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SULLA VERITÀ, MORALITÀ

ED UTILITÀ DELLA RELIGIONE

Ultimo aggiornamento: 02/07/07

Indice dei contenuti


Introduzione..........................................................................................5

PARTE I. ANALISI DELLA VERITÀ, MORALITÀ ED


UTILITÀ DELLA RELIGIONE.................................................. 6
Salti di coscienza...................................................................................7
Che cosa intendiamo per “religione”?.............................................11
Il rispetto speciale per le credenze religiose...................................15
Politeismo e Trinità.............................................................................19
La pochezza dell'agnosticismo.........................................................25
La disonestà intellettuale che divide...............................................29
Come la fede distorce il senso di moralità......................................32
Un rispetto immeritato.......................................................................33
I mali causati dalla religione moderata...........................................37
Criticare la fede è tabù.....................................................................37
Le religioni non sono tutte uguali...................................................37
Negare che la fede sia causa delle stragi..........................................38
La pochezza logica della religione moderata....................................40
La pochezza teologica della religione moderata............................... 41
I moderati impediscono la creazione di una spiritualità moderna.. 42
I moderati non hanno mai condannato l'immoralità della Bibbia.. 42
1
Perché siamo tutti relativisti..........................................................44
Ostacolare i discorsi razionali......................................................... 45
Scienza e religione non sono indipendenti.....................................46
Le religioni fanno affermazioni scientifiche sull'universo.............. 50
Senza Dio può esistere la moralità?.................................................52
La moralità delle Sacre Scritture.......................................................57
L'Antico Testamento.......................................................................58
La moralità del Nuovo Testamento.................................................68
Ama il prossimo tuo...........................................................................73
Insegnare ai bambini il genocidio....................................................75
Le dimostrazioni dell'esistenza di Dio. S. Tommaso d'Aquino.. 82
L'argomento ontologico per l'esistenza di Dio...............................85
Come la fede moderata favorisce il fanatismo...............................88
Infanzia, abuso e fuga dalla religione..............................................96
Abuso fisico e mentale.....................................................................101
In difesa dei bambini........................................................................110
L'argomento delle Sacre Scritture .................................................117
I quiz morali. Uno studio applicato sulle radici della moralità 123
Uccidere una “persona potenziale”...............................................129
Come la morale umana cambia nel tempo ..................................132
Il fondamentalismo e la sovversione della scienza..................... 143
I miracoli............................................................................................148
L'atteggiamento religioso..............................................................148
...e l'atteggiamento scientifico.......................................................150
L'argomento dell'esperienza personale..........................................152
Uno di noi ha ragione, l'altro ha torto...........................................158
Come si spiega ciò che fecero i Padri della Chiesa?....................161
Il grande esperimento della preghiera..........................................161
Integrare il dubbio nella propria fede...........................................166
Le Scritture, un generatore eterno di fondamentalismo................167
“Gli atei sono intolleranti, arroganti e dogmatici”......................171
Arrogante è chi afferma di sapere cose che non può sapere...........172
Disonestà intellettuale......................................................................174
Ingannare i propri figli..................................................................175

2
Come la religione ostacola sistematicamente la scienza............ 176
Il pericolo per l'umanità................................................................178
La spiritualità non richiede la fede................................................179
Insegnare ai bambini........................................................................181
Il successo di una dottrina non ne implica la verità....................181
Le esperienze mistiche non sono evidenza...................................184
La personalità di Gesù.....................................................................185
Sull'utilità della religione.................................................................188
Il non cambiare idea.........................................................................191
L'innovazione del Concilio Vaticano II.........................................194
Dubitare non è dogmatico...............................................................196
Definire qualcosa non lo fa automaticamente esistere............... 197
Il Vangelo è documento storico. Perché non credervi?.............. 198
La differenza tra storia e religione.................................................200
La religione come fenomeno naturale...........................................202
Lettera a una nazione cristiana.......................................................206
Etichettare i bambini con la religione di nascita..........................209
Il mito del caos morale laico............................................................213
La fede è compatibile con la ragione?............................................218

PARTE II. L'ORIGINE DELLA VITA...................................... 221


Siamo stati creati da Dio?................................................................222
Perché esistiamo?..............................................................................222
L'evoluzione è casuale?....................................................................226
Come nasce un organo complesso come l'occhio umano?.........236
Il paradosso del mimetismo............................................................242
Qual è l'evidenza per l'evoluzione?...............................................247
L'origine della vita............................................................................247
Perché esistono le persone?.............................................................257
Perché la teoria del “bene della specie” è sbagliata........................264
Spirali immortali...............................................................................271
Perché esiste la morte?.....................................................................287
Perché esiste la mente......................................................................291
In che senso i geni controllano le nostre decisioni........................ 298
3
I geni prevedono il futuro...............................................................303
Il potere della simulazione.............................................................306
Perché esiste l'altruismo..................................................................310
La teoria del gene egoista...............................................................314
APPENDICE. APPROFONDIMENTI E CURIOSITÀ......... 319
Argomenti bayesiani per l'esistenza di Dio..................................320
La scommessa di Pascal...................................................................324
“La ragione non si applica a Dio”..................................................326
Il firewall della fede..........................................................................327
L'insegnamento della religione.......................................................331
L'agnosticismo ignora il concetto di probabilità..........................335
Darwin e la religione........................................................................340
La tolleranza indica l'indebolimento della fede...........................343
L'Islam e il rifiuto della scienza.....................................................345
Un uomo raggiunto dalla fede....................................................... 347
Baciare il culo di Hank.....................................................................347
L'infanzia di Christopher Hitchens................................................352
La vita ci appartiene?.......................................................................355
Le responsabilità dei genitori verso i figli.................................... 355
Trinità e teoria quantistica...............................................................360

CONCLUSIONE............................................................................ 362
La necessità di un associazionismo laico......................................362
Postfazione.........................................................................................365

4
INTRODUZIONE
Questa è una raccolta di scritti e discorsi, principalmente ad
opera del biologo evoluzionista Richard Dawkins e del neuro-
scienziato Sam Harris, aventi come argomento la religione.
Lo scopo principale della raccolta è far riflettere il lettore cir-
ca il ruolo odierno della religione nel mondo, da un punto di
vista pressoché sconosciuto nel panorama culturale italiano.
Come presto scoprirete, la convinzione di fondo è che sia ne-
cessario ed urgente l'avvento di un nuovo movimento illumi-
nista su scala planetaria.
A scanso di equivoci è bene precisare che le posizioni qui so-
stenute non sono né “di destra” né “di sinistra” ― anzi incon-
trano forti opposizioni su entrambi i fronti ― e sono tutte for-
temente argomentate con evidenza. Tutto ciò che occorre è che
il lettore consideri questa evidenza con la mente aperta. E' pra-
ticamente certo che chiunque legga il volume in questo modo
apprenderà molti fatti nuovi che contribuiranno alla sua com-
prensione del mondo.
I passaggi ritenuti più importanti dall'editore di questo volu-
me sono evidenziati in grassetto. Sebbene la raccolta sia già
molto sintetica rispetto ai testi originali, è possibile ottenere
una ulteriore sintesi leggendo soltanto le parti in grassetto. Se
ritenete che un certo discorso sia poco interessante, potreste
decidere di saltare al successivo paragrafo in grassetto.
La raccolta è pensata per essere letta in modo sequenziale.
Essa si può persino vedere, se avrete la pazienza di leggere
fino alla fine della Parte II, come un percorso graduale verso
una presa di consapevolezza circa le ragioni della nostra esi-
stenza.

5
PARTE I. ANALISI DELLA VERITÀ,
MORALITÀ ED UTILITÀ DELLA RELIGIONE

6
SALTI DI COSCIENZA
(dal libro “l'illusione di Dio” di Richard
Dawkins)

Quando era bambina, mia moglie odiava la scuola e voleva


lasciarla. Anni dopo, superati i venti anni, lo rivelò ai suoi ge-
nitori e la madre fu sconvolta: "Ma cara, perché non ce lo hai
mai detto?". La risposta di Lalla fu: "Ma non sapevo di poterlo
fare".
Non sapevo di poterlo fare.
Sospetto ― anzi ne sono sicuro ― che ci siano molte persone
nate e cresciute dentro una qualche religione ma che ne sono
insoddisfatte, o non ci credono, o sono preoccupate dei mali
che sono fatti in nome di essa; persone che sentono un vago
desiderio di lasciare la religione dei loro genitori ma non si
rendono pienamente conto che questo è possibile. Se tu sei
una di queste persone, questo libro è per te. Lo scopo del libro
è permetterti un salto di coscienza ― renderti conscio che essere
atei è un'aspirazione realistica, coraggiosa e splendida. È inte-
ramente possibile essere un ateo felice, equilibrato, morale
ed intellettualmente soddisfatto. Questo è il primo dei mes-
saggi che compongono il salto di coscienza. Voglio elevare le
coscienze in altri tre modi, che mi accingo ad illustrare. [...]
Immagina, come John Lennon, un mondo senza religione.
Immagina che non ci siano persone che si fanno esplodere, né
11 settembre, né crociate, né cacce alle streghe, né Congiura
delle Polveri, né ripartizione dell'India, né guerra tra israeliani
e palestinesi, né massacri serbo/croato/musulmani, né perse-
cuzione degli ebrei come "carnefici di Cristo", né violenza nel-
l'Irlanda del Nord, né delitti d'onore, tele-evangelisti con abiti
splendenti che raggirano persone suggestionabili per i loro
soldi ("Dio vuole che tu doni finché non hai più nulla"). Imma-
gina che non ci siano né talebani a far esplodere antiche statue,
né decapitazioni pubbliche di blasfemi, né flagellazione di car-
ne femminile per il crimine di averne mostrata troppa in pub-
7
blico. Tra parentesi, il mio collega Desmond Morris mi infor-
ma che la splendida canzone di John Lennon è a volte cantata
in America censurando la frase "and no religion too" [e neppure
la religione]. In una versione, essa è stata anche sfrontatamen-
te sostituita con "and one religion too" [ed un'unica religione].
Forse pensi che l'agnosticismo sia una posizione ragionevo-
le, mentre l'ateismo sia dogmatico quanto una credenza reli-
giosa? Se è così, spero che il capitolo 2 fossa farti cambiare
idea, persuadendoti che "l'ipotesi di Dio" è una ipotesi scienti-
fica sull'universo, la quale va analizzata con scetticismo non
meno delle altre.
Forse ti hanno insegnato che i filosofi ed i teologi hanno pro-
dotto buone ragioni per credere in Dio. Se pensi ciò, potresti
apprezzare il capitolo 3 sugli "Argomenti in favore dell'esi-
stenza di Dio" ― i quali si rivelano spettacolarmente deboli.
Forse pensi che Dio debba necessariamente esistere, altri-
menti come potrebbe aver avuto origine il mondo? In quale
altro modo potrebbe esistere la vita, in tutta la sua ricca di-
versità, e tutte le specie animali avere caratteristiche che sem-
brano evidentemente essere state progettate? Se la pensi così,
spero tu possa trarre illuminazione dal capitolo 4, "Perché
quasi certamente non esiste alcun Dio". Lungi dal suggerire
un atto di progettazione intelligente, l'illusione della progetta-
zione nel mondo vivente viene spiegata in modo molto più
economico e con devastante eleganza dalla selezione naturale
darwininana. E, sebbene la selezione naturale si limiti a spie-
gare perché esistono gli esseri viventi, ci fa fare un salto di co-
scienza sulla probabilità di altre spiegazioni non magiche che
possono aiutare la nostra comprensione del cosmo. La potenza
di meccanismi non magici come la selezione naturale è il se-
condo dei miei quattro salti di coscienza.
Forse pensi che debba esistere un dio, o più di uno, perché
gli antropologi e gli storici raccontano che i credenti domina-
no ogni cultura umana. Se trovi convincente questo argomen-
to, ti prego di riferirti al capitolo 5, su "Le origini della religio-
ne", che spiega perché la fede è così onnipresente.

8
O forse pensi che la credenza religiosa sia necessaria per
avere una morale giustificabile? Non abbiamo forse bisogno
di Dio, per poter essere buoni? Ti prego di leggere i capitoli 6
e 7 per scoprire perché non è così.
Resti vagamente bendisposto verso la religione perché la
consideri una “cosa buona” per il mondo, anche se personal-
mente non hai fede? Il capitolo 8 ti inviterà a riflettere su alcu-
ni aspetti della religione che sono tutt'altro che buoni per il
mondo.
Se ti senti intrappolato dalla religione in cui sei stato cresciu-
to da piccolo, vale la pena chiedersi come questo sia potuto
avvenire. La risposta è in genere qualche tipo di indottrina-
mento giovanile. Se sei pur minimamente religioso, è enorme-
mente probabile che la tua religione sia quella dei tuoi genito-
ri. Se sei nato in Arkansas e pensi che il Cristianesimo sia vero
e l'Islam falso, pur sapendo che penseresti il contrario se fossi
nato in Afghanistan, allora sei stato vittima di indottrinamen-
to giovanile. Mutatis mutandis se sei nato in Afghanistan.
L'intera relazione tra religione e l'infanzia è trattata nel capi-
tolo 9, che contiene anche il mio terzo salto di coscienza. Pro-
prio come le femministe rabbrividiscono quando sentono dire
"lui" invece di "lui o lei", oppure "uomo" invece di "persona",
io voglio che tutti rabbrividiscano quando sentono dire
"bambino cattolico" o "bambino musulmano". Se volete, par-
late pure di "bambino di genitori cattolici"; ma se sentite qual-
cuno parlare di "bambino cattolico", fermatelo e fate educata-
mente notare che i bambini sono troppo giovani per sapere
da che parte stanno in tali questioni, proprio come sono trop-
po giovani per sapere come la pensano in economia e in politi-
ca. Proprio perché il mio scopo è elevare le coscienze, non
chiederò scusa per averlo menzionato qui oltre che nel capito-
lo 9. Non potrei mai ripeterlo abbastanza. Lo dirò di nuovo.
Quello non è un bambino musulmano, ma un bambino di ge-
nitori musulmani. Quel bambino è troppo giovane per sapere
se è musulmano o no. Non esiste niente di simile a un bambi-
no musulmano. Non esiste niente di simile a un bambino cri-
stiano.
9
Il quarto argomento del salto di coscienza è l'orgoglio ateo.
Essere atei non è una cosa di cui vergognarsi o chiedere scu-
sa. Al contrario, è qualcosa di cui essere orgogliosi, una cosa
per cui restare ben dritti fissando l'orizzonte, perché l'ateismo
indica quasi sempre una sana indipendenza intellettuale e, in-
vero, una mente sana. Molte persone che conosco sanno, nel
profondo del loro cuore, di essere atee, ma non osano ammet-
terlo davanti alle loro famiglie o persino, in alcuni casi, a loro
stessi. Il motivo è, in parte, che la stessa parola "ateo" è stata
pervicacemente fatta diventare un'etichetta terribile e spaven-
tosa. Nel capitolo 9 presenterò la storia tragicomica del comico
Julia Sweeney, di quando i suoi genitori scoprirono che era di-
venuta atea. Che ella non credesse in Dio, potevano anche
sopportarlo. Ma che fosse un'atea. Un'ATEA! (La voce della
madre era divenuta un urlo.)
[...]
La condizione degli atei in America oggi è pari a quella de-
gli omosessuali 50 anni fa. Ora, dopo il movimento del Gay
Pride, è possibile, sebbene non molto facile, che un omoses-
suale sia eletto in una carica pubblica. Un sondaggio Gallup
del 1999 chiese agli americani se voterebbero per una persona
altrimenti ben qualificata che fosse donna (il 95% lo farebbe),
cattolica romana (il 94% lo farebbe), ebrea (il 92%), nera (92%),
mormone (79%), omosessuale (79%) o atea (49%). Chiaramen-
te c'è molta strada da fare. Ma gli atei sono molto più numero-
si di quanto sembra.
[...]
Il motivo per cui molte persone non notano gli atei è che
molti di noi sono riluttanti a "rivelarsi" come tali. Il mio so-
gno è che questo libro possa aiutare le persone a rivelarsi.
Esattamente come il movimento gay, più gente si rivela, più
facile sarà per gli altri unirsi a loro. Potrebbe esserci una mas-
sa critica per innescare una reazione a catena.
I sondaggi americani suggeriscono che ci sono molti più atei
ed agnostici che ebrei osservanti, e che gli atei siano anche di
più della maggior parte di altri gruppi religiosi. Diversamente

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dagli ebrei, però, che notoriamente sono una delle lobby poli-
tiche più potenti degli Stati Uniti, e diversamente dai Cristiani
Evangelici, che hanno un potere politico ancora più grande,
gli atei e gli agnostici non sono organizzati e quindi esercita-
no influenza zero. Invero, organizzare gli atei è stato parago-
nato a mantenere un gregge di gatti, perché tendono a pensa-
re indipendentemente e non si conformano ad una autorità.
Ma un buon primo passo sarebbe costruire una massa critica.
[...]

CHE COSA INTENDIAMO PER “RELIGIONE”?


(da “L'Illusione di Dio”, Richard Dawkins)

Carl Sagan scrisse in “Pallido puntino blu”:


Una religione, vecchia o nuova, che enfatizzasse le mera-
viglie dell'universo così come sono rivelate dalla scienza
moderna riuscirebbe a suscitare sentimenti di riverenza
e stupore di gran lunga maggiori di qualunque fede con-
venzionale.
Tutti i libri di Carl Sagan toccano le terminazioni nervose
della meraviglia trascendente che la religione ha monopoliz-
zato nei secoli scorsi. I miei libri hanno la stessa aspirazione.
Di conseguenza, scopro di essere spesso descritto come un
uomo religioso. Uno studente americano mi scrisse di aver do-
mandato ad un suo professore cosa pensasse di me. “Daw-
kins”, rispose il professore, “è convinto che la scienza sia in-
compatibile con la religione, ma poi parla della natura e del-
l'universo con toni estatici e romantici. Per me, questa è reli-
gione!” Ma “religione” è davvero la parola adatta? Io non cre-
do. Il premio Nobel per la fisica (ed ateo) Steven Weinberg
fece luce su ciò meglio di chiunque altro ne “Il sogno di una
teoria definitiva”:
Alcune persone hanno una visione di Dio così ampia e
flessibile che inevitabilmente troveranno Dio dovun-
que lo cerchino. Si sente spesso dire che "Dio è l'assolu-

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to", o che "Dio è la nostra migliore natura", o che "Dio è
l'Universo". Naturalmente, alla parola "Dio" puoi dare il
significato che preferisci, come ad ogni altra parola. Se
vuoi dire che "Dio è energia", allora puoi trovare Dio in
un pezzo di carbone.
Se vogliamo che la parola Dio non divenga completamente
inutile, bisogna usarla nel modo in cui la gente la comprende
generalmente: per denotare un creatore soprannaturale che
sia in qualche modo appropriato venerare.
Molta deplorevole confusione è causata dalla incapacità di
distinguere tra la cosiddetta religione einsteiniana e la reli-
gione sovrannaturale. Einstein invocò a volte il nome di Dio (e
non è l'unico scienziato ateo a farlo), invitando al fraintendi-
mento. [...] Il drammatico (o fuorviante?) finale di Una Breve
Storia del Tempo di Stephen Hawking, "Perché allora noi do-
vremmo conoscere la mente di Dio", è notoriamente frainteso.
Ha portato le persone a credere erroneamente che Hawking
sia religioso. Una nota scienziata atea, Ursula Goodenough,
arriva a chiamare se stessa "naturalista religiosa". Questo è
sintomo di confusione del naturalismo con la religione. La
parola giusta dovrebbe essere "naturalista filosofico".
[...]
I pensieri e le emozioni umane emergono da connessioni
enormemente complesse di entità fisiche nel cervello. Un ateo,
nel senso di naturalista filosofico, è uno che crede che non ci
sia nulla oltre il mondo fisico, naturale; che non ci sia alcuna
intelligenza creativa sopra-naturale nascosta sotto l'universo
osservabile; nessuna anima che perdura al corpo; e nessun
miracolo ― tranne che nel senso di fenomeno naturale che
non comprendiamo ancora. Se c'è qualcosa che sembra giacere
oltre il mondo naturale, come oggi lo comprendiamo in modo
imperfetto, noi speriamo che alla fine lo comprenderemo e lo
faremo rientrare nel contesto del naturale. Quando decompo-
niamo un arcobaleno, esso non diventa meno meraviglioso.
[ Il seguente scritto di Einstein chiarisce la sua posizione: ]
Sono un non credente profondamente religioso. [...] Non
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ho mai imputato alla Natura uno scopo, o qualunque
cosa si possa intendere come antropomorfa. [...] L'idea di
un Dio dotato di una personalità mi è del tutto aliena ed
anzi mi appare persino sciocca.
[...]
L'unica cosa che i teisti compresero è che Einstein non era
uno di loro. Si indignava ripetutamente al suggerimento che
fosse un teista. Allora, era un deista, come Voltaire e Diderot?
O un panteista, come Spinoza, la cui filosofia ammirava? [...]
Ricordiamo la terminologia. Un teista crede in un'intelligen-
za sovrannaturale che, oltre al compito principale di aver crea-
to l'universo in primo luogo, è tuttora al lavoro per osservare
ed influenzare il successivo destino della sua creazione inizia-
le. In molti sistemi di credenze teistici, la divinità è intima-
mente coinvolta nelle vicende umane: risponde alle preghiere;
perdona o punisce i peccati; interviene nel mondo effettuando
miracoli; si duole o rallegra delle nostre buone e cattive azioni,
e sa quando le compiamo (e perfino quando pensiamo di com-
pierle). Un deista crede anch'egli in un'intelligenza sovranna-
turale, ma un'intelligenza le cui attività si limitarono a creare
le leggi che governano l'universo in tempi remoti. Il dio deista
non interviene mai da quel punto in poi, e certamente non ha
alcun interesse specifico nelle vicende umane. I panteisti non
credono affatto in un Dio sovrannaturale, ma usano la parola
Dio come sinonimo non-sovrannaturale della Natura, o del-
l'Universo, o delle leggi che ne governano il funzionamento. I
deisti differiscono dai teisti nel fatto che il loro Dio non ri-
sponde alle preghiere, non è interessato ai peccati o alle con-
fessioni, non legge i nostri pensieri e non interviene con ca-
pricciosi miracoli. I deisti differiscono dai panteisti nel fatto
che il Dio deista è un qualche tipo di intelligenza cosmica,
piuttosto che il sinonimo usato dai panteisti (poeticamente o
metaforicamente) per riferirsi alle leggi dell'universo. Il pan-
teismo è un ateismo con una punta di erotismo. Il deismo è
un teismo smorzato. C'è ragione di credere che le famose frasi
di Einstein come "Dio è sottile ma non malizioso" o "Dio non

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gioca a dadi" o "Dio ha avuto scelta nel creare l'Universo?" sia-
no panteistiche, e non deistiche, e certamente non teistiche.
"Dio non gioca a dadi" andrebbe tradotto con "la casualità non
fa parte delle leggi della fisica". "Dio ha avuto scelta nel creare
l'universo?" significa "Potrebbe l'universo avere avuto inizio in
qualunque altro modo?". Einstein usava la parola "Dio" in un
senso puramente metaforico, poetico. Lo stesso fa Stephen
Hawking. [..]
Riassumiamo la religiosità di Einstein citandolo ancora una
volta:
La religiosità è sentire che oltre ciò che possiamo speri-
mentare c'è qualcosa che la nostra mente non può affer-
rare, la cui bellezza ci appare solo indirettamente e come
un debole riflesso. In questo senso, io sono religioso.
In questo senso, anch'io sono religioso, con la riserva che
"non può afferrare" non significa "per sempre inafferrabile".
Ma preferisco non chiamare me stesso religioso perché è fuor-
viante. È distruttivamente fuorviante perché, per la stragran-
de maggioranza delle persone, "religione" implica "sovran-
naturale". Carl Sagan l'ha spiegato bene: "Se per Dio intendia-
mo l'insieme di leggi fisiche che governano l'universo, chiara-
mente Dio esiste. Questo Dio è però insoddisfacente dal
punto di vista emozionale... non ha molto senso pregare la
legge di gravità". [...] Vorrei che i fisici evitassero di usare la
parola Dio nel loro speciale senso metaforico. Il Dio metafori-
co o panteistico dei fisici è lontano anni luce dal Dio interven-
tista, dispensatore di miracoli, lettore del nostro pensiero,
punitore dei peccati, risponditore delle preghiere, che è pro-
prio della Bibbia, dei preti, dei mullah, dei rabbini, e del lin-
guaggio comune. Confondere deliberatamente questi due è,
a mio parere, un alto tradimento intellettuale.

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IL RISPETTO SPECIALE PER LE CREDENZE RELIGIOSE
(da “L'Illusione di Dio”, Richard Dawkins)

Il titolo del mio libro, L'Illusione di Dio, non si riferisce al


Dio di Einstein e degli altri scienziati illuminati della sezione
precedente. [...] Nel resto del libro mi occuperò soltanto di
dèi sovrannaturali, il più familiare dei quali per la maggio-
ranza dei miei lettori sarà Yahweh, il Dio dell'Antico Testa-
mento. Verrò a lui tra un momento. Ma prima di terminare
questo capitolo introduttivo devo affrontare una questione
che altrimenti graverebbe sull'intero libro. E' una questione di
educazione. E' possibile che alcuni lettori si sentano offesi da
ciò che ho da dire, e che non trovino in queste pagine abba-
stanza rispetto verso le loro credenze (o per le credenze al-
trui). Sarebbe un peccato se questa offesa impedisse loro di
proseguire la lettura, quindi vorrei risolvere la questione sin
da ora.
C'è un'assunzione molto diffusa, accettata quasi da tutti nel-
la nostra società, compresi i non religiosi: l'assunzione che la
fede religiosa sia particolarmente vulnerabile alle offese e
vada protetta con un particolare muro di rispetto, un rispetto
diverso da quello che ogni essere umano è tenuto a riservare
agli altri esseri umani. Lo scrittore Douglas Adams lo spiegò
così bene, in un discorso improvvisato che tenne a Cambridge
poco prima di morire, che non mi stancherò mai di citare le
sue parole:
La religione... ha nel suo nucleo alcune idee che noi chia-
miamo sacre, o sante, il che significa semplicemente
"Questa è un'idea o una nozione di cui non è permesso
dire nulla di male; semplicemente non si può fare. E per-
ché? Perché no."
Se qualcuno vota per un partito politico con cui non
siete d'accordo, siete liberi di discutere quanto volete;
tutti sosterranno una posizione ma nessuno si sentirà of-
feso da questo. Se qualcuno pensa che le tasse debbano
salire o scendere, sei libero di dire la tua. Però se qual-

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cuno dice "Di domenica non bisogna premere l'inter-
ruttore della luce", tu dici "io lo rispetto".
Perché mai dovrebbe essere perfettamente legittimo
sostenere il partito laburista o il partito conservatore, i
repubblicani o i democratici, questo modello economico
o quell'altro, il Macintosh invece di Windows... però non
si può avere un'opinione su come è iniziato l'universo,
o su chi lo ha creato, in quanto "è un argomento sacro"?
Siamo abituati a non mettere in discussione le idee reli-
giose, ma è interessante il polverone che solleva Richard
ogni volta che lo fa! Tutti diventano assolutamente iste-
rici perché non è permesso dire queste cose. Eppure
quando ci pensi razionalmente non c'è motivo per cui
queste idee non debbano essere aperte al dibattito come
tutte le altre, tranne il fatto che abbiamo tutti acconsenti-
to che non lo siano.
Ecco un esempio del rispetto esagerato della nostra società
nei confronti della religione, un esempio importante. Per otte-
nere lo stato di obiettore di coscienza in tempo di guerra, la
motivazione più semplice è di gran lunga quella religiosa.
Puoi anche essere un brillante filosofo della morale, autore di
una tesi di dottorato pluripremiata che analizza i mali della
guerra, e, nonostante ciò, passerai sotto l'esame di un comitato
che metterà a dura prova la tua pretesa di essere obiettore di
coscienza. Però, se dici che uno dei tuoi parenti era quacche-
ro, supererai l'esame come niente fosse, non importa quanto
illetterato ed inarticolato tu sia nell'esporre la tua teoria del
pacifismo e nella conoscenza del quaccherismo stesso.
Cambiando completamente versante: noi abbiamo una vile
riluttanza ad usare nomi religiosi per indicare fazioni belli-
geranti. Nell'Irlanda del Nord, ci si riferisce ai cattolici e ai
protestanti eufemisticamente come a "nazionalisti" e "lealisti".
La parola stessa "religioni" viene trasformata in "comunità", ad
esempio nel termine "intercommunity warfare" [stato di guer-
ra tra le comunità]. In Iraq, in conseguenza dell'invasione an-
glo-americana del 2003, è nata una guerra civile tra musulma-
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ni sunniti e sciiti. È chiaramente un conflitto religioso, eppure
sull'Independent del 20 maggio 2006 il titolo principale e l'arti-
colo di fondo lo descrivevano entrambi come "pulizia etnica".
"Etnica" in questo contesto è un altro eufemismo. Quello che
avviene in Iraq è pulizia religiosa. L'uso originale del termine
viene dalla Yugoslavia ed è anche (seppur discutibilmente) un
eufemismo per la pulizia religiosa che coinvolgeva i serbi or-
todossi, i croati cattolici e i bosniaci musulmani.
Già in precedenza1 ho portato all'attenzione i privilegi della
religione nelle discussioni pubbliche di etica, nei media e
nel governo. Ogni volta che nasce una controversia sulla mo-
rale sessuale o riproduttiva, potete scommettere che i leader
religiosi di vari diversi gruppi di fede saranno rappresentati in
modo prominente in convegni influenti, o in dibattiti televisivi
o radiofonici. Non sto suggerendo che dovremmo censurare i
punti di vista di queste persone. Ma perché la nostra società
stende loro un tappeto rosso, come se avessero qualche com-
petenza comparabile a quella, che so, di un filosofo morale,
un avvocato di famiglia o un medico?
Ecco un altro strano esempio dei privilegi della religione. Il
21 febbraio 2006, la Corte Suprema degli Stati Uniti deliberò
che una chiesa nel New Mexico fosse esentata per legge dal di-
vieto, che tutti gli altri devono osservare, di assumere droghe
allucinogene. I fedeli del Centro Espirita Beneficente Uniao do
Vegetal credono che si possa comprendere Dio solo bevendo tè
hoasca, che contiene la droga illegale allucinogena chiamata di-
metiltriptamina. Notate che è sufficiente che essi credano che
la droga migliori la loro comprensione. Non devono produr-
re evidenza. Per contro, c'è moltissima evidenza scientifica
che la cannabis allevia la nausea ed il dolore dei malati di can-
cro che si sottopongono a chemioterapia. Eppure, la Corte Su-
prema ha deliberato, nel 2005, che tutti i pazienti che usano
cannabis a scopi medicinali sono soggetti a prosecuzione fede-
rale (anche in quella minoranza di Stati dove questo uso spe-
ciale è legalizzato). La religione, come sempre, è una carta vin-

1 “Dolly and the cloth heads”, Dawkins 2003.


