta, Nina.»
«Non mi fiderei di te neanche per farmi allacciare le scarpe perché
mi ruberesti i lacci, Kaz.» Poi scrutò la faccia di Muzzen. «Anche se
lo gonfio, non passerà mai per Ma hias.»
«Questa no e Ma hias Helvar – o, piu osto, il nostro caro
Muzzen – contrarrà la febbre bubbonica, e in particolare il ceppo
portato dai lupi o dai cani. Domani ma ina, quando le guardie lo
troveranno così ricoperto di pustole da essere irriconoscibile, sarà
tenuto in quarantena per un mese per vedere se sopravvive alla
febbre e per evitare il contagio. Nel fra empo Ma hias sarà con noi.
Ci sei?»
«Vuoi che faccia in modo che Muzzen sembri malato di febbre
bubbonica?»
«Sì, e fallo in fre a, Nina, perché nel giro di dieci minuti le cose si
faranno movimentate, qua a orno.»
Nina lo fissò. Che cosa stava tramando Kaz? «Qualunque cosa gli
farò, non durerà un mese. Non sono in grado di provocargli una
febbre permanente.»
«Il mio conta o in infermeria farà in modo che lui rimanga malato
quanto basta. A noi serve soltanto che superi la diagnosi. E ora
me iti al lavoro.»
Nina squadrò Muzzen in lungo e in largo. «Ti farà male proprio
come se fossi stato tu a comba ere» lo avvisò.
Lui serrò i denti, preparandosi alla sofferenza. «Posso
sopportarlo.»
Lei roteò gli occhi, poi sollevò le mani, concentrandosi. Con un
gesto veloce della mano destra sopra quella sinistra, spezzò le
costole di Muzzen.
Lui si lasciò sfuggire un grugnito e si piegò in due.
«Bravo ragazzo» disse Kaz. «Incassa come un campione. Adesso
le nocche, poi la faccia.»
Nina sparse lividi e tagli sulle nocche e sulle braccia di Muzzen,
facendo combaciare le ferite con la descrizione di Inej.
«Non ho mai visto la febbre bubbonica da vicino» disse Nina.
Aveva dimestichezza solo con le illustrazioni dei libri che si usavano
a lezione di anatomia nel Piccolo Palazzo.
«Ritieniti fortunata» disse Kaz tristemente. «Da i una mossa.»
Si basò sui ricordi, gonfiando e spaccando la pelle sul viso e sul
pe o di Muzzen, finché le vesciche furono così piene di pus e le
piaghe così malandate che era diventato veramente irriconoscibile.
L’omone geme e.
«Perché hai acconsentito a farti fare tu o questo?» mormorò Nina.
La carne tumefa a sulla faccia di Muzzen tremolò, e Nina pensò
che stesse provando a sorridere. «La paga era buona» disse lui con
voce roca.
Lei sospirò. Per quale altro motivo tu i acce avano di fare
qualunque cosa nel Barile? «Buona abbastanza da finire rinchiuso
all’Anticamera dell’Inferno?»
Kaz picchiò il bastone sul pavimento della cella. «Sme ila di
creare problemi, Nina. Se Helvar collabora, lui e Muzzen riavranno
entrambi la propria libertà non appena il lavoro sarà finito.»
«E se non collabora?»
«In quel caso, Helvar torna dri o nella sua cella e Muzzen viene
pagato comunque. E io gli offrirò la colazione al Kooperom.»
«Posso avere le cialde?» biascicò Muzzen.
«Cialde per tu i. E whisky. Se questo colpo non va in porto,
nessuno vorrà starmi a orno da sobrio. Hai finito, Nina?»
Nina annuì, Inej prese il suo posto e bendò Muzzen come
Ma hias.
«Bene» disse Kaz. «Me ete Helvar in piedi.»
Nina si inginocchiò accanto a Ma hias mentre Kaz era alle sue
spalle con l’osso di luce. Anche nel sonno, i lineamenti di Ma hias
erano agitati, le sopracciglia chiare aggro ate. Lei sfiorò con la mano
la linea ammaccata della mascella, resistendo alla tentazione di
tra enerla lì.
«Lascia perdere la faccia, Nina. Dev’essere in grado di muoversi,
non dev’essere bello. Dagli una sistemata veloce, per ora devi solo
perme ergli di camminare. Non lo voglio vispo abbastanza da
tormentarci.»
Nina abbassò la coperta e si mise al lavoro. “È solo un corpo come
un altro” disse a se stessa.
Riceveva di continuo chiamate di Kaz nel cuore della no e per
guarire qualche Scarto ferito che lui non voleva portare da medici
veri: ragazze accoltellate, ragazzi con le gambe ro e o con i proie ili
in corpo, vi ime di scontri con la stadwatch o con un’altra banda.
“Fai finta che sia Muzzen” si disse. “Oppure Bolliger il Grande o
qualche altro idiota. Tu non conosci questo ragazzo.” Ed era così.
Quello che conosceva lei poteva essere l’impalcatura, ma sopra, nel
fra empo, era stato costruito qualcosa di nuovo.
Gli toccò delicatamente la spalla. «Helvar» disse. Lui non si
mosse. «Ma hias.»
Le salì un groppo in gola, e sentì le lacrime premere per uscire.
Stampò un bacio sulla sua tempia. Sapeva che Kaz e gli altri la
stavano osservando e che stava facendo la figura della scema, ma
dopo così tanto tempo lui era finalmente lì, di fronte a lei, e così
malrido o. «Ma hias» ripeté.
«Nina?» La voce era rude ma adorabile, così come se la ricordava.
«Oh, per tu i i Santi, Ma hias» sussurrò lei. «Per favore,
svegliati.»
Helvar aprì gli occhi, intontiti, dell’azzurro più chiaro che c’è.
«Nina» disse piano. Passò le nocche sulla guancia di lei; la mano
ruvida circondò il suo viso a tentoni, con fare incredulo. «Nina?»
Gli occhi di lei si riempirono di lacrime. «Sssh, Ma hias. Siamo
qui per portarti via.»
Prima che potesse ba ere le ciglia, lui l’aveva presa per le spalle e
l’aveva bloccata a terra.
«Nina» ringhiò.
Poi le serrò le mani sulla gola.
PARTE SECONDA
SERVA E MUSA
7
MATTHIAS

Ma hias stava sognando di nuovo. Stava sognando lei.


In tu i i suoi sogni le dava la caccia, a volte nei verdi prati in fiore
di primavera, ma di solito sulle distese ghiacciate, schivando massi e
crepacci con passo infallibile. La inseguiva sempre, e la ca urava
sempre. Nei sogni belli, la sba eva a terra e la strangolava, e con il
cuore traboccante di vende a guardava la vita prosciugarsi nei suoi
occhi: finalmente, finalmente. Nei sogni bru i, la baciava.
In questi sogni, lei non lo ava. Rideva come se la caccia non fosse
altro che un gioco, come se lei avesse sempre saputo che lui l’avrebbe
inseguita, come se l’avesse desiderato e come se non volesse stare in
nessun altro posto che so o di lui. Lei era accogliente e
perfe amente a proprio agio fra le sue braccia. Lui la baciava,
sprofondava il viso nell’incavo dolce del suo collo. I ricci di lei
sfregavano contro le sue guance, e lui sentiva che se solo avesse
potuto stringerla a sé un po’ di più, ogni ferita, ogni sofferenza, ogni
bru ura si sarebbe dissolta.
«Ma hias» sussurrava lei, il suo nome così soffice sulle sue labbra.
Questi erano i sogni peggiori, e quando si svegliava si ritrovava a
odiare se stesso quasi quanto odiava lei. Sapere che poteva tradirsi e
tradire di nuovo il proprio paese persino nel sonno, sapere che –
dopo tu o quello che Nina aveva fa o – una parte di lui, disgustosa,
moriva dalla voglia di lei... era troppo.
Questa no e si tra ava di un bru o sogno, bru issimo. Lei aveva
un vestito di seta blu, di gran lunga più lussuoso di qualunque altra
cosa le avesse mai visto addosso; una specie di velo trasparente era
agganciato ai suoi capelli, e la luce dei lampioni vi si rifle eva come
gocce di pioggia. Djel, profumava di buono. L’umidità che sapeva di
muschio c’era ancora, ma c’era anche il profumo. Nina amava il lusso
p
e questo era costoso: rose e qualcos’altro, qualcosa che il suo naso da
poveraccio non sapeva riconoscere. Lei preme e le labbra soffici
sulla sua tempia, e lui avrebbe giurato che stava piangendo.
«Ma hias.»
«Nina» cercò di dire lui.
«Oh, per tu i i Santi, Ma hias» sussurrò lei. «Per favore,
svegliati.»
E a quel punto lui aprì gli occhi, e seppe che era impazzito perché
lei era lì, nella sua cella, in ginocchio accanto a lui, la mano
delicatamente posata sul suo pe o.
«Ma hias, per favore.»
Il suono della voce di lei, che lo implorava. L’aveva sognato. A
volte chiedeva pietà. A volte erano altre le cose per cui lo supplicava.
Lui si tirò su e le toccò il viso: aveva la più morbida delle pelli.
L’aveva presa in giro, per questo, in un’occasione. Nessun vero
soldato aveva una pelle come quella, le aveva de o – viziata e
coccolata. Aveva deriso il corpo rigoglioso di lei, imbarazzato dalle
proprie reazioni. Circondò con la mano la curva calda del suo
profilo, sentì il tocco lieve dei capelli. Così piacevole. Così reale. Non
era giusto. Poi si rese conto del sangue incrostato sulle proprie mani.
Il dolore lo investì di bo o mentre tornava completamente cosciente:
le costole ro e, le nocche peste. Si era scheggiato un dente. Non
sapeva bene quand’era successo, ma a un certo punto si era tagliato
la lingua passandocela sopra. In bocca aveva ancora il sapore ramato
del sangue. I lupi. Gli avevano fa o uccidere dei lupi.
Era sveglio.
«Nina?»
C’erano lacrime nei bellissimi occhi verdi di lei. La collera lo
invase. Nina non aveva nessun diri o alle lacrime, nessun diri o alla
pietà.
«Sssh, Ma hias. Siamo qui per portarti via.»
Che scherzo era quello? Quale nuova crudeltà? Aveva appena
imparato a sopravvivere in questo luogo mostruoso, e ora era
apparsa lei a somministrargli nuove torture.
Si lanciò in avanti e la ge ò a terra, le serrò le mani a orno alla
gola e si mise a cavalcioni su di lei in modo che le ginocchia le
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bloccassero le braccia sul pavimento.
Sapeva dannatamente bene che Nina con le mani libere era una
creatura letale.
«Nina» disse a denti stre i. Lei strinse le mani. «Strega» sibilò lui,
chino su di lei. Vide i suoi occhi spalancarsi e il suo viso farsi sempre
più rosso. «Supplicami» disse. «Supplicami di salvarti la vita.»
Sentì un clic, e una voce rauca ordinare: «Toglile le mani di dosso,
Helvar».
Qualcuno alle sue spalle gli aveva puntato una pistola al collo.
Ma hias non lo degnò di un’occhiata. «Avanti, sparami» disse.
Affondò le dita ancora di più nella gola di Nina: niente glielo
avrebbe tolto. Niente.
Traditrice, strega, abominio. In lui affiorarono tu e queste parole,
ma se ne aggiunsero anche altre: bellissima, fata. Röed fetla, l’aveva
soprannominata, e cioè cardellino, per il rosso dell’Ordine Grisha a
cui apparteneva. Il colore che lei amava. Preme e ancora più forte,
per me ere a tacere quel cedimento della volontà.
«Se sei davvero uscito di testa, sarà molto più difficile del
previsto» disse la voce rauca.
Sentì un fruscio, come se qualcuno, muovendosi, avesse spostato
l’aria, poi un dolore straziante a raversò la sua spalla sinistra. Era
come se fosse stato colpito da un pugno minuscolo, ma tu o il
braccio gli divenne insensibile. Grugnì mentre cadeva in avanti, una
mano ancora serrata a orno alla gola di Nina. Sarebbe finito
dire amente su di lei, se qualcuno non l’avesse stra onato indietro
per il collo della maglia.
Un ragazzo con la divisa delle guardie era in piedi di fronte a lui,
gli occhi scuri scintillanti, una pistola in mano, un bastone da
passeggio nell’altra. L’impugnatura era intagliata in modo da
sembrare una testa di corvo, con un becco spietatamente appuntito.
«Da i una calmata, Helvar. Siamo qui per liberarti. Posso farti alla
gamba quello che ti ho appena fa o al braccio, e ti trasciniamo fuori
da qui, oppure puoi andartene da uomo, in piedi.»
«Nessuno esce dall’Anticamera dell’Inferno» disse Ma hias.
«Questa no e sì.»
Ma hias si sporse in avanti, cercando di orientarsi, stringendosi il
braccio paralizzato. «Non potete portarmi a spasso fuori da qui»
latrò. «Non ho intenzione di perdere i miei privilegi di lo atore per
essere portato fuori, Djel sa dove, da voi.»
«Sarai mascherato.»
«Se le guardie controllano...»
«Saranno troppo occupate per controllare» disse lo strano ragazzo
pallido. E a quel punto partirono le urla.
Ma hias sobbalzò. Sentì il rombo dei passi provenire dall’arena,
che salivano di intensità come un’onda mentre la gente irrompeva
nel corridoio davanti alla sua cella.
Udì le grida delle guardie, e poi il ruggito di un grosso felino, e il
barrito di un elefante.
«Hai aperto le gabbie.» La voce di Nina era malferma per
l’incredulità, per quanto chi poteva sapere cos’era vero e cos’era finto
con lei? Lui si rifiutò di guardare dalla sua parte. Se l’avesse fa o,
avrebbe perso ogni senso della realtà. Già così riusciva a stento a
mantenere un minimo di lucidità
«Jesper doveva aspe are fino alla terza campana» disse il ragazzo
pallido.
«È la terza campana, Kaz» replicò una ragazzina dai capelli neri e
la tipica pelle bronzea dei Suli, dall’angolo della stanza. Una figura
ricoperta da pomfi e garze si appoggiava a lei.
«Da quando Jesper è puntuale?» si lamentò il ragazzo dando
un’occhiata al proprio orologio. «In piedi, Helvar.»
Gli offrì una mano guantata. Ma hias la fissò. È un sogno. Il sogno
più strano che abbia mai fa o, ma di sicuro un sogno. O forse uccidere i
lupi l’aveva alla fine portato alla pazzia definitiva. Questa no e
aveva assassinato la propria famiglia. Nessuna preghiera per le loro
anime selvagge avrebbe aggiustato le cose.
Sollevò lo sguardo verso il demone pallido e le sue mani nei
guanti neri. Kaz, l’aveva chiamato lei. Avrebbe portato Ma hias fuori
da questo incubo o l’avrebbe trascinato in un altro tipo di inferno?
Scegli, Helvar.
Ma hias strinse la mano del ragazzo. Se tu o questo era reale e
non un’illusione, sarebbe sfuggito a qualunque trappola queste
gg q q pp q
creature avessero preparato. Sentì Nina liberare un lungo sospiro:
era sollevata? Esasperata? Lui scrollò la testa. Se la sarebbe vista con
lei più tardi. La ragazzina di bronzo gli avvolse velocemente le
spalle con un mantello e gli piazzò sulla testa una bru a maschera
con il naso a becco.
Nel corridoio fuori dalla sua cella c’era la baraonda. Uomini e
donne in costume premevano per cercare di uscire dall’arena,
urlando e spingendosi l’un l’altro. Le guardie avevano estra o le
pistole, e si udivano colpi di arma da fuoco. Lui si sentiva stordito, e
il fianco gli faceva molto male. Il braccio sinistro era ancora fuori
uso.
Kaz indicò l’arco più a destra e a gesti spiegò che si sarebbero
dovuti muovere controcorrente rispe o alla folla, verso l’arena.
Ma hias non se ne curò. Quello che avrebbe fa o lui, piu osto,
sarebbe stato immergersi nella calca, farsi strada su per la scalinata e
calarsi dentro una barca. E poi? Non aveva importanza. Non c’era
tempo per stare a pianificare.
Entrò nell’orda in piena e fu trascinato indietro all’istante.
«Quelli come te non sono fa i per avere delle idee, Helvar» disse
Kaz. «Quella rampa di scale conduce a una stre oia. Pensi che le
guardie non vorranno controllare so o la maschera prima di farti
passare?»
Ma hias lo guardò torvo e seguì gli altri, la mano di Kaz sulla
schiena. Se il corridoio era stato una bolgia, l’arena era la follia.
Ma hias vide delle iene saltare e scavalcare gli spalti. Una si stava
sfamando, china su un corpo avvolto da un mantello color cremisi.
Un elefante caricò il muro dell’arena, sollevando una nuvola di
polvere e barrendo per la frustrazione. Vide un orso bianco e uno dei
grandi felini delle Colonie del Sud accucciato sui cornicioni, con le
zanne scoperte. Sapeva che c’erano anche dei serpenti nelle gabbie.
Poteva solo sperare che questo tizio di nome Jesper non fosse stato
così incosciente da liberare anche loro.
Si precipitarono sulla sabbia del ring dove Ma hias negli ultimi
sei mesi aveva comba uto per o enere dei privilegi, ma non appena
imboccarono il tunnel la lucertola del deserto sfrecciò verso di loro,
con le fauci che sgocciolavano schiuma bianca e velenosa e la grossa
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coda che frustava il terreno. Ma hias non fece in tempo a pensare a
come muoversi che la ragazza di bronzo aveva scavalcato la schiena
della bestia e l’aveva fa a fuori conficcandole due pugnali luminosi
so o la corazza. La lucertola emise un lamento e crollò su un fianco.
Ma hias sentì una fi a di tristezza. Era una mostruosità, e non aveva
mai visto un lo atore sopravviverle, ma era anche una creatura
vivente. “Non ho mai visto un lo atore sopravviverle fino a ora” si
corresse. “I pugnali della ragazza di bronzo sono degni di nota.”
Aveva dato per scontato che avrebbero a raversato l’arena e
avrebbero risalito i gradini degli spalti per evitare la fiumana di
gente che ostruiva il passaggio, e con ogni probabilità avrebbero
preso d’assalto le scale e sperato di avere la meglio sulle guardie che
li aspe avano in cima. E invece Kaz li condusse giù per il tunnel
dietro le gabbie. Queste erano vecchie celle che erano state
ristru urate per ospitare ogni genere di bestia su cui i signori dello
Spe acolo Infernale me evano le mani di se imana in se imana:
animali da circo, bestiame malato se necessario, creature ca urate
nelle foreste e nelle campagne. Mentre passavano di corsa accanto
alle porte aperte, colse un paio di occhi gialli guardarlo in modo
truce dall’ombra, e poi fu già oltre. Maledisse il braccio paralizzato e
il fa o di essere senza un’arma. Era praticamente indifeso. Dove ci sta
portando questo Kaz? Passarono dietro a un cinghiale che si stava
mangiando una guardia e a un leopardo che soffiò e sputò verso di
loro ma non si avvicinò.
E poi, tra l’odore muschiato degli animali e il tanfo dei loro
escrementi, Ma hias udì il profumo forte e pulito dell’acqua di mare.
Sentì il fragore delle onde. Scivolò e scoprì che le pietre che aveva
so o i piedi erano bagnate. Non gli era mai stato permesso di
scendere così in profondità nel tunnel. Doveva portare al mare.
Qualunque cosa fosse quella che Nina e la sua gente avevano in
mente, lo stavano davvero strappando via alle viscere
dell’Anticamera dell’Inferno.
Dentro la luce verde proie ata dalle sfere in mano a Kaz e alla
ragazza di bronzo, Ma hias scorse una barche a ormeggiata davanti
a loro. Sembrava che ci fosse una guardia seduta all’interno, ma
quella sagoma alzò una mano e fece loro cenno di avvicinarsi.
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«Eri in anticipo, Jesper» disse Kaz mentre spingeva Ma hias verso
la barca.
«Ero in orario.»
«Nel tuo caso, si chiama anticipo. La prossima volta che ti viene in
mente di sorprendermi, avvisami.»
«Gli animali sono in giro e ti ho recuperato una barca. È uno di
quei casi in cui un grazie sarebbe opportuno.»
«Grazie, Jesper» disse Nina.
«Ma non c’è di che, bellezza. Visto, Kaz? Ecco come si comporta la
gente civile.»
Ma hias stava prestando ascolto solo in parte. Le dita della mano
sinistra avevano preso a formicolare e la sensibilità stava tornando.
Non poteva lo are contro tu i, non nel suo stato e non quando loro
erano armati. Però Kaz e il ragazzo dentro la barca, Jesper,
sembravano gli unici con la pistola. Sgancia la cima, disarma Jesper.
Avrebbe avuto un’arma e il controllo della barca. “E Nina ti fermerà
il cuore prima che tu abbia toccato i remi” ricordò a se stesso. Allora
spara a lei per prima. Pianta un proie ile nel suo, di cuore. Resisti
abbastanza a lungo da vederla crollare a terra e poi falla finita con questo
posto. Poteva farcela. Sapeva che poteva farcela. Tu o quello di cui
aveva bisogno era un diversivo.
La ragazza di bronzo era in piedi giusto alla sua destra. Gli
arrivava a malapena alla spalla. Pur essendo ferito, avrebbe potuto
bu arla in acqua senza perdere l’equilibrio e senza arrecarle nessun
vero danno.
Fai cadere la ragazza. Libera la barca. Neutralizza l’uomo armato. Uccidi
Nina. Uccidi Nina. Uccidi Nina. Trasse un respiro profondo e con tu o
il peso si bu ò addosso alla ragazza di bronzo.
Lei fece un passo di lato come se avesse previsto la sua mossa, e
con un gesto lento e languido agganciò il tallone dietro alla sua
caviglia.
Ma hias emise un sonoro grugnito mentre rovinava a terra sulle
pietre.
«Ma hias...» disse Nina, avanzando di un passo. Lui sca ò
indietro, e per poco non si bu ò nell’acqua. Se lei avesse posato le
mani su di lui un’altra volta, Ma hias avrebbe perso la testa. Nina si
p
arrestò, offesa, e il dolore che le si dipinse in volto era
inequivocabile. Non ne aveva il diri o.
«Un po’ goffo, il tipo» disse, impassibile, la ragazza di bronzo.
«Me ilo a nanna, Nina» ordinò Kaz.
«No» protestò Ma hias, e il panico si impossessò di lui.
«Sei così scemo da ribaltare la barca.»
«Stai lontana da me, strega» ringhiò Ma hias alla volta di Nina.
Lei gli rivolse un veloce cenno del capo. «Con piacere.»
Alzò le mani, e Ma hias sentì le palpebre farsi pesanti mentre lei
lo spediva nel mondo dell’incoscienza. «Ti uccido» biascicò lui.
«Dormi bene.» La voce di Nina era un lupo, e gli stava alle
calcagna. Lo inseguì fin nell’oscurità.

In una stanza senza finestre, drappeggiata di nero e rosso cremisi,


Ma hias ascoltava in silenzio le strane parole che uscivano dalla
bocca del bizzarro ragazzo pallido. Sapeva com’erano fa i i mostri, e
una sola occhiata a Kaz Brekker gli aveva rivelato che era una
creatura che aveva passato troppo tempo al buio, e quando era
riemerso alla luce si era portato con sé qualcosa di oscuro. Ma hias
riusciva a percepirlo. Sapeva che gli altri si prendevano gioco della
superstizione Fjerdiana, ma lui si fidava della propria pancia.
Perlomeno, l’aveva fa o fino a Nina. Una delle conseguenze peggiori
del suo tradimento era stato il modo in cui si era visto costre o a
dubitare di se stesso. Nell’Anticamera dell’Inferno, dove l’istinto era
tu o, il dubbio lo aveva quasi distru o.
Ma hias aveva sentito parlare di Brekker in prigione, e aveva
udito quali parole venivano associate al suo nome: genio del crimine,
senza pietà, senza morale. Lo chiamavano Manisporche perché non
c’era peccato che non avrebbe commesso per la giusta ricompensa. E
ora questo demone parlava di introdursi nella Corte di Ghiaccio, di
indurre Ma hias a tradire. “Di nuovo” si corresse Ma hias. “A
tradire di nuovo.”
Teneva gli occhi fissi su Brekker. Era acutamente consapevole del
fa o che Nina lo stava osservando dall’altra parte della stanza.
Riusciva ancora a percepire il suo profumo di rosa nel naso e persino
in bocca; l’intensa fragranza fiorita persisteva sulla sua lingua, come
se la stesse assaporando.
Ma hias si era svegliato legato a una sedia in quella che sembrava
una bisca clandestina. Nina doveva averlo ridestato dallo stato di
incoscienza in cui l’aveva spedito. Lei era lì, a fianco della ragazza di
bronzo. Jesper, il tizio longilineo della barca, era seduto in un angolo
con le ginocchia ossute al pe o, e un ragazzo dai riccioli rossi e oro
scarabocchiava su un foglio davanti a un tavolo rotondo fa o per
giocare a carte, e ogni tanto si masticava un pollice. Il tavolo era
coperto da una tovaglia cremisi con disegnata sopra una serie di
corvi che si ripeteva, e una ruota, simile a quella usata nell’arena
dello Spe acolo Infernale ma con bersagli diversi, era stata piazzata
contro un muro laccato di nero. Ma hias aveva la sensazione che
qualcuno – probabilmente Nina – si fosse occupato delle sue ferite
mentre era incosciente. Il pensiero lo faceva stare male. Meglio un
onesto dolore della corruzione Grisha.
Poi Brekker aveva cominciato a parlare: di una droga chiamata
jurda parem, di una ricompensa così alta da non essere credibile, e
dell’idea assurda di provare a fare irruzione nella Corte di Ghiaccio.
A Ma hias non era chiaro se tu o ciò fosse realtà o finzione, ma
poco importava. Quando Brekker ebbe finalmente terminato, rispose
semplicemente: «No».
«Credimi, Helvar, se te lo dico: so bene che essere messi fuori
gioco e risvegliarsi in un ambiente sconosciuto non è il modo più
amichevole per iniziare una collaborazione, ma tu non ci hai dato
molte altre opzioni, per cui cerca di tenere la mente aperta a diverse
possibilità.»
«Potresti anche chiedermelo in ginocchio, e la mia risposta
sarebbe la stessa.»
«Tu ti rendi conto, vero, che posso farti tornare all’Anticamera
dell’Inferno nel giro di qualche ora? Una volta che il povero Muzzen
sarà arrivato in infermeria, scambiarvi è un a imo.»
«Fallo. Non vedo l’ora di raccontare al dire ore del carcere il tuo
ridicolo piano.»
«Cosa ti fa credere che torneresti indietro insieme alla tua
lingua?»
g
«Kaz...» protestò Nina.
«Fai quello che vuoi» disse Ma hias. Lui non avrebbe tradito
un’altra volta il proprio paese.
«Te l’avevo de o» commentò Nina.
«Non fingere di conoscermi, strega» ringhiò lui, gli occhi fissi su
Brekker. Non l’avrebbe degnata di uno sguardo. Si rifiutava di farlo.
Jesper uscì dall’angolo. Ora che erano fuori dalle tenebre
dell’Anticamera dell’Inferno, Ma hias poteva vedere che aveva la
pelle scurissima degli Zemeni e due occhi verdi che non c’entravano
niente. Aveva la corporatura di una cicogna. «Senza di lui, non se ne
fa niente» disse Jesper. «Non possiamo penetrare nella Corte di
Ghiaccio alla cieca.»
Ma hias voleva me ersi a ridere. «Non potete penetrare nella
Corte di Ghiaccio punto e basta.» Non era un edificio come gli altri.
Era un’antica fortezza Fjerdiana a più livelli, la dimora di una
successione ininterro a di re e regine, il deposito dei loro più grandi
tesori e delle loro reliquie religiose più sacre. Era impenetrabile.
«Veniamo a noi, Helvar» disse il demone. «C’è sicuramente
qualcosa che vuoi. La causa è abbastanza nobile per un fanatico
come te. A Fjerda credono di aver ca urato il drago per la coda, ma
non saranno in grado di controllarlo. Una volta che Bo Yul-Bayur
avrà replicato la formula, la jurda parem invaderà il mercato, ed è
solo questione di tempo prima che anche altri comincino a
produrla.»
«Non succederà mai. Yul-Bayur sarà so oposto a giudizio, e se
sarà giudicato colpevole verrà condannato a morte.»
«Colpevole di cosa?» chiese Nina a voce bassa.
«Di crimini contro le persone.»
«Quali persone?»
Ma hias sentì la rabbia tra enuta a stento nella voce di lei.
«Persone normali» rispose. «Persone che vivono in armonia con le
leggi di questo mondo invece di piegarle per i propri tornaconti.»
Nina emise una specie di verso esasperato. Gli altri,
semplicemente divertiti, fecero un sorrise o al povero e ingenuo
Fjerdiano. Brum aveva avvisato Ma hias che il mondo era pieno di
bugiardi, depravati, barbari senza fede. E sembrava si fossero
concentrati in questa stanza.
«Sei poco lungimirante, Helvar» disse Brekker. «Altri potrebbero
arrivare a Yul-Bayur per primi. Gli Shu. Magari i Ravkiani. Ciascuno
con propri fini. Le guerre di confine e le vecchie rivalità ai Kerch non
interessano. Al Consiglio dei Mercanti importa solo del commercio,
e loro vogliono fare in modo che la jurda parem rimanga una diceria e
niente di più.»
«Quindi guidare dei criminali fin nel cuore di Fjerda per rapire un
prigioniero importante sarebbe un gesto patrio ico?» domandò
Ma hias sprezzante.
«Ho come il sospe o che neanche la promessa di qua ro milioni
di kruge ti smuova.»
Ma hias sputò per terra. «Puoi tenerteli. Fino a strozzarti.» Poi un
pensiero gli a raversò la mente: un pensiero spregevole, inumano,
ma era l’unica cosa che gli avrebbe permesso di tornare
all’Anticamera dell’Inferno con la pace nel cuore, anche se non
avesse più avuto la lingua in bocca. Si inclinò all’indietro fin dove
arrivavano le corde e concentrò tu a l’a enzione su Brekker. «Ti
propongo un pa o.»
«Sono tu o orecchie.»
«Non verrò con voi, ma vi darò una mappa della Corte. Dovrebbe
perme ervi di superare almeno il primo posto di blocco.»
«E cosa mi costerà questa preziosa informazione?»
«Non voglio i tuoi soldi. Ti darò la mappa gratis.» Dire quelle
parole lo fece vergognare, ma le disse comunque: «Se mi lasci
uccidere Nina Zenik».
La piccola ragazza di bronzo emise un verso di disgusto, il suo
disprezzo per lui era evidente, e il ragazzo al tavolo smise di
scarabocchiare, a bocca aperta. Kaz, invece, non sembrava sorpreso.
Semmai, compiaciuto. Ma hias aveva la spiacevole sensazione che il
demone avesse sempre saputo come sarebbe andata a finire.
«Ti darò di meglio» gli disse.
Cosa ci poteva essere di meglio della vende a? «Non voglio
nient’altro.»
«Posso farti tornare a essere un drüskelle.»
«Sei uno stregone, quindi? Uno spirito wej che esaudisce i
desideri? Sono superstizioso, non stupido.»
«Mah, sai com’è, potresti essere entrambi, ma non è questo il
punto.» Kaz infilò una mano nella sua giacca scura. «Ecco qua»
disse, e diede un pezzo di carta alla ragazza di bronzo. Un altro
demone: si muoveva in modo imperce ibile, come se fosse scivolato
giù in questo mondo da quell’altro e nessuno avesse avuto il buon
senso di rimandarlo indietro. Il demone gli mise il pezzo di carta
davanti al viso per perme ergli di leggere. Il documento era scri o
in Kerch e Fjerdiano. Non sapeva leggere il Kerch – in prigione
aveva solo imparato qualche parola – ma il Fjerdiano era piu osto
chiaro, e mentre gli occhi scorrevano il foglio, il cuore iniziò ad
accelerargli.

Alla luce delle nuove prove, vengono revocate tu e le accuse relative al


traffico di schiavi a carico di Ma hias Benedik Helvar. Il sudde o verrà
rilasciato nella giornata odierna, _______________, con le scuse della
corte, e con grande sollecito si provvederà a trasferirlo in patria o presso
qualsivoglia destinazione a sua scelta. Le scuse più sincere di questo
tribunale e del governo di Kerch.

«Quali nuove prove?»


Kaz si appoggiò allo schienale della sedia. «Sembra che Nina
Zenik abbia ritra ato le sue dichiarazioni. Dovrà affrontare un
processo per falsa testimonianza.»
Ora sì che Ma hias la guardò; non riuscì a tra enersi. Sulla sua
gola graziosa erano rimasti dei lividi. Se ne rallegrò con se stesso.
«Falsa testimonianza? Quanto ti toccherà scontare, Zenik?»
«Due mesi» rispose lei a bassa voce.
«Due mesi?» Ora sì che scoppiò a ridere, forte e a lungo. Il suo
corpo si contorse, come se un veleno gli facesse contrarre i muscoli.
Gli altri lo guardarono con interesse.
«Ma quant’è fuori di testa?» domandò Jesper, con le dita che
tamburellavano sul calcio di perla delle rivoltelle.
Brekker fece spallucce. «Non lo definirei un tipo affidabile, ma è
tu o quello che abbiamo.»
Due mesi. Probabilmente in qualche prigione confortevole dove
avrebbe sedo o tu e le guardie per farsi portare del pane fresco e
sprimacciare i cuscini ogni ma ina. O forse li avrebbe
semplicemente convinti a tramutare la pena in una multa che i suoi
ricchi custodi Grisha di Ravka avrebbero liquidato per lei.
«Non puoi fidarti di Nina, lo sai» disse a Brekker. «Quali che
siano i segreti che speri di estorcere a Bo Yul-Bayur, lei li rivelerà a
Ravka.»
«Lascia che sia io a preoccuparmene, Helvar. Tu fai la tua parte, e
i segreti di Yul-Bayur, così come la jurda parem, saranno nelle mani
delle persone più ada e a fare in modo che rimangano chiacchiere.»
Due mesi. Nina avrebbe scontato la sua pena e avrebbe fa o
ritorno a Ravka con qua ro milioni di kruge in più, per non dargli
mai più nessun altro pensiero. Ma se la grazia non era fasulla, anche
lui avrebbe potuto tornare a casa.
Casa. Aveva fantasticato di scappare dall’Anticamera dell’Inferno
tantissime volte, ma non si era mai dedicato veramente a un piano di
fuga. Che vita lo avrebbe aspe ato là fuori, con sulla testa l’accusa di
essere uno schiavista? Non avrebbe mai potuto tornare a Fjerda. Se
anche avesse sopportato il disonore, avrebbe vissuto ogni giorno
della sua vita da ricercato del governo di Kerch, un uomo segnato.
Avrebbe potuto sbarcare il lunario a Novyi Zem, ma avrebbe avuto
senso?
La grazia era tu a un’altra cosa. Se quel demone di Brekker diceva
la verità, Ma hias sarebbe tornato a casa. Il desiderio gli si
aggrovigliò nel pe o: sentir parlare la sua lingua, rivedere gli amici,
riassaporare la semla ripiena di pasta alle mandorle, affrontare il
morso del vento del Nord che arrivava ruggendo sul ghiaccio.
Tornare a casa ed essere accolto senza il peso del disonore. Con il
suo nome ripulito, poteva tornare alla sua vita di drüskelle. E il
prezzo sarebbe stato il tradimento.
«E se Bo Yul-Bayur fosse morto?» domandò a Brekker.
«Van Eck insiste a dire che non lo sia.»
Ma come faceva il mercante di cui parlava Kaz a comprendere
appieno gli usi e i costumi Fjerdiani? Se non c’era ancora stato un
processo, ci sarebbe stato, e Ma hias non aveva difficoltà a
p
prevedere il verde o. Il suo popolo non avrebbe mai concesso la
libertà a un uomo in possesso di informazioni così spaventose.
«Ma se lo fosse, Brekker?»
«Avrai comunque la tua grazia.»
Anche se il loro bersaglio era già in procinto di passare a miglior
vita, Ma hias avrebbe avuto indietro la propria libertà. A quale
prezzo, però? Aveva già commesso degli errori in precedenza. Era
stato tanto pazzo da fidarsi di Nina. Era stato debole, e si sarebbe
portato dietro quella vergogna per il resto della vita. Ma aveva già
pagato per la sua stupidità con il sangue, lo squallore e il tanfo
dell’Anticamera dell’Inferno. E i suoi peccati erano stati veniali, le
azioni di un ragazzo o ingenuo. Questo era molto peggio. Rivelare i
segreti della Corte di Ghiaccio, rivedere la terra natia sapendo che
ogni passo sarebbe stato un a o di tradimento: poteva fare una cosa
del genere?
Brum gli avrebbe riso in faccia, avrebbe rido o la grazia in
coriandoli. Ma Kaz Brekker era sveglio. Era pieno di risorse. Che
cosa sarebbe successo se Ma hias avesse de o di no e contro ogni
previsione Brekker e la sua squadra fossero comunque riusciti a
penetrare nella Corte di Ghiaccio e rapire lo scienziato Shu? Oppure
se Brekker avesse avuto ragione e un altro paese fosse arrivato per
primo? Sembrava che la parem desse troppa dipendenza per essere
utile ai Grisha, ma cosa sarebbe successo se la formula fosse finita
nelle mani dei Ravkiani, e loro fossero riusciti in qualche modo a
modificarla? E se avessero reso i Grisha di Ravka, il loro Secondo
Esercito, ancora più forte? Se avesse partecipato alla missione, lui
avrebbe potuto assicurarsi che Bo Yul-Bayur non respirasse più una
volta fuori dalle mura della Corte di Ghiaccio, o avrebbe potuto
allestire un incidente di qualche tipo nel viaggio di ritorno a Kerch.
Prima di Nina, prima dell’Anticamera dell’Inferno, non l’avrebbe
mai preso in considerazione. Ora si scopriva in grado di stipulare un
accordo del genere con se stesso. Si sarebbe aggregato alla squadra
dei demoni, avrebbe o enuto la grazia, e quando fosse stato di
nuovo un drüskelle, Nina Zenik sarebbe stata il suo primo obie ivo.
Le avrebbe dato la caccia a Kerch, a Ravka, in qualunque buco e in
qualunque angolo del mondo lei avesse pensato di trovarsi al sicuro.
q q g p
L’avrebbe stanata e gliel’avrebbe fa a pagare in ogni modo possibile.
Darle subito la morte sarebbe stato un gesto troppo clemente.
L’avrebbe ge ata nella cella più orribile della Corte di Ghiaccio, dove
non si sarebbe scaldata mai più. L’avrebbe tra ata come un
gioca olo, così come aveva fa o lei con lui. Le avrebbe promesso la
salvezza e poi gliel’avrebbe negata. Le avrebbe donato affe o e
piccole gentilezze e poi gliele avrebbe strappate via. Avrebbe
conservato ogni lacrima che lei avesse versato e l’avrebbe assaporata
con la lingua, sostituendo il suo dolce profumo fiorato con il sale del
dolore.
E tu avia, le parole suonarono amare in bocca a Ma hias quando
disse: «Ci sto».
Brekker fece l’occhiolino a Nina, e Ma hias avrebbe voluto
rompergli tu i i denti.
Quando avrò dato alla vita di Nina una bella fe a di miseria, passerò a
te. Aveva cacciato le streghe; quanto diverso poteva mai essere
uccidere un demone?
La ragazza di bronzo ripiegò il documento e lo consegnò a
Brekker, che lo fece scivolare in un taschino sul pe o. Ma hias si
sentì come se stesse guardando un vecchio amico, uno che non aveva
più sperato di rivedere, sparire nella folla e lui non riuscisse a
chiamarlo a gran voce.
«Stiamo per slegarti» disse Brekker. «Spero che la prigione non ti
abbia privato di tu e le buone maniere e del buon senso.»
Ma hias annuì, e la ragazza di bronzo prese un coltello per
recidere le corde che lo legavano. «Immagino tu conosca già Nina»
continuò Brekker. «L’adorabile ragazza che ti sta liberando è Inej, la
nostra ladra di segreti e la migliore sul mercato. Jesper Fahey è il
nostro tiratore scelto, con sangue Zemeni nelle vene ma non
prendertela con lui per questo, e questo è Wylan, il miglior esperto
di demolizioni del Barile.»
«Raske è più bravo» disse Inej.
Il ragazzo sollevò lo sguardo, con i capelli rosso oro che gli
caddero sugli occhi, e parlò per la prima volta. «Non è più bravo. È
incosciente.»
«Sa il fa o suo.»
«Anch’io.»
«Poco» disse Jesper.
«Wylan è nuovo sulla scena» ammise Brekker.
«Per forza è nuovo, sembra che abbia dodici anni» riba é
Ma hias.
«Ne ho sedici» disse Wylan con fare scontroso.
Ma hias ne dubitava. Al massimo quindici. Il ragazzo pareva non
avere ancora cominciato a radersi. Infa i, con i suoi dicio ’anni,
Ma hias aveva il sospe o di essere il più vecchio del gruppo. Gli
occhi di Brekker erano antichi, ma non poteva essere più grande di
lui.
Per la prima volta, Ma hias guardò veramente le persone che gli
stavano a orno. Che razza di squadra è questa per una missione così
rischiosa?
Il tradimento non sarebbe più stato un problema se fossero tu i
morti. E solo lui sapeva esa amente quanto infida avrebbe potuto
dimostrarsi quest’impresa.
«Dovremmo usare Raske» disse Jesper. «È bravo so o pressione.»
«Questa cosa non mi piace» concordò Inej.
«Non ho chiesto la vostra opinione» disse Kaz. «In più, Wylan
non è solo bravo a far saltare le cose. È la nostra assicurazione.»
«Da che cosa?» chiese Nina.
«Vi presento Wylan Van Eck» replicò Kaz Brekker mentre le
guance del ragazzino si facevano di fuoco. «Il figlio di Jan Van Eck,
nonché la nostra garanzia su trenta milioni di kruge.»
8
JESPER

Jesper fissò Wylan. «Ma certo, sei il figlio di un Consigliere.» Scoppiò


a ridere. «Questo spiega tu o.»
Si rendeva conto che avrebbe dovuto avercela con Kaz per averli
tenuti all’oscuro di un altro fondamentale tassello d’informazione,
ma in quel preciso momento si stava proprio godendo la scena della
rivelazione dell’identità di Wylan Van Eck, che si aggirava
sbandando per la stanza come un puledro scontroso che scalcia la
polvere.
Wylan era rosso in viso e mortificato. Nina sembrava scioccata e
infastidita. Il Fjerdiano pareva semplicemente confuso. Kaz appariva
totalmente compiaciuto di se stesso. E, ovviamente, Inej neanche
lontanamente sorpresa. Lei raccoglieva i segreti di Kaz e li
conservava. Jesper tentò di ignorare la fi a di gelosia che provò a
quel pensiero.
La bocca di Wylan si aprì e chiuse, la gola andò su e giù. «Lo
sapevi?» domandò avvilito.
Kaz si appoggiò allo schienale della sedia, con un ginocchio
piegato e la gamba malandata distesa davanti a sé. «Perché credi che
ti tenga qua a orno?»
«Perché sono bravo a demolire.»
«Sei passabile a demolire. Ma come ostaggio sei una bomba.»
Era crudele, ma Kaz era fa o così. E il Barile era un maestro molto
più brutale di quel che Kaz avrebbe mai potuto essere. Perlomeno
questo spiegava perché Kaz si stesse coccolando Wylan e gli stesse
passando dei colpi.
«Chissenefrega» disse Jesper. «Dovremmo comunque prendere
Raske e lasciare questo cucciolo di mercante so ochiave a
Ke erdam.
«Non mi fido di Raske.»
«E ti fidi di Wylan Van Eck?» chiese Jesper in tono incredulo.
«Wylan non conosce abbastanza gente per poterci creare dei veri
problemi.»
«Posso dire la mia?» si lamentò Wylan. «Visto che sono seduto
qui?»
Kaz sollevò un sopracciglio. «Ti hanno mai svuotato le tasche,
Wylan?»
«Io... non che io sappia.»
«Aggredito in un vicolo?»
«No.»
«Tenuto sospeso giù da un ponte con la testa nel canale?»
Wylan sba é le palpebre. «No, ma...»
«Mai stato pestato fino a non poter camminare?»
«No.»
«E come mai, secondo te?»
«Io...»
«Sono tre mesi che hai lasciato il palazzo di papino sulla
Geldstraat. Come ti spieghi che il tuo soggiorno nel Barile sia stato
così benede o?»
«Fortuna, forse?» suggerì Wylan in maniera poco convinta.
Jesper sbuffò. «Si chiama Kaz la tua fortuna, mercantuccio. Ti ha
messo so o la protezione degli Scarti: anche se sei così inutile che
finora nessuno era riuscito a spiegarsi il perché.»
«Lasciava perplessi» ammise Nina.
«Kaz ha sempre i suoi motivi» mormorò Inej.
«Perché sei scappato dalla casa di tuo padre?» domandò Jesper.
«Era tempo» disse Wylan in modo fermo.
«Idealista? Romantico? Rivoluzionario?»
«Idiota?» suggerì Nina. «Nessuno sceglie di vivere nel Barile se ha
un’altra opzione.»
«Non sono inutile» disse Wylan.
«Raske è il migliore a demolire...» iniziò Inej.
«Sono stato alla Corte di Ghiaccio. Con mio padre. Siamo andati a
una cena dell’ambasciata. Posso darvi una mano con la mappa.»
«Visto? Ha delle qualità nascoste.» Le mani guantate di Kaz
tamburellarono sulla testa di corvo del bastone. «E non voglio che la
nostra unica leva su Van Eck se ne stia al fresco a Ke erdam mentre
noi ci dirigiamo a nord. Wylan viene con noi. È bravo a sufficienza
con le esplosioni e se la cava con gli schizzi, grazie a tu i quei
prece ori cari come il fuoco.»
Wylan arrossì ancora di più, e Jesper scrollò la testa. «Suoni anche
il piano?»
«Il flauto» disse Wylan sulla difensiva.
«Perfe o.»
«E dal momento che Wylan ha visto la Corte di Ghiaccio con i
suoi occhi» continuò Kaz, «ti darà una mano a essere sincero,
Helvar.»
Il Fjerdiano lo guardò storto, e Wylan sembrò sentirsi male.
«Non preoccuparti» disse Nina. «Gli sguardi in cagnesco non
sono letali.»
Jesper fece caso al modo in cui le spalle di Ma hias si sollevavano
ogni volta che Nina apriva bocca. Non aveva idea di quale storia ci
fosse tra i due, ma si sarebbero probabilmente ammazzati a vicenda
prima ancora di arrivare a Fjerda.
Jesper si massaggiò gli occhi. Era in debito di sonno ed esausto
dopo l’adrenalina dell’evasione, e ora aveva la testa in subbuglio al
pensiero dei trenta milioni di kruge. Anche dopo che Per Haskell
avesse avuto il suo venti per cento, sarebbero rimasti qua ro milioni
a testa. Cosa poteva farci con un mucchio di soldi simile? Jesper
poteva sentire suo padre dirgli: “Cacciati in un sacco di merda
grosso il doppio”. Santi numi, quanto gli mancava.
Kaz picchiò il bastone sul pavimento di legno lucido.
«Tira fuori una penna e un pezzo di carta, Wylan. Me iamo
Helvar al lavoro.»
Wylan infilò la mano nella borsa a tracolla ai suoi piedi ed
estrasse un so ile rotolo di carta da macellaio, e a seguire un
astuccio di metallo che custodiva un set di pennini e bocce e di
inchiostro dall’aspe o estremamente costoso.
«Ma che bello» commentò Jesper. «Un pennino per ogni
occasione.»
«Inizia a vuotare il sacco» disse Kaz al Fjerdiano. «È ora di pagare
l’affi o.»
Ma hias puntò uno sguardo furioso su Kaz. Proprio uno sguardo
in cagnesco. Era quasi divertente contrapposto a quello da squalo di
Kaz.
Alla fine fu il Fjerdiano ad abbassare gli occhi, poi fece un bel
respiro e disse: «La Corte di Ghiaccio si trova su una scogliera che
affaccia sul porto di Djerholm. È stata costruita in cerchi concentrici,
come gli anelli di un albero». Parlava lentamente, come se ogni
parola gli costasse sofferenza. «Per prime ci sono le mura ad anello,
poi c’è il cerchio esterno, che è diviso in tre se ori. Al di là c’è il
fossato di ghiaccio, poi al centro di tu o quanto c’è l’Isola Bianca.»
Wylan si mise a disegnare. Jesper sbirciò da sopra la sua spalla.
«Non sembra un albero, sembra una torta.»
«In effe i, è più o meno una torta» disse Wylan sulla difensiva. «È
tu o costruito su un’altura.»
Kaz fece cenno a Ma hias di proseguire.
«Le pareti della scogliera non si possono scalare, e la strada verso
nord è l’unica via per andare e venire. Bisogna a raversare un posto
di blocco armato prima di raggiungere le mura ad anello.»
«Due posti di blocco» lo interruppe Wylan. «Quando ci sono stato
io, erano due.»
«Ed eccole qua» disse Kaz a Jesper. «Competenze preziose. Wylan
ti tiene d’occhio, Helvar.»
«Perché due posti di blocco?» chiese Inej.
Ma hias fissò le assi in noce scura del pavimento e disse: «È
difficile riuscire a corrompere due gruppi di guardie. La difesa della
Corte si basa sempre su sistemi multipli di sicurezza. Se arriverete
fin lì...».
«Arriveremo, Helvar. Se arriveremo fin lì» lo corresse Kaz.
Il Fjerdiano alzò quasi imperce ibilmente le spalle. «Se
arriveremo fin lì, il cerchio esterno sarà suddiviso in tre se ori: la
prigione, gli edifici dei drüskelle e l’ambasciata, e ogni se ore ha il
suo cancello all’interno delle mura esterne. Il cancello della prigione
è sempre in funzione, ma è sempre so o sorveglianza armata. Degli
altri due, solamente uno è operativo in qualsiasi momento.»
p q
«In base a che cosa viene stabilito quale dev’essere il cancello
operativo?» domandò Jesper.
«Il programma cambia ogni se imana, e le postazioni delle
guardie vengono assegnate solo la no e prima.»
«Forse è una buona cosa» disse Jesper. «Se riusciamo a scoprire
quale cancello non è in funzione, non essendo presidiato o
sorvegliato...»
«Ci sono sempre almeno qua ro sentinelle in servizio anche
quando il cancello non è in funzione.»
«Con qua ro sentinelle ce la possiamo fare, poco ma sicuro.»
Ma hias scosse la testa. «I cancelli pesano migliaia di libbre e solo
le sentinelle possono aprirli e chiuderli da dentro le guardiole. E
anche se si riuscisse ad alzarne uno, aprire un cancello non previsto
dal programma innescherebbe il Protocollo Nero. Tu a la Corte
sarebbe messa in sicurezza, e si verrebbe localizzati subito.»
Un mormorio di agitazione a raversò la stanza. Jesper, a disagio,
si mise a camminare.
Se le espressioni sulle facce degli altri erano significative, erano
a raversati tu i dallo stesso pensiero: “In che cosa, esa amente, ci
stiamo andando a cacciare?”. Solo Kaz sembrava impassibile.
«Me i tu o su carta» disse Kaz, picchie ando sul foglio. «Helvar,
mi aspe o che più tardi tu descriva per filo e per segno tu i i
meccanismi del sistema d’allarme a Wylan.»
Ma hias si accigliò. «Non so come funziona. È tu a una serie di
cavi e campanelli.»
«Digli quello che sai. Dove staranno tenendo Bo Yul-Bayur?»
Lentamente, Ma hias si alzò e si avvicinò alle mappe che
prendevano forma so o la penna di Wylan. Si muoveva in modo
cauto e rilu ante, come se Kaz gli avesse de o di accarezzare un
serpente a sonagli.
«Probabilmente qui» disse il Fjerdiano, me endo il dito sulla
carta. «Il se ore della prigione. Le celle di sicurezza sono al livello
più alto. È dove tengono i criminali pericolosi. Assassini, terroristi...»
«Grisha?» chiese Nina.
«Esa amente» rispose lui con un’espressione tetra.
«Ragazzi, ci regalerete momenti di vero spasso, lo sapete?» fece
Jesper. «Di solito, la gente ci me e una se imana per iniziare a
odiarsi sul lavoro, ma voi due vi siete portati avanti.»
Gli lanciarono due occhiatacce gemelle, e Jesper li ricambiò con
un sorriso a trentadue denti, mentre l’a enzione di Kaz era tu a
sulle mappe.
«Bo Yul-Bayur non è pericoloso» disse pensieroso. «Almeno non
in quel modo. Non credo che lo tengano rinchiuso insieme alla
gentaglia peggiore.»
«Secondo è in una fossa» disse Ma hias.
«Parti dal presupposto che non sia morto. È un prigioniero
prezioso, uno di quelli che non deve finire nelle mani sbagliate
prima del processo. Dove potrebbe essere?»
Ma hias guardò le mappe. «Gli edifici del cerchio esterno
circondano il fossato di ghiaccio, e nel centro del fossato c’è l’Isola
Bianca, dove si trovano la camera del tesoro e il Palazzo Reale. È il
posto in assoluto più sicuro della Corte di Ghiaccio.»
«È lì che si trova Bo Yul-Bayur» disse Kaz.
Ma hias sorrise.
A dir la verità, era più uno scoprire i denti che un sorriso. “L’ha
imparato all’Anticamera dell’Inferno” pensò Jesper.
«Allora la tua ricerca è inutile» disse Ma hias. «Un gruppo di
estranei non ha modo di arrivare all’Isola Bianca.»
«Non essere così compiaciuto, Helvar. Se noi non entriamo, tu
non avrai la tua grazia.»
Ma hias fece spallucce. «Non posso cambiare la realtà delle cose.
Il fossato di ghiaccio è tenuto d’occhio da diverse torri di guardia
sull’Isola Bianca e da un posto di vede a in cima all’Orologio
Maggiore. L’unico modo per a raversarlo è passare per il ponte di
vetro, e l’unico modo per passare per il ponte di vetro è avere
l’autorizzazione.»
«Manca poco a Hringkälla» disse Nina.
«Stai zi a» sca ò Ma hias.
«Ti pregherei di non farlo più» commentò Kaz.
«Hringkälla. È il Giorno dell’Ascolto, quando i nuovi drüskelle
vengono iniziati sull’Isola Bianca.»
g
Le nocche di Ma hias sbiancarono. «Non hai nessun diri o di
parlare di queste cose. Sono sacre.»
«Sono dati di fa o. La famiglia reale Fjerdiana dà una festa
grande con ospiti provenienti da ogni regione del mondo, e la
maggior parte dell’intra enimento arriva dri o dri o da
Ke erdam.»
«Intra enimento?» chiese Kaz.
«A ori, ballerini, una troupe della Commedia Bruta, e i talenti
migliori delle case di appuntamento dello Stave dell’Ovest.»
«Ero convinto che i Fjerdiani non apprezzassero questo tipo di
cose» disse Jesper.
Inej arricciò le labbra. «Non hai mai visto i soldati Fjerdiani sugli
Stave?»
«Intendevo quando sono a casa loro» si corresse Jesper.
«È l’unico giorno dell’anno in cui tu i sme ono di comportarsi da
asceti e si godono un po’ la vita» rispose Nina. «E comunque, solo i
drüskelle vivono come monaci.»
«Godersi la vita non vuol dire ricorrere per forza al vino e... alla
carne» farfugliò Ma hias.
Nina sba é le lunghe ciglia lucide. «Tu, la vita, non te la godresti
neanche se ti si avvicinasse e ti si infilasse un lecca-lecca in bocca.» E
tornò a guardare le mappe. «Il cancello dell’ambasciata dovrà essere
aperto. Forse non è il caso di preoccuparsi di come penetrare nella
Corte di Ghiaccio. Forse potremmo semplicemente entrare
camminando insieme agli artisti.»
«Non è lo Spe acolo Infernale» disse Kaz. «Non sarà così
semplice.»
«Tu i i visitatori sono comunicati se imane prima del loro arrivo
alla Corte di Ghiaccio» fece Ma hias. «I documenti di chiunque entri
all’ambasciata saranno controllati e ricontrollati. I Fjerdiani non sono
stupidi.»
Nina alzò un sopracciglio. «Non tu i, almeno.»
«Non stuzzicare l’orso, Nina» disse Kaz. «Ci serve collaborativo.
Quand’è che si tiene la festa?»
«In questa stagione» rispose Nina, «durante l’equinozio di
primavera.»
p
«Due se imane a partire da oggi» puntualizzò Inej.
Kaz piegò la testa di lato e puntò lo sguardo su qualcosa in
lontananza.
«È la faccia che fa quando trama qualcosa» sussurrò Jesper a Inej.
Lei annuì. «Proprio quella.»
«La Rosa Bianca manderà una delegazione?» domandò Kaz.
Nina fece segno di no con la testa. «Non ne so nulla.»
«Anche se partiamo subito per Djerholm» disse Inej, «ci vorrà più
di una se imana per arrivare. Non c’è tempo per procurarsi dei
documenti falsi, o viaggiare so o copertura in modo sicuro, e
superare gli accertamenti.»
«Non entreremo dall’ambasciata» disse Kaz. «Colpire sempre
dove il pollo non guarda.»
«Come il pollo?» chiese Wylan.
Jesper scoppiò a ridere. «Oh, per tu i i Santi, sei un fenomeno. Il
bersaglio, il mammalucco, lo scemo che stai cercando di spennare.»
Wylan raddrizzò la schiena. «Posso non aver ricevuto la tua...
istruzione, ma sono certo di conoscere molte parole che tu ignori.»
«E anche il modo più appropriato di avvolgere un tovagliolo e
danzare il minue o. Oh, e sei capace di suonare il flauto. Tu e
competenze spendibili sul mercato.»
«Nessuno danza più il minue o» borbo ò Wylan.
Kaz si appoggiò al muro. «Qual è il modo più semplice per rubare
il portafogli a qualcuno?»
«Un coltello alla gola?» suggerì Inej.
«Una pistola alla schiena?» disse Jesper.
«Del veleno nella tazza?» insinuò Nina.
«Siete delle persone orribili» disse Ma hias.
Kaz roteò gli occhi. «Il modo più semplice per rubare il portafogli
a qualcuno è dirgli che state per rubargli l’orologio. Ca urate
l’a enzione e la indirizzate dove voi volete che vada. Questo lavoro
lo farà Hringkälla al posto nostro. La Corte di Ghiaccio dovrà
diro are delle risorse per sorvegliare gli ospiti e proteggere la
famiglia reale. Non saranno in grado di guardare ovunque nello
stesso momento. È l’occasione perfe a per tirar fuori da lì Bo Yul-
Bayur.» Kaz indicò il cancello della prigione nel muro ad anello.
«Ricordi cosa ti ho de o all’Anticamera dell’Inferno, Nina?»
«È difficile tenere a mente tu e le tue perle di saggezza.»
«In prigione se ne fregheranno di chi entra, staranno a enti
solamente a tu i quelli che proveranno a uscire.» Il dito guantato
scivolò di lato sul se ore successivo. «All’ambasciata se ne
fregheranno di chi esce, saranno concentrati soltanto su quelli che
vogliono entrare. Noi entreremo dalla prigione e ce ne andremo
dall’ambasciata. Helvar, l’Orologio Maggiore funziona?»
Ma hias annuì. «Ba e ogni quarto d’ora. Anche i protocolli
d’allarme sono impostati così.»
«È preciso?»
«Ovviamente.»
«Alta ingegneria Fjerdiana» commentò Nina, acida.
Kaz la ignorò. «Allora useremo l’Orologio Maggiore per
sincronizzare i nostri movimenti.»
«Entreremo travestiti da guardie?» domandò Wylan.
Jesper non riuscì a non suonare sprezzante. «Soltanto Nina e
Ma hias parlano Fjerdiano.»
«Io lo parlo» protestò Wylan.
«Scuola Fjerdiana, giusto? Scomme o che tu parli Fjerdiano più o
meno come io parlo la lingua degli alci.»
«La lingua degli alci è probabilmente la tua lingua madre»
bofonchiò Wylan.
«Entreremo così come siamo» disse Kaz. «Vestiti da criminali. La
prigione è la nostra porta d’ingresso.»
«Fammi capire bene» disse Jesper. «Tu vorresti che i Fjerdiani ci
chiudano in prigione. Non è quello che cerchiamo di evitare?»
«I criminali hanno identità anonime, sfuggenti. È uno dei benefici
di appartenere alla classe sociale dei farabu i. Staranno a contare le
teste al cancello della prigione, staranno a guardare i nomi e i reati,
ma non controlleranno i passaporti e non verificheranno i sigilli
dell’ambasciata.»
«Perché nessuno vuole andare in galera» disse Jesper.
Nina incrociò le braccia sopra la testa. «Non voglio essere
rinchiusa in una cella Fjerdiana.»
j
Kaz si diede un colpe o alla manica e tra le dita gli apparvero due
so ili bacche e metalliche. Gli ballarono in mano, tra una nocca e
l’altra, e poi sparirono nuovamente.
«Grimaldelli?» domandò Nina.
«Alle celle lasciate che ci pensi io» disse Kaz.
«Colpire dove il pollo non guarda» fece Inej, pensosa.
«Esa o» convenne Kaz. «E la Corte di Ghiaccio è come qualunque
altro pollo, un grande pollo bianco pronto per essere spennato.»
«Yul-Bayur ci verrà dietro senza ba ere ciglio?» domandò Inej.
«Van Eck sostiene che il Consiglio abbia dato a Yul-Bayur una
parola d’ordine la prima volta che hanno tentato di portarlo fuori da
Shu Han, in modo che lui potesse sapere di chi fidarsi: Sesh-uyeh. La
parola d’ordine gli farà capire che siamo stati mandati da Kerch.»
«Sesh-uyeh» ripeté Wylan, scandendo le sillabe in modo sgraziato.
«Che cosa significa?»
Nina fissò una macchia sul pavimento e disse: «Disperato».
«Si può fare» concluse Kaz «e saremo noi a farlo.» Jesper sentì che
l’atmosfera della stanza mutava a mano a mano che l’impresa
diventava plausibile. Era una sensazione so ile, che lui aveva
imparato a percepire ai tavoli da gioco: quel momento in cui un
giocatore diventa consapevole del fa o che potrebbe vincere la
partita. Il senso di aspe ativa lo ringalluzzì, un mix spumeggiante di
paura ed eccitazione che gli rendeva difficile stare fermo.
Forse anche Ma hias la avvertì, perché incrociò le enormi braccia
che si ritrovava e disse: «Voi non vi rendete conto di cosa state per
affrontare».
«Ma tu sì, Helvar. Lavorerai alle mappe della Corte di Ghiaccio
ogni minuto che c’è da qui a quando salperemo. Nessun de aglio è
insignificante o irrilevante. Ogni tanto verrò a dare un occhio.»
Inej seguì con il dito il bozze o che Wylan aveva tracciato, una
serie di cerchi concentrici. «Assomiglia davvero agli anelli di un
albero» disse.
«No» replicò Kaz. «Assomiglia a un bersaglio.»
9
KAZ

«Qui abbiamo finito» disse Kaz agli altri. «Manderò un messaggio a


ognuno di voi dopo che avrò trovato una barca, ma preparatevi a
partire entro domani no e.»
«Così presto?» domandò Inej.
«Non sappiamo che razza di tempo ci toccherà, e abbiamo un
lungo viaggio davanti a noi. Hringkälla è la nostra occasione
migliore per arrivare a Bo Yul-Bayur. Non intendo rischiare di
perderla.»
A Kaz serviva del tempo per rifle ere a fondo sul piano che stava
prendendo forma nella sua testa. I punti fondamentali c’erano: da
dove sarebbero entrati, come sarebbero usciti. Ma la strategia che si
era figurato prevedeva che non si portassero dietro granché.
Avrebbero dovuto cavarsela senza le loro solite risorse. E questo
voleva dire più variabili e molte più possibilità che le cose andassero
storte.
Con Wylan Van Eck al seguito potevano almeno essere sicuri che
avrebbero ricevuto la loro ricompensa. Ma non sarebbe stato facile.
Non avevano nemmeno lasciato Ke erdam e Wylan sembrava già
un pesce fuor d’acqua.
Non era tanto più giovane di Kaz, ma in un certo senso sembrava
un bambino – la pelle liscia, gli occhi spalancati, un po’ come un
cucciolo dalle orecchie morbide dentro una stanza piena di cani da
comba imento.
«Vedi di tenere Wylan fuori dai guai» disse a Jesper mentre li
congedava.
«Perché io?»
«Perché sei così sfortunato da essere nel mio campo visivo, e
perché non voglio riconciliazioni improvvise tra padre e figlio prima
p g p p g p
che salpiamo.»
«Per questo non ti preoccupare» disse Wylan.
«Io mi preoccupo di tu o, mercantuccio. Ecco perché sono ancora
vivo. E anche tu devi tenere d’occhio Jesper.»
«Tenere d’occhio me?» disse Jesper, indignato.
Kaz fece scorrere di lato un pannello di legno scuro e aprì la
cassaforte che era nascosta dietro. «Sì, tu.» Estrasse qua ro rotolini
di kruge e ne consegnò uno a Jesper. «Questi sono per i proie ili,
non per le scommesse. Wylan, verifica che non imbocchi
misteriosamente la strada per una bisca mentre sta andando a
comprare le munizioni, ci siamo intesi?»
«Non ho bisogno di una bambinaia» sbo ò Jesper.
«Direi piu osto una dama di compagnia, ma se desideri che
Wylan ti cambi i pannolini e ti rimbocchi le coperte quando vai a
nanna, sono affari tuoi.» Ignorò l’espressione ferita di Jesper e
distribuì qualche kruge a Wylan, per gli esplosivi, e a Nina, per
qualunque cosa servisse. «Fai la scorta solo per il viaggio» disse. «Se
andrà come penso, ci toccherà entrare nella Corte di Ghiaccio a mani
vuote.»
Vide passare un’ombra sul viso di Inej. Le piaceva stare senza
pugnali come a lui piaceva stare senza bastone.
«Bisogna che ti procuri dei vestiti pesanti» le disse. «C’è un
negozio sulla Wijnstraat per i cacciatori di pellicce: incomincia da lì.»
«Vuoi arrivare da nord?» chiese Helvar.
Kaz annuì. «Il porto di Djerholm pullula di doganieri, e sono pronto
a scomme ere che stringeranno la sicurezza durante la vostra bella
festona.»
«Non è una festa.»
«Ha tu a l’aria di essere una festa» disse Jesper.
«Non dovrebbe essere una festa» si corresse Helvar in modo
scontroso.
«Che cosa facciamo con lui?» chiese Nina, indicando Ma hias con
un cenno del capo. Lo chiese in tono disinteressato, ma era
un’esibizione sprecata per tu i tranne che per Helvar. Avevano visto
le sue lacrime all’Anticamera dell’Inferno.
«Per il momento, se ne resta qui al Club dei Corvi. Voglio che tu
vada a ripescare nella tua memoria anche i de agli, Helvar. Wylan e
Jesper ti raggiungeranno più tardi. Terremo questa stanza chiusa. Se
qualche giocatore nel salone si me e a fare domande, ditegli che è in
corso una partita privata.»
«Dobbiamo dormire qui?» domandò Jesper. «Ho delle cose da
controllare alla Stecca.»
«Sopravvivrai» disse Kaz, anche se chiedere a Jesper di trascorrere
la no e in una bisca senza poter puntare neanche una volta era
proprio una crudeltà. Si voltò verso gli altri. «Non una parola con
nessuno. Non si deve sapere che state lasciando Kerch. State
lavorando con me a un colpo in una casa di campagna fuori ci à.
Tu o qui.»
«Hai intenzione di dirci qualcos’altro del tuo incredibile piano?»
domandò Nina.
«Sulla nave. Meno sapete, meno spifferate in giro.»
«E intendi lasciare Helvar slegato?»
«Ti comporterai bene?» chiese Kaz al Fjerdiano.
Lo sguardo di Ma hias era omicida, ma fece segno di sì con la
testa.
«Chiudiamo la stanza e me iamo una guardia.»
Inej soppesò la stazza da gigante del Fjerdiano. «Magari due.»
«Chiamate Dirix e Ro y, ma non entrate troppo nei de agli. Loro
salperanno con noi, e posso sempre aggiornarli dopo. Wylan, io e te
dobbiamo farci due chiacchiere. Voglio sapere tu o della società
commerciale di tuo padre.»
Wylan si strinse nelle spalle. «Io non so niente. Lui non mi
coinvolge in questo genere di discussioni.»
«Mi stai dicendo che non hai mai ficcato il naso nel suo ufficio?
Che non hai mai sbirciato nelle sue carte?
«No» riba é Wylan, il mento leggermente sporgente. Kaz, a
sorpresa, si ritrovò a credergli.
«Che ti ho de o?» fece Jesper allegramente mentre si dirigeva alla
porta. «Inutile.»
Gli altri si accodarono e Kaz chiuse la cassaforte, girando la rotella
della serratura a combinazione.
«Devo parlarti, Brekker» disse Helvar. «In privato.»
Inej lanciò a Kaz un’occhiata di avvertimento. Kaz la ignorò.
Pensava forse che non fosse in grado di gestire una massa di muscoli
campagnoli come Ma hias Helvar? Chiuse il pannello a muro e
scrollò la gamba. Gli faceva male: troppe no i insonni e troppo
tempo in piedi.
«Vai pure, Spe ro» disse. «Chiudi la porta quando esci.»
Non appena la serratura sca ò, Ma hias balzò su di lui. Kaz lo
lasciò fare. Se lo aspe ava.
Ma hias gli tappò la bocca con una mano sudicia. La sensazione
della pelle di lui sulla propria gli diede il voltastomaco, ma poiché
aveva previsto l’a acco, riuscì a tenere so o controllo la nausea che
lo invadeva. Con l’altra mano, intanto, Ma hias frugava nelle tasche
del suo gilè, prima l’una e poi l’altra.
«Fer esje?» grugnì con rabbia in Fjerdiano. Poi, in Kerch: «Dov’è?».
Kaz gli regalò un altro istante di ricerca frenetica, poi abbassò il
gomito e lo affondò, costringendo Helvar a lasciare la presa. Kaz gli
scivolò via facilmente. Quindi lo colpì dietro la gamba destra con il
bastone. Il grande e grosso Fjerdiano crollò a terra. Quando cercò di
rialzarsi, Kaz gli diede un calcio.
«Stai giù, patetico stronzo.»
Helvar tentò di sollevarsi un’altra volta. Era veloce, e la prigione lo
aveva irrobustito. Kaz lo colpì forte sulla mascella e poi, con la punta
del bastone, infilzò velocemente le enormi spalle di Helvar, proprio
nei due punti di pressione. Il Fjerdiano emise un grugnito mentre le
braccia gli si afflosciavano sui fianchi.
Kaz fece ruotare il bastone e preme e la testa di corvo sulla gola
di Helvar. «Muoviti ancora e ti spappolerò la mandibola, così sarai
costre o a mangiare con la cannuccia per il resto della tua vita.»
Il Fjerdiano rimase immobile, gli occhi azzurri illuminati
dall’odio. «Dov’è la grazia?» ringhiò. «Ti ho visto me erla in tasca.»
Kaz si accovacciò accanto a lui e, da una tasca che sembrava vuota
fino a un a imo prima, estrasse il documento ripiegato. «Questa?»
Il Fjerdiano fece ciondolare le braccia paralizzate e inservibili, e si
lasciò andare a un verso animale quando Kaz fece sparire la grazia
nell’aria. Il foglio gli riapparve tra le dita. Lo girò una volta,
g g pp g
mostrando per un a imo il testo, poi ci passò la mano sopra, e
mostrò a Helvar la pagina apparentemente bianca.
«Demjin» biascicò Helvar. Kaz non parlava il Fjerdiano, ma quella
parola la conosceva. Demone.
Per niente. Aveva imparato a fare i trucchi con le carte dai bari
dello Stave dell’Est, e passato ore e ore a fare pratica di fronte a uno
specchio opaco che aveva comprato con la prima paga se imanale.
Kaz diede un colpe o con il bastone, delicatamente, sulla guancia
di Helvar. «Per ogni trucco che hai visto, ne conosco altri mille. Pensi
che un anno all’Anticamera dell’Inferno ti abbia indurito? Che ti
abbia insegnato a comba ere? A me l’Anticamera dell’Inferno
sarebbe sembrata un paradiso quand’ero bambino. Ti muovi come
un bue: saresti durato sì e no due giorni sulle strade dove sono
cresciuto io. Questo era il tuo unico bonus, Helvar. Non me ermi di
nuovo alla prova. Fai cenno di sì con la testa per farmi vedere che hai
capito.»
Helvar serrò le labbra e annuì una volta.
«Bene. Mi sa che per questa no e ti me eremo i ceppi alle
caviglie.»
Kaz si alzò, prese il cappello nuovo dalla scrivania su cui lo aveva
appoggiato, e diede al Fjerdiano un ultimo calcio nei reni per
sicurezza. A volte quelli grossi non sapevano quando abbassare la
cresta.
10
INEJ

Il giorno dopo Inej vide che Kaz incominciava a muovere le pedine


del suo piano sulla scacchiera.
Era stata messa al corrente delle sue conge ure insieme a ogni
altro membro della squadra, ma conosceva solo alcuni frammenti
della trama.
Era il gioco che Kaz faceva sempre.
Se lui aveva dei dubbi su ciò che stavano per fare non li mostrava,
e Inej desiderava possedere le sue certezze. La Corte di Ghiaccio era
stata costruita per resistere alla carica di eserciti, assassini, Grisha e
spie. Quando l’aveva fa o notare a Kaz, lui aveva risposto
semplicemente: «Ma non è stata costruita per tenere fuori noi».
La sua sicurezza la turbava. «Cosa ti fa credere che ce la possiamo
fare? Ci saranno delle altre squadre là fuori, soldati addestrati e spie,
professionisti con anni di esperienza.»
«Questo non è un lavoro per soldati addestrati e spie. È un lavoro
per ladri e delinquenti. Van Eck lo sa, ecco perché ha tirato in mezzo
noi.»
«Non puoi spendere il suo denaro da morto.»
«Indulgerò in vizi costosi nell’aldilà.»
«C’è differenza tra la sicurezza e l’arroganza.»
A quel punto lui si era voltato e aveva dato un brusco stra one a
entrambi i guanti. «Quando vorrò sentire una predica
sull’argomento, saprò chi chiamare. Se vuoi tirartene fuori, basta
dirlo.»
Lei aveva raddrizzato la spina dorsale, l’orgoglio levato in propria
difesa. «Ma hias non è l’unico membro insostituibile di questa
banda, Kaz. Tu hai bisogno di me.»
«Ho bisogno delle tue abilità, Inej. Non è la stessa cosa. Sarai
anche il ragno migliore che zampe a per il Barile, ma non sei l’unico.
Farai bene a ricordartelo se vuoi la tua parte di bo ino.»
Lei non aveva riba uto, non voleva fargli vedere quanto l’avesse
fa a arrabbiare, ma aveva lasciato il suo ufficio e da allora non gli
aveva più rivolto la parola.
Adesso, mentre si dirigeva verso il porto, si domandò che cosa la
spingesse ad andare avanti.
Avrebbe potuto lasciare Kerch in qualsiasi momento. Avrebbe
potuto viaggiare clandestinamente su una nave dire a a Novyi Zem.
Avrebbe potuto tornare a Ravka e me ersi in cerca della propria
famiglia.
Se tu o era andato per il verso giusto, i suoi si erano messi in
salvo a ovest quand’era scoppiata la guerra civile, o forse si erano
rifugiati a Shu Han. Le carovane Suli facevano sempre le stesse
strade da anni, e lei sarebbe stata capace di rubare quello che le
serviva per sopravvivere finché non li avesse trovati.
Ma questo avrebbe voluto dire non ripagare il proprio debito agli
Scarti. Per Haskell avrebbe dato la colpa a Kaz; Kaz sarebbe stato
costre o a ripagare di persona il prezzo del suo contra o, e lei
l’avrebbe reso vulnerabile, sprovvisto dello Spe ro che carpiva per
lui i segreti.
Ma lui non le aveva forse de o che l’avrebbe facilmente
rimpiazzata? Se fossero riusciti a portare a termine questo colpo e a
tornare a Kerch con Bo Yul-Bayur sano e salvo al seguito, la
ricompensa che le spe ava sarebbe stata più che sufficiente a
estinguere il debito e a comprarsi la via d’uscita dagli Scarti. A Kaz
non doveva niente, e non ci sarebbe stato più alcun motivo per
restare.
Il sole sarebbe spuntato da lì a un’ora, ma le strade erano affollate
mentre lei si dirigeva dallo Stave dell’Est allo Stave dell’Ovest.
C’era un modo di dire Suli che faceva così: “Il cuore è una freccia.
Richiede un obie ivo da centrare con precisione”. Suo padre amava
citarlo quando lei si esercitava sul filo o al trapezio. “Schiarisciti le
idee” diceva. “Devi sapere dove vuoi andare se vuoi arrivarci.” Sua
madre aveva riso ascoltandolo. “Non parla di questo” aveva de o.
p q
“Tu riesci a togliere il romanticismo da qualsiasi cosa.” E invece non
era affa o così. Suo padre aveva adorato sua madre.
Inej ricordava che lasciava in giro piccoli mazzi di gerani selvatici
perché lei li trovasse ovunque, negli armadie i della credenza, nelle
pentole da campo, nelle maniche dei suoi costumi da circo.
“Vuoi che ti dica il segreto del vero amore?” le aveva domandato
una volta suo padre. “A un mio amico piaceva dire che le donne
amano i fiori. Lui aveva avuto molte avventure, ma non aveva mai
avuto una moglie. E sai perché? Perché è vero che le donne amano i
fiori, ma c’è solo una donna che ama il profumo delle gardenie di
fine estate che le ricorda la veranda della nonna. E c’è solo una
donna che ama i boccioli degli alberi di melo dentro una tazza blu. E
c’è solo una donna che ama i gerani selvatici.”
“È la mamma!”aveva urlato Inej.
“Sì, la mamma ama i gerani selvatici perché nessun altro fiore ha
quel colore lì, e lei sostiene che quando recide lo stelo e infila un
gambo dietro l’orecchio, il mondo intero profuma d’estate. Molti
ragazzi ti regaleranno dei fiori. Ma un giorno ne incontrerai uno che
imparerà a riconoscere qual è il tuo fiore preferito, la tua canzone
preferita, il tuo dolce preferito. E anche se sarà troppo povero per
regalarti quelle cose, non avrà importanza perché lui si sarà preso il
tempo per conoscerti come nessun altro. Solamente quel ragazzo si
merita il tuo cuore.”
Sembrava che fossero passati cent’anni.
Suo padre si era sbagliato. I ragazzi che le avevano portato i fiori
non c’erano stati, soltanto uomini con mucchie i di kruge e borsellini
pieni di monete. Avrebbe mai rivisto suo padre? Avrebbe mai
risentito sua madre cantare, avrebbe mai riascoltato gli stupidi
racconti di suo zio? Non sono sicura di avere ancora un cuore, papà.
Il problema era che Inej non sapeva più bene qual era il suo
obie ivo. Quand’era piccola era facile: un sorriso di suo padre, un
altro passo sulla corda tesa, torte d’arancia avvolte nella carta bianca.
Poi era stata la volta del riconquistare la libertà da Tante Heleen e
dal Serraglio, e dopo di quello, sopravvivere ogni giorno, diventare
un po’ più forte ogni ma ina. Ora, invece, non sapeva più quello che
voleva.
“Questa volta, mi dovrà porgere le sue scuse” decise. “E non
salirò a bordo della nave finché non le avrò. Se Kaz non è veramente
dispiaciuto, può fare finta. Mi deve almeno la sua migliore
imitazione di un essere umano.”
Se non fosse stata in ritardo, si sarebbe aggirata per lo Stave
dell’Ovest o sarebbe saltata da un te o all’altro: era questa la
Ke erdam che amava, vuota e silenziosa, che stava in alto sopra la
folla, una catena montuosa illuminata dalla luna di te i a punta e
comignoli sbilenchi. Ma questa no e aveva poco tempo. Kaz,
all’ultimo minuto, l’aveva mandata a rovistare nei negozi alla ricerca
di due pezzi di paraffina. Non le aveva neanche spiegato a che cosa
servivano o perché erano così necessari. E gli occhialini da neve?
Aveva dovuto fare visita a tre bo eghe diverse per trovarli. Era così
stanca che non si fidava del tu o a scalare i te i, non dopo le due
no i insonni e un giorno passato a tra are sul prezzo delle provviste
per il loro lungo viaggio fino alla Corte di Ghiaccio.
Ebbe il sospe o che si stesse anche me endo alla prova.
Non aveva mai percorso lo Stave dell’Ovest da sola. Con gli Scarti
al suo fianco, poteva passeggiare davanti al Serraglio senza degnare
di uno sguardo le sbarre d’oro alle finestre. Ma stano e il cuore le
ba eva all’impazzata, e sentì il sangue pulsarle alle tempie quando
le apparve davanti la facciata dorata. Il Serraglio era stato costruito
per sembrare una gabbia a più livelli, con i primi due piani lasciati
aperti se non per le sbarre d’oro ampiamente distanziate fra loro. Era
anche noto come la Casa delle Creature Esotiche. Se si aveva un
debole per una ragazza Shu o una gigantessa Fjerdiana, per una
rossa dell’Isola Errante o per una Zemeni dalla pelle scura, era il
Serraglio la meta ideale. Tu e le ragazze erano chiamate con un
nome di animale: leopardo, cavallo, volpe, cornacchia, ermellino,
cerbia o, serpente. Le veggenti Suli indossavano la maschera da
sciacallo quando leggevano le carte e sbirciavano nel destino delle
persone. Ma quale uomo avrebbe voluto andare a le o con uno
sciacallo? Così le ragazze Suli – e il Serraglio aveva sempre a
disposizione una ragazza Suli – erano linci. Ai clienti non
interessavano le donne in quanto tali, ma solo la pelle scura Suli, il
fuoco dei capelli Kaelish, il taglio degli occhi gialli Shu. Gli animali
rimanevano gli stessi, invece le ragazze andavano e venivano.
Inej intravide delle penne di pavone nell’ingresso, e al suo cuore
mancò un ba ito. Era solo un particolare decorativo, un de aglio
della sfarzosa composizione floreale, ma alla paura dentro di lei non
importava. Il terrore crebbe e le a anagliò il respiro. La gente era
ammassata da tu e le parti, gli uomini in maschera e le donne
velate: o forse erano uomini con il velo e donne in maschera. Era
impossibile a dirsi. Le corna dell’Imperatore. Gli occhi strabuzzati
del Folle, la faccia triste della Regina Scarabeo in nero e oro. Gli
artisti amavano dipingere le scene dello Stave dell’Ovest, i ragazzi e
le ragazze che lavoravano nei bordelli, i libertini vestiti da
personaggi della Commedia Bruta. Ma non c’era nessuna bellezza
nel Serraglio, nessuna vera allegria e nessuna gioia, soltanto
compravendite, gente in cerca di una fuga o di un oblio colorato,
qualche sogno di decadenza da cui potevano svegliarsi ogni qual
volta lo desideravano.
Inej si sforzò di guardare il Serraglio mentre ci passava davanti.
“È solo un luogo” disse a se stessa. “Solo un’altra casa.” In che
modo l’avrebbe guardato Kaz? Dove sono le entrate e le uscite?
Come funzionano le serrature? Quali finestre sono senza sbarre?
Quante guardie sono in servizio, e quali sembrano a ente? Solo un
edificio pieno di serrature da forzare, casseforti da aprire, polli da
gabbare. Ed era lei il predatore adesso, non Heleen nelle sue piume
di pavone, non gli uomini che camminavano per strada.
Non appena Inej si allontanò dal Serraglio, la morsa che aveva al
pe o e alla gola iniziò ad allentarsi. Ce l’aveva fa a. Aveva percorso
da sola lo Stave dell’Ovest, era passata proprio davanti alla Casa
delle Creature Esotiche. Qualunque cosa la stesse aspe ando a
Fjerda, l’avrebbe affrontata.
Una mano arpionò il suo avambraccio e tirò, facendola
incespicare.
Inej recuperò velocemente l’equilibrio. Girò sui talloni e cercò di
staccarsi, ma la presa era troppo forte.
«Ciao, piccola lince.»
Inej inspirò e liberò il braccio con uno stra one. Tante Heleen. È
così che le ragazze dovevano chiamare Heleen Van Houden se non
volevano assaggiare il dorso della sua mano. Per il resto del Barile lei
era il Pavone, anche se Inej aveva sempre pensato che fosse più un
ga o pieno di sé che un uccello. I suoi capelli erano di un color oro
viscoso e sensuale, gli occhi nocciola e leggermente felini. La sua
corporatura alta e sinuosa era avvolta in un abito di vivace seta blu,
la profonda scollatura accentuata da piume cangianti che
solleticavano il girocollo di diamanti che come al solito le luccicava
sulla pelle.
Inej si voltò per scappare, ma la strada era bloccata da un colosso,
la giacca di velluto blu strizzata sulle grosse spalle. Cobbet, lo
scagnozzo preferito di Heleen.
«Oh no, non lo farai, piccola lince.»
Lo sguardo di Inej si offuscò. Intrappolata. Intrappolata. Intrappolata
di nuovo.
«Non mi chiamo così» cercò di dire Inej con il respiro corto.
«Piccola testarda.»
Heleen afferrò la casacca di Inej.
“Muoviti” le urlò una voce dentro la testa, ma non ci riuscì. I
muscoli erano ra rappiti; la mente era invasa da un gemito acuto di
terrore.
Heleen fece scorrere un artiglio curatissimo lungo la sua guancia.
«Lince è il tuo unico nome» cantilenò. «Sei ancora abbastanza carina
da tirar su dei bei soldi. Però gli occhi sono più duri: hai passato
troppo tempo con quel delinquente di Brekker.»
Un verso di umiliazione scaturì dalla gola di Inej, un rantolo
strozzato.
«Io so di che pasta sei fa a, lince. So quanto vali fino all’ultimo
centesimo. Cobbet, forse dovremmo portarla a casa adesso.»
La vista di Inej si offuscò. «Non osare. Gli Scarti...»
«Posso aspe are il momento giusto, piccola lince. Indosserai
ancora i miei vestiti di seta, è una promessa.» Heleen lasciò andare
Inej. «Goditi la serata» disse con un sorriso, poi aprì il suo ventaglio
blu e sparì nella folla portandosi dietro Cobbet.
Inej rimase ferma, a tremare. Poi si immerse anche lei nella calca,
impaziente di scomparire. Voleva me ersi a correre, ma continuò ad
avanzare in modo regolare, senza sca i, spingendosi verso il porto.
Mentre camminava slacciò i ganci dei foderi fissati agli avambracci e
sentì i manici dei pugnali scivolarle in mano. Sankt Petyr, famoso
per il suo coraggio, nella destra; la lama so ile e dal manico di osso
che aveva chiamato Sankta Alina nella sinistra. Recitò anche i nomi
di tu i gli altri coltelli che possedeva. Sankta Marya e Sankta
Anastasia, fissati con una cinghia alle sue cosce. Sankt Vladimir,
nascosto in uno dei suoi stivali, e Sankta Lizabeta, comoda alla
cintura, la lama decorata con una fantasia di rose. Proteggetemi,
proteggetemi. Inej aveva bisogno di credere che i suoi Santi vedessero
e capissero quello che faceva per sopravvivere.
Cosa c’era che non andava? Lei era lo Spe ro. Non aveva più
niente da temere da Tante Heleen. Per Haskell aveva risca ato il suo
contra o. L’aveva liberata. Non era più una schiava; era un valido
membro degli Scarti, una ladra di segreti, la migliore nel Barile.
Si affre ò dietro la luce e la musica del Coperchio e finalmente le
apparvero i porti di Ke erdam, e più si avvicinava all’acqua più i
luoghi e i rumori del Barile sbiadivano. Qui non c’erano gruppi di
persone da urtare, profumi nauseanti o maschere feroci. Fece un
lungo respiro profondo. Da dove si trovava poteva vedere la cima di
una delle torri degli Scuotiacque, dove le luci delle torce erano
sempre accese. I grossi obelischi di pietra nera erano presidiati
giorno e no e da un gruppo prescelto di Grisha che tenevano
costantemente alte le maree sopra il ponte di terra che altrimenti
avrebbe collegato Kerch a Shu Han. Persino Kaz non era mai stato
capace di scoprire chi formava il Consiglio delle Maree, dove
vivevano, o come era stata garantita la loro lealtà a Kerch. Gli
Scuotiacque controllavano anche i porti, e se dai capitani o dai
marinai arrivava un segnale, loro modificavano le maree e
impedivano a tu i di partire. Ma quella sera non ci sarebbe stato
nessun segnale. Erano state date le bustarelle giuste agli ufficiali
giusti, e la loro nave doveva essere già pronta per salpare.
Inej si mise a correre, puntando verso le banchine galleggianti di
Quinto Porto. Era in ritardissimo, e non moriva dalla voglia di
g
vedere lo sguardo di disapprovazione di Kaz quando fosse arrivata
al pontile.
Le piaceva la pace delle banchine, ma sembravano quasi troppo
calme dopo il fracasso e la confusione del Barile. Qui, le file di casse
e di scatole colme di merci erano impilate su entrambi i lati: tre, a
volte qua ro casse, una sull’altra. Facevano sembrare questa zona
della banchina un labirinto. Il sudore freddo le imperlò il fondo della
schiena. L’incontro inaspe ato con Tante Heleen l’aveva scossa, e la
presenza confortante dei pugnali in mano non era sufficiente a
placare i suoi nervi scoperti. Sapeva che avrebbe dovuto abituarsi a
portare una pistola, ma il peso destabilizzava il suo senso
dell’equilibrio, e poi le pistole potevano incepparsi o sca are nel
momento sbagliato. Piccola lince. I suoi pugnali erano affidabili. E la
facevano sentire come se fosse nata con gli artigli giusti.
A raverso la nebbiolina leggera che si stava sollevando sopra
l’acqua, Inej vide Kaz e gli altri che stavano aspe ando vicino al
molo. Indossavano banali vestiti da marinaio: pantaloni di tela
ruvida, stivali, giacche di lana pesante e cappelli. Anche Kaz aveva
rinunciato al suo abito tagliato su misura in maniera impeccabile a
favore di una pesante giacca di lana. I folti capelli neri erano pe inati
all’indietro, ai lati erano tagliati corti come sempre. Sembrava uno
scaricatore di porto, o un ragazzo che prendeva il largo per la sua
prima avventura in mare. Era un po’ come se lei stesse scrutando,
a raverso una lente d’ingrandimento, una realtà diversa e più
piacevole.
Alle loro spalle vide la piccola gole a che Kaz aveva requisito: su
un fianco, a grosse le ere, c’era scri o Ferolind. Sventolava la
bandiera con i pesci viola di Kerch e quella colorata della
Compagnia della Baia Haanraadt. A tu i, a Fjerda o tra i flu i del
Mare Vero, sarebbero semplicemente sembrati dei cacciatori di pelli
e pellicce che puntavano a nord. Inej accelerò il passo. Se lei non
fosse stata in ritardo, gli altri sarebbero già saliti a bordo o
addiri ura sarebbero stati in viaggio fuori dal porto.
Avevano tenuto l’equipaggio al minimo, tu i ex marinai che si
erano fa i strada nei ranghi degli Scarti tra una sventura e l’altra.
A raverso la nebbia contò velocemente chi c’era nel gruppo in
g pp
a esa. Il numero non tornava. Sarebbero dovuti esserci anche
qua ro membri in più degli Scarti per dare una mano a me ere in
mare la gole a dal momento che nessuno di loro conosceva davvero
le manovre da fare, ma non ne vedeva nessuno. Forse erano già a
bordo? Ma proprio quando il pensiero le a raversò la mente, i suoi
stivali toccarono qualcosa di morbido e inciampò.
Guardò in basso. Nella luce fioca dei lampioni del porto, vide
Dirix, uno degli Scarti che avrebbe dovuto viaggiare con loro. Aveva
un coltello in pancia, e gli occhi erano vitrei.
«Kaz!» urlò Inej.
Troppo tardi. La gole a esplose, bu ando Inej a terra e riducendo
la banchina in fiamme.
11
JESPER

