Esplora E-book
Categorie
Esplora Audiolibri
Categorie
Esplora Riviste
Categorie
Esplora Documenti
Categorie
2
Come la religione ostacola sistematicamente la scienza............ 176
Il pericolo per l'umanità................................................................178
La spiritualità non richiede la fede................................................179
Insegnare ai bambini........................................................................181
Il successo di una dottrina non ne implica la verità....................181
Le esperienze mistiche non sono evidenza...................................184
La personalità di Gesù.....................................................................185
Sull'utilità della religione.................................................................188
Il non cambiare idea.........................................................................191
L'innovazione del Concilio Vaticano II.........................................194
Dubitare non è dogmatico...............................................................196
Definire qualcosa non lo fa automaticamente esistere............... 197
Il Vangelo è documento storico. Perché non credervi?.............. 198
La differenza tra storia e religione.................................................200
La religione come fenomeno naturale...........................................202
Lettera a una nazione cristiana.......................................................206
Etichettare i bambini con la religione di nascita..........................209
Il mito del caos morale laico............................................................213
La fede è compatibile con la ragione?............................................218
CONCLUSIONE............................................................................ 362
La necessità di un associazionismo laico......................................362
Postfazione.........................................................................................365
4
INTRODUZIONE
Questa è una raccolta di scritti e discorsi, principalmente ad
opera del biologo evoluzionista Richard Dawkins e del neuro-
scienziato Sam Harris, aventi come argomento la religione.
Lo scopo principale della raccolta è far riflettere il lettore cir-
ca il ruolo odierno della religione nel mondo, da un punto di
vista pressoché sconosciuto nel panorama culturale italiano.
Come presto scoprirete, la convinzione di fondo è che sia ne-
cessario ed urgente l'avvento di un nuovo movimento illumi-
nista su scala planetaria.
A scanso di equivoci è bene precisare che le posizioni qui so-
stenute non sono né “di destra” né “di sinistra” ― anzi incon-
trano forti opposizioni su entrambi i fronti ― e sono tutte for-
temente argomentate con evidenza. Tutto ciò che occorre è che
il lettore consideri questa evidenza con la mente aperta. E' pra-
ticamente certo che chiunque legga il volume in questo modo
apprenderà molti fatti nuovi che contribuiranno alla sua com-
prensione del mondo.
I passaggi ritenuti più importanti dall'editore di questo volu-
me sono evidenziati in grassetto. Sebbene la raccolta sia già
molto sintetica rispetto ai testi originali, è possibile ottenere
una ulteriore sintesi leggendo soltanto le parti in grassetto. Se
ritenete che un certo discorso sia poco interessante, potreste
decidere di saltare al successivo paragrafo in grassetto.
La raccolta è pensata per essere letta in modo sequenziale.
Essa si può persino vedere, se avrete la pazienza di leggere
fino alla fine della Parte II, come un percorso graduale verso
una presa di consapevolezza circa le ragioni della nostra esi-
stenza.
5
PARTE I. ANALISI DELLA VERITÀ,
MORALITÀ ED UTILITÀ DELLA RELIGIONE
6
SALTI DI COSCIENZA
(dal libro “l'illusione di Dio” di Richard
Dawkins)
8
O forse pensi che la credenza religiosa sia necessaria per
avere una morale giustificabile? Non abbiamo forse bisogno
di Dio, per poter essere buoni? Ti prego di leggere i capitoli 6
e 7 per scoprire perché non è così.
Resti vagamente bendisposto verso la religione perché la
consideri una “cosa buona” per il mondo, anche se personal-
mente non hai fede? Il capitolo 8 ti inviterà a riflettere su alcu-
ni aspetti della religione che sono tutt'altro che buoni per il
mondo.
Se ti senti intrappolato dalla religione in cui sei stato cresciu-
to da piccolo, vale la pena chiedersi come questo sia potuto
avvenire. La risposta è in genere qualche tipo di indottrina-
mento giovanile. Se sei pur minimamente religioso, è enorme-
mente probabile che la tua religione sia quella dei tuoi genito-
ri. Se sei nato in Arkansas e pensi che il Cristianesimo sia vero
e l'Islam falso, pur sapendo che penseresti il contrario se fossi
nato in Afghanistan, allora sei stato vittima di indottrinamen-
to giovanile. Mutatis mutandis se sei nato in Afghanistan.
L'intera relazione tra religione e l'infanzia è trattata nel capi-
tolo 9, che contiene anche il mio terzo salto di coscienza. Pro-
prio come le femministe rabbrividiscono quando sentono dire
"lui" invece di "lui o lei", oppure "uomo" invece di "persona",
io voglio che tutti rabbrividiscano quando sentono dire
"bambino cattolico" o "bambino musulmano". Se volete, par-
late pure di "bambino di genitori cattolici"; ma se sentite qual-
cuno parlare di "bambino cattolico", fermatelo e fate educata-
mente notare che i bambini sono troppo giovani per sapere
da che parte stanno in tali questioni, proprio come sono trop-
po giovani per sapere come la pensano in economia e in politi-
ca. Proprio perché il mio scopo è elevare le coscienze, non
chiederò scusa per averlo menzionato qui oltre che nel capito-
lo 9. Non potrei mai ripeterlo abbastanza. Lo dirò di nuovo.
Quello non è un bambino musulmano, ma un bambino di ge-
nitori musulmani. Quel bambino è troppo giovane per sapere
se è musulmano o no. Non esiste niente di simile a un bambi-
no musulmano. Non esiste niente di simile a un bambino cri-
stiano.
9
Il quarto argomento del salto di coscienza è l'orgoglio ateo.
Essere atei non è una cosa di cui vergognarsi o chiedere scu-
sa. Al contrario, è qualcosa di cui essere orgogliosi, una cosa
per cui restare ben dritti fissando l'orizzonte, perché l'ateismo
indica quasi sempre una sana indipendenza intellettuale e, in-
vero, una mente sana. Molte persone che conosco sanno, nel
profondo del loro cuore, di essere atee, ma non osano ammet-
terlo davanti alle loro famiglie o persino, in alcuni casi, a loro
stessi. Il motivo è, in parte, che la stessa parola "ateo" è stata
pervicacemente fatta diventare un'etichetta terribile e spaven-
tosa. Nel capitolo 9 presenterò la storia tragicomica del comico
Julia Sweeney, di quando i suoi genitori scoprirono che era di-
venuta atea. Che ella non credesse in Dio, potevano anche
sopportarlo. Ma che fosse un'atea. Un'ATEA! (La voce della
madre era divenuta un urlo.)
[...]
La condizione degli atei in America oggi è pari a quella de-
gli omosessuali 50 anni fa. Ora, dopo il movimento del Gay
Pride, è possibile, sebbene non molto facile, che un omoses-
suale sia eletto in una carica pubblica. Un sondaggio Gallup
del 1999 chiese agli americani se voterebbero per una persona
altrimenti ben qualificata che fosse donna (il 95% lo farebbe),
cattolica romana (il 94% lo farebbe), ebrea (il 92%), nera (92%),
mormone (79%), omosessuale (79%) o atea (49%). Chiaramen-
te c'è molta strada da fare. Ma gli atei sono molto più numero-
si di quanto sembra.
[...]
Il motivo per cui molte persone non notano gli atei è che
molti di noi sono riluttanti a "rivelarsi" come tali. Il mio so-
gno è che questo libro possa aiutare le persone a rivelarsi.
Esattamente come il movimento gay, più gente si rivela, più
facile sarà per gli altri unirsi a loro. Potrebbe esserci una mas-
sa critica per innescare una reazione a catena.
I sondaggi americani suggeriscono che ci sono molti più atei
ed agnostici che ebrei osservanti, e che gli atei siano anche di
più della maggior parte di altri gruppi religiosi. Diversamente
10
dagli ebrei, però, che notoriamente sono una delle lobby poli-
tiche più potenti degli Stati Uniti, e diversamente dai Cristiani
Evangelici, che hanno un potere politico ancora più grande,
gli atei e gli agnostici non sono organizzati e quindi esercita-
no influenza zero. Invero, organizzare gli atei è stato parago-
nato a mantenere un gregge di gatti, perché tendono a pensa-
re indipendentemente e non si conformano ad una autorità.
Ma un buon primo passo sarebbe costruire una massa critica.
[...]
11
to", o che "Dio è la nostra migliore natura", o che "Dio è
l'Universo". Naturalmente, alla parola "Dio" puoi dare il
significato che preferisci, come ad ogni altra parola. Se
vuoi dire che "Dio è energia", allora puoi trovare Dio in
un pezzo di carbone.
Se vogliamo che la parola Dio non divenga completamente
inutile, bisogna usarla nel modo in cui la gente la comprende
generalmente: per denotare un creatore soprannaturale che
sia in qualche modo appropriato venerare.
Molta deplorevole confusione è causata dalla incapacità di
distinguere tra la cosiddetta religione einsteiniana e la reli-
gione sovrannaturale. Einstein invocò a volte il nome di Dio (e
non è l'unico scienziato ateo a farlo), invitando al fraintendi-
mento. [...] Il drammatico (o fuorviante?) finale di Una Breve
Storia del Tempo di Stephen Hawking, "Perché allora noi do-
vremmo conoscere la mente di Dio", è notoriamente frainteso.
Ha portato le persone a credere erroneamente che Hawking
sia religioso. Una nota scienziata atea, Ursula Goodenough,
arriva a chiamare se stessa "naturalista religiosa". Questo è
sintomo di confusione del naturalismo con la religione. La
parola giusta dovrebbe essere "naturalista filosofico".
[...]
I pensieri e le emozioni umane emergono da connessioni
enormemente complesse di entità fisiche nel cervello. Un ateo,
nel senso di naturalista filosofico, è uno che crede che non ci
sia nulla oltre il mondo fisico, naturale; che non ci sia alcuna
intelligenza creativa sopra-naturale nascosta sotto l'universo
osservabile; nessuna anima che perdura al corpo; e nessun
miracolo ― tranne che nel senso di fenomeno naturale che
non comprendiamo ancora. Se c'è qualcosa che sembra giacere
oltre il mondo naturale, come oggi lo comprendiamo in modo
imperfetto, noi speriamo che alla fine lo comprenderemo e lo
faremo rientrare nel contesto del naturale. Quando decompo-
niamo un arcobaleno, esso non diventa meno meraviglioso.
[ Il seguente scritto di Einstein chiarisce la sua posizione: ]
Sono un non credente profondamente religioso. [...] Non
12
ho mai imputato alla Natura uno scopo, o qualunque
cosa si possa intendere come antropomorfa. [...] L'idea di
un Dio dotato di una personalità mi è del tutto aliena ed
anzi mi appare persino sciocca.
[...]
L'unica cosa che i teisti compresero è che Einstein non era
uno di loro. Si indignava ripetutamente al suggerimento che
fosse un teista. Allora, era un deista, come Voltaire e Diderot?
O un panteista, come Spinoza, la cui filosofia ammirava? [...]
Ricordiamo la terminologia. Un teista crede in un'intelligen-
za sovrannaturale che, oltre al compito principale di aver crea-
to l'universo in primo luogo, è tuttora al lavoro per osservare
ed influenzare il successivo destino della sua creazione inizia-
le. In molti sistemi di credenze teistici, la divinità è intima-
mente coinvolta nelle vicende umane: risponde alle preghiere;
perdona o punisce i peccati; interviene nel mondo effettuando
miracoli; si duole o rallegra delle nostre buone e cattive azioni,
e sa quando le compiamo (e perfino quando pensiamo di com-
pierle). Un deista crede anch'egli in un'intelligenza sovranna-
turale, ma un'intelligenza le cui attività si limitarono a creare
le leggi che governano l'universo in tempi remoti. Il dio deista
non interviene mai da quel punto in poi, e certamente non ha
alcun interesse specifico nelle vicende umane. I panteisti non
credono affatto in un Dio sovrannaturale, ma usano la parola
Dio come sinonimo non-sovrannaturale della Natura, o del-
l'Universo, o delle leggi che ne governano il funzionamento. I
deisti differiscono dai teisti nel fatto che il loro Dio non ri-
sponde alle preghiere, non è interessato ai peccati o alle con-
fessioni, non legge i nostri pensieri e non interviene con ca-
pricciosi miracoli. I deisti differiscono dai panteisti nel fatto
che il Dio deista è un qualche tipo di intelligenza cosmica,
piuttosto che il sinonimo usato dai panteisti (poeticamente o
metaforicamente) per riferirsi alle leggi dell'universo. Il pan-
teismo è un ateismo con una punta di erotismo. Il deismo è
un teismo smorzato. C'è ragione di credere che le famose frasi
di Einstein come "Dio è sottile ma non malizioso" o "Dio non
13
gioca a dadi" o "Dio ha avuto scelta nel creare l'Universo?" sia-
no panteistiche, e non deistiche, e certamente non teistiche.
"Dio non gioca a dadi" andrebbe tradotto con "la casualità non
fa parte delle leggi della fisica". "Dio ha avuto scelta nel creare
l'universo?" significa "Potrebbe l'universo avere avuto inizio in
qualunque altro modo?". Einstein usava la parola "Dio" in un
senso puramente metaforico, poetico. Lo stesso fa Stephen
Hawking. [..]
Riassumiamo la religiosità di Einstein citandolo ancora una
volta:
La religiosità è sentire che oltre ciò che possiamo speri-
mentare c'è qualcosa che la nostra mente non può affer-
rare, la cui bellezza ci appare solo indirettamente e come
un debole riflesso. In questo senso, io sono religioso.
In questo senso, anch'io sono religioso, con la riserva che
"non può afferrare" non significa "per sempre inafferrabile".
Ma preferisco non chiamare me stesso religioso perché è fuor-
viante. È distruttivamente fuorviante perché, per la stragran-
de maggioranza delle persone, "religione" implica "sovran-
naturale". Carl Sagan l'ha spiegato bene: "Se per Dio intendia-
mo l'insieme di leggi fisiche che governano l'universo, chiara-
mente Dio esiste. Questo Dio è però insoddisfacente dal
punto di vista emozionale... non ha molto senso pregare la
legge di gravità". [...] Vorrei che i fisici evitassero di usare la
parola Dio nel loro speciale senso metaforico. Il Dio metafori-
co o panteistico dei fisici è lontano anni luce dal Dio interven-
tista, dispensatore di miracoli, lettore del nostro pensiero,
punitore dei peccati, risponditore delle preghiere, che è pro-
prio della Bibbia, dei preti, dei mullah, dei rabbini, e del lin-
guaggio comune. Confondere deliberatamente questi due è,
a mio parere, un alto tradimento intellettuale.
14
IL RISPETTO SPECIALE PER LE CREDENZE RELIGIOSE
(da “L'Illusione di Dio”, Richard Dawkins)
15
cuno dice "Di domenica non bisogna premere l'inter-
ruttore della luce", tu dici "io lo rispetto".
Perché mai dovrebbe essere perfettamente legittimo
sostenere il partito laburista o il partito conservatore, i
repubblicani o i democratici, questo modello economico
o quell'altro, il Macintosh invece di Windows... però non
si può avere un'opinione su come è iniziato l'universo,
o su chi lo ha creato, in quanto "è un argomento sacro"?
Siamo abituati a non mettere in discussione le idee reli-
giose, ma è interessante il polverone che solleva Richard
ogni volta che lo fa! Tutti diventano assolutamente iste-
rici perché non è permesso dire queste cose. Eppure
quando ci pensi razionalmente non c'è motivo per cui
queste idee non debbano essere aperte al dibattito come
tutte le altre, tranne il fatto che abbiamo tutti acconsenti-
to che non lo siano.
Ecco un esempio del rispetto esagerato della nostra società
nei confronti della religione, un esempio importante. Per otte-
nere lo stato di obiettore di coscienza in tempo di guerra, la
motivazione più semplice è di gran lunga quella religiosa.