17
cente. Immaginate i membri di una società di estimatori d'ar-
te che sostengano in tribunale di "credere" di aver bisogno
di una droga allucinogena per aumentare la loro compren-
sione dei dipinti impressionisti o surrealisti. Eppure, quando
una Chiesa dichiara un bisogno equivalente, incontra il favore
della corte più importante del Paese. È tale il potere della reli-
gione come talismano.
Diciassette anni fa, ero uno dei trentasei scrittori ed artisti in-
caricati dal New Statesman di scrivere in supporto di Salman
Rushdie, allora condannato a morte per aver scritto un roman-
zo. I leader cristiani e persino alcuni opinionisti laici espresse-
ro "vicinanza spirituale" ai musulmani "offesi" e "feriti"; ispira-
to da ciò, tracciai il seguente parallelo:
Se i sostenitori dell'apartheid fossero furbi, affermereb-
bero (senza mentire, per quanto ne so) che permettere
alle razze di mescolarsi è contro la loro religione. A quel
punto, una buona parte dell'opposizione si defilerebbe
rispettosamente.
E non serve obiettare che il paragone è scorretto perché
l'apartheid non ha giustificazione razionale. Il punto car-
dine della fede religiosa, in tutta la sua forza e gloria, è
che non richiede giustificazione razionale. A noialtri
viene chiesto di giustificare i nostri pregiudizi; ma
chiedete a una persona religiosa di giustificare la sua
fede ed infrangerete la sua "libertà religiosa".
Non sapevo che qualcosa di molto simile sarebbe avvenuto
nel ventunesimo secolo. Il Los Angeles Times (10 aprile 2006)
riportava che numerosi gruppi cristiani nei campus sparsi per
gli Stati Uniti stavano denunciando le loro università per aver
applicato leggi anti-discriminazione, tra cui la proibizione di
molestare o di commettere abusi su omosessuali. Come esem-
pio tipico, nel 2004 un tribunale conferì a James Nixon, un ra-
gazzo di dodici anni dell'Ohio, il diritto di indossare a scuola
una maglietta con impresse le parole "L'omosessualità è pec-
cato, l'Islam è una menzogna, l'aborto è omicidio. Alcune
questioni sono chiare e semplici!" [Fonte: Columbus Dispatch,
18
19 agosto 2005]. La scuola gli disse di non indossare la ma-
glietta, e i genitori del ragazzo denunciarono la scuola. I geni-
tori avrebbero potuto ragionevolmente basarsi sul Primo
Emendamento, che garantisce la libertà di espressione. Ma
non lo fecero; ed in verità non potevano, perché la libertà di
parola esclude la propaganda di odio. Ma basta dimostrare
che l'odio è religioso, e non viene più considerato odio. Così,
invece della libertà di espressione, gli avvocati dei Nixon si
appellarono al diritto costituzionale alla libertà di religione. La
loro causa vittoriosa fu sostenuta dalla Alliance Defense Fund of
Arizona [Fondo dell'Arizona per la Difesa dell'Alleanza], il cui
scopo è "supportare battaglie legali per la libertà religiosa".
Il reverendo Rick Scarborough, supportando l'onda di de-
nunce cristiane di questo tipo, finalizzata a consolidare la reli-
gione come giustificazione morale per discriminare gli omo-
sessuali ed altri gruppi, si riferisce a questa battaglia come la
battaglia per i diritti civili del ventunesimo secolo: "I cristiani
dovranno alzarsi e combattere per il diritto di essere cristiani".
Ancora una volta, se queste persone si alzassero a combattere
per il diritto di parola, si potrebbe anche con riluttanza sim-
patizzare con loro. Ma non è di questo che si tratta. La legaliz-
zazione della discriminazione degli omosessuali viene soste-
nuta come contro-denuncia alla discriminazione religiosa! E la
legge sembra rispettare tutto questo. Non puoi cavartela di-
cendo "se cerchi di impedirmi di insultare gli omosessuali vio-
li la mia libertà di pregiudizio". Ma puoi cavartela dicendo
"violi la mia libertà di religione". Quando ci rifletti, qual'è la
differenza? Ancora una volta, la religione trionfa su tutto.

POLITEISMO E TRINITÀ
(da “L'Illusione di Dio”, Richard Dawkins)

Non è chiaro perché il passaggio da politeismo a monotei-


smo dovrebbe essere considerato un miglioramento auto-evi-
dente. Ma viene largamente considerato tale ― assunzione
che ha spinto Ibn Warraq (autore del libro "perché non sono
19
un musulmano") a congetturare che il monoteismo sia destina-
to a sua volta a sottrarre un ulteriore dio, divenendo ateismo.
L'enciclopedia cattolica liquida il politeismo e l'ateismo con la
stessa nonchalance:
"L'ateismo dogmatico formale si refuta da solo, e di fat-
to non ha mai conquistato il consenso ragionato di un
numero considerevole di persone. Né può il politeismo,
per quanto facilmente si impadronisca dell'immagina-
zione popolare, soddisfare la mente di un filosofo".
Fino a poco tempo fa, lo sciovinismo monoteista era scritto
nero su bianco nella legge di Inghilterra e Scozia, la quale
discriminava le religioni politeiste nel garantire l'esenzione
fiscale, mentre permetteva vita facile agli istituti caritatevoli
che hanno lo scopo di promuovere la religione monoteista, ri-
sparmiando loro le indagini rigorose che sono giustamente
richieste agli istituti caritatevoli laici. Io avevo l'ambizione di
persuadere un membro della rispettabile comunità Hindu bri-
tannica a farsi avanti e ad intentare un'azione civile contro
questa discriminazione contro il politeismo.
Molto meglio sarebbe, naturalmente, abbandonare del tutto
l'idea che la promozione della religione sia una base valida
per ottenere lo status di associazione caritatevole. Il benefi-
cio di questo alla società sarebbe grande, specialmente negli
Stati Uniti, dove la quantità di denaro esente da tasse che vie-
ne succhiata dalle chiese, e che finisce a lucidare le scarpe di
tele-evangelisti già fin troppo ricchi, raggiunge dei livelli che
si possono equamente chiamare osceni. Oral Roberts (mai
nome fu più appropriato) una volta disse al suo pubblico te-
levisivo che Dio li avrebbe uccisi se non gli avessero dato 8
milioni di dollari. Quasi incredibilmente, funzionò. Esenti
da tasse! Lo stesso Roberts va ancora fortissimo, così come l'u-
niversità a lui intitolata, la "Oral Roberts University", sita in
Tulsa, Oklahoma. I suoi edifici, del valore di $ 250 milioni, fu-
rono commissionati direttamente da Dio stesso, con queste pa-
role: "Solleva i tuoi studenti perché sentano la mia voce, e si
rechino dove la mia luce è debole, dove la mia voce si sente

20
poco, e dove la mia forza di guarigione non è nota, anche se
questo significa andare nei confini estremi della terra. Il loro
lavoro sarà più grave del tuo, e di questo Io sono
compiaciuto".
Ora che ci penso, il mio immaginario litigante Hindu proba-
bilmente avrebbe giocato la carta del "se non puoi batterli uni-
sciti a loro". Il suo politeismo non è davvero politeismo, ma
monoteismo travestito. Esiste solo un dio ― Brahma il creato-
re, Visnu il preservatore, Shiva il distruttore, la dea Saraswati,
Laxtmi e Parvati (mogli di Brahma, Vishnu e Shiva), Ganesh il
dio elefante, e centinaia di altri, sono soltanto differenti mani-
festazioni o incarnazioni di un unico Dio.
I cristiani dovrebbero scaldarsi di fronte a questa sofistica-
zione. Sono stati versati fiumi di inchiostro medioevale, per ta-
cere del sangue, sopra il "mistero" della Trinità, e per soppri-
mere le deviazioni come nel caso dell'eresia ariana. Ario di
Alessandria, nel quarto secolo AD, negò che Gesù fosse consu-
stanziale (cioè della stessa sostanza o essenza) con Dio. Che
cosa mai potrebbe significare questa cosa, vi state probabil-
mente chiedendo? Sostanza? Quale "sostanza"? Che cosa si in-
tende esattamente per "essenza"? "Molto poco", sembra l'unica
risposta ragionevole. Eppure la controversia ha diviso il Cri-
stianesimo a metà per un secolo, e l'imperatore Costantino or-
dinò di bruciare tutte le copie del libro di Ario. Dividere il cri-
stianesimo dividendo il capello ― questo è sempre stato il
modo di fare della teologia.
Abbiamo un solo Dio in tre parti, o tre dèi in uno? L'Enciclo-
pedia Cattolica chiarisce la cosa per noi, in un capolavoro di
ragionamento teologico:
Nell'unità della divinità ci sono tre persone, il padre, il
figlio e lo spirito Santo, queste tre persone essendo vera-
mente distinte l'una dall'altra. Così, nelle parole del
Credo Atanasiano: "Il Padre è Dio, il figlio è Dio, e lo
spirito Santo è Dio, e allo stesso tempo non ci sono tre
dei ma un solo Dio".
Come se questo non fosse abbastanza chiaro, l'enciclopedia
21
cita il teologo del terzo secolo San Gregorio, il Compitore di
Miracoli:
Quindi nella Trinità non c'è nulla di creato, niente che
sia soggetto a qualcos'altro: né c'è qualcosa che sia stato
aggiunto come se una volta non fosse esistito, ma fosse
entrato in seguito: quindi il Padre non è mai esistito sen-
za il Figlio, né il Figlio senza lo Spirito: e questa stessa
Trinità è immutabile ed inalterabile per sempre.
Quali che siano i miracoli che hanno accordato a San Grego-
rio il suo soprannome, non erano miracoli di lucidità. Le sue
parole esemplificano il caratteristico sapore oscurantista della
teologia, la quale ― diversamente dalla scienza o dalla mag-
gior parte dei rami del sapere umano ― non è progredita in 18
secoli. Thomas Jefferson aveva ragione (come spesso gli capi-
tava) quando disse
Il ridicolo è l'unica arma che si può usare contro le pro-
posizioni non intelligibili. Le idee devono essere chia-
re e ben definite prima che la ragione possa agire su di
esse; e nessun uomo ha mai avuto un'idea chiara della
Trinità. Sono semplicemente dei ciarlatani del montim-
banco che chiamano se stessi sacerdoti di Gesù.
L'altra cosa che non posso fare a meno di non notare è la si-
curezza ingiustificata con cui i religiosi fanno affermazioni
precise su minuscoli dettagli per cui essi non hanno, né po-
trebbero avere, alcuna evidenza. Forse è proprio il fatto che
non c'è evidenza in favore delle opinioni teologiche ad alimen-
tare la caratteristica ostilità draconiana verso quelli che la pen-
sano in modo leggermente diverso (specialmente, si dà il caso,
nel campo della trinità).
Jefferson, nella sua critica al calvinismo, mise in ridicolo la
dottrina secondo cui, per usare le sue parole, “esistono tre
dèi”. Ma è specialmente il ramo cattolico romano della cristia-
nità che spinge il suo ricorrente flirt con il politeismo verso un
estremo. Alla trinità si aggiunge Maria, "regina dei cieli", una
dea in ogni senso tranne che di nome, la quale sicuramente
viene subito dopo Dio in quanto a numero di preghiere rice-
22
vute. Il Pantheon si riempie inoltre di un esercito di santi, i cui
poteri di intercessione li rendono, se non semidei, ben merite-
voli di un loro argomento specialistico. Il Forum della comu-
nità cattolica elenca 5.120 santi, insieme alle loro aree di spe-
cializzazione, che comprendono dolori addominali, vittime
di abusi, anoressia, trafficanti di armi, costruttori di armi,
ossa rotte, tecnici delle bombe e disordini intestinali, e que-
sto solo fino alla lettera B. E non dobbiamo dimenticare i
quattro cori dell'Esercito Celeste, disposti in nove ordini: sera-
fini, cherubini, troni, domini, virtù, poteri, principalità, arcan-
geli (i capi di tutto l'Esercito), oltre ai semplici angeli tradizio-
nali, che comprendono i nostri amici più cari, i sempre attenti
angeli custodi. Ciò che mi impressiona della mitologia cattoli-
ca è in parte il kitsch e la mancanza di gusto, ma soprattutto la
beata disinvoltura con cui queste persone inventano i dettagli
strada facendo. E lo fanno senza vergogna.
Papa Giovanni Paolo II creò più santi di tutti i suoi predeces-
sori dei secoli passati messi insieme, e aveva una speciale affi-
nità con la vergine Maria. Le sue tendenze politeiste furono
dimostrate drammaticamente nel 1981 quando fu ferito da un
tentativo di assassinio a Roma, ed attribuì la sua sopravvi-
venza all'intervento della Nostra Signora di Fatima: "Una
mano materna ha guidato il proiettile". Uno non può evitare
di chiedersi perché non lo abbia guidato a mancare il bersa-
glio del tutto. Altri potrebbero pensare che bisognerebbe attri-
buire almeno un pochino del merito alla squadra di chirurghi
che lo ha operato per sei ore; ma forse anche le loro mani sono
state guidate da mano materna. Il punto rilevante, comunque,
è che nell'opinione del Papa non è stata semplicemente La
Nostra Signora a guidare il proiettile, ma specificamente la
Nostra Signora Di Fatima. Presumibilmente la nostra Signora
di Lourdes, la nostra signora di Guadalupe, la nostra Signora
di Medjugorie, la nostra Signora di Akita, la nostra Signora di
Zeitoun, la nostra Signora di Garabandal e la nostra Signora di
Knock erano impegnate in altre faccende in quel momento.
Come facevano i greci, i romani e i vichinghi a barcamenarsi
in questa confusione politeistica? Venere era solo un altro
23
nome di Afrodite, o erano solo due diverse dea dell'amore?
Thor con il suo martello era una manifestazione di Wotan, o
un dio separato? Ma chi se ne importa? La vita è troppo breve
per essere sprecata a distinguere tra un capriccio dell'immagi-
nazione ed altri. Ora che ho parlato del politeismo per riparar-
mi da un'accusa di negligenza, non dirò più altro su questo.
Per brevità mi riferirò a tutte le divinità, politeiste o monotei-
ste, semplicemente come "Dio". Sono anche consapevole che il
Dio di Abramo è (per usare un eufemismo) aggressivamente
maschio, ed adotterò anche questo come convenzione per usa-
re i pronomi. Teologi più sofisticati proclamano che Dio è pri-
vo di sesso, mentre alcuni teologi femministi cercano di rad-
drizzare delle ingiustizie storiche proclamandolo femmina.
Ma, dopotutto, che differenza c'è tra una femmina inesistente
e un maschio inesistente? Suppongo che, in questa surreale in-
tersezione di teologia e femminismo, l'esistenza sia un attribu-
to meno importante del sesso.
Sono consapevole che i critici della religione possono essere
criticati a loro volta perché non danno credito alla fertile di-
versità delle tradizioni e delle visioni del mondo che sono sta-
te chiamate religiose. Alcune opere antropologicamente infor-
mate, da "golden bough" di James Frazer a "religion explai-
ned" di Pascal Boyer a "in gods we trust" di Scott Atran, docu-
mentano in modo affascinante la bizzarra fenomenologia della
superstizione e del rituale. Leggete questi libri e meravigliate-
vi della ricchezza della credulità umana.
Ma questo libro seguirà un'altra strada. Io criticherò il so-
vrannaturalismo in tutte le sue forme, e il modo più efficace
di procedere sarà concentrarmi sulla forma che più probabil-
mente è familiare ai miei lettori ― la forma che ha un impatto
più minaccioso su tutte le nostre società. La maggior parte dei
miei lettori saranno stati marcati stretti da una delle tre "gran-
di" religioni monoteiste (quattro se contiamo il mormonismo),
le quali risalgono tutte al patriarca mitologico Abramo, e sarà
conveniente tenere in mente questa famiglia di tradizioni per
tutto il resto del libro.
Questo momento è buono come ogni altro per rispondere ad
24
una critica inevitabile che riceverà questo libro: "il Dio in cui
Dawkins non crede è un dio in cui non credo neanche io. Io
non credo in un vecchio con la barba bianca nel cielo". Quel
vecchio è una distrazione irrilevante e la sua barba è tanto lun-
ga quanto noiosa. Anzi, la distrazione è peggio che irrilevante.
La sua stessa stupidità è fatta apposta per distrarre l'attenzio-
ne dal fatto che ciò in cui l'interlocutore crede davvero non è
molto meno stupido. Lo so che non credete in un vecchio
uomo barbuto che siede su una nuvola; non perdiamo altro
tempo su questo. Io non sto attaccando alcuna versione parti-
colare di Dio o degli dei. Sto attaccando Dio, tutti gli dei, qua-
lunque cosa e tutto ciò che è soprannaturale, dovunque e
quandunque sia stato o sarà inventato.

LA POCHEZZA DELL'AGNOSTICISMO
(da “L'Illusione di Dio”, Richard Dawkins)

Non c'è niente di male nell'essere agnostici quando non si


ha evidenza di una alternativa o l'altra. È la posizione ragio-
nevole. Carl Sagan fu orgoglioso di essere agnostico quando
gli fu chiesto se ci fosse vita da qualche altra parte nell'univer-
so. [..] L'agnosticismo, in una certa forma, è una posizione
appropriata per molte domande scientifiche come, ad esem-
pio, cosa abbia causato l'estinzione permiana, la più grande
estinzione di massa nella storia dei fossili. Potrebbe essere sta-
to un meteorite come quello che, con probabilità più grande
secondo l'evidenza attuale, causò la successiva estinzione dei
dinosauri. Ma potrebbe essere stata una qualunque causa tra
varie possibili, o anche una combinazione di cause. E' ragione-
vole essere agnostici circa queste due estinzioni di massa. Ma
che dire della domanda su Dio? Dovremmo essere agnostici
anche sull'esistenza di Dio? Molti hanno risposto con un sì de-
ciso [..]. Hanno ragione?
[ Molte persone, sia agnostiche sia religiose, affermano spes-
so che “non si può dimostrare che Dio non esiste”, e da que-
sto concludono che l'agnosticismo (o la loro particolare reli-
25
gione) è più ragionevole dell'ateismo. Ma il loro ragionamento
è fallace. ]
Un modo di esprimere il loro errore è in termini di “onere
della prova”, ed in questa forma è gradevolmente dimostrato
dalla parabola di Bertrand Russell della teiera celestiale.

Molte persone parlano come se fosse compito degli scet-


tici confutare i dogmi ricevuti piuttosto che compito dei
dogmatici dimostrarli. Questo è, naturalmente, un erro-
re. Se io suggerissi che tra la Terra e Marte c'è una teie-
ra cinese che ruota intorno al sole in orbita ellittica,
nessuno riuscirebbe a dimostrare che la mia afferma-
zione è falsa nel momento in cui io aggiungessi atten-
tamente che la teiera è troppo piccola per essere rivela-
ta dal nostro più potente telescopio. Ma se io poi pro-
seguissi dicendo che, visto che è impossibile dimostra-
re la falsità della mia affermazione, dubitare di essa è
una intollerabile presunzione da parte della ragione
umana, pensereste giustamente che io sia impazzito.
Se, però, l'esistenza di questa teiera viene proclamata in
antichi libri, ed insegnata ogni domenica come una veri-
tà sacra, ed inculcata nelle menti dei bambini a scuola, la
mia esitazione a credere nella sua esistenza diventa un
marchio di eccentricità, e consegna lo scettico alle atten-
zioni di uno psichiatra in un'era illuminista o di un in-
quisitore in un tempo precedente.
Noi non perdiamo tempo a dirlo perché nessuno, per quanto
ne so, venera le teiere2, ma, se fossimo pressati, non esiterem-
mo a dichiarare la nostra ferma convinzione che non esiste al-
cuna teiera orbitante. Eppure tecnicamente dovremmo essere
tutti agnostici della teiera: non possiamo dimostrare per cer-
to che non esiste alcuna teiera celestiale. Ma in pratica ci al-

2 Forse ho parlato troppo presto. L'Independent on Sunday del 5 giugno


2005 aveva il seguente articolo: "ufficiali della Malesia dicono che la
setta religiosa che costruì una teiera sacra grande come una casa ha
violato il piano regolatore". Vedere anche la notizia della BBC
all'indirizzo http://news.bbc.co.uk/2/hi/asia-pacific/4692039.stm.
26
lontaniamo dall'agnosticismo della teiera per avvicinarci all'a-
teierismo.
Un mio amico, che è stato cresciuto da ebreo ed osserva an-
cora il sabato ed altre usanze ebraiche in segno di lealtà verso
la sua stirpe, descrive se stesso come un “agnostico sulla fati-
na dei denti”. Egli considera Dio non più probabile della fati-
na dei denti3. Non puoi dimostrare falsa nessuna delle due
ipotesi, e sono entrambi ugualmente improbabili. Egli è un
ateo esattamente nella stessa grande misura in cui è un a-fata-
dei-denti. Ed è anche agnostico su entrambe le cose, nella stes-
sa piccola misura.
La teiera di Russell, naturalmente, rappresenta un infinito
numero di cose la cui esistenza è concepibile e non si può di-
mostrare falsa. Il grande avvocato americano Clarence Darrow
disse "Non credo in Dio come non credo nella cicogna che
porta i bambini". Il giornalista Andrew Mueller è dell'opinio-
ne che abbracciare qualunque religione particolare "non è più
strano che credere che il mondo sia a forma di rombo, e collo-
cato nel cosmo dalle pinze di due enormi aragoste verdi di
nome Esmeralda e Keith". Un favorito dai filosofi è l'invisibile,
intangibile, inudibile unicorno, l'inesistenza del quale alcuni
bambini cercano di dimostrare ogni anno a Camp Quest. Una
divinità attualmente popolare su Internet ― impossibile da di-
mostrare falsa tanto quanto Yahweh o ogni altra ― è il Mostro
Volante di Spaghetti che, molti dicono, li ha raggiunti per mez-
zo della sua sinuosa appendice. Noto con piacere che il Van-
gelo del Mostro Volante di Spaghetti è stato pubblicato in un
libro, con grande successo. Io personalmente non l'ho letto, ma
chi ha bisogno di leggere un Vangelo quando semplicemente
sai che è vero? A proposito, doveva succedere ― è accaduto
un grande scisma, che ha avuto come risultato la Chiesa rifor-
mata del Mostro Volante di Spaghetti.
Il punto di tutti questi esempi fuori di testa è che è impossi-
bile dimostrare che sono falsi, eppure nessuno pensa che l'i-
3 Gli anglosassoni hanno una tradizione per cui, se un bambino perde
un dente e lo mette sotto il cuscino, di notte una fata preleva il dente e
lo sostituisce con una moneta.
27
potesi della loro esistenza sia sullo stesso piano dell'ipotesi
della loro inesistenza. Il punto centrale di Russell è che l'o-
nere della prova spetta ai credenti, non ai non credenti. Il
mio argomento correlato è che le probabilità in favore dell'e-
sistenza della teiera (o mostro spaghetto, Esmeralda, unicor-
no) non sono uguali alle probabilità contro.
Il fatto che le teiere orbitanti e le fatine dei denti non si pos-
sano dimostrare falsi non viene sentito, da nessuna persona
ragionevole, come un fatto conclusivo di alcunché di interes-
sante. Nessuno di noi si sente in obbligo di dimostrare la falsi-
tà di milioni di cose strampalate che un'immaginazione fertile
può produrre. Ho scoperto che è divertente, quando mi chie-
dono se sono ateo, far notare all'interlocutore che anche lui è
ateo rispetto a Zeus, Apollo, Amon-Ra, Mitra, Baal, Thor,
Wotan, il Vello d'Oro o il Mostro Volante di Spaghetti. Io mi
spingo oltre solo di un Dio.
Tutti noi sentiamo di avere il diritto di esprimere estremo
scetticismo fino a liquidare completamente una certa cosa ―
se non fosse che oggigiorno non c'è bisogno di farlo, nel caso
degli unicorni, delle fate dei denti, e degli dei della Grecia,
Roma, Egitto e dei vichinghi. Nel caso del Dio di Abramo,
però, il bisogno di farlo c'è, perché una proporzione notevole
delle persone con cui condividiamo il pianeta credono ferma-
mente nella sua esistenza. La teiera di Russell dimostra che
l'ubiquità della fede in Dio, comparata con la fede nella teiera
celestiale, non sposta l'onere della prova in logica, sebbene
possa sembrare che lo sposti dal punto di vista pratico e politi-
co. Viene accettato come una cosa banale il fatto che non si
può provare l'inesistenza di Dio, se non altro perché non pos-
siamo mai provare assolutamente l'inesistenza di alcunché.
Ciò che conta non è se Dio si possa dimostrare falso (non si
può), ma se la sua esistenza sia probabile. Questa è tutta
un'altra faccenda. Alcune cose che non si possono dimostrare
false sono giudicate ragionevolmente molto meno probabili di
altre cose che non si possono dimostrare false. E certamente
non c'è motivo di supporre che, soltanto perché Dio non si
può né dimostrare né falsificare, la sua probabilità di esistere
28
sia 50%. È vero il contrario, come vedremo in capitoli successi-
vi.
[ Questa sezione è stata ridotta per non appesantire il discorso. Se
siete particolarmente interessati al tema, andate a pagina 335 per
leggere le parti omesse. ]

LA DISONESTÀ INTELLETTUALE CHE DIVIDE


(articolo di Sam Harris)

Pete Stark, un democratico della California, sembra essere il


primo parlamentare nella storia degli Stati Uniti ad ammet-
tere di non credere in Dio. È stato un atto di coraggio politico,
in un paese in cui l'83% della popolazione pensa che la Bibbia
sia la parola letterale o "ispirata" del creatore dell'universo.
Naturalmente, possiamo immaginare che i consiglieri di Ci-
cerone nel primo secolo A. C. abbiano passato brutti momenti
quando egli assimilò le storie tradizionali degli dei greco-ro-
mani ai "sogni dei pazzi" e alla "folle mitologia egiziana".
La mitologia è quel luogo dove vanno a morire tutti gli dei, e
sembra che Stark si sia assicurato un posto nella storia ameri-
cana semplicemente ammettendo che è giunto il momento di
scavare una fossa al Dio di Abramo ― quel geloso, genocida,
maniacale, auto-contraddittorio tiranno che si trova nella Bib-
bia e nel Corano. Stark è il primo dei nostri leader ad aver mo-
strato un livello di onestà intellettuale degno di un console
dell'antica Roma. Bravo.
La verità è che nessuno al mondo ha una buona ragione
per credere che Gesù sia resuscitato dalla morte o che Mao-
metto abbia parlato all'angelo Gabriele in una caverna. Ep-
pure miliardi di persone affermano di essere certe di queste
cose. Come risultato, alcune idee degne dell'età della pietra
riguardanti gli argomenti più disparati ― il sesso, la cosmo-
logia, l'eguaglianza tra i sessi, l'anima immortale, la fine del
mondo, la validità della profezia, eccetera ― continuano a
dividere il nostro mondo e a sovvertire il nostro dialogo tra

29
le nazioni. Molte di queste idee, per loro stessa natura, osta-
colano la scienza, infiammano il conflitto umano e dilapida-
no risorse già scarse.
Naturalmente, nessuna religione è monolitica. All'interno di
ogni fede le credenze delle persone si dispongono lungo un
vasto spettro. Immaginate dei cerchi concentrici di ragione-
volezza decrescente: al centro della sfera possiamo trovare i
credenti più genuini ― i musulmani jihadisti, per esempio, i
quali non solo supportano il terrorismo suicida ma sono i pri-
mi a trasformare se stessi in bombe; o i cristiani Dominionisti,
che invocano apertamente la pena di morte per i blasfemi e gli
omosessuali.
Al di fuori di questa sfera di maniaci, troviamo molti altri
milioni che condividono le loro idee ma non con lo stesso zelo.
Subito più fuori, incontriamo moltitudini di persone pie che
rispettano le credenze dei loro fratelli più deviati ma dissento-
no da loro su piccoli punti di dottrina ― naturalmente il mon-
do sta per finire nella Gloria e Gesù apparirà nel cielo come un
supereroe, ma non possiamo essere sicuri se avverrà nell'arco
della nostra vita o no.
Ancora più fuori, incontriamo religiosi moderati e liberali di
diverse tonalità ― persone che continuano a supportare lo
schema basilare che ha diviso il nostro mondo in cristiani, mu-
sulmani ed ebrei, ma che sono meno propensi a dichiarare di
essere certi di qualsiasi articolo di fede. Gesù è veramente il fi-
glio di Dio? Incontreremo veramente le nostre nonne in para-
diso? I moderati e i liberali non ne sono troppo sicuri.
Agli occhi di queste persone, quei colleghi che sono collocati
più verso il centro appaiono troppo rigidi, dogmatici e ostili al
dubbio; e quelli collocati più fuori appaiono loro come corrotti
dal peccato, dotati di volontà debole, o inosservanti.
Il problema è che, dovunque uno si collochi in questo
spettro continuo, inavvertitamente fornirà a quelli più fana-
tici di lui una protezione dalle critiche. I normali fondamen-
talisti cristiani, affermando con decisione che la Bibbia sia il
mondo perfetto di Dio, inavvertitamente favoriscono i Do-

30
minionisti ― milioni di uomini e donne che, a loro volta,
stanno silenziosamente trasformando il nostro paese in una
teocrazia totalitaria che ricorda la Ginevra di Giovanni Cal-
vino. I cristiani moderati, con il loro attaccamento alla divi-
nità di Gesù, proteggono la fede dei fondamentalisti dalla
pubblica derisione e stigmatizzazione. I cristiani liberali ―
che non sono sicuri di cosa credono ma semplicemente ama-
no l'esperienza di andare in chiesa di tanto in tanto ― pro-
teggono i moderati da un'adeguata collisione con la raziona-
lità scientifica. E in questo modo sono trascorsi secoli e secoli
senza che nella nostra società fosse fatta un'affermazione one-
sta su Dio.
Le persone di tutte le fedi ― e quelle senza alcuna fede ―
regolarmente cambiano in meglio la propria vita, per buone e
cattive ragioni. Eppure queste trasformazioni vengono rego-
larmente considerate come evidenza in favore di un particola-
re credo religioso. Il presidente Bush ha citato la propria di-
sintossicazione dall'alcol come evidenza per la divinità di
Gesù. Senza dubbio i cristiani si disintossicano di tanto in tan-
to ― ma lo fanno anche gli induisti (politeisti) e persino gli
atei. Ma allora, come può un essere pensante credere che la
sua esperienza di sobrietà avvalori l'idea che un essere supre-
mo stia osservando il nostro mondo e che Gesù sia suo figlio?
Senza dubbio molte persone fanno cose buone in nome
della loro fede; però ci sono ragioni migliori per aiutare i po-
veri, sfamare gli affamati e difendere i deboli, del credere
che un Amico Immaginario vuole che tu lo faccia. La compas-
sione è più profonda della religione. E lo è anche l'estasi misti-
ca. È il momento di mettere in chiaro che gli esseri umani
possono essere profondamente etici ― e persino spirituali
― senza fingere di sapere cose che non sanno.
Speriamo che il candore di Stark ispiri altri nostri parlamen-
tari ad ammettere i loro dubbi su Dio. Davvero, è il momento
di rompere in massa quest'incantesimo. Tutte le “grandi” reli-
gioni del mondo banalizzano completamente l'immensità e
la bellezza del Cosmo. Le affermazioni sul mondo e sugli
uomini fatte dalla Bibbia e dal Corano sono quasi tutte sba-
31
gliate. Ogni campo scientifico ― dalla cosmologia alla psico-
logia all'economia ― ha superato e abrogato la saggezza del-
le Scritture.
Qualunque cosa di valore possiamo trovare nella religione si
può ottenere anche in modo più onesto, senza fingere di sape-
re cose senza evidenza sufficiente. Il resto è solo auto-inganno
trasposto in musica.