Jesper stava bene quando le persone gli sparavano. Non perché gli
piacesse l’idea di morire (anzi, quell’eventualità era sicuramente un
inconveniente), ma quando si preoccupava di rimanere vivo non
poteva perme ersi di pensare a nient’altro. Quel suono – il veloce,
scioccante rimbombo di uno sparo – faceva concentrare la sua mente
sbandata, irascibile e sempre a zonzo, come nessun’altra cosa al
mondo. Era meglio che stare seduto ai tavoli da gioco ad aspe are di
perdere, ed era meglio che stare in piedi alla Ruota della Fortuna di
Makker a veder uscire il proprio numero.
L’aveva scoperto durante il primo comba imento alla frontiera
Zemeni. Suo padre sudava, tremava, ed era a malapena in grado di
ricaricare il fucile. Ma Jesper aveva scoperto la propria vocazione.
Ora incrociò le braccia in cima alla cassa dietro cui si era riparato
e fece fuoco con entrambe le canne. Le sue rivoltelle erano di
fabbricazione Zemeni, potevano sparare sei colpi in rapida
successione e non temevano confronti con altre pistole a Ke erdam.
Le sentì diventare calde nelle sue mani.
Kaz li aveva avvisati di anticipare la concorrenza perché altre
squadre si sarebbero date da fare per o enere la ricompensa a ogni
costo, ma erano appena all’inizio della missione ed era un po’ presto
perché le cose andassero già così male. Erano circondati, almeno uno
di loro era a terra, e la barca bruciava alle loro spalle. Avevano perso
il mezzo di trasporto per Fjerda, e se gli spari che gli piovevano
addosso volevano dire qualcosa, i nemici erano di gran lunga di più.
Però sarebbe potuta andare peggio; potevano essere sulla barca al
momento dell’esplosione.
Jesper si accucciò per ricaricare le pistole e quasi non poté credere
ai propri occhi. Wylan Van Eck era raggomitolato sul molo, e teneva
p p y gg
le sue mani lisce da mercante sopra la testa. Jesper tirò un sospiro,
sparò qualche colpo per coprirsi e balzò allo scoperto, fuori dal
dolce, confortante rifugio della cassa. Afferrò Wylan per il colle o
della camicia e, a stra oni, lo trascinò al riparo.
Jesper gli diede una scrollata. «Fa i forza, ragazzino.»
«Non sono un ragazzino» bofonchiò Wylan, spingendo via le
mani di Jesper.
«D’accordo, sei un grande statista. Sei capace di sparare?»
Wylan annuì lentamente. «Tiro al pia ello.»
Jesper sollevò gli occhi al cielo. Si sfilò il fucile dalla schiena e lo
spinse verso Wylan, schiacciandoglielo sul pe o. «Grandioso.
Questo è proprio come sparare ai piccioni di argilla, solo che fanno
un rumore diverso quando ne prendi uno.»
Jesper ruotò su se stesso, le rivoltelle in alto, mentre una figura gli
appariva nella coda dell’occhio, ma era solamente Kaz.
«Dirigetevi a est sul molo successivo e imbarcatevi all’a racco
ventidue» disse Kaz.
«Cosa c’è all’a racco ventidue?»
«La vera Ferolind.»
«Ma...»
«La barca che hanno fa o saltare era un’esca.»
«Tu lo sapevi?»
«No, ho preso delle precauzioni. È il mio lavoro, Jesper.»
«Avresti potuto dirci che...»
«E l’esca non avrebbe più avuto senso. Da i una mossa.» Kaz
guardò Wylan, che stava in piedi a cullare il fucile come se fosse
stato un neonato. «E fai in modo che lui arrivi alla nave tu o intero.»
Jesper osservò Kaz svanire nell’ombra, il bastone in una mano, la
pistola nell’altra. Anche con una sola gamba buona, era agile in
modo sinistro.
A quel punto Jesper diede a Wylan un altro spintone. «Andiamo.»
«Andiamo?»
«Non hai sentito cos’ha de o Kaz? Dobbiamo arrivare all’a racco
ventidue.»
Wylan annuì senza parlare. Aveva lo sguardo confuso e gli occhi
così sgranati che sembravano bicchieri.
g
«Stammi dietro e cerca di non farti ammazzare. Pronto?»
Wylan fece segno di no con la testa.
«Allora fai finta che non te l’abbia chiesto.» Piazzò la mano di
Wylan sul manico del fucile. «Avanti.»
Jesper sparò un’altra serie di colpi all’impazzata, qua e là, nella
speranza di mascherare la loro posizione. Con una pistola scarica,
saltò fuori dalla cassa ed entrò nell’ombra. Una parte di lui si era
aspe ata che Wylan non lo seguisse, invece riusciva a sentire il
mercantuccio dietro di lui respirare forte, un fischio basso nei
polmoni mentre puntavano alla pila successiva di barili.
Jesper sibilò mentre una pallo ola gli sfrecciava accanto alla
guancia, abbastanza vicino da lasciare il segno della bruciatura.
Si ge arono dietro i barili. Da dove si trovava, vide che Nina era
in mezzo a due pile di casse. Aveva le braccia alzate, e quando uno
dei suoi aggressori si spostò dove lei poteva vederlo, gli sferrò un
pugno. Il ragazzo si accasciò a terra, stringendosi il pe o. Tu avia, in
questo parapiglia, lei era in svantaggio. Gli Spaccacuore avevano
bisogno di vedere i loro bersagli per poterli bu are giù.
Helvar era accanto a lei con la schiena alle casse, le mani legate.
Una precauzione ragionevole, ma il Fjerdiano sarebbe stato un aiuto
prezioso, e Jesper ebbe solo un istante per chiedersi perché mai Kaz
lo avesse lasciato in quella situazione difficoltosa: subito dopo Nina
estrasse un coltello dalla manica e tagliò le corde ai polsi di Helvar.
Quindi gli schiaffò una pistola in mano. «Difenditi» disse con un
ringhio, e tornò a concentrarsi sul comba imento.
“Stupida mossa” pensò Jesper. “Non si volta la schiena a un
Fjerdiano incazzato.” Helvar sembrava che stesse seriamente
prendendo in considerazione l’idea di spararle. Jesper sollevò la
rivoltella, pronto a far crollare a terra il gigante. Ma l’a imo dopo
Helvar era in piedi accanto a Nina, a mirare verso il labirinto di casse
davanti. Proprio come se stessero comba endo fianco a fianco. Kaz
aveva lasciato Ma hias insieme a Nina di proposito? Jesper non
sapeva mai se quella di Kaz era astuta pianificazione o fortuna
sfacciata.
Fece un fischio acuto. Nina diede un’occhiata alle spalle e il suo
sguardo incontrò quello di Jesper. Lui mostrò due dita, due volte, e
g q p
lei fece un rapido cenno della testa. Nina aveva sempre saputo che
l’a racco ventidue era la loro vera meta? E Inej? Kaz lo stava facendo
di nuovo: giocare con le informazioni, tenere all’oscuro qualcuno,
oppure tu i, costringerli a indovinare la mossa a seguire. Era una
cosa che Jesper detestava, ma non poteva negare che così facendo
avevano ancora la possibilità di arrivare a Fjerda. Se fossero riusciti a
imbarcarsi sulla seconda gole a.
Jesper fece segno a Wylan, e insieme continuarono a farsi strada
dietro le barche e le navi ormeggiate lungo la banchina, tenendosi
più bassi possibile.
«Laggiù!» sentì una voce gridare da qualche parte dietro di lui.
Erano stati avvistati.
«Dannazione» disse Jesper. «Corri!»
Si precipitarono giù per la banchina. All’a racco ventidue c’era
una gole a con il nome Ferolind scri o su un fianco. Era inquietante
quanto assomigliasse all’altra. Non c’erano lanterne accese a bordo,
ma non appena lui e Wylan salirono sulla rampa, apparvero due
marinai.
«Siete i primi ad arrivare» disse Ro y.
«Speriamo di non essere anche gli ultimi. Siete armati?»
Ro y annuì. «Brekker ci ha de o di rimanere nascosti finché...»
«Eccolo, il finché» concluse Jesper indicando gli uomini all’assalto
che puntavano verso di loro e riprendendosi il fucile che aveva dato
a Wylan. «Devo trovare un punto in alto. Respingeteli e teneteli
impegnati il più a lungo possibile.»
«Jesper» incominciò a dire Wylan.
«Non far passare nessuno. Se prendono questa gole a, siamo
spacciati.» Gli uomini che stavano dando loro la caccia non volevano
soltanto impedire agli Scarti di lasciare il porto. Li volevano morti.
Jesper sparò ai due tizi che guidavano l’assalto sulla banchina.
Uno cadde, l’altro rotolò a sinistra e si riparò dietro il bompresso di
un peschereccio. Jesper esplose altri tre colpi, poi sca ò di corsa
verso l’albero della barca.
So o di lui sentiva esplodere altri colpi di arma da fuoco. Salì per
dieci piedi, venti, gli stivali che si impigliavano nel sartiame.
Avrebbe dovuto fermarsi per levare di mezzo le cime. Aveva quasi
p q
raggiunto la coffa quando sentì una lama rovente di dolore
affondargli nella coscia. Scivolò e per un momento penzolò sopra il
ponte con nient’altro a reggerlo che i palmi sudati aggrappati alle
cime. Costrinse le gambe a darsi da fare e cercò un appiglio con la
punta degli stivali. La gamba destra era quasi inutilizzabile per via
dello sparo, e dove e tirarsi su per fare gli ultimi piedi che ancora
mancavano, con le braccia tremanti per lo sforzo e il cuore che
pompava forte nelle orecchie. Tu i e cinque i sensi sembravano in
fiamme. Decisamente meglio di una serie fortunata al tavolo da
gioco.
Non si fermò per riposare. Agganciò la gamba ferita nel sartiame,
ignorando la sofferenza, puntò l’occhio nel mirino del fucile e
cominciò a eliminare chiunque si trovasse nel suo raggio d’azione.
“Qua ro milioni di kruge” disse a se stesso mentre ricaricava il
fucile e cercava un altro nemico in vista. La foschia rendeva la
visibilità difficile, ma sparare era l’abilità che gli aveva permesso di
restare negli Scarti anche dopo che i suoi debiti si erano accumulati,
ed era diventato evidente che Jesper amasse le carte molto più di
quanto la fortuna amasse lui. Qua ro milioni di kruge avrebbero
cancellato i suoi debiti e l’avrebbero reso ricco per un bel pezzo.
Individuò Nina e Ma hias che tentavano di farsi strada sul molo,
c’erano almeno dieci uomini sul loro cammino. Kaz sembrava che
stesse correndo nella direzione opposta, e Inej non si vedeva da
nessuna parte, per quanto questo non significasse granché
tra andosi dello Spe ro. Poteva essere appesa a due passi di
distanza da lui, per quel che ne sapeva.
«Jesper!»
Il grido arrivava da so o, e a Jesper ci volle un momento per
rendersi conto che era Wylan che lo stava chiamando. Provò a
ignorarlo e a riprendere la mira.
«Jesper!»
Lo ucciderò, quel piccolo idiota. «Che cosa vuoi?» gli gridò di
rimando.
«Chiudi gli occhi!»
«Non puoi baciarmi da lì so o, Wylan.»
«Tu fallo!»
«Sarà meglio per te che sia una cosa importante!» E chiuse gli
occhi.
«Sono chiusi?»
«Dannazione, Wylan, sì, sono...»
Ci fu un urlo stridulo e penetrante, e poi un bagliore fiorì dietro le
palpebre di Jesper. Quando svanì, aprì gli occhi.
Di so o, i nemici barcollavano, accecati dalla bomba luminosa che
Wylan aveva lanciato. Invece Jesper riusciva a vedere perfe amente.
“Non male per essere il figlio di un mercante” pensò, e aprì il fuoco.
12
INEJ

Prima ancora di me ere piede sulla corda da funambolo o anche


solo su una da allenamento, il padre di Inej le aveva insegnato a
cadere: per proteggere la testa e ridurre al minimo l’impa o non
doveva opporsi allo slancio. Quando l’esplosione al porto la sollevò
da terra, lei si rannicchiò in modo da rotolare. Andò a sba ere forte,
ma era in piedi dopo pochi istanti, schiacciata contro il fianco di una
cassa, le orecchie che fischiavano, il naso che colava per colpa
dell’odore di polvere da sparo.
Inej diede a Kaz e agli altri giusto un’occhiata, poi fece quello che
sapeva fare meglio: svanì. Si lanciò su per le casse piene di merci,
scalandole agile come un inse o, con le suole di gomma che
trovavano prese e appoggi.
La vista dall’alto era inquietante. Gli Scarti erano numericamente
inferiori, e c’erano uomini che si facevano strada sia a destra sia a
sinistra.
Kaz aveva fa o bene a non rivelare agli altri quale fosse il vero
punto di partenza. Qualcuno aveva parlato. Inej ci aveva provato, a
tenere so ’occhio il gruppo, ma qualche membro della banda poteva
aver ficcanasato. Kaz l’aveva de o: a Ke erdam c’era sempre una
fuga di notizie, in qualunque posto, inclusi la Stecca e il Club dei
Corvi.
Qualcuno stava sparando dall’albero della nuova Ferolind.
Bisognava sperare che Jesper ce l’avesse fa a ad arrivare alla gole a,
e che lei dovesse solo far guadagnare tempo agli altri in modo che ci
arrivassero anche loro.
Inej corse leggera sopra le casse, facendosi largo tra le file,
cercando i bersagli da colpire di so o. Era piu osto facile. Nessuno
di loro si aspe ava minacce dall’alto.
p
Scivolò a terra dietro due uomini che stavano per fare fuoco su
Nina, e disse una preghiera silenziosa mentre squarciava prima una
gola, poi l’altra. Quando il secondo cadde, lei gli si accucciò accanto e
gli sollevò la manica destra: il tatuaggio di una mano, con il primo e
il secondo dito recisi all’altezza delle nocche.
Le Punte Nere.
Era la rappresaglia per lo scontro tra Kaz e Geels, o c’era
qualcos’altro in ballo? Non potevano aver radunato tanta gente in
così poco tempo.
Si spostò sulla pila successiva di casse, seguendo una mappa
mentale delle posizioni degli aggressori. Per prima, eliminò una
ragazza che teneva in mano un fucile enorme e difficile da
maneggiare, poi trapassò l’uomo che avrebbe dovuto guardarla ai
fianchi.
Il tatuaggio di lui mostrava cinque uccelli disposti a cuneo: i
Becchi di Rasoio. Quante bande avevano contro?
L’angolo successivo era cieco. Doveva scalare le casse di merci per
controllare la posizione o rischiare che ci fosse qualcuno ad
aspe arla sull’altro lato? Fece un bel respiro, mandò giù l’aria
lentamente e scivolò dietro l’angolo con uno sca o. Stano e i suoi
Santi erano generosi: due uomini stavano facendo fuoco sulla
banchina dandole le spalle. Inej li eliminò con un paio di veloci
affondi di pugnale. Sei corpi, sei vite che si era presa.
Avrebbe dovuto fare un sacco di penitenza, ma aveva anche
aumentato le probabilità di successo degli Scarti. Ora doveva
arrivare alla gole a.
Ripulì i pugnali sulle braghe di pelle e li rimise nei loro foderi, poi
fece marcia indietro e prese a correre verso il cassone o più vicino.
Non appena toccò il bordo con le dita, sentì un dolore intenso so o il
braccio. Si voltò in tempo per vedere la bru a faccia di Oomen divisa
in due da una smorfia accanita. Tu e le informazioni che aveva
raccolto sulle Punte Nere le tornarono in mente all’improvviso e le
diedero il voltastomaco: Oomen, il macellaio di Geels, l’unico in
grado di spaccare crani a mani nude.
Lui la tirò giù, agguantò il suo corpe o e le infilò il coltello nel
fianco, applicando una brusca torsione. Inej lo ò per non perdere i
pp j p p
sensi.
Quando il cappuccio le ricadde sulle spalle, lui esclamò: «Ghezen!
Ho preso lo Spe ro di Brekker».
«Avresti dovuto colpire... più in alto» rantolò Inej. «Hai mancato il
cuore.»
«Non ti voglio morta, Spe ro» disse lui. «Sei proprio un bel
bo ino. Non vedo l’ora di sentire tu i i tuoi pe egolezzi su
Manisporche, per non parlare di tu i i suoi segreti. Vado ma o per le
belle storie.»
«Posso raccontarti come andrà a finire questa» disse lei con voce
incerta. «Ma non ti piacerà.»
«Davvero?» La sollevò e la sba é con violenza contro le casse, e il
dolore la invase. Con le punte dei piedi sfiorava appena terra,
mentre il sangue le sgorgava dalla ferita sul fianco. Oomen la
bloccava con un braccio davanti alle sue spalle.
«Lo sai come si fa a comba ere con uno scorpione?»
Lui scoppiò a ridere. «Straparli, Spe ro? Non morire troppo in
fre a. Bisogna farti ra oppare.»
Inej incrociò una caviglia dietro l’altra e sentì un clic rassicurante.
Se indossava le imbo iture alle ginocchia era per strisciare e
arrampicarsi, ma c’era anche un altro motivo: vale a dire le
minuscole lame d’acciaio nascoste in ciascuna delle due.
«Il segreto» ansimò «è non distogliere mai gli occhi dalla coda
dello scorpione.» Sollevò il ginocchio e spinse la lama tra le gambe di
Oomen.
Lui urlò e la lasciò andare per portarsi le mani all’inguine
sanguinante. Lei tornò barcollando alla fila di casse. Sentiva gli
uomini che si gridavano addosso, e i bo i degli spari che ora
arrivavano a raffiche successive. Chi stava vincendo? Gli altri erano
arrivati alla gole a? Un’ondata di vertigini la travolse.
Quando si toccò il taglio sul fianco e ritrasse la mano, questa era
bagnata. Troppo sangue. Rumore di passi. Stava arrivando
qualcuno. Non riusciva ad arrampicarsi, non ferita a quel modo, non
con tu o il sangue che aveva perso. Si ricordò di quando suo padre
l’aveva messa sulla scala a pioli per la prima volta. Arrampicati, Inej.
In quel punto le casse erano impilate a piramide. Se fosse riuscita
a scalarne anche solo una, avrebbe potuto nascondersi al primo
livello. Solo una. Poteva arrampicarsi o poteva restare lì e morire.
Si costrinse a schiarirsi la mente e saltò su, aggrappandosi con le
dita alle casse imballate. Arrampicati, Inej. Si trascinò oltre il bordo
fino al te o di lamiera del cassone o.
Stava così bene sdraiata lì, ma sapeva di essersi lasciata dietro una
scia di sangue. “Ancora una” si disse. “Ancora una e sarai al sicuro.”
Si costrinse a me ersi carponi e a raggiungere la pila successiva.
La superficie su cui poggiava i piedi cominciò a oscillare. Sentì
delle risate.
«Vieni fuori, vieni fuori, Spe ro! Abbiamo dei segreti da
confidarti!»
Con la forza della disperazione arrivò anche questa volta al bordo
del nuovo cassone o e lo afferrò, lo ando contro una sferzata
potente di dolore mentre quello so o di lei crollava. A quel punto
era appesa solo per le braccia, le gambe penzolavano inutili so o di
lei. Non aprirono il fuoco; la volevano viva.
«Scendi, Spe ro!»
Non sapeva da dove le arrivasse la forza, ma in qualche modo
riuscì a portarsi in cima. Si sdraiò sul te o del cassone o,
ansimando.
Ancora una. Ma non ce la faceva più. Non ce la faceva a spingere
sulle ginocchia, non ce la faceva ad avanzare, non ce la faceva
nemmeno a rotolare. Faceva troppo male. Arrampicati, Inej.
«Non ce la faccio, papà» sussurrò. Persino in quel momento
odiava deluderlo.
“Muoviti” si disse. “È un posto stupido per morire.” E tu avia si
levò una voce, nella sua testa, a dirle che c’erano posti peggiori.
Sarebbe morta qui, libera, alle prime luci dell’alba. Sarebbe morta
con onore, a seguito di un degno comba imento, non perché degli
uomini si erano stancati di lei o le avevano chiesto più di quel che lei
poteva dargli. Meglio morire qui, per mano del suo stesso pugnale,
che con la faccia truccata e il corpo avvolto in finte vesti di seta.
Qualcuno le afferrò la caviglia. Avevano scalato gli imballaggi.
Come mai non li aveva sentiti? Era messa così male? L’avevano
ca urata. La stavano girando sulla schiena.
Si fece scivolare in mano lo stile o che teneva nel fodero. Nel
Barile, una lama così piccola e affilata era chiamata l’acciaio gentile.
Significava una morte veloce. Meglio che ritrovarsi torturata, alla
mercé delle Punte Nere o dei Becchi di Rasoio.
Che i Santi mi accolgano. Spinse la punta dello stile o so o il seno,
tra le costole, come una freccia verso il cuore. Poi una mano le afferrò
in malo modo il polso, costringendola a lasciar andare la lama.
«Non è ancora il momento, Inej.»
Pietra che sfregava contro pietra. Spalancò gli occhi. Kaz.
Lui se la caricò in spalla e saltò giù dal cassone o, a errando
bruscamente, con la gamba malandata che cede e.
Lei geme e quando toccarono terra.
«Abbiamo vinto?»
«Sono qui, no?»
Stava correndo. Il corpo di Inej sobbalzava dolorosamente contro
il fianco di Kaz a ogni passo barcollante. Non poteva portare lei e
usare il bastone allo stesso tempo.
«Non voglio morire.»
«Farò del mio meglio per trovarti un’altra soluzione.»
Lei chiuse gli occhi.
«Continua a parlare, Spe ro. Non sparire.»
«Ma è quello che so fare meglio.»
Lui la strinse più forte. «Cerca solo di arrivare alla gole a. Apri
quei dannati occhi, Inej.»
La ragazza ci provò. La vista si stava appannando, ma riusciva
ancora a vedere una cicatrice, pallida e lucida, sul collo di Kaz,
proprio so o la mascella. Le venne in mente la prima volta che
l’aveva visto al Serraglio. Lui pagava Tante Heleen per avere delle
informazioni: dri e finanziarie, chiacchiere da le o sulla politica,
tu e le cose che i clienti del Serraglio spifferavano quand’erano
ubriachi o intontiti dal piacere. Non faceva mai visita alle ragazze di
Heleen, malgrado ce ne fossero tante che sarebbero state felici di
portarselo in camera. Sostenevano che me esse i brividi, che le sue
mani, so o quei guanti neri, fossero sempre macchiate di sangue, ma
lei coglieva il desiderio nelle loro voci e sapeva in che modo lo
seguivano con lo sguardo.
Una no e, mentre lui le era passato accanto nel salo o, lei aveva
fa o una pazzia, una cosa impulsiva. “Io posso aiutarti” aveva
sussurrato. Lui l’aveva guardata, poi aveva proseguito per la sua
strada come se lei non avesse de o niente. La ma ina successiva era
stata convocata nel salo o di Tante Heleen. Era certa che le sarebbero
arrivate altre bo e o peggio, invece c’era Kaz Brekker in piedi,
appoggiato al bastone da passeggio con la testa di corvo, in a esa di
cambiare la sua vita.
«Io posso aiutarti» gli disse ora.
«Aiutarmi in che modo?»
Non riusciva a ricordare. C’era qualcosa che doveva dirgli. Ma
non aveva più importanza.
«Parlami, Spe ro.»
«Sei tornato a prendermi.»
«Io proteggo i miei investimenti.»
Investimenti. «Sono contenta di sanguinare sulla tua camicia.»
«La me erò sul tuo conto.»
Ora si ricordò. Le doveva delle scuse. «Di’ che ti dispiace.»
«Per che cosa?»
«Tu dillo.»
Lei non sentì la sua risposta. Il mondo era diventato davvero
molto buio.
13
KAZ

«Andiamo via da qui» urlò Kaz non appena arrancò zoppicando a


bordo della gole a con Inej fra le braccia. Le vele erano già pronte, e
loro si ritrovarono fuori dal porto nel giro di pochi istanti, ma
neanche lontanamente alla velocità che sarebbe piaciuta a Kaz.
Sapeva che avrebbe dovuto assoldare dei Chiamatempeste per il
viaggio, ma era difficile come l’inferno trovarli. Sul ponte era la
baraonda: tu i urlavano e tentavano di far arrivare la gole a in mare
aperto il prima possibile.
«Specht!» gridò Kaz all’uomo che aveva scelto come capitano, un
marinaio con un certo talento per i lavori di lama che aveva passato
momenti difficili ed era finito nei ranghi più bassi degli Scarti.
«Richiama il tuo equipaggio prima che mi me a a spaccare qualche
testa.»
Specht fece il saluto militare, poi sembrò rendersi conto che non
era più nella marina da tempo, e che Kaz non era l’ufficiale in
comando.
Il dolore alla gamba di Kaz era terribile, il peggiore che avesse
sofferto da quando se l’era spezzata precipitando dal te o di una
banca vicino alla Geldstraat. Era possibile che si fosse di nuovo
fra urato l’osso. Il peso di Inej non aiutava, ma quando Jesper si
avvicinò per dargli una mano, Kaz lo spinse via.
«Dov’è Nina?» ringhiò.
«Di so o, a dare un occhio ai feriti. Si è già presa cura di me.» Kaz
colse appena il sangue essiccato sulla coscia di Jesper. «Wylan si è
fa o male durante lo scontro. Lascia che ti aiuti...»
«Togliti di mezzo» disse Kaz, e si precipitò superandolo giù per la
rampa di scale che portava so ocoperta.
Nina si stava occupando di Wylan in un’angusta cabina; le sue
mani vagavano sul braccio del ragazzo per ricongiungere insieme
due lembi di carne separati da un proie ile. Era a dir tanto un
graffio.
«Spostati» ordinò Kaz, e Wylan saltò praticamente giù dal tavolo.
«Non ho finito» cominciò Nina. Poi si accorse di Inej. «Santi
numi» imprecò. «Cos’è successo?»
«Una ferita da pugnale.»
La minuscola cabina venne illuminata da una serie di lanterne, e
una scorta di bende pulite fu appoggiata su una mensola accanto a
una bo iglia di canfora.
«Ha perso molto sangue» disse Nina in un soffio.
«Aiutala.»
«Kaz, sono una Spaccacuore, non una vera Guaritrice.»
«Ora che ne troviamo una sarà morta. Me iti al lavoro.»
«Sei davanti alla luce.»
Kaz fece un passo indietro. Inej giaceva perfe amente immobile
sopra il tavolo, la sua luminosa pelle scura risultava spenta alla luce
oscillante della lanterna.
Lui era vivo grazie a Inej. Tu i erano vivi grazie a Inej. Erano
riusciti, comba endo, a cavarsene fuori solo perché lei aveva
impedito che venissero circondati. Kaz conosceva bene la morte.
Poteva sentire la sua presenza, ora, sulla barca, che incombeva su
di loro, pronta a portarsi via il suo Spe ro. Era ricoperto del sangue
di Inej.
«O ti rendi utile o te ne vai» disse Nina senza alzare gli occhi a
guardarlo. «Mi stai innervosendo.» Lui esitò, poi con passo pesante
se ne tornò da dove era venuto, prendendo nel fra empo una maglia
pulita da un’altra cabina. Non avrebbe dovuto essere così scosso per
una rissa sul molo, e neanche per una sparatoria, però lo era.
Si sentiva stressato e con i nervi scoperti. Era la stessa sensazione
che aveva provato da ragazzo, in quei primi giorni di disperazione
dopo la morte di Jordie.
“Di’ che ti dispiace.” Era l’ultima cosa che Inej gli aveva de o. Per
cosa voleva che lui si scusasse? C’era l’imbarazzo della scelta. Un
migliaio di crimini. Un migliaio di ba ute stupide.
g g p
Sul ponte respirò a pieni polmoni l’aria marina e intanto guardò il
porto e Ke erdam sparire all’orizzonte.
«Che cosa diavolo è successo?» domandò Jesper. Era appoggiato
alla balaustra, il fucile accanto a lui. Aveva i capelli arruffati e le
pupille dilatate. Sembrava quasi ubriaco, o come se fosse appena
rotolato fuori dal le o di qualcuno.
Aveva sempre quell’aspe o dopo uno scontro. Helvar si piegò
oltre il parape o e vomitò. Non era un uomo di mare, a quanto
pareva. A un certo punto avrebbero dovuto legargli di nuovo le
gambe.
«Siamo caduti in un’imboscata» disse Wylan dal suo trespolo sul
ponte di prua. Aveva una manica arrotolata e stava passando le dita
su una macchia rossa, nel punto in cui Nina si era presa cura della
ferita.
Jesper scoccò a Wylan un’occhiata feroce. «Professori universitari
come tutori privati ed è tu o qua quello che sai dire, ragazzino?
“Siamo caduti in un’imboscata”?»
Wylan arrossì. «Sme ila di chiamarmi ragazzino. Abbiamo
praticamente la stessa età.»
«Non ti piacerebbero gli altri nomi che mi fai venire in mente. Lo
so che siamo caduti in un’imboscata. Ma questo non spiega come
facessero a sapere che eravamo là. Forse Bolliger il Grande non era
l’unica Punta Nera infiltrata negli Scarti.»
«Geels, da solo, non ha né il cervello né le risorse per reagire così
duramente e così in fre a» disse Kaz.
«Sei sicuro? Perché sembra proprio una gran bella reazione.»
«Chiediamoglielo.» Kaz andò zoppicando dove Ro y aveva
scortato Oomen.
“Ho infilzato il tuo Spe ro” aveva de o ghignando Oomen
quando Kaz l’aveva trovato piegato a terra. “L’ho infilzata per bene.”
Kaz aveva dato un’occhiata al sangue sull’inguine di Oomen e aveva
risposto: “Sembra che anche lei ti abbia infilzato”. Ma la mira doveva
essere fuori uso, altrimenti Oomen non avrebbe più avuto la
possibilità di parlare con nessuno. Kaz l’aveva steso e scaricato a
Ro y mentre lui andava a cercarla.
Adesso Helvar e Jesper trascinarono Oomen, che aveva le mani
legate, fino alla balaustra.
«Fallo stare su.»
Con una sola enorme mano, Helvar mise Oomen in piedi.
Quello sorrise, i lunghi capelli bianchi e stopposi appiccicati sulla
fronte larga.
«Perché non mi dici cos’è che stano e ha portato fuori le Punte
Nere al completo?» domandò Kaz.
«Te lo dovevamo.»
«Una sparatoria a cielo aperto e con trenta uomini? Non credo
proprio.»
Oomen rise so o i baffi. «A Geels non piace perdere.»
«Potrei far stare il cervello di Geels sulla punta dei miei stivali, e
Bolliger il Grande era l’unica spia che aveva dentro gli Scarti.»
«Forse.»
Kaz lo interruppe. «Voglio che ci pensi molto molto a entamente,
Oomen. Poco ma sicuro, Geels pensa che sei morto, per cui non ho le
regole dello scambio di ostaggi da rispe are. Posso fare quello che
voglio con te.»
Oomen gli sputò in faccia.
Kaz prese un fazzole o dal taschino della giacca e si ripulì con
cura. Pensò a Inej immobile sul tavolo, il suo peso leggero tra le
braccia.
«Tenetelo» disse a Jesper e al Fjerdiano.
Kaz si sfiorò la manica della giacca e in mano gli apparve un
coltellino per sbucciare le ostriche. Kaz aveva sempre almeno due
coltelli nascosti da qualche parte nei vestiti. Su questo, per davvero,
non aveva mai fa o affidamento: una piccola lama ca iva.
Diede un taglio ne o passando di traverso sull’occhio di Oomen –
dal sopracciglio allo zigomo – e prima ancora che quello potesse
raccogliere il fiato per urlare, diede una seconda rasoiata nella
direzione opposta, una X quasi perfe a. Adesso Oomen stava
gridando a squarciagola.
Kaz ripulì il coltellino, lo rinfilò nella manica e gli cacciò le dita
guantate nell’orbita. Oomen strillò e si contorse mentre Kaz estrasse
il bulbo oculare, trascinandosi dietro la radice insanguinata. Il
sangue sgorgò fuori dall’orbita e zampillò sulla faccia di Oomen.
Kaz udì Wylan vomitare. Bu ò il bulbo oltre il parape o e infilò il
fazzole o imbevuto di saliva nel buco che prima ospitava l’occhio di
Oomen. Poi gli afferrò la mascella, e i guanti gli lasciarono delle
macchie rosse sul mento.
I suoi movimenti erano fluidi, precisi, come se stesse distribuendo
le carte da gioco al Club dei Corvi o forzando una serratura
semplice, ma la rabbia che provava era bollente e folle e sconosciuta.
Qualcosa, dentro di lui, si era scatenato.
«Stammi a sentire» sibilò, con la faccia vicinissima a quella di
Oomen. «Hai due scelte. Mi dici quello che voglio sapere, e ti
scarichiamo nel primo porto che incontriamo con le tasche piene di
monete, sufficienti per farti ricucire e comprarti un biglie o per
tornare a Kerch. Oppure mi prendo anche l’altro occhio e rifaccio lo
stesso discorso a un uomo cieco.»
«Era solo un incarico» balbe ò Oomen. «Geels ha ricevuto
cinquemila kruge per far uscire le Punte Nere al gran completo.
Abbiamo assoldato anche qualche Becco di Rasoio.»
«E allora perché non c’erano più uomini? Perché non raddoppiare
le vostre possibilità?»
«Dovevate essere sulla barca quando è esplosa. Noi dovevamo
solo occuparci degli eventuali ritardatari.»
«Chi vi ha assunto?»
Oomen esitò e si passò la lingua sul labbro, dove si raccoglieva il
moccio che gli colava dal naso.
«Non farmelo ripetere, Oomen» disse Kaz a bassa voce.
«Chiunque sia stato, in questo momento non può proteggerti.»
«Mi ucciderà.»
«E io ti farò desiderare di essere morto, per cui ti tocca soppesare
queste due opzioni.»
«Pekka Rollins» rivelò Oomen tra i singhiozzi. «È stato Pekka
Rollins!»
Anche se so o shock, Kaz notò l’effe o che il nome aveva fa o su
Jesper e Wylan. Helvar non ne sapeva abbastanza per farsi
intimidire.
«Per tu i i Santi» geme e Jesper. «Siamo spacciati.»
«Rollins in persona guida la banda?» chiese Kaz a Oomen.
«Quale banda?»
«Quella verso Fjerda.»
«Non so niente di nessuna banda. Noi dovevamo solo impedirvi
di uscire dal porto.»
«Capisco.»
«Mi serve un medico. Mi portate da un medico ora?»
«Ma certo» disse Kaz. «Da questa parte.» Prese Oomen per il
bavero della giacca e lo sollevò da terra, schiacciandolo contro il
parape o.
«Ti ho de o quello che volevi!» urlò Oomen, dimenandosi. «Ho
fa o quello che mi hai chiesto!»
Nonostante la corporatura nodosa, era forte senza darlo a vedere.
Un tipo da fa oria come Jesper.
Probabilmente era cresciuto in campagna.
Kaz si sporse verso di lui in modo che nessun altro potesse
sentirgli dire: «Il mio Spe ro avrebbe pietà. Ma grazie a te, non è qui
per intercedere in tuo favore».
E senza un’altra parola lo bu ò in mare.
«No!» gridò Wylan, sporgendosi dal parape o, la faccia pallida,
gli occhi sbarrati che seguivano Oomen tra le onde. Quando il suo
volto mutilato scomparve alla vista, stava ancora supplicando.
«Tu... tu hai de o che se ti avesse aiutato...»
«Per caso vuoi andargli dietro?» domandò Kaz.
Wylan respirò a fondo come per risucchiare il coraggio e
sputacchiò: «Non mi lancerai in mare. Io ti servo».
Perché la gente continuava a ripeterglielo? «Forse» ammise Kaz.
«Ma non sono molto ragionevole, al momento.»
Jesper mise una mano sulla spalla di Wylan. «Lascia perdere.»
«Non è giusto.»
«Wylan» disse Jesper, scrollandolo leggermente. «Forse i tuoi
prece ori non te l’hanno insegnato, ma non si discute con un uomo
ricoperto di sangue che ha un coltello infilato nella manica.»
Wylan serrò le labbra fino a farle quasi sparire. Kaz non sapeva
dire se il ragazzino fosse terrorizzato o furioso, e non gli interessava
g g
granché. Helvar stava in silenzio come una sentinella a osservare
tu o, con la faccia di un color verde malato so o la barba bionda.
Kaz si voltò verso Jesper. «Trova delle catene che facciano stare
buono Helvar» disse mentre si dirigeva di so o. «E procurami dei
vestiti puliti e dell’acqua fresca.»
«Da quando sono il tuo valle o?»
«Uomo con il coltello, ricordi?» gli disse senza nemmeno voltarsi.
«Uomo con la pistola!» gli urlò dietro Jesper.
Kaz rispose con un gesto rapido del dito medio e sparì
so ocoperta. Desiderava farsi un bagno caldo e scolarsi una bo iglia
di brandy, ma si sarebbe accontentato di ritrovarsi solo e libero dalla
puzza di sangue per un po’.
Pekka Rollins. Quel nome, in testa, suonava come uno sparo. Tu o
portava sempre a Pekka Rollins, l’uomo che gli aveva tolto ogni cosa.
L’uomo che ora stava tra Kaz e il bo ino più grosso su cui
qualunque banda avesse mai tentato di me ere le mani. Rollins
avrebbe mandato qualcuno al proprio posto o avrebbe guidato lui
stesso la squadra incaricata di rapire Bo Yul-Bayur?
Tra le qua ro pareti fiocamente illuminate della sua cabina, Kaz
sussurrò: «Una cosa alla volta». Uccidere Pekka Rollins era sempre
un’alle ante tentazione, ma non gli bastava. Kaz voleva trascinare
Rollins nel fango. Voleva che soffrisse come aveva sofferto lui, come
aveva sofferto Jordie. E soffiare trenta milioni di kruge dire amente
dalle sue spregevoli mani era un buon modo per iniziare. Forse Inej
aveva ragione. Forse era vero che il destino si preoccupava di quelli
come lui.
14
NINA

Nella piccola e soffocante cabina chirurgica, Nina cercò di rime ere


a posto il corpo di Inej, ma non era addestrata per quel tipo di
lavoro.
Durante i primi due anni di istruzione nella capitale di Ravka,
tu i i Grisha Corporalki studiavano insieme, frequentavano le stesse
lezioni ed eseguivano le stesse autopsie. Ma successivamente il loro
addestramento si differenziava. I Guaritori apprendevano il
complicato lavoro di guarire le ferite, mentre gli Spaccacuore
diventavano soldati: esperti a fare danni, non a ripararli. Era un
modo diverso di gestire quello che di fa o era lo stesso potere. Ma la
vita chiedeva di più della morte. Un colpo fatale esigeva decisione e
determinazione. Curare era invece un processo lento, ponderato, e
quel ritmo pretendeva lo studio a ento di ogni piccola decisione. Gli
incarichi che aveva svolto per Kaz durante l’ultimo anno a qualcosa
erano serviti, e in qualche modo anche il lavoro che svolgeva presso
la Rosa Bianca, che consisteva nel cambiare gli stati d’animo e
modificare le facce.
Ma guardando Inej, Nina si trovò a desiderare che il proprio
addestramento non fosse stato così breve. La guerra civile di Ravka
era scoppiata quando era ancora una studentessa al Piccolo Palazzo,
e lei e i suoi compagni di classe erano stati costre i a nascondersi.
Dopo che la guerra fu finita e le acque si furono calmate, re Nikolai
era stato impaziente di riprendere l’allenamento sul campo dei pochi
soldati Grisha sopravvissuti, così Nina aveva frequentato soltanto
per sei mesi i corsi avanzati prima di essere spedita fuori per la sua
prima missione. All’epoca, era stata ele rizzata. Ora avrebbe
benede o anche solo una se imana in più di scuola.
Inej era flessuosa, tu a muscoli e ossa fini, il corpo di un’acrobata.
Il pugnale l’aveva penetrata so o il braccio sinistro. Ci era andato
molto vicino. Fosse scesa appena più in profondità, la lama avrebbe
perforato il cuore.
Nina era consapevole del fa o che se avesse semplicemente
sigillato la pelle come aveva fa o con Wylan, la ragazza avrebbe
continuato a perdere sangue internamente, per cui aveva tentato di
fermare l’emorragia da dentro. Credeva di essersela cavata
abbastanza bene, ma Inej aveva perso un mucchio di sangue, e Nina
non sapeva cosa fare a riguardo. Aveva sentito che alcuni Guaritori
erano in grado di mescolare il sangue di una persona con quello di
un’altra, ma se la miscela non veniva eseguita nel modo corre o, era
come avvelenare il paziente. Il processo era al di là delle sue abilità.
Finì di chiudere la ferita, quindi coprì Inej con un panno di lana
leggera. Per il momento, tu o quello che Nina poteva fare era
controllarle il polso e il respiro. Quando infilò le braccia di Inej so o
la coperta, Nina vide le cicatrici all’interno dell’avambraccio. Con il
pollice, sfiorò delicatamente bozzi e increspature. Lì doveva esserci
stata la piuma di pavone, il tatuaggio portato da chi lavorava al
Serraglio, la Casa delle Creature Esotiche. Chiunque fosse stato a
rimuoverlo, aveva fa o un gran bru o lavoro.
Curiosa, Nina sollevò l’altra manica. La pelle, lì, era morbida e
senza segni. Inej non aveva acce ato di farsi marchiare con il corvo e
il calice, il tatuaggio di qualunque membro degli Scarti. Le alleanze
si spostavano di qua e di là nel Barile, ma la tua banda era la tua
famiglia, l’unica protezione che aveva importanza. Nina per prima
portava due tatuaggi. Quello sull’avambraccio sinistro era per la
Casa della Rosa Bianca. Quello che contava era a destra: un corvo
che cerca di bere da un calice vuoto. Diceva al mondo che lei
apparteneva agli Scarti, che a scherzare con lei si rischiava la loro
vende a.
Inej era con gli Scarti da più tempo di Nina eppure non aveva il
loro tatuaggio. Strano. Era uno dei membri più stimati della banda,
ed era evidente che Kaz si fidava di lei – nei limiti in cui uno come
Kaz poteva fidarsi di qualcuno. Nina ripensò all’espressione sulla
sua faccia quando aveva deposto Inej sul tavolo. Era lo stesso Kaz –
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freddo, sgarbato, intra abile – ma so o tu a quella rabbia lei
credeva di aver visto anche qualcos’altro. O forse era soltanto una
romanticona.
Dove e ridere di se stessa. Nina non avrebbe augurato l’amore al
suo peggiore nemico: era l’ospite che accoglievi a braccia aperte e di
cui poi non ti liberavi più.
Scostò i capelli neri e lisci dal viso di Inej. «Per favore, riprenditi»
sussurrò. Odiò il tono debole e incerto con cui la propria voce
risuonò nella cabina. Non sembrava un soldato Grisha o una degli
Scarti. Sembrava una ragazzina che non sapeva cosa stava facendo.
Ed era esa amente così che si sentiva. Il suo tirocinio era stato
troppo breve. Era stata mandata in missione troppo presto. Zoya
l’aveva de o ai tempi, ma Nina aveva implorato per andare, e loro
avevano bisogno di lei, così l’anziana Grisha aveva ceduto.
Zoya Nazyalensky – una Chiamatempeste potente, bella in modo
assurdo, e capace di annientare l’autostima di Nina con una sola
alzata di sopracciglio. Nina la adorava. Incosciente. Stolta. Testa per
aria. Zoya l’aveva chiamata in tu i quei modi e anche peggio.
«Avevi ragione, Zoya. Contenta adesso?»
«In estasi» rispose Jesper dalla soglia.
Nina, colta di sorpresa, trasalì e sollevò lo sguardo per vedere
Jesper dondolarsi avanti e indietro sulle piante dei piedi. «Chi è
Zoya?» le chiese.
Nina si lasciò andare all’indietro sulla sedia. «Nessuno. Un
membro del Triumvirato Grisha.»
«Figo. Quelli a capo del Secondo Esercito?»
«Ciò che ne è rimasto.» I soldati Grisha di Ravka erano stati
decimati durante la guerra. Qualcuno aveva disertato. La maggior
parte era stata uccisa. Nina si stropicciò gli occhi stanchi. «Sai qual è
il modo migliore per trovare un Grisha che non vuole essere
trovato?»
Jesper si gra ò la nuca, mise le mani sulle pistole, tornò al collo.
Sembrava non stare mai fermo un a imo. «Non ci ho mai pensato»
disse.
«Cerca i miracoli e ascolta le favole della buonano e.» Bisognava
seguire i racconti di streghe e folle i, e gli avvenimenti inspiegabili.
g g g p g
A volte erano solo superstizioni. Ma spesso c’era della verità nel
cuore delle leggende locali: persone che erano nate con doni speciali
che i loro paesi non comprendevano. Nina era diventata molto brava
a fiutare queste storie.
«Mi vien da dire che se i Grisha non vogliono essere trovati,
dovremmo semplicemente lasciarli stare.»
Nina lo guardò in modo cupo. «I drüskelle non li lasceranno mai
stare. Danno loro la caccia ovunque.»
«Sono tu i adorabili come Ma hias?»
«Anche di più.»
«Devo trovare delle catene da me ergli alle caviglie. Kaz mi
assegna i lavori divertenti.»
«Vuoi fare cambio?» gli chiese Nina stancamente.
Tu a l’energia e la frenesia sembrarono abbandonare la figura
smilza di Jesper. Si immobilizzò in un modo che Nina non gli aveva
mai visto, e lo sguardo di lui si fissò su Inej per la prima volta da
quando era entrato nella cabina. “La sta evitando” si rese conto
Nina. “Non vuole guardarla.” La coperta si sollevava leggermente al
ritmo del suo debole respiro. Quando Jesper parlò, lo fece con voce
tesa, come le corde di uno strumento accordato su una nota troppo
alta.
«Non può morire» disse. «Non in questo modo.»
Nina scrutò Jesper, disorientata. «In quale modo?»
«Non può morire» ripeté lui.
Nina sentì una fi a di frustrazione. Era lacerata: da una parte
voleva abbracciarlo stre o, dall’altra voleva urlargli che ci stava
provando. «Santi numi, Jesper» replicò. «Sto facendo del mio
meglio.»
Lui si mosse e il suo corpo sembrò tornare a vivere. «Scusa» disse
un po’ imbarazzato. «Tu stai andando alla grande.»
Nina sospirò. «Non mi hai convinta. Perché non vai a incatenare
l’energumeno biondo?»
Jesper le fece il saluto militare e abbassò la testa per uscire dalla
cabina.
Per quanto fosse irritante, Nina fu quasi tentata di richiamarlo.
Ora che Jesper se n’era andato, non le restava nient’altro che la voce
p
di Zoya dentro la testa, e la consapevolezza che fare del proprio
meglio non era abbastanza.
La pelle di Inej era troppo fredda al ta o. Nina appoggiò una
mano su entrambe le spalle della ragazza e tentò di migliorare il
flusso sanguigno, aumentando leggermente la temperatura del
corpo.
Non era stata del tu o onesta con Jesper. Il Triumvirato Grisha
non aveva semplicemente voluto salvare i Grisha dai cacciatori di
streghe Fjerdiani. Aveva spedito i soldati in missione all’Isola
Errante e a Novyi Zem perché Ravka aveva bisogno di rinforzi. Si
era messo sulle tracce dei Grisha che vivevano in segreto e aveva
provato a persuaderli a diventare ci adini di Ravka e a me ersi al
servizio della corona.
Ai tempi della guerra civile Ravkiana, Nina era troppo giovane
per comba ere, per cui in seguito aveva disperatamente voluto
contribuire alla ricostituzione del Secondo Esercito. Era stato il suo
talento per le lingue straniere – Shu, Kaelish, Suli, Fjerdiano, persino
un po’ di Zemeni – a vincere, alla fine, le resistenze di Zoya. Aveva
ceduto e permesso a Nina di accompagnare lei e una squadra di
Grisha Esaminatori all’Isola Errante. Malgrado tu i i timori
dell’anziana Grisha, Nina se l’era cavata alla grande. Travestita da
viaggiatrice, si intrufolava nelle taverne e nelle rimesse delle
carrozze per origliare le conversazioni e i pe egolezzi della gente del
posto, quindi riportava all’accampamento le loro chiacchiere.
Se sei dire o a Maroch Glen, vedi di viaggiare di giorno. Spiriti inquieti
vagano per quelle terre: le tempeste si scatenano dal nulla.
La Strega delle Colline esiste, proprio così. Un mio cugino di secondo
grado andò da lei per un a acco di tsifil e giura di non essere mai stato
meglio. Che cosa significa che non ha la testa a posto? Ce l’ha più a posto
lui di te.
Avevano trovato due famiglie Grisha nascoste nelle presunte
gro e fatate di Instamere, e a Fenford avevano salvato da un’orda
inferocita una madre, un padre e due ragazzi – tu i Inferni, ossia
capaci di controllare il fuoco. Avevano anche fa o irruzione in una
nave di schiavi vicino al porto di Leflin. Una volta smistati i
profughi, a quelli senza poteri era stato offerto un lasciapassare per
p g q p p p
tornare a casa. A quelli i cui poteri erano stati verificati da un Grisha
Esaminatore era stato offerto asilo a Ravka. Soltanto la vecchia
Spaccacuore nota come la Strega delle Colline aveva scelto di restare.
“Se vogliono il mio sangue, lasciate che vengano a prenderselo”
aveva de o ridendo. “In cambio, io mi prenderò il loro.”
Nina parlava Kaelish da madrelingua e adorava me ersi alla
prova e assumere una nuova identità in ogni paese. Ma malgrado
tu i i suoi trionfi, Zoya non era contenta. “Essere brava con le lingue
non basta” l’aveva rimproverata. “Devi imparare a essere meno...
ingombrante. Sei troppo rumorosa, troppo esuberante, troppo facile
da tenere a mente. Corri troppi rischi.”
“Zoya” aveva de o l’Esaminatore che viaggiava con loro. “Vacci
piano.” Lui era un amplificatore vivente. Da morto, le sue ossa
sarebbero servite ad aumentare il potere Grisha, in modo non
diverso dai denti di squalo o dalle unghie di orso che indossavano
altri Grisha. Da vivo, era preziosissimo per la loro missione, abile
com’era a utilizzare il proprio dono per avvertire, a raverso il ta o,
la presenza del potere Grisha.
Il più delle volte Zoya era prote iva con lui, ma in quell’occasione
i suoi profondi occhi blu si ridussero a una fessura. “I miei
insegnanti non ci sono andati piano con me. Se Nina finirà per essere
inseguita in un bosco da una massa di contadini, dirai loro di
andarci piano?”
Nina se n’era andata via a grandi falcate, mortificata nell’orgoglio,
vergognandosi delle lacrime che le riempivano gli occhi. Zoya le
aveva urlato dietro di non andare oltre il promontorio, ma lei l’aveva
ignorata, volendo ritrovarsi lontana dalla Chiamatempeste più che
poteva – e finì dri a in un accampamento drüskelle. Sei ragazzi
biondi che parlavano Fjerdiano erano raggruppati su una scogliera
affacciata su una spiaggia di sabbia. Non avevano acceso nessun falò
ed erano vestiti da contadini Kaelish, ma lei aveva capito chi erano
dal primo momento.
Loro la fissarono per un lungo istante, illuminati soltanto dal
chiaro di luna color argento.
“Oh, grazie al cielo” aveva de o lei con la cadenza Kaelish. “Sto
viaggiando con la mia famiglia e mi sono persa nel bosco. Uno di voi
gg g p
può aiutarmi a ritrovare la strada?”
“Mi sa che si è persa” aveva trado o in Fjerdiano uno di loro per
tu i.
Un altro sollevò la lanterna che aveva in mano. Era il più alto e,
mentre le si avvicinava, l’istinto di sopravvivenza le urlò di me ersi
a correre. “Non sanno chi sei” aveva ricordato a se stessa. “Sei solo
una simpatica ragazza Kaelish che si è persa nel bosco. Non fare
niente di stupido. Conducilo lontano dagli altri, poi stendilo.”
Lui sollevò la lanterna, e la luce illuminò i visi di entrambi. I
capelli di lui erano lunghi e color oro brunito, e gli occhi azzurro
chiaro luccicavano come il ghiaccio so o il sole invernale. “Sembra
un dipinto” aveva pensato lei, un Santo miniato nella lamina d’oro
sui muri di una chiesa, creato per impugnare una spada di fuoco.
“Cosa stai facendo qui fuori?” le aveva domandato lui in
Fjerdiano.
Lei aveva finto confusione. “Mi dispiace” aveva risposto in
Kaelish. “Non capisco. Mi sono persa.”
Lui balzò su di lei. Non si fermò a rifle ere, semplicemente reagì,
e alzò le mani per a accare. Lui era troppo veloce. Senza esitare
bu ò via la lanterna e le afferrò i polsi, unendole con violenza le
mani e rendendole impossibile fare ricorso al proprio potere.
“Drüsje” aveva de o lui soddisfa o. Strega. Sorrideva come un
lupo.
Il balzo di lui era stato un test. Una ragazza persa nel bosco
avrebbe indietreggiato; avrebbe cercato di recuperare un coltello o
una pistola. Non avrebbe usato le mani per fermare il cuore di un
uomo. Incosciente. Precipitosa.
Ecco perché Zoya non aveva voluto portarla. I Grisha addestrati
in modo appropriato non facevano questi errori. Nina era stata una
sciocca, ma non per questo doveva essere anche una traditrice. Li
supplicò in Kaelish, non in Ravkiano, e non gridò per chiedere aiuto:
non gridò quando le legarono le mani, non gridò quando la
minacciarono e non gridò quando la scaraventarono su una barca a
remi come un sacco di miglio. Lei voleva eccome urlare a
squarciagola il suo terrore, far accorrere Zoya, implorare qualcuno di
salvarla, ma non avrebbe messo a repentaglio le vite degli altri. I
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drüskelle la portarono, remando, su una nave ancorata al largo e la
ge arono in una gabbia so ocoperta piena di altri prigionieri Grisha.
Fu a quel punto che iniziò il vero orrore.
La no e si mescolava al giorno nella pancia umida e malsana
della nave. Le mani dei prigionieri Grisha erano legate stre e per
impedire loro di usare i poteri. Venivano nutriti con dei pezzi di
pane raffermo a accato a dei punteruoli – solo lo stre o necessario
per tenerli in vita – e dovevano stare a enti a razionare l’acqua dolce
perché non sapevano mai quando ne avrebbero avuta dell’altra. Non
c’erano latrine, e il tanfo dei corpi e di tu o il resto era
insopportabile.
Di tanto in tanto la nave ge ava l’ancora, e i drüskelle tornavano
con un altro prigioniero.
I Fjerdiani stavano in piedi fuori dalle gabbie, a mangiare e bere, e
a deridere i vestiti sudici dei prigionieri e la puzza che emanavano.
Per quanto fosse terribile, il pensiero di quello che li a endeva era di
gran lunga più spaventoso: gli inquisitori della Corte di Ghiaccio, le
torture, e inevitabilmente la morte. Nina sognava di essere bruciata
viva su una pira e si svegliava urlando. Gli incubi e la paura e il
delirio per la fame erano un unico groviglio, e così smise di
distinguere quello che era reale da quello che non lo era.
E poi, un giorno, i drüskelle si erano radunati nella stiva con
indosso le uniformi nere e argento stirate di fresco, la testa di lupo
bianco sulle maniche. Si erano disposi in ranghi ordinati e sca arono
sull’a enti quando il loro comandante entrò. Come tu i loro, era alto
ma aveva una barba ordinata, e i lunghi capelli biondi erano grigi
alle tempie. Percorse la lunghezza della stiva per poi fermarsi
davanti ai prigionieri.
“Quanti sono?” aveva domandato.
“Quindici” aveva risposto il ragazzo dai capelli d’oro brunito che
aveva ca urato Nina. Era la prima volta che lo vedeva nella stiva.
Il comandante si era schiarito la gola e aveva intrecciato le mani
dietro la schiena. “Io sono Jarl Brum.”
Un brivido di terrore a raversò Nina, e lei lo sentì diffondersi tra i
Grisha nella gabbia, un grido di allarme che nessuno di loro era
libero di ascoltare.
A scuola Nina era ossessionata dai drüskelle. Erano le creature
che affollavano i suoi incubi, con i loro lupi bianchi e i loro pugnali
crudeli e i cavalli che allevavano apposta per le ba aglie contro i
Grisha. Erano il motivo per cui aveva studiato alla perfezione la
lingua e la cultura Fjerdiane. Era stato un modo per prepararsi a
incontrarli, per lo scontro che prima o poi sarebbe arrivato. E Jarl
Brum era il peggiore di tu i.
Era una leggenda vivente, il mostro che ti aspe a acqua ato nel
buio. I drüskelle esistevano da centinaia di anni, ma so o la guida di
Brum erano diventati il doppio di numero e infinitamente più letali.
Lui aveva modificato il loro addestramento, sviluppato nuove
tecniche per estirpare i Grisha da Fjerda, aveva mandato degli
infiltrati dentro i confini di Ravka e iniziato a perseguitare i Grisha
soli e isolati nelle altre terre, arrivando persino a scovare le navi
degli schiavisti per “liberare” i prigionieri Grisha con l’unico
obie ivo di rime erli in catene e spedirli a Fjerda per il processo e la
condanna a morte. Nina aveva immaginato di ritrovarsi faccia a
faccia con Brum, un giorno, nei panni della guerriera vendicatrice o
della spia astuta. Non aveva previsto di affrontarlo ingabbiata,
affamata, con le mani legate, ricoperta di stracci.
Senz’altro, Brum sapeva che effe o faceva il suo nome. Indugiò
per un lungo istante prima di dire, in un Kaelish eccellente: “In piedi
davanti a voi si trova la nuova generazione di drüskelle, il sacro
ordine incaricato di eliminare la vostra razza per proteggere la
nazione sovrana di Fjerda. Loro vi porteranno a Fjerda ad affrontare
il processo e in questo modo si guadagneranno i gradi da ufficiali.
Loro sono i più forti e i migliori della nostra razza”.
“Bulli” aveva pensato Nina.
“Quando arriveremo a Fjerda, sarete interrogati e processati per i
vostri crimini.”
“La supplico” aveva de o uno dei prigionieri. “Io non ho fa o
niente. Sono un contadino. Non vi ho fa o alcun male.”
“Tu sei un insulto a Djel” aveva replicato Brum. “Una piaga di
questa terra. Tu parli di pace, ma che cosa mi dici dei tuoi figli, che
potrebbero ereditare questo potere demoniaco? E i loro figli? La mia
pietà va agli uomini e alle donne falciati dagli abominii Grisha.”
p g g
Aveva guardato in faccia i drüskelle. “O imo lavoro, ragazzi”
aveva de o in Fjerdiano. “Salperemo subito per Djerholm.”
I drüskelle sembravano scoppiare d’orgoglio. Non appena Brum
lasciò la stiva, si diedero pacche affe uose sulle spalle, ridendo di
sollievo e di soddisfazione.
“O imo lavoro, mi sembra il minimo” aveva de o uno in Fjerdiano.
“Quindici Grisha da consegnare alla Corte di Ghiaccio!”
“Se questo non ci fa o enere i gradi...”
“Lo sai che accadrà.”
“Bene, sono stanco di farmi la barba ogni ma ina.”
“Io me la farò crescere fino all’ombelico.”
Poi uno di loro aveva allungato il braccio tra le sbarre e afferrato
Nina per i capelli. “Questa qui mi piace, è ancora carina e in carne.
Forse dovremmo aprire la porta della gabbia e innaffiarla con la
canna.”
Il ragazzo con i capelli dorati aveva schiaffeggiato la mano del
camerata. “Cosa ti prende?” aveva de o, ed era la prima volta che
apriva bocca da quando Brum se n’era andato. L’improvviso moto di
gratitudine che Nina aveva provato si era spento all’istante quando
lui aveva aggiunto: “Vorresti fornicare con una cagna?”.
“Dipende dall’aspe o della cagna.”
Gli altri si erano sbellicati dalle risate mentre si dirigevano di
sopra. Quello che l’aveva paragonata a una bestia fu l’ultimo ad
avviarsi, e proprio mentre stava per me ere piede nel corridoio, lei
aveva de o in un perfe o, cristallino Fjerdiano: “Quali crimini?”.
Lui si fermò, e quando si girò a guardarla, gli occhi azzurri erano
lucidi di odio. Lei si rifiutò di abbassare lo sguardo.
“Come fai a sapere la mia lingua? Hai prestato servizio ai confini
a nord di Ravka?”
“Sono Kaelish” aveva mentito lei, “e conosco tu e le lingue.”
“Un’altra stregoneria.”
“Sì, se per stregoneria intendi l’arcana pratica della le ura. Il tuo
comandante ha de o che saremo processati per i nostri crimini.
Voglio che tu mi dica quali crimini avrei commesso.”
“Sarete processati per spionaggio e crimini contro le persone.”
“Non siamo criminali” aveva de o un Fabrikator, in un Fjerdiano
incerto, seduto sul pavimento. Era lì da più tempo di tu i ed era
troppo debole per alzarsi. “Siamo gente qualunque... contadini,
insegnanti.”
“Non io” aveva pensato Nina tristemente. “Io sono un soldato.”
“Avrete un processo” aveva de o il drüskelle. “Sarete tra ati con
più giustizia di quella che la vostra razza si merita.”
“Quanti Grisha sono stati giudicati innocenti?” gli aveva
domandato Nina.
Il Fabrikator aveva riba uto: “Non provocarlo. Non gli farai
cambiare idea”.
Ma lei aveva stre o le sbarre con le mani legate e aveva de o:
“Quanti? Quanti ne hai mandati sulla pira?”.
Lui le aveva dato le spalle.
“Aspe a.”
Lui l’aveva ignorata.
“Aspe a! Ti prego! Solo... solo un po’ d’acqua. Tra eresti così il
tuo cane?”
Lui aveva esitato, la mano sulla porta. “Non avrei dovuto dirlo. I
cani, almeno, conoscono la lealtà. La fedeltà al branco. È un insulto ai
cani chiamarti così.”
“Ti darò in pasto a un branco di segugi affamati” aveva pensato
Nina. Ma tu o quello che aveva de o era stato: “Acqua. Ti prego”.
Lui sparì nel corridoio. Lei lo sentì salire la scala a pioli, e il portello
si chiuse sba endo forte.
“Non sprecare fiato con quello” l’aveva consigliata il Fabrikator.
“Non ti mostrerà nessuna gentilezza.”
Ma poco dopo il drüskelle fece ritorno con una tazza di la a e un
secchio di acqua dolce.
Li piazzò nella gabbia e chiuse le sbarre senza dire una parola.
Nina aiutò il Fabrikator a bere, poi lei stessa trangugiò una tazza
d’acqua. Le sue mani tremavano così tanto che si rovesciò metà della
tazza sulla camicia. Il Fjerdiano si voltò e, con piacere, Nina si
accorse che l’aveva messo in imbarazzo.
“Ucciderei per un bagno” l’aveva punzecchiato. “Potresti lavarmi
tu.”
“Non parlarmi” aveva ringhiato lui, già dire o alla porta.
Lui non era più tornato, e loro erano rimasti senz’acqua per i tre
giorni successivi. Ma quando sarebbe arrivata la tempesta, quella
tazza di la a le avrebbe salvato la vita.

La testa di Nina crollò, e lei si svegliò di soprassalto. Si era


addormentata?
Ma hias era in piedi nel corridoio subito fuori dalla cabina.
Riempiva con la sua figura tu a la porta, troppo alto per stare
comodo so ocoperta. Da quanto tempo la stava osservando?
Velocemente, Nina controllò le pulsazioni e il respiro di Inej, e la
sollevò scoprire che le sue condizioni erano stazionarie, al momento.
«Stavo dormendo?» domandò Nina.
«Stavi sonnecchiando.»
Lei si stiracchiò, nel tentativo di far sparire la stanchezza. «Ma
non stavo russando, vero?» Lui non disse niente, si limitò a
guardarla con quei suoi occhi di ghiaccio. «Ti hanno lasciato in mano
un rasoio?» fece Nina.
Lui si portò le mani incatenate alle guance rasate di fresco. «Ci ha
pensato Jesper.»
Jesper doveva aver pensato anche ai capelli di Ma hias. I ciuffi
biondi che erano cresciuti in modo irregolare erano stati sistemati.
Erano ancora troppo corti, a malapena una peluria dorata che non
riusciva a nascondere i tagli e i lividi del suo ultimo comba imento
all’Anticamera dell’Inferno.
Comunque, probabilmente era contento di non avere più la barba,
pensò Nina. Fino a che un drüskelle non aveva portato a termine una
missione da solo e non gli erano stati concessi i gradi da ufficiale, era
tenuto a rimanere sbarbato. Se Ma hias avesse condo o Nina ad
affrontare il processo alla Corte di Ghiaccio, sarebbe stato
autorizzato a farsela crescere. Avrebbe indossato la testa di lupo
d’argento che contrassegnava gli ufficiali drüskelle. Pensarci la
faceva stare male. Congratulazioni per il suo recente avanzamento come
assassino di primo grado. Quel pensiero le ricordò con chi aveva a che
fare. Si raddrizzò sulla sedia e sollevò il mento.
«Hje marden, Ma hias?» domandò.
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«Non farlo» rispose lui.
«Preferisci che io parli Kerch?»
«Non voglio che la mia lingua esca dalla tua bocca.» Gli occhi si
spostarono sulle labbra di lei, e Nina si sentì invadere da uno
sgradito rossore.
Per il piacere di vendicarsi, disse in Fjerdiano: «Eppure ti è
sempre piaciuto il modo in cui parlavo la tua lingua. Dicevi che
suonava pura». Era vero. Lui adorava la sua dizione: parlava come
una principessa, merito dei suoi insegnanti al Piccolo Palazzo.
«Non sfidarmi, Nina» disse lui. Il Kerch di Ma hias era bru o,
sgraziato, e aveva l’accento aspro dei ladri e degli assassini che aveva
incontrato in prigione. «Quella purezza è un sogno a cui è difficile
stare aggrappati. Invece, il ricordo della tua vita che si spegne tra le
mie mani è molto più facile da conservare.»
«Me imi alla prova» disse lei, la rabbia che divampava. Era stufa
delle sue minacce. «Non ho più le mani bloccate, Helvar.» Contrasse
la punta delle dita, e Ma hias rimase senza fiato quando il suo cuore
cominciò ad accelerare.
«Strega» sputò fuori, afferrandosi il pe o.
«Sono sicura che puoi fare meglio di così. Avrai centinaia di
insulti a cui ricorrere, ormai.»
«Migliaia» grugnì lui, mentre il sudore gli imperlava la fronte.
Lei rilassò le dita, improvvisamente in imbarazzo. Cosa stava
facendo? Lo stava punendo? Stava giocando con lui? Aveva tu i i
diri i di odiarla.
«Vai via, Ma hias. Ho una paziente a cui badare.» Si concentrò
sulla temperatura corporea di Inej.
«Vivrà?»
«Ti importa?»
«Certo che mi importa. È un essere umano.»
Nina sentì la conclusione inespressa della frase. Lei è un essere
umano, a differenza di te. Per i Fjerdiani, i Grisha non erano umani.
Non erano neanche alla pari con gli animali, erano qualcosa di
inferiore e di diabolico, un cancro del mondo, un’aberrazione.
Lei sollevò una spalla. «Non lo so, davvero. Ho fa o del mio
meglio, ma i miei poteri sono altri.»
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«Kaz ti ha chiesto se la Rosa Bianca manderà una delegazione a
Hringkälla.»
«Conosci la Rosa Bianca?»
«Lo Stave dell’Ovest è uno degli argomenti di conversazione
preferiti all’Anticamera dell’Inferno.»
Nina si soffermò a rifle ere per un istante. Poi, senza dire una
parola, si sollevò la manica della camicia. Due rose le si
intrecciavano sull’avambraccio. Avrebbe potuto spiegargli che cosa ci
faceva, là, che non si era mai prostituita per campare, ma non erano
affari di Ma hias quello che lei aveva fa o o non fa o. Che credesse
pure quello che voleva.
«È stata una tua scelta lavorare là?»
«Scelta è una parola grossa, ma sì.»
«Perché? Perché sei rimasta a Kerch?»
Lei si strofinò gli occhi. «Non potevo lasciarti all’Anticamera
dell’Inferno.»
«Mi hai mandato tu all’Anticamera dell’Inferno.»
«È stato un errore, Ma hias.»
La collera divampò negli occhi di lui e strappò via la patina di
calma che li ricopriva. «Un errore? Io ti ho salvato la vita e tu mi hai
accusato di essere uno schiavista.»
«Sì» disse Nina. «E ho passato quasi tu o l’ultimo anno a cercare
il modo di aggiustare le cose.»
«Le tue labbra hanno mai pronunciato una sola parola vera?»
Nina si afflosciò stancamente sulla sedia. «Non ti ho mai mentito.
E non lo farò mai.»
«Le prime parole che mi hai de o erano una menzogna.
Pronunciate in Kaelish, se ricordo bene.»
«De e subito prima che mi ca urassi e mi rinchiudessi in una
gabbia. Era quello il momento giusto per dire la verità?»
«Non dovrei fartene una colpa. Non puoi farci niente. È la tua
natura, dissimulare le cose.» Lui le sbirciò il collo. «I lividi sono
andati via.»
«Li ho tolti io. Ti dà fastidio?»
Ma hias non disse niente, ma Nina vide un barlume di vergogna
passargli sul viso. Ma hias aveva sempre lo ato contro il proprio
p g p p p
senso della morale. Per diventare un drüskelle aveva dovuto
uccidere le cose buone che c’erano dentro di lui. Ma il ragazzo che
avrebbe dovuto essere era sempre lì, e lei lo aveva intravisto nei
giorni che avevano trascorso insieme dopo il naufragio.
Voleva credere che quel ragazzo ci fosse ancora, rinchiuso da
qualche parte, nonostante il tradimento di lei e tu o quello che
aveva subìto all’Anticamera dell’Inferno.
A guardarlo adesso, non ci avrebbe giurato. Forse era questo il
vero Ma hias, e l’immagine di lui a cui lei si era aggrappata in
quest’ultimo anno era stata un’illusione.
«Devo occuparmi di Inej» concluse Nina, impaziente che lui se ne
andasse.
Ma lui non se ne andava. Invece, disse: «Hai mai pensato a me,
Nina? Ho mai disturbato il tuo sonno?».
Lei fece spallucce. «Un Corporalki può dormire ogni volta che
vuole.» E tu avia non poteva controllare i propri sogni.
«Il sonno è un lusso all’Anticamera dell’Inferno. Un rischio. Ma
quando dormivo, io sognavo te.»
La testa di Nina fece uno sca o.
«Proprio così» disse lui. «Tu e le volte che chiudevo gli occhi.»
«Che cosa succedeva nei sogni?» chiese lei, volendo una risposta
ma temendola anche.
«Cose orribili. Le torture peggiori. Tu mi affogavi lentamente. Mi
incendiavi il cuore nel pe o. Mi accecavi.»
«Ero un mostro.»
«Un mostro, una fanciulla, una silfide di ghiaccio. Mi baciavi, mi
sussurravi delle storie all’orecchio. Mi cantavi delle canzoni e mi
tenevi fra le braccia mentre dormivo. La tua risata mi rincorreva fino
a che mi risvegliavo.»
«Hai sempre odiato la mia risata.»
«Amavo la tua risata, Nina. E il tuo cuore impetuoso di guerriera.
E avrei potuto amare anche te.»
Avrebbe potuto. Una volta. Prima che lei lo tradisse. Quelle parole
le scavarono un buco di dolore nel pe o.
Sapeva che sarebbe stato meglio non parlare, ma non poté
resistere. «E tu cosa facevi, Ma hias? Che cosa mi facevi nei tuoi
sogni?»
La nave sbandò leggermente. Le lanterne oscillarono. Gli occhi di
Ma hias erano di un azzurro acceso. «Di tu o» rispose, mentre si
girava per andarsene. «Di tu o.»
15
MATTHIAS

Quando spuntò sul ponte, Ma hias dove e dirigersi dire amente


alla balaustra. Tu i quei ra i cresciuti nei bassifondi si erano ada ati
facilmente alla vita di mare, abituati com’erano a saltare da una
barca all’altra sui canali di Ke erdam. Soltanto quello tenero, Wylan,
appariva in difficoltà. Sembrava conciato male come Ma hias.
All’aria aperta andava un po’ meglio, qui poteva tenere d’occhio
l’orizzonte. Come drüskelle, aveva affrontato dei viaggi per mare,
ma si era sempre sentito più a suo agio sulla terraferma, tra i ghiacci.
Era umiliante che quegli stranieri lo vedessero vomitare fuori dal
parape o per la terza volta in tre ore.
Almeno Nina non era lì ad assistere a quello spe acolo
vergognoso. Continuava a pensare a lei, dentro la cabina, ad
accudire la ragazza di bronzo, così preoccupata e gentile. E stanca.
Sembrava esausta. “È stato un errore” aveva de o. Averlo bollato
come schiavista, caricato su una nave Kerch, e mandato in prigione?
Sosteneva di aver provato a sistemare le cose. Ma anche se fosse
stato vero, che importanza aveva? La razza a cui apparteneva era
senza onore. Lei ne era la dimostrazione.
Qualcuno aveva preparato il caffè, e lui osservò l’equipaggio
sorseggiarlo dalle tazze di rame con i coperchi di ceramica. L’idea di
portare a Nina una tazza di caffè entrò nella sua testa, e lui la fece a
pezzi. Non doveva prendersi cura di lei o dire a Brekker che la
ragazza aveva bisogno di un po’ di riposo. Piegò le dita e si guardò
le nocche scorticate. Nina aveva piantato in lui i semi della
debolezza.
Brekker fece segno a Ma hias di raggiungere lui, Jesper e Wylan
sul ponte di prua, dove si erano riuniti per studiare le mappe della
Corte di Ghiaccio, lontani dagli occhi e dalle orecchie del resto
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dell’equipaggio. Vedere quei disegni era come un pugnale nel cuore,
per lui. Le mura, i cancelli, le guardie. Avrebbero dovuto dissuadere
quei ma i, ma evidentemente lui era ma o quanto loro.
«Perché non ci sono nomi da nessuna parte?» domandò Brekker,
indicando le mappe.
«Io non conosco il Fjerdiano, e a noi servono informazioni
corre e» disse Wylan. «Helvar dovrebbe averle.» Si ritrasse quando
vide l’espressione sul volto di Ma hias. «Sto solo facendo il mio
lavoro. Sme ila di fissarmi.»
«No» ringhiò lui.
«Tieni questo» disse Kaz, porgendogli un minuscolo disco
trasparente che ammiccava alla luce del sole. Il demone si era seduto
su una bo e, con la schiena appoggiata all’albero, la gamba
malandata sollevata su un rotolo di cime e quel velenoso bastone da
passeggio in grembo. Ma hias fantasticava di ridurlo in schegge da
far ingoiare a Brekker una dopo l’altra.
«Che cos’è?»
«Una nuova invenzione di Raske.»
La testa di Wylan sca ò in su. «Pensavo che si occupasse di
demolizioni.»
«Si occupa di tu o» disse Jesper.
«Incastratevelo tra i denti in fondo» disse Kaz mentre distribuiva i
dischi agli altri. «Ma non morsicatelo.»
Wylan iniziò a sputacchiare e tossire, le mani alla gola. Sulle
labbra gli era apparsa una pellicola trasparente; la pellicola sporgeva
come il gargarozzo di una rana mentre lui tentava di respirare, con
gli occhi che sca avano a destra e a sinistra per il panico.
Jesper a accò a ridere, e Kaz si limitò a scuotere la testa. «Te
l’avevo de o di non masticare, Wylan. Respira dal naso.»
Il ragazzo inspirò forte, allargando le narici.
«Piano, se non vuoi svenire» disse Jesper.
«Che cos’è?» chiese Ma hias, con il dische o ancora nel palmo
della mano.
Kaz spinse il proprio in fondo alla bocca, muovendolo avanti e
indietro tra i denti. «Baleen. Avevo in programma di conservarli, ma
dopo quell’imboscata non so proprio in che razza di guai potremmo
p q p p g p
imba erci in mare aperto. Se finite so o e non riuscite a risalire a
galla, disincastrateli e masticateli. Sarà come guadagnare dieci
minuti d’aria. Di meno, se vi fate prendere dal panico» disse dando
uno sguardo significativo a Wylan. E diede al ragazzo un altro
dische o di baleen. «Stai a ento, questa volta.» Poi tamburellò sulle
mappe della Corte di Ghiaccio.
«I nomi, Helvar. Tu i.»
Controvoglia, Ma hias prese penna e inchiostro. Wylan aveva
disteso le carte e iniziato a scrivere i nomi degli edifici e delle strade
circostanti. Ma farlo in prima persona, in un certo senso, era ancora
più vile. Una parte di lui si chiedeva se avrebbe potuto trovare un
modo per separarsi dal gruppo una volta arrivati, rivelare la loro
posizione e in questo modo rientrare nelle grazie del governo.
Qualcuno, alla Corte di Ghiaccio, l’avrebbe riconosciuto? Con ogni
probabilità era ritenuto morto, affogato nel naufragio che aveva
ucciso i suoi amici più cari e il Comandante Brum. Non c’era nulla
che provasse la propria vera identità. Sarebbe stato uno straniero che
non aveva niente a che vedere con la Corte di Ghiaccio, e ora che
qualcuno l’avesse ascoltato...
«Non ce la stai contando tu a» disse Brekker, gli occhi scuri
puntati su Ma hias.
L’altro ignorò il brivido che lo a raversò. A volte era come se il
demone gli leggesse nel pensiero. «Vi sto dicendo quello che so.»
«La tua coscienza interferisce con la tua memoria. Tieni a mente i
termini del nostro accordo, Helvar.»
«D’accordo» disse Ma hias, mentre la rabbia rimontava. «Vuoi un
consiglio professionale? Il tuo piano non funzionerà.»
«Neanche lo conosci, il mio piano.»
«Entrare dalla prigione, uscire dall’ambasciata?»
«Per cominciare.»
«Non è possibile. Il se ore della prigione è completamente isolato
dal resto della Corte di Ghiaccio. Non è collegato con l’ambasciata.
Non c’è modo di raggiungerla da lì.»
«C’è un te o, no?»
«Non puoi arrivare al te o» disse Ma hias tu o soddisfa o. «I
drüskelle passano tre mesi a esercitarsi con i prigionieri Grisha e con
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le guardie, fa parte del loro addestramento. Sono stato nella
prigione, e non c’è una via di accesso al te o esa amente per lo
stesso motivo: se qualcuno dovesse evadere dalla propria cella, non
vogliamo che si me a a correre a orno alla Corte di Ghiaccio. La
prigione è totalmente isolata dagli altri due se ori nel cerchio
esterno. Una volta che sei dentro, sei dentro.»
«C’è sempre una via d’uscita.» Kaz prese la cartina della prigione
dalla catasta di fogli. «Cinque piani, giusto? L’area di smistamento, e
qua ro piani di celle. Quindi qui cosa c’è? Nel seminterrato?»
«Niente. La lavanderia e l’inceneritore.»
«L’inceneritore.»
«Sì, dove bruciano i vestiti dei condannati quando arrivano. È una
precauzione contro le epidemie ma...» Non appena pronunciò quelle
parole, capì cos’aveva in mente Brekker. «Santo Djel, vuoi che ci
arrampichiamo per sei piani lungo la canna fumaria
dell’inceneritore?»
«Quando lo me ono in funzione?»
«Se ricordo bene, la ma ina presto, ma anche senza il calore
noi...»
«Non sta parlando di noi» disse Nina, affiorando da so ocoperta.
Kaz si tirò su a sedere. «Chi tiene d’occhio Inej?»
«Ro y» rispose lei. «Sarò di nuovo lì fra qualche minuto. Avevo
solo bisogno di un po’ d’aria fresca. E non fare finta di preoccuparti
per Inej mentre programmi di mandarla ad arrampicarsi dentro una
canna fumaria alta sei piani con solo una corda e una preghiera su
cui fare affidamento.»
«Lo Spe ro può farcela.»
«Lo Spe ro è una ragazza di sedici anni che al momento giace
priva di sensi su un tavolo. Potrebbe non superare la no e.»
«La supererà» disse Kaz, e negli occhi gli si accese una furia
selvaggia. Ma hias ebbe il sospe o che Brekker sarebbe arrivato a
trascinare quella ragazza fuori dall’inferno, se avesse dovuto.
Jesper prese il fucile e ci passò sopra un panno morbido. «Perché
siamo qui a parlare di scalare comignoli quando abbiamo problemi
ben più grossi?»
«E quali sono?» chiese Kaz, anche se Ma hias ebbe la ne a
impressione che li conoscesse.
«Non ha senso andare a cercare Bo Yul-Bayur se c’è di mezzo
Pekka Rollins.»
«Chi è Pekka Rollins?» domandò Ma hias, a orcigliando quelle
ridicole sillabe con la lingua. I nomi Kerch non erano dignitosi per i
Fjerdiani. Sapeva che l’uomo era a capo di una banda e che si
riempiva le tasche con i soldi che faceva con lo Spe acolo Infernale.
Già questo era uno schifo, ma Ma hias aveva la sensazione che ci
fosse altro in ballo.
Wylan rabbrividì, tirando la sostanza gommosa che aveva ancora
sulle labbra. «Soltanto il più grande e il più ca ivo trafficone di tu a
Ke erdam. Lui ha soldi che noi non abbiamo, conta i che noi non
abbiamo, e probabilmente anche un vantaggio che noi non
abbiamo.»
Jesper annuì. «Per una volta, quello che dice Wylan ha senso. Se
per miracolo riuscissimo a tirar fuori Bo Yul-Bayur prima che lo
faccia Rollins, una volta che lui avrà scoperto che siamo noi quelli
che lo hanno fregato, saremo tu i morti.»
«Pekka Rollins è un boss del Barile» disse Kaz. «Niente di più,
niente di meno. Sme etela di dipingerlo come una specie di creatura
immortale.»
“C’è qualcos’altro in ballo” pensò Ma hias. Brekker non aveva più
in corpo quella carica di violenza che l’aveva guidato prima, quando
aveva assassinato Oomen. Ma c’era ancora in lui una certa
aggressività, ed era tra enuta a stento nelle sue parole. Ma hias era
sicuro che Kaz Brekker odiasse Pekka Rollins, e non solo perché il
boss aveva fa o saltare per aria la loro barca e assoldato dei
delinquenti per sparargli addosso. Aveva l’impressione che tra quei
due ci fossero vecchie ferite e ca ivo sangue.
Jesper si allungò all’indietro e disse: «Non credi che Per Haskell ti
farà tornare sui tuoi passi quando scoprirà che hai tagliato la strada a
Pekka Rollins? Pensi che il vecchio voglia la guerra?».
Kaz scosse la testa, e Ma hias lesse in quel gesto una frustrazione
vera. «Pekka Rollins non è venuto al mondo vestito di velluto e
sguazzando nelle kruge. Tu pensi ancora in piccolo. Pensi nel modo
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in cui pensa Per Haskell, nel modo in cui uomini come Rollins
vogliono che pensi. Portiamo a termine questo colpo, dividiamoci il
bo ino e saremo noi le leggende del Barile. Saremo la banda che le
ha suonate a Pekka Rollins.»
«Forse dovremmo lasciar perdere l’idea di arrivare da nord» disse
Wylan. «Se la banda di Pekka ha un vantaggio su di noi, dovremmo
veleggiare dri i su Djerholm.»
«Il porto pullulerà di vigilanti, per non parlare di tu e le guardie
abituali e degli adde i alla dogana.»
«Il Sud? A raverso Ravka?»
«Quel confine è chiuso a chiave» disse Nina.
«È un confine lungo» commentò Ma hias.
«Ma non c’è modo di sapere in che punto è più vulnerabile»
replicò lei. «A meno che tu non sia magicamente a conoscenza di
quali torri di guardia e quali avamposti sono a ivi. In più, se
entrassimo da Ravka, dovremmo vedercela con i Ravkiani e con i
Fjerdiani.»
Quello che aveva de o Nina aveva senso, ma lo innervosì. A
Fjerda le donne non parlavano in quella maniera, non discutevano di
questioni militari o strategiche. Ma lei era sempre stata così.
«Entreremo da nord come da piano originario» disse Kaz.
Jesper picchiò la testa contro lo scafo e puntò gli occhi al cielo.
«D’accordo. Ma se Pekka Rollins ci ucciderà tu i, io andrò dal
fantasma di Wylan a chiedergli di insegnare al mio fantasma come si
fa a suonare il flauto, così posso far uscire di testa il tuo fantasma.»
Brekker arricciò le labbra e scoprì i denti. «E io assumerò il
fantasma di Ma hias per prendere a calci in culo il tuo fantasma.»
«Il mio fantasma non vorrà avere niente a che fare con il tuo»
disse Ma hias in tono elegante, e poi si chiese se l’aria di mare gli
stesse facendo marcire il cervello.
PARTE TERZA
DISPERATO
16
INEJ

Le faceva male tu o. E perché la stanza si muoveva?


Inej si risvegliò lentamente, i pensieri impastati. Si ricordava il
pugnale di Oomen che si faceva strada dentro di lei, l’arrampicata
sulle casse, la gente che gridava mentre lei penzolava nel vuoto,
appesa solo per la punta delle dita.
Vieni giù, Spe ro.
Ma Kaz era tornato da lei, per me ere in salvo il proprio
investimento. Dovevano avercela fa a, a salire sulla Ferolind.
Provò a voltarsi, ma il dolore era troppo intenso, per cui si
accontentò di girare la testa.
Nina stava sonnecchiando su uno sgabello nell’angolo accanto al
le o, la mano di Inej stre a nella sua.
«Nina» gracchiò. Le sembrava di avere la gola rivestita di lana.
Nina si svegliò di colpo. «Ci sono!» le scappò, d’impulso, poi fissò
Inej con occhi appannati. «Sei sveglia.» Si tirò su a sedere. «Oh, per
tu i i Santi, ti sei svegliata.»
E infine scoppiò a piangere.
Inej cercò di sollevarsi, ma riusciva a malapena a tirar su la testa.
«No, no» disse Nina. «Non muoverti, devi riposare.»
«Stai bene?»
Nina si mise a ridere e a piangere insieme. «Io sto bene. Sei tu
quella che è stata pugnalata. Non lo so, cosa mi prende. È che è
molto più semplice uccidere le persone che prendersi cura di loro.»
Inej sba é le palpebre, e poi scoppiarono a ridere entrambe. «Oww»
geme e Inej. «Non farmi ridere. Fa male da morire.»
Nina fece una smorfia imbarazzata. «Come ti senti?»
«Fa male, ma potrebbe essere peggio. Ho sete.»
Nina le porse una tazza di la a piena di acqua. «È fresca.
L’abbiamo filtrata ieri.»
Inej bevve piano, mentre Nina le teneva la testa. «Per quanto
tempo ho dormito?»
«Tre giorni, quasi qua ro. Jesper ci sta facendo uscire pazzi.
Credo di non averlo mai visto fermo per più di due minuti di fila.» Si
alzò di sca o. «Devo dire a Kaz che sei sveglia. Noi pensavamo...»
«Aspe a» fece Inej, afferrando la mano di Nina. «Solo... possiamo
non dirglielo proprio adesso?»
Nina tornò a sedersi, perplessa. «Certo, ma...»
«Solo per stano e.» Si interruppe. «È no e ora?»
«Sì. È appena passata la mezzano e, per l’esa ezza.»
«Sappiamo chi ci ha a accato al porto?»
«Pekka Rollins. Ha assoldato le Punte Nere e i Becchi di Rasoio
per impedirci di uscire da Quinto Porto.»
«Come facevano a sapere da dove saremmo partiti?»
«Non lo sappiamo ancora.»
«Ho visto Oomen.»
«Oomen è morto. L’ha ucciso Kaz.»
«Kaz?»
«Ne ha fa i fuori parecchi. Ro y l’ha visto seguire le Punte Nere
che ti avevano spinta sulle casse. Mi sa che le sue parole esa e siano
state: “Con tu o quel sangue si poteva dipingere un fienile”.»
Inej chiuse gli occhi. «Troppa morte.» Nel Barile erano circondati
dalla morte. Ma lei non ci era mai andata così tanto vicino.
«Ha avuto paura per te.»
«Kaz non ha paura di niente.»
«Avresti dovuto vedere la sua faccia quando ti ha portata da me.»
«Sono un investimento prezioso.»
Nina restò a bocca aperta. «Non dirmi che ti ha de o così.»
«Ovvio. Be’, no, prezioso non l’ha de o.»
«Idiota.»
«Come sta Ma hias?»
«Un altro idiota. Ce la fai a mangiare?»
Inej scosse la testa. Non aveva fame per niente.
«Sforzati» la incalzò Nina. «Non mi hai dato granché su cui
me ere le mani.»
«Per ora voglio solo riposare.»
«Ma certo» disse Nina. «Spengo la lanterna.»
Inej le prese di nuovo la mano. «No. Non voglio tornare subito a
dormire.»
«Potrei leggerti delle cose, se qui ci fosse qualcosa da leggere. C’è
uno Spaccacuore, al Piccolo Palazzo, in grado di recitare poesia epica
per ore. A quel punto vorresti solo morire.»
Inej rise e poi fece una smorfia di dolore. «Mi basta che rimani
qui.»
«Va bene» disse Nina. «Visto che ti va di parlare, raccontami
perché non hai il calice e il corvo tatuati sul braccio.»
«Partiamo dalle domande facili?»
Nina incrociò le gambe e infilò il mento tra le mani. «Sto
aspe ando.»
Inej rimase in silenzio per un po’. «Hai visto le cicatrici.» Nina
fece segno di sì con la testa. «Quando Kaz convinse Per Haskell a
comprare il mio risca o al Serraglio, come prima cosa mi feci
togliere il tatuaggio della piuma di pavone.»
«Chiunque se ne sia occupato ha fa o un pessimo lavoro.»
«Non era un Corporalki e nemmeno un medico.» Solo uno dei
tanti macellai provvisto di qualche nozione che praticava il mestiere
tra i disperati del Barile. Le aveva offerto un sorso di whisky e poi le
aveva fa o a fe e la carne, lasciandole sul braccio una serie di ferite
slabbrate. Lei se n’era fregata. Il dolore era una liberazione. Alla Casa
delle Creature Esotiche non avevano fa o altro che parlare della sua
pelle. Era dolce come il caffella e. Era come lo zucchero caramellato.
Era come seta. Lei aveva accolto con gioia ogni taglio del coltello e
ogni cicatrice che si era lasciato dietro. «Kaz mi disse che non avrei
dovuto fare niente, a parte rendermi utile.»
Kaz le aveva insegnato a scassinare le casseforti, a sfilare i
portafogli dalle tasche, a brandire un pugnale. Le aveva regalato la
sua prima lama, quella che aveva chiamato Sankt Petyr: un dono
meno elegante di un mazzo di gerani selvatici, ma decisamente più
pratico.
p
“Chissà, forse la userò su di te” gli aveva de o.
Lui aveva sospirato. “Magari fossi così assetata di sangue.” Lei
non aveva capito se stava scherzando oppure no.
Si mosse leggermente sul tavolo. Faceva male, ma non era
insopportabile. Considerato quanto in profondità era andato il
pugnale, i suoi Santi dovevano aver guidato la mano di Nina.
«Kaz mi disse che se avessi dimostrato quanto valevo, avrei
potuto unirmi agli Scarti quando mi fossi sentita pronta. E l’ho fa o.
Ma niente tatuaggio.»
Nina alzò un sopracciglio. «Non credevo che fosse facoltativo.»
«Tecnicamente, non lo è. Lo so che in molti non capiscono, ma
Kaz mi ha de o... ha de o che spe ava a me scegliere, che non
sarebbe stato lui a marchiarmi di nuovo.»
Eppure lo aveva fa o, a suo modo, malgrado le migliori
intenzioni. Provare qualcosa per Kaz Brekker era la follia peggiore.
Lei lo sapeva. Ma era stato l’unico a salvarla, a vedere il suo
potenziale. Aveva scommesso su di lei, e questo voleva pur dire
qualcosa... anche se lo aveva fa o per il proprio tornaconto
personale. L’aveva anche soprannominata lo Spe ro.
“Non mi piace” aveva de o lei. “Mi ricorda un cadavere.”
“Un fantasma” l’aveva corre a lui.
“Non avevi de o che ero il tuo ragno? Cos’ha che non va il
ragno?”
“È pieno di ragni nel Barile. E a parte questo, vogliamo che i tuoi
nemici ti temano. Non che pensino che possano schiacciarti con la
punta dello stivale.”
“I miei nemici?”
“I nostri nemici.”
Kaz l’aveva aiutata a costruirsi una leggenda e a indossarla come
un’armatura, come qualcosa di più grande e di più spaventoso di chi
la portava. Inej sospirò. Non voleva più pensare a Kaz.
«Parla» disse a Nina.
«Ti crollano le palpebre. Dovresti dormire.»
«Non mi piacciono le barche. Bru i ricordi.»
«Anche per me.»
«Canta qualcosa, allora.»
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Nina rise. «Ricordi quello che ti ho de o a proposito di voler
morire? Ecco, credimi, tu non vuoi che io canti.»
«Per favore.»
«Conosco solamente melodie popolari Ravkiane e canzoni Kerch
da ubriaconi.»
«Canzone da ubriaconi. Qualcosa di chiassoso, ti prego.»
Nina sbuffò. «Solo perché sei tu, Spe ro.» Si schiarì la voce e a accò.
«Giovane possente capitano, audace sul mare. Soldato e marinaio, ti piace il
malaffare…»
Inej si mise a ridacchiare e si tenne il fianco. «Hai ragione. Non
riesci a imbroccare una nota neanche per sbaglio.»
«Te l’avevo de o.»
«Vai avanti.»
Nina faceva veramente schifo a cantare. Però aiutava Inej a tenere
la propria mente su quella barca, in quel momento. Non voleva
ripensare all’ultima volta che era stata in mare, ma i ricordi erano
duri a morire.
Non doveva nemmeno trovarsi sul carrozzone la ma ina in cui gli
schiavisti la ca urarono. Aveva qua ordici anni, e la sua famiglia
stava trascorrendo l’estate sulla costa di Ravka Ovest, godendosi la
stagione e andando in scena in una fiera alla periferia di Os Kervo.
Lei avrebbe dovuto aiutare suo padre a rammendare le reti. Ma
aveva sonno, e se l’era presa comoda per dormire qualche altro
minuto, per sonnecchiare so o le coperte di cotone fino e per
ascoltare le onde che si infrangevano con un sospiro.
Quando la sagoma di un uomo era apparsa sulla porta del
carrozzone, lei non aveva nemmeno capito di trovarsi in pericolo.
Aveva semplicemente de o: “Ancora cinque minuti, papà”.
Poi l’avevano presa per le gambe e trascinata fuori.
Sba é forte la testa a terra. Loro erano in qua ro, erano grossi,
uomini di mare. Quando provò a gridare, la imbavagliarono. Le
legarono mani e polsi e uno se la caricò in spalla, quindi si calarono
in una scialuppa che avevano ormeggiato nella baia.
Tempo dopo, Inej venne a sapere che la costa era un luogo molto
bazzicato dagli schiavisti. Avevano avvistato il carrozzone Suli dalla
loro nave e l’avevano raggiunto a remi subito dopo l’alba, quando
l’accampamento era quasi deserto.
Il resto del viaggio era avvolto nella confusione. Fu ge ata nella
stiva della nave insieme ad altri bambini: alcuni più grandi, alcuni
più piccoli, per lo più femmine, ma c’era anche qualche maschio. Lei
era l’unica Suli, ma qualcuno parlava Ravkiano, e le raccontarono
com’erano stati ca urati.
Una era stata rapita dal cantiere navale del padre; un’altra stava
giocando a saltare nelle pozzanghere e si era allontanata troppo
dagli amici. Una era stata venduta dal fratello maggiore per pagare i
debiti di gioco. I marinai parlavano una lingua che lei non capiva,
ma uno dei bambini affermò che li stavano portando nell’isola
esterna più grande di Kerch, dove sarebbero stati venduti all’asta a
proprietari privati o a case d’appuntamento di Ke erdam e di Novyi
Zem.
La gente arrivava da tu o il mondo per fare un’offerta. Inej
credeva che la schiavitù fosse illegale a Kerch, ma evidentemente era
ancora in vigore.
Non arrivò mai all’asta. Quando finalmente ge arono l’ancora,
Inej fu scaricata sulla banchina e consegnata a una delle donne più
belle che avesse mai visto, alta e bionda, con occhi color nocciola e
una massa di capelli d’oro.
La donna aveva sollevato la lanterna e scrutato Inej dall’alto al
basso: i denti, i seni, persino i piedi. Aveva dato uno stra one ai suoi
capelli aggrovigliati. “Questi vanno rasati.” Poi aveva fa o un passo
indietro. “Ossuta e pia a come una tavola, ma ha una pelle
perfe a.”
La donna si era girata dall’altra parte per tra are con i marinai e
Inej era rimasta in piedi sul molo, stringendosi al pe o le mani
legate, la camicia ancora aperta, la gonna ancora sollevata fino alla
vita. Inej poteva vedere la luce della luna oltre le onde della baia.
“Salta” si era de a. “Meglio in fondo al mare che nel posto dove ti
sta portando questa donna.” Ma non ne aveva avuto il coraggio.
La ragazza che sarebbe diventata un giorno avrebbe saltato senza
pensarci due volte, e forse avrebbe trascinato giù con sé uno degli
schiavisti. O forse si stava prendendo in giro da sola.
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Era rimasta paralizzata dalla paura quando Tante Heleen l’aveva
avvicinata nello Stave dell’Ovest.
Non era stata più forte, non era stata più coraggiosa, era stata la
stessa ragazzina Suli terrorizzata e umiliata sul ponte di quella nave.
Nina stava ancora cantando, una canzonaccia su un marinaio che
era stato abbandonato dalla sua bella.
«Insegnami il ritornello» disse Inej.
«Devi dormire.»
«Ritornello.»
E così Nina le insegnò le parole, e cantarono insieme, farfugliando
i versi, stonate senza rimedio, finché le lanterne si spensero.
17
JESPER

Jesper era pronto a lanciarsi oltre il parape o solo per spezzare la


routine. Altri sei giorni. Sei giorni su questa barca – se erano fortunati
e il vento era favorevole – e poi avrebbero dovuto toccare terra. La
costa ovest di Fjerda era tu a un susseguirsi di rocce pericolose e
ripide scogliere. La si poteva raggiungere in sicurezza soltanto a
Djerholm e a Elling, e dal momento che entrambi i porti erano
stre amente vigilati, erano stati costre i a farsi tu o il viaggio fino ai
porti del Nord, quelli da dove partivano le baleniere.
In segreto Jesper sperava che venissero a accati dai pirati, ma la
gole a era troppo piccola per trasportare merci di pregio. Erano un
bersaglio senza valore e, con le loro bandiere neutrali di Kerch,
passavano indisturbati per le ro e più trafficate del Mare Vero.
Presto si erano ritrovati nelle acque fredde del Nord, dire i a
Isenvee.
Jesper si aggirava sul ponte, si arrampicava sulle sartie, cercava di
convincere l’equipaggio a giocare a carte con lui, puliva le proprie
pistole. Gli mancavano la terraferma, il cibo decente e la birra buona.
Gli mancava la ci à. Se avesse mai desiderato gli ampi spazi aperti e
il silenzio, se ne sarebbe rimasto alla frontiera e avrebbe fa o il
contadino come sperava suo padre. C’era ben poco da fare sulla
barca, a parte studiare gli schemi della Corte di Ghiaccio, ascoltare
Ma hias che brontolava e dar fastidio a Wylan, che era sempre
intento a cercare di ricostruire i meccanismi dei cancelli delle mura
ad anello.
Kaz rimase colpito dai suoi disegni.
«Tu ragioni come un grimaldello» disse a Wylan.
«Non è vero.»
«Intendo dire che sei in grado di vedere lo spazio in modo
tridimensionale.»
«Non sono un criminale» protestò Wylan.
Kaz gli rivolse un’occhiata quasi di compassione. «No, sei un
flautista che è finito in pessima compagnia.»
Jesper si sede e accanto a Wylan. «Impara a incassare i
complimenti. Kaz non ne dispensa molti.»
«Non è un complimento. Io non sono niente per lui. E non c’entro
niente, io, qui.»
«Nulla da obie are.»
«E anche tu non c’entri niente.»
«Come hai de o, mercantuccio?»
«Stando al piano di Kaz non ci serve un tiratore scelto, per cui tu
cosa fai, a parte pedinare e far innervosire tu i?»
Jesper fece spallucce. «Kaz si fida di me.»
Wylan sbuffò e prese la penna. «Sicuro?»
Jesper si spostò, a disagio. Certo che era sicuro. Aveva passato
così tanto tempo a indovinare cosa passasse per la testa di Kaz
Brekker. E se si era guadagnato un po’ della sua fiducia, non lo
meritava, forse?
Picchie ò i pollici sulle rivoltelle e disse: «Quando cominceranno
a volare i proie ili, scoprirai quant’è bello avermi intorno. Non
saranno quei bei disegni a tenerti in vita».
«Queste cartine ci servono. E nel caso te lo fossi scordato, una
delle mie bombe luce ci ha aiutati a uscire dal porto di Ke erdam.»
Jesper sbuffò. «Che strategia brillante.»
«Ha funzionato o no?»
«Hai accecato i nostri tanto quanto le Punte Nere.»
«Era un rischio calcolato.»
«Era un incrociamo-le-dita-e-speriamo-bene. Credimi, conosco la
differenza.»
«Così ho sentito dire.»
«Sarebbe?»
«Sarebbe che lo sanno tu i che non sei capace di stare lontano da
una rissa o da un tavolo da gioco, quali che siano le probabilità a tuo
favore.»
Jesper puntò lo sguardo alle vele e strizzò gli occhi. «Se non nasci
con la camicia, devi imparare a cogliere al volo le occasioni.»
«Non stavo...» Wylan si interruppe e posò la penna. «Perché pensi
di sapere tu o di me?»
«Ne so a sufficienza, mercantuccio.»
«Buon per te. Io sento di non saperne mai abbastanza.»
«Su cosa?»
«Su tu o» mormorò Wylan.
Contro ogni previsione, Jesper si incuriosì. «Tipo?» insiste e.
«Be’, tipo quelle pistole» disse lui, indicando le rivoltelle di Jesper.
«Il meccanismo di sparo è insolito, vero? Se potessi smontarle...»
«Non pensarci neanche.»
Wylan scrollò le spalle. «Oppure, tipo il fossato di ghiaccio» disse,
tamburellando le dita su una delle mappe della Corte di Ghiaccio.
Ma hias aveva de o che il fossato non era solido, soltanto uno strato
scivoloso e so ilissimo di ghiaccio sopra l’acqua gelida,
completamente esposto alla vista e impossibile da a raversare.
«Che cosa c’è da sapere?»
«Da dove arriva tu a l’acqua? La Corte è situata su una collina,
per cui dov’è la falda acquifera o l’acquedo o che la porta in alto?»
«Ha importanza? C’è un ponte. Non ci serve a raversare il fossato
di ghiaccio.»
«Ma non sei curioso?»
«Santi numi, no. Dammi un sistema per vincere a Tre Uomo Mora
oppure alla Ruota della Fortuna di Makker. Quello sì che mi
interessa.»
Wylan tornò al suo lavoro, evidentemente deluso.
Per qualche motivo, anche Jesper era un po’ deluso.

