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Come la religione ostacola sistematicamente la scienza............ 176
Il pericolo per l'umanità................................................................178
La spiritualità non richiede la fede................................................179
Insegnare ai bambini........................................................................181
Il successo di una dottrina non ne implica la verità....................181
Le esperienze mistiche non sono evidenza...................................184
La personalità di Gesù.....................................................................185
Sull'utilità della religione.................................................................188
Il non cambiare idea.........................................................................191
L'innovazione del Concilio Vaticano II.........................................194
Dubitare non è dogmatico...............................................................196
Definire qualcosa non lo fa automaticamente esistere............... 197
Il Vangelo è documento storico. Perché non credervi?.............. 198
La differenza tra storia e religione.................................................200
La religione come fenomeno naturale...........................................202
Lettera a una nazione cristiana.......................................................206
Etichettare i bambini con la religione di nascita..........................209
Il mito del caos morale laico............................................................213
La fede è compatibile con la ragione?............................................218
CONCLUSIONE............................................................................ 362
La necessità di un associazionismo laico......................................362
Postfazione.........................................................................................365
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INTRODUZIONE
Questa è una raccolta di scritti e discorsi, principalmente ad
opera del biologo evoluzionista Richard Dawkins e del neuro-
scienziato Sam Harris, aventi come argomento la religione.
Lo scopo principale della raccolta è far riflettere il lettore cir-
ca il ruolo odierno della religione nel mondo, da un punto di
vista pressoché sconosciuto nel panorama culturale italiano.
Come presto scoprirete, la convinzione di fondo è che sia ne-
cessario ed urgente l'avvento di un nuovo movimento illumi-
nista su scala planetaria.
A scanso di equivoci è bene precisare che le posizioni qui so-
stenute non sono né “di destra” né “di sinistra” ― anzi incon-
trano forti opposizioni su entrambi i fronti ― e sono tutte for-
temente argomentate con evidenza. Tutto ciò che occorre è che
il lettore consideri questa evidenza con la mente aperta. E' pra-
ticamente certo che chiunque legga il volume in questo modo
apprenderà molti fatti nuovi che contribuiranno alla sua com-
prensione del mondo.
I passaggi ritenuti più importanti dall'editore di questo volu-
me sono evidenziati in grassetto. Sebbene la raccolta sia già
molto sintetica rispetto ai testi originali, è possibile ottenere
una ulteriore sintesi leggendo soltanto le parti in grassetto. Se
ritenete che un certo discorso sia poco interessante, potreste
decidere di saltare al successivo paragrafo in grassetto.
La raccolta è pensata per essere letta in modo sequenziale.
Essa si può persino vedere, se avrete la pazienza di leggere
fino alla fine della Parte II, come un percorso graduale verso
una presa di consapevolezza circa le ragioni della nostra esi-
stenza.
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PARTE I. ANALISI DELLA VERITÀ,
MORALITÀ ED UTILITÀ DELLA RELIGIONE
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SALTI DI COSCIENZA
(dal libro “l'illusione di Dio” di Richard
Dawkins)
8
O forse pensi che la credenza religiosa sia necessaria per
avere una morale giustificabile? Non abbiamo forse bisogno
di Dio, per poter essere buoni? Ti prego di leggere i capitoli 6
e 7 per scoprire perché non è così.
Resti vagamente bendisposto verso la religione perché la
consideri una “cosa buona” per il mondo, anche se personal-
mente non hai fede? Il capitolo 8 ti inviterà a riflettere su alcu-
ni aspetti della religione che sono tutt'altro che buoni per il
mondo.
Se ti senti intrappolato dalla religione in cui sei stato cresciu-
to da piccolo, vale la pena chiedersi come questo sia potuto
avvenire. La risposta è in genere qualche tipo di indottrina-
mento giovanile. Se sei pur minimamente religioso, è enorme-
mente probabile che la tua religione sia quella dei tuoi genito-
ri. Se sei nato in Arkansas e pensi che il Cristianesimo sia vero
e l'Islam falso, pur sapendo che penseresti il contrario se fossi
nato in Afghanistan, allora sei stato vittima di indottrinamen-
to giovanile. Mutatis mutandis se sei nato in Afghanistan.
L'intera relazione tra religione e l'infanzia è trattata nel capi-
tolo 9, che contiene anche il mio terzo salto di coscienza. Pro-
prio come le femministe rabbrividiscono quando sentono dire
"lui" invece di "lui o lei", oppure "uomo" invece di "persona",
io voglio che tutti rabbrividiscano quando sentono dire
"bambino cattolico" o "bambino musulmano". Se volete, par-
late pure di "bambino di genitori cattolici"; ma se sentite qual-
cuno parlare di "bambino cattolico", fermatelo e fate educata-
mente notare che i bambini sono troppo giovani per sapere
da che parte stanno in tali questioni, proprio come sono trop-
po giovani per sapere come la pensano in economia e in politi-
ca. Proprio perché il mio scopo è elevare le coscienze, non
chiederò scusa per averlo menzionato qui oltre che nel capito-
lo 9. Non potrei mai ripeterlo abbastanza. Lo dirò di nuovo.
Quello non è un bambino musulmano, ma un bambino di ge-
nitori musulmani. Quel bambino è troppo giovane per sapere
se è musulmano o no. Non esiste niente di simile a un bambi-
no musulmano. Non esiste niente di simile a un bambino cri-
stiano.
9
Il quarto argomento del salto di coscienza è l'orgoglio ateo.
Essere atei non è una cosa di cui vergognarsi o chiedere scu-
sa. Al contrario, è qualcosa di cui essere orgogliosi, una cosa
per cui restare ben dritti fissando l'orizzonte, perché l'ateismo
indica quasi sempre una sana indipendenza intellettuale e, in-
vero, una mente sana. Molte persone che conosco sanno, nel
profondo del loro cuore, di essere atee, ma non osano ammet-
terlo davanti alle loro famiglie o persino, in alcuni casi, a loro
stessi. Il motivo è, in parte, che la stessa parola "ateo" è stata
pervicacemente fatta diventare un'etichetta terribile e spaven-
tosa. Nel capitolo 9 presenterò la storia tragicomica del comico
Julia Sweeney, di quando i suoi genitori scoprirono che era di-
venuta atea. Che ella non credesse in Dio, potevano anche
sopportarlo. Ma che fosse un'atea. Un'ATEA! (La voce della
madre era divenuta un urlo.)
[...]
La condizione degli atei in America oggi è pari a quella de-
gli omosessuali 50 anni fa. Ora, dopo il movimento del Gay
Pride, è possibile, sebbene non molto facile, che un omoses-
suale sia eletto in una carica pubblica. Un sondaggio Gallup
del 1999 chiese agli americani se voterebbero per una persona
altrimenti ben qualificata che fosse donna (il 95% lo farebbe),
cattolica romana (il 94% lo farebbe), ebrea (il 92%), nera (92%),
mormone (79%), omosessuale (79%) o atea (49%). Chiaramen-
te c'è molta strada da fare. Ma gli atei sono molto più numero-
si di quanto sembra.
[...]
Il motivo per cui molte persone non notano gli atei è che
molti di noi sono riluttanti a "rivelarsi" come tali. Il mio so-
gno è che questo libro possa aiutare le persone a rivelarsi.
Esattamente come il movimento gay, più gente si rivela, più
facile sarà per gli altri unirsi a loro. Potrebbe esserci una mas-
sa critica per innescare una reazione a catena.
I sondaggi americani suggeriscono che ci sono molti più atei
ed agnostici che ebrei osservanti, e che gli atei siano anche di
più della maggior parte di altri gruppi religiosi. Diversamente
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dagli ebrei, però, che notoriamente sono una delle lobby poli-
tiche più potenti degli Stati Uniti, e diversamente dai Cristiani
Evangelici, che hanno un potere politico ancora più grande,
gli atei e gli agnostici non sono organizzati e quindi esercita-
no influenza zero. Invero, organizzare gli atei è stato parago-
nato a mantenere un gregge di gatti, perché tendono a pensa-
re indipendentemente e non si conformano ad una autorità.
Ma un buon primo passo sarebbe costruire una massa critica.
[...]
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to", o che "Dio è la nostra migliore natura", o che "Dio è
l'Universo". Naturalmente, alla parola "Dio" puoi dare il
significato che preferisci, come ad ogni altra parola. Se
vuoi dire che "Dio è energia", allora puoi trovare Dio in
un pezzo di carbone.
Se vogliamo che la parola Dio non divenga completamente
inutile, bisogna usarla nel modo in cui la gente la comprende
generalmente: per denotare un creatore soprannaturale che
sia in qualche modo appropriato venerare.
Molta deplorevole confusione è causata dalla incapacità di
distinguere tra la cosiddetta religione einsteiniana e la reli-
gione sovrannaturale. Einstein invocò a volte il nome di Dio (e
non è l'unico scienziato ateo a farlo), invitando al fraintendi-
mento. [...] Il drammatico (o fuorviante?) finale di Una Breve
Storia del Tempo di Stephen Hawking, "Perché allora noi do-
vremmo conoscere la mente di Dio", è notoriamente frainteso.
Ha portato le persone a credere erroneamente che Hawking
sia religioso. Una nota scienziata atea, Ursula Goodenough,
arriva a chiamare se stessa "naturalista religiosa". Questo è
sintomo di confusione del naturalismo con la religione. La
parola giusta dovrebbe essere "naturalista filosofico".
[...]
I pensieri e le emozioni umane emergono da connessioni
enormemente complesse di entità fisiche nel cervello. Un ateo,
nel senso di naturalista filosofico, è uno che crede che non ci
sia nulla oltre il mondo fisico, naturale; che non ci sia alcuna
intelligenza creativa sopra-naturale nascosta sotto l'universo
osservabile; nessuna anima che perdura al corpo; e nessun
miracolo ― tranne che nel senso di fenomeno naturale che
non comprendiamo ancora. Se c'è qualcosa che sembra giacere
oltre il mondo naturale, come oggi lo comprendiamo in modo
imperfetto, noi speriamo che alla fine lo comprenderemo e lo
faremo rientrare nel contesto del naturale. Quando decompo-
niamo un arcobaleno, esso non diventa meno meraviglioso.
[ Il seguente scritto di Einstein chiarisce la sua posizione: ]
Sono un non credente profondamente religioso. [...] Non
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ho mai imputato alla Natura uno scopo, o qualunque
cosa si possa intendere come antropomorfa. [...] L'idea di
un Dio dotato di una personalità mi è del tutto aliena ed
anzi mi appare persino sciocca.
[...]
L'unica cosa che i teisti compresero è che Einstein non era
uno di loro. Si indignava ripetutamente al suggerimento che
fosse un teista. Allora, era un deista, come Voltaire e Diderot?
O un panteista, come Spinoza, la cui filosofia ammirava? [...]
Ricordiamo la terminologia. Un teista crede in un'intelligen-
za sovrannaturale che, oltre al compito principale di aver crea-
to l'universo in primo luogo, è tuttora al lavoro per osservare
ed influenzare il successivo destino della sua creazione inizia-
le. In molti sistemi di credenze teistici, la divinità è intima-
mente coinvolta nelle vicende umane: risponde alle preghiere;
perdona o punisce i peccati; interviene nel mondo effettuando
miracoli; si duole o rallegra delle nostre buone e cattive azioni,
e sa quando le compiamo (e perfino quando pensiamo di com-
pierle). Un deista crede anch'egli in un'intelligenza sovranna-
turale, ma un'intelligenza le cui attività si limitarono a creare
le leggi che governano l'universo in tempi remoti. Il dio deista
non interviene mai da quel punto in poi, e certamente non ha
alcun interesse specifico nelle vicende umane. I panteisti non
credono affatto in un Dio sovrannaturale, ma usano la parola
Dio come sinonimo non-sovrannaturale della Natura, o del-
l'Universo, o delle leggi che ne governano il funzionamento. I
deisti differiscono dai teisti nel fatto che il loro Dio non ri-
sponde alle preghiere, non è interessato ai peccati o alle con-
fessioni, non legge i nostri pensieri e non interviene con ca-
pricciosi miracoli. I deisti differiscono dai panteisti nel fatto
che il Dio deista è un qualche tipo di intelligenza cosmica,
piuttosto che il sinonimo usato dai panteisti (poeticamente o
metaforicamente) per riferirsi alle leggi dell'universo. Il pan-
teismo è un ateismo con una punta di erotismo. Il deismo è
un teismo smorzato. C'è ragione di credere che le famose frasi
di Einstein come "Dio è sottile ma non malizioso" o "Dio non
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gioca a dadi" o "Dio ha avuto scelta nel creare l'Universo?" sia-
no panteistiche, e non deistiche, e certamente non teistiche.
"Dio non gioca a dadi" andrebbe tradotto con "la casualità non
fa parte delle leggi della fisica". "Dio ha avuto scelta nel creare
l'universo?" significa "Potrebbe l'universo avere avuto inizio in
qualunque altro modo?". Einstein usava la parola "Dio" in un
senso puramente metaforico, poetico. Lo stesso fa Stephen
Hawking. [..]
Riassumiamo la religiosità di Einstein citandolo ancora una
volta:
La religiosità è sentire che oltre ciò che possiamo speri-
mentare c'è qualcosa che la nostra mente non può affer-
rare, la cui bellezza ci appare solo indirettamente e come
un debole riflesso. In questo senso, io sono religioso.
In questo senso, anch'io sono religioso, con la riserva che
"non può afferrare" non significa "per sempre inafferrabile".
Ma preferisco non chiamare me stesso religioso perché è fuor-
viante. È distruttivamente fuorviante perché, per la stragran-
de maggioranza delle persone, "religione" implica "sovran-
naturale". Carl Sagan l'ha spiegato bene: "Se per Dio intendia-
mo l'insieme di leggi fisiche che governano l'universo, chiara-
mente Dio esiste. Questo Dio è però insoddisfacente dal
punto di vista emozionale... non ha molto senso pregare la
legge di gravità". [...] Vorrei che i fisici evitassero di usare la
parola Dio nel loro speciale senso metaforico. Il Dio metafori-
co o panteistico dei fisici è lontano anni luce dal Dio interven-
tista, dispensatore di miracoli, lettore del nostro pensiero,
punitore dei peccati, risponditore delle preghiere, che è pro-
prio della Bibbia, dei preti, dei mullah, dei rabbini, e del lin-
guaggio comune. Confondere deliberatamente questi due è,
a mio parere, un alto tradimento intellettuale.
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IL RISPETTO SPECIALE PER LE CREDENZE RELIGIOSE
(da “L'Illusione di Dio”, Richard Dawkins)
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cuno dice "Di domenica non bisogna premere l'inter-
ruttore della luce", tu dici "io lo rispetto".
Perché mai dovrebbe essere perfettamente legittimo
sostenere il partito laburista o il partito conservatore, i
repubblicani o i democratici, questo modello economico
o quell'altro, il Macintosh invece di Windows... però non
si può avere un'opinione su come è iniziato l'universo,
o su chi lo ha creato, in quanto "è un argomento sacro"?
Siamo abituati a non mettere in discussione le idee reli-
giose, ma è interessante il polverone che solleva Richard
ogni volta che lo fa! Tutti diventano assolutamente iste-
rici perché non è permesso dire queste cose. Eppure
quando ci pensi razionalmente non c'è motivo per cui
queste idee non debbano essere aperte al dibattito come
tutte le altre, tranne il fatto che abbiamo tutti acconsenti-
to che non lo siano.
Ecco un esempio del rispetto esagerato della nostra società
nei confronti della religione, un esempio importante. Per otte-
nere lo stato di obiettore di coscienza in tempo di guerra, la
motivazione più semplice è di gran lunga quella religiosa.
Puoi anche essere un brillante filosofo della morale, autore di
una tesi di dottorato pluripremiata che analizza i mali della
guerra, e, nonostante ciò, passerai sotto l'esame di un comitato
che metterà a dura prova la tua pretesa di essere obiettore di
coscienza. Però, se dici che uno dei tuoi parenti era quacche-
ro, supererai l'esame come niente fosse, non importa quanto
illetterato ed inarticolato tu sia nell'esporre la tua teoria del
pacifismo e nella conoscenza del quaccherismo stesso.
Cambiando completamente versante: noi abbiamo una vile
riluttanza ad usare nomi religiosi per indicare fazioni belli-
geranti. Nell'Irlanda del Nord, ci si riferisce ai cattolici e ai
protestanti eufemisticamente come a "nazionalisti" e "lealisti".
La parola stessa "religioni" viene trasformata in "comunità", ad
esempio nel termine "intercommunity warfare" [stato di guer-
ra tra le comunità]. In Iraq, in conseguenza dell'invasione an-
glo-americana del 2003, è nata una guerra civile tra musulma-
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ni sunniti e sciiti. È chiaramente un conflitto religioso, eppure
sull'Independent del 20 maggio 2006 il titolo principale e l'arti-
colo di fondo lo descrivevano entrambi come "pulizia etnica".
"Etnica" in questo contesto è un altro eufemismo. Quello che
avviene in Iraq è pulizia religiosa. L'uso originale del termine
viene dalla Yugoslavia ed è anche (seppur discutibilmente) un
eufemismo per la pulizia religiosa che coinvolgeva i serbi or-
todossi, i croati cattolici e i bosniaci musulmani.
Già in precedenza1 ho portato all'attenzione i privilegi della
religione nelle discussioni pubbliche di etica, nei media e
nel governo. Ogni volta che nasce una controversia sulla mo-
rale sessuale o riproduttiva, potete scommettere che i leader
religiosi di vari diversi gruppi di fede saranno rappresentati in
modo prominente in convegni influenti, o in dibattiti televisivi
o radiofonici. Non sto suggerendo che dovremmo censurare i
punti di vista di queste persone. Ma perché la nostra società
stende loro un tappeto rosso, come se avessero qualche com-
petenza comparabile a quella, che so, di un filosofo morale,
un avvocato di famiglia o un medico?
Ecco un altro strano esempio dei privilegi della religione. Il
21 febbraio 2006, la Corte Suprema degli Stati Uniti deliberò
che una chiesa nel New Mexico fosse esentata per legge dal di-
vieto, che tutti gli altri devono osservare, di assumere droghe
allucinogene. I fedeli del Centro Espirita Beneficente Uniao do
Vegetal credono che si possa comprendere Dio solo bevendo tè
hoasca, che contiene la droga illegale allucinogena chiamata di-
metiltriptamina. Notate che è sufficiente che essi credano che
la droga migliori la loro comprensione. Non devono produr-
re evidenza. Per contro, c'è moltissima evidenza scientifica
che la cannabis allevia la nausea ed il dolore dei malati di can-
cro che si sottopongono a chemioterapia. Eppure, la Corte Su-
prema ha deliberato, nel 2005, che tutti i pazienti che usano
cannabis a scopi medicinali sono soggetti a prosecuzione fede-
rale (anche in quella minoranza di Stati dove questo uso spe-
ciale è legalizzato). La religione, come sempre, è una carta vin-
POLITEISMO E TRINITÀ
(da “L'Illusione di Dio”, Richard Dawkins)
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poco, e dove la mia forza di guarigione non è nota, anche se
questo significa andare nei confini estremi della terra. Il loro
lavoro sarà più grave del tuo, e di questo Io sono
compiaciuto".
Ora che ci penso, il mio immaginario litigante Hindu proba-
bilmente avrebbe giocato la carta del "se non puoi batterli uni-
sciti a loro". Il suo politeismo non è davvero politeismo, ma
monoteismo travestito. Esiste solo un dio ― Brahma il creato-
re, Visnu il preservatore, Shiva il distruttore, la dea Saraswati,
Laxtmi e Parvati (mogli di Brahma, Vishnu e Shiva), Ganesh il
dio elefante, e centinaia di altri, sono soltanto differenti mani-
festazioni o incarnazioni di un unico Dio.
I cristiani dovrebbero scaldarsi di fronte a questa sofistica-
zione. Sono stati versati fiumi di inchiostro medioevale, per ta-
cere del sangue, sopra il "mistero" della Trinità, e per soppri-
mere le deviazioni come nel caso dell'eresia ariana. Ario di
Alessandria, nel quarto secolo AD, negò che Gesù fosse consu-
stanziale (cioè della stessa sostanza o essenza) con Dio. Che
cosa mai potrebbe significare questa cosa, vi state probabil-
mente chiedendo? Sostanza? Quale "sostanza"? Che cosa si in-
tende esattamente per "essenza"? "Molto poco", sembra l'unica
risposta ragionevole. Eppure la controversia ha diviso il Cri-
stianesimo a metà per un secolo, e l'imperatore Costantino or-
dinò di bruciare tutte le copie del libro di Ario. Dividere il cri-
stianesimo dividendo il capello ― questo è sempre stato il
modo di fare della teologia.
Abbiamo un solo Dio in tre parti, o tre dèi in uno? L'Enciclo-
pedia Cattolica chiarisce la cosa per noi, in un capolavoro di
ragionamento teologico:
Nell'unità della divinità ci sono tre persone, il padre, il
figlio e lo spirito Santo, queste tre persone essendo vera-
mente distinte l'una dall'altra. Così, nelle parole del
Credo Atanasiano: "Il Padre è Dio, il figlio è Dio, e lo
spirito Santo è Dio, e allo stesso tempo non ci sono tre
dei ma un solo Dio".
Come se questo non fosse abbastanza chiaro, l'enciclopedia
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cita il teologo del terzo secolo San Gregorio, il Compitore di
Miracoli:
Quindi nella Trinità non c'è nulla di creato, niente che
sia soggetto a qualcos'altro: né c'è qualcosa che sia stato
aggiunto come se una volta non fosse esistito, ma fosse
entrato in seguito: quindi il Padre non è mai esistito sen-
za il Figlio, né il Figlio senza lo Spirito: e questa stessa
Trinità è immutabile ed inalterabile per sempre.
Quali che siano i miracoli che hanno accordato a San Grego-
rio il suo soprannome, non erano miracoli di lucidità. Le sue
parole esemplificano il caratteristico sapore oscurantista della
teologia, la quale ― diversamente dalla scienza o dalla mag-
gior parte dei rami del sapere umano ― non è progredita in 18
secoli. Thomas Jefferson aveva ragione (come spesso gli capi-
tava) quando disse
Il ridicolo è l'unica arma che si può usare contro le pro-
posizioni non intelligibili. Le idee devono essere chia-
re e ben definite prima che la ragione possa agire su di
esse; e nessun uomo ha mai avuto un'idea chiara della
Trinità. Sono semplicemente dei ciarlatani del montim-
banco che chiamano se stessi sacerdoti di Gesù.
L'altra cosa che non posso fare a meno di non notare è la si-
curezza ingiustificata con cui i religiosi fanno affermazioni
precise su minuscoli dettagli per cui essi non hanno, né po-
trebbero avere, alcuna evidenza. Forse è proprio il fatto che
non c'è evidenza in favore delle opinioni teologiche ad alimen-
tare la caratteristica ostilità draconiana verso quelli che la pen-
sano in modo leggermente diverso (specialmente, si dà il caso,
nel campo della trinità).
Jefferson, nella sua critica al calvinismo, mise in ridicolo la
dottrina secondo cui, per usare le sue parole, “esistono tre
dèi”. Ma è specialmente il ramo cattolico romano della cristia-
nità che spinge il suo ricorrente flirt con il politeismo verso un
estremo. Alla trinità si aggiunge Maria, "regina dei cieli", una
dea in ogni senso tranne che di nome, la quale sicuramente
viene subito dopo Dio in quanto a numero di preghiere rice-
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vute. Il Pantheon si riempie inoltre di un esercito di santi, i cui
poteri di intercessione li rendono, se non semidei, ben merite-
voli di un loro argomento specialistico. Il Forum della comu-
nità cattolica elenca 5.120 santi, insieme alle loro aree di spe-
cializzazione, che comprendono dolori addominali, vittime
di abusi, anoressia, trafficanti di armi, costruttori di armi,
ossa rotte, tecnici delle bombe e disordini intestinali, e que-
sto solo fino alla lettera B. E non dobbiamo dimenticare i
quattro cori dell'Esercito Celeste, disposti in nove ordini: sera-
fini, cherubini, troni, domini, virtù, poteri, principalità, arcan-
geli (i capi di tutto l'Esercito), oltre ai semplici angeli tradizio-
nali, che comprendono i nostri amici più cari, i sempre attenti
angeli custodi. Ciò che mi impressiona della mitologia cattoli-
ca è in parte il kitsch e la mancanza di gusto, ma soprattutto la
beata disinvoltura con cui queste persone inventano i dettagli
strada facendo. E lo fanno senza vergogna.
Papa Giovanni Paolo II creò più santi di tutti i suoi predeces-
sori dei secoli passati messi insieme, e aveva una speciale affi-
nità con la vergine Maria. Le sue tendenze politeiste furono
dimostrate drammaticamente nel 1981 quando fu ferito da un
tentativo di assassinio a Roma, ed attribuì la sua sopravvi-
venza all'intervento della Nostra Signora di Fatima: "Una
mano materna ha guidato il proiettile". Uno non può evitare
di chiedersi perché non lo abbia guidato a mancare il bersa-
glio del tutto. Altri potrebbero pensare che bisognerebbe attri-
buire almeno un pochino del merito alla squadra di chirurghi
che lo ha operato per sei ore; ma forse anche le loro mani sono
state guidate da mano materna. Il punto rilevante, comunque,
è che nell'opinione del Papa non è stata semplicemente La
Nostra Signora a guidare il proiettile, ma specificamente la
Nostra Signora Di Fatima. Presumibilmente la nostra Signora
di Lourdes, la nostra signora di Guadalupe, la nostra Signora
di Medjugorie, la nostra Signora di Akita, la nostra Signora di
Zeitoun, la nostra Signora di Garabandal e la nostra Signora di
Knock erano impegnate in altre faccende in quel momento.
Come facevano i greci, i romani e i vichinghi a barcamenarsi
in questa confusione politeistica? Venere era solo un altro
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nome di Afrodite, o erano solo due diverse dea dell'amore?
Thor con il suo martello era una manifestazione di Wotan, o
un dio separato? Ma chi se ne importa? La vita è troppo breve
per essere sprecata a distinguere tra un capriccio dell'immagi-
nazione ed altri. Ora che ho parlato del politeismo per riparar-
mi da un'accusa di negligenza, non dirò più altro su questo.
Per brevità mi riferirò a tutte le divinità, politeiste o monotei-
ste, semplicemente come "Dio". Sono anche consapevole che il
Dio di Abramo è (per usare un eufemismo) aggressivamente
maschio, ed adotterò anche questo come convenzione per usa-
re i pronomi. Teologi più sofisticati proclamano che Dio è pri-
vo di sesso, mentre alcuni teologi femministi cercano di rad-
drizzare delle ingiustizie storiche proclamandolo femmina.
Ma, dopotutto, che differenza c'è tra una femmina inesistente
e un maschio inesistente? Suppongo che, in questa surreale in-
tersezione di teologia e femminismo, l'esistenza sia un attribu-
to meno importante del sesso.
Sono consapevole che i critici della religione possono essere
criticati a loro volta perché non danno credito alla fertile di-
versità delle tradizioni e delle visioni del mondo che sono sta-
te chiamate religiose. Alcune opere antropologicamente infor-
mate, da "golden bough" di James Frazer a "religion explai-
ned" di Pascal Boyer a "in gods we trust" di Scott Atran, docu-
mentano in modo affascinante la bizzarra fenomenologia della
superstizione e del rituale. Leggete questi libri e meravigliate-
vi della ricchezza della credulità umana.
Ma questo libro seguirà un'altra strada. Io criticherò il so-
vrannaturalismo in tutte le sue forme, e il modo più efficace
di procedere sarà concentrarmi sulla forma che più probabil-
mente è familiare ai miei lettori ― la forma che ha un impatto
più minaccioso su tutte le nostre società. La maggior parte dei
miei lettori saranno stati marcati stretti da una delle tre "gran-
di" religioni monoteiste (quattro se contiamo il mormonismo),
le quali risalgono tutte al patriarca mitologico Abramo, e sarà
conveniente tenere in mente questa famiglia di tradizioni per
tutto il resto del libro.
Questo momento è buono come ogni altro per rispondere ad
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una critica inevitabile che riceverà questo libro: "il Dio in cui
Dawkins non crede è un dio in cui non credo neanche io. Io
non credo in un vecchio con la barba bianca nel cielo". Quel
vecchio è una distrazione irrilevante e la sua barba è tanto lun-
ga quanto noiosa. Anzi, la distrazione è peggio che irrilevante.
La sua stessa stupidità è fatta apposta per distrarre l'attenzio-
ne dal fatto che ciò in cui l'interlocutore crede davvero non è
molto meno stupido. Lo so che non credete in un vecchio
uomo barbuto che siede su una nuvola; non perdiamo altro
tempo su questo. Io non sto attaccando alcuna versione parti-
colare di Dio o degli dei. Sto attaccando Dio, tutti gli dei, qua-
lunque cosa e tutto ciò che è soprannaturale, dovunque e
quandunque sia stato o sarà inventato.
LA POCHEZZA DELL'AGNOSTICISMO
(da “L'Illusione di Dio”, Richard Dawkins)
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le nazioni. Molte di queste idee, per loro stessa natura, osta-
colano la scienza, infiammano il conflitto umano e dilapida-
no risorse già scarse.
Naturalmente, nessuna religione è monolitica. All'interno di
ogni fede le credenze delle persone si dispongono lungo un
vasto spettro. Immaginate dei cerchi concentrici di ragione-
volezza decrescente: al centro della sfera possiamo trovare i
credenti più genuini ― i musulmani jihadisti, per esempio, i
quali non solo supportano il terrorismo suicida ma sono i pri-
mi a trasformare se stessi in bombe; o i cristiani Dominionisti,
che invocano apertamente la pena di morte per i blasfemi e gli
omosessuali.
Al di fuori di questa sfera di maniaci, troviamo molti altri
milioni che condividono le loro idee ma non con lo stesso zelo.
Subito più fuori, incontriamo moltitudini di persone pie che
rispettano le credenze dei loro fratelli più deviati ma dissento-
no da loro su piccoli punti di dottrina ― naturalmente il mon-
do sta per finire nella Gloria e Gesù apparirà nel cielo come un
supereroe, ma non possiamo essere sicuri se avverrà nell'arco
della nostra vita o no.
Ancora più fuori, incontriamo religiosi moderati e liberali di
diverse tonalità ― persone che continuano a supportare lo
schema basilare che ha diviso il nostro mondo in cristiani, mu-
sulmani ed ebrei, ma che sono meno propensi a dichiarare di
essere certi di qualsiasi articolo di fede. Gesù è veramente il fi-
glio di Dio? Incontreremo veramente le nostre nonne in para-
diso? I moderati e i liberali non ne sono troppo sicuri.
Agli occhi di queste persone, quei colleghi che sono collocati
più verso il centro appaiono troppo rigidi, dogmatici e ostili al
dubbio; e quelli collocati più fuori appaiono loro come corrotti
dal peccato, dotati di volontà debole, o inosservanti.
Il problema è che, dovunque uno si collochi in questo
spettro continuo, inavvertitamente fornirà a quelli più fana-
tici di lui una protezione dalle critiche. I normali fondamen-
talisti cristiani, affermando con decisione che la Bibbia sia il
mondo perfetto di Dio, inavvertitamente favoriscono i Do-
30
minionisti ― milioni di uomini e donne che, a loro volta,
stanno silenziosamente trasformando il nostro paese in una
teocrazia totalitaria che ricorda la Ginevra di Giovanni Cal-
vino. I cristiani moderati, con il loro attaccamento alla divi-
nità di Gesù, proteggono la fede dei fondamentalisti dalla
pubblica derisione e stigmatizzazione. I cristiani liberali ―
che non sono sicuri di cosa credono ma semplicemente ama-
no l'esperienza di andare in chiesa di tanto in tanto ― pro-
teggono i moderati da un'adeguata collisione con la raziona-
lità scientifica. E in questo modo sono trascorsi secoli e secoli
senza che nella nostra società fosse fatta un'affermazione one-
sta su Dio.
Le persone di tutte le fedi ― e quelle senza alcuna fede ―
regolarmente cambiano in meglio la propria vita, per buone e
cattive ragioni. Eppure queste trasformazioni vengono rego-
larmente considerate come evidenza in favore di un particola-
re credo religioso. Il presidente Bush ha citato la propria di-
sintossicazione dall'alcol come evidenza per la divinità di
Gesù. Senza dubbio i cristiani si disintossicano di tanto in tan-
to ― ma lo fanno anche gli induisti (politeisti) e persino gli
atei. Ma allora, come può un essere pensante credere che la
sua esperienza di sobrietà avvalori l'idea che un essere supre-
mo stia osservando il nostro mondo e che Gesù sia suo figlio?
Senza dubbio molte persone fanno cose buone in nome
della loro fede; però ci sono ragioni migliori per aiutare i po-
veri, sfamare gli affamati e difendere i deboli, del credere
che un Amico Immaginario vuole che tu lo faccia. La compas-
sione è più profonda della religione. E lo è anche l'estasi misti-
ca. È il momento di mettere in chiaro che gli esseri umani
possono essere profondamente etici ― e persino spirituali
― senza fingere di sapere cose che non sanno.
Speriamo che il candore di Stark ispiri altri nostri parlamen-
tari ad ammettere i loro dubbi su Dio. Davvero, è il momento
di rompere in massa quest'incantesimo. Tutte le “grandi” reli-
gioni del mondo banalizzano completamente l'immensità e
la bellezza del Cosmo. Le affermazioni sul mondo e sugli
uomini fatte dalla Bibbia e dal Corano sono quasi tutte sba-
31
gliate. Ogni campo scientifico ― dalla cosmologia alla psico-
logia all'economia ― ha superato e abrogato la saggezza del-
le Scritture.
Qualunque cosa di valore possiamo trovare nella religione si
può ottenere anche in modo più onesto, senza fingere di sape-
re cose senza evidenza sufficiente. Il resto è solo auto-inganno
trasposto in musica.
UN RISPETTO IMMERITATO
(da un discorso di Sam Harris per presentare il
suo libro “La fine della fede”)
36
I MALI CAUSATI DALLA RELIGIONE MODERATA
(da un discorso di Sam Harris per presentare il
suo libro “La fine della fede”)
41
te ragionevole. Noi oggi abbiamo l'idea che l'aver bruciato
vivi gli eretici per cinque lunghi secoli in Europa sia stata
una specie di deriva della civiltà verso la psicopatologia.
Non è così. È perfettamente ragionevole fare queste cose, se
credi in quei libri. Se avete certe credenze, l'eretico della
porta accanto è molto più pericoloso del molestatore di bam-
bini della porta accanto. Gli eretici possono dire ai vostri
bambini cose che danneranno la loro anima per l'eternità. I
religiosi moderati perdono contatto col fatto che è possibile
credere tutto questo.
45
organizzano la loro identità morale intorno all'affiliazione reli-
giosa, indipendentemente dal fatto che si interessino davvero
di dettagli teologici. È questo conduce al conflitto. Quando
una società è in un momento difficile, continuamente vediamo
società che si spaccano lungo linee religiose: è successo in Ir-
landa, Bosnia... non è che gli irlandesi stessero combattendo
sulla dottrina della transustanziazione. Ma le loro identità, le
loro identità morali centrali, erano costruite intorno all'appar-
tenenza religiosa.
Poi c'è l'altro tipo di violenza religiosa, che è esplicitamente
teologica. È quando ci sono persone che uccidono altre perso-
ne letteralmente perché credono che il creatore dell'universo
vuole che noi lo facciamo, e pensano che ci sarà un premio per
loro per averlo fatto. L'esempio principale di questo è ciò che
vediamo ogni giorno nella prima pagina dei giornali. La jihad.
Quindi, una tesi del mio libro è che, a meno che non met-
tiamo in discussione il dogma della fede, a meno che non
mettiamo in discussione l'idea che delle credenze si possano
santificare in qualche modo diverso dall'evidenza e dagli ar-
gomenti, non elimineremo mai la violenza religiosa, perché
non estirperemo mai la sua radice profonda.
46
ne? Perché mai non dovremmo commentare su Dio, come
scienziati? E perché la teiera di Russell, o il Mostro Volante
di Spaghetti, non sono ugualmente immuni dallo scettici-
smo scientifico? Come sosterrò tra poco, un universo dotato
di un sovrintendente creativo sarebbe un universo molto di-
verso da uno senza. Perché mai questo non sarebbe una que-
stione scientifica?
Gould sfoggiò la sua arte di ritrarsi all'indietro fino ad assu-
mere posizione completamente supina in uno dei suoi libri
meno ammirati, Rocks of Ages. In quel libro coniò l'acronimo
NOMA, che sta per “magisteri non sovrapposti” [non-over-
lapping magisteria]:
Il dominio, o magistero, della scienza copre il reame em-
pirico: di cosa è fatto l'universo (fatto) e perché funziona
in questo modo (teoria). Il magistero della religione si
estende sopra le domande dei significati ultimi e del va-
lore morale. Questi due magisteri non si sovrappongono
[..] La scienza studia come va il cielo, la religione come
andare in cielo.
Questo discorso fa uno splendido effetto ― fino a che non ci
rifletti un attimo. Quali sarebbero queste domande ultime
sulle quali la religione è ospite gradito e la scienza deve ri-
spettosamente farsi da parte?
Martin Rees, noto astronomo di Cambridge che ho già men-
zionato, inizia il suo libro “Il nostro habitat cosmico” ponendo
due candidati allo stato di "domanda ultima" e dando ad esse
una risposta di tipo NOMA:
Il mistero principale è perché esista qualche cosa in pri-
mo luogo. Cosa infonde vita alle equazioni, e cosa le ha
concretizzate in un cosmo reale? Tali domande giaccio-
no oltre la portata della scienza, comunque: sono il rea-
me dei filosofi e teologi.
Io preferirei dire che, se davvero queste domande giacciono
oltre la portata della scienza, allora senza ombra di dubbio
giacciono anche oltre la portata della teologia (e dubito che i
filosofi ringrazierebbero Martin Rees per averli accomunati ai
47
teologi). Sarei tentato di andare oltre e chiedermi in quale
campo i teologi possano mai essere considerati competenti.
Ricordo ancora con divertimento l'osservazione di un ex diri-
gente del mio college di Oxford. Un giovane teologo aveva
fatto domanda per un posto di ricerca, e la sua tesi di dottora-
to sulla teologia cristiana ispirò il dirigente a dire "ho seri dub-
bi persino se questa sia una materia".
Quale contributo o competenza possono portare i teologi
alle domande cosmologiche profonde, che gli scienziati non
possano portare? In un altro libro ho riportato le parole di un
astronomo di Oxford che, quando gli posi le stesse domande
profonde, rispose: "Ah, adesso ci muoviamo oltre il reame del-
la scienza. A questo punto devo farmi da parte e lasciare la pa-
rola al nostro buon amico, il cappellano". Non ebbi la prontez-
za di spirito di rispondere: "Ma perché proprio il cappellano?
Perché non il giardiniere o lo chef?". Perché gli scienziati
sono così timidamente rispettosi verso le ambizioni dei teolo-
gi, su domande che i teologi certamente non sono più quali-
ficati ad affrontare degli scienziati stessi?
C'è un cliché irritante (e, diversamente da molti cliché, non
è neppure vero) che afferma che la scienza si occupa delle
domande sui come, ma solo la teologia abbia gli strumenti
per rispondere alle domande sui perché. Ma che cosa è mai
una domanda sul perché? Non tutte le frasi che cominciano
con la parola perché sono domande legittime. Perché gli uni-
corni sono vuoti? Alcune domande semplicemente non meri-
tano risposta. Di che colore è l'astrazione? Qual è l'odore della
speranza? Il fatto che io possa costruire una frase sintattica-
mente corretta non le conferisce automaticamente un signifi-
cato, né la rende degna della nostra attenzione. Ed anche
quando la domanda è una domanda vera, il fatto che la scien-
za non possa rispondere non implica in nessun modo che la
religione possa.
Forse esiste qualche domanda davvero profonda e dotata di
significato che giace per sempre oltre le possibilità della scien-
za. Forse la teoria quantistica sta già bussando alla porta del-
l'incomprensibile. Ma se la scienza non può rispondere a
48
qualche domanda ultima, cosa fa pensare a qualcuno che la
religione possa? Io sospetto che né l'astronomo di Cambridge
né quello di Oxford credessero veramente che i teologi avesse-
ro qualche capacità che permetta loro di rispondere a doman-
de che sono troppo profonde per la scienza. Sospetto che en-
trambi gli astronomi si stessero, ancora una volta, inchinando
in segno di educazione: i teologi non hanno niente di significa-
tivo da dire su nessun'altra cosa; lasciamo loro questo giocat-
tolo e lasciamo che si preoccupino su un paio di domande a
cui nessuno può rispondere e forse nessuno risponderà mai.
Diversamente dai miei amici astronomi, io non credo che do-
vremmo lasciar loro il giocattolo. Devo ancora sentire una
buona ragione per supporre che la teologia (anziché la lettera-
tura, la storia biblica, eccetera) sia una materia in primo luogo.
In modo simile, possiamo essere tutti d'accordo che il diritto
della scienza di darci consigli sui valori morali sia problemati-
co, a dir poco. Ma davvero Gould vuole cedere alla religione
il diritto di dirci cosa è bene e cosa è male? Il fatto che essa
non abbia nient'altro da contribuire alla conoscenza umana
non è un motivo di concedere gratuitamente alla religione il
diritto di dirci cosa fare. Quale religione, tra l'altro? Quella in
cui ti trovi casualmente ad essere stato cresciuto? Ed allora, a
quale capitolo, di quale libro della Bibbia dovremmo guardare
― perché sono tutt'altro che unanimi, ed alcuni di essi sono
odiosi secondo qualunque standard ragionevole. Quante per-
sone, tra quelle che sostengono l'interpretazione letterale
della Bibbia, l'hanno letta abbastanza da sapere che essa
prescrive la pena di morte per l'adulterio, per raccogliere ba-
stoncini di legno di sabato e per rivolgersi sgarbatamente ai
genitori? E se rifiutiamo il Deuteronomio e il Levitico (come
fanno tutte le persone moderne illuministe), con che criterio
decidiamo quali valori morali religiosi accettare? O forse
dovremmo scegliere a nostro piacimento tra tutte le reli-
gioni del mondo finché non ne troviamo una la cui mora-
le ci soddisfa? Se è così, di nuovo dobbiamo chiedere:
con che criterio scegliamo? E se abbiamo dei criteri indi-
49
pendenti per scegliere quale tra le varie religioni è più
morale, perché non scavalcare completamente l'inter-
mediario e seguire direttamente quella morale, senza
abbracciare alcuna religione? Tornerò su questa questio-
ne nel capitolo 7.
[......]
53
correnza per i clienti dell'aeroporto; un cecchino da un
tetto aveva ucciso un ufficiale di polizia; dei rissosi ave-
vano fatto irruzione in molti hotel e ristoranti, ed un
dottore aveva ucciso un ladro entratogli in casa. Alla
fine della giornata, erano state rapinate sei banche, sac-
cheggiati un centinaio di negozi, appiccati dodici incen-
di, rotte tante vetrine di negozi da riempire 40 camion, e
tre milioni di dollari di danni complessivi erano stati in-
flitti, prima che le autorità cittadine fossero costrette a
chiamare l'esercito [...]
Può darsi anche che sia troppo ottimista credere che la gente
resterebbe buona senza la sorveglianza di Dio. D'altra parte, la
maggior parte della popolazione di Montreal presumibil-
mente credeva in Dio. Come mai il timore di Dio non li ha
tenuti a bada quando i poliziotti terrestri erano temporanea-
mente assenti? La vicenda di Montreal non è forse un ottimo
esperimento naturale per verificare l'ipotesi che credere in
Dio ci rende buoni? Oppure aveva ragione il cinico H. L.
Mecken quando diceva: 'La gente dice che c'è bisogno di Dio
quando in realtà intende che c'è bisogno di polizia'?
Naturalmente, non tutti a Montreal si comportatono male
[...]. Sarebbe interessante sapere se c'è una tendenza statistica
[...] per i credenti a saccheggiare e distruggere più o meno dei
non credenti. [..] Sono propenso a sospettare, con qualche pro-
va [..], che ci sono molti pochi atei in prigione. [..] Un'altra
possibilità è che l'ateismo sia correlato a qualche altro fattore,
come un'istruzione migliore, una maggiore intelligenza o ten-
denza a riflettere, che potrebbe contrastare gli impulsi crimi-
nali. [..]
[....]
La maggior parte delle persone riflessive sarebbe d'accordo
che una moralità in assenza di un controllore sia in qualche
modo più morale di quella falsa moralità che scompare non
appena la polizia si assenta o la telecamera di sorveglianza
viene spenta [...] Ma forse non è del tutto equo interpretare in
modo così cinico la domanda 'se Dio non esiste, perché essere
54
buoni?'. Un pensatore religioso potrebbe offrire un'interpreta-
zione più genuinamente morale, nel modo che segue.
Se non credi in Dio, allora non credi che esista alcuno
standard assoluto di moralità. A questo punto tu puoi
anche avere tutta la buona volontà del mondo a compor-
tarti bene, ma come decidi cosa è bene e cosa è male?
Solo la religione, alla fine, può fornire uno standard di
cosa è bene e cosa è male. Senza la religione, lo standard
devi costruirtelo tu strada facendo. Questa sarebbe una
moralità senza regole: una moralità che non starebbe in
piedi perché si poggia su sé stessa. Se la moralità è sol-
tanto una questione di scelta, Hilter potrebbe affermare
di essere morale secondo gli standard eugenetici che si è
dato lui stesso, e tutto ciò che gli atei possono fare è
compiere la scelta personale di vivere in modo diverso
da lui. Invece i cristiani, gli ebrei e i musulmani possono
affermare che il male ha un significato assoluto, vero in
tutti i tempi e in tutti i luoghi, secondo cui Hitler era as-
solutamente malvagio.