Puoi anche essere un brillante filosofo della morale, autore di
una tesi di dottorato pluripremiata che analizza i mali della
guerra, e, nonostante ciò, passerai sotto l'esame di un comitato
che metterà a dura prova la tua pretesa di essere obiettore di
coscienza. Però, se dici che uno dei tuoi parenti era quacche-
ro, supererai l'esame come niente fosse, non importa quanto
illetterato ed inarticolato tu sia nell'esporre la tua teoria del
pacifismo e nella conoscenza del quaccherismo stesso.
Cambiando completamente versante: noi abbiamo una vile
riluttanza ad usare nomi religiosi per indicare fazioni belli-
geranti. Nell'Irlanda del Nord, ci si riferisce ai cattolici e ai
protestanti eufemisticamente come a "nazionalisti" e "lealisti".
La parola stessa "religioni" viene trasformata in "comunità", ad
esempio nel termine "intercommunity warfare" [stato di guer-
ra tra le comunità]. In Iraq, in conseguenza dell'invasione an-
glo-americana del 2003, è nata una guerra civile tra musulma-
16
ni sunniti e sciiti. È chiaramente un conflitto religioso, eppure
sull'Independent del 20 maggio 2006 il titolo principale e l'arti-
colo di fondo lo descrivevano entrambi come "pulizia etnica".
"Etnica" in questo contesto è un altro eufemismo. Quello che
avviene in Iraq è pulizia religiosa. L'uso originale del termine
viene dalla Yugoslavia ed è anche (seppur discutibilmente) un
eufemismo per la pulizia religiosa che coinvolgeva i serbi or-
todossi, i croati cattolici e i bosniaci musulmani.
Già in precedenza1 ho portato all'attenzione i privilegi della
religione nelle discussioni pubbliche di etica, nei media e
nel governo. Ogni volta che nasce una controversia sulla mo-
rale sessuale o riproduttiva, potete scommettere che i leader
religiosi di vari diversi gruppi di fede saranno rappresentati in
modo prominente in convegni influenti, o in dibattiti televisivi
o radiofonici. Non sto suggerendo che dovremmo censurare i
punti di vista di queste persone. Ma perché la nostra società
stende loro un tappeto rosso, come se avessero qualche com-
petenza comparabile a quella, che so, di un filosofo morale,
un avvocato di famiglia o un medico?
Ecco un altro strano esempio dei privilegi della religione. Il
21 febbraio 2006, la Corte Suprema degli Stati Uniti deliberò
che una chiesa nel New Mexico fosse esentata per legge dal di-
vieto, che tutti gli altri devono osservare, di assumere droghe
allucinogene. I fedeli del Centro Espirita Beneficente Uniao do
Vegetal credono che si possa comprendere Dio solo bevendo tè
hoasca, che contiene la droga illegale allucinogena chiamata di-
metiltriptamina. Notate che è sufficiente che essi credano che
la droga migliori la loro comprensione. Non devono produr-
re evidenza. Per contro, c'è moltissima evidenza scientifica
che la cannabis allevia la nausea ed il dolore dei malati di can-
cro che si sottopongono a chemioterapia. Eppure, la Corte Su-
prema ha deliberato, nel 2005, che tutti i pazienti che usano
cannabis a scopi medicinali sono soggetti a prosecuzione fede-
rale (anche in quella minoranza di Stati dove questo uso spe-
ciale è legalizzato). La religione, come sempre, è una carta vin-
POLITEISMO E TRINITÀ
(da “L'Illusione di Dio”, Richard Dawkins)
20
poco, e dove la mia forza di guarigione non è nota, anche se
questo significa andare nei confini estremi della terra. Il loro
lavoro sarà più grave del tuo, e di questo Io sono
compiaciuto".
Ora che ci penso, il mio immaginario litigante Hindu proba-
bilmente avrebbe giocato la carta del "se non puoi batterli uni-
sciti a loro". Il suo politeismo non è davvero politeismo, ma
monoteismo travestito. Esiste solo un dio ― Brahma il creato-
re, Visnu il preservatore, Shiva il distruttore, la dea Saraswati,
Laxtmi e Parvati (mogli di Brahma, Vishnu e Shiva), Ganesh il
dio elefante, e centinaia di altri, sono soltanto differenti mani-
festazioni o incarnazioni di un unico Dio.
I cristiani dovrebbero scaldarsi di fronte a questa sofistica-
zione. Sono stati versati fiumi di inchiostro medioevale, per ta-
cere del sangue, sopra il "mistero" della Trinità, e per soppri-
mere le deviazioni come nel caso dell'eresia ariana. Ario di
Alessandria, nel quarto secolo AD, negò che Gesù fosse consu-
stanziale (cioè della stessa sostanza o essenza) con Dio. Che
cosa mai potrebbe significare questa cosa, vi state probabil-
mente chiedendo? Sostanza? Quale "sostanza"? Che cosa si in-
tende esattamente per "essenza"? "Molto poco", sembra l'unica
risposta ragionevole. Eppure la controversia ha diviso il Cri-
stianesimo a metà per un secolo, e l'imperatore Costantino or-
dinò di bruciare tutte le copie del libro di Ario. Dividere il cri-
stianesimo dividendo il capello ― questo è sempre stato il
modo di fare della teologia.
Abbiamo un solo Dio in tre parti, o tre dèi in uno? L'Enciclo-
pedia Cattolica chiarisce la cosa per noi, in un capolavoro di
ragionamento teologico:
Nell'unità della divinità ci sono tre persone, il padre, il
figlio e lo spirito Santo, queste tre persone essendo vera-
mente distinte l'una dall'altra. Così, nelle parole del
Credo Atanasiano: "Il Padre è Dio, il figlio è Dio, e lo
spirito Santo è Dio, e allo stesso tempo non ci sono tre
dei ma un solo Dio".
Come se questo non fosse abbastanza chiaro, l'enciclopedia
21
cita il teologo del terzo secolo San Gregorio, il Compitore di
Miracoli:
Quindi nella Trinità non c'è nulla di creato, niente che
sia soggetto a qualcos'altro: né c'è qualcosa che sia stato
aggiunto come se una volta non fosse esistito, ma fosse
entrato in seguito: quindi il Padre non è mai esistito sen-
za il Figlio, né il Figlio senza lo Spirito: e questa stessa
Trinità è immutabile ed inalterabile per sempre.
Quali che siano i miracoli che hanno accordato a San Grego-
rio il suo soprannome, non erano miracoli di lucidità. Le sue
parole esemplificano il caratteristico sapore oscurantista della
teologia, la quale ― diversamente dalla scienza o dalla mag-
gior parte dei rami del sapere umano ― non è progredita in 18
secoli. Thomas Jefferson aveva ragione (come spesso gli capi-
tava) quando disse
Il ridicolo è l'unica arma che si può usare contro le pro-
posizioni non intelligibili. Le idee devono essere chia-
re e ben definite prima che la ragione possa agire su di
esse; e nessun uomo ha mai avuto un'idea chiara della
Trinità. Sono semplicemente dei ciarlatani del montim-
banco che chiamano se stessi sacerdoti di Gesù.
L'altra cosa che non posso fare a meno di non notare è la si-
curezza ingiustificata con cui i religiosi fanno affermazioni
precise su minuscoli dettagli per cui essi non hanno, né po-
trebbero avere, alcuna evidenza. Forse è proprio il fatto che
non c'è evidenza in favore delle opinioni teologiche ad alimen-
tare la caratteristica ostilità draconiana verso quelli che la pen-
sano in modo leggermente diverso (specialmente, si dà il caso,
nel campo della trinità).
Jefferson, nella sua critica al calvinismo, mise in ridicolo la
dottrina secondo cui, per usare le sue parole, “esistono tre
dèi”. Ma è specialmente il ramo cattolico romano della cristia-
nità che spinge il suo ricorrente flirt con il politeismo verso un
estremo. Alla trinità si aggiunge Maria, "regina dei cieli", una
dea in ogni senso tranne che di nome, la quale sicuramente
viene subito dopo Dio in quanto a numero di preghiere rice-
22
vute. Il Pantheon si riempie inoltre di un esercito di santi, i cui
poteri di intercessione li rendono, se non semidei, ben merite-
voli di un loro argomento specialistico. Il Forum della comu-
nità cattolica elenca 5.120 santi, insieme alle loro aree di spe-
cializzazione, che comprendono dolori addominali, vittime
di abusi, anoressia, trafficanti di armi, costruttori di armi,
ossa rotte, tecnici delle bombe e disordini intestinali, e que-
sto solo fino alla lettera B. E non dobbiamo dimenticare i
quattro cori dell'Esercito Celeste, disposti in nove ordini: sera-
fini, cherubini, troni, domini, virtù, poteri, principalità, arcan-
geli (i capi di tutto l'Esercito), oltre ai semplici angeli tradizio-
nali, che comprendono i nostri amici più cari, i sempre attenti
angeli custodi. Ciò che mi impressiona della mitologia cattoli-
ca è in parte il kitsch e la mancanza di gusto, ma soprattutto la
beata disinvoltura con cui queste persone inventano i dettagli
strada facendo. E lo fanno senza vergogna.
Papa Giovanni Paolo II creò più santi di tutti i suoi predeces-
sori dei secoli passati messi insieme, e aveva una speciale affi-
nità con la vergine Maria. Le sue tendenze politeiste furono
dimostrate drammaticamente nel 1981 quando fu ferito da un
tentativo di assassinio a Roma, ed attribuì la sua sopravvi-
venza all'intervento della Nostra Signora di Fatima: "Una
mano materna ha guidato il proiettile". Uno non può evitare
di chiedersi perché non lo abbia guidato a mancare il bersa-
glio del tutto. Altri potrebbero pensare che bisognerebbe attri-
buire almeno un pochino del merito alla squadra di chirurghi
che lo ha operato per sei ore; ma forse anche le loro mani sono
state guidate da mano materna. Il punto rilevante, comunque,
è che nell'opinione del Papa non è stata semplicemente La
Nostra Signora a guidare il proiettile, ma specificamente la
Nostra Signora Di Fatima. Presumibilmente la nostra Signora
di Lourdes, la nostra signora di Guadalupe, la nostra Signora
di Medjugorie, la nostra Signora di Akita, la nostra Signora di
Zeitoun, la nostra Signora di Garabandal e la nostra Signora di
Knock erano impegnate in altre faccende in quel momento.
Come facevano i greci, i romani e i vichinghi a barcamenarsi
in questa confusione politeistica? Venere era solo un altro
23
nome di Afrodite, o erano solo due diverse dea dell'amore?
Thor con il suo martello era una manifestazione di Wotan, o
un dio separato? Ma chi se ne importa? La vita è troppo breve
per essere sprecata a distinguere tra un capriccio dell'immagi-
nazione ed altri. Ora che ho parlato del politeismo per riparar-
mi da un'accusa di negligenza, non dirò più altro su questo.
Per brevità mi riferirò a tutte le divinità, politeiste o monotei-
ste, semplicemente come "Dio". Sono anche consapevole che il
Dio di Abramo è (per usare un eufemismo) aggressivamente
maschio, ed adotterò anche questo come convenzione per usa-
re i pronomi. Teologi più sofisticati proclamano che Dio è pri-
vo di sesso, mentre alcuni teologi femministi cercano di rad-
drizzare delle ingiustizie storiche proclamandolo femmina.
Ma, dopotutto, che differenza c'è tra una femmina inesistente
e un maschio inesistente? Suppongo che, in questa surreale in-
tersezione di teologia e femminismo, l'esistenza sia un attribu-
to meno importante del sesso.
Sono consapevole che i critici della religione possono essere
criticati a loro volta perché non danno credito alla fertile di-
versità delle tradizioni e delle visioni del mondo che sono sta-
te chiamate religiose. Alcune opere antropologicamente infor-
mate, da "golden bough" di James Frazer a "religion explai-
ned" di Pascal Boyer a "in gods we trust" di Scott Atran, docu-
mentano in modo affascinante la bizzarra fenomenologia della
superstizione e del rituale. Leggete questi libri e meravigliate-
vi della ricchezza della credulità umana.
Ma questo libro seguirà un'altra strada. Io criticherò il so-
vrannaturalismo in tutte le sue forme, e il modo più efficace
di procedere sarà concentrarmi sulla forma che più probabil-
mente è familiare ai miei lettori ― la forma che ha un impatto
più minaccioso su tutte le nostre società. La maggior parte dei
miei lettori saranno stati marcati stretti da una delle tre "gran-
di" religioni monoteiste (quattro se contiamo il mormonismo),
le quali risalgono tutte al patriarca mitologico Abramo, e sarà
conveniente tenere in mente questa famiglia di tradizioni per
tutto il resto del libro.
Questo momento è buono come ogni altro per rispondere ad
24
una critica inevitabile che riceverà questo libro: "il Dio in cui
Dawkins non crede è un dio in cui non credo neanche io. Io
non credo in un vecchio con la barba bianca nel cielo". Quel
vecchio è una distrazione irrilevante e la sua barba è tanto lun-
ga quanto noiosa. Anzi, la distrazione è peggio che irrilevante.
La sua stessa stupidità è fatta apposta per distrarre l'attenzio-
ne dal fatto che ciò in cui l'interlocutore crede davvero non è
molto meno stupido. Lo so che non credete in un vecchio
uomo barbuto che siede su una nuvola; non perdiamo altro
tempo su questo. Io non sto attaccando alcuna versione parti-
colare di Dio o degli dei. Sto attaccando Dio, tutti gli dei, qua-
lunque cosa e tutto ciò che è soprannaturale, dovunque e
quandunque sia stato o sarà inventato.
LA POCHEZZA DELL'AGNOSTICISMO
(da “L'Illusione di Dio”, Richard Dawkins)
29
le nazioni. Molte di queste idee, per loro stessa natura, osta-
colano la scienza, infiammano il conflitto umano e dilapida-
no risorse già scarse.
Naturalmente, nessuna religione è monolitica. All'interno di
ogni fede le credenze delle persone si dispongono lungo un
vasto spettro. Immaginate dei cerchi concentrici di ragione-
volezza decrescente: al centro della sfera possiamo trovare i
credenti più genuini ― i musulmani jihadisti, per esempio, i
quali non solo supportano il terrorismo suicida ma sono i pri-
mi a trasformare se stessi in bombe; o i cristiani Dominionisti,
che invocano apertamente la pena di morte per i blasfemi e gli
omosessuali.
Al di fuori di questa sfera di maniaci, troviamo molti altri
milioni che condividono le loro idee ma non con lo stesso zelo.
Subito più fuori, incontriamo moltitudini di persone pie che
rispettano le credenze dei loro fratelli più deviati ma dissento-
no da loro su piccoli punti di dottrina ― naturalmente il mon-
do sta per finire nella Gloria e Gesù apparirà nel cielo come un
supereroe, ma non possiamo essere sicuri se avverrà nell'arco
della nostra vita o no.
Ancora più fuori, incontriamo religiosi moderati e liberali di
diverse tonalità ― persone che continuano a supportare lo
schema basilare che ha diviso il nostro mondo in cristiani, mu-
sulmani ed ebrei, ma che sono meno propensi a dichiarare di
essere certi di qualsiasi articolo di fede. Gesù è veramente il fi-
glio di Dio? Incontreremo veramente le nostre nonne in para-
diso? I moderati e i liberali non ne sono troppo sicuri.
Agli occhi di queste persone, quei colleghi che sono collocati
più verso il centro appaiono troppo rigidi, dogmatici e ostili al
dubbio; e quelli collocati più fuori appaiono loro come corrotti
dal peccato, dotati di volontà debole, o inosservanti.