Jesper andava a controllare Inej tu e le ma ine e tu e le sere.


L’idea che l’imboscata sul molo avrebbe potuto essere la fine per
lei l’aveva scosso.
Nonostante gli sforzi di Nina, si era convinto che lo Spe ro non
sarebbe rimasto a lungo a questo mondo.
Ma una ma ina Jesper arrivò e trovò Inej seduta, vestita di tu o
punto: pantaloni alla zuava, corpe o imbo ito e casacca con
p p p
cappuccio.
Nina era china su di lei, si stava sforzando di infilare i piedi di Inej
in quelle strane scarpe e con le suole di gomma.
«Inej!» gracchiò Jesper. «Non sei morta!»
Lei sorrise leggermente. «Non più di chiunque altro.»
«Se sputi sagge e deprimenti sentenze Suli, allora vuol dire che
stai meglio.»
«Non stare lì fermo» si lamentò Nina. «Aiutami a infilarle queste
cose ai piedi.»
«Se lasciassi fare a me...» provò a dire Inej.
«Tu non ti piegare» sca ò Nina. «Non saltare. Non muoverti di
sca o. Se non giuri di andarci piano, ti rallento il cuore e ti tengo in
coma finché non sono sicura che ti sei ripresa del tu o.»
«Nina Zenik, non appena scoprirò dove hai messo i miei pugnali,
scambieremo due parole.»
«Sarà meglio che le prime siano “Ti ringrazio, grande Nina, per
aver dedicato ogni minuto di veglia di quest’orribile viaggio a
salvare la mia miserabile vita”.»
Jesper si aspe ava che Inej scoppiasse a ridere e rimase sorpreso
quando lei prese il viso di Nina tra le mani e le disse: «Grazie per
avermi tra enuta in questo mondo quando il destino sembrava
determinato a trascinarmi in quell’altro. Ti sono debitrice della mia
vita».
Nina arrossì fino alla punta dei capelli. «Ti stavo prendendo in
giro, Inej.» Si fermò un a imo. «E penso che di debiti ne abbiamo
entrambe sin troppi.»
«Questo è un debito che sono felice di avere.»
«Va bene, va bene. Quando torniamo a Ke erdam, mi porti fuori a
mangiare le cialde.»
Ora Inej scoppiò a ridere sul serio.
Lasciò cadere le mani e assunse l’aria di chi stava ragionando.
«Dei dolci in cambio di una vita? Non credo sia uno scambio equo.»
«Mi aspe o delle cialde pazzesche.»
«Conosco giusto un posto» disse Jesper. «Hanno questo sciroppo
di mela...»
«Tu non sei invitato» replicò Nina. «Ora dammi una mano a farla
alzare.»
«Posso alzarmi da sola» borbo ò Inej mentre scivolava giù dal
tavolo e si me eva in piedi.
«Fai come ti dico.»
Con un sospiro, Inej si aggrappò al braccio che le offriva Jesper, e
insieme si fecero strada fuori dalla cabina e su per il ponte, con Nina
che li seguiva.
«Questo è ridicolo» disse Inej. «Sto bene.»
«Tu sì» replicò Jesper, «ma io potrei collassare da un momento
all’altro, quindi fai a enzione.»
Giunti sul ponte, Inej gli strinse il braccio per farlo fermare.
Reclinò la testa all’indietro e respirò a fondo.
Era un giorno grigio come la pietra, il mare era una lastra scura
solcata dalla schiuma bianca, il cielo era increspato da nuvole dense
di pioggia. Un vento duro gonfiava le vele e spingeva il piccolo
vascello sulle onde.
«Mi fa bene questo genere di freddo» mormorò lei.
«Questo genere?»
«Il vento nei capelli, gli spruzzi d’acqua sulla pelle. Il freddo di chi
è vivo.»
«Due giri a orno al ponte» le ordinò Nina. «E poi vai di nuovo a
le o.» Quindi raggiunse Wylan a poppa. A Jesper non sfuggì che si
era dire a verso il punto della nave più lontano da Ma hias.
«Hanno fa o così per tu o il tempo?» domandò Inej, guardando
Nina e poi il Fjerdiano.
Jesper annuì. «È come guardare due ga i selvatici che girano uno
intorno all’altro.»
Inej emise un rumore simile a un piccolo ronzio. «E cosa faranno
quando si salteranno addosso?»
«Si graffieranno a morte?»
Inej roteò gli occhi. «Non mi stupisce che perdi sempre al gioco.»
Jesper la guidò verso il parape o, dove potevano fare la cosa che
più assomigliava a una passeggiata senza intralciare nessuno. «Ti
minaccerei di bu arti di so o, ma c’è Kaz che ci osserva.»
Inej annuì. Non alzò lo sguardo a cercare Kaz in piedi accanto a
Specht al timone. Jesper invece sì, e con la mano gli fece un saluto
allegro. L’espressione di Kaz non cambiò.
«Lo ucciderebbe sorridere una volta ogni tanto?» sbo ò Jesper.
«È altamente probabile.»
Ogni membro dell’equipaggio la salutò e le fece gli auguri, e
Jesper si accorse che a ogni “Evviva, lo Spe ro è tornato!” Inej si
rianimava. Persino Ma hias le fece un inchino impacciato e le disse:
«A quanto mi dicono tu sei il motivo per cui siamo usciti vivi dal
porto».
«Ho il sospe o che i motivi siano stati più d’uno» disse Inej.
«Io sono uno di quelli» si offrì volontario Jesper.
«A ogni modo» disse Ma hias, ignorando Jesper, «ti ringrazio.»
Andarono avanti, e Jesper vide un sorriso compiaciuto stirare le
labbra di Inej.
«Sorpresa?» le domandò.
«Un po’» ammise lei. «Trascorro così tanto tempo con Kaz.
Immagino...»
«È una novità sentirsi apprezzati.»
Si lasciò sfuggire una risatina e si preme e la mano sul fianco.
«Ridere mi fa ancora male.»
«Sono contenti che tu sia viva. Io sono contento.»
«Lo spero. È che non mi sono mai sentita veramente una degli
Scarti.»
«Be’, non lo sei.»
«Grazie.»
«Siamo una banda dagli interessi limitati, e tu non scomme i, non
bestemmi, non bevi fino a sfondarti. Ma senti qui come si fa a
diventare popolari: rischiare la propria vita per salvare i compagni e
impedire che siano fa i a pezzi in un’imboscata. Metodo
straordinario per farsi degli amici.»
«Basta che non mi tocchi iniziare a venire alle vostre feste.»
Quando raggiunsero il ponte a poppa, Inej si appoggiò al
parape o e guardò l’orizzonte. «È mai venuto a trovarmi?»
Jesper sapeva che si stava riferendo a Kaz. «Tu i i giorni.»
Inej posò gli occhi scuri su di lui, poi scrollò la testa. «Non sai
capire le persone, e non sai bluffare.»
Jesper sospirò. Detestava deludere la gente. «No» ammise.
Lei annuì e tornò a guardare l’oceano.
«Secondo me è perché non gli piacciono i le i d’ospedale» disse
Jesper.
«A chi piacciono?»
«Voglio dire, è stato difficile per lui starti vicino a quel modo. Il
giorno in cui sei stata ferita... ha un po’ perso la testa.» Gli costò caro
riconoscerlo.
Kaz si sarebbe trasformato in un simile cane rabbioso se fosse
stato Jesper quello con un pugnale piantato nel fianco?
«Per forza. Questo è un colpo per sei persone, e Kaz ha
evidentemente bisogno di me per scalare la canna fumaria
dell’inceneritore. Se io schia o, il piano fallisce.»
Jesper non si mise a discutere. Non riusciva a far finta di capire
Kaz o quello che lo faceva agire a quel modo. «Dimmi una cosa. Che
razza di litigio c’è stato tra Wylan e suo padre?»
Inej diede un’occhiata veloce a Kaz, poi si guardò alle spalle per
accertarsi che nessuno dell’equipaggio fosse nei paraggi. Kaz aveva
specificato con chiarezza che ogni informazione anche solo
vagamente correlata con il colpo doveva rimanere fra loro sei. «Non
lo so» disse. «Tre mesi fa Wylan è apparso in una stamberga vicino
alla Stecca so o falso nome. Kaz, che tiene d’occhio tu i i nuovi
arrivati nel Barile, mi ha chiesto di curiosare.»
«E?»
Inej si strinse nelle spalle. «La servitù di casa Van Eck è pagata
bene e non è facile da corrompere. Le informazioni che ho raccolto
non aggiungono granché. Secondo i pe egolezzi, Wylan è stato
trovato a le o con uno dei suoi prece ori.»
«Sul serio?» disse Jesper incredulo. Ha delle qualità nascoste per
davvero.
«Solo pe egolezzi. E comunque Wylan non è andato via di casa
per convivere con il suo amante.»
«E allora perché papà Van Eck l’ha bu ato fuori?»
«Non credo sia andata così. Ogni se imana Van Eck scrive a
Wylan una le era, e lui non apre neanche le buste.»
«Che cosa c’è scri o nelle le ere?»
Inej si appoggiò con cautela alla balaustra. «Stai dando per
scontato che io le legga.»
«Non lo fai?»
«Certo che lo faccio.» Poi aggro ò la fronte, ricordando. «C’è
scri a sempre la stessa cosa: “Se stai leggendo, allora sai quanto
desideri riaverti a casa”. Oppure: “Prego che tu legga queste mie
parole e ti renda conto di tu o quello che ti sei lasciato alle spalle”.»
Jesper alzò gli occhi per guardare Wylan, che stava
chiacchierando con Nina. «Il misterioso mercantuccio. Mi domando
cos’abbia fa o di così bru o Van Eck da spingere Wylan a mescolarsi
con gentaglia come noi.»
«Adesso di’ tu qualcosa a me, Jesper. Chi te lo fa fare di
partecipare a questa missione? Lo sai quant’è rischioso il colpo, e
quante sono le probabilità di tornare indietro. E va bene che ami le
sfide, ma questa è oltre, anche per te.»
Jesper fissò le onde grigie del mare che marciavano schierate
verso l’orizzonte, all’infinito. Non gli era mai piaciuto l’oceano,
quella sensazione di avere l’ignoto so o i piedi, e che ci fosse
qualcosa di affamato e pieno di denti aguzzi in a esa di trascinarti di
so o. Sensazione che ormai aveva ogni giorno, anche sulla
terraferma.
«Sono pieno di debiti, Inej.»
«Sei sempre pieno di debiti.»
«No. Questa volta è peggio. Mi sono fa o prestare dei soldi dalla
gente sbagliata. Lo sai che mio padre possiede una fa oria?»
«A Novyi Zem.»
«Sì, a ovest. Ha iniziato a guadagnare qualcosa quest’anno.»
«Oh, Jesper, dimmi che non l’hai fa o.»
«Avevo bisogno del prestito. Gli ho de o che in questo modo
posso finire gli studi.»
Lei lo fissò. «Tuo padre crede che studi?»
«È il motivo per cui sono venuto a Ke erdam. Durante la mia
prima se imana in ci à scesi allo Stave dell’Est con altri studenti.
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Puntai qualche kruge al tavolo. Fu un gesto d’impulso, una voglia
improvvisa. Neanche sapevo come si giocava alla Ruota della
Fortuna di Makker. Ma quando il croupier diede un giro alla ruota,
fu il suono più bello mai sentito prima. Vinsi, e continuai a vincere.
Fu la no e più bella della mia vita.»
«E da allora non fai altro che cercare di riviverla.»
Lui fece di sì con la testa. «Avrei dovuto rimanere in biblioteca.
Invece vinsi. E poi persi. Persi ancora. Avevo bisogno di soldi, così
iniziai a fare qualche lavore o per le bande. Una no e, due tizi mi
saltarono addosso in un vicolo. Kaz li cacciò via, e ci me emmo a
lavorare insieme.»
«Probabilmente assoldò lui quei tizi per aggredirti, così ti saresti
sentito in debito.»
«Non l’avrebbe mai fat...» Jesper si interruppe, e poi scoppiò a
ridere. «Ma certo che l’avrebbe fa o.» Si sgranchì le dita delle mani e
si mise a fissare le linee sui palmi. «Kaz è... Non lo so, è diverso da
chiunque abbia mai conosciuto. Mi stupisce sempre.»
«Sì. Come un nido di api nel casse o del comò.»
Jesper rise forte. «Esa amente.»
«E quindi cosa ci facciamo qui?»
Jesper voltò le spalle al mare, con le guance che gli sco avano.
«Puntiamo al miele, direi. E preghiamo di non essere punti.»
Inej diede un colpe o con la spalla a quella di lui. «Perlomeno
siamo in due a fare la stessa sciocchezza.»
«Io non so quale sia la tua motivazione, Spe ro. La mia è che
davanti alla sfortuna non so mai tirarmi indietro.»
Lei agganciò il braccio a quello di lui. «Questo fa di te un pessimo
giocatore, Jesper. Ma un o imo amico.»
«Tu sei troppo per lui, lo sai.»
«Lo so. E vale anche per te.»
«Camminiamo?»
«Sì» disse Inej, facendo un passo accanto a lui. «E poi mi serve che
tu distragga Nina, così posso me ermi a cercare i miei pugnali.»
«Non c’è problema. Basta portare su Helvar.» Mentre scendevano
dal lato opposto del ponte, Jesper si girò a guardare il timone. Kaz
non si era mai mosso. Li stava ancora osservando, gli occhi duri, il
viso imperscrutabile come sempre.
18
KAZ

Kaz ci mise due giorni ad avvicinare Inej, dopo l’apparizione di lei


fuori dalla cabina chirurgica. Sedeva da sola, a gambe incrociate, la
schiena contro lo scafo della nave, e sorseggiava una tazza di tè.
Kaz arrancò zoppicando da lei. «Voglio farti vedere una cosa.»
«Sto bene, grazie per avermelo chiesto» disse, guardando in su
verso di lui. «Tu come stai?»
Kaz arricciò le labbra. «Uno splendore.» In modo maldestro, si
abbassò accanto a Inej e mise il bastone di lato.
«Ti fa male la gamba?»
«È a posto. Guarda qui.» Distese tra loro il disegno che Wylan
aveva fa o del se ore della prigione. Per lo più le mappe di Wylan
mostravano la Corte di Ghiaccio dall’alto, ma quella della prigione
era una sezione trasversale che mostrava i livelli dell’edificio disposti
uno sopra l’altro.
«L’ho visto» disse Inej. Fece scorrere il dito su una linea re a, dal
seminterrato fino al te o. «Sei piani su per la canna fumaria.»
«Ce la fai?»
Lei alzò le sopracciglia scure. «Ho delle alternative?»
«No.»
«Per cui se ti dico che non posso farcela ad arrampicarmi, tu dirai
a Specht di girare la barca e riportarci a Ke erdam?»
«Troverò un altro modo» disse Kaz. «Non so quale, ma non
rinuncio a quel bo ino.»
«Lo sai che posso farcela, Kaz, e sai che non mi tirerò indietro.
Allora perché me lo chiedi?»
Perché sono due giorni che cerco una scusa per parlarti.
«Voglio essere sicuro che sai con che cosa hai a che fare, e che stai
studiando le mappe.»
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«Potrò fare una prova?»
«Sì» disse Kaz. «E se non la superi ci ritroveremo chiusi tu i
insieme in un carcere Fjerdiano.»
«Mmh» disse lei, e bevve un sorso di tè. «E io sarò morta.» Chiuse gli
occhi e appoggiò la nuca contro lo scafo. «Mi preoccupa la via di
fuga verso il porto. Non mi piace l’idea che ci sia soltanto una via
d’uscita.»
Anche Kaz si appoggiò allo scafo. «Nemmeno a me» ammise,
allungando la gamba dolorante. «Ma è per quello che i Fjerdiani
l’hanno costruita in quel modo.»
«Ti fidi di Specht?»
Kaz la guardò di so ecchi. «C’è un motivo per cui non dovrei?»
«Nient’affa o, ma se la Ferolind non dovesse aspe arci al porto...»
«Mi fido quanto basta.»
«È in debito con te?»
Kaz annuì. Si guardò a orno e poi disse: «La marina l’ha bu ato
fuori per insubordinazione rifiutandosi di pagargli la pensione. Ha
una sorella da mantenere vicino a Belendt. Gli ho fa o avere il suo
denaro».
«È stato bello da parte tua.»
Kaz ridusse gli occhi a due fessure. «Non sono il personaggio di
una favola per bambini che fa scherzi innocui e ruba ai ricchi per
dare ai poveri. C’erano soldi da fare e informazioni da o enere.
Specht conosce le ro e nautiche come le sue tasche.»
«Mai fare niente per niente, Kaz» disse lei, lo sguardo fermo. «Lo
so. Comunque, se la Ferolind venisse interce ata, non avremmo vie
d’uscita da Djerholm.»
«Vi farò uscire. Lo sai.» Dimmi che lo sai. Aveva bisogno che lei
glielo dicesse. Questo colpo non era come quelli che aveva tentato
prima. Ogni dubbio che Inej aveva sollevato era lecito, e non faceva
che riecheggiare i timori che lui aveva in testa. Prima di lasciare
Ke erdam, le aveva gridato addosso, le aveva de o che si sarebbe
trovato un altro ragno se lei pensava di non farcela. Doveva sapere
che per lei lui avrebbe potuto farcela, che per lei lui li avrebbe portati
dentro la Corte di Ghiaccio e li avrebbe riportati fuori tu i interi,
proprio com’era andata con altre bande per altri colpi. Doveva
sapere che lei credeva in lui.
Ma tu o quello che Inej disse fu: «Ho sentito dire che è stato
Pekka Rollins a spararci addosso al porto».
Kaz provò una fi a di delusione. «E con questo?»
«Non credere che non abbia notato come gli stai dietro, Kaz.»
«È solo un boss come un altro, l’ennesimo capobanda del Barile.»
«No, non è vero. Con le altre bande si tra a di affari. Ma con
Pekka Rollins è una questione personale.»
Più tardi si ritrovò a chiedersi perché mai glielo avesse de o. Non
l’aveva mai de o a nessuno, non l’aveva nemmeno mai de o ad alta
voce. Ma in quel momento tenne gli occhi fissi sulle vele sopra di
loro e annunciò: «Pekka Rollins ha ucciso mio fratello».
Non aveva bisogno di vedere la faccia di Inej per capire che era
scioccata. «Avevi un fratello?»
«Avevo un sacco di cose» mormorò lui.
«Mi dispiace.»
Aveva voluto la sua solidarietà? È per quello che gliel’aveva de o?
«Kaz...» Inej esitò. Che cosa avrebbe dovuto fare? Dargli una
pacca di incoraggiamento sul braccio? Dirgli che lo capiva?
«Pregherò per lui» commentò. «Perché trovi la pace, nell’altro
mondo se non in questo.»
Lui girò la testa. Erano seduti vicini, con le spalle che quasi si
toccavano. Gli occhi di lei erano così scuri, quasi neri, e per una volta
aveva i capelli sciolti. Li portava sempre tirati indietro in uno
chignon legato stre o. Persino l’idea di essere così vicino a qualcuno
avrebbe dovuto fargli accapponare la pelle. Invece pensò: “Cosa
succede se mi avvicino ancora di più?”.
«Non voglio le tue preghiere» disse lui.
«Che cosa vuoi, allora?»
Gli vennero in mente le solite, vecchie risposte. Soldi. Vende a. La
voce di Jordie nella mia testa che tace per sempre. Ma una risposta nuova,
diversa, ruggì dentro di lui, forte, insistente, e indesiderata. Te, Inej.
Voglio te.
Fece spallucce e si voltò dall’altra parte. «Morire seppellito so o
tu o l’oro che mi sono guadagnato.»
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Inej sospirò. «Allora pregherò che tu abbia tu o quello che
chiedi.»
«Altre preghiere?» domandò lui. «E tu cosa vuoi, Spe ro?»
«Voltare le spalle a Ke erdam e non sentire mai più il suo nome.»
Bene. Avrebbe dovuto cercarsi un altro ragno, ma si sarebbe
liberato di questa distrazione.
«Con la tua fe a di trenta milioni di kruge puoi esaudire il tuo
desiderio.» Si rimise in piedi. «Quindi usa le preghiere perché il
tempo sia buono e le guardie siano stupide. E a me, tienimi fuori.»

Kaz zoppicò verso la prua, contrariato da se stesso e arrabbiato con


Inej. Perché l’aveva cercata? Perché le aveva parlato di Jordie? Era
stato intra abile e distra o per giorni. Era abituato ad avere il
proprio Spe ro a orno – che dava da mangiare ai corvi fuori dalle
finestre, che affilava i pugnali mentre lui lavorava alla scrivania, che
lo rimproverava con i suoi proverbi Suli. Non voleva Inej. Voleva
indietro la loro routine.
Kaz si puntellò alla balaustra della nave. Desiderò non aver
rivelato niente su suo fratello. Anche quelle poche parole avevano
destato i ricordi e reclamato a enzione. Che cosa aveva de o a Geels
alla Borsa? “Io sono quel genere di bastardo che soltanto nel Barile
sono capaci di fabbricare.” Un’altra bugia, un altro pezzo di
leggenda che aveva costruito a proprio uso e consumo.
Dopo la morte del padre, finito so o un aratro con le budella
sparpagliate per il campo come un sentiero di umidi boccioli rossi,
Jordie aveva venduto la fa oria. Non per molto. I debiti e le ipoteche
si erano mangiati quasi tu o. Ma c’era rimasto abbastanza per farli
arrivare sani e salvi a Ke erdam e per mantenerli in condizioni
modeste ma confortevoli per un bel po’.
Kaz aveva nove anni, gli mancava il suo papà ed era terrorizzato
all’idea di lasciare l’unica casa in cui aveva mai abitato. Aveva tenuto
stre a la mano del fratello maggiore mentre a raversavano la
campagna dolcemente ondulata, finché raggiunsero uno dei corsi
d’acqua principali e saltarono su una bagnarola che portava prodo i
agricoli a Ke erdam.
“Cosa faremo quando saremo là?” aveva chiesto a Jordie.
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“Mi procurerò un lavoro alla Borsa come fa orino, poi come
commesso. Diventerò un azionista e poi un mercante vero e proprio,
e farò i soldi.”
“E io?”
“Tu andrai a scuola.”
“Perché tu non andrai a scuola?”
Jordie lo aveva preso in giro. “Io sono troppo vecchio per andare a
scuola. E troppo intelligente, anche.”
I primi giorni in ci à andarono come aveva promesso Jordie.
Avevano percorso tu a l’enorme ansa del porto nota come il
Coperchio, e avevano camminato lungo lo Stave dell’Est per vedere
le più grandi case da gioco. Non si erano avventurati troppo a sud
poiché erano stati avvertiti che lì le strade diventavano pericolose.
Alloggiavano in una pensione, piccola e ordinata, non lontana dalla
Borsa e assaggiavano ogni cibo che non conoscevano, ingozzandosi
fino alla nausea con le mele candite. A Kaz piacevano le bancarelle
che vendevano le fri ate dove si potevano scegliere gli ingredienti.
Tu e le ma ine, Jordie andava alla Borsa a cercare lavoro e diceva
a Kaz di restare in camera. Ke erdam non era un posto sicuro per i
bambini non accompagnati. Era piena di ladri e borseggiatori, ma
anche di uomini che rapivano i ragazzini e li vendevano al miglior
offerente. E così Kaz restava in camera. Me eva una sedia sopra il
secchio per lavarsi e vi si arrampicava sopra in modo da guardarsi
allo specchio mentre si esercitava a far sparire le monete, proprio
come aveva visto fare a un illusionista che si esibiva davanti a una
bisca. Kaz avrebbe potuto osservarlo per ore, ma dopo un po’ Jordie
l’aveva trascinato via. I trucchi con le carte erano belli, ma le monete
che sparivano lo tenevano sveglio la no e. Come aveva fa o il
mago? Un momento prima era lì, e subito dopo non c’era più.
Il disastro iniziò con un cane a molla.
Jordie era tornato a casa affamato e nervoso, demoralizzato da un
altro giorno andato a vuoto. “Dicono che non c’è lavoro, ma quello
che intendono è che non c’è lavoro per i ragazzi come me. Lì sono
tu i cugini o fratelli o figli del miglior amico di qualcuno.”
Kaz non era dell’umore giusto per tirargli su il morale. Era
annoiato per aver trascorso tu e quelle ore al chiuso, con soltanto le
p q
monete e le carte a tenergli compagnia. Voleva scendere allo Stave
dell’Est a vedere il mago.
Nel corso degli anni successivi, Kaz si sarebbe chiesto di continuo
che cosa sarebbe accaduto se Jordie non lo avesse accontentato, se in
alternativa fossero andati al porto a vedere le barche, o se
semplicemente avessero fa o una passeggiata sull’altro lato del
canale. Voleva tanto credere che avrebbe fa o la differenza, ma più
cresceva e più dubitava che avrebbe avuto la minima importanza.
Erano passati davanti allo sfarzo verde del Palazzo di Smeraldo, e
proprio sul portone successivo, di fronte al Colpo d’Oro, c’era un
ragazzo che vendeva cagnolini meccanici. I gioca oli venivano
caricati da una chiave di bronzo e camminavano sulle gambe rigide,
sba endo le orecchie di la a. Kaz si era accucciato a terra e aveva
girato tu e le chiavi per provare a far camminare i cani insieme, e il
giovane venditore ambulante aveva a accato bo one con Jordie.
Venne fuori che era di Lij, un posto ad appena due ci à di distanza
da dove erano cresciuti Kaz e Jordie, e che conosceva un uomo alla
ricerca di fa orini: non alla Borsa, ma in un ufficio proprio in fondo
alla strada. Jordie si sarebbe dovuto presentare la ma ina dopo,
disse il ragazzo, e avrebbero potuto andare insieme a farci due
chiacchiere. Anche lui sperava di trovare lavoro come fa orino.
Sulla strada verso casa, Jordie aveva comprato una cioccolata
calda per entrambi, non una da dividere come al solito.
“La fortuna sta girando” aveva de o mentre me evano le mani
a orno alle tazze fumanti, i piedi che penzolavano giù da un
ponticello, le luci dello Stave che facevano i loro giochi sull’acqua.
Kaz aveva guardato la loro immagine riflessa sulla superficie
brillante del canale e aveva pensato: “Io mi sento fortunato adesso”.
Il ragazzo che vendeva i cagnolini meccanici si chiamava Filip, e
l’uomo che conosceva si chiamava Jakob Her oon, un piccolo
commerciante che possedeva una caffe eria vicino alla Borsa, nella
quale organizzava incontri tra investitori di basso profilo per
dividersi le partecipazioni nei viaggi commerciali che passavano da
Kerch.
“Dovresti vedere quel posto” si era vantato Jordie con Kaz, dopo
essere arrivato a casa tardi quella sera. “C’è gente a tu e le ore,
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parlano e si scambiano notizie, comprano e vendono azioni e
contra i, gente qualunque, macellai e fornai e scaricatori di porto. Il
signor Her oon dice che ogni uomo può diventare ricco. Tu o
quello che gli serve è un po’ di fortuna, e gli amici giusti.”
La se imana successiva fu come un bellissimo sogno. Jordie e
Filip lavoravano per il signor Her oon come fa orini, portando
messaggi avanti e indietro dal molo e di tanto in tanto effe uando
delle commesse per lui alla Borsa e in altri uffici commerciali. Mentre
loro erano impegnati, Kaz aveva il permesso di stare nella caffe eria.
L’uomo che riempiva i bicchieri da dietro il bancone del bar lo
lasciava sedere alla cassa a fare pratica con i trucchi da prestigiatore,
e gli dava tu a la cioccolata calda che riusciva a trangugiare.
Furono invitati a casa Her oon per cena, una dimora imponente
sulla Zelverstraat con un portone blu e tende di pizzo bianco alle
finestre. Il signor Her oon era un omone dalla faccia rubiconda e
amichevole, con le base e grigie e spesse. Sua moglie, Margit,
pizzicò le guance di Kaz e gli diede da mangiare l’hutspot con la
salsiccia affumicata, e lui giocò in cucina con Saskia, la loro figlia.
Aveva dieci anni, ed era la ragazza più bella che Kaz avesse mai
visto. Lui e Jordie rimasero fino a tarda no e a cantare mentre
Margit suonava il pianoforte e il loro grosso cane grigio sba eva la
coda a un ritmo mogio. Kaz non si era mai sentito meglio da quando
il padre era morto. Il signor Her oon aveva anche lasciato che Jordie
investisse piccole somme di denaro nelle azioni della compagnia.
Jordie voleva investire di più, ma il signor Her oon gli consigliava
sempre prudenza. “Non facciamo passi più lunghi della gamba,
giovano o.”
Le cose andarono persino meglio quando l’amico del signor
Her oon tornò da Novyi Zem. Faceva il capitano sulla nave di un
mercante, e pareva che avesse incrociato il proprio cammino con
quello di un produ ore di zucchero nel porto di Zemeni.
L’agricoltore era ubriaco e si lamentava perché i suoi campi, e quelli
dei suoi vicini, erano stati allagati. Al momento il prezzo dello
zucchero era basso, ma appena si fosse scoperto quanto sarebbe stato
difficile procurarselo nei mesi a venire, i prezzi sarebbero schizzati
alle stelle. L’amico del signor Her oon aveva intenzione di comprare
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tu o lo zucchero possibile prima che la notizia arrivasse a
Ke erdam.
“Sembrano chiacchiere” aveva sussurrato Kaz a Jordie.
“Non sono chiacchiere” aveva sbuffato il fratello. “Sono buoni
affari. E come farebbero le persone qualunque a farsi strada nel
mondo senza un piccolo aiuto extra?”
Il signor Her oon aveva de o a Jordie e a Filip di effe uare le
commesse in tre uffici commerciali diversi per evitare che un
acquisto troppo grosso a irasse a enzioni indesiderate. Le notizie
del raccolto andato a male arrivarono e i ragazzi, seduti in caffe eria,
avevano visto i prezzi dello zucchero salire sulla lavagna e contenuto
a stento la gioia.
Quando il signor Her oon ritenne che le azioni non potevano
salire più di così, mandò Jordie e Filip a venderle e a riscuotere gli
interessi. Tornati alla caffe eria, il signor Her oon aveva consegnato
loro la parte di guadagno che gli spe ava prendendola dire amente
dalla cassaforte.
“Che cosa ti ho de o?” aveva chiesto Jordie a Kaz mentre si
addentravano nella no e di Ke erdam. “Fortuna e buoni amici!”
Solo pochi giorni dopo, il signor Her oon aveva raccontato di
aver ricevuto un’altra dri a da un amico che faceva il capitano, e che
aveva sentito una storia simile su un carico imminente di jurda.
“Quest’anno le piogge fanno danni ovunque” aveva de o il signor
Her oon. “Però adesso non sono andati distru i soltanto i campi,
ma anche i depositi sulle banchine a Eames. Ci saranno da fare dei
gran bei soldi, e io ho intenzione di andarci giù pesante.”
“Anche noi, allora” aveva de o Filip.
Il signor Her oon si era accigliato. “Questa volta temo di no,
ragazzi. L’investimento minimo è troppo alto. Ma ci saranno altri
affari da fare!”
Filip si era infuriato. Aveva strillato contro il signor Her oon, gli
aveva de o che non era giusto. Disse che era come tu i gli altri
mercanti della Borsa, che voleva essere ricco solo lui, e lo aveva
chiamato in modi che avevano messo Kaz in imbarazzo. Quando se
ne andò sba endo la porta, tu i nella caffe eria avevano fissato la
faccia rossa e mortificata del signor Her oon.
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Era tornato nel suo ufficio ed era sprofondato nella sua poltrona.
“Io... non posso farci niente se le cose funzionano così. Quelli che
gestiscono la vendita vogliono solo grossi investitori, gente che possa
affrontare il rischio.”
Jordie e Kaz erano rimasti lì in piedi, senza sapere cosa fare.
“Anche voi siete arrabbiati con me?” aveva domandato il signor
Her oon.
Certo che no, avevano assicurato loro. Era Filip quello ingiusto.
“Capisco perché è arrabbiato” aveva de o il signor Her oon.
“Opportunità come questa non arrivano spesso, ma non c’è niente
che io possa fare.”
“Io ho del denaro” aveva de o Jordie.
Il signor Her oon aveva fa o un sorriso accondiscendente.
“Jordie, sei un bravo giovano o, e non ho dubbi che un giorno sarai
un re della Borsa, ma non hai il capitale richiesto da questi
investitori.”
Jordie aveva sollevato il mento. “Ce l’ho. Viene dalla vendita della
fa oria di mio padre.”
“E immagino che sia tu o quello che tu e Kaz avete per vivere.
Non lo si me e a rischio in un investimento, non importa quanto
siano sicuri i profi i. Un bambino della tua età non può...”
“Non sono un bambino. Se è un’opportunità, voglio coglierla.”
Kaz si sarebbe ricordato per sempre di quel momento, quello in
cui aveva visto l’avidità prendere possesso di suo fratello, una mano
invisibile che lo spingeva avanti, la musa al lavoro.
Ce n’era voluto, per persuadere il signor Her oon. Erano tornati
tu i alla casa sulla Zelverstraat e discusso della faccenda fino a no e
fonda. Kaz si era addormentato con la testa sul fianco del cane grigio
e il nastro rosso di Saskia stre o in mano.
Quando Jordie alla fine lo svegliò, le candele erano spente ed era
già ma ina. Il signor Her oon aveva chiesto al proprio socio in
affari di venire a firmare un contra o per un prestito da parte di
Jordie. Per via della sua età, Jordie avrebbe prestato il denaro al
signor Her oon, e lui l’avrebbe investito. Margit servì il tè con il
la e, e pancake caldi con marmellata e panna acida. Poi erano andati
tu i alla banca dove erano depositati i soldi ricavati dalla vendita
della fa oria e Jordie firmò il trasferimento di proprietà.
Il signor Her oon insiste e per riaccompagnarli alla pensione, e
sulla porta li abbracciò. Consegnò il contra o del prestito a Jordie e
gli consigliò di me erlo al sicuro. “Ora, Jordie” aveva de o, “le
probabilità che questo affare vada male sono poche, ma pur sempre
ci sono. Nel caso, conto su di te e sul fa o che non userai quel
documento per ritirare il tuo prestito. Dobbiamo assumerci il rischio
in due. Io mi sto fidando di te.”
Jordie era raggiante. “Un pa o è un pa o.”
“Un pa o è un pa o” aveva ripetuto orgogliosamente il signor
Her oon, e si strinsero la mano come dei mercanti veri e propri. Il
signor Her oon porse a Jordie un sacche ino di kruge. “Per
festeggiare con una bella cena. Torna alla caffe eria fra una
se imana, e insieme guarderemo i prezzi salire.”
Quella se imana avevano giocato a ridderspel e a spijker nelle sale
giochi del Coperchio. Avevano comprato un cappo o nuovo per
Jordie e per Kaz un paio di stivali di pelle morbida. Avevano
mangiato cialde e patatine fri e, e Jordie aveva acquistato tu i i
romanzi che desiderava in una libreria sulla Wijnstraat. Quando la
se imana volse al termine, si incamminarono mano nella mano
verso la caffe eria.
Era vuota. La porta d’ingresso era chiusa a chiave e sprangata.
Quando schiacciarono i visi sulle vetrine scure, videro che era
sparito tu o – i tavoli, le sedie, i grossi vasi di rame e la lavagna
dove venivano segnate le cifre relative alle transazioni del giorno.
“Abbiamo sbagliato negozio?” aveva domandato Kaz.
Ma sapevano di non aver sbagliato. In un silenzio carico di
tensione, si avviarono verso la casa sulla Zelverstraat. Quando
bussarono al portone blu, nessuno rispose.
“Sono solo andati via per un po’” aveva de o Jordie. Aspe arono
sugli scalini per ore, finché il sole cominciò a scendere. Non entrò e
non uscì nessuno. Nessuna candela illuminò le finestre.
Alla fine, Jordie si fece coraggio e andò a bussare alla porta dei
vicini. “Sì?” aveva de o la domestica che venne ad aprire, nella sua
piccola cuffia bianca.
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“Lei sa dov’è andata la famiglia che abita alla porta accanto? Gli
Her oon?”
La domestica aggro ò le sopracciglia. “Erano solo in visita, per un
breve periodo, da Zierfoort.”
“No” aveva de o Jordie. “Vivono qui da anni. Loro...”
La domestica scrollò la testa. “La casa è rimasta vuota per circa un
anno dopo che l’ultima famiglia se ne andò. È stata affi ata solo
poche se imane fa.”
“Ma...”
Lei gli aveva chiuso la porta in faccia.
Kaz e Jordie non si dissero niente, né sulla via verso casa né
quando salirono le scale della pensione che portavano alla loro
camera. Rimasero seduti a lungo nell’oscurità crescente. Dal canale
di so o arrivavano flu uando le voci delle persone che erano in giro
a sbrigare i loro affari no urni.
“Gli è successo qualcosa” aveva de o Jordie alla fine. “C’è stato
un incidente o un’emergenza. Ci scriverà presto. Ci manderà a
prendere.”
Quella no e, Kaz tirò fuori il nastro rosso di Saskia da so o il
cuscino. Lo arrotolò con cura in una spirale e lo strinse forte nel
palmo della mano. Era sdraiato a le o e cercava di pregare, ma tu o
quello a cui riusciva a pensare era la moneta dell’illusionista, che un
momento c’era e il momento dopo non c’era più.
19
MATTHIAS

Era troppo per lui. Non aveva previsto quanto sarebbe stato difficile
rivedere la propria patria per la prima volta dopo così tanto tempo.
Aveva avuto più di una se imana a bordo della Ferolind per
prepararsi, ma la mente era stata occupata dal pensiero del sentiero
che aveva intrapreso, da Nina, dalla magia malvagia che lo aveva
tolto dalla prigione e messo su una barca spedita a tu a velocità a
nord so o un cielo sconfinato, ancora legato non solo dalle catene,
ma anche dal peso di quello che era in procinto di fare. Avvistò per
la prima volta la costa se entrionale nel pomeriggio inoltrato, ma
Specht decise di aspe are fino al tramonto per approdare sulla
terraferma, nella speranza che il crepuscolo concedesse loro un po’
di copertura. Si vedevano villaggi di cacciatori di balene lungo la
costa, e nessuno era impaziente di farsi notare. Nonostante il
travestimento da cacciatori di pellicce, gli Scarti davano comunque
nell’occhio.
Passarono la no e sulla barca. All’alba del giorno dopo, Nina
trovò Ma hias intento a montare l’a rezzatura invernale che Jesper e
Inej avevano distribuito. Ma hias era impressionato dalla capacità di
recupero di Inej. Benché avesse ancora dei cerchi scuri so o gli occhi,
non si muoveva in modo rigido, e se aveva dei dolori li mascherava
bene.
Nina gli mostrò una chiave. «Kaz mi ha mandata a toglierti le
catene.»
«Me le rime erai di no e?»
«Spe a a Kaz deciderlo. E a te, suppongo. Siediti.»
«Basta che tu mi dia la chiave.»
Nina si schiarì la gola. «Vuole anche che ti modifichi.»
«Cosa? Perché?» L’idea che Nina cambiasse il suo aspe o con la
stregoneria gli era intollerabile.
«Siamo a Fjerda ora. Kaz vuole che tu sembri un po’ meno... un
po’ meno te stesso, non si sa mai.»
«Hai idea di quanto è grande questo paese? Le probabilità che...»
«Le probabilità che tu venga riconosciuto saranno
considerevolmente più alte alla Corte di Ghiaccio, e io non riesco a
fare modifiche al tuo aspe o tu e in una volta.»
«Perché?»
«Non sono una Plasmaforme così brava. Ormai fa parte
dell’addestramento di tu i i Corporalki, ma io non ci sono portata.»
Ma hias fece un verso.
«Che cosa c’è?» domandò lei.
«Non ti ho mai sentita amme ere che non sei brava in qualcosa.»
«Sai com’è, succede così raramente.»
Si rese conto con orrore che le labbra gli si stavano aprendo in un
sorriso, ma non fece fatica a reprimerlo pensando alla propria faccia
ritoccata. «Cosa ti ha chiesto di farmi Brekker?»
«Niente di radicale. Cambierò il colore degli occhi, i capelli...
quelli che ti restano. Non sarà permanente.»
«Non voglio.» Non ti voglio vicina a me.
«Non ci vorrà molto, e non ti farà male, ma se preferisci
discuterne con Kaz...»
«Come non de o» disse lui, preparandosi. Era inutile discutere
con Brekker, non quando poteva semplicemente deriderlo con la
promessa della grazia. Ma hias sollevò un secchio, lo capovolse e ci
si sede e sopra. «Ora posso avere la chiave?»
Nina gliela porse e lui si liberò i polsi mentre lei si mise a
rovistare nel cofane o che aveva portato con sé. Aveva una maniglia
e tanti casse ini pieni di polveri e di pigmenti. Nina tirò fuori da un
casse o un bara olo che conteneva qualcosa di nero.
«Che cos’è?»
«Antimonio.» Fece un passo verso di lui e gli spinse indietro il
mento con la punta dell’indice. «Rilassa la mascella, Ma hias. O ti
sbriciolerai tu i i denti per niente.»
Lui incrociò le braccia.
Nina iniziò a far cadere un po’ di antimonio sul cuoio capelluto di
lui e fece un sospiro sconsolato. «Perché il prode drüskelle Ma hias
Helvar non mangia la carne?» domandò in tono melodrammatico
mentre si dava da fare. «Questa è una storia triste davvero, bambino
mio. Una Grisha ca iva gli ha estra o tu i i denti, e ora può
mangiare solo budino.»
«Finiscila» brontolò lui.
«Di fare cosa? Tieni la testa inclinata all’indietro.»
«Che cosa stai facendo?»
«Ti sto scurendo ciglia e sopracciglia. Quello che fanno le ragazze
prima di andare alle feste.» Lui doveva aver fa o una smorfia perché
lei scoppiò a ridere. «Guarda che faccia che hai!»
Nina si sporse in avanti e i suoi capelli castani e ondulati gli
sfiorarono le guance intanto che l’antimonio gli colava sulle
sopracciglia. La mano di lei gli circondò la guancia.
«Chiudi gli occhi» sussurrò. Gli passò i pollici sulle ciglia, e lui si
rese conto che stava tra enendo il respiro.
«Non sai più di rosa» disse lui, poi desiderò prendersi a calci da
solo. Non avrebbe dovuto fare a enzione al profumo di Nina.
«Più probabile che sappia di acqua di sentina.»
No, aveva un buon profumo, dolce come... «Caramelle al la e?»
Lei spostò lo sguardo con fare colpevole. «Kaz ha de o di me ere
in valigia quello che ci serviva per il viaggio. Una ragazza deve pur
mangiare.» Si mise la mano in tasca ed estrasse un sacche o di
caramelle. «Ne vuoi una?»
Sì. «No.»
Lei fece spallucce e se ne infilò una in bocca. Rovesciò gli occhi e
sospirò felice. «Che buona.»
Era umiliante, ma avrebbe potuto guardarla mangiare per ore. Era
una delle cose che gli piacevano di più di Nina: lei gustava tu o, che
fosse una caramella o l’acqua fredda di un ruscello o la carne di
renna essiccata.
«E adesso gli occhi» disse lei con la caramella in bocca mentre
estraeva una bo iglie a dal suo cofane o. «Devi tenerli aperti.»
«Che cos’è quella roba?» chiese lui nervosamente.
«Una tintura realizzata da una Grisha che si chiama Genya Safin.
È il modo più sicuro per cambiare il colore degli occhi.»
Nina si sporse in avanti un’altra volta. Aveva le guance rosa per il
freddo e la bocca leggermente aperta. Le sue labbra erano a pochi
pollici da quelle di lui. Se Ma hias si fosse messo a sedere più dri o,
si sarebbero baciati.
«Devi guardare verso di me» gli spiegò lei.
Lo sto facendo. Lui spostò gli occhi su di lei. “Ti ricordi di questa
costa, Nina?” voleva chiederle, sebbene lei dovesse ricordarsela per
forza.
«Di che colore me li fai?»
«Sssh. Questo è difficile.» Applicò qualche goccia sulla punta
delle dita e le avvicinò agli occhi di Ma hias.
«Perché non le me i dentro e basta?»
«Perché non la sme i di parlare? Vuoi che ti accechi?»
Lui si zi ì.
Alla fine Nina si ritrasse, lasciando vagare lo sguardo sui
lineamenti di lui. «Marroncini» disse. Poi gli fece l’occhiolino.
«Come le caramelle al la e.»
«Cosa hai intenzione di fare a proposito di Bo Yul-Bayur?»
Lei si raddrizzò e si allontanò, l’espressione di chi sta per
chiudersi in se stesso. «Che cosa vuoi dire?»
Gli dispiacque veder sparire la Nina disinvolta di poco prima, ma
non aveva importanza. Si girò a guardare che nessuno stesse
ascoltando. «Sai perfe amente cosa voglio dire. Non ci credo
neanche per un secondo che perme erai a questa gentaglia di
consegnare Bo Yul-Bayur al Consiglio dei Mercanti di Kerch.»
Lei rimise la bo iglie a in uno dei casse ini. «Per fissare il colore
dovremo ripetere l’operazione almeno altre due volte prima di
arrivare alla Corte di Ghiaccio. Raccogli le tue cose. Kaz ci vuole
pronti a sbarcare allo scoccare dell’ora.» Fece sca are il coperchio del
cofane o e raccolse le catene. Quindi si dileguò.

Ora che salutarono l’equipaggio della barca, da rosa il cielo era


diventato d’oro.
«Ci vediamo nel porto di Djerholm» urlò Specht. «Nessun
rimpianto.»
«Nessun funerale» replicarono gli altri. Strana gente.
Con sua grande frustrazione, Brekker aveva tenuto la bocca cucita
a proposito di come, esa amente, avrebbero raggiunto Bo Yul-Bayur
e di come, poi, sarebbero usciti dalla Corte di Ghiaccio con lo
scienziato al seguito, ma su una cosa era stato chiaro: una volta
messe le mani sull’obie ivo, la Ferolind sarebbe stata la via di fuga.
La gole a era provvista dei documenti con i sigilli di Kerch, sui
quali c’era scri o che erano state pagate le imposte ed erano state
presentate tu e le domande da parte dei rappresentanti della
Compagnia della Baia Haanraadt per trasportare pellicce e altre
merci da Fjerda a Zierfoort, una ci à portuale nella parte
meridionale di Kerch.
Il gruppo si mise in marcia per risalire dalla costa rocciosa al
fianco della scogliera. La primavera era in arrivo, ma il ghiaccio a
terra era ancora spesso, ed era una salita tosta. Quando raggiunsero
la cima della scogliera, si fermarono a riprendere fiato. La Ferolind
era ancora visibile all’orizzonte, le vele gonfiate dallo stesso vento
che frustava le loro facce.
«Santi numi» disse Inej. «Lo stiamo facendo veramente.»
«Ho passato ogni minuto di ogni orrido giorno a desiderare di
scendere da quella barca» disse Jesper. «Allora perché
improvvisamente mi manca?»
Wylan pestò i piedi dentro gli stivali. «Forse perché abbiamo già i
piedi congelati.»
«Quando avremo i nostri soldi, potrete bruciare le kruge per
scaldarvi» disse Kaz. «Andiamo.» Aveva lasciato il bastone con la
testa di corvo a bordo della Ferolind e l’aveva rimpiazzato con una
canna da passeggio meno appariscente. Jesper aveva rinunciato, con
la faccia da funerale, alle sue pregiate rivoltelle con i manici di perla
a favore di un paio di pistole anonime, senza decorazioni, e Inej
aveva fa o lo stesso con il suo set di pugnali e stile i, tenendosi solo
quelli dai quali avrebbe sopportato di separarsi quando fossero
entrati nella prigione. Scelte pragmatiche, ma Ma hias sapeva bene
che anche i talismani avevano il loro potere.
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Jesper consultò la bussola e il gruppo girò a sud, alla ricerca di un
sentiero che li avrebbe portati alla strada principale. «Io pagherò
qualcuno per bruciare le kruge al posto mio.»
Kaz prese a camminargli accanto. «Perché non paghi qualcuno
che paghi qualcuno per bruciare le kruge al posto tuo? È così che
fanno i pezzi grossi.»
«Lo sai come fanno i pezzi veramente grossi? Pagano qualcuno
che paghi qualcuno che paghi...»
Le loro voci si affievolirono a mano a mano che avanzavano, con
Ma hias e gli altri che li seguivano. Ma il Fjerdiano notò una cosa:
ciascuno di loro si lanciò un’ultima occhiata alle spalle, verso la
Ferolind che si andava dileguando. La gole a faceva parte di Kerch,
era un pezze o di casa loro, l’ultima cosa familiare, e ogni istante
che passava era sempre più lontana.
Ma hias provò un po’ di compassione, ma mentre la ma ina li
guardava procedere dove e amme ere che gli faceva piacere vedere
i ra i dei canali, per una volta, rabbrividire e muoversi con fatica.
Pensavano di sapere cosa fosse il freddo, ma il bianco Nord
costringeva gli stranieri a riconsiderare il loro punto di vista. Gli
Scarti inciampavano e barcollavano, impacciati nei loro stivali nuovi,
sforzandosi di capire quale fosse il trucco per camminare nella neve
così dura, e presto Ma hias si ritrovò alla guida del gruppo, a
segnare il passo, anche se Jesper continuava a tenere d’occhio la
bussola.
«Me iti gli...» Ma hias si interruppe e dove e indicare Wylan.
Non sapeva come si dicesse “occhiali” in Kerch, e nemmeno “neve”,
del resto. Non erano parole utili in prigione. «Scherma gli occhi, o
potresti danneggiarli in modo permanente.» Gli uomini diventavano
ciechi nel profondo Nord; perdevano labbra, orecchie, nasi, mani e
piedi. La terra era brulla e crudele, e la maggior parte delle persone
ci vedeva solo quello. Ma per Ma hias era bellissima. Il ghiaccio
mostrava lo spirito di Djel. Aveva un colore e una forma e anche un
profumo, se si sapeva cercarlo.
Ma hias avanzava, sentendosi in pace, come se qui Djel potesse
sentirlo e alleviare la sua mente turbata. Il ghiaccio faceva affiorare i
ricordi d’infanzia a caccia con il padre. Vivevano più a sud, vicino a
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Halmhend, ma in inverno quella zona di Fjerda non era molto
diversa da questa, un mondo bianco e grigio, spezzato da bosche i
di alberi neri e flessuosi e grappoli di rocce aguzze che sembravano
essere sbucate dal nulla, come reli i sul fondo nudo dell’oceano.
Il primo giorno di cammino fu purificante: chiacchiere e il bianco
silenzio del Nord che dava il bentornato a Ma hias senza giudicarlo.
Si era aspe ato più lamentele, ma persino Wylan si era limitato ad
abbassare la testa e camminare. “Sono tu i dei sopravvissuti” si rese
conto Ma hias. “Sanno ada arsi.” Quando il sole andò giù,
mangiarono la loro razione di galle e e carne essiccata e crollarono
nelle tende senza una parola.
Ma la ma ina dopo segnò la fine della sua taciturna e fragile
sensazione di pace. Ora che erano smontati dalla nave e lontani
dall’equipaggio, Kaz era pronto a inoltrarsi nei de agli del piano.
«Se facciamo tu o giusto, entreremo e usciremo dalla Corte di
Ghiaccio prima ancora che i Fjerdiani si accorgano che il loro
prezioso scienziato è sparito» disse Kaz mentre si rime evano gli
zaini in spalla e riprendevano a puntare verso sud. «Quando
entreremo nella prigione, saremo portati nell’area di smistamento
so o il braccio delle celle maschili e femminili in a esa dei nostri
capi d’accusa. Se Ma hias ha ragione e le procedure sono rimaste le
stesse, la ronda passerà davanti alle celle di detenzione preventiva
tre volte al giorno per fare la conta delle teste. Una volta fuori da lì,
dovremmo avere almeno sei ore per a raversare l’ambasciata,
localizzare Yul-Bayur sull’Isola Bianca e farlo arrivare giù al porto
prima che si rendano conto che qualcuno è sparito.»
«E cosa mi dici degli altri prigionieri in a esa nelle celle di
detenzione?» domandò Ma hias.
«Abbiamo un piano.»
Ma hias si accigliò, ma non fu particolarmente sorpreso. Una
volta in prigione, Kaz e gli altri sarebbero stati estremamente
vulnerabili. A Ma hias sarebbe bastato dire una parola alle guardie
per me ere fine a tu e le loro trame. È quello che avrebbe fa o
Brum, la decisione che avrebbe preso un uomo d’onore. Una parte di
Ma hias aveva creduto che tornare a Fjerda l’avrebbe fa o rinsavire,
che gli avrebbe dato la forza di rinunciare a questo proge o folle;
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invece aveva solo reso più acuta la nostalgia di casa, e della vita che
aveva condo o con i suoi fratelli drüskelle.
«Dopo che saremo usciti dalle celle» continuò Kaz «Ma hias e
Jesper si procureranno delle corde dalle stalle mentre io e Wylan
faremo uscire Nina e Inej dal braccio femminile. Ci ritroveremo nel
seminterrato. È lì che c’è l’inceneritore, e dopo che la prigione avrà
chiuso per la no e non ci dovrebbe essere nessuno nella lavanderia.
Mentre Inej si arrampicherà, io e Wylan passeremo al setaccio la
lavanderia alla ricerca di materiale esplosivo. E nel caso in cui i
Fjerdiani avessero deciso di rinchiudere Bo Yul-Bayur nella prigione
e facilitarci la vita, Nina, Ma hias e Jesper ispezioneranno le celle al
piano superiore.
«Nina e Ma hias?» domandò Jesper. «Lungi da me dubitare della
professionalità di ognuno di noi, ma ti sembra l’abbinamento
ideale?»
Ma hias ingoiò la rabbia. Jesper aveva ragione, ma detestava che
si dubitasse di lui in quel modo.
«Ma hias sa quali sono le procedure della prigione, e Nina può
sistemare le guardie senza far rumore. Il tuo compito è impedire che
si ammazzino a vicenda.»
«Perché sono il diplomatico del gruppo?»
«Non c’è nessun diplomatico nel gruppo. Ora ascoltate» disse
Kaz. «Il resto della prigione non è come l’area di smistamento. Le
guardie che fanno la ronda nel braccio delle celle si alternano ogni
due ore, e noi non vogliamo correre il rischio che qualcuno suoni
l’allarme, quindi fate a enzione. Coordiniamoci in base ai rintocchi
dell’Orologio Maggiore. Saremo fuori dalle celle subito dopo i sei
rintocchi, saremo su per l’inceneritore e sopra il te o entro gli o o
rintocchi. Nessuna eccezione.»
«E poi?» chiese Wylan.
«A raversiamo il te o del se ore dell’ambasciata e da lì
raggiungiamo il ponte di vetro.»
«Ci ritroveremo al di là dei posti di blocco» disse Ma hias, che
non riuscì a non far trapelare nella voce un accenno di ammirazione.
«Le guardie sul ponte daranno per scontato che siamo passati dal
cancello dell’ambasciata e che i nostri documenti sono stati
controllati lì.»
Wylan aggro ò la fronte, dubbioso. «Vestiti con la divisa della
prigione?»
«Fase numero due» disse Jesper. «L’imbroglio.»
«Giusto» convenne Kaz. «Io, Inej, Nina e Ma hias prendiamo in
prestito i vestiti di qualche delegato, e qualcosina in più per quando
troviamo il nostro amico Bo Yul-Bayur, e ci facciamo una
passeggiata sul ponte di vetro. Recuperiamo Yul-Bayur e lo
riportiamo all’ambasciata. Nina, se c’è tempo, tu gli cambierai i
connotati il più possibile, ma solo fino a quando non sca a un
allarme, tanto nessuno noterà uno Shu in più tra gli ospiti.»
A meno che Ma hias non fosse riuscito ad arrivare per primo allo
scienziato. Se gli altri lo avessero trovato già morto, Kaz non avrebbe
potuto prendersela con lui. E lui avrebbe avuto comunque la propria
grazia. E se non fosse mai riuscito a separarsi dal gruppo? A Yul-
Bayur sarebbe potuto capitare un incidente di bordo durante il
viaggio di ritorno.
«Insomma, quello che ho capito io» disse Jesper «è che sono
incollato a Wylan.»
«A meno che tu non abbia acquisito all’improvviso una
conoscenza enciclopedica dell’Isola Bianca, l’abilità di scassinare
serrature, di scalare pareti inscalabili o di farti spifferare
informazioni stre amente confidenziali dagli ufficiali di alto rango,
sì. Inoltre, voglio qua ro mani a fabbricare bombe.»
Jesper guardò desolato le proprie pistole. «Un potenziale simile
sprecato.»
Nina incrociò le braccia. «Me iamo che niente vada storto. Come
usciamo?»
«Camminando» rispose Kaz. «È questo il bello del piano. Ricordi
cos’ho de o, a proposito del guidare dove si vuole l’a enzione di chi
guarda? Al cancello dell’ambasciata tu i gli sguardi saranno puntati
sugli ospiti che entrano nella Corte di Ghiaccio. Le persone che
escono non sono un rischio per la sicurezza.»
«E allora a cosa servono le bombe?» domandò Wylan.
«Precauzione. Ci sono se e miglia di strada tra la Corte di
Ghiaccio e il porto. Se qualcuno si dovesse accorgere che Bo Yul-
Bayur è scomparso, dovremo percorrerle di corsa.» Kaz tracciò una
linea nella neve con il bastone. «La strada principale incrocia un
burrone. Se facciamo saltare il ponte, nessuno potrà inseguirci.»
Ma hias si prese la testa tra le mani, al pensiero dello scompiglio
che queste creature inferiori erano in procinto di scatenare nella
capitale del suo paese.
«Si tra a di un prigioniero solo, Helvar» disse Kaz.
«E di un ponte» intervenne opportunamente Wylan.
«E di tu o quello che ci tocca far saltare in aria nel fra empo»
aggiunse Jesper.
«State zi i, tu i» ringhiò Ma hias.
Jesper alzò le spalle. «Fjerdiani.»
«Non mi piace niente di tu o questo» disse Nina.
Kaz alzò un sopracciglio. «Be’, almeno tu e Helvar avete trovato
qualcosa su cui siete d’accordo.»

A mano a mano che si spostavano verso sud, la costa spariva e il


ghiaccio sempre più spesso era intervallato da squarci di foreste,
assaggi di terra nera e tracce di animali, prove che il mondo era vivo,
che il cuore di Djel ba eva sempre. Le domande degli altri non
finivano mai.
«Quante torri di guardia ci sono sull’Isola Bianca?»
«Pensi che Yul-Bayur sia nel palazzo?»
«Ci sono delle caserme sull’Isola Bianca. Che cosa facciamo se è in
una delle caserme?»
Jesper e Wylan discutevano di esplosivi, quali avrebbero potuto
assemblare partendo dai materiali a disposizione nella lavanderia
della prigione, e si domandavano se sarebbero riusciti a me ere le
mani su un po’ di polvere da sparo nel se ore dell’ambasciata. Nina
cercava di aiutare Inej a calcolare la velocità con cui avrebbe dovuto
scalare la canna fumaria dell’inceneritore per avere il tempo
sufficiente ad assicurare le funi e far arrivare tu i in cima.
Si pungolavano di continuo l’un l’altro con domande
sull’archite ura e le procedure della Corte, sulla disposizione delle
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tre portinerie nelle mura ad anello, ciascuna delle quali era costruita
a orno a un cortile.
«Il primo posto di blocco?»
«Qua ro guardie.»
«Il secondo posto di blocco?»
«O o guardie.»
«I cancelli delle mura ad anello?»
«Qua ro, quando i cancelli non sono in funzione.»
Erano come un esasperante stormo di cornacchie, che
gracchiavano nelle orecchie di Ma hias: “Traditore, traditore,
traditore”.
«Protocollo giallo?» domandava Kaz.
«Disordini nel se ore» rispondeva Inej.
«Protocollo rosso?»
«Violazione del se ore.»
«Protocollo nero?»
«Siamo tu i spacciati?» rispose Jesper.
«Direi che può bastare» disse Ma hias, stringendosi il cappuccio e
arrancando avanti. Gli avevano anche fa o riprodurre la successione
dei rintocchi delle campane. Era necessario, ma si era sentito un
cretino mentre canticchiava: «Bing bong bing bing bong. No, aspe ate,
bing bing bong bing bing».
«Quando sarò ricco» disse Jesper dietro di lui «andrò in un posto
dove non mi toccherà mai più vedere dell’altra neve. E tu, Wylan?»
«Non lo so esa amente.»
«Secondo me dovresti comprarti un pianoforte d’oro.»
«Un flauto.»
«E tenere dei concerti su una nave da crociera. Puoi ancorarla nel
canale proprio davanti alla casa di tuo padre.»
«Nina può fare la cantante» si inserì nella conversazione Inej.
«Faremo un due o» corresse il tiro Nina. «Tuo padre sarà
costre o a traslocare.»
Nina faceva schifo a cantare. Ma hias detestava l’idea di saperlo,
ma non poté fare a meno di guardare dietro di sé. Il cappuccio le era
ricaduto sulle spalle e i fi i capelli mossi le sbucavano dal colle o.
“Perché continuo a fare così?” pensò lui in un impeto di
frustrazione. Era successo anche a bordo della nave. Si diceva tra sé e
sé di ignorarla, e subito dopo la cercava con gli occhi.
Ma era assurdo fare finta di non pensare a lei. Avevano percorso a
piedi questa stessa terra insieme. Se i suoi calcoli erano esa i, erano
stati trascinati a riva ad appena poche miglia di distanza da dove
aveva approdato la Ferolind. Tu o era cominciato con una tempesta,
e in un certo senso quella tempesta non era mai finita. Nina era stata
soffiata dentro la sua vita insieme al vento e alla pioggia e aveva
fa o ruotare il suo mondo. Da allora, lui non aveva più ritrovato un
equilibrio.

La tempesta era comparsa dal nulla, scuotendo la nave sulle onde


come se fosse un gioca olo. Il mare era andato avanti a trastullarsi
finché non si era stancato, e a quel punto aveva trascinato la barca
so ’acqua, in un groviglio di cime e vele e uomini urlanti.
Le ultime cose che Ma hias si ricordava erano l’oscurità
dell’acqua, il freddo terribile, il silenzio degli abissi. La prima cosa di
cui era tornato conscio era se stesso che sputava gocce salate e
rantolava per respirare. Qualcuno gli aveva messo un braccio a orno
alla vita, e insieme si stavano muovendo nell’acqua. Il freddo era
insopportabile, eppure in qualche modo lo stava sopportando.
“Svegliati, miserabile ammasso di muscoli.” De o in un Fjerdiano
pulito, impeccabile, aristocratico. Girò la testa e fu scioccato nel
vedere che la giovane strega che aveva ca urato sulla costa
meridionale dell’Isola Errante lo aveva preso so obraccio e stava
borbo ando tra sé e sé in Ravkiano. Lui lo aveva sempre saputo che
lei non era veramente Kaelish. In qualche modo si era liberata dalle
catene ed era uscita dalla gabbia. Ogni cellula del corpo di lui andò
nel panico, e se fosse stato meno traumatizzato o intorpidito avrebbe
cercato di divincolarsi.
“Muoviti” gli aveva de o lei in Fjerdiano. “Per tu i i Santi, cosa vi
danno da mangiare? Pesi come un carro da fieno.”
Stava facendo una gran fatica, nuotando per tu i e due. Gli aveva
salvato la vita. Perché? Si era dimenato tra le braccia di lei e aveva
scalciato per spingere entrambi in avanti. Lei aveva emesso un flebile
singhiozzo. “Grazie ai Santi” aveva de o. “Nuota, stupido gigante.”
“Dove siamo?” aveva domandato lui.
“Non lo so” aveva risposto lei, e lui aveva sentito il terrore nella
sua voce. Aveva scalciato ancora per allontanarsi da lei.
“No!” aveva urlato lei. “Non staccarti!”
Invece lui spinse forte e mollò la presa. Nel momento in cui uscì
dal suo abbraccio, il freddo gli si avventò contro. Il dolore fu
tagliente e improvviso, e tu i gli arti gli si infiacchirono. Aveva usato
la sua ripugnante magia per riscaldarlo. La cercò nell’oscurità.
“Drüsje?” l’aveva chiamata, vergognandosi della paura che c’era
nella sua voce. In Fjerdiano voleva dire “strega”, e del resto lui non
sapeva come altro chiamarla.
“Drüskelle!” aveva gridato lei, e poi lui aveva sfiorato con le dita
quelle di lei nell’acqua nera. Si aggrappò e l’a irò a sé. Il suo corpo
non era propriamente caldo, ma non appena i due rientrarono in
conta o il dolore che Ma hias provava nelle braccia e nelle gambe si
a enuò. Fu preso da gratitudine e ribrezzo.
“Dobbiamo arrivare a riva” aveva rantolato lei. “Non ce la faccio a
nuotare e a continuare a far ba ere i nostri cuori.”
“Nuoto io” aveva de o lui. “Tu... nuoto io.” Strinse la schiena di
Nina al pe o e l’abbracciò come aveva fa o lei con lui solo fino a
pochi istanti prima, come se stesse affogando.
Ed era quello che stava succedendo, stavano entrambi affogando,
o sarebbero affogati presto se prima non fossero morti congelati.
Iniziò a scalciare nell’acqua a colpi regolari, cercando di non
consumare troppa energia, ma sapevano entrambi che con ogni
probabilità era del tu o inutile. Quando erano stati colpiti dalla
tempesta non erano lontani dalla terraferma, ma era buio pesto.
Potevano essersi avvicinati alla costa o essere finiti in mare aperto.
Non si sentiva altro che il loro respiro, lo sciabordio dell’acqua, il
rollio delle onde. Lui continuò a nuotare per entrambi – anche se per
quel che ne sapeva potevano benissimo essersi mossi in circolo – e lei
continuò a tenerli in vita entrambi. Chissà chi avrebbe ceduto per
primo.
“Perché mi hai salvato?” le aveva chiesto lui alla fine.
“Non sprecare energie. Non parlare.”
“Perché l’hai fa o?”
“Perché sei un essere umano” aveva risposto lei con rabbia.
Menzogne. Se avessero raggiunto la terraferma, lei avrebbe avuto
bisogno di un Fjerdiano che l’aiutasse a sopravvivere, qualcuno che
conosceva la zona, per quanto fosse evidente che lei parlava la sua
lingua.
Per forza. I Grisha erano tu i spie e imbroglioni, addestrati a
prendere di mira quelli come lui, quelli privi di poteri contro natura.
Erano predatori.
Ma hias continuò a scalciare, ma i muscoli delle gambe erano
affaticati e poteva sentire il freddo insinuarsi dentro di lui.
“Stai già mollando, strega?”
La sentì scrollarsi di dosso la stanchezza, e il sangue gli tornò a
scorrere nelle dita delle mani e dei piedi.
“Io non mollo mai, drüskelle. Se moriamo, sarai tu a portarne il
fardello nella prossima vita.”
Gli strappò un sorriso. Di sicuro non le mancava il cara ere. Era
stato chiaro anche quand’era rinchiusa nella gabbia.
Fu quello il modo in cui tirarono avanti quella no e,
punzecchiandosi ogni volta che uno dei due vacillava. Tu o ciò che
sapevano era che c’erano il mare, il ghiaccio, e un tonfo occasionale
che poteva essere un’onda oppure un essere affamato che nuotava
nell’acqua so o di loro.
“Guarda” aveva sussurrato la strega quando venne l’alba, rosea e
spensierata. Là, in lontananza, Ma hias riusciva appena a
distinguere un promontorio di ghiaccio che sporgeva e il benede o
squarcio nero di una spiaggia di ghiaia scura. Terra.
Non persero tempo a tirare il fiato o a festeggiare. La strega tirò
indietro la testa, appoggiandola alla sua spalla mentre lui spingeva
avanti, pollice dopo malede o pollice, mentre ogni onda li tirava
indietro, come se il mare non fosse disposto a mollare la presa.
Alla fine i loro piedi toccarono il fondo e a quel punto stavano per
metà nuotando e per metà strisciando sulla ba igia. Si separarono, e
il tormento invase il corpo di Ma hias quando si trascinò oltre le
rocce nere, verso la terra brulla e ghiacciata.
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All’inizio camminare fu impossibile. Entrambi si muovevano a
sca i, nel tentativo di costringere gli arti a obbedire, rabbrividendo
per il freddo.
Poi lui riuscì a me ersi in piedi. Pensò solo ad andarsene, a
cercare un riparo senza di lei. Lei era carponi, la testa abbassata, i
capelli una matassa bagnata e ingarbugliata che le copriva la faccia.
Lui ebbe la ne a sensazione che si sarebbe accasciata e mai più
rialzata.
Fece un passo, poi un altro. Poi tornò indietro. Qualunque fossero
stati i motivi per cui l’aveva fa o, quella no e lei gli aveva salvato la
vita, e non una volta sola, ma tante. Ed era un debito di sangue da
onorare.
Lui barcollò per tornare da lei e le diede una mano da afferrare.
Quando lei sollevò lo sguardo su di lui, l’espressione sul suo viso
era un misto deprimente di odio e stanchezza. Dentro, lui ci vide la
vergogna che si univa alla gratitudine, e capì che in quel momento
lei era lo specchio di lui. Anche lei non voleva avere nessun debito
con lui.
Avrebbe deciso Ma hias per lei. Le doveva questo e altro.
Allungò la mano e la tirò su, e insieme, arrancando, lasciarono la
spiaggia.
Si diressero verso quello che Ma hias confidava fosse l’Occidente.
Il sole, così tanto a nord, faceva degli scherzi al suo senso
dell’orientamento e non avevano una bussola dalla quale farsi
guidare. Era quasi buio, e Ma hias aveva già avvertito le prime
avvisaglie di terrore vero quando finalmente individuarono il primo
degli accampamenti dei cacciatori di balene. Era deserto – gli
avamposti erano a ivi solo in primavera – ed era poco più di un
capanno rotondo fa o di zolle di terra, ossa e pelli di animali. Ma era
un riparo, e almeno sarebbero sopravvissuti alla no e.
La porta non aveva la serratura. Loro per poco non la sfondarono.
“Grazie” aveva sussurrato con un gemito lei mentre crollò accanto
al focolare.
Lui non disse niente. Trovare l’accampamento era stata mera
fortuna. Se si fossero trascinati anche solo per poche miglia più in
alto lungo la costa, sarebbero stati spacciati.
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I balenieri avevano lasciato nel camine o la torba e la legna secca.
Ma hias si diede da fare per accenderlo, cercando di fare più fuoco
che fumo. Era maldestro e stanco e affamato al punto che avrebbe
addentato con gioia la pelle dei suoi stivali. Quando sentì un fruscio
dietro di lui, si voltò e per poco non lasciò cadere il ciocco di legno
che stava usando per alimentare la fiamma.
“Cosa stai facendo?” aveva tuonato.
Lei si era guardata alle spalle – delle spalle molto nude – e aveva
de o: “C’è qualcosa che sarei tenuta a fare?”.
“Rime iti i vestiti!”
Lei aveva alzato gli occhi al cielo. “Non morirò congelata per
salvaguardare il tuo senso del pudore.”
Lui aveva dato un colpo secco al fuoco, ma lei aveva fa o finta di
niente e si era tolta tu o il resto – la tunica, i pantaloni, persino la
biancheria intima – per poi avvolgersi in una delle sudicie pelli di
renna ammucchiate accanto alla porta.
“Per tu i i Santi, come puzza” si era lamentata lei, strisciando i
piedi per avvicinarsi e formando un nido davanti al fuoco con altre
pelli e coperte. Tu e le volte che si muoveva, la pelle di renna si
apriva, mostrando per un a imo un polpaccio rotondo, della pelle
candida, un’ombra in mezzo ai seni. Era tu o studiato. Lui lo
sapeva. Stava cercando di irritarlo. Doveva concentrarsi sul fuoco.
Era quasi morto, e se non fosse riuscito ad accendere un fuoco come
si deve, avrebbe di nuovo corso il rischio. Se soltanto lei avesse
smesso di fare tu o quel rumore. Il ciocco di legno gli si spezzò in
mano. Nina sbuffò e si sdraiò nel nido di pelli, appoggiandosi su un
gomito. “Per l’amor del cielo, drüskelle, che problema hai? Voglio
solo scaldarmi. Giuro che non ti violenterò nel sonno.”
“Non ho paura di te” aveva de o lui in modo scontroso.
Lei aveva fa o un sorriso maligno. “Allora sei stupido come
sembri.”
Ma hias rimase accovacciato accanto al fuoco. Sapeva che
avrebbe dovuto stendersi accanto a lei. Il sole era tramontato, e le
temperature stavano crollando. Stava sforzandosi di non ba ere i
denti, e avrebbero avuto bisogno l’uno del calore dell’altra per
arrivare vivi al giorno dopo. Non avrebbe dovuto importargli, ma
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non voleva starle vicino. “Perché è un’assassina” aveva de o a se
stesso. “Ecco perché. È un’assassina e una strega.”
Si costrinse ad alzarsi e ad avvicinarsi alle coperte. Ma Nina alzò
una mano per fermarlo.
“Non pensarci neanche, ad avvicinarti a me tu o vestito. Sei
bagnato fradicio.”
“Tu puoi tenerci il sangue al caldo.”
“Sono esausta” aveva de o lei stizzita. “E dopo che mi sarò
addormentata, ci sarà solo quel fuoco a scaldarci. Ti vedo tremare da
qui. Tu i così puritani voi Fjerdiani?”
No. Forse. Davvero non lo sapeva. I drüskelle erano un ordine
sacro. Erano destinati a vivere in castità finché non prendevano
moglie: delle brave donne Fjerdiane che non andavano in giro a
sbraitare e a togliersi i vestiti di dosso.
“Tu i così sfrontati voi Grisha?” aveva replicato lui sulla
difensiva.
“Maschi e femmine si esercitano assieme fianco a fianco nel Primo
e Secondo Esercito. Non c’è molto margine per arrossire come delle
signorine.”
“Non è naturale che le donne comba ano.”
“Non è naturale che uno sia stupido tanto quanto è alto, eppure
eccoti qui. Hai nuotato per tu e quelle miglia solo per morire in
questa baracca?”
“È un capanno, e non puoi sapere che abbiamo nuotato per
miglia.”
Nina fece un sospiro esasperato e si rannicchiò sul fianco,
rifugiandosi quanto più vicino possibile al fuoco. “Sono troppo
stanca per stare a discutere.” Chiuse gli occhi. “Non riesco a credere
che l’ultima cosa che vedrò prima di morire sarà la tua faccia.”
Ma hias si sentì sfidato. Rimase lì in piedi sentendosi uno sciocco
e detestandola per farlo sentire a quel modo. Le diede le spalle e
velocemente si tolse gli indumenti fradici che aveva addosso, per
stenderli accanto al fuoco. Le lanciò un’occhiata per assicurarsi che
non stesse guardando, poi si avvicinò alle coperte e si infilò dietro di
lei, sempre cercando di mantenere le distanze.
“Più vicino, drüskelle” aveva cantilenato lei in modo romantico,
prendendosi gioco di lui.
Ma hias le passò un braccio sopra e poi intorno alla schiena e
l’a irò verso il suo pe o. Lei si lasciò scappare un verso di sorpresa e
si mosse a disagio.
“Sme ila di muoverti” aveva bofonchiato lui. Era già stato a
stre o conta o con delle ragazze – non molte, a dir la verità – ma
nessuna come lei. Era rotonda in modo indecente.
“Sei freddo e viscido” si era lamentata lei con un brivido. “È come
stare vicino a un calamaro gigante.”
“Me l’hai chiesto tu di avvicinarmi!”
“Rilassati un po’” gli aveva ordinato lei e quando lui lo fece, lei si
girò per guardarlo in faccia.
“Che cosa stai facendo?” aveva chiesto lui, arretrando
terrorizzato.
“Calmati, drüskelle. Non ci sto provando con te.”
Lui ridusse gli occhi a due fessure. “Non mi piace il modo in cui ti
esprimi.” Le era passata sul viso un’ombra di dolore o se l’era solo
immaginato? Come se le sue parole potessero fare effe o su una
strega simile.
Lei aveva fugato ogni dubbio dicendogli: “Credi che mi importi
qualcosa di quello che ti piace o non ti piace?”.
Nina appoggiò le mani sul pe o di Ma hias e si concentrò sul suo
cuore. Lui non avrebbe dovuto perme erglielo, non avrebbe dovuto
mostrarsi così debole, ma non appena il sangue tornò a scorrere e a
scaldarlo, il sollievo e il conforto che lo invasero erano troppo
piacevoli per resistere.
Si lasciò andare e si rilassò un po’, pur rilu ante, so o il tocco
delle mani di lei. Lei si rigirò e si rimise il braccio di lui a orno alla
vita. “Prego, non c’è di che, gran pezzo di idiota.”
Aveva mentito. Gli piaceva parecchio il suo modo di parlare.