Anche se fosse vero che abbiamo bisogno di Dio per essere
morali, ciò non renderebbe più probabile l'esistenza di Dio,
ma solo più desiderabile (molte persone non capiscono la dif-
ferenza). Ma ora non è questo il punto. Questo immaginario
sostenitore della religione non ha bisogno di affermare che
Dio è una ragione per far bene. Piuttosto egli afferma che,
quale che sia la ragione per far bene, senza Dio non ci sareb-
be un criterio per decidere cosa è bene. Ognuno di noi potreb-
be farsi la propria definizione di bene, e comportarsi secondo
essa. I principi morali che si basano solo sulla religione (invece
che, ad esempio, su qualche "regola d'oro", che spesso viene
associata alla religione ma può provenire da altrove) si posso-
no chiamare assolutisti. Il bene è bene e il male è male, e non
perdiamo tempo a ragionare se in alcuni casi particolari, ad
esempio, c'è qualcuno che soffre. Il religioso ipotetico di cui
sto parlando decide cosa è bene soltanto in base alla religio-
ne.
55
Alcuni filosofi, come Kant, hanno cercato di derivare una
morale assoluta da fonti non religiose.
[...]
A parte Kant, si ha la tentazione di essere d'accordo col mio
ipotetico sostenitore della religione sul fatto che le morali as-
solute siano spesso guidate dalla religione. È sempre sbaglia-
to porre fine alla sofferenza di un malato terminale su sua ri-
chiesta? È sempre sbagliato fare l'amore con una persone
dello stesso sesso? È sempre sbagliato uccidere un embrio-
ne? Ci sono persone che credono di sì, e le loro basi sono as-
solute. Essi non portano argomentazioni e non ammettono
dibattiti. Chiunque non sia d'accordo merita la fucilazione:
ovviamente in senso metaforico, non letterale ― tranne che
nel caso di alcuni dottori nelle cliniche americane dove si pra-
tica l'aborto (vedi prossimo capitolo). Fortunatamente, però,
la morale non ha bisogno di essere assoluta.
I filosofi della morale sono le nostre personalità di riferimen-
to quando si parla di bene e male. Come dice efficacemente
Robert Hinde, essi affermano che 'i precetti morali, sebbene
non necessariamente fondati sulla ragione, dovrebbero essere
difendibili mediante la ragione'. I filosofi morali [...] si posso-
no classificare in 'deontologisti' (come Kant) e 'consequenzia-
listi' [...]. La deontologia è un nome complicato per la creden-
za che la moralità consista nell'obbedire a regole. È letteral-
mente la scienza del dovere, dal greco "ciò che è vincolante,
doveroso". La deontologia non è proprio uguale all'assoluti-
smo morale ma, per la maggior parte degli scopi, in un libro
sulla religione non è necessario distinguere tra queste due
cose. Gli assolutisti credono che esistano un bene e un male
assoluti, degli imperativi la cui rettitudine non dipende dalle
loro conseguenze. I consequenzialisti pensano più pragmati-
camente che la moralità di un'azione debba essere giudicata in
base alle sue conseguenze.
[...]
Non tutto l'assolutismo è derivato dalla religione. Cionono-
stante, è molto difficile difendere una morale assoluta su basi
56
diverse dalla religione. L'unico concorrente che mi viene in
mente è il patriottismo, specialmente in tempo di guerra.
[...]
La gente disprezzava gli obiettori di coscienza, anche quelli
del Paese nemico, perché il patriottismo era considerato una
virtù assoluta. È difficile dire una cosa più assoluta dello slo-
gan del soldato professionista, "My country right or wrong"
["Sto con la mia patria, che essa abbia ragione o torto"], perché
questo slogan è una promessa di uccidere chiunque si trovi un
domani ad essere dichiarato "nemico" dai politici del tempo. Il
ragionamento consequenzialista potrebbe influenzare la deci-
sione di entrare o meno in guerra ma, una volta che la guerra
è cominciata, il patriottismo assolutista prende il comando con
una forza mai vista da nessun'altra parte ad eccezione della re-
ligione. Un soldato che si lasciasse persuadere da una morale
consequenzialista a non andare sul fronte probabilmente subi-
rebbe la corte marziale e sarebbe giustiziato.
[...]
Il prossimo capitolo dimostrerà che le persone che afferma-
no di derivare la propria morale dalle Scritture non lo fanno
davvero in pratica. [Tutti sono quindi “relativisti”]. E questa è
una cosa molto buona, come loro stessi dovrebbero ammettere
col senno di poi.
57
moderna e civile, religiosa o meno, troverebbe ― non so
come dirlo più educatamente ― nauseante.
Ad essere equi, la maggior parte della Bibbia non è sistema-
ticamente malvagia ma semplicemente bislacca, come ti aspet-
teresti da un'antologia di documenti disgiunti caoticamente
raggruppati insieme, rivisti, tradotti, distorti e 'migliorati' da
migliaia di autori anonimi, editori e copisti, sconosciuti a noi e
che non si conoscevano tra loro, nell'arco di nove secoli. [...]
Ma sfortunatamente è lo stesso strano libro che i fanatici reli-
giosi sbandierano come la fonte infallibile della nostra morale
e delle nostre regole di vita. Coloro che vogliono basare la
propria morale letteralmente sulla Bibbia non l'hanno letta o
non l'hanno compresa, come osserva giustamente il vescovo
John Shelby Spong ne I Peccati delle Scritture.
[...]
L'ANTICO TESTAMENTO
58
prende ancora sul serio e alla lettera le Scritture, compresa la
storia di Noè. Secondo la nota compagnia di sondaggi Gal-
lup, queste persone sono più del 50% degli elettori america-
ni. E lo stesso fanno, senza dubbio, molti di quei ministri di
culto asiatici che hanno dato la colpa dello Tsunami non ad
uno spostamento tettonico ma ai peccati umani, che spaziano
dal bere e ballare nei bar all'infrangere qualche insensata rego-
la del sabato. Chi può permettersi di criticarli, credendo allo
stesso tempo alla storia di Noè ed ignorando tutto tranne la
Bibbia? Tutta l'educazione che hanno ricevuto li ha portati a
considerare i disastri naturali come collegati alle vicende
umane, come vendette per le malefatte degli umani piuttosto
che qualcosa di impersonale come la tettonica a zolle. Tra pa-
rentesi, che presuntuoso egocentrismo credere che eventi che
scuotono la terra, della magnitudine a cui operano gli dei (o la
tettonica a zolle), debbano sempre avere una connessione con
l'uomo. Perché mai un essere divino, con in mente la creazione
e l'eternità, dovrebbe preoccuparsi anche minimamente delle
puerili malefatte umane? Noi uomini ci diamo delle arie, ingi-
gantendo i nostri miseri peccati fino a renderli significativi a
livello cosmico!
Quando intervistai per la televisione il reverendo Michael
Bray, un attivista anti-abortista di fama, gli chiesi perché i cri-
stiani evangelici fossero così ossessionati dalle inclinazioni
sessuali private come l'omosessualità, inclinazioni che non
interferiscono con la vita di nessun altro. La sua risposta tirò
in ballo l'autodifesa. Dei cittadini innocenti rischiano di di-
venire vittime collaterali quando Dio deciderà di colpire la
loro città con un disastro naturale perché ospita dei peccato-
ri. Nel 2005, la bella città di New Orleans fu catastroficamente
inondata come contraccolpo dell'uragano Katrina. Il reveren-
do Pat Robertson, uno dei più famosi tele-evangelisti d'Ameri-
ca, diede la colpa dell'uragano ad una cabarettista lesbica
che abitava a New Orleans. Verrebbe da pensare che un Dio
onnipotente adotterebbe un approccio leggermente più pre-
ciso per freddare i peccatori: un giudizioso attacco di cuore,
forse, piuttosto che la distruzione di un'intera città, solo per-
59
ché il caso ha voluto che fosse il domicilio di una cabarettista
lesbica.
Quando i cittadini di Dover, Pennsylvania, votarono contro
l'insegnamento nelle loro scuole della cosiddetta "teoria del di-
segno intelligente", questo stesso reverendo disse:
[..] se accadrà un disastro nella vostra città, non rivolge-
tevi a Dio. Lo avete appena cacciato dalla vostra città [..].
Quando lo invocherete, Egli potrebbe non esserci.
[...]
Nella distruzione di Sodoma e Gomorra, Lot, nipote di
Abramo, ricopre lo stesso ruolo di Noè, nel senso che viene
scelto per essere risparmiato assieme alla sua famiglia in
quanto individuo retto. Due angeli maschi vennero mandati a
Sodoma per avvisare Lot di abbandonare la città prima che ar-
rivassero le pietre. Lot accolse con ospitalità gli angeli in casa
sua, al che tutti gli uomini di Sodoma si radunarono intorno
alla sua casa e domandarono che Lot consegnasse loro gli an-
geli in modo che potessero (e cos'altro?) sodomizzarli: 'Dove
sono gli uomini che vennero da te questa notte? Portali a noi,
così che possiamo conoscerli' (Genesi 19:5). Sì, “conoscere” ha
il significato eufemistico classico della Versione Autorizzata, il
che è divertente in questo contesto. Il coraggio di Lot nel dire
di no alla richiesta suggerisce che Dio poteva non avere tutti i
torti a salvarlo. Ma la nobiltà di Lot è annebbiata dalle parole
che usa per rifiutare: “Vi prego, non fate tale cosa malvagia.
Guardate: io ho due figlie che non hanno mai conosciuto un
uomo; vi prego, permettete che io ve le porti, e fate a loro ciò
che vi piace: soltanto, non fate nulla a questi uomini; perché
essi sono venuti all'ombra del mio tetto” (Genesi 19:7-8).
Qualunque cosa significhi questa storia bislacca, di certo ci
dice qualcosa sul rispetto accordato alle donne in questa cul-
tura intensamente religiosa. Comunque, si dà il caso che il ba-
ratto di Lot si rivelò non necessario [..]. Tutta la famiglia si sal-
vò, ad eccezione della sfortunata moglie di Lot, che il Signore
trasformò in un pilastro di sale per l'offesa ― debole al con-
fronto, si potrebbe pensare ― di essersi voltata a guardare i
60
fuochi d'artificio della distruzione.
Le due figlie di Lot comparvero di nuovo nella storia. [..]
Vissero col padre in una caverna. Affamate di compagnia ma-
schile, decisero di far ubriacare il padre e copulare con lui. [...]
Lot era troppo ubriaco per accorgersi che si stava accoppiando
con le figlie. Se questa famiglia con dei problemi era il meglio
che Sodoma aveva da offrire in quanto a morale, qualcuno di
voi potrebbe cominciare a sentirsi d'accordo con Dio e la sua
severa scure.
C'è un altro episodio tetramente simile a quello di Lot nel ca-
pitolo 19 del libro dei Giudici. [...]
No, amici, vi prego, non fate una cosa tanto malvagia,
perché quest'uomo è venuto in casa mia; ecco, ho una fi-
glia con la sua concubina; ve le porterò ora entrambe, e
ve le umilierò, e fate loro quel che vi pare; ma su que-
st'uomo non fate una cosa così vile [...]
Ancora una volta, l'etica misogina si rivela, forte e chiara.
Trovo particolarmente agghiacciante la frase “ve le umilierò”.
Divertitevi pure umiliando e stuprando mia figlia e la concu-
bina di questo sacerdote, ma mostrate un giusto rispetto per il
mio ospite che, dopo tutto, è maschio. Nonostante la similarità
tra le due storie, il finale fu meno felice per la concubina del
Levite (sacerdote) che per le figlie di Lot.
Il Levite la consegnò ai malviventi, che la stuprarono per tut-
ta la notte: "la conobbero e abusarono di lei per tutta la notte
fino al mattino: e quando il giorno cominciò a sorgere, la la-
sciarono andare. Poi la donna all'alba arrivò davanti alla porta
della casa dov'era il suo signore, e restò al suolo finché non di-
venne giorno". (Giudici 19:25-6). Di mattina, il Levita trovò la
sua concubina che giaceva prostrata sull'uscio e disse ― con
ciò che oggi potrebbe sembrare una crudele brutalità ― "Alza-
ti e andiamo". Ma lei non si muoveva. Era morta. Per cui egli
"prese un coltello, si chinò sulla sua concubina, e la fece a pez-
zi, anche le ossa, il tutto in 12 pezzi, e la mandò sulle coste di
Israele". Sì avete letto bene. Andatelo a leggere in giudici
19:29. [...]
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Lo zio di Lot, Abramo, fu il padre fondatore di tutte e tre le
"grandi" religioni monoteistiche. Il suo status di patriarca lo
rende degno di divenire per i fedeli un modello di vita quasi
quanto Dio stesso. Ma quale moralista moderno vorrebbe
emularlo?
[.....]
Dio ordinò ad Abramo di offrirgli in sacrificio il suo amato
figliolo, uccidendolo e bruciandolo. Abramo costruì un altare,
ci mise sopra la legna da ardere, ed issò Isacco sopra di essa. Il
suo coltello era già alzato quando un angelo intervenne con
un cambio di piano: Dio stava solo scherzando dopo tutto,
'mettendo alla prova' Abramo e testando la sua fede. Un mo-
ralista moderno non può evitare di chiedersi come un bam-
bino possa recuperare dopo un trauma psicologico di questo
tipo. Secondo gli standard moderni di moralità, questa storia
scellerata è un esempio allo stesso tempo di abuso di minori,
di due atti di bullismo verso persone di rango inferiore, ed è
il primo caso documentato di utilizzo della difesa di Norim-
berga: "Ho solo eseguito gli ordini". Eppure la leggenda è
uno dei grandi miti fondanti di tutte e tre le religioni monotei-
stiche.
Ancora una volta, i teologi moderni obietteranno che la sto-
ria del sacrificio di Isacco non dovrebbe essere intesa lette-
ralmente come un fatto. Ed ancora una volta, la risposta cor-
retta è duplice. Primo, moltissime persone, anche oggi, pren-
dono tutte le Scritture alla lettera come un fatto vero, ed han-
no molto potere politico su tutti noi, specialmente negli Stati
Uniti e nel mondo islamico. Secondo, se non lo dobbiamo
prendere alla lettera, come lo dobbiamo prendere? Come
un'allegoria? Ma un'allegoria di che cosa? Certo di nulla che
sia lodevole. Come una lezione morale? Ma che tipo di morale
si potrebbe mai derivare da questa storia sconcertante?
Ricordate, tutto ciò che sto cercando di stabilire per il mo-
mento è che noi non deriviamo la nostra morale dalle Scrit-
ture. O, se lo facciamo, noi scegliamo tra le Scritture le parti
belle e scartiamo quelle brutte. Ma allora dobbiamo avere
62
qualche criterio indipendente per decidere quali sono le par-
ti morali e quali no: un criterio che, da dovunque provenga,
non può venire dalla Scrittura stessa e presumibilmente è
disponibile a noi tutti, non importa se religiosi o meno.
Alcuni difensori cercano persino di attribuire decenza al per-
sonaggio di Dio in questa deplorevole storia. Non è stato forse
buono Dio a risparmiare la vita di Isacco all'ultimo momento?
Nel caso improbabile che alcuni di voi siano persuasi da que-
sto osceno tentativo di giustificazione, vi racconterò un'altra
storia di sacrificio umano, che non andò a finire così bene.
Nel capitolo 11 dei Giudici, il capo militare Jephthah strinse
il patto con Dio che, se Dio gli avesse garantito la vittoria con-
tro gli Ammoniti, Jephthah avrebbe in cambio, senza fallo, sa-
crificato a Dio e bruciato “chiunque uscisse per primo fuori da
casa mia per salutarmi, quando sarò tornato”. Jephthah scon-
fisse davvero gli Ammoniti (“con un massacro maestoso”,
come è la norma in tutto il libro dei Giudici) e tornò vittorioso
a casa. Chi venne a salutarlo fuori da casa fu, non sorprenden-
temente, la sua unica figlia, accogliendolo con danze e feste.
[...] Non c'era niente che Jephthah potesse fare. Dio stava ov-
viamente aspettando il sacrificio promesso, e in quella circo-
stanza la figlia acconsentì molto carinamente ad essere sacrifi-
cata. Chiese solo di poter andare sulle montagne per due mesi
per perdere la verginità. Alla fine di questo periodo tornò e
Jephthah la fece fuori. Dio non ritenne opportuno interveni-
re in questa occasione.
[...]
Mosè corse giù dalla montagna, portando le tavole di pietra
su cui Dio aveva scritto i Dieci Comandamenti. Quando arrivò
e vide il vello d'oro, fu così furioso che lasciò cadere le tavole e
le ruppe (più tardi Dio gli diede un set di tavole di ricambio,
quindi non ci fu alcun problema). Mosè si impadronì del vello
d'oro, lo bruciò, lo fece in polvere, lo mischiò con acqua e lo
fece bere a tutte le persone. Poi disse a tutti nella tribù di sa-
cerdoti di Levi di raccogliere una spada e uccidere quante
più persone possibile. Questo ammontò a circa tremila vitti-
63
me che, qualcuno avrebbe sperato, avrebbero dovuto placare
l'ira gelosa di Dio. Ma no, Dio non aveva ancora finito. Nell'ul-
timo verso di questo terribile capitolo il suo colpo di grazia fu
inviare una pestilenza su ciò che restava delle persone “perché
essi avevano fatto il vello, che Aaron aveva fatto”.
Il Libro dei Numeri ci racconta come Dio incitò Mosè ad at-
taccare i Midianiti. Il suo esercito massacrò rapidamente gli
uomini, e bruciò tutte le città dei Midianiti, ma non uccise le
donne e i bambini. Questa pietosa astensione dei soldati fece
infuriare Mosè, che diede ordine di uccidere tutti i bambini,
e tutte le donne non vergini. “Ma tutte le bambine, che non
hanno conosciuto un uomo, lasciatele vive e tenetele per voi
stessi” (Numeri, 31:18). No, Mosè non è un buon esempio di
vita per i moralisti moderni.
Per quanto alcuni scrittori religiosi moderni attribuiscano
qualche tipo di significato simbolico al massacro dei Midianiti,
il simbolismo è orientato completamente nella direzione sba-
gliata. Gli sfortunati Midianiti, per quanto possiamo giudicare
dal resoconto biblico, furono vittime di genocidio nel loro
stesso Paese.
[...]
Nei Numeri, libro 25, molti israeliti furono adescati dalle
donne moabite ad offrire sacrifici al dio Baal. Dio reagì con la
sua furia caratteristica. Ordinò a Mosè di “Prendere tutte le te-
ste delle persone e appenderle sotto il sole al cospetto del Si-
gnore, così che la furiosa rabbia di Dio possa allontanarsi da
Israele”. Ancora una volta, non possiamo evitare di stupirci
alla reazione straordinariamente draconiana di Dio di fronte al
peccato di farsi sedurre da un Dio rivale. Per il nostro senso
moderno di giustizia, sembra un peccato veniale in confronto,
ad esempio, all'offrire tua figlia a una banda di stupratori. E'
un ulteriore esempio della distanza tra la morale delle scrittu-
re e quella moderna (sarei tentato di dire “civile”). Natural-
mente, si spiega abbastanza facilmente in termini della teoria
della “memetica” [la teoria della sopravvivenza dell'idea più
adatta, ideata da Dawkins], e delle qualità che una divinità
64
deve possedere per per poter sopravvivere alle idee concor-
renti.
Questa tragicomica gelosia maniacale di Dio contro gli dei
alternativi ricorre incessantemente per tutto l'Antico Testa-
mento. Motiva il primo dei Dieci Comandamenti (quelli sulla
tavoletta rotta da Mosè: Esodo 20, Deuteronomio 5), ed è an-
cora più prominente nei comandamenti sostitutivi forniti da
Dio per rimpiazzare le tavole rotte (Esodo 34). Dopo aver pro-
messo di cancellare dalle loro terre gli sfortunati Amoriti, Ca-
naaniti, Hittiti, Perizziti, Hiviti e Gebusiti, Dio arriva alla que-
stione che conta davvero: gli dei rivali!
... tu distruggerai i loro altari, infrangerai le loro raffigu-
razioni, e taglierai i loro pali sacri. Perché tu non venere-
rai alcun altro dio: perché il Signore, il cui nome è Gelo-
so, è un dio geloso. Non fare alleanza con gli abitanti di
quel paese, altrimenti, quando si prostituiranno ai loro
dèi e faranno sacrifici ai loro dèi, inviteranno anche te: tu
allora mangeresti le loro vittime sacrificali. Non prende-
re per mogli dei tuoi figli le loro figlie, altrimenti, quan-
do esse si prostituiranno ai loro dèi, indurrebbero anche
i tuoi figli a prostituirsi ai loro dèi.
72
stante da John Hartung, fisico ed antropologo evoluzionista
americano. Egli ha scritto un notevole trattato sull'evoluzione
e sulla storia biblica della moralità diretta a un gruppo ristret-
to, ponendo l'accento, tra l'altro, sul rovescio della medaglia
― l'ostilità verso chi è fuori dal gruppo.5
74
INSEGNARE AI BAMBINI IL GENOCIDIO
75
sbagliate.
• Giosuè fece bene perché le persone che abitavano
quella terra erano di una religione diversa, e quando
Giosuè le uccise cancellò quella religione dalla fac-
cia della terra.
La giustificazione del genocidio di Giosuè è in tutti i casi
religiosa. Perfino quelli della categoria C, che diedero disap-
provazione totale, la diedero, in alcuni casi, per ragioni reli-
giose rovesciate. Ad esempio una bambina disapprovò l'atto
di Giosuè di conquistare Gerico perché, per poterlo fare, ci
dovette entrare dentro:
Credo che sia sbagliato, perché gli arabi sono impuri, e
se uno entra in una terra impura diventerà impuro an-
che lui e dividerà con loro la dannazione.
Altre due che diedero disapprovazione totale lo fecero per-
ché Giosuè distrusse tutto, compresi gli animali e la proprietà,
invece di conservare qualcosa per darlo agli israeliti:
• "Credo che Giosuè non abbia agito bene, perché avreb-
be potuto risparmiare gli animali per farli usarli alla
sua gente."
• "Credo che Giosuè non agì bene, perché avrebbe potu-
to lasciare intatte le proprietà di Gerico; se non avesse
distrutto le proprietà, sarebbero appartenute agli
israeliti."
Ancora una volta il saggio Maimonides, spesso citato per la
sua saggezza di studioso, non ha alcun dubbio sulla sua posi-
zione nella questione:
Distruggere le sette nazioni è un comandamento positi-
vo, poiché viene detto: "Tu le devi distruggere completa-
mente". Se uno non mette a morte chiunque di essi in-
contri sulla sua strada, costui trasgredisce un comanda-
mento negativo, poiché viene detto: "Tu non lascerai
vivo niente che respiri."
Diversamente da Maimonides, i bambini nell'esperimento di
Tamarin erano abbastanza giovani da essere innocenti. Presu-
76
mibilmente i punti di vista selvaggi che esprimevano erano
quelli dei loro genitori, o dei gruppi culturali in cui erano stati
cresciuti. Suppongo che non sia improbabile che i bambini pa-
lestinesi, cresciuti nello stesso paese devastato dalla guerra, of-
frirebbero delle opinioni equivalenti nella direzione opposta.
Queste considerazioni mi riempiono di disperazione. Sembra-
no mostrare l'immenso potere della religione (e specialmen-
te del crescere i bambini con un'educazione religiosa) di di-
videre le persone e propagare inimicizie storiche e vendette
ereditarie. Non posso non notare che due delle tre citazioni
rappresentative del gruppo A parlavano dei mali dell'assimi-
lazione, mentre la terza accentuava l'importanza di uccidere
le persone al fine di cancellare la loro religione.
Tamarin, nel suo esperimento, coinvolse anche un affasci-
nante “gruppo di verifica”. Ad un gruppo diverso di 168
bambini israeliani fu presentato lo stesso testo del libro di
Giosuè, ma con il nome di Giosuè sostituito da "Generale
Lin", e "Israele" sostituito con "un regno cinese 3000 anni fa".
Adesso l'esperimento diede risultati opposti. Solo il 7%
approvò il comportamento del generale Lin, e il 75% disap-
provò. In altre parole, quando la loro lealtà al giudaismo ve-
niva rimossa dal ragionamento, la maggioranza dei bambini
si trovava d'accordo con i giudizi morali dati dalla maggior
parte degli esseri umani moderni. Le azioni di Giosuè furono
una barbarica opera di genocidio. Ma tutto sembra diverso
dal punto di vista religioso. E la differenza comincia presto
nella vita. Per quei bambini, fu la religione a fare la diffe-
renza tra condannare un genocidio e giustificarlo.
Hartung, nella seconda metà della sua pubblicazione, passa
a parlare del nuovo testamento. Per riassumere brevemente la
sua tesi, Gesù osservava la stessa moralità ristretta soltanto
al proprio gruppo ― unita all'ostilità verso chi è fuori dal
gruppo ― che veniva data per scontato nel vecchio testa-
mento. Gesù era un ebreo leale. Fu Paolo che inventò l'idea di
portare ai Gentili il Dio degli ebrei. Hartung è più brusco di
quanto io abbia il coraggio di fare: "Gesù si sarebbe rivoltato
nella tomba se avesse saputo che Paolo avrebbe portato il suo
77
piano ai porci".
Hartung si concede un po' di divertimento con il libro del-
l'Apocalisse, che certamente è uno dei libri più bislacchi della
Bibbia. Si suppone che sia stato scritto da San Giovanni, e, per
usare le parole di "Ken's Guide to the Bible", se le sue epistole si
possono considerare come Giovanni sotto l'effetto di uno spi-
nello, allora l'Apocalisse è Giovanni sotto l'effetto dell'acido.
Hartung attira la nostra attenzione sui due versi dell'Apocalis-
se dove il numero di persone "sigillate" (che secondo alcune
sette, come i testimoni di Geova, significa "salvati") è limitato a
144.000. La tesi di Hartung è che dovevano essere tutti ebrei:
12.000 da ciascuna delle 12 tribù. Ken Smith si spinge oltre, fa-
cendo notare che i 144.000 eletti "non si sporcavano con le
donne", il che presumibilmente significa che nessuno di essi
può essere donna. Beh, è il tipo di cosa che oramai abbiamo im-
parato ad aspettarci.
C'è molto di più nella pubblicazione di Hartung. La racco-
manderò una volta di più, e la riassumerò in una citazione:
La Bibbia è un piano meticoloso per una moralità ristret-
ta ad un gruppo specifico, completa di istruzioni per il
genocidio, schiavizzazione degli altri gruppi, e domina-
zione del mondo. Ma la Bibbia non è malvagia a causa
dei suoi obiettivi, o persino per la sua glorificazione
dell'omicidio, della crudeltà e dello stupro. Molte altre
opere antiche fanno questo ― l'Iliade, le saghe islan-
desi, i racconti degli antichi siriani e le iscrizioni degli
antichi Maya, per esempio. Ma non c'è nessuno che
spacci l'Iliade come fondamento della moralità. È qui
il problema. La Bibbia viene venduta, e comprata,
come una guida per insegnare alle persone come vive-
re la loro vita. Ed è, di gran lunga, il più grande best-sel-
ler di tutti tempi.
Perché non si pensi che l'atto del giudaismo tradizionale di
escludere gli altri gruppi sia unico tra le religioni, guardate il
seguente fiducioso verso tratto da un inno di Isaac Watts
(1674-1748):
78
Signore, ascrivo alla tua grazia,
e non al caso, come fanno altri,
il fatto che nacqui di razza cristiana
e non pagano o ebreo.
Quello che mi sconcerta di questo verso non è l'esclusività di
per sé, ma la logica. Visto che molti sono nati in religioni di-
verse dal cristianesimo, come fece Dio a decidere quali di
queste persone future dovessero avere il privilegio di nasce-
re cristiani? Perché favorire Isaac Watts [..]? In ogni caso, pri-
ma che Isaac Watts fosse concepito, qual era la natura di
questa entità che veniva prescelta? Queste sono acque pro-
fonde, ma forse non troppo profonde per una mente tendente
alla teologia. L'inno di Isaac Watts ricorda tre preghiere gior-
naliere che vengono insegnate agli ebrei ortodossi e conserva-
tori (ma non a quelli riformati):
"Benedetto tu sia per non avermi fatto nascere Gentile.
Benedetto tu sia per non avermi fatto nascere donna.
Benedetto tu sia per non avermi fatto nascere schiavo."
La religione è indubbiamente una forza che divide, e que-
sta è una delle accuse fondamentali che si assestano contro di
essa. Ma si dice frequentemente e giustamente che le guerre,
e le rappresaglie tra i gruppi e le sette religiose, sono rara-
mente davvero dovute a disaccordi teologici. Quando un pa-
ramilitare Ulster Protestante uccide un cattolico, non sta ri-
muginando tra sé "Prendi questo, bastardo transustanziazio-
nista, adoratore di Maria, che puzzi di incenso!". È molto più
probabile che stia vendicando la morte di un altro protestan-
te ucciso da un altro cattolico, forse nel corso di una vendetta
transgenerazionale che va avanti. La religione è una etichetta
che permette l'ostilità e la vendetta tra un gruppo interno e
un gruppo esterno, non necessariamente peggiore di altre eti-
chette come il colore della pelle, la lingua, o la squadra di foot-
ball preferita, ma è un'etichetta che è spesso disponibile
quando altre non lo sono. Ma sì, sì, naturalmente i problemi
nell'Irlanda del Nord sono politici. C'è stata davvero un'op-
79
pressione economica e politica di un gruppo su un altro, e lun-
ga secoli. Ci sono davvero genuine ingiustizie, e queste sem-
brano avere poco a che fare con la religione; tranne che ― e
questo è tanto importante quanto regolarmente trascurato ―
senza la religione non ci sarebbero etichette per decidere chi
opprimere e chi vendicare. E il vero problema nell'Irlanda
del Nord è che queste etichette vengono ereditate di genera-
zione in generazione. I cattolici, i cui genitori, nonni e bi-
snonni andavano alle scuole cattoliche, mandano i loro figli
alle scuole cattoliche. I protestanti, i cui genitori, nonni e bi-
snonni andavano alle scuole protestanti, mandano i loro figli
alle scuole protestanti. Questi due insiemi di persone hanno
lo stesso colore della pelle, parlano la stessa lingua, amano
le stesse cose, eppure è come se appartenessero a due specie
diverse, tale è la divisione storica tra di loro. E senza la reli-
gione, e l'educazione segregata religiosamente, la divisione
semplicemente non ci sarebbe. Dal Kosovo alla Palestina,
dall'Iraq al Sudan, da Ulster al subcontinente indiano, osserva-
te attentamente qualunque regione del mondo dove trovate
ostilità intrattabili e violenza tra gruppi rivali. Non posso ga-
rantirvi che troverete la religione come etichetta dominante
per distinguere il gruppo interno dal gruppo esterno. Ma è
una scommessa molto buona da fare.
In India, al tempo della "Partition", furono massacrate più
di un milione di persone in rivolte religiose tra gli indù e mu-
sulmani (e 15 milioni furono allontanati dalla loro casa). Non
c'era alcun elemento distintivo eccetto quello religioso, per
etichettare chi uccidere. In ultima analisi, non c'era niente
che li dividesse tranne la religione. Salman Rushdie fu spin-
to, da una più recente ripresa di massacri religiosi in India, a
scrivere un articolo intitolato "La religione, come sempre, è il
veleno nel sangue dell'India". Ecco il paragrafo conclusivo:
Cosa c'è da rispettare in tutto questo, o in uno qualun-
que dei crimini che ora vengono commessi quasi quoti-
dianamente in tutto il mondo in nome della religione?
Quanto bene, e con che risultato fatale, la religione erige
dei totem, e quanto noi siamo bendisposti ad uccidere
80
per essi! E quando l'abbiamo fatto abbastanza spesso, la
diminuzione nell'impatto emotivo che ne risulta rende
più facile farlo di nuovo.
Così il problema dell'India finisce per essere il problema
del mondo. Ciò che è successo in India è successo nel
nome di Dio.
Il nome del problema è Dio.
Io non nego che le forti tendenze dell'umanità verso la
lealtà al proprio gruppo interno e l'ostilità ai gruppi esterni
esisterebbero anche in assenza di religione. I tifosi delle
squadre di football rivali sono un esempio in miniatura di
questo fenomeno. Anche i tifosi di football a volte si dividono
lungo linee religiose, come nel caso dei Ranger di Glasgow e i
Celtic di Glasgow. Altri importanti elementi di divisione pos-
sono essere la lingua (come in Belgio), la razza e la tribù (spe-
cialmente in Africa). Ma la religione amplifica ed inasprisce
il danno in almeno tre modi:
1. Etichettatura dei bambini. I bambini vengono de-
scritti come "bambini cattolici", " bambini protestan-
ti" ecc, sin da un'età giovanissima, e certamente trop-
po giovane perché abbiano sviluppato un'opinione
sulla religione (ritorno su questo abuso di bambini
nel capitolo 9).
2. Scuole segregate. I bambini vengono educati, di
nuovo sin dalla giovanissima età, assieme a membri
del loro stesso gruppo religioso e separatamente dai
bambini le cui famiglie aderiscono ad altre religioni.
Non è esagerato affermare che i guai dell'Irlanda
del Nord scomparirebbero in una generazione se
fossero abolite le scuole segregate.
3. I tabù contro il matrimonio "misto". Questo propa-
ga all'infinito le vendette ereditarie impedendo la
commistione tra gruppi nemici. Il matrimonio incro-
ciato, se fosse permesso, tenderebbe naturalmente a
smorzare le ostilità.
81
[.....]
Anche se la religione non facesse altro danno in sé e per sé,
la sua divisività ostinata e attentamente alimentata ― il suo
deliberato e coltivato incoraggiamento alla naturale tendenza
umana di favorire il gruppo interno e ad evitare ciò che è
esterno ― sarebbe sufficiente a renderla una forza significati-
va del male nel mondo.
85
• Scommettiamo che ti dimostro che Dio esiste?
• Io scommetto di no.
• Bene, allora immagina la cosa più perfetta perfet-
ta perfetta perfettissima possibile.
• Ok, e adesso?
• Ora, è reale questa cosa perfetta perfetta? esiste?
• No, è solo nella mia mente.
• Ma se fosse reale sarebbe ancora più perfetta,
perché una cosa veramente veramente perfetta
dovrebbe essere meglio di una stupida cosa im-
maginaria. Così ho provato che Dio esiste. Tra la
la la la. Tutti gli atei sono dementi.
Non ho scelto a caso la parola "demente". Anselmo stesso
citò il primo verso del quattordicesimo salmo, "Il demente dis-
se nel proprio cuore: Dio non esiste", ed ha ben pensato di
usare il nome "demente" (dal latino insipiens) per il suo ipoteti-
co ateo:
Per questo motivo, anche il demente si convince che nel-
la comprensione esiste qualcosa più grande di qualun-
que altra cosa si possa concepire. Perché, quando gli
dico così, lui lo capisce. È qualunque cosa venga capito
esiste nella comprensione. D'altra parte, ciò che è più
grande di qualunque altra cosa che si possa concepire
non può esistere soltanto nella comprensione. Perché, se
esistesse soltanto nella comprensione, allora potremmo
concepire che esista anche nella realtà, ma allora sarebbe
ancora più grande.
L'idea stessa che si possano ottenere conclusioni importanti
con questi giochetti basati solo sull'uso delle parole mi offende
esteticamente, quindi devo stare attento a non usare a mia vol-
ta la parola “demente”. Bertrand Russell (che non era un de-
mente) disse: “è più facile convincersi che l'argomento ontolo-
gico sia viziato che trovare esattamente quale sia l'errore”.
Russell stesso, da giovane, per qualche tempo ne fu persuaso
86
[...]
[...]
I Greci non riuscivano a falsificare la "dimostrazione" di Ze-
none che Achille non raggiungerà mai la tartaruga. Ma aveva-
no il buon senso di non concludere che allora Achille non
raggiungerà mai la tartaruga. Lo chiamarono invece parados-
so ed aspettarono che generazioni successive di matematici lo
spiegassero (mediante, come ora sappiamo, la teoria delle se-
rie infinite convergenti ad un valore finito). Perché Russell [..]
non fu ugualmente cauto rispetto ad Anselmo?
[..]
Il mio sentimento, al contrario, sarebbe stato un automatico,
profondo sospetto verso un ragionamento che raggiungeva
conclusioni così significative senza avere avuto in input al-
cun dato sul mondo reale.
[...]
Kant localizzò il trucco di Anselmo nell'assunzione scivolosa
che l'esistenza sia più perfetta della non esistenza. Il filosofo
americano Norman Malcolm la mette così: "la dottrina per cui
l'esistenza sarebbe indice di perfezione è notevolmente strana.
Ha senso, ed è corretto, dire che la mia casa futura sarà miglio-
re se sarà isolata dal freddo piuttosto che se non lo sarà; ma
che cosa potrebbe mai significare che sarà una casa migliore
se esisterà piuttosto che se non esisterà?" . Un altro filosofo,
l'australiano Douglas Gasking, è ricorso all'ironia producendo
delle "prove" che Dio non esiste [...]:
• La creazione del mondo è l'azione più meravigliosa
che si possa immaginare.[..]
• Più grande è la menomazione (o l'handicap) del crea-
tore, più impressionante è il risultato finale.
• L'handicap più formidabile in assoluto per un creatore
sarebbe la non esistenza.
• Quindi, se supponiamo che l'universo sia il prodotto
di un creatore esistente, possiamo concepire un essere
ancora più grande ― quello che ha creato tutto senza
87
esistere lui stesso.
• Un dio esistente, quindi, non sarà l'essere più grande
che noi possiamo concepire, perché un dio che non
esiste sarebbe un essere ancora più formidabile e in-
credibile.
• Quindi Dio non esiste.
Inutile dirlo, Gasking non ha provato davvero che Dio non
esiste. Per lo stesso motivo, Anselmo non ha provato che esi-
ste. La differenza è che Gasking cercava di essere spiritoso di
proposito. Come egli aveva ben compreso, l'esistenza o la non
esistenza di Dio è una domanda troppo grande per essere de-
cisa mediante un gioco di prestigio dialettico. E non credo
neppure che il fatto di considerare l'esistenza un indice di per-
fezione sia il punto peggiore dell'argomento. Ho dimenticato i
dettagli ma, una volta, ad un convegno di teologi e filosofi, ho
adattato l'argomento ontologico in modo da provare che i ma-
iali volano. Hanno sentito il bisogno di ricorrere alla logica
modale per dimostrare che mi sbagliavo. [...]
89
estremisti. Ma la mia tesi in questa sezione è che anche una re-
ligione mite e moderata aiuta a costruire il clima di fede in cui
l'estremismo prospera naturalmente.
Nel luglio 2005, Londra fu vittima di un attacco suicida
concertato: tre bombe in metropolitana e una in un autobus.
Non grave come l'attacco del 2001 alle torri gemelle, e certa-
mente non così inaspettato (anzi, Londra era stata preparata
proprio a questo tipo di evento sin da quando Blair volonta-
riamente ci costrinse a spalleggiare, contro la nostra volontà,
l'invasione dell'Iraq di Bush), tuttavia le esplosioni di Londra
ricoprirono di orrore la Gran Bretagna. I giornali si riempirono
di valutazioni concorrenti su cosa possa aver spinto quattro
giovani uomini a farsi esplodere e a portare con loro molte
persone innocenti. Gli omicidi erano cittadini britannici,
amanti del cricket, dotati di buone maniere, proprio il tipo di
giovani uomini la cui compagnia è piacevole.
Perché questi giovani amanti del cricket hanno fatto ciò? Di-
versamente dalle loro controparti palestinesi, o dalle loro con-
troparti kamikaze in Giappone, o dalle loro controparti Tamil
Tiger nello Sri Lanka, queste bombe umane non si aspettavano
che le loro famiglie fossero glorificate, accudite, o che riceves-
sero le pensioni riservate ai martiri religiosi. Al contrario, in
alcuni casi i loro parenti furono costretti a nascondersi. Uno di
questi uomini rese volontariamente vedova la moglie incinta e
rese orfano il suo piccolo bambino che stava imparando a
camminare. L'azione di questi quattro uomini è stata una to-
tale sciagura non solo per loro stessi e le loro vittime, ma an-
che per le loro famiglie e per l'intera comunità musulmana
della Gran Bretagna, che adesso si trova a fronteggiare il con-
traccolpo. Solo la fede religiosa è una forza sufficiente a mo-
tivare una follia così completa in persone altrimenti sane e
decenti. Ancora una volta, Sam Harris illustra la cosa con du-
rezza adeguata, facendo l'esempio del leader di al Qaeda, Osa-
ma Bin Laden (che tra parentesi non ha avuto niente a che fare
con il bombardamento di Londra). Perché mai qualcuno do-
vrebbe voler distruggere le torri gemelle e tutto ciò che con-
tengono? Chiamare Bin Laden "malvagio" significa evadere
90
dalla responsabilità di dare una risposta adeguata ad una que-
stione così importante.
La risposta alla domanda è ovvia ― se non altro perché
è stata ripetuta con pazienza, fino alla nausea, da Bin La-
den stesso. La risposta è che persone come Bin Laden
credono davvero ciò che dicono di credere. Credono
nella verità letterale del Corano. Perché mai 19 uomini
ben istruiti della classe media hanno barattato la loro
vita terrena con il privilegio di uccidere migliaia dei no-
stri simili? Perché credevano che sarebbero andati diret-
tamente in paradiso facendo questo. È raro trovare una
spiegazione più completa e soddisfacente di un com-
portamento umano. Perché siamo stati così riluttanti
ad accettare questa spiegazione?
Il rispettato giornalista Muriel Gray, scrivendo per il Gla-
sgow Herald il 24 luglio 2005, sostiene una tesi simile, in que-
sto caso con riferimento al bombardamento di Londra.
Si dà la colpa a tutti, a partire dall'ovvio duo di malfatto-
ri George Bush e Tony Blair, fino ad arrivare all'inerzia
delle "comunità" musulmane. Ma non è stato mai più
chiaro che c'è solo una cosa a cui dare la colpa, ed è sem-
pre stato così. La causa di tutta questa miseria, disastri,
violenza, terrore e ignoranza è naturalmente la religio-
ne stessa, e se sembra superfluo dover dire una cosa così
ovvia, sta di fatto che il governo e i media stanno fingen-
do con caparbietà e successo che non sia così.
I nostri politici occidentali evitano di utilizzare la parola che
comincia con "R" (religione), e invece caratterizzano la loro
battaglia come guerra contro il "terrore", come se il terrore fos-
se una specie di spirito o forza, con una volontà e una mente
propria. Oppure caratterizzano i terroristi come motivati dal
puro "male". Ma non sono motivati dal male. Per quanto noi
possiamo pensare che siano nel torto, essi sono motivati, pro-
prio come i cristiani che uccisero i dottori che praticavano l'a-
borto, da ciò che loro percepiscono come giustizia, perseguen-
do fedelmente ciò che la loro religione dice loro. Non sono de-
91
gli psicotici; sono degli idealisti religiosi che, in base alla
loro logica, sono razionali. Percepiscono i loro atti come buo-
ni, non a causa di qualche perversa idiosincrasia personale, e
non perché sono posseduti da Satana, ma perché sono stati al-
levati, sin dalla culla, per avere una fede totale ed indiscus-
sa. Sam Harris cita le parole di un attentatore palestinese che
non è riuscito a portare a termine il suo obiettivo, che dice che
ciò che lo spinse ad uccidere gli israeliani fu "l'amore del mar-
tirio... io non volevo vendetta per alcunché. Volevo soltanto
essere un martire". Il 19 novembre 2001, il New Yorker riporta-
va un'intervista a Nasra Hassan e un altro attentatore fallito,
un istruito giovane palestinese dell'età di 27 anni noto come
"S". È un pezzo così poeticamente eloquente dell'attrazione del
paradiso, quale è predicato dai leader e dagli insegnanti reli-
giosi moderati, che penso che valga la pena riportarlo per este-
so:
"Qual è l'attrazione del martirio?" io domandai.
"Il potere dello spirito ci eleva verso l'alto, mentre il po-
tere delle cose materiali ci trascina verso il basso", disse
lui. "Chi è votato al martirio diventa immune all'attra-
zione dei beni materiali. Il nostro istruttore ci chiese 'Che
farete se l'operazione fallisce?'. Gli rispondemmo: 'In
ogni caso, riusciremo ad incontrare il profeta e i suoi
compagni, inshallah' ".
"Stavamo galleggiando, nuotando, nel sentimento che
stavamo per entrare nell'eternità. Non avevamo dubbi.
Facemmo un giuramento sul Corano, alla presenza di
Allah ― il giuramento di non esitare. Questo giuramen-
to di jihad si chiama "bayt al-ridwan", nome che deriva
dal giardino del paradiso che è riservato solo ai profeti e
ai martiri. So che ci sono altri modi di fare la jihad. Ma
questo qui è dolce ― il più dolce. Tutte le azioni di mar-
tirio, se fatte per il bene di Allah, fanno meno male di
una puntura di zanzara!"
"S" mi mostrò il video che documentava la pianificazio-
ne finale dell'operazione. Nel video sfocato, vidi lui e al-
92
tri due giovani uomini che intrattenevano un dialogo ri-
tuale con domande e risposte sulla gloria del martirio...
Poi i giovani uomini e l'istruttore si inginocchiarono e
misero la mano destra sul Corano. L'istruttore disse "sie-
te pronti? domani sarete in paradiso"
Se io fossi stato S, sarei stato tentato dal dire all'istruttore
"beh, in questo caso, perché non ci vai tu, mettendo la tua pel-
le in gioco anziché le parole? Perché non fai tu le missioni sui-
cide, prendendo la strada breve verso il paradiso?". Ma ciò che
per noi è così difficile capire è che ― ripeto perché è così im-
portante ― queste persone credono veramente ciò che dico-
no di credere. La morale di tutto ciò è che dovremmo dare la
colpa alla religione stessa, non all'estremismo religioso ―
come se fosse una specie di terribile perversione della religio-
ne vera e decente. Voltaire aveva ragione molto tempo fa: "Co-
loro che possono farti credere delle assurdità possono farti
commettere atrocità". Ed aveva ragione anche Bertrand Rus-
sell: "Molte persone preferirebbero morire piuttosto che pen-
sare. Anzi, per la verità lo fanno."
Finché accettiamo il principio che la fede religiosa debba es-
sere rispettata semplicemente perché è fede religiosa, è diffici-
le non rispettare la fede di Osama Bin Laden e quella dei bom-
baroli suicidi. L'alternativa, così trasparente che non dovrebbe
servire menzionarla, è abbandonare il principio del rispetto
automatico per la fede religiosa. Questo è uno dei motivi per
cui faccio tutto ciò che posso per mettere in guardia le persone
dalla fede stessa, non solo dalla fede cosiddetta "estremista".
Gli insegnamenti della religione "moderata", sebbene non
estremisti di per sé, sono una porta spalancata all'estremismo.