Il problema è che, dovunque uno si collochi in questo
spettro continuo, inavvertitamente fornirà a quelli più fana-
tici di lui una protezione dalle critiche. I normali fondamen-
talisti cristiani, affermando con decisione che la Bibbia sia il
mondo perfetto di Dio, inavvertitamente favoriscono i Do-
30
minionisti ― milioni di uomini e donne che, a loro volta,
stanno silenziosamente trasformando il nostro paese in una
teocrazia totalitaria che ricorda la Ginevra di Giovanni Cal-
vino. I cristiani moderati, con il loro attaccamento alla divi-
nità di Gesù, proteggono la fede dei fondamentalisti dalla
pubblica derisione e stigmatizzazione. I cristiani liberali ―
che non sono sicuri di cosa credono ma semplicemente ama-
no l'esperienza di andare in chiesa di tanto in tanto ― pro-
teggono i moderati da un'adeguata collisione con la raziona-
lità scientifica. E in questo modo sono trascorsi secoli e secoli
senza che nella nostra società fosse fatta un'affermazione one-
sta su Dio.
Le persone di tutte le fedi ― e quelle senza alcuna fede ―
regolarmente cambiano in meglio la propria vita, per buone e
cattive ragioni. Eppure queste trasformazioni vengono rego-
larmente considerate come evidenza in favore di un particola-
re credo religioso. Il presidente Bush ha citato la propria di-
sintossicazione dall'alcol come evidenza per la divinità di
Gesù. Senza dubbio i cristiani si disintossicano di tanto in tan-
to ― ma lo fanno anche gli induisti (politeisti) e persino gli
atei. Ma allora, come può un essere pensante credere che la
sua esperienza di sobrietà avvalori l'idea che un essere supre-
mo stia osservando il nostro mondo e che Gesù sia suo figlio?
Senza dubbio molte persone fanno cose buone in nome
della loro fede; però ci sono ragioni migliori per aiutare i po-
veri, sfamare gli affamati e difendere i deboli, del credere
che un Amico Immaginario vuole che tu lo faccia. La compas-
sione è più profonda della religione. E lo è anche l'estasi misti-
ca. È il momento di mettere in chiaro che gli esseri umani
possono essere profondamente etici ― e persino spirituali
― senza fingere di sapere cose che non sanno.
Speriamo che il candore di Stark ispiri altri nostri parlamen-
tari ad ammettere i loro dubbi su Dio. Davvero, è il momento
di rompere in massa quest'incantesimo. Tutte le “grandi” reli-
gioni del mondo banalizzano completamente l'immensità e
la bellezza del Cosmo. Le affermazioni sul mondo e sugli
uomini fatte dalla Bibbia e dal Corano sono quasi tutte sba-
31
gliate. Ogni campo scientifico ― dalla cosmologia alla psico-
logia all'economia ― ha superato e abrogato la saggezza del-
le Scritture.
Qualunque cosa di valore possiamo trovare nella religione si
può ottenere anche in modo più onesto, senza fingere di sape-
re cose senza evidenza sufficiente. Il resto è solo auto-inganno
trasposto in musica.
UN RISPETTO IMMERITATO
(da un discorso di Sam Harris per presentare il
suo libro “La fine della fede”)
36
I MALI CAUSATI DALLA RELIGIONE MODERATA
(da un discorso di Sam Harris per presentare il
suo libro “La fine della fede”)
41
te ragionevole. Noi oggi abbiamo l'idea che l'aver bruciato
vivi gli eretici per cinque lunghi secoli in Europa sia stata
una specie di deriva della civiltà verso la psicopatologia.
Non è così. È perfettamente ragionevole fare queste cose, se
credi in quei libri. Se avete certe credenze, l'eretico della
porta accanto è molto più pericoloso del molestatore di bam-
bini della porta accanto. Gli eretici possono dire ai vostri
bambini cose che danneranno la loro anima per l'eternità. I
religiosi moderati perdono contatto col fatto che è possibile
credere tutto questo.
45
organizzano la loro identità morale intorno all'affiliazione reli-
giosa, indipendentemente dal fatto che si interessino davvero
di dettagli teologici. È questo conduce al conflitto. Quando
una società è in un momento difficile, continuamente vediamo
società che si spaccano lungo linee religiose: è successo in Ir-
landa, Bosnia... non è che gli irlandesi stessero combattendo
sulla dottrina della transustanziazione. Ma le loro identità, le
loro identità morali centrali, erano costruite intorno all'appar-
tenenza religiosa.
Poi c'è l'altro tipo di violenza religiosa, che è esplicitamente
teologica. È quando ci sono persone che uccidono altre perso-
ne letteralmente perché credono che il creatore dell'universo
vuole che noi lo facciamo, e pensano che ci sarà un premio per
loro per averlo fatto. L'esempio principale di questo è ciò che
vediamo ogni giorno nella prima pagina dei giornali. La jihad.
Quindi, una tesi del mio libro è che, a meno che non met-
tiamo in discussione il dogma della fede, a meno che non
mettiamo in discussione l'idea che delle credenze si possano
santificare in qualche modo diverso dall'evidenza e dagli ar-
gomenti, non elimineremo mai la violenza religiosa, perché
non estirperemo mai la sua radice profonda.
46
ne? Perché mai non dovremmo commentare su Dio, come
scienziati? E perché la teiera di Russell, o il Mostro Volante
di Spaghetti, non sono ugualmente immuni dallo scettici-
smo scientifico? Come sosterrò tra poco, un universo dotato
di un sovrintendente creativo sarebbe un universo molto di-
verso da uno senza. Perché mai questo non sarebbe una que-
stione scientifica?
Gould sfoggiò la sua arte di ritrarsi all'indietro fino ad assu-
mere posizione completamente supina in uno dei suoi libri
meno ammirati, Rocks of Ages. In quel libro coniò l'acronimo
NOMA, che sta per “magisteri non sovrapposti” [non-over-
lapping magisteria]:
Il dominio, o magistero, della scienza copre il reame em-
pirico: di cosa è fatto l'universo (fatto) e perché funziona
in questo modo (teoria). Il magistero della religione si
estende sopra le domande dei significati ultimi e del va-
lore morale. Questi due magisteri non si sovrappongono
[..] La scienza studia come va il cielo, la religione come
andare in cielo.
Questo discorso fa uno splendido effetto ― fino a che non ci
rifletti un attimo. Quali sarebbero queste domande ultime
sulle quali la religione è ospite gradito e la scienza deve ri-
spettosamente farsi da parte?
Martin Rees, noto astronomo di Cambridge che ho già men-
zionato, inizia il suo libro “Il nostro habitat cosmico” ponendo
due candidati allo stato di "domanda ultima" e dando ad esse
una risposta di tipo NOMA:
Il mistero principale è perché esista qualche cosa in pri-
mo luogo. Cosa infonde vita alle equazioni, e cosa le ha
concretizzate in un cosmo reale? Tali domande giaccio-
no oltre la portata della scienza, comunque: sono il rea-
me dei filosofi e teologi.
Io preferirei dire che, se davvero queste domande giacciono
oltre la portata della scienza, allora senza ombra di dubbio
giacciono anche oltre la portata della teologia (e dubito che i
filosofi ringrazierebbero Martin Rees per averli accomunati ai
47
teologi). Sarei tentato di andare oltre e chiedermi in quale
campo i teologi possano mai essere considerati competenti.
Ricordo ancora con divertimento l'osservazione di un ex diri-
gente del mio college di Oxford. Un giovane teologo aveva
fatto domanda per un posto di ricerca, e la sua tesi di dottora-
to sulla teologia cristiana ispirò il dirigente a dire "ho seri dub-
bi persino se questa sia una materia".
Quale contributo o competenza possono portare i teologi
alle domande cosmologiche profonde, che gli scienziati non
possano portare? In un altro libro ho riportato le parole di un
astronomo di Oxford che, quando gli posi le stesse domande
profonde, rispose: "Ah, adesso ci muoviamo oltre il reame del-
la scienza. A questo punto devo farmi da parte e lasciare la pa-
rola al nostro buon amico, il cappellano". Non ebbi la prontez-
za di spirito di rispondere: "Ma perché proprio il cappellano?
Perché non il giardiniere o lo chef?". Perché gli scienziati
sono così timidamente rispettosi verso le ambizioni dei teolo-
gi, su domande che i teologi certamente non sono più quali-
ficati ad affrontare degli scienziati stessi?
C'è un cliché irritante (e, diversamente da molti cliché, non
è neppure vero) che afferma che la scienza si occupa delle
domande sui come, ma solo la teologia abbia gli strumenti
per rispondere alle domande sui perché. Ma che cosa è mai
una domanda sul perché? Non tutte le frasi che cominciano
con la parola perché sono domande legittime. Perché gli uni-
corni sono vuoti? Alcune domande semplicemente non meri-
tano risposta. Di che colore è l'astrazione? Qual è l'odore della
speranza? Il fatto che io possa costruire una frase sintattica-
mente corretta non le conferisce automaticamente un signifi-
cato, né la rende degna della nostra attenzione. Ed anche
quando la domanda è una domanda vera, il fatto che la scien-
za non possa rispondere non implica in nessun modo che la
religione possa.
Forse esiste qualche domanda davvero profonda e dotata di
significato che giace per sempre oltre le possibilità della scien-
za. Forse la teoria quantistica sta già bussando alla porta del-
l'incomprensibile. Ma se la scienza non può rispondere a
48
qualche domanda ultima, cosa fa pensare a qualcuno che la
religione possa? Io sospetto che né l'astronomo di Cambridge
né quello di Oxford credessero veramente che i teologi avesse-
ro qualche capacità che permetta loro di rispondere a doman-
de che sono troppo profonde per la scienza. Sospetto che en-
trambi gli astronomi si stessero, ancora una volta, inchinando
in segno di educazione: i teologi non hanno niente di significa-
tivo da dire su nessun'altra cosa; lasciamo loro questo giocat-
tolo e lasciamo che si preoccupino su un paio di domande a
cui nessuno può rispondere e forse nessuno risponderà mai.
Diversamente dai miei amici astronomi, io non credo che do-
vremmo lasciar loro il giocattolo. Devo ancora sentire una
buona ragione per supporre che la teologia (anziché la lettera-
tura, la storia biblica, eccetera) sia una materia in primo luogo.
In modo simile, possiamo essere tutti d'accordo che il diritto
della scienza di darci consigli sui valori morali sia problemati-
co, a dir poco. Ma davvero Gould vuole cedere alla religione
il diritto di dirci cosa è bene e cosa è male? Il fatto che essa
non abbia nient'altro da contribuire alla conoscenza umana
non è un motivo di concedere gratuitamente alla religione il
diritto di dirci cosa fare. Quale religione, tra l'altro? Quella in
cui ti trovi casualmente ad essere stato cresciuto? Ed allora, a
quale capitolo, di quale libro della Bibbia dovremmo guardare
― perché sono tutt'altro che unanimi, ed alcuni di essi sono
odiosi secondo qualunque standard ragionevole. Quante per-
sone, tra quelle che sostengono l'interpretazione letterale
della Bibbia, l'hanno letta abbastanza da sapere che essa
prescrive la pena di morte per l'adulterio, per raccogliere ba-
stoncini di legno di sabato e per rivolgersi sgarbatamente ai
genitori? E se rifiutiamo il Deuteronomio e il Levitico (come
fanno tutte le persone moderne illuministe), con che criterio
decidiamo quali valori morali religiosi accettare? O forse
dovremmo scegliere a nostro piacimento tra tutte le reli-
gioni del mondo finché non ne troviamo una la cui mora-
le ci soddisfa? Se è così, di nuovo dobbiamo chiedere:
con che criterio scegliamo? E se abbiamo dei criteri indi-
49
pendenti per scegliere quale tra le varie religioni è più
morale, perché non scavalcare completamente l'inter-
mediario e seguire direttamente quella morale, senza
abbracciare alcuna religione? Tornerò su questa questio-
ne nel capitolo 7.
[......]
53
correnza per i clienti dell'aeroporto; un cecchino da un
tetto aveva ucciso un ufficiale di polizia; dei rissosi ave-
vano fatto irruzione in molti hotel e ristoranti, ed un
dottore aveva ucciso un ladro entratogli in casa. Alla
fine della giornata, erano state rapinate sei banche, sac-
cheggiati un centinaio di negozi, appiccati dodici incen-
di, rotte tante vetrine di negozi da riempire 40 camion, e
tre milioni di dollari di danni complessivi erano stati in-
flitti, prima che le autorità cittadine fossero costrette a
chiamare l'esercito [...]
Può darsi anche che sia troppo ottimista credere che la gente
resterebbe buona senza la sorveglianza di Dio. D'altra parte, la
maggior parte della popolazione di Montreal presumibil-
mente credeva in Dio. Come mai il timore di Dio non li ha
tenuti a bada quando i poliziotti terrestri erano temporanea-
mente assenti? La vicenda di Montreal non è forse un ottimo
esperimento naturale per verificare l'ipotesi che credere in
Dio ci rende buoni? Oppure aveva ragione il cinico H. L.
Mecken quando diceva: 'La gente dice che c'è bisogno di Dio
quando in realtà intende che c'è bisogno di polizia'?
Naturalmente, non tutti a Montreal si comportatono male
[...]. Sarebbe interessante sapere se c'è una tendenza statistica
[...] per i credenti a saccheggiare e distruggere più o meno dei
non credenti. [..] Sono propenso a sospettare, con qualche pro-
va [..], che ci sono molti pochi atei in prigione. [..] Un'altra
possibilità è che l'ateismo sia correlato a qualche altro fattore,
come un'istruzione migliore, una maggiore intelligenza o ten-
denza a riflettere, che potrebbe contrastare gli impulsi crimi-
nali. [..]
[....]
La maggior parte delle persone riflessive sarebbe d'accordo
che una moralità in assenza di un controllore sia in qualche
modo più morale di quella falsa moralità che scompare non
appena la polizia si assenta o la telecamera di sorveglianza
viene spenta [...] Ma forse non è del tutto equo interpretare in
modo così cinico la domanda 'se Dio non esiste, perché essere
54
buoni?'. Un pensatore religioso potrebbe offrire un'interpreta-
zione più genuinamente morale, nel modo che segue.
Se non credi in Dio, allora non credi che esista alcuno
standard assoluto di moralità. A questo punto tu puoi
anche avere tutta la buona volontà del mondo a compor-
tarti bene, ma come decidi cosa è bene e cosa è male?
Solo la religione, alla fine, può fornire uno standard di
cosa è bene e cosa è male. Senza la religione, lo standard
devi costruirtelo tu strada facendo. Questa sarebbe una
moralità senza regole: una moralità che non starebbe in
piedi perché si poggia su sé stessa. Se la moralità è sol-
tanto una questione di scelta, Hilter potrebbe affermare
di essere morale secondo gli standard eugenetici che si è
dato lui stesso, e tutto ciò che gli atei possono fare è
compiere la scelta personale di vivere in modo diverso
da lui. Invece i cristiani, gli ebrei e i musulmani possono
affermare che il male ha un significato assoluto, vero in
tutti i tempi e in tutti i luoghi, secondo cui Hitler era as-
solutamente malvagio.
Anche se fosse vero che abbiamo bisogno di Dio per essere
morali, ciò non renderebbe più probabile l'esistenza di Dio,
ma solo più desiderabile (molte persone non capiscono la dif-
ferenza). Ma ora non è questo il punto. Questo immaginario
sostenitore della religione non ha bisogno di affermare che
Dio è una ragione per far bene. Piuttosto egli afferma che,
quale che sia la ragione per far bene, senza Dio non ci sareb-
be un criterio per decidere cosa è bene. Ognuno di noi potreb-
be farsi la propria definizione di bene, e comportarsi secondo
essa. I principi morali che si basano solo sulla religione (invece
che, ad esempio, su qualche "regola d'oro", che spesso viene
associata alla religione ma può provenire da altrove) si posso-
no chiamare assolutisti. Il bene è bene e il male è male, e non
perdiamo tempo a ragionare se in alcuni casi particolari, ad
esempio, c'è qualcuno che soffre. Il religioso ipotetico di cui
sto parlando decide cosa è bene soltanto in base alla religio-
ne.
55
Alcuni filosofi, come Kant, hanno cercato di derivare una
morale assoluta da fonti non religiose.
[...]