E gli piaceva ancora. La sentiva blaterare con Inej da qualche parte


dietro di lui mentre le insegnava delle parole Fjerdiane. «No, Hring-
kaaalle. Devi accentare un po’ l’ultima sillaba.»
«Hringalah?» provò Inej.
g p j
«Meglio, però... ascolta, è come se il Kerch fosse una gazzella, che
saltella da una parola all’altra» disse Nina, mimando la gazzella. «Il
Fjerdiano è come un gabbiano, che va giù in picchiata e si tuffa.» Le
sue mani diventarono degli uccelli che cavalcavano le correnti d’aria.
In quel momento alzò lo sguardo e sorprese Ma hias che la fissava.
Lui si schiarì la gola. «Non mangiate la neve» raccomandò loro. «Vi
disidraterà soltanto e vi abbasserà la temperatura corporea.» Si
precipitò avanti, impaziente di essere sulla collina e di me ere della
distanza tra se stesso e loro. Ma appena superò la salita, si fermò di
colpo. Si voltò e alzò le braccia. «Stop! Non volete...»
Ma era troppo tardi. Nina si tappò la bocca per non urlare. Inej
fece qualche gesto allarmato nell’aria. Jesper scrollò la testa e a
Wylan andò di traverso la saliva. Kaz diventò di pietra, con
un’espressione indecifrabile.
Sulla scogliera era stata costruita una pira. L’artefice aveva
provato ad appiccare il fuoco nell’ansa di una roccia sporgente, ma il
riparo non era bastato a tener viva la fiamma contro il vento. Nel
terreno ghiacciato erano stati conficcati tre pali, a cui erano legati tre
corpi carbonizzati. La loro pelle annerita e squarciata stava ancora
fumando.
«Ghezen» imprecò Wylan. «Cos’è?»
«È quello che i Fjerdiani fanno ai Grisha» disse Nina. Aveva
un’espressione devastata e gli occhi verdi fissi.
«È quello che fanno i criminali» disse Ma hias, con le budella
a orcigliate. «Le pire sono illegali da...»
Nina si girò di sca o verso di lui e lo spinse via con una violenta
manata sul pe o. «Non ti perme ere» ringhiò schiumando per la
rabbia, mentre la furia divampava a orno a lei come un alone di
fuoco. «Dimmi quand’è stata l’ultima volta che qualcuno è stato
condannato per aver dato un Grisha alle fiamme. O chiamate
assassini anche quelli che abba ono i cani?»
«Nina...»
«L’omicidio si chiama in un altro modo quando chi lo comme e
indossa un’uniforme?»
Fu allora che lo sentirono: un gemito, simile a un sibilo
scricchiolante.
«Santi numi» disse Jesper. «Uno è ancora vivo.»
Il suono, flebile e straziante, scaturì di nuovo dal teschio scuro del
corpo più a destra. Era impossibile capire se fosse il corpo di un
maschio o di una femmina. Il fuoco si era mangiato tu i i capelli e i
vestiti si erano fusi con le membra. In alcuni punti si erano staccati
dei lembi di pelle nera, e so o la carne era viva. Dalla gola di Nina
uscì un singhiozzo. Alzò le mani, ma stava tremando così forte che
erano inservibili, non sarebbe riuscita a usare il suo potere per
me ere fine alla sofferenza di quella creatura. Puntò gli occhi pieni
di lacrime sugli altri. «Io... vi prego, qualcuno...»
Il primo a sca are fu Jesper. Sparò due colpi, e il corpo si quietò.
Jesper rimise la pistola nella fondina.
«Dannazione, Jesper» ringhiò Kaz. «Hai appena annunciato la
nostra presenza a tu i nel raggio di miglia.»
«Penseranno che siamo qua fuori per una ba uta di caccia.»
«Avresti dovuto lasciar fare a Inej.»
«Non ne avevo il desiderio» disse Inej a bassa voce. «Grazie,
Jesper.»
Kaz contrasse la mascella, ma non aggiunse altro.
«Grazie» sussurrò Nina con la voce strozzata. Si lanciò in avanti
sulla terra gelata, seguendo la traccia del sentiero a raverso la neve.
Stava piangendo, e incespicava a ogni passo. Ma hias le andò dietro.
C’erano pochi punti di riferimento, ed era facile finire per perdersi e
girare in circolo.
«Nina, non devi allontanarti dal resto del gruppo.»
«Ecco a cosa stai facendo ritorno, Helvar» gli disse lei duramente.
«Eccolo, il paese che desideri servire. Ti rende orgoglioso?»
«Io non ho mai mandato un Grisha sulla pira. I Grisha vengono
so oposti a un giusto processo.»
Lei si girò verso di lui, con gli occhiali sollevati e le lacrime
congelate sulle guance.
«E allora perché nessun Grisha è mai stato giudicato innocente
alla fine dei tuoi processi così giusti?»
«Io...»
«Perché il nostro crimine è esistere. Il nostro crimine è essere
quello che siamo.»
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Ma hias fece silenzio, e quando parlò si ritrovò diviso tra la
vergogna per quello che stava per dire e la necessità di pronunciare a
voce alta quelle parole, le parole con cui era cresciuto, le parole che
ancora suonavano vere dentro di lui. «Nina, ti è mai venuto in mente
che forse voi... voi non dovreste esistere?»
Gli occhi della ragazza mandarono bagliori di fuoco verde. Fece
un passo verso di lui, e lui avvertì il furore che emanava. «Forse siete
voi quelli che non dovrebbero esistere, Helvar. Deboli e rammolliti,
con le vostre brevi vite e i vostri piccoli miserabili pregiudizi.
Adorate i folle i dei boschi e gli spiriti del ghiaccio che non si
disturbano a farsi vedere, ma il potere vero, quello lo ammirate e
non vedete l’ora di estirparlo.»
«Non prendere in giro ciò che non comprendi.»
«Le mie prese in giro ti offendono? La mia gente accoglierebbe
volentieri le vostre risate al posto di questa barbarie.»
Un’espressione di enorme soddisfazione le a raversò il viso. «Ravka
sta rinascendo. E anche il Secondo Esercito, e quando saranno pronti
io spero che vi so opongano al giusto processo che meritate. Spero
che me ano i drüskelle in catene e li facciano stare in piedi ad
ascoltare l’elenco dei crimini che hanno commesso, in modo che il
mondo intero abbia chiara tu a la vostra malvagità.»
«Se muori dalla voglia di veder rinascere Ravka, perché non sei là
adesso?»
«Voglio che tu o enga la tua grazia, Helvar. Voglio essere qui
quando il Secondo Esercito marcerà a nord e invaderà ogni
fazzole o di questa landa desolata. Spero che brucino ogni campo e
spargano sale sulla terra. Spero che mandino i tuoi amici e la tua
famiglia a bruciare sulla pira.»
«L’hanno già fa o, Zenik. Mia madre, mio padre, la mia sorellina
appena nata. Soldati Inferni, i tuoi preziosi Grisha, così oppressi e
perseguitati, hanno rido o in cenere il nostro villaggio. Non mi è
rimasto niente da perdere.»
La risata di Nina risuonò amara. «Forse sei rimasto
nell’Anticamera dell’Inferno troppo poco, Ma hias. C’è sempre
qualcosa da perdere.»
20
NINA

Posso sentire il loro odore. Nina si scrollò i capelli e si diede delle


pacche sui vestiti mentre barcollava nella neve, cercando di
reprimere i conati di vomito. Non riusciva a sme ere di vedere quei
corpi, quegli involucri neri e abbrustoliti da cui faceva capolino,
come carboni ardenti, la carne color rosso vivo. Era come se fosse
stata cosparsa delle loro ceneri, immersa nel tanfo delle membra
bruciate. Non riusciva a respirare a fondo.
Stare a orno a Ma hias le aveva fa o scordare chi fosse
veramente, e cosa pensasse veramente di lei. Lo aveva modificato un
altro po’ giusto quella ma ina, sopportando sguardi torvi e
brontolii. No, godendoseli, grata per avere la scusa di stargli accanto,
ridicolmente soddisfa a ogni volta che era lì lì per strappargli una
risata. Per tu i i Santi, perché mi interessa? Perché un singolo sorriso di
Ma hias Helvar valeva come cinquanta sorrisi altrui? Aveva sentito
il cuore di lui accelerare quando lei gli aveva inclinato la testa
all’indietro per modificargli il colore degli occhi. Aveva pensato di
baciarlo. Aveva desiderato baciarlo, ed era piu osto certa che per lui
fosse lo stesso. Oppure stava pensando di strangolarmi di nuovo.
Non si era dimenticata che cosa le aveva de o a bordo della
Ferolind, quando le aveva chiesto che intenzioni avesse riguardo a Bo
Yul-Bayur, se veramente volesse consegnare lo scienziato a Kerch. Se
lei avesse sabotato la missione di Kaz, avrebbe compromesso la sua
grazia? Non poteva farlo. A prescindere da cosa fosse lui, lei gli
doveva la libertà.
Dopo il naufragio, aveva viaggiato con Ma hias per tre se imane.
Non avevano una bussola e non sapevano dove stavano andando.
Non sapevano neanche in quale punto della costa se entrionale
erano stati trascinati.
Avevano trascorso lunghe, interminabili giornate ad arrancare
faticosamente nella neve, e gelide no i a costruirsi un riparo
rudimentale di qualunque genere, o dentro le baracche abbandonate
negli accampamenti dei balenieri quando erano fortunati abbastanza
da incrociarli.
Avevano mangiato alghe di mare arrostite e qualunque genere di
erba o di tubero trovati in giro. Il giorno in cui, in uno degli
accampamenti, avevano recuperato una scorta di carne di renna
essiccata sul fondo di uno zaino, era stato una specie di miracolo.
L’avevano masticata in religioso silenzio, e il sapore li aveva quasi
ubriacati.
Dopo la prima no e, avevano dormito avvolti in tu i i panni asciu i
e le coperte che erano riusciti a trovare, ma ai due lati opposti del
fuoco. Se non trovavano legna da ardere, si raggomitolavano l’uno
contro l’altra, toccandosi a malapena, ma ora che si faceva ma ina si
ritrovavano pigiati vicini vicini, e respiravano in sincrono,
imbozzolati in un sonno intorpidito, come una singola falce di luna.
Tu i i giorni lui si lamentava che lei era impossibile da svegliare.
“È come cercare di rianimare un cadavere.”
“La morta ha bisogno di altri cinque minuti” diceva lei, e
seppelliva la testa so o le pellicce.
Lui andava in giro sba endo apposta i piedi, e raccoglieva le loro
poche cose facendo più rumore possibile, borbo ando tra sé e sé.
“Pigra, scandalosa, egoista...” finché finalmente lei si alzava e si
preparava.
“Qual è la prima cosa che farai quando tornerai a casa?” gli aveva
chiesto lei in uno di quegli interminabili giorni passati a camminare
nella neve, nella speranza di trovare qualche segno di civiltà.
“Dormirò” aveva risposto lui. “Farò il bagno. Pregherò per gli
amici che ho perso.”
“Ah, sì, quegli altri delinquenti e assassini. Come sei diventato un
drüskelle, a proposito?”
“Durante un’incursione Grisha, i tuoi amici hanno massacrato la
mia famiglia” aveva risposto lui freddamente. “Brum mi ha accolto e
mi ha dato qualcosa per cui comba ere.”
Nina non aveva voluto crederci, ma sapeva che poteva essere. Le
ba aglie scoppiavano, vite innocenti andavano perse negli scontri a
fuoco. Altre anto inquietante era pensare a quel mostro di Brum
come a una sorta di figura paterna.
Non le sembrò il caso né di discutere né di scusarsi, e allora aveva
de o la prima cosa che le passò per la testa.
“Jer molle pe oonet. Enel mörd je nej afva trohem verret.” “Sono stato
fa o per proteggerti. Solo la morte potrà esimermi da questo
giuramento.”
Ma hias l’aveva guardata scioccato. “Questo è il giuramento
drüskelle a Fjerda. Come fai a conoscerlo?”
“Ho imparato quanto più possibile su Fjerda.”
“Perché?”
Lei aveva de o dopo una pausa: “Così non avrei avuto paura di
voi”.
“Non sembri spaventata.”
“E tu, hai paura di me?” gli aveva chiesto lei.
“No” aveva risposto lui, ed era sembrato quasi sorpreso. Aveva
già affermato in passato che non la temeva. Questa volta lei gli
crede e. Tentò di rammentare a se stessa che non era una buona
cosa.
Erano andati avanti a camminare per un po’, e poi lui aveva
domandato: “Qual è la prima cosa che farai tu?”.
“Mangerò.”
“Mangerai cosa?”
“Di tu o. Cavoli ripieni, ravioli di patate, torte di ribes, tartine
con la scorza di limone. Non vedo l’ora di vedere la faccia di Zoya
quando tornerò a piedi al Piccolo Palazzo.”
“Zoya Nazyalensky?”
Nina si era fermata di colpo. “La conosci?”
“La conosciamo tu i. È una strega potente.”
Questa cosa la colpì. Per i drüskelle, Zoya era un po’ come Jarl
Brum: crudele, inumana, la creatura che aspe ava nelle tenebre con
la falce tra le mani.
Zoya era il mostro di questo ragazzo. Pensarci la mise a disagio.
“Come sei uscita dalla gabbia?»
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Nina aveva sba uto le palpebre. “Cosa?”
“Sulla nave. Eri legata e rinchiusa nella gabbia.”
“La tazza dell’acqua. Il manico si ruppe e usammo il bordo
sbeccato per tagliare le corde. Tornati con le mani libere...” La voce
di Nina si era affievolita, imbarazzata.
Ma hias aveva abbassato le sopracciglia. “Avevate in programma
di a accarci.”
“Ci saremmo mossi quella no e.”
“Ma poi arrivò la tempesta.”
“Sì.”
Un Chiamatempeste e un Fabrikator avevano fa o un buco
proprio nel ponte, e si erano bu ati in mare. Ma qualcuno era
sopravvissuto alle acque gelide? Erano riusciti a raggiungere la
terraferma? Nina rabbrividì. Se non avessero capito come usare la
tazza, lei sarebbe annegata chiusa in una gabbia.
“Che cosa mangiano i drüskelle?” gli aveva chiesto, allungando il
passo. “A parte i bambini Grisha, intendo.”
“Noi non mangiamo i bambini!”
“Grasso di delfino? Zoccoli di renna?”
Aveva visto che lui contorceva la bocca e si era domandata se
fosse schifato o se, invece, stesse sforzandosi di non ridere.
“Mangiamo un sacco di pesce. Aringhe. Baccalà. E sì, renne, ma
gli zoccoli no.”
“E cosa mi dici dei dolci?”
“Io non vado ma o per i dolci. Mi domando se troveremo mai un
terreno comune” rispose facendo spallucce.
“Oh, avanti, drüskelle” aveva commentato lei. Non si erano
ancora de i come si chiamavano, e Nina non era certa che avrebbero
dovuto farlo. Alla fine, se fossero sopravvissuti, avrebbero raggiunto
una ci adina o un villaggio. Non sapeva cosa sarebbe accaduto a
quel punto, ma meno lui sapeva meglio era, per ogni evenienza.
“Non stai rivelando qualche segreto governativo di Fjerda. Voglio
solo sapere perché non ti piacciono i dolci.”
“Mi piacciono eccome i dolci, ma non abbiamo il permesso di
mangiarli.”
“Nessuno ce l’ha? O soltanto i drüskelle?”
“Soltanto noi. I dolci sono considerati una debolezza. Come l’alcol
o...”
“Le ragazze?”
Lui era arrossito e aveva accelerato il passo. Era così facile
me erlo a disagio.
“Se gli zuccheri e l’alcol ti sono vietati, probabilmente adoreresti il
pomdrakon.”
Non aveva abboccato subito e aveva continuato a camminare, ma
alla fine aveva ro o il silenzio. “Che cos’è il pomdrakon?”
“Scodella di drago” aveva de o Nina con entusiasmo. “Prima
immergi i chicchi di uve a nel brandy, poi spegni le luci e gli dai
fuoco.”
“Perché?”
“Perché così è difficile prendere i chicchi.”
“E cosa fai dopo che li hai presi?”
“Li mangi.”
“Non ti sco ano la lingua?”
“Certo, ma...”
“E allora perché mai...”
“Perché è divertente, scemo. Hai presente ‘divertente’? C’è una
parola per dirlo in Fjerdiano, per cui dovrebbe esserti familiare.”
“Faccio tantissime cose divertenti.”
“Ah, sì? Cosa fai per divertirti?”
E andavano avanti così, a tirarsi le frecciatine, proprio come quella
prima no e nell’acqua, a tenersi vivi a vicenda, rifiutandosi di
acce are che stavano diventando sempre più deboli, che se non
avessero trovato un villaggio al più presto non sarebbero durati
tanto a lungo. C’erano giorni in cui la fame e il bianco accecante del
ghiaccio del Nord li facevano girare in tondo, tornare indietro,
incespicare sui propri passi, ma non ne parlarono mai, non
pronunciarono mai la parola “persi”, come se sapessero entrambi
che avrebbe in qualche modo ammesso la loro sconfi a.
“Perché i Fjerdiani non lasciano comba ere le ragazze?” gli aveva
chiesto lei una no e in cui giacevano rannicchiati so o una te oia, il
freddo palpabile a raverso le pelli che avevano ge ato per terra.
“Le ragazze non vogliono comba ere.”
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“Come lo sapete? L’avete mai chiesto a una di loro?”
“Le donne Fjerdiane sono fa e per essere venerate e prote e.”
“In effe i è una politica saggia.”
Ormai la conosceva abbastanza bene da rimanere sorpreso. “Lo
pensi davvero?”
“Pensa a come sarebbe imbarazzante per voi essere surclassati da
una ragazza Fjerdiana.”
Lui aveva sbuffato.
“Mi piacerebbe da ma i vederti sconfi o da una ragazza” aveva
de o lei allegramente.
“Non in questa vita.”
“Be’, immagino che non arriverò a vederlo. Ma arriverò a vivere il
momento in cui io ti prenderò a calci in culo.”
Questa volta lui era scoppiato a ridere, una risata vera e propria
che lei sentì nella schiena.
“Santi numi, Fjerdiano, non sapevo che sapessi ridere. Stai a ento
però adesso, vacci piano.”
“La tua arroganza mi diverte, drüsje.”
Ora era toccato a lei ridere. “Questo potrebbe essere il peggior
complimento che abbia mai ricevuto.”
“Dubiti mai di te stessa?”
“Di continuo” aveva risposto lei mentre scivolava nel sonno.
“Solo, non lo faccio vedere.”
La ma ina dopo si fecero strada lungo una banchisa piena di
crepacci frastagliati, tenendosi sulle solide distese in mezzo ai
burroni mortali e discutendo delle abitudini no urne di Nina.
“Come fai a dire di essere un soldato? Dormiresti fino a
mezzogiorno se io te lo lasciassi fare.”
“E questo cosa c’entra?”
“Disciplina. Routine. Significano niente per te? Djel, non vedo
l’ora di avere di nuovo un le o tu o per me.”
“Come no” aveva de o Nina. “Lo sento proprio quanto ti
dispiaccia dormirmi vicino. Lo sento tu e le ma ine.”
Ma hias si era fa o scarla o. “Perché devi sempre dire cose
così?”
“Perché mi piace quando diventi tu o rosso.”
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“Sei disgustosa. Non c’è bisogno di rendere tu o così volgare.”
“Se soltanto ti dessi una calmata...”
“Io non voglio darmi una calmata.”
“Perché? Cos’hai paura che succeda? Che potrei cominciare a
piacerti?”
Lui non aveva de o niente.
Malgrado la stanchezza, Nina tro erellava davanti a lui. “È
questo il punto, non è vero? Non vuoi che una Grisha ti piaccia. Ti fa
paura l’idea di ridere alle mie ba ute o di rispondere alle mie
domande, perché potresti cominciare a credere che sono umana.
Sarebbe così terribile?”
“Tu mi piaci.”
“Cos’hai de o?”
“Tu mi piaci” aveva ripetuto lui con rabbia.
Lei aveva sorriso, raggiante, e aveva sentito una sorgente di
piacere sgorgare dentro di sé. “Ora, davvero, è così bru a questa
cosa?”
“Sì!” aveva risposto lui.
“Perché?”
“Perché sei terribile. Sei sfacciata e volgare e... infida. Brum ci ha
messi in guardia, ci ha de o che le Grisha possono essere seducenti.”
“Oh, capisco. Sono la perfida adescatrice Grisha. Ti ho ammaliato
con le mie astuzie Grisha!”
Gli aveva dato dei colpe i sul pe o.
“Sme ila.”
“No. Ti sto ammaliando.”
“Mollami.”
Lei aveva ballato nella neve girandogli a orno, punzecchiandogli
il torace, la pancia, il fianco. “Però! Sei davvero irremovibile. Sarà un
duro lavoro.” Lui si era messo a ridere. “Funziona! L’ammaliamento
è iniziato. Il Fjerdiano ha ceduto. Non sei in grado di resistermi.
Tu...”
La voce di Nina si trasformò in un urlo quando il ghiaccio le
cede e so o i piedi. Bu ò avanti le mani alla cieca, alla ricerca di
qualcosa, qualunque cosa capace di arrestare la sua caduta, e con le
dita raschiò il ghiaccio e la roccia.
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Il drüskelle l’afferrò per un braccio, e lei gridò quando per poco
non le scivolò via la presa.
Rimase a accata lì così, sospesa nel nulla, aggrappata alle dita di
lui che erano l’unica cosa che la divideva dalla nera cavità del
ghiaccio. Per un istante, guardandolo negli occhi, fu certa che il
drüskelle l’avrebbe lasciata andare.
“Ti prego” aveva de o lei, con le lacrime che le scorrevano sulle
guance.
Lui la trascinò oltre il bordo, e lentamente tornarono sul ghiaccio
più solido. Si sdraiarono sulla schiena, ansimando per lo sforzo.
“Ho avuto paura... ho avuto paura che mi avresti lasciata andare”
aveva de o lei.
Dopo una lunga pausa lui aveva replicato: “Ci ho pensato. Solo
per un a imo”.
Nina aveva sbuffato fuori una risatina. “Ci sta” aveva de o alla
fine. “Anch’io ci avrei pensato.”
Lui si era alzato in piedi e le aveva dato la mano. “Io sono
Ma hias.”
“Nina” aveva de o lei, prendendola. “Piacere di fare la tua
conoscenza.”

Il naufragio era stato più di un anno fa, ma sembrava che fosse


successo ieri. Una parte di Nina voleva tornare indietro, all’a imo
precedente a quando tu o aveva cominciato a girare per il verso
sbagliato, a quelle lunghe giornate sul ghiaccio in cui erano stati
Nina e Ma hias invece di una Grisha e di un cacciatore di streghe.
Ma più ci pensava e più sapeva per certo che non c’era mai stato un
periodo così. Quelle tre se imane erano state un inganno a cui lei e
Ma hias avevano dato vita per sopravvivere.
La verità era la pira.
«Nina» disse Ma hias, correndole dietro. «Nina, ascoltami. Devi
stare con gli altri.»
«Lasciami.»
Quando lui la prese per un braccio, lei girò su se stessa e serrò la
mano a pugno, bloccando il passaggio dell’aria nella gola di lui. Un
uomo qualunque l’avrebbe lasciata andare, ma Ma hias era un
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drüskelle addestrato. Afferrò l’altro braccio di Nina e glielo bloccò
lungo il fianco, poi la tenne stre a a sé in modo che lei non potesse
usare le mani. «Sme ila» le disse dolcemente.
Lei si dimenò per divincolarsi dalla presa di lui, gelandolo con lo
sguardo. «Lasciami.»
«Non posso. Non mentre sei una minaccia.»
«Per te sarò sempre una minaccia, Ma hias.»
Gli angoli della bocca gli si piegarono in un sorriso triste. Gli
occhi erano quasi malinconici. «Lo so.»
Lentamente, lui la lasciò andare. Lei fece un passo indietro.
«Che cosa mi toccherà vedere quando raggiungeremo la Corte di
Ghiaccio?» fece lei.
«Sei terrorizzata.»
«Sì» disse lei, il mento in alto con aria di sfida. Non aveva senso
negarlo.
«Nina...»
«Dimmelo. Devo saperlo. Camere di tortura? Una pira che arde
sul te o?»
«Non si usano più le pire alla Corte.»
«Allora cosa? Sbudellamenti e squartamenti? Plotoni
d’esecuzione? Il Palazzo Reale si affaccia sulle forche?»
«Mi sono stancato dei tuoi giudizi morali, Nina. La devi finire.»
«Ha ragione lui. Non puoi andare avanti così.» Jesper era in piedi,
fermo nella neve insieme agli altri. Da quanto erano lì? L’avevano
vista aggredire Ma hias?
«Fa i gli affari tuoi» sca ò Nina.
«Se voi due continuate a litigare ci farete ammazzare tu i, e io
avrei in programma un bel po’ di altre partite a carte da perdere.»
«Dovete trovare il modo di fare pace» disse Inej. «Almeno per un
po’.»
«Questo non è un tuo problema» ringhiò Ma hias.
Kaz fece un passo avanti, l’espressione pericolosa. «È un problema
nostro eccome. E a ento a come parli.»
Ma hias alzò le mani in segno di resa. «Siete stati tu i imbrogliati
da lei. Perché è questo quello che fa. Ti fa credere di essere tua amica
e poi...»
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Inej incrociò le braccia. «E poi cosa?»
«Lascia stare, Inej.»
«No, Nina» fece Ma hias. «Diglielo. Una volta hai affermato di
essere mia amica. Ti ricordi?» Si girò verso gli altri. «Camminammo
insieme per tre se imane. Le salvai la vita. Ce la salvammo a
vicenda. Quando arrivammo a Elling, noi... Avrei potuto denunciarla
ai soldati che c’erano là in qualunque momento. Ma non lo feci.»
Ma hias iniziò a fare avanti e indietro e alzò la voce, come se i
ricordi avessero il sopravvento su di lui. «Mi feci, invece, prestare
dei soldi. Mi procurai un alloggio. Ero disposto a tradire tu o quello
in cui credevo per la sua incolumità. Poi la vidi giù al molo che
cercava di prenotare un passaggio, e c’era un mercante Kerch, pronto
a salpare.» Ma hias era nuovamente là, in piedi sul molo con lei,
Nina glielo leggeva negli occhi. «Chiedetele che cosa fece a quel
punto, questa nobile alleata, questa ragazza che si perme e di
giudicare me e il mio popolo.»
Nessuno disse niente, tu i rimasero in a esa.
«Diglielo, Nina» insiste e lui. «È giusto che sappiano in che modo
tra i i tuoi amici.»
Nina deglutì e si sforzò di guardarli negli occhi. «Dissi ai Kerch
che Ma hias era uno schiavista e che mi aveva fa o prigioniera. Mi
bu ai ai loro piedi e li implorai di aiutarmi. Avevo un sigillo, l’avevo
preso da una nave schiavista che avevamo saccheggiato vicino
all’Isola Errante. Lo usai come prova.»
Non ce la faceva a guardarli. Kaz sapeva già tu o, ovviamente.
Quando lei aveva elemosinato il suo aiuto, aveva dovuto
raccontargli quali erano le accuse che aveva rivolto e che poi aveva
cercato di ritra are. Ma Kaz non aveva mai indagato, non aveva mai
chiesto spiegazioni, non l’aveva mai rimproverata. In un certo senso,
raccontargli tu o era stato un sollievo. Da un ragazzo
soprannominato Manisporche non potevano piovere critiche.
Ma adesso la verità era so o gli occhi di tu i. In cuor loro, tu i i
Kerch sapevano che gli schiavi entravano e uscivano dai porti di
Ke erdam, e che la maggior parte dei lavoratori a contra o non
erano altro che schiavi con un altro nome. Ma pubblicamente
biasimavano lo schiavismo ed erano obbligati per legge a
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perseguitare chi lo praticava. Nina sapeva esa amente cosa sarebbe
accaduto appena avesse accusato Ma hias di quel crimine.
«Io non capivo cosa stesse succedendo» disse Ma hias. «Non
parlavo il Kerch, ma Nina sicuramente sì. Mi presero e mi misero in
catene. Mi bu arono nella cella di un brigantino e mi tennero là al
buio per se imane mentre a raversavamo il mare. Rividi la luce del
sole quando mi condussero fuori dalla nave, a Ke erdam.»
«Non avevo scelta» disse Nina con un nodo alla gola. «Tu non
sai...»
«Dimmi solo un’altra cosa» la interruppe lui. La voce risuonava di
collera ma anche di qualcos’altro, una specie di supplica. «Se potessi
tornare indietro, se potessi cancellare quello che mi hai fa o, lo
cancelleresti?»
Nina si costrinse a fronteggiarli. Aveva avuto i propri motivi per
fare quello che aveva fa o, ma che importanza avevano per loro? E
chi erano loro per giudicarla? Raddrizzò la schiena e sollevò il
mento. Era un membro degli Scarti, una dipendente della Rosa
Bianca, e di tanto in tanto una ragazza incosciente, ma prima di tu o
era una Grisha e un soldato. «No» disse chiaramente, e la sua voce
riecheggiò sulla distesa sterminata di ghiaccio. «Rifarei tu o
daccapo.»
Un brontolio improvviso scosse il terreno. Nina per poco non
perse l’equilibrio e Kaz si tenne in piedi grazie al bastone. I due si
scambiarono un’occhiata perplessa.
«Ci sono delle faglie a ive quassù nel profondo Nord?» domandò
Wylan.
Ma hias aggro ò la fronte. «Non che io sappia, ma...»
Una placca di terra si sollevò da so o i piedi di Ma hias,
facendolo cadere. Un’altra esplose alla destra di Nina e la mandò
gambe all’aria. A orno a loro, monoliti deformi di roccia e ghiaccio
esplodevano verso l’alto, come se il terreno stesse prendendo vita. Si
levò un vento sferzante e turbinarono raffiche di neve.
«Cosa diavolo succede?» gridò Jesper.
«Sembrerebbe una specie di terremoto!» urlò Inej.
«No» disse Nina, indicando una macchia scura che pareva
galleggiare indisturbata nel cielo, immune al vento ululante. «Ci
g gg
stanno a accando.»
Nina si mise a camminare a qua ro zampe, alla ricerca di un
riparo. Pensò di essere impazzita. C’era qualcuno che volteggiava
alto nel cielo sopra di lei. Stava guardando qualcuno volare.
I Grisha Chiamatempeste erano in grado di controllare le correnti
d’aria. Al Piccolo Palazzo li aveva anche visti giocare a lanciarsi a
vicenda nell’aria, ma il livello di precisione e di forza che serviva per
mantenere un volo so o controllo era inimmaginabile: o almeno lo
era stato finora. Jurda parem. Non aveva creduto granché a Kaz.
Aveva persino sospe ato che lui le avesse palesemente mentito solo
per convincerla ad acce are di partecipare al colpo. Ma a meno che
non avesse ba uto la testa senza ricordarselo, quello che vedeva era
reale.
Il Chiamatempeste volteggiò nell’aria, facendo infuriare la bufera
e spedendo in giro ghiaccio volante finché le trafisse le guance.
Vedeva a malapena. Quando un’altra lastra emerse dal terreno,
cadde all’indietro. Il Chiamatempeste li stava radunando, li stava
spingendo a raggrupparsi e a diventare un bersaglio unico.
«Mi serve un diversivo!» urlò Jesper da qualche parte nella
tempesta.
Lei udì un plinc metallico.
«A terra» gridò Wylan. Nina si appia ì sulla neve. Un boom le
deflagrò sopra la testa, e un’esplosione illuminò il cielo proprio alla
destra del Chiamatempeste. I venti a orno a loro calarono mentre il
Grisha veniva scagliato via e costre o a concentrarsi per
raddrizzarsi. Gli ci volle giusto un a imo, ma a Jesper bastò per
puntare il fucile e fare fuoco.
Ci fu uno sparo, e il Chiamatempeste precipitò a terra veloce
come una sae a. Un’altra lastra di ghiaccio scivolò al proprio posto.
Erano intrappolati in un recinto come animali pronti per il macello.
Jesper puntò tra le lastre, verso una lontana macchia di alberi, e Nina
si accorse che c’era un altro Grisha, un ragazzo con i capelli scuri.
Prima che Jesper potesse fare fuoco, quello spinse un pugno verso
l’alto e Jesper fu sbalzato via da un pilone di terra. Mentre cadde
rotolò su se stesso e sparò.
Il ragazzo in lontananza gridò e si piegò su un ginocchio, ma le
braccia erano ancora alzate e la terra brontolò e tremò di nuovo so o
di loro. Jesper sparò un’altra volta e lo mancò. Nina alzò le mani e
cercò di puntare al cuore del Grisha, ma era troppo fuori dalla sua
portata.
Vide Inej fare segno a Kaz. Senza una parola, lui si addossò alla
lastra più vicina e mise le mani a coppa all’altezza del ginocchio. Il
terreno si piegò e ondeggiò, ma lui rimase saldamente ancorato al
suolo mentre Inej usava le mani intrecciate di Kaz per lanciarsi in
alto in un arco leggiadro. Sparì oltre la lastra senza neanche un
rumore. Un istante dopo, la terra si placò.
«Meno male che c’è lo Spe ro» disse Jesper.
Erano in piedi, confusi, l’aria stranamente calma dopo il caos di
prima.
«Wylan» ansimò Jesper, rime endosi in piedi. «Portaci via da
qui.»
Wylan annuì, tirò fuori un involto color stucco dal suo zaino e lo
appoggiò delicatamente alla roccia più vicina. «Tu i giù» ordinò.
Si accovacciarono raggruppandosi in un ammasso di corpi il più
lontano possibile dal recinto. Wylan azionò l’esplosivo e sca ò via,
incastrandosi tra Ma hias e Jesper mentre tu i si tappavano le
orecchie.
Non accadde nulla.
«Stai scherzando?» disse Jesper.
Boom. La lastra esplose. Sulle loro teste piovvero pezzi di ghiaccio
e di roccia.
Wylan era coperto di polvere e aveva un’espressione leggermente
confusa e fuori di sé dalla gioia. Nina scoppiò a ridere. «Almeno
provaci, a fare finta di sapere che avrebbe funzionato.»
Uscirono incespicando dal recinto di lastre. Kaz fece un cenno a
Jesper. «Facciamo il giro. Assicuriamoci che non ci siano altre
sorprese.» Si incamminarono in direzione opposta.
Nina e gli altri trovarono Inej in piedi sopra il corpo tremante del
Grisha. Indossava dei vestiti verde militare e aveva gli occhi vitrei.
Perdeva sangue dalla ferita da proie ile, nella coscia, e sulla destra
gli spuntava un pugnale dal pe o. Inej doveva averlo infilzato
quando era uscita dal recinto.
Nina si inginocchiò accanto a lui.
«Me ne serve ancora» mormorò il Grisha. «Solo un po’.» Afferrò la
mano di Nina, e soltanto allora lei lo riconobbe.
«Nestor?»
Lui freme e al suono del proprio nome, ma non diede
l’impressione di sapere davvero chi fosse.
«Nestor, sono io, Nina.» Era stata a scuola con lui al Piccolo
Palazzo. Durante la guerra, erano stati mandati a Keramzin insieme.
All’incoronazione di re Nikolai, avevano rubato una bo iglia di
champagne e al lago si erano sbronzati fino a stare male. Lui era un
Fabrikator, un Tempratore che lavorava con metalli, vetro e fibre.
Non aveva senso. I Fabrikator producevano tessuti, armi. Nestor non
poteva essere in grado di fare quello che lei aveva appena visto.
«Ti prego» implorò lui, con la faccia che si contraeva in una
smorfia. «Me ne serve ancora.»
«Parem?»
«Sì» singhiozzò lui. «Sì. Ti prego.»
«Posso guarire la tua ferita, Nestor, se stai fermo.» Le sue
condizioni non erano buone, ma se lei fosse riuscita a fermare
l’emorragia...
«Non voglio il tuo aiuto» disse lui con rabbia, e si ritrasse.
Lei tentò di calmarlo, di abbassargli le pulsazioni, ma temeva di
fermargli il cuore. «Per favore, Nestor. Per favore, stai fermo.»
Ora lui stava urlando e si dimenava.
«Tenetelo giù» disse lei.
Ma hias si mosse per dare una mano, e Nestor alzò le braccia.
Una porzione di terreno si sollevò e si increspò, spingendo
indietro Nina e gli altri.
«Nestor, per favore! Lascia che ti aiutiamo.»
Lui si alzò, barcollando sulla gamba ferita, strappandosi via il
pugnale conficcato nel pe o. «Dove sono?» urlò. «Dove sono
andati?»
«Chi?»
«Gli Shu!» geme e lui. «Dove sono andati? Tornate indietro!»
Fece un passo traballante, poi un altro. «Tornate indietro!» Cadde a
testa in giù nella neve e non si mosse più.
Nina si precipitò al suo fianco e lo voltò. Aveva la neve negli occhi
e in bocca. Gli mise le mani sul pe o, cercando di recuperare il
ba ito cardiaco, ma il cuore si era fermato. Se il suo corpo non fosse
stato devastato dalla droga, avrebbe potuto sopravvivere alle ferite.
Però era troppo debole, la pelle tirata sulle ossa e talmente pallida da
sembrare trasparente.
“Non va bene” pensò Nina tristemente. Praticare la Piccola
Scienza rendeva i Grisha più sani e più forti. Era una delle cose che
amava di più del proprio potere. E tu avia il corpo aveva dei limiti.
Era come se la droga avesse spinto il potere di Nestor ad andare
ben oltre la velocità del suo corpo. Lo aveva semplicemente
consumato tu o fino a esaurirlo.
Kaz e Jesper fecero ritorno, ansimando.
«Trovato qualcosa?» chiese Ma hias.
Jesper annuì. «Un gruppo di persone dire e a sud.»
«Lui stava urlando il nome degli Shu» disse Nina.
«Sapevamo che gli Shu avrebbero mandato una squadra a
recuperare Bo Yul-Bayur» disse Kaz.
Jesper abbassò lo sguardo sul corpo inanimato di Nestor. «Ma
non potevamo immaginare che avrebbero mandato i Grisha. Come
facciamo a sapere che non sono mercenari?»
Kaz sollevò una moneta che aveva un cavallo inciso su un lato e
due chiavi incrociate sull’altro. «Questa era nella tasca del
Chiamatempeste» disse lui, lanciandola a Jesper. «È una wen ye Shu.
La Moneta Lasciapassare. Questa è una missione governativa.»
«Come ci hanno scoperti?» domandò Inej.
«Forse li hanno a irati gli spari di Jesper» disse Kaz.
Jesper fece un gesto di stizza e indicò Nina e Ma hias. «O forse
hanno sentito questi due urlarsi addosso. Potrebbero averci seguito
per miglia.»
Nina cercò di dare un senso a quelle parole. Gli Shu non
assoldavano i Grisha come soldati, e non erano come i Fjerdiani; per
loro il potere dei Grisha non era contro natura o ripugnante.
p p g
Ne erano affascinati. Però anche loro ritenevano che i Grisha
fossero inferiori agli umani. Da anni il governo Shu ca urava i
Grisha e conduceva esperimenti sui prigionieri per cercare di
individuare l’origine del loro potere. Non li avrebbero mai usati
come mercenari. O perlomeno così stavano le cose prima. Forse la
parem aveva cambiato le regole del gioco.
«Io non capisco» disse Nina. «Se hanno la jurda parem, perché
inseguire Bo Yul-Bayur?»
«Può darsi che ne abbiano una scorta, ma non siano capaci di
sintetizzarne dell’altra» rispose Kaz. «Il Consiglio dei Mercanti
sembrava vederla così. O forse vogliono solo essere certi che Yul-
Bayur non dia la formula a qualcun altro.»
«Secondo te useranno i Grisha drogati per penetrare nella Corte di
Ghiaccio?» domandò Inej.
«Se ne hanno degli altri, sì» rispose Kaz. «È quello che farei io.»
Ma hias scrollò il capo. «Se hanno uno Spaccacuore, siamo
morti.»
«C’è mancato un pelo già così» replicò Inej.
Jesper si mise in spalla il fucile. «Wylan si è guadagnato lo
stipendio.»
A sentire il proprio nome, Wylan fece un saltino. «Davvero?»
«Be’, almeno l’acconto.»
«Muoviamoci» disse Kaz.
«Dobbiamo seppellirlo» lo fermò Nina.
«Il terreno è troppo duro, e non abbiamo tempo. La squadra Shu è
in marcia verso Djerholm. Non sappiamo quanti altri Grisha possano
avere con loro, e la squadra di Pekka potrebbe essere già dentro la
Corte.»
«Non possiamo lasciarli in balia dei lupi» disse lei, con la gola
chiusa.
«Vuoi costruirgli una pira?»
«Vai all’inferno, Brekker.»
«Fai il tuo dovere, Zenik» riba é prontamente lui. «Non ti ho
portata a Fjerda per celebrare riti funerari.»
Lei alzò le mani. «Cosa ne dici se ti apro in due il cranio come un
uovo di pe irosso?»
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«Credimi, non vuoi vedere quello che ho dentro la testa, cara la
mia Nina.»
Lei fece un passo avanti, ma Ma hias le si mise davanti.
«Sme etela» disse. «Lo farò io. Ti aiuterò a scavare la fossa.» Nina
lo fissò. Lui prese un piccone dalla propria borsa di arnesi e glielo
porse, poi ne prese un altro dall’equipaggiamento di Jesper. «Da qui
procedete in direzione sud» disse Ma hias agli altri. «Conosco il
territorio, e sono sicuro che vi riprenderemo prima che faccia no e.
Ci muoveremo più veloci per conto nostro.»
Kaz gli rivolse uno sguardo fermo. «Vedi di ricordarti quella
grazia, Helvar.»
«Siamo sicuri che sia una buona idea lasciarli da soli?» domandò
Wylan mentre iniziavano a scendere lungo il pendio.
«No» rispose Inej.
«E lo facciamo lo stesso?»
«O ci fidiamo adesso o ci fidiamo dopo» disse Kaz.
«Vogliamo parlare della piccola rivelazione che ci ha fa o
Ma hias? A proposito della lealtà di Nina?» chiese Jesper.
Nina colse appena la risposta di Kaz: «Sono certo che nessuno di
noi ha le parole fedeltà e sincerità incise sul proprio stemma». Sebbene
avesse volentieri preso a pugni Kaz, non poteva fare a meno di
essergli anche un po’ grata.
Ma hias si allontanò di qualche passo dal corpo di Nestor. Piantò
il piccone nella terra ricoperta di ghiaccio, lo estrasse e lo conficcò di
nuovo.
«Qui?» domandò Nina.
«Preferisci da un’altra parte?»
«Non... non lo so.» Nina puntò lo sguardo sui campi ricoperti di
bianco, punteggiati da radi bosche i di betulle. «Mi sembra tu o
uguale.»
«Conosci i nostri dèi?»
«Qualcuno» rispose lei.
«Ma conosci Djel.»
«La sorgente.»
Ma hias annuì. «I Fjerdiani credono che tu o il mondo sia
collegato dalle acque: i mari, il ghiaccio, i fiumi e i ruscelli, la pioggia
g q g p gg
e i temporali. Tu o nutre Djel ed è nutrito da lui. Quando moriamo,
noi lo chiamiamo felötobjer, prendere radice. Diventiamo come le
radici del frassino, e beviamo da Djel ovunque siamo stati
seppelliti.»
«È per questo che i Grisha li bruciate invece di seppellirli?»
Lui aspe ò un momento prima di rispondere, poi fece un veloce
cenno di assenso con la testa.
«Però mi aiuterai a far riposare qui Nestor e il Chiamatempeste?»
Lui annuì di nuovo.
Nina afferrò l’altro piccone e tentò di seguire i colpi ritmici di lui.
Il terreno era duro, quasi granitico, e ogni volta che veniva colpito
dal piccone ricambiava inviandole una scossa su per le braccia.
«Nestor non avrebbe dovuto poter fare quelle cose» disse lei, la
testa ancora in subbuglio. «Nessun Grisha può usare il proprio
potere a quel modo. È tu o sbagliato.»
Ma hias rimase in silenzio per un istante, poi disse: «Hai capito,
adesso? Hai capito com’è, dover affrontare un potere così alieno?
Trovarsi di fronte a un nemico con una forza così anormale?».
Nina strinse la presa sul piccone. Nestor so o l’effe o della parem
era la versione perversa di tu o quello che lei amava del proprio
potere. Era così che Ma hias e gli altri Fjerdiani vedevano i Grisha?
Un potere al di là della ragione, il mondo naturale alla deriva.
«Forse.» Era il massimo che poteva concedergli.
«Hai de o che non avevi scelta al porto di Elling» disse lui senza
guardarla. Il piccone calò e si levò sempre a ritmo. «Perché ero un
drüskelle? Avevi organizzato tu o dall’inizio?»
A Nina tornò in mente il loro ultimo vero giorno insieme, l’euforia
che avevano provato quando avevano raggiunto la cima di una
collina e avevano visto il porto della ci adina spalancarsi so o di
loro. Era rimasta scioccata nel sentir dire da Ma hias: “Quasi quasi
mi dispiace, Nina”.
“Quasi quasi?”
“Ho troppa fame per essere dispiaciuto fino in fondo.”
“Alla fine, stai soccombendo al mio fascino. Ma come faremo a
mangiare senza un soldo?” aveva chiesto lei mentre scendevano
lungo la collina. “Potrei vendere i tuoi bei capelli a un negozio di
parrucche.”
“Non farti strane idee” aveva de o lui ridendo. Ridere, a mano a
mano che camminavano, gli era venuto sempre più facile, come se
fosse diventato più sciolto a parlare una nuova lingua. “Se questa è
Elling, dovrei riuscire a procurarci un posto per dormire.”
Lei a quel punto si era fermata, la cruda verità della loro
situazione di nuovo terribilmente chiara. Si trovava nel profondo del
territorio nemico con nessun altro alleato a parte un drüskelle che
l’aveva rinchiusa in una gabbia solo poche se imane prima.
Ma prima di riuscire a parlare, Ma hias aveva de o: “Ti devo la
mia vita, Nina Zenik. Ti porteremo a casa sana e salva”.
Era rimasta sorpresa nello scoprire quant’era facile fidarsi di lui. E
anche lui si era fidato di lei.
Nina diede un colpo di piccone, sentì le vibrazioni risalirle su per
le braccia e le spalle, e disse: «C’erano dei Grisha a Elling».
Lui si fermò a mezz’aria. «Che cosa?»
«C’erano delle spie che stavano perlustrando il porto. Mi videro
varcare l’ingresso della piazza principale e mi riconobbero come una
del Piccolo Palazzo. Uno di loro riconobbe anche te, Ma hias. Ti
aveva visto durante una schermaglia vicino al confine.»
Ma hias rimase immobile.
«Quando tu andasti a parlare con il tenutario della pensione, loro
mi abbordarono» continuò Nina. «Li convinsi che anch’io, come loro,
ero so o copertura. Volevano farti prigioniero, ma gli dissi che non
eri da solo, che sarebbe stato troppo rischioso ca urarti subito. Gli
promisi che ti avrei consegnato loro il giorno dopo.»
«Perché non me l’hai de o?»
Nina bu ò a terra il piccone. «Dirti che a Elling c’erano delle spie
Grisha? Magari con me avevi anche fa o pace, ma ti aspe i che io
creda che non li avresti denunciati?»
Ma hias distolse lo sguardo, e dal modo in cui gli guizzò il
muscolo della mandibola lei capì che ci aveva preso.
«Quella ma ina» disse lui «sul molo...»
«Dovevo far sì che andassimo via da Elling il più in fre a
possibile. Pensavo che se fossi riuscita a trovare una nave sulla quale
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viaggiare clandestinamente... ma i Grisha dovevano aver tenuto
d’occhio la pensione e ci avevano visti uscire. Quando si
presentarono sul molo, capii che stavano venendo a prenderti,
Ma hias. Se ti avessero ca urato, saresti stato portato a Ravka,
interrogato e forse condannato a morte. Individuai i mercanti Kerch.
Tu sai quali sono le loro leggi sullo schiavismo.»
«Certo che lo so» disse lui amaramente.
«Feci le mie accuse. Li pregai di salvarmi. Quello che sapevo è che
ti avrebbero messo so ochiave e portato in salvo a Kerch. Quello che
non sapevo... Ma hias, io non lo sapevo che ti avrebbero sba uto
all’Anticamera dell’Inferno.»
Gli occhi di lui erano freddi quando la guardò in faccia, le nocche
delle mani bianche sull’impugnatura del piccone. «Perché non hai
preso le mie difese? Perché non hai de o la verità quando siamo
arrivati a Ke erdam?»
«Ci ho provato. Te lo giuro. Ho cercato di ritra are tu o. Non mi
perme evano di vedere un giudice. Non mi perme evano di vedere
te. Non potevo spiegare il sigillo della nave schiavista né perché
avessi fa o quelle accuse, non senza svelare l’operazione di
spionaggio di Ravka. Avrei messo in pericolo i Grisha ancora in
missione. Li avrei condannati a morte.»
«E quindi mi hai lasciato marcire nell’Anticamera dell’Inferno.»
«Avrei potuto tornarmene a casa a Ravka. Per tu i i Santi, era
quello che volevo. Ma rimasi a Ke erdam. Tu i i miei stipendi
andarono nelle bustarelle, presentai petizioni su petizioni al
Tribunale.»
«Hai fa o di tu o tranne dire la verità.»
Aveva avuto l’intenzione di essere gentile e dispiaciuta, di dirgli
che non aveva fa o altro che pensarlo giorno e no e. Ma in testa
aveva ancora fresca l’immagine della pira. «Stavo cercando di
proteggere la mia gente, il popolo che tu provi a sterminare da tu a
la vita.»
Lui fece una risata amara, girando il piccone tra le mani. «Wanden
olstrum end kendesorum.»
Era la prima parte di un modo di dire Fjerdiano: L’acqua sente e
capisce. Suonava abbastanza cortese, ma Ma hias sapeva che a Nina
p p
era familiare anche il resto.
«Isen ne bejstrum» finì di dire lei. L’acqua sente e capisce. Il
ghiaccio non perdona.
«E cosa farai adesso, Nina? Tradirai un’altra volta le persone che
chiami amici, per amore dei Grisha?»
«Che cosa?»
«Non dirmi che hai intenzione di tenere in vita Bo Yul-Bayur.»
Lui la conosceva bene. Con tu e le nuove informazioni che aveva
appreso sulla jurda parem, adesso era più che sicura che l’unico modo
di proteggere i Grisha era me ere fine alla vita dello scienziato.
Ripensò a Nestor che con l’ultimo fiato che aveva in gola implorava
il ritorno dei suoi padroni Shu. «Il pensiero del mio popolo fa o
schiavo mi è insopportabile» ammise lei. «Ma abbiamo un debito da
onorare, Ma hias. La tua grazia è la mia penitenza, e non sarò io a
separarti di nuovo dalla tua libertà.»
«Non la voglio, la grazia.»
Lei lo fissò. «Ma...»
«Forse il tuo popolo sarà rido o in schiavitù. O forse diventerà
una potenza inarrestabile. Se Yul-Bayur vive e il segreto della jurda
parem si diffonde, tu o è possibile.»
Per un lungo istante, Nina e Ma hias sostennero l’una lo sguardo
dell’altro. Il sole era basso nel cielo, la luce cadeva sulla neve in raggi
dorati. Nina riusciva a vedere le ciglia bionde di Ma hias spuntare
so o l’antimonio nero che aveva usato per tingerle. Presto avrebbe
dovuto modificarlo di nuovo.
Nei giorni successivi al naufragio lei e Ma hias avevano stipulato
una tregua precaria. Quello che era nato tra loro era diventato
qualcosa di più forte dell’affe o, era la profonda comprensione che,
essendo entrambi soldati, in un’altra vita avrebbero potuto essere
alleati invece che nemici. Fu la sensazione che provò ora.
«Significherebbe tradire gli altri» disse lei. «Non riceveranno la
ricompensa dal Consiglio dei Mercanti.»
«Vero.»
«E Kaz ci ucciderà entrambi.»
«Se scopre la verità.»
«Hai provato a mentire a Kaz Brekker?»
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Ma hias scrollò le spalle. «Moriremo come abbiamo vissuto.»
Nina guardò il corpo emaciato di Nestor. «Per una causa.»
«Siamo d’accordo, allora» disse Ma hias. «Bo Yul-Bayur non
lascerà vivo la Corte di Ghiaccio.»
«Un pa o è un pa o» disse lei in Kerch, il linguaggio degli affari,
una lingua che non apparteneva a nessuno dei due.
«Un pa o è un pa o» ripeté lui.
Ma hias alzò il piccone e lo calò giù inarcandolo con forza, in una
specie di dichiarazione. Lei sollevò il proprio e fece lo stesso. Senza
dirsi altro, si rimisero a scavare la fossa a un ritmo deciso.
Almeno su questo Kaz aveva ragione. Lei e Ma hias avevano
finalmente trovato qualcosa su cui essere d’accordo.
PARTE QUARTA
IL TRUCCO PER CADERE
21
INEJ

Inej si sentiva come se lei e Kaz fossero diventati soldati gemelli, che
marciavano, facevano finta che andasse tu o bene e nascondevano
ferite e lividi al resto della banda.
Ci vollero altri due giorni di cammino per raggiungere le
scogliere che sovrastavano Djerholm, ma procedere era più facile
adesso che puntavano a sud verso la costa. Le temperature si erano
fa e più miti, la terra era scongelata, e Inej iniziò a vedere i primi
segni della primavera. Aveva pensato che Djerholm sarebbe stata
simile a Ke erdam: un groviglio di strade nere, grigie e marroni, fi e
di nebbia e fumo di carbone, e navi di ogni genere nel porto, che
palpitavano per la fre a e per il trambusto commerciale. Il porto di
Djerholm era affollato di navi, ma le sue strade pulite portavano
verso l’acqua in modo ordinato, e le case erano dipinte di tu i i
colori – rosso, blu, giallo, rosa – come per sfidare le lande bianche e
selvagge e i lunghi inverni del profondo Nord. Persino i capannoni
vicino alle banchine avevano colori allegri. Era così che da bambina
aveva immaginato le ci à, dove tu o era del colore delle caramelle
ed era al proprio posto.
La Ferolind stava già aspe ando al molo, comodamente a raccata,
con la bandiera di Kerch che svolazzava e i simboli verde-arancio
della Compagnia della Baia Haanraadt? Se il piano fosse andato
come sperava Kaz, domani no e avrebbero passeggiato lungo il
molo di Djerholm con Bo Yul-Bayur al seguito, sarebbero risaliti
sulla loro nave e sarebbero stati in mare aperto prima che chiunque a
Fjerda si accorgesse di qualcosa. Preferì non pensare a come sarebbe
stata la no e dell’indomani se il piano fosse andato storto.
Inej alzò lo sguardo sulla Corte di Ghiaccio, ferma come una
grande sentinella bianca sopra una scogliera imponente affacciata
g p g p
sul porto. Ma hias aveva definito inscalabili le sue mura, e lei
doveva amme ere che rappresentavano una bella sfida anche per lo
Spe ro. Sembravano incredibilmente alte, e a distanza la loro
superficie in calce bianca appariva pulita e luminosa come il
ghiaccio.
«Cannoni» disse Jesper.
Kaz sbirciò in alto verso l’artiglieria pesante puntata sulla baia.
«Sono entrato di nascosto in banche, depositi, palazzi, musei, camere
blindate, una biblioteca di libri rari, e una volta nella camera da le o
di un diplomatico Kaelish in visita che aveva una moglie con la
passione per gli smeraldi. Ma non sono mai stato preso a
cannonate.»
«C’è sempre una prima volta» commentò Jesper.
Inej serrò le labbra. «Speriamo che non sia questa.»
«Quei cannoni sono là per fermare le navi da guerra nemiche»
disse Jesper con sicumera. «Sarà dura che riescano a colpire una
piccola gole a striminzita che si apre un varco tra le onde in cerca di
fama e fortuna.»
«Citerò le tue parole quando una palla di cannone mi a errerà in
grembo» disse Nina.
Scivolarono agilmente nel via vai di viaggiatori e commercianti, là
dove la strada della scogliera incrociava quella se entrionale che
portava a Djerholm Alta. La ci à alta era l’estensione scoordinata
della ci à bassa, una raccolta caotica di bo eghe, mercati e locande
che offrivano i propri servizi alle guardie e al personale al lavoro
presso la Corte di Ghiaccio così come alla gente di passaggio. Per
fortuna, la folla era così numerosa e variegata che l’ennesimo gruppo
di stranieri passò inosservato, e Inej si scoprì a tirare il fiato. Aveva
temuto che lei e Jesper sarebbero stati troppo appariscenti nel mare
di teste bionde della capitale di Fjerda. Forse anche l’equipaggio che
arrivava da Shu Han stava facendo affidamento sulla folla
disordinata per non essere scoperto.
I segni dei festeggiamenti per Hringkälla erano dappertu o. I
negozi sfoggiavano in vetrina dei bisco i al pepe a forma di lupo,
alcuni pendevano come decorazioni dagli alberi più grossi e contorti,
e il ponte che abbracciava la gola del fiume era stato addobbato con i
p g
nastri color argento di Fjerda. Una strada sola per entrare nella Corte
di Ghiaccio e una strada sola per uscire. L’indomani avrebbero
a raversato il ponte da vincitori?
«Cosa sono?» chiese Wylan, fermandosi davanti al carre o di un
venditore ambulante carico di ghirlande realizzate con rame i
contorti e nastri d’argento.
«Alberi di frassino» rispose Ma hias. «Sacri a Djel.»
«Dovrebbe essercene uno nel bel mezzo dell’Isola Bianca» disse
Nina, ignorando l’occhiata preoccupata che le indirizzò il Fjerdiano.
«È dove i drüskelle si radunano per la cerimonia dell’ascolto.»
Kaz picchie ò il bastone da passeggio per terra. «Perché è la
prima volta che ne sento parlare?»
«Il frassino è alimentato dallo spirito di Djel» disse Ma hias. «È il
frassino il posto migliore dove sentire la sua voce.»
Kaz sba é velocemente le palpebre. «Non è quello che ho chiesto.
Perché non c’è nelle nostre mappe?»
«Perché è il luogo più sacro di tu a Fjerda ed è irrilevante per la
nostra missione.»
«Decido io cos’è rilevante. C’è qualcos’altro che hai deciso di
escludere nella tua enorme saggezza?»
«La Corte di Ghiaccio è enorme» disse Ma hias girandosi
dall’altra parte. «Non posso etiche are ogni fessura e ogni angolo.»
«Allora speriamo che non ci sia niente appostato in quegli angoli»
replicò Kaz.
Djerholm Alta non aveva un vero e proprio centro, ma buona
parte delle taverne, delle locande e delle bancarelle era ammassata
alla base della collina che portava alla Corte di Ghiaccio. Kaz li
condusse in giro per le strade come se non avessero una meta
precisa, finché trovò una taverna malmessa chiamata Gestinge.
«Qui?» si lamentò Jesper, sbirciando nella sala principale, fredda e
umida. Il posto puzzava di pesce e aglio.
Kaz lanciò un’occhiata significativa verso l’alto e disse: «La
terrazza».
«Che cos’è una gestinge?» pensò Inej a voce alta.
«Significa “paradiso”» disse Ma hias. Anche lui sembrava
dubbioso.
Ci pensò Nina a chiedere un tavolo per tu i sulla terrazza della
taverna. Era pressoché deserta, la stagione ancora troppo fredda per
a irare fuori i clienti. O forse erano scoraggiati dal cibo: aringhe in
olio rancido, pane nero stantio, e burro che aveva chiaramente sopra
della muffa.
Jesper guardò verso il proprio pia o e geme e. «Kaz, se mi vuoi
morto, preferirei un proie ile al posto del veleno.»
Nina arricciò il naso. «Se non mi va di mangiare, poco ma sicuro
c’è un problema.»
«Siamo qui per il panorama, non per il cibo.»
Dal loro tavolo avevano una buona vista, per quanto distante, del
cancello esterno della Corte di Ghiaccio e del primo posto di
guardia.
Era stato costruito dentro una volta bianca formata da due
monumentali lupi di pietra seduti sulle zampe posteriori, e
sovrastava la strada che portava su per la collina verso la Corte.
Inej e gli altri osservarono il via vai dal cancello mentre
piluccavano dai pia i, in a esa dei carri dei prigionieri.
Finalmente a Inej era tornato l’appetito, e stava mangiando il più
possibile per recuperare le forze, ma la pellicola sopra la zuppa che
aveva ordinato non era di aiuto.
Il caffè non c’era, per cui ordinarono del tè e bicchierini di
brännvin: bruciava la gola quando scendeva ma aiutava a scaldarsi
contro il vento che si era alzato, e che muoveva i nastri d’argento
legati ai grossi rami di frassino ai lati della strada so ostante.
«Presto daremo nell’occhio» disse Nina. «Questo non è il genere
di posto in cui la gente si tra iene a lungo.»
«Forse non hanno nessuno da portare in prigione» suggerì Wylan.
«C’è sempre qualcuno da portare in prigione» replicò Kaz, poi
allungò il mento verso la strada. «Guarda.»
Un carro squadrato si stava fermando al posto di guardia. Una
tela nera copriva il te o e i lati, ed era trainato da qua ro cavalli
tarchiati. La porta sul retro era di ferro pesante, chiusa a chiave e
sprangata.
Kaz infilò la mano nella tasca della giacca. «Tieni» disse, e porse a
Jesper un libro so ile dalla copertina sofisticata.
p p
«Ci leggiamo delle storie?»
«Basta che lo apri e vai in fondo.»
Jesper spalancò il volume e scrutò l’ultima pagina, perplesso.
«Quindi?»
«Sollevalo, così non siamo costre i a vedere la tua bru a faccia.»
«La mia faccia ha personalità. Inoltre... oh!»
«Un’o ima le ura, vero?»
«Chi poteva immaginare che avessi una passione per la
le eratura?»
Jesper passò il libro a Wylan, che lo prese esitando. «Che cosa
dice?»
«Tu guarda» disse Jesper.
Wylan aggro ò la fronte e sollevò il libro, poi sorrise a trentadue
denti. «Dove l’hai preso?»
Fu il turno di Ma hias, che si lasciò scappare un grugnito
stupefa o.
«Lo chiamano il libro senza retro» disse Kaz mentre Inej prendeva
il volume da Nina e lo sollevava. Le pagine erano piene dei soliti
sermoni, ma la raffinata quarta di copertina nascondeva due lenti
che facevano da binocolo.
Kaz le aveva de o di tenere d’occhio le donne che al Club dei
Corvi utilizzavano specchie i del genere.
Riuscivano a vedere che carte avevano i giocatori dall’altra parte
della stanza, e poi avvisavano il loro socio seduto al tavolo.
«Astuto» commentò mentre guardava dentro il binocolo. Per la
barista e gli altri clienti sulla terrazza loro si stavano passando di
mano un libro per disquisire di qualche passaggio interessante.
In realtà, Inej guardava da vicino la gabbiola del posto di guardia e il
carro posteggiato di fronte.
Il cancello tra i lupi era in ferro ba uto, aveva il simbolo del
frassino sacro ed era delimitato da una recinzione alta e guarnita da
spuntoni che circondava il perimetro della Corte di Ghiaccio.
«Qua ro guardie» rimarcò, proprio come aveva de o Ma hias.
Due erano collocate a entrambi i lati della portineria, e una di loro
stava chiacchierando con il conducente del carro del carcere, che gli
porse un pacche o di documenti.
p p
«Sono la prima linea di difesa» disse Ma hias. «Controllano i
documenti, verificano le identità e segnalano chiunque a loro avviso
richieda un’indagine più approfondita. Domani, a quest’ora, la fila
che a raversa il cancello sarà piena di ospiti per la festa di
Hringkälla e si snoderà fino al burrone.»
«A quest’ora, domani, saremo dentro» disse Kaz.
«Ogni quanto passano i carri?» domandò Jesper.
«Dipende» disse Ma hias. «Di solito arrivano la ma ina. A volte
nel primo pomeriggio. Ma non credo che vogliano far arrivare i
prigionieri insieme agli ospiti.»
«Allora dobbiamo essere sul primo carro» concluse Kaz.
Inej sollevò di nuovo il libro senza retro. Il conducente del carro
indossava un’uniforme grigia simile a quelle delle guardie al
cancello ma senza fascia e decorazioni.
Scese dal posto di guida e andò ad aprire la pesante porta di ferro.
«Santi numi» disse Inej appena la porta venne aperta. Dieci
prigionieri erano seduti sulle panchine disposte nel carro per il
lungo, con mani e piedi ammane ati e dei sacchi neri a coprirgli la
testa.
Restituì il libro a Ma hias, e mentre questo rifaceva il giro lei sentì
l’apprensione generale salire. Soltanto Kaz sembrava indifferente.
«Incappucciati e incatenati?» disse Jesper. «Sei sicuro che non
possiamo entrare spacciandoci per artisti? Pare che Wylan sia un
asso con il flauto.»
«Entreremo per quello che siamo: criminali» disse Kaz.
Nina diede un’occhiata dentro le lenti del libro. «Stanno contando
i prigionieri.»
Ma hias annuì. «Se le procedure non sono cambiate, faranno un
conteggio veloce al primo posto di blocco, poi un altro al prossimo,
dove perlustreranno l’interno e il telaio alla ricerca di qualunque
merce di contrabbando.»
Nina passò il libro a Inej. «Quando aprirà la porta, il conducente
si accorgerà che ci sono sei prigionieri in più.»
«Se soltanto ci avessi pensato» disse Kaz seccamente. «Immagino
che non abbiate mai scippato un portafogli.»
«E io immagino che tu abbia trascurato il tuo taglio di capelli.»
g g p
Kaz si accigliò e fece scorrere una mano ai lati della testa,
imbarazzato. «Non c’è niente, nel mio taglio, che qua ro milioni di
kruge non possano sistemare.»
Jesper piegò la testa di lato, gli occhi grigi accesi. «Useremo un
bisco o in tasca, vero?»
«Esa amente.»
«Non conosco questa parola, bisco ointasca» disse Ma hias,
sillabando.
Nina diede a Kaz un’occhiataccia. «Nemmeno io. Non siamo
gente di strada come te, Manisporche.»
«E non lo sarete mai» disse Kaz tranquillamente. «Ricordate il
nostro pollo?» Wylan trasalì. «Facciamo che il pollo è un turista che
cammina per il Barile. Ha sentito dire che è il posto giusto per venir
derubati, così continua a dare dei colpe i al portafogli per accertarsi
che sia ancora al suo posto, congratulandosi con se stesso per essere
così cauto e a ento. Non è mica uno sciocco, lui. Naturalmente, ogni
volta che si dà una pacca sulla tasca di dietro o sul davanti della
giacca, che cosa sta facendo? Sta dicendo a ogni ladro dello Stave
dove tiene esa amente la sua roba.»
«Per tu i i Santi» borbo ò Nina. «Facile che l’abbia fa o anch’io.»
«Tu i lo fanno» disse Inej.
Jesper sollevò un sopracciglio. «Non tu i.»
«Solo perché tu non hai mai niente nel tuo portafogli» riba é Nina.
«Ca iva.»
«Mi a engo ai fa i.»
«I fa i sono per chi non ha immaginazione» disse Jesper con un
gesto sprezzante.
«Ora, un pessimo ladro» continuò Kaz, «uno che non sa come
muoversi, arraffa il portafogli e cerca di svignarsela. Un o imo
sistema per farsi pizzicare dalla stadwatch. Invece un ladro che sa il
fa o proprio, come me, so rae il portafogli e me e qualcos’altro al
suo posto.»
«Un bisco o?»
«“Bisco o in tasca” è solo un modo di dire. Può essere una pietra,
una sapone a, anche un vecchio pezzo di pane se è della dimensione
giusta. Un ladro che sa il fa o proprio può dirti quant’è pesante un
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portafogli già solo dal modo in cui modifica la piega di un cappo o.
Il ladro fa la sostituzione e il povero pollo continua a darsi pacche
sulla tasca, tu o contento. Solo quando proverà a comprarsi
un’omele e o a fare una puntata al tavolo si renderà conto di essere
un idiota. A quel punto il ladro sarà al sicuro da qualche parte, a
contare la refurtiva.»
Wylan si mosse a disagio sulla sedia. «Ingannare gli ingenui non è
qualcosa di cui andare fieri.»
«Lo è, se lo fai bene.» Kaz indicò con un cenno del capo il carro
del carcere, che aveva appena ripreso il cammino su per la strada
verso la Corte di Ghiaccio e il secondo posto di blocco. «Noi saremo
il bisco o.»
«Aspe a» disse Nina. «La porta si chiude solo da fuori. Come
facciamo a entrare e a richiuderla?»
«Questo è un problema solo se non conosci un ladro che sa il fa o
suo. Lascia che della serratura mi occupi io.»
Jesper si stiracchiò le lunghe gambe. «Per cui dobbiamo liberare,
slegare e neutralizzare sei prigionieri, prendere il loro posto, e chissà
come risigillare ben bene il carro senza che le guardie o gli altri
prigionieri se ne rendano conto?»
«Giusto.»
«C’è qualche altra impresa impossibile che gradiresti farci me ere
a segno?»
Un sorriso sfacciato baluginò sul viso di Kaz. «Ti farò una lista.»

Oltre a un colpo come si deve, a Inej sarebbe piaciuta una no e di


sonno come si deve in un le o come si deve, ma non ci sarebbe stato
nessun perno amento confortevole in nessuna locanda, non se
dovevano intrufolarsi dentro il carro del carcere e dentro la Corte di
Ghiaccio prima che i festeggiamenti di Hringkälla avessero inizio.
C’erano troppe cose da fare.
Nina fu spedita a chiacchierare con la gente del posto e a scoprire
il luogo migliore per tendere un’imboscata al carro. Dopo le
raccapriccianti aringhe del Gestinge, tu a la banda pretese da Kaz
che procurasse qualcosa di commestibile, e ora stavano aspe ando
Nina in una pasticceria affollata, sorseggiando tazze di caffè caldo
p gg
mescolato alla cioccolata, con i resti dei bisco i e delle girelle
smozzicate sparpagliati sul tavolo in mucchie i di briciole burrose.
Inej notò che la tazza di Ma hias, ancora inta a davanti a lui, si
stava lentamente raffreddando mentre lui guardava fuori dalla
finestra.
«Dev’essere dura per te» disse lei a bassa voce. «Trovarti qui, ma
non essere veramente a casa.»
Lui abbassò lo sguardo sulla propria tazza. «Non puoi capire.»
«Posso, credimi. Non vedo casa mia da tanto tempo.»
Kaz si voltò e si mise a chiacchierare con Jesper. Lo faceva tu e le
volte che lei accennava al fa o di tornare a Ravka. Ovviamente, Inej
non aveva alcuna certezza di ritrovare, laggiù, i propri genitori. I Suli
erano nomadi. Per loro, solo la famiglia significava davvero “casa”.
«Sei preoccupato perché Nina è là fuori?» chiese Inej.
«No.»
«Lei è molto brava a recitare. È un’a rice nata.»
«Ne sono consapevole» disse lui tristemente. «Può diventare
qualunque cosa per chiunque.»
«È al meglio quando è Nina.»
«E chi è Nina?»
«Ho il sospe o che tu lo sappia meglio di chiunque di noi.»
Ma hias incrociò le possenti braccia. «È coraggiosa» disse suo
malgrado, a denti stre i.
«E divertente.»
«Pazza. Non può essere tu o un gioco.»
«Audace» disse Inej.
«Sfacciata.»
«E allora perché i tuoi occhi continuano a cercarla tra la folla?»
«Non è vero» si accalorò Ma hias. Inej scoppiò a ridere di fronte
alla ferocia del suo sguardo. Lui mise un dito su un mucchie o di
briciole. «Nina è tu o quello che dici. È troppa roba.»
«Mmh» mormorò Inej, bevendo un sorso dalla tazza. «Forse sei tu
che non sei abbastanza.»
Prima che lui potesse rispondere, il campanello sulla porta della
pasticceria suonò e Nina sfrecciò dentro, le guance rosa, i capelli
castani raccolti in un magnifico intreccio, e dichiarò: «Qualcuno mi
dia subito da mangiare delle girelle dolci».
Nonostante i borbo ii di Ma hias, Inej sapeva di non essersi
immaginata il sollievo che gli era apparso in faccia.

A Nina era bastata meno di un’ora per scoprire che la maggior parte
dei carri della prigione passavano accanto a una locanda nota come
la Stazione di Warden, situata sul percorso verso la Corte di
Ghiaccio. Inej e gli altri dove ero scarpinare per quasi due miglia
fuori da Djerholm Alta per individuare la locanda, che era troppo
affollata di contadini e braccianti locali per rivelarsi utile ai loro
scopi, così si spinsero più lontano lungo la strada, ma ora che
trovarono un posto abbastanza nascosto e con una macchia d’alberi
abbastanza grande, Inej sentì che stava quasi per svenire. Ringraziò i
propri Santi per l’energia apparentemente senza limiti di Jesper, che
si offrì allegramente di andare avanti e fare da vede a. Quando il
carro dei prigionieri fosse transitato nei pressi, avrebbe avvisato il
resto della banda con un segnale luminoso, poi sarebbe tornato da
loro di corsa.
Nina si prese qualche minuto per modificare l’avambraccio di
Jesper, cancellando il tatuaggio degli Scarti e lasciando al suo posto
un pezzo di pelle chiazzato. Quella no e avrebbe pensato ai tatuaggi
di Kaz e ai propri. Era possibile che nessuno in prigione riconoscesse
le bande di Ke erdam o i marchi dei bordelli, ma non c’era motivo di
correre il rischio.
«Nessun rimpianto» sentenziò Jesper mentre si allontanava nel
crepuscolo, le lunghe gambe che divoravano facilmente la distanza.
«Nessun funerale» risposero gli altri in coro. Inej lo benedisse
anche con una vera preghiera. Sapeva che Jesper era ben armato ed
era in grado di badare a se stesso, ma tra la figura allampanata e la
carnagione Zemeni era troppo appariscente per stare tranquilli.
Si accamparono in un canale asciu o delimitato da un groviglio di
arbusti, e a turno sonnecchiarono sul duro terreno roccioso e fecero
la guardia. Nonostante la fatica, Inej era convinta che non sarebbe
riuscita a dormire, ma la prima cosa di cui fu di nuovo consapevole
era che il sole era alto sopra di loro, una sacca luminosa in un cielo
p
coperto di nuvole. Doveva essere mezzogiorno inoltrato. Nina era
accanto a lei con un pezzo di bisco o al pepe a forma di lupo che
aveva comprato a Djerholm Alta. Inej vide che qualcuno aveva
acceso un fuocherello, e le tracce appiccicose della paraffina fusa
erano visibili tra le ceneri.
«Dove sono gli altri?» domandò, guardandosi a orno nel canale
deserto.
«Per strada. Kaz ci ha de o di lasciarti dormire.»
Si sfregò gli occhi. Immaginava che fosse un tra amento di favore
per via delle sue ferite. Forse non aveva nascosto affa o la propria
spossatezza. Una raffica improvvisa di scoppie ii proveniente dalla
strada la rimise in piedi, con i pugnali in mano, in un istante.
«Calma» disse Nina. «È solo Wylan.»
Jesper doveva aver già dato il segnale. Inej prese il bisco o dalla
mano di Nina e andò di corsa da Kaz e Ma hias che stavano
guardando Wylan alle prese con qualcosa alla base di un grosso
abete rosso. Risuonò un’altra serie di schiocchi, e comparvero delle
nuvole e di fumo nel punto in cui il tronco dell’albero si univa al
terreno. Per un po’ sembrò che non fosse successo niente, poi le
radici si staccarono dal suolo, arricciandosi e appassendo.
«Che cos’era quella roba?» chiese Inej.
«Concentrato di sale» disse Nina.
Inej piegò la testa di lato. «Ma hias sta... pregando?»
«Sta recitando una benedizione. I Fjerdiani lo fanno tu e le volte
che tagliano un albero.»
«Tu e le volte?»
«Le benedizioni dipendono da come intendi usare il legno. Ce n’è
una per le case, una per i ponti.» Si fermò. «Una per accendere il
fuoco.»
Ci volle meno di un minuto per abba ere l’albero in modo che il
tronco bloccasse la strada. Con le radici inta e, sembrava che fosse
stato semplicemente colpito da una mala ia.
«Quando il carro si sarà fermato, l’albero ci farà guadagnare circa
quindici minuti, non di più» disse Kaz. «Muoviamoci in fre a. I
prigionieri dovrebbero essere incappucciati, ma saranno in grado di
sentire, quindi neanche una parola. Non possiamo perme erci di
q p p p
destare dei sospe i. Per quello che ne sanno loro, è una fermata di
routine, e noi vogliamo che continuino a pensarlo.»
Mentre Inej aspe ava nel canale insieme agli altri, passò in
rassegna tu o quello che poteva andare storto. I prigionieri potevano
non essere incappucciati. Le guardie potevano aver messo uno di
loro nel retro del carro. E se invece ce l’avessero fa a? Bene, allora
avrebbero raggiunto la Corte di Ghiaccio da detenuti. Nemmeno
questo prome eva particolarmente bene.
Proprio quando stava iniziando a chiedersi se Jesper si fosse
sbagliato e avesse mandato il segnale troppo presto, il carro del
carcere apparve all’orizzonte. Li oltrepassò e si fermò davanti
all’albero. Inej sentì il conducente inveire contro il compagno di
viaggio.
Scivolarono entrambi giù dai sedili e si diressero verso il tronco.
Per un lungo minuto, rimasero lì fermi a fissarlo. La guardia più
grossa si tolse il cappello e si gra ò la pancia.
«Quanto sono pigri?» mormorò Kaz.
Alla fine, sembrarono acce are l’idea che l’albero non si sarebbe
spostato da solo. Tornarono al carro a recuperare un rotolone di
corda e staccarono un cavallo per trascinare l’albero oltre il ciglio
della strada.
«State pronti» disse Kaz. Si portò in fre a sulla cima del canale
fino a raggiungere il retro del carro. Aveva lasciato il bastone da
passeggio nel fosso e qualunque dolore avesse lo mascherava bene.
Fece scivolare fuori i grimaldelli dalla fodera della giacca e cullò
delicatamente il lucche o, quasi con amore. In pochi secondi sca ò,
e Kaz spinse il chiavistello di lato. Diede un’occhiata agli uomini che
stavano legando la corda all’albero e aprì la porta.
Inej era nervosa, in a esa del segnale. Che non arrivò. Kaz stava là
in piedi, a guardare dentro il carro.
«Cosa succede?» sussurrò Wylan.
«Forse non sono incappucciati?» rispose lei. Da dove si trovavano,
non riuscivano a vedere. «Vado io.» Non potevano radunarsi sul
retro del carro tu i in una volta.
Inej si arrampicò fuori dal canale e arrivò dietro a Kaz. Lui era
ancora lì in piedi, immobile. Lei gli sfiorò velocemente la spalla, e lui
p g p
sussultò. Kaz Brekker sussultò. Che cosa stava succedendo? Non
poteva chiederglielo e rischiare che i prigionieri lo sentissero. Così
sbirciò dentro il carro.
I detenuti erano tu i ammane ati e avevano tu i un cappuccio
nero sulla testa. Ma ce n’erano molti di più che nel carro che avevano
visto al posto di blocco. Invece di essere seduti e incatenati alle
panchine sui due lati, erano in piedi, pigiati l’uno sull’altro. Piedi e
mani erano legati, e portavano tu i un collare di ferro agganciato al
te o del carro. Se uno si lasciava cadere o si piegava troppo, il collare
gli mozzava il respiro. Non era bello, ma erano così ammassati da
dare l’idea che nessuno avrebbe veramente potuto cadere e
strozzarsi.
Inej diede a Kaz un altro colpe o con il gomito. La faccia di lui era
pallida, quasi cerea, ma perlomeno questa volta non rimase fermo. Si
issò all’interno, muovendosi a sca i e in modo sgraziato, e si mise a
sganciare i collari dei prigionieri.
Inej fece un cenno a Ma hias, e lui balzò fuori dal canale per
raggiungerli.
«Cosa succede?» chiese uno dei prigionieri in Ravkiano, la voce
terrorizzata.
«Tig!» ringhiò ferocemente Ma hias in Fjerdiano. Ci fu un fremito
tra gli uomini sul carro, come se si fossero tu i messi sull’a enti.
Senza farci caso, anche Inej aveva raddrizzato la schiena. Una sola
parola e tu o l’a eggiamento di Ma hias era cambiato, come se
fosse bastato un solo ordine brusco a farlo rientrare nella divisa da
drüskelle. Inej lo osservò, tesa. Aveva iniziato a sentirsi a proprio
agio con lui. Un’abitudine facile in cui cadere, ma poco saggia.
Kaz aprì sei blocchi di ceppi a mani e piedi. Uno a uno, Inej e
Ma hias spinsero i sei prigionieri vicinissimi alla porta. Non c’era il
tempo di valutare il peso, l’altezza e nemmeno se fossero uomini o
donne.
Li guidarono sul ciglio del canale, e intanto tenevano d’occhio le
guardie e i lavori in corso sulla strada. «Cosa succede?» osò chiedere
uno dei detenuti. Ma un altro veloce «Tig!» di Ma hias lo fece tacere.
Una volta nascosti alla vista, Nina abbassò le loro pulsazioni fino
a farli svenire. Solo allora Wylan rimosse i cappucci: qua ro uomini,
y pp q
uno dei quali piu osto anziano, una donna di mezza età e un
ragazzo Shu. Non era esa amente l’ideale, ma c’era da sperare che le
guardie non avessero fa o un’ispezione accurata. Dopo tu o, un
gruppo di detenuti con mani e piedi nei ceppi, che tipo di problemi
poteva creare?
Nina inie ò un sonnifero nei prigionieri per allungare il loro stato
di incoscienza, e Wylan diede una mano a farli rotolare nel fosso
dietro gli alberi.
«Li lasciamo lì così?» sussurrò Wylan a Inej mentre tornavano di
corsa al carro con i cappucci dei prigionieri in mano.
Gli occhi di Inej erano puntati sulle guardie che stavano
spostando l’albero, e non guardarono Wylan mentre diceva: «Si
sveglieranno molto presto e se la daranno a gambe. Potrebbero
anche raggiungere la costa e la libertà. Gli stiamo facendo un
favore».
«Non sembra un favore. Sembra che li stiamo lasciando in un
fosso.»
«Silenzio» ordinò lei. Non era né il momento né il posto per i
cavilli morali. Se Wylan non conosceva la differenza tra essere in
catene ed essere libero, era sul punto di scoprirlo.
Inej mise una mano a coppa sulla bocca e fece un piccolo, tenero
richiamo d’uccello. Avevano ancora qua ro minuti, forse cinque,
prima che le guardie ripulissero la strada. Per fortuna, stavano
facendo un discreto baccano incitando il cavallo e strillandosi
addosso l’uno l’altro.
Ma hias legò Wylan per primo, poi Nina. Inej lo vide irrigidirsi
mentre Nina sollevava i capelli per farsi me ere il collare, esponendo
così alla vista la curva bianca del collo. Quando lui le avvicinò il
collare alla gola, Nina lo fissò negli occhi da sopra la spalla, e lo
sguardo che si scambiarono avrebbe potuto sciogliere intere miglia
di ghiaccio nordico. Ma hias si allontanò di corsa. Inej per poco non
scoppiò a ridere. Così bastava questo a far scappare il drüskelle e a
riportare indietro, al suo posto, il ragazzo.
Poi fu il turno di Jesper, che aveva il fiatone per via della corsa
con cui era tornato. Mentre lei gli calava il sacco sulla testa, lui le fece
l’occhiolino. Si sentivano le guardie chiamarsi avanti e indietro.
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Inej chiuse il collare di Ma hias e si alzò in punta di piedi per
infilargli il cappuccio in testa. Ma quando stava per fare lo stesso con
Nina, la Grisha sba é gli occhi rapidamente, indicando con la testa
la porta del carro. Voleva sapere come avrebbe fa o Kaz a chiuderli
dentro.
«Guarda» sillabò Inej con le labbra.
Kaz fece un cenno a Inej e lei saltò giù, chiuse la porta del carro,
serrò il lucche o e fece scivolare il chiavistello. Un a imo dopo il
lato opposto della porta si spalancò. Kaz aveva semplicemente tolto i
cardini. Era un trucco che aveva usato un sacco di volte quando una
serratura era troppo complicata da scassinare velocemente, oppure
volevano che il furto sembrasse un lavoro fa o dall’interno.
“L’ideale per fingere un suicidio” le aveva de o Kaz una volta, e lei
non aveva mai capito se lui dicesse sul serio.
Inej diede un’ultima occhiata alla strada. Gli uomini avevano
finito con l’albero. Quello grosso si stava togliendo la polvere dalle
mani e dava delle manate alla schiena del cavallo. L’altro si stava già
avvicinando al davanti del carro. Inej afferrò il bordo e si sollevò,
infilandosi dentro. Kaz si mise immediatamente a riposizionare i
cardini. Inej calò il cappuccio sulla faccia stupefa a di Nina e si mise
accanto a Jesper.
Ma anche se la luce era fioca, avrebbe de o che Kaz si stava
muovendo troppo lentamente, e che le sue dita erano più impacciate
di come le avesse mai viste. Cos’aveva che non andava? E perché si
era immobilizzato davanti alla porta del carro? Qualcosa lo aveva
fa o tentennare, ma cosa?
Udì un ping metallico quando Kaz fece cadere una delle viti.
Scrutò il pavimento e con un calce o fece rotolare la vite verso di lui,
cercando di non badare al cuore che le martellava nel pe o.
Kaz si accucciò per rime ere al proprio posto la seconda cerniera.
Stava respirando a fatica. Lavorava senza luce, servendosi solo del
ta o, con quei malede i guanti di pelle che insisteva per avere
sempre addosso, eppure Inej non credeva fossero quelle le ragioni
per cui sembrava così agitato. Sentì dei passi alla destra del carro,
una guardia urlò qualcosa all’altra.
Avanti, Kaz.
Non si era data il tempo per spazzar via le loro impronte. E se la
guardia le avesse notate? Se avesse dato uno stra one alla porta e
questa fosse venuta via dai cardini, rivelando Kaz Brekker, senza
cappuccio e senza catene?
Inej udì un altro ping. Kaz imprecò una volta so ovoce.
All’improvviso, la porta vibrò quando la guardia fece sbatacchiare il
lucche o chiuso. Kaz sorresse la cerniera con una mano. La fessura
di luce so o la porta si allargò. Inej tornò a respirare.
I cardini tennero.
Un altro urlo in Fjerdiano, altri passi. Poi lo schiocco delle redini e
il carro balzò in avanti, rimbombando sulla strada. Inej si permise di
tirare il fiato. La gola le era diventata completamente secca.
Kaz le si mise di fianco. Le abbassò il cappuccio sulla testa e
l’odore di muffa le riempì le narici. Lui si sarebbe incappucciato da
solo e poi si sarebbe legato. Roba piu osto facile, un trucche o per
maghi da qua ro soldi, e Kaz quei trucche i li conosceva tu i. Il
braccio di lui preme e contro quello di lei dalla spalla al gomito,
mentre si chiudeva il collare. Diversi corpi si mossero, accalcandosi
intorno a lei.
Per il momento erano salvi. Ma nonostante il cigolio delle ruote
del carro, Inej sentiva che il respiro di Kaz era peggiorato: ansimi
corti e rapidi, come quelli di un animale chiuso in trappola. Era un
rumore che non avrebbe mai immaginato di sentirgli fare.
Fu proprio perché lo stava ascoltando così a entamente che colse
il momento esa o in cui Kaz Brekker, Manisporche, il bastardo del
Barile, il ragazzo più pericoloso di Ke erdam, svenne.
22
KAZ

Il denaro che il signor Her oon aveva lasciato a Kaz e Jordie finì
dopo una se imana. Jordie tentò di restituire il suo cappo o nuovo,
ma il negozio non se lo riprese, e gli stivali di Kaz erano stati
evidentemente usati.
Quando portarono in banca il prestito che il signor Her oon
aveva firmato, scoprirono che – a dispe o di tu i i timbri
all’apparenza ufficiali – era un pezzo di carta senza valore. Nessuno
conosceva il signor Her oon o il suo socio in affari.
Due giorni dopo furono sfra ati dalla pensione, e dove ero
cercarsi un ponte so o cui dormire, ma ben presto la stadwatch li
fece sloggiare. Dopodiché, vagarono senza una meta fino al ma ino.
Jordie insiste e per tornare alla caffe eria. Sede ero a lungo nel
parcheggio dall’altra parte della strada, ma quando si fece no e la
ronda ricominciò a girare, e Kaz e Jordie si diressero a sud, nelle
strade del Barile più profondo, dove le guardie non si davano la
pena di perlustrare.
Dormirono in un giroscala, in un vicole o alle spalle di una
taverna, infilati tra una stufa abbandonata e i sacchi dei rifiuti della
cucina. Nessuno diede loro fastidio quella no e, ma quella dopo
furono scoperti da una banda di ragazzi che li avvisò di trovarsi nel
territorio dei Becchi di Rasoio. Diedero una bastonata a Jordie e
bu arono Kaz nel canale, ma non prima di avergli portato via gli
stivali.
Jordie ripescò Kaz dall’acqua e gli diede il suo cappo o asciu o.
“Ho fame” aveva de o Kaz.
“Io no” aveva risposto Jordie. E per qualche motivo Kaz lo aveva
trovato divertente, ed entrambi iniziarono a ridere. Jordie strinse Kaz
tra le braccia dicendo: “La ci à sta vincendo. Ma vediamo chi
vincerà per ultimo”.
Il ma ino dopo, Jordie si svegliò con la febbre.
Negli anni a venire la gente avrebbe chiamato l’esplosione di
pestilenza che colpì Ke erdam la Piaga della Favorita, per via della
nave che si credeva avesse portato il contagio in ci à. I bassifondi del
Barile furono i più colpiti. I corpi si accumulavano nelle strade, e i
traghe i dei becchini passavano per i canali usando badili e uncini
per issare i cadaveri a bordo e portarli alla Chia a del Mietitore per
bruciarli.
A Kaz la febbre arrivò due giorni dopo quella di Jordie. Non
avevano soldi per medici o medicine, così si misero vicini dentro un
mucchio di scatole di legno ro e che soprannominarono il Nido.
Nessuno si presentò a farli alzare. Le bande erano state messe
fuori gioco dal morbo.
Quando la febbre divenne molto alta, Kaz sognò di essere tornato
alla fa oria, e quando bussò alla porta vide che il Jordie dei sogni e il
Kaz dei sogni erano già lì, seduti al tavolo della cucina. Loro lo
guardarono dalla finestra, ma non lo fecero entrare, e allora lui vagò
per il prato, timoroso di coricarsi nell’erba alta.
Quando si svegliò, non sentì odore di fieno o di trifoglio o di mele,
solo fumo di carbone e il tanfo dolciastro della verdura marcia nella
spazzatura. Jordie era coricato accanto a lui e fissava il cielo. “Non
lasciarmi” voleva dirgli Kaz, ma era troppo stanco. Così appoggiò la
testa sul pe o di Jordie. C’era già qualcosa che non andava, era
freddo e duro.
Crede e di sognare quando i becchini lo issarono sul traghe o dei
morti. Si sentì cadere, e poi si ritrovò dentro un ammasso di corpi.
Voleva urlare, ma era troppo debole. Erano ovunque, gambe e
braccia e pance rigide, arti in decomposizione e facce dalle labbra blu
piagate dalle pustole della peste. Galleggiò dentro e fuori lo stato di
coscienza, e mentre la barca usciva in mare non sapeva più cosa
fosse reale e cosa fosse un’allucinazione data dalla febbre. Quando lo
ge arono nelle acque basse della Chia a del Mietitore, in qualche
modo trovò la forza di urlare.
“Sono vivo” aveva gridato, più forte che riusciva. Ma era così
piccolo, e il traghe o si stava già allontanando per tornare al porto.
Kaz cercò di trascinare Jordie fuori dall’acqua. Il suo corpo era
ricoperto dalle piccole piaghe suppuranti che avevano dato alla
febbre bubbonica quel nome, la pelle bianca e livida. Kaz ripensò al
cagnolino meccanico, alla cioccolata calda che avevano bevuto sul
ponte. Pensò che il paradiso doveva essere come la cucina nella casa
sulla Zelverstraat e doveva profumare come l’hutspot dentro il forno
degli Her oon. Aveva ancora il nastro rosso di Saskia. In paradiso
avrebbe potuto ridarglielo. Avrebbero fa o dei dolce i ricavandoli
dall’impasto di mele cotogne. Margit avrebbe suonato il piano, e lui
si sarebbe addormentato accanto al fuoco. Chiuse gli occhi e a ese di
morire.
Kaz si aspe ava di svegliarsi nell’altro mondo, al caldo e al sicuro,
con la pancia piena e Jordie accanto. Invece, si svegliò circondato da
cadaveri. Giaceva nelle acque basse della Chia a del Mietitore, i
vestiti fradici, la pelle tu a grinzosa per essere rimasta a mollo così a
lungo. Il corpo di Jordie era vicino a lui, a malapena riconoscibile,
bianco e gonfio di gas, e galleggiava sulla superficie dell’acqua come
un raccapricciante pesce degli abissi.
Kaz vedeva più chiaramente, e le eruzioni cutanee si erano
diradate. La febbre era svanita. Non aveva più fame, ma aveva così
tanta sete che pensava di impazzire.
Per tu o il giorno e per tu a la no e aspe ò in quell’ammasso di
corpi, guardando verso il porto, sperando nel ritorno del traghe o
dei morti. Dovevano venire ad appiccare il fuoco che avrebbe
bruciato i cadaveri, ma quando? I becchini passavano ogni giorno? A
giorni alterni? Era debole e disidratato. Sapeva che non avrebbe
resistito a lungo. La riva sembrava così lontana, e sapeva anche di
essere troppo debole per nuotare fin là. Era sopravvissuto alla
febbre, ma avrebbe benissimo potuto morire qui fuori, sulla Chia a
del Mietitore. Gli importava? Non c’era niente in ci à, per lui, se non
altra fame e altri vicoli bui e altra umidità lungo i canali. Ma anche
mentre lo pensava, sapeva che non era vero. C’era la vende a ad
aspe arlo, vende a per Jordie e forse anche per se stesso. Ma
avrebbe dovuto andare a cercarsela.
Quando venne no e e la marea cambiò direzione, Kaz si costrinse
a me ere le mani sul corpo di Jordie. Era troppo debole per nuotare
da solo, ma con l’aiuto di Jordie avrebbe potuto galleggiare. Si tenne
stre o a suo fratello e si mise a scalciare l’acqua verso le luci di
Ke erdam. Andarono insieme alla deriva, il corpo gonfio di Jordie
che faceva da za era. Kaz continuò a scalciare, cercando di non
pensare a suo fratello, alla sensazione della carne flaccida di Jordie
so o le mani; cercò di non pensare a nient’altro che al ritmo delle
proprie gambe che si muovevano nelle acque del mare. Aveva
sentito dire che c’erano degli squali in quelle acque, ma sapeva che
non l’avrebbero toccato. Anche lui era un mostro, adesso.
Continuò a scalciare, e quando venne l’alba sollevò lo sguardo e si
ritrovò all’estremità orientale del Coperchio. Il porto era quasi
deserto; il morbo aveva arrestato l’andirivieni delle navi a Kerch.
Le ultime cento iarde furono le più difficili. La marea era cambiata
di nuovo, e gli stava remando contro. Ma ora Kaz era pieno di
speranza, speranza e furia, due fiamme gemelle che ardevano dentro
di lui e che lo portarono fino al molo e su per la scala a pioli. Quando
arrivò in cima, cadde di peso sulla schiena e finì sulle assi di legno, al
che si sforzò di girarsi. Il corpo di Jordie era prigioniero della
corrente, e continuava ad andare a sba ere contro il traliccio so o il
molo. Gli occhi erano ancora aperti, e per un istante Kaz pensò che
suo fratello lo stesse fissando. Ma Jordie non parlò, non sba é le
palpebre e il suo sguardo non cambiò quando la marea lo liberò dal
traliccio e se lo portò via verso il mare.
“Dovrei chiudergli gli occhi” pensò Kaz. Ma sapeva che se fosse
sceso per la scala a pioli e si fosse ribu ato in acqua, non sarebbe
riemerso mai più. Si sarebbe lasciato annegare, e questo non era più
possibile. Lui doveva vivere. Qualcuno doveva pagare.