Si potrebbe dire che non c'è niente di speciale nella fede reli-
giosa. Anche l'amore patriottico per la patria, o per il proprio
gruppo etnico, spiana la strada per la sua versione di estremi-
smo, non è vero? Sì, è vero, ed è ciò che è successo con i kami-
kaze in Giappone e i Tamil Tigers in Sri Lanka. Ma la fede reli-
giosa è un silenziatore particolarmente potente del calcolo ra-
zionale, silenziatore che di solito sembra prevalere su ogni al-
93
tra fede. Questo è dovuto, credo, alla sua promessa facile e ac-
cattivante che la morte non sia la fine, e che il paradiso dei
martiri sia particolarmente glorioso. Ma è dovuto anche al fat-
to che la fede religiosa scoraggia l'atto di metterla in discus-
sione, per sua stessa natura.
La cristianità, proprio come l'Islam, insegna ai bambini che
la fede priva di discussione sia una virtù. Non devi produrre
un motivo per ciò che tu credi. Se qualcuno annuncia che
una cosa è parte della sua "fede", il resto della società, non
importa se ha la stessa fede, o un'altra fede, o nessuna fede,
è obbligato, per un'usanza radicata, a "rispettarla" senza di-
scutere; rispettarla fino al giorno in cui si manifesta con un'or-
ribile massacro come la distruzione delle torri gemelle, o i
bombardamenti di Londra o Madrid. E poi tutti fanno a gara a
"prendere le distanze": il clero e i "leader delle comunità" (ma
chi li ha eletti, a proposito?) si fanno in quattro per spiegare
che questo estremismo è una perversione della "vera" fede.
Ma come può esistere una perversione della fede, se la fede,
essendo priva di giustificazione oggettiva, non ha alcuno
standard dimostrabile che si possa pervertire?
Dieci anni fa Ibn Warraq, nel suo eccellente libro "perché
non sono musulmano", sostiene una tesi simile, dal suo punto
di vista di studioso dell'Islam particolarmente sapiente. In ve-
rità, un buon titolo alternativo per il suo libro sarebbe stato "il
mito dell'islam moderato", che è il vero titolo di un articolo
più recente sul London Spectator (30 luglio 2005) da parte di
un altro studioso, Patrick Sookhdeo, direttore dell' "istituto
per lo studio dell'Islam e della cristianità".
La stragrande maggioranza dei musulmani oggi vive la
propria vita senza ricorso alla violenza, perché il Corano
è un miscuglio dove puoi trovare di tutto. Se vuoi la
pace, puoi trovare versi pacifici. Se vuoi la guerra, puoi
trovare versi bellicosi.
Sookdeo prosegue spiegando come gli studiosi dell'Islam,
per potersi barcamenare tra le tante contraddizioni che trova-
rono nel Qur'an, svilupparono il principio dell'abrogazione,
94
secondo il quale i testi scritti dopo abrogano i testi precedenti.
Sfortunatamente, i passaggi pacifici del Qur'an sono quelli più
antichi, risalenti al tempo in cui Maometto si trovava alla Mec-
ca. I versi più belligeranti tendono ad essere più recenti, dopo
la sua fuga a Medina. Il risultato è che
La frase "l'Islam è pace" non è più valida da quasi 1400
anni. È stato vero soltanto per 13 anni circa che l'islam
sia soltanto pace... per gli odierni musulmani radicali ―
proprio come per i turisti medioevali che svilupparono
l'Islam classico ― sarebbe più vero dire che "l'islam è
guerra". Uno dei gruppi islamici più radicali della Gran
Bretagna, al-Ghurabaa, affermò, quando avvennero i
due bombardamenti di Londra, "Ogni musulmano che
neghi che il terrore sia parte dell'Islam è un kafir". Un
kafir è un non credente (cioè un non musulmano), il che
è un insulto terribile.
[...]
Potrebbe darsi che i giovani uomini che si suicidarono
non fossero né ai bordi della società musulmana britan-
nica, né seguissero un'interpretazione eccentrica ed
estremista della loro fede, ma piuttosto che venissero
dallo stesso nucleo della comunità musulmana, e fossero
motivati da un'interpretazione principale [mainstream]
dell'Islam?
Più in generale (e questo si applica all'Islam come alla cri-
stianità) ciò che è veramente pernicioso è la pratica di inse-
gnare ai bambini che la fede stessa sia una virtù. La fede è il
male, precisamente perché non richiede giustificazione e
non ammette argomentazioni contrarie. Insegnare ai bambini
che la fede indiscussa sia una virtù li rende soggetti a trasfor-
marsi in armi potenzialmente letali per future jihad o crociate
(dati certi altri ingredienti che si verificano senza difficoltà).
Immunizzato dalla paura a causa della promessa di un para-
diso dei martiri, l'autentico fedele merita un posto di primo
piano nella storia delle armi, a fianco all'arco, al cavallo, al car-
ro armato e alla bomba cluster. Se si insegnasse ai bambini a
95
mettere in discussione le loro credenze e a sottoporle a una
verifica, invece di insegnare loro la virtù superiore della
fede senza discussione, possiamo scommettere che non ci sa-
rebbero attentatori suicidi. Gli attentatori suicidi fanno ciò
che fanno perché credono davvero ciò che è stato insegnato
loro nelle scuole religiose: che la lealtà verso Dio prevale su
tutte le altre priorità, e che il martirio per Dio sarà premiato
nei giardini del paradiso. E questa lezione fu insegnata loro
non necessariamente da fanatici estremisti, ma da istruttori re-
ligiosi decenti, gentili, "mainstream", che li hanno fatti mettere
in fila nelle loro madrasas, seduti in riga, ad annuire ritmica-
mente con le loro piccole teste innocenti, su e giù, mentre im-
paravano a memoria ogni parola del libro sacro come dei pap-
pagalli dementi. La fede può essere molto molto pericolosa, ed
impiantarla deliberatamente nella mente vulnerabile di un
bambino innocente è un male imperdonabile. È un male ver-
so l'infanzia stessa: è violenza sui bambini da parte della reli-
gione, cosa di cui parleremo nel prossimo capitolo.
100
"sua" religione (era troppo giovane per possedere opinioni ra-
gionate sulla religione) ma l'amore e l'attenzione dei suoi geni-
tori e famiglia; e lui fu privato di queste cose da alcuni preti
celibi la cui grottesca crudeltà era mitigata solo dalla loro cras-
sa insensibilità verso i normali sentimenti umani― un'insensi-
bilità che arriva fin troppo facilmente in una mente deviata
dalla fede religiosa.
Anche quando non c'è un rapimento fisico, non è forse un
abuso di bambini l'atto di etichettarli come possessori di cre-
denze che sono troppo giovani per avere? Eppure la pratica
persiste ancora oggi, quasi senza che si metta in discussione.
Metterle in discussione è il mio scopo principale nel seguito di
questo capitolo.
103
con la mano sulla spalla del bambino. Hitchcock si sporse dal
finestrino e gridò "corri, ragazzino! Scappa, per la tua vita!"
"I bastoni e le pietre possono rompermi le ossa, ma le parole
non possono farmi male". Questo proverbio [anglosassone] è
vero soltanto fino a che tu non credi davvero alle parole in
questione. Ma se tutta la tua educazione sin dall'infanzia, e
tutto ciò che che ti è stato detto dai genitori, insegnanti e sa-
cerdoti, ti ha portato a credere, credere davvero, completa-
mente ed assolutamente, che i peccatori brucino all'inferno
(o qualche altro repellente articolo di dottrina come il fatto
che le donne siano di proprietà dei loro mariti), allora è inte-
ramente plausibile che le parole abbiano su di te un effetto
molto più duraturo e dannoso degli abusi fisici. Io sono con-
vinto che la frase "abuso di bambini" non sia un'esagerazione
quando viene usata per descrivere ciò che gli insegnanti e i sa-
cerdoti fanno ai bambini, incoraggiandoli a credere a qualcosa
come la punizione dei peccati mortali in un inferno eterno.
Nel mio documentario televisivo "root of all evil?", di cui ho
già fatto menzione, ho intervistato una quantità di leader reli-
giosi e fui criticato per aver scelto un estremista americano
piuttosto che un rispettabile sostenitore della corrente religio-
sa più diffusa, come un arcivescovo. [...] sembra una critica
giusta ― tranne che, nell'America del ventunesimo secolo,
ciò che sembra estremo al mondo esterno è in realtà una cor-
rente principale [mainstream]. Una delle persone da me inter-
vistate, che lasciarono di più senza parole il pubblico televisi-
vo britannico, fu il pastore Ted Haggard di Colorado Springs.
Ma, ben lungi dall'essere un estremista nell'America di Bush,
il pastore Ted è presidente dell'associazione nazionale degli
evangelici, associazione forte di 30 milioni di persone, e affer-
ma di avere il privilegio di una conversazione telefonica con il
presidente Bush ogni lunedì. Se avessi voluto intervistare i
veri estremisti secondo i moderni standard americani, avrei
dovuto intervistare i "ricostruzionisti", la cui "teologia del do-
minio" sostiene apertamente l'avvento di una teocrazia cri-
stiana in America. Come mi scrive un preoccupato collega
americano:
104
Gli europei devono sapere che c'è uno show itinerante di
invasati che predica davvero la reintroduzione della leg-
ge del vecchio testamento ― uccidere gli omosessuali
eccetera ― e di restringere ai soli cristiani il diritto di ac-
cedere a cariche pubbliche o anche di votare. La folla
della classe media applaude a questa retorica. Se i laici
non stanno attenti, i Dominionisti e i Ricostruzionisti sa-
ranno presto la corrente principale e più diffusa in una
reale teocrazia americana.
Un altro di coloro che intervistai fu il pastore Keenan Ro-
berts, proveniente dallo stesso Stato del Colorado del pastore
Ted. La particolare forma di follia del pastore Roberts consiste
in ciò che lui chiama "case dell'inferno". Una casa dell'inferno
è un luogo dove vengono portati i bambini, dai loro genitori o
dalle scuole cristiane, allo scopo di terrorizzarli su ciò che po-
trebbe accader loro dopo che saranno morti. Ci sono degli at-
tori che recitano spaventosi esempi di alcuni particolari "pec-
cati" come l'aborto e l'omosessualità, al cospetto di un diavolo
scarlatto che li guarda con aspetto terrificante. Queste cose
fungono da preludio per il pezzo forte, l'inferno stesso, com-
pleto di un realistico odore di zolfo e delle grida agonizzanti
di anime per sempre dannate.
Dopo aver guardato una di queste trasmissioni [..] Intervi-
stai il pastore Roberts alla presenza del suo cast di attori. Egli
mi disse che l'età ideale per visitare una casa dell'inferno è 12
anni. Questo mi colpì, e gli chiesi se non si preoccupasse che
un bambino di 12 anni potesse avere degli incubi dopo una di
queste performance. Egli replicò, presumibilmente con onestà:
Preferisco che loro capiscano che l'inferno è un posto
dove assolutamente non vogliono andare. Preferisco
raggiungerli con quel messaggio a 12 anni che non rag-
giungerli affatto con quel messaggio e permettere che
conducano una vita di peccato senza trovare mai il Si-
gnore Gesù Cristo. E se davvero finissero per avere gli
incubi, come risultato di questa esperienza, credo che ci
sia un bene più elevato che si può ottenere in questa vita
105
semplicemente di avere degli incubi.
Suppongo che, se veramente voi credeste ciò che il pastore
Roberts dice di credere, allora sembrerebbe giusto anche a
voi intimidire i bambini.
Non possiamo liquidare il pastore Robert come un folle
estremista. Come Ted Haggard, lui fa parte di una corrente re-
ligiosa largamente diffusa [mainstream] nell'America di oggi.
Sarei sorpreso se persino loro credessero a ciò che credono al-
cuni dei loro discepoli, come il fatto che si possono sentire le
urla dei dannati ascoltando i vulcani, o che gli enormi vermi
tubolari che si trovano nelle correnti calde profonde dell'ocea-
no siano in realtà l'avverarsi di Marco 9:43-4 "Se se la tua
mano ti offende, tagliatela: è meglio che tu viva mutilato, che
avere due mani per andare all'inferno, nel fuoco che non sarà
mai estinto: dove i vermi delle mani non muoiono, e il fuoco
non si estingue". Qualsiasi cosa essi credano sull'inferno, tutti
questi entusiasti del fuoco dell'inferno sembrano avere la cer-
tezza beata di essere tra quelli che saranno salvati; il che è ben
espresso da San Tommaso D'Aquino, uno dei teologi principa-
li, nella Summa Teologica: "che i santi possano godersi la loro
beatitudine e la grazia di Dio più abbondantemente di quanto
possano vedere la punizione dei dannati all'inferno". Brav'uo-
mo.
La paura del fuoco infernale può essere molto reale, anche
tra persone altrimenti razionali. Dopo il mio documentario te-
levisivo sulla religione, tra le tante lettere che ricevetti c'era
questa, proveniente da una donna ovviamente intelligente ed
onesta:
Sin dall'età di cinque anni frequentai una scuola cattoli-
ca, e fui indottrinata da suore che brandivano bastoni e
cinghie. Nell'adolescenza lessi gli scritti di Darwin, e ciò
che egli diceva aveva perfettamente senso nella parte lo-
gica della mia mente. Ciononostante, ho passato la vita
soffrendo tanti conflitti ed avendo una profonda paura
dell'inferno, che mi viene molto spesso. Ho fatto della
psicoterapia, che mi ha permesso di risolvere alcuni dei
106
miei problemi precedenti, ma non riesco a superare
questa profonda paura.
Quindi, la ragione per cui le scrivo è per chiederle il
nome e l'indirizzo del terapista, che lei ha intervistato
nel programma di questa settimana, che è esperto di
questa particolare paura.
Fui commosso dalla sua lettera e (sopprimendo un senti-
mento di dispiacere che non esista alcun inferno dove queste
suore possano andare) le risposi che avrebbe dovuto affidarsi
alla propria ragione, un grande dono che lei ― diversamente
da persone meno fortunate ― ovviamente possedeva. Sugge-
rii che l'orrore dell'inferno, così come descritto da sacerdoti e
suore, è reso così grande per compensare la sua implausibilità.
Se l'inferno fosse una cosa plausibile, basterebbe che fosse
moderatamente spiacevole per poter fungere da deterrente.
Dato che è così improbabile che sia vero, deve essere pubbli-
cizzato come una cosa molto molto spaventosa, per bilanciare
la sua implausibilità e mantenere un qualche valore di deter-
renza. L'ho anche messa in contatto con la terapista, Jill Myt-
ton, una donna amabile e profondamente sincera che avevo
intervistato. La stessa Jill era stata cresciuta in una setta più
odiosa del solito chiamata "Exclusive Brethren": così spiacevo-
le che c'è persino un sito Web, www.peebs.net, dedicato inte-
ramente a prendersi cura di coloro che sono riusciti a fuggir-
ne.
La stessa Jill Mytton era stata cresciuta in modo da essere
terrorizzata dall'inferno, era sfuggita alla cristianità da adulta,
e adesso dà consiglio ed aiuta altre persone similmente trau-
matizzate in gioventù: "se ripenso alla mia infanzia, era un'in-
fanzia dominata dalla paura. Ed era la paura della disappro-
vazione nel presente, ma anche dalla dannazione eterna. E per
un bambino, le immagini del fuoco eterno e delle strida di
denti sembrano davvero molto reali. Non sono assolutamente
metaforiche". Poi le chiesi di illustrare che cosa le fosse stato
detto sull'inferno, da bambina, e la sua risposta fu commoven-
te quanto il suo volto durante la lunga esitazione che ebbe pri-
107
ma di rispondere: "è strano, non è vero? Dopo tutto questo
tempo ha ancora il potere di... farmi soffrire... quando tu...
quando mi fai questa domanda. L'inferno è un posto spaven-
toso. È il rifiuto completo di te da parte di Dio. È il giudizio
completo, c'è un fuoco reale, c'è tormento reale, tortura reale, e
continua così per sempre e non c'è via d'uscita".
Proseguì dicendomi del gruppo di sostegno che lei presiede
per coloro che fuggono da un'infanzia simile alla sua, e ci tiene
a chiarire quanto sia difficile per molti di loro uscirne: "il
processo di andare via è straordinariamente difficile. Ti stai la-
sciando indietro un'intera rete sociale, un intero sistema in cui
sei stato praticamente cresciuto, stai abbandonando un intero
sistema di credenze che tu stesso hai avuto per anni. Molto
spesso abbandoni la tua famiglia e gli amici... non esisti dav-
vero più per alcuno di loro". Riuscii a contribuire alla discus-
sione con le lettere di americani che mi avevano scritto affer-
mando di aver letto i miei libri e di aver abbandonato la loro
religione in conseguenza di ciò. Molti di essi proseguono in
modo sconcertante dicendo che non osano dirlo alle loro fami-
glie, o che lo hanno fatto con risultati terribili. Il seguente ac-
conto è tipico. Colui che scrive è un giovane studente di medi-
cina americano.
Sento il bisogno di scriverle un'email perché condivido
la Sua visione della religione, visione che in America ci
rende emarginati, come sicuramente Lei sa. Sono cre-
sciuto in una famiglia cristiana e sebbene l'idea di reli-
gione non mi abbia mai convinto solo recentemente ho
avuto il coraggio di dirlo a qualcuno. Questo qualcuno
era la mia ragazza, la cui reazione fu di... orrore. Com-
prendo che una dichiarazione di ateismo potrebbe esse-
re scioccante ma adesso è come se lei mi vedesse come
una persona completamente diversa. Non si può più fi-
dare di me, dice, perché la mia morale non deriva da
Dio. Non so se supereremo mai questa cosa, e non ci
tengo particolarmente a condividere le mie credenze con
altre persone che mi sono vicine perché temo la stessa
reazione di disgusto... non mi aspetto una risposta. Le
108
scrivo solo perché speravo che avrebbe avuto compas-
sione per me e avrebbe condiviso la mia frustrazione.
Immagini di perdere qualcuno che ama, e che la amava,
a causa della religione. A parte il punto di vista di lei
che io ora sono un senza-dio, eravamo perfetti l'uno per
l'altra. Ciò mi ricorda la Sua osservazione che le persone
fanno cose folli in nome della loro fede. Grazie per la sua
attenzione.
Risposi a questo sfortunato giovane notando che, se la sua
ragazza aveva scoperto qualcosa su di lui, anche lui aveva sco-
perto qualcosa su di lei. Era davvero abbastanza in gamba per
lui? Io ne dubitavo.
Ho già menzionato la cabarettista americana Julia Sweeney e
il suo comico sforzo di trovare alcune caratteristiche positive
nella religione e di riscattare il dio della sua infanzia dai suoi
dubbi da adulta.
[.....]
"Losing faith in faith: front preacher to atheist" di Dan Bar-
ker è la storia della sua conversione graduale, da ministro fon-
damentalista devoto e predicatore viaggiatore militante, all'a-
teo forte e fiducioso in sé che è diventato oggi. Cosa notevole,
Barker continuò a predicare il cristianesimo per qualche tem-
po dopo essere diventato ateo, perché era l'unica carriera che
conosceva, e si sentiva intrappolato in una ragnatela di obbli-
ghi sociali. Ora egli conosce molti altri uomini di Chiesa ame-
ricani che si trovano nella stessa posizione in cui si trovava lui,
ma che lo hanno confidato solo a lui, dopo aver letto il suo li-
bro. Essi non osano ammettere il loro ateismo neppure alle
proprie famiglie, data la reazione terribile che prevedono. La
storia di Barker ebbe una conclusione più felice. All'inizio, i
suoi genitori furono profondamente e dolorosamente scossi.
Ma poi ascoltarono il suo calmo ragionamento, e, alla fine, di-
vennero atei anche loro.
Due professori da un'università americana mi scrissero indi-
pendentemente circa i loro genitori. Uno disse che sua madre
soffre un dolore permanente perché teme per l'anima im-
109
mortale di lui. L'altro disse che suo padre vorrebbe che lui
non fosse mai nato, tanto è convinto che suo figlio passerà
l'eternità all'inferno. Questi sono professori di università
dotati di grande educazione, che confidano nella loro maturi-
tà e nella loro cultura, che presumibilmente hanno superato i
loro genitori in tutte le questioni intellettuali, non soltanto
nella religione. Pensate semplicemente a quanto maggiore
possa essere il problema per persone meno solide intellet-
tualmente, meno equipaggiate di loro (o di Julia Sweeney)
nelle capacità retoriche e nell'educazione ricevuta, per fronteg-
giare questi membri della propria famiglia. Forse non molto
diverso che per i pazienti di Jill Mytton.
Nella nostra conversazione televisiva precedente, Jill aveva
descritto questo tipo di educazione religiosa come una forma
di abuso mentale, ed io ritornai su questo punto come segue:
"Dovresti usare il termine abuso religioso. Se tu dovessi com-
parare l'abuso di crescere un bambino per fargli credere nel-
l'inferno... con l'abuso sessuale, quale pensi che sia il peso rela-
tivo di queste due cose in termini di trauma?" Lei replicò: "è
una domanda molto difficile... credo che ci siano molte cose in
comune, per la verità, perché in entrambi i casi c'è un abuso di
fiducia; in entrambi i casi si nega al bambino il diritto di sen-
tirsi libero e capace di relazionarsi con il mondo in modo nor-
male... è una forma di violenza; è in entrambi i casi una cosa
che impedisce il realizzarsi della sua vera personalità".
111
ortodossa è stata capovolta abbastanza spesso da farci diven-
tare più cauti? Gli scienziati potrebbero pensare che sia senza
senso insegnare l'astrologia e la verità letterale della Bibbia,
ma ci sono altre persone che pensano l'opposto, e non avreb-
bero questi il diritto di insegnarle ai loro figli? Non è ugual-
mente arrogante insistere che ai bambini bisognerebbe inse-
gnare la scienza?
Ringrazio i miei genitori di aver seguito la regola di inse-
gnare al proprio figlio non tanto cosa pensare quanto come
pensare. Se, dopo che è stata adeguatamente presentata loro
tutta l'evidenza scientifica, i bambini dovessero crescere e
decidere che la Bibbia sia letteralmente vera o che il movi-
mento dei pianeti governi le loro vite, questo è loro diritto. Il
punto importante è che è loro il diritto di decidere cosa pen-
sare, e non diritto dei genitori imporlo per forza maggiore. È
questo, naturalmente, è particolarmente importante se riflet-
tiamo che i bambini di oggi diventano i genitori di domani,
nella posizione di tramandare qualunque indottrinamento che
essi stessi abbiano ricevuto.
Humphrey suggerisce che, finché i bambini sono piccoli,
vulnerabili e bisognosi di protezione, il modo davvero morale
di crescerli è il tentativo onesto del genitore di indovinare
che cosa sceglierebbero da soli se fossero abbastanza grandi
per farlo. Egli cita in modo commovente l'esempio di una gio-
vane ragazza Inca i cui resti, risalenti a 500 anni fa, furono tro-
vati congelati nelle montagne del Perù nel 1995. L'antropologo
che la scoprì scrisse che lei era stata vittima di un sacrificio ri-
tuale. Humphrey racconta che la televisione americana man-
dò in onda un documentario su questa giovane fanciulla dei
ghiacci. Gli spettatori erano invitati
a meravigliarsi della dedizione spirituale dei sacerdoti
Inca e a condividere con la ragazza l'orgoglio e l'eccita-
zione per essere stata scelta per l'onore di essere sacri-
ficata. Il messaggio del programma televisivo era in ef-
fetti che la pratica del sacrificio umano era di per sé una
gloriosa invenzione culturale ― un altro fiore all'occhiel-
112
lo del multiculturalismo, se volete.
Humphrey è scandalizzato, tanto quanto me:
Come osa chiunque suggerire una cosa simile? Come
osano invitarci ― seduti comodamente in poltrona,
mentre guardiamo la televisione ― a provare trasporto
al pensiero di un omicidio rituale: l'omicidio di un bam-
bino che dipendeva psicologicamente da un gruppo di
stupidi, ignoranti, superstiziosi vecchiacci? Come si per-
mettono di invitarci a trovare del bene per noi stessi con-
templando un'azione immorale verso qualcun altro?
Di nuovo, il buon lettore liberale potrebbe sentirsi lievemen-
te in disaccordo. Immorale secondo i nostri standard, certa-
mente, e anche stupido, ma che dire degli standard Inca?
Certamente, per gli Inca, il sacrificio era un atto morale e tut-
t'altro che stupido, sancito da tutto ciò che loro ritenevano sa-
cro? La ragazzina era senza dubbio una leale credente nella re-
ligione in cui era stata cresciuta. Chi siamo noi per usare una
parola come "omicidio", giudicando i sacerdoti Inca secondo i
nostri standard anziché i loro? Forse questa ragazza era incre-
dibilmente felice del suo destino: forse lei credeva davvero
che sarebbe andata in un paradiso eterno, scaldata dalla com-
pagnia radiante del Dio sole. O forse ― come sembra molto
più probabile ― gridava disperatamente di terrore.
Il punto di Humphrey ― e il mio ― è che, indipendente-
mente dal fatto che lei fosse una vittima volontaria o meno,
c'è una forte ragione di credere che lei non avrebbe voluto
ciò se fosse stata in pieno possesso dei fatti. Ad esempio,
supponi che lei avesse saputo che il sole è davvero una palla
di idrogeno, più calda di un milione di gradi Kelvin, che si
converte in elio mediante fusione nucleare, e che si formò in
origine dallo stesso disco di gas dal quale si condensò anche la
Terra e tutto il sistema solare... allora, presumibilmente, co-
stei non lo avrebbe venerato come un dio, e questo avrebbe
alterato la sua prospettiva di essere sacrificata per propiziar-
lo.
Non si possono criticare i sacerdoti Inca per la loro ignoran-
113
za, e forse si può considerare esagerato giudicarli stupidi e in-
vasati. Ma si possono colpevolizzare per avere instillato le
loro credenze su un bambino troppo giovane per decidere se
venerare il sole o no. Il punto addizionale di Humphrey è che
gli autori degli odierni documentari, e noi che siamo il loro
pubblico, abbiamo la colpa di vedere della bellezza nella mor-
te di questa piccola ragazza ― come qualcosa che arricchisca
la nostra cultura collettiva. La stessa tendenza a glorificare le
abitudini religiose delle varie etnie, e di giustificare le crudel-
tà fatte nel loro nome, salta fuori regolarmente nei discorsi. E
produce un conflitto interno nella mente di brave persone li-
berali che, da una parte, non possono sopportare la crudeltà e
la sofferenza, ma dall'altra sono state condizionate dai post-
modernisti e dai relativisti a rispettare le altre culture quan-
to la propria.
L'infibulazione [circoncisione femminile] è senza dubbio or-
ribilmente dolorosa, è un sabotaggio del piacere sessuale delle
donne (in verità, questo probabilmente è proprio il suo scopo),
e una buona metà delle menti liberali decenti vuole abolire
questa pratica. L'altra metà, però, 'rispetta' la cultura etnica e
sente che non dovremmo interferire se 'loro' vogliono muti-
lare le 'loro' figlie. Il punto, naturalmente, è che ciò che chia-
miamo 'le loro figlie' appartengono in realtà a loro stesse, non
ai genitori, e i loro desideri non dovrebbero essere ignorati.
Ecco una domanda più difficile: e se la ragazza stessa dice
che vuole essere circoncisa? Ma potrebbe costei, un domani,
divenuta adulta informata, desiderare che questo fosse suc-
cesso? Humphrey nota che nessuna donna, che da bambina
sia per qualche motivo riuscita a scampare alla circoncisione,
si è mai offerta volontaria per l'operazione da adulta.
Dopo una discussione sugli Amish, ed il loro presunto dirit-
to di crescere i "loro" figli a modo loro, Humphrey critica il no-
stro entusiasmo come società di
preservare la diversità culturale. Potreste voler dire:
d'accordo, è duro per un bambino Amish, o Hasidim, o
Rom essere cresciuto come vogliono i suoi genitori ―
114
ma almeno abbiamo la conseguenza positiva di far con-
tinuare queste affascinanti tradizioni culturali. Non sa-
rebbe impoverita la nostra civiltà intera se queste tradi-
zioni scomparissero? Forse è un peccato che degli indivi-
dui debbano essere sacrificati per mantenere questa di-
versità. Ma, dopotutto, è il prezzo che paghiamo come
società. Tranne che, vi vorrei ricordare, non lo paghiamo
noi, lo pagano loro.
Questa questione venne all'attenzione pubblica nel 1972
quando la corte suprema degli Stati Uniti si pronunciò in un
processo, Wisconsin contro Yoder, circa il diritto dei genitori
di ritirare i loro figli da scuola per motivi religiosi. Gli Ami-
sh vivono in comunità circoscritte in varie parti degli Stati
Uniti, parlando per lo più un dialetto arcaico del tedesco chia-
mato olandese della Pennsylvania ed astenendosi, in modo
più o meno rigido, dall'usare elettricità, motori a combustione
interna, pulsanti e altre manifestazioni della vita moderna.
C'è, in effetti, qualcosa di affascinante in un'isola in cui si vive
come nel 700, è una specie di spettacolo per occhi moderni.
Non vale la pena di preservarlo, per salvaguardare la ricchez-
za della diversità umana? E l'unico modo di preservarlo è per-
mettere agli Amish di educare i loro bambini a modo loro, e
proteggerli dall'influenza corruttrice della modernità. Ma, si-
curamente vogliamo chiedere, non dovrebbero i bambini
stessi avere qualche voce in capitolo sulla questione?
Alla corte suprema fu chiesto di pronunciarsi nel 1972,
quando alcuni genitori Amish del Wisconsin sottrassero i
bambini dal liceo. L'idea stessa di istruzione oltre una certa
età era contraria ai valori religiosi degli Amish, specialmente
l'educazione scientifica. Lo stato del Wisconsin portò i geni-
tori sotto processo, affermando che stavano privando i bambi-
ni del loro diritto ad un'educazione. Dopo essere passato per
tutte le corti, il caso alla fine raggiunse la corte suprema degli
Stati Uniti, che produsse un pronunciamento diviso (6:1) in fa-
vore dei genitori. L'opinione di maggioranza, scritta dal Chief
Justice Warren Burger, includeva quanto segue: "come mostra
la registrazione [record], obbligare i bambini Amish a frequen-
115
tare la scuola fino a 16 anni è una reale minaccia verso la co-
munità Amish e la pratica religiosa che esiste oggi; essi sono
costretti a scegliere tra abbandonare le proprie credenze ed es-
sere assimilati nella società più estesa, oppure convertirsi a
qualche forma di religione più tollerante."
L'opinione di minoranza del Justice William O. Douglas era
che si sarebbero dovuti consultare i bambini stessi. Voleva-
no veramente interrompere la propria istruzione? Volevano
veramente restare nella religione Amish? Nicholas Humphrey
si sarebbe spinto persino più oltre. Anche se avessimo inter-
pellato i bambini stessi ed essi avessero scelto di restare nel-
la religione Amish, possiamo supporre che avrebbero fatto
lo stesso se fossero stati bene istruiti ed informati sulle alter-
native disponibili? Perché questa ipotesi sia plausibile, non
dovrebbe esserci qualche esempio nel mondo esterno di ra-
gazzini che volontariamente si associno alla religione Ami-
sh? Il Justice Douglas andò oltre in una direzione leggermente
diversa. Egli non vide ragione particolare di conferire al punto
di vista religioso dei genitori uno status speciale nel decidere in
che misura essi debbano poter privare i figli di un'istruzione.
Se la religione è un valido motivo di esenzione, non potrebbe-
ro esserci anche delle credenze laiche che si qualificano come
tali?
La maggior parte della corte suprema ha tracciato un paral-
lelo con alcuni dei valori positivi degli ordini monastici, i qua-
li arricchiscono (secondo la corte) la società stessa. Ma, come
osserva Humphrey, c'è una differenza cruciale. I monaci si
offrono volontari per la vita monastica, di loro proprio libero
arbitrio. I bambini Amish non si sono mai offerti volontari
per diventare Amish; sono nati tali, e non hanno avuto scel-
ta.
C'è qualcosa di orribilmente degradante e disumano nel-
l'atto di sacrificare qualcuno, specialmente i bambini, in
nome della "diversità", per preservare la varietà delle tradi-
zioni religiose. Noialtri ci godiamo le nostre automobili e i
computer, i nostri vaccini e gli antibiotici. Ma voi, esserini pri-
mitivi con i vostri strani cappellini e i pantaloni al ginocchio,
116
le vostre carrozze, il vostro dialetto arcaico e le vostre latrine
all'aperto, voi arricchite le nostre vite. Naturalmente vi deve
essere permesso intrappolare i vostri figli insieme a voi nel
vostro mondo parallelo del diciassettesimo secolo, altrimenti
noi perderemmo qualcosa di irrecuperabile: una parte della
meravigliosa diversità della cultura umana. Una piccola parte
di me riesce persino a trovare un minimo di senso in tutto
questo. Ma la parte più grande di me ne è davvero nauseata.
126
venendo usato da Denise per salvare gli altri. Ned, invece, sta
realmente usando l'uomo grasso per fermare il carrello, e la
maggior parte delle persone (forse senza rendersene conto),
insieme a Kant (che se ne rende conto) vedono questa come
una differenza cruciale.
La differenza è di nuovo evidenziata dal dilemma di Oscar.
La situazione di Oscar è identica a quella di Ned, tranne che
c'è un grande peso di ferro sul loop laterale del binario, abba-
stanza pesante da fermare il carrello. Chiaramente Oscar non
dovrebbe avere problemi nel decidere di azionare il cambio e
deviare il carrello. Ma si dà il caso che ci sia un autostoppista
che cammina davanti al peso di ferro. Sarà certamente ucciso
se Oscar aziona il cambio, tanto quanto l'uomo grasso di Ned.
La differenza è che l'autostoppista di Oscar non sta venendo
usato per fermare il carrello: egli è danno collaterale, come nel
dilemma di Denise. Come Hauser, e come la maggior parte
delle persone che si sono sottoposte al test di Hauser, io sento
dentro di me che è lecito per Oscar azionare l'interruttore, ma
per Ned no. Ma anche io trovo molto difficile giustificare que-
sta mia intuizione. Il punto di Hauser è che spesso non riflet-
tiamo su queste intuizioni morali ma comunque le sentiamo
fortemente dentro di noi, a causa della nostra eredità evoluti-
va.
Avventurandosi in modo affascinante nell'antropologia,
Hauser e i suoi colleghi adattarono i loro esperimenti morali
per i Kuna, una piccola tribù dell'America centrale con po-
chissimi contatti con gli occidentali e senza alcuna religione
formale. I ricercatori modificarono l'esperimento del carrello
con appropriati equivalenti locali, come dei coccodrilli che
nuotavano verso le canoe. Con trascurabili differenze dovute a
questa traduzione, i Kuna mostrano gli stessi giudizi morali
del resto di noi.
Cosa di particolare interesse per questo libro, Hauser si è
anche chiesto se le persone religiose differiscano dagli atei
nelle loro intuizioni morali. Naturalmente, se la nostra mora-
le deriva dalla religione, dovrebbero essere differenti. Ma sem-
bra che non sia così. Hauser, lavorando con il filosofo della
127
morale Peter Singer, si concentrò su tre dilemmi ipotetici e
confrontò i verdetti degli atei con quelli dei religiosi. In ogni
caso, ai soggetti si domandava di scegliere se un'azione ipote-
tica sia moralmente "obbligatoria", "lecita" o "vietata". I tre di-
lemmi erano:
1. Il dilemma di Denise. Il 90% delle persone rispose
che è lecito deviare il carrello, uccidendo l'uno per
salvare i cinque.
2. Vedi un bambino che affonda in uno stagno e non
c'è alcun altro aiuto in vista. Puoi salvare il bambino,
ma i tuoi pantaloni andranno distrutti nel far ciò. Il
97% delle persone è d'accordo che si debba salvare il
bambino (sorprendentemente, il 3% apparentemente
preferisce salvare i pantaloni).
3. Il dilemma descritto prima sul trapianto degli orga-
ni. Il 97% dei soggetti conclude che è moralmente
vietato requisire la persona in salute che si trova in
sala d'attesa ed ucciderla per avere i suoi organi, sal-
vando in tal modo altre cinque persone.
La conclusione principale dello studio di Hauser e Singer fu
che non c'è alcuna differenza statisticamente significativa tra
gli atei e i credenti religiosi nel dare questi giudizi. Questo
sembra compatibile con la visione, che io e molti altri abbia-
mo, che non abbiamo bisogno di Dio per essere buoni ― o cat-
tivi.9
9 Per chi volesse approfondire questi temi (innatismo dei nostri principi
morali), consiglio i saggi:
• Il gene egoista, Richard Dawkins
• The moral animal: why we are the way we are, Robert Wright
• The origins of virtue: Human Instincts and the Evolution of
Cooperation, Matt Ridley
• Why good is good, Robert Hinde
• The science of good and evil, Michael Shermer
• Can we be good without god? , Robert Buckman
• Moral minds, Marc Hauser
• Come funziona la mente, Steven Pinker
128
UCCIDERE UNA “PERSONA POTENZIALE”
(da “L'Illusione di Dio”, Richard Dawkins)
130
un bambino potenziale (e, tra parentesi, ci sono moltissimi
propagandisti 'pro-life' che negherebbero la possibilità di
abortire anche alle donne che sono state brutalmente
stuprate). L'argomento di Beethoven, come possiamo facil-
mente vedere, è pessima logica. La sua idiozia surreale è ben
raffigurata dalla splendida canzone "ogni sperma è sacro" di
Michael Palin [...]. La Grande Fallacia di Beethoven è un tipico
esempio del disastro logico in cui ci impantaniamo quando la
nostra mente è annebbiata dall'assolutismo ispirato dalla reli-
gione.
Notate che 'pro-life' non significa affatto 'dalla parte della
vita'. Significa 'dalla parte della vita umana'. La decisione di
garantire un diritto speciale ed unico alla specie Homo Sapiens
è difficile da riconciliare con il fatto dell'evoluzione. Di certo,
questo non preoccupa quei tanti anti-abortisti che non capi-
scono neppure che l'evoluzione è un fatto! [...]
L'umanità delle cellule di un embrione non può conferire a
queste cellule uno status morale assolutamente discontinuo.
Non può, a causa della nostra continuità evolutiva con gli
scimpanzè e, più oltre, con ogni specie del nostro pianeta. Per
rendervi conto di ciò, immaginate che una specie intermedia,
diciamo l'australopithecus afarensis, fosse riuscita a sopravvive-
re e fosse scoperta in una parte remota dell'Africa. Questa
creatura conterebbe come 'umana' o no? Per un consequenzia-
lista come me, questa domanda non merita risposta, perché
una risposta positiva o negativa non avrebbe comunque con-
seguenze. Mi basta il fatto che noi saremmo affascinati ed ono-
rati di incontrare una nuova 'Lucy' [Lucy è il soprannome con
cui i biologi chiamano il più recente antenato di tutti gli uomi-
ni viventi. Non sappiamo quando sia vissuto ma sappiamo
che è esistito]. Invece l'assolutista deve rispondere a questa
domanda, per poter applicare il principio morale di garantire
agli umani uno status speciale ed unico perché sono umani. [...]
dovrebbero presumibilmente predisporre delle Corti di Giu-
stizia, come quelle per l'apartheid in Sud Africa, per decidere
se ciascun individuo particolare dovrebbe essere considerato
'umano'.
131
Anche se potremmo cercare di rispondere affermativamente
alla domanda per quanto riguarda l'Australopthecus, la conti-
nuità graduale che è una caratteristica ineludibile dell'evolu-
zione biologica ci dice che ci deve essere qualche individuo in-
termedio che sarebbe abbastanza vicino alla 'linea di confine'
da impedirci di rispondere alla domanda, e quindi impedirci
di applicare il principio morale distruggendone l'assolutezza.
Un modo migliore di dire tutto ciò è che nell'evoluzione non ci
sono linee di demarcazione naturali. L'illusione di una linea
di demarcazione nasce dal fatto che gli individui intermedi
nell'evoluzione si sono estinti.
Naturalmente si potrebbe sostenere che gli umani, rispetto
alle altre specie, sono più capaci, ad esempio, di soffire. Que-
sto potrebbe benissimo essere vero, e potremmo legittima-
mente dare agli esseri umani uno status speciale per questo
motivo. Ma la continuità evolutiva mostra che non esiste una
distinzione assoluta. La discriminazione morale dell'assolutista
è minata in modo devastante dall'evidenza dell'evoluzione.
Una sconfortante consapevolezza di questo fatto potrebbe, in
realtà, essere una delle cause per cui i creazionisti si oppongo-
no all'evoluzione: temono quella che credono essere la sua
conseguenza morale. Si sbagliano nel credere ciò ma, in ogni
caso, se ci pensate, è strano che una verità del mondo reale
possa essere negata a causa di considerazioni su cosa sarebbe
desiderabile moralmente.
135
• Belgio 1946
• Svizzera 1971
• Kuwait 2006
Il modo in cui queste date sono disposte in tutto il ventesimo
secolo è segno dello Zeitgeist che avanza. Un altro segno è il
nostro atteggiamento verso la razza. Nella prima parte del
ventesimo secolo, quasi tutti gli abitanti della Gran Bretagna
(e anche di molti altri paesi) sarebbero giudicati razzisti se-
condo gli standard odierni. La maggioranza delle persone
bianche credeva che le persone nere (nella cui categoria avreb-
bero messo tanto gli africani, molto diversi tra loro, che gruppi
scorrelati dall'India, Australia e Melanesia) fossero inferiori
alle persone bianche in quasi ogni campo eccetto il senso del
ritmo. L'equivalente del 1920 di James Bond era il piacevole e
sofisticato eroe dell'adolescenza, Bulldog Drummond. in un
romanzo, The Black Gang, Drummond si riferisce agli "ebrei,
stranieri, e altre persone che non si lavano". Nella scena cul-
mine di "the female of the species", Drummond si traveste in-
gegnosamente da Pedro, il servitore negro del super cattivo di
turno. Per rivelare in modo drammatico, al lettore così come al
cattivo, che "Pedro" altri non era che lo stesso Drummond,
avrebbe potuto dire "tu pensi che io sia Pedro. Non capisci
niente, sono il tuo ultra-rivale Drummond, dipinto di nero". .
Invece scelse queste parole: "non tutte le barbe sono false, ma
tutti i negri puzzano. Questa barba non è falsa, caro mio, e
questo negro non puzza. Così, mi viene in mente che c'è qual-
cosa che non va". L'ho letto negli anni 50, trent'anni dopo che
fu scritto, ed era ancora possibile (a malapena) per un ragaz-
zo emozionarsi per il racconto e allo stesso tempo non notare
il razzismo. Oggi, sarebbe inconcepibile. Thomas Henry Hu-
xley, per gli standard del suo tempo, era un progressista libe-
rale e illuminato. Ma i suoi tempi non erano i nostri, e nel 1871
egli scrisse ciò che segue:
Nessun uomo razionale, che riesca a comprendere i fatti,
crede che il negro medio sia uguale, o ancor meno supe-
riore, all'uomo bianco. E per questo motivo è semplice-
136
mente impensabile che, quando tutte le sue disabilità
vengano rimosse, e il nostro prognato simile si trovi in
una situazione equa senza essere avvantaggiato né op-
presso, egli riesca a competere con successo con il suo ri-
vale con il cervello più grande e la mascella più piccola,
in una competizione che riguardi il pensiero e non i
morsi. I posti più alti nella gerarchia della civiltà non
sono certamente alla portata dei nostri cugini di colore.
È norma comune che un bravo storico non giudichi le affer-
mazioni dei tempi passati secondo gli standard del proprio
tempo. Abramo Lincoln, come Huxley, era in anticipo rispet-
to al suo tempo, eppure i suoi punti di vista su questioni di
razza suonano tremendamente razziste nel nostro tempo. Ec-
colo qui in un dibattito del 1858 con Stephen A. Douglas:
Dirò che io non sono, e non sono mai stato, in favore di
sostenere in qualunque modo l'uguaglianza politica e
sociale tra la razza bianca e quella nera; che non sono, e
non sono mai stato, in favore di permettere ai negri di
votare o di essere membri di una giuria, né di candidarsi
a cariche pubbliche, né di sposarsi con i bianchi; e dirò
che, in aggiunta a ciò, tra la razza bianca e quella nera
c'è una differenza fisica che credo impedirà per sempre
alle due razze di vivere insieme in termini di uguaglian-
za politica e sociale. E visto che non possono vivere in
uguaglianza, finché rimangono insieme, uno deve essere
in posizione di superiore e l'altro in posizione di inferio-
re, ed io, come qualunque altra persona, sono in favore
di assegnare la posizione superiore alla razza bianca.
Se Huxley e Lincoln fossero nati e fossero stati educati nel
nostro tempo, sarebbero stati i primi a rabbrividire insieme a
tutti noi del loro stesso sentimento vittoriano e del tono un-
tuoso. Io li cito solo per illustrare come si muova lo Zeitgeist.
Se persino Huxley, una delle grandi menti liberali della sua
epoca, e persino Lincoln, che liberò gli schiavi, hanno potuto
dire queste cose, immaginate che cosa dovevano pensare le
normali persone dell'epoca vittoriana. Andando indietro fino
137
al diciottesimo secolo è ben noto, naturalmente, che Washing-
ton, Jefferson e altri uomini dell'Illuminismo avevano degli
schiavi. Lo Zeitgeist avanza, così inesorabilmente che spesso
lo diamo per scontato e dimentichiamo che il cambiamento è
un fenomeno reale di per sé.
Ci sono molti altri esempi. Quando i naviganti approdarono
per la prima volta alle Mauritius e videro la gentile razza dei
"dodo", non venne loro in mente niente di diverso che ucci-
derli tutti con delle mazze. Non volevano neppure mangiarli
(erano descritti come immangiabili). Presumibilmente, l'atto di
colpire uccelli miti, indifesi, incapace di volare, in testa con
una clava era semplicemente una cosa come un'altra da fare.
Oggigiorno un tale comportamento sarebbe impensabile, e
l'estinzione di una razza come il dodo, anche se avvenisse per
caso (lasciamo perdere per un uccisione deliberata degli uomi-
ni), viene considerata una tragedia.