COME LA FEDE DISTORCE IL SENSO DI MORALITÀ


(da "Lettera a una nazione cristiana" di Sam
Harris)

Considerate, ad esempio, il virus umano papilloma (HPV).


Tra le malattie sessualmente trasmesse, ormai HPV è la più
comune negli Stati Uniti. Questo virus infetta più della metà
della popolazione americana e causa la morte di quasi 5000
donne ogni anno per cancro cervicale; i Centri Per Il Controllo
Delle Malattie (CDC) stimano che ogni anno in tutto il mondo
muoiono più di 200.000 persone per questo motivo. Adesso
abbiamo un vaccino per l'HPV che sembra sia sicuro e funzio-
nante. Il vaccino ha prodotto il 100% dell'immunità nelle 6000
donne che lo hanno ricevuto in un esperimento clinico. Eppu-
re, i conservatori cristiani nel nostro governo si sono opposti
al programma di vaccinazione sostenendo che HPV è utile
ad impedire il sesso prematrimoniale. Queste persone pie
vogliono mantenere il cancro cervicale come incentivo all'a-
stinenza, anche se sacrifica le vite di migliaia di donne ogni
anno.
Uno degli effetti più perniciosi della religione è che tende
ad allontanare la moralità dalla realtà della sofferenza uma-
na ed animale. La religione induce le persone a pensare che
le loro preoccupazioni siano morali quando in realtà non lo
sono ― perché non hanno niente a che vedere con la sofferen-
za e la sua alleviazione. Anzi, la religione fa pensare le perso-
ne che le loro preoccupazioni siano morali quando in realtà
sono altamente immorali ― perché attuarle significa inflig-
32
gere sofferenze terribili e non necessarie su esseri umani in-
nocenti. Questo spiega perché i cristiani spendano più ener-
gia "morale" ad opporsi all'aborto piuttosto che a combattere
il genocidio. Spiega perché si preoccupino più degli embrio-
ni umani che della promessa di salvare vite che ci giunge
dalle cellule staminali embrionali. E spiega perché possano
predicare contro l'uso del preservativo nell'Africa subsaha-
riana quando milioni di persone lì muoiono ogni anno di
Aids.
Voi Cristiani credete che le vostre preoccupazioni religiose
sul sesso abbiano qualcosa a che fare con la moralità. Eppu-
re, i vostri sforzi di porre restrizioni al comportamento sessua-
le di adulti consenzienti ― e persino di scoraggiare i vostri
stessi figli dal fare sesso prima del matrimonio ― non sono
quasi mai finalizzati ad alleviare la sofferenza umana. In veri-
tà, alleviare la sofferenza sembra essere una delle ultime
cose nella vostra lista di priorità.

UN RISPETTO IMMERITATO
(da un discorso di Sam Harris per presentare il
suo libro “La fine della fede”)

Prendiamo la credenza cattolica che l'uso dei preservativi sia


in qualche modo immorale. Questa è un'idea genuinamente
assurda. Posso assicurarvi che tutta la potenza del cervello
umano è insufficiente a fornire una buona giustificazione di
essa. Ma applicate questa idea all'Africa subsahariana, dove
letteralmente milioni (circa 3 e mezzo o quattro) milioni di
persone muoiono ogni anno per il virus dell'Aids, e tutto ciò
che vedono sono ministri di culto cattolici che predicano lette-
ralmente che usare i preservativi è peccato... e questa è l'unica
fonte di informazione che hanno sull'uso dei preservativi...
beh, a me sembra che il tempo di rispettare credenze di que-
sto tipo sia passato da un pezzo. Questo è genocidio. Questa
è stupidità che causa genocidio. È una negligenza criminale
che noi non tollereremmo in nessun'altra istituzione. Eppure
33
il Vaticano non si può criticare come meriterebbe, perché è il
Vaticano, e c'è un tabù onnicomprensivo sul criticare la fede
religiosa.
Abbiamo tutti assimilato questa idea che dovremmo rispet-
tare le credenze religiose di altre persone. Il tuo vicino ha il
diritto di credere tutto ciò che vuole su Dio, e sulla struttura
morale di questo universo... ha il diritto di credere qualunque
cosa vuole su ciò che accade dopo la morte, e tu dovresti ri-
spettare queste credenze semplicemente perché lui le crede.
Ma quando mai, nelle normali conversazioni, noi seguiamo
questa regola? Quando mai vi è stato detto di rispettare, nelle
conversazioni, le credenze di un'altra persona riguardanti la
storia, o la geografia, o l'ingegneria, o la medicina? Noi non ri-
spettiamo ciecamente le credenze delle persone. Al contra-
rio, noi valutiamo le loro ragioni. Se le mie ragioni sono ab-
bastanza buone, sarà inevitabile che tu creda quello che cre-
do io. È questo che significa essere persone razionali: le ra-
gioni sono contagiose.
Se salissi su questo palco e dicessi che l'Olocausto non è
mai avvenuto, non sareste minimamente tenuti a rispettare
le mie credenze. E non rispettiamo le credenze della gente che
pensa che Elvis sia ancora vivo, e le persone che fanno tutti
quei folli pellegrinaggi a Graceland [la casa di Elvis Presley].
Queste persone non vengono invitate nei nostri comitati di di-
rezione. Non diventano presidi di un'università [qualcuno dal
pubblico mormora "presidenti degli Stati Uniti"]... Voglio dire,
va tutto benissimo, fino a che non sposti l'argomento su Dio,
nel qual caso tutte le scommesse saltano, tutto è concesso. In
questo caso, il cielo è l'unico limite. In questo caso, puoi esse-
re certo di qualcosa al 100%, pur avendo zero prove, zero evi-
denza. E sei addirittura rispettato per questo. Ed è tabù osare
una critica, orientare la conversazione verso una critica a que-
ste credenze.
Quindi, quello che io sto sostenendo, e che sostengo nel
mio libro, è che dovremmo divenire intolleranti nelle con-
versazioni che facciamo. Non voglio dire che abbiamo biso-
gno di nuove leggi. Non servono leggi contro la negazione
34
dell'Olocausto. Tutto quello di cui abbiamo bisogno è uno
standard di onestà intellettuale, per cui le persone che so-
stengono di essere certe di una cosa che chiaramente non
possono sapere vengano pressati nelle conversazioni, messi
in difficoltà. Vedete, sarebbe tutto risolto. Se trattassimo tutti
coloro che parlano di Dio nell'aula del senato come se aves-
sero appena parlato di Poseidone... [il pubblico ride] ... voglio
dire, immaginate: abbiamo tutti questi uragani nel Golfo, e
immaginate che qualche senatore dicesse che in realtà dob-
biamo tutti pregare Poseidone, che dopotutto quella è la sua
giurisdizione, che l'oceano si sta riprendendo le nostre città.
Chiaramente questa sarebbe la fine della carriera politica di
quella persona. E guardate, non è che qualcuno abbia sco-
perto nel terzo secolo che il Dio biblico esiste e Poseidone
no: le due affermazioni hanno esattamente la stessa dignità
intellettuale.
Dal punto di vista biologico, la ricerca sulle cellule staminali
embrionali è una delle aree più promettenti di oggi, per pro-
durre terapie mediche. Ci sono letteralmente decine di milioni
di persone solo negli Stati Uniti che soffrono di diabete, danni
alla spina dorsale, Parkinson, [...]. La preoccupazione del pun-
to di vista religioso è che per fare questa ricerca dobbiamo di-
struggere embrioni umani che hanno tre giorni di vita. Ed il
dibattito etico, dal punto di vista religioso, si ferma qui. I re-
ligiosi semplicemente assumono che un embrione di tre gior-
ni possieda l'anima. [..] Non viene chiesto loro di entrare nei
dettagli. La fede pone fine alla discussione. E noialtri dob-
biamo rispettarli. Dobbiamo rispettare la proposizione di fede
che "la vita comincia con il concepimento" ― qualunque cosa
significhi.
Ma esaminiamo un attimo i dettagli. Forse vi suona spaven-
tosa l'idea di sacrificare embrioni umani. Ma un embrione
umano di tre giorni è un insieme di 150 cellule. Hanno la for-
ma di una sfera, non hanno il cervello, non hanno alcun tipo
di sistema nervoso. Forse il numero 150 vi dà l'impressione di
essere un bel po' di cellule. Ma ci sono 100.000 cellule nel cer-
vello di una mosca. Sapete, le mosche hanno il cervello, han-
35
no i neuroni, molto simili ai nostri. Se noi sappiamo qualcosa
della relazione tra la complessità fisica e la capacità di avere
un'esperienza [sensoriale], sappiamo che in questo mondo si
consuma più sofferenza ogni volta che schiacciamo una mo-
sca di quando uccidiamo un embrione di tre giorni. E non ha
senso dire che gli embrioni sono esseri umani potenziali. Dati i
progressi sull'ingegneria genetica, ogni cellula del corpo
umano che possiede un nucleo è un essere umano potenzia-
le, data la manipolazione giusta. Ogni volta che il presidente
si gratta il naso sta dando luogo ad un olocausto di esseri
umani potenziali. [il pubblico ride.] Oppure prendete l'idea
che ci siano anime in questi embrioni. Ebbene, gli embrioni in
questa fase si possono dividere in due. E allora che cosa suc-
cede? Un'anima diventa due anime? Inoltre due embrioni, in
una fase ancora successiva, si possono fondere in uno solo
chiamato chimera, dando luogo ad un individuo singolo. E al-
lora cosa abbiamo? Due anime che diventano una sola? Que-
sta aritmetica delle anime non ha senso. Ma a nessuno viene
mai richiesto di cercare di dare un senso a tutto ciò, perché la
fede viene considerata un argomento etico valido.
Dunque l'argomento del mio libro è che sono possibili due
casi: o hai delle buone ragioni per credere ciò che credi, oppu-
re non le hai. Se hai buone ragioni, la tua credenza fa parte del
panorama generale della razionalità scientifica, e quindi non
c'è bisogno della fede perché ciò che credi dia i suoi frutti. [..].
La religione è l'unica area della nostra vita dove non avere
ragioni, o avere ragioni che non stanno in piedi, è considera-
to una cosa buona e nobile. Anzi viene considerato ancor più
nobile se credi solo per fede, senza evidenza... è proprio
questo il messaggio della parabola di Tommaso che dubita-
va.

36
I MALI CAUSATI DALLA RELIGIONE MODERATA
(da un discorso di Sam Harris per presentare il
suo libro “La fine della fede”)

Nel mio libro io critico la religione moderata piuttosto seve-


ramente, e questa è tra le parti più controverse del libro. Vor-
rei brevemente elencare i miei argomenti in merito, perché
hanno suscitato qualche reazione sdegnosa.
La prima cosa da dire è che la religione moderata è meglio
del fondamentalismo. Non c'è dubbio su questo. I religiosi
moderati non fanno schiantare gli aeroplani negli edifici. I reli-
giosi moderati non organizzano le loro vite intorno all'apoca-
lisse, e questa è una cosa molto buona. Ma la religione mode-
rata ha dei veri problemi.

CRITICARE LA FEDE È TABÙ

Il primo problema è che dà copertura al fondamentalismo.


Perché il moderatismo religioso ha reso tabù criticare la
fede. I religiosi moderati vogliono che la fede sia rispettata.
Vogliono che l'intero processo di essere religiosi (essere
identificati come cristiani, musulmani, ebrei) sia rispettato.
Vogliono che sia impossibile mettere in discussione questo
processo, mettere in discussione la sostenibilità etica di cre-
scere un bambino convincendolo di essere cristiano anziché
qualcos'altro. E a causa della copertura di questo rispetto,
ora noialtri non possiamo più criticare neanche l'estremismo
religioso. Perché? Perché criticare la fede è tabù. Devi rispetta-
re la fede in quanto fede.

LE RELIGIONI NON SONO TUTTE UGUALI

Il secondo problema della religione moderata è che fa diven-


tare tabù il notare le differenze tra le religioni. È tabù osser-
vare che le diverse religioni non predicano la stessa cosa. Sa-
pete, le religioni non sono tutte ugualmente sagge, e, anche
quando insegnano la stessa cosa, non la insegnano tutte
ugualmente bene. Voglio dire, dove sono i buddisti tibetani
che si fanno esplodere? [il pubblico ride.]. Se riflettiamo per
37
un attimo che il tipo di violenza che vediamo nel mondo mu-
sulmano nasce dall'occupazione israeliana, e da tutte le nostre
disavventure in Iraq, eccetera, allora noi dovremmo vedere
buddisti tibetani che si fanno esplodere: i tibetani hanno su-
bito un'occupazione ugualmente brutale e molto più cinica
di qualunque occupazione che noi o gli inglesi o gli israelia-
ni abbiamo imposto al mondo musulmano. Circa un milione,
o 1.2 milioni di tibetani sono morti dall'inizio dell'occupazione
cinese. Dove sono le folle di tibetani nelle strade, che invocano
la morte dei cinesi combattenti? Dove sono i tibetani che si
fanno esplodere negli autobus cinesi durante i matrimoni, in
mezzo a folle di bambini, o davanti agli uffici della Croce Ros-
sa delle Nazioni Unite? Non sta succedendo. Non è probabile
che succeda. Non è che sia impossibile formare un culto di
morte usando i principi del buddhismo tibetano. Infatti, entro
certi limiti, il buddhismo zen ha nutrito la visione del mondo
dei piloti kamikaze durante la seconda guerra mondiale. Ma
devi sforzarti davvero molto per deformare i principi basila-
ri del buddhismo in questo tipo di orgia di violenza. Non
devi sforzarti tanto, invece, se sei musulmano. E sarebbe im-
possibile se tu fossi giainista. Sapete, i giainisti, questa religio-
ne che ha circa 10 milioni di fedeli, credo. Il centro stesso della
loro religione è la non violenza. Non importa quanto fanatico
tu sia, con la tua dottrina del Giainismo diventerai sempre
meno violento. I giainisti davvero religiosi si coprono la bocca
con un velo per non inalare e quindi uccidere un insetto. [...]
Ebbene, è tabù notare tutto questo. E specialmente è un tabù
tra i religiosi moderati. Persino i nostri religiosi fondamentali-
sti lo notano: Franklin Graham è là fuori che dice che l'Islam è
una religione malvagia. Loro notano la differenza tra le reli-
gioni: secondo loro tutti gli altri hanno la religione sbagliata.
Ma i religiosi moderati lo hanno reso un tabù.

NEGARE CHE LA FEDE SIA CAUSA DELLE STRAGI

Facciamo ora una digressione: noi non siamo in guerra con-


tro i fondamentalisti islamici. Non con Al-Qaeda, non con l'I-
slam estremista... siamo in guerra con la dottrina principale
38
["mainstream"] dell'Islam. La dottrina principale dell'Islam
contiene questa nozione di jihad. Contiene questo imperati-
vo: convertire, soggiogare o uccidere gli infedeli. Chiunque
dice che non è vero non ha letto il Corano, e non ha letto gli
Hadith. Oppure sta mentendo. Ed è un tabù notare questo.
Se avete dei dubbi su questo ― sono sicuro che ci siano ancora
persone in questa stanza che pensano “no no, non può essere
colpa della religione, è mancanza di opportunità economi-
che, è mancanza di opportunità di istruzione nel mondo mu-
sulmano” ― se avete dei dubbi su questo, considerate soltan-
to per un momento le biografie dei 19 uomini che si sono sve-
gliati l'11 settembre 2001 e hanno deciso di tagliare la gola dei
piloti e di far esplodere gli aerei sugli edifici. Queste persone
avevano preso la laurea in college, come minimo; alcuni ave-
vano anche un dottorato. Molti erano stati educati in Occi-
dente. Appartenevano alla classe media o a quella ricca. Non
so quanti ingegneri ed architetti debbano schiantarsi a 100 mi-
glia l'ora, per farci entrare in testa che questo non è semplice-
mente un problema di educazione o economia. Queste perso-
ne non si erano prese la briga di ribellarsi al cambio di regime
in medio oriente. Hanno invece speso un'enorme quantità di
tempo nella loro moschea ad Amburgo parlando dei piaceri
che aspettano gli assassini in paradiso e demonizzando la cul-
tura infedele. La circostanza in cui ci troviamo è molto più si-
nistra di quanto molti vogliano capire. Oggi è possibile essere
così istruiti da saper costruire una bomba atomica e allo stes-
so tempo pensare che otterrai 72 vergini in paradiso. La men-
te umana è così divisa in compartimenti stagni che questo è
possibile. Le nostre conversazioni sono così settoriali e parti-
zionate che le proposizioni religiose sono immuni alla pres-
sione critica. Del resto il 40% degli scienziati crede nel Dio bi-
blico. Questo non suggerisce che ci siano buone ragioni scien-
tifiche per credere nel Dio biblico. Suggerisce soltanto che il
40% degli scienziati non stanno facendo il loro mestiere. C'è
davvero un punto fondamentale da trarre qui. Quindi un pro-
blema della religione moderata è che i moderati sono accecati
dalla loro stessa moderazione. Un moderato non sa che cosa
39
significa essere sicuri del paradiso. Un moderato non sa che
cosa significa essere sicuri di Dio. Essere sicuri che il libro che
tieni a fianco al letto è il mondo perfetto del creatore dell'uni-
verso. E quindi, quando il moderato vede la jihad nella video-
camera, o vede gente che dice "noi amiamo la morte più di
quanto gli infedeli amino la vita" e poi si fa esplodere, è il mo-
derato che rimane a guardare stupefatto e dice "no, questa non
può essere la fede. È propaganda, o non so che cos'altro". Ma
non è così. È la religione.
Quindi sono proprio i discorsi dei religiosi moderati che
continuano a convincerci che la religione non è il problema;
che la violenza succederebbe in ogni caso. Che questi 19 in-
dividui avrebbero ucciso in ogni caso tante persone. Ma non
c'è evidenza per affermare questo.

LA POCHEZZA LOGICA DELLA RELIGIONE MODERATA

Un terzo problema della religione moderata è che è un falli-


mento intellettuale. In realtà rappresenta un uso della ragione
fondamentalmente privo di principi. Persino il credente più
fondamentalista parla di evidenza: se chiedi a un fondamen-
talista perché crede che Gesù fosse il figlio di Dio, o che la Bib-
bia sia il mondo perfetto di Dio, ecc., costui ti risponderà con
delle ragioni. Non sono buone ragioni, ma immediatamente
noterai che queste persone sono impegnate alla ricerca di evi-
denza... diranno cose come "il nuovo testamento conferma tut-
te le profezie del vecchio testamento", oppure "ogni singola
profezia della Bibbia si è avverata". Certo, sono argomenti che
non stanno in piedi... ma i moderati sono molto peggio. I mo-
derati non parlano di evidenza. I moderati parlano del signi-
ficato che la religione dà alla loro vita. Parlano degli effetti
positivi di credere come fanno loro. Ora, trasponete questo
tipo di argomentazione in un altro campo: sostituite Dio con
qualunque altra proposizione consolante, e rendetevi conto di
quale enorme non-sequitur sia questa risposta, per la domanda
"perché credi in Dio?". Prendiamo un esempio del mio libro:
immaginate che il vostro vicino creda di avere, sepolto nel suo
giardino, un diamante grande come un frigorifero. Gli chiede-
40
te perché, e lui risponde: "Ma non capisci? Questo diamante
dà alla mia vita un enorme significato", oppure "la mia fami-
glia va matta per le riunioni che facciamo in giardino cercando
di scavare per tirarlo fuori ogni domenica. E tu mi vuoi toglie-
re questa cosa?" [Il pubblico ride.]. Oppure immaginate che ri-
sponda "non vorrei vivere in un universo in cui non ci fosse
un diamante nel mio giardino grande quanto il mio frigorife-
ro". Per me è chiaro, immediatamente chiaro, che queste rispo-
ste sarebbero inadeguate. Profondamente inadeguate. Sono in
realtà le risposte di un pazzo. O di un idiota. [Il pubblico
ride.]. Eppure, prendete lo stesso identico ragionamento e
trasportatelo nel campo della religione, e vi accorgete che
queste risposte hanno immenso prestigio. Anzi, fino a che
non sostieni un qualche ragionamento di questo tipo, è im-
possibile per te essere eletto in una carica politica nel nostro
paese.

LA POCHEZZA TEOLOGICA DELLA RELIGIONE MODERATA

Un quarto problema della religione moderata è che è un fal-


limento anche teologico. Non è che leggendo i libri sacri sco-
priamo tutte queste ragioni per essere moderati. [..] Ho una
notizia per voi: io ho letto questi libri, e Dio non è affatto un
moderato. In questi libri, da nessuna parte Dio dice "quando
arrivi nel nuovo mondo e sviluppi i tre rami del governo e hai
una società civile allora puoi lasciare da parte tutta la barbarie
che ho raccomandato nei primi libri". [il pubblico ride.] Questi
libri in realtà sono un generatore di fondamentalismo, sono
macchine dell'intolleranza.
[..]
In realtà non è un caso che gente come San Tommaso D'A-
quino o Sant'Agostino, che ancora oggi sono insegnati come
le grandi luci della civiltà occidentale, dicessero nel caso mi-
gliore che gli eretici dovevano essere uccisi direttamente (nel
caso di Sant'Agostino dovevano anche essere torturati). L'ar-
gomento di Sant'Agostino per l'uso della tortura ha gettato le
basi per l'inquisizione. Questo non è un caso ed è perfettamen-

41
te ragionevole. Noi oggi abbiamo l'idea che l'aver bruciato
vivi gli eretici per cinque lunghi secoli in Europa sia stata
una specie di deriva della civiltà verso la psicopatologia.
Non è così. È perfettamente ragionevole fare queste cose, se
credi in quei libri. Se avete certe credenze, l'eretico della
porta accanto è molto più pericoloso del molestatore di bam-
bini della porta accanto. Gli eretici possono dire ai vostri
bambini cose che danneranno la loro anima per l'eternità. I
religiosi moderati perdono contatto col fatto che è possibile
credere tutto questo.

I MODERATI IMPEDISCONO LA CREAZIONE DI UNA SPIRITUALITÀ


MODERNA

E finalmente, l'ultimo problema è questo: il moderatismo re-


ligioso consiste semplicemente nel diminuire il rigore con
cui seguiamo le superstizioni e i tabù; nell'essere più permissi-
vo. Ma non mette in discussione l'idea stessa di entrare a far
parte di queste tradizioni. Non mette in discussione la legitti-
mità di venerare questi libri ed escludere qualunque altro li-
bro. Ma così facendo ci impedisce di sviluppare delle vere
alternative moderne, degne del ventunesimo secolo; ci impe-
disce di scatenare tutto il nostro potenziale creativo verso il
raggiungimento della felicità umana. [Vedi pagina 179 per
approfondimenti.]

I MODERATI NON HANNO MAI CONDANNATO L'IMMORALITÀ DELLA


BIBBIA

Esaminiamo ora questo legame tra religione e moralità, lega-


me che sentiamo sempre affermare nella nostra cultura, e che
accomuna la religione fondamentalista e quella moderata...
cioè questa idea che senza la religione andrebbe perduto
qualcosa di fondamentale per la nostra moralità. Quest'idea
è davvero discutibile, quando leggi i libri in questione. La ve-
rità è (parlando specificamente della Bibbia per un momento)
che neppure un ebreo ortodosso o un cristiano fondamentali-
sta può prendere Dio alla lettera, dato il sadismo dimostrato
da Dio in libri come Levitico, Deuteronomio, Esodo. Se doves-
42
si trarre la tua agenda e la tua morale da un libro come il Levi-
tico, al tuo confronto il talebano Mullah Omar sembrerebbe
come Franklin Delano Roosevelt. [il pubblico ride.]. La Bibbia
dipinge una visione della vita così inutilmente orribile, così
sovversiva del progetto stesso di creare una società sosteni-
bile dove la felicità umana sia anche lontanamente possibi-
le... che noi di fatto abbiamo modificato la Bibbia. Persino i
fondamentalisti l'hanno fatto. Ma il punto importante è che
nessuno dice mai che questi passaggi sono immorali. Ad
esempio l'idea che trovi una donna che non è vergine la not-
te del matrimonio e per questo la lapidi a morte; che lapidi
gli omosessuali a morte; che se i tuoi figli ti rispondono in
modo sgarbato tu li lapidi a morte; che se vai in una città e
vedi una persona che prega un dio straniero uccidi la sua fa-
miglia, uccidi i suoi figli, e tutte le persone della città. Guar-
date che queste non sono metafore. Non sono allegorie di
qualche travaglio spirituale interno. Queste sono direttive
esplicite ad uccidere delle persone per crimini teologici. E
nessuno dice mai che questo è immorale. I cristiani dicono
semplicemente che noi non dobbiamo più farlo perché Gesù
ci ha portato la dottrina della grazia. Beh, incidentalmente,
Gesù ha detto anche che ogni linea di quella legge deve es-
sere rispettata alla lettera, e per questo motivo gli inquisitori
del medioevo hanno avuto una giustificazione razionale per
applicare questo tipo di legge. Vi posso assicurare che San-
t'Agostino e San Tommaso D'Aquino avevano letto il sermo-
ne della montagna. Sono riusciti a conciliare l'insegnamento
di Gesù con il loro impulso di uccidere le persone per crimi-
ni di pensiero. [Vedere sezioni a pagina 68 e 185 per dettagli.]
Dal punto di vista del fondamentalismo, la Bibbia è il mi-
glior libro che abbiamo, il Corano è il miglior libro che abbia-
mo, e così via, perché sono stati letteralmente dettati dal crea-
tore dell'universo. Dal punto di vista del religioso moderato,
questo è ancora il miglior libro che abbiamo, solo che non si
sa chi l'ha scritto davvero ― comunque sicuramente è stato
scritto dalle persone più intelligenti che siano mai vissute. Se
davvero la Bibbia è il miglior libro che abbiamo in Occiden-
43
te per le questioni etiche, dovremmo praticare la schiavitù. Il
creatore dell'universo si aspettava chiaramente che noi te-
nessimo degli schiavi. Ci dice semplicemente di non picchiar-
li in modo così duro da far saltare loro i denti o cavar loro gli
occhi. Gesù stesso chiaramente si aspettava che avessimo degli
schiavi. Non criticò mai l'istituzione della schiavitù. Egli fa
analogie in cui compaiono gli schiavi. Paolo, in Tommaso I,
ammonisce gli schiavi di servire bene i loro padroni, e i loro
padroni cristiani particolarmente bene, così che possano otte-
nere una parte della loro santità. Gli abolizionisti erano asso-
lutamente dalla parte sbagliata del dibattito teologico. Se que-
sto è il libro più saggio che abbiamo, gli schiavisti del sud
avevano ragione. Dal punto di vista teologico erano dalla
parte del giusto. E questo è vero per tantissime altre questio-
ni. Se questo è il libro più saggio che abbiamo, dovremmo
picchiare i nostri figli con dei bastoni. Viene detto nei Pro-
verbi. Tra parentesi, i fondamentalisti nel nostro paese lo fan-
no davvero. Picchiano i bambini col bastone. Soltanto l'anno
scorso in Alabama 40.000 bambini furono picchiati nelle loro
scuole. È legale fare questo. Si tratta di un'iniziativa basata
sulla fede.

PERCHÉ SIAMO TUTTI RELATIVISTI

È importante capire che siamo noi a decidere che cosa è


buono e che cosa è cattivo in questi libri. Noi selezioniamo
arbitrariamente [cherry-pick] alcuni pezzi isolati di questi li-
bri, basandoci sulla nostra personale intuizione etica. Tutto
ciò che abbiamo per decidere in questioni etiche è la nostra
stessa intuizione etica, e le intuizioni etiche degli altri con cui
discutiamo.
[Per usare le parole di Richard Dawkins: “noi scegliamo tra
le Scritture le parti belle e scartiamo quelle brutte. Ma allora
dobbiamo avere qualche criterio indipendente per decidere
quali sono le parti morali e quali no: un criterio che, da do-
vunque provenga, non può venire dalla Scrittura stessa e
presumibilmente è disponibile a noi tutti, non importa se re-
ligiosi o meno.” Vedi pagina 62. ]
44
Quindi, in sostanza, possiamo decidere di fare una discus-
sione moderna e degna del ventunesimo secolo riguardo l'eti-
ca, oppure di fare una discussione da primo secolo dopo Cri-
sto, quale è preservata in questi libri.

OSTACOLARE I DISCORSI RAZIONALI

Ed il problema è che la fede è qualcosa che blocca la con-


versazione. Fino a che tu non devi fornire ragioni per ciò che
tu credi, ti sei completamente immunizzato dal potere della
conversazione umana. Si sentono persone religiose dire
"niente di ciò che tu possa dire mi farà cambiare idea". Im-
maginate solo se questa cosa venisse detta in medicina. Non
c'è niente che si può dire che ti farà cambiare idea. Non esiste
alcuna evidenza o argomento che si possa addurre. Questo di-
mostra che nelle tue credenze non stai prendendo in conside-
razione alcuno stato del mondo.
Il problema di questo è che, quando la posta in gioco è
alta, l'alternativa è tra la conversazione e la violenza. E, a li-
vello della società, abbiamo scelta tra il dialogo, la negoziazio-
ne e la guerra. La disponibilità a prendere in considerazione
nuova evidenza, nuovi argomenti, è l'unica cosa che garanti-
sce che la collaborazione umana abbia una possibilità di
sbocco. Solo questa disponibilità garantisce ciò. La religione è
l'unica area del discorso in cui abbiamo fatto un feticcio di
una tendenza mentale completamente opposta.
E questo conduce a due tipi di violenza, due tipi di conflitto.
Prima di tutto c'è da dire che ci sono altre fonti per i conflitti
umani. Ci sarebbero guerre senza la religione. C'è il tribali-
smo, il nazionalismo, il razzismo, la rivalità etnica... ma non
c'è alcun tipo di mentalità "noi contro di loro" che veramente
faccia divenire la differenza tra i gruppi etnici una questione
trascendentale. In questo caso la differenza tra te e il tuo pros-
simo non è semplicemente il colore della pelle, non è solo la
lingua, non è solo la politica, non è solo che vuoi qualcosa che
appartiene a lui... la differenza è che questo significa qualcosa
per l'eternità. E quindi ciò che abbiamo sono popolazioni che

45
organizzano la loro identità morale intorno all'affiliazione reli-
giosa, indipendentemente dal fatto che si interessino davvero
di dettagli teologici. È questo conduce al conflitto. Quando
una società è in un momento difficile, continuamente vediamo
società che si spaccano lungo linee religiose: è successo in Ir-
landa, Bosnia... non è che gli irlandesi stessero combattendo
sulla dottrina della transustanziazione. Ma le loro identità, le
loro identità morali centrali, erano costruite intorno all'appar-
tenenza religiosa.
Poi c'è l'altro tipo di violenza religiosa, che è esplicitamente
teologica. È quando ci sono persone che uccidono altre perso-
ne letteralmente perché credono che il creatore dell'universo
vuole che noi lo facciamo, e pensano che ci sarà un premio per
loro per averlo fatto. L'esempio principale di questo è ciò che
vediamo ogni giorno nella prima pagina dei giornali. La jihad.
Quindi, una tesi del mio libro è che, a meno che non met-
tiamo in discussione il dogma della fede, a meno che non
mettiamo in discussione l'idea che delle credenze si possano
santificare in qualche modo diverso dall'evidenza e dagli ar-
gomenti, non elimineremo mai la violenza religiosa, perché
non estirperemo mai la sua radice profonda.