A parte Kant, si ha la tentazione di essere d'accordo col mio
ipotetico sostenitore della religione sul fatto che le morali as-
solute siano spesso guidate dalla religione. È sempre sbaglia-
to porre fine alla sofferenza di un malato terminale su sua ri-
chiesta? È sempre sbagliato fare l'amore con una persone
dello stesso sesso? È sempre sbagliato uccidere un embrio-
ne? Ci sono persone che credono di sì, e le loro basi sono as-
solute. Essi non portano argomentazioni e non ammettono
dibattiti. Chiunque non sia d'accordo merita la fucilazione:
ovviamente in senso metaforico, non letterale ― tranne che
nel caso di alcuni dottori nelle cliniche americane dove si pra-
tica l'aborto (vedi prossimo capitolo). Fortunatamente, però,
la morale non ha bisogno di essere assoluta.
I filosofi della morale sono le nostre personalità di riferimen-
to quando si parla di bene e male. Come dice efficacemente
Robert Hinde, essi affermano che 'i precetti morali, sebbene
non necessariamente fondati sulla ragione, dovrebbero essere
difendibili mediante la ragione'. I filosofi morali [...] si posso-
no classificare in 'deontologisti' (come Kant) e 'consequenzia-
listi' [...]. La deontologia è un nome complicato per la creden-
za che la moralità consista nell'obbedire a regole. È letteral-
mente la scienza del dovere, dal greco "ciò che è vincolante,
doveroso". La deontologia non è proprio uguale all'assoluti-
smo morale ma, per la maggior parte degli scopi, in un libro
sulla religione non è necessario distinguere tra queste due
cose. Gli assolutisti credono che esistano un bene e un male
assoluti, degli imperativi la cui rettitudine non dipende dalle
loro conseguenze. I consequenzialisti pensano più pragmati-
camente che la moralità di un'azione debba essere giudicata in
base alle sue conseguenze.
[...]
Non tutto l'assolutismo è derivato dalla religione. Cionono-
stante, è molto difficile difendere una morale assoluta su basi
56
diverse dalla religione. L'unico concorrente che mi viene in
mente è il patriottismo, specialmente in tempo di guerra.
[...]
La gente disprezzava gli obiettori di coscienza, anche quelli
del Paese nemico, perché il patriottismo era considerato una
virtù assoluta. È difficile dire una cosa più assoluta dello slo-
gan del soldato professionista, "My country right or wrong"
["Sto con la mia patria, che essa abbia ragione o torto"], perché
questo slogan è una promessa di uccidere chiunque si trovi un
domani ad essere dichiarato "nemico" dai politici del tempo. Il
ragionamento consequenzialista potrebbe influenzare la deci-
sione di entrare o meno in guerra ma, una volta che la guerra
è cominciata, il patriottismo assolutista prende il comando con
una forza mai vista da nessun'altra parte ad eccezione della re-
ligione. Un soldato che si lasciasse persuadere da una morale
consequenzialista a non andare sul fronte probabilmente subi-
rebbe la corte marziale e sarebbe giustiziato.
[...]
Il prossimo capitolo dimostrerà che le persone che afferma-
no di derivare la propria morale dalle Scritture non lo fanno
davvero in pratica. [Tutti sono quindi “relativisti”]. E questa è
una cosa molto buona, come loro stessi dovrebbero ammettere
col senno di poi.
57
moderna e civile, religiosa o meno, troverebbe ― non so
come dirlo più educatamente ― nauseante.
Ad essere equi, la maggior parte della Bibbia non è sistema-
ticamente malvagia ma semplicemente bislacca, come ti aspet-
teresti da un'antologia di documenti disgiunti caoticamente
raggruppati insieme, rivisti, tradotti, distorti e 'migliorati' da
migliaia di autori anonimi, editori e copisti, sconosciuti a noi e
che non si conoscevano tra loro, nell'arco di nove secoli. [...]
Ma sfortunatamente è lo stesso strano libro che i fanatici reli-
giosi sbandierano come la fonte infallibile della nostra morale
e delle nostre regole di vita. Coloro che vogliono basare la
propria morale letteralmente sulla Bibbia non l'hanno letta o
non l'hanno compresa, come osserva giustamente il vescovo
John Shelby Spong ne I Peccati delle Scritture.
[...]
L'ANTICO TESTAMENTO
58
prende ancora sul serio e alla lettera le Scritture, compresa la
storia di Noè. Secondo la nota compagnia di sondaggi Gal-
lup, queste persone sono più del 50% degli elettori america-
ni. E lo stesso fanno, senza dubbio, molti di quei ministri di
culto asiatici che hanno dato la colpa dello Tsunami non ad
uno spostamento tettonico ma ai peccati umani, che spaziano
dal bere e ballare nei bar all'infrangere qualche insensata rego-
la del sabato. Chi può permettersi di criticarli, credendo allo
stesso tempo alla storia di Noè ed ignorando tutto tranne la
Bibbia? Tutta l'educazione che hanno ricevuto li ha portati a
considerare i disastri naturali come collegati alle vicende
umane, come vendette per le malefatte degli umani piuttosto
che qualcosa di impersonale come la tettonica a zolle. Tra pa-
rentesi, che presuntuoso egocentrismo credere che eventi che
scuotono la terra, della magnitudine a cui operano gli dei (o la
tettonica a zolle), debbano sempre avere una connessione con
l'uomo. Perché mai un essere divino, con in mente la creazione
e l'eternità, dovrebbe preoccuparsi anche minimamente delle
puerili malefatte umane? Noi uomini ci diamo delle arie, ingi-
gantendo i nostri miseri peccati fino a renderli significativi a
livello cosmico!
Quando intervistai per la televisione il reverendo Michael
Bray, un attivista anti-abortista di fama, gli chiesi perché i cri-
stiani evangelici fossero così ossessionati dalle inclinazioni
sessuali private come l'omosessualità, inclinazioni che non
interferiscono con la vita di nessun altro. La sua risposta tirò
in ballo l'autodifesa. Dei cittadini innocenti rischiano di di-
venire vittime collaterali quando Dio deciderà di colpire la
loro città con un disastro naturale perché ospita dei peccato-
ri. Nel 2005, la bella città di New Orleans fu catastroficamente
inondata come contraccolpo dell'uragano Katrina. Il reveren-
do Pat Robertson, uno dei più famosi tele-evangelisti d'Ameri-
ca, diede la colpa dell'uragano ad una cabarettista lesbica
che abitava a New Orleans. Verrebbe da pensare che un Dio
onnipotente adotterebbe un approccio leggermente più pre-
ciso per freddare i peccatori: un giudizioso attacco di cuore,
forse, piuttosto che la distruzione di un'intera città, solo per-
59
ché il caso ha voluto che fosse il domicilio di una cabarettista
lesbica.
Quando i cittadini di Dover, Pennsylvania, votarono contro
l'insegnamento nelle loro scuole della cosiddetta "teoria del di-
segno intelligente", questo stesso reverendo disse:
[..] se accadrà un disastro nella vostra città, non rivolge-
tevi a Dio. Lo avete appena cacciato dalla vostra città [..].
Quando lo invocherete, Egli potrebbe non esserci.
[...]
Nella distruzione di Sodoma e Gomorra, Lot, nipote di
Abramo, ricopre lo stesso ruolo di Noè, nel senso che viene
scelto per essere risparmiato assieme alla sua famiglia in
quanto individuo retto. Due angeli maschi vennero mandati a
Sodoma per avvisare Lot di abbandonare la città prima che ar-
rivassero le pietre. Lot accolse con ospitalità gli angeli in casa
sua, al che tutti gli uomini di Sodoma si radunarono intorno
alla sua casa e domandarono che Lot consegnasse loro gli an-
geli in modo che potessero (e cos'altro?) sodomizzarli: 'Dove
sono gli uomini che vennero da te questa notte? Portali a noi,
così che possiamo conoscerli' (Genesi 19:5). Sì, “conoscere” ha
il significato eufemistico classico della Versione Autorizzata, il
che è divertente in questo contesto. Il coraggio di Lot nel dire
di no alla richiesta suggerisce che Dio poteva non avere tutti i
torti a salvarlo. Ma la nobiltà di Lot è annebbiata dalle parole
che usa per rifiutare: “Vi prego, non fate tale cosa malvagia.
Guardate: io ho due figlie che non hanno mai conosciuto un
uomo; vi prego, permettete che io ve le porti, e fate a loro ciò
che vi piace: soltanto, non fate nulla a questi uomini; perché
essi sono venuti all'ombra del mio tetto” (Genesi 19:7-8).
Qualunque cosa significhi questa storia bislacca, di certo ci
dice qualcosa sul rispetto accordato alle donne in questa cul-
tura intensamente religiosa. Comunque, si dà il caso che il ba-
ratto di Lot si rivelò non necessario [..]. Tutta la famiglia si sal-
vò, ad eccezione della sfortunata moglie di Lot, che il Signore
trasformò in un pilastro di sale per l'offesa ― debole al con-
fronto, si potrebbe pensare ― di essersi voltata a guardare i
60
fuochi d'artificio della distruzione.
Le due figlie di Lot comparvero di nuovo nella storia. [..]
Vissero col padre in una caverna. Affamate di compagnia ma-
schile, decisero di far ubriacare il padre e copulare con lui. [...]
Lot era troppo ubriaco per accorgersi che si stava accoppiando
con le figlie. Se questa famiglia con dei problemi era il meglio
che Sodoma aveva da offrire in quanto a morale, qualcuno di
voi potrebbe cominciare a sentirsi d'accordo con Dio e la sua
severa scure.
C'è un altro episodio tetramente simile a quello di Lot nel ca-
pitolo 19 del libro dei Giudici. [...]
No, amici, vi prego, non fate una cosa tanto malvagia,
perché quest'uomo è venuto in casa mia; ecco, ho una fi-
glia con la sua concubina; ve le porterò ora entrambe, e
ve le umilierò, e fate loro quel che vi pare; ma su que-
st'uomo non fate una cosa così vile [...]
Ancora una volta, l'etica misogina si rivela, forte e chiara.
Trovo particolarmente agghiacciante la frase “ve le umilierò”.
Divertitevi pure umiliando e stuprando mia figlia e la concu-
bina di questo sacerdote, ma mostrate un giusto rispetto per il
mio ospite che, dopo tutto, è maschio. Nonostante la similarità
tra le due storie, il finale fu meno felice per la concubina del
Levite (sacerdote) che per le figlie di Lot.
Il Levite la consegnò ai malviventi, che la stuprarono per tut-
ta la notte: "la conobbero e abusarono di lei per tutta la notte
fino al mattino: e quando il giorno cominciò a sorgere, la la-
sciarono andare. Poi la donna all'alba arrivò davanti alla porta
della casa dov'era il suo signore, e restò al suolo finché non di-
venne giorno". (Giudici 19:25-6). Di mattina, il Levita trovò la
sua concubina che giaceva prostrata sull'uscio e disse ― con
ciò che oggi potrebbe sembrare una crudele brutalità ― "Alza-
ti e andiamo". Ma lei non si muoveva. Era morta. Per cui egli
"prese un coltello, si chinò sulla sua concubina, e la fece a pez-
zi, anche le ossa, il tutto in 12 pezzi, e la mandò sulle coste di
Israele". Sì avete letto bene. Andatelo a leggere in giudici
19:29. [...]
61
Lo zio di Lot, Abramo, fu il padre fondatore di tutte e tre le
"grandi" religioni monoteistiche. Il suo status di patriarca lo
rende degno di divenire per i fedeli un modello di vita quasi
quanto Dio stesso. Ma quale moralista moderno vorrebbe
emularlo?
[.....]
Dio ordinò ad Abramo di offrirgli in sacrificio il suo amato
figliolo, uccidendolo e bruciandolo. Abramo costruì un altare,
ci mise sopra la legna da ardere, ed issò Isacco sopra di essa. Il
suo coltello era già alzato quando un angelo intervenne con
un cambio di piano: Dio stava solo scherzando dopo tutto,
'mettendo alla prova' Abramo e testando la sua fede. Un mo-
ralista moderno non può evitare di chiedersi come un bam-
bino possa recuperare dopo un trauma psicologico di questo
tipo. Secondo gli standard moderni di moralità, questa storia
scellerata è un esempio allo stesso tempo di abuso di minori,
di due atti di bullismo verso persone di rango inferiore, ed è
il primo caso documentato di utilizzo della difesa di Norim-
berga: "Ho solo eseguito gli ordini". Eppure la leggenda è
uno dei grandi miti fondanti di tutte e tre le religioni monotei-
stiche.
Ancora una volta, i teologi moderni obietteranno che la sto-
ria del sacrificio di Isacco non dovrebbe essere intesa lette-
ralmente come un fatto. Ed ancora una volta, la risposta cor-
retta è duplice. Primo, moltissime persone, anche oggi, pren-
dono tutte le Scritture alla lettera come un fatto vero, ed han-
no molto potere politico su tutti noi, specialmente negli Stati
Uniti e nel mondo islamico. Secondo, se non lo dobbiamo
prendere alla lettera, come lo dobbiamo prendere? Come
un'allegoria? Ma un'allegoria di che cosa? Certo di nulla che
sia lodevole. Come una lezione morale? Ma che tipo di morale
si potrebbe mai derivare da questa storia sconcertante?
Ricordate, tutto ciò che sto cercando di stabilire per il mo-
mento è che noi non deriviamo la nostra morale dalle Scrit-
ture. O, se lo facciamo, noi scegliamo tra le Scritture le parti
belle e scartiamo quelle brutte. Ma allora dobbiamo avere
62
qualche criterio indipendente per decidere quali sono le par-
ti morali e quali no: un criterio che, da dovunque provenga,
non può venire dalla Scrittura stessa e presumibilmente è
disponibile a noi tutti, non importa se religiosi o meno.
Alcuni difensori cercano persino di attribuire decenza al per-
sonaggio di Dio in questa deplorevole storia. Non è stato forse
buono Dio a risparmiare la vita di Isacco all'ultimo momento?
Nel caso improbabile che alcuni di voi siano persuasi da que-
sto osceno tentativo di giustificazione, vi racconterò un'altra
storia di sacrificio umano, che non andò a finire così bene.
Nel capitolo 11 dei Giudici, il capo militare Jephthah strinse
il patto con Dio che, se Dio gli avesse garantito la vittoria con-
tro gli Ammoniti, Jephthah avrebbe in cambio, senza fallo, sa-
crificato a Dio e bruciato “chiunque uscisse per primo fuori da
casa mia per salutarmi, quando sarò tornato”. Jephthah scon-
fisse davvero gli Ammoniti (“con un massacro maestoso”,
come è la norma in tutto il libro dei Giudici) e tornò vittorioso
a casa. Chi venne a salutarlo fuori da casa fu, non sorprenden-
temente, la sua unica figlia, accogliendolo con danze e feste.
[...] Non c'era niente che Jephthah potesse fare. Dio stava ov-
viamente aspettando il sacrificio promesso, e in quella circo-
stanza la figlia acconsentì molto carinamente ad essere sacrifi-
cata. Chiese solo di poter andare sulle montagne per due mesi
per perdere la verginità. Alla fine di questo periodo tornò e
Jephthah la fece fuori. Dio non ritenne opportuno interveni-
re in questa occasione.
[...]
Mosè corse giù dalla montagna, portando le tavole di pietra
su cui Dio aveva scritto i Dieci Comandamenti. Quando arrivò
e vide il vello d'oro, fu così furioso che lasciò cadere le tavole e
le ruppe (più tardi Dio gli diede un set di tavole di ricambio,
quindi non ci fu alcun problema). Mosè si impadronì del vello
d'oro, lo bruciò, lo fece in polvere, lo mischiò con acqua e lo
fece bere a tutte le persone. Poi disse a tutti nella tribù di sa-
cerdoti di Levi di raccogliere una spada e uccidere quante
più persone possibile. Questo ammontò a circa tremila vitti-
63
me che, qualcuno avrebbe sperato, avrebbero dovuto placare
l'ira gelosa di Dio. Ma no, Dio non aveva ancora finito. Nell'ul-
timo verso di questo terribile capitolo il suo colpo di grazia fu
inviare una pestilenza su ciò che restava delle persone “perché
essi avevano fatto il vello, che Aaron aveva fatto”.