Una tragedia simile, per gli standard culturali odierni, è sta-
ta la più recente estinzione del "Thylacinus", il lupo della Ta-
smania [un animale incredibilmente somigliante al lupo, ma
marsupiale]. Queste creature oggi terribilmente rimpiante
avevano una taglia sulla loro testa addirittura fino al 1909. Nei
romanzi vittoriani dell'Africa, " l'elefante", " il leone" e " l'anti-
lope" (notare l'uso del nome al singolare, particolare rivelato-
re) sono considerati "gioco", e quello che si fa ad un gioco, sen-
za pensarci due volte, è sparargli. Non per avere cibo. Non per
autodifesa. Per "sport". Ma adesso lo Zeigeist è cambiato. È
vero, ci possono essere ancora dei ricchi, sedentari uomini
"sportivi" che sparano ad animali selvaggi dell'Africa dalla si-
curezza della loro Land-Rover, e riportano a casa le teste im-
pagliate. Ma devono pagare fior di quattrini per farlo, e sono
largamente disprezzati per questo. La conservazione della
vita selvaggia e dell'ambiente sono diventati dei valori co-
munemente accettati, con lo stesso status morale che una vol-
ta era accordato al rispetto del sabato e al divieto di produrre
raffigurazioni [graven images].
Gli anni 60 sono leggendari per la loro modernità liberale.
Ma all'inizio di quella decade un'avvocato dell'accusa, nel pro-
138
cesso per oscenità di "l'amante di Lady Chatterley", poteva an-
cora chiedere alla giuria: "Approvereste che i vostri giovani fi-
gli, e le giovani figlie ― perché le ragazze sono capaci di leg-
gere tanto quanto i ragazzi... " (riuscite a credere che abbia det-
to questo ?) "... leggessero questo libro? E' forse un libro che vi
piacerebbe lasciare in giro per casa vostra? E' un libro che de-
siderereste far vedere finanche alle vostre mogli o ai vostri ser-
vitori?". Quest'ultima domanda retorica è un'illustrazione par-
ticolarmente scioccante della velocità con cui avanza lo Zeit-
geist.
L'invasione americana dell'Iraq è largamente condannata
per le sue perdite civili, eppure l'entità di queste perdite è in-
feriore per molti ordini di grandezza alle perdite della secon-
da guerra mondiale. Sembra che lo standard di ciò che è accet-
tabile si sposti costantemente. Donald Rumsfeld, che oggi
suona a noi così odioso e spietato, sarebbe sembrato un libera-
le dal cuore sanguinante se avesse detto le stesse cose durante
la seconda guerra mondiale. Qualcosa si è spostato nelle deca-
di intermedie. Si è spostato in tutti noi, e lo spostamento non
ha alcuna connessione con la religione. Semmai, esso avviene
nonostante la religione, non a causa di essa.
Lo spostamento avviene in una direzione riconoscibile e
consistente, che molti di noi considererebbero un migliora-
mento. Persino Adolf Hitler, largamente considerato come
colui che ha portato il male verso vette inesplorate, non si
sarebbe distinto affatto ai tempi di Caligola o di Gengis
Khan. Senza dubbio Hitler ha ucciso più persone di Gengis
Khan, ma aveva a sua disposizione la tecnologia del ventesi-
mo secolo. E Hitler traeva forse il più grande piacere, come face-
va Gengis Khan, dalla vista dei "parenti più stretti delle sue
vittime che versavano fiumi di lacrime"? Giudichiamo il grado
di malvagità di Hitler secondo gli standard di oggi, e lo Zeit-
geist morale è avanzato dai tempi di Caligola, proprio come la
tecnologia. Hitler sembra particolarmente malvagio solo negli
standard benigni del nostro tempo.
Nell'arco della mia vita, molte persone sbandieravano senza
preoccuparsi soprannomi denigratori e stereotipi nazionali:
139
Frog, Wop, Dago, Hun, Yid, Coon, Nip, Wog. Non affermerò
che queste parole siano scomparse, ma ora sono largamente
disprezzate nei circoli educati. La parola "negro", anche quan-
do non è intesa come un insulto, si può usare per datare un
brano di prosa inglese. I pregiudizi rivelano la data di un bra-
no scritto. Al suo tempo, un rispettato teologo di Cambridge,
A. C. Bouquet, poté cominciare il capitolo sull'Islam del suo li-
bro "comparative religion" con queste parole: "il semita non è
un monoteista naturale, come si pensava circa nella metà del
diciannovesimo secolo. È un animista". L'ossessione verso la
razza (contrapposta alla cultura) e l'uso rivelatore del singola-
re (il semita... è un animista) per ridurre un'intera pluralità di
persone ad un "tipo" non sono considerati odiosi in alcuno
standard. Ma sono un altro piccolo indicatore dello Zeigeist
che si muove. Nessun professore di Cambridge, di teologia o
di alcuna altra materia, oggi userebbe queste parole. Questi
sottili indizi dei mores che cambiano ci dicono che Bouquet
stava scrivendo non più tardi della metà del ventesimo secolo.
Era infatti il 1941.
Andiamo ancora indietro di altre quattro decadi, e gli stan-
dard che cambiano sono impossibili da non notare. In un libro
precedente ho citato l'utopistico "New Republic" di H. G.
Wells, e lo farò di nuovo adesso perché è un'illustrazione
scioccante della mia tesi.
Questa Nuova Repubblica, come dovrebbe trattare le
razze inferiori? Come si comporterà con i neri? ... i
gialli? ... gli ebrei? ... Con tutta l'accozzaglia di gente di
colore nero, marrone, bianco sporco e giallo, che non
soddisfa i nuovi bisogni di efficienza? Beh, il mondo è
un mondo, non un'istituzione caritatevole, e presumo
che dovranno essere eliminati... Ed il sistema etico di
questi uomini della nuova Repubblica, il sistema etico
che dominerà lo stato del mondo, sarà modellato prin-
cipalmente in favore della procreazione di ciò che è
corretto, efficiente e bello nell'umanità ― corpi belli e
forti, menti chiare e capaci... e il metodo che la natura
ha seguito fino adesso nel plasmare il mondo, il meto-
140
do col quale alla debolezza fu impedito di propagare
la debolezza... è la morte... Gli uomini della nuova Re-
pubblica... avranno un ideale che renderà l'uccisione
degna di essere compiuta.
Questo fu scritto nel 1902, e Wells era considerato un pro-
gressista nel suo tempo. Nel 1902 tali sentimenti, sebbene
non largamente condivisi, sarebbero stati assolutamente
appropriati per una conversazione a tavola in un party sera-
le. I lettori moderni, invece, letteralmente sussultano d'orrore
quando vedono queste parole. Siamo costretti a renderci con-
to che Hitler, abominevole come era, non era affatto così
fuori dallo Zeitgeist del suo tempo quanto sembra a noi oggi,
dal nostro punto di vantaggio. Come si muove rapidamente lo
Zeitgeist ― e si muove in parallelo, in un fronte largo, in tutto
il mondo istruito.
Allora, da dove sono venuti questi cambiamenti stabili e
costanti nella coscienza della società? L'onere della risposta
non spetta a me. Per i miei scopi è sufficiente che certamente
essi non derivano dalla religione. Se proprio dovessi avanza-
re una teoria, mi muoverei sulle linee seguenti. Dobbiamo
spiegare perché il cambiamento dello Zeitgeist morale è sin-
cronizzato così largamente tra grandi numeri di persone; e
dobbiamo spiegare la sua direzione relativamente consisten-
te.
Primo, come si sincronizza attraverso così tante persone? Si
diffonde da una mente all'altra attraverso le conversazioni
nei bar e nei party serali, attraverso i libri e le recensioni dei li-
bri, attraverso i giornali e le trasmissioni in broadcast, e oggi-
giorno attraverso Internet. I cambiamenti nel clima morale
vengono segnalati negli editoriali, negli show radiofonici, nei
discorsi politici, nei discorsi dei cabarettisti e nei copioni delle
soap-opera, nei voti del Parlamento nel fare le leggi e nelle de-
cisioni dei giudici nell'interpretarle. Un modo di porre la que-
stione sarebbe in termini di "frequenze memetiche mobili nel
pool dei memi", ma non mi addentrerò in questo discorso.
[Per la teoria della "memetica" vedere il libro di Dawkins "Il
141
gene egoista"].
Alcuni di noi rimangono indietro rispetto all'onda avanzante
dello Zeitgeist morale, e altri di noi sono leggermente in anti-
cipo. Ma la maggior parte di noi nel ventunesimo secolo sono
molto vicini l'uno con l'altro, e siamo tutti molto avanti ri-
spetto ai nostri predecessori del medioevo, o del tempo di
Abramo, o persino degli anni 20. Tutta l'onda continua a
muoversi, e persino quelli che sono all'avanguardia in un cer-
to secolo (Huxley è l'esempio ovvio) si troverebbero molto in-
dietro rispetto agli ultimi del secolo successivo. Naturalmente,
l'avanzamento non segue una dolce inclinazione, ma una
curva scoscesa e a forma di dentatura. Ci sono dei passi indie-
tro locali e temporanei, come quello che gli Stati Uniti stanno
soffrendo dal governo agli inizi del 2000. Ma su una scala tem-
porale più lunga, la tendenza progressiva è indiscutibile e
continuerà.
Cosa spinge lo Zeitgeist nella sua direzione consistente?
Non dobbiamo trascurare i ruoli fondamentali dei leader in-
dividuali che, in anticipo rispetto al loro tempo, persuadono il
resto di noi a muoverci con loro. In America, gli ideali di
uguaglianza razziale furono spinti da leader politici del cali-
bro di Martin Luther King, e di uomini di spettacolo, sportivi
e altri personaggi pubblici e "modelli di vita" come Paul Robe-
son, Sidney Poitier, Jesse Owens e Jackie Robertson. L'emanci-
pazione degli schiavi e delle donne deve molto a leader cari-
smatici. Alcuni di questi leader erano religiosi, altri non lo era-
no. In altri casi la loro religione era un fatto accidentale. Sebbe-
ne Martin Luther King fosse cristiano, egli derivò la sua filoso-
fia e la sua disobbedienza civile non-violenta direttamente da
Gandhi, che non lo era.
Poi c'è la migliore istruzione e, in particolare, la compren-
sione sempre maggiore che ognuno di noi condivide un "fat-
tore di umanità" con membri di altre razze e dell'altro sesso
― due idee profondamente anti-bibliche, che derivano dalla
scienza biologica, specialmente dall'evoluzione. Una delle ra-
gioni per cui le persone di colore, le donne e (nella germania
nazista) gli ebrei e gli zingari sono stati trattati male è che non
142
erano percepiti come pienamente umani. Il filosofo Peter
Singer, in "Animal Liberation", è il più eloquente sostenito-
re dell'idea che dovremmo passare ad una condizione di
post-specismo, in cui il trattamento riservato agli uomini è
esteso a tutte le specie animali che hanno la capacità cerebra-
le di apprezzarlo. Forse è questa la direzione in cui lo Zeitgei-
st morale si sposterà nei secoli futuri. Sarebbe una naturale
estrapolazione di riforme precedenti come l'abolizione della
schiavitù e l'emancipazione delle donne. Non ho la pretesa
di spiegare ― ciò andrebbe oltre la mia conoscenza amatoriale
di psicologia e sociologia ― perché lo Zeitgeist morale si muo-
va nel suo modo largamente concorde. Per i miei scopi è suffi-
ciente notare che, come dato di fatto osservato, esso si muove,
e non è guidato dalla religione ― e certamente non dalle Scrit-
ture. Probabilmente non è una singola forza come la gravità,
ma una complessa interazione di forze disparate come quella
che spinge la legge di Moore, legge che descrive l'incremento
esponenziale nella potenza dei computer. Qualunque sia la
causa, il fenomeno manifesto del progresso dello Zeitgeist è
più che sufficiente a minare l'affermazione che abbiamo bi-
sogno di Dio per essere buoni, o per decidere cosa è buono.
147
mi ricorda più il personaggio di Winston Smith nel romanzo
"1984" ― si sforza disperatamente di credere che due più due
faccia cinque, se il Grande Fratello dice che è così. Winston,
però, era sotto tortura. Il doppio-pensiero di Wise non deriva
dall'imperativo di una tortura fisica, ma dall'imperativo ―
ugualmente non rifiutabile per alcune persone, a quanto sem-
bra ― della fede religiosa: una forma di tortura mentale. Io
sono ostile alla religione per quello che ha fatto a Kurt Wise.
E se lo ha fatto ad un geologo educato ad Harvard, pensate
solo che cosa può fare ad altre persone meno dotate e meno
equipaggiate.
La religione fondamentalista è uno strumento micidiale per
distruggere l'educazione scientifica di innumerevoli migliaia
di menti innocenti, ben disposte, volenterose. Forse la religio-
ne non fondamentalista, "assennata", non fa la stessa cosa.
Ma sta rendendo il mondo un posto sicuro per il fondamen-
talismo, poiché insegna ai bambini, sin dall'infanzia, che
non mettere in discussione la fede sia una virtù.
I MIRACOLI
L'ATTEGGIAMENTO RELIGIOSO
148
rituali in India testimoniano quotidianamente di aver visto
miracoli effettuati dai loro guru. Questi miracoli non sono
meno eclatanti e appariscenti di quelli attribuiti a Gesù. Ho
incontrato letteralmente centinaia di persone occidentali ben
istruite che sono convinte che il loro guru preferito abbia pote-
ri magici. Ma, per quanto ne so, tutte queste storie sono dif-
fuse da persone che vogliono disperatamente credere in
esse; tutte (nella mia conoscenza) sono prive di quel genere
di evidenza corroborante che dovremmo richiedere per cre-
dere davvero che le leggi di natura siano state abrogate; e la
maggior parte delle persone che raccontano questi eventi
mostrano una totale refrattarietà a cercare spiegazioni non
miracolose.
In ogni caso, le storie di mistici (e ciarlatani) che cammina-
no sull'acqua, che resuscitano i morti, che volano senza l'aiu-
to della tecnologia, che materializzano gli oggetti, che leggo-
no il pensiero, che predicono il futuro, eccetera, vengono
raccontate anche oggi. E sono molto comuni.
Prendete ad esempio Sathya Sai Baba: tutti questi miracoli
vengono attribuiti a Sai Baba da letteralmente migliaia e mi-
gliaia di testimoni oculari ancora in vita. Ed egli afferma an-
che di essere nato da una vergine, che tra parentesi non è
un'affermazione rara nella storia: Gengis Khan era nato da
una vergine, Alessandro magno era nato da una vergine.
Egli ha letteralmente milioni di seguaci, molti dei quali
sono occidentali istruiti. Questi milioni di persone credono
che Sai Baba sia un Dio vivente. [Allora, perché non perdia-
mo il sonno chiedendoci se dovremmo convertirci al "SaiBaba-
nesimo"?].
Puoi assistere ad alcuni dei suoi "miracoli" su Youtube, ef-
fettuati di fronte a credule orde di persone affamate di spiri-
tualità. Tieniti pronto ad essere deluso. Eppure, tu suggerisci
che alcune storie di eventi simili, provenienti dal panorama
religioso prescientifico dell'impero romano del primo secolo
(decenni dopo il loro presunto verificarsi), siano degne di
qualche credibilità speciale.
149
La verità è che i miracoli di Sai Baba non meritano nean-
che un'ora su Discovery Channel. Ma metti questi miracoli
in un testo antico, e la metà delle persone su questo pianeta
lo considerano un progetto legittimo intorno a cui organiz-
zare la propria vita.
150
ambigui, e tengono la propria ragione in catene mentre la "vo-
lontà di credere" trionfa in una competizione non equilibrata.
Agli atei come me si chiede in genere di contemplare "miraco-
li" come i seguenti: un tipo era un grande bevitore (come il no-
stro Presidente), pregò Gesù, e adesso vive una vita di prodi-
giosa sobrietà. Viene lasciato allo scettico professionista il
compito di chiedersi come una persona intelligente possa cre-
dere che il semplice disintossicamento dall'alcolismo confermi
la dottrina del cristianesimo. Anche gli Induisti si disintossica-
no, e perfino gli atei. Questi fatti da soli invalidano qualunque
interpretazione religiosa dei dati.
La testimonianza sulla base di esperienze "spirituali" tende
ad essere ugualmente ambigua. Ecco qualcosa che ho scritto di
recente per il blog "On Faith" del Newsweek/Washington
Post. Lo riporto qui, perché penso che risponda alla tua do-
manda su cosa conta come evidenza per una specifica idea re-
ligiosa:
Recentemente ho passato un pomeriggio sulla spiaggia
nordovest del Mare di Galilea, in cima al monte dove
si ritiene che Gesù abbia predicato la maggior parte del
suo più famoso sermone. Era un giorno caldo in modo
infernale, ed il santuario era gremito di pellegrini cristia-
ni provenienti da vari continenti. Alcuni si raccoglieva-
no silenziosamente nelle zone d'ombra, mentre altri af-
frontavano il sole di mezzogiorno, scattando foto.
Mentre sedevo e osservavo le colline circostanti che de-
clinavano dolcemente dentro un mare interno, fui per-
vaso da un senso di pace. Crebbe molto presto, diven-
tando un senso di mistica immobilità che silenziò i
miei pensieri. In un instante, la sensazione di essere
un'entità separata e indipendente (un "Io") svanì. Tutto
era come prima ― il cielo senza nuvole, i pellegrini at-
taccati alla loro bottiglia d'acqua ― ma io non mi sentivo
più un'entità separata dallo sfondo, che guardava da
dietro gli occhi verso il mondo esterno. Restava soltanto
il mondo.
151
L'esperienza durò solo pochi istanti, ma tornò molte vol-
te, mentre guardavo la terra dove si ritiene che Gesù ab-
bia camminato, abbia raccolto gli apostoli, ed abbia com-
piuto molti dei suoi miracoli. Se fossi cristiano, senza
dubbio interpreterei questa esperienza in termini cri-
stiani. Potrei credere di aver visto un barlume dell'unici-
tà di Dio, o di aver percepito la discesa dello Spirito San-
to. Se fossi un induista, potrei parlare di "Brahman", l'Io
eterno, da cui tutte le menti individuali si ritengono es-
sere derivate. Ma non sono un induista. Se fossi buddi-
sta, potrei parlare del "dharmakaya del vuoto" in cui tut-
te le cose evidenti si manifestano. Ma non sono buddi-
sta.
Come persona che sta semplicemente facendo del suo me-
glio per essere razionale, sono molto restio a trarre conclusioni
metafisiche da esperienze di questo tipo. La verità è che speri-
mento molto spesso ciò che potrei chiamare "l'annullamento
dell'Io della coscienza", non importa dove mi trovo a medita-
re ― se mi trovo in un monastero buddista, un tempio Hin-
du, o al bagno mentre mi lavo i denti. Di conseguenza, il fat-
to che io abbia avuto questa esperienza anche in un luogo
sacro della cristianità non aumenta minimamente la credibi-
lità della dottrina cristiana.
152
wn di Oxford. Il caso volle che due di loro fossero esperti orni-
tologi, e si misero subito a ridere. "Manx shearwater!" , grida-
rono in coro divertiti. [E' il nome di una specie di uccelli.] Uno
di essi aggiunse che le grida e le strida diaboliche di questa
specie le hanno fatto guadagnare, in varie parti del mondo e
in varie lingue, il soprannome locale di "uccello diavolo".
Molte persone credono in Dio perché credono di aver avuto
una visione di lui ― o di un angelo o di una vergine in blu ―
con i loro stessi occhi. Oppure Dio parla loro da dentro la loro
testa. Questo argomento dell'esperienza personale è uno dei
più convincenti per coloro che affermano di averne avuto una.
Ma è il meno convincente per tutti gli altri, e per chiunque ab-
bia un po' di conoscenza della psicologia.
Dici di aver sperimentato Dio direttamente? Beh, alcune
persone hanno sperimentato un elefante rosa, ma probabil-
mente questo non ti impressiona più di tanto. Peter Sutcliffe,
lo squartatore dello Yorkshire, ha sentito distintamente la voce
di Gesù che gli diceva di uccidere delle donne, ed andò in car-
cere per tutta la vita. George W. Bush dice che Dio gli ha detto
di invadere l'Iraq (peccato che Dio non lo abbia degnato della
rivelazione che non c'erano armi di distruzione di massa). Al-
cuni individui nelle case di cura pensano di essere Napoleone
o Charlie Chaplin, o che il mondo intero cospiri contro di loro,
o di poter trasmettere i loro pensieri in broadcast nelle teste
delle altre persone. Noi scherziamo su di loro ma non pren-
diamo sul serio le loro credenze rivelate internamente, soprat-
tutto perché non molte persone condividono tali credenze. Le
esperienze religiose differiscono solo per il fatto che molte
persone affermano di averle. Sam Harris non era cinico quan-
do scrisse, nel libro " la fine della fede":
Esiste un nome per le persone che hanno molte credenze
per cui non c'è giustificazione razionale. Quando le loro
credenze sono estremamente comuni li chiamiamo "reli-
giosi"; altrimenti, probabilmente li chiamiamo "matti",
"psicotici", o vittime di allucinazione... chiaramente c'è
sanità nei numeri. Eppure, è solo un accidente storico
153
che nella nostra società sia considerato normale credere
che il creatore dell'universo possa sentire i tuoi pensieri,
mentre viene considerato indice di malattia mentale cre-
dere che lui stia comunicando con te facendo sbattere la
pioggia in codice morse sulla finestra della tua stanza da
letto. E quindi, sebbene le persone religiose generalmen-
te non siano pazze, le loro credenze centrali lo sono as-
solutamente.
Tornerò nel capitolo 10 all'argomento dell'allucinazione.
Il cervello umano fa girare un software di simulazione raf-
finatissimo. I nostri occhi non presentano al cervello una foto-
grafia fedele di ciò che è là fuori, o un filmato accurato di ciò
che avviene nel tempo. Il nostro cervello costruisce un model-
lo che viene continuamente aggiornato: aggiornato mediante
impulsi codificati che attraversano il nervo ottico, ma in ogni
caso costruito. Le illusioni ottiche testimoniano ciò in modo
chiaro. Una classe di illusioni fondamentale, di cui fa parte ad
esempio il cubo di Necker, nasce perché i dati sensoriali rice-
vuti dal cervello sono compatibili con due modelli alternativi
di realtà. Il cervello, non avendo basi per scegliere tra i due
modelli, alterna continuamente, e noi sperimentiamo una serie
di passaggi rapidi da un modello interno all'altro. Sembra let-
teralmente che la figura che stiamo guardando si ribalti e di-
venti qualcos'altro.
Il software di simulazione nel nostro cervello è particolar-
mente abile a costruire volti e voci. Sul davanzale della fine-
stra ho una maschera di plastica di Einstein. Quando è vista
da davanti, essa sembra un volto solido, il che non è sorpren-
dente. Ciò che è sorprendente è che, anche quando è vista da
dietro (la parte vuota), sembra un volto solido, e la sensazione
che se ne ricava è davvero molto strana. Mentre l'osservatore
si muove, la faccia sembra seguirlo ― e non nel senso debole
in cui ci segue la Monna Lisa. La maschera vuota sembra dav-
vero davvero seguirti. Coloro che non hanno già visto l'illusio-
ne sussultano per lo stupore. Cosa ancora più strana, se la ma-
schera è montata su un tavolo che ruota lentamente, sembra
154
che essa stia girando nella direzione corretta quando stai guar-
dando il lato solido, ma nella direzione opposta quando è visi-
bile il lato vuoto. Il risultato è che, quando guardi la transizio-
ne da un lato all'altro, sembra che il lato che si avvicina stia
"inghiottendo" il lato che si allontana.
[...]
Perché succede questo? Non c'è alcun trucco nella costruzio-
ne della maschera. Qualunque maschera vuota servirà allo
scopo. Il trucco è tutto negli occhi di chi guarda. Il software di
simulazione interno riceve dati che indicano la presenza di un
volto, forse niente di più di un paio di occhi, un naso ed una
bocca approssimativamente al posto giusto. Avendo ricevuto
questi indizi approssimati, il cervello fa il resto. Il software
di simulazione entra in azione e costruisce un completo mo-
dello solido di un volto, sebbene la realtà presentata ai vostri
occhi sia una maschera vuota. L'illusione che stia ruotando nel
senso opposto si verifica perché (è piuttosto difficile, ma se ci
pensate attentamente lo confermerete) la rotazione inversa è
l'unico modo sensato di interpretare i dati ottici quando una
maschera vuota ruota mentre viene percepita come maschera
solida. E' come l'illusione del piatto rotante di un radar che a
volte si può vedere negli aeroporti. Finché il cervello non tro-
va il modello corretto di un piatto di radar, vede un modello
scorretto che ruota nella direzione sbagliata ma in un modo
strano, che dà un senso di nausea.
Dico tutto ciò per dimostrare la formidabile potenza del soft-
ware di simulazione del cervello. È ben capace di costruire 'vi-
sioni' e 'apparizioni' dotate della più assoluta veridicità. Simu-
lare un fantasma o un angelo o una vergine Maria sarebbe un
gioco da ragazzi per un software così sofisticato. E lo stesso
meccanismo vale per l'udito. Quando udiamo un suono, esso
non è trasportato fedelmente lungo il nervo uditivo e rilascia-
to nel cervello come con un Bang e Olufsen ad alta fedeltà.
Come per la visione, il cervello costruisce un modello sonoro,
basato su dati nervosi uditivi che vengono continuamente ag-
giornati. È questo il motivo per cui udiamo uno squillo di
tromba come una nota singola, piuttosto che come la composi-
155
zione di armoniche a toni puri che dà alla tromba il suo timbro
da ottone. Un clarinetto che suona la stessa nota suona 'legno-
so', ed un oboe suona [reedy], a causa dei diversi bilanciamen-
ti di armoniche. Se manipoli attentamente un sintetizzatore
software per introdurre una dopo l'altra le armoniche separa-
te, il cervello per un breve periodo le sente come una combi-
nazione di toni puri, fino a che il software di simulazione non
trova la giusta chiave di lettura, e da quel momento in poi spe-
rimentiamo solo una nota singola pura, di tromba, oboe o ciò
che è. Le vocali e le consonanti del parlato sono costruite nel
cervello nello stesso modo, e lo stesso dicasi, ad un altro livel-
lo, per i fonemi di livello più alto e le parole.
Una volta, da bambino, udii un fantasma: una voce maschi-
le che mormorava, come se stesse recitando una preghiera. Po-
tevo quasi, ma non del tutto, capire le parole, che sembravano
avere un timbro serio e solenne. Mi avevano raccontato storie
di nascondigli segreti di preti, presenti nelle case antiche, e mi
spaventai un po'. Ma uscii dal letto e mi trascinai fino alla fon-
te di quel suono. Man mano che mi avvicinavo, diventava più
forte, e poi improvvisamente cambiò significato dentro la mia
testa. Ora ero abbastanza vicino da capire cosa fosse in realtà.
Il vento, filtrando attraverso il buco della serratura, stava
creando dei suoni che il software di simulazione nel mio cer-
vello aveva utilizzato per costruire il modello di una voce ma-
schile, dotata di un tono solenne. Se fossi stato un bambino
più impressionabile, probabilmente avrei udito non solo paro-
le incomprensibili, ma parole precise e persino delle frasi. E se
fossi stato sia impressionabile sia cresciuto con un'educazione
religiosa, mi chiedo che parole il vento avrebbe potuto pro-
nunciare.
In un'altra occasione, in cui avevo più o meno la stessa età,
vidi una enorme faccia rotonda che guardava, con malignità
indescrivibile, fuori dalla finestra di una casa altrimenti ordi-
naria in un villaggio lungo la costa. In trepidazione, mi avvici-
nai fino ad arrivare così vicino da vedere che cosa fosse realtà:
soltanto una forma vagamente simile ad un volto, creata dalla
posizione casuale delle tende. La faccia stessa, ed il suo signifi-
156
cato maligno, erano state costruite dal mio timoroso cervello
di bambino. L'11 settembre 2001, alcune persone pie credette-
ro di vedere il volto di Satana nel fumo che si alzava dalle tor-
ri gemelle: una superstizione supportata da una fotografia che
fu pubblicata su Internet e circolò largamente.
Costruire modelli è qualcosa che il cervello umano sa fare
molto bene. Quando siamo addormentati si chiama sognare;
quando siamo svegli lo chiamiamo immaginazione o, quando
è eccezionalmente vivida, allucinazione. Come mostrerà il ca-
pitolo 10, i bambini che possiedono "amici immaginari" a volte
li vedono chiaramente, esattamente come se fossero reali. Se
siamo suggestionabili, non riconosciamo l'allucinazione o il
sogno ad occhi aperti per ciò che sono, e sosteniamo di aver
visto o sentito un fantasma; un angelo; o Dio; o ― specialmen-
te se siamo giovani, donne e cattoliche ― la vergine Maria.
Tali visioni e manifestazioni certamente non sono delle buone
basi per credere che siamo davvero in presenza di fantasmi o
angeli o dei o vergini.
Le apparizioni di massa, come la notizia che 70.000 pellegri-
ni a Fatima in Portogallo nel 1917 abbiano visto il sole "strap-
parsi via dal cielo e precipitare verso il basso su di loro", sono
più difficili da liquidare. Non è facile spiegare come 70.000
persone potrebbero condividere la stessa allucinazione. Ma è
ancora più difficile accettare che la cosa sia davvero avvenu-
ta senza che il resto del mondo, all'infuori di Fatima, la no-
tasse ― e non soltanto nel senso di vederla con gli occhi, ma
nel senso di notare la distruzione del sistema solare che ne
conseguirebbe, e che comprenderebbe forze di accelerazione
sufficienti a proiettare chiunque nello spazio. Viene in mente il
test ideato da David Hume per riconoscere i miracoli: "nessu-
na testimonianza è sufficiente per stabilire un miracolo, a
meno che la falsità di tale testimonianza non sia più incredi-
bile e miracolosa del fatto che essa vorrebbe provare".
Può sembrare improbabile che 70.000 persone possano avere
simultaneamente un'allucinazione, o che possano cospirare
tutte assieme per dire una bugia di massa. O che la storia si
sbagli quando racconta che 70.000 persone affermarono di ve-
157
dere il sole danzare. O che essi abbiano simultaneamente visto
un miraggio (erano stati persuasi a guardare verso il sole, che
non può aver fatto bene alla loro vista). Ma ognuna di queste
improbabilità apparenti è molto più probabile dell'alternativa:
che la terra abbia improvvisamente cambiato rotta nella sua
orbita, e che il sistema solare si sia distrutto, senza che nessu-
no fuori da Fatima lo abbia notato. Voglio dire, il Portogallo
non è così isolato.
[Analogamente potremmo chiedere: che cosa è più probabi-
le? Che Gesù abbia davvero camminato sulle acque, o che
qualcuno abbia mentito o abbia creduto di vederlo?]
[..] Davvero non c'è altro da dire sulle “esperienze” persona-
li di dei o altri fenomeni religiosi. Se tu hai avuto una simile
esperienza, potresti trovarti a credere fermamente che fu vera.
Ma non ti aspettare che il resto di noi ti creda sulla parola,
specialmente se abbiamo la minima familiarità con il cervello e
la potenza del suo funzionamento.
Capitolo 1
Tu credi che la Bibbia sia la parola di Dio, che Gesù sia il fi-
glio di Dio, e che solo quelli che hanno fede in Gesù troveran-
no la salvezza dopo la morte. Come cristiano, credi tutte que-
ste proposizioni non perché ti fanno sentire bene, ma perché
pensi che siano vere. Prima di evidenziare alcuni dei proble-
mi di queste credenze, vorrei precisare che io e te siamo d'ac-
cordo su molte cose. Siamo d'accordo, per esempio, che se uno
di noi ha ragione, l'altro ha torto. O la Bibbia è la parola di
Dio, o non lo è. O Gesù fornisce all'umanità l'unico vero
percorso verso la salvezza (Giovanni 14:6) oppure non lo fa.
Siamo d'accordo che essere un vero cristiano significa crede-
158
re che tutte le altre fedi siano nel torto, ed in modo profon-
do. Se il cristianesimo è corretto, ed io persisto nella mia mi-
scredenza, dovrei aspettarmi di soffrire le pene dell'inferno.
Ancora peggio, io ho persuaso altre persone, e molte di esse a
me vicine, a rifiutare l'idea stessa di Dio. Anche loro bruceran-
no nel fuoco eterno (Matteo 25:41). Se la dottrina fondamenta-
le della cristianità è corretta, allora io ho fatto cattivo uso della
mia vita nel peggior modo concepibile. Ammetto tutto questo
senza alcuna riserva. Il fatto che il mio continuato e pubblico
rifiuto del cristianesimo non mi preoccupi minimamente do-
vrebbe suggerirti quanto inadeguate mi sembrano le tue ra-
gioni per essere cristiano.
Naturalmente, ci sono cristiani che non sono d'accordo né
con me né con te. Secondo alcuni cristiani le altre fedi sono
percorsi ugualmente validi verso la salvezza. Ci sono cristia-
ni che non hanno paura dell'inferno e che non credono nella
resurrezione fisica di Gesù. Questi cristiani spesso chiamano
se stessi "religiosi liberali" o "religiosi moderati". Dal loro pun-
to di vista, io e te abbiamo entrambi frainteso cosa significa es-
sere una persona di fede. Ci assicurano che esiste un vasto e
meraviglioso terreno intermedio tra l'ateismo e il fondamenta-
lismo religioso, terreno che è stato esplorato da generazioni di
riflessivi cristiani. Secondo i liberali e i moderati, la fede ha
che fare con il mistero, il significato, la comunità e l'amore. Per
queste persone, la religione comprende tutto il materiale che
costituisce la loro vita, non solo il semplice credere.
Ho scritto altrove dei problemi che vedo nel liberalismo reli-
gioso e la moderazione religiosa. Qui dobbiamo solo osservare
che la questione è più semplice e più urgente di quanto i libe-
rali e i moderati siano soliti ammettere. O la Bibbia è soltanto
un normale libro, scritto da mortali, oppure non lo è. O Cri-
sto fu divino, o non lo fu. Se la Bibbia è solo un normale libro,
e Cristo fu un uomo normale, la dottrina fondamentale della
cristianità è falsa. Se la Bibbia è un libro normale, e Cristo è un
uomo normale, la storia della teologia cristiana è la storia di
alcuni "topi di biblioteca" che furono vittima di una allucina-
zione collettiva. Se le affermazioni di base del cristianesimo
159
sono vere, allora ci sono delle brutte sorprese in cantiere per
i non credenti come me. Tu comprendi tutto ciò. Almeno
metà della popolazione americana comprende tutto ciò.
Quindi siamo onesti con noi stessi: prima o poi, una delle
due fazioni uscirà davvero vincitrice da questa discussione,
e l'altra avrà davvero la peggio.
Considera: ogni musulmano devoto ha le stesse ragioni per
essere musulmano che tu hai per essere cristiano. Eppure tu
non trovi convincenti le sue ragioni . Il Corano dichiara ripe-
tutamente di essere il mondo perfetto del creatore dell'univer-
so. I musulmani credono questo tanto pienamente quanto tu
credi in ciò che la Bibbia dice di se stessa. C'è una vasta lettera-
tura che descrive la vita di Maometto che, dal punto di vista
dell'Islam, dimostra che egli fu il più recente profeta di Dio.
Maometto assicurò anche i suoi seguaci che Gesù non fosse
divino (Corano 5:71 -75; 19: 30 -38) e che chiunque creda al-
trimenti passerà l'eternità all'inferno. I musulmani sono cer-
ti che l'opinione di Maometto su questo argomento, e su tut-
ti gli altri, sia infallibile.
Perché non perdi il sonno chiedendoti se dovresti convertirti
all'Islam? Puoi dimostrare che Allah non è l'unico vero Dio?
Puoi dimostrare che l'arcangelo Gabriele non ha visitato
Maometto nella sua caverna? Naturalmente no. Ma non hai
bisogno di dimostrare alcuna di queste cose per respingere
le credenze dei musulmani come assurdità. Sono loro ad
avere l'onere di provare che le loro credenze su Dio e Mao-
metto sono valide. Loro non lo hanno fatto. Non possono far-
lo. I musulmani semplicemente non fanno affermazioni sulla
realtà che possono essere corroborate. Questo è perfettamente
evidente a chiunque non si sia fatto anestetizzare dai dogmi
dell'Islam.
La verità è che tu sai perfettamente cosa significa essere
ateo rispetto alle credenze dei musulmani. Non è ovvio che i
musulmani stanno ingannando se stessi? Non è ovvio che
chiunque pensi che il Corano sia il mondo perfetto del creato-
re dell'universo non ha letto il libro con spirito critico? Non è
ovvio che la dottrina dell'Islam rappresenta una barriera quasi
160
perfetta ad un'indagine onesta? Sì, queste cose sono ovvie. Eb-
bene, cerca di capire che il modo in cui tu vedi l'Islam è esat-
tamente il modo in cui i musulmani devoti vedono il cristia-
nesimo. Ed è il modo in cui io vedo tutte le religioni.
162
[..]
Il team di ricercatori proseguì valorosamente, ignorando la
derisione, spendendo 2.4 milioni di dollari dei soldi della
fondazione Templeton [nota mia: sempre meglio che i soldi di
tutti i contribuenti, come avviene in Italia per mezzo dell'8 per
1000] sotto la guida del dottor Herbert Benson, cardiologo al-
l'Istituto Di Medicina Mentale E Corporea vicino Boston. Le
affermazioni precedenti del dottor Benson nella conferenza
stampa erano state... [..]
[...]
I risultati, riportati sull'American Heart Journal di aprile
2006, furono chiari. Non c'era differenza tra quei pazienti per
cui si pregava e quelli per cui non si pregava. Sorpresa. C'era
invece differenza tra quelli che sapevano che si pregava per
loro e quelli che non sapevano se si pregasse o no; ma andava
nella direzione sbagliata. Quelli che sapevano di essere i bene-
ficiari delle preghiere soffrivano di molte più complicazioni di
quelli che non lo sapevano. Forse che Dio si stesse vendican-
do, per mostrare la sua disapprovazione dell'intera impresa?
Sembra più probabile che quei pazienti che sapevano che si
pregava per loro subissero uno stress aggiuntivo in conse-
guenza di ciò: "ansia da prestazione", come gli sperimentatori
dissero.
[..]
Non sarà per il lettore una sorpresa che questo studio abbia
ricevuto l'opposizione dei teologi, forse timorosi che avrebbe
potuto mettere in ridicolo la religione. Richard Swinburne,
teologo di Oxford, scrivendo dopo il fallimento di questo stu-
dio, obiettò adesso sostenendo che Dio risponde alle preghiere
solo se vengono offerte per buone ragioni. [..] In seguito
Swinburne cercò di giustificare la sofferenza in un mondo
dominato da Dio:
La mia sofferenza mi fornisce l'opportunità di mostra-
re coraggio e pazienza. A voi fornisce l'opportunità di
mostrare compassione e di aiutare ad alleviare la mia
sofferenza. E fornisce alla società un'opportunità di
163
scegliere se investire o non investire un sacco di soldi
cercando di trovare una cura per questa o quella parti-
colare sofferenza... sebbene un Dio buono si rammarichi
della nostra sofferenza, la sua più grande preoccupazio-
ne è sicuramente che ognuno di noi mostri pazienza,
compassione e generosità e, quindi, produca un perso-
naggio santo.
Alcune persone hanno un assoluto bisogno di essere
malate, per il loro bene, ed altre hanno bisogno di esse-
re malate per invitare altri a fare importanti scelte. Solo
in questo modo alcune persone possono essere inco-
raggiate a fare scelte serie su che tipo di persona voglio-
no essere. Per altre persone, la malattia non ha un così
grande valore.
Questo ragionamento grottesco, così dannatamente tipico
della mentalità teologica, mi ricorda un'occasione in cui ero in
una trasmissione televisiva con Swinburne ed anche con il no-
stro collega di Oxford, il professor Peter Atkins. Swinburne a
un certo punto tentò di giustificare l'Olocausto dicendo che
dava agli ebrei un'opportunità meravigliosa per mostrarsi
coraggiosi e nobili. Peter Atkins rispose splendidamente con
un ringhio "che Lei possa marcire all'inferno".
Un altro tipico esempio di ragionamento teologico appare
più avanti nell'articolo di Swinburne. Egli fa notare giusta-
mente che se Dio volesse dimostrare la sua stessa esistenza
troverebbe dei modi migliori di alterare leggermente le stati-
stiche di guarigione di pazienti malati di cuore. Se Dio esistes-
se e volesse convincerci di ciò, potrebbe "riempire il mondo di
super miracoli". Ma subito dopo Swinburne ci regala questa
gemma: "C'è comunque moltissima evidenza dell'esistenza di
Dio, e troppa evidenza potrebbe essere un male per noi".
Troppa evidenza potrebbe essere un male per noi! Leggetelo
di nuovo. Troppa evidenza potrebbe essere un male per noi. Ri-
chard Swinburne è il possessore di una delle più prestigiose
cattedre di teologia della Gran Bretagna, ed è Fellow della Bri-
tish Academy. Se state cercando un teologo, non ce ne sono di
164
più accreditati. Pensandoci bene, forse non volete un teologo.
Swinburne non fu l'unico teologo a sconfessare lo studio
dopo che fu fallito. [... il reverendo Lawrence si disse lieto del
risultato negativo, per il bene dei medici]: "Recentemente, un
mio collega mi ha raccontato di una donna devota e bene
istruita che accusò un medico di negligenza nel trattamento di
suo marito. Ella accusava il medico di non aver pregato per
suo marito negli ultimi giorni della sua vita".
Altri teologi si unirono agli scettici ispirati dalla teoria
NOMA dicendo che studiare le preghiere in questo modo è
uno spreco di denaro perché le influenze soprannaturali sono
per definizione oltre la portata della scienza. Ma, come la fon-
dazione Templeton correttamente comprese quando finanziò
lo studio, i presunti poteri della preghiera sono almeno in li-
nea di principio dentro la portata della scienza. Si poteva fare
un esperimento con due gradi di cecità e fu fatto. Avrebbe po-
tuto portare un risultato positivo. E se lo avesse portato, riu-
scite a immaginare un solo difensore della religione che lo
liquidasse dicendo che la ricerca scientifica non ha rilevanza
sulle questioni religiose? Naturalmente no.
Inutile dirlo, i risultati negativi dell'esperimento non scuote-
ranno il fedele. Bob Barth, direttore spirituale del ministero di
preghiera del Missouri, che fornì alcune delle preghiere dell'e-
sperimento, disse: "una persona di fede direbbe che questo
studio è interessante, ma preghiamo da molto tempo ed abbia-
mo visto che le preghiere funzionano, sappiamo che funziona-
no, e la ricerca sulla preghiera e la spiritualità è appena all'ini-
zio". Già, proprio così: sappiamo dalla nostra fede che le pre-
ghiere funzionano quindi, se l'evidenza non riesce a dimo-
strarlo, continueremo semplicemente a provare finché non ot-
teniamo il risultato che vogliamo.
165
INTEGRARE IL DUBBIO NELLA PROPRIA FEDE
(da una lettera di Sam Harris ad Andrew
Sullivan)
[..]
Riconosco naturalmente che ci sono molte differenze impor-
tanti tra il moderatismo religioso e il fondamentalismo religio-
so. [..] Ma, come ti aspetterai, io non considero il confine tra la
moderazione e il fondamentalismo come un confine "solido", o
persino un confine di principio.
[...]
Ci sono molti problemi in questa difesa della religione mo-
derata. Primo, molti moderati assumono che "l'estremismo"
religioso sia raro e quindi non abbia tutte queste gravi conse-
guenze. Fortunatamente, tu non sei tra questi, ma vorrei farti
notare che tu sei in minoranza tra i moderati religiosi. Come
tu e io sappiamo, l'estremismo religioso non è raro, ed ha
enormi conseguenze. Il 44% degli americani crede che Gesù
tornerà sulla terra entro i prossimi cinquant'anni per giudi-
care i viventi e i morti. Quest'idea è estrema quasi in ogni sen-
so ― estremamente sciocca, estremamente pericolosa, estre-
mamente spregevole ― ma non è estrema nel senso di essere
rara. Il problema, per come la vedo io, è che i moderati tendo-
no a non capire che cosa significa essere davvero convinti
che la morte sia un'illusione e che un'eternità di felicità aspet-
ti il fedele dopo la tomba. I moderati, come dici tu, hanno "in-
tegrato il dubbio" nella loro fede. Un altro modo di mettere
la questione è che hanno meno fede ― e per buone ragioni. Il
risultato, comunque, è che i tuoi colleghi moderati tendono a
dubitare che qualcuno possa mai essere davvero motivato a
sacrificare la sua vita, o le vite di altri, sulla base di credenze
religiose profondamente sentite. Il dubbio dei moderati ―
che ammetto essere un miglioramento rispetto alla certezza
fondamentalista, in molti aspetti ― spesso acceca il moderato,
rendendolo incapace di vedere la realtà e le conseguenze di
una totale insanità religiosa. Tale cecità adesso è particolar-
mente controproducente, data la collisione con la certezza isla-
166
mica che si sta rivelando a tutti noi.
DISONESTÀ INTELLETTUALE
(da una lettera di Sam Harris a Andrew Sullivan)
175
Puoi chiamarmi "intollerante" quanto vuoi, ma questo non
farà sembrare più ragionevoli le tue pretese irragionevoli di
sapere; non renderà le tue affermazioni di conoscenza reli-
giosa diverse da affermazioni altrui che tu consideri illegitti-
me; e non costituirà una risposta adeguata a qualunque cosa
io abbia scritto o stia per scrivere.
178
I miei auguri,
Sam
180
INSEGNARE AI BAMBINI
(da una lettera di Sam Harris a Andrew Sullivan)
181
reggono agli attacchi di un'indagine spassionata. Eppure,
sotto molti aspetti, la carriera di Maometto come profeta è
stata anche più impressionante di quella di Gesù. Come mi-
nimo, riuscì a sfuggire alla crocifissione. Naturalmente, i cri-
stiani sono riusciti a trasformare persino la crocifissione del
loro Salvatore in una storia di successo. Sembra che la fede
possa razionalizzare qualunque cosa.
[...]