SCIENZA E RELIGIONE NON SONO INDIPENDENTI


(da “L'Illusione di Dio”, Richard Dawkins)

[ Il noto biologo evoluzionista di Harvard, Stephen Jay


Gould disse: ]
Parlo per tutti i miei colleghi e per la milionesima volta
[..]: la scienza semplicemente non può (mediante i suoi
metodi legittimi) pronunciarsi sulla possibile sovrinten-
denza di Dio sulla natura. Noi non la affermiamo né la
neghiamo; semplicemente non possiamo commentare su
di essa come scienziati.
A parte il tono arrogante, quasi intimidatorio, dell'afferma-
zione di Gould, quale sarebbe esattamente la sua giustificazio-

46
ne? Perché mai non dovremmo commentare su Dio, come
scienziati? E perché la teiera di Russell, o il Mostro Volante
di Spaghetti, non sono ugualmente immuni dallo scettici-
smo scientifico? Come sosterrò tra poco, un universo dotato
di un sovrintendente creativo sarebbe un universo molto di-
verso da uno senza. Perché mai questo non sarebbe una que-
stione scientifica?
Gould sfoggiò la sua arte di ritrarsi all'indietro fino ad assu-
mere posizione completamente supina in uno dei suoi libri
meno ammirati, Rocks of Ages. In quel libro coniò l'acronimo
NOMA, che sta per “magisteri non sovrapposti” [non-over-
lapping magisteria]:
Il dominio, o magistero, della scienza copre il reame em-
pirico: di cosa è fatto l'universo (fatto) e perché funziona
in questo modo (teoria). Il magistero della religione si
estende sopra le domande dei significati ultimi e del va-
lore morale. Questi due magisteri non si sovrappongono
[..] La scienza studia come va il cielo, la religione come
andare in cielo.
Questo discorso fa uno splendido effetto ― fino a che non ci
rifletti un attimo. Quali sarebbero queste domande ultime
sulle quali la religione è ospite gradito e la scienza deve ri-
spettosamente farsi da parte?
Martin Rees, noto astronomo di Cambridge che ho già men-
zionato, inizia il suo libro “Il nostro habitat cosmico” ponendo
due candidati allo stato di "domanda ultima" e dando ad esse
una risposta di tipo NOMA:
Il mistero principale è perché esista qualche cosa in pri-
mo luogo. Cosa infonde vita alle equazioni, e cosa le ha
concretizzate in un cosmo reale? Tali domande giaccio-
no oltre la portata della scienza, comunque: sono il rea-
me dei filosofi e teologi.
Io preferirei dire che, se davvero queste domande giacciono
oltre la portata della scienza, allora senza ombra di dubbio
giacciono anche oltre la portata della teologia (e dubito che i
filosofi ringrazierebbero Martin Rees per averli accomunati ai
47
teologi). Sarei tentato di andare oltre e chiedermi in quale
campo i teologi possano mai essere considerati competenti.
Ricordo ancora con divertimento l'osservazione di un ex diri-
gente del mio college di Oxford. Un giovane teologo aveva
fatto domanda per un posto di ricerca, e la sua tesi di dottora-
to sulla teologia cristiana ispirò il dirigente a dire "ho seri dub-
bi persino se questa sia una materia".
Quale contributo o competenza possono portare i teologi
alle domande cosmologiche profonde, che gli scienziati non
possano portare? In un altro libro ho riportato le parole di un
astronomo di Oxford che, quando gli posi le stesse domande
profonde, rispose: "Ah, adesso ci muoviamo oltre il reame del-
la scienza. A questo punto devo farmi da parte e lasciare la pa-
rola al nostro buon amico, il cappellano". Non ebbi la prontez-
za di spirito di rispondere: "Ma perché proprio il cappellano?
Perché non il giardiniere o lo chef?". Perché gli scienziati
sono così timidamente rispettosi verso le ambizioni dei teolo-
gi, su domande che i teologi certamente non sono più quali-
ficati ad affrontare degli scienziati stessi?
C'è un cliché irritante (e, diversamente da molti cliché, non
è neppure vero) che afferma che la scienza si occupa delle
domande sui come, ma solo la teologia abbia gli strumenti
per rispondere alle domande sui perché. Ma che cosa è mai
una domanda sul perché? Non tutte le frasi che cominciano
con la parola perché sono domande legittime. Perché gli uni-
corni sono vuoti? Alcune domande semplicemente non meri-
tano risposta. Di che colore è l'astrazione? Qual è l'odore della
speranza? Il fatto che io possa costruire una frase sintattica-
mente corretta non le conferisce automaticamente un signifi-
cato, né la rende degna della nostra attenzione. Ed anche
quando la domanda è una domanda vera, il fatto che la scien-
za non possa rispondere non implica in nessun modo che la
religione possa.
Forse esiste qualche domanda davvero profonda e dotata di
significato che giace per sempre oltre le possibilità della scien-
za. Forse la teoria quantistica sta già bussando alla porta del-
l'incomprensibile. Ma se la scienza non può rispondere a
48
qualche domanda ultima, cosa fa pensare a qualcuno che la
religione possa? Io sospetto che né l'astronomo di Cambridge
né quello di Oxford credessero veramente che i teologi avesse-
ro qualche capacità che permetta loro di rispondere a doman-
de che sono troppo profonde per la scienza. Sospetto che en-
trambi gli astronomi si stessero, ancora una volta, inchinando
in segno di educazione: i teologi non hanno niente di significa-
tivo da dire su nessun'altra cosa; lasciamo loro questo giocat-
tolo e lasciamo che si preoccupino su un paio di domande a
cui nessuno può rispondere e forse nessuno risponderà mai.
Diversamente dai miei amici astronomi, io non credo che do-
vremmo lasciar loro il giocattolo. Devo ancora sentire una
buona ragione per supporre che la teologia (anziché la lettera-
tura, la storia biblica, eccetera) sia una materia in primo luogo.
In modo simile, possiamo essere tutti d'accordo che il diritto
della scienza di darci consigli sui valori morali sia problemati-
co, a dir poco. Ma davvero Gould vuole cedere alla religione
il diritto di dirci cosa è bene e cosa è male? Il fatto che essa
non abbia nient'altro da contribuire alla conoscenza umana
non è un motivo di concedere gratuitamente alla religione il
diritto di dirci cosa fare. Quale religione, tra l'altro? Quella in
cui ti trovi casualmente ad essere stato cresciuto? Ed allora, a
quale capitolo, di quale libro della Bibbia dovremmo guardare
― perché sono tutt'altro che unanimi, ed alcuni di essi sono
odiosi secondo qualunque standard ragionevole. Quante per-
sone, tra quelle che sostengono l'interpretazione letterale
della Bibbia, l'hanno letta abbastanza da sapere che essa
prescrive la pena di morte per l'adulterio, per raccogliere ba-
stoncini di legno di sabato e per rivolgersi sgarbatamente ai
genitori? E se rifiutiamo il Deuteronomio e il Levitico (come
fanno tutte le persone moderne illuministe), con che criterio
decidiamo quali valori morali religiosi accettare? O forse
dovremmo scegliere a nostro piacimento tra tutte le reli-
gioni del mondo finché non ne troviamo una la cui mora-
le ci soddisfa? Se è così, di nuovo dobbiamo chiedere:
con che criterio scegliamo? E se abbiamo dei criteri indi-

49
pendenti per scegliere quale tra le varie religioni è più
morale, perché non scavalcare completamente l'inter-
mediario e seguire direttamente quella morale, senza
abbracciare alcuna religione? Tornerò su questa questio-
ne nel capitolo 7.
[......]

LE RELIGIONI FANNO AFFERMAZIONI SCIENTIFICHE SULL'UNIVERSO

Richard Swinburne, uno dei teologi più importanti della


Gran Bretagna, afferma: [..]
Dio può certo far muovere i pianeti nel modo sco-
perto da Keplero... ma può anche farli muovere in
modi completamente diversi. [..]
Dio non è limitato dalle leggi della natura; egli le crea
e le può cambiare e sospendere ― se ne ha voglia.
C'è qualcosa che non va, non vi pare? Qualunque cosa sia,
questa posizione è molto lontana dalla NOMA. E qualunque
altra cosa possano dire, quelli scienziati che abbracciano la
scuola di pensiero dei "magisteri separati" dovrebbero ammet-
tere che un universo con un creatore intelligente in modo so-
vrannaturale è molto diverso da un universo senza. La diffe-
renza tra i due universi ipotetici non potrebbe essere più fon-
damentale in linea di principio, anche se non è così facile da
testare in pratica. E mina alle fondamenta l'idea seducente e
un po' vile che la scienza debba stare completamente zitta sul
motivo principale di esistenza della religione. La presenza o
l'assenza di una superintelligenza creativa è inequivocabil-
mente una domanda scientifica, anche se non ha in pratica ―
o non ancora ― una risposta. E lo è anche la verità o la falsità
di ogni storia di miracoli su cui le religioni fanno leva per im-
pressionare moltitudini di fedeli.
Gesù ha avuto un padre umano, o sua madre era vergine
nel momento della nascita? Sebbene possa non esserci evi-
denza per rispondere a questa domanda, essa è strettamente
una domanda scientifica, per cui esiste una risposta ben pre-
50
cisa: sì o no. O è vero o è falso. Gesù ha risuscitato o no Laz-
zaro dalla morte? Lui stesso è o no resuscitato, tre giorni dopo
essere stato crocifisso? Ad ognuna di queste domande esiste
una risposta, indipendentemente dal fatto che noi riusciamo a
scoprirla, ed è strettamente una domanda scientifica. I meto-
di che noi useremmo per rispondere alla domanda, nel caso
improbabile che venissimo in possesso di evidenza rilevan-
te, sarebbero metodi puramente ed interamente scientifici.
Per drammatizzare questo punto, immaginate che, per qual-
che straordinaria circostanza, qualche archeologo disseppellis-
se evidenza sul DNA che mostrasse che davvero Gesù non ha
avuto un padre biologico. Riuscite ad immaginare i difensori
della religione che stringono le spalle e dicono "chi se ne im-
porta? L'evidenza scientifica è completamente irrilevante nelle
questioni teologiche. Magistero sbagliato! A noi interessano
solo le domande ultime e con valori morali. Nè il DNA né al-
cuna altra evidenza scientifica potrebbe mai avere importanza
in questa questione, in un modo o nell'altro".
L'idea stessa è ridicola. Potete scommettere le vostre mutan-
de che, semmai venisse alla luce una tale evidenza scientifi-
ca, i religiosi se ne impadronirebbero sbandierandola ai
quattro venti. NOMA è un'idea popolare soltanto perché
non c'è evidenza per avvalorare l'ipotesi di Dio. Nel momen-
to in cui comparisse il più piccolo accenno a qualunque evi-
denza in favore delle credenze religiose, i difensori della reli-
gione non perderebbero tempo a gettare NOMA fuori dalla fi-
nestra. A parte i teologi sofisticati (ed anche loro sono lieti di
raccontare storie di miracoli alle persone ingenue per far cre-
scere le comunità), sospetto che i presunti miracoli forniscano
per molti credenti la ragione più forte per avere fede; ed i mi-
racoli, per definizione, violano i principi della scienza.
La Chiesa cattolica romana da una parte sembra qualche
volta sostenere NOMA, ma, dall'altra parte, considera essen-
ziale per diventare santi l'aver compiuto dei miracoli. Il defun-
to re del Belgio è candidato a diventare santo a causa della sua
posizione sull'aborto. Adesso sono in corso delle attente in-
vestigazioni per scoprire se le preghiere che sono state rivolte
51
a lui dopo la sua morte abbiano prodotto delle guarigioni mi-
racolose. Non sto scherzando. È proprio così, ed è una cosa ti-
pica delle storie dei santi. [..]
Gould, se si trovasse di fronte alle storie sui miracoli, presu-
mibilmente risponderebbe su queste linee. NOMA deve vale-
re in entrambe le direzioni. Nel momento in cui la religione
entra nel campo della scienza ed inizia ad avere a che fare con
il mondo reale per quanto riguarda i miracoli, smette di essere
una religione nel senso che Gould sta difendendo, e l'amiche-
vole concordia è spezzata. Notate però che la religione di
Gould, religione priva di miracoli, non piacerebbe ai teisti
[...] ma, al contrario, sarebbe per loro un grande disappunto.
[..] A che cosa serve un Dio che non fa miracoli e non rispon-
de alle preghiere? Ricordate l'intelligente definizione del ver-
bo "pregare" data da Ambrose Bierce: "chiedere che le leggi
dell'universo vengano annullate a favore di un singolo richie-
dente che, a suo stesso dire, non è degno di ciò". Esistono degli
atleti che chiedono a Dio di aiutarli a vincere ― contro avver-
sari che, sembrerebbe, non sono o meno degni del suo favori-
tismo. Questo stile di teismo è popolare in modo imbaraz-
zante, ed è improbabile che sia impressionato da una cosa (su-
perficialmente) ragionevole come NOMA.
Ciononostante, seguiamo Gould e riduciamo la nostra reli-
gione ad un minimo assoluto non interventista: niente miraco-
li, niente comunicazione personale tra Dio e noi in alcuna dire-
zione, niente alterazioni delle leggi della fisica, nessuno scon-
finamento nel campo della scienza. Al massimo, un piccolo in-
put deista circa le condizioni iniziali dell'universo [...] Suggeri-
sco che anche in questo caso l'ipotesi di Dio sia un'ipotesi
scientifica. [...]
[Torneremo su questo argomento nel capitolo 4.]

SENZA DIO PUÒ ESISTERE LA MORALITÀ?


(da “L'Illusione di Dio”, Richard Dawkins)

“Se Dio non esiste, perché essere buoni?”


52
Questa domanda, posta così, suona davvero ignobile. Quan-
do una persona religiosa me la pone così (e molti lo fanno), la
mia tentazione immediata è di rispondere: "Davvero tu stai
affermando che l'unica ragione per cui cerchi di essere buo-
no è ottenere l'approvazione ed il premio di Dio, o evitare la
sua disapprovazione o punizione? Questa non è moralità, è
soltanto lecchinaggio, è una vile adulazione di potenti, è un
agire per timore di una grande telecamera nel cielo, o di un
piccolo dispositivo di sorveglianza installato nel tuo cervello,
che tiene d'occhio ogni tuo spostamento e persino i tuoi pen-
sieri". Come disse Einstein, “Se davvero le persone sono buo-
ne soltanto perché temono una punizione o sperano in un pre-
mio, allora c'è davvero poca speranza per l'umanità”. Michael
Shermer, ne La Scienza del Bene e del Male, pronuncia su questo
la parola definitiva: se tu sei capace di affermare che, in as-
senza di Dio, “commetteresti furti, stupri ed omicidi”, allora
tu mostri di essere una persona immorale, “e noi tutti farem-
mo bene a stare alla larga da te il più possibile”. Se, al con-
trario, ammetti che continueresti a comportarti in modo retto
anche senza sorveglianza divina, hai demolito la tua stessa
affermazione che Dio sia necessario per essere una persona
retta. Io sospetto che molte persone pensino che sia la religio-
ne che li motiva ad essere buoni, specialmente se appartengo-
no a una di quelle confessioni religiose che sfruttano sistemati-
camente il senso di colpa delle persone.
[.....]
Abbiamo davvero bisogno di un sorvegliante ― che sia Dio
o chiunque altro ― per impedirci di comportarci in modo
egoistico e criminale? [..] Per indebolire la tua sicurezza, ascol-
ta con disillusione l'esperienza di Steven Pinker dello sciopero
della polizia a Montreal nel 1969, che egli descrive nel suo li-
bro “Tabula Rasa”:
[...] Alle 11:20 fu rapinata la prima banca. A mezzogior-
no la maggior parte dei negozi aveva chiuso per sac-
cheggio. Entro qualche ora, i tassisti avevano bruciato il
garage di un servizio di limousine che faceva loro con-

53
correnza per i clienti dell'aeroporto; un cecchino da un
tetto aveva ucciso un ufficiale di polizia; dei rissosi ave-
vano fatto irruzione in molti hotel e ristoranti, ed un
dottore aveva ucciso un ladro entratogli in casa. Alla
fine della giornata, erano state rapinate sei banche, sac-
cheggiati un centinaio di negozi, appiccati dodici incen-
di, rotte tante vetrine di negozi da riempire 40 camion, e
tre milioni di dollari di danni complessivi erano stati in-
flitti, prima che le autorità cittadine fossero costrette a
chiamare l'esercito [...]
Può darsi anche che sia troppo ottimista credere che la gente
resterebbe buona senza la sorveglianza di Dio. D'altra parte, la
maggior parte della popolazione di Montreal presumibil-
mente credeva in Dio. Come mai il timore di Dio non li ha
tenuti a bada quando i poliziotti terrestri erano temporanea-
mente assenti? La vicenda di Montreal non è forse un ottimo
esperimento naturale per verificare l'ipotesi che credere in
Dio ci rende buoni? Oppure aveva ragione il cinico H. L.
Mecken quando diceva: 'La gente dice che c'è bisogno di Dio
quando in realtà intende che c'è bisogno di polizia'?
Naturalmente, non tutti a Montreal si comportatono male
[...]. Sarebbe interessante sapere se c'è una tendenza statistica
[...] per i credenti a saccheggiare e distruggere più o meno dei
non credenti. [..] Sono propenso a sospettare, con qualche pro-
va [..], che ci sono molti pochi atei in prigione. [..] Un'altra
possibilità è che l'ateismo sia correlato a qualche altro fattore,
come un'istruzione migliore, una maggiore intelligenza o ten-
denza a riflettere, che potrebbe contrastare gli impulsi crimi-
nali. [..]
[....]
La maggior parte delle persone riflessive sarebbe d'accordo
che una moralità in assenza di un controllore sia in qualche
modo più morale di quella falsa moralità che scompare non
appena la polizia si assenta o la telecamera di sorveglianza
viene spenta [...] Ma forse non è del tutto equo interpretare in
modo così cinico la domanda 'se Dio non esiste, perché essere

54
buoni?'. Un pensatore religioso potrebbe offrire un'interpreta-
zione più genuinamente morale, nel modo che segue.
Se non credi in Dio, allora non credi che esista alcuno
standard assoluto di moralità. A questo punto tu puoi
anche avere tutta la buona volontà del mondo a compor-
tarti bene, ma come decidi cosa è bene e cosa è male?
Solo la religione, alla fine, può fornire uno standard di
cosa è bene e cosa è male. Senza la religione, lo standard
devi costruirtelo tu strada facendo. Questa sarebbe una
moralità senza regole: una moralità che non starebbe in
piedi perché si poggia su sé stessa. Se la moralità è sol-
tanto una questione di scelta, Hilter potrebbe affermare
di essere morale secondo gli standard eugenetici che si è
dato lui stesso, e tutto ciò che gli atei possono fare è
compiere la scelta personale di vivere in modo diverso
da lui. Invece i cristiani, gli ebrei e i musulmani possono
affermare che il male ha un significato assoluto, vero in
tutti i tempi e in tutti i luoghi, secondo cui Hitler era as-
solutamente malvagio.
Anche se fosse vero che abbiamo bisogno di Dio per essere
morali, ciò non renderebbe più probabile l'esistenza di Dio,
ma solo più desiderabile (molte persone non capiscono la dif-
ferenza). Ma ora non è questo il punto. Questo immaginario
sostenitore della religione non ha bisogno di affermare che
Dio è una ragione per far bene. Piuttosto egli afferma che,
quale che sia la ragione per far bene, senza Dio non ci sareb-
be un criterio per decidere cosa è bene. Ognuno di noi potreb-
be farsi la propria definizione di bene, e comportarsi secondo
essa. I principi morali che si basano solo sulla religione (invece
che, ad esempio, su qualche "regola d'oro", che spesso viene
associata alla religione ma può provenire da altrove) si posso-
no chiamare assolutisti. Il bene è bene e il male è male, e non
perdiamo tempo a ragionare se in alcuni casi particolari, ad
esempio, c'è qualcuno che soffre. Il religioso ipotetico di cui
sto parlando decide cosa è bene soltanto in base alla religio-
ne.

55
Alcuni filosofi, come Kant, hanno cercato di derivare una
morale assoluta da fonti non religiose.
[...]
A parte Kant, si ha la tentazione di essere d'accordo col mio
ipotetico sostenitore della religione sul fatto che le morali as-
solute siano spesso guidate dalla religione. È sempre sbaglia-
to porre fine alla sofferenza di un malato terminale su sua ri-
chiesta? È sempre sbagliato fare l'amore con una persone
dello stesso sesso? È sempre sbagliato uccidere un embrio-
ne? Ci sono persone che credono di sì, e le loro basi sono as-
solute. Essi non portano argomentazioni e non ammettono
dibattiti. Chiunque non sia d'accordo merita la fucilazione:
ovviamente in senso metaforico, non letterale ― tranne che
nel caso di alcuni dottori nelle cliniche americane dove si pra-
tica l'aborto (vedi prossimo capitolo). Fortunatamente, però,
la morale non ha bisogno di essere assoluta.
I filosofi della morale sono le nostre personalità di riferimen-
to quando si parla di bene e male. Come dice efficacemente
Robert Hinde, essi affermano che 'i precetti morali, sebbene
non necessariamente fondati sulla ragione, dovrebbero essere
difendibili mediante la ragione'. I filosofi morali [...] si posso-
no classificare in 'deontologisti' (come Kant) e 'consequenzia-
listi' [...]. La deontologia è un nome complicato per la creden-
za che la moralità consista nell'obbedire a regole. È letteral-
mente la scienza del dovere, dal greco "ciò che è vincolante,
doveroso". La deontologia non è proprio uguale all'assoluti-
smo morale ma, per la maggior parte degli scopi, in un libro
sulla religione non è necessario distinguere tra queste due
cose. Gli assolutisti credono che esistano un bene e un male
assoluti, degli imperativi la cui rettitudine non dipende dalle
loro conseguenze. I consequenzialisti pensano più pragmati-
camente che la moralità di un'azione debba essere giudicata in
base alle sue conseguenze.
[...]
Non tutto l'assolutismo è derivato dalla religione. Cionono-
stante, è molto difficile difendere una morale assoluta su basi

56
diverse dalla religione. L'unico concorrente che mi viene in
mente è il patriottismo, specialmente in tempo di guerra.
[...]
La gente disprezzava gli obiettori di coscienza, anche quelli
del Paese nemico, perché il patriottismo era considerato una
virtù assoluta. È difficile dire una cosa più assoluta dello slo-
gan del soldato professionista, "My country right or wrong"
["Sto con la mia patria, che essa abbia ragione o torto"], perché
questo slogan è una promessa di uccidere chiunque si trovi un
domani ad essere dichiarato "nemico" dai politici del tempo. Il
ragionamento consequenzialista potrebbe influenzare la deci-
sione di entrare o meno in guerra ma, una volta che la guerra
è cominciata, il patriottismo assolutista prende il comando con
una forza mai vista da nessun'altra parte ad eccezione della re-
ligione. Un soldato che si lasciasse persuadere da una morale
consequenzialista a non andare sul fronte probabilmente subi-
rebbe la corte marziale e sarebbe giustiziato.
[...]
Il prossimo capitolo dimostrerà che le persone che afferma-
no di derivare la propria morale dalle Scritture non lo fanno
davvero in pratica. [Tutti sono quindi “relativisti”]. E questa è
una cosa molto buona, come loro stessi dovrebbero ammettere
col senno di poi.

LA MORALITÀ DELLE SACRE SCRITTURE


(da “L'Illusione di Dio”, Richard Dawkins)

Le Scritture hanno due modi di produrre per noi una mo-


rale o delle regole di vita. Uno è darci delle istruzioni dirette,
come ad esempio i Dieci Comandamenti [...]. L'altro è fungere
da esempio: Dio, o qualche altro personaggio biblico, potreb-
bero fungere da modello di vita. Entrambi questi percorsi spi-
rituali basati sulle Scritture, se seguiti religiosamente (uso que-
sto avverbio in senso metaforico ma senza ignorarne le origi-
ni), incoraggiano un sistema morale che qualunque persona

57
moderna e civile, religiosa o meno, troverebbe ― non so
come dirlo più educatamente ― nauseante.
Ad essere equi, la maggior parte della Bibbia non è sistema-
ticamente malvagia ma semplicemente bislacca, come ti aspet-
teresti da un'antologia di documenti disgiunti caoticamente
raggruppati insieme, rivisti, tradotti, distorti e 'migliorati' da
migliaia di autori anonimi, editori e copisti, sconosciuti a noi e
che non si conoscevano tra loro, nell'arco di nove secoli. [...]
Ma sfortunatamente è lo stesso strano libro che i fanatici reli-
giosi sbandierano come la fonte infallibile della nostra morale
e delle nostre regole di vita. Coloro che vogliono basare la
propria morale letteralmente sulla Bibbia non l'hanno letta o
non l'hanno compresa, come osserva giustamente il vescovo
John Shelby Spong ne I Peccati delle Scritture.
[...]

L'ANTICO TESTAMENTO

Si comincia nella Genesi con l'amata storia di Noè, derivata


dal mito babilonese di Uta-Napisthim e nota dalle mitologie
più antiche di molte culture. La leggenda di animali che entra-
no a due a due nell'arca è affascinante, ma la morale della sto-
ria di Noè è sconcertante. Dio aveva una bassa opinione degli
uomini e per questo (ad eccezione di una famiglia) li affogò,
compresi i bambini ed anche, per buona misura, il resto degli
animali (che erano presumibilmente innocenti).
Naturalmente, i teologi irritati obietteranno che non pren-
diamo più alla lettera il libro della Genesi. Ma è proprio
questo il punto! Noi scegliamo a nostro piacimento a quali
parti delle Scritture credere, e quali invece mettere da parte
come simboliche o allegoriche. Questa selezione è una deci-
sione personale, tanto quanto la decisione degli atei di se-
guire quel tale precetto morale o quella decisione personale,
senza un fondamento assoluto. Se quella degli atei è "una
moralità che si fonda solo su sé stessa", lo è anche l'altra.
In ogni caso, nonostante le buone intenzioni dei sofisticati
teologi, un numero spaventosamente grande di persone

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prende ancora sul serio e alla lettera le Scritture, compresa la
storia di Noè. Secondo la nota compagnia di sondaggi Gal-
lup, queste persone sono più del 50% degli elettori america-
ni. E lo stesso fanno, senza dubbio, molti di quei ministri di
culto asiatici che hanno dato la colpa dello Tsunami non ad
uno spostamento tettonico ma ai peccati umani, che spaziano
dal bere e ballare nei bar all'infrangere qualche insensata rego-
la del sabato. Chi può permettersi di criticarli, credendo allo
stesso tempo alla storia di Noè ed ignorando tutto tranne la
Bibbia? Tutta l'educazione che hanno ricevuto li ha portati a
considerare i disastri naturali come collegati alle vicende
umane, come vendette per le malefatte degli umani piuttosto
che qualcosa di impersonale come la tettonica a zolle. Tra pa-
rentesi, che presuntuoso egocentrismo credere che eventi che
scuotono la terra, della magnitudine a cui operano gli dei (o la
tettonica a zolle), debbano sempre avere una connessione con
l'uomo. Perché mai un essere divino, con in mente la creazione
e l'eternità, dovrebbe preoccuparsi anche minimamente delle
puerili malefatte umane? Noi uomini ci diamo delle arie, ingi-
gantendo i nostri miseri peccati fino a renderli significativi a
livello cosmico!
Quando intervistai per la televisione il reverendo Michael
Bray, un attivista anti-abortista di fama, gli chiesi perché i cri-
stiani evangelici fossero così ossessionati dalle inclinazioni
sessuali private come l'omosessualità, inclinazioni che non
interferiscono con la vita di nessun altro. La sua risposta tirò
in ballo l'autodifesa. Dei cittadini innocenti rischiano di di-
venire vittime collaterali quando Dio deciderà di colpire la
loro città con un disastro naturale perché ospita dei peccato-
ri. Nel 2005, la bella città di New Orleans fu catastroficamente
inondata come contraccolpo dell'uragano Katrina. Il reveren-
do Pat Robertson, uno dei più famosi tele-evangelisti d'Ameri-
ca, diede la colpa dell'uragano ad una cabarettista lesbica
che abitava a New Orleans. Verrebbe da pensare che un Dio
onnipotente adotterebbe un approccio leggermente più pre-
ciso per freddare i peccatori: un giudizioso attacco di cuore,
forse, piuttosto che la distruzione di un'intera città, solo per-
59
ché il caso ha voluto che fosse il domicilio di una cabarettista
lesbica.
Quando i cittadini di Dover, Pennsylvania, votarono contro
l'insegnamento nelle loro scuole della cosiddetta "teoria del di-
segno intelligente", questo stesso reverendo disse:
[..] se accadrà un disastro nella vostra città, non rivolge-
tevi a Dio. Lo avete appena cacciato dalla vostra città [..].
Quando lo invocherete, Egli potrebbe non esserci.
[...]
Nella distruzione di Sodoma e Gomorra, Lot, nipote di
Abramo, ricopre lo stesso ruolo di Noè, nel senso che viene
scelto per essere risparmiato assieme alla sua famiglia in
quanto individuo retto. Due angeli maschi vennero mandati a
Sodoma per avvisare Lot di abbandonare la città prima che ar-
rivassero le pietre. Lot accolse con ospitalità gli angeli in casa
sua, al che tutti gli uomini di Sodoma si radunarono intorno
alla sua casa e domandarono che Lot consegnasse loro gli an-
geli in modo che potessero (e cos'altro?) sodomizzarli: 'Dove
sono gli uomini che vennero da te questa notte? Portali a noi,
così che possiamo conoscerli' (Genesi 19:5). Sì, “conoscere” ha
il significato eufemistico classico della Versione Autorizzata, il
che è divertente in questo contesto. Il coraggio di Lot nel dire
di no alla richiesta suggerisce che Dio poteva non avere tutti i
torti a salvarlo. Ma la nobiltà di Lot è annebbiata dalle parole
che usa per rifiutare: “Vi prego, non fate tale cosa malvagia.
Guardate: io ho due figlie che non hanno mai conosciuto un
uomo; vi prego, permettete che io ve le porti, e fate a loro ciò
che vi piace: soltanto, non fate nulla a questi uomini; perché
essi sono venuti all'ombra del mio tetto” (Genesi 19:7-8).
Qualunque cosa significhi questa storia bislacca, di certo ci
dice qualcosa sul rispetto accordato alle donne in questa cul-
tura intensamente religiosa. Comunque, si dà il caso che il ba-
ratto di Lot si rivelò non necessario [..]. Tutta la famiglia si sal-
vò, ad eccezione della sfortunata moglie di Lot, che il Signore
trasformò in un pilastro di sale per l'offesa ― debole al con-
fronto, si potrebbe pensare ― di essersi voltata a guardare i
60
fuochi d'artificio della distruzione.
Le due figlie di Lot comparvero di nuovo nella storia. [..]
Vissero col padre in una caverna. Affamate di compagnia ma-
schile, decisero di far ubriacare il padre e copulare con lui. [...]
Lot era troppo ubriaco per accorgersi che si stava accoppiando
con le figlie. Se questa famiglia con dei problemi era il meglio
che Sodoma aveva da offrire in quanto a morale, qualcuno di
voi potrebbe cominciare a sentirsi d'accordo con Dio e la sua
severa scure.
C'è un altro episodio tetramente simile a quello di Lot nel ca-
pitolo 19 del libro dei Giudici. [...]
No, amici, vi prego, non fate una cosa tanto malvagia,
perché quest'uomo è venuto in casa mia; ecco, ho una fi-
glia con la sua concubina; ve le porterò ora entrambe, e
ve le umilierò, e fate loro quel che vi pare; ma su que-
st'uomo non fate una cosa così vile [...]
Ancora una volta, l'etica misogina si rivela, forte e chiara.
Trovo particolarmente agghiacciante la frase “ve le umilierò”.
Divertitevi pure umiliando e stuprando mia figlia e la concu-
bina di questo sacerdote, ma mostrate un giusto rispetto per il
mio ospite che, dopo tutto, è maschio. Nonostante la similarità
tra le due storie, il finale fu meno felice per la concubina del
Levite (sacerdote) che per le figlie di Lot.
Il Levite la consegnò ai malviventi, che la stuprarono per tut-
ta la notte: "la conobbero e abusarono di lei per tutta la notte
fino al mattino: e quando il giorno cominciò a sorgere, la la-
sciarono andare. Poi la donna all'alba arrivò davanti alla porta
della casa dov'era il suo signore, e restò al suolo finché non di-
venne giorno". (Giudici 19:25-6). Di mattina, il Levita trovò la
sua concubina che giaceva prostrata sull'uscio e disse ― con
ciò che oggi potrebbe sembrare una crudele brutalità ― "Alza-
ti e andiamo". Ma lei non si muoveva. Era morta. Per cui egli
"prese un coltello, si chinò sulla sua concubina, e la fece a pez-
zi, anche le ossa, il tutto in 12 pezzi, e la mandò sulle coste di
Israele". Sì avete letto bene. Andatelo a leggere in giudici
19:29. [...]
61
Lo zio di Lot, Abramo, fu il padre fondatore di tutte e tre le
"grandi" religioni monoteistiche. Il suo status di patriarca lo
rende degno di divenire per i fedeli un modello di vita quasi
quanto Dio stesso. Ma quale moralista moderno vorrebbe
emularlo?
[.....]
Dio ordinò ad Abramo di offrirgli in sacrificio il suo amato
figliolo, uccidendolo e bruciandolo. Abramo costruì un altare,
ci mise sopra la legna da ardere, ed issò Isacco sopra di essa. Il
suo coltello era già alzato quando un angelo intervenne con
un cambio di piano: Dio stava solo scherzando dopo tutto,
'mettendo alla prova' Abramo e testando la sua fede. Un mo-
ralista moderno non può evitare di chiedersi come un bam-
bino possa recuperare dopo un trauma psicologico di questo
tipo. Secondo gli standard moderni di moralità, questa storia
scellerata è un esempio allo stesso tempo di abuso di minori,
di due atti di bullismo verso persone di rango inferiore, ed è
il primo caso documentato di utilizzo della difesa di Norim-
berga: "Ho solo eseguito gli ordini". Eppure la leggenda è
uno dei grandi miti fondanti di tutte e tre le religioni monotei-
stiche.
Ancora una volta, i teologi moderni obietteranno che la sto-
ria del sacrificio di Isacco non dovrebbe essere intesa lette-
ralmente come un fatto. Ed ancora una volta, la risposta cor-
retta è duplice. Primo, moltissime persone, anche oggi, pren-
dono tutte le Scritture alla lettera come un fatto vero, ed han-
no molto potere politico su tutti noi, specialmente negli Stati
Uniti e nel mondo islamico. Secondo, se non lo dobbiamo
prendere alla lettera, come lo dobbiamo prendere? Come
un'allegoria? Ma un'allegoria di che cosa? Certo di nulla che
sia lodevole. Come una lezione morale? Ma che tipo di morale
si potrebbe mai derivare da questa storia sconcertante?
Ricordate, tutto ciò che sto cercando di stabilire per il mo-
mento è che noi non deriviamo la nostra morale dalle Scrit-
ture. O, se lo facciamo, noi scegliamo tra le Scritture le parti
belle e scartiamo quelle brutte. Ma allora dobbiamo avere