Il Libro dei Numeri ci racconta come Dio incitò Mosè ad at-
taccare i Midianiti. Il suo esercito massacrò rapidamente gli
uomini, e bruciò tutte le città dei Midianiti, ma non uccise le
donne e i bambini. Questa pietosa astensione dei soldati fece
infuriare Mosè, che diede ordine di uccidere tutti i bambini,
e tutte le donne non vergini. “Ma tutte le bambine, che non
hanno conosciuto un uomo, lasciatele vive e tenetele per voi
stessi” (Numeri, 31:18). No, Mosè non è un buon esempio di
vita per i moralisti moderni.
Per quanto alcuni scrittori religiosi moderni attribuiscano
qualche tipo di significato simbolico al massacro dei Midianiti,
il simbolismo è orientato completamente nella direzione sba-
gliata. Gli sfortunati Midianiti, per quanto possiamo giudicare
dal resoconto biblico, furono vittime di genocidio nel loro
stesso Paese.
[...]
Nei Numeri, libro 25, molti israeliti furono adescati dalle
donne moabite ad offrire sacrifici al dio Baal. Dio reagì con la
sua furia caratteristica. Ordinò a Mosè di “Prendere tutte le te-
ste delle persone e appenderle sotto il sole al cospetto del Si-
gnore, così che la furiosa rabbia di Dio possa allontanarsi da
Israele”. Ancora una volta, non possiamo evitare di stupirci
alla reazione straordinariamente draconiana di Dio di fronte al
peccato di farsi sedurre da un Dio rivale. Per il nostro senso
moderno di giustizia, sembra un peccato veniale in confronto,
ad esempio, all'offrire tua figlia a una banda di stupratori. E'
un ulteriore esempio della distanza tra la morale delle scrittu-
re e quella moderna (sarei tentato di dire “civile”). Natural-
mente, si spiega abbastanza facilmente in termini della teoria
della “memetica” [la teoria della sopravvivenza dell'idea più
adatta, ideata da Dawkins], e delle qualità che una divinità
64
deve possedere per per poter sopravvivere alle idee concor-
renti.
Questa tragicomica gelosia maniacale di Dio contro gli dei
alternativi ricorre incessantemente per tutto l'Antico Testa-
mento. Motiva il primo dei Dieci Comandamenti (quelli sulla
tavoletta rotta da Mosè: Esodo 20, Deuteronomio 5), ed è an-
cora più prominente nei comandamenti sostitutivi forniti da
Dio per rimpiazzare le tavole rotte (Esodo 34). Dopo aver pro-
messo di cancellare dalle loro terre gli sfortunati Amoriti, Ca-
naaniti, Hittiti, Perizziti, Hiviti e Gebusiti, Dio arriva alla que-
stione che conta davvero: gli dei rivali!
... tu distruggerai i loro altari, infrangerai le loro raffigu-
razioni, e taglierai i loro pali sacri. Perché tu non venere-
rai alcun altro dio: perché il Signore, il cui nome è Gelo-
so, è un dio geloso. Non fare alleanza con gli abitanti di
quel paese, altrimenti, quando si prostituiranno ai loro
dèi e faranno sacrifici ai loro dèi, inviteranno anche te: tu
allora mangeresti le loro vittime sacrificali. Non prende-
re per mogli dei tuoi figli le loro figlie, altrimenti, quan-
do esse si prostituiranno ai loro dèi, indurrebbero anche
i tuoi figli a prostituirsi ai loro dèi.
72
stante da John Hartung, fisico ed antropologo evoluzionista
americano. Egli ha scritto un notevole trattato sull'evoluzione
e sulla storia biblica della moralità diretta a un gruppo ristret-
to, ponendo l'accento, tra l'altro, sul rovescio della medaglia
― l'ostilità verso chi è fuori dal gruppo.5
74
INSEGNARE AI BAMBINI IL GENOCIDIO
75
sbagliate.
• Giosuè fece bene perché le persone che abitavano
quella terra erano di una religione diversa, e quando
Giosuè le uccise cancellò quella religione dalla fac-
cia della terra.
La giustificazione del genocidio di Giosuè è in tutti i casi
religiosa. Perfino quelli della categoria C, che diedero disap-
provazione totale, la diedero, in alcuni casi, per ragioni reli-
giose rovesciate. Ad esempio una bambina disapprovò l'atto
di Giosuè di conquistare Gerico perché, per poterlo fare, ci
dovette entrare dentro:
Credo che sia sbagliato, perché gli arabi sono impuri, e
se uno entra in una terra impura diventerà impuro an-
che lui e dividerà con loro la dannazione.
Altre due che diedero disapprovazione totale lo fecero per-
ché Giosuè distrusse tutto, compresi gli animali e la proprietà,
invece di conservare qualcosa per darlo agli israeliti:
• "Credo che Giosuè non abbia agito bene, perché avreb-
be potuto risparmiare gli animali per farli usarli alla
sua gente."
• "Credo che Giosuè non agì bene, perché avrebbe potu-
to lasciare intatte le proprietà di Gerico; se non avesse
distrutto le proprietà, sarebbero appartenute agli
israeliti."
Ancora una volta il saggio Maimonides, spesso citato per la
sua saggezza di studioso, non ha alcun dubbio sulla sua posi-
zione nella questione:
Distruggere le sette nazioni è un comandamento positi-
vo, poiché viene detto: "Tu le devi distruggere completa-
mente". Se uno non mette a morte chiunque di essi in-
contri sulla sua strada, costui trasgredisce un comanda-
mento negativo, poiché viene detto: "Tu non lascerai
vivo niente che respiri."
Diversamente da Maimonides, i bambini nell'esperimento di
Tamarin erano abbastanza giovani da essere innocenti. Presu-
76
mibilmente i punti di vista selvaggi che esprimevano erano
quelli dei loro genitori, o dei gruppi culturali in cui erano stati
cresciuti. Suppongo che non sia improbabile che i bambini pa-
lestinesi, cresciuti nello stesso paese devastato dalla guerra, of-
frirebbero delle opinioni equivalenti nella direzione opposta.
Queste considerazioni mi riempiono di disperazione. Sembra-
no mostrare l'immenso potere della religione (e specialmen-
te del crescere i bambini con un'educazione religiosa) di di-
videre le persone e propagare inimicizie storiche e vendette
ereditarie. Non posso non notare che due delle tre citazioni
rappresentative del gruppo A parlavano dei mali dell'assimi-
lazione, mentre la terza accentuava l'importanza di uccidere
le persone al fine di cancellare la loro religione.
Tamarin, nel suo esperimento, coinvolse anche un affasci-
nante “gruppo di verifica”. Ad un gruppo diverso di 168
bambini israeliani fu presentato lo stesso testo del libro di
Giosuè, ma con il nome di Giosuè sostituito da "Generale
Lin", e "Israele" sostituito con "un regno cinese 3000 anni fa".
Adesso l'esperimento diede risultati opposti. Solo il 7%
approvò il comportamento del generale Lin, e il 75% disap-
provò. In altre parole, quando la loro lealtà al giudaismo ve-
niva rimossa dal ragionamento, la maggioranza dei bambini
si trovava d'accordo con i giudizi morali dati dalla maggior
parte degli esseri umani moderni. Le azioni di Giosuè furono
una barbarica opera di genocidio. Ma tutto sembra diverso
dal punto di vista religioso. E la differenza comincia presto
nella vita. Per quei bambini, fu la religione a fare la diffe-
renza tra condannare un genocidio e giustificarlo.
Hartung, nella seconda metà della sua pubblicazione, passa
a parlare del nuovo testamento. Per riassumere brevemente la
sua tesi, Gesù osservava la stessa moralità ristretta soltanto
al proprio gruppo ― unita all'ostilità verso chi è fuori dal
gruppo ― che veniva data per scontato nel vecchio testa-
mento. Gesù era un ebreo leale. Fu Paolo che inventò l'idea di
portare ai Gentili il Dio degli ebrei. Hartung è più brusco di
quanto io abbia il coraggio di fare: "Gesù si sarebbe rivoltato
nella tomba se avesse saputo che Paolo avrebbe portato il suo
77
piano ai porci".
Hartung si concede un po' di divertimento con il libro del-
l'Apocalisse, che certamente è uno dei libri più bislacchi della
Bibbia. Si suppone che sia stato scritto da San Giovanni, e, per
usare le parole di "Ken's Guide to the Bible", se le sue epistole si
possono considerare come Giovanni sotto l'effetto di uno spi-
nello, allora l'Apocalisse è Giovanni sotto l'effetto dell'acido.
Hartung attira la nostra attenzione sui due versi dell'Apocalis-
se dove il numero di persone "sigillate" (che secondo alcune
sette, come i testimoni di Geova, significa "salvati") è limitato a
144.000. La tesi di Hartung è che dovevano essere tutti ebrei:
12.000 da ciascuna delle 12 tribù. Ken Smith si spinge oltre, fa-
cendo notare che i 144.000 eletti "non si sporcavano con le
donne", il che presumibilmente significa che nessuno di essi
può essere donna. Beh, è il tipo di cosa che oramai abbiamo im-
parato ad aspettarci.
C'è molto di più nella pubblicazione di Hartung. La racco-
manderò una volta di più, e la riassumerò in una citazione:
La Bibbia è un piano meticoloso per una moralità ristret-
ta ad un gruppo specifico, completa di istruzioni per il
genocidio, schiavizzazione degli altri gruppi, e domina-
zione del mondo. Ma la Bibbia non è malvagia a causa
dei suoi obiettivi, o persino per la sua glorificazione
dell'omicidio, della crudeltà e dello stupro. Molte altre
opere antiche fanno questo ― l'Iliade, le saghe islan-
desi, i racconti degli antichi siriani e le iscrizioni degli
antichi Maya, per esempio. Ma non c'è nessuno che
spacci l'Iliade come fondamento della moralità. È qui
il problema. La Bibbia viene venduta, e comprata,
come una guida per insegnare alle persone come vive-
re la loro vita. Ed è, di gran lunga, il più grande best-sel-
ler di tutti tempi.
Perché non si pensi che l'atto del giudaismo tradizionale di
escludere gli altri gruppi sia unico tra le religioni, guardate il
seguente fiducioso verso tratto da un inno di Isaac Watts
(1674-1748):
78
Signore, ascrivo alla tua grazia,
e non al caso, come fanno altri,
il fatto che nacqui di razza cristiana
e non pagano o ebreo.
Quello che mi sconcerta di questo verso non è l'esclusività di
per sé, ma la logica. Visto che molti sono nati in religioni di-
verse dal cristianesimo, come fece Dio a decidere quali di
queste persone future dovessero avere il privilegio di nasce-
re cristiani? Perché favorire Isaac Watts [..]? In ogni caso, pri-
ma che Isaac Watts fosse concepito, qual era la natura di
questa entità che veniva prescelta? Queste sono acque pro-
fonde, ma forse non troppo profonde per una mente tendente
alla teologia. L'inno di Isaac Watts ricorda tre preghiere gior-
naliere che vengono insegnate agli ebrei ortodossi e conserva-
tori (ma non a quelli riformati):
"Benedetto tu sia per non avermi fatto nascere Gentile.
Benedetto tu sia per non avermi fatto nascere donna.
Benedetto tu sia per non avermi fatto nascere schiavo."
La religione è indubbiamente una forza che divide, e que-
sta è una delle accuse fondamentali che si assestano contro di
essa. Ma si dice frequentemente e giustamente che le guerre,
e le rappresaglie tra i gruppi e le sette religiose, sono rara-
mente davvero dovute a disaccordi teologici. Quando un pa-
ramilitare Ulster Protestante uccide un cattolico, non sta ri-
muginando tra sé "Prendi questo, bastardo transustanziazio-
nista, adoratore di Maria, che puzzi di incenso!". È molto più
probabile che stia vendicando la morte di un altro protestan-
te ucciso da un altro cattolico, forse nel corso di una vendetta
transgenerazionale che va avanti. La religione è una etichetta
che permette l'ostilità e la vendetta tra un gruppo interno e
un gruppo esterno, non necessariamente peggiore di altre eti-
chette come il colore della pelle, la lingua, o la squadra di foot-
ball preferita, ma è un'etichetta che è spesso disponibile
quando altre non lo sono. Ma sì, sì, naturalmente i problemi
nell'Irlanda del Nord sono politici. C'è stata davvero un'op-
79
pressione economica e politica di un gruppo su un altro, e lun-
ga secoli. Ci sono davvero genuine ingiustizie, e queste sem-
brano avere poco a che fare con la religione; tranne che ― e
questo è tanto importante quanto regolarmente trascurato ―
senza la religione non ci sarebbero etichette per decidere chi
opprimere e chi vendicare. E il vero problema nell'Irlanda
del Nord è che queste etichette vengono ereditate di genera-
zione in generazione. I cattolici, i cui genitori, nonni e bi-
snonni andavano alle scuole cattoliche, mandano i loro figli
alle scuole cattoliche. I protestanti, i cui genitori, nonni e bi-
snonni andavano alle scuole protestanti, mandano i loro figli
alle scuole protestanti. Questi due insiemi di persone hanno
lo stesso colore della pelle, parlano la stessa lingua, amano
le stesse cose, eppure è come se appartenessero a due specie
diverse, tale è la divisione storica tra di loro. E senza la reli-
gione, e l'educazione segregata religiosamente, la divisione
semplicemente non ci sarebbe. Dal Kosovo alla Palestina,
dall'Iraq al Sudan, da Ulster al subcontinente indiano, osserva-
te attentamente qualunque regione del mondo dove trovate
ostilità intrattabili e violenza tra gruppi rivali. Non posso ga-
rantirvi che troverete la religione come etichetta dominante
per distinguere il gruppo interno dal gruppo esterno. Ma è
una scommessa molto buona da fare.
In India, al tempo della "Partition", furono massacrate più
di un milione di persone in rivolte religiose tra gli indù e mu-
sulmani (e 15 milioni furono allontanati dalla loro casa). Non
c'era alcun elemento distintivo eccetto quello religioso, per
etichettare chi uccidere. In ultima analisi, non c'era niente
che li dividesse tranne la religione. Salman Rushdie fu spin-
to, da una più recente ripresa di massacri religiosi in India, a
scrivere un articolo intitolato "La religione, come sempre, è il
veleno nel sangue dell'India". Ecco il paragrafo conclusivo:
Cosa c'è da rispettare in tutto questo, o in uno qualun-
que dei crimini che ora vengono commessi quasi quoti-
dianamente in tutto il mondo in nome della religione?
Quanto bene, e con che risultato fatale, la religione erige
dei totem, e quanto noi siamo bendisposti ad uccidere
80
per essi! E quando l'abbiamo fatto abbastanza spesso, la
diminuzione nell'impatto emotivo che ne risulta rende
più facile farlo di nuovo.
Così il problema dell'India finisce per essere il problema
del mondo. Ciò che è successo in India è successo nel
nome di Dio.
Il nome del problema è Dio.
Io non nego che le forti tendenze dell'umanità verso la
lealtà al proprio gruppo interno e l'ostilità ai gruppi esterni
esisterebbero anche in assenza di religione. I tifosi delle
squadre di football rivali sono un esempio in miniatura di
questo fenomeno. Anche i tifosi di football a volte si dividono
lungo linee religiose, come nel caso dei Ranger di Glasgow e i
Celtic di Glasgow. Altri importanti elementi di divisione pos-
sono essere la lingua (come in Belgio), la razza e la tribù (spe-
cialmente in Africa). Ma la religione amplifica ed inasprisce
il danno in almeno tre modi:
1. Etichettatura dei bambini. I bambini vengono de-
scritti come "bambini cattolici", " bambini protestan-
ti" ecc, sin da un'età giovanissima, e certamente trop-
po giovane perché abbiano sviluppato un'opinione
sulla religione (ritorno su questo abuso di bambini
nel capitolo 9).