Il fatto che la religione, e in particolare il Cristianesimo, sia-
no sopravvissuti così a lungo non è così misterioso ― e certa-
mente non tanto da dare credibilità ad antichi miracoli. Senza
dubbio ci sono molti fattori che hanno contribuito al successo
del Cristianesimo. Il problema del costo dell'estinzione è sicu-
ramente uno di questi: guarda semplicemente quante risorse
emotive, di attenzione, e finanziarie sono state investite dalla
gente in questa religione. Nessuno è impaziente di rendersi
conto che ha perso il suo tempo. Comprendere che le afferma-
zioni di base del cristianesimo sono illegittime sarebbe, per un
cristiano, come ammettere "sono stato nel torto per tutti questi
anni". Non è una sorpresa che le persone voltino le spalle alla
porta, corazzandosi contro tali rivelazioni. Ho ricevuto mi-
gliaia di lettere ed email da persone che descrivevano quan-
to è stato doloroso per loro ammettere finalmente di essere
stati ingannati dalla cristianità, e di aver ingannato a loro
volta i loro bambini. Più comunemente, sento persone che
sono terrorizzate all'idea di articolare il loro crescente scetti-
cismo sulla dottrina del cristianesimo, per paura di essere
disconosciuti da amici e familiari. Non ignoro le pressioni so-
ciali e psicologiche che i religiosi si trovano ad affrontare. Non
credo che dovresti ignorarle neppure tu.
Un altro fattore è quella sensazione di appartenenza che tu
descrivi così eloquentemente ― il fatto che puoi andare in
qualunque posto del mondo e trovare una casa. (Francamente,
io preferirei poter andare in qualunque posto del mondo e tro-
vare un essere umano ragionevole, ma a ciascuno il suo.) Non
dubito che sia attraente poter disporre di una tale infrastruttu-
ra di comunità, e ammetto che non c'è nessun equivalente lai-
182
co (al momento). Ma è importante notare che questo tipo di af-
filiazione religiosa non dice niente sulla verità di alcuna dot-
trina religiosa specifica. Quando il credente scientologista dice
"abbiamo uffici in 175 città", questo non rende per me più cre-
dibili le sue affermazioni religiose. Gli scientologisti possono
costruire tutti gli uffici che vogliono, godersi tutta la fratellan-
za che vogliono, e sorridere quanto vogliono, ma niente di tut-
to ciò renderà profondi gli scritti di L. Ron Hubbard. Niente di
tutto ciò darà credibilità intellettuale a un sistema di credenze
che viene riassunto ottimamente in un episodio di South Park.
Sei davvero sorpreso che la religione sia durata così tanto?
Quale ideologia dovrebbe essere più duratura di una che si
affida, continuamente, alle nostre facoltà di auto-inganno
[wishful thinking]? E' facile sperare; è difficile conoscere. La
scienza è quell'unico dominio in cui noi esseri umani facciamo
lo sforzo davvero eroico di contrastare le nostre innate tenden-
ze a non essere obiettivi, e all'auto-inganno. La scienza è quel-
l'unico campo in cui abbiamo sviluppato una metodologia
sofisticata per separare ciò che speriamo essere vero da ciò
che abbiamo buone ragioni di credere. Questa metodologia
non è perfetta, e la storia della scienza è costellata di falli-
menti ingloriosi nel mantenere l'obiettività scientifica. Ma è
proprio questo il punto ― questi sono stati dei fallimenti
della scienza, scoperti e corretti. Da chi, dalla religione? No,
dalla scienza buona.
Non nego che ci sia qualcosa nel cuore dell'esperienza reli-
giosa che vale la pena di comprendere. Non nego neppure
che c'è qualcosa che meriti la nostra devozione. Ma la devo-
zione ad essa non rende vera una falsa affermazione di co-
noscenza, né richiede che noi cediamo alla parzialità emoti-
va/familiare/culturale in un modo non scientifico. [...] Non
c'è bisogno di credere a cose prive di sufficiente evidenza,
per provare "le esperienze estatiche di Madre Teresa" (o
quelle di Rumi, se è per questo). E quelli di noi che hanno la
fortuna di avere un'istruzione da ventesimo secolo possono
essere più parsimoniosi nel trarre conclusioni sul Cosmo
sulla base di queste esperienze estatiche. Anzi, credo che
183
dobbiamo esserlo, se non vogliamo che il nostro attaccamen-
to al linguaggio dei nostri antenati mantenga viva l'ignoran-
za nel nostro tempo.
LA PERSONALITÀ DI GESÙ
(Dal monologo "Letting go of God" (lasciarsi alle
spalle Dio) di Julia Sweeney.)
186
pe della pace che ci ha insegnato a porgere l'altra guancia.
E poi c'è la famiglia. Devo dire che le cose di Gesù che ho
trovato più indisponenti sono i suoi valori familiari, il che è
sorprendente quando pensi che ci sono dei gruppi lì fuori che
basano i loro valori familiari sulla Bibbia. Voglio dire, Gesù
sembra non avere alcun legame stretto coi genitori; tratta la
madre crudelmente, di continuo; a un matrimonio dice ad una
donna ["what have I to do with you"]; e una volta, mentre par-
lava a una folla, c'era Maria che aspettava pazientemente al
bordo per parlargli, e Gesù disse ai suoi discepoli "Mandatela
via. Siete voi la mia famiglia ora". Matteo, Marco e Luca rac-
contano tutti questa stessa storia, ma Marco ci dice anche il
motivo per cui Maria era lì per vedere Gesù: dice che Maria era
venuta a trovare Gesù per cercare di farlo tornare in sé, perché
la gente diceva che era impazzito. [Il pubblico ride]. Io conti-
nuavo a pensare "Sì! Andiamo ad aiutare Gesù, ne ha tanto bi-
sogno!".
Comunque, Gesù scoraggia ogni contatto che i discepoli
hanno con la loro famiglia. Come sappiamo, lui stesso non si
sposa e non ha bambini, e dice esplicitamente ai suoi seguaci
di non avere famiglie, e se le hanno dovrebbero semplicemen-
te abbandonarle.
Ora, Gesù diceva questo soprattutto perché credeva che la
fine del tempo fosse imminente. Gesù dice continuamente
che le persone che sono vive quando lui era vivo non sareb-
bero morte naturalmente, ma avrebbero visto la fine del
tempo. Dice questo in Matteo, Marco e Luca. Così, ok, Gesù
ci dice di non avere famiglia perché crede che la fine del
tempo sia imminente. Ma poi ci dice di non occuparci delle
famiglie che abbiamo già. Come in Luca, capitolo 14: Gesù
dice "Chiunque viene da me e non odia sua madre e suo pa-
dre, fratello e sorelle, moglie e figli, non può essere mio di-
scepolo". Voglio dire: non è questo che fanno i culti? Ti fan-
no rifiutare la famiglia per plagiarti? [il pubblico ride] Così
questi sono i valori familiari del nuovo testamento, che do-
vrebbe essere un grande miglioramento sui valori familiari
del vecchio testamento? [..]
187
SULL'UTILITÀ DELLA RELIGIONE
(da alcuni discorsi di Sam Harris)
189
che dà significato alla loro vita. Ci sono due problemi con que-
sto. Il primo è che questo argomento, se usato per sostenere la
verità della religione, è un totale non sequitur. Io non dubito
che molte persone devotamente religiose compiano buone
azioni sulla base delle loro credenze religiose. Potresti ripe-
tere queste cose all'infinito, e non cominceranno mai a sugge-
rire che Dio esista veramente, o che la Bibbia sia la sua paro-
la, o che suo figlio scese sulla terra nella persona di Gesù per
redimere i nostri peccati. Non ho dubbi che ci siano milioni di
bravi mormoni [..]. Secondo te, questo aumenta anche di poco
la probabilità che il libro dei mormoni sia stato consegnato su
un piatto d'oro a Joseph Smith Jr [..] dall'angelo Moroni? Forse
tutti i buoni musulmani che esistono nel mondo rendono più
probabile l'affermazione che Maometto volò in paradiso su un
cavallo alato? Forse tutti i buoni pagani che sono esistiti nella
storia suggeriscono che il monte Olimpo sia mai stato pieno di
dei invisibili? Come ho notato altrove, la presunta utilità del-
la religione ― il fatto che a volte faccia compiere alle perso-
ne cose davvero molto buone ― non è un argomento che
supporti la sua verità.
L'altro problema è che l'utilità della religione è molto di-
scutibile. Nei miei libri ho sostenuto che la religione fa fare
alle persone cose buone per ragioni cattive, quando sono
perfettamente disponibili ragioni buone per fare le stesse
cose; ho anche sostenuto che molto spesso fa fare alle perso-
ne cose molto cattive che altrimenti non farebbero.
Per quanto riguarda il fare bene, io vi domando che cosa è
più morale: aiutare le persone semplicemente perché vi pre-
occupate della loro sofferenza, o aiutarle perché siete con-
vinti che Dio voglia che lo facciate? Personalmente preferirei
di gran lunga che i miei figli sviluppassero la prima di queste
due sensibilità. Per quanto riguarda il fare male: ci sono, in
questo preciso momento, degli sciiti e dei sunniti perfetta-
mente normali che si fanno l'un l'altro dei buchi nel cervel-
lo, con il trapano elettrico, nei sobborghi di Baghdad. Quali
sono le probabilità che farebbero la stessa cosa senza il "be-
neficio" delle loro identità religiose incompatibili?
190
I pericoli della religione sono testimoniati ormai su base
quotidiana dalle esplosioni di bombe. Quanto è utile che mi-
lioni di musulmani in questo mondo credano nella metafisi-
ca del martirio? Quanto è utile che gli sciiti e i sunniti in Iraq
abbiano delle divergenze religiose così accorate? Quanto è
utile che così tanti coloni ebrei credano che il creatore dell'u-
niverso abbia promesso loro un fazzoletto di terra nel Medi-
terraneo? Quanto è stata utile l'ossessione del cristianesimo
verso il sesso in queste ultime 70 generazioni?
Molte grazie per il tuo ultimo scritto. Devo dire che, se fossi-
mo a un party serale, a questo punto sarei tentato di ammette-
re che il discorso razionale ci può portare solo fino a un certo
punto [..]. Hai semplicemente scritto per informarmi che non
hai mai dubitato dell'esistenza di Dio, che non sei in grado
di raccontare come sei giunto a credere in lui, e che sei ben
consapevole che questi fatti non mi persuaderanno (e non do-
vrebbero farlo) della legittimità delle tue credenze religiose.
Ora mi sento come un tennista che, nel bel mezzo del servi-
zio, si accorge che il suo avversario non ha più una racchetta
in mano.
[ Hai anche affermato che non riesci a immaginare alcuna
evidenza che possa farti smettere di credere in Dio. ] Hai sem-
plicemente dichiarato che la tua fede è immune al dialogo
razionale. Visto che non sei giunto a credere in Dio prenden-
do in considerazione alcuno stato del mondo, non esiste al-
cuno stato del mondo che potrebbe mai farti mettere in dub-
bio la sua esistenza. Questa è l'essenza stessa del dogmati-
smo. Ma chiamarlo così in questo contesto sembrerà crudele,
perché hai precisato come la tua fede sia sopravvissuta ― e
forse abbia aiutato te a sopravvivere ― a molte esperienze dif-
ficili. Queste testimonianze sulla forza e l'utilità della fede de-
limitano quel territorio che la maggior parte degli atei hanno
191
imparato a non oltrepassare mai. Questo mi ricorda la splen-
dida citazione di Mencken: “Dobbiamo rispettare la religione
del nostro vicino, ma solo nel senso in cui rispettiamo la sua
teoria che sua moglie è bella e i suoi figli intelligenti”. La veri-
tà è che a nessuno piace dire a un altro che la sua fonte princi-
pale di sollievo e gratificazione non è ciò che pensa che sia. Ma
adesso ci siamo dentro fino al collo, quindi permettimi di spu-
tare fuori ciò che penso e di dirti perché credo che la tua non-
giustificazione/giustificazione della fede non dovrebbe soddi-
sfare né te né nessun altro.
Mentre da una parte affermi di aver integrato il dubbio
nella tua fede, dall'altra dici che non hai mai (mai) dubitato
dell'esistenza di Dio. Questo mi sembra come dire "Sono una
persona che ama molto intensamente. Soltanto, non amo i
miei genitori o i miei bambini. Non gli ho mai amati. Probabil-
mente non li amerò mai". Ci sono sicuramente casi in cui i ca-
veat di un'affermazione sono troppo grandi da ignorare.
Così come l'hai esposta, la tua nozione di Dio non possiede
un grande contenuto specifico (a parte l'amore). Inoltre, ti sei
andato a rifugiare in una torre di mistero ― e ti sei ritirato las-
sù con l'affermazione che qualsiasi creatura abbastanza subli-
me da aver creato l'universo deve essere così al di là della no-
stra portata da eludere per sempre i nostri poteri di descrizio-
ne. L'ultima asserzione sembra plausibile, fin dove arriva. Ma,
naturalmente, non è un argomento per l'esistenza di Dio, né
tantomeno un buon argomento. In ogni caso, la tua vaporosa
concezione di divinità ti permette di dire che le tue credenze
religiose non sono in conflitto con quelle altrui. Dio ridotto a
puro amore permette che molte dottrine, anche contradditto-
rie, raggiungano la parità. La fede nell'assenza di specificazio-
ni rende un uomo umile.
Tutto questo, francamente, sembra un po' evasivo. Dato il
tuo attaccamento alla cristianità e la tua ammirazione per il
Papa (che, come sai, fa affermazioni molto più restrittive ―
e quindi arroganti ― su Dio), sospetto che ci sia una vasta
gamma di proposizioni religiose che tu accetti davvero per
vere ― sebbene forse sei meno certo di queste proposizioni
192
che dell'esistenza di Dio. Mi sto riferendo a quelle credenze
specifiche che ti renderebbero cristiano e cattolico, anziché
un generico teista. Credi nella resurrezione e nella nascita da
una vergine? La divinità del Gesù storico è per te un fatto
che è "più vero di qualunque prova... di qualunque sostan-
za... di qualunque oggetto"? Se queste cose non rientrano tra
quelle che una persona può "sapere e basta", senza alcuna giu-
stificazione, perché non ci rientrano? Se un uomo come James
Dobson si sbaglia ad essere certo, senza giustificazione, che
Gesù un giorno tornerà sulla terra, perché la tua affermazio-
ne che esista un Dio amorevole sarebbe diversa? Che cosa
diresti a una persona che una volta dubitava della storia di
Noè, ma il cui dubbio "improvvisamente, senza essere scac-
ciato da alcun pensiero specifico, semplicemente scivolò
via"? Un tale cambiamento di umore è sufficiente a stabilire il
mito dell'inondazione come un fatto storico?
Forse mi sfugge qualcosa, ma non mi sembra che tu stia li-
mitando la tua affermazione su Dio alla tua personale espe-
rienza. Non stai dicendo ― "Sam, non so come posso convin-
certi di questo, ma quando chiudo gli occhi a penso a Gesù,
provo un sentimento di pace assoluta. Sto chiamando questo
sentimento con il nome "Dio", e sospetto che, se più persone si
sentissero così, il nostro mondo sarebbe radicalmente trasfor-
mato". Un'affermazione di questo tipo non mi darebbe alcun
problema. Ma tu stai dicendo un po' più di questo. Stai affer-
mando di sapere che Dio esiste là fuori. In tal modo, stai fa-
cendo tacite affermazioni sulla fisica e sulla cosmologia e sulla
storia del mondo. Per di più, queste sono affermazioni che
hai appena dichiarato ingiustificate, ingiustificabili, ma allo
stesso tempo inattaccabili dal tuo stesso potere di dubitare.
Sembra anche che tu attribuisca qualche strano significato
epistemologico al fatto che non riesci a ricordare quando e
come hai acquisito la tua fede. Sicuramente le origini di tan-
te tue credenze ti sono ugualmente oscure. Io per esempio
non ricordo quando e come sono giunto a credere che Pluto-
ne è un pianeta. Forse per questo dovrei dire che tale creden-
za "ha scelto me"? Che diresti se, sentendo che gli astronomi
193
hanno cambiato opinione su Plutone, io annunciassi che
"non ho la capacità di smettere di credere... non conosco al-
cuna "dimostrazione" che potrebbe dissuadermi dal credere
che Plutone sia un pianeta, poiché nessuna "dimostrazione"
mi ha mai persuaso di ciò". Sono sicuro che ti lamenterai di
questa analogia, ma scommetto che i tuoi genitori ti hanno
raccontato di Dio sin dal momento in cui sei nato. È così, in
genere, che le persone sono messe in condizioni di dire cose
come "la fede mi ha scelto". Anche la lingua inglese ha scelto
sia te che me. Questo non significa che non possiamo riflettere
criticamente su di essa, o riconoscere che il fatto che la parlia-
mo entrambi (potrei dire che è "l'aria che respiriamo") è una
conseguenza completamente non-misteriosa del modo in cui
siamo stati cresciuti. In effetti, tu ammetti il ruolo giocato da
queste contingenze in questioni di fede. Come tu dici, se
fossi stato allevato da buddista, quasi certamente saresti un
buddista. Ma ti rifiuti di trarre alcuna conclusione importan-
te da questo. Se fossi stato allevato da ateo, potresti anche es-
sere un ateo?
195
stato scritto.
Sappiamo entrambi che ci basterebbero 5 minuti per pro-
durre un libro che offra una moralità più coerente e compas-
sionevole della Bibbia. Ho detto 5 minuti? Cinque secondi
― strappa semplicemente via il Levitico, il Deuteronomio ,
l'esodo, due Samuele dal vecchio testamento, e due Epistole
ai Tessalonicesi e Apocalisse dal Nuovo Testamento. Il libro
sarebbe enormemente migliore. Forse che in questo caso di-
venterebbe il libro più profondo che abbiamo sulla moralità (o
sulla cosmologia, la biologia, psicologia, eccetera)? No, di gran
lunga. Ma sarebbe un libro molto migliore di quanto sia ades-
so.
201
guenze, eppure viene omessa dovunque, anche nella
torre d'avorio.
Quindi, sebbene io ammetta che ci sono molti differenti
contesti in cui le nostre credenze possono essere giustificate,
e molti diversi tipi di giustificazione, tuttavia c'è un'impor-
tante differenza tra le credenze giustificate e quelle ingiusti-
ficate. Le mie osservazioni precedenti ― sul non sapere cosa
succede dopo la morte, sugli spazi vuoti nella scienza, sulla
potenziale validità delle esperienze contemplative, ecc. ―
non cambiano in nessun modo questa situazione. Ed è l'evi-
dente incapacità di molte persone di notare la differenza tra
credenze giustificate e ingiustificate (in genere chiamando
"fede" il loro atto di non notarla) che mi convince che essi
siano generalmente fuorviati nella loro ricerca della verità.
202
duto sotto il controllo di un piccolo parassita, un verme chia-
mato “lancet fluke” (Dicrocelium dendriticum), il quale ha bi-
sogno di entrare nello stomaco di una pecora o una mucca per
completare il suo ciclo riproduttivo. Questo piccolo verme del
cervello sta guidando la formica in una situazione che benefi-
cerà la sua progenie, non quella della formica. Questo non è
un fenomeno isolato. Anche i pesci, i topi e altre specie vengo-
no invasi da parassiti manipolatori. Questi "autostoppisti" co-
stringono gli animali ospitanti a comportarsi in maniera insen-
sata, perfino suicida, tutto a beneficio dell'ospitato, non dell'o-
spitante.
Questo ha qualcosa a che fare con gli esseri umani? Sì, mol-
to. Spesso troviamo degli esseri umani che mettono da parte i
propri interessi personali, la loro salute, la loro possibilità di
avere figli, e dedicano la loro intera vita a fare gli interessi di
un'idea che ha preso possesso dei loro cervelli. La parola araba
Islam significa "sottomissione", ed ogni bravo musulmano ac-
cetta di fare da testimone, prega cinque volte al giorno, dona
dei soldi, digiuna durante il Ramadan, e cerca di arrivare in
pellegrinaggio, o "hajj", alla Mecca, il tutto per l'idea di Allah,
e di Maometto. I cristiani e gli ebrei si comportano in modo si-
mile, naturalmente, dedicando la loro vita alla diffusione del
Verbo, facendo sacrifici enormi, soffrendo coraggiosamente,
rischiando la propria vita per un'idea. Lo stesso fanno i Sikh,
gli induisti, i buddisti. E non dimenticate le molte migliaia di
umanisti laici che hanno donato la loro vita per la Democra-
zia, o per la Giustizia, o per la pura e semplice Verità. Ci sono
molte idee per cui morire.
La nostra capacità di dedicare la vita a qualcosa che ritenia-
mo più importante del nostro personale benessere ― o del no-
stro imperativo biologico di fare figli ― è una delle cose che ci
separano dal resto degli animali. Una mamma orso difenderà
coraggiosamente il cibo, e proteggerà ferocemente i suoi pic-
coli, o perfino la sua tana vuota, ma probabilmente sono morte
più persone nel tentativo valoroso di proteggere posti e testi
sacri che nel tentativo di proteggere depositi di cibo, o i loro
stessi figli e le loro case. Come altri animali, abbiamo il deside-
203
rio pre-programmato di riprodurci e di fare più o meno tutto
quello che serve per raggiungere questo obiettivo, ma abbia-
mo anche delle cose in cui crediamo, e la capacità di trascen-
dere i nostri imperativi genetici. Questo fatto ci rende sì diver-
si, ma è sempre un fatto biologico, visibile alla scienza natu-
rale, ed è qualcosa che richiede una spiegazione da parte del-
la scienza naturale. Come è stato possibile che una specie,
l'Homo Sapiens, abbia finito per ottenere queste straordinarie
prospettive sulla sua stessa vita?
Quasi nessuno direbbe che la cosa più importante nella vita
è avere più nipoti di un rivale, ma questo è il summum bonum
di default di ogni animale selvatico. Non sanno fare di meglio.
Non possono. Sono solo animali. Ma c'è un'interessante ecce-
zione, a quanto sembra: il cane. Il "migliore amico dell'uomo"
non è forse capace di una devozione che non ha niente a che
invidiare a quella di un amico umano? Non morirebbe forse
un cane se ciò servisse per proteggere il padrone? Sì, e non è
una coincidenza che questa ammirevole caratteristica si ritrovi
in una specie addomesticata. I cani di oggi sono i discendenti
dei cani che in passato i nostri antenati amarono ed ammiraro-
no di più; questi cani erano così fedeli che non cercavano nep-
pure di avere figli per lealtà, eppure riuscirono a riprodursi
[..]. Abbiamo forse inconsciamente modellato questa devozio-
ne verso il padrone per riflettere la nostra devozione verso
Dio? Stavamo plasmando i cani a nostra immagine e somi-
glianza? Forse, ma in questo caso da dove deriva la nostra de-
vozione per Dio?
L'analogia con cui ho cominciato, tra un verme parassita che
invade il cervello di una formica e un'idea che invade un cer-
vello umano, sembra probabilmente forzata e oltraggiosa. Di-
versamente dai vermi, le idee non sono vive, e non invadono i
cervelli; sono create dalle menti. È vero, ma queste obiezioni non
sono forti come sembrano sulle prime. Le idee non sono vive.
Non sanno vedere dove vanno e, anche se potessero vedere,
non avrebbero appendici con cui dirigere un cervello ospitan-
te verso un obiettivo. È vero, ma il verme parassita non è esat-
tamente un genio; non è più intelligente di una carota, per la
204
verità; non ha nemmeno un cervello. Ha semplicemente la
fortuna di essere dotato di caratteristiche che influenzano il
cervello delle formiche in questo modo utile, quando casual-
mente entra in contatto con esso. (Queste caratteristiche sono
come le macchie a forma di occhio presenti sulle ali delle far-
falle, che a volte ingannano gli uccelli predatori, facendo cre-
dere loro che qualche grosso animale li stia guardando. Gli
uccelli si spaventano e le farfalle ne traggono beneficio, ma
non è che le farfalle se ne rendano conto.). Un'idea inerte, se
dotata delle giuste caratteristiche, potrebbe avere un effetto
benefico su di un cervello, senza capire che sta lo sta aven-
do! E se ha questo effetto benefico, l'idea potrebbe avere
successo e moltiplicarsi, proprio perché possiede quelle ca-
ratteristiche.
Il confronto tra la parola di Dio e il verme delle formiche è
indisponente, ma l'idea di comparare un'idea con una cosa vi-
vente non è nuova. Io possiedo una pagina di musica, scritta
su un foglio della metà del sedicesimo secolo, che ho trovato
mezzo secolo fa in una libreria di Parigi. Il testo (in latino) rac-
conta la morale della parabola del seminatore (Matteo 13): Se-
men est verbum Dei; sator autem Christus. La parola di Dio è un
seme, e il seminatore del seme è Cristo. Questi semi mettono
radici nei singoli esseri umani, e fanno sì che questi esseri
umani li diffondano, sempre più lontano (e in cambio, gli
esseri umani ospitanti ottengono la vita eterna ― eum qui au-
dit manebit in eternum).
Come vengono create le idee dalle menti? Forse per ispira-
zione divina; o forse per vie più naturali, come quando le idee
si diffondono da una mente all'altra, sopravvivendo alle tra-
duzioni in lingue diverse, accettando un "passaggio" nelle can-
zoni, icone, statue e rituali, raggruppandosi assieme in combi-
nazioni improbabili dentro le teste di certe persone, dove dan-
no luce ad ulteriori nuove "creazioni", che hanno una somi-
glianza familiare con le idee che le hanno ispirate, ma che
strada facendo aggiungono nuove caratteristiche, nuovi po-
teri. E forse alcune delle idee "selvagge", che per prime invase-
ro le nostre menti, hanno prodotto delle "idee figlie" che sono
205
state addomesticate e domate, mentre tentavamo di diventare
i loro padroni o almeno i loro pastori. Quali erano gli antenati
delle idee addomesticate che si diffondono oggi? Dove hanno
avuto origine e perché? E una volta che i nostri antenati hanno
cominciato ad avere l'obiettivo di diffondere queste idee, non
soltanto ad ospitarle ma anche ad amarle, in che modo questo
"credere nel credere" ha modificato le idee che venivano diffu-
se?
Le grandi idee della religione hanno conquistato gli esseri
umani per migliaia di anni, un tempo più lungo della storia
che è giunta fino a noi, ma che è comunque un breve momen-
to rispetto al tempo biologico. Se vogliamo comprendere la
natura della religione oggi, come fenomeno naturale, dobbia-
mo guardare non soltanto cosa la religione è oggi, ma cosa era
una volta. Un racconto delle origini della religione, nei prossi-
mi sette capitoli, ci fornirà una nuova prospettiva da cui guar-
dare, negli ultimi tre capitoli, a che cosa la religione è oggi; a
perché è così importante per molte persone; e in che cosa essi
possono avere ragione o torto nella comprensione di se stessi e
della propria religiosità. Poi potremo capire meglio dove la re-
ligione ci condurrà nel prossimo futuro, il nostro futuro su
questo pianeta. Non riesco a pensare ad alcun argomento più
importante su cui investigare.
210
tutti hanno la stessa religione dei propri genitori. E ogni volta,
il caso vuole che la propria religione sia proprio quella corret-
ta. La religione tende a conservarsi nelle famiglie. Se fossimo
stati cresciuti nell'antica Grecia, staremmo tutti venerando
Zeus e Apollo. Se fossimo nati vichinghi, staremmo veneran-
do Thor e Wotan. Cosa c'entra tutto questo con l'indottrina-
mento dei bambini?
Una volta, nel periodo natalizio, il mio quotidiano, l'Inde-
pendent, stava cercando un'immagine stagionale, e trovò que-
sta ecumenica fotografia che scalda il cuore:
212
l'unica entità a cui è concesso di attuare impunemente que-
ste vergognose etichettature di minori.
Ecco una mappa di Belfast. Le aree protestanti e le aree cat-
toliche. E in tanti secoli di storia, quelle linee di divisione sono
state e sono ancora trincee di guerra. Non c'è alcuna altra dif-
ferenza tra le persone che vivono a Belfast: hanno lo stesso
colore di pelle, parlano la stessa lingua, hanno lo stesso aspet-
to e voce; l'unica differenza è che hanno diverse fedi eredita-
rie. Ereditarie nel senso che i protestanti frequentano scuole
protestanti, e il loro figli e nipoti fanno lo stesso; i cattolici fre-
quentano scuole cattoliche. E così la cosa si propaga genera-
zione dopo generazione. E viene insegnata loro la separazione.
[..]
Ora, la scienza è spesso accusata di certezza arrogante. Ma
che dire della fede? La terza legge di Arthur C. Clarke dice
"qualunque tecnologia sufficientemente avanzata è indistin-
guibile dalla magia". La terza legge di Clarke è una buona il-
lustrazione dell'umiltà della scienza, in questo caso nella for-
ma di tecnologia. Noi siamo umili, nel senso che prendiamo
implicitamente atto che la tecnologia che avremo tra un seco-
lo, o due secoli, apparirà a noi magica come la tecnologia dei
telefoni cellulari e computer e boing 747 sarebbe apparza a
una persona del 18mo secolo. Lo stesso è vero della scienza,
nel suo atteggiamento verso i misteri dell'universo. J. B. S.
Haldane, il genio universale britannico, disse "il mio sospetto
è che l'universo non solo sia più strano di quanto supponia-
mo, ma più strano di quanto noi possiamo supporre. Sospetto
che ci siano più cose in cielo e terra di quante noi ne sognia-
mo, e possiamo sognare, in qualsiasi filosofia".
215
denti? Mentre è vero che i regimi di Hitler, Stalin, Mao e Pol
Pot furono irreligiosi in grado variabile, tuttavia non erano
particolarmente razionali. [Erano profondamente dogmatici e
quindi, in un senso molto importante, religiosi.]
Anzi, i loro discorsi pubblici erano poco più che deliri al-
lucinati ― deliri sulla razza, sull'economia, sull'identità, sul
percorso della storia, sui pericoli morali dell'intellettualismo.
Sotto molti aspetti, la religione fu direttamente incolpabile an-
che di questo. Considerate l'Olocausto: l'antisemitismo che co-
struì i crematori nazisti, mattone dopo mattone, fu un'eredità
diretta del cristianesimo medievale. Per secoli, gli europei cri-
stiani avevano considerato gli ebrei come la peggior specie di
eretici e avevano attribuito ogni male della società alla loro
presenza continuata tra i fedeli.
Sebbene l'odio verso gli ebrei in Germania si sia espresso in
un modo prevalentemente laico, le sue radici furono indubbia-
mente religiose ― e la demonizzazione esplicitamente religio-
sa degli ebrei d'Europa continuò per tutto il periodo. (Lo stes-
so Vaticano perpetuò le ingiurie razziste nei suoi giornali fino
al 1914.) Auschwitz, i Gulag, e i campi di concentramento
non sono esempi di cosa succede quando la gente diventa
troppo critica verso credenze ingiustificate; al contrario, que-
sti errori testimoniano i pericoli di non riflettere abbastanza
criticamente su specifiche ideologie laiche. Inutile dirlo, pro-
durre un'argomentazione razionale contro la fede religiosa
non equivale ad abbracciare ciecamente l'ateismo come fosse
un dogma. Il problema che l'ateo espone non è altro che il pro-
blema del dogma stesso ― di cui ogni religione ha una quanti-
tà fin troppo grande. Non conosco alcuna società a memoria
d'uomo che abbia mai sofferto perché il suo popolo è diven-
tato troppo ragionevole.
Secondo il rapporto sullo sviluppo umano delle Nazioni
Unite (2005), le società più atee ― paesi come Norvegia, Islan-
da, Australia, Canada, Svezia, Svizzera, Belgio, Giappone,
Olanda, Danimarca e regno unito ― sono anche quelle più
sane e in salute, come indicano le stime su aspettativa di vita,
livello di istruzione, guadagno pro capite, uguaglianza tra i
216
sessi, tasso di omicidi e mortalità infantile. Al contrario, le 50
nazioni oggi classificate nei posti più bassi dalle Nazioni Unite
in termini di sviluppo umano sono saldamente religiose. Na-
turalmente, questo tipo di dati correlativi non dicono in che
direzione vada il nesso di causa ― credere in Dio può produr-
re una disfunzione sociale, una disfunzione sociale può ali-
mentare una credenza in Dio, ogni fattore potrebbe abilitare
l'altro, o entrambi potrebbero nascere da qualche fonte più
profonda di problemi. Lasciando da parte le questioni di cau-
sa ed effetto, questi fatti provano che l'ateismo è perfetta-
mente compatibile con le aspirazioni di base di una società
civile; provano anche, in modo definitivo, che la fede reli-
giosa non fa nulla per assicurare la salute di una società.
3. Se la religione fornisse davvero l'unica base oggettiva
concepibile per la moralità, dovrebbe essere impossibile
porre una base oggettiva non teistica per la moralità. Ma non
è impossibile, anzi è molto facile.
Chiaramente, riusciamo a pensare a fonti oggettive di ordine
morale che non richiedano l'esistenza di un Dio che dà le leg-
gi. In La Fine Della Fede, ho sostenuto che le questioni morali
sono in realtà questioni di felicità e sofferenza. Se esistono
modi di vivere che accrescono o diminuiscono oggettiva-
mente la felicità complessiva su questo mondo, allora queste
sarebbero verità morali oggettive. Non possiamo sapere in
anticipo se saremo mai nella posizione di scoprire queste veri-
tà e di essere d'accordo su di esse (e questo è vero per tutte le
questioni di fatti scientifici). Ma se esistono leggi psicofisiche
che determinano il benessere umano ― e perché non dovreb-
bero esserci? ― allora queste leggi si possono potenzialmente
scoprire. La conoscenza di queste leggi fornirebbe una base
durevole per una moralità oggettiva. Nel frattempo, tutto ciò
che sappiamo dell'esperienza umana suggerisce che l'amore è
migliore dell'odio per lo scopo di vivere felicemente su questo
mondo. Questa è un'affermazione oggettiva sulla mente uma-
na, sulla dinamica delle relazioni sociali, e sull'ordine morale
del nostro mondo. Sebbene non abbiamo niente di simile a un
approccio scientifico definitivo per massimizzare la felicità
217
umana, credo si possa dire con sicurezza che stuprare e ucci-
dere bambini non sarà uno dei suoi costituenti primari.
Una delle più grandi sfide che la civiltà nel ventunesimo se-
colo si trova a fronteggiare è che gli esseri umani imparino a
discutere le questioni personali più profonde e che stanno loro
più a cuore ― sull'etica, sull'esperienza spirituale, sull'inevita-
bilità della sofferenza umana ― in modi che non siano prepo-
tentemente irrazionali. Niente ostacola questo progetto più
del rispetto che noi accordiamo alla fede religiosa. Dottrine
religiose incompatibili hanno frazionato la nostra società in
comunità morali separate, e queste divisioni sono divenute
una fonte continuata di conflitti umani. L'idea che ci sia un le-
game necessario tra la fede religiosa e la moralità è uno dei
miti principali che mantengono la religione in buona posizio-
ne tra uomini e donne altrimenti ragionevoli. Eppure è un
mito che si può demolire facilmente.
[...]
A questo punto, un lettore di una bozza preliminare di que-
sto capitolo si è lamentato dicendo che, trattando l'ipotesi di
Dio come una normale ipotesi scientifica, da valutare secondo
gli standard della scienza e del pensiero razionale in generale,
io e Dawkins stiamo ignorando l'affermazione, molto diffusa
tra i credenti in Dio, secondo cui la loro fede è del tutto al di
là della ragione, e non è una questione su cui si possono
applicare questi mondani metodi di verifica. Non è solo una
mancanza di sensibilità da parte mia, disse il lettore, ma è as-
solutamente illegittimo assumere che il metodo scientifico
continui ad essere completamente applicabile in questo domi-
nio di fede.
Molto bene, prendiamo in considerazione quest'obiezione.
Dubito che il difensore della religione la troverà attraente, una
218
volta che la avremo esplorata attentamente. Il filosofo Ronald
de Sousa una volta descrisse in modo memorabile la teologia
filosofica come un "tennis intellettuale senza la rete", e am-
metto che fino ad ora ho dato per scontato che la rete del giu-
dizio razionale fosse alzata. Ma, se davvero lo desiderate,
possiamo abbassarla. A voi la palla ed il servizio. Qualunque
cosa serviate, supponete che io risponda al servizio brutal-
mente in questo modo:
"Ciò che dite implica che Dio è un panino al prosciutto av-
volto nella carta stagnola. Non è un granché come oggetto di
venerazione!"
Se poi voi rispondete con una volée, pretendendo di sapere
come io possa giustificare logicamente la mia affermazione
che il vostro servizio abbia un'implicazione tanto insensata, io
risponderò:
"Oibò, volete che la rete sia alzata quando la risposta spet-
ta a me, ma non quando siete al servizio voi?
O la rete è sempre alzata, o è sempre abbassata. Se è abbas-
sata, allora non ci sono regole, e chiunque può dire qualun-
que cosa, un gioco da idioti come ce ne sono pochi. Io vi con-
cedevo il beneficio di assumere che non avreste sprecato vo-
stro tempo, o il mio, giocando con la rete abbassata."
Ora, se volete ragionare sulla fede, ed offrire una difesa ragio-
nata (e sensibile alla ragione) della fede come un tipo di cre-
denza straordinaria meritevole di considerazione speciale,
sono impaziente di giocare. Riconosco senza dubbio l'esisten-
za del fenomeno della fede; ciò che voglio vedere è un motivo
ponderato per prendere la fede sul serio come modo per arri-
vare alla verità, e non, ad esempio, come un modo per confor-
tare se stessi o altri (una funzione meritevole, che prendo sul
serio). Ma non dovete aspettarvi che io vi segua nella vostra
difesa della fede come strada per giungere alla verità se in
ogni momento vi appellate a quella stessa dispensazione che
si presume steste cercando di giustificare.
Prima di appellarvi alla fede quando la ragione vi ha co-
stretti nell'angolo, chiedetevi se vi piacerebbe davvero ab-
219
bandonare la ragione quando essa è dalla vostra parte. Siete
in vacanza in un paese straniero con la persona che amate, e
questa persona viene brutalmente assassinata davanti ai vostri
occhi. Nel processo scoprite che in questo paese si possono
chiamare come testimoni per la difesa gli amici dell'accusato, e
questi dichiarano di avere completa fede nella sua innocen-
za. Osservate la sfilata dei suoi amici in lacrime, ovviamente
sinceri, che proclamano orgogliosamente la loro inamovibile
fede nell'innocenza dell'uomo che voi avete visto commettere
il terribile delitto. Il giudice ascolta attentamente e con molto
rispetto, ovviamente commosso da queste esternazioni più
che da tutta l'evidenza presentata dall'accusa. Non è un incu-
bo? Sareste disposti a vivere in un paese del genere? Oppu-
re, vi piacerebbe essere operati da un chirurgo che vi dice che,
ogni volta che una vocina interiore gli dice di non tener con-
to delle sue conoscenze mediche, lui le dà sempre ascolto?
Mi rendo conto che tra gente educata si rispetta l'opinione al-
trui, e nella maggior parte delle circostanze io coopero con tut-
to il cuore verso questo accordo pacifico. Ma qui stiamo seria-
mente cercando di arrivare alla verità, e se voi pensate che
questo accordo comune ma tacito sulla fede sia qualche cosa
di meglio di un offuscamento socialmente utile al fine di evita-
re di mettersi reciprocamente in imbarazzo e perdere la faccia,
allora avete esplorato l'argomento in maniera molto più
approfondita di quanto abbiano mai fatto i filosofi (dato che
nessun filosofo ha mai presentato una buona difesa di questa
tesi), oppure vi prendete in giro da soli. (Ora la palla è nel vo-
stro campo).
220
PARTE II. L'ORIGINE DELLA VITA
221
SIAMO STATI CREATI DA DIO?
(da “Lettera a una Nazione Cristiana”, Sam
Harris)
PERCHÉ ESISTIAMO?
(da "L'orologiaio cieco”, Richard Dawkins)
223
modo più chiaro e convincente di chiunque altro prima di lui.
La spiegazione vera è completamente diversa, e avrebbe do-
vuto attendere l'arrivo di uno dei pensatori più rivoluzionari
di tutti i tempi, Charles Darwin.
Paley comincia il suo "teologia naturale" con un famoso pas-
saggio:
Attraversando una brughiera, supponiamo che io urti il
piede contro una pietra, e che qualcuno mi chieda in che
modo la pietra sia venuta a trovarsi lì. Io potrei forse ri-
spondere che, per quanto ne so, quella pietra potrebbe
anche essere lì da sempre [..]. Supponiamo però che io
trovi al suolo un orologio, e che mi venga chiesto in che
modo l'orologio si trovasse lì. Io non potrei certo dare la
risposta di prima, cioè che, per quanto ne so, l'orologio
potrebbe essere lì da sempre.
Paley dimostra di saper apprezzare la differenza tra gli og-
getti fisici naturali, come le pietre, e gli oggetti pensati e pro-
dotti da un artefice, come gli orologi. Egli prosegue illustran-
do la precisione con cui sono costruiti gli ingranaggi e le molle
di un orologio e la complessità con cui sono montati. Se noi
trovassimo in una brughiera un oggetto come un orologio, an-
che se non sapessimo in che modo esso avesse avuto origine,
la sua stessa precisione e l'intricatezza del suo progetto ci co-
stringerebbero a concludere
che l'orologio deve aver avuto un artefice: che deve es-
sere esistito, in qualche tempo e in qualche posto, un ar-
tefice, o degli artefici, che lo crearono in vista dello sco-
po al quale noi vediamo che effettivamente risponde,
che ne comprendevano la struttura e ne idearono l'uso.
Nessuno potrebbe ragionevolmente dissentire da questa
conclusione. Paley insiste però che è proprio questo che l'ateo
fa, quando contempla le opere della natura, poiché
ogni indicazione di inventiva, ogni manifestazione di un
disegno intelligente che esistono nell'orologio esistono
anche nelle opere della natura; con la differenza che la
natura mostra queste cose con grandezza molto maggio-
224
re, fuori dalla portata di ogni calcolo.
Paley correda la sua tesi con belle e riverenti descrizioni del
meccanismo della vita, che egli esamina molto attentamente, a
cominciare dall'occhio umano; l'occhio è uno degli esempi
preferiti in questo genere di argomentazioni, esempio che sa-
rebbe stato usato in seguito anche da Darwin e che riappare
nell'intero corso di questo libro. Paley paragona l'occhio a uno
strumento progettato dall'uomo, come un telescopio, e conclu-
de che "si dimostra esattamente nello stesso modo che l'occhio
è stato costruito per vedere e che il telescopio è stato costruito
per aiutare l'occhio". L'occhio deve avere avuto un progettista
consapevole, esattamente come il telescopio.
L'argomentazione di Paley viene condotta con appassionata
sincerità e si avvale delle migliori conoscenze biologiche del
tempo, ma è sbagliata, clamorosamente e completamente
sbagliata. L'analogia fra il telescopio e l'occhio, fra l'orologio
e l'organismo vivente, è falsa. Nonostante tutte le apparenze
dicano il contrario, l'unico orologiaio in natura sono le cieche
forze della fisica, sebbene impiegate in un modo molto spe-
ciale. Un vero orologiaio ha la lungimiranza, la capacità di
prevedere: progetta i suoi ingranaggi e le sue molle e pianifica
le loro interconnessioni avendo in mente uno scopo futuro.
Invece la selezione naturale, quel processo cieco, inconsape-
vole, automatico, che fu scoperto da Darwin e che oggi sap-
piamo essere la spiegazione dell'esistenza e dello scopo
apparente di tutte le forme di vita, non ha in mente alcuno
scopo. Anzi non ha alcuna mente, né alcuna forma di co-
scienza. Non fa progetti per il futuro. Non ha una visione,
non ha capacità di previsione, non ha alcun tipo di vista. Se
si può dire che essa svolge il ruolo di orologiaio in natura,
allora è un orologiaio cieco.
Spiegherò tutto questo e molto altro. Ma una cosa che non
farò è sminuire il senso di meraviglia verso gli "orologi" viven-
ti che ispirò tanto Paley. Al contrario, cercherò di illustrare la
mia sensazione che Paley avrebbe potuto spingersi oltre.
Quando si tratta di provare stupore e meraviglia per gli "oro-
225
logi" viventi, io non mi sento secondo a nessuno. Sento di ave-
re più in comune con il reverendo William Paley che con il
ben noto filosofo moderno, ed ateo, con cui una volta discussi
la questione a cena. Io dissi che non riuscivo a immaginare
come si potesse essere atei prima del 1859, quando fu pubbli-
cata "l'origine della specie" di Darwin. "E che mi dici di
Hume?", rispose il filosofo. "In che modo Hume spiegò la
complessità organizzata del mondo vivente?", domandai io.
"Non la spiegò", rispose il filosofo. "Perché mai dovrebbe ri-
chiedere una spiegazione speciale?"
Paley sapeva che richiedeva una spiegazione speciale; Dar-
win lo sapeva, e sospetto che nel profondo del suo cuore lo sa-
pesse anche il mio amico filosofo. In ogni caso è questo il com-
pito che io mi propongo qui. Quanto a David Hume, a volte si
dice che il grande filosofo scozzese liquidò l'argomento del di-
segno intelligente un secolo prima di Darwin. Ma il contributo
di Hume si ridusse semplicemente a criticare la logica di usare
il disegno apparente in natura come una prova positiva a soste-
gno dell'esistenza di un Dio. Egli non offrì alcuna spiegazione
alternativa del disegno apparente, ma lasciò aperto il proble-
ma. Un ateo prima di Darwin avrebbe potuto dire, seguendo
Hume: "Io non ho alcuna spiegazione per il complesso dise-
gno biologico. Tutto ciò che so è che Dio non è una buona
spiegazione, per cui dobbiamo attendere e sperare che qualcu-
no ne trovi una migliore". Io non posso fare a meno di pensare
che una tale posizione, per quanto logicamente sana, non po-
tesse essere soddisfacente e che, per quanto l'ateismo possa
essere stato logicamente sostenibile prima di Darwin, soltan-
to Darwin abbia creato la possibilità di adottare un punto di
vista ateo con piena soddisfazione intellettuale.
L'EVOLUZIONE È CASUALE?