Nel carro del carcere, Kaz si svegliò a causa di un colpo secco alla
coscia. Era un pezzo di ghiaccio ed era al buio. C’erano dei corpi
a orno a lui, pigiati sulla schiena e sui fianchi. Stava annegando nei
cadaveri.
«Kaz.» Un sussurro.
Lui trasalì.
Un altro colpo alla coscia.
«Kaz.» La voce di Inej. Cercò di fare un respiro profondo dal naso.
La sentì allontanarsi da lui. In qualche modo, negli spazi ristre i del
carro, stava provando a fargli spazio. Il cuore gli martellava nel
pe o.
«Continua a parlare» gracchiò.
«Cosa?»
«Continua a parlare.»
«Stiamo varcando il cancello della prigione. Abbiamo superato i
primi due posti di blocco.»
A queste parole tornò a essere del tu o presente a se stesso.
Avevano superato due posti di blocco. Voleva dire che erano stati
contati. Qualcuno aveva aperto la porta – non una ma due volte –
forse gli aveva anche messo le mani addosso, e lui non si era
svegliato. Avrebbero potuto derubarlo, ucciderlo. Aveva immaginato
di morire in migliaia di modi diversi, ma mai nel sonno.
Si sforzò di respirare profondamente, nonostante la puzza dei
corpi. Aveva tenuto addosso i guanti, e le guardie avrebbero potuto
notarli facilmente: era stata una stupida concessione alla propria
debolezza, ma se non l’avesse fa o, poco ma sicuro sarebbe
impazzito del tu o.
Dietro di lui poteva sentire gli altri prigionieri bisbigliare in lingue
diverse. Malgrado le paure che l’oscurità risvegliava dentro di lui,
era grato di essere al buio. Poteva solo sperare che il resto della
banda, incappucciato e confinato dentro le proprie ansie, non avesse
notato niente di strano nel suo comportamento. Era stato fiacco,
lento a reagire quando avevano teso l’agguato al carro, ma questo era
tu o, e avrebbe potuto trovare una giustificazione per spiegare
l’accaduto.
Odiava l’idea che Inej l’avesse visto conciato a quel modo, che
chiunque potesse averlo visto, ma sulla scia di quel pensiero ne
arrivò un altro: “Meglio che sia toccato a lei”. Sapeva fin dentro le
ossa che Inej non ne avrebbe mai fa o parola con nessuno, che non
avrebbe mai usato quell’informazione contro di lui. Lei faceva
affidamento sulla sua reputazione. Non l’avrebbe mai fa o apparire
debole. Ma c’era qualcosa in più di quello, vero? Inej non l’avrebbe
q p q j
mai tradito. Lui lo sapeva. Kaz si sentì male. Anche se le aveva
affidato la propria vita un’infinità di volte, era molto più spaventosa
l’idea affidarle questa vergogna.
Il carro si fermò. Il catenaccio scivolò indietro e la porta si aprì.
Sentì parlare in Fjerdiano, poi dei rumori di sfregamento e un
tunc. Il collare era slacciato, e fu condo o giù dal carro su una specie
di rampa insieme agli altri prigionieri. Udì il suono di quello che
sembrava un cancello che si apriva cigolando, e furono radunati lì
davanti, con i piedi che si trascinavano dietro le catene.
Kaz strizzò gli occhi quando gli strapparono via di colpo il
cappuccio. Erano in piedi in un ampio cortile. L’imponente cancello
fissato nelle mura ad anello si stava già abbassando per chiudersi e
andò a sba ere contro le pietre in una raffica sinistra di cigolii e
scricchiolii. Quando Kaz sollevò lo sguardo, vide che c’erano guardie
piazzate su tu o il te o del cortile con i fucili puntati verso i
prigionieri. Le guardie di so o, nel cortile, stavano passando in
rassegna le file di detenuti in catene, cercando di abbinarli ai nomi e
alle descrizioni sui documenti del conducente.
Ma hias aveva descri o la stru ura della Corte di Ghiaccio nei
de agli, ma aveva de o ben poco a proposito del suo vero aspe o.
Kaz si era aspe ato qualcosa di umido e vetusto: arcigna pietra
grigia, pronta per la ba aglia. Invece era circondato da marmo così
bianco che alla luce sembrava quasi blu. Era come se stesse vagando
dentro qualche versione surreale delle terre inospitali che avevano
a raversato su al Nord. Era impossibile distinguere il vetro dal
ghiaccio o dalla pietra.
«Se questa non è opera di un Fabrikator, allora io sono la regina
degli spiriti di legno» borbo ò Nina in Kerch.
«Tig!» ordinò una delle guardie. Le conficcò il fucile in pancia, e
lei si piegò in due per il dolore. Ma hias tenne la testa girata
dall’altra parte, ma Kaz non mancò di notare quanto era teso.
Le guardie Fjerdiane gesticolavano sopra le carte, nel tentativo di
far coincidere i numeri e le identità dei prigionieri con i detenuti
riuniti davanti a loro. Era il primo momento in cui rischiavano
veramente di essere smascherati, e Kaz non aveva il minimo
controllo della situazione. Sarebbe stato troppo dispendioso in
pp p
termini di tempo, e troppo pericoloso, individuare e scegliere i
prigionieri da sostituire. Era un rischio calcolato, ma ora Kaz poteva
soltanto aspe are e sperare che la pigrizia e la burocrazia facessero il
resto.
Appena le guardie passarono oltre, Inej aiutò Nina a rialzarsi.
«Stai bene?» chiese Inej, e Kaz si sentì a ra o dalla voce di lei
come l’acqua che scende a valle.
Lentamente, Nina si raddrizzò e si rimise in piedi. «Tu o a posto»
sussurrò. «Ma credo che non dovremo più preoccuparci della banda
di Pekka Rollins.»
Kaz seguì lo sguardo di Nina in cima alle mura ad anello, in alto
sopra il cortile, dove cinque uomini erano stati impalati, infilzati
sulle picche come carne da arrostire, le schiene piegate, gli arti
penzolanti. Kaz dove e strizzare gli occhi ma riconobbe Eroll Aerts,
il miglior scassinatore di Rollins. I lividi e le ferite delle percosse che
gli erano state infli e prima di morire erano di un viola profondo
alla luce del ma ino, e Kaz riusciva giusto a distinguere una macchia
nera sul suo braccio: il tatuaggio del Centesimo di Leone.
Scrutò le altre facce: erano troppo gonfie e deformate nello
spasimo della morte per identificarle. Uno di loro poteva essere
Rollins? Kaz avrebbe dovuto felicitarsi che un’altra banda fosse fuori
gioco, ma Rollins non era uno sciocco, e il pensiero che la sua cricca
non fosse riuscita a superare il cancello della Corte di Ghiaccio era
più che snervante. Inoltre, se Rollins avesse incontrato la morte in
cima a una picca Fjerdiana... No, Kaz lo escluse. Pekka Rollins era
suo.
Ora le guardie stavano discutendo con il conducente, e una di loro
stava indicando Inej.
«Cosa succede?» bisbigliò a Nina.
«Sostengono che i documenti non sono corre i, che c’è una
ragazza Suli al posto di un ragazzo Suli.»
«E il conducente?» domandò Inej.
«Lui continua a dire che non è un suo problema.»
«Bravo, così che si fa» mormorò Kaz come incoraggiamento.
Li guardò andare avanti e indietro. Era quello il bello di tu e le
misure preventive e dei livelli di sicurezza. Le guardie erano sempre
p g p
convinte di poter contare su qualcun altro per correggere un errore o
risolvere un problema. La pigrizia non era affidabile tanto quanto
l’avidità, ma era comunque un’o ima leva. Le guardie stavano
parlando dei prigionieri – incatenati, circondati da tu e le parti, e in
procinto di essere bu ati in cella. Inoffensivi.
Alla fine, una delle guardie carcerarie fece un sospiro e un segnale
ai compari. «Diveskemen.»
«Avanti» tradusse Nina, e poi continuò a tradurre mentre la
guardia parlava. «Portateli nel blocco orientale e lasciate che se la
vedano quelli del turno dopo.»
Kaz si permise di tirare un velocissimo sospiro di sollievo.
Come previsto, le guardie divisero il gruppo di detenuti in
uomini e donne, poi condussero entrambe le file, con le catene che
tintinnavano, dentro un portale quasi circolare che aveva la forma
della bocca spalancata di un lupo.
Entrarono in una stanza dove una donna anziana era seduta con
le mani legate, fiancheggiata da sorveglianti. I suoi occhi erano
assenti. A ogni prigioniero che si avvicinava, la donna prendeva il
polso.
Un amplificatore umano. Kaz sapeva che Nina aveva lavorato con
loro quando aveva passato al setaccio l’Isola Errante per trovare dei
Grisha da arruolare nel Secondo Esercito. Gli amplificatori potevano
avvertire la presenza del potere Grisha tramite il ta o, e un loro
tipico impiego era nei tornei di carte con puntate alte, per accertarsi
che nessun giocatore al tavolo fosse un Grisha. Chiunque sapesse
alterare le pulsazioni di un altro giocatore o anche alzare la
temperatura in una stanza godeva di un vantaggio ingiusto. Ma i
Fjerdiani li usavano per un altro scopo: per essere certi che nessun
Grisha penetrasse all’interno delle loro mura senza essere
identificato.
Kaz guardò Nina avvicinarsi. Tremava mentre tendeva il braccio.
La donna serrò le dita a orno al suo polso. Le ciglia freme ero
appena. Poi lasciò andare la mano di Nina e le fece un gesto di
saluto.
Aveva capito e fa o finta di niente? O la paraffina che avevano
usato per ricoprire il braccio di Nina aveva funzionato?
p p
Mentre venivano condo i all’interno di una volta sulla sinistra,
Kaz intravide Inej sparire dentro l’arco di fronte insieme alle altre
prigioniere di sesso femminile. Sentì una fi a al pe o, e realizzò con
inquietudine che si tra ava di un a acco di panico. Lei era stata
quella che, nel carro, lo aveva fa o uscire dallo stato confusionale. La
sua voce lo aveva portato fuori dall’oscurità; era stata il laccio che lui
aveva afferrato e usato per tirarsi fuori e recuperare una parvenza di
sanità mentale.
I prigionieri di sesso maschile furono condo i, sferragliando, su
per una buia rampa di scale fino a una passerella di metallo. Alla
loro sinistra c’era la mole bianca e liscia delle mura ad anello. Alla
loro destra la passerella si affacciava su un grosso recinto di vetro,
lungo quasi un quarto di miglio e abbastanza alto da accogliere
comodamente una nave mercantile. La passerella era illuminata da
una grossa lanterna di ferro che pendeva dal soffi o come un
bozzolo luminoso. Guardando in basso, Kaz vide file di carri
pesantemente corazzati e sormontati da torre e a cupola. Le ruote
erano larghe e agganciate a un ba istrada spesso. Da ogni carro
sporgeva un’enorme canna da fuoco – una cosa a metà strada tra un
fucile e un cannone – proprio là dove ci sarebbe dovuta essere una
squadra di cavalli da traino.
«Cosa sono quelle?» sussurrò.
«Torvegen» disse Ma hias so ovoce. «Non c’è bisogno dei cavalli
per tirarli. Quando me ne andai stavano ancora perfezionando il
proge o.»
«Niente cavalli?»
«Carri armati» bisbigliò Jesper. «Ho visto i prototipi quando
lavoravo con un armaiolo a Novyi Zem. Mitragliatrici nella torre a,
e quel grosso cilindro che sporge sul davanti? Una vera potenza di
fuoco.»
C’erano anche pezzi di artiglieria pesante a gravità nel recinto,
rastrelliere piene di fucili, munizioni, e quelle bombe e nere che i
Ravkiani chiamavano grenatye. Sulle pareti dietro il vetro erano
esposte le armi più antiche, messe in mostra in modo preciso: asce,
lance, archi lunghi. Sopra tu o, pendeva uno stendardo bianco e
argento: STRYMAKT FJERDAN .
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Quando Kaz posò lo sguardo su Ma hias, il gigante mormorò:
«Potenza Fjerdiana».
Sbirciò a raverso il vetro spesso. Se ne intendeva di misure di
protezione, e Nina aveva ragione, questo vetro era un altro esempio
di manifa ura Fabrikator, antiproie ile e antisfondamento.
Entrando e uscendo dalla prigione, i detenuti avrebbero visto armi,
armamenti, macchine da guerra: tu i brutali promemoria della forza
dello stato Fjerdiano.
“Andate avanti a tirarvela” pensò. “Non importa quanto siano
grandi le canne delle vostre pistole se non sapete dove puntarle.”
Dall’altra parte del recinto, Kaz vide una seconda passerella, sulla
quale stavano sfilando le prigioniere.
Inej starà bene. Doveva restare lucido. Erano in territorio nemico
adesso, un luogo pieno di pericoli, il tipo di pericoli da cui non esci
vivo se non mantieni l’autocontrollo. La squadra di Pekka era
arrivata così lontano prima di essere scoperta? E dov’era Pekka? Se
n’era rimasto al sicuro a Kerch, o anche lui era prigioniero dei
Fjerdiani?
Niente di tu o ciò era importante al momento. Doveva
concentrarsi sul piano e trovare Yul-Bayur. Lanciò un’occhiata agli
altri. Wylan sembrava che fosse lì lì per farsela addosso. Helvar era
serio come al solito. Jesper sorrise e sussurrò: «Be’, ci siamo dati da
fare per rinchiuderci da soli nel carcere più sicuro del mondo. O
siamo dei geni o siamo i più stupidi figli di pu ana mai visti».
«Lo sapremo presto.»
Furono condo i in un’altra stanza bianca, dotata di vasche di
stagno e tubi di gomma.
La guardia farfugliò qualcosa in Fjerdiano, e Kaz vide che
Ma hias e alcuni degli altri incominciavano a spogliarsi. Deglutì la
bile che gli salì in gola e si rifiutò di vomitare.
Poteva farcela, doveva farcela. Pensò a Jordie. Cos’avrebbe de o
Jordie se il suo fratellino avesse perso l’ultima occasione di farsi
giustizia solamente perché non era in grado di tenere a bada una
stupida nausea? Ma questo servì solo a riportargli alla memoria la
carne fredda di Jordie, il modo in cui si disfaceva nell’acqua salata, e
l’ammasso di cadaveri intorno a lui sul traghe o. La vista gli si
appannò.
“Torna in te, Brekker” si rimproverò duramente. Non servì a
niente. Stava per svenire di nuovo, e poi sarebbe tu o finito. Una
volta Inej si era offerta di insegnargli come cadere.
“Il trucco non sta nell’andare giù” gli aveva de o ridendo. “No,
Kaz” aveva continuato, “il trucco sta nel tornare su.” Le solite
banalità Suli, però il ricordo della voce di lei era di aiuto. Lui era
meglio di così. Lui doveva essere meglio di così. Non solo per Jordie,
ma per la sua banda. Li aveva portati fin qui. Aveva portato Inej. Era
suo dovere farli uscire.
“Il trucco sta nel tornare su.” Tenne la voce di Inej in testa e ripeté
quelle parole, ancora e ancora, mentre si toglieva gli stivali, i vestiti,
e alla fine i guanti.
Vide che Jesper gli stava fissando le mani. «Che cosa ti aspe avi?»
gli ringhiò.
«Degli artigli, almeno» disse Jesper, spostando lo sguardo sui
propri piedi nudi. «Oppure un pollice con le spine.»
La guardia, dopo aver ge ato i loro vestiti in un bidone che senza
dubbio sarebbe stato portato all’inceneritore, fece ritorno. Inclinò la
testa di Kaz all’indietro, gli aprì a forza la bocca e si mise a tastare in
giro con le sue grasse dita. Negli occhi gli sbocciarono delle macchie
nere mentre lo ava per restare cosciente. Le dita della guardia
passarono nel punto tra i denti dove Kaz aveva incastrato il dische o
di baleen, poi gli pizzicarono l’interno delle guance.
«Ondetjarn!» esclamò la guardia. «Fellenjuret!» urlò di nuovo
mentre gli estraeva due so ili pezzi di metallo dalla bocca. I
grimaldelli colpirono il pavimento di pietra con un plinc-plinc. La
guardia gli gridò qualcosa in Fjerdiano e lo schiaffeggiò forte in
faccia. Kaz cadde in ginocchio, ma si costrinse a rialzarsi. Notò
l’espressione terrorizzata di Wylan, ma era tu o quello che poteva
fare per rimanere in piedi mentre l’uomo lo spingeva dentro la fila in
a esa di fare una doccia ghiacciata.
Quando emerse, fradicio e tremante, un’altra guardia gli porse i
pantaloni sbiaditi della divisa carceraria e una casacca, prelevandoli
dalla pila di panni accanto. Kaz se li infilò, poi zoppicò verso la sala
p p p pp
d’a esa con il resto dei prigionieri. In quel momento, avrebbe
rinunciato alla metà dei suoi trenta milioni di kruge in cambio del
peso familiare del suo bastone.
Le celle di detenzione preventiva assomigliavano molto di più alla
prigione che si era immaginato: niente pietra bianca o vetrate, solo
umida pietra grigia e sbarre di ferro.
Furono radunati in una cella già affollata. Helvar si sede e con la
schiena al muro a sorvegliare gli uomini che andavano su e giù,
guardandoli di traverso. Kaz si appoggiò alle sbarre, a osservare le
guardie andarsene. Sentiva i corpi muoversi dietro di lui. C’era
spazio a sufficienza, ma erano comunque troppo vicini. “Solo un
altro po’” si disse. Le mani erano insopportabilmente nude.
Kaz aspe ò. Sapeva cosa stava per succedere. Aveva soppesato gli
altri detenuti non appena erano entrati nella cella, e sapeva che
sarebbe stato il Kaelish robusto e con la voglia sulla pelle ad arrivare
da lui. Era agitato, nervoso, e aveva notato chiaramente la zoppia di
Kaz.
«Ehi, storpio» disse il Kaelish in Fjerdiano. Ci riprovò in Kerch,
con una cadenza forte. «Ehi, storpio.» Non c’era bisogno che si
disturbasse. Kaz sapeva come si diceva “storpio” in tantissime
lingue.
L’istante successivo, Kaz sentì l’aria spostarsi mentre il Kaelish
allungava un braccio verso di lui. Fece un passo a sinistra, e
l’aggressore barcollò in avanti, trasportato dal proprio slancio. Kaz lo
assecondò, gli afferrò il braccio e lo infilò nello spazio tra le sbarre,
fino alla spalla. Il Kaelish si lasciò sfuggire un sonoro grugnito
quando la faccia gli si spiaccicò contro le sbarre di ferro.
Kaz puntellò l’avambraccio dell’uomo a una sbarra. Si lasciò
andare con tu o il peso contro il corpo dell’avversario, e sentì un
rumore appagante quando il braccio del Kaelish si dislocò dalla
spalla. Non appena l’uomo aprì la bocca per urlare, Kaz gliela coprì
con una mano e gli tappò il naso con l’altra. La sensazione della
carne nuda sulle dita gli fece venir voglia di vomitare.
«Sssh» disse, usando la presa sul naso dell’uomo per spingerlo
indietro verso la panca contro il muro. Gli altri prigionieri si fecero
da parte per liberare il passaggio.
p p p gg
L’uomo crollò a sedere, senza fiato e con gli occhi che gli
lacrimavano. Kaz continuò a tappargli naso e bocca. Il Kaelish
tremava so o la sua presa.
«Vuoi che te lo rime a a posto?» gli chiese Kaz.
Il Kaelish uggiolò.
«Lo vuoi?»
Il Kaelish uggiolò più forte mentre i prigionieri osservavano.
«Tu urla, e io farò in modo che tu non possa usarlo mai più, ci
siamo intesi?»
Lasciò andare la bocca dell’uomo e con una spinta rimise il
braccio in posizione. Il Kaelish rotolò sul fianco, si rannicchiò sulla
panca e si mise a piangere.
Kaz si pulì le mani sui pantaloni e tornò nell’angolo accanto alle
sbarre. Sentiva gli sguardi degli altri su di sé, ma ora sapeva che
l’avrebbero lasciato in pace.
Helvar gli andò accanto. «Era veramente necessario?»
«No.»
Invece sì: per essere lasciati in pace mentre facevano quello che
dovevano fare, e per ricordare a se stesso che non era un debole.
23
JESPER

Jesper voleva camminare avanti e indietro, ma si era preso un posto


sulla panca e intendeva tenerselo. Era come se avesse so opelle delle
piccole vibrazioni di ansia e di eccitazione, e Wylan seduto accanto a
lui a tamburellare freneticamente sulle ginocchia non lo stava
aiutando a calmarsi. Non pensava di poter tollerare altra a esa.
Prima la barca, poi tu o quel camminare, e ora era bloccato in una
cella fino a quando le guardie non fossero passate a contare i
detenuti per la sera.
Solamente suo padre aveva compreso la sua energia irrequieta.
Aveva spinto Jesper a impiegarla nella fa oria, ma il lavoro era
troppo monotono per lui. L’università avrebbe dovuto indicargli la
direzione da prendere, ma lui aveva imboccato un sentiero diverso.
Lo imbarazzò il pensiero di cosa avrebbe de o suo padre se avesse
saputo che il figlio era morto in una prigione Fjerdiana. Ma come
avrebbe fa o a scoprirlo? Rimuginarci sopra era troppo deprimente.
Quanto tempo era passato? E se chiusi qui dentro non avessero
nemmeno sentito l’Orologio Maggiore? Le guardie avrebbero
dovuto fare la conta al sesto rintocco. A quel punto Jesper e gli altri
avrebbero avuto fino a mezzano e per eseguire il colpo. O così
speravano. Ma hias aveva trascorso solo tre mesi in prigione. Le
procedure potevano essere cambiate. Poteva aver sbagliato qualcosa.
O forse il Fjerdiano ci vuole dietro le sbarre prima di spifferare tu o su di
noi.
Ma Ma hias era seduto in silenzio dall’altra parte della cella,
vicino a Kaz. Jesper non si era perso la zuffa con il Kaelish. Kaz era
sempre inscalfibile sul lavoro, ma questa volta era sulle spine, e
Jesper non sapeva perché. Una parte di lui voleva chiederglielo, ma
era la parte stupida, il fiducioso ragazzo o di campagna che
p p g p g
sceglieva di preoccuparsi della persona peggiore possibile, che
cercava significati in cose che in fondo non significavano niente:
quando Kaz gli assegnava un incarico, quando Kaz stava al gioco
delle sue ba ute. Si sarebbe preso a calci da solo. Aveva finalmente
visto il famigerato Kaz Brekker senza uno straccio di vestito addosso
ed era stato troppo preoccupato di finire su una picca per prestare la
dovuta a enzione.
Ma se Jesper era in ansia, Wylan sembrava sul punto di vomitare.
«Cosa faremo adesso?» gli sussurrò. «A cosa serve uno
scassinatore senza a rezzi per scassinare?»
«Fai silenzio.»
«E a cosa servi tu? Un cecchino senza pistole. Sei del tu o
irrilevante alla missione.»
«Non è una missione; è un colpo.»
«Ma hias la chiama missione.»
«Lui è un militare, tu no. E mi trovo già in prigione, non istigarmi
a comme ere un omicidio.»
«Tu non mi ucciderai, e io non farò finta che vada tu o bene.
Siamo bloccati qui dentro.»
«Sei decisamente più ada o a una gabbia dorata che a una gabbia
vera.»
«Ho lasciato la casa di mio padre.»
«Già, hai rinunciato a una vita nel lusso per finire nei bassifondi
con noi figli di pu ana del Barile. Questo non ti rende interessante,
Wylan, solo stupido.»
«Tu non conosci la storia che c’è dietro.»
«E allora raccontamela» disse Jesper, girandosi verso di lui.
«Abbiamo tu o il tempo. Che cosa spinge un piccolo bravo ragazzo
del mondo mercantile a lasciare casa per cercare compagnia tra i
criminali?»
«Ti comporti come se fossi nato nel Barile come Kaz, ma non sei
nemmeno Kerch. Anche tu hai scelto questa vita.»
«Mi piacciono le ci à.»
«Non ci sono ci à a Novyi Zem?»
«Non come Ke erdam. Sei mai stato da qualche parte che non sia
casa tua, il Barile, e le cene eleganti alle ambasciate?»
g
Wylan distolse lo sguardo. «Sì.»
«Dove? Nei sobborghi durante la stagione delle pesche?»
«Alle corse di Caryeva. Nei giacimenti petroliferi degli Shu. Nelle
piantagioni di jurda vicino a Shriftport. Weddle. Elling.»
«Sul serio?»
«Mio padre mi portava ovunque con lui.»
«Finché?»
«Finché cosa?»
«Finché. Mio padre mi portava ovunque finché mi è venuto un
terribile mal di mare, finché ho vomitato a un matrimonio reale, finché
ho tentato di chiavarmi la gamba dell’ambasciatore!»
«Era stata la gamba a chiedermelo.»
Jesper scoppiò a ridere forte. «Finalmente un po’ di spina
dorsale.»
«Ne ho da vendere, di spina dorsale» borbo ò Wylan. «E guarda
dove mi ha...»
Fu interro o dalla voce di una guardia che urlò in Fjerdiano
proprio mentre l’Orologio Maggiore iniziava a ba ere i sei rintocchi.
Perlomeno in quel posto erano puntuali.
La guardia parlò ancora in Shu e poi in Kerch. «In piedi.»
«Shimkopper» ordinò. Tu i gli rivolsero uno sguardo inespressivo.
«Il secchio del piscio» provò a dire in Kerch. «Dov’è... svuotare?»
Mimò il gesto.
Ci furono scrollate di spalle e occhiate perplesse.
L’espressione imbronciata della guardia mise in chiaro che non
gliene poteva importare di meno. Spinse dentro la cella un secchio
d’acqua fresca e chiuse di colpo le sbarre.
Jesper si mise davanti a tu i e diede un lungo sorso dalla tazza
legata al manico. La maggior parte dell’acqua gli finì sulla casacca.
Quando porse la tazza a Wylan, fece in modo che inzuppasse anche
lui.
«Che cosa fai?» protestò il ragazzo.
«Pazienza, Wylan. E cerca di seguire.»
Jesper si sollevò i pantaloni e si tastò la pelle so ile delle caviglie.
«Dimmi cosa sta succ...»
«Fai silenzio. Ho bisogno di concentrarmi.» Era vero. Non ci
teneva proprio che la pallina che si ritrovava conficcata so opelle si
aprisse mentre era ancora dentro di lui.
Tastò i punti so ili che gli aveva messo lì Nina. Gli fece un male
d’inferno quando li fece saltare per estrarre la pallina. Aveva le
dimensioni di un chicco d’uve a ed era scivolosa per via del sangue
di cui era imbra ata. In quello stesso momento, Nina stava usando il
proprio potere per aprire la propria, di pelle. Jesper si domandò se
facesse meno male dei punti.
«Copriti la bocca con la casacca» disse a Wylan.
«Cosa?!
«Sme ila di fare il finto tonto. Sei più carino da sveglio.»
Le guance di Wylan si fecero rosse. Guardò storto Jesper e alzò il
colle o della casacca.
Jesper si infilò so o la panca dove aveva nascosto il secchio dei
rifiuti e lo tirò fuori.
«Tempesta in arrivo» disse Jesper a voce alta in Kerch. Vide
Ma hias e Kaz sollevare i loro colle i. Girò la faccia dall’altra parte,
si portò la casacca alla bocca e lanciò la pallina nel secchio.
Ci fu un fruscio sfrigolante quando una nuvola di fumo sbocciò
dall’acqua. In pochi secondi aveva avvolto le celle in una coltre di
nebbia verde la iginosa.
Gli occhi di Wylan, che sbucavano dal colle o sollevato, erano
terrorizzati. Jesper fu tentato di far finta di svenire, ma si accontentò
dell’effe o che faceva vedere tu i quegli uomini cadere a terra
a orno a lui.
Contò fino a sessanta, poi abbassò il colle o e fece un respiro di
prova. L’aria aveva ancora un odore dolciastro e li avrebbe lasciati
storditi per un po’, ma il peggio si era già disperso. Quando le
guardie fossero arrivate per la conta successiva, i prigionieri
avrebbero avuto dei gran bru i mal di testa, ma poco da dire.
E se tu o fosse andato per il verso giusto, per quell’ora sarebbero
stati lontani.
«Era cloroformio?»
«Decisamente più carino da sveglio. Sì, la pallina è un involucro a
base di enzimi riempita con polvere di cloro. È innocua fino a che
p p
non entra in conta o anche con la minima quantità di ammoniaca.
Che è esa amente quello che è appena successo.»
«L’urina nel secchio... ma a quale scopo? Siamo ancora chiusi qua
dentro.»
«Jesper» disse Kaz passando la mano sulle sbarre per a rarre la
sua a enzione. «L’orologio fa tic tac.»
Jesper sciolse le spalle mentre si avvicinava. Di solito, per questo
genere di lavoro ci voleva un sacco di tempo, sopra u o perché non
aveva mai ricevuto un vero addestramento. Posizionò le mani sui
due lati di una singola sbarra e si concentrò per individuare le
particelle più pure di minerale.
«Che cosa sta facendo?» chiese Ma hias.
«Sta celebrando un antico rituale Zemeni» rispose Kaz.
«Davvero?»
«No.»
Tra le mani di Jesper si stava formando una nebbiolina torbida.
Wylan disse con un rantolo: «È minerale di ferro?».
Jesper annuì mentre la fronte gli si imperlava di sudore.
«Sei capace di sciogliere le sbarre?»
«Non dire idiozie» grugnì lui. «Non vedi come sono spesse?»
In effe i, la sbarra sulla quale stava lavorando sembrava la stessa
di prima, ma aveva estra o ferro a sufficienza per far sì che la nuvola
tra le mani fosse quasi nera.
Contrasse la punta delle dita, e le particelle si misero a vorticare e
a ronzare dentro una spirale che diventava sempre più fi a e stre a.
Lasciò cadere le mani e un ago so ile cadde sul pavimento con un
melodioso ping.
Wylan lo sollevò da terra e lo tenne in modo che la luce ne facesse
brillare la superficie opaca.
«Tu sei un Fabrikator» disse Ma hias senza troppa allegria.
«Più o meno.»
«O lo sei o non lo sei» disse Wylan.
«Lo sono.» Con un dito lo punzecchiò. «E tu terrai la bocca chiusa
quando saremo tornati a Ke erdam.»
«Ma perché dovresti mentire su...»
«Mi piace camminare libero per strada» disse Jesper. «Mi piace
non dovermi preoccupare di essere rapito da uno schiavista o
condannato a morte da qualche stronzo come il nostro amico, qui,
Helvar. E poi, ho altri talenti che mi danno più piacere e benefici. Un
sacco di altri talenti.»
Wylan tossì imbarazzato. Flirtare con il mercantuccio poteva
essere più divertente che importunarlo, ma era una scelta difficile.
«Nina lo sa che sei un Grisha?»
«No, e non deve saperlo. Non mi servono le sue prediche sul
Secondo Esercito e sulla gloriosa causa di Ravka.»
«Rifallo» lo interruppe Kaz. «E sbrigati.»
Jesper ripartì a sudare su un’altra sbarra.
«Se era questo il piano, perché cercare di introdurre di nascosto
quei grimaldelli?» chiese Wylan.
Kaz incrociò le braccia. «Mai sentito parlare del moribondo a cui il
medico disse che era miracolosamente guarito? Danzò per le strade e
venne travolto e ucciso da un cavallo. Devi lasciar credere al pollo di
aver vinto. Le guardie stavano scrutando Ma hias e si stavano
chiedendo se avesse un’aria familiare? Stavano cercando rogne
mentre Jesper entrava nelle docce con la paraffina che gli si staccava
dalle braccia? No, erano troppo occupati a congratularsi fra loro per
avermi colto sul fa o. Hanno pensato che la minaccia fosse stata
neutralizzata.»
Quando Jesper finì, Kaz prese i due aghi tra le dita. Era strano
vederlo al lavoro senza i guanti, ma in pochi istanti la serratura
sca ò e loro furono liberi. Una volta fuori dalla cella, Kaz utilizzò i
minuscoli grimaldelli per chiudere la porta dietro di loro.
«Sapete quali sono i vostri compiti» sussurrò. «Io e Wylan
andremo a liberare Nina e Inej. Jesper, tu e Ma hias...»
«Lo so, sgraffignamo tu a la corda che riusciamo a trovare.»
«Ci ritroviamo nel seminterrato al mezzo rintocco.»
Si divisero. Gli ingranaggi erano stati messi in moto.
Secondo le mappe di Wylan, le stalle confinavano con il cortile
della portineria, pertanto dovevano fare dietro front e a raversare
l’area di detenzione preventiva. In teoria, questa sezione del carcere
era operativa solo quando i prigionieri venivano giudicati e spediti
p q p g g p
dentro o fuori, ma era meglio stare a enti comunque. Bastava una
guardia imprevedibile a rovinare i loro piani. La cosa più spaventosa
era percorrere la passerella a raverso il recinto di vetro, un lungo
tra o illuminato che li esponeva totalmente alla vista. Non c’era altro
da fare che incrociare le dita e a raversarla di corsa. Quindi scesero
giù per le scale e girarono alla sinistra della stanza in cui la povera
vecchia amplificatrice Grisha li aveva esaminati. Jesper represse un
brivido. Anche se nelle bische la paraffina sulle braccia aveva sempre
funzionato, il cuore aveva comunque preso a martellargli in pe o
mentre le era di fronte. Era magra come una buccia e altre anto
vuota. Ecco quello che accadeva ai Grisha che si trovavano nel posto
sbagliato al momento sbagliato: la condanna della schiavitù a vita o
peggio ancora.
Quando aprì spingendo la porta delle stalle, sentì che qualcosina
dentro di lui si rilassava. L’odore del fieno, gli animali che si
muovevano nelle cabine, i nitriti dei cavalli gli riportarono alla
memoria Novyi Zem. A Ke erdam, i canali rendevano superflua la
maggior parte delle carrozze e dei carri. I cavalli erano un lusso,
un’esibizione per dimostrare che avevi lo spazio dove tenerli e il
denaro per occupartene. Non si era reso conto che essere circondato
dagli animali gli mancasse così tanto.
Ma non c’era tempo per la nostalgia o per fermarsi ad accarezzare
un naso vellutato. Camminò a grandi passi dietro le cabine ed entrò
nella selleria. Ma hias si mise un enorme rotolo di funi su ogni
spalla. E fece la faccia sorpresa quando anche Jesper se ne caricò due.
«Sono cresciuto in un fa oria» spiegò lui.
«Non sembra.»
«Vero, sono smilzo» disse mentre tornavano indietro di corsa,
«ma rimango più asciu o quando piove.»
«Come?»
«Me ne cade di meno, addosso.»
«Tu i i collaboratori di Kaz sono strambi come questa squadra?»
domandò Ma hias.
«Oh, dovresti conoscere il resto degli Scarti. In confronto, noi
sembriamo dei Fjerdiani.»
Passarono per le docce e, invece di continuare verso la sala
d’a esa, scesero lungo una stre a rampa di scale e percorsero il
lungo atrio scuro che portava al seminterrato. Ora erano so o il
carcere principale, sopra di loro avevano cinque piani di celle, con
tanto di detenuti e guardie.
Jesper si era aspe ato di trovare il resto della banda nella grande
sala della lavanderia, già alle prese con la raccolta di materiali con
cui fabbricare esplosivi. Ma vide soltanto vasche giganti di stagno,
lunghi tavoli per ripiegare i panni, e vestiti lasciati ad asciugare
durante la no e su rastrelliere più alte di lui.
Trovarono Wylan e Inej nella stanza dei rifiuti. Era più piccola
della lavanderia e puzzava di immondizia. Due grossi bidoni a
rotelle pieni di vestiti scartati erano appoggiati contro un muro, in
a esa di essere bruciati. Non appena entrarono, Jesper sentì il calore
emanato dall’inceneritore.
«Abbiamo un problema» disse Wylan.
«Grosso quanto?» chiese Jesper, scaricando i rotoli di funi sul
pavimento.
Inej indicò con un gesto un paio di enormi sportelli metallici
inseriti in quello che sembrava un camino gigante che sporgeva dal
muro e arrivava fino al soffi o. «Mi sa che questo pomeriggio
me eranno in moto l’inceneritore.»
«Avevi de o che lo facevano funzionare di ma ina» disse Jesper a
Ma hias.
«Così facevano.»
Quando Jesper afferrò le maniglie ricoperte di cuoio degli
sportelli e le tirò per aprire, fu colpito da un ge o d’aria bollente, che
portava con sé l’odore nero e acre del carbone – e qualcos’altro, un
sentore chimico, forse un additivo che aggiungevano per far bruciare
meglio i fuochi. Non era spiacevole. Questo era il posto in cui il
carcere si sbarazzava di tu i i rifiuti – avanzi di cucina, secchi pieni
di escrementi umani, i vestiti tolti ai prigionieri, ma quale che fosse
la sostanza che i Fjerdiani avevano aggiunto al carburante, non era
potente abbastanza da bruciare via ogni schifezza. Jesper si sporse e
iniziò subito a sudare. Molto più in basso vide le braci
dell’inceneritore, coperte ma ancora vive so o la cenere, che
pulsavano di adirati bagliori rossi.
«Wylan, prendimi una casacca da uno dei bidoni» disse Jesper.
Quindi strappò una manica e la bu ò nel pozzo dell’inceneritore.
Cadde senza fare alcun rumore, prese fuoco a mezz’aria e incominciò
a bruciare prima ancora di avere la possibilità di raggiungere le
braci.
Jesper chiuse gli sportelli e ge ò quel che rimaneva della casacca
nel bidone. «Be’, il bo o è escluso» disse. «Non possiamo portare lì
dentro degli esplosivi. Tu ce la fai ad arrampicarti?» domandò a Inej.
«Forse. Non lo so.»
«Cosa dice Kaz? Dov’è Kaz? E dov’è Nina?»
«Kaz non sa ancora dell’inceneritore» disse Inej. «Lui e Nina sono
andati a perlustrare le celle dei piani superiori.»
Lo sguardo torvo di Ma hias diventò nero come un cielo carico di
pioggia pronto a squarciarsi. «Dovevamo andarci noi, io e Jesper,
con Nina.»
«Kaz non ha voluto aspe are.»
«Eravamo in orario» disse Ma hias con rabbia. «Che starà
combinando?»
Jesper si stava chiedendo la stessa cosa. «Vuole zoppicare su e giù
per tu e quelle rampe di scale e schivare le guardie di ronda?»
«Ho tentato di farglielo presente» disse Inej. «Ma lui deve stupirci
sempre, ricordate?»
«Come un nido di api. Spero proprio che non stiamo tu i per
essere punti.»
«Inej» chiamò Wylan da uno dei bidoni a rotelle. «Questi sono i
nostri vestiti.»
Allungò una mano dentro il bidone e, una dopo l’altra, tirò fuori
le scarpe e di pelle di Inej.
Il viso di lei si aprì in un sorriso smagliante. Finalmente un
pizzico di fortuna. Kaz non aveva il suo bastone. Jesper non aveva le
sue pistole. E Inej non aveva i suoi pugnali. Ma almeno aveva quelle
magiche scarpe e.
«Cosa dici, Spe ro? Ce la fai ad arrampicarti?»
«Ce la faccio.»
Jesper prese le scarpe da Wylan. «Se non pensassi che potrebbero
essere brulicanti di germi, le bacerei e poi bacerei te.»
24
NINA

Nina seguì Kaz su per le scale di pietra. Rampa dopo rampa, so o la


luce a gas che sfarfallava. Lo guardò a entamente. Teneva un buon
passo, ma l’andatura era rigida. Perché aveva insistito per farla lui,
questa scalata? Non poteva essere una questione di tempo, per cui
forse faceva parte del suo piano da sempre. Forse aveva preferito
tenere Ma hias all’oscuro di qualche informazione. Oppure
desiderava proprio confonderli.
Si fermavano su ogni pianero olo, ad ascoltare le guardie di
ronda. Il carcere era rumoroso, ed era dura non trasalire ogni volta:
voci che rimbombavano nella tromba delle scale, il clangore
metallico delle porte che si aprivano e chiudevano. Nina ripensò alla
violenza dell’Anticamera dell’Inferno, alle bustarelle che passavano
di mano in mano, al sangue che macchiava la sabbia, un mondo
lontano anni luce da questo luogo sterile. Per tenere le cose in ordine
potevi senza dubbio contare sui Fjerdiani.
Mentre stavano arrivando al quarto piano, le scale si riempirono
all’improvviso di voci e passi di stivali. In fre a, Nina e Kaz
arretrarono sul pianero olo del terzo piano e scivolarono tra le porte
che conducevano alle celle. In quella più vicina un detenuto si mise a
urlare. Nina alzò velocemente una mano e chiuse le sue vie aeree.
Lui la fissò, strabuzzando gli occhi e artigliandosi il collo. Lei gli
rallentò il ba ito cardiaco fino a farlo svenire e intanto mollò la presa
sulla laringe, lasciandolo così tornare a respirare. Dovevano zi irlo,
non ucciderlo.
I rumori aumentarono mentre le guardie scendevano le scale e il
Fjerdiano parlato ad alta voce riverberava sui muri. Nina tra enne il
respiro, gli occhi puntati sulla porta e le mani pronte. Kaz non era
armato, ma aveva assunto una posizione da comba imento, in a esa
p
che la porta si spalancasse. Invece le guardie oltrepassarono il
pianero olo, dire e al piano di so o.
Quando i rumori si affievolirono, Kaz fece segno a Nina e
uscirono dalla porta, chiudendola dietro di loro il più
silenziosamente possibile, e ripresero a salire.
Mentre raggiungevano l’ultimo piano suonarono i se e rintocchi.
Era passata un’ora da quando avevano messo fuori gioco i
prigionieri nell’area di detenzione preventiva. Avevano
quarantacinque minuti per ispezionare le celle di massima sicurezza,
rincontrarsi sul pianero olo e raggiungere il seminterrato. Kaz le
fece segno di prendere il corridoio sulla sinistra mentre lui
percorreva quello a destra.
La porta cigolò forte quando Nina la aprì. Qui le lanterne erano
molto distanziate fra loro, e le ombre tra l’una e l’altra sembravano
così profonde da cascarci dentro.
Meno male, si disse, che era travestita da detenuta, ma non poteva
negare di essere angosciata. Anche le celle erano differenti, con
solide porte d’acciaio pieno al posto delle sbarre di ferro.
Ogni uscio aveva una grata per guardare dentro, all’altezza degli
occhi. Be’, all’altezza degli occhi per un Fjerdiano. Nina non era
bassa, ma doveva comunque sollevarsi sulle punte dei piedi per
sbirciare dentro.
Per lo più i prigionieri dormivano o riposavano, rannicchiati negli
angoli o coricati sulla schiena con un braccio ripiegato sopra gli occhi
per ripararsi dalla luce della lampada che filtrava dalla grata.
Altri sedevano con la schiena appoggiata alle pareti, a guardare
fiacchi nel nulla. Ogni tanto Nina trovava qualcuno che camminava
su e giù e doveva allontanarsi in fre a. Nessuno di loro era Shu.
«Ajor?» la chiamò uno in Fjerdiano. Lei lo ignorò e andò avanti,
con il cuore che aveva mancato un ba ito.
E se Bo Yul-Bayur fosse stato veramente in quelle celle? Nina
sapeva che era improbabile, tu avia... avrebbe potuto ucciderlo
dentro la sua cella, farlo scivolare in un sonno profondo e indolore e
arrestargli semplicemente il cuore.
A Kaz avrebbe de o che non l’aveva trovato. E se fosse stato Kaz a
scovare Bo Yul-Bayur? Avrebbe dovuto a endere di ritrovarsi fuori
y
dalla Corte di Ghiaccio per risolvere il problema, ma in quel caso
avrebbe perlomeno potuto contare sull’aiuto di Ma hias.
Che strano, macabro accordo avevano stipulato.
Mentre Nina si aggirava per i corridoi, la fievole speranza che lo
scienziato fosse lì si spense del tu o. “Un’altra fila di celle” pensò,
“poi giù nel seminterrato con niente in mano.” Se non che, quando
entrò nell’ultimo corridoio, notò che era più corto degli altri. Dove
avrebbero dovuto esserci altre celle c’era una porta d’acciaio, e una
luce brillante filtrava da so o.
Fu scossa da un’ondata di malessere mentre si avvicinava, ma si
costrinse a spingere la porta che non era chiusa a chiave. Dove e
socchiudere gli occhi a causa della luce. Una luce impietosa – chiara
come quella del giorno ma senza nessun calore – e Nina non riusciva
a individuarne la fonte.
Sentì il fruscio della porta che si stava serrando dietro di lei.
All’ultimo momento si girò e l’afferrò per il bordo. Qualcosa le disse
che per aprire quel ba ente dall’interno sarebbe servita una chiave.
Si guardò a orno alla ricerca di qualcosa da usare per bloccare la
porta e tenerla aperta, e dove e accontentarsi di strappare un lembo
dei suoi pantaloni da galeo a e infilarlo nel blocco della serratura.
Questo posto sembrava tu o sbagliato. I muri, il pavimento e il
soffi o erano di un bianco così accecante che faceva male agli occhi.
Metà di una parete era fa a di pannelli di vetro liscio, perfe o.
Opera dei Fabrikator. Proprio come il recinto di vetro che circondava
quell’ignobile esposizione di armi. Nessun artigiano Fjerdiano
sarebbe riuscito a realizzare superfici così pure.
C’erano Grisha tanto disonesti da non poter lavorare in nessun
paese, e che avrebbero preso in considerazione l’idea di farsi
ingaggiare dal governo di Fjerda. Ma sarebbero sopravvissuti a un
simile incarico? Era più probabile che si tra asse di un lavoro da
schiavi.
Nina fece un passo avanti, poi un altro. Si voltò. Se una guardia
fosse entrata nel corridoio dietro di lei, non avrebbe potuto
nascondersi da nessuna parte. Quindi da i una mossa, Nina.
Sbirciò dentro la prima finestrella. La cella era bianca come l’atrio
e illuminata dalla stessa luce abbagliante. La stanza era deserta e
g
priva di qualsiasi arredamento: niente panca, niente bacinella, niente
secchio. L’unica interruzione in tu o quel candore era uno scarico
proprio al centro del pavimento, circondato da macchie rosse.
Nina passò alla cella successiva. Era identica e vuota come l’altra,
e così quella dopo, e quella dopo ancora. Ma qui qualcosa a irò la
sua a enzione, una moneta accanto allo scarico: no, non una moneta,
un bo one. Un piccolo bo one argentato decorato da un’ala, il
simbolo dei Grisha Chiamatempeste. Sentì un brivido strisciarle su
per le braccia. Queste celle erano state realizzate dai Grisha schiavi
per i Grisha prigionieri? Il vetro, le pareti e il pavimento erano stati
fa i per resistere alla manipolazione dei Fabrikator? Le stanze erano
sprovviste di metallo. Non c’era un impianto idraulico, non c’erano
tubi per trasportare l’acqua che un Chiamatempeste avrebbe potuto
usare. E Nina aveva il sospe o che il vetro dentro il quale stava
guardando fosse specchiato dall’altra parte, così uno Spaccacuore
recluso non sarebbe stato in grado di localizzare il suo bersaglio.
Queste celle erano state proge ate per chiuderci dentro i Grisha.
Erano state proge ate per chiuderla dentro.
Nina girò sui tacchi. Bo Yul-Bayur non c’era, e lei voleva essere
fuori da lì all’istante. Tolse il pezzo di stoffa dalla serratura e infilò la
porta senza nemmeno fermarsi a vedere se si chiudeva alle sue
spalle. Il corridoio delle celle in ferro era persino più buio dopo la
luminosità da cui proveniva, e inciampò mentre faceva di corsa la
strada da cui era arrivata. Nina sapeva che si stava comportando in
modo incauto, ma non riusciva a scacciare dalla testa l’immagine di
quelle stanze bianche. Lo scarico. Le macchie a orno. Laggiù erano stati
torturati dei Grisha? Costre i a confessare i loro crimini contro le persone?
Aveva studiato i Fjerdiani: i loro capi, la loro lingua. Aveva anche
sognato di penetrare nella Corte di Ghiaccio come una spia, proprio
come in questo momento, e di colpire il cuore di questa nazione che
la odiava così tanto. Ma adesso che era qui, voleva soltanto
andarsene. Ormai si era ambientata a Ke erdam, si era abituata ai
contra i che le arrivavano grazie agli Scarti, alla sua vita semplice,
alla Rosa Bianca. Ma persino là, si era mai sentita al sicuro? In una
ci à dove non poteva camminare per strada senza avere paura?
Voglio andare a casa. La nostalgia la colpì forte, fu come un dolore
fisico. Voglio tornare a Ravka.
L’Orologio Maggiore iniziò a ba ere i tre quarti d’ora. Era in
ritardo. Ciononostante, si costrinse a rallentare prima di aprire la
porta che dava sulle scale. Non c’era nessuno, nemmeno Kaz. Sbirciò
nel corridoio di fronte per vedere se stava arrivando. Niente: porte in
ferro, ombre profonde, nessun segno di Kaz.
Nina aspe ò, non sapendo cosa fare. Dovevano rivedersi sul
pianero olo quindici minuti prima dello scoccare dell’ora. E se si
fosse trovato in qualche guaio? Esitò, poi si precipitò nella zona che
toccava a Kaz perlustrare. Corse oltre le celle, gli atrii che sfilavano
avanti e indietro, ma Kaz non era da nessuna parte.
Basta, pensò Nina quando arrivò alla fine del secondo corridoio.
O Kaz l’aveva mollata lì ed era già nel seminterrato con gli altri, o era
stato ca urato e portato da qualche parte. In entrambi i casi, lei
doveva andare all’inceneritore. Dopo aver raggiunto gli altri,
insieme a loro avrebbero capito cosa fare.
Tornò indietro di corsa a raversando un atrio dopo l’altro e aprì
la porta affacciata sul pianero olo. Due guardie stavano
chiacchierando in cima alle scale. Per un momento, rimasero fermi a
fissarla a bocca aperta.
«Sten!» urlò uno dei due in Fjerdiano, ordinandole di fermarsi
mentre rovistavano in cerca delle armi.
Nina sollevò entrambe le mani chiuse a pugno e osservò le
guardie cadere all’indietro. Una finì distesa sul pianero olo, l’altra
rotolò giù per i gradini e il suo fucile fece fuoco, spedendo i proie ili
contro le pareti di pietra e facendoli tuonare nella tromba delle scale.
Kaz l’avrebbe uccisa. Lei avrebbe ucciso Kaz.
Nina sfrecciò oltre i corpi delle guardie e scese un piano, due
piani. Sul pianero olo del terzo piano una porta si aprì e una
guardia si affacciò sulla rampa.
Nina ruotò le mani in aria e il collo della guardia si spezzò con un
sonoro crac. Prima che il corpo toccasse terra, lei si era ge ata a
capofi o giù per le scale.
Fu allora che l’Orologio Maggiore prese a suonare. Non i costanti
rintocchi dell’ora, ma un rumore penetrante, forte e ripetitivo: una
p p
sirena d’allarme.
25
INEJ

Inej guardò in alto, dentro l’oscurità. Sopra di lei galleggiava un


pezze ino del grigio cielo serale. Sei piani da scalare al buio con le
mani rese scivolose dal sudore e le fiamme dell’inferno che
bruciavano so o, con la corda che la appesantiva e nessuna rete di
protezione ad accoglierla. Arrampicati, Inej.
Per arrampicarsi le mani nude erano la cosa migliore, ma le pareti
dell’inceneritore erano troppo calde e non lo consentivano. E così
Wylan e Jesper l’aiutarono a ripescare i guanti di Kaz dai bidoni
della lavanderia. Lei esitò per un istante. Kaz le avrebbe de o di
infilarseli punto e basta, di fare tu o quello che era necessario per
portare a termine l’impresa. E tu avia, si sentì stranamente in colpa
mentre faceva scivolare la morbida pelle nera sulle mani, come se si
fosse insinuata nelle sue stanze senza permesso, come se avesse le o
le sue le ere e si fosse infilata nel suo le o. I guanti erano sfoderati, e
avevano delle lame e so ilissime nascoste nelle punte delle dita.
“Per i suoi giochi di prestigio” si rese conto Inej, “per mantenere il
conta o con le monete o con le carte o per maneggiare con destrezza
il meccanismo di una serratura. Toccare senza toccare.”
Non c’era tempo di abituarsi alla sensazione di impaccio che le
procuravano i guanti. E poi si era arrampicata con le mani coperte
un’infinità di volte, quando gli inverni di Ke erdam le rendevano
insensibili i polpastrelli. Contrasse le dita dei piedi dentro le
scarpe e di pelle, godendosi la familiare sensazione di indossarle,
saltellando sulle suole di gomma, impavida e impaziente. Il calore
non era niente, solo un disagio. Il peso della corda avvolto a orno al
corpo? Lei era lo Spe ro. Aveva sopportato di peggio. Si lanciò su
per la canna fumaria armata di autentica fiducia in se stessa.
Quando le dita toccarono la pietra, il fiato le uscì fuori in un sibilo.
Persino a raverso la pelle, avvertiva il forte calore dei ma oni. Senza
guanti, la pelle le si sarebbe immediatamente riempita di vesciche.
Non c’era altro da fare che resistere. Si arrampicò: una mano e poi un
piede e poi ancora una mano, cercando una fessura dietro l’altra, il
buco nascosto dentro i muri ricoperti di fuliggine.
Il sudore le colava giù per la schiena. Avevano inzuppato d’acqua
sia la corda che i vestiti, ma non sembrava fosse servito a granché. Si
sentiva arrossata in tu o il corpo, irrorata di sangue come se stesse
cuocendo lentamente dentro la propria pelle.
I piedi le pulsavano per il calore. Li percepiva pesanti, impacciati,
come se appartenessero a qualcun altro. Cercò di concentrarsi. Si
fidava del proprio corpo. Conosceva la propria forza e fin dove
poteva spingersi. Sollevò un’altra mano, costringendo le gambe a
collaborare, cercando di darsi un ritmo, ma trovando soltanto
scomodi contra empi che le lasciavano i muscoli tremanti a ogni
affondo verso l’alto. Allungò la mano verso la presa successiva,
scavando nel muro. Arrampicati, Inej.
Le scivolò un piede. Le dita persero il conta o con il muro e lo
stomaco le sobbalzò quando sentì lo stra one dato dal peso del
proprio corpo e della corda. Si aggrappò alla pietra, scavando con le
mani nelle crepe, i guanti di Kaz che si a orcigliavano a orno ai
polpastrelli umidi. Le dita del piede cercarono di nuovo un appiglio
ma scivolarono sui ma oni. Poi anche l’altro piede cominciò a
sli are. Inej aspirò un alito di aria bollente. Qualcosa non andava. Si
arrischiò a guardare in basso. Giù in fondo rosseggiava il bagliore
delle braci, ma fu quello che vide so o le caviglie che le fece partire il
cuore al galoppo in preda al panico. I piedi erano una melma
gommosa. Le suole delle scarpe e – le sue perfe e, adorate scarpe e
– si stavano sciogliendo.
“Va tu o bene” si disse. “Basta che cambi presa. Fai forza con le
spalle. La gomma si raffredderà a mano a mano che salirai. E ti
aiuterà ad aderire meglio.” Ma i piedi le sembravano in fiamme. E
scoprire quello che stava succedendo in qualche modo aveva
peggiorato la situazione, come se la gomma le si stesse fondendo con
la carne.
Inej sba é forte le palpebre per togliersi il sudore dagli occhi e si
sollevò di qualche altro centimetro. Dall’alto sentì arrivare il rintocco
dell’Orologio Maggiore. La mezz’ora? O un quarto all’ora? Doveva
fare più in fre a. Avrebbe già dovuto essere in cima, a legare la
corda.
Si spinse più su e il piede le scivolò dal ma one. Tu o il corpo
freme e contro il muro mentre lei si dimenava per tenersi
aggrappata. Non c’era niente a salvarla. Nessun Kaz pronto ad
arrivare in suo soccorso, nessuna rete a interrompere la caduta nel
vuoto, c’era soltanto il fuoco a reclamarla.
Inej piegò la testa indietro e cercò quel pezze ino di cielo.
Sembrava ancora inverosimilmente distante. Quant’era lontano?
Venti piedi? Trenta? Avrebbero potuto benissimo essere miglia.
Sarebbe morta qui, sui carboni ardenti, in modo lento e orribile.
Sarebbero morti tu i – Kaz, Nina, Jesper, Ma hias, Wylan – e
sarebbe stata colpa sua.
No. Non sarebbe stata colpa sua.
Si sollevò di un altro piede – è stato Kaz a portarci qui – e poi un
altro. Si obbligò a trovare la presa successiva. Kaz e la sua avidità.
Lei non si sentiva colpevole. Non era dispiaciuta. Era semplicemente
arrabbiata. Arrabbiata con Kaz per aver proge ato questo colpo
insensato, e furiosa con se stessa per aver acce ato.
E perché lo aveva fa o? Per ripagare il proprio debito? O perché
contro ogni buon senso e malgrado le migliori intenzioni, si era
permessa di provare qualcosa per il bastardo del Barile?

Quando Inej era entrata nel salo o di Tante Heleen quella no e di


tanto tempo fa, Kaz Brekker stava aspe ando, vestito di grigio
scurissimo, appoggiato alla testa di corvo del suo bastone. Il salo o
era color oro e verde acqua, e una parete era interamente decorata
con piume di pavone. Inej detestava ogni angolo del Serraglio: il
salone, dove lei e le altre ragazze erano costre e a provocare e a
sba ere le ciglia davanti ai potenziali clienti, la sua camera da le o,
che era stata arredata per sembrare la parodia di un carrozzone Suli,
addobbata di seta viola e profumata di incenso, ma più di tu o
odiava il salo o di Tante Heleen. Era la stanza dei pestaggi, quando
Heleen montava su tu e le furie.
Inej aveva tentato di scappare appena giunta a Ke erdam. Era
arrivata a due isolati dal Serraglio, ancora avvolta nelle vesti di seta,
stordita dalle luci e dalla confusione dello Stave dell’Ovest, correndo
senza una meta, prima che Cobbet le serrasse una manona sulla nuca
e la trascinasse indietro. Heleen l’aveva portata nel salo o e l’aveva
picchiata tanto forte che Inej non aveva potuto lavorare per una
se imana. Per tu o il mese a seguire Heleen l’aveva tenuta in catene
d’oro, non perme endole nemmeno di scendere nel salone. Quando
le aveva finalmente tolto i ceppi, le aveva de o: “Mi devi un mese di
mancati introiti. Scappa di nuovo, e ti sba o all’Anticamera
dell’Inferno per violazione del contra o”.
Quella no e era entrata nel salone in compagnia del terrore, e
quando aveva visto Kaz Brekker il terrore era raddoppiato.
Manisporche doveva aver de o a Tante Heleen che Inej aveva
parlato a sproposito, che aveva intenzione di creare problemi.
Ma Heleen si era appoggiata allo schienale della sedia di velluto e
aveva de o: “Bene, piccola lince, sembra che adesso tu sia il
problema di qualcun altro. A quanto pare Per Haskell ha una
predilezione per le ragazze Suli. Ha acquistato il tuo contra o per
una bella somme a”.
Inej aveva deglutito. “Devo andare in un’altra casa?”
Heleen aveva fa o un gesto con la mano. “Haskell possiede una casa
di piacere, ammesso che si possa chiamare così, da qualche parte nel
Barile più profondo, ma lì saresti uno spreco di denaro, per quanto
di certo almeno capiresti quanto sia stata gentile con te Tante Heleen.
No, Haskell ti vuole tu a per sé.”
Chi era Per Haskell? “Ha importanza?” aveva de o una voce
dentro di lei. “È un uomo che compra le donne. È tu o quello che ti
serve sapere.”
L’angoscia di Inej doveva essere evidente perché Tante Heleen si
era fa a una risatina. “Non preoccuparti. È vecchio, disgustosamente
vecchio, ma sembra abbastanza innocuo. Ovviamente, non si può
mai sapere.” Aveva alzato una spalla. “Magari ti vuole spartire con il
suo galoppino, il signor Brekker.”
g pp g
Kaz aveva posato gli occhi gelidi su Tante Heleen. “Abbiamo
finito?” Era la prima volta che Inej lo sentiva parlare, e il timbro
ruvido della sua voce l’aveva colta di sorpresa.
Heleen aveva tirato su con il naso, aggiustandosi la scollatura
dell’abito blu scintillante. “Assolutamente, piccolo mascalzone.”
Aveva riscaldato una candelina di cera color blu pavone e l’aveva
usata per sigillare il documento davanti a lei. Poi si era alzata e
aveva studiato il proprio riflesso nello specchio appeso sopra la
mensola del camino. Inej aveva guardato Heleen raddrizzarsi il
girocollo di diamanti e i gioielli scintillare. Nel frastuono confuso che
aveva in testa, aveva pensato: “Sembrano stelle rubate al cielo”.
“Addio, piccola lince” aveva de o Tante Heleen. “Dubito che
durerai più di un mese in quella zona del Barile.” Aveva guardato
verso Kaz. “Non stupirti se taglia la corda. È più veloce di quel che
sembra. Ma forse Per Haskell si vorrà gustare anche questo. Ci
vediamo in giro.”
Era uscita dalla stanza in una nuvola di seta e profumo al miele,
lasciando nella propria scia una Inej inebetita.
Lentamente, Kaz aveva a raversato la sala e chiuso la porta. Inej
si era irrigidita in a esa di quello che sarebbe accaduto, le dita che si
contorcevano nelle vesti.
“Per Haskell è il capo degli Scarti” aveva de o Kaz. “Hai sentito
parlare di noi?”
“Sono la tua banda.”
“Sì, e Per Haskell è il mio capo. Anche il tuo, se vuoi.”
Lei aveva raccolto tu o il proprio coraggio e aveva de o: “E se
non voglio?”.
“Io ritiro l’offerta e torno a casa facendo la figura dello zimbello.
Tu stai qui con quel mostro di Heleen.”
Inej si era portata le mani alla bocca. “Lei ci sente” aveva sussurrato,
terrorizzata.
“Lasciala ascoltare. Nel Barile ci sono mostri di ogni genere, e
alcuni sono davvero bellissimi. Io pago Heleen per avere delle
informazioni. Anzi, la pago sin troppo per le informazioni che mi dà.
Ma so esa amente, lei, che cos’è. Ho chiesto io a Per Haskell di
comprare il tuo contra o. Sai perché?”
p p
“Ti piacciono le ragazze Suli?”
“Non conosco abbastanza ragazze Suli per poterlo dire.” Era
andato alla scrivania, aveva preso il documento e se lo era infilato
nella giacca. “L’altra no e, quando mi hai parlato...”
“Non volevo offenderti, io...”
“Volevi offrirmi delle informazioni. Magari in cambio di aiuto?
Una le era ai tuoi genitori? Una mancia extra?”
Inej si era fa a piccola piccola. Era esa amente quello che aveva
sperato. Aveva sentito per caso delle chiacchiere a proposito del
commercio della seta e aveva pensato di scambiarle con qualcosa.
Era stata sciocca e sfacciata.
“Inej Ghafa è il tuo vero nome?”
Dalla gola di Inej era sfuggito uno strano suono, metà singhiozzo
e metà risata, un verso debole e imbarazzante, ma erano passati mesi
dall’ultima volta che aveva udito il proprio nome, e quello della
propria famiglia. “Sì” era riuscita a rispondere.
“È così che preferisci essere chiamata?”
“Certamente” disse lei, poi aveva aggiunto: “Kaz Brekker è il tuo
vero nome?”.
“Vero a sufficienza. La no e scorsa, quando ti sei avvicinata, io
non avevo idea che tu fossi accanto a me finché non hai aperto
bocca.”
Inej aveva aggro ato la fronte. Aveva voluto essere silenziosa, e lo
era stata. Che importanza aveva?
“Hai dei campanelli sui fianchi” aveva de o Kaz, indicando il suo
costume, “eppure non ti ho sentita. Indossi vesti di seta viola e
sfoggi dei disegni sulle spalle, eppure non ti ho vista. E io vedo
tu o.” Lei si era stre a nelle spalle e aveva piegato la testa di lato.
“Sei stata addestrata per fare la ballerina?”
“L’acrobata.” Si era interro a. “La mia famiglia... siamo tu i
acrobati.”
“Corda da funambolo?”
“E trapezio. Giochi di destrezza. Acrobazie.”
“Usavi la rete?”
“Solo quand’ero molto piccola.”
“Bene. Non ci sono reti a Ke erdam. Sei mai stata coinvolta in una
rissa?”
Lei aveva fa o segno di no con la testa.
“Hai mai ucciso qualcuno?”
Spalancò gli occhi. “No.”
“Ci hai mai pensato?”
Lei aveva esitato e poi incrociato le braccia. “Ogni no e.”
“È un inizio.”
“Non voglio uccidere la gente, non per davvero.”
“Questa è un’o ima regola finché la gente non vuole uccidere te.
E nel nostro mestiere capita spesso.”
“Nel nostro mestiere?”
“Voglio che ti unisci agli Scarti.”
“Per fare cosa?”
“Raccogliere informazioni. Mi serve un ragno che si arrampichi
per le pareti delle case e delle di e di Ke erdam, che ascolti alle
finestre e a raverso le gronde. Mi serve qualcuno che sappia essere
invisibile, che possa diventare un fantasma. Pensi di poterlo fare?”
“Sono già un fantasma” aveva pensato lei. “Sono morta nella stiva
di una nave schiavista.”
“Credo di sì.”
“Questa ci à è piena di uomini e donne con i soldi. Tu scoprirai le
loro abitudini, dove vanno e da dove vengono, le porcherie che
fanno di no e, i misfa i che cercano di coprire di giorno, la misura
delle loro scarpe, la combinazione delle loro casseforti, qual era il
gioca olo che preferivano da bambini. E io userò queste
informazioni per portargli via il denaro.”
“Che cosa succede quando gli porti via il denaro e diventi tu
quello ricco?”
Kaz aveva fa o una piccola smorfia divertita. “A quel punto puoi
rubare anche i miei, di segreti.”
“È per questo che mi hai comprata?”
Dalla faccia gli era sparita ogni traccia di umorismo. “Per Haskell
non ti ha comprata. Ha comprato il tuo contra o. Questo significa
che gli devi dei soldi. Un sacco di soldi. Ma è un vero contra o.
Guarda qua” aveva de o, estraendo il documento dalla giacca.
“Voglio che tu veda una cosa.”
“Io non leggo il Kerch.”
“Non importa. Li vedi questi numeri? Questo è il prezzo che
Heleen sostiene di averti prestato per farti arrivare da Ravka. Questo
è il denaro che hai guadagnato alle sue dipendenze. E questa è la
cifra che ancora le devi.”
“Ma... ma non è possibile. È più alta adesso di quando sono
arrivata.”
“Corre o. Heleen ti ha messo in conto il vi o, l’alloggio e le
pulizie.”
“Mi ha comprata” aveva de o Inej, e la rabbia le era montata per
se stessa. “Non sapevo nemmeno cosa stavo firmando.”
“La schiavitù è illegale a Kerch. I contra i, no. Io lo so che questo
documento è una farsa e anche qualunque giudice ragionevole lo sa.
Sfortunatamente, Heleen ha molti giudici ragionevoli in tasca. Per
Haskell ti sta facendo un prestito: niente di più, niente di meno. Il
documento sarà reda o in Ravkiano. Pagherai gli interessi, ma
questo non ti ucciderà. E finché gli darai una percentuale sicura ogni
mese, sarai libera di andare e venire come ti pare.”
Inej aveva scosso la testa. Niente di tu o questo le sembrava
plausibile.
“Inej, sarò molto chiaro con te. Se non rispe i le condizioni,
Haskell manderà delle persone a cercarti, persone al cui confronto
Tante Heleen sembrerà una nonna eccessivamente affe uosa. E io
non lo fermerò. Sto rischiando il mio collo per questo piccolo
accordo. Non è una situazione piacevole.”
“Se è tu o vero” aveva de o Inej lentamente, “allora sono libera
di dire di no.”
“Ovviamente. Ma sei chiaramente pericolosa” aveva de o lui. “E
preferirei che non diventassi pericolosa per me.”
Pericolosa.
Inej voleva abbracciarsi stre a a quella parola.
Era quasi del tu o certa che quel ragazzo fosse ma o o
semplicemente un povero illuso senza speranza, ma le piaceva
quella parola e, a meno che non avesse frainteso, lui le stava offrendo
la possibilità di andarsene dal Serraglio quella no e stessa.
“Non è... non è un trucco, vero?” La voce di Inej era più flebile di
quel che volesse.
L’ombra di qualcosa di oscuro era passata sul viso di Kaz. “Se
fosse un trucco ti prome erei sicurezza. Ti offrirei felicità. Non so se
queste cose esistano nel Barile, ma con me non le avrai.”
Per qualche motivo, quella risposta l’aveva rassicurata. Meglio
bru e verità che belle bugie.
“D’accordo” aveva de o Inej. “Da dove si comincia?”
“Cominciamo con l’uscire da qui e cercarti dei vestiti ada i. Ah,
Inej” aveva de o lui mentre la guidava fuori dal salone, “non
avvicinarti a me così di soppia o mai più.”

A dir la verità, da allora Inej aveva provato ad avvicinarsi di


soppia o a Kaz un’infinità di volte. Non ci era mai riuscita. Era come
se lui, dopo averla vista la prima volta, avesse capito come
continuare a vederla.
Quella no e si era fidata di Kaz Brekker. Ed era diventata la
ragazza pericolosa che lui aveva scovato acqua ata dentro di lei.
Però aveva fa o l’errore di continuare a fidarsi di lui, di credere nella
leggenda che si era costruito a orno. Quel mito l’aveva condo a qui
in questa oscurità soffocante, in equilibrio tra la vita e la morte come
l’ultima foglia a accata a un ramo d’autunno. Alla fine, Kaz Brekker
era solamente un ragazzo, e lei gli aveva permesso di consegnarla a
questo destino.
Non poteva nemmeno biasimarlo. Era stata lei a perme erglielo
dal momento che non sapeva dove voleva andare. Il cuore è una
freccia. Qua ro milioni di kruge, la libertà, la possibilità di tornare a
casa. Si era de a che voleva queste cose. Ma nel cuore non poteva
sopportare il pensiero di tornare dai suoi genitori. Sarebbe riuscita a
dire la verità a sua madre e a suo padre? Avrebbero capito tu o
quello che aveva fa o per sopravvivere, non solo al Serraglio, ma
ogni singolo giorno da allora? Lei sarebbe riuscita ad appoggiare il
capo nel grembo di sua madre ed essere perdonata? Loro cosa
avrebbero visto guardandola?
g
Arrampicati, Inej. Ma per andare dove? Quale vita l’avrebbe a esa
dopo tu a quella sofferenza? La schiena le faceva male. Le mani
sanguinavano. I muscoli delle gambe erano scossi da tremori
invisibili, e la pelle sembrava fosse pronta a staccarsi dal corpo.
Ogni respiro di quell’aria nera le bruciava i polmoni. Non riusciva
a respirare profondamente. Non riusciva nemmeno a focalizzarsi sul
quel pezze ino grigio di cielo. Il sudore continuava a gocciolarle giù
dalla fronte e a pungerle gli occhi. Se si fosse arresa, avrebbe perso
per tu i loro: Jesper e Wylan, Nina e il suo Fjerdiano, Kaz. Non
poteva farlo.
“Non dipenderà da te ancora per molto, piccola lince” le
canticchiò dentro la testa la voce di Tante Heleen. “Da quanto tempo
sei a accata al nulla?”
Il calore dell’inceneritore avvolgeva Inej come una cosa viva,
come una lucertola del deserto nella propria tana, nascosta dal
ghiaccio, che l’aspe ava. Conosceva i propri limiti e sapeva che non
poteva chiedere di più al proprio corpo. Aveva fa o una scommessa
sbagliata. Era così, semplice. La foglia d’autunno poteva anche stare
a accata al ramo, ma era comunque già morta. L’unica domanda era
quando sarebbe caduta.
Lasciati andare, Inej. Suo padre le aveva insegnato ad arrampicarsi,
ad affidarsi alla corda, a oscillare, e alla fine a confidare nella propria
abilità, a credere che se si fosse lanciata sarebbe arrivata dall’altra
parte. Ci sarebbe stato lui ad aspe arla? Pensò ai propri pugnali,
nascosti a bordo della Ferolind: forse sarebbero andati a qualche altra
ragazza che sognava di essere pericolosa. Bisbigliò i loro nomi: Petyr,
Marya, Anastasia, Vladimir, Lizabeta, Sankta Alina, morta martire
prima di compiere dicio o anni. Lasciati andare, Inej. Doveva saltare o
semplicemente aspe are che il proprio corpo cedesse?
Si sentì le guance umide. Stava piangendo? Adesso? Dopo tu o
quello che aveva fa o e che le avevano fa o?
Poi lo udì, un leggero picchie io, un dolce tamburellare che non
aveva un vero ritmo. Lo percepì sulle guance e su tu o il viso. Lo
sentì sibilare nel momento in cui colpì le braci ardenti so o di lei.
Pioggia. Fresca e clemente. Inej reclinò la testa all’indietro. Da
qualche parte udì le campane ba ere i tre quarti d’ora, ma non le
q p p q
importò. Sentiva solo la musica della pioggia che lavava via il sudore
e la fuliggine, il fumo di carbone di Ke erdam, la facciata dipinta del
Serraglio, che bagnava i filamenti di juta della corda e induriva le
suole di gomma so o i suoi piedi sofferenti. Sembrava una
benedizione, anche se Kaz l’avrebbe solo chiamata stagione.
Adesso doveva darsi una mossa, prima che le pietre diventassero
scivolose e la pioggia si trasformasse in un nemico. Costrinse i
muscoli a fle ersi, le dita a cercare, e si sollevò su un piede, poi
sull’altro, e poi di nuovo ancora e ancora, sussurrando parole di
gratitudine ai propri Santi. Eccolo, il ritmo che le era venuto a
mancare prima, sepolto nella litania dei loro nomi.
Ma anche mentre rendeva grazie, sapeva che la pioggia non era
abbastanza.
Voleva una tempesta – tuoni, vento, un diluvio. Voleva che si
schiantasse sui bordelli di Ke erdam, sollevando te i e sradicando
porte dai cardini. Voleva che alzasse i mari, che si impossessasse di
ogni nave schiavista, che facesse a pezzi i loro alberi e mandasse i
loro scafi a schiantarsi sugli scogli più spietati.
“Voglio evocare quella tempesta” pensò. E qua ro milioni di
kruge potevano essere abbastanza. Abbastanza per avere una
propria nave, piccola e feroce e pesantemente armata. Come lei.
Avrebbe dato la caccia agli schiavisti e ai loro acquirenti. Avrebbero
imparato a temerla, e avrebbero conosciuto il suo nome. Il cuore è una
freccia. Richiede un obie ivo da centrare con precisione. Si aggrappò al
muro, ma alla fine, quello che Inej afferrò e che la portò in alto, fu
uno scopo.
Lei non era una lince o un ragno e nemmeno lo Spe ro. Lei era
Inej Ghafa, e il futuro la stava aspe ando lassù.
26
KAZ

Kaz passò di corsa davanti alle celle più in alto, dedicando giusto
qualche istante per dare un’occhiata veloce dentro ogni grata. Bo
Yul-Bayur non era qui. E lui non aveva molto tempo.
Una parte di lui si sentiva fuori asse. Non aveva il bastone. Era a
piedi nudi. Indossava vestiti strani, le sue mani erano pallide e senza
guanti. Non si sentiva del tu o se stesso. No, non era proprio vero.
Si sentiva lo stesso Kaz delle se imane successive alla morte di
Jordie, un animale selvaggio che lo ava per sopravvivere. Avvistò
un detenuto Shu in una cella.
«Sesh-uyeh» sussurrò. Ma se l’uomo riconobbe la parola d’ordine,
non lo diede a vedere. «Yul-Bayur?» Niente. L’uomo iniziò a urlare
contro di lui in Shu, e Kaz si affre ò a raggiungere le celle che
restavano, poi uscì di soppia o sul pianero olo e si fiondò al piano
di so o più veloce che riuscì. Sapeva che si stava comportando in
modo incosciente ed egoista, ma non era per quello che lo
chiamavano Manisporche? Nessun colpo era troppo rischioso.
Nessuna azione troppo spregevole. Per Manisporche l’unica cosa che
contava era portare a termine il lavoro sporco. Non sapeva bene cosa
lo guidasse. Pekka Rollins poteva non essere qui. Poteva essere
morto. Ma lui non ci credeva. Lo saprei. In qualche modo lo saprei. «La
tua morte è mia» sussurrò.

Il ritorno a nuoto dalla Chia a del Mietitore aveva coinciso con la


sua rinascita. Il bambino che era stato era morto di febbre bubbonica.
La mala ia aveva bruciato via ogni gentilezza che albergava in
lui. Sopravvivere non era stato difficile come aveva pensato, una
volta lasciatasi alle spalle qualsiasi decenza. Come prima cosa,
bisognava trovare qualcuno più piccolo e più debole e portargli via
g q p p p p g
quello che aveva. Tu avia – piccolo e debole com’era lui –non era un
compito facile. Si trascinò lontano dal porto, tenendosi nei vicoli,
dirigendosi verso il quartiere dove avevano abitato gli Her oon.
Quando vide un negozio di dolciumi aspe ò fuori, quindi abbordò
uno scolare o paffuto lasciato indietro dagli amici. Lo bu ò a terra,
gli svuotò le tasche e gli prese il sacche o di liquirizie.
“Dammi i pantaloni” gli aveva de o.
“Sono troppo larghi per te” aveva de o tra le lacrime il ragazzino.
Kaz lo morse. Il ragazzino mollò i pantaloni. Lui li arrotolò fino a
farne una palla che ge ò nel canale, poi corse via alla velocità che le
stanche gambe gli consentirono. Lui non voleva i pantaloni; voleva
solo che il ragazzino aspe asse prima di andare, piangendo, a
chiedere aiuto. Sapeva che lo scolare o si sarebbe rannicchiato in
quel vicole o a lungo, a soppesare la vergogna di essere per strada
mezzo nudo e il bisogno di tornare a casa e raccontare cos’era
successo.
Smise di correre quando arrivò nel vicolo più buio che c’era nel
Barile. Si ficcò la liquirizia in bocca tu a in una volta, la ingoiò e
subito dopo la vomitò. Prese il denaro e si comprò un filone di pane
bianco. Era scalzo e sudicio. Il fornaio gliene diede due solo per farlo
stare alla larga.
Quando si sentì un po’ più in forze e un po’ meno traballante, si
incamminò verso lo Stave dell’Est. Si imba é nella bisca più
squallida, senza insegna e con un solo scagnozzo di guardia
all’entrata.
“Voglio un lavoro” aveva de o davanti alla porta.
“Non ce n’è, scemo.”
“Sono bravo con i numeri.”
L’uomo era scoppiato a ridere. “Sai svuotare un pitale?”
“Sì.”
“Be’, peccato. Abbiamo già un ragazzo che svuota i pitali.”
Kaz aspe ò tu a la no e finché vide un ragazzo più o meno della
sua età lasciare l’edificio. Lo seguì per due isolati e lo colpì alla testa
con una pietra. Si sede e sulle gambe del ragazzo e gli tolse le
scarpe; poi gli tagliò le piante dei piedi con un coccio di bo iglia. Il
ragazzo sarebbe guarito, ma non avrebbe lavorato da lì a breve.
g g
Toccare la pelle nuda delle sue caviglie lo aveva riempito di
disgusto. Continuava a vedere i corpi bianchi della Chia a del
Mietitore e a sentire la pelle gonfia e flaccida di Jordie so o le mani.
La sera dopo tornò alla bisca.
“Voglio un lavoro” aveva de o. E ne ebbe uno.
Da lì in poi aveva lavorato e risparmiato. Aveva seguito le orme
dei ladri professionisti del Barile e imparato come svuotare le tasche
degli uomini e sfilare le borse delle donne. Finì in galera una prima
volta, e poi una seconda. Si guadagnò in fre a la reputazione di
quello disposto ad acce are ogni genere di lavoro, e il nome
Manisporche arrivò in breve tempo. Era un comba ente inesperto
ma tenace.
“Non hai nessuna eleganza” gli aveva de o una volta uno
scomme itore alla Giarre iera d’Argento. “Nessuna tecnica.”
“Certo che ce l’ho” aveva risposto Kaz. “Pratico l’arte del ‘coprigli
la testa con la camicia e prendila a pugni finché non vedi il sangue’.”
Si faceva ancora chiamare Kaz, come aveva sempre fa o, ma rubò
il cognome Brekker a un macchinario che aveva visto sul molo.
Rietveld, il cognome di suo padre, fu abbandonato, amputato come
un arto in cancrena. Era un cognome di campagna, il suo ultimo
legame con Jordie e con i genitori e con il ragazzo che era stato. Ma
non voleva che Jacob Her oon lo vedesse arrivare.
Aveva scoperto che la truffa tramite cui Her oon aveva raggirato
lui e Jordie era una delle più comuni. La caffe eria e la casa sulla
Zelverstraat erano state niente più che delle scenografie, utili per
derubare i gonzi di campagna. Filip con i suoi cagnolini meccanici
aveva fa o da adescatore, e aveva tirato dentro Jordie, mentre
Margit, Saskia e gli adde i all’ufficio del cambio avevano tu i fa o
da esche nell’imbroglio.
Era coinvolto anche un impiegato della banca, che passava
informazioni a Her oon sui clienti e gli faceva avere delle soffiate
sui nuovi arrivati dalla campagna che aprivano un conto corrente.
Probabilmente Her oon aveva truffato più persone tu e in una
volta. Il piccolo patrimonio di Jordie, da solo, non bastava a
giustificare un’organizzazione simile.
Ma la scoperta più crudele fu il talento che possedeva per le carte.
Avrebbe potuto rendere ricchi lui e Jordie. Dopo aver imparato un
trucco, a Kaz bastavano poche ore per diventarne esperto e da lì in
poi era semplicemente imba ibile. Era in grado di tenere a mente
ogni mano giocata, ogni scommessa fa a. Riusciva a seguire le
mosse di cinque mazzi di carte insieme. E se c’era qualcosa che non
riusciva a ricordare, compensava con l’inganno. Non aveva mai
perso la passione per i giochi di prestigio, e dalle monete che gli
sparivano di mano passò a carte, bicchieri, portafogli e orologi. Un
bravo mago non era molto diverso da un bravo ladro. In poco tempo
fu bandito dai tavoli di ogni bisca dello Stave dell’Est.
Dovunque andasse, in ogni bar, infima locanda, bordello e casa
occupata, Kaz chiedeva di Jacob Her oon, ma se qualcuno
riconosceva quel nome faceva finta di niente.
Poi, un giorno, Kaz stava a raversando un ponte sopra lo Stave
dell’Est quando vide un uomo dalle guance floride e le base e folte
entrare in un negozio di liquori. Non indossava più il severo abito
scuro da mercante, ma degli sgargianti pantaloni a strisce e un
pancio o rosso a ghirigori. La giacca di velluto era verde bo iglia.
Kaz si fece largo tra la folla, la mente in subbuglio, il cuore che
galoppava, incerto su cosa intendesse fare, ma sulla porta del
negozio un gigante con una bombe a in testa lo aveva fermato con la
sua manona.
“Il negozio è chiuso.”
“A me sembra aperto.” La voce di Kaz era suonata strana –
stridula, insolita.
“Devi a endere.”
“Devo vedere Jacob Her oon.”
“Chi?”
Kaz stava uscendo di testa. Aveva indicato dentro la vetrina. “Il
fo uto Jacob Her oon. Voglio parlargli.”
Il gigante aveva guardato Kaz come si guarda un demente.
“Schiarisciti le idee, figliolo” gli aveva de o. “Quello non è
Her oon. Quello è Pekka Rollins. Se vuoi combinare qualcosa nel
Barile, sarà meglio che impari il suo nome.”
Kaz conosceva il nome di Pekka Rollins. Tu i lo conoscevano.
Solo, lui non aveva mai visto che faccia avesse.
In quel momento, Rollins si voltò verso la vetrina. Kaz aspe ò di
veder apparire un cenno di riconoscimento: una smorfia, un
sogghigno, un lampo di consapevolezza. Ma lo sguardo di Rollins
gli passò sopra. L’ennesimo pollo da spennare. L’ennesima spunta da
me ere. Perché avrebbe dovuto ricordarsi di lui?
Kaz era stato corteggiato da qualunque banda a cui piaceva il suo
modo di fare a pugni e di giocare con le carte. Lui aveva sempre
de o di no. Era venuto nel Barile per cercare Her oon e punirlo,
non per unirsi a qualche famiglia di ripiego. Ma apprendere che il
suo vero bersaglio era Pekka Rollins cambiò tu o. Quella no e,
giacque sveglio sul pavimento della casa abbandonata in cui si era
rifugiato e pensò a cosa volesse fare, a cosa avrebbe reso giustizia a
Jordie. Pekka Rollins gli aveva tolto tu o. Se Kaz intendeva rendere
lo stesso a Rollins, avrebbe dovuto diventare uguale a lui e poi
migliore di lui, e non avrebbe potuto farlo da solo. Gli serviva una
banda, e non una banda qualsiasi, una che aveva bisogno di lui. Il
giorno dopo era entrato alla Stecca e aveva chiesto a Per Haskell se
avesse bisogno di un altro scagnozzo. Tu avia lo aveva saputo sin da
allora: avrebbe iniziato da soldato semplice, ma gli Scarti sarebbero
diventati il suo esercito.

Tu i quei passi l’avevano condo o qui stasera? A questi corridoi


bui? Non era esa amente la vende a che aveva sognato.
Le file di celle andavano avanti e avanti, all’infinito. Non c’era
speranza di trovare Rollins in tempo. Ma fu impossibile soltanto
finché non lo fu più, finché Kaz non avvistò quella figura robusta,
quella faccia rubiconda a raverso la grata di una porta di ferro. Fu
impossibile soltanto fino a quando si trovò di fronte alla cella di
Pekka Rollins.
Era su un fianco, e dormiva. Qualcuno lo aveva pestato ben bene.
Kaz osservò il suo pe o andare su e giù.
Quante volte aveva visto Pekka da quella prima occhiata di
sfuggita nel negozio di liquori? Mai c’era stato un barlume di
riconoscimento. Non era più un ragazzo; non c’era motivo per cui
p g p
Pekka individuasse nei suoi lineamenti il bambino che aveva
frodato. Ma questo lo rendeva furibondo tu e le volte che le loro
strade si erano incrociate. Non era giusto. La faccia di Pekka – la
faccia di Her oon – era indelebile nella mente di Kaz, come incisa
da una lama dentellata.
Esitò, il peso delicato dei piccoli grimaldelli come un inse o
cullato nel palmo della mano. Non era quello che voleva? Vedere
Pekka detronizzato, umiliato, infelice e senza speranza, mentre i
migliori della sua banda erano morti sulle picche. Forse poteva
essere abbastanza. Forse tu o quello che gli serviva ora era che
Pekka sapesse esa amente chi era lui, e che cosa aveva fa o.
Avrebbe potuto inscenare da solo un piccolo processo, eme ere una
sentenza e infliggere anche la punizione.
L’Orologio Maggiore cominciò a suonare i tre quarti d’ora.
Doveva andare. Non gli era rimasto molto tempo per arrivare al
seminterrato. Nina lo stava aspe ando. Tu i lo stavano aspe ando.
Ma lui ne aveva bisogno. Aveva comba uto per questo. Non nel
modo in cui se l’era immaginato, ma forse non faceva differenza. Se
Pekka Rollins fosse stato ucciso da qualche anonimo carnefice
Fjerdiano, allora niente di tu o questo avrebbe più avuto
importanza. Kaz avrebbe avuto qua ro milioni di kruge, ma Jordie
non avrebbe mai avuto la sua vende a.
La serratura della porta cede e facilmente so o i ferri di Kaz.
Pekka aprì gli occhi e sorrise. Non stava affa o dormendo.
«Ciao, Brekker» disse Rollins. «Sei venuto a gongolare?»
«Non esa amente» rispose Kaz.
E lasciò che la porta si chiudesse dietro di lui.
PARTE QUINTA
IL GHIACCIO NON PERDONA
27
JESPER

O o rintocchi
Dove diavolo è Kaz? Jesper saltellò da un piede all’altro davanti
all’inceneritore, mentre l’o uso fragore delle campane d’allarme gli
riempiva le orecchie e gli sbatacchiava i pensieri. Protocollo Giallo?
Protocollo Rosso? Non riusciva a ricordare quale fosse. Tu o il loro
piano si basava sul presupposto di non sentire mai la sirena di un
allarme.
Inej aveva legato il capo di una fune al te o e aveva lanciato giù
l’altra estremità perché loro si arrampicassero. Jesper aveva spedito
su Wylan e Ma hias insieme al resto della corda, un paio di cesoie
che aveva trovato in lavanderia e un rozzo rampino che aveva
fabbricato a partire dalle stecche di metallo di un’asse da bucato. Poi
aveva ripulito il pavimento della stanza dei rifiuti dagli schizzi di
pioggia e umidità, e si era accertato che non ci fossero segni della
loro presenza. Non era rimasto nient’altro da fare a parte aspe are –
e lasciarsi prendere dal panico quando l’allarme a accò a suonare.
Sentì delle persone gridare, e ci fu una raffica di passi di stivale
dall’altra parte del soffi o. In ogni istante, qualche guardia
particolarmente sagace avrebbe potuto avventurarsi di so o per dare
un’occhiata al seminterrato. Se lo avessero trovato accanto
all’inceneritore, la via di fuga per il te o sarebbe risultata ovvia.
Sarebbe stato incriminante non solo per se stesso ma anche per gli
altri.
Avanti, Kaz. Sto aspe ando te. Tu i lo stavano aspe ando. Nina era
arrivata fiondandosi dentro la stanza solo pochi minuti prima, a
corto di fiato.
“Vai!” aveva strillato. “Che cosa stai aspe ando?”
Ma quando lui le aveva chiesto dove fosse Kaz, il viso di Nina si
era accartocciato.
“Speravo fosse con voi.”
Si era dileguata su per la fune, grugnendo per lo sforzo,
lasciandolo in piedi lì so o, immobilizzato dall’indecisione. Le
guardie avevano ca urato Kaz? Era da qualche parte, nel carcere, a
lo are per la propria vita?
Lui è Kaz Brekker. Anche se l’avessero rinchiuso, sarebbe stato in
grado di evadere da qualunque cella e liberarsi da qualunque paio di
mane e. Jesper avrebbe potuto lasciargli della fune, e pregare che la
pioggia e l’inceneritore che si andava raffreddando bastassero a
impedire che l’estremità prendesse fuoco. Ma se fosse rimasto lì
fermo come uno scemo, avrebbe tradito la loro via di fuga e
avrebbero fa o tu i una triste fine. Non c’era altro da fare che
arrampicarsi.
Agguantò la fune proprio mentre Kaz sfrecciava a raverso la
porta. La sua casacca era coperta di sangue, i suoi capelli neri un
disastro.
«Sbrigati» disse senza preamboli.
Mille domande gli si affollarono in testa, ma non si fermò a porle.
Si dondolò sopra le braci e iniziò ad arrampicarsi. Da sopra, la
pioggia stava ancora scendendo con un leggero picchie io e sentì la
fune vibrare quando Kaz l’afferrò. Non appena guardò giù, lo vide
tenersi forte per chiudere le porte dell’inceneritore dietro di loro.
Mise una mano sopra l’altra, spingendosi nodo dopo nodo, con le
braccia che cominciavano già a fargli male, la corda che gli lacerava i
palmi, appoggiando i piedi contro il muro dell’inceneritore quando
ne aveva bisogno, per poi balzare indietro per via del calore dei
ma oni. Come aveva fa o Inej ad affrontare questa scalata senza
niente a cui sostenersi?
Lassù in alto, le campane d’allarme dell’Orologio Maggiore
sferragliavano ancora come un casse o pieno di pentole su tu e le
furie. Che cos’era andato storto? Perché Kaz e Nina si erano divisi? E
come avrebbero fa o a cavarsi fuori da questa situazione?
Jesper scosse la testa e cercò di scrollar via le gocce di pioggia
dagli occhi, con i muscoli della schiena che urlavano mentre saliva
g
sempre più in alto.
«Siano ringraziati i Santi» rantolò quando Ma hias e Wylan lo
afferrarono per le spalle e lo trascinarono su per l’ultimo breve tra o.
Ruzzolò oltre il bordo del comignolo e finì sul te o, fradicio e
tremante come un mice o mezzo annegato. «Kaz sta salendo.»
Ma hias e Wylan presero la corda per tirarlo su. Jesper non era
certo che Wylan fosse veramente d’aiuto, ma stava di sicuro dandosi
un gran da fare. Trascinarono Kaz fuori dalla tromba
dell’inceneritore. Lui cadde di peso sulla schiena, ansimando per la
mancanza d’aria. «Dov’è Inej?» disse con il fiato corto. «Dov’è Nina?»
«Sono già sul te o dell’ambasciata» rispose Ma hias.
«Lasciate questa fune e prendete le altre» disse Kaz.
«Muoviamoci.»
Ma hias e Wylan ge arono in un cumulo di sporcizia la corda
usata per arrampicarsi nell’inceneritore e agguantarono due rotoli di
fune puliti. Jesper ne prese un terzo e si sforzò di me ersi in piedi.
Seguì Kaz sul bordo del te o dove Inej aveva a accato una fune che
scorreva dalla cima della prigione alla cima dell’ambasciata più
so o. Qualcuno aveva montato un’imbracatura per quelli che,
sprovvisti del dono speciale dello Spe ro, non potevano farsi beffe
della gravità.
«Siano ringraziati i Santi, Djel e tua zia Eva» disse Jesper con
gratitudine, e scivolò giù lungo la fune seguito dagli altri.
Il te o dell’ambasciata era incurvato, probabilmente per far
andare giù la neve, ed era un po’ come camminare sulla schiena
gobba di un’enorme balena. Era anche decisamente più... permeabile
del te o della prigione. Era punteggiato da molteplici punti
d’ingresso: ventole, comignoli, lucernari di vetro a forma di cupola.
Nina e Inej si erano rannicchiate alla base della cupola più grande,
un lucernario filigranato che dava sull’ingresso rotondo
dell’ambasciata. Non offriva molto riparo dalla pioggia che andava
diminuendo, ma se qualche guardia sulle mura avesse spostato
l’a enzione dalla strada d’ingresso al te o della Corte, loro non
sarebbero state viste.
Nina aveva i piedi di Inej in grembo.
«Non riesco a toglierle tu a la gomma dai talloni» disse quando li
vide avvicinarsi.
«Aiutala» disse Kaz.
«Io?» replicò Jesper. «Non stai dicendo...»
«Fallo.»
Jesper avanzò lentamente sul lucernario per dare un’occhiata da
vicino ai piedi pieni di vesciche di Inej, ben consapevole che Kaz
stava seguendo i suoi movimenti. La reazione di lui, l’ultima volta
che Inej era stata ferita, era stata decisamente inquietante, ma queste
piaghe non erano neanche vagamente paragonabili a una pugnalata
– e stavolta Kaz non aveva le Punte Nere da incolpare. Jesper si
concentrò sui frammenti di gomma per estrarli dalla pelle di Inej
nello stesso modo in cui aveva estra o il ferro dalle sbarre della
prigione.
Inej conosceva il suo segreto, ma Nina lo stava guardando a bocca
aperta. «Sei un Fabrikator?»
«Mi crederesti se ti rispondessi di no?»
«Perché non me l’hai mai de o?»
«L’hai mai chiesto?» domandò lui con scarsa convinzione.
«Jesper...»
«Lascia perdere.» Nina serrò le labbra, ma lui sapeva che questa
non sarebbe stata l’ultima volta che ne avrebbero parlato. Si
rifocalizzò sui piedi di Inej. «Santi numi» disse.
Inej fece una smorfia. «Sono messi così male?»
«No, sono solo veramente bru i.»
«Però ti hanno portato su questo te o.»
«Ma siamo bloccati qui?» chiese Nina. L’Orologio Maggiore smise
di suonare, e nel silenzio che seguì Jesper chiuse gli occhi per il
sollievo. «Era ora.»
«Cos’è successo alla prigione?» domandò Wylan, la cui voce era
tornata a scricchiolare per la paura. «Che cosa ha innescato
l’allarme?»
«Mi sono imba uta in due guardie» disse Nina.
Jesper sollevò lo sguardo da quello che stava facendo. «E non le
hai stese?»
«Sì. Ma una delle due ha fa o partire qualche colpo. Un’altra è
arrivata di corsa. E in quel momento le campane hanno cominciato a
suonare.»
«Dannazione. Quindi è stato quello a far partire l’allarme?»
«Forse» disse Nina. «Tu dov’eri, Kaz? Io non sarei stata ancora
sulle scale se non avessi dovuto perder tempo a cercarti. Perché non
c’eri sul pianero olo?»
Kaz stava guardando giù a raverso il vetro della cupola. «Ho
deciso di perlustrare anche le celle al quinto piano.»
Tu i lo fissarono. Jesper sentì che il proprio bru o cara ere era
sul punto di esplodere.
«Che diavolo stai facendo?» disse. «Ti levi di mezzo prima che io
e Ma hias torniamo, poi decidi di allargare le ricerche e lasci che
Nina pensi che tu sia nei guai?»
«C’era una cosa di cui dovevo occuparmi.»
«Non te la cavi così.»
«Ho avuto un presentimento» disse Kaz. «E l’ho seguito.»
L’espressione che fece Nina fu di autentica incredulità. «Un
presentimento?»
«Mi sono sbagliato» brontolò Kaz. «Abbiamo finito?»
«No» disse Inej con calma. «Ci devi una spiegazione.»
Dopo un istante, Kaz continuò: «Sono andato a cercare Pekka
Rollins». Jesper non riuscì a decifrare l’occhiata che si scambiarono
Kaz e Inej; celava un passaggio di informazioni da cui lui era escluso.
«Per l’amore dei Santi, perché?» domandò Nina.
«Volevo sapere chi degli Scarti gli avesse fa o la soffiata.»
Jesper aspe ò. «E?»
«Non l’ho scoperto.»
«E il sangue sulla tua casacca?» chiese Ma hias.
«Uno scontro con una guardia.»
Jesper non ci crede e.
Kaz si passò una mano sugli occhi. «Ho fa o casino. Ho preso una
decisione sbagliata e mi merito di essere biasimato per questo. Ma
non cambia la nostra situazione.»
«Qual è la nostra situazione?» chiese Nina a Ma hias. «Cosa
faranno i Fjerdiani adesso?»
j
«L’allarme che hanno dato è il Protocollo Giallo, disordini nel
se ore.»
Jesper si preme e le tempie. «Non mi ricordo che cosa vuol dire.»
«Immagino che stiano pensando che ci sia un tentativo di
evasione in corso. Il se ore è già isolato dal resto della Corte di
Ghiaccio, per cui autorizzeranno un’ispezione, probabilmente per
scoprire chi è sparito dalle celle.»
«Troveranno quelli che abbiamo messo fuori gioco nel braccio
femminile e nel braccio maschile» disse Wylan. «Dobbiamo
andarcene da qui. Lasciamo perdere Bo Yul-Bayur.»
Ma hias agitò una mano nell’aria con fare sprezzante. «È troppo
tardi. Se le guardie ritengono che ci sia un’evasione in a o, i posti di
blocco saranno sulla massima allerta. Non perme eranno a nessuno
di uscire.»
«Possiamo comunque provarci» disse Jesper. «Fasciamo i piedi di
Inej.»
Lei li contrasse, poi si alzò e collaudò le piante nude sulla ghiaia.
«Li sento bene. I calli sono spariti, comunque.»
«Per le lamentele, ho un indirizzo da darti» disse Nina facendole
l’occhiolino.
«Bene, lo Spe ro è in grado di deambulare» disse Jesper,
passandosi una manica sulla faccia bagnata. La pioggia si era
dissolta in nebbiolina. «Troviamo uno spazio accogliente dove
colpire i festaioli sulla testa e uscire da questo posto tu i in
ghingheri a passo di valzer.»
«Passando davanti al cancello dell’ambasciata e a due posti di
blocco?» disse Ma hias, sce ico.
«Nessuno, per quel che ne sanno loro, è fuggito dal se ore della
prigione. Hanno visto Nina e Kaz, e quindi sanno che dei detenuti
sono fuori dalle loro celle, ma le guardie dei posti di blocco
cercheranno delinquenti con la divisa carceraria, non diplomatici
profumati in abito da sera. Dobbiamo agire prima che si accorgano
che sei persone sono a piede libero nel cerchio esterno.»
«Scordatelo» disse Nina. «Sono venuta qui per trovare Bo Yul-
Bayur, e non me ne vado senza di lui.»
«A che pro?» disse Wylan. «Anche se ce la facessimo a
raggiungere l’Isola Bianca e a trovare Yul-Bayur, non avremmo
modo di uscire. Jesper ha ragione: dobbiamo andarcene adesso,
mentre abbiamo ancora una possibilità.»
Nina incrociò le braccia. «Dovessi raggiungere l’Isola Bianca da
sola, lo farò.»
«Potrebbe non essere un’opzione» disse Ma hias. «Guarda.»
Si raccolsero a orno alla cupola di vetro. Nella rotonda di so o
c’era un ammasso di gente che beveva, rideva, si salutava, dando vita
a una specie di festa turbolenta prima delle celebrazioni ufficiali
sull’Isola Bianca.
Mentre osservavano la scena, un gruppo di guardie si fece strada
a fatica dentro la stanza, cercando di ordinare la folla e me erla in
fila.
«Stanno aggiungendo un posto di blocco» disse Ma hias.
«Verificheranno le generalità di tu i un’altra volta prima di
perme ere alla gente di accedere al ponte di vetro.»
«A causa del Protocollo Giallo?» chiese Jesper.
«Probabile. Una precauzione.»
Era come vedere l’ultima goccia di fortuna prosciugarsi dentro un
bicchiere.
«Questo taglia la testa al toro» disse Jesper. «Salviamo il salvabile
e andiamocene adesso.»
«C’è un modo» disse Inej con calma. Tu i si girarono a guardarla.
La luce gialla della cupola aveva creato una pozza nei suoi occhi
scuri. «Possiamo superare il posto di blocco e arrivare all’Isola
Bianca.» Indicò un punto, di so o, dove due gruppe i di persone
erano entrati nella rotonda dal cortile della portineria e stavano
scrollandosi via la pioggerellina dai vestiti. Le ragazze della Casa
dell’Iris Blu erano facilmente identificabili dal colore dei loro abiti e
dai fiori che sfoggiavano al collo e tra i capelli. E nessuno poteva
confondere gli uomini dell’Incudine: enormi tatuaggi messi in
mostra con orgoglio e braccia nude nonostante il freddo. «Le
delegazioni dello Stave dell’Ovest hanno iniziato ad arrivare.
Possiamo mescolarci con loro.»
«Inej» disse Kaz.
j
«Entreremo io e Nina» continuò lei. La schiena era diri a, la voce
ferma. Assomigliava a una condannata a morte che fronteggiava il
plotone d’esecuzione e mandava al diavolo la benda sugli occhi.
«Entreremo con il Serraglio.»
28
INEJ

O o rintocchi e mezzo
Kaz la stava guardando a entamente, gli occhi color caffè amaro che
scintillavano alla luce della cupola.
«Hai presente quei costumi» disse lei, «mantelli pesanti, cappucci.
È tu o quello che i Fjerdiani vedranno. Un cerbia o Zemeni. Una
giumenta Kaelish.» Deglutì e costrinse le parole successive a uscirle
di bocca. «Una lince Suli.» Non persone, non ragazze, solo adorabili
ogge i da collezione. “Ho sempre voluto rotolarmi con una ragazza
Zemeni” sussurravano i clienti. “Una ragazza Kaelish con i capelli
rossi. Una ragazza Suli con la pelle color caramello bruciato.”
«È un rischio» disse Kaz.
«Quale colpo non lo è?»
«Kaz, tu e Ma hias come farete a passare?» domandò Nina.
«Potremmo aver bisogno di te per le serrature, e se le cose si me ono
male sull’isola, non voglio finire bloccata. Dubito che possiate farvi
passare per dei membri del Serraglio.»
«Non dovrebbe essere un problema» disse Kaz. «Anche se Helvar
ce l’ha tenuto nascosto.»
«È così?» chiese Inej.
«Non è...» Ma hias si passò una mano tra i capelli rasati. «Come
fai a sapere queste cose, demjin?» ringhiò verso Kaz.
«Logico. Tu a la Corte di Ghiaccio è un capolavoro di misure di
sicurezza e sistemi a doppia protezione. Quel ponte di vetro fa
impressione, ma in caso d’emergenza ci dev’essere un altro modo
per mandare rinforzi all’Isola Bianca e portare fuori la famiglia
reale.»
«Sì» disse Ma hias esasperato. «C’è una seconda strada per
arrivare all’Isola Bianca. Ma è un casino.» Lanciò un’occhiata a Nina.
«E di certo non può essere affrontata dentro un abito da sera.»
«Aspe ate un a imo» li interruppe Jesper. «Che cosa importa se
arrivate tu i sull’Isola Bianca? Me iamo che Nina si faccia spifferare
da qualche Fjerdiano dov’è rinchiuso Yul-Bayur, e lo portate qui.
Saremo intrappolati. Per quell’ora, le guardie carcerarie avranno
finito di perlustrare in giro e avranno capito che sei detenuti in
qualche modo sono usciti dal se ore. Avremo perso ogni chance di
varcare i cancelli dell’ambasciata e i posti di blocco.» Kaz sbirciò oltre
la cupola, verso il cortile aperto dell’ambasciata e, ancora più in là,
verso la portineria delle mura ad anello.
«Wylan, quanto sarebbe difficile me ere fuori uso uno di quei
cancelli?»
«Per farlo aprire?»
«No, per tenerlo chiuso.»
«Intendi dire per romperlo?» Wylan alzò le spalle. «Non dovrebbe
essere troppo difficile. Non sono riuscito a vedere il congegno che lo
regola quando siamo entrati, ma dallo schema direi che è piu osto
comune.»
«Carrucole, ruote dentate, qualche vite davvero grossa?»
«Be’, sì, e un argano di notevoli dimensioni. I cavi gli si avvolgono
a orno come una grande bobina, e le guardie lo girano con una
specie di maniglia o di timone.»
«So come funziona un timone. Puoi staccarne uno?»
«Penso di sì, ma è il sistema d’allarme a cui i cavi sono a accati che è
complicato. Dubito di riuscirci senza innescare il Protocollo Nero.»
«Bene» disse Kaz. «Allora è quello che faremo.»
Jesper alzò una mano. «Scusate, il Protocollo Nero non è quello
che vogliamo evitare a tu i i costi?»
«Mi sembra di ricordare che il Protocollo Nero equivalga morte
certa» disse Nina.
«Non se lo usiamo contro di loro. Questa no e, quasi tu a la
sicurezza della Corte è concentrata sull’Isola Bianca e, proprio qui,
nell’ambasciata. Quando suonerà il Protocollo Nero, il ponte di vetro
verrà chiuso e tu e quelle guardie saranno intrappolate sull’isola
insieme agli ospiti.»
«E la strada alternativa di Ma hias per uscire dall’isola?» chiese
Nina.
«Non possono spostare un grosso spiegamento di forze da quella
parte» riconobbe Ma hias. «Perlomeno, non in fre a.»
Kaz fissò l’Isola Bianca, la testa piegata, lo sguardo leggermente
velato.
«È la faccia che fa quando trama qualcosa» mormorò Inej.
Jesper annuì. «Proprio quella.»
Le sarebbe mancato quello sguardo.
«Tre cancelli nelle mura ad anello» disse Kaz. «Il cancello della
prigione è so o stre a sorveglianza a causa del Protocollo Giallo. Il
cancello dell’ambasciata è un collo di bo iglia stipato di ospiti: i
Fjerdiani non faranno passare le truppe da lì. Jesper, a te e a Wylan
rimane solo il cancello nel se ore dei drüskelle di cui occuparvi. Fate
sca are il Protocollo Nero, poi distruggetelo. Sfasciatelo a tal punto
che le guardie chiamate a raccolta non riescano a uscire per
seguirci.»
«Sono il primo a voler rinchiudere i Fjerdiani nella loro stessa
fortezza» disse Jesper. «Davvero. Ma come facciamo a uscirne noi?
Una volta innescato il Protocollo Nero, voi sarete bloccati su
quell’isola e noi saremo bloccati nel cerchio esterno. Senza armi e
senza esplosivi.»
Il sorriso di Kaz era tagliente come un rasoio. «Meno male che
siamo dei ladri come si deve. Vorrà dire che faremo un po’ di
shopping: e andrà tu o sul conto di Fjerda. Inej» disse, «cominciamo
con qualcosa di brillante.»