2. Scuole segregate. I bambini vengono educati, di
nuovo sin dalla giovanissima età, assieme a membri
del loro stesso gruppo religioso e separatamente dai
bambini le cui famiglie aderiscono ad altre religioni.
Non è esagerato affermare che i guai dell'Irlanda
del Nord scomparirebbero in una generazione se
fossero abolite le scuole segregate.
3. I tabù contro il matrimonio "misto". Questo propa-
ga all'infinito le vendette ereditarie impedendo la
commistione tra gruppi nemici. Il matrimonio incro-
ciato, se fosse permesso, tenderebbe naturalmente a
smorzare le ostilità.
81
[.....]
Anche se la religione non facesse altro danno in sé e per sé,
la sua divisività ostinata e attentamente alimentata ― il suo
deliberato e coltivato incoraggiamento alla naturale tendenza
umana di favorire il gruppo interno e ad evitare ciò che è
esterno ― sarebbe sufficiente a renderla una forza significati-
va del male nel mondo.
85
• Scommettiamo che ti dimostro che Dio esiste?
• Io scommetto di no.
• Bene, allora immagina la cosa più perfetta perfet-
ta perfetta perfettissima possibile.
• Ok, e adesso?
• Ora, è reale questa cosa perfetta perfetta? esiste?
• No, è solo nella mia mente.
• Ma se fosse reale sarebbe ancora più perfetta,
perché una cosa veramente veramente perfetta
dovrebbe essere meglio di una stupida cosa im-
maginaria. Così ho provato che Dio esiste. Tra la
la la la. Tutti gli atei sono dementi.
Non ho scelto a caso la parola "demente". Anselmo stesso
citò il primo verso del quattordicesimo salmo, "Il demente dis-
se nel proprio cuore: Dio non esiste", ed ha ben pensato di
usare il nome "demente" (dal latino insipiens) per il suo ipoteti-
co ateo:
Per questo motivo, anche il demente si convince che nel-
la comprensione esiste qualcosa più grande di qualun-
que altra cosa si possa concepire. Perché, quando gli
dico così, lui lo capisce. È qualunque cosa venga capito
esiste nella comprensione. D'altra parte, ciò che è più
grande di qualunque altra cosa che si possa concepire
non può esistere soltanto nella comprensione. Perché, se
esistesse soltanto nella comprensione, allora potremmo
concepire che esista anche nella realtà, ma allora sarebbe
ancora più grande.
L'idea stessa che si possano ottenere conclusioni importanti
con questi giochetti basati solo sull'uso delle parole mi offende
esteticamente, quindi devo stare attento a non usare a mia vol-
ta la parola “demente”. Bertrand Russell (che non era un de-
mente) disse: “è più facile convincersi che l'argomento ontolo-
gico sia viziato che trovare esattamente quale sia l'errore”.
Russell stesso, da giovane, per qualche tempo ne fu persuaso
86
[...]
[...]
I Greci non riuscivano a falsificare la "dimostrazione" di Ze-
none che Achille non raggiungerà mai la tartaruga. Ma aveva-
no il buon senso di non concludere che allora Achille non
raggiungerà mai la tartaruga. Lo chiamarono invece parados-
so ed aspettarono che generazioni successive di matematici lo
spiegassero (mediante, come ora sappiamo, la teoria delle se-
rie infinite convergenti ad un valore finito). Perché Russell [..]
non fu ugualmente cauto rispetto ad Anselmo?
[..]
Il mio sentimento, al contrario, sarebbe stato un automatico,
profondo sospetto verso un ragionamento che raggiungeva
conclusioni così significative senza avere avuto in input al-
cun dato sul mondo reale.
[...]
Kant localizzò il trucco di Anselmo nell'assunzione scivolosa
che l'esistenza sia più perfetta della non esistenza. Il filosofo
americano Norman Malcolm la mette così: "la dottrina per cui
l'esistenza sarebbe indice di perfezione è notevolmente strana.
Ha senso, ed è corretto, dire che la mia casa futura sarà miglio-
re se sarà isolata dal freddo piuttosto che se non lo sarà; ma
che cosa potrebbe mai significare che sarà una casa migliore
se esisterà piuttosto che se non esisterà?" . Un altro filosofo,
l'australiano Douglas Gasking, è ricorso all'ironia producendo
delle "prove" che Dio non esiste [...]:
• La creazione del mondo è l'azione più meravigliosa
che si possa immaginare.[..]
• Più grande è la menomazione (o l'handicap) del crea-
tore, più impressionante è il risultato finale.
• L'handicap più formidabile in assoluto per un creatore
sarebbe la non esistenza.
• Quindi, se supponiamo che l'universo sia il prodotto
di un creatore esistente, possiamo concepire un essere
ancora più grande ― quello che ha creato tutto senza
87
esistere lui stesso.
• Un dio esistente, quindi, non sarà l'essere più grande
che noi possiamo concepire, perché un dio che non
esiste sarebbe un essere ancora più formidabile e in-
credibile.
• Quindi Dio non esiste.
Inutile dirlo, Gasking non ha provato davvero che Dio non
esiste. Per lo stesso motivo, Anselmo non ha provato che esi-
ste. La differenza è che Gasking cercava di essere spiritoso di
proposito. Come egli aveva ben compreso, l'esistenza o la non
esistenza di Dio è una domanda troppo grande per essere de-
cisa mediante un gioco di prestigio dialettico. E non credo
neppure che il fatto di considerare l'esistenza un indice di per-
fezione sia il punto peggiore dell'argomento. Ho dimenticato i
dettagli ma, una volta, ad un convegno di teologi e filosofi, ho
adattato l'argomento ontologico in modo da provare che i ma-
iali volano. Hanno sentito il bisogno di ricorrere alla logica
modale per dimostrare che mi sbagliavo. [...]
89
estremisti. Ma la mia tesi in questa sezione è che anche una re-
ligione mite e moderata aiuta a costruire il clima di fede in cui
l'estremismo prospera naturalmente.
Nel luglio 2005, Londra fu vittima di un attacco suicida
concertato: tre bombe in metropolitana e una in un autobus.
Non grave come l'attacco del 2001 alle torri gemelle, e certa-
mente non così inaspettato (anzi, Londra era stata preparata
proprio a questo tipo di evento sin da quando Blair volonta-
riamente ci costrinse a spalleggiare, contro la nostra volontà,
l'invasione dell'Iraq di Bush), tuttavia le esplosioni di Londra
ricoprirono di orrore la Gran Bretagna. I giornali si riempirono
di valutazioni concorrenti su cosa possa aver spinto quattro
giovani uomini a farsi esplodere e a portare con loro molte
persone innocenti. Gli omicidi erano cittadini britannici,
amanti del cricket, dotati di buone maniere, proprio il tipo di
giovani uomini la cui compagnia è piacevole.
Perché questi giovani amanti del cricket hanno fatto ciò? Di-
versamente dalle loro controparti palestinesi, o dalle loro con-
troparti kamikaze in Giappone, o dalle loro controparti Tamil
Tiger nello Sri Lanka, queste bombe umane non si aspettavano
che le loro famiglie fossero glorificate, accudite, o che riceves-
sero le pensioni riservate ai martiri religiosi. Al contrario, in
alcuni casi i loro parenti furono costretti a nascondersi. Uno di
questi uomini rese volontariamente vedova la moglie incinta e
rese orfano il suo piccolo bambino che stava imparando a
camminare. L'azione di questi quattro uomini è stata una to-
tale sciagura non solo per loro stessi e le loro vittime, ma an-
che per le loro famiglie e per l'intera comunità musulmana
della Gran Bretagna, che adesso si trova a fronteggiare il con-
traccolpo. Solo la fede religiosa è una forza sufficiente a mo-
tivare una follia così completa in persone altrimenti sane e
decenti. Ancora una volta, Sam Harris illustra la cosa con du-
rezza adeguata, facendo l'esempio del leader di al Qaeda, Osa-
ma Bin Laden (che tra parentesi non ha avuto niente a che fare
con il bombardamento di Londra). Perché mai qualcuno do-
vrebbe voler distruggere le torri gemelle e tutto ciò che con-
tengono? Chiamare Bin Laden "malvagio" significa evadere
90
dalla responsabilità di dare una risposta adeguata ad una que-
stione così importante.
La risposta alla domanda è ovvia ― se non altro perché
è stata ripetuta con pazienza, fino alla nausea, da Bin La-
den stesso. La risposta è che persone come Bin Laden
credono davvero ciò che dicono di credere. Credono
nella verità letterale del Corano. Perché mai 19 uomini
ben istruiti della classe media hanno barattato la loro
vita terrena con il privilegio di uccidere migliaia dei no-
stri simili? Perché credevano che sarebbero andati diret-
tamente in paradiso facendo questo. È raro trovare una
spiegazione più completa e soddisfacente di un com-
portamento umano. Perché siamo stati così riluttanti
ad accettare questa spiegazione?
Il rispettato giornalista Muriel Gray, scrivendo per il Gla-
sgow Herald il 24 luglio 2005, sostiene una tesi simile, in que-
sto caso con riferimento al bombardamento di Londra.
Si dà la colpa a tutti, a partire dall'ovvio duo di malfatto-
ri George Bush e Tony Blair, fino ad arrivare all'inerzia
delle "comunità" musulmane. Ma non è stato mai più
chiaro che c'è solo una cosa a cui dare la colpa, ed è sem-
pre stato così. La causa di tutta questa miseria, disastri,
violenza, terrore e ignoranza è naturalmente la religio-
ne stessa, e se sembra superfluo dover dire una cosa così
ovvia, sta di fatto che il governo e i media stanno fingen-
do con caparbietà e successo che non sia così.
I nostri politici occidentali evitano di utilizzare la parola che
comincia con "R" (religione), e invece caratterizzano la loro
battaglia come guerra contro il "terrore", come se il terrore fos-
se una specie di spirito o forza, con una volontà e una mente
propria. Oppure caratterizzano i terroristi come motivati dal
puro "male". Ma non sono motivati dal male. Per quanto noi
possiamo pensare che siano nel torto, essi sono motivati, pro-
prio come i cristiani che uccisero i dottori che praticavano l'a-
borto, da ciò che loro percepiscono come giustizia, perseguen-
do fedelmente ciò che la loro religione dice loro. Non sono de-
91
gli psicotici; sono degli idealisti religiosi che, in base alla
loro logica, sono razionali. Percepiscono i loro atti come buo-
ni, non a causa di qualche perversa idiosincrasia personale, e
non perché sono posseduti da Satana, ma perché sono stati al-
levati, sin dalla culla, per avere una fede totale ed indiscus-
sa. Sam Harris cita le parole di un attentatore palestinese che
non è riuscito a portare a termine il suo obiettivo, che dice che
ciò che lo spinse ad uccidere gli israeliani fu "l'amore del mar-
tirio... io non volevo vendetta per alcunché. Volevo soltanto
essere un martire". Il 19 novembre 2001, il New Yorker riporta-
va un'intervista a Nasra Hassan e un altro attentatore fallito,
un istruito giovane palestinese dell'età di 27 anni noto come
"S". È un pezzo così poeticamente eloquente dell'attrazione del
paradiso, quale è predicato dai leader e dagli insegnanti reli-
giosi moderati, che penso che valga la pena riportarlo per este-
so:
"Qual è l'attrazione del martirio?" io domandai.
"Il potere dello spirito ci eleva verso l'alto, mentre il po-
tere delle cose materiali ci trascina verso il basso", disse
lui. "Chi è votato al martirio diventa immune all'attra-
zione dei beni materiali. Il nostro istruttore ci chiese 'Che
farete se l'operazione fallisce?'. Gli rispondemmo: 'In
ogni caso, riusciremo ad incontrare il profeta e i suoi
compagni, inshallah' ".
"Stavamo galleggiando, nuotando, nel sentimento che
stavamo per entrare nell'eternità. Non avevamo dubbi.
Facemmo un giuramento sul Corano, alla presenza di
Allah ― il giuramento di non esitare. Questo giuramen-
to di jihad si chiama "bayt al-ridwan", nome che deriva
dal giardino del paradiso che è riservato solo ai profeti e
ai martiri. So che ci sono altri modi di fare la jihad. Ma
questo qui è dolce ― il più dolce. Tutte le azioni di mar-
tirio, se fatte per il bene di Allah, fanno meno male di
una puntura di zanzara!"
"S" mi mostrò il video che documentava la pianificazio-
ne finale dell'operazione. Nel video sfocato, vidi lui e al-
92
tri due giovani uomini che intrattenevano un dialogo ri-
tuale con domande e risposte sulla gloria del martirio...
Poi i giovani uomini e l'istruttore si inginocchiarono e
misero la mano destra sul Corano. L'istruttore disse "sie-
te pronti? domani sarete in paradiso"
Se io fossi stato S, sarei stato tentato dal dire all'istruttore
"beh, in questo caso, perché non ci vai tu, mettendo la tua pel-
le in gioco anziché le parole? Perché non fai tu le missioni sui-
cide, prendendo la strada breve verso il paradiso?". Ma ciò che
per noi è così difficile capire è che ― ripeto perché è così im-
portante ― queste persone credono veramente ciò che dico-
no di credere. La morale di tutto ciò è che dovremmo dare la
colpa alla religione stessa, non all'estremismo religioso ―
come se fosse una specie di terribile perversione della religio-
ne vera e decente. Voltaire aveva ragione molto tempo fa: "Co-
loro che possono farti credere delle assurdità possono farti
commettere atrocità". Ed aveva ragione anche Bertrand Rus-
sell: "Molte persone preferirebbero morire piuttosto che pen-
sare. Anzi, per la verità lo fanno."
Finché accettiamo il principio che la fede religiosa debba es-
sere rispettata semplicemente perché è fede religiosa, è diffici-
le non rispettare la fede di Osama Bin Laden e quella dei bom-
baroli suicidi. L'alternativa, così trasparente che non dovrebbe
servire menzionarla, è abbandonare il principio del rispetto
automatico per la fede religiosa. Questo è uno dei motivi per
cui faccio tutto ciò che posso per mettere in guardia le persone
dalla fede stessa, non solo dalla fede cosiddetta "estremista".
Gli insegnamenti della religione "moderata", sebbene non
estremisti di per sé, sono una porta spalancata all'estremismo.
Si potrebbe dire che non c'è niente di speciale nella fede reli-
giosa. Anche l'amore patriottico per la patria, o per il proprio
gruppo etnico, spiana la strada per la sua versione di estremi-
smo, non è vero? Sì, è vero, ed è ciò che è successo con i kami-
kaze in Giappone e i Tamil Tigers in Sri Lanka. Ma la fede reli-
giosa è un silenziatore particolarmente potente del calcolo ra-
zionale, silenziatore che di solito sembra prevalere su ogni al-
93
tra fede. Questo è dovuto, credo, alla sua promessa facile e ac-
cattivante che la morte non sia la fine, e che il paradiso dei
martiri sia particolarmente glorioso. Ma è dovuto anche al fat-
to che la fede religiosa scoraggia l'atto di metterla in discus-
sione, per sua stessa natura.
La cristianità, proprio come l'Islam, insegna ai bambini che
la fede priva di discussione sia una virtù. Non devi produrre
un motivo per ciò che tu credi. Se qualcuno annuncia che
una cosa è parte della sua "fede", il resto della società, non
importa se ha la stessa fede, o un'altra fede, o nessuna fede,
è obbligato, per un'usanza radicata, a "rispettarla" senza di-
scutere; rispettarla fino al giorno in cui si manifesta con un'or-
ribile massacro come la distruzione delle torri gemelle, o i
bombardamenti di Londra o Madrid. E poi tutti fanno a gara a
"prendere le distanze": il clero e i "leader delle comunità" (ma
chi li ha eletti, a proposito?) si fanno in quattro per spiegare
che questo estremismo è una perversione della "vera" fede.