(da "L'orologiaio cieco”, Richard Dawkins)
231
RCDFYYYRM N DFSKD LD K WDWK
HKAUIZMZI UXDKIDISFUMDKUDXI
Mia figlia ha anche altri impegni importanti, per cui sono
stato costretto a programmare il computer per simulare l'ope-
ra di un bambino piccolo o una scimmia che battessero a caso
sulla tastiera:
WDLDMNLT DTJBKWIRZREZLMQCO P
Y YVMQKZPGJXWVHGLAWFVCHQYOPY
MWR SWTNUXMLCDLEUBXTQHNZVIQF
FU OVAODVYKDGXDEKYVMOGGS VT
HZQZDSFZIHIVPHZPETPWVOVPMZGF
GEWRGZRPBCTPGQMCKHFDBGW ZCCF
E così via. Non è difficile calcolare quanto tempo dovremo
ragionevolmente attendere perché il computer (o il bambino
piccolo o la scimmia) con questo sistema casuale produca la
frase METHINKS IT IS LIKE A WEASEL. Si pensi al numero
totale dei frasi possibili della lunghezza corretta che la scim-
mia o il bambino o il computer potrebbero digitare. È lo stesso
tipo di calcolo che abbiamo fatto per l'emoglobina, e produce
un risultato similmente grande. Nella prima posizione ci sono
27 lettere possibili (considerando anche lo spazio come una
lettera). Quindi la probabilità che la scimmia azzecchi subito
la prima lettera, la M, è una su 27. La probabilità di azzeccare
le prime due lettere - ME - è uguale alla probabilità di azzecca-
re la prima lettera, moltiplicata per la probabilità di azzeccare
la seconda lettera (la E), sapendo che la prima lettera è stata già
azzeccata. [E quest'ultima probabillità è sempre 1/27, perché il
fatto di aver azzeccato la prima lettera non rende più facile az-
zeccare la seconda, né più difficile. Infatti stiamo generando
lettere completamente a caso, senza tener conto delle lettere
precedenti.] Abbiamo perciò (1/27) x (1/27), che fa 1/729. La
probabilità che la scimmia azzecchi la prima parola (ME-
THINKS) è 1/27 per ciascuna delle otto lettere, cioè (1/27) x
(1/27) x (1/27) .... x (1/27) eccetera, otto volte, cioè 1/27 all'otta-
va potenza. La probabilità che azzecchi l'intera frase di 28 let-
tere è 1/27 alla ventottesima potenza, cioè 1/27 moltiplicato
232
per se stesso 28 volte. Questa è una probabilità molto piccola,
circa uno su 10.000 milioni di milioni di milioni di milioni di
milioni di milioni. Servirebbe molto tempo per ottenere la
frase che cerchiamo, per non parlare di battere a macchina le
opere complete di Shakespeare.
Quanto detto vale però quando selezioniamo variazioni ca-
suali con un singolo passo. Che dire della selezione cumulati-
va? Quanto è più efficace questo genere di selezione? La rispo-
sta è: molto, molto più efficace, forse più di quanto possiamo
renderci conto a prima vista, anche se, a rifletterci sopra un po'
di più, si vede che è una cosa quasi ovvia. Usiamo di nuovo la
nostra scimmia computerizzata, ma con una differenza deter-
minante nel suo programma. La scimmia comincia anche qui
scegliendo una sequenza casuale di 28 lettere, esattamente
come nel primo esperimento:
WDLMNLT DTJBKWIRZREZLMQCO P
Ma stavolta la scimmia "fa riprodurre" questa frase casua-
le. Ne fa tante copie, ma con una certa probabilità di errore
casuale ― mutazione ― nell'operazione di copiatura. Poi, il
computer esamina le varie frasi mutanti (i 'figli' della frase ori-
ginale) e sceglie quella che somiglia di più, anche di pochis-
simo, alla frase che costituisce il nostro obiettivo, ME-
THINKS IT IS LIKE A WEASEL. Il caso ha voluto che la frase
scelta per la prossima 'generazione' fosse:
WDLTMNLT DTJBSWIRZREZLMQCO P
Non è un miglioramento così evidente! Ma la procedura vie-
ne ripetuta: di nuovo dei 'figli' mutanti vengono 'fatti nascere'
dalla frase, e viene scelto un nuovo 'vincitore'. Questo prose-
gue generazione dopo generazione. Dopo 10 generazioni, la
frase scelta per 'riprodursi' era:
MDLDMNLS ITJISWHRZREZ MECS P
Dopo 20 generazioni era:
MELDINLS IT ISWPRKE Z WECSEL
A questo punto, con un po' di buona volontà possiamo ve-
dere una somiglianza alla frase che è il nostro obiettivo. Alla
generazione 30 non può esserci dubbio:
233
METHINGS IT ISWLIKE B WECSEL
La generazione 40 ci porta ad una sola lettera dall'obiettivo:
METHINKS IT IS LIKE I WEASEL
E l'obiettivo fu finalmente raggiunto alla generazione 43.
Una seconda esecuzione del programma al computer comin-
ciò casualmente con la frase:
Y YVMQKZPFfXWVHGLAWFVCHQXYOPY
E passò attraverso (di nuovo sto riportando solo una rigene-
razione ogni 10):
Y YVMQKSPFTXWSHLIKEFV HQYSPY
YETHINKSPITXISHLIKEFA WQYSEY
METHINKS IT ISSLIKE A WEFSEY
METHINKS IT ISBLIKE A WEASES
METHINKS IT ISJLIKE A WEASEO
METHINKS IT IS LIKE A WEASEP
E raggiunse la frase obiettivo alla generazione 64. Una terza
esecuzione del programma cominciò casualmente con
GEWRGZRPBCTPGQMCKHFDBGW ZCCF
E raggiunse METHINKS IT IS LIKE A WEASEL in 41 gene-
razioni di riproduzione selettiva.
Non importa il tempo esatto impiegato dal computer per
raggiungere l'obiettivo. [L'operazione richiese qualche minu-
to.] Ciò che conta è la differenza tra il tempo impiegato dalla
selezione cumulativa, e il tempo che lo stesso computer im-
piegherebbe per raggiungere l'obiettivo se fosse costretto a
usare la selezione a passo singolo: circa un milione di milio-
ni di milioni di milioni di milioni di anni. E questo è un mi-
lione di milioni di milioni di volte più dell'età dell'universo.
In realtà sarebbe più giusto dire che, in confronto al tempo ne-
cessario perché una scimmia o un computer programmato a
caso digiti la nostra frase obiettivo, l'età complessiva dell'uni-
verso è una quantità piccolissima e trascurabile [..]. Invece il
tempo impiegato dal computer funzionando sempre a caso
ma con il vincolo di operare una selezione cumulativa è una
quantità del tutto comprensibile per gli esseri umani, cioè tra
234
11 secondi e il tempo necessario per pranzare.
Quindi c'è una grande differenza tra la selezione cumulati-
va (in cui ogni miglioramento, per quanto minuscolo, viene
usato come base per la selezione futura), e la selezione a pas-
so singolo (in cui ogni tentativo ricomincia da zero). Se il
progresso evolutivo avesse dovuto affidarsi alla selezione a
passo singolo, non sarebbe arrivato da nessuna parte. Se tut-
tavia le condizioni necessarie per la selezione cumulativa ven-
gono prodotte dalle cieche forze della natura, le conseguenze
sono strane e meravigliose. Si dà il caso che proprio questo sia
successo su questo pianeta, e noi stessi siamo la più recente, se
non la più strana e meravigliosa, di queste conseguenze.
È sorprendente che ancora oggi dei calcoli come quello del-
l'emoglobina vengano usati come se fossero argomenti contro
la teoria di Darwin. Le persone che fanno questo, spesso
esperte in campi come l'astronomia o altro, sembrano credere
sinceramente che il darwinismo spieghi l'organizzazione vi-
vente in termini del puro caso ― cioè selezione a passo singo-
lo. Questa credenza che l'evoluzione darwiniana sia 'casuale'
non è soltanto falsa. È l'esatto opposto della verità. Il caso è
un ingrediente secondario nella ricetta darwiniana. L'ingre-
diente più importante è la selezione cumulativa che è cru-
cialmente non casuale. Le nuvole non sono capaci di inne-
scare una selezione cumulativa. Non c'è alcun meccanismo
per cui le nuvole di una certa forma possono produrre delle
nuvole figlie somiglianti al genitore. Se esistesse un tale
meccanismo, se una nuvola che assomiglia a una donnola o a
un cammello potesse dar luce a una discendenza di altre nu-
vole più o meno della stessa forma, la selezione cumulativa
avrebbe l'opportunità di prendere il via. Naturalmente di
tanto in tanto le nuvole si dividono e formano nuvole
'figlie', ma questo non basta per la selezione cumulativa. È
anche necessario che i figli di ogni data nuvola assomiglino
al 'genitore' più di quanto somigliano a ogni altra nuvola
nella 'popolazione'. Questo punto di importanza fondamenta-
le è apparentemente frainteso da alcuni dei filosofi che, negli
anni recenti, si sono interessati alla teoria della selezione natu-
235
rale. Inoltre la probabilità che una nuvola sopravviva e pro-
duca copie di se stessa deve dipendere dalla sua forma. Forse
in qualche distante galassia queste condizioni si sono verifica-
te, ed il risultato, se sono passati abbastanza milioni di anni, è
qualche forma di vita sfuggente ed eterea.
236
così simile che l'occhio umano può plausibilmente esser nato
da una singola alterazione di X. Se avete in mente un certo X e
non vi sembra plausibile che l'occhio umano possa nascere di-
rettamente da esso, significa semplicemente che avete scelto
l'X sbagliato. Rendete la vostra immagine mentale di X sempre
più simile a un occhio umano, finché non trovate un X che vi
sembra plausibile come predecessore immediato dell'occhio
umano. Deve essercene uno che faccia al caso vostro, anche se
la vostra idea di cosa è plausibile può essere più o meno teme-
raria della mia!
Adesso che abbiamo trovato un X tale che la risposta alla do-
manda 2 è sì, applichiamo la stessa domanda ad X stesso.
Con lo stesso ragionamento dobbiamo concludere che X può
plausibilmente essere nato, direttamente per un singolo
cambiamento, da qualcosa di leggermente diverso, che pos-
siamo chiamare X'. Ovviamente possiamo poi far risalire X' a
qualcosa di leggermente diverso, X'', così via. Interponendo
una serie abbastanza grande di questi X, possiamo derivare
l'occhio umano da qualcosa di non leggermente diverso, ma
di molto diverso. Possiamo in altre parole percorrere una
grande distanza attraverso lo 'spazio animale', e le nostre mos-
se saranno plausibili a patto che facciamo dei passi abbastanza
piccoli. Ora siamo nella posizione di rispondere a una terza
domanda.
3. Esiste una serie continua di X che connettono l'occhio
umano moderno a uno stato del tutto privo di occhi?
Mi pare ovvio che la risposta sia sì, a patto che ci concedia-
mo una serie abbastanza lunga di X. Potreste pensare che 1000
X siano molti, ma se vi servono più passi per rendere plausibi-
le l'intera transizione nella vostra mente, concedetevi sempli-
cemente di assumere 10.000 X. E se 10.000 non è abbastanza
per voi, concedetevi 100.000, e così via. Naturalmente il tempo
disponibile impone un limite superiore a questo gioco, per-
ché può esserci soltanto un X per ogni generazione. Quindi
in pratica la domanda si riduce a: c'è stato abbastanza tempo
per un numero sufficiente di generazioni successive? Non
possiamo dare una risposta precisa al numero di generazioni
237
che sarebbero necessarie. Ciò che sappiamo è che il tempo
geologico è spaventosamente lungo. Solo per darvi un'idea
dell'ordine di grandezza di cui stiamo parlando, il numero di
generazioni che ci separano dai nostri primi antenati si misura
certamente in migliaia di milioni. Dati, diciamo, 100 milioni di
X, dovremmo poter costruire una serie plausibile di minuscole
variazioni che collegano l'occhio umano praticamente a qua-
lunque altra cosa!
Finora, con un processo di ragionamento più o meno astrat-
to, abbiamo concluso che esiste una serie di X concepibili dove
ognuno è abbastanza simile ai suoi vicini da potersi realistica-
mente trasformare in uno dei suoi vicini, e dove l'intera serie
collega l'occhio umano all'assenza di occhi. Ma non abbiamo
ancora dimostrato che è plausibile che questa serie di X sia
esistita davvero. Abbiamo altre due domande a cui risponde-
re.
4. Considerando ogni membro di questa serie di X ipotetici
che connettono l'occhio umano all'assenza di occhi, è plausi-
bile che ognuno di essi sia stato prodotto da una mutazione
casuale del suo predecessore?
Questa è in realtà una domanda sullo sviluppo embrionale,
non sulla genetica. [...] La mutazione deve lavorare modifican-
do i processi esistenti di sviluppo embrionale. È ragionevole
che alcuni tipi di processi embrionali si prestino molto bene a
mutare in una certa direzione, ma siano recalcitranti a mutare
in altre direzioni. Tornerò su questa questione nel capitolo 11,
mentre qui mi limiterò ad enfatizzare di nuovo la differenza
tra piccoli e grandi cambiamenti. Più è piccolo il cambiamen-
to che postuliamo, cioè più è piccola la differenza tra X'' e X',
e più sarà plausibile la mutazione in questione dal punto di
vista embriologico. Nel capitolo precedente abbiamo visto, su
basi puramente statistiche, che ogni grande mutazione è in-
trinsecamente meno probabile di qualunque piccola mutazio-
ne. Quindi, qualunque problema possa nascere nella domanda
4, possiamo almeno dire che più rendiamo piccola la differen-
za tra ogni X' e il suo X'', minori saranno i problemi. Ho idea
che, a patto che la differenza tra i vicini intermedi della nostra
238
serie che conduce all'occhio sia abbastanza piccola, le mutazioni
necessarie si verificheranno quasi inevitabilmente. Dopotutto,
stiamo sempre parlando di piccoli cambiamenti quantitativi di
processi embrionali esistenti. Ricordate che, per quanto com-
plicato possa essere lo stato attuale in ogni data generazione,
ogni cambiamento di questo stato può essere molto piccolo e
molto semplice.
Dobbiamo rispondere a un'ultima domanda:
5. Considerando ciascun membro della serie di X che con-
nette l'occhio umano all'assenza di occhi, è plausibile che
ognuno di essi abbia funzionato abbastanza bene da aiutare
la sopravvivenza e la riproduzione dell'animale in questio-
ne?
Cosa piuttosto strana, alcuni hanno pensato che la risposta a
questa domanda sia evidentemente no. Per esempio, citando il
libro di Francis Hitching del 1982 intitolato "Il collo della giraf-
fa, ovvero dove Darwin si sbagliò". Avrei potuto prendere gli
stessi argomenti da qualunque trattato di un testimone di
Geova, ma ho scelto questo libro perché un editore rispettabile
(Pan Books Ltd) ha ritenuto opportuno pubblicarlo, nonostan-
te la grande quantità di errori che sarebbero stati rapidamente
individuati da un laureato in biologia disoccupato, o neppure
laureato, se solo gli fosse stato chiesto di dare un'occhiata al
manoscritto. [..]
Perché l'occhio possa funzionare, devono verificarsi le
seguenti condizioni minime perfettamente coordinate
(ce ne sono molte altre che accadono simultaneamente,
ma anche una descrizione rozza e semplificata è suffi-
ciente a mettere in luce i problemi della teoria di Dar-
win). L'occhio deve essere pulito e umido, mantenuto in
questo stato dall'interazione fra la ghiandola lacrimale e
le palpebre mobili, le cui ciglia fungono anche da rozzo
filtro contro il sole. La luce passa quindi attraverso una
piccola sezione trasparente del rivestimento protettivo
esterno (la cornea) e prosegue attraverso una lente, il cri-
stallino, che la concentra sulla parte posteriore della reti-
239
na. Qui 130 milioni di bastoncelli e coni sensibili alla
luce causano reazioni fotochimiche che trasformano la
luce in impulsi elettrici. Circa un miliardo di impulsi
elettrici vengono trasmessi ogni secondo, per mezzo di
un meccanismo che non è compreso perfettamente, a un
cervello che intraprende poi un'azione appropriata.
Ora, è del tutto chiaro che se si verifica un inconvenien-
te anche minimo in questo delicato meccanismo ― se la
cornea non è perfettamente trasparente, o la pupilla non
riesce a dilatarsi, o il cristallino si opacizza, o la messa a
fuoco non funziona ― non si forma un'immagine rico-
noscibile. L'occhio o funziona completamente o non
funziona affatto. Come è dunque possibile che esso si
sia evoluto attraverso dei miglioramenti darwiniani, len-
ti, costanti, infinitamente piccoli? E' davvero plausibile
che migliaia e migliaia di mutazioni casuali fortunate
si siano verificate per pura coincidenza, così che il cri-
stallino e la retina, che non possono lavorare l'uno sen-
za l'altra, si siano evoluti in sincronia? Quale valore di
sopravvivenza potrebbe esserci in un occhio che non
vede?
Questo ragionamento degno di nota viene riproposto spes-
so, presumibilmente perché le persone desiderano credere nella
sua conclusione. Consideriamo l'affermazione che "se si verifi-
ca un inconveniente anche minimo, [..] se la messa a fuoco non
funziona [..] non si forma un'immagine riconoscibile". C'è una
probabilità di circa 50% che tu stia leggendo queste parole con
gli occhiali. Togliti gli occhiali e guardati in giro. Sei d'accordo
che "non si forma un'immagine riconoscibile?". Se sei maschio,
c'è una probabilità di 1 su 12 che tu soffra di una forma di
acromatopsia o cecità ai colori. Potresti essere astigmatico.
Non è improbabile che, senza occhiali, la tua vista sia confusa
e annebbiata. Uno dei teorici dell'evoluzione più famosi di
oggi [..] si pulisce le lenti così di rado che è improbabile che
esca mai fuori da una tale confusione nebulosa, ma pare che se
la cavi abbastanza bene e, a quanto dice egli stesso, era solito
240
giocare a squash con un solo occhio. Se ti capita di perdere gli
occhiali, forse potrai offendere i tuoi amici non riconoscendoli
per strada, ma tu stesso saresti ancora più indignato se qual-
cuno ti dicesse: "Dal momento che la tua vista non è assoluta-
mente perfetta, tanto vale che tu vada in giro ad occhi chiusi
finché non ritrovi gli occhiali". Eppure questo è essenzialmen-
te ciò che sta suggerendo l'autore del passo appena citato.
Egli afferma anche, come se fosse una cosa ovvia, che il cri-
stallino e la retina non possono lavorare l'uno senza l'altra.
Sulla base di quale autorità? Una donna che conosco bene è
stata operata di cataratta a entrambi gli occhi. Non ha più il
cristallino in nessuno dei due occhi. Senza occhiali non po-
trebbe nemmeno provare a giocare a tennis o puntare un fuci-
le. Però mi ha assicurato che se la cava molto meglio con occhi
privi di cristallino che senza occhi. Senza cristallino ti rendi
conto se stai per sbattere contro un muro, o contro un'altra
persona. Un animale selvatico privo di cristallino sarebbe
ancora in grado di usare gli occhi per percepire la figura in-
combente di un predatore e la direzione da cui si avvicina. In
un mondo primitivo popolato da creature prive di occhi e da
altre con occhi senza cristallino, quelle con occhi senza cristal-
lino avrebbero avuto ogni sorta di vantaggi. Ed esiste una se-
rie continua di X tale che ogni minuscolo miglioramento nel-
la nitidezza dell'immagine, dalla sfocatura nebbiosa alla vi-
sione umana perfetta, aumenta plausibilmente le probabilità
di sopravvivenza dell'organismo.
Il libro prosegue citando Stephen Jay Gould, il noto paleon-
tologo di Harvard, che dice:
Evitiamo la domanda eccellente "A che cosa serve il 5
per cento di occhio?" rispondendo che il possessore di
questo genere di struttura primitiva non la utilizzava
per vedere.
È vero che un animale primitivo con il 5 percento di occhio
avrebbe potuto usarlo per qualcos'altro che la vista, ma mi
sembra almeno ugualmente probabile che lo usasse per ve-
dere al 5 per cento. E, sinceramente, non credo che sia una do-
241
manda eccellente. Vale benissimo la pena di avere una vista
che sia solo il 5 per cento della mia, o della tua, se l'alternati-
va è la cecità totale. E anche una vista all'1 per cento è meglio
della cecità totale. E 6 per cento è meglio di 5, il 7 per cento è
meglio di 6, e così via, in una serie graduale e continua.
242
gio, per quanto lieve. Noi dobbiamo chiederci quanto
possa essere remota questa somiglianza per avere un va-
lore selettivo. Possiamo veramente supporre che gli uc-
celli e le scimmie e anche le mantidi siano osservatori
così mirabili (o che lo siano alcuni di loro particolar-
mente abili) da notare una 'remota' somiglianza e igno-
rare la preda a causa di questa somiglianza? Io penso
che questo sia chiedere troppo.
Un tale sarcasmo si rivolta contro chiunque entri in un terri-
torio così malfermo come quello qui calcato da Goldschmidt.
Osservatori mirabili? Alcuni di loro particolarmente abili? C'è
qualcuno che pensa che gli uccelli e le scimmie abbiano benefi-
ciato dall'essere ingannati dalla remota somiglianza? Semmai
Goldschmidt avrebbe dovuto dire: "possiamo davvero assu-
mere che gli uccelli siano osservatori così mediocri (o che lo
siano alcuni di loro particolarmente stupidi)?".
Ciononostante, è vero che siamo in presenza di un rompica-
po. La somiglianza iniziale tra l'antenato dell'insetto stecco e
un ramoscello deve essere stata molto remota. Un uccello
avrebbe dovuto avere una visione estremamente mediocre
per esserne ingannato. Eppure la somiglianza di un insetto
stecco moderno ad un ramoscello è incredibilmente grande,
fino ai più minuscoli dettagli delle false gemme e delle false
cicatrici fogliari. Gli uccelli, la cui predazione selettiva ha
dato il tocco finale all'evoluzione degli insetti, devono aver
avuto, almeno nel complesso, una vista estremamente buo-
na. Devono essere stati estremamente difficili da ingannare,
altrimenti gli insetti non si sarebbero evoluti fino ai livelli
di mimetismo perfetto che vediamo oggi: sarebbero rimasti
in uno stato di mimetismo relativamente imperfetto. Come
possiamo risolvere questa contraddizione apparente?
Una possibile risposta suggerisce che la vista degli uccelli si
sia evoluta nello stesso arco di tempo evolutivo del mimeti-
smo degli insetti. Forse, per dirla scherzosamente, un insetto
ancestrale che somigliava solo per il 5% ad uno stronzo riusci-
va ad ingannare un uccello ancestrale che aveva solo il 5% di
243
vista. Ma non è questa la risposta che voglio dare. Infatti c'è
ragione di credere che l'intero processo di evoluzione del mi-
metismo, dalla somiglianza remota al mimetismo quasi perfet-
to, sia avvenuto molte volte indipendentemente, e rapidamen-
te, in diversi gruppi di insetti, durante un periodo in cui la vi-
sta degli uccelli è rimasta pressappoco buona come oggi.
[...]
Preferisco un'altra spiegazione. Cioè che, non importa quan-
to sia buona la vista di un predatore in certe condizioni, essa
può essere estremamente mediocre in altre condizioni. In
realtà, sulla base della nostra stessa esperienza personale, noi
siamo in grado di apprezzare facilmente l'intero ambito di va-
riazione da una vista molto imperfetta a una vista eccellente.
Se guardo direttamente un insetto stecco, a 20 centimetri dal
mio naso e in piena luce, non me ne lascerò ingannare. Noterò
le lunghe zampe che costeggiano la linea del torace e dell'ad-
dome. Potrei individuare l'innaturale simmetria che un vero
ramoscello non avrebbe. Però se io, con gli stessi occhi e lo
stesso cervello, sto camminando in una foresta al tramonto,
potrei benissimo non accorgermi di tutti gli insetti scuri sui
numerosi rami e ramoscelli. L'immagine dell'insetto potrebbe
essere proiettata alla periferia della mia retina, anziché nella
parte centrale che è più acuta. L'insetto potrebbe essere lonta-
no 10 metri e proiettare sulla mia retina solo un'immagine mi-
nuscola. La luce potrebbe essere così scarsa da non farmi ve-
dere praticamente niente.
In realtà, non importa quanto remota, quanto imperfetta
sia la somiglianza di un insetto ad un ramoscello, deve esi-
stere un qualche grado di penombra, o qualche grado di di-
stanza dall'occhio del predatore, o qualche grado di distra-
zione del predatore, tale che anche un occhio acutissimo ver-
rà ingannato da quella somiglianza remota. Se ciò non vi
sembra plausibile per qualche esempio particolare che avete in
mente, basta che diminuiate un pochino la quantità di luce
nella scena che avete immaginato, o che vi spostiate un po' più
lontano dall'oggetto immaginario! Il punto è che più di un in-
setto fu salvato da una somiglianza incredibilmente piccola a
244
un ramoscello o a una foglia o a un escremento, in un'occasio-
ne in cui si trovava molto lontano dal predatore, o in un'occa-
sione in cui il predatore lo stava guardando al tramonto, o at-
traverso la nebbia, o lo stava guardando mentre era distratto
da una femmina ricettiva. E più di un insetto fu salvato, forse
dal medesimo predatore, da una somiglianza molto buona a
un ramoscello, in un'occasione in cui il predatore lo guardava
relativamente da vicino e in buona luce.
La cosa importante nell'intensità della luce, nella distanza
dell'insetto dal predatore, nella distanza dell'immagine dal
centro della retina, e in tutte queste variabili, è che sono tut-
te variabili continue. Variano di quantità piccolissime e infini-
tesimali ricoprendo tutta la gamma, dall'estremo dell'invisibi-
lità all'estremo della visibilità. Queste variabili continue pro-
muovono un'evoluzione continua e graduale.
Il problema di Richard Goldschmidt ― che fu uno di una se-
rie di problemi che lo convinsero ad adottare, nella maggior
parte della sua vita professionale, la convinzione estrema che
l'evoluzione proceda per grandi balzi piuttosto che per pic-
coli passi ― si è rivelato un falso problema. E tra parentesi,
abbiamo dimostrato ancora una volta a noi stessi che una vi-
sta al 5% è meglio dell'assenza di vista. La qualità della mia
vista alla periferia della retina è probabilmente ancora meno
del 5% della qualità al centro della mia retina, se proprio vo-
gliamo dare una valutazione quantitativa della qualità. Eppu-
re, guardando con la coda dell'occhio, io riesco ancora a perce-
pire la presenza di un grande autocarro o di un autobus. Poi-
ché ogni giorno vado a lavorare in bicicletta, qualche volta
questo fatto mi ha probabilmente salvato la vita. Io mi accorgo
della differenza nei giorni in cui piove e porto un cappello. La
qualità della nostra visione in notte buia dev'essere molto infe-
riore al 5% di quella che è a mezzogiorno. Eppure più di un
nostro progenitore fu salvato probabilmente dall'aver visto
qualcosa di realmente importante, come ad esempio una tigre
dalle zanne a sciabola, o un precipizio, nel cuore della notte.
Ognuno di noi sa per esperienza personale, conseguita per
esempio in notti buie, che esiste una serie continua, graduale,
245
di sfumature infinitesimali, che percorre tutta la gamma dalla
cecità totale a una visione perfetta, e che ogni passo avanti in
questa serie conferisce benefici significativi. Guardando il
mondo attraverso un binocolo progressivamente messo a fuo-
co, possiamo convincerci facilmente che c'è una serie graduale
di qualità della messa a fuoco, dove ogni passo della serie è un
miglioramento rispetto al precedente. Se giriamo lentamente
la manopola del colore di un televisore, ci convinciamo che c'è
una serie graduale di miglioramenti progressivi dal bianco e
nero alla visione a colori. Il diaframma dell'iride che apre e
chiude la pupilla ci impedisce di essere accecati da una luce
viva, mentre ci permette di vedere quando la luce è poca. Tut-
ti sappiamo cosa si prova a non avere il diaframma dell'iri-
de, quando siamo temporaneamente accecati dai fari di
un'auto che sopraggiunge. Per quanto spiacevole e pericoloso
possa essere quest'accecamento, non significa che l'intero oc-
chio smetta di funzionare! L'affermazione che "l'occhio o fun-
ziona interamente o non funziona affatto" risulta essere non
solo falsa ma evidentemente falsa per chiunque rifletta per 2
secondi su questa esperienza familiare.
Torniamo alla domanda 5. Considerando ogni membro della
serie di X che connettono l'occhio umano all'assenza di occhi,
è plausibile che ognuno di essi abbia funzionato abbastanza
bene da aiutare la sopravvivenza e la riproduzione degli ani-
mali in questione? Ora abbiamo visto la stupidità dell'assun-
zione anti-evoluzionistica che la risposta sia "ovviamente no".
Ma la risposta è sì? E' meno ovvio, ma credo di sì. Non solo è
chiaro che una parte di occhio è meglio che niente occhi, ma
riusciamo anche a trovare una serie plausibile di strutture
oculari intermedie tra gli animali moderni. Questo non signi-
fica, naturalmente, che questi intermediari moderni rappre-
sentino davvero i tipi ancestrali. Ma dimostra che delle strut-
ture intermedie sono in grado di funzionare.
246
QUAL È L'EVIDENZA PER L'EVOLUZIONE?
(da “L'Illusione di Dio”, Richard Dawkins)
257
Darwin ci ha permesso di dare una risposta sensata al bambi-
no curioso la cui domanda dà il titolo a questo capitolo. Non
dobbiamo più ricorrere alla superstizione quando ci trovia-
mo di fronte ai problemi profondi: la vita ha un significato?
Perché esistiamo? Che cosa è l'uomo? Dopo aver posto l'ulti-
ma di queste domande, l'eminente zoologo G. G. Simpson si
espresse come segue: "Quello che voglio enfatizzare adesso è
che tutti i tentativi di rispondere a questa domanda prima
del 1859 sono privi di valore, e faremmo meglio ad ignorarli
completamente". Oggi la teoria dell'evoluzione non è sog-
getta a dubbi più di quanto lo sia la teoria che la terra gira
intorno al sole, ma le implicazioni vere della rivoluzione di
Darwin devono ancora essere largamente comprese. La zoo-
logia è ancora una materia secondaria nelle università, ed an-
che coloro che scelgono di studiarla prendono spesso questa
decisione senza apprezzare il suo profondo significato filosofi-
co. La filosofia e le materie cosiddette umanistiche vengono
ancora insegnate come se Darwin non fosse mai vissuto. Non
c'è dubbio che questo cambierà col tempo. Comunque, questo
libro non va inteso come un'apologia generale del darwini-
smo. Invece, esplorerà le conseguenze della teoria dell'evolu-
zione in una questione particolare. Il mio scopo è esaminare
la biologia dell'egoismo e dell'altruismo.
A parte il suo interesse accademico, l'importanza umana di
questa materia è ovvia. Tocca ogni aspetto delle nostre vite so-
ciali, il nostro amare e odiare, combattere e cooperare, il no-
stro donare e rubare, la nostra cupidigia e generosità. Anche
altri libri come "On Aggression" di Lorenz e "The social con-
tract" di Ardrey avrebbero potuto accampare quest'obiettivo.
Il guaio di questi libri è che i loro autori hanno sbagliato
completamente tutto. Hanno sbagliato perché hanno frainte-
so il modo in cui funziona l'evoluzione. Hanno fatto l'assun-
zione errata che la cosa importante nell'evoluzione sia il
bene della specie (o del gruppo) anziché il bene dell'indivi-
duo (o del gene). [..] Prima di incominciare il mio argomento,
vorrei spiegare brevemente che tipo di argomento è, e che tipo
di argomento non è. Se ci dicessero che un uomo ha vissuto a
258
lungo, ed ha fatto carriera, nel mondo della malavita di Chi-
cago, ci sentiremo legittimati a fare delle assunzioni su che
tipo di uomo fosse. Potremo aspettarci che abbia alcune quali-
tà come la durezza, il grilletto facile, e la capacità di attrarre
amici leali. Queste non sarebbero deduzioni infallibili, tuttavia
è lecito fare delle inferenze [deduzioni] sul carattere di un
uomo se sai qualcosa della condizione in cui egli è sopravvis-
suto ed ha fatto carriera. L'argomento di questo libro è che
noi, e tutti gli altri animali, siamo macchine create dai nostri
geni. Come i gangster di successo a Chicago, i nostri geni
sono sopravvissuti, in alcuni casi per milioni di anni, in un
mondo altamente competitivo. Questo ci legittima ad aspet-
tarci delle precise qualità nei nostri geni. Io sosterrò che una
qualità predominante da aspettarsi in un gene di successo
sia il totale egoismo. Questo egoismo del gene di solito pro-
durrà egoismo nel comportamento dell'individuo che pos-
siede quel gene. Però, come vedremo, ci sono circostanze
speciali in cui un gene può realizzare al meglio i suoi obiet-
tivi egoistici incoraggiando una forma limitata di altruismo
al livello dei singoli animali. "Speciale" e "limitata" sono pa-
role importanti in quest'ultima frase. Per quanto ci piaccia cre-
dere diversamente, l'amore universale e il bene della specie
nel suo complesso sono concetti che semplicemente non han-
no alcun senso, evolutivamente parlando.
Questo mi porta alla prima cosa da puntualizzare su cosa
questo libro non è. Io non sto sostenendo una moralità basata
sull'evoluzione. Io sto dicendo come le cose si sono evolute.
Non sto dicendo come noi esseri umani dovremmo compor-
tarci moralmente. Vorrei enfatizzare questo punto, perché so
che corro il pericolo di essere frainteso da quelle persone, mol-
to numerose, che non riescono a distinguere una dichiarazione
di credenza in ciò che è vero da una dichiarazione di credenza
in ciò che dovrebbe essere. La mia convinzione è che una so-
cietà umana basata semplicemente sulla legge genetica del-
l'egoismo universale sarebbe una orribile società in cui vive-
re. Ma, sfortunatamente, non importa quanto possiamo deplo-
rare qualcosa, questo non la fa smettere di essere vera. Questo
259
libro è scritto soprattutto per essere interessante, ma se volete
estrarne una morale, considerate questo un avvertimento. Sia-
te avvertiti che se volete, come me, costruire una società in
cui gli individui cooperano generosamente e altruisticamen-
te verso un bene comune, potete aspettarvi poco aiuto della
natura biologica. Cerchiamo di insegnare la generosità e l'al-
truismo, perché siamo nati egoisti. Comprendiamo quali
sono gli obiettivi dei nostri geni egoisti, perché allora po-
tremmo almeno avere la possibilità di sventare i loro piani,
cosa che nessun'altra specie ha mai aspirato a fare.
Come corollario a queste osservazioni sull'insegnamento, va
precisato che è una fallacia ― molto comune ― supporre che
delle caratteristiche ereditate geneticamente siano per defini-
zione fisse ed immutabili. I nostri geni possono istruirci ad
essere egoisti, ma non siamo necessariamente obbligati ad
obbedire loro per tutta la nostra vita. Potrebbe soltanto essere
più difficile imparare l'altruismo di quanto lo sarebbe se fossi-
mo geneticamente programmati per essere altruisti. Tra gli
animali, l'uomo è l'unico dominato dalla cultura, dalle in-
fluenze apprese e tramandate. Alcuni direbbero che la cultura
è così importante che i geni, egoisti o meno, sono virtualmente
irrilevanti per la nostra comprensione della natura umana. Al-
tri non sarebbero d'accordo. Dipende tutto da dove vi colloca-
te nel dibattito "natura contro cultura" come determinanti de-
gli attributi umani. Questo mi porta alla seconda cosa che que-
sto libro non è: non è una difesa di una posizione o l'altra nella
controversia natura/cultura. Naturalmente ho le mie opinioni
su questo, ma non le esprimerò, se non implicitamente nella
visione della cultura che presenterò nell'ultimo capitolo. Se i
geni si rivelano totalmente irrilevanti per la determinazione
del moderno comportamento umano, se siamo davvero unici
tra gli animali in questo aspetto, quantomeno è ancora interes-
sante indagare sulla regola di cui siamo recentemente diventa-
ti l'eccezione. E se la nostra specie non è così eccezionale come
ci farebbe piacere pensare, è ancora più importante che studia-
mo questa regola.
La terza cosa che questo libro non è: non è una descrizione
260
dettagliata del comportamento dell'uomo o di qualunque altra
specie animale. Userò i dettagli fattuali solo come esempi illu-
strativi. Non dirò "se guardate il comportamento dei babbuini
scoprirete che sono egoisti; quindi c'è un'alta probabilità che
anche il comportamento umano sia egoista". La logica del mio
argomento del "gangster di Chicago" è molto diversa. È la se-
guente. Gli umani e i babbuini si sono evoluti per selezione
naturale. Se guardate il modo in cui funziona la selezione na-
turale, sembra predire che qualunque cosa si evolve per sele-
zione naturale debba essere egoista. Quindi, quando andiamo
ad osservare comportamento dei babbuini, degli umani, e di
tutte le altre creature viventi, dobbiamo aspettarci che siano
egoisti. Se ci accorgiamo che la nostra aspettativa è sbagliata,
ad esempio perché il comportamento umano è davvero al-
truistico, allora siamo di fronte a qualcosa di strano, qualco-
sa che ha bisogno di una spiegazione.
Prima di procedere, ci serve una definizione. Un'entità,
come un babbuino, si dice altruista se si comporta in modo
tale da migliorare le condizioni di vita di un'altra entità si-
mile alle spese di se stessa. Il comportamento egoistico ha
esattamente l'effetto opposto. "Condizioni di vita" è definito
come "probabilità di sopravvivenza", anche se l'effetto sulle
vere prospettive di vita e di morte è così piccolo da sembrare
trascurabile. Una delle sorprendenti conseguenze della versio-
ne moderna della teoria di Darwin è che influenze apparente-
mente minuscole ed irrilevanti sulla probabilità di sopravvi-
venza possono avere un enorme impatto sull'evoluzione.
Questo a causa dell'enorme quantità di tempo disponibile,
che fa sì che anche delle influenze minuscole acquistino peso
notevole.
È importante capire che le definizioni di cui sopra di altrui-
smo ed egoismo sono comportamentali, non soggettive. Qui
non mi sto preoccupando della psicologia degli scopi. Non
mi sto chiedendo se le persone che si comportano altruistica-
mente lo stanno facendo in realtà per scopi segretamente o in-
consciamente egoistici. Forse lo stanno facendo e forse no, e
forse non lo sapremo mai, ma in ogni caso non è di questo che
261
parla il libro. La mia definizione si preoccupa solo se la conse-
guenza di un'azione aumenta o diminuisce le prospettive di
sopravvivenza del presunto altruista e le prospettive di so-
pravvivenza del presunto beneficiario.
È molto complicato dimostrare gli effetti del comportamento
sulle prospettive di sopravvivenza a lungo termine. Nella pra-
tica, quando applichiamo la definizione al comportamento
reale, dobbiamo qualificarla con la parola "apparentemente".
Un atto apparentemente altruistico è un atto che, superficial-
mente, sembra aumentare (anche di pochissimo) le probabi-
lità che l'altruista muoia, e che il beneficiario sopravviva.
Spesso, guardando da vicino, si scopre che alcuni atti di
apparente altruismo sono in realtà atti di egoismo dissimu-
lati. Ancora una volta, non voglio dire che gli scopi soggiacen-
ti siano segretamente egoistici, ma che l'effetto reale dell'azio-
ne sulle prospettive di sopravvivenza sono il contrario di ciò
che in origine si pensava.
Vorrei dare ora qualche esempio di comportamento appa-
rentemente egoistico e apparentemente altruistico. È difficile
sopprimere atteggiamenti di pensiero soggettivi quando si
parla della nostra specie, quindi sceglierò esempi da altri ani-
mali. Prima alcuni esempi di comportamento egoista in singoli
animali.
I gabbiani dalla testa nera nidificano in grandi colonie, con i
nidi separati soltanto di pochi metri l'uno dall'altro. Quando i
piccoli escono fuori dall'uovo sono indifesi, piccoli, e facili da
ingoiare. È molto comune che un gabbiano aspetti fino a che
un gabbiano vicino volta le spalle, forse perché si è allontanato
per pescare, e poi si sporga verso il nido del vicino ed ingoi
uno dei suoi piccoli tutto intero. In questo modo ottiene un
buon pasto nutriente, senza doversi prendere la briga di al-
lontanarsi per pescare un pesce, e senza dover lasciare il pro-
prio nido privo di protezione.
Più noto è il macabro cannibalismo nella mantide religiosa
femmina. Le mantidi sono grandi insetti carnivori. Normal-
mente mangiano insetti più piccoli come le mosche, ma attac-
262
cano quasi qualunque cosa che si muova. Quando si accoppia-
no, il maschio striscia cautamente sulla femmina, la monta e
avviene la copulazione. Se la femmina ne ha la possibilità, ella
lo mangia, per prima cosa strappandogli via la testa con un
morso, o mentre il maschio si sta avvicinando, o immediata-
mente dopo l'accoppiamento, o dopo che si sono separati. Po-
trebbe sembrare più logico per lei aspettare fino alla fine della
copulazione prima di cominciare a mangiarlo. Ma la perdita
della testa non sembra impedire al resto del corpo del ma-
schio di continuare l'atto sessuale. Anzi, visto che la testa del-
l'insetto è la sede di alcuni centri nervosi inibitori, è possibile
che la femmina aumenti la performance sessuale del maschio
mangiandogli la testa. Se è così, questo è un beneficio aggiun-
tivo. Quello primario è che ottiene un buon pasto.
La parola "egoistico" potrebbe sembrare un po' sottotono per
casi estremi come il cannibalismo, sebbene questi si adattino
molto bene alla nostra definizione. Forse riusciremo a simpa-
tizzare più facilmente con il comportamento codardo dei pin-
guini imperatori dell'antartico. Questi pinguini sono stati visti
fermi in piedi ai bordi dell'acqua, esitanti a tuffarsi, a causa
del pericolo di essere mangiati dalle foche. Se solo uno di essi
si tuffasse, il resto di loro saprebbe se c'è una foca o no. Na-
turalmente nessuno vuole fungere da capro espiatorio, così at-
tendono, e a volte cercano persino di spingersi l'un l'altro in
acqua.
Un comportamento egoistico più comune potrebbe consiste-
re semplicemente nel rifiutarsi di condividere qualche risorsa
di valore come il cibo, il territorio, o il partner sessuale. Ades-
so vediamo qualche esempio di comportamento apparente-
mente altruistico.
L'abitudine delle api operaie di pungere è una difesa molto
efficace contro i ladri di miele. Ma le api che effettuano la
puntura sono in realtà combattenti kamikaze. Nell'atto di
pungere, degli organi interni vitali vengono in genere strappa-
ti via del corpo, e l'ape stessa muore poco dopo. La sua missio-
ne suicida potrebbe aver salvato le riserve vitali di cibo della
sua colonia, ma lei non vivrà per trarne beneficio. Per la no-
263
stra definizione, questo è un atto di comportamento altruisti-
co. Ricordate che non stiamo parlando di scopi consapevoli.
Questi possono esserci o non esserci, sia qui che negli esempi
egoistici, ma sono irrilevanti nella nostra definizione.
Donare la propria vita per quella degli amici è ovviamente
un atto altruistico, ma lo è anche l'atto di assumersi un piccolo
rischio per essi. Molti piccoli uccelli, quando vedono un pre-
datore volante come un falco, emettono un caratteristico "ri-
chiamo d'allarme", in conseguenza del quale l'intero stormo
comincia un'appropriata azione evasiva. C'è evidenza indiret-
ta che l'uccello che dà l'allarme mette se stesso in un pericolo
speciale, perché attrae l'attenzione del predatore particolar-
mente verso di sé. Questo è soltanto un piccolo rischio ag-
giuntivo, ciononostante sembra, almeno a prima vista, qualifi-
carsi come atto altruistico secondo la nostra definizione.
Gli atti di altruismo animale più comuni e cospicui sono
compiuti dai genitori, specialmente le madri, verso i loro fi-
gli. Possono covarli, o nei nidi o nei loro stessi corpi, nutrirli
con enormi costi per se stesse, e correre grossi rischi per pro-
teggerli dai predatori. Per fare soltanto un esempio, molti uc-
celli che nidificano al suolo effettuano una cosiddetta "azione
diversiva" quando si avvicina un predatore come una volpe.
L'uccello genitore si allontana dal nido zoppicando, facendo
pendere un'ala come se fosse rotta. Il predatore, intuendo una
preda facile, è portato ad allontanarsi dal nido che contiene i
piccoli. Finalmente il genitore termina lo sceneggiato e vola
via in aria giusto in tempo per sfuggire alle fauci della volpe.
Probabilmente ha salvato la vita dei suoi piccoli, ma ha corso
qualche rischio per se stessa.
264
dell'individuo. Questo libro mostrerà come sia l'egoismo indi-
viduale sia l'altruismo individuale vengano spiegati dalla leg-
ge fondamentale che chiamo egoismo del gene. Ma prima devo
discutere di una particolare spiegazione errata dell'altruismo,
perché è molto diffusa, ed anche molto insegnata nelle scuole.
Questa spiegazione è basata sul fraintendimento che ho già
menzionato, che le creature viventi si evolvano per fare delle
cose "per il bene della specie" o "per il bene del gruppo". È
facile vedere come quest'idea abbia potuto nascere nella biolo-
gia. La maggior parte della vita di un animale è dedicata alla
riproduzione, e la maggior parte degli atti di sacrificio altrui-
stico che si osservano in natura sono compiuti dai parenti ver-
so i figli. "La perpetuazione della specie" è un eufemismo co-
mune per indicare la riproduzione, ed è innegabilmente una
conseguenza della riproduzione. Basta un piccolo errore di logi-
ca per dedurre che la "funzione" della riproduzione sia di per-
petuare la specie. Da questo, basta un ulteriore breve passo
falso per concludere che gli animali in generale si comportano
in modo tale da favorire la perpetuazione della specie. Sembra
seguirne che esista l'altruismo nei confronti dei membri della
stessa specie.
Questa linea di pensiero si può anche esprimere in termini
vagamente darwiniani. L'evoluzione funziona per selezione
naturale, e selezione naturale significa la sopravvivenza diffe-
renziata del più "adatto". Ma stiamo parlando dell'individuo
più adatto, della razza più adatta, della specie più adatta, o
che cosa altro? Per alcuni scopi questo non è molto importan-
te, ma quando si parla di altruismo è ovviamente cruciale. Se
sono le specie a competere in ciò che Darwin chiama la lotta
per l'esistenza, sembra che l'individuo giochi, al massimo, il
ruolo di pedina, sacrificabile quando lo richiede l'interesse
della specie nel suo complesso. Per metterla in termini legger-
mente più rispettabili: un gruppo (come una specie o una po-
polazione all'interno di una specie) i cui membri individuali
siano pronti a sacrificare se stessi per il bene del gruppo, po-
trebbe avere meno probabilità di estinguersi rispetto a un
gruppo rivale i cui membri individuali antepongono i propri
265
interessi egoistici a qualunque altra cosa. Quindi il mondo
diviene popolato principalmente di gruppi costituiti da indi-
vidui che tendono a sacrificare se stessi. Questa è la teoria
della "selezione di gruppo", per molto tempo accettata per
vera da biologi che non avevano familiarità con i dettagli della
teoria evoluzionistica, pubblicata nel famoso libro di V. C.