62
qualche criterio indipendente per decidere quali sono le par-
ti morali e quali no: un criterio che, da dovunque provenga,
non può venire dalla Scrittura stessa e presumibilmente è
disponibile a noi tutti, non importa se religiosi o meno.
Alcuni difensori cercano persino di attribuire decenza al per-
sonaggio di Dio in questa deplorevole storia. Non è stato forse
buono Dio a risparmiare la vita di Isacco all'ultimo momento?
Nel caso improbabile che alcuni di voi siano persuasi da que-
sto osceno tentativo di giustificazione, vi racconterò un'altra
storia di sacrificio umano, che non andò a finire così bene.
Nel capitolo 11 dei Giudici, il capo militare Jephthah strinse
il patto con Dio che, se Dio gli avesse garantito la vittoria con-
tro gli Ammoniti, Jephthah avrebbe in cambio, senza fallo, sa-
crificato a Dio e bruciato “chiunque uscisse per primo fuori da
casa mia per salutarmi, quando sarò tornato”. Jephthah scon-
fisse davvero gli Ammoniti (“con un massacro maestoso”,
come è la norma in tutto il libro dei Giudici) e tornò vittorioso
a casa. Chi venne a salutarlo fuori da casa fu, non sorprenden-
temente, la sua unica figlia, accogliendolo con danze e feste.
[...] Non c'era niente che Jephthah potesse fare. Dio stava ov-
viamente aspettando il sacrificio promesso, e in quella circo-
stanza la figlia acconsentì molto carinamente ad essere sacrifi-
cata. Chiese solo di poter andare sulle montagne per due mesi
per perdere la verginità. Alla fine di questo periodo tornò e
Jephthah la fece fuori. Dio non ritenne opportuno interveni-
re in questa occasione.
[...]
Mosè corse giù dalla montagna, portando le tavole di pietra
su cui Dio aveva scritto i Dieci Comandamenti. Quando arrivò
e vide il vello d'oro, fu così furioso che lasciò cadere le tavole e
le ruppe (più tardi Dio gli diede un set di tavole di ricambio,
quindi non ci fu alcun problema). Mosè si impadronì del vello
d'oro, lo bruciò, lo fece in polvere, lo mischiò con acqua e lo
fece bere a tutte le persone. Poi disse a tutti nella tribù di sa-
cerdoti di Levi di raccogliere una spada e uccidere quante
più persone possibile. Questo ammontò a circa tremila vitti-

63
me che, qualcuno avrebbe sperato, avrebbero dovuto placare
l'ira gelosa di Dio. Ma no, Dio non aveva ancora finito. Nell'ul-
timo verso di questo terribile capitolo il suo colpo di grazia fu
inviare una pestilenza su ciò che restava delle persone “perché
essi avevano fatto il vello, che Aaron aveva fatto”.
Il Libro dei Numeri ci racconta come Dio incitò Mosè ad at-
taccare i Midianiti. Il suo esercito massacrò rapidamente gli
uomini, e bruciò tutte le città dei Midianiti, ma non uccise le
donne e i bambini. Questa pietosa astensione dei soldati fece
infuriare Mosè, che diede ordine di uccidere tutti i bambini,
e tutte le donne non vergini. “Ma tutte le bambine, che non
hanno conosciuto un uomo, lasciatele vive e tenetele per voi
stessi” (Numeri, 31:18). No, Mosè non è un buon esempio di
vita per i moralisti moderni.
Per quanto alcuni scrittori religiosi moderni attribuiscano
qualche tipo di significato simbolico al massacro dei Midianiti,
il simbolismo è orientato completamente nella direzione sba-
gliata. Gli sfortunati Midianiti, per quanto possiamo giudicare
dal resoconto biblico, furono vittime di genocidio nel loro
stesso Paese.
[...]
Nei Numeri, libro 25, molti israeliti furono adescati dalle
donne moabite ad offrire sacrifici al dio Baal. Dio reagì con la
sua furia caratteristica. Ordinò a Mosè di “Prendere tutte le te-
ste delle persone e appenderle sotto il sole al cospetto del Si-
gnore, così che la furiosa rabbia di Dio possa allontanarsi da
Israele”. Ancora una volta, non possiamo evitare di stupirci
alla reazione straordinariamente draconiana di Dio di fronte al
peccato di farsi sedurre da un Dio rivale. Per il nostro senso
moderno di giustizia, sembra un peccato veniale in confronto,
ad esempio, all'offrire tua figlia a una banda di stupratori. E'
un ulteriore esempio della distanza tra la morale delle scrittu-
re e quella moderna (sarei tentato di dire “civile”). Natural-
mente, si spiega abbastanza facilmente in termini della teoria
della “memetica” [la teoria della sopravvivenza dell'idea più
adatta, ideata da Dawkins], e delle qualità che una divinità

64
deve possedere per per poter sopravvivere alle idee concor-
renti.
Questa tragicomica gelosia maniacale di Dio contro gli dei
alternativi ricorre incessantemente per tutto l'Antico Testa-
mento. Motiva il primo dei Dieci Comandamenti (quelli sulla
tavoletta rotta da Mosè: Esodo 20, Deuteronomio 5), ed è an-
cora più prominente nei comandamenti sostitutivi forniti da
Dio per rimpiazzare le tavole rotte (Esodo 34). Dopo aver pro-
messo di cancellare dalle loro terre gli sfortunati Amoriti, Ca-
naaniti, Hittiti, Perizziti, Hiviti e Gebusiti, Dio arriva alla que-
stione che conta davvero: gli dei rivali!
... tu distruggerai i loro altari, infrangerai le loro raffigu-
razioni, e taglierai i loro pali sacri. Perché tu non venere-
rai alcun altro dio: perché il Signore, il cui nome è Gelo-
so, è un dio geloso. Non fare alleanza con gli abitanti di
quel paese, altrimenti, quando si prostituiranno ai loro
dèi e faranno sacrifici ai loro dèi, inviteranno anche te: tu
allora mangeresti le loro vittime sacrificali. Non prende-
re per mogli dei tuoi figli le loro figlie, altrimenti, quan-
do esse si prostituiranno ai loro dèi, indurrebbero anche
i tuoi figli a prostituirsi ai loro dèi.

Non forgerai alcun Dio di metallo fuso. (Esodo


34:13-17)
Lo so, lo so, i tempi sono cambiati, e nessun leader religioso
oggi ragiona come Mosè (tranne i Talebani e i loro equivalenti
Cristiani americani). Ma è proprio questo il punto. Tutto ciò
che voglio dimostrare è che la moralità moderna, da dovun-
que venga, certamente non viene dalla Bibbia. E i difensori
della Bibbia non possono farla franca dicendo che la religione
fornisce loro qualche tipo di criterio interno per definire cosa è
buono e cosa è cattivo ― una fonte privilegiata non disponibi-
le agli atei. Non possono farla franca con questo argomento,
neppure se usano il loro trucco preferito di interpretare alcuni
brani scelti “simbolicamente” anziché letteralmente. Con qua-
le criterio decidono quali passaggi interpretare simbolica-
mente e quali letteralmente?
65
La pulizia etnica iniziata al tempo di Mosè arriva al massimo
di orrore nel libro di Giosuè [Joshua], un testo notevole per i
massacri sanguinosi che narra e per la follia xenofobica con
cui lo fa. [..] Il bravo vecchio Giosuè non si riposò finché “non
ebbero distrutto completamente tutto ciò che era nella città,
uomini e donne, giovani e vecchi, e pecore, bufali, asini, col
filo della spada” (Joshua 6:21).
Ancora una volta, protesteranno i teologi, questo non è acca-
duto davvero. [..] Ma il punto è che, che sia vero o no, la Bib-
bia viene sbandierata come la fonte della nostra moralità. E
la storia biblica della distruzione di Gerico da parte di Gio-
suè, e in generale l'invasione della terra promessa, è moral-
mente indistinguibile dall'invasione della Polonia da parte
di Hitler, o dai massacri dei Curdi e degli arabi Marsh da
parte di Saddam Hussein. La Bibbia potrebbe essere anche
una poetica opera di fantasia, ma non è il genere di libro che
dovreste dare ai vostri bambini per formare la loro moralità. Si
dà il caso che la storia di Giosuè a Gerico sia l'argomento di un
interessante esperimento sulla moralità dei bambini, che ve-
dremo più tardi [pagine 75,77 ].
Tra parentesi, non pensate neppure che il personaggio di
Dio nella storia serbasse degli scrupoli o dei dubbi sui massa-
cri e i genocidi che accompagnarono la conquista della terra
promessa. Al contrario, i suoi ordini, per esempio in Deutero-
nomio 20, erano brutalmente espliciti. Fa una chiara distinzio-
ne tra le persone che vivono in quella terra e quelli che vivono
molto lontano. Questi ultimi dovevano essere invitati ad ar-
rendersi pacificamente. Se si rifiutavano, tutti gli uomini dove-
vano essere uccisi e le donne portate via per fare figli. In con-
trasto con questo trattamento relativamente umano, guardate
cosa c'era in serbo per quelle tribù tanto sfortunate da trovarsi
già nella Lebensraum promessa. “Ma delle città di queste perso-
ne, che il Signore Dio tuo ti dà in eredità, non lascerai vivo
niente che respiri, ma dovrai distruggerli completamente. Per
la precisione, gli Hittiti, gli Amoriti, i Canaaniti, i Perizziti, Gli
Hiviti e i Gebusiti; come il Signore Dio tuo ti ha comandato”.
Le persone che tengono in mano la Bibbia come ispirazione
66
alla rettitudine morale hanno la più pallida idea di che cosa c'è
davvero scritto dentro? Le seguenti offese meritano la pena
di morte, secondo il Levitico 20:
• insultare i genitori;
• commettere adulterio;
• fare l'amore con la madrina o la figliastra;
• omosessualità;
• sposare una donna e sua figlia;
• amare le bestie (e, per aggiungere il danno all'insul-
to, la sfortunata bestia viene uccisa anch'essa).
Devi essere ucciso anche, ovviamente, se lavori di sabato:
questo viene ripetuto più e più volte per tutto l'Antico Testa-
mento. In Numeri 15, i figli di Israele trovarono un uomo che
raccoglieva legna nel giorno proibito. Lo arrestarono e chie-
sero a Dio cosa fare di lui. Dio si rivelò non essere in vena di
mezze misure quel giorno. “E il Signore disse a Mosè: l'uomo
sarà sicuramente messo a morte: tutte le congregazioni lo la-
pideranno [...]. E tutte le congregazioni lo lapidarono, ed egli
morì”. Questo innocuo raccoglitore di legna aveva forse una
famiglia e delle figlie che lo piangevano? Tremò di terrore
quando sibilò la prima pietra, e urlò di dolore mentre la raffica
gli fracassava il cranio? Quello che mi sconvolge oggi di que-
ste storie non è che siano realmente accadute. Probabilmente
non è così. Quello che mi fa cadere la mascella a terra è che
delle persone oggi basano la propria vita su un modello di
vita così sconcertante come Yahweh – e ancor peggio, cercano
di imporre questo mostro malvagio (che sia vero o opera di
fantasia) a tutti noi.
[...]
Se prendessimo sul serio i Dieci Comandamenti, dovremmo
classificare la venerazione del dio sbagliato come il peccato
più grave in assoluto, seguito dal produrre raffigurazioni di
Dio4. Anziché condannare il vandalismo agghiacciante dei Ta-
4 Nota del traduttore: sebbene questo sia il secondo comandamento
secondo la Bibbia (Esodo 20:2-17), in Italia esso non viene normalmente
67
lebani, che fecero esplodere i Budda Bamiyani alti 150 piedi
nelle montagne dell'Afghanistan, dovremmo lodarli per la
loro religiosità. Quello che consideriamo vandalismo è stato
certamente motivato da sincero zelo religioso. Questo è dimo-
strato in modo lampante da una storia davvero bizzarra [....]
Non credo che ci sia un ateo al mondo che raderebbe al suo-
lo la Mecca. [...] Come disse il premio Nobel per la fisica Ste-
ven Weinberg, “La religione è un insulto alla dignità umana.
Con o senza di essa, avremmo persone buone che fanno buone
azioni e persone malvagie che fanno azioni malvagie. Ma per
far fare cose malvagie a persone buone, occorre la religione.”
[...]
Il mio scopo principale qui è stato dimostrare che non do-
vremmo derivare la nostra morale dalle Scritture (sebbene sia
solo la mia opinione). Un altro mio scopo è stato dimostrare
che noi (compresi molti religiosi) di fatto non deriviamo la no-
stra morale dalle Scritture. Se lo facessimo, osserveremmo ri-
gorosamente il sabato e riterremmo giusto lapidare chiun-
que non lo faccia. Uccideremmo con la lapidazione ogni
donna che non potesse dimostrare di essere vergine, se il
marito si dimostrasse insoddisfatto di lei. Giustizieremmo i
figli disobbedienti.
Ma un momento. Forse sono stato ingiusto. I cristiani avran-
no protestato per tutta la durata di questa sezione: tutti sanno
che il Vecchio Testamento è molto sgradevole. Ma il Nuovo
Testamento di Gesù ripara i danni ed aggiusta tutto. O no?

LA MORALITÀ DEL NUOVO TESTAMENTO


(da “L'Illusione di Dio”, Richard Dawkins)

Beh, non si può negare che, da un punto di vista morale,


Gesù sia un enorme miglioramento rispetto al crudele orco del
Vecchio Testamento. In verità Gesù, se è esistito (o chiunque
insegnato, in quanto è stato abolito dalla Chiesa Cattolica (il buco
restante è stato riempito con “non desiderare la donna d'altri” che nella
Bibbia faceva parte del decimo comandamento).
68
abbia scritto le sue parole se non è esistito) fu sicuramente uno
dei più grandi innovatori della storia. Il Sermone sulla Monta-
gna era molto in anticipo rispetto al suo tempo. Il suo “porgi
l'altra guancia” anticipò Gandhi e Martin Luther King di due-
mila anni. Non per nulla ho scritto un articolo chiamato “Atei
per Gesù” [..].
Ma il punto è esattamente questo: la superiorità morale di
Gesù. Egli non si accontentò di derivare la sua etica dalle Scrit-
ture con cui era stato cresciuto. Si allontanò esplicitamente da
esse, per esempio quando sgonfiò le severe diffide dall'infran-
gere la sacralità del sabato. Ciò fu generalizzato nel proverbio
“Il sabato è fatto per l'uomo, non l'uomo per il sabato”. Poiché
la tesi principale del capitolo è che noi non deriviamo (e non
dovremmo derivare) la nostra morale dalle Scritture, Gesù
deve essere onorato come un modello perfetto della tesi.
I valori familiari di Gesù, bisogna ammetterlo, non erano tali
da rendere piacevole parlarne. Era sgarbato fino alla brutalità
con la madre, ed incoraggiava i discepoli ad abbandonare le
famiglie per seguirlo. 'Se si presenta da me un uomo che non
odia suo padre, sua madre, sua moglie, i suoi figli, i fratelli,
le sorelle, e la sua stessa vita, non può essere mio discepolo'.
La cabarettista Julia Sweeney espresse il proprio stupore nel
suo show personale, Letting Go of God [vai a pagina 185 se vuoi
leggerlo subito]: "Non è proprio questo che fanno i culti? Ti
fanno rifiutare la tua famiglia per plagiarti?"
Tralasciando i suoi valori familiari un po' scavezzacollo, gli
insegnamenti etici di Gesù erano ammirevoli ― almeno in
confronto al disastro etico che è il Vecchio Testamento. Ma ci
sono alcuni precetti nel Nuovo Testamento che nessuna perso-
na buona dovrebbe supportare. Mi riferisco principalmente
alla dottrina centrale del Cristianesimo: l' “espiazione” per il
“peccato originale”. Questo insegnamento, che si trova al cuo-
re della Teologia del Nuovo Testamento, è moralmente repel-
lente quasi quanto la storia di Abramo che si prepara a cucina-
re Isacco, storia a cui tra l'altro assomiglia ― e non è una coin-
cidenza, come chiarisce Gaza Vernes in The Changing Faces of
Jesus. Lo stesso peccato originale proviene direttamente dal
69
mito di Adamo ed Eva nel Vecchio Testamento. Il loro peccato
― mangiare il frutto di un albero proibito ― sembra così de-
bole da meritare un semplice rimprovero. Ma la natura sim-
bolica del frutto (la conoscenza del bene e del male, che in
pratica si rivelò essere la conoscenza che loro stessi erano
nudi) fu sufficiente a trasformare la loro marachella nella “ma-
dre di tutti i peccati”. Essi assieme a tutti i loro discendenti
vennero per sempre banditi dal Giardino dell'Eden, privati del
dono della vita eterna, e condannati a generazioni di doloroso
lavoro, rispettivamente nei campi e nel parto.
Finora, è vendicativo il Dio del Vecchio Testamento. Ma la
teologia del Nuovo Testamento aggiunge una nuova ingiusti-
zia e, come se ciò non bastasse, un nuovo sadomasochismo la
cui perversione è superata solo di poco dal Vecchio Testamen-
to. Se ci pensate, è notevole che una religione adotti come sim-
bolo sacro uno strumento di tortura e di esecuzione, spesso in-
dossandolo attorno al collo. Lenny Bruce ha giustamente nota-
to che “se Gesù fosse stato ucciso venti anni fa, i ragazzi nelle
scuole cattoliche indosserebbero piccole sedie elettriche attor-
no al collo”. Ma la teologia, e la teoria della punizione che c'è
dietro, è molto peggiore. Si presume che il peccato di Adamo
ed Eva si sia trasmesso lungo la linea maschile ― trasmesso
nel seme, secondo S. Agostino. Che razza di filosofia etica è
quella che condanna ogni bambino, anche prima che sia
nato, ad ereditare il peccato di un suo lontano antenato? S.
Agostino, tra l'altro, che correttamente riteneva di essere una
specie di autorità nel campo del peccato, è colui che coniò la
frase “peccato originale”. Prima di lui era noto come “peccato
ancestrale”. I pronunciamenti e i dibattiti di Agostino sono
emblematici, per me, della malsana preoccupazione dei primi
teologi cristiani verso il peccato. Avrebbero potuto dedicare le
loro pagine e sermoni ad esaltare il cielo pieno di stelle [...].
Ma l'attenzione cristiana è prepotentemente sul peccato pecca-
to peccato peccato peccato peccato. Che orribile misera preoc-
cupazione per farsi dominare da essa per tutta la vita. Sam
Harris muove una critica magnifica nel suo Lettera ad una Na-
zione Cristiana: 'La vostra principale preoccupazione sembra
70
essere che il Creatore dell'universo si offenda per qualcosa che
la gente fa quando è nuda. Questa vostra ossessione contribui-
sce giornalmente all'eccesso di miseria umana'.
Ma veniamo ora al sadomasochismo. Dio si incarnò in un
uomo, Gesù, affinché questi fosse torturato e giustiziato come
espiazione del peccato ereditario di Adamo. Sin da quando
Paolo articolò questa repellente dottrina, Gesù è stato venera-
to come il redentore dei nostri peccati. Non solo del peccato
passato di Adamo: anche dei peccati futuri, indipendente-
mente dal fatto che le persone decidessero di commetterli op-
pure no!
Tra parentesi, molte persone, come Robert Graves nel ro-
manzo epico King Jesus, hanno notato che il povero Giuda
Iscariota è stato trattato ingiustamente dalla Storia, dato che il
suo 'tradimento' era una parte necessaria del piano cosmico.
Lo stesso si potrebbe dire dei presunti carnefici di Gesù. Se
Gesù voleva essere tradito e poi assassinato, al fine di poter-
ci redimere tutti, non è piuttosto ingiusto che quelli che si
considerano redenti se la prendano con Giuda e con gli ebrei
nell'arco dei secoli? Ho già menzionato la lunga lista dei van-
geli non-canonici. Recentemente è stato tradotto un manoscrit-
to che afferma di essere il vangelo perduto di Giuda, ed ha ri-
cevuto di conseguenza della pubblicità. [..] Si discute sulle cir-
costanze della sua scoperta, ma sembra sia apparso in Egitto a
un certo punto negli anni 70 o 80. [..] Chiunque fosse l'autore,
il Vangelo è visto dal punto di vista di Giuda Iscariota ed af-
ferma che Giuda tradì Gesù solo perché Gesù glielo chiese.
Era tutto parte del piano, crocifiggere Gesù in modo che po-
tesse redimere l'umanità. Repellente che sia questa dottrina,
sembra implicare che Giuda è stato vituperato sin da allora.
Ho descritto l'espiazione, la dottrina centrale della Cristiani-
tà, come perversa, sadomasochistica e repellente. Dovremmo
anche liquidarla come una completa follia, se non fosse per la
sua onnipresente familiarità che ha annebbiato la nostra obiet-
tività. Se Dio voleva perdonare i nostri peccati, perché non
perdonarli e basta, senza far torturare e giustiziare sé stesso
in pagamento? (condannando così, tra l'altro, remote genera-
71
zioni future di ebrei a persecuzioni come 'carnefici di Cristo':
forse anche quel peccato originale si è tramandato di seme in
seme?)
Paolo, come chiarisce lo studioso ebreo Geza Vermes, era
immerso fino al collo nel vecchio principio teologico ebraico
che senza sangue non c'è espiazione. [..] In verità, nella sua
Epistola agli Ebrei (9:22) lo affermò lui stesso. Gli eticisti mo-
derni trovano difficile difendere qualunque tipo di teoria retri-
butiva della pena, figuriamoci la teoria del capro espiatorio
― giustiziare un innocente come pagamento per i peccati del
colpevole.
Ma in ogni caso (uno non può evitare di chiederselo), chi è
che Dio stava cercando di impressionare? Presumibilmente
sé stesso ― giudice e giuria oltre che vittima dell'esecuzione.
E come se non bastasse, Adamo, il presunto perpetratore del
peccato originale, non è neppure mai esistito in realtà ― è
perdonabile a Paolo il fatto che non lo sapesse, ma presumibil-
mente doveva essere noto ad un Dio onnisciente (ed anche a
Gesù, se credete che fosse Dio) ― e questo fatto curioso mina
alle fondamenta le premesse dell'intera contorta e repellente
teoria.
Oh, ma naturalmente la storia di Adamo ed Eva è soltanto
simbolica, non è vero? Simbolica? Quindi, al solo scopo di
impressionare sé stesso, Gesù si è fatto torturare ed ammaz-
zare, come pagamento per un peccato simbolico commesso
da un individuo che non è mai esistito? Come ho detto, è fol-
lia pura, oltre che sgradevolmente perversa.
Prima di terminare il discorso sulla Bibbia, devo richiamare
l'attenzione su un aspetto particolarmente sgradevole dei suoi
precetti etici. I cristiani comprendono solo di rado che gran
parte della considerazione morale verso gli altri, apparente-
mente promossa dal Vecchio e dal Nuovo Testamento, in
realtà doveva essere applicata soltanto ad un gruppo di per-
sone ristretto. “Ama il tuo prossimo” non significava ciò che
noi oggi pensiamo significhi. Significava soltanto “ama un
altro ebreo”. Questo punto è argomentato in maniera deva-

72
stante da John Hartung, fisico ed antropologo evoluzionista
americano. Egli ha scritto un notevole trattato sull'evoluzione
e sulla storia biblica della moralità diretta a un gruppo ristret-
to, ponendo l'accento, tra l'altro, sul rovescio della medaglia
― l'ostilità verso chi è fuori dal gruppo.5

AMA IL PROSSIMO TUO


(da “L'Illusione di Dio”, Richard Dawkins)

Lo humour nero di John Hartung è evidente sin dall'inizio


della sua pubblicazione6, in cui racconta dell'iniziativa di un
Battista del Sud di contare il numero di cittadini dell'Alabama
che sono all'inferno. Come riportato dal New York Times e dal
Newsday, il totale finale, 1.86 milioni, fu stimato utilizzando
una formula di pesatura segreta secondo cui i metodisti hanno
più probabilità di essere salvati rispetto ai cattolici romani,
mentre “virtualmente chiunque non appartenga a una congre-
gazione ecclesiastica fu contato tra i perduti”. La boria incredi-
bile di queste persone si riflette oggi nei vari siti web
"rapture"7, dove l'autore dà sempre completamente per sconta-
to che lui sarà tra quelli che “scompariranno” in paradiso
quando l' "ora finale" arriverà. Ecco un esempio tipico, dall'au-
tore di "rapture ready" [pronto per il rapimento], uno degli
esemplari più odiosamente santimoniosi della specie: “Se il
“rapimento” dovesse aver luogo, risultando nella mia assen-
za, diventerà necessario che i Santi della Tribolazione facciano
da mirror a questo sito oppure lo supportino finanziariamen-
te”. (Potreste ora domandarvi cosa siano i "Santi della Tribola-
zione", ma credetemi: avete di meglio da fare che indagare su
ciò.)
L'interpretazione della Bibbia fatta da Hartung suggerisce
5 Disponibile in inglese all'indirizzo
http://www.lrainc.com/swtaboo/taboos/ltn01.html
6 Dawkins sta parlando della pubblicazione dello studioso Hartung
disponibile (in inglese) all'indirizzo
http://www.lrainc.com/swtaboo/taboos/ltn01.html
7 Rapimento del fedele da parte di Dio, per portare il fedele in Paradiso.
73
che essa non offre ai cristiani alcuna base per una simile com-
piacenza snobistica. Gesù restringeva il gruppo di persone
che saranno salvate ai soli ebrei, rispetto ai quali egli stava
seguendo la tradizione del vecchio testamento, che è tutto ciò
che conosceva.
Hartung mostra chiaramente che l'imperativo "non uccidere"
non significò mai ciò che noi ora pensiamo che significhi. Si-
gnificava, molto specificamente, "non devi uccidere gli ebrei".
E tutti quei comandamenti che si riferiscono al "tuo prossimo"
sono ugualmente esclusivi. "Prossimo" significava il tuo vicino
ebreo. Mosé Maimonides, il rispettatissimo fisico e rabbino
del dodicesimo secolo, spiega l'intero significato di "non ucci-
dere" come segue: "se uno uccide un solo israelita, trasgredisce
un comandamento negativo, perché la scrittura dice che tu
non devi assassinare. Se uno uccide di proposito alla presenza
di testimoni, verrà messo a morte mediante la spada. Inutile
dirlo, uno non viene messo a morte se uccide un pagano
[heathen]". Inutile dirlo!
Hartung cita il Sanhedrin (la Corte Suprema Ebraica, capeg-
giata da un alto sacerdote) che ha un simile atteggiamento,
cioè esonera un uomo ipotetico che uccida un israelita per
sbaglio, quando in realtà intendeva uccidere un animale o
un pagano. Questo simpatico precetto morale solleva una bel
dilemma. Che succede se costui lancia una pietra in un grup-
po di nove pagani e un israelita, ed ha la sfortuna di uccidere
l'israelita? Hm, difficile! Ma la risposta arriva subito: "Allora
la sua non colpevolezza può essere dedotta dal fatto che la
maggioranza di essi erano pagani".
Hartung utilizza molte delle stesse citazioni bibliche che io
ho usato in questo capitolo, sulla conquista della terra promes-
sa da parte di Mosé, Giosuè e i Giudici. Io sono stato attento a
concedere che le persone religiose non pensano più in modo
biblico. Per me, questo dimostra che la nostra morale, non im-
porta se siamo religiosi o no, deriva da un'altra fonte; e che
quella fonte, qualunque essa sia, è disponibile a tutti noi, indi-
pendentemente dalla religione o mancanza di essa.