Ma come può esistere una perversione della fede, se la fede,
essendo priva di giustificazione oggettiva, non ha alcuno
standard dimostrabile che si possa pervertire?
Dieci anni fa Ibn Warraq, nel suo eccellente libro "perché
non sono musulmano", sostiene una tesi simile, dal suo punto
di vista di studioso dell'Islam particolarmente sapiente. In ve-
rità, un buon titolo alternativo per il suo libro sarebbe stato "il
mito dell'islam moderato", che è il vero titolo di un articolo
più recente sul London Spectator (30 luglio 2005) da parte di
un altro studioso, Patrick Sookhdeo, direttore dell' "istituto
per lo studio dell'Islam e della cristianità".
La stragrande maggioranza dei musulmani oggi vive la
propria vita senza ricorso alla violenza, perché il Corano
è un miscuglio dove puoi trovare di tutto. Se vuoi la
pace, puoi trovare versi pacifici. Se vuoi la guerra, puoi
trovare versi bellicosi.
Sookdeo prosegue spiegando come gli studiosi dell'Islam,
per potersi barcamenare tra le tante contraddizioni che trova-
rono nel Qur'an, svilupparono il principio dell'abrogazione,
94
secondo il quale i testi scritti dopo abrogano i testi precedenti.
Sfortunatamente, i passaggi pacifici del Qur'an sono quelli più
antichi, risalenti al tempo in cui Maometto si trovava alla Mec-
ca. I versi più belligeranti tendono ad essere più recenti, dopo
la sua fuga a Medina. Il risultato è che
La frase "l'Islam è pace" non è più valida da quasi 1400
anni. È stato vero soltanto per 13 anni circa che l'islam
sia soltanto pace... per gli odierni musulmani radicali ―
proprio come per i turisti medioevali che svilupparono
l'Islam classico ― sarebbe più vero dire che "l'islam è
guerra". Uno dei gruppi islamici più radicali della Gran
Bretagna, al-Ghurabaa, affermò, quando avvennero i
due bombardamenti di Londra, "Ogni musulmano che
neghi che il terrore sia parte dell'Islam è un kafir". Un
kafir è un non credente (cioè un non musulmano), il che
è un insulto terribile.
[...]
Potrebbe darsi che i giovani uomini che si suicidarono
non fossero né ai bordi della società musulmana britan-
nica, né seguissero un'interpretazione eccentrica ed
estremista della loro fede, ma piuttosto che venissero
dallo stesso nucleo della comunità musulmana, e fossero
motivati da un'interpretazione principale [mainstream]
dell'Islam?
Più in generale (e questo si applica all'Islam come alla cri-
stianità) ciò che è veramente pernicioso è la pratica di inse-
gnare ai bambini che la fede stessa sia una virtù. La fede è il
male, precisamente perché non richiede giustificazione e
non ammette argomentazioni contrarie. Insegnare ai bambini
che la fede indiscussa sia una virtù li rende soggetti a trasfor-
marsi in armi potenzialmente letali per future jihad o crociate
(dati certi altri ingredienti che si verificano senza difficoltà).
Immunizzato dalla paura a causa della promessa di un para-
diso dei martiri, l'autentico fedele merita un posto di primo
piano nella storia delle armi, a fianco all'arco, al cavallo, al car-
ro armato e alla bomba cluster. Se si insegnasse ai bambini a
95
mettere in discussione le loro credenze e a sottoporle a una
verifica, invece di insegnare loro la virtù superiore della
fede senza discussione, possiamo scommettere che non ci sa-
rebbero attentatori suicidi. Gli attentatori suicidi fanno ciò
che fanno perché credono davvero ciò che è stato insegnato
loro nelle scuole religiose: che la lealtà verso Dio prevale su
tutte le altre priorità, e che il martirio per Dio sarà premiato
nei giardini del paradiso. E questa lezione fu insegnata loro
non necessariamente da fanatici estremisti, ma da istruttori re-
ligiosi decenti, gentili, "mainstream", che li hanno fatti mettere
in fila nelle loro madrasas, seduti in riga, ad annuire ritmica-
mente con le loro piccole teste innocenti, su e giù, mentre im-
paravano a memoria ogni parola del libro sacro come dei pap-
pagalli dementi. La fede può essere molto molto pericolosa, ed
impiantarla deliberatamente nella mente vulnerabile di un
bambino innocente è un male imperdonabile. È un male ver-
so l'infanzia stessa: è violenza sui bambini da parte della reli-
gione, cosa di cui parleremo nel prossimo capitolo.
100
"sua" religione (era troppo giovane per possedere opinioni ra-
gionate sulla religione) ma l'amore e l'attenzione dei suoi geni-
tori e famiglia; e lui fu privato di queste cose da alcuni preti
celibi la cui grottesca crudeltà era mitigata solo dalla loro cras-
sa insensibilità verso i normali sentimenti umani― un'insensi-
bilità che arriva fin troppo facilmente in una mente deviata
dalla fede religiosa.
Anche quando non c'è un rapimento fisico, non è forse un
abuso di bambini l'atto di etichettarli come possessori di cre-
denze che sono troppo giovani per avere? Eppure la pratica
persiste ancora oggi, quasi senza che si metta in discussione.
Metterle in discussione è il mio scopo principale nel seguito di
questo capitolo.
103
con la mano sulla spalla del bambino. Hitchcock si sporse dal
finestrino e gridò "corri, ragazzino! Scappa, per la tua vita!"
"I bastoni e le pietre possono rompermi le ossa, ma le parole
non possono farmi male". Questo proverbio [anglosassone] è
vero soltanto fino a che tu non credi davvero alle parole in
questione. Ma se tutta la tua educazione sin dall'infanzia, e
tutto ciò che che ti è stato detto dai genitori, insegnanti e sa-
cerdoti, ti ha portato a credere, credere davvero, completa-
mente ed assolutamente, che i peccatori brucino all'inferno
(o qualche altro repellente articolo di dottrina come il fatto
che le donne siano di proprietà dei loro mariti), allora è inte-
ramente plausibile che le parole abbiano su di te un effetto
molto più duraturo e dannoso degli abusi fisici. Io sono con-
vinto che la frase "abuso di bambini" non sia un'esagerazione
quando viene usata per descrivere ciò che gli insegnanti e i sa-
cerdoti fanno ai bambini, incoraggiandoli a credere a qualcosa
come la punizione dei peccati mortali in un inferno eterno.
Nel mio documentario televisivo "root of all evil?", di cui ho
già fatto menzione, ho intervistato una quantità di leader reli-
giosi e fui criticato per aver scelto un estremista americano
piuttosto che un rispettabile sostenitore della corrente religio-
sa più diffusa, come un arcivescovo. [...] sembra una critica
giusta ― tranne che, nell'America del ventunesimo secolo,
ciò che sembra estremo al mondo esterno è in realtà una cor-
rente principale [mainstream]. Una delle persone da me inter-
vistate, che lasciarono di più senza parole il pubblico televisi-
vo britannico, fu il pastore Ted Haggard di Colorado Springs.
Ma, ben lungi dall'essere un estremista nell'America di Bush,
il pastore Ted è presidente dell'associazione nazionale degli
evangelici, associazione forte di 30 milioni di persone, e affer-
ma di avere il privilegio di una conversazione telefonica con il
presidente Bush ogni lunedì. Se avessi voluto intervistare i
veri estremisti secondo i moderni standard americani, avrei
dovuto intervistare i "ricostruzionisti", la cui "teologia del do-
minio" sostiene apertamente l'avvento di una teocrazia cri-
stiana in America. Come mi scrive un preoccupato collega
americano:
104
Gli europei devono sapere che c'è uno show itinerante di
invasati che predica davvero la reintroduzione della leg-
ge del vecchio testamento ― uccidere gli omosessuali
eccetera ― e di restringere ai soli cristiani il diritto di ac-
cedere a cariche pubbliche o anche di votare. La folla
della classe media applaude a questa retorica. Se i laici
non stanno attenti, i Dominionisti e i Ricostruzionisti sa-
ranno presto la corrente principale e più diffusa in una
reale teocrazia americana.
Un altro di coloro che intervistai fu il pastore Keenan Ro-
berts, proveniente dallo stesso Stato del Colorado del pastore
Ted. La particolare forma di follia del pastore Roberts consiste
in ciò che lui chiama "case dell'inferno". Una casa dell'inferno
è un luogo dove vengono portati i bambini, dai loro genitori o
dalle scuole cristiane, allo scopo di terrorizzarli su ciò che po-
trebbe accader loro dopo che saranno morti. Ci sono degli at-
tori che recitano spaventosi esempi di alcuni particolari "pec-
cati" come l'aborto e l'omosessualità, al cospetto di un diavolo
scarlatto che li guarda con aspetto terrificante. Queste cose
fungono da preludio per il pezzo forte, l'inferno stesso, com-
pleto di un realistico odore di zolfo e delle grida agonizzanti
di anime per sempre dannate.
Dopo aver guardato una di queste trasmissioni [..] Intervi-
stai il pastore Roberts alla presenza del suo cast di attori. Egli
mi disse che l'età ideale per visitare una casa dell'inferno è 12
anni. Questo mi colpì, e gli chiesi se non si preoccupasse che
un bambino di 12 anni potesse avere degli incubi dopo una di
queste performance. Egli replicò, presumibilmente con onestà:
Preferisco che loro capiscano che l'inferno è un posto
dove assolutamente non vogliono andare. Preferisco
raggiungerli con quel messaggio a 12 anni che non rag-
giungerli affatto con quel messaggio e permettere che
conducano una vita di peccato senza trovare mai il Si-
gnore Gesù Cristo. E se davvero finissero per avere gli
incubi, come risultato di questa esperienza, credo che ci
sia un bene più elevato che si può ottenere in questa vita
105
semplicemente di avere degli incubi.
Suppongo che, se veramente voi credeste ciò che il pastore
Roberts dice di credere, allora sembrerebbe giusto anche a
voi intimidire i bambini.
Non possiamo liquidare il pastore Robert come un folle
estremista. Come Ted Haggard, lui fa parte di una corrente re-
ligiosa largamente diffusa [mainstream] nell'America di oggi.
Sarei sorpreso se persino loro credessero a ciò che credono al-
cuni dei loro discepoli, come il fatto che si possono sentire le
urla dei dannati ascoltando i vulcani, o che gli enormi vermi
tubolari che si trovano nelle correnti calde profonde dell'ocea-
no siano in realtà l'avverarsi di Marco 9:43-4 "Se se la tua
mano ti offende, tagliatela: è meglio che tu viva mutilato, che
avere due mani per andare all'inferno, nel fuoco che non sarà
mai estinto: dove i vermi delle mani non muoiono, e il fuoco
non si estingue". Qualsiasi cosa essi credano sull'inferno, tutti
questi entusiasti del fuoco dell'inferno sembrano avere la cer-
tezza beata di essere tra quelli che saranno salvati; il che è ben
espresso da San Tommaso D'Aquino, uno dei teologi principa-
li, nella Summa Teologica: "che i santi possano godersi la loro
beatitudine e la grazia di Dio più abbondantemente di quanto
possano vedere la punizione dei dannati all'inferno". Brav'uo-
mo.
La paura del fuoco infernale può essere molto reale, anche
tra persone altrimenti razionali. Dopo il mio documentario te-
levisivo sulla religione, tra le tante lettere che ricevetti c'era
questa, proveniente da una donna ovviamente intelligente ed
onesta:
Sin dall'età di cinque anni frequentai una scuola cattoli-
ca, e fui indottrinata da suore che brandivano bastoni e
cinghie. Nell'adolescenza lessi gli scritti di Darwin, e ciò
che egli diceva aveva perfettamente senso nella parte lo-
gica della mia mente. Ciononostante, ho passato la vita
soffrendo tanti conflitti ed avendo una profonda paura
dell'inferno, che mi viene molto spesso. Ho fatto della
psicoterapia, che mi ha permesso di risolvere alcuni dei
106
miei problemi precedenti, ma non riesco a superare
questa profonda paura.
Quindi, la ragione per cui le scrivo è per chiederle il
nome e l'indirizzo del terapista, che lei ha intervistato
nel programma di questa settimana, che è esperto di
questa particolare paura.
Fui commosso dalla sua lettera e (sopprimendo un senti-
mento di dispiacere che non esista alcun inferno dove queste
suore possano andare) le risposi che avrebbe dovuto affidarsi
alla propria ragione, un grande dono che lei ― diversamente
da persone meno fortunate ― ovviamente possedeva. Sugge-
rii che l'orrore dell'inferno, così come descritto da sacerdoti e
suore, è reso così grande per compensare la sua implausibilità.
Se l'inferno fosse una cosa plausibile, basterebbe che fosse
moderatamente spiacevole per poter fungere da deterrente.
Dato che è così improbabile che sia vero, deve essere pubbli-
cizzato come una cosa molto molto spaventosa, per bilanciare
la sua implausibilità e mantenere un qualche valore di deter-
renza. L'ho anche messa in contatto con la terapista, Jill Myt-
ton, una donna amabile e profondamente sincera che avevo
intervistato. La stessa Jill era stata cresciuta in una setta più
odiosa del solito chiamata "Exclusive Brethren": così spiacevo-
le che c'è persino un sito Web, www.peebs.net, dedicato inte-
ramente a prendersi cura di coloro che sono riusciti a fuggir-
ne.
La stessa Jill Mytton era stata cresciuta in modo da essere
terrorizzata dall'inferno, era sfuggita alla cristianità da adulta,
e adesso dà consiglio ed aiuta altre persone similmente trau-
matizzate in gioventù: "se ripenso alla mia infanzia, era un'in-
fanzia dominata dalla paura. Ed era la paura della disappro-
vazione nel presente, ma anche dalla dannazione eterna. E per
un bambino, le immagini del fuoco eterno e delle strida di
denti sembrano davvero molto reali. Non sono assolutamente
metaforiche". Poi le chiesi di illustrare che cosa le fosse stato
detto sull'inferno, da bambina, e la sua risposta fu commoven-
te quanto il suo volto durante la lunga esitazione che ebbe pri-
107
ma di rispondere: "è strano, non è vero? Dopo tutto questo
tempo ha ancora il potere di... farmi soffrire... quando tu...
quando mi fai questa domanda. L'inferno è un posto spaven-
toso. È il rifiuto completo di te da parte di Dio. È il giudizio
completo, c'è un fuoco reale, c'è tormento reale, tortura reale, e
continua così per sempre e non c'è via d'uscita".
Proseguì dicendomi del gruppo di sostegno che lei presiede
per coloro che fuggono da un'infanzia simile alla sua, e ci tiene
a chiarire quanto sia difficile per molti di loro uscirne: "il
processo di andare via è straordinariamente difficile. Ti stai la-
sciando indietro un'intera rete sociale, un intero sistema in cui
sei stato praticamente cresciuto, stai abbandonando un intero
sistema di credenze che tu stesso hai avuto per anni. Molto
spesso abbandoni la tua famiglia e gli amici... non esisti dav-
vero più per alcuno di loro". Riuscii a contribuire alla discus-
sione con le lettere di americani che mi avevano scritto affer-
mando di aver letto i miei libri e di aver abbandonato la loro
religione in conseguenza di ciò. Molti di essi proseguono in
modo sconcertante dicendo che non osano dirlo alle loro fami-
glie, o che lo hanno fatto con risultati terribili. Il seguente ac-
conto è tipico. Colui che scrive è un giovane studente di medi-
cina americano.