Wynne-Edwards, e resa popolare da Robert Ardrey in "The
Social Contract". L'alternativa ortodossa è normalmente chia-
mata "selezione individuale", sebbene io personalmente prefe-
risca parlare di selezione del gene.
La risposta veloce all'argomento della selezione di gruppo
potrebbe essere come segue. Anche in un gruppo altruistico,
ci sarà quasi certamente una minoranza ribelle che si rifiuta
di compiere alcun sacrificio. Se c'è anche un solo ribelle
egoista, pronto a sfruttare l'altruismo degli altri, allora lui,
per definizione, ha più probabilità degli altri di sopravvive-
re e di avere figli. Ognuno di questi figli tenderà ad eredita-
re i suoi tratti egoistici. Dopo molte generazioni di questa
selezione naturale, il "gruppo altruistico" sarà diventato
meno numeroso, fino ad essere numericamente indistingui-
bile dal gruppo egoistico. Anche se vogliamo concedere l'im-
probabile esistenza iniziale di un gruppo puramente altruisti-
co senza alcun ribelle, è molto difficile vedere cosa impedisca
ad individui egoisti di migrare da gruppi egoistici vicini, e, ac-
coppiandosi con loro, di contaminare la purezza del gruppo
altruistico.
Il selezionista individuale non nega che i gruppi si estinguo-
no, e che l'estinzione di un gruppo possa essere influenzata
dal comportamento degli individui di quel gruppo. Potrebbe
anche ammettere che, se solo gli individui di un gruppo
avessero il dono della lungimiranza, potrebbero capire che,
a lungo termine, la cosa migliore per loro è resistere alle ten-
denze egoistiche, per impedire la distruzione dell'intero
gruppo. Quante volte questa cosa è stata detta negli anni re-
centi alla classe operaia della Gran Bretagna? Ma l'estinzione
di un gruppo è un processo lento rispetto alla rapida morsa
di eventi nella competizione individuale. Anche quando il
266
gruppo sta lentamente e inesorabilmente declinando, ci sono
individui egoistici che fanno carriera a breve termine, alle spe-
se degli altruisti. I cittadini della Gran Bretagna possono ave-
re o non avere il dono della lungimiranza, ma l'evoluzione è
cieca al futuro.
Sebbene la teoria della selezione di gruppo goda oggi di
poco sostegno in quei circoli di biologi professionisti che com-
prendono l'evoluzione, è molto accattivante intuitivamente.
Molte generazioni successive di studenti di zoologia restano
sorpresi, quando escono da scuola, di scoprire che questo non
è il punto di vista ortodosso. Non si possono colpevolizzare
per questo, perché nella "guida per insegnanti di biologia di
Nuffield", scritta per insegnanti di biologia di livello avanzato
in Gran Bretagna, troviamo ciò che segue: "Negli animali su-
periori, il comportamento può assumere la forma di suicidio
individuale per assicurare la sopravvivenza della specie".
L'autore anonimo di questa guida è beatamente ignorante del
fatto che ha appena detto qualcosa di controverso. In questo è
accompagnato da alcuni vincitori di premi Nobel. Konrad Lo-
renz, in "sull'aggressione", dice che il comportamento aggres-
sivo ha delle funzioni di "preservazione delle specie", e che
una di queste funzioni sia assicurarsi che solo gli individui più
adatti riescano a riprodursi. Questa è una gemma di argomen-
to circolare, ma ciò che voglio evidenziare è che l'idea della se-
lezione di gruppo è così radicata che Lorenz, come l'autore
della "guida Nuffield", evidentemente non capiva che la sua
affermazione contraddiceva la teoria darwiniana ortodossa.
Recentemente ho udito un esempio delizioso di questa stes-
sa cosa in un altrimenti eccellente programma televisivo della
BBC sui ragni australiani. L' "esperto" del programma osserva-
va che la grande maggioranza dei ragni appena nati finisce
per essere preda di altre specie e poi continuava: "forse questo
è il vero scopo della loro esistenza, poiché solo pochi di essi
hanno bisogno di sopravvivere perché la specie sia preserva-
ta"! Robert Ardrey, ne "Il contratto sociale", utilizzò la teoria
della selezione di gruppo per spiegare l'ordine sociale nel suo
complesso. Chiaramente egli considera l'uomo una specie che
267
ha deviato dal percorso di rettitudine seguito dagli altri ani-
mali. Almeno Ardrey è stato accurato. La sua decisione di di-
staccarsi dalla teoria ortodossa è stata una decisione conscia, e
questo gli va riconosciuto.
Forse una delle ragioni per cui la teoria della selezione di
gruppo è accattivante è che è molto in linea con gli ideali poli-
tici e morali che la maggior parte di noi condividono. Fre-
quentemente potremmo comportarci egoisticamente come in-
dividui, ma nei nostri momenti più idealistici onoriamo e am-
miriamo quelli che antepongono il bene degli altri al proprio.
Però ci impasticciamo un po' quando si tratta di decidere l'in-
terpretazione della parola "altri". Spesso l'altruismo all'inter-
no di un gruppo va di pari passo con l'egoismo tra i gruppi.
Questo sta alla base delle corporazioni. Su un livello diverso,
la nazione è il più grande beneficiario del nostro sacrificio al-
truistico di noi stessi, e ci si aspetta che dei giovani uomini
muoiano per il bene maggiore della patria nel suo complesso.
Inoltre, essi vengono incoraggiati ad uccidere altri individui
dei quali non sanno nulla tranne che appartengono a una na-
zione diversa. (Curiosamente, gli appelli agli individui in tem-
po di pace perché facciano qualche piccolo sacrificio, con la
stessa frequenza con cui aumentano i loro standard di vita,
sembrano essere meno efficaci degli appelli agli individui in
tempo di guerra perché donino la propria vita.)
Recentemente c'è stata una reazione contro il razzismo e il
patriottismo, e una tendenza a sostituire la specie umana nel
suo complesso come oggetto del nostro altruismo. Questo al-
largamento all'umanità dell'obiettivo del nostro altruismo ha
una conseguenza interessante, che, ancora una volta, sembra
sostenere l'idea del "bene della specie" in evoluzione. I politici
liberali, che normalmente sono quelli che parlano con maggio-
re convinzione dell'etica di specie, ora si indignano fortemente
verso le persone che si spingono un po' oltre nell'allargamento
dell'altruismo, in modo da includere anche altre specie. Se
dico che sono più interessato ad impedire il massacro delle ba-
lene di quanto sia interessato a migliorare le condizioni dome-
stiche delle persone, è probabile che alcuni miei amici restino
268
sconvolti. C'è l'antico e profondo sentimento che i membri
della propria specie meritino una considerazione morale
speciale rispetto ai membri di altre specie. Uccidere persone
al di fuori della guerra è, tra i crimini più comuni, quello che
viene punito più severamente. L'unica cosa che è vietata più
fortemente dalla nostra cultura è mangiare le persone (anche
se sono già morte). Però mangiamo con piacere i membri di
altre specie. Molti di noi rabbrividiscono quando viene giu-
stiziato anche il più orribile dei criminali umani, mentre tol-
leriamo allegramente il massacro senza processo di animali
che causano inconvenienti piuttosto secondari. Addirittura
uccidiamo membri di altre specie innocue per divertimento
o come diversivo. Un feto umano, che non possiede senti-
menti umani più di quanto li possieda un'ameba, gode di
una reverenza e di una protezione legale che sorpassano di
gran lunga quelle garantite ad uno scimpanzé adulto. Eppu-
re lo scimpanzé sente, pensa, e ― secondo recente evidenza
sperimentale ― è persino capace di imparare una forma di
linguaggio umano. Il feto appartiene alla nostra specie, e per
questo acquisisce automaticamente privilegi speciali e dirit-
ti. Io non so se questa etica dello "specismo", per usare il ter-
mine di Richard Ryder, sia sul piano logico più coerente e
sostenibile del "razzismo". Ciò che so è che non ha alcuna
base scientifica nella biologia evoluzionistica.
La controversia nell'etica umana su quale sia il livello giusto
in cui l'altruismo è desiderabile ― la famiglia, la patria, la raz-
za, la specie, o tutte le cose viventi ― è accompagnato da una
parallela controversia in biologia sul livello a cui ci si deve at-
tendere altruismo secondo la teoria dell'evoluzione. Anche il
sostenitore della selezione di gruppo non si sorprenderebbe di
trovare membri di gruppi rivali che si comportano in modo
ostile tra di loro: in questo modo, come i membri di un sinda-
cato o i soldati, essi favoriscono il proprio gruppo nella com-
petizione per risorse limitate. Ma allora vale la pena di chie-
dere al sostenitore della selezione di gruppo come decide
quale livello è quello importante. Se la selezione avviene tra i
gruppi diversi all'interno di una specie, e tra le specie, perché
269
non dovrebbe anche avvenire tra raggruppamenti più larghi?
Le specie si raggruppano in generi, i generi in ordini, e gli or-
dini in classi. I leoni e le antilopi appartengono entrambi alla
classe dei mammiferi, come noi. Allora non dovremmo aspet-
tarci che i leoni si astengano dall'uccidere le antilopi, "per il
bene dei mammiferi"? Certamente dovrebbero cacciare gli uc-
celli o i rettili piuttosto, al fine di impedire l'estinzione della
classe. Ma allora, che dire del bisogno di perpetuare l'intero fi-
lone dei vertebrati?
È semplice per me ridurre all'assurdo queste tesi, ed eviden-
ziare le difficoltà della teoria di selezione di gruppo, ma resta
ancora da spiegare l'evidente esistenza dell'altruismo indivi-
duale. Ardrey arriva a dire che la selezione di gruppo è l'unica
spiegazione possibile per un comportamento come i "salti"
delle gazzelle di Thomson. Questo salto vigoroso ed eclatante
della gazzella di fronte al predatore è l'analogo dei richiami
d'allarme degli uccelli, poiché sembra avvisare i compagni del
pericolo mentre apparentemente attira l'attenzione del preda-
tore sulla gazzella stessa che effettua il salto. Abbiamo la re-
sponsabilità di spiegare questi fenomeni, ed è ciò che io af-
fronterò nei capitoli successivi.
Prima di far ciò devo argomentare la mia credenza che il
modo migliore di guardare l'evoluzione sia in termini di se-
lezione che avviene al livello più basso di tutti. In questa
mia opinione sono stato influenzato pesantemente dal grande
libro di G. C. Williams "Adaptation and natural selection". [..].
Avanzerò la tesi che l'unità fondamentale di selezione, e
quindi dell'interesse egoistico, non è la specie, né il gruppo,
e neppure, in senso stretto, l'individuo. È il gene, cioè l'unità
di ereditarietà. Per alcuni biologi potrebbe sembrare un punto
di vista estremo. Spero che, quando capiranno cosa intendo,
saranno d'accordo che, in sostanza, è un punto di vista orto-
dosso, sebbene espresso in un modo non familiare. [..]
270
SPIRALI IMMORTALI
(da “Il gene egoista”, Richard Dawkins)
276
corpo? La risposta è variabile. A volte una lettura prevale sul-
l'altra. Nell'esempio del colore degli occhi, la persona finireb-
be per avere occhi marroni: le istruzioni per produrre occhi
blu sarebbero ignorate durante la costruzione del corpo, seb-
bene questo non impedisca che siano trasmesse alle future ge-
nerazioni. Un gene che viene ignorato in tale modo si chiama
"recessivo". L'opposto di un genere recessivo è un gene "domi-
nante". Il gene per gli occhi marroni è dominante sul gene per
gli occhi blu. Una persona ha gli occhi blu solo se entrambe le
copie della pagina rilevante sono unanimi nel prescrivere oc-
chi blu. Più spesso, quando due geni alternativi non sono
identici, il risultato è un qualche tipo di compromesso ― il
corpo è costruito con una soluzione intermedia, o in un modo
completamente diverso.
Quando due geni, come il gene dell'occhio marrone e del-
l'occhio blu, sono rivali per la stessa posizione su un cromoso-
ma, si chiamano alleli l'uno dell'altro. Per i nostri scopi, la pa-
rola allele è sinonimo di rivale. Immaginate i volumi dei piani
architettonici come se fossero dei raccoglitori ad anelli, dove
le pagine si possono staccare e scambiare tra loro. Ogni volu-
me 13 deve avere una pagina 6, ma ci sono molte possibili pa-
gine 6 che potrebbero andare nel rilegatore tra pagina 5 e pa-
gina 7. Una versione dice "occhi blu", un'altra versione possi-
bile dice "occhi marroni"; potrebbero esserci altre versioni nel-
la popolazione nel suo complesso che dicono altri colori, come
verde. Forse ci sono una decina di alleli alternativi collocati a
pagina 6 sul cromosoma 13, sparpagliati in tutta la popolazio-
ne nel suo complesso. Ogni data persona ha solo due cromo-
somi/volumi 13. Quindi può avere un massimo di due alleli
nella posizione di pagina 6. Potrebbe avere due copie dello
stesso allele, come le persone con occhi blu, o potrebbe avere
qualunque coppia di alleli scelta dalla decina di alternative di-
sponibili nella popolazione nel suo complesso.
Non si può, naturalmente, andarsi letteralmente a scegliere i
geni da un "pool" di geni disponibili all'intera popolazione. In
ogni dato momento tutti i geni sono legati assieme dentro cia-
scuna macchina di sopravvivenza. I nostri geni sono decisi al
277
concepimento, e non possiamo farci niente. Ciononostante, in
un certo senso, a lungo termine, i geni della popolazione in ge-
nerale si possono considerare come un "pool di geni". Questa
frase è in realtà un termine tecnico usato dai genetisti. Il pool
di geni è un'astrazione utile perché la riproduzione sessuale
mescola i geni tra di loro, sebbene in un modo ben preciso. In
particolare, avviene davvero qualcosa di simile allo staccare e
scambiare le pagine dei raccoglitori ad anelli, come vedremo
adesso.
Ho descritto la normale divisione di una cellula in due cellu-
le, ognuna delle quali riceve una copia completa di tutti i 46
cromosomi. Questa normale divisione della cellula si chiama
mitosi. Ma c'è un altro tipo di divisione della cellula che si
chiama meiosi. Essa avviene solo nella produzione di cellule
sessuali; spermatozoi o ovuli. Spermatozoi e ovuli sono unici
tra le nostre cellule poiché, invece di contenere 46 cromosomi,
ne contengono solo 23. 23 è esattamente la metà di 46 ― cosa
conveniente quando le cellule si fondono nella fertilizzazione
sessuale per creare un nuovo individuo! La meiosi è un tipo
speciale di divisione cellulare, che avviene solo nei testicoli e
nelle ovaie, in cui una cellula dotata di un intero doppio set di
46 cromosomi si divide per formare cellule sessuali con il sin-
golo set di 23. [..]
Uno spermatozoo, con i suoi 23 cromosomi, è prodotto dalla
divisione per meiosi di una delle cellule a 46 cromosomi nel
testicolo. Quali 23 vengono messe in ogni dato spermatozoo?
È chiaramente importante che uno spermatozoo non riceva un
insieme qualsiasi di 23 cromosomi: non deve finire per avere
due copie del volume 13 e nessuna del volume 17. Sarebbe
teoricamente possibile che qualcuno produca uno spermato-
zoo con cromosomi che derivano, diciamo, interamente da sua
madre; cioè volume 1b, 2b, 3b, ..., 23b. In questo caso improba-
bile, una bambina concepita da quello spermatozoo eredite-
rebbe la metà dei suoi geni dalla nonna paterna, e nessuna dal
nonno paterno. Ma in pratica questo genere di distribuzione,
in cui un cromosoma si trasmette intero, non avviene. La real-
tà è più complessa. Ricordate che i volumi (cromosomi) vanno
278
pensati come raccoglitori ad anelli. Ciò che avviene è che, du-
rante la produzione dello spermatozoo, si staccano delle sin-
gole pagine, o meglio blocchi di più pagine, e si scambiano
con i blocchi corrispondenti del volume alternativo. Così, un
particolare spermatozoo potrebbe produrre il suo volume 1
prendendo le prime 65 pagine dal volume 1a, e le pagine da 66
fino alla fine dal volume 1b. Gli altri 22 volumi di questo sper-
matozoo sono prodotti in un modo simile. Quindi ogni sper-
matozoo prodotto da un individuo è unico, sebbene tutti i
suoi spermatozoi abbiano assemblato i loro 23 cromosomi con
pezzi dello stesso insieme di 46 cromosomi. Gli ovuli sono
prodotti in modo simile nelle ovaie, e anch'essi sono unici.
Comprendiamo ormai piuttosto bene i meccanismi reali di
questa mescolanza. Durante la produzione di uno spermato-
zoo (ovulo), si staccano fisicamente dei pezzettini di ogni cro-
mosoma paterno e si scambiano di posto con i pezzettini esat-
tamente corrispondenti del cromosoma materno. (Ricordate
che stiamo parlando di cromosomi che venivano originaria-
mente dai genitori dell'individuo che produce la spermatozoo,
cioè dai nonni paterni del figlio che alla fine viene concepito
dallo spermatozoo). Il processo di scambiare pezzettini di cro-
mosoma si chiama "crossing-over". È molto importante in tut-
to questo libro. Significa che, se aveste il microscopio e guar-
daste i cromosomi di uno dei vostri spermatozoi (o ovuli), sa-
rebbe una perdita di tempo cercare di identificare i cromosomi
provenienti da vostro padre e quelli provenienti da vostra ma-
dre. (Questo contrasta fortemente con il caso delle normali cel-
lule del corpo, come abbiamo visto in precedenza.) Ogni sin-
golo cromosoma in uno spermatozoo è un collage, un mosaico
di geni materni e geni paterni.
A questo punto la metafora di geni come pagine comincia a
venir meno. In un raccoglitore ad anelli possiamo inserire, ri-
muovere o scambiare un'intera pagina, ma non una frazione
di pagina. Ma il complesso dei geni è solo una lunga sequenza
di lettere di nucleotidi, non è divisa in pagine discrete in alcun
modo ovvio.
[Dawkins spiega ora che il crossing over può avvenire in
279
qualunque punto di questa sequenza; non esiste alcuna unità
indivisibile, che non possa essere spezzata dal crossing over.
Poi continua:]
Un gene è definito come una qualunque porzione di mate-
riale cromosomico che potenzialmente dura abbastanza gene-
razioni da servire come unità di selezione naturale. Per usare
le parole del capitolo precedente, un gene è un replicatore con
un'alta fedeltà di copiatura. Fedeltà di copiatura è un altro
modo di dire longevità-nella-forma-di-copie, ed abbeverò tut-
to questo semplicemente in "longevità". La definizione dovrà
essere giustificata.
In qualunque definizione, un gene deve essere una porzione
di cromosoma. La domanda è: una porzione quanto grande?
[Salto quattro pagine in cui Dawkins spiega in sostanza per-
ché, sebbene a volte i geni possano essere spezzati dal cros-
sing-over, questo è enormemente improbabile (a causa della
loro piccolezza), e quindi possono essere considerati unità in-
divisibili. ]
Ora siamo arrivati al punto in cui avevamo chiuso il capitolo
1. Avevamo visto che bisogna aspettarsi egoismo in qualun-
que entità che meriti l'appellativo di unità di base della sele-
zione naturale. Abbiamo visto che alcune persone considerano
la specie come l'unità della selezione naturale, altre la popola-
zione o il gruppo all'interno della specie, e altre l'individuo.
Ho detto che io preferivo pensare al gene come l'unità fonda-
mentale di selezione naturale, e quindi all'unità fondamentale
di egoismo. [..]
La selezione naturale nella sua forma più generale significa
la sopravvivenza differenziata di varie entità. Alcune entità vi-
vono e altre muoiono ma, perché la morte selettiva abbia
qualche impatto sul mondo, è necessaria un'ulteriore condi-
zione. Ogni entità deve esistere nella forma di molte copie, e
almeno alcune delle entità devono essere potenzialmente in
grado di sopravvivere ― nella forma di copie ― per un pe-
riodo significativo di tempo evoluzionistico. Le unità geneti-
che piccole hanno queste proprietà; invece gli individui, i
280
gruppi e le specie non l'hanno.
[...]
Un altro aspetto particolare del gene è che non invecchia;
quando è vecchio un milione di anni, non ha più probabilità
di morire di quando ne ha solo 100. Salta da un corpo all'al-
tro attraverso le generazioni, manipolando un corpo dopo
l'altro, a modo suo e per i suoi propri scopi, abbandonando i
corpi mortali uno dopo l'altro prima che giungano alla vec-
chiaia e alla morte.
I geni sono gli immortali. [..] Noi, le singole macchine di so-
pravvivenza presenti nel mondo, possiamo aspettarci di vive-
re qualche decennio. Ma i geni presenti nel mondo hanno
un'aspettativa di vita che va misurata non in decenni ma in
migliaia e milioni di anni.
Nelle specie che si riproducono sessualmente, l'individuo è
un'unità genetica troppo grande e troppo temporanea per
qualificarsi come unità significativa di selezione naturale. Il
gruppo di individui è un'unità ancora più grande. Genetica-
mente parlando, gli individui e i gruppi sono come nuvole
nel cielo, o tempeste di sabbia nel deserto. Sono aggregazio-
ni temporanee. Non sono stabili lungo il tempo evoluzioni-
stico. Le popolazioni possono durare un po' di più, ma si fon-
dono costantemente con altre popolazioni e quindi perdono la
loro identità. Sono anche soggette a un cambiamento evoluti-
vo dall'interno. Una popolazione non è un'entità abbastanza
discreta per fungere da unità di selezione naturale; non è ab-
bastanza stabile e unitaria per essere "selezionata" al posto
di un'altra popolazione.
Un corpo individuale sembra abbastanza discreto finché
dura, ma purtroppo, quanto a lungo dura? Ogni individuo è
unico. Non puoi ottenere un'evoluzione selezionando tra va-
rie entità, quando esiste una sola copia di ogni entità! La ri-
produzione sessuale non è replicazione. Proprio come una po-
polazione è contaminata da altre popolazioni, così la discen-
denza di un individuo è contaminata da quella del suo partner
sessuale. I vostri figli sono solo metà di voi, i vostri nipoti solo
281
un quarto di voi. In qualche generazione, il massimo che pote-
te sperare è di avere molti discendenti, ognuno dei quali con-
tiene solo una piccola porzione di voi ― pochi geni ― anche
se alcuni di essi portano anche il vostro cognome.
Gli individui non sono cose stabili, sono fluttuanti. Anche i
cromosomi vengono rimescolati fino a scomparire, come una
mano di carte subito dopo essere stata distribuita. Ma le singo-
le carte sopravvivono al rimescolamento. Le singole carte sono
i geni. I geni non sono distrutti dal crossing-over, cambiano
soltanto partner e vanno avanti. Naturalmente vanno avanti. È
questa la loro specialità. Essi sono i replicatori e noi siamo le
loro macchine di sopravvivenza. Quando abbiamo assolto al
nostro scopo, siamo gettati via. Invece i geni esistono nel tem-
po geologico: i geni sono per sempre.
I geni, come i diamanti, sono per sempre, ma non proprio
nello stesso modo dei diamanti. Nel caso dei diamanti, ciò che
dura è il singolo cristallo, la struttura inalterata di atomi. Le
molecole di Dna non sono persistenti in quel senso. La vita di
ciascuna molecola fisica di Dna è molto breve ― forse qual-
che mese, certamente non più di una vita umana. Ma una
molecola di Dna potrebbe teoricamente vivere più di 100 mi-
lioni di anni nella forma di copie di se stessa. Inoltre, proprio
come gli antichi replicatori nel brodo primordiale, le copie di
un particolare gene possono essere distribuite per tutto il
mondo. La differenza è che le versioni moderne sono impac-
chettate con cura nei corpi delle macchine di sopravvivenza.
[...]
Il gene è il replicatore a vita lunga, che esiste nella forma di
molte copie duplicate. Non ha una vita infinitamente lunga.
Perfino un diamante non è eterno [..]. Il gene è definito come
un pezzo di cromosoma abbastanza piccolo da durare, poten-
zialmente, abbastanza a lungo da fungere da unità significati-
va di selezione naturale.
[...]
È la sua potenziale immortalità che rende un gene un buon
candidato a fungere da unità di selezione naturale. Ma ora è
282
venuto il momento di enfatizzare la parola "potenziale". Un
gene può vivere un milione di anni, ma molti nuovi geni non
superano nemmeno la prima generazione. Quei pochi che rie-
scono a farlo lo fanno in parte perché sono fortunati, ma so-
prattutto perché hanno ciò che serve, il che significa che
sono bravi a produrre macchine di sopravvivenza. Hanno un
effetto sullo sviluppo embrionale di ogni successivo corpo
in cui si vengono a trovare, tale che quel corpo ha un po' più
di probabilità di vivere e riprodursi di quante ne avrebbe se
fosse stato sotto l'influenza del gene rivale, o allele. Per esem-
pio, un gene "bravo" potrebbe assicurare la propria sopravvi-
venza tendendo a dotare i successivi corpi in cui si trova di
gambe lunghe, che aiutano questi corpi a fuggire dai preda-
tori. Questo è un esempio particolare, non universale. Le gam-
be lunghe, dopotutto, non sono sempre un vantaggio. In una
talpa sarebbero un handicap. Anziché perderci nei dettagli,
possiamo pensare a qualche qualità universale_che ci aspetter-
memo di trovare in tutti i geni (cioè in quelli più longevi)? Vi-
ceversa, quali sono le proprietà che classificano istantanea-
mente un gene come "cattivo", di vita breve? Potrebbero esser-
ci varie proprietà universali di questo tipo, ma ce n'è una par-
ticolarmente importante in questo libro: al livello dei geni,
l'altruismo deve essere male e l'egoismo deve essere bene.
Questo segue inesorabilmente dalla nostra definizione di al-
truismo ed egoismo. I geni competono direttamente con i loro
alleli per la sopravvivenza, poiché i loro alleli nel pool di geni
competono per la loro stessa posizione sui cromosomi delle
generazioni future. Ogni gene che si comporti in modo da
aumentare le proprie probabilità di sopravvivenza nel pool
di geni alle spese dei suoi alleli tenderà, per definizione,
tautologicamente, a sopravvivere. Il gene è l'unità di base
dell'egoismo.
Ho espresso ora il messaggio principale di questo capitolo.
Ma ho evitato alcune complicazioni ed assunzioni nascoste. La
prima complicazione è stata già menzionata brevemente. Per
quanto indipendenti e liberi possano essere i geni nel loro
viaggio lungo le generazioni, non sono affatto liberi e indipen-
283
denti nel controllare lo sviluppo embrionale. Essi collaborano
e interagiscono in modi inestricabilmente complessi, sia tra di
loro, sia con l'ambiente esterno. Espressioni come "gene per le
gambe lunghe" o "gene per il comportamento altruistico" sono
comode figure retoriche, ma è importante capire cosa signifi-
cano. Non esiste un gene che da solo costruisce una gamba,
lunga o corta che sia. Costruire una gamba è un'impresa coo-
perativa che coinvolge molti geni. Sono anche indispensabili
delle influenze dall'ambiente esterno: dopo tutto, le gambe
sono fatte di cibo! Ma può esserci benissimo un singolo gene
che, a parità di altri fattori, tende a produrre gambe più lun-
ghe di quanto lo sarebbero state sotto l'influenza dell'allele di
quel gene.
Come analogia, pensate all'influenza di un fertilizzante, di-
ciamo un nitrato, sulla crescita del grano. Tutti sanno che le
piante di grano crescono più grandi in presenza di nitrato che
in sua assenza. Ma nessuno sarebbe così sciocco da affermare
che, di per sé, il nitrato può fare una pianta di grano. Sono ne-
cessari, naturalmente, un seme, il suolo, il sole, l'acqua, e vari
minerali . Ma se tutti questi altri fattori restano costanti, e an-
che se variano entro certi limiti, l'aggiunta di un nitrato farà
crescere di più la pianta di grano. Lo stesso vale per i singoli
geni nello sviluppo di un embrione. Lo sviluppo embrionale è
controllato da una rete di relazioni così intricata che quasi ci
passerebbe la voglia di guardarla. Nessun singolo fattore, ge-
nerico o ambientale, si può considerare come l'unica causa di
una data parte di un bambino. Tutte le parti di un bambino
hanno un numero quasi infinito di cause antecedenti. Ma la
differenza tra un bambino e un altro, per esempio la differenza
nella lunghezza di una gamba, è facile da ricondurre a una o a
poche semplici differenze antecedenti, nell'ambiente o nei
geni. Sono le differenze che contano nella lotta competitiva per
la sopravvivenza; e sono le differenze controllate dei geni che
contano nell'evoluzione.
Dal punto di vista di un gene, i suoi alleli sono i suoi ne-
mici mortali, ma gli altri geni sono solo parte dell'ambiente,
come la temperatura, il cibo, i predatori, o gli amici. L'effetto
284
del gene dipende dal suo ambiente, il quale comprende gli al-
tri geni. A volte un gene ha un effetto solo in presenza di un
altro insieme di geni compagni. L'intero insieme di geni in un
corpo costituisce una specie di "clima", o background genetico,
che modifica e influenza gli effetti di ogni particolare gene.
Ma ora sembra che siamo arrivati a un paradosso. Se costrui-
re un bambino è un'impresa cooperativa così intricata, ed ogni
gene ha bisogno di molte migliaia di geni compagni per svol-
gere il suo compito, come possiamo riconciliare tutto questo
con la mia descrizione dei geni come entità che saltano da cor-
po a corpo lungo i millenni, liberi, autonomi e senza ostacoli?
Erano cose prive di senso? Assolutamente no. Forse mi sono
lasciato trasportare dall'enfasi, ma non stavo dicendo scioc-
chezze, e non c'è alcun paradosso. Possiamo spiegare tutto
questo mediante un'altra analogia.
Un vogatore non può vincere da solo la gara di canottaggio
tra Oxford e Cambridge. Ha bisogno di otto colleghi. Ognu-
no è specializzato a sedersi in una parte precisa della barca
― prodiere, primo rematore, timoniere, eccetera. Condurre la
barca è un'impresa cooperativa, ma alcuni uomini sono co-
munque migliori di altri. Supponiamo che un coach debba
scegliere la squadra ideale da un pool di candidati, alcuni dei
quali specializzati nella posizione di prua, altri come timonieri
e così via. Supponiamo che il coach effettui la selezione come
segue. Ogni giorno assembla tre nuove squadre di prova, me-
scolando a caso i candidati in ciascuna posizione, e fa gareg-
giare le tre squadre una contro l'altra. Dopo qualche settima-
na comincerà ad emergere che la barca vincitrice tende a
contenere sempre gli stessi uomini. Questi vengono contras-
segnati come bravi rematori. Altri individui finiscono per tro-
varsi spesso nelle squadre perdenti, e alla fine questi vengono
scartati. Ma anche un rematore incredibilmente bravo potreb-
be a volte trovarsi in una squadra lenta, o a causa dell'inferio-
rità degli altri, o perché ha avuto un colpo di sfortuna ― dicia-
mo un forte vento contrario. È solo in media che l'uomo miglio-
re tende ad essere sulla barca vincitrice.
I rematori sono i geni. I rivali per ogni sedile sulla barca
285
sono alleli potenzialmente capaci di occupare la stessa posi-
zione su un cromosoma. Remare velocemente corrisponde a
costruire un corpo bravo a sopravvivere. Il vento è l'ambien-
te esterno. Il pool di candidati alternativi è il pool di geni.
Per quanto riguarda la sopravvivenza di ciascun corpo, tutti
i suoi geni sono nella stessa barca. Molti geni "buoni" hanno
la sfortuna di trovarsi in cattiva compagnia, e si trovano a
coabitare nello stesso corpo con un gene letale, che uccide il
corpo durante l'infanzia. In questo caso il gene buono va di-
strutto insieme agli altri. Ma si tratta solo di un corpo, e le
repliche di quello stesso gene buono vivono anche in altri
corpi che non hanno il gene letale. Molte copie dello stesso
gene vengono scartate perché hanno la sfortuna di trovarsi
nello stesso corpo con dei geni cattivi, e molti muoiono per
altri tipi di sfortuna, diciamo quando il corpo è colpito da un
fulmine. Ma per definizione la sfortuna colpisce a caso, ed
un gene che si trova regolarmente dalla parte perdente non è
sfortunato: è un gene cattivo.
Una delle qualità di un buon rematore è il gioco di squa-
dra, la capacità di adattarsi e di cooperare con il resto della
squadra. Questa qualità potrebbe essere importante quanto
avere buoni muscoli. Come abbiamo visto nel caso delle farfal-
le, la selezione naturale potrebbe inconsciamente "modificare"
un complesso di geni mediante inversione e altri grossi spo-
stamenti di pezzi di cromosoma, in tal modo portando nello
stesso gruppo geni che cooperano bene insieme. Ma in un al-
tro senso, dei geni che non sono collegati l'uno con l'altro fisi-
camente possono essere selezionati per la loro mutua compati-
bilità. Un gene che coopera bene con la maggior parte degli al-
tri geni che si trova ad incontrare nei corpi successivi, cioè con
i restanti geni del pool di geni nel suo complesso, tenderà ad
avere un vantaggio.
Per esempio, in un corpo efficiente di carnivoro sono deside-
rabili un certo numero di attributi, tra cui denti aguzzi, il giu-
sto tipo di intestino per digerire la carne, e molte altre cose.
Un erbivoro efficiente, d'altra parte, ha bisogno di denti piatti,
e un intestino molto più lungo con diversi tipi di chimica dige-
286
stiva. Nel pool di geni di un erbivoro, ogni nuovo gene che
conferisse denti affilati al suo possessore non avrebbe molto
successo. Questo non perché mangiare carne sia intrinseca-
mente un'idea sconveniente, ma perché non puoi mangiare
carne in modo efficiente se non hai il giusto tipo di intestino, e
tutti gli altri attributi di un carnivoro. I geni che producono
denti aguzzi non sono intrinsecamente cattivi. Sono solo catti-
vi in un pool di geni che sia dominato da geni per qualità erbi-
vore.
Questa è un'idea sottile e complicata. È complicata perché
"l'ambiente" di un gene consiste in gran parte di altri geni,
ciascuno dei quali è a sua volta selezionato per la sua capacità
di cooperare con i geni che lo circondano. Esiste in effetti un'a-
nalogia adeguata a spiegare questo punto sottile, ma non deri-
va dall'esperienza di tutti i giorni: è l'analogia con la "teoria
dei giochi", che sarà discussa nel capitolo 5 quando si parlerà
delle situazioni di aggressione fra singoli animali. Rimando
quindi ogni ulteriore discussione di questo punto alla fine di
quel capitolo e ritorno al messaggio centrale di questo, cioè
che è meglio identificare l'unità base della selezione naturale
non con la specie né con la popolazione né con l'individuo, ma
con una piccola unità di materiale genetico che è conveniente
etichettare come il gene.
289
longevità umana possa essere portata a parecchi secoli. Non
riesco però a immaginare nessuno che prenderebbe seriamen-
te in considerazione la sua attuazione.
Oppure potremmo tentare di "ingannare" i geni facendo
credere loro che il corpo in cui si trovano sia più giovane di
quello che è in realtà. In pratica ciò vorrebbe dire identificare
nell'ambiente chimico interno di un corpo i cambiamenti che
avvengono durante l'invecchiamento. Ciascuno di essi potreb-
be essere il segnale che "accende" geni letali tardivi. Simulan-
do le proprietà chimiche superficiali di un corpo giovane po-
tremmo impedire l'attivazione di geni deleteri tardivi. Il
punto interessante è che i segnali chimici della vecchiaia non
sono di per sé necessariamente deleteri. Per esempio, suppo-
niamo che una sostanza "S" sia più concentrata nei corpi degli
anziani. S di per sé potrebbe essere assolutamente innocua,
forse una sostanza che si trova nel cibo e che si accumula nel
corso degli anni; però qualunque gene che eserciti un effetto
deleterio in presenza di S, ma che altrimenti avrebbe un ef-
fetto buono, verrebbe automaticamente selezionato nel pool
genetico e sarebbe in effetti un gene "per" la morte di vec-
chiaia. La cura sarebbe allora semplicemente la rimozione di S
dal corpo.
Ciò che è rivoluzionario in questa idea è che S di per sé è sol-
tanto un "indice" di vecchiaia. Un medico, notando che alte
concentrazioni di S tendono a portare alla morte, penserebbe
probabilmente che S sia una specie di veleno e si spremereb-
be il cervello per trovare un legame causale diretto fra S e il
cattivo funzionamento del corpo. Ma nel nostro esempio ipo-
tetico sarebbe soltanto una perdita di tempo.
Potrebbe anche esserci una sostanza Y, un "indice" di giovi-
nezza nel senso che sarebbe più concentrata nei corpi giovani.
Di nuovo, potrebbero essere selezionati geni che hanno un ef-
fetto positivo in presenza di Y ma che sono deleteri in sua as-
senza. Senza avere modo di sapere cosa sono S e Y ― potreb-
bero esserci molte di queste sostanze ― possiamo semplice-
mente fare la predizione generica che più riusciamo a simula-
re o a mimare le proprietà di un corpo giovane in uno vecchio,
290
per quanto superficiali queste proprietà possano sembrare,
più aumentiamo la lunghezza della vita del corpo vecchio.
Devo sottolineare che si tratta soltanto di speculazioni basate
sulla teoria di Medawar. Sebbene la teoria di Medawar con-
tenga logicamente un po' di verità, questo non significa neces-
sariamente che sia la spiegazione giusta per ogni esempio pra-
tico di decadimento senile. Ciò che importa per gli scopi pre-
senti è che l'evoluzione, intesa come selezione del gene, non
ha difficoltà a spiegare la tendenza degli individui a morire
quando diventano vecchi.
309
venza differenziata di alcuni geni all'interno del pool di
geni. Quindi, affinché possa evolversi una tendenza com-
portamentale ― altruistica o egoistica ― è necessario che un
gene "per" quel comportamento sopravviva nel pool di geni
con maggior successo di un gene rivale o allele "per" un
comportamento diverso.
318
APPENDICE. APPROFONDIMENTI E
CURIOSITÀ
319
ARGOMENTI BAYESIANI PER L'ESISTENZA DI DIO
(da “L'Illusione di Dio”, Richard Dawkins)
321
3. La natura fa cose malvagie (terremoti, tsunami, ci-
cloni).
4. Potrebbero esserci dei piccoli miracoli (ho perso le
chiavi e le ho ritrovate).
5. Potrebbero esserci dei grandi miracoli (Gesù potreb-
be essere resuscitato).
6. Le persone hanno esperienze religiose.
Per ciò che vale (niente, a mio parere), dopo questa strana
corsa bayesiana, dove Dio prima si porta in vantaggio nelle
scommesse, poi ritorna indietro, poi ritorna in vantaggio oltre
il 50% da cui è partito, alla fine Dio si ritrova con un meritato,
secondo la stima di Unwin, 67% di probabilità di esistere.
Unwin decide poi che il suo verdetto bayesiano del 67% non è
abbastanza alto, così fa la bizzarra mossa di incrementarlo a
95%, per mezzo di un'emergenziale iniezione di "fede". Sem-
bra uno scherzo, ma è davvero così che procede. Vorrei poter-
vi dire come lo giustifica, ma davvero non c'è niente di più.
Ho incontrato altrove questo tipo di assurdità, quando sfidavo
alcuni scienziati, religiosi ma a parte questo intelligenti, a giu-
stificare la loro credenza, data la loro ammissione che non esi-
ste evidenza in favore di Dio: "Ammetto che non c'è evidenza.
C'è un motivo per cui si chiama fede." (quest'ultima frase pro-
nunciata con una convinzione quasi truculenta, e nessun ac-
cenno di scusa o di tono difensivo).
Sorprendentemente, la lista di sei affermazioni compilata da
Unwin non comprende l'argomento della progettazione, né al-
cuna delle cinque "dimostrazioni" di Tommaso d'Aquino, né
alcuno dei vari argomenti ontologici. Li ignora completamen-
te: non contribuiscono nemmeno un pochino alla sua stima
della probabilità di Dio. Li discute e poi, da bravo statistico, li
liquida come vacui. Credo che questo vada a suo merito, seb-
bene la ragione per cui disdegna l'argomento della progetta-
zione sia diversa dalla mia. Ma gli argomenti che egli invece
ammette sono, mi sembra, ugualmente deboli. Il che significa
solo che i pesi soggettivi di probabilità che io darei loro sono
differenti da quelli scelti da lui, e, in ogni caso, chi se ne impor-
322
ta dei giudizi soggettivi? Lui ritiene che il fatto che noi abbia-
mo un senso di giusto e sbagliato conti fortemente in favore
dell'esistenza di Dio, mentre io non penso che debba spostare
la probabilità, in nessuna delle due direzioni, dall'aspettativa
iniziale. I capitoli 6 e 7 mostreranno che non ci sono buoni ar-
gomenti per sostenere che il fatto che possediamo un senso di
giusto è sbagliato abbia una connessione chiara con l'esistenza
di una divinità soprannaturale. Come nel caso della nostra ca-
pacità di apprezzare un quartetto di Beethoven, il nostro senso
di bontà (sebbene non necessariamente la nostra tendenza a
seguirlo) sarebbe uguale sia con Dio sia senza Dio.
D'altra parte, Unwin ritiene che l'esistenza del male, spe-
cialmente le catastrofi naturali come i terremoti e gli tsunami,
conti fortemente contro la probabilità che Dio esista. Qui, il
giudizio di Unwin è opposto al mio ma concorda con molti
teologi inquieti. La "teodicia" (la giustificazione della provvi-
denza divina in un universo dove esiste il male) tiene svegli i
teologi la notte. L'autorevole "Oxford Companion to Theolo-
gy" descrive il problema del male come "la più forte obiezione
al teismo tradizionale". Ma è solo un argomento contro l'esi-
stenza di un Dio buono. La bontà non è parte della definizione
dell'ipotesi di Dio, ma solo un'aggiunta desiderabile.
Certo, le persone con tendenze teologiche sono spesso croni-
camente incapaci di distinguere ciò che è vero da ciò che vor-
rebbero fosse vero. Ma, per un più sofisticato credente in qual-
che tipo di intelligenza sovrannaturale, è puerilmente facile ri-
solvere il problema del male. Basta postulare un Dio malva-
gio ― come quello che danna ogni pagina del vecchio testa-
mento. Oppure, se non vi piace, inventate un Dio malvagio se-
parato, chiamatelo Satana, e date la colpa alla sua battaglia co-
smica contro il dio buono per il trionfo del male del mondo.
Oppure ― soluzione più sofisticata ― postulate un Dio con
cose più importanti da fare che perdere tempo sugli affanni
umani. Oppure un Dio che non è indifferente alla sofferenza
ma la considera il prezzo da pagare in cambio del libero arbi-
trio in un cosmo ordinato e regolato da leggi. Per ognuna di
queste razionalizzazioni si possono trovare dei teologi a soste-
323
nerla.
Per queste ragioni, se io rifacessi l'esercizio bayesiano di Un-
win, né il problema del male né alcuna considerazione morale
in generale mi farebbero allontanare, in un modo o nell'altro,
dall'ipotesi nulla (il 50% di Unwin). Ma non voglio andare ol-
tre in questo discorso perché, in ogni caso, non riesco ad emo-
zionarmi delle opinioni personali di qualcuno, che si tratti di
Unwin o di me.
Esiste un argomento molto più potente, che non dipende dal
giudizio soggettivo, ed è l'argomento dell'improbabilità.
Questo sì, ci porta drammaticamente lontani dall'agnosticismo
del 50%: secondo molti teisti ci porta molto vicini all'estremo
del teismo, e secondo me ci porta molto vicini all'estremo del-
l'ateismo. Ho già fatto molte allusioni a questo argomento.
L'intero argomento gira intorno alla domanda familiare "chi
ha creato Dio?", che la maggior parte delle persone pensanti
scoprono da sole. Un Dio progettista non si può usare per
spiegare la complessità organizzata, perché qualunque Dio
capace di progettare alcunché dovrebbe essere abbastanza
complesso da richiedere lo stesso tipo di spiegazione a sua
volta. Dio presenta un regresso infinito dal quale non può aiu-
tarci a fuggire. Questo argomento, come mostrerò nel prossi-
mo capitolo, dimostra che Dio, sebbene non tecnicamente fal-
sificabile, è davvero molto, molto improbabile.
LA SCOMMESSA DI PASCAL
(articolo di Sam Harris )
326
Beh, ma non ti pare troppo facile? [il pubblico ride] Voglio
dire: tu ti stai esimendo dal dovere di fornire un argo-
mento razionale, semplicemente affermando per "fiat"
che Dio... [è interrotto da applausi]... che Dio semplice-
mente dichiara di essere fuori dalla materia, e quindi non
ha bisogno dello stesso tipo di argomentazione che riser-
viamo a qualunque altra cosa. Se veramente una cosa
del genere ti convince... sei il benvenuto.
330
L'INSEGNAMENTO DELLA RELIGIONE
(articolo di Daniel Dennett)
331
Nessuna religione dovrebbe essere favorita, e nessuna
ignorata. E man mano che scopriamo nuove basi biologi-
che e psicologiche delle pratiche e degli atteggiamenti
religiosi, queste scoperte dovrebbero essere aggiunte al
curriculum, esattamente come aggiorniamo la nostra
istruzione sulla scienza, la salute, e gli eventi attuali.
Questo dovrebbe far parte del curriculum obbligatorio
sia delle scuole pubbliche sia delle scuole casalinghe.
Ecco una proposta, quindi: finché i genitori non inse-
gnano ai loro bambini niente che possa chiudere loro
la mente ― attraverso la paura, o l'odio, o rendendoli
incapaci di effettuare indagini (negando loro un'istru-
zione, per esempio, o mantenendoli completamente
isolati dal mondo) ― allora possono insegnare ai loro
bambini qualunque dottrina religiosa vogliano.