74
INSEGNARE AI BAMBINI IL GENOCIDIO

Ma Hartung racconta un raccapricciante studio dello psico-


logo israeliano George Tamarin. Tamarin presentò a più di
1000 studenti israeliani, tra gli 8 e i 14 anni, il racconto della
battaglia di Gerico che si trova nel libro di Giosuè:
Giosuè disse alle persone "gridate, perché il Signore vi
ha dato la città. E la città, e tutto ciò che è dentro la città,
sarà offerta a Dio per la distruzione... ma tutto l'oro e
l'argento, e gli oggetti di bronzo e ferro, sono sacri al Si-
gnore; essi andranno nella cassaforte del Signore"... Poi
essi distrussero completamente tutto quello che era nella
città, sia uomini che donne, giovani e vecchi, bufali,
pecore, asini, trapassandoli con il filo della spada... e
bruciarono la città con il fuoco, e tutto ciò che era den-
tro di essa; solo l'argento e l'oro, e gli oggetti di bronzo
e di ferro, misero nella cassaforte del Signore.
A questo punto Tamarin pose ai bambini una semplice do-
manda morale: "Credete che Giosuè e gli israeliti abbiano
agito rettamente o no?". Essi dovevano scegliere tra A (appro-
vazione totale), B (approvazione parziale) e C (disapprovazio-
ne totale). I risultati furono polarizzati: il 66% diede approva-
zione totale e il 26% disapprovazione totale, e molti pochi
(l'8%) un'approvazione parziale. Ecco le risposte tipiche del
gruppo dell'approvazione totale (A):
• A mio parere Giosuè e i figli di Israele hanno agito
bene, ed ecco la ragione: Dio aveva promesso loro
questa terra, e aveva dato loro il permesso di conqui-
stare. Se non avessero agito in questo modo o non
avessero ucciso nessuno, allora ci sarebbe stato il pe-
ricolo che i figli d'Israele fossero assimilati tra i Goy-
im.
• A mio parere Giosuè aveva ragione quando fece que-
sto, perché Dio gli aveva comandato di sterminare le
persone così che le tribù di Israele non potessero esse-
re assimilate tra di loro ed apprendere le loro usanze

75
sbagliate.
• Giosuè fece bene perché le persone che abitavano
quella terra erano di una religione diversa, e quando
Giosuè le uccise cancellò quella religione dalla fac-
cia della terra.
La giustificazione del genocidio di Giosuè è in tutti i casi
religiosa. Perfino quelli della categoria C, che diedero disap-
provazione totale, la diedero, in alcuni casi, per ragioni reli-
giose rovesciate. Ad esempio una bambina disapprovò l'atto
di Giosuè di conquistare Gerico perché, per poterlo fare, ci
dovette entrare dentro:
Credo che sia sbagliato, perché gli arabi sono impuri, e
se uno entra in una terra impura diventerà impuro an-
che lui e dividerà con loro la dannazione.
Altre due che diedero disapprovazione totale lo fecero per-
ché Giosuè distrusse tutto, compresi gli animali e la proprietà,
invece di conservare qualcosa per darlo agli israeliti:
• "Credo che Giosuè non abbia agito bene, perché avreb-
be potuto risparmiare gli animali per farli usarli alla
sua gente."
• "Credo che Giosuè non agì bene, perché avrebbe potu-
to lasciare intatte le proprietà di Gerico; se non avesse
distrutto le proprietà, sarebbero appartenute agli
israeliti."
Ancora una volta il saggio Maimonides, spesso citato per la
sua saggezza di studioso, non ha alcun dubbio sulla sua posi-
zione nella questione:
Distruggere le sette nazioni è un comandamento positi-
vo, poiché viene detto: "Tu le devi distruggere completa-
mente". Se uno non mette a morte chiunque di essi in-
contri sulla sua strada, costui trasgredisce un comanda-
mento negativo, poiché viene detto: "Tu non lascerai
vivo niente che respiri."
Diversamente da Maimonides, i bambini nell'esperimento di
Tamarin erano abbastanza giovani da essere innocenti. Presu-
76
mibilmente i punti di vista selvaggi che esprimevano erano
quelli dei loro genitori, o dei gruppi culturali in cui erano stati
cresciuti. Suppongo che non sia improbabile che i bambini pa-
lestinesi, cresciuti nello stesso paese devastato dalla guerra, of-
frirebbero delle opinioni equivalenti nella direzione opposta.
Queste considerazioni mi riempiono di disperazione. Sembra-
no mostrare l'immenso potere della religione (e specialmen-
te del crescere i bambini con un'educazione religiosa) di di-
videre le persone e propagare inimicizie storiche e vendette
ereditarie. Non posso non notare che due delle tre citazioni
rappresentative del gruppo A parlavano dei mali dell'assimi-
lazione, mentre la terza accentuava l'importanza di uccidere
le persone al fine di cancellare la loro religione.
Tamarin, nel suo esperimento, coinvolse anche un affasci-
nante “gruppo di verifica”. Ad un gruppo diverso di 168
bambini israeliani fu presentato lo stesso testo del libro di
Giosuè, ma con il nome di Giosuè sostituito da "Generale
Lin", e "Israele" sostituito con "un regno cinese 3000 anni fa".
Adesso l'esperimento diede risultati opposti. Solo il 7%
approvò il comportamento del generale Lin, e il 75% disap-
provò. In altre parole, quando la loro lealtà al giudaismo ve-
niva rimossa dal ragionamento, la maggioranza dei bambini
si trovava d'accordo con i giudizi morali dati dalla maggior
parte degli esseri umani moderni. Le azioni di Giosuè furono
una barbarica opera di genocidio. Ma tutto sembra diverso
dal punto di vista religioso. E la differenza comincia presto
nella vita. Per quei bambini, fu la religione a fare la diffe-
renza tra condannare un genocidio e giustificarlo.
Hartung, nella seconda metà della sua pubblicazione, passa
a parlare del nuovo testamento. Per riassumere brevemente la
sua tesi, Gesù osservava la stessa moralità ristretta soltanto
al proprio gruppo ― unita all'ostilità verso chi è fuori dal
gruppo ― che veniva data per scontato nel vecchio testa-
mento. Gesù era un ebreo leale. Fu Paolo che inventò l'idea di
portare ai Gentili il Dio degli ebrei. Hartung è più brusco di
quanto io abbia il coraggio di fare: "Gesù si sarebbe rivoltato
nella tomba se avesse saputo che Paolo avrebbe portato il suo
77
piano ai porci".
Hartung si concede un po' di divertimento con il libro del-
l'Apocalisse, che certamente è uno dei libri più bislacchi della
Bibbia. Si suppone che sia stato scritto da San Giovanni, e, per
usare le parole di "Ken's Guide to the Bible", se le sue epistole si
possono considerare come Giovanni sotto l'effetto di uno spi-
nello, allora l'Apocalisse è Giovanni sotto l'effetto dell'acido.
Hartung attira la nostra attenzione sui due versi dell'Apocalis-
se dove il numero di persone "sigillate" (che secondo alcune
sette, come i testimoni di Geova, significa "salvati") è limitato a
144.000. La tesi di Hartung è che dovevano essere tutti ebrei:
12.000 da ciascuna delle 12 tribù. Ken Smith si spinge oltre, fa-
cendo notare che i 144.000 eletti "non si sporcavano con le
donne", il che presumibilmente significa che nessuno di essi
può essere donna. Beh, è il tipo di cosa che oramai abbiamo im-
parato ad aspettarci.
C'è molto di più nella pubblicazione di Hartung. La racco-
manderò una volta di più, e la riassumerò in una citazione:
La Bibbia è un piano meticoloso per una moralità ristret-
ta ad un gruppo specifico, completa di istruzioni per il
genocidio, schiavizzazione degli altri gruppi, e domina-
zione del mondo. Ma la Bibbia non è malvagia a causa
dei suoi obiettivi, o persino per la sua glorificazione
dell'omicidio, della crudeltà e dello stupro. Molte altre
opere antiche fanno questo ― l'Iliade, le saghe islan-
desi, i racconti degli antichi siriani e le iscrizioni degli
antichi Maya, per esempio. Ma non c'è nessuno che
spacci l'Iliade come fondamento della moralità. È qui
il problema. La Bibbia viene venduta, e comprata,
come una guida per insegnare alle persone come vive-
re la loro vita. Ed è, di gran lunga, il più grande best-sel-
ler di tutti tempi.
Perché non si pensi che l'atto del giudaismo tradizionale di
escludere gli altri gruppi sia unico tra le religioni, guardate il
seguente fiducioso verso tratto da un inno di Isaac Watts
(1674-1748):

78
Signore, ascrivo alla tua grazia,
e non al caso, come fanno altri,
il fatto che nacqui di razza cristiana
e non pagano o ebreo.
Quello che mi sconcerta di questo verso non è l'esclusività di
per sé, ma la logica. Visto che molti sono nati in religioni di-
verse dal cristianesimo, come fece Dio a decidere quali di
queste persone future dovessero avere il privilegio di nasce-
re cristiani? Perché favorire Isaac Watts [..]? In ogni caso, pri-
ma che Isaac Watts fosse concepito, qual era la natura di
questa entità che veniva prescelta? Queste sono acque pro-
fonde, ma forse non troppo profonde per una mente tendente
alla teologia. L'inno di Isaac Watts ricorda tre preghiere gior-
naliere che vengono insegnate agli ebrei ortodossi e conserva-
tori (ma non a quelli riformati):
"Benedetto tu sia per non avermi fatto nascere Gentile.
Benedetto tu sia per non avermi fatto nascere donna.
Benedetto tu sia per non avermi fatto nascere schiavo."
La religione è indubbiamente una forza che divide, e que-
sta è una delle accuse fondamentali che si assestano contro di
essa. Ma si dice frequentemente e giustamente che le guerre,
e le rappresaglie tra i gruppi e le sette religiose, sono rara-
mente davvero dovute a disaccordi teologici. Quando un pa-
ramilitare Ulster Protestante uccide un cattolico, non sta ri-
muginando tra sé "Prendi questo, bastardo transustanziazio-
nista, adoratore di Maria, che puzzi di incenso!". È molto più
probabile che stia vendicando la morte di un altro protestan-
te ucciso da un altro cattolico, forse nel corso di una vendetta
transgenerazionale che va avanti. La religione è una etichetta
che permette l'ostilità e la vendetta tra un gruppo interno e
un gruppo esterno, non necessariamente peggiore di altre eti-
chette come il colore della pelle, la lingua, o la squadra di foot-
ball preferita, ma è un'etichetta che è spesso disponibile
quando altre non lo sono. Ma sì, sì, naturalmente i problemi
nell'Irlanda del Nord sono politici. C'è stata davvero un'op-
79
pressione economica e politica di un gruppo su un altro, e lun-
ga secoli. Ci sono davvero genuine ingiustizie, e queste sem-
brano avere poco a che fare con la religione; tranne che ― e
questo è tanto importante quanto regolarmente trascurato ―
senza la religione non ci sarebbero etichette per decidere chi
opprimere e chi vendicare. E il vero problema nell'Irlanda
del Nord è che queste etichette vengono ereditate di genera-
zione in generazione. I cattolici, i cui genitori, nonni e bi-
snonni andavano alle scuole cattoliche, mandano i loro figli
alle scuole cattoliche. I protestanti, i cui genitori, nonni e bi-
snonni andavano alle scuole protestanti, mandano i loro figli
alle scuole protestanti. Questi due insiemi di persone hanno
lo stesso colore della pelle, parlano la stessa lingua, amano
le stesse cose, eppure è come se appartenessero a due specie
diverse, tale è la divisione storica tra di loro. E senza la reli-
gione, e l'educazione segregata religiosamente, la divisione
semplicemente non ci sarebbe. Dal Kosovo alla Palestina,
dall'Iraq al Sudan, da Ulster al subcontinente indiano, osserva-
te attentamente qualunque regione del mondo dove trovate
ostilità intrattabili e violenza tra gruppi rivali. Non posso ga-
rantirvi che troverete la religione come etichetta dominante
per distinguere il gruppo interno dal gruppo esterno. Ma è
una scommessa molto buona da fare.
In India, al tempo della "Partition", furono massacrate più
di un milione di persone in rivolte religiose tra gli indù e mu-
sulmani (e 15 milioni furono allontanati dalla loro casa). Non
c'era alcun elemento distintivo eccetto quello religioso, per
etichettare chi uccidere. In ultima analisi, non c'era niente
che li dividesse tranne la religione. Salman Rushdie fu spin-
to, da una più recente ripresa di massacri religiosi in India, a
scrivere un articolo intitolato "La religione, come sempre, è il
veleno nel sangue dell'India". Ecco il paragrafo conclusivo:
Cosa c'è da rispettare in tutto questo, o in uno qualun-
que dei crimini che ora vengono commessi quasi quoti-
dianamente in tutto il mondo in nome della religione?
Quanto bene, e con che risultato fatale, la religione erige
dei totem, e quanto noi siamo bendisposti ad uccidere
80
per essi! E quando l'abbiamo fatto abbastanza spesso, la
diminuzione nell'impatto emotivo che ne risulta rende
più facile farlo di nuovo.
Così il problema dell'India finisce per essere il problema
del mondo. Ciò che è successo in India è successo nel
nome di Dio.
Il nome del problema è Dio.
Io non nego che le forti tendenze dell'umanità verso la
lealtà al proprio gruppo interno e l'ostilità ai gruppi esterni
esisterebbero anche in assenza di religione. I tifosi delle
squadre di football rivali sono un esempio in miniatura di
questo fenomeno. Anche i tifosi di football a volte si dividono
lungo linee religiose, come nel caso dei Ranger di Glasgow e i
Celtic di Glasgow. Altri importanti elementi di divisione pos-
sono essere la lingua (come in Belgio), la razza e la tribù (spe-
cialmente in Africa). Ma la religione amplifica ed inasprisce
il danno in almeno tre modi:
1. Etichettatura dei bambini. I bambini vengono de-
scritti come "bambini cattolici", " bambini protestan-
ti" ecc, sin da un'età giovanissima, e certamente trop-
po giovane perché abbiano sviluppato un'opinione
sulla religione (ritorno su questo abuso di bambini
nel capitolo 9).
2. Scuole segregate. I bambini vengono educati, di
nuovo sin dalla giovanissima età, assieme a membri
del loro stesso gruppo religioso e separatamente dai
bambini le cui famiglie aderiscono ad altre religioni.
Non è esagerato affermare che i guai dell'Irlanda
del Nord scomparirebbero in una generazione se
fossero abolite le scuole segregate.
3. I tabù contro il matrimonio "misto". Questo propa-
ga all'infinito le vendette ereditarie impedendo la
commistione tra gruppi nemici. Il matrimonio incro-
ciato, se fosse permesso, tenderebbe naturalmente a
smorzare le ostilità.

81
[.....]
Anche se la religione non facesse altro danno in sé e per sé,
la sua divisività ostinata e attentamente alimentata ― il suo
deliberato e coltivato incoraggiamento alla naturale tendenza
umana di favorire il gruppo interno e ad evitare ciò che è
esterno ― sarebbe sufficiente a renderla una forza significati-
va del male nel mondo.

LE DIMOSTRAZIONI DELL'ESISTENZA DI DIO. S.


TOMMASO D'AQUINO
(da “L'Illusione di Dio”, Richard Dawkins)

Le cinque "dimostrazioni" fatte da Tommaso d'Aquino nel


tredicesimo secolo non provano nulla, e si possono facilmente
― sebbene io esiti a dirlo data la sua eminenza ― liquidare
come sbagliate. Le prime tre sono solo modi diversi di dire la
stessa cosa, e si possono considerare insieme. Hanno tutte al
loro centro un regresso infinito ― la risposta ad una doman-
da solleva una domanda precedente e così via all'infinito.
1. Il motore non mosso. Niente si muove senza un moto-
re precedente. Questo ci porta ad un regresso, da cui
l'unica via di fuga è Dio. Qualcosa deve aver dato la
prima mossa, e questo qualcosa lo chiamiamo Dio.
2. La causa non causata. Niente è causato da se stesso.
Ogni effetto ha una causa precedente, ed ancora una
volta veniamo spinti all'indietro in un regresso. Que-
sto regresso deve essere terminato da una "causa pri-
ma", che chiamiamo Dio.
3. L'argomento cosmologico. Ci deve essere stato un tem-
po in cui non esisteva alcuna cosa fisica. Ma, poiché
le cose fisiche esistono adesso, ci deve essere stato
qualcosa di non fisico che le ha portate ad esistere, e
questo qualcosa noi chiamiamo Dio.
Tutti e tre questi argomenti si affidano all'idea di "regressio-
ne" ed invocano Dio per terminarla. Fanno l'assunzione asso-
82
lutamente illecita che Dio stesso sia immune alla regressione.
Anche se ci concediamo il lusso discutibile di postulare arbi-
trariamente un terminatore ad un regresso infinito e di dargli
un nome, semplicemente perché ce ne occorre uno, non c'è as-
solutamente alcuna ragione per attribuire a questo termina-
tore alcuna delle proprietà che normalmente vengono attri-
buite a Dio: l'onnipotenza, l'onniscienza, la bontà, la creati-
vità della progettazione, per tacere di attributi umani come
l'ascoltare le preghiere, il perdonare i peccati, il leggere i
pensieri più intimi. (Tra parentesi, non è sfuggito ai logici che
l'onniscienza e l'onnipotenza sono mutuamente incompati-
bili. Se Dio è onnisciente, deve già sapere come egli stesso in-
terverrà per cambiare il corso della storia usando la sua onni-
potenza. Ma questo significa che non può cambiare idea sul
suo intervento, e quindi non è onnipotente. )
[...]
Per tornare al regresso infinito ed alla futilità di invocare Dio
per terminarlo, è molto più economico postulare, ad esempio,
una "grande singolarità Big Bang", o qualche altro concetto fi-
sico finora ignoto. Chiamarlo Dio è nel caso migliore inutile e
nel caso peggiore perniciosamente fuorviante. La “Ricetta
Nonsense per Cotolette Sbriciolose” di Edward Lear ci invita a
"procurarci delle fettine di bistecca, tagliarle nei pezzi più pic-
coli possibile, poi tagliarle ancora più piccole, otto o forse
nove volte". Alcuni regressi raggiungono sicuramente un ter-
minatore naturale. Gli scienziati si chiedevano che cosa succe-
derebbe se tu dividessi, ad esempio, l'oro nei pezzi più piccoli
possibile. Perché non dovresti tagliare a metà uno di questi
pezzi e produrre un pezzetto d'oro ancora più piccolo? Il re-
gresso in questo caso è terminato decisamente dall'atomo. Il
pezzo d'oro più piccolo possibile è un nucleo che consiste di
esattamente 79 protoni ed un numero di neutroni leggermente
superiore, accompagnato da 79 elettroni. Se "tagli" l'oro oltre il
livello del singolo atomo, ciò che ottieni non è più oro. L'ato-
mo fornisce un terminatore naturale al tipo di regresso delle
Cotolette Sbriciolose. Ma non è affatto chiaro che Dio forni-
sca un terminatore naturale al regresso di Tommaso d'Aqui-
83
no. E questo significa essere gentili, come vedremo in seguito.
Proseguiamo con la lista di d'Aquino.
4. L'argomento del grado. Notiamo che le cose nel mondo
sono diverse. Ci sono dei gradi di, diciamo, bontà o per-
fezione. Ma noi giudichiamo questi gradi solo compa-
randoli ad un massimo. Gli umani possono essere sia
buoni che cattivi, quindi la bontà massima non può ri-
siedere in noi. Quindi ci deve essere qualche altro massi-
mo che definisca gli standard della perfezione, e questo
massimo lo chiamiamo Dio.
E questo sarebbe un ragionamento? Allo stesso modo po-
tremmo dire che le persone puzzano in modo diverso ma
possiamo effettuare una comparazione solo riferendoci ad
un massimo perfetto di puzza concepibile. Quindi ci deve
essere un puzzone supremo ed ineffabile, e questo lo chia-
miamo Dio. Oppure sostituite qualunque dimensione di com-
parazione ed arriverete ad una conclusione ugualmente fatua.
5. L'argomento teleologico, o l'argomento della proget-
tazione. Le cose nel mondo, specialmente le cose viven-
ti, appaiono come se fossero state progettate. Niente di
ciò che conosciamo appare frutto di progettazione a
meno che non sia stato davvero progettato. Quindi deve
esserci stato un progettista, e lo chiamiamo Dio. D'A-
quino usò l'analogia di una freccia che si muove verso
un obiettivo, ma un moderno missile teleguidato sareb-
be stato più adatto il suo scopo.
L'argomento della progettazione è l'unico che sia oggi anco-
ra regolarmente usato, ed alcuni lo considerano come l'argo-
mento definitivo, che pone fine alle discussioni. Il giovane
Darwin ne fu impressionato quando, prima di laurearsi, lo les-
se sul libro "teologia naturale" di William Paley. Sfortunata-
mente per Paley, il Darwin adulto lo fece a pezzi. Probabil-
mente non c'è mai stato un annientamento più devastante di
una credenza popolare per mezzo della ragione, della distru-
zione fatta da Darwin dell'argomento della progettazione.
Grazie a Darwin, non è più vera la frase “niente di ciò che
84
conosciamo sembra progettato a meno che non sia progetta-
to”. L'evoluzione per selezione naturale produce un'eccel-
lente imitazione della progettazione, che arriva ad altezze
prodigiose di complessità e di eleganza. E tra queste vette di
progettazione apparente ci sono i sistemi nervosi che ― tra le
loro molte imprese ― hanno un comportamento per cui perse-
guono degli obiettivi, comportamento che, anche in un piccolo
insetto, somiglia ad un missile teleguidato più di una semplice
freccia che vada sull'obiettivo. Tornerò all'argomento della
progettazione [vedi pagine da 222 a 246].

L'ARGOMENTO ONTOLOGICO PER L'ESISTENZA DI DIO


(da “L'Illusione di Dio”, Richard Dawkins)

Gli argomenti per l'esistenza di Dio cadono in due categorie


principali, quelli a priori e quelli a posteriori. I cinque di San
Tommaso D'Aquino sono argomenti a posteriori, che si basa-
no sull'ispezione del mondo. Il più famoso degli argomenti a
priori, quelli che si basano sulla ragione pura di gente como-
damente seduta in poltrona, è l'argomento ontologico propo-
sto da Sant'Anselmo di Canterbury nel 1078 e riproposto in
forme diverse da numerosi filosofi successivi. Una cosa strana
dell'argomento di Anselmo è che in origine non doveva essere
diretto agli uomini ma a Dio stesso, in forma di preghiera
(penseresti che un'entità capace di ascoltare le preghiere non
abbia bisogno di essere convinta della propria esistenza).
È possibile concepire, disse Anselmo, un essere tale che non
si possa concepire niente di più grande. Anche un ateo può
concepire tale essere superlativo, sebbene l'ateo negherebbe la
sua esistenza nel mondo reale. Però, continua l'argomento, un
essere che non esiste nel mondo reale è, per questo stesso
motivo, imperfetto. Quindi abbiamo una contraddizione e,
voilà, Dio esiste!
Lasciatemi tradurre questo argomento infantile in un lin-
guaggio più appropriato, che è il linguaggio del parco giochi:

85
• Scommettiamo che ti dimostro che Dio esiste?
• Io scommetto di no.
• Bene, allora immagina la cosa più perfetta perfet-
ta perfetta perfettissima possibile.
• Ok, e adesso?
• Ora, è reale questa cosa perfetta perfetta? esiste?
• No, è solo nella mia mente.
• Ma se fosse reale sarebbe ancora più perfetta,
perché una cosa veramente veramente perfetta
dovrebbe essere meglio di una stupida cosa im-
maginaria. Così ho provato che Dio esiste. Tra la
la la la. Tutti gli atei sono dementi.
Non ho scelto a caso la parola "demente". Anselmo stesso
citò il primo verso del quattordicesimo salmo, "Il demente dis-
se nel proprio cuore: Dio non esiste", ed ha ben pensato di
usare il nome "demente" (dal latino insipiens) per il suo ipoteti-
co ateo:
Per questo motivo, anche il demente si convince che nel-
la comprensione esiste qualcosa più grande di qualun-
que altra cosa si possa concepire. Perché, quando gli
dico così, lui lo capisce. È qualunque cosa venga capito
esiste nella comprensione. D'altra parte, ciò che è più
grande di qualunque altra cosa che si possa concepire
non può esistere soltanto nella comprensione. Perché, se
esistesse soltanto nella comprensione, allora potremmo
concepire che esista anche nella realtà, ma allora sarebbe
ancora più grande.
L'idea stessa che si possano ottenere conclusioni importanti
con questi giochetti basati solo sull'uso delle parole mi offende
esteticamente, quindi devo stare attento a non usare a mia vol-
ta la parola “demente”. Bertrand Russell (che non era un de-
mente) disse: “è più facile convincersi che l'argomento ontolo-
gico sia viziato che trovare esattamente quale sia l'errore”.
Russell stesso, da giovane, per qualche tempo ne fu persuaso

86
[...]
[...]
I Greci non riuscivano a falsificare la "dimostrazione" di Ze-
none che Achille non raggiungerà mai la tartaruga. Ma aveva-
no il buon senso di non concludere che allora Achille non
raggiungerà mai la tartaruga. Lo chiamarono invece parados-
so ed aspettarono che generazioni successive di matematici lo
spiegassero (mediante, come ora sappiamo, la teoria delle se-
rie infinite convergenti ad un valore finito). Perché Russell [..]
non fu ugualmente cauto rispetto ad Anselmo?
[..]
Il mio sentimento, al contrario, sarebbe stato un automatico,
profondo sospetto verso un ragionamento che raggiungeva
conclusioni così significative senza avere avuto in input al-
cun dato sul mondo reale.
[...]
Kant localizzò il trucco di Anselmo nell'assunzione scivolosa
che l'esistenza sia più perfetta della non esistenza. Il filosofo
americano Norman Malcolm la mette così: "la dottrina per cui
l'esistenza sarebbe indice di perfezione è notevolmente strana.
Ha senso, ed è corretto, dire che la mia casa futura sarà miglio-
re se sarà isolata dal freddo piuttosto che se non lo sarà; ma
che cosa potrebbe mai significare che sarà una casa migliore
se esisterà piuttosto che se non esisterà?" . Un altro filosofo,
l'australiano Douglas Gasking, è ricorso all'ironia producendo
delle "prove" che Dio non esiste [...]:
• La creazione del mondo è l'azione più meravigliosa
che si possa immaginare.[..]
• Più grande è la menomazione (o l'handicap) del crea-
tore, più impressionante è il risultato finale.
• L'handicap più formidabile in assoluto per un creatore
sarebbe la non esistenza.
• Quindi, se supponiamo che l'universo sia il prodotto
di un creatore esistente, possiamo concepire un essere
ancora più grande ― quello che ha creato tutto senza
87
esistere lui stesso.
• Un dio esistente, quindi, non sarà l'essere più grande
che noi possiamo concepire, perché un dio che non
esiste sarebbe un essere ancora più formidabile e in-
credibile.
• Quindi Dio non esiste.
Inutile dirlo, Gasking non ha provato davvero che Dio non
esiste. Per lo stesso motivo, Anselmo non ha provato che esi-
ste. La differenza è che Gasking cercava di essere spiritoso di
proposito. Come egli aveva ben compreso, l'esistenza o la non
esistenza di Dio è una domanda troppo grande per essere de-
cisa mediante un gioco di prestigio dialettico. E non credo
neppure che il fatto di considerare l'esistenza un indice di per-
fezione sia il punto peggiore dell'argomento. Ho dimenticato i
dettagli ma, una volta, ad un convegno di teologi e filosofi, ho
adattato l'argomento ontologico in modo da provare che i ma-
iali volano. Hanno sentito il bisogno di ricorrere alla logica
modale per dimostrare che mi sbagliavo. [...]