Sento il bisogno di scriverle un'email perché condivido
la Sua visione della religione, visione che in America ci
rende emarginati, come sicuramente Lei sa. Sono cre-
sciuto in una famiglia cristiana e sebbene l'idea di reli-
gione non mi abbia mai convinto solo recentemente ho
avuto il coraggio di dirlo a qualcuno. Questo qualcuno
era la mia ragazza, la cui reazione fu di... orrore. Com-
prendo che una dichiarazione di ateismo potrebbe esse-
re scioccante ma adesso è come se lei mi vedesse come
una persona completamente diversa. Non si può più fi-
dare di me, dice, perché la mia morale non deriva da
Dio. Non so se supereremo mai questa cosa, e non ci
tengo particolarmente a condividere le mie credenze con
altre persone che mi sono vicine perché temo la stessa
reazione di disgusto... non mi aspetto una risposta. Le
108
scrivo solo perché speravo che avrebbe avuto compas-
sione per me e avrebbe condiviso la mia frustrazione.
Immagini di perdere qualcuno che ama, e che la amava,
a causa della religione. A parte il punto di vista di lei
che io ora sono un senza-dio, eravamo perfetti l'uno per
l'altra. Ciò mi ricorda la Sua osservazione che le persone
fanno cose folli in nome della loro fede. Grazie per la sua
attenzione.
Risposi a questo sfortunato giovane notando che, se la sua
ragazza aveva scoperto qualcosa su di lui, anche lui aveva sco-
perto qualcosa su di lei. Era davvero abbastanza in gamba per
lui? Io ne dubitavo.
Ho già menzionato la cabarettista americana Julia Sweeney e
il suo comico sforzo di trovare alcune caratteristiche positive
nella religione e di riscattare il dio della sua infanzia dai suoi
dubbi da adulta.
[.....]
"Losing faith in faith: front preacher to atheist" di Dan Bar-
ker è la storia della sua conversione graduale, da ministro fon-
damentalista devoto e predicatore viaggiatore militante, all'a-
teo forte e fiducioso in sé che è diventato oggi. Cosa notevole,
Barker continuò a predicare il cristianesimo per qualche tem-
po dopo essere diventato ateo, perché era l'unica carriera che
conosceva, e si sentiva intrappolato in una ragnatela di obbli-
ghi sociali. Ora egli conosce molti altri uomini di Chiesa ame-
ricani che si trovano nella stessa posizione in cui si trovava lui,
ma che lo hanno confidato solo a lui, dopo aver letto il suo li-
bro. Essi non osano ammettere il loro ateismo neppure alle
proprie famiglie, data la reazione terribile che prevedono. La
storia di Barker ebbe una conclusione più felice. All'inizio, i
suoi genitori furono profondamente e dolorosamente scossi.
Ma poi ascoltarono il suo calmo ragionamento, e, alla fine, di-
vennero atei anche loro.
Due professori da un'università americana mi scrissero indi-
pendentemente circa i loro genitori. Uno disse che sua madre
soffre un dolore permanente perché teme per l'anima im-
109
mortale di lui. L'altro disse che suo padre vorrebbe che lui
non fosse mai nato, tanto è convinto che suo figlio passerà
l'eternità all'inferno. Questi sono professori di università
dotati di grande educazione, che confidano nella loro maturi-
tà e nella loro cultura, che presumibilmente hanno superato i
loro genitori in tutte le questioni intellettuali, non soltanto
nella religione. Pensate semplicemente a quanto maggiore
possa essere il problema per persone meno solide intellet-
tualmente, meno equipaggiate di loro (o di Julia Sweeney)
nelle capacità retoriche e nell'educazione ricevuta, per fronteg-
giare questi membri della propria famiglia. Forse non molto
diverso che per i pazienti di Jill Mytton.
Nella nostra conversazione televisiva precedente, Jill aveva
descritto questo tipo di educazione religiosa come una forma
di abuso mentale, ed io ritornai su questo punto come segue:
"Dovresti usare il termine abuso religioso. Se tu dovessi com-
parare l'abuso di crescere un bambino per fargli credere nel-
l'inferno... con l'abuso sessuale, quale pensi che sia il peso rela-
tivo di queste due cose in termini di trauma?" Lei replicò: "è
una domanda molto difficile... credo che ci siano molte cose in
comune, per la verità, perché in entrambi i casi c'è un abuso di
fiducia; in entrambi i casi si nega al bambino il diritto di sen-
tirsi libero e capace di relazionarsi con il mondo in modo nor-
male... è una forma di violenza; è in entrambi i casi una cosa
che impedisce il realizzarsi della sua vera personalità".
111
ortodossa è stata capovolta abbastanza spesso da farci diven-
tare più cauti? Gli scienziati potrebbero pensare che sia senza
senso insegnare l'astrologia e la verità letterale della Bibbia,
ma ci sono altre persone che pensano l'opposto, e non avreb-
bero questi il diritto di insegnarle ai loro figli? Non è ugual-
mente arrogante insistere che ai bambini bisognerebbe inse-
gnare la scienza?
Ringrazio i miei genitori di aver seguito la regola di inse-
gnare al proprio figlio non tanto cosa pensare quanto come
pensare. Se, dopo che è stata adeguatamente presentata loro
tutta l'evidenza scientifica, i bambini dovessero crescere e
decidere che la Bibbia sia letteralmente vera o che il movi-
mento dei pianeti governi le loro vite, questo è loro diritto. Il
punto importante è che è loro il diritto di decidere cosa pen-
sare, e non diritto dei genitori imporlo per forza maggiore. È
questo, naturalmente, è particolarmente importante se riflet-
tiamo che i bambini di oggi diventano i genitori di domani,
nella posizione di tramandare qualunque indottrinamento che
essi stessi abbiano ricevuto.
Humphrey suggerisce che, finché i bambini sono piccoli,
vulnerabili e bisognosi di protezione, il modo davvero morale
di crescerli è il tentativo onesto del genitore di indovinare
che cosa sceglierebbero da soli se fossero abbastanza grandi
per farlo. Egli cita in modo commovente l'esempio di una gio-
vane ragazza Inca i cui resti, risalenti a 500 anni fa, furono tro-
vati congelati nelle montagne del Perù nel 1995. L'antropologo
che la scoprì scrisse che lei era stata vittima di un sacrificio ri-
tuale. Humphrey racconta che la televisione americana man-
dò in onda un documentario su questa giovane fanciulla dei
ghiacci. Gli spettatori erano invitati
a meravigliarsi della dedizione spirituale dei sacerdoti
Inca e a condividere con la ragazza l'orgoglio e l'eccita-
zione per essere stata scelta per l'onore di essere sacri-
ficata. Il messaggio del programma televisivo era in ef-
fetti che la pratica del sacrificio umano era di per sé una
gloriosa invenzione culturale ― un altro fiore all'occhiel-
112
lo del multiculturalismo, se volete.
Humphrey è scandalizzato, tanto quanto me:
Come osa chiunque suggerire una cosa simile? Come
osano invitarci ― seduti comodamente in poltrona,
mentre guardiamo la televisione ― a provare trasporto
al pensiero di un omicidio rituale: l'omicidio di un bam-
bino che dipendeva psicologicamente da un gruppo di
stupidi, ignoranti, superstiziosi vecchiacci? Come si per-
mettono di invitarci a trovare del bene per noi stessi con-
templando un'azione immorale verso qualcun altro?
Di nuovo, il buon lettore liberale potrebbe sentirsi lievemen-
te in disaccordo. Immorale secondo i nostri standard, certa-
mente, e anche stupido, ma che dire degli standard Inca?
Certamente, per gli Inca, il sacrificio era un atto morale e tut-
t'altro che stupido, sancito da tutto ciò che loro ritenevano sa-
cro? La ragazzina era senza dubbio una leale credente nella re-
ligione in cui era stata cresciuta. Chi siamo noi per usare una
parola come "omicidio", giudicando i sacerdoti Inca secondo i
nostri standard anziché i loro? Forse questa ragazza era incre-
dibilmente felice del suo destino: forse lei credeva davvero
che sarebbe andata in un paradiso eterno, scaldata dalla com-
pagnia radiante del Dio sole. O forse ― come sembra molto
più probabile ― gridava disperatamente di terrore.
Il punto di Humphrey ― e il mio ― è che, indipendente-
mente dal fatto che lei fosse una vittima volontaria o meno,
c'è una forte ragione di credere che lei non avrebbe voluto
ciò se fosse stata in pieno possesso dei fatti. Ad esempio,
supponi che lei avesse saputo che il sole è davvero una palla
di idrogeno, più calda di un milione di gradi Kelvin, che si
converte in elio mediante fusione nucleare, e che si formò in
origine dallo stesso disco di gas dal quale si condensò anche la
Terra e tutto il sistema solare... allora, presumibilmente, co-
stei non lo avrebbe venerato come un dio, e questo avrebbe
alterato la sua prospettiva di essere sacrificata per propiziar-
lo.
Non si possono criticare i sacerdoti Inca per la loro ignoran-
113
za, e forse si può considerare esagerato giudicarli stupidi e in-
vasati. Ma si possono colpevolizzare per avere instillato le
loro credenze su un bambino troppo giovane per decidere se
venerare il sole o no. Il punto addizionale di Humphrey è che
gli autori degli odierni documentari, e noi che siamo il loro
pubblico, abbiamo la colpa di vedere della bellezza nella mor-
te di questa piccola ragazza ― come qualcosa che arricchisca
la nostra cultura collettiva. La stessa tendenza a glorificare le
abitudini religiose delle varie etnie, e di giustificare le crudel-
tà fatte nel loro nome, salta fuori regolarmente nei discorsi. E
produce un conflitto interno nella mente di brave persone li-
berali che, da una parte, non possono sopportare la crudeltà e
la sofferenza, ma dall'altra sono state condizionate dai post-
modernisti e dai relativisti a rispettare le altre culture quan-
to la propria.
L'infibulazione [circoncisione femminile] è senza dubbio or-
ribilmente dolorosa, è un sabotaggio del piacere sessuale delle
donne (in verità, questo probabilmente è proprio il suo scopo),
e una buona metà delle menti liberali decenti vuole abolire
questa pratica. L'altra metà, però, 'rispetta' la cultura etnica e
sente che non dovremmo interferire se 'loro' vogliono muti-
lare le 'loro' figlie. Il punto, naturalmente, è che ciò che chia-
miamo 'le loro figlie' appartengono in realtà a loro stesse, non
ai genitori, e i loro desideri non dovrebbero essere ignorati.
Ecco una domanda più difficile: e se la ragazza stessa dice
che vuole essere circoncisa? Ma potrebbe costei, un domani,
divenuta adulta informata, desiderare che questo fosse suc-
cesso? Humphrey nota che nessuna donna, che da bambina
sia per qualche motivo riuscita a scampare alla circoncisione,
si è mai offerta volontaria per l'operazione da adulta.
Dopo una discussione sugli Amish, ed il loro presunto dirit-
to di crescere i "loro" figli a modo loro, Humphrey critica il no-
stro entusiasmo come società di
preservare la diversità culturale. Potreste voler dire:
d'accordo, è duro per un bambino Amish, o Hasidim, o
Rom essere cresciuto come vogliono i suoi genitori ―
114
ma almeno abbiamo la conseguenza positiva di far con-
tinuare queste affascinanti tradizioni culturali. Non sa-
rebbe impoverita la nostra civiltà intera se queste tradi-
zioni scomparissero? Forse è un peccato che degli indivi-
dui debbano essere sacrificati per mantenere questa di-
versità. Ma, dopotutto, è il prezzo che paghiamo come
società. Tranne che, vi vorrei ricordare, non lo paghiamo
noi, lo pagano loro.
Questa questione venne all'attenzione pubblica nel 1972
quando la corte suprema degli Stati Uniti si pronunciò in un
processo, Wisconsin contro Yoder, circa il diritto dei genitori
di ritirare i loro figli da scuola per motivi religiosi. Gli Ami-
sh vivono in comunità circoscritte in varie parti degli Stati
Uniti, parlando per lo più un dialetto arcaico del tedesco chia-
mato olandese della Pennsylvania ed astenendosi, in modo
più o meno rigido, dall'usare elettricità, motori a combustione
interna, pulsanti e altre manifestazioni della vita moderna.
C'è, in effetti, qualcosa di affascinante in un'isola in cui si vive
come nel 700, è una specie di spettacolo per occhi moderni.
Non vale la pena di preservarlo, per salvaguardare la ricchez-
za della diversità umana? E l'unico modo di preservarlo è per-
mettere agli Amish di educare i loro bambini a modo loro, e
proteggerli dall'influenza corruttrice della modernità. Ma, si-
curamente vogliamo chiedere, non dovrebbero i bambini
stessi avere qualche voce in capitolo sulla questione?
Alla corte suprema fu chiesto di pronunciarsi nel 1972,
quando alcuni genitori Amish del Wisconsin sottrassero i
bambini dal liceo. L'idea stessa di istruzione oltre una certa
età era contraria ai valori religiosi degli Amish, specialmente
l'educazione scientifica. Lo stato del Wisconsin portò i geni-
tori sotto processo, affermando che stavano privando i bambi-
ni del loro diritto ad un'educazione. Dopo essere passato per
tutte le corti, il caso alla fine raggiunse la corte suprema degli
Stati Uniti, che produsse un pronunciamento diviso (6:1) in fa-
vore dei genitori. L'opinione di maggioranza, scritta dal Chief
Justice Warren Burger, includeva quanto segue: "come mostra
la registrazione [record], obbligare i bambini Amish a frequen-
115
tare la scuola fino a 16 anni è una reale minaccia verso la co-
munità Amish e la pratica religiosa che esiste oggi; essi sono
costretti a scegliere tra abbandonare le proprie credenze ed es-
sere assimilati nella società più estesa, oppure convertirsi a
qualche forma di religione più tollerante."
L'opinione di minoranza del Justice William O. Douglas era
che si sarebbero dovuti consultare i bambini stessi. Voleva-
no veramente interrompere la propria istruzione? Volevano
veramente restare nella religione Amish? Nicholas Humphrey
si sarebbe spinto persino più oltre. Anche se avessimo inter-
pellato i bambini stessi ed essi avessero scelto di restare nel-
la religione Amish, possiamo supporre che avrebbero fatto
lo stesso se fossero stati bene istruiti ed informati sulle alter-
native disponibili? Perché questa ipotesi sia plausibile, non
dovrebbe esserci qualche esempio nel mondo esterno di ra-
gazzini che volontariamente si associno alla religione Ami-
sh? Il Justice Douglas andò oltre in una direzione leggermente
diversa. Egli non vide ragione particolare di conferire al punto
di vista religioso dei genitori uno status speciale nel decidere in
che misura essi debbano poter privare i figli di un'istruzione.
Se la religione è un valido motivo di esenzione, non potrebbe-
ro esserci anche delle credenze laiche che si qualificano come
tali?
La maggior parte della corte suprema ha tracciato un paral-
lelo con alcuni dei valori positivi degli ordini monastici, i qua-
li arricchiscono (secondo la corte) la società stessa. Ma, come
osserva Humphrey, c'è una differenza cruciale. I monaci si
offrono volontari per la vita monastica, di loro proprio libero
arbitrio. I bambini Amish non si sono mai offerti volontari
per diventare Amish; sono nati tali, e non hanno avuto scel-
ta.
C'è qualcosa di orribilmente degradante e disumano nel-
l'atto di sacrificare qualcuno, specialmente i bambini, in
nome della "diversità", per preservare la varietà delle tradi-
zioni religiose. Noialtri ci godiamo le nostre automobili e i
computer, i nostri vaccini e gli antibiotici. Ma voi, esserini pri-
mitivi con i vostri strani cappellini e i pantaloni al ginocchio,
116
le vostre carrozze, il vostro dialetto arcaico e le vostre latrine
all'aperto, voi arricchite le nostre vite. Naturalmente vi deve
essere permesso intrappolare i vostri figli insieme a voi nel
vostro mondo parallelo del diciassettesimo secolo, altrimenti
noi perderemmo qualcosa di irrecuperabile: una parte della
meravigliosa diversità della cultura umana. Una piccola parte
di me riesce persino a trovare un minimo di senso in tutto
questo. Ma la parte più grande di me ne è davvero nauseata.