È solo un'idea, e forse ce ne sono di migliori da conside-
rare, ma dovrebbe piacere agli amanti della libertà di
tutto il mondo: l'idea di richiedere ai devoti di tutte le
fedi di mettere il proprio credo in concorrenza con gli
altri; di assicurarsi che il loro credo sia abbastanza di
valore, abbastanza attraente e plausibile e sensato, da
resistere alla tentazione dei suoi concorrenti. Se invece
hai bisogno di incappucciare ― o accecare ― i tuoi
bambini per esser sicuro che da adulti scelgano la tua
stessa fede, allora è meglio che la tua fede si estingua.
Nell'anno che è trascorso dopo la pubblicazione del mio li-
bro, questa proposta ha generato molta discussione, e non
sono stato sorpreso di scoprire che molti personaggi religiosi
di spicco, tra cui alcuni molto conservatori, sono stati favore-
voli ad essa.
Non sono affatto impauriti all'idea di sottoporre i loro bam-
bini ad una grande e bilanciata dose di fatti ― non valori, non
propaganda ― su tutte le religioni del mondo, inclusa la pro-
pria. Essi sono d'accordo con me che questa sia, in effetti, una
misura per la salute pubblica: aprendo la mente dei giovani e
dando loro una quantità comune di conoscenza reciproca su
332
tutte le religioni, proteggono tutte queste menti da quelle
forme tossiche di religione che spuntano fuori qua e là in
ogni tradizione. Ma ci sono alcune obiezioni a cui bisogna ri-
spondere.
Primo, le persone vogliono sapere come si possa mai decide-
re il curriculum esatto. Chi "deciderebbe" quali fatti sono ri-
chiesti e quali si possono omettere? Di certo, pensano le perso-
ne, questo accenderebbe una tempesta politica.
Non è così, rispondo io. Se riusciamo a ideare un processo
politico che non sia soltanto trasparente ed equo, ma sia anche
percepito come tale, dovremmo riuscire a raggiungere un con-
senso stabile su cosa debba andare nel curriculum e cosa no ―
e questo sarebbe regolabile nel tempo, man mano che appren-
diamo nuove cose sulle religioni, visto che il processo politico
sarebbe auto-correggente e auto-sostenente.
Tutte le religioni maggiori e minori riceverebbero l'invito a
partecipare, così come i rappresentanti della minoranza non-
religiosa, che sono più numerosi di molte delle religioni prin-
cipali negli Stati Uniti. Oggi nel mondo ci sono 749 milioni di
atei; sono il doppio dei buddisti, 40 volte più degli ebrei, e più
di 50 volte più dei mormoni, secondo un recente studio di Phil
Zuckerman (2006).
Tutti i principali gruppi religiosi e non religiosi sarebbero in-
vitati a proporre degli auto-ritratti delle proprie tradizioni,
compreso tutto il materiale su di sé che desidererebbero fosse
noto agli altri, entro certi limiti di lunghezza concordati. Nes-
suna religione ha attualmente una maggioranza nel mondo, e
ad una prima approssimazione ― soggetta ad aggiustamenti
mediante il processo politico stesso ― il tempo e lo spazio nel
curriculum dovrebbe essere proporzionale al numero di ade-
renti in tutto il mondo.
Questi autoritratti sarebbero comunque soggetti a critiche di
inaccuratezza fattuale, ed altri rappresentanti (e studiosi e al-
tre parti interessate) avrebbero la possibilità di proporre altri
fatti importanti lasciati fuori dagli autoritratti. Queste diver-
genze sui fatti si potrebbero poi risolvere in un modo simile a
333
un processo legale, e questo processo attraverserebbe varie ite-
razioni, senza dubbio, prima che si possano approvare delle
bozze di compromesso.
Sappiamo già come fare tutto questo. Ci sono già molti
controlli e regolamenti per impedire alle religioni da una
parte di censurare verità vergognose ma innegabili, dall'altra
di coalizzarsi tra loro per perseguitare religioni di minoran-
za. Servirà una volontà politica perché accada, ma chi oggi
non riesce a vedere l'importanza di sottoporre queste que-
stioni all'indagine razionale?
(Notate che nel curriculum non sarebbe inclusa la verità o
falsità di alcuna dottrina religiosa, poiché non esiste alcun
punto di dottina religiosa sulla cui verità siano tutti d'accor-
do.)
Un'altra obiezione frequente è che è irrealistico aspettarsi
che gli insegnanti delle scuole private e casalinghe insegnino
bene questo curriculum, perché molti di loro presumibilmente
lo troveranno antitetico alla loro visione del mondo.
Sono d'accordo, e senza dubbio una percentuale significativa
degli insegnanti delle scuole pubbliche insegnerebbero questo
curriculum controvoglia, ma non credo sia importante. Mi ac-
contento che gli insegnanti dicano agli studenti: "questo curri-
culum obbligatorio è spazzatura, un'opera di Satana, un mise-
rabile compromesso politico infilatoci in gola da uno Stato an-
tipatico", ma che poi aggiungano: "Comunque, sarete messi
alla prova su questo curriculum, e, se non superate gli esami,
il vostro futuro scolastico sarà in pericolo".
Non importa se gli insegnanti insegneranno il curriculum
in modo non imparziale: il semplice fatto di udire che la
maggior parte delle persone crede quelle cose dovrebbe ba-
stare a vaccinare molti bambini contro i virus tossici di alcu-
ne religioni. La credibilità degli insegnanti sarà inoltre in peri-
colo se parlano male del curriculum; e meglio creiamo il curri-
culum, più difficile sarà per loro avere quest'opinione. Ci sa-
rebbe anche qualche serie televisiva importante sul nuovo cur-
riculum, e grossi siti Web, per far da contrappeso a coloro che
334
cercheranno di screditarlo.
[...]
Infine, mi sono divertito molto quando alcuni oppositori
di questa proposta l'hanno chiamata "fascista" o "totalitaria",
quando in realtà è meravigliosamente libertaria: puoi inse-
gnare ai tuoi bambini tutto quello che vuoi sulla religione,
senza alcuna interferenza dello Stato, fino a che insegni loro
anche questi fatti.
Quale altra libertà potrebbe desiderare un genitore? La li-
bertà di mentire ai suoi bambini? La libertà di mantenerli
ignoranti? I bambini non sono di proprietà del genitore,
quasi fossero schiavi, e i genitori non hanno alcun diritto di
renderli incapaci mediante l'ignoranza. Al contrario hanno
l'obbligo di dar loro quella conoscenza sugli altri che è di-
sponibile a ogni altro bambino, come parte normale della
crescita in una società libera.
Inoltre, questa conoscenza arricchirà le loro menti in innu-
merevoli modi, poiché li porterà a conoscere gran parte della
più bella musica, arte e letteratura che il mondo possa offrire,
e darà loro quel tipo di prospettiva sulla propria vita che si
può avere solo quando si confronta la propria vita con quella
degli altri.
335
Ma c'è anche un'altra posizione, che chiamerò PAP (agnosti-
cismo permanente in linea di principio). [..] l'agnosticismo di
tipo PAP è appropriato per domande a cui non si potrà mai
dare risposta, non importa quanta evidenza raccogliamo, per-
ché l'idea stessa di evidenza non è applicabile. La domanda si
pone su un piano differente, o in una dimensione differente,
oltre alle zone raggiungibili dall'evidenza. Un esempio potreb-
be essere quel famoso rompicapo filosofico, la domanda se tu
vedi rosso come lo vedo io. Forse il tuo rosso è il mio verde, o
qualcosa di completamente differente da qualunque altro co-
lore io possa immaginare. I filosofi citano questa domanda
come una a cui non si potrà mai rispondere, non importa qua-
le nuova evidenza un giorno possa venire alla luce. E alcuni
scienziati ed altri intellettuali sono convinti ― con troppo zelo
secondo me ― che la domanda dell'esistenza di Dio apparten-
ga alla categoria PAP, per sempre inaccessibile. Da questo,
come abbiamo visto, spesso essi traggono la deduzione illogi-
ca che l'ipotesi dell'esistenza di Dio, e l'ipotesi della sua non
esistenza, abbiano esattamente la stessa probabilità di essere
vere. Il punto di vista che io difenderò è completamente diver-
so: l'agnosticismo sull'esistenza di Dio appartiene decisamente
nella categoria temporanea o TAP. O egli esiste o non esiste. È
una domanda scientifica; un giorno potremmo conoscere la
risposta, e nel frattempo possiamo dire qualcosa di molto forte
circa la sua probabilità.
Nella storia delle idee, ci sono esempi di domande che han-
no ricevuto una risposta ma che in precedenza erano consi-
derate per sempre al di là della portata della scienza. Nel
1835 il celebrato filosofo francese Auguste Comte scrisse a
proposito delle stelle: "Non saremo mai in grado di studiare,
con qualunque metodo, la loro composizione chimica o la loro
struttura mineralogica." Eppure, anche prima che Comte aves-
se pronunciato queste parole, Fraunhofer aveva cominciato ad
utilizzare il suo spettroscopio per analizzare la composizione
chimica del sole. Oggi gli spettroscopisti giornalmente ridico-
lizzano l'agnosticismo di Comte con le loro analisi a lunga di-
stanza della composizione chimica esatta delle stelle più di-
336
stanti. [..] Questa storia suggerisce, quantomeno, che dovrem-
mo esitare prima di proclamare l'eterna verità dell'agnostici-
smo in modo troppo deciso. Ciò nondimeno, quando si tratta
di Dio, una buona quantità di filosofi e scienziati è felice di
farlo, a cominciare dallo stesso inventore della parola, T. H.
Huxley.
Huxley raccontò di quando coniò questa parola rispondendo
ad un attacco personale che essa aveva provocato. Il direttore
del King's College di Londra, il reverendo dottor Wace, aveva
messo in ridicolo il "codardo agnosticismo" di Huxley:
Può anche chiamare se stesso agnostico; ma il suo vero
nome è un nome più vecchio ― è un infedele; vale a
dire, un non credente. La parola infedele, forse, porta un
significato spiacevole. Forse è giusto che sia così. È, e do-
vrebbe essere, una cosa spiacevole che un uomo dica
apertamente di non credere in Gesù Cristo.
Huxley non era un uomo che lasciava correre su una provo-
cazione di questo tipo [..] In seguito ritornò sulla parola "agno-
stico" e spiegò come la coniò:
Altre persone erano ben sicure di avere raggiunto una
certa 'gnosis' ― di aver risolto, più o meno con successo,
il problema dell'esistenza; mentre io ero ben sicuro di
non averlo fatto, ed avevo una forte convinzione che il
problema fosse insolubile. E, con al mio fianco Hume e
Kant, non potevo pensarmi così presuntuoso da attener-
mi fermamente a quest'opinione... in tal modo inventai il
titolo di "agnostico".
Nel seguito del suo discorso, Huxley spiegò che gli agnostici
non hanno un credo, neppure uno negativo.
L'agnosticismo in realtà non è un credo, ma un metodo,
l'essenza del quale giace nella rigorosa applicazione di
un singolo principio... in senso positivo, il principio si
potrebbe esprimere così: in questioni intellettuali, segui
la tua ragione fino al punto in cui essa ti porta, senza
preoccuparti di alcuna altra considerazione. In senso ne-
gativo: in questioni intellettuali, se ci sono delle conclu-
337
sioni che non sono dimostrate o dimostrabili, non finge-
re che siano certe. Questa io considero essere la fede
agnostica, cioè che se un uomo è integro ed obiettivo,
non si vergognerà di guardare in faccia l'universo, qua-
lunque cosa il futuro abbia in serbo per lui.
Per uno scienziato queste sono parole nobili, e non possiamo
criticare con leggerezza Huxley. Ma Huxley, concentrandosi
sull'assoluta impossibilità di dimostrare o confutare l'esistenza
di Dio, sembra avere ignorato la sfumatura delle probabilità.
Il fatto che non possiamo né dimostrare né falsificare l'esi-
stenza di qualcosa non mette sullo stesso piano l'esistenza e
l'inesistenza. Credo che Huxley sarebbe d'accordo, e sospetto
che quando egli sembrò in disaccordo stesse in realtà conce-
dendo all'avversario qualcosa allo scopo di concentrarsi su
qualcos'altro. Tutti noi lo abbiamo fatto, una volta o l'altra.
Al contrario di Huxley, io suggerirò che l'esistenza di Dio
sia un'ipotesi scientifica come ogni altra. Anche se difficile
da testare in pratica, appartiene alla categoria TAP o di agno-
sticismo temporaneo, al pari delle controversie sulle estinzioni
permiana e cretacea. L'esistenza o l'inesistenza di Dio è un
fatto scientifico sull'universo, scopribile in linea di principio
se non in pratica. Se lui è esistito e ha scelto di non rivelarlo,
Dio stesso potrebbe concludere una volta per tutte la questio-
ne, rumorosamente ed inequivocabilmente, in suo favore. E
perfino se l'esistenza di Dio non fosse mai provata o dimostra-
ta falsa con certezza, l'evidenza disponibile ed il ragionamento
potrebbero produrre una stima della probabilità molto lontana
dal 50%.
Prendiamo quindi sul serio l'idea di uno spettro di probabili-
tà, e collochiamo su di esso i giudizi umani circa l'esistenza di
Dio, tra i due estremi opposti di certezza. Lo spettro è conti-
nuo, ma può essere rappresentato con le seguenti sette posi-
zioni.
7. Teista forte. 100% di probabilità di Dio. Nelle parole
di C. G. Jung, "io non credo, io so".
8. Probabilità molto alta ma non 100%. Un teista di fat-
338
to. "Non posso saperlo per certo, ma credo ferma-
mente in Dio e vivo la mia vita nell'assunzione che
lui esista".
9. Più del 50% ma non molto alta. Tecnicamente agno-
stico ma propende verso il teismo."sono molto incer-
to, ma tendo a credere in Dio".
10. Esattamente 50%. Completamente agnostico ed im-
parziale. "L'esistenza e l'inesistenza di Dio sono esat-
tamente equiprobabili".
11. Meno del 50% ma non molto bassa. Tecnicamente
agnostico ma incline all'ateismo. "Non so se Dio esi-
sta ma tendono ad essere scettico."
12. Probabilità molto bassa, ma vicina allo zero. un ateo
di fatto."non posso saperlo per certo ma credo che
Dio sia molto improbabile, e vivo la mia vita nell'as-
sunzione che lui non esista."
13. Ateo forte. "So che non esiste nessun Dio, con la stes-
sa convinzione con cui Jung sa che ce n'è uno".
Sarei sorpreso di incontrare molte persone nella categoria 7,
ma la includo per simmetria con la categoria 1, che è molto
ben popolata. È nella natura stessa della fede che uno sia capa-
ce, come Jung, di avere una credenza senza una ragione ade-
guata per farlo (Jung credeva anche che alcuni libri sul suo
scaffale esplodessero spontaneamente con un sonoro bang).
Gli atei non hanno fede; e la ragione da sola non può condur-
re nessuno alla totale convinzione che qualcosa non esista.
Per questo motivo la categoria 7 è in pratica molto più vuota
del suo corrispettivo, la categoria 1, che ha molti abitanti de-
voti. Io mi considero nella categoria 6, ma tendo verso la 7 ―
sono agnostico ma solo nel senso in cui sono agnostico sul-
l'esistenza delle fate del giardino.
Lo spettro delle probabilità funziona bene per TAP (agnosti-
cismo temporaneo in pratica). Superficialmente si potrebbe es-
sere tentati di collocare PAP (agnosticismo permanente in li-
nea di principio) a metà dello spettro, con una probabilità del
339
50% di esistenza di Dio, ma questo non è corretto. Gli agnosti-
ci di tipo PAP sostengono che non possiamo dire nulla, in un
modo o nell'altro, sulla domanda se Dio esista o meno. Per gli
agnostici di tipo PAP, questa domanda non può avere risposta
in linea di principio, e dovrebbero rifiutarsi fermamente di
collocare se stessi in qualunque punto dello spettro di proba-
bilità. Il fatto che io non posso sapere se il tuo rosso è come il
mio verde non rende la probabilità 50%. La proposizione in
questione è troppo priva di significato perché le si attribuisca
una probabilità. Ciononostante, è un errore comune, che in-
contreremo di nuovo, partire dalla premessa che non si possa
rispondere in linea di principio alla domanda sull'esistenza di
Dio e da ciò concludere che la sua esistenza e non esistenza
siano ugualmente probabili.
DARWIN E LA RELIGIONE
(da una recensione del premio nobel per la fisica
Steven Weinberg al libro di Richard Dawkins
“L'Illusione di Dio”)
346
UN UOMO RAGGIUNTO DALLA FEDE
(da “L'Illusione di Dio” di Richard Dawkins)
Uno studente sente bussare alla porta. Apre e trova due uo-
mini, vestiti di nero e con gli occhiali da sole, che lo salutano
cordialmente dicendo:
347
John. Ciao! Io sono John e questo qui è Mary.
Mary. Ciao! Siamo qui per invitarti a venire con noi a bacia-
re il culo a Hank.
Ragazzo. Chiedo scusa? Di che cosa state parlando? Chi è
Hank, e perché dovrei voler baciare il suo culo?
John. Se baci il culo a Hank, lui ti regala un milione di dolla-
ri. E se non lo fai, ti rompe le ossa.
Ragazzo. Cosa? Ma è una specie di estorsione?
John. Hank è un filantropo miliardario. Hank ha costruito
questa città. Hank possiede questa città. Può fare quello che
vuole, e ciò che vuole è regalarti un milione di dollari, ma non
può farlo finché non gli baci il culo.
Ragazzo. Ma questo non ha senso. Perché?
Mary. Chi sei tu per giudicare il regalo di Hank? Non vuoi
un milione di dollari? Non vale un bacetto sul culo?
Ragazzo. Beh, forse, se è una cosa legale, ma...
John. Allora vieni a baciare con noi il culo a Hank.
Ragazzo. Voi baciate spesso il culo a Hank?
Mary. Oh, sì, continuamente...
Ragazzo. E a voi ha dato un milione di dollari?
John. Beh no. I soldi non ti vengono dati fino a che non ti
trasferisci fuori città.
Ragazzo. E allora perché non ve ne andate subito?
Mary. Non puoi andartene finché non te lo dice Hank, altri-
menti non prendi neanche un soldo, e inoltre lui ti rompe le
ossa.
Ragazzo. Conoscete qualcuno che abbia baciato il culo a
Hank, sia andato via dalla città, e abbia ottenuto il milione di
dollari?
John. Mia madre. Lei ha baciato il culo a Hank per anni. È
andata fuori città l'anno scorso, e sono sicuro che ha avuto i
soldi.
Ragazzo. Le hai parlato da allora?
John. Certo che no, Hank non lo permette.
Ragazzo. E allora cosa ti fa pensare che ti darà veramente i
348
soldi, se non hai mai parlato con nessuno che li abbia avuti?
Mary. Beh, Hank ti dà un piccolo anticipo prima che te ne
vada. Forse avrai un aumento di stipendio, forse vincerai una
piccola lotteria, forse troverai 20 bigliettoni per terra...
Ragazzo. E cosa c'entrano queste cose con Hank?
John. Hank ha "connessioni" ovunque... non so se mi spiego.
Ragazzo. Mi spiace, ma mi sembra un imbroglio.
John. Ma si tratta di un milione di dollari. Puoi correre il ri-
schio di farti sfuggire un milione? E ricorda, se non baci il culo
a Hank, lui ti romperà tutte le ossa.
Ragazzo. Forse, se potessi vedere Hank di persona, parlar-
gli, conoscere i dettagli direttamente da lui...
Mary. "Nessuno vede Hank, nessuno parla con Hank."
Ragazzo. E allora come fate a baciargli il culo?
John. A volte mandiamo un bacetto nell'aria, e intanto pen-
siamo al suo culo. Altre volte baciamo il culo di Karl, e Karl lo
trasmette a Hank.
Ragazzo. Chi è Karl?
Mary. Un nostro amico. È quello che ci ha insegnato a bacia-
re il culo di Hank. Tutto ciò che abbiamo dovuto fare in cam-
bio è offrirgli qualche cena.
Ragazzo. E voi gli avete creduto sulla parola, quando vi ha
detto che Hank esisteva, che Hank voleva che gli baciaste il
culo, e che Hank vi avrebbe premiati?
John. Oh no! Karl ha una lettera che gli è stata data da Hank
anni fa e che spiega tutto. Eccone una copia: guarda tu stesso.
Dalla scrivania di Karl
1. bacia il culo a Hank e lui ti darà un milione di dollari
quando lascerai la città.
2. Assumi alcool con moderazione.
3. Rompi le ossa alle persone che non sono come te.
4. Mangia correttamente.
5. Hank ha dettato personalmente questa lista.
349
6. La Luna è fatta di formaggio verde.
7. Tutto ciò che Hank dice è giusto.
8. Lavati le mani dopo essere andato al bagno.
9. Non fare uso di alcool.
10. Mangia i würstel senza condimento, in panini forati.
11. Bacia il culo a Hank o ti romperà le ossa.
Ragazzo. Questo pezzo di carta porta l'intestazione di Karl.
Mary. Hank non aveva sottomano della carta in quel mo-
mento.
Ragazzo. Sospetto che, se controllassimo, scopriremmo che
la scrittura è di Karl.
John. Ma certo, Hank gliel'ha dettata.
Ragazzo. Ma credevo aveste detto che nessuno vede mai
Hank.
Mary. Ora no, ma anni fa parlava con qualcuno.
Ragazzo. Credevo aveste detto che era un filantropo. Che
tipo di filantropo rompe le ossa alle persone semplicemente
perché sono diverse?
Mary. È quello che vuole Hank, e Hank ha sempre ragione.
Ragazzo. E voi come lo sapete?
Mary. Il punto 7 dice "tutto ciò che Hank dice è corretto". E
questo mi basta!
Ragazzo. Forse il vostro amico Karl si è inventato tutta la
faccenda.
John. Ma no! Il punto 5 dice "Hank ha dettato questa lista
personalmente". Inoltre, il punto 2 dice "Assumi alcool con
moderazione", il punto 4 dice "mangia correttamente" e il pun-
to 8 dice "lavati le mani dopo essere andato al bagno". Tutti
sanno che queste sono cose buone, e quindi devono essere buo-
ne anche le altre.
Ragazzo. Ma il punto 9 dice "Non fare uso di alcool", che
non è compatibile col punto 2; e il punto 6 dice "La luna è fatta
di formaggio verde", che semplicemente è falso.
John. Non c'è nessuna contraddizione tra i punti 9 e 2: sem-
350
plicemente il 9 chiarisce il 2. Per quanto riguarda il punto 6, tu
non sei mai stato sulla Luna, quindi non ne puoi essere sicuro.
Ragazzo. Ma gli scienziati hanno appurato che la luna è fatta
di pietra...
Mary. Ma non sanno se la pietra proviene dalla terra o dallo
spazio profondo, e quindi potrebbe anche essere formaggio
verde.
Ragazzo. Non sono un esperto, ma credo che la teoria secon-
do cui la Luna è stata catturata nell'orbita della Terra sia stata
dimostrata errata. Inoltre, non sapere da dove viene quella
pietra non la rende formaggio.
John. Ha! Hai appena ammesso che gli scienziati commetto-
no errori, ma noi sappiamo che Hank ha sempre ragione!
Ragazzo. Lo sappiamo?
Mary. Certo che lo sappiamo, lo dice il punto 7.
Ragazzo. Voi dite che Hank ha sempre ragione perché lo
dice la lista, che la lista è corretta perché l'ha dettata Hank, e
che l'ha dettata Hank perché lo dice la lista. Questa è una logi-
ca circolare. È come dire "Hank ha ragione perché dice che ha
ragione".
John. Ah, vedo che inizi a capire! Che grande soddisfazione
quando qualcuno comincia a entrare nel modo di pensare di
Hank.
Ragazzo. Ma... va beh, lasciamo perdere. Ma cos'è questa
storia dei würstel?
Mary. (arrossisce)
John. "I würstel, solo in panini forati, senza condimento."
Alla maniera di Hank. Qualunque altro modo è sbagliato.
Ragazzo. E se io non ho un panino forato?
John. Niente panino forato, niente würstel. Un würstel sen-
za panino forato è sbagliato.
Ragazzo. Niente salse? Niente senape?
Mary. (sembra terribilmente sconvolta)
John. (urlando) Non c'è bisogno di usare questo linguaggio! I
condimenti di qualunque tipo sono sbagliati!
351
Ragazzo. Quindi un grosso mucchio di crauti con dei wür-
stel tagliati a pezzi non va bene?
Mary. (Si copre le orecchie con le mani.) Non sto ascoltando. La
la la la...
John. Ma sei disgustoso. Solo un deviato malefico mange-
rebbe una cosa simile...
Ragazzo. Ma è buono! Io lo mangio continuamente.
Mary. (sviene)
John. (sostenendo Mary). Beh, se avessi saputo che tu eri uno
di quelli, non avrei perso il mio tempo con te. Quando Hank ti
romperà le ossa io ci sarò, e intanto conterò i miei soldi e ride-
rò. Bacerò il culo a Hank anche per te, mangiatore di würstel
tagliati a pezzi e senza panino forato.
(John sorregge Mary dentro la macchina e vanno via.)
352
sare i pantaloni corti), avremmo potuto trovare una foglia
anti-infiammazione nei paraggi: tutto questo mi è rimasto in
mente, proprio come il "museo del guardaboschi", dove i con-
tadini del luogo conservavano i cadaveri di topi, donnole, e al-
tri piccoli predatori, presumibilmente tutelati da qualche divi-
nità meno generosa. Se leggete le poesie rurali di John Clare
capirete il tipo di sentimento che sto cercando di evocare.
[...]
Comunque, arrivò un giorno in cui la povera, cara Mrs.
Watts superò se stessa. Sforzandosi di fondere il suo ruolo di
insegnante della natura e insegnante della Bibbia, disse, "Così
vedete, bambini, quanto Dio è potente e generoso. Ha creato
tutti gli alberi, e l'erba, col colore verde, che è proprio il co-
lore più riposante per i nostri occhi. Immaginate se invece la
vegetazione fosse tutta viola, o arancione, quanto sarebbe
brutta."
E guardate cosa ha prodotto questa pia, anziana signora.
Mrs. Watts mi era simpatica: era un'affettuosa vedova senza
figli che aveva un vecchio affettuoso cane da caccia di nome
Rover, e ci invitava offrendoci dolciumi nella sua casa un po'
malmessa presso la ferrovia. Se Satana ha scelto di indurmi in
errore, è stato molto più ingegnoso del serpente nel giardino
dell'eden. Lei non ha mai alzato la voce e non è mai stata vio-
lenta [..]
Però io rimasi sinceramente sconvolto da ciò che aveva det-
to. I miei sandaletti allacciati alla caviglia si vergognavano per
lei. All'età di 9 anni non avevo neppure idea dell'argomento
del "disegno intelligente", o dell'evoluzione darwiniana come
sua rivale, o della relazione tra la fotosintesi e la clorofilla. I se-
greti del mio genoma mi erano ignoti quanto lo sono agli altri
bambini di quell'età. Non avevo ancora visto scene della natu-
ra in cui quasi tutto era orrendamente indifferente o ostile alla
vita umana, se non alla vita stessa. Ma semplicemente sapevo,
quasi come se avessi avuto accesso ad un'autorità più alta, che
la mia insegnante era riuscita a sbagliare completamente tutto
in sole due frasi. Erano gli occhi ad essere adattati alla natu-
353
ra, non il contrario.
Non fingo di ricordare tutto perfettamente, o l'ordine in cui
avvenne, ma, dopo questa epifania, in un tempo molto breve
cominciai a notare altre stranezze. Se dio era il creatore di tut-
te le cose, perché dovevamo "lodarlo" così incessantemente
per aver fatto cose che gli venivano naturali? Sembrava servi-
le, tra le altre cose. Se Gesù poteva guarire una persona cieca
in cui si imbatteva, allora perché non guarire la cecità? Cosa
c'era di così meraviglioso nel suo atto di cacciare via dei dia-
voli, facendoli entrare in un branco di maiali? Sembrava sini-
stro, come la magia nera. Con tutte queste preghiere continue,
perché non c'era risultato? Perché dovevo continuare a dire in
pubblico che ero un miserabile peccatore? Perché il sesso era
considerato un argomento così tossico? Queste obiezioni im-
precise e puerili sono, come ho poi scoperto, estremamente co-
muni, in parte perché nessuna religione può rispondere ad
esse in modo soddisfacente. Ma se ne presentò anche un'altra,
più grande. [..] Il preside, che era colui che dirigeva le funzioni
e preghiere quotidiane e teneva il Libro, ed era un po' sadico e
segretamente omosessuale [..], una sera fece un discorso ad al-
cuni di noi. "Per ora potreste non vedere il senso di questa
fede" disse. "Ma lo vedrete un giorno, quando comincerete a
perdere delle persone care."
Di nuovo, sentii una pugnalata di indignazione così come di
incredulità. Insomma, questo equivaleva a dire che la religio-
ne potrebbe anche non essere vera, ma non importa, perché
ci avrebbe portato conforto. Che cosa spregevole. Allora ave-
vo quasi 13 anni, e stavo diventando quel classico tipo di intel-
lettuale in erba insopportabile. Non avevo mai sentito parlare
di Siegmund Freud ― sebbene mi sarebbe stato utile per capi-
re il preside ― ma avevo appena ricevuto un barlume del suo
saggio "Il futuro di un'illusione".
Infliggo tutto ciò su di voi perché io non sono uno di que-
gli sfortunati la cui possibilità di credere cose sensate è stata
distrutta dall'abuso di minori nella forma di brutale indot-
trinamento. So che milioni di esseri umani hanno dovuto su-
bire queste cose, e non credo che le religioni vadano mai per-
354
donate per aver imposto tanta miseria. (Nel passato molto re-
cente, abbiamo visto la Chiesa di Roma sprofondare nel fango
per la sua complicità nel peccato imperdonabile di stupro di
minori, o, come si potrebbe dire in Latino, "non resta il di die-
tro di un bambino"). Ma altre organizzazioni non religiose
hanno commesso crimini simili, o anche peggiori.
LA VITA CI APPARTIENE?
David Hume, 1757
357
peccato. Se fossero capaci di distinguere, non avrebbero
bisogno di avvertimenti in primo luogo. Insomma la cre-
dulità, in quanto dispositivo di sopravvivenza, va accet-
tata in blocco. Devi credere tutto quello che ti dicono, il
falso e il vero. I genitori e gli anziani sanno così tante
cose che è naturale assumere che sappiano tutto, ed è
naturale credere loro. Così quando ti dicono che Babbo
Natale scende dal camino, e che la fede "muove le mon-
tagne", naturalmente credi anche a quello.
I bambini sono creduloni perché hanno bisogno di es-
serlo per svolgere la loro funzione [evolutiva] di "bru-
chi" nella vita. Le farfalle hanno le ali perché la loro fun-
zione e localizzare i membri del sesso opposto e diffon-
dere i loro figli verso nuove piante da cibo. Hanno un
appetito modesto, soddisfatto da occasionali succhiate
di nettare. Mangiano poche proteine in confronto ai bru-
chi, che stanno ancora crescendo. Gli animali giovani in
generale hanno la funzione di prepararsi a diventare
adulti capaci di riprodursi. E bruchi sono fatti per man-
giare più rapidamente possibile per poter diventare cri-
salide e di divenire adulti volanti, capaci di riprodursi.
Per questo motivo non hanno ali ma invece hanno gros-
se mandibole e un appetito vorace.
I bambini umani devono essere creduloni per una ragio-
ne simile. Sono bruchi dell'informazione. Sono lì per di-
ventare adulti capaci di riprodursi, in una sofisticata so-
cietà basata sulla conoscenza. E la fonte di informazione
di gran lunga più importante nella loro dieta sono gli
anziani, soprattutto i genitori. Per la stessa ragione per
cui i bruchi hanno mandibole fortissime per succhiare la
polpa dei cavoli, i bambini umani hanno occhi e orecchie
ben aperti, e menti fiduciose e capaci di "succhiare" il
linguaggio e altra conoscenza. Sono succhiatori di cono-
scenza adulta. Valanghe di dati, gigabyte di sapienza
scorrono nei portali del cranio di un infante, e la mag-
gior parte di questa sapienza ha origine nella cultura co-
358
struita dai genitori e da generazioni di antenati. (Tra pa-
rentesi, è importante non portare troppo lontano l'analo-
gia con il bruco: i bambini cambiano gradualmente in
adulti, non di colpo, come un bruco si trasforma in far-
falla.)
Ricordo che una volta, a Natale, ho cercato amabilmen-
te di divertire una bambina di sei anni ragionando con
lei su quanto avrebbe dovuto impiegare Babbo Natale
per entrare in tutti i camini del mondo. Se un camino
medio è lungo 6 metri e ci sono, diciamo, 100 milioni di
case con bambini, quanto velocemente, domandai ad
alta voce, dovrebbe sfrecciare in ogni camino per poter
terminare il suo incarico in tempo, entro l'alba del gior-
no di Natale? Non avrebbe certo il tempo di andare in
punta di piedi senza far rumore in ogni stanza da letto
di ogni bambino, non credi, perché dovrebbe necessaria-
mente rompere il muro del suono? Ella comprese il ra-
gionamento e capì che c'era un problema, ma non se ne
preoccupò minimamente. Lasciò cadere la questione
senza indagare su di essa. L'ovvia possibilità che i suoi
genitori le avessero detto una cosa falsa non sembrò mai
attraversare la sua mente. Lei non l'avrebbe messa in
questi termini, ma l'implicazione fu che, se le leggi della
fisica rendevano impossibile l'opera di babbo Natale,
tanto peggio per le leggi della fisica. Era sufficiente che
i genitori le dicessero che lui scendeva nei camini duran-
te le poche ore della sera di Natale. Deve essere così
perché mamma e papà hanno detto che è così.
[...]
Questo fu scritto da Dawkins nel libro "Unweaving the rain-
bow". Durante una conferenza di scienziati (Beyond Belief
2006, i cui filmati sono su youtube.), uno di essi (Melvin Konn-
ner) accusò Dawkins di predicare bene e razzolare male: an-
che lui ha cercato di corrompere la mente di quella bambina,
rivelandole che Babbo Natale non esiste. La risposta di Daw-
kins alla conferenza fu:
359
È qui Melvin Konner? No, è andato via? In realtà io ho
delle grosse obiezioni su quello che ha detto. Ha affer-
mato che io ho indottrinato quella bambina dicendole
che Babbo Natale non esiste. Il punto della questione è
proprio che io non l'ho fatto. L'ho invitata a riflettere da
sola su questo. L'ho invitata a calcolare. Questo è com-
pletamente diverso dall'indottrinamento e, se Melvin
fosse qui, gli chiederei di scusarsi per ciò che ha detto.
360
della larghezza di un capello umano. Questo è il motivo
per cui la teoria quantistica deve essere presa sul serio,
e non importa [..] se essa è misteriosa ― è così misterio-
sa che lo stesso Feynman una volta disse: "se pensi di ca-
pire la teoria quantistica, non conosci la teoria quantisti-
ca". [Il pubblico ride.]
È vero che la mente umana non riesce ad afferrarla, ed io
credo che il motivo sia che la mente umana si è evoluta
in un "mondo di mezzo" dove la stranezza della teoria
quantistica non aveva alcun impatto sulla vita umana.
[la logica quantistica si manifesta solo in un dominio mi-
croscopico; non nella vita di tutti i giorni]
E' vero che la mente umana non può afferrare, non può
visualizzare, non può immaginare le assunzioni che la
teoria quantistica ha bisogno di fare, ma i fisici che
fanno gli esperimenti possono verificare le predizioni
della teoria quantistica, fino ad un'accuratezza che è
assolutamente stupefacente, e che ci assicura senza
ombra di dubbio che la teoria quantistica deve, in un
certo senso, essere vera. Niente di lontanamente simile
a questo si potrebbe mai affermare per la dottrina del-
la Trinità; né la dottrina della Trinità è così misteriosa
ed interessante, anche lontanamente, come la teoria
quantistica.
361
CONCLUSIONE
362
ri dei testi di On Faith, inizia la sua risposta alla domanda at-
tuale dicendo "Non ho mai incontrato un ateo che fosse una
persona piacevole. Di certo, da qualche parte di questo piane-
ta, ci deve essere un ateo amichevole, ma non mi sono ancora
imbattuto in uno di essi. Gli atei che hanno incrociato la mia
strada sono repellenti..."
Come esperimento, provate a sostituire la parola "ateo" con
"ebreo" o "donna", e chiedetevi se la persona che ha pronun-
ciato queste tre frasi potrebbe mai conservare il suo posto di
lavoro. Eppure nell'America di oggi un professore (di "studi
latini") può pubblicare questi odiose affermazioni e non su-
bire alcuna conseguenza.
Tra gli scienziati abbastanza distinti da essere eletti nella Na-
tional Academy, più del 90% non crede ad alcun tipo di Dio
soprannaturale. Inutile dirlo, molti di essi sono persone piace-
voli, amichevoli e tutt'altro che nauseanti, oltre ad essere intel-
ligenti, beneducati, e cittadini felici e produttivi.
Una proporzione di atei ugualmente alta è stata trovata re-
centemente tra i Fellow della Royal Society, ed è possibile che
gli stessi dati sarebbero prodotti da distinti studiosi di filoso-
fia, storia, economia, letteratura ed altre discipline, provenien-
ti dagli stessi ambienti colti ed intelligenti della società.
Dovremmo sperare che una notevole percentuale dei mem-
bri del Parlamento americano provenga dalla stessa elite in-
tellettuale e culturale, quindi c'è una forte aspettativa statistica
che anche molti di loro siano atei. Eppure sono quasi certo che
nemmeno uno dei 535 membri del Parlamento ammetterà
una cosa simile. Una grande quantità di essi deve per forza
stare mentendo, ma chi può criticarli? Se si rivelassero atei sa-
rebbero ineleggibili, come hanno confermato i sondaggi.
Molti danno per scontato che gli atei non abbiano valori o
una morale, che siano incapaci di amare, o di apprezzare la
bellezza e la natura. Chi voterebbe per uno di loro?
La premessa della domanda di questa settimana è che gli
atei siano di moda in questo periodo. Spero e credo che non
sia un fuoco di paglia. I sintomi di cui sono a conoscenza sono
363
davvero incoraggianti. Il libro di Daniel Dennett "Breaking the
spell" e " lettera a una nazione cristiana" di Sam Harris hanno
venduto benissimo per tutto il 2006, ed il mio "the god delu-
sion" rimane alto nelle classifiche dei best-seller nel 2007.
Dobbiamo aspettarci un successo simile nel 2007 da "God is
not great" di Christopher Hitchens, già autore de "la posizione
della missionaria" e da "God: the failed hypothesis" di Victor
Stenger. Tali roboanti vendite di libri che incoraggiano l'atei-
smo alla luce del sole sarebbero state inconcepibili fino a po-
chissimo tempo fa. Quando,6 anni fa, proposi "the god delu-
sion" al mio agente, lui fu categorico: non ci pensare nemme-
no. E invece, dopo sei anni di teocrazia cristiana incipiente...
Nel mio recente tour di promozione del libro negli Stati Uni-
ti, le standing ovation che ho ricevuto regolarmente dal pub-
blico che si accalcava in tutta la nazione [...] non era dovuto
alle mie abilità di eloquenza o di scrittura, ma completamente,
credo, alla totale frustrazione di liberi pensatori vilipesi. Volta
dopo volta, nelle lunghe file in cui mettevo l'autografo sui li-
bri, giovani americani (giovani in modo incoraggiante) mi
confidavano "grazie, grazie, grazie per aver detto le cose che
volevo dire ma non credevo di potere" (vedi www.RichardDa-
wkins.net).
Sam Harris e Daniel Dennett riportano esperienze simili da
pubblici ugualmente grandi. C'è una speranza diffusa che stia-
mo vedendo l'inizio di uno spostamento da troppo tempo at-
teso della tettonica della nostra cultura. I sondaggi suggerisco-
no che gli atei in America siano molto più numerosi di quan-
to essi stessi comprendano. Sono molti di più degli ebrei, la
cui lobby politica è notoriamente potentissima.
È il momento che gli atei d'America prendano da questo li-
bro, e degli altri che ho menzionato, il coraggio di "rivelarsi",
di alzarsi in piedi, di riconoscersi l'un l'altro, e di lavorare
insieme per esercitare il diritto di esercitare una giusta e pro-
porzionata influenza su questa grande democrazia. Se questi
libri sono, come viene spesso detto per liquidarli, come pre-
dicare al coro, non sottovalutate la sua grandezza e capacità.
364
Si tratta di un coro molto grande e di talento, ed è giunto il
momento che la sua musica si faccia sentire.
[ Se il lettore italiano fosse persuaso di questa necessità, può
iscriversi all'unione italiana degli atei, il cui sito web è
www.uaar.it ]
POSTFAZIONE
La libertà e la vita su questo pianeta sono oggi gravemente
minacciate dall'avanzare del fondamentalismo religioso, spe-
cialmente quello islamico e quello cristiano evangelico ameri-
cano. Come avrete appreso, sia i fondamentalisti cristiani
evangelici sia i fondamentalisti islamici sostengono aperta-
mente l'uccisione degli infedeli, l'uccisione delle donne adulte-
re, l'uccisione degli omosessuali, la fine della democrazia e
l'avvento della teocrazia. Il motivo per cui lo fanno è che cre-
dono che i loro Testi Sacri (rispettivamente Bibbia e Corano)
vadano applicati alla lettera ― e, come è noto, i testi in questio-
ne prescrivono davvero tutti quei delitti, esplicitamente. In
più, i fondamentalisti islamici sostengono le nozioni di jihad e
di soggiogamento della donna, mentre quelli evangelici so-
stengono l'uccisione dei bambini disobbedienti. (I fondamen-
talisti evangelici sono meno noti in Italia di quelli islamici, ma
si contano a milioni negli Stati Uniti, ed hanno una enorme in-
fluenza sulle politiche governative. Uno dei loro capi, Ted
Haggard, si vanta di poter conversare telefonicamente con
George W. Bush ogni domenica.).
Sebbene questi fanatici si contino a milioni, il pericolo più
grave non proviene da loro, bensì dai molti religiosi moderati e
liberali, i quali, senza rendersene conto, sostengono e rafforza-
no i fondamentalisti, in almeno cinque modi: primo, difendo-
no l'idea che la fede (cioè l'atto di credere qualcosa senza evi-
denza) sia di per sé qualcosa di positivo e meritevole, e in tal
modo proteggono ogni tipo di fede, anche quella fondamenta-
lista, dalla critica e dall'emarginazione. Secondo, pretendono
che la fede goda di un rispetto speciale, maggiore di quello
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che concediamo ad altre credenze, e in tal modo proteggono
ogni fede, anche quella fondamentalista, dall'indagine raziona-
le che potrebbe annientarla. Terzo, i religiosi moderati non
hanno mai preso le distanze dalle Sacre Scritture (Bibbia, Co-
rano): non le hanno mai condannate pubblicamente come vio-
lente, immorali e perverse, bensì continuano a sostenere che
sono scritte sotto ispirazione di Dio, ed in tal modo favorisco-
no i fondamentalisti che ne sostengono l'applicazione letterale
(l'uccisione dei diversamente credenti, degli omosessuali, del-
le adultere, dei figli disobbedienti, ecc). Quarto, i religiosi mo-
derati non mettono mai in discussione la legittimità di cresce-
re i bambini convincendoli di appartenere ad una precisa reli-
gione, instillando nei loro cervelli dei dogmi. Quinto, i religio-
si moderati propagano l'idea che sia legittimo etichettare i
bambini con la religione di nascita (sebbene i bambini siano
ovviamente troppo giovani per avere posizioni ragionate sulla
religione) perpetuando così le divisioni religiose nel mondo.
La combinazione di questi cinque ostinati atteggiamenti dei
religiosi moderati e liberali protegge i fondamentalisti, e rende
possibile il loro successo sempre maggiore. Oggi esiste la pos-
sibilità che i fondamentalisti usino la democrazia americana
come un mezzo, per poi liberarsene come uno straccio vec-
chio, una volta raggiunta la teocrazia.
Anche i non credenti, specialmente quelli “di sinistra”, favori-
scono questa tragica presa di potere, in quanto sottovalutano
quasi sempre i pericoli della fede, e tendono ad attribuire la
responsabilità della violenza e delle stragi non alla fede reli-
giosa in sé e per sé, ma ad altri fattori come la povertà, la di-
sperazione o la mancanza di istruzione. Questa posizione è
fortemente contraria all'evidenza: i kamikaze sono quasi sem-
pre appartenenti alla classe ricca o a quella media, e sono mol-
to colti ed istruiti. Inoltre la loro morte non dà beneficio a nes-
suno, ma danneggia sia i loro cari sia la loro comunità. Abbia-
mo persino testimonianze dirette di kamikaze falliti che con-
fermano personalmente di non odiare nessuno, e di aver agito
soltanto per ricevere il premio di Dio nell'aldilà.
Questo involontario sostegno ai fondamentalisti da parte dei
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religiosi moderati e dei non credenti produce la conservazione
indefinita di credenze da età della pietra che, combinate alle
tecnologie belliche del ventunesimo o ventiduesimo secolo,
potrebbero portare l'umanità all'estinzione.
Questo esito tragico si può evitare, sebbene le probabilità
non sembrino buone, solo grazie ad un nuovo illuminismo su
scala planetaria, che rivoluzioni completamente l'atteggiamen-
to delle persone verso le credenze non supportate da eviden-
za, e verso l'insegnamento di tali credenze ai bambini. Questo
movimento dovrebbe diffondere nuovi standard di onestà in-
tellettuale, secondo cui una persona che afferma di sapere cose
di cui non c'è evidenza venga immediatamente emarginata ed
esclusa dai dibattiti pubblici (anziché eletta presidente, come
accade oggi). Spero che questa raccolta abbia potuto farvi
prendere coscienza della necessità di tutto ciò e possa stimo-
lare l'inizio di un dibattito.
Se siete persuasi della necessità di un associazionismo laico
per contrastare il crescente potere del dogmatismo religioso
sulle nostre istituzioni democratiche, prendete in considera-
zione l'iscrizione all'unione italiana degli atei, il cui sito web è
www.uaar.it.
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