COME LA FEDE MODERATA FAVORISCE IL FANATISMO


(da “L'Illusione di Dio”, Richard Dawkins)

Nell'illustrare il lato oscuro dell'assolutismo, ho menzionato


i cristiani d'America che fanno esplodere le cliniche dove si
pratica l'aborto, e i talebani afghani, la cui lista di crudeltà,
specialmente verso le donne, è per me troppo dolorosa da
elencare. Avrei potuto dilungarmi sull'Iran sotto gli ayatollah,
o l'Arabia Saudita sotto i principi sauditi, dove le donne non
possono guidare, e sono nei guai se escono di casa senza un
parente maschio (che può essere anche, come concessione ge-
nerosa, un bambino piccolo). Leggete "price of honour" di Jan
Goodwin per un'esposizione devastante del modo in cui le
donne sono trattate in Arabia Saudita e in altre democrazie
odierne. Johann Hari, uno dei più attivi editorialisti dell'Inde-
pendent (di Londra) scrisse un articolo il cui titolo parla da
88
solo: "il modo migliore di combattere i jihadisti è suscitare la
ribellione delle donne musulmane".
Oppure, passando al cristianesimo, avrei potuto citare quei
cristiani cosiddetti "rapture" ["rapimento". Queste persone cre-
dono che Cristo tornerà per "rapirli" e portarli in Paradiso] in
America, la cui enorme influenza sulla politica estera america-
na nei confronti del medio oriente è guidata dalla loro creden-
za biblica che Israele abbia un diritto conferito da Dio su tutte
le terre della Palestina. Alcuni cristiani "rapture" si spingono
anche oltre, fino ad auspicare apertamente la guerra nucleare
perché la interpretano come l'Apocalisse che, secondo la loro
bizzarra ma pericolosamente popolare interpretazione del li-
bro dell'Apocalisse, preluderà alla seconda venuta di Cristo.
Non posso migliorare il commento di Sam Harris, che fa veni-
re i brividi, nel suo "lettera a una nazione cristiana":
Quindi non è un'esagerazione dire che se la città di New
York fosse improvvisamente rimpiazzata da una palla di
fuoco, una percentuale significativa della popolazione
americana vedrebbe un meraviglioso presagio nella nu-
vola a forma di fungo, poiché ciò suggerirebbe loro che
sta per accadere la cosa più bella che possa mai accade-
re: il ritorno di Cristo. Dovrebbe essere assolutamente
ovvio che questo tipo di credenze non aiutano a creare
un futuro duraturo per noi stessi ― socialmente, econo-
micamente, ambientalmente o geopoliticamente. Imma-
ginate le conseguenze se ogni componente significati-
va del governo degli Stati Uniti credesse davvero che il
mondo stia per finire e che la sua fine debba essere
gloriosa. Il fatto che quasi la metà della popolazione
americana creda tutto questo, puramente sulla base di
un dogma religioso, dovrebbe essere considerato un'e-
mergenza morale ed intellettuale.
Ci sono quindi delle persone la cui fede religiosa le porta del
tutto fuori del consenso illuminato del mio “Zeitgeist morale”
[vedi pagina 132]. Essi rappresentano ciò che io ho chiamato il
lato oscuro dell'assolutismo religioso, e sono spesso chiamati

89
estremisti. Ma la mia tesi in questa sezione è che anche una re-
ligione mite e moderata aiuta a costruire il clima di fede in cui
l'estremismo prospera naturalmente.
Nel luglio 2005, Londra fu vittima di un attacco suicida
concertato: tre bombe in metropolitana e una in un autobus.
Non grave come l'attacco del 2001 alle torri gemelle, e certa-
mente non così inaspettato (anzi, Londra era stata preparata
proprio a questo tipo di evento sin da quando Blair volonta-
riamente ci costrinse a spalleggiare, contro la nostra volontà,
l'invasione dell'Iraq di Bush), tuttavia le esplosioni di Londra
ricoprirono di orrore la Gran Bretagna. I giornali si riempirono
di valutazioni concorrenti su cosa possa aver spinto quattro
giovani uomini a farsi esplodere e a portare con loro molte
persone innocenti. Gli omicidi erano cittadini britannici,
amanti del cricket, dotati di buone maniere, proprio il tipo di
giovani uomini la cui compagnia è piacevole.
Perché questi giovani amanti del cricket hanno fatto ciò? Di-
versamente dalle loro controparti palestinesi, o dalle loro con-
troparti kamikaze in Giappone, o dalle loro controparti Tamil
Tiger nello Sri Lanka, queste bombe umane non si aspettavano
che le loro famiglie fossero glorificate, accudite, o che riceves-
sero le pensioni riservate ai martiri religiosi. Al contrario, in
alcuni casi i loro parenti furono costretti a nascondersi. Uno di
questi uomini rese volontariamente vedova la moglie incinta e
rese orfano il suo piccolo bambino che stava imparando a
camminare. L'azione di questi quattro uomini è stata una to-
tale sciagura non solo per loro stessi e le loro vittime, ma an-
che per le loro famiglie e per l'intera comunità musulmana
della Gran Bretagna, che adesso si trova a fronteggiare il con-
traccolpo. Solo la fede religiosa è una forza sufficiente a mo-
tivare una follia così completa in persone altrimenti sane e
decenti. Ancora una volta, Sam Harris illustra la cosa con du-
rezza adeguata, facendo l'esempio del leader di al Qaeda, Osa-
ma Bin Laden (che tra parentesi non ha avuto niente a che fare
con il bombardamento di Londra). Perché mai qualcuno do-
vrebbe voler distruggere le torri gemelle e tutto ciò che con-
tengono? Chiamare Bin Laden "malvagio" significa evadere
90
dalla responsabilità di dare una risposta adeguata ad una que-
stione così importante.
La risposta alla domanda è ovvia ― se non altro perché
è stata ripetuta con pazienza, fino alla nausea, da Bin La-
den stesso. La risposta è che persone come Bin Laden
credono davvero ciò che dicono di credere. Credono
nella verità letterale del Corano. Perché mai 19 uomini
ben istruiti della classe media hanno barattato la loro
vita terrena con il privilegio di uccidere migliaia dei no-
stri simili? Perché credevano che sarebbero andati diret-
tamente in paradiso facendo questo. È raro trovare una
spiegazione più completa e soddisfacente di un com-
portamento umano. Perché siamo stati così riluttanti
ad accettare questa spiegazione?
Il rispettato giornalista Muriel Gray, scrivendo per il Gla-
sgow Herald il 24 luglio 2005, sostiene una tesi simile, in que-
sto caso con riferimento al bombardamento di Londra.
Si dà la colpa a tutti, a partire dall'ovvio duo di malfatto-
ri George Bush e Tony Blair, fino ad arrivare all'inerzia
delle "comunità" musulmane. Ma non è stato mai più
chiaro che c'è solo una cosa a cui dare la colpa, ed è sem-
pre stato così. La causa di tutta questa miseria, disastri,
violenza, terrore e ignoranza è naturalmente la religio-
ne stessa, e se sembra superfluo dover dire una cosa così
ovvia, sta di fatto che il governo e i media stanno fingen-
do con caparbietà e successo che non sia così.
I nostri politici occidentali evitano di utilizzare la parola che
comincia con "R" (religione), e invece caratterizzano la loro
battaglia come guerra contro il "terrore", come se il terrore fos-
se una specie di spirito o forza, con una volontà e una mente
propria. Oppure caratterizzano i terroristi come motivati dal
puro "male". Ma non sono motivati dal male. Per quanto noi
possiamo pensare che siano nel torto, essi sono motivati, pro-
prio come i cristiani che uccisero i dottori che praticavano l'a-
borto, da ciò che loro percepiscono come giustizia, perseguen-
do fedelmente ciò che la loro religione dice loro. Non sono de-
91
gli psicotici; sono degli idealisti religiosi che, in base alla
loro logica, sono razionali. Percepiscono i loro atti come buo-
ni, non a causa di qualche perversa idiosincrasia personale, e
non perché sono posseduti da Satana, ma perché sono stati al-
levati, sin dalla culla, per avere una fede totale ed indiscus-
sa. Sam Harris cita le parole di un attentatore palestinese che
non è riuscito a portare a termine il suo obiettivo, che dice che
ciò che lo spinse ad uccidere gli israeliani fu "l'amore del mar-
tirio... io non volevo vendetta per alcunché. Volevo soltanto
essere un martire". Il 19 novembre 2001, il New Yorker riporta-
va un'intervista a Nasra Hassan e un altro attentatore fallito,
un istruito giovane palestinese dell'età di 27 anni noto come
"S". È un pezzo così poeticamente eloquente dell'attrazione del
paradiso, quale è predicato dai leader e dagli insegnanti reli-
giosi moderati, che penso che valga la pena riportarlo per este-
so:
"Qual è l'attrazione del martirio?" io domandai.
"Il potere dello spirito ci eleva verso l'alto, mentre il po-
tere delle cose materiali ci trascina verso il basso", disse
lui. "Chi è votato al martirio diventa immune all'attra-
zione dei beni materiali. Il nostro istruttore ci chiese 'Che
farete se l'operazione fallisce?'. Gli rispondemmo: 'In
ogni caso, riusciremo ad incontrare il profeta e i suoi
compagni, inshallah' ".
"Stavamo galleggiando, nuotando, nel sentimento che
stavamo per entrare nell'eternità. Non avevamo dubbi.
Facemmo un giuramento sul Corano, alla presenza di
Allah ― il giuramento di non esitare. Questo giuramen-
to di jihad si chiama "bayt al-ridwan", nome che deriva
dal giardino del paradiso che è riservato solo ai profeti e
ai martiri. So che ci sono altri modi di fare la jihad. Ma
questo qui è dolce ― il più dolce. Tutte le azioni di mar-
tirio, se fatte per il bene di Allah, fanno meno male di
una puntura di zanzara!"
"S" mi mostrò il video che documentava la pianificazio-
ne finale dell'operazione. Nel video sfocato, vidi lui e al-
92
tri due giovani uomini che intrattenevano un dialogo ri-
tuale con domande e risposte sulla gloria del martirio...
Poi i giovani uomini e l'istruttore si inginocchiarono e
misero la mano destra sul Corano. L'istruttore disse "sie-
te pronti? domani sarete in paradiso"
Se io fossi stato S, sarei stato tentato dal dire all'istruttore
"beh, in questo caso, perché non ci vai tu, mettendo la tua pel-
le in gioco anziché le parole? Perché non fai tu le missioni sui-
cide, prendendo la strada breve verso il paradiso?". Ma ciò che
per noi è così difficile capire è che ― ripeto perché è così im-
portante ― queste persone credono veramente ciò che dico-
no di credere. La morale di tutto ciò è che dovremmo dare la
colpa alla religione stessa, non all'estremismo religioso ―
come se fosse una specie di terribile perversione della religio-
ne vera e decente. Voltaire aveva ragione molto tempo fa: "Co-
loro che possono farti credere delle assurdità possono farti
commettere atrocità". Ed aveva ragione anche Bertrand Rus-
sell: "Molte persone preferirebbero morire piuttosto che pen-
sare. Anzi, per la verità lo fanno."
Finché accettiamo il principio che la fede religiosa debba es-
sere rispettata semplicemente perché è fede religiosa, è diffici-
le non rispettare la fede di Osama Bin Laden e quella dei bom-
baroli suicidi. L'alternativa, così trasparente che non dovrebbe
servire menzionarla, è abbandonare il principio del rispetto
automatico per la fede religiosa. Questo è uno dei motivi per
cui faccio tutto ciò che posso per mettere in guardia le persone
dalla fede stessa, non solo dalla fede cosiddetta "estremista".
Gli insegnamenti della religione "moderata", sebbene non
estremisti di per sé, sono una porta spalancata all'estremismo.
Si potrebbe dire che non c'è niente di speciale nella fede reli-
giosa. Anche l'amore patriottico per la patria, o per il proprio
gruppo etnico, spiana la strada per la sua versione di estremi-
smo, non è vero? Sì, è vero, ed è ciò che è successo con i kami-
kaze in Giappone e i Tamil Tigers in Sri Lanka. Ma la fede reli-
giosa è un silenziatore particolarmente potente del calcolo ra-
zionale, silenziatore che di solito sembra prevalere su ogni al-

93
tra fede. Questo è dovuto, credo, alla sua promessa facile e ac-
cattivante che la morte non sia la fine, e che il paradiso dei
martiri sia particolarmente glorioso. Ma è dovuto anche al fat-
to che la fede religiosa scoraggia l'atto di metterla in discus-
sione, per sua stessa natura.
La cristianità, proprio come l'Islam, insegna ai bambini che
la fede priva di discussione sia una virtù. Non devi produrre
un motivo per ciò che tu credi. Se qualcuno annuncia che
una cosa è parte della sua "fede", il resto della società, non
importa se ha la stessa fede, o un'altra fede, o nessuna fede,
è obbligato, per un'usanza radicata, a "rispettarla" senza di-
scutere; rispettarla fino al giorno in cui si manifesta con un'or-
ribile massacro come la distruzione delle torri gemelle, o i
bombardamenti di Londra o Madrid. E poi tutti fanno a gara a
"prendere le distanze": il clero e i "leader delle comunità" (ma
chi li ha eletti, a proposito?) si fanno in quattro per spiegare
che questo estremismo è una perversione della "vera" fede.
Ma come può esistere una perversione della fede, se la fede,
essendo priva di giustificazione oggettiva, non ha alcuno
standard dimostrabile che si possa pervertire?
Dieci anni fa Ibn Warraq, nel suo eccellente libro "perché
non sono musulmano", sostiene una tesi simile, dal suo punto
di vista di studioso dell'Islam particolarmente sapiente. In ve-
rità, un buon titolo alternativo per il suo libro sarebbe stato "il
mito dell'islam moderato", che è il vero titolo di un articolo
più recente sul London Spectator (30 luglio 2005) da parte di
un altro studioso, Patrick Sookhdeo, direttore dell' "istituto
per lo studio dell'Islam e della cristianità".
La stragrande maggioranza dei musulmani oggi vive la
propria vita senza ricorso alla violenza, perché il Corano
è un miscuglio dove puoi trovare di tutto. Se vuoi la
pace, puoi trovare versi pacifici. Se vuoi la guerra, puoi
trovare versi bellicosi.
Sookdeo prosegue spiegando come gli studiosi dell'Islam,
per potersi barcamenare tra le tante contraddizioni che trova-
rono nel Qur'an, svilupparono il principio dell'abrogazione,

94
secondo il quale i testi scritti dopo abrogano i testi precedenti.
Sfortunatamente, i passaggi pacifici del Qur'an sono quelli più
antichi, risalenti al tempo in cui Maometto si trovava alla Mec-
ca. I versi più belligeranti tendono ad essere più recenti, dopo
la sua fuga a Medina. Il risultato è che
La frase "l'Islam è pace" non è più valida da quasi 1400
anni. È stato vero soltanto per 13 anni circa che l'islam
sia soltanto pace... per gli odierni musulmani radicali ―
proprio come per i turisti medioevali che svilupparono
l'Islam classico ― sarebbe più vero dire che "l'islam è
guerra". Uno dei gruppi islamici più radicali della Gran
Bretagna, al-Ghurabaa, affermò, quando avvennero i
due bombardamenti di Londra, "Ogni musulmano che
neghi che il terrore sia parte dell'Islam è un kafir". Un
kafir è un non credente (cioè un non musulmano), il che
è un insulto terribile.
[...]
Potrebbe darsi che i giovani uomini che si suicidarono
non fossero né ai bordi della società musulmana britan-
nica, né seguissero un'interpretazione eccentrica ed
estremista della loro fede, ma piuttosto che venissero
dallo stesso nucleo della comunità musulmana, e fossero
motivati da un'interpretazione principale [mainstream]
dell'Islam?
Più in generale (e questo si applica all'Islam come alla cri-
stianità) ciò che è veramente pernicioso è la pratica di inse-
gnare ai bambini che la fede stessa sia una virtù. La fede è il
male, precisamente perché non richiede giustificazione e
non ammette argomentazioni contrarie. Insegnare ai bambini
che la fede indiscussa sia una virtù li rende soggetti a trasfor-
marsi in armi potenzialmente letali per future jihad o crociate
(dati certi altri ingredienti che si verificano senza difficoltà).
Immunizzato dalla paura a causa della promessa di un para-
diso dei martiri, l'autentico fedele merita un posto di primo
piano nella storia delle armi, a fianco all'arco, al cavallo, al car-
ro armato e alla bomba cluster. Se si insegnasse ai bambini a
95
mettere in discussione le loro credenze e a sottoporle a una
verifica, invece di insegnare loro la virtù superiore della
fede senza discussione, possiamo scommettere che non ci sa-
rebbero attentatori suicidi. Gli attentatori suicidi fanno ciò
che fanno perché credono davvero ciò che è stato insegnato
loro nelle scuole religiose: che la lealtà verso Dio prevale su
tutte le altre priorità, e che il martirio per Dio sarà premiato
nei giardini del paradiso. E questa lezione fu insegnata loro
non necessariamente da fanatici estremisti, ma da istruttori re-
ligiosi decenti, gentili, "mainstream", che li hanno fatti mettere
in fila nelle loro madrasas, seduti in riga, ad annuire ritmica-
mente con le loro piccole teste innocenti, su e giù, mentre im-
paravano a memoria ogni parola del libro sacro come dei pap-
pagalli dementi. La fede può essere molto molto pericolosa, ed
impiantarla deliberatamente nella mente vulnerabile di un
bambino innocente è un male imperdonabile. È un male ver-
so l'infanzia stessa: è violenza sui bambini da parte della reli-
gione, cosa di cui parleremo nel prossimo capitolo.

INFANZIA, ABUSO E FUGA DALLA RELIGIONE


(da “L'Illusione di Dio”, Richard Dawkins)

Comincio con un aneddoto proveniente dall'Italia del dician-


novesimo secolo. Non voglio implicare che qualcosa di simile
a questa brutta storia possa accadere oggi. Ma gli atteggia-
menti mentali che essa descrive sono tristemente attuali, seb-
bene i dettagli pratici non lo siano. Questa tragedia umana del
diciannovesimo secolo mette in luce ― una luce impietosa ―
l'atteggiamento religioso attuale verso i bambini.
Nel 1858 Edgardo Mortara, un bambino di sei anni nato da
genitori ebrei che vivevano a Bologna, fu legalmente seque-
strato secondo la legge papale sotto l'ordine dell'inquisizione.
Edgardo fu trascinato via forzatamente dalla sua madre in la-
crime e padre distrutto per andare nei catecumeni (luogo per
la conversione di ebrei e musulmani) a Roma, e da quel mo-
mento in poi fu cresciuto come cattolico romano. A parte alcu-
96
ne brevi visite occasionali sotto stretta sorveglianza del clero, i
suoi genitori non lo videro mai più. La storia viene narrata da
David I. Kertzer nel suo ammirevole libro "il rapimento di Ed-
gardo Mortara".
La storia di Edgardo non era affatto inusuale nell'Italia di
quel tempo, e la ragione di questi rapimenti perpetrati dai pre-
ti era sempre la stessa. In ogni caso, il bambino era stato segre-
tamente battezzato in qualche data precedente, di solito da
una nutrice cattolica, e l'inquisizione in seguito era venuta a
conoscenza del battesimo. Una parte centrale del sistema di
credenze cattolico romano era che, una volta che un bambino
fosse stato battezzato, quantunque informalmente e clandesti-
namente, quel figlio era irrevocabilmente trasformato in un
cristiano. Nel loro mondo mentale, permettere ad un "bambi-
no cristiano" di restare con i suoi genitori ebrei non era un'op-
zione, e conservarono questa posizione bizzarra e crudele in
modo saldo, e con la sincerità più totale, di fronte all'indigna-
zione di tutto il mondo. Quest'indignazione diffusa, tra l'altro,
fu liquidata dal quotidiano romano "civiltà cattolica" come do-
vuta al potere internazionale dei ricchi ebrei ― suona familia-
re, non è vero?
A parte la pubblicità che suscitò, la storia di Edgardo Morta-
ra era interamente rappresentativa di molte altre. Tempo pri-
ma egli era accudito da Anna Morisi, una ragazza cattolica
quattordicenne di poca cultura. Lui si ammalò e lei cominciò a
temere che potesse morire. Essendo stata cresciuta nella cre-
denza che un bambino, che morisse non battezzato, avrebbe
sofferto per sempre all'inferno, chiese aiuto ad un vicino catto-
lico che le insegnò ad effettuare un battesimo. Ella tornò in
casa, versò dell'acqua di secchio sulla piccola testa di Edgardo
e disse "io ti battezzo nel nome del padre del figlio e dello spi-
rito Santo". Tutto qui. Da quel momento in poi, Edgardo era
legalmente un cristiano. Quando i sacerdoti dell'inquisizione
appresero dell'incidente anni dopo, agirono in modo pronto e
deciso, senza preoccuparsi delle angosciose conseguenze della
loro azione.
Sorprendentemente per un rito che ha un significato fonda-
97
mentale per un'intera comunità, la Chiesa cattolica permette-
va (e ancora permette) a chiunque di battezzare chiunque al-
tro. Né il bambino, né i parenti, né nessun altro deve con-
sentire al battesimo. Non c'è bisogno di firmare niente. Non
c'è bisogno di alcun testimone ufficiale. Tutto ciò che serve un
po' d'acqua, qualche parola, un bambino indifeso, ed una
baby-sitter superstiziosa a cui è stato lavato il cervello dal ca-
techismo. Anzi, è necessaria solo l'ultima di queste cose per-
ché, assumendo che il bambino sia troppo giovane per essere
un testimone, chi lo verrà a sapere? Una mia collega america-
na che era stata cresciuta da cattolica mi scrive ciò che segue:
"Battezzavamo persino le nostre bambole. Non ricordo che al-
cuni di noi battezzassero i nostri piccoli amici protestanti, ma
senza dubbio questo è successo e succede ancora oggi. Rende-
vamo le nostre bambole delle piccole cattoliche, le portavamo
in chiesa, davamo loro la comunione eccetera. Ci facevano il
lavaggio del cervello per farci diventare brave madri cattoli-
che sin da piccole".
Se le ragazze del diciannovesimo secolo erano anche lonta-
namente simili alla mia moderna corrispondente, è sorpren-
dente che un caso come quello di Edgardo Mortara non fosse
ancora più comune di così. Fatto sta che queste storie fossero
terribilmente frequenti nell'Italia del diciannovesimo secolo, il
che ci costringe a porre la domanda ovvia. Perché gli ebrei
degli Stati papali assumevano servitori cattolici, dato il ri-
schio notevole che poteva sorgere? Perché non facevano at-
tenzione ad assumere servitori ebrei? La risposta, ancora una
volta, non ha niente a che fare con il buon senso e tutto a che
fare con la religione. Gli ebrei avevano bisogno di servitori la
cui religione non proibisse loro di lavorare di sabato. Una ra-
gazza ebrea certamente dava garanzie che non avrebbe battez-
zato tuo figlio [..]. Ma non poteva accendere il fuoco o pulire
la casa di sabato. Ecco perché, di tutte le famiglie ebraiche bo-
lognesi che potevano permettersi dei servitori, la maggior par-
te li prendevano cattolici.
In questo libro ho evitato deliberatamente di narrare nel det-
taglio gli orrori delle crociate, dei conquistadores o dell'inqui-
98
sizione spagnola. Le persone crudeli e malvagie si possono
trovare in ogni secolo e per ogni idea. Ma questa storia dell'in-
quisizione italiana ed il suo atteggiamento verso i bambini è
particolarmente rivelatrice della mentalità religiosa, e dei mali
che sorgono specificamente perché è religiosa. La prima cosa
notevole è la percezione delle menti religiose che un goccio
d'acqua e una piccola formula magica possano totalmente
cambiare la vita di un bambino, acquistando la precedenza
sul consenso dei genitori, sul consenso del bambino stesso,
sulla felicità del bambino stesso e sulla sua salute psicologi-
ca... sopra qualunque cosa che il normale buon senso e i nor-
mali sentimenti umani considererebbero importante. Il cardi-
nale Antonelli in quel tempo lo spiegò in una lettera a Lionel
Rothschild, il primo membro ebreo del Parlamento della Gran
Bretagna, che aveva scritto per protestare sul rapimento di Ed-
gardo. Il cardinale rispose che non aveva il potere di interveni-
re, ed aggiunse "qui sarebbe opportuno osservare che, se la
voce della natura è potente, ancora più potenti sono i sacri do-
veri della religione". Beh, questo da solo dice tutto, no?
La seconda cosa è il fatto straordinario che i preti, i cardinali
e il Papa sembrano sinceramente non aver compreso quale
cosa terribile stessero facendo al povero Edgardo Mortara.
Sorpassa qualunque comprensione sensata, ma loro credevano
sinceramente di stare facendo a lui qualcosa di buono, portan-
dolo via dai suoi genitori e crescendolo come un cristiano. Si
sentivano in dovere di proteggerlo! Un giornale cattolico negli
Stati Uniti difese la posizione del Papa sul caso Mortara, affer-
mando che era impensabile che un governo cristiano "potesse
lasciare che un bambino cristiano fosse cresciuto da ebreo" ed
invocando il principio della libertà religiosa, "la libertà di un
bambino di essere cristiano e di non essere costretto con la for-
za ad essere ebreo... la protezione del bambino da parte del
Santo padre, alla faccia di tutto il feroce fanatismo dell'infedel-
tà e della bigotteria, è la più grande manifestazione di gran-
dezza morale che il mondo abbia mai visto da secoli". C'è mai
stato un abuso più spudorato di parole come "costretto", "con
la forza", "feroce", "fanatismo" e "bigotteria"? Eppure tutti gli
99
indizi dicono che gli apologisti cattolici, dal Papa in giù, cre-
devano sinceramente che ciò che stavano facendo fosse giusto:
assolutamente giusto moralmente, e giusto per il bene del
bambino. Tale è il potere della religione (quella moderata,
quella ufficiale, "mainstream") di piegare il giudizio e di per-
vertire l'ordinaria decenza umana. Il quotidiano "Il cattolico"
fu sinceramente stupito dalla diffusa incapacità del mondo di
capire quale magnanimo favore la Chiesa avesse fatto ad Ed-
gardo Mortara quando lo salvò dalla sua famiglia ebraica:
[..]
La terza cosa è la presunzione con la quale le persone reli-
giose sanno, senza evidenza, che la fede in cui sono nati è l'uni-
ca vera fede, e tutte le altri sono aberrazioni o semplicemente
false. Le citazioni di cui sopra danno degli esempi vivi di que-
sto atteggiamento dal lato cristiano. Sarebbe molto ingiusto
equiparare i due lati in questo caso, ma è appropriato notare
che i Mortara avrebbero potuto immediatamente riavere in-
dietro Edgardo, se solo avessero accettato il ricatto dei preti e
avessero acconsentito ad essere battezzati loro stessi. Edgardo
era stato rapito in primo luogo a causa di un goccio d'acqua e
di qualche parola senza senso. Tale è la vacuità delle menti in-
dottrinate dalla religione, che sarebbe bastato un altro paio di
gocce d'acqua per invertire il processo. Per alcuni di noi, il ri-
fiuto dei genitori indica testardaggine. Per altri, la loro posi-
zione di principio li fa entrare a far parte della lunga lista di
martiri di tutte le religioni nel corso dei secoli.
[...]
Quarta cosa, per continuare su questo tema, è l'assunzione
che un bambino di sei anni possa avere una religione, indi-
pendentemente se questa religione sia ebrea o cristiana o altro.
Per metterla in un altro modo: certamente sembra assurda
l'idea che battezzare un bambino inconsapevole, che non ca-
pisce nulla, possa di colpo trasformarlo da una religione al-
l'altra ― ma sicuramente non è più assurdo dell'idea che un
piccolo bambino possa appartenere a una qualunque religio-
ne, in primo luogo. Ciò che importava per Edgardo non era la

100
"sua" religione (era troppo giovane per possedere opinioni ra-
gionate sulla religione) ma l'amore e l'attenzione dei suoi geni-
tori e famiglia; e lui fu privato di queste cose da alcuni preti
celibi la cui grottesca crudeltà era mitigata solo dalla loro cras-
sa insensibilità verso i normali sentimenti umani― un'insensi-
bilità che arriva fin troppo facilmente in una mente deviata
dalla fede religiosa.
Anche quando non c'è un rapimento fisico, non è forse un
abuso di bambini l'atto di etichettarli come possessori di cre-
denze che sono troppo giovani per avere? Eppure la pratica
persiste ancora oggi, quasi senza che si metta in discussione.
Metterle in discussione è il mio scopo principale nel seguito di
questo capitolo.

ABUSO FISICO E MENTALE


(da “L'Illusione di Dio”, Richard Dawkins)

Oggi, quando si parla di abuso di bambini da parte dei sa-


cerdoti, si intende abuso sessuale, ed io mi sento obbligato, sin
dall'inizio, a ridimensionare l'intera faccenda dell'abuso ses-
suale e a metterla da parte. Altri hanno notato che viviamo in
un tempo di isterismo verso la pedofilia, secondo una psicolo-
gia malata che ricorda le cacce alle streghe di Salem nel 1692.
Nel luglio 2000 il "News of the world" , largamente considera-
to nonostante l'aspra competizione il quotidiano più disgusto-
so della Gran Bretagna, organizzò una campagna "ricopriamo-
li di vergogna", spingendosi quasi fino al punto di incitare i vi-
gilanti ad intraprendere un'azione violenta diretta contro i pe-
dofili. La casa di un pediatra ospedaliero fu attaccata da mili-
tanti che non conoscevano la differenza tra un pediatra e un
pedofilo [..]. L'isterismo di massa verso i pedofili ha raggiunto
proporzioni epidemiche ed ha portato nei genitori crisi di pa-
nico. Gli odierni Just Williams, Huck Finn, gli odierni Swallo-
ws ed Amazon sono privati della libertà di andare in giro libe-
ramente, che in passato era una delle cose più belle della gio-
ventù (quando i rischi reali di molestia, non quelli percepiti,
101
non erano probabilmente inferiori).
[...]
Ciononostante, è chiaramente ingiusto infliggere a tutti i pe-
dofili una vendetta adatta alla piccola minoranza di essi che si
macchiano anche di omicidio. Tutte e tre le boarding school
[scuole con obbligo di alloggio] che ho frequentato assumeva-
no insegnanti il cui attaccamento ai ragazzini superava i confi-
ni della decenza. Questo fatto era chiaramente deprecabile.
Ciononostante se, cinquant'anni dopo, fossero stati trattati dai
vigilantes o dagli avvocati alla stregua di omicidi di bambini,
mi sarei sentito obbligato a prendere le loro difese, pur essen-
do stato vittima di uno di loro (un'esperienza imbarazzante
ma altrimenti innocua).
La Chiesa cattolica romana ha subito una buona proporzio-
ne di questo scandalo. Per tante ragioni io non ho simpatia per
la Chiesa cattolica romana. Ma ho ancora meno simpatia per
l'ingiustizia, e non posso evitare di domandarmi se questa isti-
tuzione sia stata demonizzata ingiustamente sulla questione,
specialmente in Irlanda e in America.
[..]
Dovremmo essere consapevoli della grande capacità della
mente di generare delle memorie false, specialmente quando
è fuorviata da terapisti privi di scrupoli ed avvocati mercenari.
La psicologa Elizabeth Loftus ha mostrato grande coraggio [...]
nel dimostrare quant'è facile per le persone formarsi delle me-
morie che sono interamente false ma che sembrano, alla vitti-
ma, reali come quelle vere. [..] Questo fatto è così controintui-
tivo che le giurie sono facilmente ingannate da testimonianze
sincere ma false.
[.....]
Una volta, durante le domande del pubblico dopo una mia
conferenza a Dublino, mi fu chiesto che cosa pensassi dei casi
ben noti di abuso sessuale da parte di sacerdoti cattolici in Ir-
landa. Io replicai che, per quanto orribile fosse l'abuso ses-
suale, il danno era notevolmente inferiore al danno psicolo-
gico a lungo termine inflitto al bambino crescendolo da cat-
102
tolico in primo luogo. Fu un'osservazione improvvisata, e fui
sorpreso di ottenere molti applausi entusiasti del pubblico ir-
landese (composto, certo, da intellettuali di Dublino e presu-
mibilmente non rappresentativo della nazione intera). Ma
questo fatto mi fu ricordato in seguito quando ricevetti una
lettera da una donna americana di circa 40 anni che era stata
cresciuta da cattolica romana. All'età di sette anni, mi disse, le
erano successe due cose spiacevoli. Aveva subito abusi sessua-
li dal suo parroco, nell'automobile di lui. Inoltre, più o meno
nello stesso periodo, una sua piccola compagna di scuola, che
era morta tragicamente, andò all'inferno perché era una pro-
testante. O così le aveva fatto credere la dottrina ufficiale di al-
lora della Chiesa dei suoi genitori. Il suo punto di vista da
adulta matura era che, di questi due esempi di abuso di bam-
bini cattolici romani, uno fisico e l'altro mentale, il secondo
fosse di gran lunga il peggiore. Ella scrisse:
Essere toccata dal prete mi lasciò semplicemente
un'impressione (nella mia mente di bambina di sette
anni) di "stranezza", mentre la memoria della mia ami-
ca che andava all'inferno era una memoria di paura,
fredda e smisurata. Non ho mai perso il sonno a causa
del prete ― ma ho passato molte notti nel terrore che
le persone che amavo andassero all'inferno. La cosa mi
dava gli incubi.
Certamente, l'abuso sessuale che ella subì nell'automobile
del prete fu relativamente blando se lo compariamo, ad esem-
pio, al dolore e il disgusto di un chierichetto sodomizzato. E al
giorno di oggi si dice che la Chiesa cattolica non si preoccupi
tanto dell'inferno come una volta. Ma l'esempio mostra che,
quantomeno, è possibile che un abuso psicologico di bambi-
ni sia più grave di un abuso fisico. Si dice che Alfred Hitch-
cock, il grande esperto cinematografico nell'arte di spaventare
le persone, stesse una volta guidando l'automobile in Svizzera
quando all'improvviso indicò qualcosa fuori dal finestrino e
disse "questa è la visione più spaventosa che io abbia mai avu-
to". Si trattava di un prete che conversava con un bambino,