Accanto alla grande cupola di vetro, Kaz espose quello che aveva in
mente nei de agli. Se il piano precedente era stato coraggioso,
almeno faceva perno sulla discrezione. Il piano a uale era audace,
forse persino folle. Non avrebbero semplicemente annunciato la loro
presenza ai Fjerdiani, l’avrebbero strombazzata. La banda si sarebbe
separata un’altra volta, e un’altra volta avrebbero cronometrato i
movimenti basandosi sui rintocchi dell’Orologio Maggiore, ma a
g gg
questo giro ci sarebbe stato ancora meno spazio per fare errori. Inej
ispezionò il proprio cuore, aspe andosi di trovarci cautela, paura.
Ma sentì solo che era pronta. Questo non era un colpo che stava
me endo a segno per ripagare il proprio debito a Per Haskell. Non
era un incarico da portare a termine per Kaz o per gli Scarti. Era per
se stessa che lo faceva: per il denaro, e per il sogno che il denaro
avrebbe realizzato.
Mentre Kaz andava avanti a spiegare e Jesper usava le cesoie della
lavanderia per tagliare la corda in parti uguali, Wylan dava una
mano a preparare lei e Nina. Per farsi passare da ragazze del
Serraglio, avrebbero dovuto avere dei tatuaggi. Incominciarono da
Nina. Utilizzando uno dei grimaldelli di Kaz e la pirite di rame che
Jesper aveva estra o dal te o, Wylan disegnò sul braccio di Nina la
migliore imitazione che gli riuscì della piuma del Serraglio,
seguendo la descrizione di Inej e facendo delle correzioni laddove
necessario. Poi Nina fece penetrare l’inchiostro nella propria pelle. A
una Corporalki non serviva un ago da tatuaggi. Nina fece del suo
meglio per spianare le cicatrici sull’avambraccio di Inej. Il lavoro non
era perfe o, ma non c’era tempo e fare la Plasmaforme non era la
vocazione di Nina. Wylan tracciò lo schizzo di una seconda piuma di
pavone sulla pelle di Inej.
Nina si fermò: «Sei sicura?».
Inej fece un respiro profondo. «Sono colori di guerra» disse, sia a
Nina sia a se stessa. «È il marchio che devo avere.»
«È solo temporaneo» le promise Nina. «Te lo toglierò non appena
saremo al porto.»
Il porto. Inej pensò alla Ferolind e alle sue bandiere spensierate, e
cercò di tenere quell’immagine in testa mentre guardava la propria
pelle assorbire la piuma di pavone.
Quei tatuaggi non avrebbero superato nessun esame scrupoloso,
ma la speranza era che non ce ne sarebbe stato bisogno.
E finalmente si alzarono. Inej aveva previsto che il Serraglio sarebbe
arrivato tardi – Tante Heleen adorava le entrate a effe o – ma
dovevano comunque essere pronti ad agire quando fosse giunto il
momento.
E tu avia esitarono. La consapevolezza che avrebbero potuto non
rivedersi più, che alcuni di loro – forse tu i – avrebbero potuto non
farcela a sopravvivere a quella no e, rendeva l’aria pesante. Un
giocatore d’azzardo, un detenuto, un figlio ribelle, una Grisha
smarrita, una ragazza Suli che era diventata un’assassina, un ragazzo
del Barile che era diventato qualcosa di peggio. Inej guardò i suoi
bizzarri compagni di ventura, a piedi nudi, tremanti nelle divise
carcerarie sporche di fuliggine, i lineamenti illuminati dalla luce
dorata della cupola e ammorbiditi dalla nebbiolina sospesa nell’aria.
Che cosa li teneva insieme? L’avidità? La disperazione? O era
semplicemente perché sapevano che se uno di loro o tu i quanti
fossero scomparsi quella no e, nessuno sarebbe venuto a cercarli? La
madre e il padre di Inej forse versavano ancora delle lacrime per la
figlia che avevano perso, ma se lei fosse morta tra qualche ora,
nessuno avrebbe pianto per la ragazza che era adesso. Non aveva
una famiglia, non aveva genitori e non aveva fratelli e sorelle, solo
persone con cui comba ere fianco a fianco. Ma forse anche quello era
qualcosa di cui essere grati.
Fu Jesper a parlare per primo. «Nessun rimpianto» disse
sorridendo.
«Nessun funerale» risposero tu i gli altri in coro. Persino
Ma hias mormorò le parole a bassa voce.
«Se qualcuno di voi la scampa, faccia in modo che la mia cassa da
morto resti aperta» disse Jesper mentre si caricava in spalla due
rotoli di fune e faceva segno a Wylan di seguirlo sul te o. «Il mondo
si merita questa faccia fino all’ultimo momento.»
Inej si stupì appena nel vedere l’intensità dello sguardo che si
scambiarono Nina e Ma hias. Era cambiato qualcosa tra loro dopo la
ba aglia con gli Shu, ma Inej non avrebbe saputo dire cosa.
Ma hias si schiarì la voce e fece a Nina un piccolo inchino
imbarazzato. «Posso scambiare due parole con lei in privato?»
Nina ricambiò l’inchino con un’aria decisamente più raffinata, e si
lasciò condurre via da lui. Inej era contenta; anche lei voleva avere
un momento da sola con Kaz.
«Ho qualcosa per te» disse, ed estrasse i guanti di pelle di Kaz
dalla manica della casacca della prigione.
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Lui li fissò. «Come...»
«Li ho recuperati dalla pila dei vestiti scartati. Prima di
arrampicarmi.»
«Sei piani al buio.»
Lei annuì.
Non si aspe ava ringraziamenti. Non per la scalata, non per i
guanti, non per qualsiasi altra cosa.
Lui se l’infilò lentamente, e osservò le proprie mani pallide e
vulnerabili scomparirvi dentro. Erano mani da prestigiatore: lunghe
dita aggraziate fa e per aprire serrature, nascondere monete, far
sparire cose.
«Quando torneremo a Ke erdam prenderò la mia parte e lascerò
gli Scarti.»
Lui spostò lo sguardo altrove. «Fai bene. Sei sprecata per il
Barile.»
Era tempo di muoversi. «Buona fortuna, Kaz.»
Kaz l’afferrò per un polso. «Inej.» Il pollice rivestito dal guanto
l’accarezzò dove le pulsava il sangue e seguì la punta della piuma
tatuata. «Se non ne usciamo vivi, voglio che tu sappia...»
Lei rimase in a esa. Sentì che la speranza, dentro di lei, faceva
frusciare le ali, pronta a spiccare il volo se Kaz avesse pronunciato le
parole giuste. Per cui la costrinse a stare immobile. Quelle parole non
sarebbero mai arrivate. Il cuore è una freccia.
Allungò una mano e gli toccò una guancia. Era convinta che si
sarebbe tirato indietro, che le avrebbe persino colpito la mano. In
quasi due anni di ba aglie fianco a fianco, di complo i orditi fino a
tarda no e, di colpi impossibili, di commissioni clandestine e pranzi
a base di patate fri e e hutspot ingollati di corsa mentre si
precipitavano da un posto all’altro, questa era la prima volta che lei
lo toccava veramente, senza la barriera dei guanti, della giacca o
delle maniche della camicia. Gli incorniciò la guancia con la mano.
La pelle di lui era fredda e umida per via della pioggia. Kaz restò
fermo, ma lei vide un tremito a raversarlo, come se stesse
conducendo una guerra con se stesso.
«Se non ne usciamo vivi, io morirò senza paura, Kaz. Tu puoi dire
lo stesso?»
Gli occhi di lui erano quasi neri, le pupille dilatate. Inej si rese
conto che stava impiegando fino all’ultima briciola della sua
spaventosa forza di volontà per restare fermo so o il tocco delle dita
di lei. E malgrado tu o non si tirò indietro. Lei seppe che questo era
il massimo che lui poteva offrirle. Non era abbastanza.
Lei tirò via la mano. Lui respirò a fondo.
Kaz le aveva de o di non volere le sue preghiere e quindi lei non
le avrebbe de e, ma gli augurò comunque di salvarsi. Aveva uno
scopo tu o suo ora, il cuore aveva una direzione, e sebbene le facesse
male sapere che quel cammino l’avrebbe portata via da lui, l’avrebbe
acce ato.

Inej raggiunse Nina sul bordo della cupola per aspe are insieme
l’arrivo del Serraglio. La cupola era larga e poco profonda, tu a fa a
di vetro e intrecci d’argento. Inej vide che c’era un mosaico sul
pavimento dell’ampia rotonda di so o. Appariva per brevi istanti tra
un individuo e l’altro: due lupi che si inseguivano, destinati a
rincorrersi in cerchio fino a che ci fosse stata la Corte di Ghiaccio.
Gli ospiti che entravano dal grande portale ad arco venivano
condo i dentro alcune stanze fuori dalla rotonda, divisi in gruppe i
e perquisiti per verificare che non avessero armi con sé. Inej vide
delle guardie uscire con delle spille, degli aculei di porcospino,
addiri ura delle fasce che lei immaginò contenessero del metallo o
dei fili.
«Non sei obbligata, lo sai» disse Nina. «Non sei obbligata a
rime erti addosso quelle vesti di seta.»
«Ho fa o di peggio.»
«Lo so. Hai scalato sei piani di inferno per noi.»
«Non è quello che intendevo.»
Nina fece una pausa. «So anche questo.» Esitò, poi disse: «La
ricompensa è così importante per te?». Inej fu sorpresa di sentire del
senso di colpa nella voce di Nina.
L’Orologio Maggiore iniziò a suonare i nove rintocchi. Inej puntò
lo sguardo in basso sui lupi che si inseguivano sul pavimento della
rotonda. «Non so bene perché ho cominciato» ammise. «Ma so
perché devo finire. So perché il destino mi ha portata qui, perché mi
ha messa sul cammino di questa ricompensa.»
Si manteneva vaga perché non si sentiva ancora pronta a parlare
del sogno che le si era acceso nel cuore: una banda tu a sua, una
nave so o il suo comando, una crociata. Sentiva di doverlo tenere
segreto, come un nuovo seme che avrebbe potuto diventare qualcosa
di straordinario se non fosse stato costre o a sbocciare troppo
presto. Non sapeva nemmeno come manovrare una barca a vela.
Eppure una parte di lei voleva raccontare tu o a Nina. Se Nina non
avesse deciso di tornare a Ravka, una Spaccacuore sarebbe stato un
acquisto eccellente per la sua banda.
«Eccole» disse Nina.
Le ragazze del Serraglio entrarono dalle porte della rotonda, gli
abiti da sera che scintillavano alla luce delle candele, i cappucci dei
mantelli che nascondevano i visi. Ogni cappuccio rappresentava un
animale: un cerbia o Zemeni dalle orecchie morbide e le graziose
macchie bianche, una giumenta Kaelish dal codino ramato, un
serpente Shu dalle squame rosse decorate di perline, una volpe
Ravkiana, un leopardo delle Colonie del Sud, un corvo imperiale, un
ermellino, e naturalmente la lince Suli. La ragazza bionda e alta che
interpretava il ruolo del lupo Fjerdiano in pelliccia d’argento era la
grande assente.
Delle soldatesse in uniforme andarono loro incontro.
«Non la vedo» disse Nina.
«Aspe a. Il Pavone entrerà per ultimo.»
E infa i eccola lì: Heleen Van Houden, luccicante nel suo abito di
raso color verde acqua e con un’elaborata gorgiera di penne di
pavone a incorniciarle la testa color oro.
«Sobria» disse Nina.
«La sobrietà non vende nel Barile.»
Inej fece un fischio acuto e cingue ante. Quello di Jesper arrivò da
qualche parte in lontananza. “Ci siamo” pensò. Aveva dato lo
spintone, e ora il macigno stava rotolando giù dalla montagna. Chi
poteva sapere quali danni avrebbe fa o e cosa sarebbe stato
ricostruito sopra le macerie?
Nina guardò a raverso il vetro e strabuzzò gli occhi. «Come fa a
non crollare so o il peso di tu i quei diamanti? Non possono essere
veri.»
«Oh, sono veri eccome» disse Inej. Quei gioielli erano stati
comprati con il sudore e il sangue e il dolore di ragazze come lei.
Le guardie separarono le ragazze del Serraglio in tre gruppi,
mentre Heleen veniva scortata via da sola. Non si poteva pretendere
che il Pavone si levasse i vestiti e sollevasse le gonne di fronte a loro.
«Eccole» disse Inej, indicando il gruppo che comprendeva la lince
Suli e la giumenta Kaelish. Si stavano dirigendo verso le porte sulla
sinistra della rotonda.
Mentre Nina fissava il gruppo, Inej si spostò sopra il te o,
seguendo la loro traie oria. «Quale porta?» chiese.
«La terza a destra» disse Nina. Inej si spostò verso il condo o
d’aria più vicino e sollevò la griglia. Sarebbe stato bello stre o per
Nina, ma se la sarebbero cavata. Scivolò dentro il condo o di
ventilazione, accovacciandosi e procedendo nel tunnel. Sentì dietro
di sé un grugnito e a seguire un sonoro sbam nel momento in cui
Nina urtò il fondo del cunicolo come un sacco di biancheria. Inej
trasalì. Bisognava sperare che i rumori della folla di so o avessero
coperto i loro. O che alla Corte di Ghiaccio ci fossero dei ra i
davvero grossi.
Strisciarono avanti, sbirciando nelle ventole mentre procedevano.
Alla fine si ritrovarono a guardare dentro una specie di sale a
sequestrata dai militari per perquisire gli ospiti.
Le Creature Esotiche si erano tolte i mantelli e li avevano
appoggiati su un lungo tavolo ovale. Una soldatessa bionda le stava
ispezionando: tastava le cuciture e gli orli dei costumi e infilava
persino le dita nei capelli, mentre l’altra soldatessa stava a guardare
con una mano sul fucile. Sembrava che l’arma la me esse a disagio.
Inej sapeva che i Fjerdiani non perme evano alle donne di prestare
servizio militare nei reparti di comba imento. Forse le soldatesse
erano state prece ate da qualche altro reparto.
Inej e Nina a esero che le guardie avessero finito di perquisire le
ragazze, i mantelli e le borse e con le perline.
«Ven tidder» disse una delle due mentre uscivano dalla stanza per
consentire alle ragazze di rime ersi a posto.
«Cinque minuti» tradusse Nina in un bisbiglio.
«Vai» disse Inej.
«Mi serve che ti sposti.»
«Perché?»
«Perché ho bisogno della visuale libera, e al momento tu o quello
che vedo è il tuo sedere.»
Inej lo fece, e un istante dopo udì qua ro tonfi delicati mentre le
ragazze del Serraglio crollavano sul tappeto blu scuro.
Velocemente, tolse la griglia con uno stra one e cadde sulla
superficie lucida del tavolo. Nina ruzzolò giù dietro di lei, a errando
come un sacco.
«Scusa» disse con un gemito mentre si rime eva dri a.
Inej per poco non scoppiò a ridere. «Sei così leggiadra in ba aglia,
tranne quando ti cali dall’alto.»
«Quel giorno ho saltato la scuola.»
Svestirono le ragazze Suli e Kaelish lasciandole in biancheria
intima, quindi legarono i polsi e le caviglie di tu e le ragazze con i
cordoni delle tende e le imbavagliarono strappandosi via dei pezzi
di divisa.
«Il tempo scorre» disse Inej.
«Scusami» sussurrò Nina alla ragazza Kaelish.
In condizioni normali avrebbe usato dei pigmenti per cambiarsi il
colore dei capelli, ma non c’era proprio tempo. Quindi strizzò il
rosso acceso della ragazza facendolo colare dire amente dalle
ciocche di lei, lasciando la povera Kaelish con dei capelli bianchi che
in alcuni punti sembravano vagamente arrugginiti, e dando ai propri
un colore che non era esa amente il rosso Kaelish. Gli occhi di Nina
erano verdi e non azzurri, ma quel tipo di modifica non poteva
essere fa a di corsa, per cui avrebbero dovuto accontentarsi. Prese
della cipria bianca dalla borse a della ragazza e fece del proprio
meglio per schiarirsi la pelle.
Mentre Nina si dava da fare, Inej trascinò le altre ragazze dentro
un armadio di legno color argento addossato sulla parete più
lontana, sistemando le gambe in modo che rimanesse dello spazio
per la Kaelish.
Sentì una fi a di senso di colpa quando si accertò che il bavaglio
della Suli fosse a posto.
Tante Heleen doveva averla comprata per rimpiazzarla; aveva la
stessa pelle bronzea, la stessa massa di capelli neri. Aveva però una
corporatura diversa, morbida e con le curve anziché magra e
spigolosa. Forse era arrivata da Tante Heleen di sua spontanea
volontà. Forse aveva scelto lei quella vita. Inej sperava fosse vero.
«Che i Santi ti proteggano» sussurrò alla ragazza priva di sensi.
Bussarono alla porta e una voce parlò in Fjerdiano.
«Serve la stanza per le ragazze del turno dopo» bisbigliò Nina.
Inej e Nina spinsero la Kaelish nell’armadio e in qualche modo
riuscirono ad accostare i ba enti e a chiuderli a chiave, poi si
infilarono nei loro costumi. Inej fu felice di non avere il tempo di
soffermarsi sulla sgradita familiarità della seta sulla pelle e
sull’orribile tintinnio dei campanelli alle caviglie. Si bu arono
addosso i mantelli e si diedero una veloce occhiata allo specchio.
Nessuno dei due costumi andava bene. Le vesti di seta viola di
Inej erano troppo larghe, e per quanto riguarda Nina...
«Cosa diavolo dovrebbe essere?» disse, guardandosi in basso.
L’abito a illato le copriva a malapena la consistente scollatura e le
stava appiccicato sulle natiche. Era stato realizzato per dare
l’impressione di essere fa o di squame verdi e blu, che diventavano
un ventaglio di chiffon luccicante.
«Una sirena?» suggerì Inej. «O un’onda?»
«Pensavo di essere un cavallo.»
«Be’, di certo non ti avrebbero messo addosso un vestito di
zoccoli.»
Nina passò le mani sul proprio ridicolo costume. «Sto per
diventare molto popolare.»
«Mi domando cosa direbbe Ma hias del tuo travestimento.»
«Non lo approverebbe.»
«Non approva niente che ti riguardi. Ma quando ridi, si solleva di
sca o come un tulipano nell’acqua fresca.»
Nina sbuffò. «Il tulipano Ma hias.»
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«Il grosso, minaccioso tulipano giallo.»
«Sei pronta?» chiese Nina mentre si calavano i cappucci fino a
coprirsi del tu o la faccia.
«Sì.» Inej diceva sul serio. «Bisognerà distrarle. Altrimenti si
accorgeranno che sono entrate in qua ro e ne stanno uscendo solo
due.»
«Lascia fare a me. E stai a enta all’orlo del tuo vestito.»
Non appena aprirono la porta per uscire in corridoio, le soldatesse
fecero loro cenno di muoversi, impazienti. So o il mantello, Nina
fece schioccare le dita con forza. Una delle due fece un verso simile a
un belato quando il sangue cominciò a uscirle a fio i dal naso e le
zampillò, in modo comicamente assurdo, sul davanti dell’uniforme.
L’altra indietreggiò, ma l’istante successivo si tastò lo stomaco. Nina
stava ruotando lentamente il polso, procurando alla donna delle
ondate di nausea.
«L’orlo» ripeté Nina con calma.
Inej ebbe appena il tempo di tirare su il mantello prima che la
guardia si piegasse in due e riversasse la cena sulle piastrelle del
pavimento. Gli ospiti nel corridoio strillarono e si spintonarono a
vicenda per allontanarsi da lì. Nina e Inej volteggiarono a orno,
eme endo appropriati squi ii di disgusto.
«Probabilmente il sangue dal naso sarebbe stato sufficiente»
bisbigliò Inej.
«In certi casi meglio non risparmiarsi.»
«Se non ti conoscessi bene, penserei che ti piace far soffrire i
Fjerdiani.»
Tennero la testa bassa e si intrufolarono nel mare di gente che
affollava la rotonda, ignorando il cerbia o Zemeni che tentava di
indirizzarle dall’altra parte della stanza. Era fondamentale che non si
avvicinassero troppo alle vere ragazze del Serraglio. Inej sperava che
i loro mantelli non fossero facili da rintracciare nella folla.
«Questa qui» disse Inej, spingendo Nina dentro una fila lontana
dalle ragazze del Serraglio. Sembrava muoversi un po’ più veloce.
Ma quando arrivarono ai controlli, Inej si chiese se non avesse scelto
la fila sbagliata. Questa guardia sembrava persino più severa e con
meno senso dell’umorismo delle altre. Tese la mano per avere i
documenti di Nina e li scrutò con freddi occhi azzurri.
«Qua c’è scri o che lei ha le lentiggini» disse in Kerch.
«Le ho» disse Nina affabilmente. «Solo che adesso non si vedono.
Vuole vederle?»
«No» rispose il Fjerdiano, gelido. «Lei è più alta di quel che risulta
qui.»
«Gli stivali» disse Nina. «Mi piace poter guardare un uomo negli
occhi. Lei ha degli occhi bellissimi.»
Lui osservò le carte, poi la scrutò. «A un primo sguardo direi che
lei pesi più di quello che dice questa carta.»
Nina scrollò astutamente le spalle, facendo scendere le squame
della scollatura. «Quando sono in vena mi piace mangiare» disse, e
protese le labbra senza vergogna. «E io sono sempre in vena.»
Inej si sforzò di mantenere un’espressione seria in viso. Se Nina si
fosse messa anche a sba ere le ciglia, non ce l’avrebbe fa a e sarebbe
scoppiata a ridere.
Ma il Fjerdiano sembrava essersela bevuta. Forse Nina faceva
quello stupefacente effe o su tu i i bacche oni del Nord.
«Può andare» disse la guardia in tono burbero. Poi aggiunse:
«Potrei... potrei essere alla festa più tardi».
Nina fece scorrere un dito sul braccio di lui. «Le concederò un
ballo.»
L’uomo sorrise come uno sciocco, poi si schiarì la gola e tornò alla
sua espressione severa. “Santi numi” pensò Inej, “dev’essere
estenuante essere sempre così impassibili.”
Il Fjerdiano guardò i documenti di Inej in modo superficiale,
ancora immerso nel pensiero di scartare uno dopo l’altro gli strati di
chiffon verde e blu di Nina.
Le fece segno di procedere, ma appena fece un passo avanti Inej
inciampò.
«Aspe i» disse la guardia.
Lei si fermò. Nina si guardò alle spalle.
«Cos’hanno le sue scarpe?»
«Mi stanno un pochino grandi» rispose Inej. «Si sono allargate più
di quel che mi aspe assi.»
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«Mi faccia vedere le braccia» disse la guardia.
«Perché?»
«Lo faccia e basta» replicò la guardia con durezza.
Inej liberò le braccia dal mantello e le tese verso di lui, mostrando
lo sgraziato tatuaggio a forma di piuma di pavone.
Una guardia con i gradi da capitano si sporse a vedere. «Che cosa
c’è?»
«È una Suli, non c’è dubbio, e ha il tatuaggio del Serraglio, ma mi
sembra un po’ strano.»
Inej scrollò le spalle. «Mi sono procurata una bru a ustione da
bambina.»
Il capitano indicò un gruppo di festanti dall’aria infastidita
radunato accanto all’entrata e circondato dalle guardie. «Tu i i
sospe ati vanno là. Me ila con loro, la riportiamo al posto di blocco
e riverifichiamo i documenti.»
«Mi perderò la festa» disse Inej.
La guardia la ignorò, la prese per un braccio e la spinse indietro
verso l’ingresso mentre le altre persone in coda guardavano e
bisbigliavano. Il cuore prese a martellarle in pe o.
Nina era terrorizzata, pallida in viso persino so o la cipria, ma
non c’era niente che Inej potesse dire per rassicurarla. Le fece un
velocissimo cenno con il capo. “Vai” pensò in silenzio. “Tocca a te
ora.”
29
MATTHIAS

Nove rintocchi
«E se dicessi di no, Brekker?» Era solo una sterile polemica, Ma hias
lo sapeva benissimo. Il tempo per protestare era finito da un pezzo.
Stavano già correndo lungo il te o dolcemente ricurvo
dell’ambasciata verso il se ore dei drüskelle, Wylan ansimando per
lo sforzo, Jesper procedendo disinvolto a grandi falcate e Brekker
tenendo il passo malgrado fosse senza bastone. Ma a Ma hias non
piaceva il modo in cui questo ladruncolo sapeva leggergli nel
pensiero. «E se non ti consegnassi l’ultimo pezzo che resta di me e
del mio onore?»
«Lo farai, Helvar. Proprio in questo momento Nina sta arrivando
all’Isola Bianca. Hai veramente intenzione di abbandonarla là?»
«Fai troppe supposizioni.»
«A me sembra di fare quelle che servono.»
«Questi sono i tribunali, giusto?» disse Jesper mentre correvano
sul te o, ca urando con lo sguardo le immagini degli eleganti cortili
di so o, ciascuno costruito a orno a una fontana gorgogliante e
punteggiato di fruscianti alberi ricoperti di ghiaccio. «Immagino che
ci siano posti peggiori dove essere condannati a morte.»
«C’è acqua dappertu o» disse Wylan. «Le fontane sono il simbolo
di Djel?»
«La sorgente» replicò Kaz in tono ispirato, «che ripulisce tu i i
peccati.»
«O dove ti affogano e ti fanno confessare» disse Wylan.
Jesper sbuffò. «Wylan, i tuoi ragionamenti hanno preso una piega
molto cupa. Temo che gli Scarti abbiano una ca iva influenza su di
te.»
Usarono una corda doppia e il rampino per passare al te o del
se ore dei drüskelle. Wylan dove e essere imbracato, invece Jesper e
Kaz si spostarono agilmente, una mano dopo l’altra, con inquietante
velocità. Ma hias si mosse con maggiore cautela, e anche se non lo
diede a vedere non gli piacque il modo in cui la corda scricchiolò e si
piegò so o il suo peso.
Gli altri lo tirarono sul te o di pietra dei drüskelle, e quando
Ma hias si alzò in piedi fu colpito da un’ondata di vertigini. Più di
ogni altro posto alla Corte di Ghiaccio, più di ogni altro posto al
mondo, qui è dove si sentiva a casa. Ma era una casa capovolta, e la
sua vita aveva la prospe iva sbagliata. Sbirciando nell’oscurità, vide
gli imponenti lucernari a forma di piramide.
Provò la sconvolgente sensazione che se avesse guardato
a raverso il vetro avrebbe visto se stesso mentre si allenava nella
sala delle esercitazioni, o seduto al tavolone dove si pranzava.
In lontananza udì i lupi abbaiare e uggiolare nelle gabbie accanto
alla portineria, domandandosi dove fossero finiti i loro padroni
quella no e. L’avrebbero riconosciuto se si fosse avvicinato con la
mano tesa? Non era certo di riconoscersi lui stesso. Tra i ghiacci del
Nord, le scelte che aveva fa o gli erano sembrate chiare. Ma ora i
suoi pensieri erano stati mandati in confusione da questi
delinquenti, dal coraggio di Inej e dall’audacia di Jesper, e da Nina,
sempre Nina. Non poteva negare il sollievo che aveva provato
quand’era spuntata dall’inceneritore, scarmigliata e ansimante,
terrorizzata ma viva. Quando lui e Wylan l’avevano tirata fuori dalla
canna fumaria, si era dovuto fare forza per lasciarla andare.
No, non avrebbe guardato a raverso quei lucernari. Non poteva
più perme ersi altre debolezze, non questa no e. Era tempo di
andare avanti.
Raggiunsero il bordo del te o che si affacciava sul fossato di
ghiaccio. Da qui sembrava solido, la superficie lucida come uno
specchio e illuminata dalle torri di guardia sull’Isola Bianca. Ma le
acque del fossato erano in costante movimento, celate soltanto da un
so ilissimo strato di brina.
Kaz allacciò un altro rotolo di fune al bordo del te o e si preparò a
calarsi sulla sponda in corda doppia.
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«Sapete cosa fare» disse rivolto a Jesper e a Wylan. «Undici
rintocchi e non prima.»
«Quando mai sono stato in anticipo?» domandò Jesper.
Kaz sparì oltre la fiancata. Ma hias lo seguì, le mani aggrappate
alla corda, i piedi nudi contro il muro. Quando guardò in su, vide
Wylan e Jesper che lo fissavano. Ma subito dopo, non c’erano più.
Il terreno che circondava il fossato di ghiaccio era poco più di una
crosta so ile e scivolosa di pietra bianca. Kaz si accovacciò,
schiacciandosi contro il muro, a guardare torvo davanti a sé. «Come
lo a raversiamo? Non vedo niente.»
«Perché non sei degno.»
«Non sono nemmeno miope. Non c’è niente laggiù.»
Ma hias prese a camminare seguendo il muro, passando la mano
sulla pietra all’altezza dell’anca. «Su Hringkälla i drüskelle
terminano la loro iniziazione» disse. «Passiamo da candidati a novizi
durante la cerimonia presso il sacro albero di frassino.»
«Dove l’albero vi parla.»
Ma hias resiste e alla tentazione di bu arlo in acqua. «Dove
speriamo di sentire la voce di Djel. Ma quello è il momento finale.
Per prima cosa, dobbiamo a raversare il fossato di ghiaccio senza
che nessuno ci veda. Se siamo giudicati degni, Djel ci mostra il
sentiero.»
In realtà, i drüskelle anziani rivelavano il segreto per a raversarlo
ai candidati che desideravano veder entrare nell’ordine; era un
modo per scartare i deboli o quelli che semplicemente non avevano
ingranato con il gruppo. Se ti eri fa o degli amici, se avevi
dimostrato quanto valevi, allora uno dei fratelli ti avrebbe preso da
parte e ti avrebbe de o che la no e dell’iniziazione avresti dovuto
andare sulla riva del fossato di ghiaccio e far scorrere la mano lungo
il muro del se ore dei drüskelle. Al centro della parete avresti
trovato l’incisione di un lupo che segnalava la presenza di un altro
ponte di vetro: non grande e arcuato come quello che abbracciava il
fossato dall’ala dell’ambasciata, ma pia o, dri o, e largo solo pochi
piedi. Stava proprio so o la superficie brinata, completamente
invisibile se non sapevi dove guardare. Era stato il Comandante
Brum in persona a dire a Ma hias come trovarlo, e anche il
trucche o per a raversarlo senza farsi vedere.
Ma hias dove e passare le dita sul muro due volte prima di
trovare il lupo intagliato. Lasciò che la mano vi indugiasse sopra un
istante, assaporando le tradizioni che lo collegavano all’ordine dei
drüskelle, antiche quanto la stessa Corte di Ghiaccio.
«Qui» disse.
Kaz si avvicinò strisciando i piedi e strizzò gli occhi per guardare
a raverso il fossato.
Poi si sporse, e Ma hias con uno stra one lo tirò indietro.
Indicò le torri di guardia in cima al muro che circondavano l’Isola
Bianca. «Così ti vedranno» disse. «Usa questo.»
Strisciò la mano lungo il muro e il palmo gli divenne bianco. La
no e dell’iniziazione, si era sfregato i vestiti e i capelli con quella
stessa polvere di gesso. Così mimetizzato, invisibile alle guardie
nelle torri, aveva a raversato lo stre o sentiero che conduceva
all’isola e si era riunito ai fratelli.
Ora lui e Kaz avrebbero fa o lo stesso, però Ma hias si accorse
che Kaz, per prima cosa, aveva riposto con cura i propri guanti. Inej
doveva averglieli restituiti.
Ma hias fece un passo avanti sul ponte segreto, poi sentì Kaz
eme ere un sibilo quando immerse i piedi nelle acque ghiacciate del
fossato.
«Hai freddo, Brekker?»
«Se soltanto ci fosse tempo per una bella nuotata. Muoviamoci.»
Malgrado le prese in giro a Kaz, nel tempo che impiegarono per
arrivare a metà strada tra la sponda e l’isola, i piedi di Ma hias
erano diventati insensibili, e lui era estremamente consapevole delle
torri di guardia sopra il fossato.
I drüskelle dovevano essere passati di qui, qualche ora prima.
Non aveva mai sentito di aspiranti drüskelle individuati o fucilati sul
ponte, ma tu o era possibile.
«Tu a questa fatica per diventare un cacciatore di streghe?» disse
Kaz dietro di lui. «Gli Scarti hanno bisogno di un rito di iniziazione
migliore.»
«Questa è solo una parte della cerimonia di Hringkälla.»
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«Sì, lo so, poi un albero vi svela la stre a di mano segreta.»
«Mi dispiace per te, Brekker. Non c’è niente di sacro nella tua
vita.»
Ci fu una lunga pausa, alla fine della quale Kaz disse: «Ti sbagli».
Il muro esterno dell’Isola Bianca si stagliava di fronte a loro,
rivestito da un motivo ornamentale di scaglie. Ci volle un momento
per individuare la rampa di scale che nascondeva il cancello. Solo
fino a poco prima, i drüskelle erano stati ammassati nella nicchia del
muro a dare il benvenuto ai nuovi fratelli, ma ora la nicchia era
vuota, la grata di ferro chiusa con la catena. Kaz fece in fre a con la
serratura, e ben presto si ritrovarono in un passaggio angusto che li
avrebbe condo i ai giardini, in fondo ai quali c’era la caserma della
guardia reale.
«Sei sempre stato bravo con le serrature?»
«No.»
«Come hai fa o a imparare?»
«Nel modo in cui si impara qualunque cosa. Smontandole.»
«E i trucchi magici?»
Kaz sbuffò. «Quindi non pensi più che io sia un demone?»
«So per certo che sei un demone, ma i tuoi trucchi sono umani.»
«Alcuni vedono una magia e dicono: “Impossibile!”. Ba ono le
mani, pagano e dopo dieci minuti circa se la sono già scordata. Altri
chiedono come funziona. Vanno a casa, vanno a le o, si girano e si
rigirano domandandosi come si faccia a farla. Gli ci vuole una buona
no e di sonno per scordarsi tu o. E poi ci sono quelli che restano
svegli, che ripensano al trucco continuamente, alla ricerca di quel che
è sfuggito alla percezione, di quella falla nell’illusione che rivela
cos’è stato a ingannare gli occhi; sono quelli che non si danno pace
finché non diventano loro stessi i massimi esperti di quel pezze o di
mistero. Io sono uno di questi.»
«Tu ami gli imbrogli.»
«Io amo gli enigmi. Gli imbrogli sono solo la mia lingua madre.»
«I giardini» disse Ma hias, indicando le siepi. «Possiamo seguirli
fino alla sala da ballo.»
Proprio mentre stavano per sbucare dal passaggio, due guardie
girarono l’angolo: entrambe nell’uniforme da drüskelle nera e
g g
argento, entrambe armate di fucile.
«Perjenger!» gridò sorpresa una di loro. “Prigionieri.” «Sten!»
Senza pensarci, Ma hias disse: «Desjenet, Djel comenden!». “State
giù, per volere di Djel.” Erano le parole di un comandante in capo
drüskelle, e lui le pronunciò con tu a l’autorità di cui era capace.
I soldati si scambiarono un’occhiata confusa. Quell’a imo di
esitazione fu sufficiente. Ma hias strappò di mano il fucile al primo
dei due e assestò una testata violentissima al drüskelle, che crollò a
terra.
Kaz andò addosso all’altro soldato, facendolo cadere. Il drüskelle
non mollò la presa sul fucile, ma Kaz scivolò dietro di lui e gli
schiacciò la gola con l’avambraccio, comprimendola finché gli occhi
del drüskelle si chiusero e la testa gli cadde in avanti mentre crollava
svenuto.
Kaz si scrollò di dosso il corpo della guardia e si alzò in piedi.
La realtà della situazione colpì Ma hias all’improvviso. Kaz non
aveva raccolto il fucile. Ma hias aveva un’arma in mano, e Kaz era
disarmato. Erano fermi, in piedi, davanti ai corpi di due drüskelle
privi di sensi, uomini che avrebbero dovuto essere i fratelli di
Ma hias. “Posso sparargli” pensò. “Condannare Nina e tu i loro
con un unico gesto.” Di nuovo, Ma hias ebbe la strana sensazione di
guardare la propria vita dal lato sbagliato. Aveva addosso la divisa
da detenuto, un intruso nel posto che una volta chiamava casa. Chi
sono io ora?
Guardò Kaz Brekker, un ragazzo che comba eva per una sola
causa: se stesso. Eppure, era un sopravvissuto, e un soldato anche lui
a suo modo. Aveva rispe ato l’accordo. In qualunque momento,
avrebbe potuto stabilire che Ma hias non gli serviva più: dopo che li
aveva aiutati a disegnare le mappe, dopo che avevano superato le
celle di detenzione, dopo che gli aveva rivelato il segreto del ponte. E
chiunque fosse diventato ora, Ma hias non avrebbe sparato a
qualcuno disarmato. Non era ancora finito così in basso.
Ma hias abbassò l’arma.
Le labbra di Kaz accennarono un vago sorriso. «Non ero sicuro di
cosa avresti fa o se fossimo arrivati a questo punto.»
«Nemmeno io» ammise Ma hias. Kaz sollevò un sopracciglio, e la
verità colpì Ma hias con la forza di un pugno. «Era un test. Tu l’hai
fa o apposta a non raccogliere il fucile.»
«Dovevo essere sicuro che tu fossi veramente con noi. Con tu i
noi.»
«Come facevi a sapere che non avrei sparato?»
«Perché, Ma hias, tu puzzi di corre ezza lontano un miglio.»
«Sei pazzo.»
«Conosci il segreto del gioco d’azzardo, Helvar?» Kaz pestò con il
piede buono il calcio del fucile al suolo, che saltò su, capovolgendosi.
Kaz se lo ritrovò in mano e puntato contro Ma hias nello spazio di
un respiro. Non era mai stato minimamente in pericolo. «Barare. Ora
ripuliamoci e me iamoci addosso quelle uniformi. Dobbiamo
andare a una festa.»
«Un giorno rimarrai a corto di trucchi, demjin.»
«Farai bene a sperare che non sia oggi.»
“Vedremo cosa ci porta questa no e” pensò Ma hias mentre
eseguiva gli ordini. “Gli imbrogli non sono la mia lingua madre, ma
sono ancora in tempo per imparare a parlarla.”
30
JESPER

Nove rintocchi e un quarto


Jesper avrebbe dovuto avercela con Kaz: per aver inseguito Pekka
Rollins e aver mandato a rotoli il loro piano originario, e per averli
esposti a pericoli ancora più grossi con questo nuovo programma.
Ma mentre lui e Wylan strisciavano verso la portineria lungo il te o
dei drüskelle, era troppo dannatamente felice per essere arrabbiato.
Il cuore gli galoppava, e l’adrenalina gli scorreva in corpo in
deliziose ondate. Un po’ come era successo a quella festa nello Stave
dell’Ovest. Qualcuno aveva riempito di champagne una fontana
ci adina, e Jesper ci aveva messo circa due secondi per tuffarsi senza
stivali e con la gola spalancata. Adesso era il rischio a riempirgli
bocca e naso, e a farlo sentire carico di energia e invincibile. Amava
quella sensazione, e si odiava per il fa o di amarla. Avrebbe dovuto
pensare al colpo, al denaro, a cavarsi fuori dai debiti, a fare in modo
che suo padre non soffrisse per le sue pagliacciate. Ma quando la
mente di Jesper sfiorava quel genere di pensieri, in lui tu o si
ritraeva. Cercare di non morire era la migliore distrazione possibile.
Comunque, Jesper era più consapevole dei rumori che
producevano adesso che erano lontani dalla folla e dalla confusione
dell’ambasciata. Questa no e apparteneva ai drüskelle. Hringkälla
era la loro festa, ed erano tu i al sicuro sull’Isola Bianca. Questo
edificio, per lui e Wylan, era probabilmente il posto più sicuro dove
stare. Eppure il silenzio sembrava pesante, sinistro. Qui non c’erano
salici o fontane, a differenza che all’ambasciata. Come il carcere,
questa zona della Corte di Ghiaccio non era fa a per essere esposta
allo sguardo pubblico. Jesper si accorse che per il nervosismo stava
muovendo con la lingua, avanti e indietro, il dische o di baleen che
aveva incastrato tra i denti e si costrinse a sme ere prima di
a ivarlo. Era abbastanza certo che Wylan non gli avrebbe mai
perdonato un’idiozia come quella.
Un grosso lucernario a forma di piramide si affacciava su quella
che sembrava una stanza per le esercitazioni, con una testa di lupo
incisa sul pavimento e gli scaffali pieni di armi.
A raverso il vetro del lucernario successivo, vide una grande sala
da pranzo. Una parete era del tu o occupata da un imponente
camino, e sopra il camino c’era una testa di lupo scolpita nella pietra.
Il muro di fronte era decorato da un enorme stendardo che non
aveva uno schema riconoscibile, sembrava piu osto un patchwork di
strisce so ili di stoffa: per lo più rosse e blu, ma anche viola. Jesper
impiegò un a imo a capire che cosa stava guardando.
«Per tu i i Santi» disse, con un po’ di nausea. «I colori Grisha.»
Wylan aguzzò lo sguardo. «Lo stendardo?»
«Rosso per i Corporalki. Blu per gli Etherealki. Viola per i
Materialki. Quelli sono pezzi delle kefta che i Grisha indossano in
ba aglia. Sono trofei.»
«Sono parecchi.»
Centinaia. Migliaia. “Io avrei indossato il viola” pensò Jesper, “se
mi fossi unito al Secondo Esercito.”
Cercò di recuperare l’entusiasmo effervescente che aveva
gorgogliato dentro di lui solo pochi istanti prima. Era stato
addiri ura entusiasta di rischiare la ca ura e la condanna a morte
come ladro e killer professionista. Perché era peggio pensare di
essere braccato come Grisha?
«Muoviamoci.»
Proprio come per la prigione e per l’ambasciata, la portineria nel
se ore dei drüskelle era stata costruita a orno a un cortile di modo
che chiunque, entrando, potesse essere tenuto d’occhio da sopra e
colpito, se necessario. Ma con il cancello chiuso, i parape i affacciati
sul cortile erano deserti come tu o il resto dell’edificio. Qui, lastre di
lucida pietra nera erano intarsiate con la testa del lupo d’argento, e le
superfici erano illuminate da un’inquietante fiamma blu. Era l’unica
zona della Corte di Ghiaccio a non essere bianca o grigia. Persino il
cancello era di un qualche metallo nero che sembrava
incredibilmente pesante.
Di so o si vedeva una guardia, appoggiata alla volta della
portineria, con un fucile a tracolla.
«Soltanto una?» domandò Wylan.
«Ma hias ha de o che c’erano qua ro guardie ai cancelli non in
funzione.»
«Forse il Protocollo Giallo gioca a nostro favore» disse Wylan.
«Potrebbero averle mandate al se ore della prigione o...»
«O forse ci sono dodici grossi Fjerdiani che se ne stanno dentro al
calduccio.»
So o gli occhi di Jesper e Wylan, la guardia aprì un bara olo di
jurda e si mise in bocca un mucchie o di fiori d’arancio essiccati.
Aveva l’aria annoiata e infastidita, probabilmente era frustrato dal
fa o di essere lontano dal divertimento e dai festeggiamenti di
Hringkälla.
“Non ti biasimo” pensò Jesper. “Ma la tua vita sta per diventare
molto più eccitante.”
Perlomeno la guardia indossava l’uniforme ordinaria invece della
divisa nera dei drüskelle, considerò Jesper, ancora incapace di
scacciare via l’immagine dello stendardo dalla testa.
Sua madre era Zemeni, ma nelle vene di suo padre scorreva il
sangue Kaelish che aveva regalato a Jesper gli occhi grigi, e l’uomo
non aveva mai abbandonato del tu o le superstizioni dell’Isola
Errante. Quando Jesper aveva iniziato a manifestare i propri poteri, a
suo padre si era spezzato il cuore e lo aveva incoraggiato a tenerli
nascosti. “Ho paura per te” gli aveva de o. “Il mondo può essere
crudele con quelli come te.” Jesper si era sempre chiesto se anche suo
padre avesse avuto un po’ paura di lui.
“E se andassi a Ravka invece che a Kerch?” pensò. “E se mi
aggregassi al Secondo Esercito?” Perme evano anche ai Fabrikator
di comba ere, o li tenevano rinchiusi nei laboratori? Ravka era più
solida ora, ricostruita. Non c’era un disegno prestabilito per i Grisha.
Avrebbe potuto andarci, visitarla, magari imparare a usare meglio i
propri poteri, lasciarsi alle spalle le bische di Ke erdam. Se fossero
riusciti a consegnare Bo Yul-Bayur al Consiglio dei Mercanti, tu o
g y g
sarebbe stato possibile. Si riscosse. A cosa stava pensando? Gli
serviva una dose di pericolo imminente per tenere la testa a posto.
Si alzò. «Io entro.»
«Qual è il piano?»
«Vedrai.»
«Lascia che ti aiuti.»
«Puoi aiutarmi stando zi o e rimanendo fuori dai piedi. Qui»
disse Jesper mentre agganciava la fune oltre l’orlo del te o,
lasciandola cadere dietro una fila di lastre di pietra che
costeggiavano la passerella. «Aspe a fino a che ho immobilizzato le
guardie, poi stai giù.»
«Jesper...»
Jesper avanzò lungo il te o, la testa bassa per non farsi vedere,
tenendosi alla larga dal bordo che dava sul cortile. Si piazzò sul
muro dietro la guardia. Più silenziosamente che riuscì, agganciò un
pezzo di fune al te o e lentamente si calò giù. La sentinella era quasi
so o di lui. Jesper non era lo Spe ro, ma se fosse riuscito a saltar giù
senza far rumore e avvicinarsi di soppia o alle sue spalle, non
avrebbe agitato le acque.
Si tese, pronto a saltare. Una seconda guardia uscì a passo spedito
dalla portineria, ba endo le mani per il freddo e parlando a voce
alta, e poi ne apparve una terza. Jesper si immobilizzò. Stava
dondolando sopra tre guardie armate, a penzoloni davanti a un
muro, in piena vista. Ecco perché Kaz pianificava sempre tu o. Il
sudore gli imperlò la fronte. Non poteva fronteggiare tre uomini
insieme. E se ce ne fossero stati altri nella portineria, pronti a
suonare l’allarme?
«Aspe ate» disse uno di loro. «Non avete sentito niente?»
Non guardate in alto. Oh, Santi numi, non guardate in alto.
Le guardie si mossero lentamente in circolo, i fucili alzati. Una di
loro piegò la testa indietro per scrutare il te o. Cominciò a voltarsi.
Un suono strano, dolce, trafisse l’aria.
«Skerden Fjerda, kende hjer eeeeeng, lendten isen en de waaaanden.»
Delle parole in lingua Fjerdiana che Jesper non capiva
raggiunsero la portineria in un brillante, perfe o canto da tenore che
sembrava librarsi sopra i bastioni di pietra nera.
p p
Wylan.
Le guardie si girarono di sca o, i fucili puntati sul viale o che
conduceva al cortile, cercando di capire da dove provenisse quel
suono.
«Olander?» chiamò una.
«Nilson?» chiamò un’altra.
Le armi erano spianate, ma le voci erano più disorientate e
incuriosite che aggressive.
Cosa diavolo sta facendo?
Apparve una sagoma nella volta del viale o, che barcollava a
destra e a sinistra.
«Skerden Fjerda, kende hjer eeeeeng» cantò Wylan, dando
l’impressione sorprendentemente convincente di essere un Fjerdiano
ubriaco ma di gran talento.
Le guardie scoppiarono a ridere, e si misero a cantare anche loro.
«Lendten isen...»
Jesper saltò giù. Agguantò il Fjerdiano a lui più vicino, gli spezzò
il collo e gli strappò via il fucile. Quando l’altro soldato si voltò,
Jesper gli sba é il calcio del fucile in faccia, producendo un bru o
scricchiolio. Il terzo soldato sollevò l’arma, ma Wylan gli prese le
braccia da dietro e gliele strinse goffamente. Il soldato fece cadere il
fucile, che produsse un rumore sferragliante sulla pietra.
Prima che potesse urlare, Jesper sca ò in avanti e gli spinse con
forza il calcio del fucile in pancia, poi lo finì con due colpi alla
mascella.
Si abbassò e lanciò un fucile a Wylan. Rimasero in piedi davanti ai
corpi delle guardie, ansimando, le armi alzate, aspe ando di vedere
altri soldati Fjerdiani riversarsi fuori dalla portineria. Non venne
nessuno. Forse il quarto era stato allontanato a causa del Protocollo
Giallo.
«È così che stai zi o e fuori dai piedi?» bisbigliò Jesper mentre
trascinavano i corpi delle guardie dietro una lastra di pietra.
«È così che dici grazie?» lo rimbeccò Wylan.
«Cosa diavolo era quella canzone?»
«L’inno nazionale» disse Wylan compiaciuto. «Scuola Fjerdiana,
ricordi?»
Jesper scrollò la testa. «Sono colpito. Da te e dai tuoi prece ori.»
Si misero due uniformi, nascosero le proprie divise da galeo i in
un mucchio ordinato, poi legarono mani e piedi alle guardie che
erano ancora in vita e le imbavagliarono con dei pezzi di stoffa
strappati dalle divise. L’uniforme di Wylan era troppo grande,
mentre le maniche e le gambe dei pantaloni di Jesper erano corte in
modo ridicolo, ma almeno gli stivali andavano ragionevolmente
bene.
Wylan fece un gesto per indicare le guardie. «È sicuro lasciarle, sai
com’è...»
«Vive? Non sono bravo a uccidere uomini in stato di incoscienza.»
«Potremmo svegliarli.»
«Piu osto spietato, il nostro mercantuccio. Hai mai ucciso
qualcuno?»
«Non avevo neanche mai visto un cadavere prima di venire nel
Barile» ammise Wylan.
«Non è qualcosa di cui vergognarsi» disse Jesper, sorprendendosi
un po’. Ma diceva sul serio. Wylan doveva imparare a badare a se
stesso, ma sarebbe stato bello se avesse potuto farlo a distanza non
troppo ravvicinata con la morte. «Assicurati che i bavagli siano belli
stre i.»
Presero la precauzione in più di bloccare le guardie già legate alla
base di una lastra di pietra. Probabilmente quei poveri idioti
sarebbero stati trovati prima di riuscire a liberarsi.
«Andiamo» disse Jesper, e a raversarono il cortile dire i alla
portineria. C’erano delle porte sia a destra sia a sinistra dell’arco.
Presero il lato destro e salirono le scale con cautela. Per quanto
Jesper non credesse ci fosse qualcuno acqua ato ad a enderli, delle
guardie avrebbero potuto essere state incaricate di proteggere a tu i
i costi il congegno di apertura e chiusura del cancello. Invece la
stanza sopra l’arco era vuota, illuminata solo da una lanterna situata
su un tavolino dove un libro giaceva aperto accanto a un mucchie o
di noci intere e gusci ro i. Le pareti erano ricoperte da rastrelliere
zeppe di fucili – fucili molto costosi – e Jesper diede per scontato che
le casse sugli scaffali fossero piene di munizioni. Non c’era un
granello di polvere da nessuna parte. Troppo ordinati, questi
Fjerdiani.
La stanza era quasi del tu o occupata da un grosso argano, con
delle maniglie a entrambi i lati, avvolto da spessi giri di catena.
Vicino a ognuna delle due maniglie, le catene diventavano raggi tesi
che si infilavano dentro fessure nella pietra.
Wylan piegò la testa di lato. «Uh.»
«Non mi piace quel verso. Cosa c’è?»
«Mi aspe avo delle corde, o dei cavi, non delle catene di ferro. Se
vogliamo che i Fjerdiani non riescano a tenere aperto il cancello,
dovremo tagliare il ferro.»
«Ma poi come inneschiamo il Protocollo Nero?»
«È questo il problema.»
L’Orologio Maggiore prese a suonare i dieci rintocchi.
«Indebolirò gli anelli» disse Jesper. «Cerca una lima o qualsiasi
cosa abbia una punta.»
Wylan sollevò le cesoie prese in lavanderia.
«Ce le faremo andar bene» disse Jesper. Avrebbero dovuto andare
bene.
“Abbiamo tempo” si disse mentre si concentrava sulla catena.
“Possiamo ancora farcela.” Jesper sperò che gli altri non avessero
trovato sorprese.
Forse Ma hias si sbagliava sull’Isola Bianca. Forse le cesoie si
sarebbero spezzate tra le mani di Wylan. Forse Inej avrebbe fallito.
Oppure Nina. Oppure Kaz.
Oppure io. Forse fallirò io.
Sei persone, e un migliaio di modi in cui questo folle piano poteva
finire male.
31
NINA

Nove rintocchi e mezzo


Nina si arrischiò a guardarsi alle spalle un’altra volta, e osservò le
guardie trascinare via Inej. È sveglia, ed è micidiale. Inej è capace di
badare a se stessa.
Il pensiero le offrì un po’ di conforto, e doveva darsi una mossa.
Era arrivata insieme a Inej, e Nina voleva sparire prima che la
guardia che l’aveva fermata iniziasse a sospe are anche di lei. E poi
non c’era niente che potesse fare per Inej ora, non senza tradirsi e
rovinare tu o. Si tuffò nella folla e si slacciò il vistoso mantello di
crine di cavallo, facendolo strusciare per terra dietro di sé, quindi
lasciò che cadesse e che la folla lo calpestasse. Anche il costume che
aveva indosso faceva girare le teste, ma almeno adesso non doveva
preoccuparsi che una grossa criniera rossa rivelasse dove si trovava.
Il ponte di vetro si erse davanti a lei in un arco scintillante, con le
fiamme blu delle lanterne che brillavano sulle guglie. La gente rideva
e si sorreggeva a vicenda mentre saliva sopra il fossato di ghiaccio la
cui superficie, di so o, splendeva come uno specchio quasi perfe o.
L’effe o era sconcertante e dava le vertigini; le sue scarpe e troppo
stre e e ricoperte di perline sembravano flu uare a mezz’aria. La
gente accanto a lei sembrava che stesse camminando sul nulla
assoluto.
Di nuovo, Nina ebbe la spiacevole intuizione che in un lontano
passato fosse stata l’abilità dei Fabrikator a edificare questo posto. I
Fjerdiani sostenevano che la Corte di Ghiaccio fosse opera di un dio
o di Sënj Egmond, uno dei Santi che secondo loro aveva sangue
Fjerdiano nelle vene. Ma a Ravka la gente aveva preso a
riconsiderare i miracoli dei Santi. Erano stati dei veri prodigi o più
semplicemente il lavoro di Grisha dotati di talento? Quel ponte era
un regalo da parte di Djel? Un fru o antico del lavoro degli schiavi?
Oppure la Corte di Ghiaccio era stata costruita in un’epoca
precedente a quella in cui i Grisha erano diventati dei mostri agli
occhi dei Fjerdiani?
Sul punto più alto del ponte, Nina vide veramente per la prima volta
l’Isola Bianca e il suo cerchio interno. Da lontano, aveva già notato
che l’isola era prote a da un altro muro. Ma da questo punto di vista
privilegiato, scoprì che il muro era stato realizzato a forma di
leviatano, un enorme drago dei ghiacci che circondava l’isola e
ingoiava la propria coda. Nina rabbrividì. Lupi, draghi, qual era il
prossimo? Nelle favole Ravkiane, i mostri aspe avano di essere
risvegliati dal richiamo degli eroi. “Be’” pensò, “noi non siamo di
certo degli eroi. Speriamo che questo mostro continui a dormire.”
La discesa dal ponte era ancora più vertiginosa, e Nina fu
sollevata quando mise di nuovo piede sul solido marmo. Alberi
bianchi di ciliegio e siepi di platani argentati bordavano il viale o, e i
controlli da questo lato del ponte sembravano decisamente meno
rigidi. Le guardie sull’a enti indossavano raffinate uniformi candide
abbellite da pellicce e merle i d’argento molto poco minacciosi. Ma
Nina si ricordò di cosa aveva de o Ma hias: più ci si addentra nei
cerchi interni, più la sicurezza in realtà si stringe – diventa solo meno
evidente. Guardò le persone che si spostavano con lei su per le scale
scivolose e a raverso la fessura situata tra la coda e le fauci del
drago. Quanti di loro erano davvero degli ospiti, dei nobiluomini,
degli artisti? E quanti erano soldati Fjerdiani o drüskelle travestiti?
A raversarono un cortile di pietra all’aperto, varcarono le porte di
un palazzo ed entrarono in un ingresso a volta alto parecchi piani.
L’edificio era fa o della stessa pietra bianca, pulita e disadorna di cui
erano costituite le pareti della Corte di Ghiaccio, e sembrava che
fosse stato ricavato per intero da un ghiacciaio. Nina non sapeva se
erano i nervi, l’immaginazione, o se quel posto fosse particolarmente
freddo, ma aveva la pelle d’oca, e dove e sforzarsi di non ba ere i
denti.
Entrò in un’ampia sala da ballo rotonda, affollata di gente che
danzava e beveva so o un branco luccicante di lupi cesellati nel
p
ghiaccio. Ci dovevano essere almeno una trentina di bestie scolpite,
che correvano, che saltavano, i fianchi che brillavano alla luce
argentata, le fauci spalancate, e i musi che lentamente si scioglievano
e di tanto in tanto gocciolavano sulla folla so ostante. Sopra il brusio
delle chiacchiere, la musica proveniente da un’orchestra si udiva
appena.
L’Orologio Maggiore iniziò a suonare i dieci rintocchi. Ci aveva
messo troppo ad a raversare quello stupido ponte di vetro. Le
serviva una visuale migliore della sala. Mentre si dirigeva verso una
vertiginosa scalinata di pietra bianca, con la coda dell’occhio avvistò
due figure familiari nell’ombra di una nicchia lì vicino. Kaz e
Ma hias. Ce l’avevano fa a. E indossavano l’uniforme da drüskelle.
Nina represse un brivido. Vedere Ma hias con quella divisa le
faceva sentire un tipo diverso di freddo nelle ossa. Che cosa aveva
pensato Ma hias quando se l’era messa? Lasciò che i propri occhi
incontrassero per un istante quelli di lui, ma il suo sguardo era
impenetrabile. E tu avia, vedere Kaz le fu di conforto. Non era sola,
ed erano ancora in orario.
Non rischiò nemmeno un cenno di riconoscimento, ma continuò a
salire le scale verso il balcone al secondo piano, da dove avrebbe
potuto vedere meglio il flusso della folla. Era un trucco che aveva
imparato a scuola da Zoya Nazyalensky. C’erano degli schemi nel
modo in cui gli individui si muovevano, nel modo in cui si
stringevano a orno al potere. La gente pensava di vagare, di
aggirarsi qua e là senza meta, in realtà era a irata verso le persone di
un certo status. Com’era prevedibile, una grossa concentrazione
vorticava a orno alla regina dei Fjerdiani e ai suoi cortigiani. “Che
strano” pensò Nina, osservando i loro abiti da sera bianchi. A Ravka,
il bianco era un colore da inservienti. In compenso c’era poco da
storcere il naso davanti a quella corona: spine a orcigliate di
diamanti che sembravano rami raggianti di nuova brina.
I reali erano troppo ben prote i per esserle utili, ma non lontano
da lì Nina vide un altro mulinello a orno a un gruppo di persone in
abiti militari.
Se qualcuno sapeva dove fosse Yul-Bayur sull’isola, doveva essere
un esponente di alto livello nelle forze armate di Fjerda.
p j
«Bella vista, vero?»
Nina per poco non sobbalzò quando un uomo le spuntò di fianco.
Che gran spia che era. Non l’aveva neanche notato avvicinarsi.
Lui le fece un gran sorriso e le mise una mano in fondo alla
schiena. «Lo sa, ci sono delle stanze, qua, riservate ai piccoli piaceri.
E lei sembra molto più di un piccolo piacere.» La mano scivolò
ancora più in basso.
Nina gli rallentò il ba ito cardiaco, e lui cadde come un sasso,
sba endo il capo contro la ringhiera. Si sarebbe svegliato in una
decina di minuti con un bru o mal di testa e forse una piccola
commozione cerebrale.
«Tu o bene?» chiese una coppia di passaggio.
«Ha bevuto troppo» disse Nina, disinvolta.
Scivolò rapidamente giù per le scale e si immerse nella folla,
procedendo fermamente verso un gruppo di soldati in abiti militari
bianchi e argento che circondavano un uomo corpulento con un
lussureggiante paio di baffi. Se la costellazione di medaglie che
aveva sul pe o voleva dire qualcosa, doveva essere il generale o giù
di lì. Avrebbe dovuto puntare a lui dire amente? A lei serviva
qualcuno abbastanza in alto da avere accesso a informazioni
riservate. E anche qualcuno abbastanza sbronzo da prendere
decisioni sconsiderate, ma non così sbronzo da non riuscire a
portarla dove lei doveva andare. Dall’aspe o rubicondo delle guance
e dal modo in cui barcollava, sembrava che il generale non potesse
fare alcunché a eccezione di un pisolino a faccia in giù dentro una
pianta in vaso.
Nina sentiva scorrere i minuti. Era tempo di fare la propria mossa.
Sgraffignò un bicchiere di champagne e si avvicinò cautamente al
circolo di militari. Non appena un soldato si staccò dal gruppo lei
fece un passo indietro, dire amente sulla sua traie oria. Lui le andò
addosso. Era un tipo piu osto agile e non fu un grosso urto, ma
Nina lanciò un grido acuto e barcollò in avanti rovesciando lo
champagne. All’istante, diverse braccia forti si allungarono per
sorreggerla.
«Sei uno scemo» disse il generale. «L’hai quasi bu ata a terra.»
“E al primo tentativo” pensò Nina tra sé e sé. “Come non de o.
Sono una spia eccezionale.”
Le guance del povero soldato erano di un rosso acceso. «Le mie
scuse, signorina.»
«Mi spiace» disse lei in Kerch, fingendo di essere confusa e
a enendosi alla lingua del Serraglio. «Non parlo il Fjerdiano.»
«Le mie più sentite scuse» provò il soldato in Kerch. Poi fece un
valoroso tentativo in Kaelish. «Molto spiacente.»
«Oh no, è stata interamente colpa mia» disse Nina
affannosamente.
«Ahlgren, sme ila di massacrare la sua lingua e vai a prenderle
un altro bicchiere di champagne.» Il soldato si inchinò e si allontanò
in fre a. «Va tu o bene? Le cerco una sedia?» domandò il generale
in un o imo Kerch.
«Mi sono solo spaventata» disse Nina con un sorriso,
sorreggendosi al braccio del generale.
«La mia opinione è che farebbe meglio a coricarsi.»
Nina inarcò un sopracciglio. Non ho dubbi. Ma prima devo scoprire
quello che sai.
«E perdermi la festa?»
«Sembra pallida. Un po’ di riposo in una delle stanze al piano di
sopra l’aiuterà.»
Per tu i i Santi, non perde tempo, vero? Prima che Nina potesse
insistere che stava benissimo, ma le sarebbe piaciuto fare un giro
sulla terrazza, una voce calda disse: «Veramente, Generale Eklund, il
modo migliore per conquistare i favori di una donna non è quello di
dirle che ha un aspe o malaticcio».
Il generale si accigliò, i baffi si fecero irti, ma poi sembrò sca are
sull’a enti.
«Verissimo, verissimo» disse ridendo nervosamente.
Nina si voltò, e fu come se il pavimento le crollasse so o i piedi.
“No” pensò, con il cuore stre o dal panico. “Non può essere. È
annegato. Dovrebbe stare in fondo all’oceano.”
Ma se era morto Jarl Brum, era il cadavere più in forma di tu i i
tempi.
32
JESPER

Dieci rintocchi e mezzo


I vestiti di Jesper erano coperti di schegge e trucioli di ferro.
L’uniforme che aveva so ra o alla guardia era inzuppata di sudore,
le braccia gli dolevano e il mal di testa che si era insinuato nella sua
tempia sinistra sembrava che avesse deciso di prendervi fissa
dimora. Per quasi mezz’ora si era concentrato su un singolo anello
della catena che scorreva dall’estremità sinistra dell’argano a una
delle fessure nel muro di pietra, usando il proprio potere per
indebolire il metallo, mentre Wylan usava le cesoie della lavanderia
per segarlo. All’inizio erano stati cauti, preoccupati di spezzare
l’anello e me ere fuori uso il cancello prima che fosse arrivato il
momento di alzarlo, ma il ferro era più resistente di quello che
avevano previsto, e i loro progressi erano lenti in maniera
esasperante. Quando suonarono i rintocchi dei tre quarti, il panico
prese il sopravvento su Jesper.
«Basta, alziamo il cancello» disse con un ringhio frustrato.
«Facciamo suonare il Protocollo Nero, poi spariamo all’argano finché
non cede.»
Wylan si tolse i riccioli dalla fronte e gli concesse un’occhiata
fugace. Le sue mani erano insanguinate là dove le vesciche si erano
prima formate e poi, mentre segava l’anello, erano scoppiate. «Ti
piacciono davvero così tanto le armi?»
Jesper scrollò le spalle. «Non mi piace uccidere la gente.»
«Allora di che cosa si tra a?»
Jesper si rimise al lavoro sull’anello. «Non lo so. Il rumore. Il
modo in cui il mondo si restringe a orno a te e al bersaglio. Ho
lavorato con un armaiolo a Novyi Zem che sapeva che io ero un
Fabrikator. Ci siamo inventati delle cose pazzesche.»
«Per uccidere la gente.»
«Tu costruisci bombe, mercantuccio. Risparmiami i tuoi giudizi
morali.»
«Mi chiamo Wylan. E hai ragione. Non sono nella posizione di
poterti criticare.»
«Non cominciare.»
«A fare cosa?»
«A darmi ragione» disse Jesper. «Ci farà fare una bru a fine.»
«Neanche a me piace l’idea di uccidere la gente. Non mi piace
nemmeno la chimica.»
«Cosa ti piace?»
«La musica. I numeri. Le equazioni. Non sono come le parole. I
numeri... i numeri non vanno in confusione.»
«Se potessimo parlare alle ragazze con le equazioni.»
Ci fu un lungo silenzio, al termine del quale, gli occhi fissi sulla
tacca che avevano formato nell’anello, Wylan disse: «Soltanto alle
ragazze?».
Jesper tra enne un sorriso. «No. Non soltanto alle ragazze.» Era
veramente un peccato che sarebbero probabilmente morti tu i quella
no e. In quel momento l’Orologio Maggiore prese a suonare gli
undici rintocchi. I suoi occhi incontrarono quelli di Wylan. Non
avevano più tempo.
Jesper balzò in piedi e si spazzò via dalla faccia e dalla camicia
qualche frammento di metallo. La catena avrebbe re o abbastanza a
lungo? Troppo a lungo? Adesso l’avrebbero scoperto. «Me iti in
posizione.»
Wylan prese posto alla maniglia destra dell’argano, e Jesper
afferrò la maniglia a sinistra.
«Pronto a sentire il suono della tragedia che si compie?» gli fece.
«Non hai mai visto mio padre dare di ma o.»
«Il tuo senso dell’umorismo sta diventando sempre più consono
al Barile. Se sopravviviamo, ti insegnerò a imprecare. Al mio via»
disse Jesper. «Facciamo sapere alla Corte di Ghiaccio che gli Scarti
sono venuti a trovarli.»
Jesper contò a rovescio dal tre e poi presero a girare l’argano,
tentando di adeguarsi al ritmo l’uno dell’altro, gli occhi sull’anello
indebolito. Jesper si era aspe ato dei rumori assordanti, ma a
eccezione di qualche cigolio e qualche scricchiolio, il macchinario era
silenzioso.
Lentamente, il cancello delle mura ad anello cominciò ad alzarsi.
Cinque pollici. Dieci pollici.
“Forse non succederà nulla” pensò Jesper. “Forse Ma hias stava
mentendo, o forse tu a questa storia del Protocollo Nero è una balla
per dissuadere la gente anche solo dal provarci, ad aprire i cancelli.”
E poi le campane dell’Orologio Maggiore risuonarono forti, come
se fossero in preda al panico, acute ed esigenti, una marea crescente
di echi che riverberavano, che si rincorrevano, che rimbombavano
per l’Isola Bianca, il fossato di ghiaccio, il muro. Le campane del
Protocollo Nero. Adesso non c’era modo di tornare indietro. Jesper e
Wylan mollarono le maniglie dell’argano in contemporanea,
lasciando che il cancello precipitasse giù, ma l’anello ancora non
cede e.
«Avanti» disse Jesper, per convincere quel metallo ostinato. Con
ogni probabilità, un Fabrikator più in gamba avrebbe fa o un lavoro
veloce. E uno so o l’effe o della parem avrebbe trasformato la catena
in un set di coltelli da bistecca e gli sarebbe rimasto il tempo per farsi
una tazza di caffè.
Ma Jesper non era nessuno dei due, e si era stancato di andare per
il so ile. Si aggrappò alla catena, vi si appese e usò tu o il proprio
peso per fare pressione sull’anello. Wylan fece lo stesso, e per un
momento penzolarono dalla catena e la stra onarono come una
coppia di scoia oli che non padroneggiavano ancora l’arte di
arrampicarsi. Ormai, in qualunque istante le guardie avrebbero
potuto precipitarsi infuriate nel cortile, e loro avrebbe dovuto
piantarla con questa follia per difendersi. Il cancello era ancora in
funzione.
Avevano fallito.
«Forse dovresti cantargli qualcosa» disse Jesper senza speranza.
E in quel momento, con un tremito finale di protesta, l’anello si
spezzò.
p
Jesper e Wylan caddero sul pavimento mentre la catena sfrecciava
tra le loro mani: un’estremità sparì nel buco del muro, l’altra fece
girare velocissime, a vuoto, le maniglie dell’argano.
«Ce l’abbiamo fa a!» urlò Jesper sopra il frastuono delle campane,
tra l’eccitazione e il terrore. «Ti copro io. Tu pensa all’argano!»
Jesper prese il fucile, si rannicchiò in una nicchia del muro
affacciata sul cortile, e si preparò a scatenare l’inferno.
33
INEJ

Dieci rintocchi e mezzo


«Per quanto dobbiamo stare ancora qui ad aspe are?» chiese un
uomo in un abito di velluto color vinaccia. Le guardie lo ignorarono,
ma gli altri ospiti radunati accanto all’entrata con Inej brontolarono.
«Mi è costato un occhio della testa venire qui» continuò l’uomo «e
non l’ho fa o per passare tu o il tempo sulla porta d’ingresso.»
La guardia a loro più vicina recitò in tono pia o: «Gli uomini al
posto di blocco stanno controllando altri ospiti. Non appena saranno
disponibili, sarete riportati indietro, oltre le mura ad anello, e
tra enuti lì finché le vostre generalità non saranno state verificate».
«Tra enuti» disse l’uomo in velluto. «Come criminali!»
Inej aveva sentito variazioni sul tema dello stesso dialogo per
quasi un’ora. Lanciò un’occhiata al cortile che portava al cancello
dell’ambasciata. Se voleva seguire il piano doveva essere furba, e
restare calma. Peccato che non fosse esa amente questo il piano, e lei
non fosse assolutamente calma. La sicurezza e l’o imismo che aveva
provato solo poco prima si erano volatilizzati. Rimase in a esa
mentre i minuti scorrevano, con gli occhi che scrutavano la folla. Ma
quando suonarono i tre quarti, si rese conto che non poteva più
aspe are. Doveva agire subito.
«Ne ho avuto abbastanza» disse a voce alta. «Portateci al posto di
blocco o lasciateci andare.»
«Le guardie di presidio al posto di blocco...»
Inej si portò in testa al gruppo e disse: «Siamo tu i stufi di sentire
questo discorso. Portateci al cancello e procediamo».
«Fate silenzio» ordinò la guardia. «Siete degli ospiti, qui.»
Inej gli affondò un dito nel pe o. «Allora tra ateci come tali»
disse, facendo la migliore imitazione possibile di Nina. «Esigo di
essere portata al cancello immediatamente, grosso energumeno
biondo.»
La guardia l’afferrò per il braccio. «Sei così impaziente di andare
al cancello? Andiamo. Non tornerai indietro.»
«Io dico solamente...»
Un’altra voce echeggiò per la rotonda. «Fermi! Voi, laggiù, ho
de o fermi!»
Inej sentì un odore denso e pastoso di gigli dorati. Il suo profumo.
Voleva morire. Heleen Van Houden, padrona e titolare del Serraglio,
la Casa delle Creature Esotiche, dove il mondo era tuo se pagavi un
prezzo, si stava facendo largo tra la folla.
Aveva già de o che Tante Heleen adorava le entrate a effe o?
La guardia si fermò di colpo, colta di sorpresa, quando Heleen gli
apparve davanti. «Signora, la sua ragazza le sarà restituita alla fine
della no e. I suoi documenti...»
«Lei non è una mia ragazza» disse Heleen, con gli occhi rido i a
due fessure crudeli. Inej rimase perfe amente immobile, nemmeno
lei poteva sparire se non aveva un posto dove andare. «Questa è lo
Spe ro, il braccio destro di Kaz Brekker e una delle più note
criminali di Ke erdam.»
La gente intorno si voltò a guardare.
«Come osi venire qui so o la protezione della mia Casa?» sibilò
Heleen. «La casa che ti ha nutrita e vestita? E dov’è Adjala?»
Inej aprì la bocca, ma il panico si levò a serrarle la gola e a
soffocare le parole prima che potessero uscire. La lingua era inutile e
paralizzata. Ancora una volta, stava guardando negli occhi della
donna che l’aveva colpita, minacciata, comprata una volta e poi
venduta, e rivenduta, innumerevoli volte. Heleen l’afferrò per le
spalle e la scrollò. «Dov’è la mia ragazza?»
Inej abbassò lo sguardo a fissare le dita che le scavavano nella
carne. Per un brevissimo istante le tornò in mente ogni orrore, e
diventò per davvero uno spe ro, un fantasma che si staccava da un
corpo che le aveva procurato solo sofferenza. No. Un corpo che le
aveva dato la sua forza. Un corpo che l’aveva portata sopra i te i di
p p p
Ke erdam, che l’aveva servita in ba aglia, che l’aveva condo a su
per sei piani nell’oscurità di una canna fumaria sporca di fuliggine.
Inej prese il polso di Heleen e lo torse con violenza. Heleen strillò
e piegò le ginocchia mentre le guardie sca avano in avanti.
«Ho scaraventato la tua ragazza nel fossato di ghiaccio» ringhiò
Inej, che a malapena riconobbe la propria voce. Con l’altra mano
abbrancò la gola di Heleen e la strinse. «E si trova meglio laggiù che
con te.»
Poi delle braccia vigorose la stra onarono via, la staccarono
dall’altra donna e la tirarono indietro.
Inej ansimò, il cuore lanciato al galoppo. “Avrei potuto ucciderla”
pensò. “La sua vita mi pulsava in mano. Avrei dovuto ucciderla.”
Heleen si rimise in piedi, piagnucolando e tossendo mentre gli
ospiti si avvicinavano per aiutarla. «Se lei è qui, vuol dire che c’è
anche Brekker!» strillò.
Proprio in quel momento, manco a farlo apposta, le campane del
Protocollo Nero a accarono a suonare, forti e insistenti. Ci fu un
momento di inerme stordimento. Poi l’intera rotonda sembrò
me ersi in azione mentre le guardie correvano ai propri posti e i
comandanti iniziavano a dare ordini.
Uno dei soldati, evidentemente il capitano, disse qualcosa in
Fjerdiano. L’unica parola che Inej riconobbe fu prigione. Lui la prese
per la seta del mantello e urlò in Kerch: «Chi c’è con te? Qual è il
vostro obie ivo?».
«Non dirò niente» replicò Inej.
«Canterai, se vogliamo che tu lo faccia» sputò la guardia.
La risata di Heleen era bassa e colma di piacere. «Ti vedrò appesa
alla forca. Insieme a Brekker.»
«Il ponte è chiuso» annunciò qualcuno. «Nessun altro potrà
entrare o uscire dall’isola questa no e!» Gli ospiti, arrabbiati, si
girarono verso chiunque fosse disposto ad ascoltarli, pretendendo
spiegazioni.
Mentre le campane continuavano a suonare, le guardie
trascinarono via Inej a raverso il cortile, oltre gli uomini a bocca
aperta, e fuori dal cancello delle mura ad anello. Ora non si
preoccupavano più di mostrare gentilezza o diplomazia.
p p p g p
«Te l’avevo de o che avresti messo ancora le mie vesti, piccola
lince» gridò Heleen dall’altra parte del cortile. Il cancello si stava già
abbassando, e le guardie lo stavano sigillando come previsto dal
Protocollo Nero. «E adesso ti ci impiccheranno, con quelle vesti.»
Il cancello si chiuse con violenza, ma Inej avrebbe giurato di
riuscire ancora a sentire la risata di Heleen.
34
NINA

Dieci rintocchi e mezzo


Nina pregò perché il terrore che provava non fosse evidente. Brum
l’aveva riconosciuta? Lui era esa amente lo stesso: lunghi capelli
biondi brizzolati alle tempie, la mascella so ile coperta da una barba
curata, l’uniforme dei drüskelle: nero e argento, la manica destra che
esibiva la testa del lupo argentato. Era passato più di un anno da
quando si erano incontrati, ma lei non avrebbe mai scordato quella
faccia o l’azzurro determinato di quegli occhi.
L’ultima volta che si era ritrovata in sua compagnia, Jarl Brum si
stava vantando di Ma hias e dei suoi fratelli drüskelle nella stiva di
una nave. Ma hias. Aveva visto che Brum, il suo mentore, era vivo e
stava parlando con lei? Li stava osservando proprio in quel
momento? Nina riuscì a non cedere alla tentazione di setacciare la
folla in cerca di lui e di Kaz.
Tu avia, la stiva della nave era buia, e lei era una dei prigionieri:
sudicia e terrorizzata. Ora era pulita e profumata. I suoi capelli di un
altro colore; la sua pelle incipriata. Si sentì all’improvviso grata per
quell’assurdo costume. Brum era un uomo, dopotu o. C’era da
sperare che Inej avesse ragione, e che Brum vedesse soltanto una
Kaelish dai capelli rossi con una scollatura molto accentuata.
Si inchinò quasi fino a terra e lo guardò tra le ciglia. «Piacere.»
Lo sguardo di lui vagò sulle forme di lei. «Potrebbe esserlo, in
effe i. Viene dalla Casa delle Creature Esotiche, vero? Kep ye nom?»
«Nomme Fianna» rispose lei in Kaelish. La stava me endo alla
prova? «Ma può chiamarmi come vuole.»
«Credevo che le ragazze Kaelish del Serraglio indossassero il
mantello rosso da giumenta.»
Lei mise il broncio. «La nostra ragazza Zemeni l’ha calpestato e ha
strappato via l’orlo. Secondo me l’ha fa o di proposito.»
«Dannata ragazza. Andiamo a cercarla e la puniamo?»
Nina fece una risatina forzata. «In che modo vorrebbe farlo?»
«Dicono che la punizione debba essere adeguata al crimine, ma
secondo me dovrebbe adeguarsi al criminale. Se lei fosse mia
prigioniera, sarebbe mia premura capire cosa le piace e cosa le
dispiace, e di cosa ha paura, ovviamente.»
«Io non ho paura di niente» disse lei facendogli l’occhiolino.
«Veramente? Molto intrigante. I Fjerdiani apprezzano moltissimo
il coraggio. Come le sembra il nostro paese?»
«È un posto incantevole» tubò Nina. Se ti piace il ghiaccio con
dell’altro ghiaccio. Si fece forza. Se lui sapeva chi era, tanto valeva
scoprirlo subito. E se non lo sapeva, bene, allora era ancora
necessario che lei localizzasse Bo Yul-Bayur – e che soddisfazione
sarebbe stata, strappare l’informazione al leggendario Jarl Brum. Gli
si fece più vicina. «Lo sa cosa mi piacerebbe davvero visitare?»
Anche lui usò un tono da cospiratore. «Vorrei tanto conoscere
tu i i suoi segreti.»
«Ravka.»
Le labbra del drüskelle si serrarono. «Ravka? Una terra di
blasfemi e barbarie.»
«Vero, ma vedere un Grisha? Riesce a immaginare l’emozione?»
«Glielo assicuro. Non è affa o un’emozione.»
«Lei dice così solo perché indossa il simbolo del lupo. Il che
significa che lei è un... drüskelle, sì?» chiese lei, facendo finta di
essere in difficoltà con la pronuncia Fjerdiana.
«Sono il loro comandante.»
Nina sgranò gli occhi. «Allora lei deve avere sconfi o molti
Grisha in ba aglia.»
«Non c’è molto onore nel comba ere con delle creature simili.
Preferirei trovarmi di fronte un migliaio di uomini leali armati di
spada che una di quelle streghe bugiarde dai poteri contro natura.»
E quando arrivate con i vostri fucili automatici e i vostri carri armati,
quando aggredite bambini e villaggi inermi, noi non dovremmo usare le
armi in nostro possesso? Nina si morse con forza l’interno della
guancia.
«Ci sono dei Grisha a Kerch, non è vero?» domandò Brum.
«Così ho sentito dire, ma non ne ho mai visto uno al Serraglio
oppure nel Barile. Almeno, non che io sappia.» Poteva rischiare di
fare cenno alla jurda parem? La ragazza che stava fingendo di essere
come poteva avere certe informazioni? Si sporse verso di lui,
piegando le labbra in un malizioso sorriso colpevole, nella speranza
di apparire più smaniosa di eccitazione che di informazioni. «Lo so
che sono spaventosi, ma... mi eccitano. Ho sentito che i loro poteri
non hanno limiti.»
«Be’...» tentennò il drüskelle.
Nina lo vide diba uto. Meglio ba ere abilmente in ritirata. Scrollò
le spalle. «Ma forse non è questa l’area di sua competenza.» Lanciò
un’occhiata oltre la spalla di lui e a irò l’a enzione di un giovane
nobiluomo con un abito di seta grigio chiaro.
«Vorrebbe vedere un Grisha stano e?»
Lo sguardo di Nina tornò alla svelta sul comandante dei
drüskelle. Tu o quello di cui ho bisogno è uno specchio. Brum aveva
recluso dei prigionieri Grisha da qualche parte? Quello che voleva lei
era sentire tu o quello sapeva lui di Bo Yul-Bayur e della jurda
parem, ma questo poteva essere un inizio. E se si fosse ritrovata da
sola con Brum...
Lei gli sfiorò il pe o. «Mi sta stuzzicando.»
«Se lei sga aiola via, la sua padrona ci farà caso?»
«Non siamo qui per questo? Per sga aiolare via?»
Lui le porse il braccio. «Allora andiamo?»
Lei sorrise e posò una mano sull’avambraccio di lui. Lui gliela
carezzò delicatamente.
«Brava ragazza.»
Voleva vomitare. “Magari ti rendo impotente” pensò Nina
cupamente, mentre lui la guidava fuori dalla sala da ballo e
a raverso una foresta a terrazze di sculture di ghiaccio: un lupo con
una doppia aquila stridente tra le fauci, un serpente avvolto a orno
a un orso.
«Com’è... primitivo» mormorò lei.
p
Brum fece una risatina e le accarezzò di nuovo la mano. «Siamo
una civiltà guerriera.»
“Sarebbe stato così stupido ucciderlo ora?” prese in
considerazione Nina mentre passeggiavano. “Farlo sembrare un
a acco di cuore? Lasciarlo lì al freddo?” Ma poteva sopportare
ancora per un po’ che Jarl Brum sbirciasse la sua scollatura, se questo
voleva dire salvare il mondo dalla jurda parem.
Inoltre, se Bo Yul-Bayur era su quest’isola abbandonata dai Santi,
Brum era uno dei pochi a poterla condurre da lui. Le guardie alle
porte della sala da ballo li avevano lasciati passare con poco più di
un sopracciglio alzato e un sorrise o.
Davanti a loro, Nina vide un enorme albero argentato al centro di
un cortile rotondo, i cui grossi rami si aprivano sopra delle pietre a
formare una te oia scintillante. “Il frassino sacro” realizzò Nina.
Quindi dovevano essere nel centro dell’isola. Il cortile era circondato
da colonnati ad arco su entrambi i lati. Se i disegni di Ma hias e
Wylan erano giusti, l’edificio subito dopo era la camera del tesoro.
Invece di condurla a raverso il cortile, Brum girò a sinistra su un
sentiero che abbracciava il colonnato. Mentre lo percorreva, Nina
intravide un gruppo di persone con giacche e cappucci neri
avvicinarsi all’albero.
«Chi sono?» domandò, anche se sospe ava di saperlo.
«Drüskelle.»
«Non dovrebbe essere con loro?»
«Questa cerimonia è dedicata ai giovani fratelli a cui gli anziani
danno il benvenuto, non ai capitani e agli ufficiali.»
«Lei ci è passato?»
«Ogni drüskelle della storia è stato iniziato all’ordine con la stessa
identica cerimonia da quando Djel ha consacrato il primo di noi.»
Nina si sforzò di non alzare gli occhi al cielo. Come no, una
gigantesca sorgente zampillante ha scelto dei tizi per dare la caccia a della
gente innocente e massacrarla. Sembra plausibile.
«Ecco quello che celebra Hringkälla» continuò Brum. «E ogni
anno, se sono degli iniziati di valore, i drüskelle si radunano presso
il frassino sacro, dove possono ancora una volta sentire la Voce di
Dio.»
Djel dice che sei un fanatico, ubriaco del tuo stesso potere. Torna l’anno
prossimo.
«Le persone dimenticano che questa è una no e sacra» brontolò
Brum. «Vengono a palazzo per bere, danzare e fornicare.»
Nina dove e morsicarsi la lingua. Considerato l’interesse di Brum
per la sua scollatura, dubitava che i suoi pensieri fossero
particolarmente puri.
«Sono cose così bru e?» chiese in tono provocatorio.
Lui sorrise e le strinse il braccio. «No, se fa e con moderazione.»
«La moderazione non è il mio forte.»
«Lo vedo» disse lui. «Ha l’aspe o di una donna che si diverte.»
“Mi divertirei a strangolarti lentamente” pensò Nina mentre con
le dita gli accarezzava il braccio. Guardandolo, si rese conto che non
lo biasimava soltanto per le cose che aveva fa o ai Grisha, ma anche
per quello che aveva fa o a Ma hias. Aveva preso un ragazzo triste
e coraggioso, e lo aveva nutrito di odio. Aveva messo a tacere la
coscienza di Ma hias con i pregiudizi e la promessa della voce
divina, che probabilmente non era altro che un alito di vento tra i
rami di un vecchio albero.
Raggiunsero il lato più lontano del colonnato. All’improvviso, si
rese conto che Brum le aveva fa o fare tu o il giro del cortile. Forse
non aveva voluto che una prostituta a raversasse un luogo sacro.
Ipocrita.
«Dove stiamo andando?» gli domandò.
«Alla camera del tesoro.»
«Ha intenzione di corteggiarmi con i gioielli?»
«Non credevo che con le ragazze come lei servisse il
corteggiamento. O mi sbaglio?»
Nina fece una risata. «Be’, a tu e le ragazze piace qualche piccola
a enzione.»
«Allora è quello che avrà. Insieme all’emozione che andava
cercando.»
Possibile che Yul-Bayur fosse nella camera del tesoro? Kaz aveva
de o che sarebbe stato nel posto più sicuro della Corte di Ghiaccio.
Questo poteva voler dire il palazzo, ma poteva significare altre anto
facilmente la camera del tesoro. Perché non qui? Era un’altra
q
stru ura circolare realizzata nella bianca pietra lucente, ma non
aveva finestre, né decorazioni bizzarre o squame di drago. Aveva
l’aspe o di una tomba. Al posto delle guardie comuni, c’erano due
drüskelle a sorvegliare la porta massiccia.
Improvvisamente, tu o il peso di quello che stava facendo le
piombò addosso. Era da sola con uno degli uomini più pericolosi di
Fjerda, un uomo che l’avrebbe torturata e uccisa con gioia se avesse
saputo chi era davvero. Il piano prevedeva che lei trovasse qualcuno
che potesse darle informazioni su dov’era recluso Bo Yul-Bayur, non
che diventasse intima del drüskelle più potente dell’Isola Bianca. Gli
occhi di lei esaminarono gli alberi e i sentieri circostanti, il labirinto
di siepi fa o crescere addosso al lato est della camera del tesoro,
sperando di veder muoversi qualche ombra, sperando di scoprire
che c’era qualcuno lì con lei e che non era del tu o sola. Kaz aveva
giurato che l’avrebbe tirata fuori da quest’isola, ma il piano
originario era andato a rotoli, e forse anche questo avrebbe subìto la
stessa sorte.
I soldati non ba erono ciglio al passaggio di Nina e Brum, si
limitarono ad accennare il saluto militare. Brum si tolse una catenella
dal collo, da cui pendeva uno strano disco rotondo. Fece scivolare il
disco dentro una rientranza quasi invisibile nella porta e gli diede un
giro. Nina guardò con a enzione la serratura. Questa avrebbe potuto
superare persino le capacità di Kaz.
L’ingresso della volta a bo e era freddo e spoglio, illuminato dalla
stessa luce dura e accecante che c’era all’interno delle celle dei Grisha
nell’ala della prigione. Niente lampade a gas, niente candele. Niente
che i Chiamatempeste o gli Inferni potessero controllare.
Lei strizzò gli occhi. «Dove siamo?»
«Nella vecchia camera del tesoro. La cassaforte è stata spostata
anni fa. Questa stanza è stata trasformata in un laboratorio.»
Laboratorio. A quella parola un nodo freddo si formò so o le
costole di Nina. «Perché?»
«Com’è curiosa la mia piccina.»
“Sono alta quasi come te” pensò lei.
«La camera del tesoro era già sicura e in una posizione strategica
sull’Isola Bianca, per cui è stata una scelta logica utilizzarla per una
p g p
stru ura del genere.»
Le parole erano innocue, ma quel nodo di paura si strinse, ora era
un pugno gelido che le premeva contro il pe o. Avanzò fianco a
fianco con Brum lungo la sala a volta, oltre le lisce porte bianche,
dotate ciascuna di una finestrella di vetro.
«Eccoci qui» disse lui, fermandosi di fronte a una porta che
sembrava identica alle altre.
Nina sbirciò a raverso il vetro. La cella era come quelle all’ultimo
piano della prigione, ma il pannello d’osservazione era sull’altro lato:
un grosso specchio che occupava metà della parete di fronte. Dentro,
vide un ragazzino con indosso una kefta blu inzaccherata che faceva
avanti e indietro senza sosta, farfugliando tra sé e sé e gra andosi le
braccia. Gli occhi erano delle cavità vuote, i capelli sporchi.
Assomigliava a Nestor prima che morisse.
“I Grisha non si ammalano” pensò Nina. Ma questa era un’altra
specie di mala ia.
«Non sembra molto minaccioso.»
Brum si mosse dietro di lei. Il suo respiro le sfiorò l’orecchio
quando disse: «Oh, mi creda, lo è».
La pelle di Nina si accapponò, ma lei si costrinse ad abbandonarsi
leggermente a lui. «Come mai è qui?»
«Il futuro.»
Nina si voltò e gli appoggiò le mani sul pe o.
«Ce ne sono degli altri?»
Lui sbuffò, spazientito, e la condusse alla porta successiva. Una
ragazza era coricata sul fianco, i capelli arruffati le coprivano il viso.
Indossava una so oveste sporca e aveva le braccia ricoperte di lividi.
Brum diede un colpo secco alla finestrella, facendo trasalire Nina.
«Su, un po’ di vita» la sbeffeggiò lui, ma la ragazza non si mosse.
Il dito di Brum si portò sopra un pulsante d’o one fissato vicino alla
finestra. «Se vuoi un vero spe acolo, potrei premere questo tasto.»
«Che cosa fa?»
«Cose bellissime. Miracolose, addiri ura.»
Nina pensava di saperlo; il pulsante avrebbe in qualche modo
somministrato della jurda parem alla ragazza. Per il divertimento di
Nina. Trascinò via Brum. «Va bene così.»
«Pensavo ti interessasse vedere una Grisha usare i propri poteri.»
«Oh, mi interessa, ma lei non sembra molto divertente. Ce ne sono
degli altri?»
«Quasi trenta.»
Nina trasalì. Il Secondo Esercito era stato quasi annientato nella
guerra civile di Ravka. Non tollerava il pensiero che qui ci fossero
trenta Grisha. «E sono tu i in quello stato?»
Lui scrollò le spalle e la spinse lungo un corridoio. «Alcuni sono
in condizioni migliori. Alcuni, peggiori. Se gliene trovo uno vivace,
quale sarà la mia ricompensa?»
«Faccio prima a mostrarglielo» rispose lei facendo le fusa.
Nina ne aveva abbastanza di Grisha terrorizzati e morti di fame.
A lei serviva Yul-Bayur. Brum doveva sapere dov’era. La camera del
tesoro era quasi deserta. Dentro, non avevano incrociato una sola
guardia. Se fosse riuscita a portarlo in un corridoio vuoto, lontano a
sufficienza dall’ingresso, dove le guardie non avrebbero potuto
sentirli... Sarebbe stata capace di torturare un drüskelle così incallito?
E di farlo parlare? Sì, sarebbe stata in grado di farlo. Gli avrebbe
tappato il naso e schiacciato la laringe. Qualche minuto a rantolare in
cerca di aria lo avrebbero ammorbidito.
«Cerchiamo un angolo tranquillo?» suggerì Nina.
Brum gongolò e gonfiò il pe o in fuori. «Da questa parte, dirre» le
disse, usando la parola Kaelish che sta per “dolcezza”.
La condusse lungo una sala deserta, aprendo la porta con la
chiave a forma di disco.
«Questa dovrebbe andare» disse con un inchino. «Un po’ di
privacy e un po’ di charme.»
Nina gli strizzò l’occhio e gli scule ò davanti. Si era aspe ata una
specie di ufficio o di camera da le o per soldati fuori servizio. Ma
non c’era nessun tavolo e nessuna branda. La stanza era
completamente vuota, tranne che per uno scarico al centro del
pavimento.
Girò su se stessa appena in tempo per vedere la porta chiudersi di
colpo.
«No» urlò, e con le mani raspò la superficie della porta in cerca di
un appiglio. Non c’erano maniglie.
pp g g
La faccia di Brum apparve alla finestra. La sua espressione era
compiaciuta, gli occhi freddi. «Potrei aver esagerato con lo charme,
però di privacy ce n’è parecchia, Nina.»
Lei si ritrasse.
«È così che ti chiami, non è vero?» disse lui. «Pensavi veramente
che non ti avrei riconosciuta? Mi ricordo la tua piccola faccia ostinata
a bordo della nave, e abbiamo un dossier per ogni Grisha a ivo a
Ravka. Mi faccio vanto di conoscerli tu i, anche quelli che spero
siano stati inghio iti dal mare.»
Nina sollevò le mani.
«Forza» disse lui. «Fammi esplodere gli occhi nelle orbite. Fammi
scoppiare il cuore nel pe o. Quella porta non si aprirà, e nel tempo
che impiegherai per manipolarmi il ba ito cardiaco io avrò premuto
questo tasto.» Nina non poteva vedere il pulsante d’o one, ma
poteva immaginare il dito di Brum che vi gravitava sopra. «Lo sai
che cosa fa? Hai visto gli effe i della jurda parem. Ti piacerebbe
provarli anche tu? In polvere è efficace, ma so o forma di gas ancora
di più.»
Nina si bloccò.
«Ragazza sveglia.» Il suo sorriso le fece venire la pelle d’oca. “Io
non supplicherò” disse a se stessa. Ma sapeva che l’avrebbe fa o.
Una volta che la droga le fosse entrata in circolo, non sarebbe più
stata capace di fermarla. Inalò una boccata di aria pulita.
Un gesto inutile, infantile anche, ma era determinata a tra enerla
il più a lungo possibile.
Brum riprese a parlare. «No. Questa non è la mia vende a. C’è
qualcun altro che se la merita molto di più.» Sparì dalla finestra e un
istante dopo la faccia di Ma hias riempì il vetro. I suoi occhi erano
spietati.
«Com’è possibile?» sussurrò Nina, nemmeno certa che potessero
sentirla da dietro la porta.
«Davvero pensavi che avrei tradito il mio paese?» disse Ma hias
con una voce piena di ribrezzo. «Che avrei abbandonato la causa a
cui ho consacrato la mia vita? Sono andato ad avvertire Brum
appena possibile.»
«Ma tu hai de o...»
«Il proprio paese viene prima di se stessi, Zenik. È qualcosa che tu
non hai mai compreso.»
Nina si portò una mano alla bocca.
«Non potrò mai più essere un drüskelle» disse Ma hias. «Dovrò
convivere per sempre con il marchio infame dello “schiavista”, ma
troverò un altro modo per servire Fjerda. E ti vedrò drogata di jurda
parem. Ti vedrò falcidiare la tua stessa gente e supplicare per un’altra
dose. Ti vedrò tradire le persone che ami come tu mi hai chiesto di
tradire le mie.»
«Ma hias...»
Lui diede un pugno alla finestra. «Non pronunciare il mio nome.»
Poi sorrise, un sorriso gelido e spietato come il mare del Nord.
«Benvenuta alla Corte di Ghiaccio, Nina Zenik. Ora il nostro debito è
pagato.»
Da qualche parte là fuori, le campane del Protocollo Nero si
misero a suonare.
35
MATTHIAS

Undici rintocchi
«È bella» disse Brum, «in modo esagerato. Sei stato forte a non
lasciarti sedurre.»
“Sono stato sedo o” pensò Ma hias. “E non solo dalla sua
bellezza.”
«L’allarme...» disse Ma hias.
«I suoi compatrioti, senza dubbio.»
«Ma...»
«Ma hias, ci penseranno i miei uomini. La Corte di Ghiaccio è al
sicuro.» Si voltò a guardare la cella di Nina. «Potremmo premere il
pulsante ora.»
«Non sarà pericolosa?»
«Abbiamo mescolato la jurda parem con un sedativo che li rende
più docili. Stiamo ancora lavorando ai dosaggi giusti, ma ci siamo. E
poi, con la seconda dose, ci pensa la dipendenza a tenerli so o
controllo.»
«La prima dose non basta?»
«Dipende dal Grisha.»
«Quante volte l’ha già fa o?»
Brum scoppiò a ridere. «Non le ho contate. Ma credimi, vorrà così
disperatamente dell’altra jurda parem che non oserà alzare un dito
contro di noi. È una trasformazione incredibile. Secondo me la
apprezzerai.»
A Ma hias si aggrovigliarono le budella. «Quindi lo scienziato è
rimasto in vita?»
«Ha fa o del suo meglio per replicare il processo di sintesi della
droga, ma è una cosa complicata. Alcuni lo i funzionano; altri non
sono altro che polvere. Vivrà finché ci tornerà utile.» Brum mise la
mano sulla spalla di Ma hias e addolcì lo sguardo. «Faccio fatica a
credere che tu sia davvero qui, vivo, in piedi di fronte a me. Pensavo
fossi morto.»
«Ho pensato lo stesso di lei.»
«Quando ti ho visto nella sala da ballo, ti ho riconosciuto a
malapena, malgrado l’uniforme. Sei così cambiato.»
«Ho dovuto perme ere alla strega di modificarmi.»
Il disgusto di Brum era evidente. «Tu le hai permesso di...»
In un certo senso, vedere quel tipo di reazione in qualcun altro
fece vergognare Ma hias del modo in cui aveva reagito con Nina.
«Era necessario» disse. «Dovevo farle credere che avevo sposato la
sua causa.»
«Adesso è tu o finito, Ma hias. Sei finalmente al sicuro e con la
tua gente.» Brum aggro ò la fronte. «C’è qualcosa che ti preoccupa.»
Ma hias guardò dentro la cella successiva a quella di Nina, e dentro
quella dopo, e poi in un’altra, procedendo lungo il corridoio con
Brum che gli andava dietro. Alcuni dei Grisha che vi erano rinchiusi
erano agitati, e camminavano in tondo ininterro amente. Altri
tenevano la faccia schiacciata contro il vetro. Altri ancora giacevano
semplicemente sul pavimento. «Non potete sapere della parem da
più di un mese. Da quanto tempo esiste questa stru ura?»
«L’ho fa a costruire quasi quindici anni fa con la benedizione del
re e del suo consiglio.»
Ma hias si fermò di colpo. «Quindici anni? Perché?»
«Ci serviva un posto dove me ere i Grisha dopo i processi.»
«Dopo? Quando i Grisha sono giudicati colpevoli, vengono
condannati a morte.»
Brum scrollò le spalle. «È comunque una condanna a morte, solo
che l’esecuzione è un po’ più lunga. Tanto tempo fa abbiamo
scoperto che i Grisha potevano rivelarsi una risorsa utile.»
Una risorsa. «Lei mi aveva de o che venivano cancellati dalla
faccia della terra. Che erano un flagello per il mondo naturale.»
«E lo sono, quando si mascherano da uomini. Non sono capaci di
pensare re amente, di avere una morale umana. Sono fa i per essere
controllati.»
«È per questo che ha voluto la parem?» gli chiese Ma hias
incredulo.
«Per anni abbiamo provato con i nostri metodi, ma con scarso
successo.»
«Ma ha visto cosa può fare la jurda parem, cosa può fare un Grisha
quando è dominato...»
«Una pistola, di suo, non è malvagia. E nemmeno una spada. La
jurda parem garantisce obbedienza. Trasforma i Grisha in quello a cui
sono sempre stati destinati.»
«Un Secondo Esercito?» domandò Ma hias, con la voce colma di
disprezzo.
«Un esercito è fa o di soldati. Queste creature sono nate per
essere armi. Sono nate per servire i soldati di Djel.» Brum gli scrollò
la spalla. «Ah, Ma hias, come mi sei mancato. La tua fede è sempre
stata così pura. Sono contento che tu sia rilu ante ad accogliere
questa misura, ma è la nostra possibilità di sferrare un colpo
mortale. Sai perché i Grisha sono così difficili da uccidere? Perché
non sono di questo mondo. Ma sono bravissimi a uccidersi l’un
l’altro. Loro la chiamano “dal simile al simile”. Aspe a di vedere gli
straordinari risultati che abbiamo raggiunto, gli armamenti che i loro
Fabrikator ci hanno aiutato a costruire.»
Ma hias guardò indietro, nel corridoio. «Nina Zenik ha passato
un anno a Kerch a contra are per la mia libertà. Non mi sembra il
comportamento di un mostro.»
«Una vipera rimane ferma prima di colpire? Un cane randagio ti
lecca la mano prima di azzannarti il collo? Un Grisha può anche
essere capace di gentilezza, ma questo non cambia l’essenza della
sua natura.»
Ma hias prese in considerazione la cosa. Pensò a Nina, in piedi,
terrorizzata in quella cella mentre la porta si chiudeva di sca o.
Aveva a eso a lungo di vederla imprigionata, punita com’era stato
punito lui. E tu avia, dopo tu o quello che avevano passato, non era
sorpreso che ora gli facesse male.
«Com’è lo scienziato Shu?» domandò a Brum.
«Ostinato. E ancora in lu o per il padre.»
Ma hias non sapeva niente del padre di Yul-Bayur, ma c’era una
domanda più importante da fare. «È al sicuro?»
«La camera del tesoro è il posto più sicuro sull’isola.»
«Lo tiene qui con i Grisha?»
Brum annuì. «La volta principale è stata trasformata in un
laboratorio per lui.»
«Ed è sicuro che stia bene?»
«Ho io il passe-partout» disse Brum, dando un colpe o al disco
che gli penzolava al collo, «ed è sorvegliato giorno e no e. Soltanto
pochi prescelti sanno che si trova qui. È tardi, e devo accertarmi che
il Protocollo Nero sia stato seguito, ma se ti va, domani ti porterò a
vederlo.» Brum mise un braccio sulle spalle di Ma hias. «E
sistemeremo il tuo ritorno e il tuo reinserimento.»
«Su di me grava ancora l’accusa di commercio di schiavi.»
«Faremo firmare alla ragazza una dichiarazione che annullerà
facilmente tu e le incriminazioni. Credimi, dopo che avrà avuto il
suo primo assaggio di jurda parem, farà qualunque cosa le chiederai e
anche di più. Ci sarà un’udienza, ma giuro che indosserai ancora i
colori dei drüskelle, Ma hias.»
I colori dei drüskelle. Li aveva portati con tale orgoglio. E i
sentimenti che aveva provato per Nina gli avevano procurato così
tanta vergogna. La vergogna c’era ancora, e forse ci sarebbe stata
sempre. Aveva trascorso troppi anni imbo ito di odio perché potesse
sparire nell’arco di una no e. Ma ora la vergogna era una eco, e tu o
quello che Ma hias sentiva era rimorso: per il tempo che aveva
sprecato, per il dolore che aveva causato, e sì, anche adesso, per
quello che stava per fare.
Si girò verso l’uomo che era diventato un padre e un mentore per
lui. Quando aveva perso la propria famiglia, era stato Brum a
reclutarlo nei drüskelle. Ma hias era giovane, arrabbiato, totalmente
inesperto. Ma quello che era rimasto del suo cuore spezzato l’aveva
dato alla causa. Una falsa causa. Una menzogna. Quando se n’era
accorto? Quando aveva aiutato Nina a seppellire i suoi amici?
Quando aveva comba uto fianco a fianco con lei? O era successo
molto tempo prima, quando lei aveva dormito tra le sue braccia,
quella prima no e tra i ghiacci? Quando lei lo aveva salvato,
impedendo che affogasse?
Nina gli aveva fa o del male, ma lo aveva fa o per proteggere il
suo popolo. Lo aveva ferito, ma aveva fa o tu o quello che era in
suo potere per aggiustare le cose. Gli aveva dimostrato in mille modi
di essere onesta e forte e generosa e molto umana, forse più
profondamente umana di chiunque altro avesse mai conosciuto. E se
lo era, allora i Grisha non rappresentavano il male assoluto. Erano
come tu i: ricchi di potenziale per compiere grandi cose, e anche
grossi danni. Fingere che non fosse così avrebbe fa o di Ma hias un
mostro.
«Comandante, lei mi ha insegnato così tanto» disse Ma hias. «Mi
ha insegnato a dare valore all’onore e alla forza. Mi ha dato gli
strumenti per cercare la mia vende a quando ne avevo più
bisogno.»
«E con quegli strumenti costruiremo un grande futuro, Ma hias.
Il tempo di Fjerda è finalmente giunto.»
Ma hias ricambiò l’abbraccio del proprio mentore.
«Non so se si sbaglia sui Grisha» gli disse con dolcezza. «So solo
che si sbaglia su di lei.»
Lo strinse applicando una presa che aveva imparato nelle sale di
esercitazione piene di echi presenti nella roccaforte dei drüskelle,
sale che non avrebbe mai più rivisto. Lo strinse mentre Brum si
diba eva per liberarsi e mentre il suo corpo si afflosciava.
Quando mollò la presa, Brum era sprofondato in uno stato di
incoscienza, eppure Ma hias sapeva di non sbagliarsi: era rimasta
impressa della collera sui suoi lineamenti. Si costrinse a
memorizzarla. Era giusto che lui si ricordasse quell’espressione. Alla
fine si era rivelato per davvero un traditore, e avrebbe dovuto
portarne il peso.
Quando erano entrati nell’enorme sala da ballo, Ma hias e Kaz si
erano appostati in un angolino in ombra accanto alle scale. Avevano
visto Nina entrare, infilata dentro quell’abominevole abito di squame
scintillanti, poi Ma hias aveva notato Brum. Allo stupore di scoprire
il proprio mentore ancora vivo aveva subito fa o seguito
l’angosciante constatazione che lui stava seguendo Nina.
g g
“Brum sa” aveva de o a Kaz. “Dobbiamo aiutarla.”
“Sii furbo, Helvar. Puoi salvarla e allo stesso tempo farci arrivare a
Yul-Bayur.”
Ma hias aveva annuito e si era tuffato nella folla. “L’onore” aveva
sentito Kaz mormorare dietro di lui “è come acqua di colonia a buon
mercato.”
Aveva abbordato Brum accanto alle scale. “Signore...”
“Non adesso.”
Ma hias era stato costre o a bloccargli il passaggio. “Signore.”
Brum a quel punto si era fermato. Il viso aveva mostrato prima
collera, poi confusione e alla fine stupita incredulità. “Ma hias?”
aveva sussurrato.
“Per favore, signore” aveva de o Ma hias in fre a. “Mi dia solo
un momento per spiegare. C’è una Grisha, qui, determinata ad
assassinare stano e uno dei suoi prigionieri. Se ha la pazienza di
ascoltarmi, posso illustrarle il complo o e come può essere fermato.”
Brum aveva fa o cenno a un drüskelle di tenere d’occhio Nina e
condusse Ma hias in una nicchia so o le scale. “Parla” aveva de o, e
Ma hias gli aveva raccontato la verità, o perlomeno una parte
essenziale: che aveva scampato il naufragio, che era quasi annegato,
che era stato ingiustamente accusato di schiavismo da Nina, che era
stato rinchiuso all’Anticamera dell’Inferno, e infine che gli era stata
promessa la grazia. Aveva addossato ogni responsabilità su Nina, e
non aveva de o niente di Kaz o degli altri. Quando Brum aveva
chiesto se Nina fosse in missione da sola, aveva semplicemente
risposto che non lo sapeva.
“Nina crede che io stia per accompagnarla sul ponte segreto. Mi
sono separato da lei appena ho potuto e sono venuto a cercarla.”
Una parte di lui era disgustata dalla facilità con cui le bugie gli
affioravano alle labbra, ma non avrebbe lasciato Nina alla sua mercé.
Ora lo guardò, Brum aveva la bocca leggermente aperta mentre
era incosciente. Una delle cose che aveva rispe ato di più del suo
mentore era l’implacabilità, la determinazione a compiere scelte
difficili per amore della causa. Però Brum ci aveva preso gusto a fare
ciò che aveva fa o a quei Grisha, a fare ciò che avrebbe fa o a Nina e
a Jesper. Forse le scelte difficili non erano mai state così difficili per
p p
Brum, non come lo erano state per Ma hias. Non si era tra ato di un
sacro dovere, portato a termine malvolentieri per il bene di Fjerda.
Erano state una fonte di gioia.
Fece scivolare via il passe-partout dal collo di Brum e lo trascinò
dentro una cella vuota, me endolo seduto contro il muro. Detestò
lasciarlo lì, il mento ciondoloni sul pe o, le gambe divaricate, senza
dignità. Detestò pensare alla vergogna che il comandante dei
drüskelle avrebbe provato, un guerriero tradito da qualcuno a cui
aveva offerto fiducia e affe o. Conosceva bene quel dolore.
Preme e velocemente la fronte contro quella di Brum. Sapeva che
il proprio mentore non poteva sentirlo, ma parlò ugualmente. «La
vita che vive, l’odio che prova: è un veleno. E io non riesco più a
berlo.»
Ma hias chiuse a chiave la porta della cella e si affre ò lungo il
corridoio per correre incontro a Nina, per correre incontro a qualcosa
di meglio.
36
JESPER

Undici rintocchi
Jesper a ese nella nicchia del muro, in una postazione da cecchino, il
luogo perfe o per uno come lui. “Che cosa abbiamo appena fa o?”
si chiese. Ma il sangue gli scorreva nelle vene, aveva il fucile in spalla
e il mondo era tornato ad avere un senso.
Ma allora dov’erano le guardie? Si era aspe ato di vederle
precipitarsi in cortile nel momento stesso in cui lui e Wylan avevano
innescato il Protocollo Nero.
«Ce l’ho!» urlò Wylan dietro di lui.
Jesper odiava l’idea di abbandonare quella postazione prima di
sapere a cosa andavano incontro, ma avevano poco tempo e
dovevano raggiungere il te o. «Va bene, andiamo.»
Corsero giù per le scale. Mentre stavano per sbucare dal
passaggio a volta della portineria, sei guardie arrivarono di corsa nel
cortile. Jesper si fermò di colpo e imbracciò il fucile.
«Torna indietro» disse a Wylan.
Ma Wylan stava indicando qualcosa dall’altra parte del cortile.
«Lo vedi?»
Le guardie non si stavano dirigendo verso la portineria; tu a la
loro a enzione era concentrata su un uomo in abiti color verde
militare, in piedi accanto a una lastra di pietra. Quell’uniforme...
Una donna passò a raverso il muro: era una figura fa a di nebbia
luminosa che quando arrivò accanto allo sconosciuto si solidificò. La
donna indossava la stessa tenuta verde militare.
«Scuotiacque» disse Wylan.
«Gli Shu.»
Le guardie aprirono il fuoco, e gli Scuotiacque svanirono, poi
riapparvero dietro i soldati e sollevarono le braccia.
Le guardie urlarono e fecero cadere a terra le armi. A orno a loro
si formò una foschia rossa, che divenne via via più fi a mentre i
soldati gridavano, con la pelle che sembrava ritirarsi dalle ossa.
«È il loro sangue» disse Jesper, con la bile che gli risaliva in gola.
«Per tu i i Santi, gli Scuotiacque li stanno prosciugando.» Le guardie
erano state spremute.
Il sangue formò delle pozze flu uanti dalla vaga forma umana,
ombre scivolose che volteggiavano nell’aria, rosse e umide, poi si
spiaccicò a terra nello stesso momento in cui le guardie crollarono,
con la pelle flaccida che pendeva dai loro corpi essiccati e formava
delle pieghe gro esche.
«Torniamo su» bisbigliò Jesper. «Dobbiamo andarcene.»
Ma era troppo tardi. La Scuotiacque donna scomparve. Nel tempo
di un respiro, era sulle scale. Con le mani si sollevò sopra la
ringhiera, si diede una spinta e piantò gli stivali contro il pe o di
Wylan, calciandolo indietro e mandandolo addosso a Jesper. I due
rotolarono sulla pietra nera del cortile.
Il fucile venne strappato di mano a Jesper e scaraventato via. Lui
cercò di rialzarsi e la Scuotiacque gli ammane ò le mani dietro la
nuca. Era sdraiato accanto a Wylan e gli Scuotiacque torreggiavano
sopra di loro. Alzarono le mani, e Jesper vide che la tenue foschia
rossa appariva su di lui. Stava per essere prosciugato. La forza
cominciava a svanire. Guardò alla sua sinistra, ma il fucile era troppo
lontano.
«Jesper» ansimò Wylan. «Il metallo. Lavoralo.» E poi cominciò a
urlare.
In un lampo, Jesper capì. Questa ba aglia non l’avrebbe vinta con
una pistola. Non c’era tempo per pensare, non c’era tempo per avere
dubbi.
Ignorò il dolore che gli lacerava la pelle e portò tu a l’a enzione
sui frammenti di ferro che gli erano rimasti a accati ai vestiti, i
trucioli e le minuscole pagliuzze dell’anello spezzato della catena.
Non era un granché, come Fabrikator, però gli Scuotiacque non si
aspe avano nemmeno che lo fosse. Spinse le mani avanti, e i pezze i
p p p
di metallo si sollevarono dall’uniforme in una nuvole a luccicante
che rimase sospesa nell’aria per un brevissimo istante, e poi si
scaraventò addosso agli Scuotiacque.
La donna strillò quando il metallo si fece largo nella sua carne, e
tentò di trasformarsi in foschia. Il suo compagno fece lo stesso, cercò
di liquefare i propri lineamenti ma quando li solidificò di nuovo, la
sua faccia era grigia, punteggiata di pezze i di ferro. Jesper non
mollò. Guidò la nuvole a dentro i loro organi, scavando a fondo.
Sentiva che gli Scuotiacque provavano a controllare le particelle di
metallo. Se si fosse tra ato di un proie ile o di una lama ce
l’avrebbero fa a, ma le pagliuzze erano troppe e troppo piccole. La
donna si abbracciò lo stomaco e cadde in ginocchio. L’uomo urlò e
tossì sangue e granelli neri di metallo.
«Aiuto» singhiozzò la donna. I bordi della sua sagoma sbiadirono
e il suo corpo vibrò mentre lo ava per svanire nella foschia.
Jesper lasciò cadere le mani. Lui e Wylan filarono via di corsa
dagli Scuotiacque che si contorcevano per il dolore.
Sarebbero morti? Aveva appena ucciso due della sua gente? Jesper
aveva solo desiderato di continuare a vivere. Pensò di nuovo allo
stendardo sulla parete, a tu e quelle strisce rosse, blu e viola.
Wylan lo tirò per il braccio. Il suo viso appariva leggermente
trasparente, con le vene troppo evidenti. «Jesper, dobbiamo andare.»
Lui annuì lentamente.
«Ora.»
Jesper si costrinse a muovere i piedi, a seguire Wylan e ad
arrampicarsi su per la corda fino al te o. Si sentiva stordito e gli
girava la testa. Gli altri dipendevano da lui, questo lo sapeva.
Doveva andare avanti. Ma si sentiva come se avesse lasciato una
parte di sé nel cortile di so o, qualcosa che non aveva neanche mai
saputo che ci fosse, intangibile come nebbia.
37
NINA

Undici rintocchi e un quarto


Quando Ma hias aprì la porta della cella di Nina, per un brevissimo
istante lei esitò.
Non poté farne a meno. Non si sarebbe mai scordata, per tu a la
vita, il viso di lui affacciato alla finestra, quanto era parso crudele, e
il dubbio che le era nato nel cuore. Dubbio che aveva ancora,
guardandolo in piedi sulla soglia, ma quando Ma hias le tese la
mano, lei seppe che non c’era più motivo di avere paura.
Corse da lui, che la prese tra le braccia.
Lui seppellì il viso tra i capelli di lei. Lei sentì le labbra di lui
sfiorarle l’orecchio mentre le disse: «Non voglio mai più vederti
così».
«Parli del vestito o della cella?»
Ma hias scoppiò a ridere. «Della cella, senza dubbio.» Poi le prese
il viso tra le mani. «Jer molle pe oonet. Enel mörd je nej afva trohem
verret.»
Nina deglutì a fatica. Si ricordava quelle parole e ciò che volevano
dire veramente. Sono stato fa o per proteggerti. Solo la morte potrà
so rarmi a questo giuramento. Era la promessa che i drüskelle
facevano a Fjerda. E ora era la promessa che Ma hias faceva a lei.
Nina si rendeva conto che avrebbe dovuto dire in risposta
qualcosa di profondo, qualcosa di bello. Invece, disse la verità. «Se
usciremo vivi da qui, ti bacerò fino a farti svenire.»
Un sorriso larghissimo sciolse lo splendido viso di Ma hias. Lei
non vide l’ora di rimirare l’azzurro autentico dei suoi occhi.
«Yul-Bayur è nel caveau» disse lui. «Andiamo.»
Mentre Nina correva dietro a Ma hias, il frastuono delle campane
del Protocollo Nero le rimbombò nelle orecchie. Se Brum l’aveva
riconosciuta, era probabile che lo avessero fa o anche gli altri
drüskelle. Non ci avrebbero messo molto a venire a cercare il loro
comandante.
«Ti prego, dimmi che Kaz non è sparito un’altra volta» disse lei
mentre sfrecciavano lungo il corridoio.
«L’ho lasciato nella sala da ballo. Abbiamo appuntamento accanto
al frassino.»
«L’ultima volta che l’ho visto, era circondato da drüskelle.»
«Forse, a questo, ci penserà il Protocollo Nero.»
«Se anche scampiamo ai drüskelle, non scamperemo a Kaz, non se
uccidiamo Yul-Bayur...»
Ma hias alzò una mano per fermare Nina prima di girare
l’angolo. Si avvicinarono lentamente. Quando svoltarono, Nina fece
fuori la guardia davanti alla porta del caveau. Ma hias prese il suo
fucile, quindi infilò la chiave di Brum nella serratura e la porta
rotonda del caveau si sbloccò.
Nina sollevò le mani, pronta ad a accare. A esero, con i cuori al
galoppo, mentre l’ingresso si apriva. La stanza era bianca come tu e
le altre, ma niente affa o spoglia. C’erano dei lunghi tavoloni coperti
da ampolle collocate sopra delle fiammelle blu, apparecchi per
scaldare e per raffreddare, fiale di vetro piene di polvere dalle varie
sfumature arancioni. Su una parete campeggiava un’enorme lavagna
d’ardesia ricoperta di equazioni scri e con il gesso. L’altra era
rivestita per intero da scatole di vetro provviste di porticine
metalliche. Le scatole contenevano piante di jurda in fiore, e Nina
immaginò che dovessero essere riscaldate. Addossata a un muro
c’era una branda, le coperte leggere erano sgualcite, carte e taccuini
erano sparsi tu ’a orno. Un ragazzo Shu vi era seduto sopra a
gambe incrociate. Li guardò, con i capelli neri che gli cadevano sulla
fronte e un quaderno in grembo. Non poteva avere più di quindici
anni.
«Non siamo qui per farti del male» disse Nina in Shu. «Dov’è Bo
Yul-Bayur?»
Il ragazzo si scostò i capelli dagli occhi dorati. «È morto.»
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Nina alzò un sopracciglio. Van Eck era in possesso delle
informazioni sbagliate? «Allora cos’è tu a questa roba?»
«Siete venuti per uccidermi?»
Nina non sapeva bene come rispondere a questa domanda. «Sesh-
uyeh?» azzardò.
Il viso del ragazzo si distese, sollevato. «Siete Kerch.»
Nina annuì. «Siamo qui per liberare Bo Yul-Bayur.»
Il ragazzo si portò le ginocchia al pe o e le circondò con le
braccia. «Troppo tardi. Mio padre è morto quando i Fjerdiani hanno
impedito ai Kerch di portarci fuori da Ahmrat Jen.» La voce gli
vacillò. «È rimasto ucciso nello scontro a fuoco.»
Mio padre. Nina tradusse per Ma hias e intanto cercò di dare un
senso a quelle parole.
«Morto?» fece Ma hias, e le spalle larghe gli si abbassarono. Nina
sapeva a cosa stava pensando – a tu o quello che avevano patito,
tu o quello che avevano fa o, e nel fra empo Yul-Bayur era già
morto.
Ma i Fjerdiani avevano tenuto in vita il figlio per un motivo.
«Vogliono che tu riproduca la sua formula» disse Nina.
«Io lo aiutavo in laboratorio, ma non mi ricordo tu o.» Si morsicò
il labbro. «E mi sono bloccato.»
Quale che fosse la parem che i Fjerdiani stavano somministrando
ai Grisha, doveva provenire dalla partita originaria che Bo Yul-Bayur
stava portando a Kerch.
«Sei in grado di farlo?» domandò Nina. «Sei capace di riprodurre
la formula?»
Il ragazzo esitò. «Penso di sì.»
Nina e Ma hias si scambiarono un’occhiata.
Lei deglutì. Aveva già ucciso. Aveva ucciso anche quella no e, ma
adesso era diverso. Questo ragazzo non le stava puntando contro
un’arma, non stava cercando di farle del male. Assassinarlo – e
sarebbe stato un assassinio – avrebbe anche voluto dire tradire Inej,
Kaz, Jesper e Wylan. Persone che stavano rischiando la vita, anche in
quel momento, per una ricompensa che non avrebbero mai visto.
Però poi pensò a Nestor che cadeva senza vita nella neve, e alle celle
piene di Grisha condannati per sempre al tormento, e tu o per colpa
di questa droga.
Alzò le braccia. «Mi dispiace» disse. «Se tu dovessi farcela, non ci
sarà fine alle sofferenze che scatenerai.»
Lo sguardo del ragazzo era fermo, il mento sporgeva spavaldo, come
se avesse sempre saputo che questo momento prima o poi sarebbe
arrivato. La cosa giusta da fare era ovvia. Uccidere questo ragazzo in
modo rapido e indolore. Distruggere il laboratorio e tu o quello che
conteneva. Eliminare dalla faccia della terra il segreto della jurda
parem. Se vuoi sopprimere una pianta infestante, non ti limiti a
potarla. Strappi via le radici dal terreno. E tu avia le mani le stavano
tremando. Non era questo il modo in cui ragionavano i drüskelle?
Distruggere il pericolo, spazzarlo via, a prescindere dal fa o che la
persona di fronte a te sia o meno innocente.
«Nina» disse Ma hias dolcemente, «è solo un ragazzo. È uno di
noi.»
Uno di noi. Un ragazzo non tanto più giovane di lei, immischiato
in una guerra che non aveva scelto di comba ere. Un sopravvissuto.
«Come ti chiami?» gli chiese lei.
«Kuwei.»
«Kuwei Yul-Bo» iniziò a dire prima di fermarsi. Intendeva
pronunciare la sentenza di morte? Scusarsi? Chiedere perdono? Non
l’avrebbe mai saputo. Quando ritrovò la voce, tu o quello che disse
fu: «Quanto ci me i a distruggere questo laboratorio?».
«Poco» rispose lui. Tagliò l’aria con la mano, e le fiamme so o una
delle ampolle esplosero in un semicerchio blu.
Nina lo fissò. «Sei un Grisha. Un Inferno.»
Kuwei annuì. «La jurda parem è stato un errore. Mio padre stava
cercando un modo per dissimulare i miei poteri. Era un Fabrikator.
Un Grisha, come me.»
A Nina girava la testa: Bo Yul-Bayur era un Grisha che si
nascondeva in piena vista dietro i confini dello Shu Han. Non c’era
tempo per assimilare la notizia.
«Dobbiamo distruggere quanto più possibile del tuo lavoro» disse
lei.
«Ci sono dei combustibili» rispose Kuwei, che stava già
raccogliendo le carte e i campioni di jurda. «Posso far esplodere
tu o.»
«Solo il caveau. Ci sono Grisha qui.» E guardie. E il mentore di
Ma hias. Nina sarebbe stata felice di lasciar morire Brum, ma
sebbene Ma hias avesse tradito il proprio comandante, non avrebbe
voluto vedere fa o a pezzi l’uomo che era diventato un secondo
padre per lui. Il cuore le si ribellò al pensiero dei Grisha che si stava
lasciando alle spalle, ma non c’era modo di farli arrivare al porto.
«Lasciate perdere il resto» disse. «Dobbiamo muoverci.»
Kuwei dispose una serie di fiale piene di liquido infiammabile
sopra i fornelli. «Sono pronto.»
Controllarono il corridoio e corsero verso l’ingresso della camera del
tesoro. A ogni angolo Nina si aspe ava di vedere dei drüskelle o
delle guardie sbarrare loro il cammino, invece si fiondarono nelle
sale senza trovarvi ostacoli. Arrivati alla porta d’ingresso, si
fermarono.
«C’è un labirinto di siepi alla nostra sinistra» disse Nina.
Ma hias annuì. «Lo useremo per nasconderci e poi ce la faremo di
corsa fino al frassino.»
Non appena aprirono la porta, il frastuono delle campane diventò
quasi insopportabile. Nina poteva vedere l’Orologio Maggiore sulla
guglia d’argento più alta del palazzo, il quadrante luminoso come
una luna piena. Le luci forti proie ate dalle torri di guardia
setacciavano l’Isola Bianca, e si sentivano le grida dei soldati che si
avvicinavano al palazzo.
Si mise rasente al muro dell’edificio e seguì Ma hias, cercando di
restare in ombra.
«Veloci» disse Kuwei dando un’occhiata nervosa dietro di sé,
verso il laboratorio.
«Da questa parte» fece Ma hias. «Il labirinto...»
«Fermi!» gridò qualcuno.
Troppo tardi. Le guardie stavano correndo verso di loro proprio
dal labirinto. Non c’era altro da fare che scappare. Si precipitarono
oltre l’entrata del colonnato e si infilarono nel cortile circolare.
C’erano drüskelle ovunque, di fronte e dietro di loro. Potevano
essere abba uti in qualunque momento.
E poi ci fu l’esplosione. Nina la percepì prima ancora di udirla:
un’ondata di calore la sollevò e la scaraventò in aria, subito seguita
da un boato assordante. Precipitò a terra e colpì duramente la pietra
bianca del selciato.
C’erano fumo e confusione ovunque. Si sforzò di me ersi carponi,
con le orecchie che le fischiavano. Un lato della camera del tesoro era
stato rido o in macerie, il fumo e la polvere si sollevavano a ondate
nel cielo della no e.
Ma hias stava già camminando a passi veloci verso di lei insieme
a Kuwei. Nina si rimise in piedi.
«Sten!» urlarono due guardie che si staccarono da un gruppo di
soldati dire i di corsa verso la camera del tesoro. «Che cosa ci fate
qui?»
«Ci stavamo solo godendo la festa!» esclamò Nina, e mise nella
voce tu a la spossatezza e il terrore che provava davvero. «E poi...
poi...» La imbarazzò la facilità con cui riuscì a far scorrere le lacrime.
Lui sollevò il fucile. «Mi mostri i documenti.»
«Niente documenti, Lars.»
La testa del cacciatore di streghe si alzò di sca o mentre Ma hias
faceva un passo avanti. «Ci conosciamo?»
«Una volta sì, anche se ero un po’ diverso. Hje marden, Lars?»
«Helvar?» fece lui. «Hanno de o... hanno de o che eri morto.»
«Lo ero.»
Lars passò lo sguardo da Ma hias a Nina. «Questa è la
Spaccacuore che Brum ha portato alla camera del tesoro.» Poi prese
nota della presenza di Kuwei e capì tu o. «Traditore» apostrofò
Ma hias.
Mentre stava alzando la mano per rallentare il ba ito cardiaco di
Lars, Nina colse un movimento nel buio alla sua destra. Urlò quando
qualcosa la colpì. Abbassò lo sguardo e vide un cavo avvolgerla e
immobilizzarle le braccia al corpo. Non riusciva a sollevare le mani.
Non poteva usare i suoi poteri. Ma hias emise un gemito e Kuwei
strillò quando altri cavi sferzarono fuori dal buio e andarono ad
a orcigliarsi ai loro busti legando loro le braccia.
g g
«Questo è quello che facciamo, mostri» sogghignò Lars. «Diamo la
caccia alla sporcizia come voi. Conosciamo tu i i vostri trucchi.»
Diede un calcio da dietro alle gambe di Ma hias, che cadde sulle
ginocchia e tra enne il respiro. «Ci hanno de o che eri morto. Ti
abbiamo pianto, abbiamo bruciato rami di frassino per te. Ma ora
capisco che ci stavano proteggendo da qualcosa di peggio. Ma hias
Helvar, un traditore, che presta soccorso ai nostri nemici, che si
accompagna a esseri contro natura.» Lars sputò in faccia a Ma hias.
«Come hai potuto tradire il tuo paese e il tuo dio?»
«Djel è il dio della vita, non della morte.»
«Ci sono altri qui per Yul-Bayur, a parte te e questa creatura?»
«No» mentì Nina.
«Non l’ho chiesto a te, strega» disse Lars. «Non importa. È
un’informazione che ti caveremo fuori a modo nostro.» Si voltò
verso Kuwei. «E in quanto a te. Non pensare che non ci saranno delle
ripercussioni.»
Fece un segnale. Dalle ombre del colonnato emerse un drappello
di uomini e ragazzi: drüskelle, con i cappucci calati sui lunghi capelli
d’oro che brillavano sui colle i, vestiti di nero e argento, come
creature nate dai bui crepacci che spaccavano in due i ghiacci del
Nord. Si aprirono a ventaglio, circondando Nina, Ma hias e Kuwei.
Nina pensò alle celle bianche della prigione, agli scarichi nei
pavimenti. Tu a la parem era andata distru a insieme al laboratorio
di Kuwei? Quanto tempo gli sarebbe servito per fare un’altra partita,
e come l’avrebbero punita nel fra empo? Ge ò un ultimo sguardo
disperato nell’oscurità, pregando per vedere una traccia di Kaz. Era
stato ca urato anche lui? Li aveva semplicemente abbandonati lì?
Doveva comportarsi da guerriera. Doveva prepararsi a ciò che
sarebbe accaduto.
Uno dei drüskelle si fece avanti con quella che sembrava una
frusta dal lungo manico: era agganciata ai cavi che li legavano, e il
drüskelle la porse a Lars.
«La riconosci, Helvar?» domandò Lars. «Dovresti. Hai contribuito
a proge arla. Cavi retra ili per controllare più prigionieri. E gli
uncini, ovviamente.»
Lars passò un dito sopra uno dei cavi e Nina rantolò mentre
piccoli uncini pungenti le si conficcarono nelle braccia e nel busto. Il
drüskelle rise.
«Lasciala stare» ringhiò Ma hias in Fjerdiano, sprizzando rabbia.
Per un brevissimo istante, Nina vide un lampo di panico nei suoi ex
compagni d’armi. Era più grosso di tu i loro, ed era stato un capo,
uno dei migliori di questi giovani assassini. Poi Lars fece sca are un
altro cavo. Gli uncini fuoriuscirono, e Ma hias fece un respiro
sofferente, piegandosi in due, ancora una volta umano.
La risatina che seguì fu furtiva e crudele.
Lars diede un colpo secco alla frusta e i cavi si contrassero ancora,
costringendo Nina, Ma hias e Kuwei a barcollare davanti a lui in
una goffa sfilata.
«Preghi ancora il nostro dio, Helvar?» domandò Lars mentre
passavano davanti al sacro albero. «Credi che Djel ascolti i
piagnucolii degli uomini che profanano se stessi concedendosi ai
Grisha? Credi che...»
Poi ci fu un guaito acuto, animalesco. Nina e gli altri impiegarono
un lungo istante per rendersi conto che era stato emesso da Lars. Il
drüskelle aprì la bocca e il sangue uscì a fio i sul mento e sui lucidi
bo oni d’argento della sua divisa. La mano lasciò andare la frusta, e
il drüskelle incappucciato accanto a lui si lanciò in avanti per
prenderla.
Dalla base dell’albero sacro uscì un improvviso pop pop pop. Nina
riconobbe quel suono: l’aveva sentito sulla strada del Nord prima di
tendere l’agguato al carro della prigione.
Quando avevano abba uto l’albero.
Il frassino scricchiolò e geme e.
Le sue radici antiche cominciarono ad arricciarsi.
«Nej!» gridò uno dei drüskelle. Rimasero a bocca aperta,
guardando stupefa i l’albero colpito a morte. «Nej!» ululò un’altra
voce.
Il frassino iniziò a pendere. Era troppo grosso per essere bu ato
giù dal concentrato di sale soltanto, ma mentre si inclinava un rombo
sordo scaturì dalla voragine nera che si stava aprendo sul terreno.
Era il punto dove andavano i drüskelle per sentire la voce del loro
dio. E ora stava parlando.
«Pungerà un po’» disse il drüskelle che teneva in mano la frusta.
La sua voce era rauca, familiare. Portava dei guanti sulle mani. «Ma
se ne usciamo vivi, mi ringrazierete più tardi.» Il cappuccio scivolò
via e Kaz Brekker si voltò a guardarli. I drüskelle, scioccati, alzarono
i fucili.
«Non fate scoppiare il baleen prima di aver toccato il fondo» gridò
Kaz. Quindi afferrò Kuwei e si lanciò insieme a lui so o le radici
dell’albero, dentro la cavità nera.
Nina gridò mentre veniva stra onata in avanti dai cavi. Raspò le
pietre nel tentativo di trovare un appiglio.
L’ultima cosa che intravide fu Ma hias che cadeva nel buco vicino
a lei.
Sentì dei colpi di arma da fuoco, e poi stava precipitando nel buio,
nel freddo, nella gola di Djel, nel nulla più completo.
38
KAZ

Undici ritocchi e tre quarti


Kaz aveva preso in considerazione l’idea di me ersi a origliare
Ma hias e Brum nella sala da ballo, ma non voleva perdere di vista
Nina quando c’erano così tanti drüskelle in giro. Aveva scommesso
sui sentimenti di lui per lei, ma le probabilità stavano cinquanta a
cinquanta. Il vero rischio che stava correndo era nel fa o che
qualcuno onesto come Ma hias riuscisse a mentire in modo
convincente al proprio mentore. A quanto pareva, il Fjerdiano aveva
delle doti nascoste.
Kaz aveva seguito Nina e Brum fino alla camera del tesoro. Poi si
era nascosto dietro una scultura di ghiaccio e si era concentrato
sull’ingrato compito di rigurgitare le bombe-radice di Wylan che
aveva inghio ito prima di tendere l’imboscata al carro della
prigione. Aveva dovuto vomitarle a più riprese per evitare di
digerirle, insieme alla bustina di pallo ole di cloroformio e ad alcuni
grimaldelli che aveva bu ato giù a forza nell’esofago in caso di
emergenza. Non era stato piacevole. Aveva imparato il trucco da un
illusionista dello Stave dell’Est: l’uomo possedeva un repertorio di
numeri da mangiafuoco esibiti per anni prima di avvelenarsi per
errore ingerendo del kerosene.
Dopo che ebbe finito, Kaz aveva ispezionato il perimetro della
camera del tesoro, il te o, l’ingresso, ma alla fine non gli era rimasto
altro da fare che stare nascosto, rimanere vigile, e preoccuparsi di
tu e le cose che potevano andare storte. Gli venne in mente Inej, in
piedi sul te o dell’ambasciata, raggiante di un ardore nuovo che lui
non capiva e tu avia riconosceva: uno scopo. L’aveva soffusa di luce.
Prenderò la mia parte e lascerò gli Scarti. Prima, nelle occasioni in cui
aveva parlato di lasciare Ke erdam, non le aveva mai creduto.
Questa volta era diverso.
Era rimasto nascosto nell’ombra del colonnato occidentale
quando le campane del Protocollo Nero avevano iniziato a suonare,
e i rintocchi dell’Orologio Maggiore avevano preso a rimbombare
sull’isola scuotendo l’aria. Le luci della torre di guardia si accesero in
un fascio abbagliante. I drüskelle a orno all’albero abbandonarono i
loro rituali e si misero a urlare ordini, e una marea di guardie scese
dalle torri per riversarsi sull’isola. Kaz aveva aspe ato, contando i
minuti, ma ancora non c’era segno di Nina o di Ma hias. “Sono nei
guai” aveva pensato. “Oppure ti sei completamente sbagliato sul
conto di Ma hias, e ora stai per pagare care tu e quelle stupide
ba ute sull’albero.”
Doveva entrare nella camera del tesoro, ma gli serviva una
copertura mentre forzava quell’impenetrabile serratura, e c’erano
drüskelle dappertu o. Poi vide Nina e Ma hias e un tizio che
immaginò fosse Bo Yul-Bayur scappare di corsa. Era stato sul punto
di chiamarli quando ci fu l’esplosione, e tu o andò al diavolo.
“Hanno fa o saltare in aria il laboratorio” pensò lui mentre
tu ’a orno piovevano giù detriti. “Io di certo non gli ho de o di
farlo.”
Quello che seguì dove e improvvisarlo totalmente, e non ebbe
tempo per spiegare niente. Tu o ciò che aveva de o a Ma hias era
di incontrarsi al frassino quando il Protocollo Nero avesse
cominciato a suonare. Aveva calcolato di entrare nei de agli prima
che tu i precipitassero nell’oscurità. Ora poteva solo sperare che non
si facessero prendere dal panico e che la sua fortuna lo stesse
aspe ando là so o da qualche parte.
La caduta sembrava non finire più. Kaz sperò che il ragazzo Shu
che stava stringendo fosse un Bo Yul-Bayur sorprendentemente
giovane e non qualche sfortunato prigioniero che Nina e Ma hias
avevano deciso di liberare. Aveva spinto il disco nella bocca del
ragazzo mentre si avvicinavano all’albero, e lo aveva ro o con le
proprie dita. Diede un colpo alla frusta per ritirare tu i i cavi, e
mentre si ritraevano sentì gli altri urlare. Almeno non sarebbero
finiti in acqua legati. Kaz a ese il più a lungo possibile prima di
q g p g p p
addentare il proprio baleen. Quando finì nell’acqua gelida, teme e
che il suo cuore avrebbe ceduto.
Non sapeva cosa aspe arsi, ma la forza del fiume era terrificante,
scorreva potente e veloce come una valanga. Il rumore era
assordante persino so ’acqua, ma insieme alla paura arrivò anche
una specie di euforica soddisfazione. Ci aveva preso.
La Voce di Dio. Nelle leggende c’era sempre della verità. Kaz aveva
passato troppo tempo a costruire il proprio, di mito, per non saperlo.
Si era chiesto da dove arrivasse l’acqua che alimentava il fossato e le
fontane della Corte di Ghiaccio, e perché mai la gola del fiume fosse
così larga e profonda. Non appena Nina aveva descri o il rito di
iniziazione dei drüskelle, aveva capito: la fortezza Fjerdiana non era
stata costruita a orno a un grande albero ma a orno a una fonte.
Djel, la sorgente, che alimentava i mari e le piogge, e le radici del
frassino sacro.
L’acqua aveva una voce. Ogni ra o dei canali lo sapeva, e lo
sapeva chiunque avesse dormito so o un ponte o superato una
tempesta invernale su una barca capovolta: l’acqua parlava con la
voce di un amante, di un fratello perduto da tempo, persino di un
dio. Era quella la chiave, e dopo che Kaz l’ebbe riconosciuta, fu come
se qualcuno avesse steso una planimetria perfe a sopra la Corte di
Ghiaccio e i suoi meccanismi. Se Kaz aveva ragione, Djel li avrebbe
sputati fuori nella gola del fiume. Sempre che non fossero affogati
prima.
Ed era una possibilità concreta. Il baleen forniva aria a sufficienza
per dieci minuti, forse dodici se sapevano mantenere la calma, cosa
che Kaz dubitava stessero facendo. Il suo cuore per primo stava
martellando, e sentiva già stringersi i polmoni. Il corpo era
intorpidito e dolorante per via della temperatura dell’acqua, e
l’oscurità era impenetrabile. Non c’era nient’altro che il sordo fragore
liquido e la nauseante sensazione di continuare a cadere.
Non conosceva la velocità dell’acqua, ma dai suoi calcoli sapeva
dannatamente bene che non poteva mancare molto. I numeri erano
sempre stati dalla sua parte: probabilità, margini, l’arte della
scommessa. Ma ora doveva fare affidamento su qualcosa in più.
“Qual è il dio che onori?” gli aveva chiesto Inej. “Qualunque dio mi
g j q
conceda la fortuna.” Quelli fortunati non finiscono gambe all’aria
so o un fossato di ghiaccio in territorio nemico.
Cosa ci sarebbe stato ad aspe arli quando fossero riemersi nella
gola? Chi ci sarebbe stato ad aspe arli? Jesper e Wylan avevano fa o
sca are il Protocollo Nero. Ma erano riusciti a fare il resto? Avrebbe
rivisto Inej?
Sopravvivi. Sopravvivi. Sopravvivi. Era stato il modo in cui aveva
vissuto la vita, a imo per a imo, respiro dopo respiro, a partire da
quella terrificante ma ina in cui si era svegliato e aveva scoperto che
Jordie era ancora morto e che lui era ancora molto vivo.
Kaz era sospinto nel buio. Non aveva mai avuto così tanto freddo.
Ripensò alla mano di Inej sulla guancia. A quella sensazione la sua
mente era divenuta un arsenale di confusione. Aveva provato terrore
e disgusto e – in mezzo a tu o quel baccano – desiderio, una voglia
che non era più andata via, la speranza che lei lo toccasse ancora.
Quando aveva qua ordici anni, Kaz aveva messo insieme una
squadra per derubare la banca che aveva aiutato Her oon a
mandare in rovina lui e Jordie. La squadra era fuggita con
cinquantamila kruge, ma lui si era spaccato la gamba cadendo dal
te o. L’osso non si era più saldato bene, e da quel momento in poi
aveva zoppicato. Si era trovato un Fabrikator e si era fa o fare il suo
bastone. Il bastone divenne una rivendicazione. Non c’era niente in
lui che non fosse stato ro o, che non fosse stato curato nel modo
sbagliato, e non c’era niente in lui che non fosse diventato più forte,
dopo essersi ro o. Il bastone si era mutato in una parte del mito che
aveva costruito. Nessuno sapeva chi fosse. Nessuno sapeva da dove
fosse arrivato. Era diventato Kaz Brekker, lo storpio e il truffatore, il
bastardo del Barile.
I guanti erano la sua unica concessione alla debolezza. Da quella
no e in mezzo ai cadaveri, in cui se l’era fa a a nuoto dalla Chia a
del Mietitore, non era più stato in grado di tollerare la sensazione
della pelle nuda a conta o con altra pelle nuda. Per lui era straziante,
rivoltante. Era l’unico pezzo del suo passato da cui non riusciva a
forgiare qualcosa di pericoloso.
Il baleen cominciò a provocargli delle bolle intorno alle labbra.
L’acqua gli stava entrando in bocca. A che distanza li aveva portati il
q g p
fiume? Fino a dove erano arrivati? Con una mano stringeva ancora il
colle o di Bo Yul-Bayur. Il ragazzo Shu era più piccolo di Kaz; c’era
da sperare che avesse abbastanza aria.
Sprazzi lucidi di ricordi a raversarono la mente di Kaz. Una tazza
di cioccolata calda tra le mani chiuse nelle muffole, Jordie che lo
avvertiva di lasciarla raffreddare prima di berne un sorso.
L’inchiostro che si asciugava sul foglio mentre firmava l’a o di
proprietà del Club dei Corvi. La prima volta che aveva visto Inej al
Serraglio, vestita di seta viola, gli occhi coperti di kajal. Il pugnale
con il manico d’osso che le aveva regalato. I singhiozzi che
provenivano da dietro la porta della sua stanza allo Slat, la no e in
cui lei aveva ucciso per la prima volta. E che lui aveva ignorato. Kaz
la ricordò appollaiata sul davanzale della finestra della propria
mansarda, in un qualche momento di quel primo anno, dopo che
l’aveva introdo a negli Scarti. Stava dando da mangiare ai corvi
radunati sul te o.
“Non dovresti fare amicizia con i corvi” le aveva de o lui.
“Perché no?” aveva domandato lei.
Kaz aveva sollevato lo sguardo dalla scrivania per rispondere, ma
qualunque cosa fosse stato sul punto di dire era svanita.
Una volta tanto c’era il sole, e Inej gli porgeva il viso. Teneva gli
occhi chiusi, e le lucide ciglia nere le solleticavano le guance. Il vento
del porto le aveva sollevato i capelli scuri, e per un a imo Kaz fu di
nuovo un ragazzo, certo che la magia fosse di questo mondo.
“Perché no?” aveva ripetuto lei, con gli occhi ancora chiusi.
Lui disse la prima cosa che gli venne in mente. “Non conoscono le
buone maniere.”
“Nemmeno tu, Kaz.” Inej aveva riso, e se lui avesse potuto
imbo igliare quella risata e bersela fino a ubriacarsi tu e le no i,
l’avrebbe fa o. La cosa lo terrorizzò.
Kaz respirò a lungo mentre il baleen si dissolveva e l’acqua lo
inondava. Strizzò gli occhi contro quell’aggressione liquida,
sperando di vedere un accenno di luce del giorno. Il fiume lo mandò
a sba ere contro la parete del tunnel. La pressione nel pe o
aumentò. “Io sono più forte” si disse. “La mia forza di volontà è più
grande.” Ma sentiva Jordie ridere. “No, fratellino. Nessuno è più
g p
forte. Hai imbrogliato la morte troppe volte. L’avidità sarà anche ai
tuoi ordini, ma la morte non è al servizio di nessuno.”
Kaz era quasi annegato quella no e nel porto, quando scalciava forte
l’acqua nel buio, tenuto a galla dal cadavere di Jordie. Adesso non
c’era niente e nessuno a cui aggrapparsi. Provò a pensare a suo
fratello, alla vende a, a Pekka Rollins legato a una sedia nella casa
sulla Zelverstraat, i contra i infilati in gola mentre Kaz lo
costringeva a ricordarsi il nome di Jordie. Ma tu o quello a cui
riusciva a pensare era Inej. Doveva essere viva. Doveva essere uscita
dalla Corte di Ghiaccio. E se non l’aveva fa o, allora lui doveva
restare in vita per andare a salvarla.
Il dolore nei polmoni era insopportabile. Kaz doveva dirglielo...
che cosa? Che era adorabile e coraggiosa e migliore di qualunque
cosa lui si meritasse. Che lui era contorto, corro o, sbagliato, ma non
così guasto da non poter rime ersi in sesto per lei, e tornare a essere
qualcosa di simile a un uomo. Che senza volerlo, aveva imparato ad
appoggiarsi a lei, a cercarla, ad avere bisogno di averla accanto.
Doveva dirle che la ringraziava per il cappello nuovo.
L’acqua gli premeva sul pe o e pretendeva che lui aprisse le
labbra. “Non lo farò” si ripromise lui. Ma alla fine Kaz aprì la bocca e
l’acqua si avventò dentro di lui.
PARTE SESTA
LADRI COME SI DEVE
39
INEJ

Il cuore di Inej pulsava tra le costole. Sui trapezi c’è un momento,


quando ne lasci andare uno e ti lanci verso l’altro, in cui realizzi che
hai fa o un errore e non ti senti più senza peso: è il momento in cui
cominci a cadere.
Le guardie a raversarono il cancello della prigione per riportarla
indietro. C’erano molti più soldati e molti più fucili puntati su di lei
rispe o alla prima volta che era arrivata in questo cortile, quando era
scesa dal carro della prigione con il resto della banda.
A raversarono la bocca del lupo, andarono su per le scale e la
trascinarono lungo la passerella passando per il corridoio sul
gigantesco recinto di vetro. Nina aveva trado o lo stendardo per lei:
POTENZA FJERDIANA . Inej aveva fa o una smorfia la prima volta che
vi era passata davanti, guardando i carri armati e le armi, un occhio
su Kaz e sugli altri nella passerella di fronte. Si era domandata che
razza di uomini fossero quelli che avevano bisogno di sfoggiare la
propria forza davanti a inoffensivi prigionieri in catene.
Le guardie andavano troppo veloci. Per la seconda volta, quella
no e, Inej inciampò.
«Muoviti» le disse in malo modo, in Kerch, un soldato,
spingendola avanti.
«Camminate troppo veloci.»
Lui le diede un bru o stra one al braccio. «Sme ila di rallentare.»
«Non vuoi incontrare i tuoi inquisitori?» le chiese l’altro. «Loro ti
faranno parlare.»
«Ma non sarai così carina, dopo che avranno finito.»
Scoppiarono a ridere, e a Inej si rivoltò lo stomaco. Stavano
parlando in Kerch per fare in modo che lei capisse.
Avrebbe potuto avere la meglio su quei due, malgrado loro
avessero i fucili e lei non avesse nemmeno i pugnali. Le sue mani
non erano legate, e in più loro credevano ancora che lei fosse una
povera prostituta. Heleen l’aveva chiamata criminale, ma per quei
soldati era solo una ladruncola dentro stracci di seta viola.
Proprio mentre stava pensando di fare la propria mossa, udì passi
avvicinarsi. Vide le sagome di altri due uomini in uniforme
procedere spediti verso di loro. Sarebbe riuscita a tenere a bada, da
sola, qua ro guardie? Non ne era sicura, ma sapeva che se si fossero
lasciati alle spalle questo corridoio, sarebbe stata la fine.
Guardò di nuovo lo stendardo nel recinto di vetro. Ora o mai più.
Agganciò la gamba alla caviglia del soldato alla sua sinistra. Lui si
sbilanciò in avanti, e lei menò un fendente, con forza, spaccandogli il
naso.
L’altro sollevò il fucile. «La pagherai per questo.»
«Non mi sparerai. Vi servono le mie informazioni.»
«Posso spararti a una gamba» sogghignò lui, puntando il fucile in
basso.
Quindi si accasciò a terra, con un paio di cesoie malconce che gli
spuntava dalla schiena. Il soldato in piedi dietro di lui fece un
allegro gesto di saluto.
«Jesper» boccheggiò lei per il sollievo. «Finalmente.»
«Ci sono anch’io, sai?» disse Wylan.
Il soldato con il naso ro o emise un lamento sul pavimento e
provò ad alzare il fucile. Inej gli diede un gran bel calcio in testa.
Non si mosse più.
«Sei riuscita ad arraffare un diamante abbastanza grosso?» le
chiese Jesper.
Inej fece segno di sì con la testa ed estrasse dalla manica un
massiccio girocollo di diamanti.
«Sbrighiamoci» disse. «Se Heleen non si è ancora accorta che è
scomparso, se ne accorgerà presto.»
Per quanto, con il Protocollo Nero in a o, non c’era granché che
potesse fare.
Jesper strappò il girocollo di mano a Inej, la bocca spalancata.
«Kaz ha de o che ci serviva un diamante. Non ti ha de o di rubare i
gioielli di Heleen Van Houden!»
«Tu pensa solo a me erti al lavoro.»
Kaz aveva dato a Inej due obie ivi: rubare un diamante
abbastanza grosso perché Jesper potesse lavorarlo e farsi trovare
dentro questo corridoio dopo gli undici rintocchi. C’erano tantissime
altre pietre preziose utili ai loro scopi che lei avrebbe potuto rubare,
così come c’erano altri guai che avrebbe potuto creare per a irare
l’a enzione delle guardie. Ma era Heleen che voleva beffare. A
dispe o di tu i i segreti raccolti, i documenti so ra i e la violenza
infli a, era Heleen Van Houden che aveva bisogno di sconfiggere.
Ed Heleen le aveva reso il compito facile. Durante la zuffa nella
rotonda, Inej aveva fa o in modo che lei fosse troppo occupata a non
farsi strozzare per preoccuparsi di essere derubata. Dopo, tu a
l’a enzione della donna era stata dedicata a gongolare. Inej si
rammaricava solamente di una cosa: non sarebbe stata lì a godersi lo
spe acolo di Tante Heleen mentre scopriva che la sua preziosa
collana era sparita.
Jesper accese una lanterna e andò a lavorare accanto a Wylan.
Solo allora lei si accorse che erano entrambi coperti di fuliggine per
essere scesi dalla canna fumaria dell’inceneritore. Avevano portato
con sé anche due sudici rotoli di corda. Mentre lavoravano, Inej
sbarrò le porte collocate nelle volte su entrambi i lati del corridoio.
Avevano solo pochi minuti prima che un’altra pa uglia arrivasse e si
trovasse davanti a un ingresso che non doveva essere chiuso.
Wylan aveva realizzato una lunga vite di metallo e una cosa che
sembrava la manovella di un enorme argano, e stava tentando di
incastrarli insieme per formare quello che Inej sperava fosse uno
sgorbio di trapano, però funzionante.
Da una delle porte arrivò un colpo.
«Più in fre a» affermò Inej.
«Dirlo non mi fa andare più veloce» si lamentò Jesper mentre si
concentrava sui diamanti. «Se li disintegro, perderanno la loro
stru ura molecolare. Devono essere tagliati con a enzione, e i
margini assemblati in un’unica punta perfe a. Non ho ricevuto
l’addestramento...»
«E di chi è la colpa?» puntualizzò Wylan, senza alzare gli occhi
dal proprio lavoro.
«Anche questo non è d’aiuto.»
Ora le guardie stavano bussando alla porta. A raverso il recinto,
Inej vide degli uomini riversarsi sull’altra passerella, gesticolando e
gridando. E tu avia non potevano certo sparare a raverso due
pareti di vetro antiproie ile.
Quel materiale era stato fabbricato dai Grisha. Nina l’aveva
riconosciuto non appena erano passati per la vetrina – la Potenza
Fjerdiana prote a dall’abilità Grisha – e l’unica cosa più forte del
vetro dei Fabrikator erano i diamanti.
Ora entrambe le porte sui due lati della passerella stavano
sbatacchiando. «Stanno arrivando!» disse Inej.
Wylan montò il pezzo di diamante sul trapano improvvisato.
L’aggeggio fece un rumore raschiante quando lo piazzarono contro il
vetro, e Jesper si mise a girare la manovella. Tu o andava
spiacevolmente per le lunghe.
«Sta almeno funzionando?» urlò disperata Inej.
«Il vetro è spesso!»
Qualcosa colpì con forza la porta alla loro destra. «Hanno un
ariete» geme e Wylan.
«Andate avanti» li incoraggiò Inej. E si tolse le scarpe.
Jesper girò la manovella più in fre a mentre la punta del trapano
ronzava. Prese a farle fare una linea curva, disegnando l’inizio di un
cerchio, poi una mezzaluna. Più veloce.
La porta di legno cominciò a scheggiarsi.
«Prendi la manovella, Wylan!» gridò Jesper.
Wylan lo sostituì, girando la punta del trapano più veloce che
poteva.
Jesper afferrò i fucili delle guardie cadute e li puntò sulla porta.
«Stanno arrivando!» urlò.
Sul vetro, le due linee si incontrarono. La luna era piena. Il cerchio
rimbalzò in fuori e si inclinò verso l’interno. Non aveva ancora
toccato il pavimento e Inej era già sca ata.
«Togliamoci di mezzo!» ordinò.
Stava correndo, i piedi leggeri e le vesti di seta come piume. In
questo momento non le dispiacevano. Aveva raggirato Heleen Van
Houden. Si era portata via un pezze o di lei, uno stupido simbolo,
però uno che lei aveva a cuore. Non era abbastanza – non sarebbe
mai stato abbastanza – ma era un inizio. Ci sarebbero state altre
maîtresse da truffare, altri schiavisti da prendere in giro. Le sue sete
erano piume, e lei era libera.
Inej si concentrò su quel cerchio di vetro – una luna, una luna
vuota, una porta sul futuro – e vi saltò dentro. Il buco era grande
appena per consentire al suo corpo di passarci in mezzo, e Inej sentì
un morbido fruscio mentre il bordo affilato lacerava la seta che la
ricopriva. Si inarcò e allungò un braccio. Avrebbe avuto
un’opportunità sola per afferrare la lanterna di ferro che pendeva dal
soffi o del recinto. Era un salto impossibile, un salto folle, ma era
ancora una volta la figlia di suo padre, e per lei le leggi di gravità
non valevano. Rimase sospesa in aria per uno spaventoso istante e
poi le sue mani strinsero la base della lanterna.
Dietro di sé, udì la porta della passerella spalancarsi e dei colpi di
armi da fuoco. Tienili lontani, Jesper. Guadagnami del tempo.
Oscillò avanti e indietro per darsi lo slancio. Un proie ile le passò
accanto. Per sbaglio? O qualcuno aveva superato Wylan e Jesper per
spararle a raverso il buco?
Quando lo slancio fu sufficiente, Inej si lasciò andare. Colpì forte
la parete. Non c’era un modo elegante per evitare l’urto, però le sue
mani si aggrapparono al ripiano in pietra sul quale erano esposte le
asce antiche. Da lì fu facile: dal ripiano alla trave al ripiano inferiore,
e poi giù, facendo un rumore sordo quando con i piedi colpì il te o
di un enorme carro armato. Scivolò dentro la torre a a cupola e
raggiunse l’abitacolo.
Girò una manopola e poi un’altra, nel tentativo di prendere il
controllo. Finalmente una delle mitragliatrici si sollevò. Inej preme e
il grille o e tu o il suo corpo tremò mentre i proie ili venivano
sparati a raffica, come grandine, contro il recinto di vetro,
rimbalzando e tintinnando in tu e le direzioni. Era il segnale
migliore che potesse lanciare a Jesper e a Wylan.
Inej poteva solo sperare di riuscire a far funzionare il cannone.
Ispezionò l’abitacolo del carro armato. Ruotò l’unica maniglia
visibile e il muso del cilindro lungo si mise in posizione. La leva era
lì, proprio come aveva de o Jesper. Lei la tirò forte. Ci fu un clic
sorprendentemente silenzioso. Poi, per un lungo orribile istante, non
accadde niente. “E se non è carico?” pensò. “Se Jesper ha ragione sul
cannone, allora i Fjerdiani sarebbero pazzi a lasciare in giro una
potenza del genere.”
Un rumore metallico risuonò da qualche parte nel carro armato.
Inej udì qualcosa rotolare verso di lei ed ebbe il pensiero terrificante
di aver commesso uno sbaglio. Il proie ile stava per cadere giù da
quella lunga canna ed esploderle in grembo. Invece, ci furono un
sibilo e uno stridio, come di metallo sfregato contro altro metallo. Il
cannone vibrò. Un boom da far esplodere la testa lacerò l’aria con una
nuvola di fumo grigio scuro.
Il proie ile colpì il vetro, frantumandolo in migliaia di pezzi
scintillanti. “Più belli dei diamanti” si meravigliò Inej, e sperò che
Wylan e Jesper avessero trovato il tempo e lo spazio per me ersi al
riparo.
A ese che la polvere si diradasse, mentre le orecchie le facevano
male. La parete di vetro non c’era più. Tu o era immobile. Poi due
funi, legate alla ringhiera della passerella, vennero giù, seguite da
Jesper e Wylan: il primo agile come un inse o, il secondo a sobbalzi,
dimenandosi come un bruco che cerca di uscire dal bozzolo.
«Ajor!» urlò Inej in Fjerdiano. Nina sarebbe stata fiera di lei.
Girò il cannone di qua e di là. Dall’altra parte della parete di vetro
ancora in piedi, sulla passerella, degli uomini gridavano. Quando la
canna ruotò nella loro direzione, si sparpagliarono in giro.
Inej udì dei passi e dei rumori metallici mentre Jesper e Wylan si
arrampicavano sul carro armato. Dal te uccio spuntò Jesper, a testa
in giù. «Me lo fai guidare?»
«Se insisti.»
Inej si fece da parte in modo che lui potesse me ersi al posto di
guida.
«Oh, ciao, caro» disse Jesper felice. Tirò un’altra leva, e il carro
armato sembrò fremere di vita propria intorno a loro mentre ru ava
p p
fumo nero. “Che razza di mostro è questo?” si domandò Inej.
«Che fracasso!» geme e.
«Che motore!» disse Jesper ridendo di gusto.
Si stavano muovendo, e non c’era un’anima in vista.
Da sopra, arrivava un rumore di spari. Evidentemente, Wylan
aveva trovato il quadro di controllo.
«Per amore dei Santi» disse Jesper a Inej. «Aiutalo a prendere la
mira!»
Inej si strinse accanto a Wylan nella torre a a cupola e puntò la
seconda mitragliatrice, aiutandolo con il fuoco di copertura mentre
le guardie irrompevano nel recinto.
Jesper stava girando il carro armato, arretrando il più possibile.
Fece fuoco una volta con il cannone. Il proie ile frantumò il recinto
di vetro, sfrecciò oltre la passerella e colpì le mura ad anello situate
dietro. Polvere bianca e frammenti di pietra andarono ovunque. Fece
fuoco di nuovo. Il secondo proie ile formò delle crepe. Jesper aveva
ammaccato le mura ad anello: era un’ammaccatura notevole, ma non
era un buco.
«Pronti?» gridò.
«Pronti» risposero Inej e Wylan all’unisono. Si accucciarono so o
la torre a. A causa del vetro, Wylan aveva dei graffi un po’ ovunque
sulle guance e sul collo. Stava sorridendo. Inej gli prese le mani e
gliele strinse. Erano entrati nella Corte di Ghiaccio zampe ando
come dei ra i. Vivi o morti, ne stavano uscendo come un esercito.
Inej udì un forte tunk e poi i rumori degli ingranaggi che giravano.
Il carro armato ruggì; era il suono di un tuono intrappolato in un
tamburo di metallo che chiedeva a gran voce di uscire. Il mezzo
arretrò, poi si lanciò in avanti. Sempre più veloce. Il carro armato
sobbalzò – dovevano essere fuori dal recinto.
«Tenetevi forte!» gridò Jesper, e andarono addosso alle
leggendarie, impenetrabili mura della Corte di Ghiaccio con uno
schianto da frantumare le mandibole. Inej e Wylan volarono indietro
e andarono a sba ere contro la parete della torre a.
Avevano sfondato le mura. Se ne andarono rombando per la
strada, i colpi sommessi dei fucili che scomparivano dietro di loro.
Inej sentì un rumore che aveva a che fare con la felicità. Si
raddrizzò e alzò lo sguardo. Wylan stava ridendo.
Si era sporto dalla torre a e stava guardando la Corte di Ghiaccio.
Quando lei lo raggiunse, vide il buco nelle mura ad anello: uno
sgorbio nero in tu a quella pietra bianca, e gli uomini ci correvano
dentro sparando invano alla scia polverosa del carro armato.
Wylan, ancora ansimante per le risate, alzò il dito medio e lo
puntò in basso. Dietro di loro c’era uno stendardo, finito nei
ba istrada del carro armato. Nonostante le macchie di fango e le
bruciature della polvere da sparo, Inej riusciva ancora a leggere:
STRYMAKT FJERDAN . Potenza Fjerdiana.
40
NINA

Emersero dall’oscurità bagnati fradici, ammaccati e rantolanti alla


luce chiara della luna. Nina si sentiva come se fosse stata presa a
pugni su tu o il corpo. I residui appiccicosi di baleen le si
raggrumarono agli angoli della bocca. Il vestito le si era sfilacciato
fino a ridursi a un brandello di stoffa, e se non fosse stata così
disperatamente e vertiginosamente felice di essere viva e di
respirare, si sarebbe potuta preoccupare del fa o che era a piedi
scalzi e praticamente nuda nella gola di un fiume del Nord, ancora a
un miglio e mezzo di distanza dal porto e dalla salvezza. In
lontananza, sentiva risuonare le campane della Corte di Ghiaccio.
Kuwei stava tossendo acqua, e Ma hias stava trascinando un Kaz
afflosciato e privo di sensi fuori dalla corrente bassa del fiume.
«Per tu i i Santi, respira?» domandò Nina.
Ma hias lo girò sulla schiena senza troppa delicatezza e iniziò a
premergli il pe o con più forza di quella stre amente necessaria.
«Dovrei... Lasciarti... Schia are...» mormorò a ritmo con il
massaggio cardiaco.
Nina avanzò cauta sulle rocce e si inginocchiò accanto a loro.
«Lascia fare a me prima che gli rompi tu e le costole. C’è polso?» Gli
preme e le dita sulla gola. «C’è, ma lo sta perdendo. Aprigli la
camicia.»
Ma hias la aiutò a strappare l’uniforme da drüskelle. Nina
posizionò una mano sul torace di Kaz, concentrandosi sul suo cuore
per forzarlo a contrarsi. Usò l’altra mano per chiudergli il naso e
tenergli la bocca aperta mentre con la bocca imme eva aria nei suoi
polmoni. I Corporalki più esperti sapevano estrarre l’acqua, ma non
aveva tempo di arrovellarsi sulle lacune del proprio addestramento.
«Vivrà?» chiese Kuwei.
Non lo so. Preme e le labbra su quelle di Kaz un’altra volta,
sincronizzando i respiri con i ba iti che pretendeva dal suo cuore.
Avanti, spregevole delinquente del Barile. Sei uscito vivo da guai peggiori.
Avvertì il cambiamento quando il cuore di Kaz prese a ba ere per
conto proprio.
Poi lui tossì, il pe o si contrasse per gli spasmi e l’acqua gli uscì dalla
bocca.
Spinse via Nina, inspirando aria.
«Stai lontana da me» disse rantolando, pulendosi la bocca con la
mano guantata. Lo sguardo era fuori fuoco. Sembrava che stesse
vedendo a raverso di lei. «Non toccarmi.»
«Sei so o shock, demjin» replicò Ma hias. «Sei quasi affogato.
Avresti dovuto affogare.»
Kaz tossì di nuovo, e tu o il suo corpo tremò. «Affogato» ripeté.
Nina annuì lentamente. «La Corte di Ghiaccio, ricordi? Il colpo
impossibile? Quasi morto? Tre milioni di kruge che ti aspe ano a
Ke erdam?»
Kaz sba é le palpebre e lo sguardo gli si schiarì. «Qua ro
milioni.»
«Lo sapevo che questo ti avrebbe riportato fra noi.»
Kaz si strofinò le mani sul viso, mentre colpi di tosse annacquati
gli squassavano ancora il pe o. «Ce l’abbiamo fa a» disse con
stupore. «Djel fa miracoli.»
«Tu non ti meriti nessun miracolo» riba é Ma hias con lo
sguardo duro. «Hai profanato il frassino sacro.»
Kaz si rimise in piedi, barcollò leggermente, fece un altro debole
respiro. «È un simbolo, Helvar. Se il tuo dio è così delicato, forse
dovresti procurartene uno nuovo. Andiamo via da qui.»
Nina alzò le mani. «Non c’è di che, ingrato mascalzone.»
«Ti dirò grazie quando saremo a bordo della Ferolind.
Muoviamoci.» Si stava già trascinando sopra le rocce che
fiancheggiavano il lato opposto della gola. «Lungo il cammino mi
spiegherete perché il nostro illustre scienziato Shu sembra uno dei
compagni di scuola di Wylan.»
Nina scrollò la testa, divisa tra il fastidio e l’ammirazione. Forse
era questo ciò che ci voleva per sopravvivere nel Barile. Non
q p p
fermarsi mai.
«È un amico?» chiese Kuwei, sce ico, in Shu.
«A volte.»
Ma hias aiutò Nina a rialzarsi e andarono tu i dietro a Kaz,
procedendo lentamente su per le pareti rocciose della gola che li
avrebbe portati dall’altra parte del ponte, e un po’ più vicini a
Djerholm. Nina non era mai stata così spossata, ma non poteva
perme ersi di riposare. Avevano il loro bo ino. Si erano spinti più in
là di ogni altra banda. Avevano fa o saltare in aria un edificio nel
cuore della Corte di Ghiaccio. Ma non sarebbero mai arrivati al porto
senza Inej e gli altri.
Andò avanti. L’unica altra opzione era sedersi su un masso e
aspe are la fine. In lontananza ci fu un rimbombo.
«Oh, Santi numi, vi prego, fate che sia Jesper» implorò mentre
uscivano dalla gola e si giravano a guardare il ponte addobbato di
nastri e rami di frassino per la festa di Hringkälla.
«Qualunque cosa stia arrivando, è grossa» disse Ma hias.
«Cosa facciamo, Kaz?»
«Aspe iamo» rispose lui mentre il rumore si faceva sempre più
forte.
«Cosa ne dici di “me iamoci al coperto”?» domandò Nina,
saltellando nervosamente da un piede all’altro. «“Non vi
preoccupate”? “Ho nascosto venti fucili in questo comodo
cespuglio”? Di’ qualcosa.»
«Cosa ne dici di qualche milione di kruge?» riba é Kaz.
Un carro armato brontolò sopra la collina, con i ba istrada che
sollevavano polvere e ghiaia. Qualcuno li stava salutando dalla
torre a – no, i qualcuno erano due. Inej e Wylan stavano urlando e
gesticolando come pazzi.
Nina fece un urlo di vi oria mentre Ma hias li fissava incredulo.
Poi non riuscì quasi a credere ai propri occhi. «Per tu i i Santi, Kaz,
sembri veramente felice.»
«Non essere ridicola» sca ò lui. Ma non c’era margine di errore.
Kaz Brekker stava sorridendo come un idiota.
«Devo supporre che li conosciamo?» chiese Kuwei.
L’euforia di Nina si dileguò quando la risposta di Fjerda all’assalto
degli Scarti apparve all’orizzonte. Una colonna di carri armati aveva
raggiunto la cima della collina e stava scendendo giù per la strada
illuminata dalla luna, alzando dai ba istrada pennacchi di polvere.
Forse Jesper non aveva chiuso il cancello dei drüskelle. O forse
avevano dei carri armati pronti fuori dalla ci adella. Considerata la
potenza di fuoco presente all’interno delle mura della Corte di
Ghiaccio, Nina immaginò che avrebbero dovuto ritenersi fortunati.
Tu avia, di certo non era così che si sentivano.
Fu solo quando Inej e Wylan arrivarono rimbombando sul ponte
che Nina riuscì a capire cosa stavano urlando: «Toglietevi di
mezzo!».
Balzarono giù dal sentiero mentre il carro armato gli ruggiva
accanto per poi fermarsi con un gran stridore di ingranaggi.
«Abbiamo un carro armato» disse Nina incantata. «Kaz, piccolo
genio inquietante, il piano ha funzionato. Ci hai fornito un carro
armato.»
«Loro ci hanno fornito un carro armato.»
«Noi ne abbiamo uno» disse Ma hias, poi indicò l’orda di metallo
e fumo che si avvicinava minacciosamente. «Loro ne hanno molti di
più.»
«Già, ma vuoi sapere cosa non hanno?» chiese Kaz mentre Jesper
ruotava il cannone del carro armato. «Un ponte.»
Uno stridio metallico risalì dalle viscere corazzate del mezzo
cingolato. Poi ci fu un’esplosione violenta, da scuotere le ossa. Nina
udì un fischio acuto quando qualcosa sfrecciò nell’aria accanto a loro
ed entrò in collisione con il ponte. I primi due piloni di sostegno
andarono in fiamme, e le scintille e le travi di legno precipitarono
nella gola di so o. Il cannone fece fuoco di nuovo. I piloni emisero
un gemito e crollarono definitivamente.
Se i Fjerdiani volevano a raversare la gola, avrebbero dovuto
farlo volando.
«Abbiamo un carro armato e un fossato» disse Nina.
«Tu i a bordo!» urlò tronfio Wylan.
Si arrampicarono sui fianchi del mezzo, aggrappandosi
disperatamente a ogni bordo e appiglio, e poi si ritrovarono a
p g pp g p
procedere sulla strada per il porto a tu a velocità.
Mentre avanzavano rumorosamente davanti ai lampioni, la gente
usciva di casa per vedere cosa stesse succedendo. Nina provò a
immaginare come dovesse apparire a questi Fjerdiani una squadra di
selvaggi come la loro. Cosa vedevano quando sporgevano le teste
dalle finestre e dalle soglie di casa? Un gruppo di ragazzini urlanti,
avvinghiati a un carro armato dipinto con i colori della bandiera di
Fjerda, che procedeva come un bizzarro carro da parata uscito dalla
sfilata: una ragazza avvolta in vesti di seta viola e un ragazzo con i
riccioli rosso e oro che sbucavano da dietro le mitragliatrici; qua ro
tizi bagnati fradici aggrappati ai fianchi con tu e le loro forze – uno
Shu con la divisa da carcerato, due drüskelle infangati, e Nina, una
ragazza mezza nuda con brandelli di chiffon turchese che gridava:
«Abbiamo un fossato!».
Quando entrarono in paese, Ma hias urlò: «Wylan, di’ a Jesper di
puntare a ovest».
Wylan si accucciò, e il carro armato sterzò a ovest.
«È la zona industriale» spiegò Ma hias. «Di no e è deserta.»
Il mezzo sferragliò sui cio oli, oscillando a destra e a sinistra, su e
giù dai marciapiedi per evitare i pochi pedoni, poi accelerò nella
zona del porto, oltre le taverne e i negozi e gli uffici di spedizione.
Kuwei inclinò la testa all’indietro, il viso raggiante di gioia. «Sento
l’odore del mare» disse felice.
Anche Nina lo sentiva. Il faro lampeggiava in lontananza. Altri
due isolati e avrebbero raggiunto la baia e la libertà. Trenta milioni
di kruge.
Con la loro parte, lei e Ma hias sarebbero potuti andare ovunque
avessero desiderato, vivere qualunque vita avessero scelto.
«Ci siamo quasi!» urlò Wylan.
Girarono un angolo, e a Nina si chiuse lo stomaco.
«Fermi!» gridò. «Fermi!»
Inutile preoccuparsi. Il carro armato si arrestò di colpo e per poco
non la scagliò via dal trespolo su cui era seduta. Il molo era proprio
davanti a loro, e subito dopo c’erano le banchine e le bandiere di
migliaia di navi sferzate dal vento. L’ora era tarda. Il molo avrebbe
dovuto essere vuoto. Invece era affollato di soldati, una fila dietro
l’altra di uniformi grigie, almeno duecento – e ogni canna di ogni
fucile era puntata dri a su di loro.
Nina riusciva ancora a sentire le campane dell’Orologio Maggiore.
Si guardò alle spalle. La Corte di Ghiaccio si stagliava minacciosa,
appollaiata sulla scogliera come un gabbiano imbronciato con le
penne arruffate, i muri di pietra bianca illuminati da so o, brillanti
nel cielo della no e.
«E questo cos’è?» chiese Wylan a Ma hias. «Non hai mai de o...»
«Devono aver cambiato le procedure di dispiegamento delle
forze.»
«Tu o il resto era uguale.»
«Non ho mai visto il Protocollo Nero in azione» ringhiò Ma hias.
«Forse ci sono sempre state delle truppe armate nel porto. Non lo
so.»
«Fate silenzio» disse Inej. «Sme etela.»
Nina sobbalzò quando una voce echeggiò sulla moltitudine di
soldati. Parlò prima in Fjerdiano, poi in Ravkiano, poi in Kerch e alla
fine in Shu. «Liberate il prigioniero Kuwei Yul-Bo. Deponete le armi
e allontanatevi dal carro armato.»
«Non spareranno» disse Ma hias. «Non rischieranno di colpire
Kuwei.»
«Non ne hanno bisogno» replicò Nina. «Guarda.»
Un prigioniero scheletrico venne lasciato passare tra le file dei
soldati. Aveva i capelli appiccicati alla fronte. Indossava una kefta
rossa rido a a brandelli, si aggrappava alla manica della guardia più
vicina e muoveva le labbra febbrilmente, come se stesse dispensando
qualche perla di disperata saggezza. Nina sapeva che stava
implorando per avere un po’ di parem.
«Uno Spaccacuore» disse, con tristezza, Ma hias.
«Ma è lontanissimo» affermò Wylan.
Nina scrollò la testa. «Non fa differenza.» Lo tenevano quaggiù
con le truppe appostate a Djerholm Bassa? Perché no? Era un’arma
migliore di qualunque fucile o carro armato.
«Vedo la Ferolind» mormorò Inej. Indicò la banchina, poco
lontana. A Nina ci volle un momento, ma poi riconobbe la bandiera
di Kerch e l’allegro vessillo della Baia Haanraadt che svolazzavano.
Erano così vicini.
Jesper avrebbe potuto sparare allo Spaccacuore. Avrebbero potuto
fiondarsi in mezzo alle truppe con il carro armato, ma non ce
l’avrebbero mai fa a ad arrivare alla nave. I Fjerdiani avrebbero
preferito me ere in pericolo la vita di Kuwei piu osto che lasciarlo
finire nelle mani di qualcun altro.
«Kaz?» chiamò Jesper da dentro il carro armato. «Questo potrebbe
essere davvero un buon momento per dire che l’avevi previsto.»
Kaz volse lo sguardo sul mare di soldati. «Questo non l’avevo
previsto.» Scrollò la testa. «Helvar, un giorno mi hai de o che sarei
rimasto a corto di trucchi. Sembra che tu abbia avuto ragione.» Le
parole erano rivolte a Ma hias, ma gli occhi erano puntati su Inej.
«Con la prigionia io ho già dato» disse lei. «Non mi avranno.»
«Non avranno vivo neanche me» disse Wylan.
Jesper sbuffò dall’abitacolo. «È assolutamente necessario che gli
troviamo degli amici più ada i.»
«Preferisco andarmene menando le mani che farmi me ere su una
picca da qualche Fjerdiano» disse Kaz.
Ma hias annuì. «Allora siamo d’accordo. Finisce qui.»
«No» sussurrò Nina. Tu i si voltarono verso di lei.
La voce che proveniva dai ranghi Fjerdiani riecheggiò un’altra
volta. «Conterò da dieci in giù. Ripeto: liberate il prigioniero Kuwei
Yul-Bo e arrendetevi. Dieci...»
Nina parlò rapida a Kuwei in Shu.
«Non capisci» replicò lui. «Una singola dose...»
«Io capisco» disse lei. Ma gli altri no. Non capirono finché non
videro Kuwei estrarre un borsellino di pelle dalla tasca. Il bordo era
macchiato di polvere color ruggine.
«No!» gridò Ma hias. Cercò di afferrare la parem, ma Nina fu più
veloce.
La voce del Fjerdiano andava avanti a blaterare: «Se e...».
«Nina, non essere sciocca» disse Inej. «Hai visto...»
«Non tu i diventano assuefa i dopo la prima dose.»
«Non vale il rischio.»
«Sei...»
«Kaz non ha più assi nella manica.» Aprì il borsellino. «Ma io sì.»
«Nina, ti prego» implorò Ma hias. Lei aveva notato la medesima
angoscia sul viso di lui quel giorno, a Elling, quando aveva pensato
che lo avesse tradito. In un certo senso adesso stava facendo la stessa
cosa, abbandonandolo un’altra volta.
«Cinque...»
La prima dose era la più forte, non era quello che avevano de o?
L’euforia e la potenza non sarebbero mai più state le stesse. Le
avrebbe inseguite per il resto della vita. O forse sarebbe stata più
forte della droga.
«Qua ro...»
Sfiorò la guancia di Ma hias. «Se le cose si me ono male, trova un
modo per farla finita, Helvar. Mi fido di te, so che farai la cosa
giusta.» Sorrise. «Di nuovo.»
«Tre...»
Quindi ge ò la testa all’indietro e si versò la parem in bocca,
inghio endola tu a in una sola volta. Aveva il sapore dolce e
caramellato dei fiori di jurda che conosceva, ma c’era anche un altro
gusto, uno che non sapeva individuare.
Smise di pensare.
Il sangue cominciò a scorrerle veloce, e il cuore prese a ba erle
con intensità. Il mondo si sgretolò in minuscoli lampi di luce.
Riusciva a vedere il colore vero degli occhi di Ma hias, l’azzurro
limpido che stava so o le macchie di grigio e marrone dalle quali era
stato ricoperto, e la luce della luna che illuminava ogni capello sulla
sua testa. Vedeva il sudore sulle sopracciglia di Kaz, le punture di
spillo quasi invisibili del tatuaggio sul suo avambraccio.
Portò lo sguardo sulle linee di soldati Fjerdiani. Era in grado di
percepire il ba ito dei loro cuori. Era in grado di vedere le
connessioni che si accendevano tra i loro neuroni, e sentire gli
impulsi che trasme evano. Tu o aveva un senso. I loro corpi erano
una mappa di cellule, un migliaio di equazioni risolte al secondo, al
millisecondo, e lei conosceva solo risposte.
«Nina?» sussurrò Ma hias.
«Muoviamoci» disse Nina, e vide la propria voce nell’aria.
Percepì lo Spaccacuore nella folla, il movimento che fece la sua
gola quando deglutì la dose. Lui sarebbe stato il primo.
41
MATTHIAS

«Due... uno...» Ma hias vide le pupille di Nina dilatarsi. Lei


dischiuse le labbra, lo spinse da parte e scese dal carro armato. L’aria
che aveva a orno sembrava scricchiolare, e la sua pelle brillava come
se da dentro fosse illuminata da qualcosa di prodigioso. Come se si
fosse abbeverata dire amente da una vena di Djel, e ora il potere del
dio fluisse nel suo corpo.
Nina si scagliò immediatamente contro lo Spaccacuore. Ruotò il
polso e gli occhi del Grisha esplosero dentro le orbite. Si accasciò
senza eme ere un suono. «Sii libero» disse lei.
Si avvicinò ai soldati. Ma hias si mosse per proteggerla appena
vide i fucili puntati. Lei alzò le mani. «Fermi» disse. I militari si
immobilizzarono.
«Deponete le armi.» Le obbedirono tu i come se fossero un uomo
solo.
«Dormite» ordinò. Nina fece fare alle mani un semicerchio, e i
soldati andarono giù senza protestare, fila dopo fila, come spighe di
grano falciate da una scure invisibile. L’aria era immobile in modo
inquietante. Lentamente, Wylan e Inej scesero dal carro armato,
seguiti da Jesper e dagli altri. Rimasero in piedi in a onito silenzio, a
guardare il campo di corpi a terra, le parole spazzate via da quello a
cui avevano appena assistito. Era successo tu o così
velocemente.Non c’era altro modo di raggiungere la banchina che
camminare sopra i soldati. Senza dire una parola cominciarono a
farsi strada, il silenzio interro o soltanto dalle campane
dell’Orologio Maggiore in lontananza. Ma hias mise la mano sul
braccio di Nina, e a lei sfuggì un piccolo sospiro quando si lasciò
guidare.
Le banchine erano deserte. Mentre gli altri puntavano alla
Ferolind, Ma hias e Nina rimasero indietro. Ma hias riusciva a
vedere Ro y aggrappato all’albero, la mascella rilasciata per la
paura. Specht stava aspe ando di togliere l’àncora alla nave, e
l’espressione sul suo viso era altre anto terrorizzata.
«Ma hias!»
Lui si voltò. Un gruppo di drüskelle era in piedi sul molo, le
uniformi fradicie, i cappucci neri sollevati. Avevano sopra il viso
delle co e di maglia di un grigio ormai sbiadito, e i loro lineamenti
erano messi in ombra dalla rete metallica. Ma hias riconobbe la voce
di Jarl Brum.
«Traditore» disse Brum da dietro la maschera. «Rinnegatore del
tuo paese e del tuo dio. Non lascerai vivo questo porto. Nessuno di
voi lo farà.» I suoi uomini dovevano averlo fa o uscire dalla camera
del tesoro dopo l’esplosione. Avevano seguito Ma hias e Nina fino al
fiume so o il frassino? C’erano dei cavalli o degli altri carri armati
appostati nella ci à alta?
Nina sollevò le mani. «Per Ma hias, vi darò la possibilità di
lasciarci andare.»
«Tu non puoi controllarci, strega» disse Brum. «I nostri cappucci,
le nostre maschere, ogni cucitura dei nostri abiti è rinforzata con
acciaio Grisha. Tu o è stato creato per noi dai Fabrikator so o il
nostro controllo, e proge ato per i nostri scopi. Non puoi
costringerci a eseguire le tue volontà. Non puoi farci nulla. Questo
gioco è arrivato alla fine.»
Nina alzò una mano. Non accadde niente, e Ma hias seppe che
quello che diceva Brum era vero.
«Vai!» Ma hias si rivolse ai drüskelle. «Per favore. Voi...»
Brum sollevò il fucile e fece fuoco. Il proie ile colpì Ma hias
dri o nel pe o. Il dolore fu improvviso e terribile, e poi sparì.
Davanti agli occhi, vide la pallo ola affiorargli dal pe o. Finì a terra
con un plinc. Ma hias si aprì la camicia. Non c’era nessuna ferita.
Nina gli passò accanto. «No!» gridò lui.
I drüskelle aprirono il fuoco su di lei. La vide trasalire mentre le
pallo ole la colpivano, e vide delle chiazze rosse di sangue fiorirle
sul pe o, sul seno, sulle cosce nude. Ma non cadde. Alla stessa
p
velocità con cui i proie ili la trapassavano lei si guariva, e i bossoli
cadevano inoffensive sul molo.
I drüskelle guardavano Nina a bocca aperta. Lei scoppiò a ridere.
«Vi siete abituati un po’ troppo ai Grisha addomesticati. Siamo
piu osto mansueti in gabbia.»
«Ci sono altri sistemi» disse Brum, estraendo dalla cintura una
frusta lunga come quella che aveva usato Lars. «I tuoi poteri non
possono toccarci, strega, e la nostra causa è giusta.»
«Non posso toccare voi» replicò Nina, alzando le mani. «Ma a loro
posso arrivare benissimo.»
Alle spalle dei drüskelle, i soldati Fjerdiani che Nina aveva messo
a dormire si alzarono, i volti spenti. Uno strappò di mano la frusta a
Brum, gli altri tirarono via i cappucci e le maschere dalle facce
allarmate dei drüskelle, rendendoli vulnerabili.
Nina contrasse le dita, e i drüskelle fecero cadere a terra i fucili,
quindi si portarono le mani alla testa e urlarono per il dolore.
«Per il mio paese» disse lei. «Per la mia gente. Per ogni bambino
che avete messo sulle pire. Raccogli quello che hai seminato, Jarl
Brum.»
Ma hias guardò i drüskelle dimenarsi e contorcersi, mentre il
sangue colava fuori dagli occhi e dalle orecchie, e i soldati Fjerdiani
stavano a guardare impassibili. Le loro urla formavano un coro.
Claas, che aveva bevuto troppo con Ma hias ad Avfalle. Giart, che
aveva insegnato al proprio lupo a mangiargli dalla mano. Erano dei
mostri, lui lo sapeva, ma erano anche dei ragazzi, dei ragazzi come
lui, a cui avevano insegnato a odiare, ad avere paura.
«Nina» disse Ma hias, la mano ancora posata sul proprio pe o, là
dove ci sarebbe dovuta essere una pallo ola. «Nina, ti prego.»
«Sai che loro non avrebbero nessuna pietà di te, Ma hias.»
«Lo so. Lo so. Ma tu, invece, lasciali vivere nella vergogna.»
Lei esitò.
«Nina, me l’hai insegnato tu a essere migliore. Anche loro
potrebbero imparare.»
Nina volse lo sguardo su di lui. Gli occhi le traboccavano di
ferocia: erano di un verde profondo, quello delle foreste, e le pupille
erano pozzi neri. L’aria intorno sembrava risplendere del suo potere,
come se lei fosse accesa da qualche fiamma segreta.
«Loro ti temono come una volta ti temevo io» disse lui. «E come
tu una volta temevi me. Siamo tu i il mostro di qualcun altro.»
Per un lungo istante, Nina studiò il suo viso. E alla fine, lasciò
cadere le braccia, e i drüskelle crollarono a terra, gemendo. Mollò la
presa anche sugli altri soldati, che ricaddero nel loro sonno, come
marione e dai fili spezzati. Poi la sua mano balzò fuori un’altra
volta, e Brum urlò. Si portò le mani alla testa, e il sangue gli gocciolò
tra le dita.
«Vivrà?» domandò Ma hias.
«Sì» disse lei mentre saliva sulla gole a. «Sarà solo molto pelato.»
Specht urlò a gran voce degli ordini, e la Ferolind lasciò il porto,
prendendo velocità grazie al vento che gonfiava le vele. Nessuno
corse lungo il molo per fermarli. Nessuna nave e nessun cannone
fece fuoco. Non c’era nessuno a dare avvertimenti, nessuno a
mandare un segnale all’artiglieria della ci adella. Le campane
dell’Orologio Maggiore suonavano inascoltate mentre la gole a si
dileguava dentro l’immenso rifugio nero del mare, lasciando solo
sofferenza sulla propria scia.
42
INEJ

Erano stati benede i da un vento forte. Inej sentiva che le arruffava i


capelli e non poteva fare a meno di pensare alla tempesta in arrivo.
Non appena furono sul ponte, Ma hias si era rivolto a Kuwei.
«Per quanto ne avrà?»
Il ragazzo conosceva qualche parola di Kerch, ma Nina a tra i
doveva tradurre. Lo faceva distra amente, mentre gli occhi
scintillanti vagavano su tu i e tu o.
«L’effe o durerà un’ora, forse due. Dipende da quanto ci me e il
suo corpo a processare una dose di quelle dimensioni.»
«Perché non puoi eliminarla dal tuo corpo come se fosse una
pallo ola?» chiese disperatamente Ma hias a Nina.
«Non funziona così» disse Kuwei. «Anche se riuscisse a vincere il
desiderio abbastanza a lungo da iniziare a spurgare la parem,
perderebbe l’abilità di estrarla dal suo corpo prima di aver finito. Ci
servirebbe un altro Corporalki so o l’effe o della parem per ultimare
il processo.»
«Che cosa le accadrà?» domandò Wylan.
«L’hai visto con i tuoi occhi» rispose duro Ma hias. «Sappiamo
tu i cosa accadrà.»
Kaz incrociò le braccia. «Come inizierà?»
«Dolori muscolari, brividi, niente di peggio di una mala ia lieve»
spiegò Kuwei. «Poi una specie di ipersensibilità, a cui faranno
seguito forti tremori e un desiderio spasmodico.»
«Hai dell’altra parem?» domandò Ma hias.
«Sì.»
«Abbastanza per riportarla a Ke erdam?»
«Non ne prenderò dell’altra» protestò Nina.
«Ne ho abbastanza per farti stare tranquilla» disse Kuwei. «Ma se
prendi un’altra dose, non ci sarà più nessuna speranza.» Guardò
Ma hias. «Questa è la sua unica possibilità. Il suo corpo potrebbe
eliminarne naturalmente in quantità sufficiente perché non si crei la
dipendenza.»
«E se invece diventasse dipendente?»
Kuwei fece un gesto con le mani, in parte di ignoranza, in parte di
scuse. «Senza un’altra dose in tempi brevi, impazzirà. Il suo corpo
semplicemente si consumerà. Conosci la parola parem? È stato mio
padre a chiamare così la droga. Significa “senza pietà”.»
Quando Nina finì di tradurre, ci fu una lunga pausa.
«Non voglio sentire altro» disse lei. «Niente potrà cambiare quello
che sta per succedere.»
Si allontanò verso la prua. Ma hias la osservò andare via.
«L’acqua sente e capisce» mormorò so ovoce.
Inej andò in cerca di Ro y e gli fece tirar fuori le giacche di lana
che lei e Nina avevano lasciato a bordo per sostituirle con
l’a rezzatura invernale, quando erano sbarcati sulla riva del Nord.
Trovò Nina vicino alla prua, lo sguardo rivolto al mare.
«Un’ora, forse due» disse Nina senza voltarsi.
Inej si fermò, scioccata. «Mi hai sentita mentre mi avvicinavo?»
Nessuno sentiva lo Spe ro, specialmente con il rumore di fondo del
vento e del mare.
«Non preoccuparti. Non sono stati quei piedi silenziosi a tradirti.
Sono io che posso sentire il tuo polso e il tuo respiro.»
«E hai capito che ero io?»
«Ogni cuore ba e in modo diverso. Non me ne ero mai accorta
prima.»
Inej la raggiunse alla balaustra e porse a Nina la sua giacca. La
Grisha se la infilò, anche se il freddo non sembrava darle fastidio.
Sopra di loro, le stelle brillavano luminose tra le nuvole argentate.
Inej era pronta ad affrontare l’alba, pronta a veder finire questa lunga
no e, e pronta anche a intraprendere il viaggio. Scoprì, con sorpresa,
che era impaziente di rivedere Ke erdam. Desiderava una fri ata, e
una tazza di caffè dolcissimo. Voleva sentire la pioggia sui te i e
me ersi a sedere, comoda e al caldo, nella sua minuscola stanze a
allo Slat. Nuove avventure erano in arrivo, ma potevano aspe are
che lei si facesse un bagno caldo, e magari più di uno.
Nina seppellì il viso nel colle o di lana della giacca e disse: «Mi
piacerebbe che tu potessi vedere quello che vedo io. Posso sentire
tu i su questa barca, il sangue che scorre nelle loro vene. Posso
sentire come cambia il respiro di Kaz quando ti guarda».
«Tu... puoi?»
«Gli si mozza il fiato ogni volta, come se non ti avesse mai visto
prima.»
«E cosa mi dici di Ma hias?» chiese Inej, impaziente di cambiare
argomento.
Nina sollevò un sopracciglio, non ci era cascata. «Ma hias ha
paura per me, ma il suo cuore ba e a un ritmo costante sempre, a
prescindere da quello che prova. Così Fjerdiano, così disciplinato.»
«Non credevo che avresti lasciato vivere quegli uomini, al porto.»
«Non sono sicura che fosse la cosa giusta da fare. Diventerò
l’ennesima storia dell’orrore Grisha che racconteranno ai loro
bambini.»
«Fate i bravi o verrà a prendervi Nina Zenik?»
Nina ci rifle é. «Sai che c’è? Mi piace come suona.»
Inej si appoggiò alla balaustra e la osservò. «Sembri raggiante.»
«Non durerà.»
«Non dura mai.» Poi il sorriso di Inej vacillò. «Hai paura?»
«Da morire.»
«Saremo tu i qui con te.»
Nina fece un respiro debole e annuì.
Inej si era fa a un’infinità di alleati a Ke erdam, ma pochi amici.
Posò la testa sulla spalla di Nina. «Se fossi una veggente Suli» disse
«potrei prevedere il futuro e dirti che andrà tu o bene.»
«O che morirò tra atroci tormenti.» Nina preme e la guancia sulla
testa di Inej. «Dimmi qualcosa di bello comunque.»
«Andrà tu o bene. Supererai questa cosa. E poi diventerai molto,
molto ricca. Ogni no e ti esibirai in canti marinareschi e canzonacce
da ubriaconi nei cabaret dello Stave dell’Est, e darai mazze e a tu i
per ricevere un’ovazione dopo ogni brano.»
Nina rise dolcemente. «Compriamo il Serraglio.»
p g
Inej sorrise, pensando alla propria futura barche a.
«Compriamolo e riduciamolo in cenere.»
Guardarono le onde per un po’. «Pronta?» domandò Nina.
Inej fu felice di non averlo dovuto chiedere lei. Sollevò la manica,
scoprendo le piume di pavone e la pelle chiazzata so o il tatuaggio.
Ci vollero solo un breve istante e il tocco morbidissimo delle dita
di Nina. Il prurito fu intenso ma passò subito. Quando il formicolio
svanì, la pelle dell’avambraccio era perfe a: fin quasi troppo liscia e
senza segni, come se avesse una zona del corpo nuova.
Inej si sfiorò la pelle delicata. Così, all’improvviso, era tu o finito.
Se soltanto si fosse potuta cancellare a quel modo ogni ferita.
Nina le diede un bacio sulla guancia. «Vado a cercare Ma hias
prima che le cose si me ano male.»
Ma quando si allontanò, Inej vide l’altro motivo per cui Nina se ne
era andata. Kaz era in piedi nell’ombra accanto all’albero. Indossava
una giacca pesante e si appoggiava al bastone con la testa di corvo:
sembrava quasi se stesso, di nuovo. I pugnali di Inej erano nella stiva
con le altre sue cose. Gli artigli le erano mancati.
Kaz bisbigliò qualcosa a Nina, e la Grisha inarcò la schiena per la
sorpresa. Inej non riuscì a cogliere quello che si dissero, ma capì che
si tra ava di uno scambio carico di tensione, dopo il quale Nina fece
un verso esasperato e sparì so ocoperta.
«Cos’hai de o a Nina?» domandò Inej quando lui la raggiunse
alla balaustra.
«Mi serve che faccia un lavoro.»
«Sta per affrontare un calvario...»
«Il lavoro va fa o comunque.»
Kaz il pragmatico. Perché perme ere all’empatia di interferire?
Ma forse Nina avrebbe apprezzato il passatempo.
Rimasero in piedi, insieme, a guardare le onde, il silenzio che si
allungava fra loro.
«Siamo vivi» disse lui alla fine.
«Pare che tu abbia pregato il dio giusto.»
«O che abbia viaggiato con le persone giuste.»
Inej scrollò le spalle. «Chi sceglie i nostri sentieri?» Lui non disse
niente, e a lei toccò sorridere. «Nessuna tagliente risposta a tono?
g p
Nessuna risata di scherno per i miei proverbi Suli?»
Lui fece scorrere il pollice guantato sulla balaustra. «No.»
«Come faremo a incontrare il Consiglio dei Mercanti?»
«Quando saremo a qualche miglio di distanza da Ke erdam, io e
Ro y prenderemo una scialuppa e remeremo verso il porto.
Cercheremo un fa orino che avvisi Van Eck di procedere con lo
scambio a Vallgeluk.»
Inej rabbrividì. L’isola era famosa tra gli schiavisti e i
contrabbandieri. «È stata una scelta tua o del Consiglio?»
«È stato Van Eck a suggerire Vellgeluk.»
Inej aggro ò la fronte. «Come fa un mercante a conoscere
Vellgeluk?»
«Uno scambio è uno scambio. Forse Van Eck non è esa amente
l’integerrimo mercante che vuol dar a vedere.»
Rimasero in silenzio per un po’. Alla fine, lei disse: «Imparerò a
navigare a vela».
Kaz corrugò la fronte e le rivolse un’occhiata sorpresa. «Davvero?
E perché?»
«Voglio usare i miei soldi per assoldare una banda ed
equipaggiare una nave.» Dirlo a voce alta le avvolse il respiro in un
rocche o d’ansia. Sentiva che il suo sogno era ancora fragile. Non
voleva che l’opinione di Kaz avesse importanza per lei, ma l’aveva.
«Darò la caccia agli schiavisti.»
«Uno scopo» disse lui, pensoso. «Lo sai, non puoi fermarli tu i.»
«Se non ci provo, non ne fermerò neanche uno.»
«Allora ho quasi pena per gli schiavisti» disse Kaz. «Non hanno
idea di che cosa li aspe i.»
Un rossore compiaciuto le scaldò le guance. Del resto, Kaz non
aveva sempre creduto che lei fosse pericolosa?
Inej bilanciò i gomiti sulla balaustra e adagiò il mento tra i palmi
delle mani. «Però prima andrò a casa.»
«A Ravka?»
Lei annuì.
«A cercare la tua famiglia.»
«Sì.» Soltanto due giorni prima si sarebbe fermata qui, e avrebbe
rispe ato il loro reciproco accordo di andarci piano, con il passato.
p p p p
Ora invece disse: «Non c’era nessun altro, Kaz, a parte tuo fratello?
Dove sono tua madre e tuo padre?».
«I ragazzi del Barile non hanno genitori. Siamo nati nel porto e
strisciati fuori dai canali.»
Inej scosse la testa. Guardò il mare muoversi e sospirare, ogni
onda un respiro. Riusciva appena a distinguere la linea
dell’orizzonte, la quasi imperce ibile differenza tra il cielo nero e il
mare ancora più nero.
Pensò ai propri genitori. Era lontana da loro da quasi tre anni.
Sarebbero stati ancora gli stessi? Sarebbe stata ancora loro figlia?
Forse non subito. Ma voleva sedersi insieme a suo padre sugli scalini
del carrozzone a mangiare la fru a degli alberi. Voleva vedere sua
madre togliersi la polvere di gesso dalle mani prima di preparare la
cena. Voleva l’erba alta del Sud e il cielo immenso che stava sopra le
Montagne Sikurzoi. Quello di cui aveva bisogno la stava aspe ando
là. Di che cosa aveva bisogno Kaz?
«Stai per diventare ricco, Kaz. Cosa farai quando non ci saranno
più sangue da spargere o vende e da o enere?»
«Non finiscono mai.»
«Più soldi, più caos, più conti in sospeso da regolare. Non hai mai
avuto un altro sogno?»
Lui non disse niente. Cos’era stato a svuotare il suo cuore di tu a la
speranza? Forse non l’avrebbe mai saputo.
Inej si voltò per andarsene. Kaz le prese la mano, bloccandola
sulla balaustra. Non la guardò. «Resta» disse, la voce rauca come
pietra grezza. «Resta a Ke erdam. Resta con me.»
Inej abbassò gli occhi a guardare la mano guantata di lui che
stringeva la sua. Tu o dentro di lei voleva dire di sì, ma non si
sarebbe accontentata di così poco, non dopo quello che aveva
passato. «A cosa servirebbe?»
Lui inspirò a fondo. «Voglio che resti. Voglio che... Io voglio te.»
«Tu vuoi me.» Lei rimuginò su quelle parole. Delicatamente, gli
strinse la mano. «E come mi avrai, Kaz?»
Lui a quel punto la guardò, gli occhi rabbiosi, la bocca serrata. Era
la faccia che faceva quando comba eva.
«Come mi avrai?» ripeté lei. «Vestito da capo a piedi, con i guanti
infilati, e la testa girata dall’altra parte in modo che le nostre labbra
non si tocchino mai?»
Lui le lasciò andare la mano e raddrizzò le spalle, lo sguardo
furioso e imbarazzato mentre si girava a fronteggiare il mare.
Forse fu perché le dava le spalle che lei riuscì a pronunciare quelle
parole. «Io ti avrò senza corazza, Kaz Brekker. O non ti avrò per
niente.»
“Parla” lo implorò in silenzio. “Dammi un motivo per restare.” Al
di là di tu o il suo egoismo e tu a la sua crudeltà, Kaz restava il
ragazzo che l’aveva salvata. E lei voleva credere che anche lui
potesse essere salvato.
Le vele scricchiolarono. Le nuvole si divisero per far spazio alla
luna e le si radunarono a orno.
Inej lasciò Kaz in compagnia del vento che ululava e dell’alba
ancora lontana.
43
NINA

I dolori iniziarono all’alba. Un’ora dopo, Nina si sentiva come se le


ossa stessero cercando di scardinare le articolazioni.
Era sdraiata sopra lo stesso tavolo su cui aveva guarito Inej dalla
pugnalata. I suoi sensi erano ancora così acuti che riusciva a sentire
l’odore ramato del sangue so o quello del disinfe ante che Ro y
aveva usato per pulire il legno. Il sangue aveva l’odore di Inej.
Ma hias era seduto accanto a lei. Aveva provato a prenderle la
mano, ma il dolore era troppo forte. A conta o con la pelle di lui, la
sua sfrigolava come carne viva. Vedeva tu o sbagliato. Sentiva tu o
sbagliato. Riusciva soltanto a pensare al sapore dolce e caramellato
della parem. La gola le prudeva. La pelle le era nemica.
Quando cominciarono i tremori, lei lo pregò di andare via.
«Non voglio che mi vedi in questo stato» disse, cercando di
rotolare su un fianco.
Lui cacciò via dalla fronte i capelli umidi. «Come va?»
«Male.» Ma sapeva che poi sarebbe andata peggio.
«Vuoi provare la jurda?» Secondo Kuwei piccole dosi di jurda
comune avrebbero potuto aiutare Nina ad affrontare la giornata.
Lei scosse la testa. «Voglio... voglio... per tu i i Santi, perché fa
così caldo qui?» Nonostante il dolore, provò a tirarsi su. «Non darmi
un’altra dose. Qualunque cosa io dica, Ma hias, non importa quanto
implorerò. Non voglio diventare come Nestor, come quei Grisha
nelle celle.»
«Nina, Kuwei ha de o che l’astinenza potrebbe ucciderti. Io non ti
lascerò morire.»
Kuwei. Nella camera del tesoro Ma hias aveva de o: “È uno di
noi”. Le piaceva quella parola. Noi. Una parola senza divisioni e
senza confini. Sembrava piena di speranza.
p p
Nina ricadde all’indietro, e tu o il suo corpo si ribellò. I vestiti
erano come vetri ro i. «Avrei dovuto uccidere quei drüskelle.»
«Siamo tu i peccatori, Nina. Io ho bisogno che tu viva per poter
espiare le mie colpe.»
«Puoi farlo senza di me, lo sai.»
Lui seppellì la testa nelle mani. «Non voglio.»
«Ma hias» disse lei, passando le dita tra i suoi capelli. Faceva
male. Il mondo faceva male. Toccarlo le faceva male, ma lo sopportò.
Avrebbe potuto non averne più la possibilità. «Non mi dispiace.»
Lui le prese la mano e le baciò le nocche delicatamente. Lei trasalì,
ma quando lui provò ad allontanarsi, Nina lo strinse più forte.
«Rimani» disse ansimando. Le lacrime le sgorgarono dagli occhi.
«Rimani fino alla fine.»
«E oltre» disse lui. «Per sempre.»
«Voglio sentirmi al sicuro di nuovo. Voglio tornare a casa, a
Ravka.»
«Allora ti ci porterò. Daremo fuoco all’uve a e tu o il resto che
fate voi pagani per divertirvi.»
«Fanatico» disse lei debolmente.
«Strega.»
«Barbaro.»
«Nina» sussurrò lui, «piccolo cardellino. Non andare via.»
44
JESPER

Mentre la gole a sfrecciava verso sud, era come se l’intero


equipaggio fosse seduto di guardia. Tu i parlavano a bassa voce e
camminavano silenziosamente sul ponte. Jesper era preoccupato per
Nina come chiunque altro – a parte Ma hias, immaginò – ma quel
rispe oso silenzio era duro da sopportare. Aveva bisogno di
qualcosa a cui sparare.
La Ferolind sembrava una nave fantasma. Ma hias era segregato
con Nina, e aveva chiesto a Wylan di aiutarlo ad assisterla perché,
anche se non amava la chimica, si intendeva di pozioni e composti
più di chiunque altro dell’equipaggio, ecce o Kuwei, ma Ma hias
non capiva la metà di quello che diceva quel ragazzo. Jesper non
aveva più visto Wylan da quando avevano lasciato il porto di
Djerholm, e gli toccava amme ere che gli dispiaceva di non avere
a orno il mercantuccio da stuzzicare. Kuwei era piu osto
amichevole, ma il suo Kerch era approssimativo, e sembrava che non
gli piacesse tanto parlare. A volte, di no e, appariva sul ponte e
rimaneva in piedi in silenzio accanto a Jesper, a guardare le onde.
Era un po’ inquietante. Soltanto Inej voleva chiacchierare con tu i, e
questo perché sembrava aver sviluppato un intenso interesse per la
nautica. Trascorreva la maggior parte del tempo con Specht e Ro y,
a farsi insegnare come fare i nodi e manovrare le vele.
Jesper aveva sempre saputo che c’erano buone probabilità di non
fare alcun viaggio di ritorno, di finire nelle celle della Corte di
Ghiaccio o infilzati sulle picche. Ma nella sua immaginazione, se
fossero riusciti a portare a termine il compito impossibile di liberare
Yul-Bayur e tornare alla Ferolind, la traversata verso Ke erdam
sarebbe stata una festa. Si sarebbero scolati qualunque cosa Specht
avesse messo da parte sulla barca, si sarebbero sbafati fino all’ultima
p
caramella al la e di Nina, si sarebbero raccontati per l’ennesima
volta di quando l’avevano scampata bella e di quando l’avevano
svangata alla grande. Di contro, non avrebbe mai previsto il modo in
cui erano stati tenuti so o tiro al porto, e mai e poi mai avrebbe
immaginato quello che aveva fa o Nina per tirarli fuori.
Jesper era preoccupato per lei, ma pensarci lo faceva sentire in
colpa. Quando erano saliti a bordo della gole a e Kuwei aveva
spiegato come funzionava la parem, una vocina interiore gli aveva
de o che avrebbe dovuto offrirsi anche lui di prendere la droga.
Anche se era un Fabrikator inesperto, forse avrebbe potuto dare una
mano a tirar fuori la parem dal corpo di Nina e liberarla. Ma quella
era la voce di un eroe, e Jesper aveva smesso da tempo di pensare a
se stesso come a un eroe. Diavolo, un eroe si sarebbe offerto di
assumere la parem nel momento in cui si erano trovati di fronte i
Fjerdiani al porto.
Quando finalmente Kerch apparve all’orizzonte, Jesper sentì uno
strano miscuglio di sollievo e trepidazione. Le loro vite erano sul
punto di cambiare in modi che non sembravano ancora reali.
Bu arono l’àncora, e quando sopraggiunse la no e, Jesper chiese
a Kaz se poteva unirsi a lui e a Ro y nella scialuppa e remare con
loro verso Quinto Porto. Non che ce ne fosse bisogno, ma Jesper era
alla disperata ricerca di qualcosa da fare.
La confusione che regnava a Ke erdam non era cambiata: navi
che scaricavano le merci sulle banchine, turisti e soldati in licenza
che si riversavano fuori dalle barche, ridendo e gridando tra loro
mentre puntavano al Barile.
«Sembra la stessa ci à di quando siamo partiti» disse Jesper.
Kaz alzò un sopracciglio. Era tornato a indossare il suo elegante
completo grigio e nero e la crava a bianca. «Che cosa ti aspe avi?»
«Non lo so, esa amente» ammise Jesper.
Si sentiva diverso, anche se ai fianchi c’era il peso familiare delle
rivoltelle con il manico di perla e sulla schiena un fucile. Continuava
a pensare a quella donna Scuotiacque, che urlava nel cortile dei
drüskelle con la faccia annerita. Si guardò le mani. Voleva essere un
Fabrikator? Vivere come uno di loro? Non poteva fare a meno di
essere chi era, ma voleva coltivare il proprio potere o continuare a
tenerlo nascosto?
Kaz lasciò Ro y e Jesper sul molo mentre lui andava a cercare un
corriere che portasse un messaggio a Van Eck. Jesper voleva seguirlo,
ma Kaz gli disse di restare lì. Scocciato, ne approfi ò per sgranchirsi
le gambe, consapevole che Ro y lo stava osservando. Ebbe la ne a
sensazione che Kaz avesse de o al capitano di tenerlo d’occhio.
Pensava che sarebbe schizzato dri o nella bisca più vicina?
Alzò lo sguardo verso il cielo nuvoloso. Perché non amme erlo?
Era tentato. Moriva dalla voglia di una partita a carte. Forse avrebbe
dovuto veramente andarsene da Ke erdam. Una volta o enuto il
denaro e pagati i debiti, avrebbe potuto andare ovunque. Compresa
Ravka. Se tu o si fosse messo per il verso giusto, Nina si sarebbe
ripresa, e quando fosse tornata in sé, Jesper avrebbe potuto sedersi
con lei per capire come fare. Senza impegno, ma avrebbe almeno
potuto visitarla, no?
Mezz’ora dopo, Kaz fece ritorno con un messaggio che
confermava che l’incontro con i rappresentanti del Consiglio dei
Mercanti si sarebbe svolto a Vellgeluk all’alba del giorno dopo.
«Guarda qua» disse Kaz, tenendo il foglio in mano per farlo
leggere a Jesper. So o i de agli dell’incontro c’era scri o:
CONGRATULAZIONI. IL VOSTRO PAESE VI RINGRAZIA.
A quelle parole Jesper provò una strana sensazione, ma scoppiò a
ridere e disse: «L’importante è che il mio paese paghi in contanti. Il
Consiglio lo sa che lo scienziato è morto?».
«C’era scri o tu o nel mio biglie ino per Van Eck» disse Kaz. «Gli
ho de o che Bo Yul-Bayur è morto, ma che il figlio è vivo e che stava
lavorando alla jurda parem per i Fjerdiani.»
«Ha tirato sul prezzo?»
«Non nel messaggio. Ha espresso la sua “profonda apprensione”
ma non ha fa o cenno ai soldi della ricompensa. Noi il nostro lavoro
lo abbiamo fa o. Vedremo se tenterà di o enere uno sconto quando
saremo a Vellgeluk.»
Mentre remavano per fare ritorno alla Ferolind, Jesper domandò:
«Wylan verrà con noi all’incontro con Van Eck?».
«No» disse Kaz, tamburellando con le dita sulla testa di corvo del
bastone. «Ci sarà Ma hias con noi, e qualcuno dovrà restare con
Nina. E poi, se ci servirà usare Wylan per forzare la mano di suo
padre, è meglio che non scopriamo le nostre carte troppo presto.»
Aveva senso. E qualunque fosse il motivo della discordia tra
Wylan e suo padre, Jesper dubitava che a Wylan facesse piacere
discuterne davanti agli Scarti.
Trascorse una no e insonne a rigirarsi nell’amaca e si svegliò alle
luci di un’alba grigia e umida. Non c’era vento, e il mare sembrava
pia o e vitreo come uno stagno.
«Un cielo ostinato» mormorò Inej, puntando lo sguardo verso
Vellgeluk. Aveva ragione. Non c’erano nubi all’orizzonte, ma l’aria
era densa di umidità, come se il temporale si stesse semplicemente
rifiutando di arrivare.
Jesper scrutò il ponte vuoto. Aveva dato per scontato che Wylan
sarebbe venuto a salutarli, ma Nina non poteva essere lasciata da
sola.
«Come sta?» chiese a Ma hias.
«È debole» disse il Fjerdiano. «Non è riuscita a dormire. Ma noi,
in compenso, siamo riusciti a farle bere un po’ di brodo, e sembra
che lo stia tra enendo in corpo.»
Jesper si rendeva conto di essere stupido ed egoista, ma una parte
meschina di lui si domandava se Wylan si fosse tenuto alla larga da
lui di proposito durante il viaggio di ritorno. Forse ora che il lavoro
era finito ed era sul punto di incassare la sua parte di ricompensa,
Wylan aveva chiuso con i criminali dei bassifondi.
«Dov’è l’altra scialuppa?» domandò Jesper mentre lui, Kaz,
Ma hias, Inej e Kuwei si allontanavano remando dalla Ferolind
insieme a Ro y.
«A riparare» disse Kaz.
Vellgeluk era così pia a che, una volta partiti, divenne a
malapena visibile. L’isola era larga meno di un miglio, una macchia
brulla di sabbia e roccia che si era fa a un nome solo per via dei
ruderi di una vecchia torre usata dal Consiglio delle Maree. I
contrabbandieri l’avevano chiamata Vellgeluk, “buona fortuna”, a
causa dei dipinti ancora visibili a orno alla base di quello che
p q
doveva essere stata la torre dell’obelisco: cerchi dorati che
rappresentavano monete, simboli del favore di Ghezen, il dio
dell’industria e del commercio. Jesper e Kaz erano già stati in
precedenza sull’isola, per incontrare dei trafficanti. Era lontana dai
porti di Ke erdam, ben oltre i giri di pa uglia della guardia
portuale, e non c’erano edifici o insenature nascoste dalle quali
tendere un’imboscata. Il luogo d’incontro ideale quando si deve
essere prudenti.
C’era un brigantino ormeggiato al largo della riva opposta
dell’isola, le cui vele penzolavano flosce e inutili. Jesper l’aveva
osservato muoversi lentamente da Ke erdam all’alba, un puntino
nero che si era poi trasformato in una macchia gigante all’orizzonte.
Sentì i marinai chiamarsi l’un l’altro mentre remavano. Ora
l’equipaggio calò in acqua una scialuppa con degli uomini
ammassati dentro.
Quando a raccarono, Jesper e gli altri balzarono fuori per
trascinarla sulla sabbia. Lui controllò le proprie rivoltelle, e vide che
Inej passava rapida le dita su ciascun pugnale e intanto muoveva le
labbra. Ma hias si sistemò il fucile che aveva a tracolla e sciolse le
enormi spalle. Kuwei osservò tu o in silenzio.
«Bene» disse Kaz. «Andiamo a diventare ricchi.»
«Nessun rimpianto» disse Ro y, me endosi comodo nella
scialuppa ad aspe are.
«Nessun funerale» replicarono gli altri.
Camminarono spediti verso il centro dell’isola, Kuwei dietro Kaz,
con accanto Jesper e Inej. Mentre arrivavano, Jesper vide avvicinarsi
qualcuno con i vestiti neri da mercante, accompagnato da uno Shu di
alta statura, i capelli scuri legati alla nuca, e seguito da uno
squadrone della stadwatch con la giacca viola, tu i armati di
manganelli e fucili a ripetizione. Due uomini trascinavano un baule,
barcollando un po’ a causa del peso.
«Ecco come sono trenta milioni di kruge» disse Kaz.
Jesper fece un fischio. «Speriamo che la scialuppa non affondi.»
«Soltanto lei, Van Eck?» domandò Kaz all’uomo in nero. «Il resto
del Consiglio non voleva essere disturbato?»
Così quello era Van Eck. Era più magro di Wylan, e l’a accatura
dei capelli era più alta, ma Jesper riusciva a cogliere la ne a
somiglianza.
«Il Consiglio ha ritenuto che io fossi il più ada o per
quest’incarico, dal momento che abbiamo già avuto modo di tra are
in passato.»
«Bella spilla» disse Kaz lanciando un’occhiata al rubino a accato
alla crava a di Van Eck. «Mai quanto quella dell’altra volta.»
Van Eck piegò leggermente le labbra. «L’altra era un cimelio di
famiglia. Ebbene?» disse rivolgendosi allo Shu accanto a lui.
Lo Shu replicò: «Quello è Kuwei Yul-Bo. È da un anno che non lo
vedo. È un po’ più alto adesso, ma è la copia sputata del padre».
Disse qualcosa a Kuwei in Shu e fece un piccolo inchino.
Kuwei guardò Kaz, poi si inchinò a propria volta. Jesper notò un
velo di sudore sulla sua fronte.
Van Eck sorrise. «Amme erò che sono sorpreso, signor Brekker.
Sorpreso ma lieto.»
«Non pensava che ci saremmo riusciti.»
«Diciamo che vi ritenevo una scommessa azzardata.»
«È per questo che ha tenuto il piede in due scarpe?»
«Ah, ha avuto modo di parlare con Pekka Rollins.»
«È piu osto loquace quando lo si me e nello stato d’animo
giusto» disse Kaz, e a Jesper tornò in mente il sangue sulla sua
casacca in prigione. «Mi ha raccontato che lei ha stipulato un
contra o anche con lui e con i Centesimi di Leone perché si
me essero sulle orme di Yul-Bayur per conto del Consiglio dei
Mercanti.»
Con una fi a di disagio, Jesper si domandò che cos’altro potesse
aver de o Rollins a Kaz.
Van Eck si strinse nelle spalle. «Meglio andare sul sicuro.»
«E chi se ne importa se una colonia di ra i si fa reciprocamente a
pezzi per inseguire una ricompensa, dico bene?»
«Le probabilità di successo erano poche per tu i. Da
scomme itore, confido nella sua comprensione.»
Jesper non aveva mai pensato a Kaz come a uno scomme itore.
Gli scomme itori lasciano qualcosa al caso.
q
«Trenta milioni di kruge leniranno i miei sentimenti feriti» disse
Kaz.
Van Eck fece un cenno alle guardie dietro di lui. Loro sollevarono
il baule e lo deposero di fronte a Kaz. Lui si accovacciò e aprì il
coperchio. Anche da lontano, Jesper riuscì a vedere le mazze e di
banconote Kerch color viola molto pallido, decorate con i tre pesci
volanti, file e file di mazze e, rilegate da fasce e di carta sigillate con
la cera.
Inej tra enne il fiato.
«Persino le vostre banconote hanno un colore bizzarro» disse
Ma hias.
Jesper voleva immergere le mani in quello splendido baule.
Voleva farci il bagno dentro. «Mi sa che sto sbavando.»
Kaz estrasse una mazze a e la sfiorò con un pollice guantato, poi
scavò di strato in strato per accertarsi che Van Eck non stesse
provando a farli fessi.
«Ci sono tu i» disse.
Si guardò alle spalle e fece segno a Kuwei di farsi avanti. Il
ragazzo percorse la breve distanza e Van Eck gli indicò di me ersi di
fianco a lui, dandogli una pacca sulla schiena.
Kaz si alzò. «Bene, Van Eck. Mi piacerebbe poter dire che è stato
un piacere, ma non sono un bugiardo di quel livello. Noi togliamo il
disturbo.»
Van Eck si mise davanti a Kuwei e disse: «Temo di non poterlo
perme ere, signor Brekker».
Kaz si appoggiò al bastone e osservò il mercante intensamente.
«C’è qualche problema?»
«Ne conto diversi proprio di fronte a me. E non è possibile, per
nessuno di voi, andarsene da quest’isola.»
Van Eck estrasse di tasca un fischie o e soffiò una nota acuta e
stridula. Nello stesso momento, i suoi servitori sollevarono le armi e
dal nulla si alzò un vento di burrasca innaturale che ululava e
turbinava sull’isole a mentre il mare si sollevava.
I marinai accanto alla scialuppa del brigantino sollevarono le
braccia, e le onde si radunarono dietro di loro.
«Scuotiacque» ringhiò Ma hias, allungando la mano verso il
fucile.
Poi due sagome si lanciarono fuori dal ponte del brigantino.
«Chiamatempeste!» urlò Jesper. «Stanno usando la parem!»
I Chiamatempeste volteggiarono in cerchio nel cielo, e il vento
frustava l’aria a orno a loro.
«Si è tenuto una parte della scorta spedita da Yul-Bayur al
Consiglio» disse Kaz, strizzando gli occhi.
I Grisha sollevarono le braccia, e il vento fece un verso forte e
acuto.
Jesper mise le mani sulle rivoltelle. Non aveva voluto qualcosa a
cui sparare? “Mi sa che questo posto porta davvero fortuna” pensò
con un brivido di eccitazione. “Sembra che io stia per veder esaudito
il mio desiderio.”
45
KAZ

«Un pa o è un pa o, Van Eck» disse Kaz sopra i rumori della


tempesta che cresceva. «Se il Consiglio dei Mercanti manca di
onorare questo accordo, nessuno nel Barile farà più affari con voi. La
vostra parola non varrà più nulla.»
«Sarebbe un problema, signor Brekker, se il Consiglio sapesse
qualcosa di questo accordo.»
Comprese tu o in un lampo. «Non sono mai stati coinvolti» disse
Kaz. Perché aveva creduto che Van Eck avesse la benedizione del
Consiglio dei Mercanti? Perché era ricco e onesto? Perché aveva
vestito i propri servitori e i propri soldati con la divisa viola della
stadwatch? Kaz aveva incontrato Van Eck nella casa di un mercante
in quarantena, non in un edificio governativo, eppure era stato
imbrogliato da qualche semplice a rezzo di scena. Si tra ava di
nuovo di Her oon e della sua caffe eria, solo che ora Kaz avrebbe
dovuto essere grande abbastanza da non farsi prendere in giro.
«Era lei a volere Yul-Bayur. Era lei a volere la formula della
parem.»
Van Eck ammise la verità con un semplice cenno della testa. «La
neutralità è un lusso che Kerch si è concessa troppo a lungo. I
membri del Consiglio pensano che le loro ricchezze li proteggano,
che possano sedersi in un angolo e contare i soldi mentre il mondo
litiga.»
«E lei ne sa più di loro?»
«Assolutamente sì. La jurda parem non è un segreto che si può
custodire o cancellare o nascondere in una capanna alla frontiera
Zemeni.»
«Quindi tu i i suoi discorsi sugli scambi commerciali e i mercati
destinati a crollare...»
«Oh, accadrà tu o come ho previsto, signor Brekker. Io ci conto.
Non appena il Consiglio ha ricevuto il messaggio di Bo Yul-Bayur,
ho cominciato ad acquistare all’ingrosso i campi di jurda a Novyi
Zem. Quando la parem sarà svelata al mondo, ogni paese, ogni
governo reclamerà una pronta fornitura da usare sui propri Grisha.»
«Sarà il caos» disse Ma hias.
«Sì» concesse Van Eck. «Sarà il caos, e io sarò il signore del caos. Il
suo signore ricco sfondato.»
«La schiavitù e la morte dei Grisha, ovunque, saranno opera sua»
disse Inej.
Van Eck alzò un sopracciglio. «Quanti anni ha, signorina? Sedici?
Diciasse e? Le nazioni conoscono ascese e cadute. I mercati vanno
su e giù. Quando il potere cambia di mano, c’è sempre qualcuno che
ne soffre.»
«Quando il profi o cambia di mano» replicò Jesper.
Van Eck fece una faccia confusa. «Non sono la stessa cosa?»
«Nel momento in cui il Consiglio lo scoprirà...» cominciò a dire
Inej.
«Il Consiglio non lo saprà mai» la interruppe Van Eck. «Perché
crede che abbia scelto la feccia del Barile come miei emissari? Oh, voi
siete più pieni di risorse e di gran lunga più svegli di qualunque
altro mercenario, ve lo concedo. Ma quel che più conta è che non
mancherete a nessuno.»
Van Eck alzò una mano. Gli Scuotiacque ruotarono le braccia. Kaz
sentì un urlo e si girò a guardare una tromba d’acqua che incombeva
su Ro y. Il vortice si abba é sulla scialuppa e la fece a pezzi mentre
Ro y si tuffava per me ersi al riparo.
«Nessuno di voi lascerà quest’isola, signor Brekker. Svanirete tu i
nel nulla, e a nessuno importerà.» Sollevò di nuovo una mano, e gli
Scuotiacque reagirono. Un’onda gigantesca ruggì verso la Ferolind.
«No!» gridò Jesper.
«Van Eck!» urlò Kaz. «Suo figlio è su quella barca.»
Van Eck puntò lo sguardo su di lui. Soffiò nel fischie o. Gli
Scuotiacque si bloccarono, in a esa di istruzioni. Rilu ante, Van Eck
fece cadere la mano. I Grisha lasciarono che l’onda si sgonfiasse e
diventasse innocua, e che il mare tornato tranquillo sciabordasse
contro il fianco della Ferolind.
«Mio figlio?» disse il mercante.
«Wylan Van Eck.»
«Signor Brekker, di certo lei sa che ho fa o fare i bagagli a mio
figlio mesi fa.»
«So che lei ha scri o a Wylan ogni se imana da quando lui ha
lasciato la sua casa, pregandolo di tornare. Non sono le azioni di un
uomo a cui non importa dell’unico figlio ed erede.»
Van Eck si mise a ridere – una piccola risata calda, quasi gioviale,
ma dai contorni aguzzi e amari.
«Lasci che le racconti di mio figlio.» Sputò fuori quella parola
come se fosse veleno. «Era destinato a ereditare uno dei più grandi
patrimoni di tu a Kerch, un impero di compagnie mari ime che
raggiungono tu o il globo, fondato da mio padre, e dal padre di mio
padre. Ma mio figlio, il ragazzo destinato a guidare questo impero,
non sa fare quello che fa qualsiasi bambino di se e anni. Sa risolvere
un’equazione. Sa dipingere ed è bravissimo a suonare il flauto.
Quello che non sa fare, signor Brekker, è leggere. Non sa scrivere.
Ho assunto i migliori prece ori da ogni angolo del mondo. Ho
provato con gli specialisti, i tonici, le bo e e l’ipnosi. Ma lui si è
rifiutato di imparare. Alla fine ho dovuto acce arlo: Ghezen mi ha
malede o con un figlio deficiente. Wylan è un ragazzo che non
diventerà mai un uomo. È la disgrazia della mia casa.»
«Le le ere...» disse Jesper, e Kaz vide il furore stravolgergli il viso.
«Non lo stava pregando di tornare. Lo stava deridendo.»
Jesper aveva ragione. “Se stai leggendo, allora sai quanto desideri
riaverti a casa.” Ogni le era era uno schiaffo in faccia a Wylan, una
specie di scherzo crudele.
«È suo figlio» disse Jesper.
«No, è un errore. Che presto sarà corre o. La mia giovane
adorabile moglie è in a esa di un bambino, e che sia un maschio o
una femmina o una creatura con le corna, sarà il mio erede, non un
idiota smidollato che non sa leggere nemmeno il libro degli inni,
figuriamoci un libro mastro, non un cretino che ridurrebbe a uno
zimbello il nome dei Van Eck.»
«È lei il cretino» sbraitò Jesper. «Wylan è più intelligente della
maggior parte di noi messi assieme, e si merita un padre migliore.»
«Si meritava» lo corresse Van Eck. E soffiò nel fischie o due volte.
Gli Scuotiacque non esitarono. Prima che chiunque potesse
prender fiato per protestare, due enormi muri d’acqua si sollevarono
e si abba erono sulla Ferolind.
Annientarono la nave bloccata in mezzo a loro con un sonoro
boato, spedendo ro ami ovunque.
Jesper emise un urlo di rabbia e sollevò le pistole.
«Me ile giù!» ordinò Kaz.
«Li ha uccisi» disse Jesper, il viso deformato dall’angoscia. «Ha
ucciso Wylan e Nina!»
Ma hias gli pose una mano sul braccio. «Stai fermo» disse con
calma.
Jesper si voltò a guardare le onde, i pezzi di albero e le vele
strappate là dove solo pochi istanti prima c’era una nave. «Io non...
io non capisco.»
«Confesso di essere anch’io un po’ scosso, signor Brekker» disse
Van Eck. «Nessuna lacrima? Nessuna legi ima protesta per il suo
equipaggio andato perso? Vi crescono senza cuore nel Barile.»
«Senza cuore e prudenti» rispose Kaz.
«Non abbastanza prudenti, a quanto pare. Ma perlomeno non
vivrà abbastanza a lungo da rimpiangere i suoi errori.»
«Mi dica, Van Eck. Farà penitenza? Ghezen disapprova chi viola i
contra i.»
Van Eck dilatò le narici. «Lei che cosa ha offerto al mondo, signor
Brekker? Ha creato benessere? Prosperità? No. Lei porta via tu o a
uomini e donne di sani principi e giova solo a se stesso. Ghezen
mostra i suoi favori a coloro che se li meritano, a coloro che
costruiscono ci à, non ai ra i che ne divorano le fondamenta.
Ghezen ha benede o me e le mie a ività commerciali. Lei
scomparirà, e io prospererò. Questo è il volere di Ghezen.»
«C’è solo un problema, Van Eck. Le servirà Kuwei Yul-Bo per
riuscirci.»
«E come me lo porterete via? Siete fuori comba imento e
circondati.»
«Non ho bisogno di portarglielo via. Non l’ha mai avuto. Quello
non è Kuwei Yul-Bo.»
«Un pessimo bluff, mi creda.»
«Io non amo molto bluffare, vero, Inej?»
«Generalmente, no.»
Van Eck arricciò le labbra. «E come mai?»
«Perché preferisce barare» disse il ragazzo che non era Kuwei Yul-
Bo in un Kerch perfe o e senza accento.
Van Eck fu colto di sorpresa dal suono di quella voce, e Jesper
sussultò.
Il ragazzo Shu tese una mano. «Caccia il grano, Kaz.»
Kaz sospirò. «Detesto perdere una scommessa. Vede, Van Eck,
Wylan ha puntato contro di me che lei non si sarebbe fa o problemi
a porre fine alla sua vita. Mi dia pure del sentimentale, ma non
credevo possibile che un padre riuscisse a essere così spietato.»
Van Eck fissò Kuwei Yul-Bo, o piu osto il ragazzo che aveva
creduto fosse Kuwei Yul-Bo. Kaz lo guardò lo are contro la realtà
della voce di Wylan che usciva dalla bocca di Kuwei. Jesper appariva
altre anto incredulo. Avrebbe o enuto delle spiegazioni a tempo
debito, dopo che Kaz avesse ricevuto il proprio denaro.
«Non è possibile» disse Van Eck.
Non avrebbe dovuto esserlo. Nina era nel migliore dei casi una
Plasmaforme passabile – ma so o l’effe o della jurda parem, be’,
come aveva de o una volta Van Eck: “Diventano possibili cose che
semplicemente non dovrebbero esserlo”. Una copia perfe a di
Kuwei Yul-Bo era in piedi davanti a loro, ma aveva la voce di Wylan,
i suoi modi e – per quanto Kaz vedesse la paura e il dolore nei suoi
occhi dorati – anche il suo sorprendente coraggio.
Dopo la ba aglia nel porto di Djerholm, il mercantuccio era
andato da Kaz per avvertirlo di non contare su di lui come leva
contro il padre.
Wylan era rosso in faccia, a malapena in grado di parlare a voce
alta della propria presunta “mala ia”. Kaz aveva semplicemente
scrollato le spalle. Alcuni erano poeti. Altri erano contadini. Altri
ancora erano ricchi mercanti. Wylan sapeva disegnare un rilievo
perfe o. Aveva costruito un trapano in grado di tagliare il vetro
p p g g
Grisha, ricavandolo dai pezzi di un cancello e da scarti di gioielli.
Non sapeva leggere, e allora?
Kaz si era aspe ato che il ragazzo si rifiutasse di farsi modificare
per assomigliare a Kuwei. Una trasformazione così estrema era al di
là del potere di qualunque Grisha senza parem. «Potrebbe essere
permanente» lo aveva avvisato Kaz.
Wylan non aveva fa o una piega. «Devo sapere. Una volta per
tu e, devo sapere cosa pensa davvero mio padre di me.»
Adesso lo sapeva.
Van Eck fissava Wylan con occhi sgranati, alla ricerca di qualche
traccia dei lineamenti del figlio. «Non può essere.»
Wylan si mise al fianco di Kaz. «Forse puoi pregare perché
Ghezen ti dia la comprensione, padre.»
Wylan era un po’ più alto di Kuwei, e il suo viso un po’ più
rotondo. Ma Kaz li aveva visti fianco a fianco, e la somiglianza era
straordinaria. Il lavoro di Nina, eseguito sulla gole a prima che
l’effe o della droga iniziasse a calare, era praticamente impeccabile.
La furia stravolse i lineamenti di Van Eck. «Miserabile» sibilò al
figlio. «Sapevo che eri un cretino, ma sei anche un traditore?»
«Un cretino avrebbe aspe ato di essere fa o a pezzi su quella
barca. E per quanto riguarda il “traditore”, mi hai chiamato in modo
peggiore solo negli ultimi minuti.»
«E ora rifle i su una cosa» disse Kaz a Van Eck. «Se ci fosse stato il
vero Kuwei Yul-Bo sulla nave che lei ha appena trasformato in uno
stuzzicadenti?»
La voce di Van Eck era calma, ma una vampata di collera gli
aveva infiammato il collo. «Dov’è Kuwei Yul-Bo?!»
«Ci perme a di lasciare sani e salvi quest’isola con la nostra
ricompensa, e sarò lieto di dirglielo.»
«Non c’è speranza che ve ne andiate da qui, Brekker. La sua
piccola banda non può competere con i miei Grisha.»
Kaz alzò le spalle. «Ci uccida, e non troverà mai Kuwei.»
Van Eck sembrò soppesare la cosa. Poi fece un passo indietro.
«Soldati, a me!» gridò. «Uccidete tu i tranne Brekker!»
Kaz capì di aver fa o un errore nel momento stesso in cui lo fece.
Sapevano tu i che si sarebbe potuti arrivare a questo. Avrebbe
p p q
dovuto fidarsi della propria banda. I suoi occhi avrebbero dovuto
rimanere fissi su Van Eck. Invece, nel momento della minaccia,
quando avrebbe dovuto pensare solo allo scontro, lui guardò Inej.
E Van Eck se ne accorse. Soffiò nel fischie o. «Lasciate perdere gli
altri! Prendete i soldi e la ragazza.»
“Resta dove sei e basta” gli disse l’istinto. Van Eck ha il denaro. È
lui la chiave. Inej sa cavarsela da sola. Lei è una pedina, non il
premio. Ma si stava già voltando, stava già sca ando per tirarla a sé
quando i Grisha a accarono.
Gli Scuotiacque la raggiunsero per primi, sparendo nella foschia
per riapparirle di fianco. Però soltanto un pazzo avrebbe tentato di
affrontare Inej in un comba imento corpo a corpo. Quei Grisha
erano veloci, svanivano e ricomparivano.
Ma lei era lo Spe ro, e i suoi pugnali trapassarono cuori, gole e
milze. Il sangue si riversò sulla sabbia mentre i due Scuotiacque si
accasciavano al suolo.
Kaz colse un movimento con la coda dell’occhio: un
Chiamatempeste che sfrecciava verso Inej.
«Jesper!» gridò.
Jesper sparò, e il Grisha precipitò a terra.
Il Chiamatempeste successivo fu più furbo. Arrivò basso,
planando sulle rovine. Jesper e Ma hias aprirono il fuoco, ma
avevano il sole contro e nemmeno Jesper sapeva mirare alla cieca. Il
Chiamatempeste si fiondò su Inej, l’afferrò e si librò con lei a tu a
velocità nel cielo.
“Stai ferma” la esortò Kaz in silenzio, la pistola puntata. Ma lei
non ste e ferma. Ruotò il corpo e menò un fendente. L’urlo del
Chiamatempeste risuonò distante. Lui la lasciò andare. Inej precipitò
verso la sabbia. Kaz le corse incontro senza una logica né un piano.
Ci fu una mossa fulminea nel suo campo visivo. Un terzo
Chiamatempeste piombò giù, afferrandola al volo pochi istanti
prima dell’impa o a terra e infliggendole un colpo violento al
cranio. Kaz vide il corpo di Inej afflosciarsi.
«Abba ilo!» ringhiò Ma hias.
«No!» gridò Kaz. «Se gli spari cadrà anche lei.»
Il Grisha si portò in alto e fuori tiro, Inej stre a fra le braccia.
p j
Non c’era niente che potessero fare tranne rimanere in piedi come
degli sciocchi a guardare la sagoma di lei diventare sempre più
piccola in cielo: una luna distante, una stella cadente, e poi più nulla.
Le guardie di Van Eck e i Grisha si avvicinarono e sollevarono in
aria il mercante e il baule di kruge, portandoli sul brigantino in
a esa. La vende a di Jordie, tu o quello per cui Kaz si era dato da
fare, stava scivolando via. Non gli importava.
«Ha una se imana per portarmi il vero Kuwei» gridò Van Eck.
«Oppure le urla di quella ragazza si sentiranno fino a Fjerda. E se
ancora non dovesse bastare, farò circolare la notizia che sta
ospitando l’ostaggio più prezioso del mondo. Tu e le bande, i
trafficanti e le spie saranno alle calcagna sue e degli Scarti. Non
avrete un posto in cui nascondervi.»
«Kaz, posso colpirlo» disse Jesper, estraendo le rivoltelle dalle
fondine e afferrando il fucile. «Van Eck è ancora abbastanza vicino.»
E tu o sarebbe andato perso – Inej, i soldi, tu o.
«No» disse Kaz. «Lasciali andare.»
Il mare era pia o; non spirava alcuna brezza, ma i
Chiamatempeste di Van Eck gonfiarono le vele della nave con un
vento forte.
Kaz guardò il brigantino cavalcare le onde e puntare verso
Ke erdam, verso la sicurezza, verso la fortezza costruita sulla
reputazione impeccabile di Van Eck. Si sentì come se stesse
sbirciando dalle finestre oscurate della casa sulla Zelverstraat.
Ancora una volta inerme. Aveva pregato il dio sbagliato.
Lentamente, Jesper abbassò il fucile.
«Van Eck manderà soldati e Grisha a cercare Kuwei» disse
Ma hias.
«Non lo troverà. E neanche Nina.» Non alla Stecca o in qualunque
altra zona del Barile. Non a Ke erdam. La no e precedente, Kaz
aveva ordinato a Specht di prelevare Kuwei e Nina dalla Ferolind e
portarli su una seconda scialuppa – quella che aveva de o a Jesper
che doveva essere riparata. Kuwei e Nina erano nascosti al sicuro
all’Anticamera dell’Inferno, nelle gabbie abbandonate so o la torre
della vecchia prigione. Kaz aveva fa o un po’ di indagini quando era
andato al porto per conta are Van Eck. Dopo il disastro dello
p p p
Spe acolo Infernale, le gabbie erano state allagate per ripulirle dai
cadaveri di uomini e bestie; da allora erano rimaste vuote. Ma hias
aveva detestato l’idea che Nina rimanesse senza di lui, specialmente
nel suo stato, ma Kaz l’aveva convinto che tenere lei e Kuwei a bordo
della Ferolind li avrebbe messi in pericolo.
Kaz si stupì dalla propria stupidità. Più stupido di un pollo
appena sbarcato che cerca di fare fortuna allo Stave dell’Est. Il suo
punto debole era proprio accanto a lui. E ora era sparito.
Jesper stava fissando Wylan, con gli occhi che vagavano sui
capelli neri e sugli occhi dorati. «Perché?» disse alla fine. «Perché
fare una cosa del genere?»
Wylan alzò le spalle. «Ci serviva una leva.»
«Questo è Kaz che parla.»
«Non potevo perme ere che arrivaste a uno scambio di ostaggi
pensando a me come a una specie di assicurazione.»
«È stata Nina a modificarti?»
«La no e in cui abbiamo lasciato Djerholm.»
«Ecco perché sei scomparso durante il viaggio» disse Jesper. «Non
stavi aiutando Ma hias ad assistere Nina. Ti stavi nascondendo.»
«Non mi nascondevo.»
«Tu... quante volte sei stato accanto a me sul ponte, di no e,
quando pensavo che ci fosse Kuwei?»
«Ogni volta.»
«Nina potrebbe non essere capace di farti tornare come prima, lo
sai? Non senza un’altra dose di parem. Potresti rimanere così.»
«Perché è importante?»
«Non lo so!» rispose Jesper con rabbia. «Forse mi piaceva la tua
stupida faccia.» Si girò verso Ma hias. «Tu lo sapevi. Wylan lo
sapeva. Inej lo sapeva. Tu i lo sapevano tranne me.»
«Chiediti come mai» disse Kaz, la pazienza esaurita.
Jesper saltellò sui piedi a disagio. «Come mai?»
«Sei stato tu a venderci a Pekka Rollins.» Kaz gli puntò contro un
dito accusatorio. «Sei tu il motivo per cui ci hanno teso un’imboscata
quando abbiamo provato a lasciare Ke erdam. Per poco non ci hai
fa i ammazzare tu i.»
«Io non ho de o niente a Pekka Rollins. Io non ho mai...»
«Tu hai raccontato a uno dei Centesimi di Leone che stavi
lasciando Kerch, ma che ci saresti tornato pieno di soldi, non è
vero?»
Jesper deglutì. «Ho dovuto. Mi stavano addosso. La fa oria di
mio padre...»
«Ti avevo de o di non dire a nessuno che stavi andandotene. Ti
avevo avvisato di tenere la bocca chiusa.»
«Non ho avuto scelta. Dovevi chiudermi a chiave al Club dei
Corvi prima di partire. Se mi avessi lasciato...»
Kaz si girò verso di lui. «Se ti avessi lasciato fare cosa? Giocare
qualche mano a Tre Uomo Mora? Sprofondare ancora più a fondo
nei debiti con ogni delinquente del Barile stupido a sufficienza da
farti ancora credito? Tu hai de o a uno della banda di Pekka che
stavi per diventare ricco sfondato.»
«Non sapevo che sarebbe andato da lui. O che Pekka sapesse della
parem. Stavo solo cercando di guadagnare tempo.»
«Santi numi, Jesper, non hai proprio imparato niente a stare con
gli Scarti, vero? Sei ancora lo stesso semplicio o di campagna
appena sbarcato in ci à.»
Jesper sca ò verso di lui, e Kaz fu a raversato da una scarica
vertiginosa di violenza. Finalmente uno scontro da cui poteva uscire
vincitore. Ma Ma hias si mise in mezzo ai due, tenendoli lontani
l’uno dall’altro con una delle sue mani giganti. «Sme etela.
Sme etela subito.»
Kaz non voleva sme erla. Voleva picchiarli tu i a sangue e poi
fare a pugni fino a quando non fosse arrivato al Barile.
«Ma hias ha ragione» disse Wylan. «Dobbiamo pensare alla
nostra prossima mossa.»
«Non c’è nessuna prossima mossa» sbraitò Kaz. Van Eck se ne
sarebbe accorto. Non potevano tornare alla Stecca o chiedere aiuto a
Per Haskell e agli altri Scarti. Van Eck a endeva solo di piombargli
addosso. Van Eck aveva trasformato il Barile, la casa di Kaz, il suo
piccolo regno, in un territorio ostile.
«Jesper ha commesso un errore» disse Wylan. «Uno stupido errore,
ma non ha mai voluto tradire nessuno.»
Kaz si allontanò di sca o, per cercare di schiarirsi le idee. Sapeva
che Jesper non si era reso conto di cosa aveva messo in moto, ma
sapeva anche che non si sarebbe mai più potuto fidare veramente di
lui. E forse l’aveva tenuto all’oscuro riguardo a Wylan perché un po’
desiderava punirlo.
In poche ore, se non fossero riusciti a me ersi in conta o con lui,
Specht sarebbe andato a prenderli con la scialuppa a remi. Per il
momento, non c’era altro che il grigio pia o del cielo e la nuda pietra
di questa patetica so ospecie di isola. E l’assenza di Inej. Kaz voleva
colpire qualcuno. E voleva che qualcuno lo colpisse.
Esaminò quello che restava della sua banda. Ro y stazionava
ancora tra i ro ami della scialuppa. Jesper era seduto con i gomiti
sulle ginocchia, la testa fra le mani. Wylan, con quella sua faccia
quasi estranea, era accanto a lui. Ma hias era in piedi a fissare
l’acqua nella direzione dell’Anticamera dell’Inferno, come una
sentinella di pietra. Se Kaz era il loro capo, allora Inej era stata la loro
calamita, che li teneva insieme tu e le volte che sembravano più
propensi ad allontanarsi.
Nina aveva cancellato il tatuaggio del corvo e del calice
dall’avambraccio di Kaz prima di entrare nella Corte di Ghiaccio, ma
lui non le aveva permesso di avvicinarsi alla R sul bicipite. Ora si
toccò con le dita guantate il punto in cui la manica della giacca
copriva il segno. Senza volerlo, aveva lasciato che Kaz Rietveld
tornasse. Non sapeva se era tu o iniziato con la ferita di Inej o con
quell’orrenda corsa sul carro della prigione, ma in qualche modo
l’aveva lasciato succedere e gli era costato caro.
Il che non significava che avrebbe permesso a un mercante
disonesto di avere la meglio su di lui.
Guardò a sud verso i porti di Ke erdam. Un abbozzo di idea gli
spuntò nel retrocranio, come una specie di prurito, come il più vago
degli indizi. Non era un piano, ma avrebbe potuto esserne l’inizio.
Riusciva a vedere la forma che avrebbe preso: impossibile, assurda, e
richiedeva un gran bel gruzzolo di contanti.
«È la faccia che fa quando trama qualcosa» bisbigliò Jesper.
«Proprio quella» concordò Wylan.
Ma hias incrociò le braccia. «Stai rovistando nella borsa dei
trucchi, demjin?»
Kaz contrasse le dita nei guanti. Come facevi a sopravvivere nel
Barile? Quando ti toglievano tu o, trovavi un modo per cavare fuori
qualcosa dal nulla.
«Mi inventerò un trucco nuovo» disse Kaz. «Uno che Van Eck non
si scorderà mai.» Si voltò verso gli altri. Se avesse potuto me ersi da
solo alla ricerca di Inej lo avrebbe fa o, ma nemmeno lui sarebbe
riuscito a portare a termine un’impresa del genere con le sue sole
forze. «Mi serve la banda giusta.»
Wylan balzò in piedi. «Per lo Spe ro.»
Jesper lo seguì a ruota, senza guardare Kaz negli occhi. «Per Inej»
disse a bassa voce.
Ma hias fece un semplice cenno del capo.
Inej aveva desiderato che Kaz diventasse qualcun altro, una
persona migliore, un ladro più nobile. Ma non c’era posto, qui, per
quel ragazzo. Quel ragazzo aveva finito per morire di fame in un
vicolo. Era morto. Quel ragazzo non era in grado di andare a
riprenderla.
“Avrò il mio denaro” si ripromise Kaz. “E avrò la mia ragazza.”
Inej non sarebbe mai stata sua, non veramente, ma lui avrebbe
trovato un modo per offrirle la libertà che le aveva promesso così
tanto tempo prima.
Manisporche era arrivato a fare il lavoro sporco.
46
PEKKA

Pekka Rollins si infilò un mucchie o di jurda in bocca e si appoggiò


allo schienale della sedia a esaminare la banda malconcia che
Doughty aveva condo o nel suo ufficio. Viveva sopra il Palazzo di
Smeraldo in un enorme appartamento di molte stanze, ognuna delle
quali era rivestita d’oro e velluto verde. Amava me ersi in mostra: lo
faceva con gli abiti, gli amici e le donne. I ragazzini in piedi davanti a
lui erano l’esa o opposto dell’eleganza. Indossavano i costumi della
Commedia Bruta, ma nessuno poteva entrare nel suo ufficio con il
viso coperto, per cui le maschere erano state abbassate. Pekka ne
riconobbe qualcuno. In passato aveva sperato di reclutare la
Spaccacuore Nina Zenik, ma ora aveva l’aspe o di una che non
sarebbe durata un altro mese – tu a ossa sporgenti, occhiaie scure e
mani tremolanti. Forse aveva schivato un ca ivo investimento. Nina
si appoggiava a un Fjerdiano gigante dalla testa rasata e i severi
occhi azzurri. Era enorme, probabilmente un ex militare. Gran bei
muscoli da avere intorno. Dove l’aveva trovata, Kaz Brekker, questa
gente?
Il ragazzo accanto a loro era Shu, ma sembrava di gran lunga
troppo giovane per essere lo scienziato su cui avevano voluto così
disperatamente me ere le mani. Inoltre Brekker non avrebbe mai
portato al Palazzo di Smeraldo un simile trofeo. E poi, ovviamente,
Rollins conosceva Jesper Fahey. Il tiratore scelto aveva accumulato
una quantità impressionante di debiti in praticamente tu i i casinò
sullo Stave dell’Est. Le sue ciance avevano messo Rollins a
conoscenza del fa o che Brekker stava spedendo una squadra a
Fjerda. Un po’ di indagini e un sacco di bustarelle avevano dato
come fru i il dove e il quando della loro partenza: un lavoro di
spionaggio che si era rivelato incompleto. Brekker era sempre stato
p gg p p
un passo avanti a lui e ai Centesimi di Leone. Il piccolo ra o dei
canali, dopo tu o, era riuscito ad arrivare alla Corte di Ghiaccio.
Era stata anche una buona cosa. Se non fosse per Kaz Brekker,
Rollins sarebbe stato ancora seduto nella sua cella in quella dannata
prigione Fjerdiana ad aspe are un nuovo giro di torture, o forse in
cima alle mura ad anello, a guardar giù da una picca.
Quando Brekker aveva aperto la serratura della porta, Rollins non
poteva sapere se stesse per essere liberato o assassinato. Ne aveva
sentite tante sul conto di Kaz Brekker a partire da quando era salito
alla ribalta tra gli Scarti – quella patetica accozzaglia che Per Haskell
chiamava banda –, e l’aveva visto in giro per il Barile qualche volta.
Quel ragazzo era sbucato dal nulla e da quel momento era stato una
fonte di guai. Ma era ancora un vicecomandante, non un
comandante, un terrier che gli mordicchiava le caviglie.
«Ciao, Brekker» aveva de o Rollins. «Sei venuto a gongolare?»
«Non esa amente. Mi conosce?»
Rollins aveva fa o spallucce. «Certo, sei lo stronze o che continua
a derubare i miei clienti.»
L’espressione comparsa sul viso del ragazzo aveva preso Rollins
alla sprovvista. Era odio: puro, nero, che sobbolliva da tempo. Che
cosa posso aver mai fa o a questa caccola insignificante? Ma l’espressione
era sparita in un a imo, e Rollins si era chiesto se l’avesse del tu o
immaginata.
«Che cosa vuoi, Brekker?»
Il ragazzo era rimasto lì in piedi, con qualcosa di cupo e folle nello
sguardo. «Voglio farle un favore.»
Brekker aveva i piedi nudi e la divisa carceraria, le mani prive dei
leggendari guanti neri: una ridicola ostentazione. «Non sembri nella
posizione di fare favori a nessuno, ragazzino.»
«Lascerò questa porta aperta. Lei non è così stupido da inseguire
Bo Yul-Bayur senza una banda d’appoggio. Aspe i il momento
buono ed esca.»
«Perché diavolo mi aiuteresti?»
«Il suo destino non è morire qui.»
In qualche modo suonò come una maledizione.
«Ti devo un favore, Brekker» aveva de o Rollins mentre il
ragazzo usciva dalla cella, credendo a fatica alla propria fortuna.
Brekker si era girato a rivolgergli un’occhiata, gli occhi scuri come
caverne. «Non tema, Rollins. Lo ripagherà.»
E a quanto pareva il ragazzo era arrivato a riscuotere. Era in piedi
nel bel mezzo dell’opulento ufficio di Rollins con l’aspe o di una
macchia nera di inchiostro, la faccia cupa, le mani posate sul pomolo
a testa di corvo di un bastone da passeggio. Rollins non era del tu o
sorpreso di vederlo. Girava voce che lo scambio tra Brekker e Van
Eck fosse andato male e che il mercante avesse messo so o controllo
la Stecca e gli altri covi di Kaz. Ma Van Eck non stava controllando il
Palazzo di Smeraldo. Non aveva motivi per farlo. Rollins non era
neanche certo che il mercante sapesse che era tornato vivo da Fjerda.
Quando Brekker finì di spiegare la situazione a grandi linee,
Rollins si strinse nelle spalle e disse: «Hai fa o il doppio gioco. Se
vuoi il mio consiglio, consegna Kuwei a Van Eck e falla finita».
«Non sono qui per farmi dare consigli.»
«Ai mercanti piacciono le tasse che paghiamo. Lasciano correre
l’occasionale rapina in banca o il furto in casa, perché si aspe ano
che restiamo qui nel Barile e che li lasciamo ai loro affari. Vai in
guerra con Van Eck e tu o cambierà.»
«Van Eck è diventato un furfante. Se il Consiglio dei Mercanti
sapesse...»
«E chi glielo dirà? Un ra o di fogna che proviene dai peggiori
bassifondi del Barile? Non prenderti in giro da solo, Brekker. Lascia
perdere e vivi oggi per comba ere domani.»
«Io comba o tu i i giorni. Mi sta dicendo che lei andrebbe via?»
«Guarda, se vuoi spararti nel piede – il piede buono – io sono solo
felice di vedertelo fare. Ma non ci penso neanche ad allearmi con te.
Non contro un mercante. Nessuno lo farà. Non stai andando a una
piccola guerra tra bande, Brekker. Avrai la stadwatch, l’esercito di
Kerch e la marina militare schierati contro di te. Ridurranno in
cenere la Stecca con il vecchio dentro, e si riprenderanno anche
Quinto Porto.»
«Non mi aspe o che lei comba a al mio fianco, Rollins.»
«Allora cosa vuoi? Ti aiuterò. Nei limiti del ragionevole.»
g
«Mi serve far arrivare un messaggio alla capitale di Ravka. In
fre a.»
Rollins fece spallucce. «Piu osto semplice.»
«E ho bisogno di soldi.»
«Non l’avrei mai de o. Quanti?»
«Duecentomila kruge.»
Rollins per poco non si strozzò dal ridere. «Nient’altro, Brekker?
Lo smeraldo di Lantsov? Un drago che caga arcobaleni?»
«Lei ha del denaro da parte, Rollins. E io le ho salvato la vita.»
«Allora avresti dovuto contra are in quella cella. Non sono una
banca, Brekker. E anche se lo fossi, considerata la situazione a uale,
mi verrebbe da dire che sei un rischio d’impresa piu osto grosso.»
«Non voglio un prestito.»
«Vuoi che ti regali duecentomila kruge? E cosa o errei in cambio
di questo nobile gesto?»
Brekker serrò la mascella. «Le mie quote del Club dei Corvi e di
Quinto Porto.»
Rollins si raddrizzò sulla sedia. «Mi venderesti le tue azioni?»
«Sì. E per altre centomila kruge aggiungerò un DeKappel
originale.»
Rollins ricadde all’indietro e unì le dita delle mani. «Non sono
abbastanza, lo sai. Non per andare in guerra con il Consiglio dei
Mercanti.»
«Lo sono per questa squadra.»
«Questa squadra?» disse Rollins con una smorfia. «Non riesco a
credere che della gentaglia come voi sia riuscita ad assaltare con
successo la Corte di Ghiaccio.»
«Ci creda.»
«Van Eck vi seppellirà.»
«Altri ci hanno provato. In qualche modo continuo a tornare
dall’aldilà.»
«Rispe o la tua determinazione, ragazzino. E la capisco. Vuoi il
tuo denaro; vuoi indietro lo Spe ro; vuoi una fe a di culo di Van
Eck...»
«No» disse Brekker, con una voce che era per metà uno sfregio e
per metà un ringhio. «Quando arriverò a Van Eck, non mi prenderò
p g p
soltanto ciò che è mio. Gli distruggerò la vita. Brucerò via il suo
nome dal libro mastro. Di lui non rimarrà più niente.»
Pekka Rollins aveva smesso di contare le minacce che aveva
sentito, gli uomini che aveva ucciso e quelli che aveva visto morire,
ma la luce che vide negli occhi di Kaz gli fece comunque venire un
brivido alla schiena. C’era una furia in questo ragazzo che implorava
di venir liberata, e Rollins non voleva essere nei paraggi quando
fosse sfuggita al guinzaglio.
«Apri la cassaforte, Doughty.»
Rollins consegnò il denaro in contanti a Brekker, poi gli fece
firmare un ordine di trasferimento delle azioni del Club dei Corvi e
di quella miniera d’oro che era Quinto Porto. Quando tese la mano
per siglare l’accordo, la stre a di Brekker fu di ferro.
«Lei non si ricorda per niente di me, vero?» gli chiese il ragazzo.
«Dovrei?»
«Non ancora.» Quella cosa nera sfarfallò negli occhi di Brekker.
«Un pa o è un pa o» disse Rollins, impaziente di farla finita con
questa strana gente.
«Un pa o è un pa o.»
Dopo che se ne furono andati, Rollins sbirciò dal vetro della
grande finestra affacciata sulla sala da gioco del Palazzo di
Smeraldo.
«Una fine giornata inaspe atamente proficua, Doughty.»
L’altro concordò con un grugnito, esaminando quel che si
svolgeva ai tavoli di so o – dadi, carte, la Ruota della Fortuna di
Makker, fortune vinte e perse, e una cospicua fe a di tu o arrivava a
Rollins.
«Perché indossa quei guanti?» domandò lo scimmione.
«Un tocco di teatro, immagino. Chi può saperlo? E a chi
importa?»
Rollins osservò Brekker e la sua cricca a raversare la sala
affollata. Aprirono le porte che imme evano in strada e, per un
breve istante, le loro sagome nascoste da maschere e mantelli si
stagliarono contro la luce dei lampioni – uno storpio seguito da un
gruppo di ragazzini in costume. Una bella banda. Brekker era un
ladro astuto e tosto a sufficienza, immaginò Pekka, e anche
g
ingegnoso. Ma a differenza di quei bura ini da strapazzo della Corte
di Ghiaccio, Van Eck era pronto ad affrontarlo. Il ragazzo stava per
ritrovarsi in una vera ba aglia. E non aveva alcuna possibilità di
successo.
Rollins allungò la mano verso l’orologio. Doveva essere arrivata
l’ora in cui i mazzieri cambiavano turno, e a lui piaceva
supervisionarli di persona.
«Figlio di pu ana» esclamò un secondo dopo.
«Cosa succede, capo?»
Rollins sollevò la catenella dell’orologio. Dalla custodia in cui ci
sarebbe dovuto essere il segnatempo tempestato di diamanti
penzolava una rapa. «Quel piccolo bastardo...» Poi gli sopraggiunse
un pensiero. Allungò una mano per prendere il portafogli. Era
sparito. E anche il fermacrava a, il ciondolo a forma di moneta
Kaelish che indossava come portafortuna, e le fibbie dorate delle
scarpe. Rollins si chiese se fosse il caso di controllarsi le o urazioni
dei denti.
«Le ha svuotato le tasche?» domandò Doughty incredulo.
Nessuno la faceva a Pekka Rollins. Nessuno osava. Ma Brekker sì,
e Rollins si domandò se quello fosse solo l’inizio.
«Doughty» disse, «mi sa che faremmo meglio a dire una preghiera
per Jan Van Eck.»
«Pensa che Brekker possa ba erlo?»
«È una remota possibilità, ma se non sta a ento, quel mercante
potrebbe spedirsi da solo sulla forca e dare il cappio da stringere a
Brekker.» Rollins sospirò. «E noi faremo meglio a sperare che Van
Eck ammazzi quel ragazzo.»
«Perché?»
«Perché altrimenti toccherà a noi farlo.»
Rollins raddrizzò il nodo della crava a rimasta senza fermaglio e
scese al piano di so o, quello del casinò. Il problema di Kaz Brekker
poteva aspe are di essere risolto un altro giorno. Al momento
c’erano dei soldi da fare.
RINGRAZIAMENTI

Ho una mala ia degenerativa chiamata osteonecrosi, che significa


sostanzialmente “morte delle ossa”. È una cosa che sembra piu osto gotica e
romantica, ma di fa o vuol dire che ogni passo per me è una pena e che a volte
devo usare un bastone per camminare.
Non è un caso che io abbia creato un protagonista con dei sintomi simili ai
miei, e spesso ho avuto la sensazione che io e Kaz stessimo zoppicando
insieme lungo questa strada. Non saremmo arrivati fino all’ultima pagina
senza un sacco di persone meravigliose.
Tu o il mio amore alla mia banda di reie i e piantagrane: Michi, Rachael,
Sarah, Robyn e sopra u o Morgan, che ha dato un titolo a questo libro e mi ha
aiutata a terminarlo.
Un grande ringraziamento anche a Jimmy, che mi ha trascinata a Santa
Barbara e ha fa o a pezze i il mio blocco creativo con il suo puro e semplice
splendore.
Un abbraccio immenso a Noa Wheeler per avermi aiutata a risolvere questo
enigma e perché riesce a mantenere la pazienza quando io mi impunto e tiro
fuori la lavagna.
Sono profondamente grata a Jean Feiwel, Laura Godwin, Jon Yaged, Molly
Brouille e, Elizabeth Fithian, Rich Deas, April Ward, Caitlin Sweeny e a tu e
le innumerevoli persone della Henry Holt e della Macmillan Children’s che
hanno contribuito a portare alla luce il mondo dei Grisha e mi hanno
consentito di continuare a esplorarlo insieme ai le ori.
Joanna Volpe della New Leaf: le parole fedeltà e sincerità dovrebbero essere
incise sul tuo stemma. Potrei affrontare qualsiasi sfida sapendo di avere te che
mi copri le spalle. Grazie anche a Pouya “quello giovane” Shahbazian,
Kathleen Ortiz, Danielle Barthel, Jaida Temperly e Jess Dallow. E un grande
ringraziamento al Team Grisha in Gran Bretagna: Fiona Kennedy, Jenny
Glencross e la meravigliosa squadra della Orion – in particolare Nina Douglas,
che è un’eccezionale adde a stampa, una meravigliosa compagna di viaggio e
una Corvonero purosangue.
Grazie ai le ori, ai bibliotecari, ai librai, ai BookTuber e ai blogger che
celebrano le storie in tu o il mondo.
Tu i i colpi ben eseguiti hanno bisogno di specialisti di talento, e io sono
stata aiutata dai migliori:
Steven Klein ha offerto la sua inestimabile competenza su come i
principianti imparano la magia e mi ha fa o conoscere l’opera di Eric Mead e
Apollo Robbins, ladro gentiluomo. Angela DePace ha fa o del proprio meglio
per aiutarmi a trovare un modo realistico per stendere una stanza piena di
prigionieri, ma alla fine le pallo ole a base di cloroformio sono un puro parto
della mia fantasia. (Non provateci a casa.) Richard Wheeler mi ha edo o su
come fanno gli edifici governativi e le stru ure di massima sicurezza a tenere
alla larga i malintenzionati nel mondo reale. Emily Stein mi ha istruito sulle
ferite da coltello e mi ha fa o conoscere la bellissima espressione “cima del
cuore”. Il re dei conlang David Peterson ha cercato di sospingermi con
delicatezza nella direzione giusta e mi ha lasciato essere estremamente
cocciuta per quanto riguardava le straat. E Hedwig Aerts, mia cara amica e
Soberumi, grazie per avermi aiutata a stritolare l’olandese con un po’ più di
raziocinio.
Marie Lu, Amie Kaufman, Robin LaFevers, Jessica Brody e Gretchen McNeil
hanno continuato a farmi ridere e hanno tollerato tu e le mie lamentele.
Grazie anche a Robin Wasserman, Holly Black, Sarah Rees Brennan, Kelly Link
e Cassandra Clare per i consigli sulla trama, per i margarita e per avermi
imposto “Teen Wolf”. Non sarò mai più la stessa. La colpa del sangue dal naso
della guardia Fjerdiana è di Anna Carey: lamentatevene con lei.
Christine, Sam, Emily e Ryan: la mia più grande fortuna è che voi siate la
mia famiglia. E Lulu, tesoro mio, tu hai deluso la tua ci à. Grazie per avere
resistito ai miei malumori e per voler bene alla mia piccola banda di
malviventi.
Molti libri hanno aiutato Ke erdam, il Barile e la mia banda di corvi a
prendere forma, ma i titoli fondamentali sono The Blackest Streets: The Life and
Death of a Victorian Slum di Sarah Wise, Il mercante di caffè di David Liss,
Amsterdam: A History of the World’s Most Liberal City di Russell Shorto, Criminal
Slang: The Vernacular of the Underground Lingo di Vincent J. Monteleone, The Big
Con: The Story of the Confidence Man di David Maurer e Stealing Rembrandts: The
Untold Stories of Notorious Art Heists di Anthony M. Amore e Tom Mashberg.
Ancora una cosa: questo libro voleva essere editato al suono dei Black Keys,
dei Clash e dei Pixies, ma è nato in un vecchio edificio scolastico pieno di
spifferi con In a Time Lapse che suonava in loop e un pipistrello che volteggiava
fra le travi.
Un ultimo ringraziamento al compositore, Ludovico Einaudi. E al
pipistrello.
Questo ebook contiene materiale prote o da copyright e non può
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licenziato o trasmesso in pubblico, o utilizzato in alcun altro modo
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Sei di corvi
di Leigh Bardugo
Mappe di Keith Thompson
Copyright © 2015 by Leigh Bardugo
GrishaVerse logo and GrishaVerse monogram used on cover and
spine with permission tm and © 2017 Leigh Bardugo. All rights
reserved
© 2019 Mondadori Libri S.p.A., Milano
Titolo dell’opera originale: Six of Crows
Ebook ISBN 9788852097393

COPERTINA || GRAPHIC DESIGNER: BARBARA DI LANDRO |


PROGETTO GRAFICO ORIGINALE ED ILLUSTRAZIONE DI
RICH DEAS. | ILLUSTRAZIONI: KIM SAIGH
«L’AUTORE» || FOTO © TAILI SONG ROTH
Indice

Copertina
L’immagine
Il libro
L’autore
Frontespizio
Sei di corvi
GRISHA. Soldati del secondo esercito dominatori della piccola scienza
PARTE PRIMA. TRAFFICI NELL’OMBRA
1. JOOST
2. INEJ
3. KAZ
4. INEJ
5. KAZ
6. NINA
PARTE SECONDA. SERVA E MUSA
7. MATTHIAS
8. JESPER
9. KAZ
10. INEJ
11. JESPER
12. INEJ
13. KAZ
14. NINA
15. MATTHIAS
PARTE TERZA. DISPERATO
16. INEJ
17. JESPER
18. KAZ
19. MATTHIAS
20. NINA
PARTE QUARTA. IL TRUCCO PER CADERE
21. INEJ
22. KAZ
23. JESPER
24. NINA
25. INEJ
26. KAZ
PARTE QUINTA. IL GHIACCIO NON PERDONA
27. JESPER
28. INEJ
29. MATTHIAS
30. JESPER
31. NINA
32. JESPER
33. INEJ
34. NINA
35. MATTHIAS
36. JESPER
37. NINA
38. KAZ
PARTE SESTA. LADRI COME SI DEVE
39. INEJ
40. NINA
41. MATTHIAS
42. INEJ
43. NINA
44. JESPER
45. KAZ
46. PEKKA
RINGRAZIAMENTI
Copyright

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