103
con la mano sulla spalla del bambino. Hitchcock si sporse dal
finestrino e gridò "corri, ragazzino! Scappa, per la tua vita!"
"I bastoni e le pietre possono rompermi le ossa, ma le parole
non possono farmi male". Questo proverbio [anglosassone] è
vero soltanto fino a che tu non credi davvero alle parole in
questione. Ma se tutta la tua educazione sin dall'infanzia, e
tutto ciò che che ti è stato detto dai genitori, insegnanti e sa-
cerdoti, ti ha portato a credere, credere davvero, completa-
mente ed assolutamente, che i peccatori brucino all'inferno
(o qualche altro repellente articolo di dottrina come il fatto
che le donne siano di proprietà dei loro mariti), allora è inte-
ramente plausibile che le parole abbiano su di te un effetto
molto più duraturo e dannoso degli abusi fisici. Io sono con-
vinto che la frase "abuso di bambini" non sia un'esagerazione
quando viene usata per descrivere ciò che gli insegnanti e i sa-
cerdoti fanno ai bambini, incoraggiandoli a credere a qualcosa
come la punizione dei peccati mortali in un inferno eterno.
Nel mio documentario televisivo "root of all evil?", di cui ho
già fatto menzione, ho intervistato una quantità di leader reli-
giosi e fui criticato per aver scelto un estremista americano
piuttosto che un rispettabile sostenitore della corrente religio-
sa più diffusa, come un arcivescovo. [...] sembra una critica
giusta ― tranne che, nell'America del ventunesimo secolo,
ciò che sembra estremo al mondo esterno è in realtà una cor-
rente principale [mainstream]. Una delle persone da me inter-
vistate, che lasciarono di più senza parole il pubblico televisi-
vo britannico, fu il pastore Ted Haggard di Colorado Springs.
Ma, ben lungi dall'essere un estremista nell'America di Bush,
il pastore Ted è presidente dell'associazione nazionale degli
evangelici, associazione forte di 30 milioni di persone, e affer-
ma di avere il privilegio di una conversazione telefonica con il
presidente Bush ogni lunedì. Se avessi voluto intervistare i
veri estremisti secondo i moderni standard americani, avrei
dovuto intervistare i "ricostruzionisti", la cui "teologia del do-
minio" sostiene apertamente l'avvento di una teocrazia cri-
stiana in America. Come mi scrive un preoccupato collega
americano:
104
Gli europei devono sapere che c'è uno show itinerante di
invasati che predica davvero la reintroduzione della leg-
ge del vecchio testamento ― uccidere gli omosessuali
eccetera ― e di restringere ai soli cristiani il diritto di ac-
cedere a cariche pubbliche o anche di votare. La folla
della classe media applaude a questa retorica. Se i laici
non stanno attenti, i Dominionisti e i Ricostruzionisti sa-
ranno presto la corrente principale e più diffusa in una
reale teocrazia americana.
Un altro di coloro che intervistai fu il pastore Keenan Ro-
berts, proveniente dallo stesso Stato del Colorado del pastore
Ted. La particolare forma di follia del pastore Roberts consiste
in ciò che lui chiama "case dell'inferno". Una casa dell'inferno
è un luogo dove vengono portati i bambini, dai loro genitori o
dalle scuole cristiane, allo scopo di terrorizzarli su ciò che po-
trebbe accader loro dopo che saranno morti. Ci sono degli at-
tori che recitano spaventosi esempi di alcuni particolari "pec-
cati" come l'aborto e l'omosessualità, al cospetto di un diavolo
scarlatto che li guarda con aspetto terrificante. Queste cose
fungono da preludio per il pezzo forte, l'inferno stesso, com-
pleto di un realistico odore di zolfo e delle grida agonizzanti
di anime per sempre dannate.
Dopo aver guardato una di queste trasmissioni [..] Intervi-
stai il pastore Roberts alla presenza del suo cast di attori. Egli
mi disse che l'età ideale per visitare una casa dell'inferno è 12
anni. Questo mi colpì, e gli chiesi se non si preoccupasse che
un bambino di 12 anni potesse avere degli incubi dopo una di
queste performance. Egli replicò, presumibilmente con onestà:
Preferisco che loro capiscano che l'inferno è un posto
dove assolutamente non vogliono andare. Preferisco
raggiungerli con quel messaggio a 12 anni che non rag-
giungerli affatto con quel messaggio e permettere che
conducano una vita di peccato senza trovare mai il Si-
gnore Gesù Cristo. E se davvero finissero per avere gli
incubi, come risultato di questa esperienza, credo che ci
sia un bene più elevato che si può ottenere in questa vita

105
semplicemente di avere degli incubi.
Suppongo che, se veramente voi credeste ciò che il pastore
Roberts dice di credere, allora sembrerebbe giusto anche a
voi intimidire i bambini.
Non possiamo liquidare il pastore Robert come un folle
estremista. Come Ted Haggard, lui fa parte di una corrente re-
ligiosa largamente diffusa [mainstream] nell'America di oggi.
Sarei sorpreso se persino loro credessero a ciò che credono al-
cuni dei loro discepoli, come il fatto che si possono sentire le
urla dei dannati ascoltando i vulcani, o che gli enormi vermi
tubolari che si trovano nelle correnti calde profonde dell'ocea-
no siano in realtà l'avverarsi di Marco 9:43-4 "Se se la tua
mano ti offende, tagliatela: è meglio che tu viva mutilato, che
avere due mani per andare all'inferno, nel fuoco che non sarà
mai estinto: dove i vermi delle mani non muoiono, e il fuoco
non si estingue". Qualsiasi cosa essi credano sull'inferno, tutti
questi entusiasti del fuoco dell'inferno sembrano avere la cer-
tezza beata di essere tra quelli che saranno salvati; il che è ben
espresso da San Tommaso D'Aquino, uno dei teologi principa-
li, nella Summa Teologica: "che i santi possano godersi la loro
beatitudine e la grazia di Dio più abbondantemente di quanto
possano vedere la punizione dei dannati all'inferno". Brav'uo-
mo.
La paura del fuoco infernale può essere molto reale, anche
tra persone altrimenti razionali. Dopo il mio documentario te-
levisivo sulla religione, tra le tante lettere che ricevetti c'era
questa, proveniente da una donna ovviamente intelligente ed
onesta:
Sin dall'età di cinque anni frequentai una scuola cattoli-
ca, e fui indottrinata da suore che brandivano bastoni e
cinghie. Nell'adolescenza lessi gli scritti di Darwin, e ciò
che egli diceva aveva perfettamente senso nella parte lo-
gica della mia mente. Ciononostante, ho passato la vita
soffrendo tanti conflitti ed avendo una profonda paura
dell'inferno, che mi viene molto spesso. Ho fatto della
psicoterapia, che mi ha permesso di risolvere alcuni dei

106
miei problemi precedenti, ma non riesco a superare
questa profonda paura.
Quindi, la ragione per cui le scrivo è per chiederle il
nome e l'indirizzo del terapista, che lei ha intervistato
nel programma di questa settimana, che è esperto di
questa particolare paura.
Fui commosso dalla sua lettera e (sopprimendo un senti-
mento di dispiacere che non esista alcun inferno dove queste
suore possano andare) le risposi che avrebbe dovuto affidarsi
alla propria ragione, un grande dono che lei ― diversamente
da persone meno fortunate ― ovviamente possedeva. Sugge-
rii che l'orrore dell'inferno, così come descritto da sacerdoti e
suore, è reso così grande per compensare la sua implausibilità.
Se l'inferno fosse una cosa plausibile, basterebbe che fosse
moderatamente spiacevole per poter fungere da deterrente.
Dato che è così improbabile che sia vero, deve essere pubbli-
cizzato come una cosa molto molto spaventosa, per bilanciare
la sua implausibilità e mantenere un qualche valore di deter-
renza. L'ho anche messa in contatto con la terapista, Jill Myt-
ton, una donna amabile e profondamente sincera che avevo
intervistato. La stessa Jill era stata cresciuta in una setta più
odiosa del solito chiamata "Exclusive Brethren": così spiacevo-
le che c'è persino un sito Web, www.peebs.net, dedicato inte-
ramente a prendersi cura di coloro che sono riusciti a fuggir-
ne.
La stessa Jill Mytton era stata cresciuta in modo da essere
terrorizzata dall'inferno, era sfuggita alla cristianità da adulta,
e adesso dà consiglio ed aiuta altre persone similmente trau-
matizzate in gioventù: "se ripenso alla mia infanzia, era un'in-
fanzia dominata dalla paura. Ed era la paura della disappro-
vazione nel presente, ma anche dalla dannazione eterna. E per
un bambino, le immagini del fuoco eterno e delle strida di
denti sembrano davvero molto reali. Non sono assolutamente
metaforiche". Poi le chiesi di illustrare che cosa le fosse stato
detto sull'inferno, da bambina, e la sua risposta fu commoven-
te quanto il suo volto durante la lunga esitazione che ebbe pri-

107
ma di rispondere: "è strano, non è vero? Dopo tutto questo
tempo ha ancora il potere di... farmi soffrire... quando tu...
quando mi fai questa domanda. L'inferno è un posto spaven-
toso. È il rifiuto completo di te da parte di Dio. È il giudizio
completo, c'è un fuoco reale, c'è tormento reale, tortura reale, e
continua così per sempre e non c'è via d'uscita".
Proseguì dicendomi del gruppo di sostegno che lei presiede
per coloro che fuggono da un'infanzia simile alla sua, e ci tiene
a chiarire quanto sia difficile per molti di loro uscirne: "il
processo di andare via è straordinariamente difficile. Ti stai la-
sciando indietro un'intera rete sociale, un intero sistema in cui
sei stato praticamente cresciuto, stai abbandonando un intero
sistema di credenze che tu stesso hai avuto per anni. Molto
spesso abbandoni la tua famiglia e gli amici... non esisti dav-
vero più per alcuno di loro". Riuscii a contribuire alla discus-
sione con le lettere di americani che mi avevano scritto affer-
mando di aver letto i miei libri e di aver abbandonato la loro
religione in conseguenza di ciò. Molti di essi proseguono in
modo sconcertante dicendo che non osano dirlo alle loro fami-
glie, o che lo hanno fatto con risultati terribili. Il seguente ac-
conto è tipico. Colui che scrive è un giovane studente di medi-
cina americano.
Sento il bisogno di scriverle un'email perché condivido
la Sua visione della religione, visione che in America ci
rende emarginati, come sicuramente Lei sa. Sono cre-
sciuto in una famiglia cristiana e sebbene l'idea di reli-
gione non mi abbia mai convinto solo recentemente ho
avuto il coraggio di dirlo a qualcuno. Questo qualcuno
era la mia ragazza, la cui reazione fu di... orrore. Com-
prendo che una dichiarazione di ateismo potrebbe esse-
re scioccante ma adesso è come se lei mi vedesse come
una persona completamente diversa. Non si può più fi-
dare di me, dice, perché la mia morale non deriva da
Dio. Non so se supereremo mai questa cosa, e non ci
tengo particolarmente a condividere le mie credenze con
altre persone che mi sono vicine perché temo la stessa
reazione di disgusto... non mi aspetto una risposta. Le
108
scrivo solo perché speravo che avrebbe avuto compas-
sione per me e avrebbe condiviso la mia frustrazione.
Immagini di perdere qualcuno che ama, e che la amava,
a causa della religione. A parte il punto di vista di lei
che io ora sono un senza-dio, eravamo perfetti l'uno per
l'altra. Ciò mi ricorda la Sua osservazione che le persone
fanno cose folli in nome della loro fede. Grazie per la sua
attenzione.
Risposi a questo sfortunato giovane notando che, se la sua
ragazza aveva scoperto qualcosa su di lui, anche lui aveva sco-
perto qualcosa su di lei. Era davvero abbastanza in gamba per
lui? Io ne dubitavo.
Ho già menzionato la cabarettista americana Julia Sweeney e
il suo comico sforzo di trovare alcune caratteristiche positive
nella religione e di riscattare il dio della sua infanzia dai suoi
dubbi da adulta.
[.....]
"Losing faith in faith: front preacher to atheist" di Dan Bar-
ker è la storia della sua conversione graduale, da ministro fon-
damentalista devoto e predicatore viaggiatore militante, all'a-
teo forte e fiducioso in sé che è diventato oggi. Cosa notevole,
Barker continuò a predicare il cristianesimo per qualche tem-
po dopo essere diventato ateo, perché era l'unica carriera che
conosceva, e si sentiva intrappolato in una ragnatela di obbli-
ghi sociali. Ora egli conosce molti altri uomini di Chiesa ame-
ricani che si trovano nella stessa posizione in cui si trovava lui,
ma che lo hanno confidato solo a lui, dopo aver letto il suo li-
bro. Essi non osano ammettere il loro ateismo neppure alle
proprie famiglie, data la reazione terribile che prevedono. La
storia di Barker ebbe una conclusione più felice. All'inizio, i
suoi genitori furono profondamente e dolorosamente scossi.
Ma poi ascoltarono il suo calmo ragionamento, e, alla fine, di-
vennero atei anche loro.
Due professori da un'università americana mi scrissero indi-
pendentemente circa i loro genitori. Uno disse che sua madre
soffre un dolore permanente perché teme per l'anima im-

109
mortale di lui. L'altro disse che suo padre vorrebbe che lui
non fosse mai nato, tanto è convinto che suo figlio passerà
l'eternità all'inferno. Questi sono professori di università
dotati di grande educazione, che confidano nella loro maturi-
tà e nella loro cultura, che presumibilmente hanno superato i
loro genitori in tutte le questioni intellettuali, non soltanto
nella religione. Pensate semplicemente a quanto maggiore
possa essere il problema per persone meno solide intellet-
tualmente, meno equipaggiate di loro (o di Julia Sweeney)
nelle capacità retoriche e nell'educazione ricevuta, per fronteg-
giare questi membri della propria famiglia. Forse non molto
diverso che per i pazienti di Jill Mytton.
Nella nostra conversazione televisiva precedente, Jill aveva
descritto questo tipo di educazione religiosa come una forma
di abuso mentale, ed io ritornai su questo punto come segue:
"Dovresti usare il termine abuso religioso. Se tu dovessi com-
parare l'abuso di crescere un bambino per fargli credere nel-
l'inferno... con l'abuso sessuale, quale pensi che sia il peso rela-
tivo di queste due cose in termini di trauma?" Lei replicò: "è
una domanda molto difficile... credo che ci siano molte cose in
comune, per la verità, perché in entrambi i casi c'è un abuso di
fiducia; in entrambi i casi si nega al bambino il diritto di sen-
tirsi libero e capace di relazionarsi con il mondo in modo nor-
male... è una forma di violenza; è in entrambi i casi una cosa
che impedisce il realizzarsi della sua vera personalità".

IN DIFESA DEI BAMBINI


(da “L'Illusione di Dio”, Richard Dawkins)

Un mio collega, lo psicologo Nicholas Humphrey, citò il pro-


verbio "i bastoni possono farmi del male ma le parole no" per
aprire la sua conferenza Amnesty, ad Oxford nel 1997. Hum-
phrey cominciò dicendo che il proverbio non è sempre vero,
citando il caso dei credenti Vodoo haitiani che morivano,
apparentemente per qualche effetto psicosomatico del terrore,
nel giro di qualche giorno dopo che veniva lanciato su di loro
110
un "incantesimo" maligno. Poi egli chiese se Amnesty Interna-
tional, il beneficiario della serie di conferenze a cui lui aveva
contribuito, dovesse fare delle campagne contro le pubblica-
zioni o i discorsi dannosi o pericolosi. La sua risposta fu un so-
noro no a tale censura, in generale: "la libertà di parola è una
libertà troppo preziosa perché noi la limitiamo". Ma poi pro-
seguì, mettendo a dura prova le sue idee di liberale, sostenen-
do un'importante eccezione: per sostenere la censura nel
caso speciale dei bambini:
...l'educazione morale e religiosa, specialmente l'educa-
zione che i bambini ricevono a casa, secondo cui ai geni-
tori è permesso di decidere cosa i loro bambini debba-
no considerare vero o falso, giusto o sbagliato. (Non
soltanto tutto ciò è permesso ai genitori, ma addirittura
ci si aspetta che lo facciano.) Io sosterrò che i bambini
hanno il diritto umano a non avere le loro menti dan-
neggiate dall'esposizione alle idee sbagliate di altre
persone ― non importa chi siano queste altre persone. I
genitori, da parte loro, non hanno alcun diritto conferi-
to da Dio di indottrinare i loro figli in qualunque
modo scelgano: nessun diritto di limitare l'orizzonte
della conoscenza dei loro bambini, di farli crescere in
un'atmosfera di dogma e superstizione, o di insistere
che seguano i percorsi stretti ed oscuri della loro stessa
fede.
In breve, i bambini hanno il diritto di non avere le loro
menti alterate da cose senza senso, e noi come società
abbiamo il dovere di proteggerli da ciò. Quindi non
dovremmo più permettere ai genitori di insegnare ai
loro figli a credere, ad esempio, nella verità letterale
della Bibbia o che i pianeti governino le loro vite, più
di quanto dobbiamo permettere ai genitori di far salta-
re loro i denti o di chiuderli a chiave in cantina.
Naturalmente, un'affermazione così forte necessita, ed ha ri-
cevuto, molti chiarimenti. Non è forse questione d'opinione
personale cosa è senza senso? Non è forse vero che la scienza

111
ortodossa è stata capovolta abbastanza spesso da farci diven-
tare più cauti? Gli scienziati potrebbero pensare che sia senza
senso insegnare l'astrologia e la verità letterale della Bibbia,
ma ci sono altre persone che pensano l'opposto, e non avreb-
bero questi il diritto di insegnarle ai loro figli? Non è ugual-
mente arrogante insistere che ai bambini bisognerebbe inse-
gnare la scienza?
Ringrazio i miei genitori di aver seguito la regola di inse-
gnare al proprio figlio non tanto cosa pensare quanto come
pensare. Se, dopo che è stata adeguatamente presentata loro
tutta l'evidenza scientifica, i bambini dovessero crescere e
decidere che la Bibbia sia letteralmente vera o che il movi-
mento dei pianeti governi le loro vite, questo è loro diritto. Il
punto importante è che è loro il diritto di decidere cosa pen-
sare, e non diritto dei genitori imporlo per forza maggiore. È
questo, naturalmente, è particolarmente importante se riflet-
tiamo che i bambini di oggi diventano i genitori di domani,
nella posizione di tramandare qualunque indottrinamento che
essi stessi abbiano ricevuto.
Humphrey suggerisce che, finché i bambini sono piccoli,
vulnerabili e bisognosi di protezione, il modo davvero morale
di crescerli è il tentativo onesto del genitore di indovinare
che cosa sceglierebbero da soli se fossero abbastanza grandi
per farlo. Egli cita in modo commovente l'esempio di una gio-
vane ragazza Inca i cui resti, risalenti a 500 anni fa, furono tro-
vati congelati nelle montagne del Perù nel 1995. L'antropologo
che la scoprì scrisse che lei era stata vittima di un sacrificio ri-
tuale. Humphrey racconta che la televisione americana man-
dò in onda un documentario su questa giovane fanciulla dei
ghiacci. Gli spettatori erano invitati
a meravigliarsi della dedizione spirituale dei sacerdoti
Inca e a condividere con la ragazza l'orgoglio e l'eccita-
zione per essere stata scelta per l'onore di essere sacri-
ficata. Il messaggio del programma televisivo era in ef-
fetti che la pratica del sacrificio umano era di per sé una
gloriosa invenzione culturale ― un altro fiore all'occhiel-

112
lo del multiculturalismo, se volete.
Humphrey è scandalizzato, tanto quanto me:
Come osa chiunque suggerire una cosa simile? Come
osano invitarci ― seduti comodamente in poltrona,
mentre guardiamo la televisione ― a provare trasporto
al pensiero di un omicidio rituale: l'omicidio di un bam-
bino che dipendeva psicologicamente da un gruppo di
stupidi, ignoranti, superstiziosi vecchiacci? Come si per-
mettono di invitarci a trovare del bene per noi stessi con-
templando un'azione immorale verso qualcun altro?
Di nuovo, il buon lettore liberale potrebbe sentirsi lievemen-
te in disaccordo. Immorale secondo i nostri standard, certa-
mente, e anche stupido, ma che dire degli standard Inca?
Certamente, per gli Inca, il sacrificio era un atto morale e tut-
t'altro che stupido, sancito da tutto ciò che loro ritenevano sa-
cro? La ragazzina era senza dubbio una leale credente nella re-
ligione in cui era stata cresciuta. Chi siamo noi per usare una
parola come "omicidio", giudicando i sacerdoti Inca secondo i
nostri standard anziché i loro? Forse questa ragazza era incre-
dibilmente felice del suo destino: forse lei credeva davvero
che sarebbe andata in un paradiso eterno, scaldata dalla com-
pagnia radiante del Dio sole. O forse ― come sembra molto
più probabile ― gridava disperatamente di terrore.
Il punto di Humphrey ― e il mio ― è che, indipendente-
mente dal fatto che lei fosse una vittima volontaria o meno,
c'è una forte ragione di credere che lei non avrebbe voluto
ciò se fosse stata in pieno possesso dei fatti. Ad esempio,
supponi che lei avesse saputo che il sole è davvero una palla
di idrogeno, più calda di un milione di gradi Kelvin, che si
converte in elio mediante fusione nucleare, e che si formò in
origine dallo stesso disco di gas dal quale si condensò anche la
Terra e tutto il sistema solare... allora, presumibilmente, co-
stei non lo avrebbe venerato come un dio, e questo avrebbe
alterato la sua prospettiva di essere sacrificata per propiziar-
lo.
Non si possono criticare i sacerdoti Inca per la loro ignoran-
113
za, e forse si può considerare esagerato giudicarli stupidi e in-
vasati. Ma si possono colpevolizzare per avere instillato le
loro credenze su un bambino troppo giovane per decidere se
venerare il sole o no. Il punto addizionale di Humphrey è che
gli autori degli odierni documentari, e noi che siamo il loro
pubblico, abbiamo la colpa di vedere della bellezza nella mor-
te di questa piccola ragazza ― come qualcosa che arricchisca
la nostra cultura collettiva. La stessa tendenza a glorificare le
abitudini religiose delle varie etnie, e di giustificare le crudel-
tà fatte nel loro nome, salta fuori regolarmente nei discorsi. E
produce un conflitto interno nella mente di brave persone li-
berali che, da una parte, non possono sopportare la crudeltà e
la sofferenza, ma dall'altra sono state condizionate dai post-
modernisti e dai relativisti a rispettare le altre culture quan-
to la propria.
L'infibulazione [circoncisione femminile] è senza dubbio or-
ribilmente dolorosa, è un sabotaggio del piacere sessuale delle
donne (in verità, questo probabilmente è proprio il suo scopo),
e una buona metà delle menti liberali decenti vuole abolire
questa pratica. L'altra metà, però, 'rispetta' la cultura etnica e
sente che non dovremmo interferire se 'loro' vogliono muti-
lare le 'loro' figlie. Il punto, naturalmente, è che ciò che chia-
miamo 'le loro figlie' appartengono in realtà a loro stesse, non
ai genitori, e i loro desideri non dovrebbero essere ignorati.
Ecco una domanda più difficile: e se la ragazza stessa dice
che vuole essere circoncisa? Ma potrebbe costei, un domani,
divenuta adulta informata, desiderare che questo fosse suc-
cesso? Humphrey nota che nessuna donna, che da bambina
sia per qualche motivo riuscita a scampare alla circoncisione,
si è mai offerta volontaria per l'operazione da adulta.
Dopo una discussione sugli Amish, ed il loro presunto dirit-
to di crescere i "loro" figli a modo loro, Humphrey critica il no-
stro entusiasmo come società di
preservare la diversità culturale. Potreste voler dire:
d'accordo, è duro per un bambino Amish, o Hasidim, o
Rom essere cresciuto come vogliono i suoi genitori ―

114
ma almeno abbiamo la conseguenza positiva di far con-
tinuare queste affascinanti tradizioni culturali. Non sa-
rebbe impoverita la nostra civiltà intera se queste tradi-
zioni scomparissero? Forse è un peccato che degli indivi-
dui debbano essere sacrificati per mantenere questa di-
versità. Ma, dopotutto, è il prezzo che paghiamo come
società. Tranne che, vi vorrei ricordare, non lo paghiamo
noi, lo pagano loro.
Questa questione venne all'attenzione pubblica nel 1972
quando la corte suprema degli Stati Uniti si pronunciò in un
processo, Wisconsin contro Yoder, circa il diritto dei genitori
di ritirare i loro figli da scuola per motivi religiosi. Gli Ami-
sh vivono in comunità circoscritte in varie parti degli Stati
Uniti, parlando per lo più un dialetto arcaico del tedesco chia-
mato olandese della Pennsylvania ed astenendosi, in modo
più o meno rigido, dall'usare elettricità, motori a combustione
interna, pulsanti e altre manifestazioni della vita moderna.
C'è, in effetti, qualcosa di affascinante in un'isola in cui si vive
come nel 700, è una specie di spettacolo per occhi moderni.
Non vale la pena di preservarlo, per salvaguardare la ricchez-
za della diversità umana? E l'unico modo di preservarlo è per-
mettere agli Amish di educare i loro bambini a modo loro, e
proteggerli dall'influenza corruttrice della modernità. Ma, si-
curamente vogliamo chiedere, non dovrebbero i bambini
stessi avere qualche voce in capitolo sulla questione?
Alla corte suprema fu chiesto di pronunciarsi nel 1972,
quando alcuni genitori Amish del Wisconsin sottrassero i
bambini dal liceo. L'idea stessa di istruzione oltre una certa
età era contraria ai valori religiosi degli Amish, specialmente
l'educazione scientifica. Lo stato del Wisconsin portò i geni-
tori sotto processo, affermando che stavano privando i bambi-
ni del loro diritto ad un'educazione. Dopo essere passato per
tutte le corti, il caso alla fine raggiunse la corte suprema degli
Stati Uniti, che produsse un pronunciamento diviso (6:1) in fa-
vore dei genitori. L'opinione di maggioranza, scritta dal Chief
Justice Warren Burger, includeva quanto segue: "come mostra
la registrazione [record], obbligare i bambini Amish a frequen-
115
tare la scuola fino a 16 anni è una reale minaccia verso la co-
munità Amish e la pratica religiosa che esiste oggi; essi sono
costretti a scegliere tra abbandonare le proprie credenze ed es-
sere assimilati nella società più estesa, oppure convertirsi a
qualche forma di religione più tollerante."
L'opinione di minoranza del Justice William O. Douglas era
che si sarebbero dovuti consultare i bambini stessi. Voleva-
no veramente interrompere la propria istruzione? Volevano
veramente restare nella religione Amish? Nicholas Humphrey
si sarebbe spinto persino più oltre. Anche se avessimo inter-
pellato i bambini stessi ed essi avessero scelto di restare nel-
la religione Amish, possiamo supporre che avrebbero fatto
lo stesso se fossero stati bene istruiti ed informati sulle alter-
native disponibili? Perché questa ipotesi sia plausibile, non
dovrebbe esserci qualche esempio nel mondo esterno di ra-
gazzini che volontariamente si associno alla religione Ami-
sh? Il Justice Douglas andò oltre in una direzione leggermente
diversa. Egli non vide ragione particolare di conferire al punto
di vista religioso dei genitori uno status speciale nel decidere in
che misura essi debbano poter privare i figli di un'istruzione.
Se la religione è un valido motivo di esenzione, non potrebbe-
ro esserci anche delle credenze laiche che si qualificano come
tali?
La maggior parte della corte suprema ha tracciato un paral-
lelo con alcuni dei valori positivi degli ordini monastici, i qua-
li arricchiscono (secondo la corte) la società stessa. Ma, come
osserva Humphrey, c'è una differenza cruciale. I monaci si
offrono volontari per la vita monastica, di loro proprio libero
arbitrio. I bambini Amish non si sono mai offerti volontari
per diventare Amish; sono nati tali, e non hanno avuto scel-
ta.
C'è qualcosa di orribilmente degradante e disumano nel-
l'atto di sacrificare qualcuno, specialmente i bambini, in
nome della "diversità", per preservare la varietà delle tradi-
zioni religiose. Noialtri ci godiamo le nostre automobili e i
computer, i nostri vaccini e gli antibiotici. Ma voi, esserini pri-
mitivi con i vostri strani cappellini e i pantaloni al ginocchio,
116
le vostre carrozze, il vostro dialetto arcaico e le vostre latrine
all'aperto, voi arricchite le nostre vite. Naturalmente vi deve
essere permesso intrappolare i vostri figli insieme a voi nel
vostro mondo parallelo del diciassettesimo secolo, altrimenti
noi perderemmo qualcosa di irrecuperabile: una parte della
meravigliosa diversità della cultura umana. Una piccola parte
di me riesce persino a trovare un minimo di senso in tutto
questo. Ma la parte più grande di me ne è davvero nauseata.

L'ARGOMENTO DELLE SACRE SCRITTURE


(da “L'Illusione di Dio”, Richard Dawkins)

Ci sono ancora persone che affermano di credere in Dio a


causa di "evidenza" derivante dalle Scritture. Un argomento
comune, attribuito tra gli altri a C. S. Lewis (dal quale ci si
aspettava qualcosa di meglio) dice che, poiché Gesù affermò
di essere il figlio di Dio, deve aver avuto ragione oppure deve
essere stato pazzo o bugiardo: "pazzo, malvagio o Dio". O,
con una semplice parafrasi, "pazzo, bugiardo o Nostro Signo-
re". L'evidenza storica che Gesù abbia affermato di avere qual-
che tipo di natura divina è minima. Ma anche se quell'eviden-
za fosse buona, non è assolutamente vero che ci sarebbero sol-
tanto queste tre alternative. Una quarta possibilità, quasi
troppo ovvia per meritare menzione, è che Gesù semplice-
mente si stesse sbagliando in buona fede. Molte persone lo
fanno. In ogni caso, come ho detto, non c'è buona evidenza
storica che lui abbia mai pensato di essere divino.
Il fatto che qualcosa sia scritto nero su bianco persuade quel-
le stesse persone che non sono abituate a fare domande come
“chi l'ha scritto, e quando?” “Come sapevano che cosa scrive-
re?” “Intendevano davvero, a quei tempi, ciò che noi nel no-
stro tempo abbiamo capito?” “Erano osservatori distaccati e
imparziali, oppure avevano una “agenda” [un obiettivo] con
cui “coloravano” i loro scritti?”. Sin dall'inizio del diciannove-
simo secolo, gli studiosi di teologia hanno dimostrato ampia-
mente che i Vangeli non sono un resoconto affidabile di ciò
117
che successe nella storia reale del mondo. Furono tutti scritti
molto tempo dopo la morte di Gesù, e anche dopo le epistole
di Paolo, che non menzionano quasi nessuno dei fatti presunti
della vita di Gesù. Poi furono tutti copiati e ricopiati, per mol-
te diverse generazioni di "sussurratori cinesi" (vedi capitolo 5)
da scrivani non infallibili che, in ogni caso, avevano le proprie
"agende" religiose.
Un buon esempio di come le agende religiose causino una
“ricolorazione” dei fatti è l'intera commovente leggenda della
nascita a Betlemme di Gesù, seguita dal massacro degli inno-
centi da parte di Erode. Quando furono scritti i Vangeli, molti
anni dopo la morte di Gesù, nessuno sapeva dove egli fosse
nato. Ma una profezia del vecchio testamento (Micah 5:2) ave-
va portato gli ebrei ad aspettarsi che il Messia atteso da lungo
tempo sarebbe nato a Betlemme. A causa di questa profezia, il
vangelo di Giovanni nota esplicitamente che i seguaci di Gesù
si sorpresero che lui non fosse nato a Betlemme: “Alcuni disse-
ro, questo è il Cristo. Ma altri dissero: non dovrebbe Cristo ve-
nire dalla Galilea? Non ha detto la scrittura che Cristo verrà
dal seme di Davide, e dalla città di Betlemme, dove fu
Davide?”
Matteo e Luca gestiscono il problema diversamente, decre-
tando che Gesù deve essere nato a Betlemme, dopo tutto. Ma lo
fanno arrivare lì in modi diversi. Matteo fa stare Maria e Giu-
seppe a Betlemme per tutto il tempo, facendoli spostare a Na-
zareth solo molto tempo dopo la nascita di Gesù, durante il
loro ritorno dall'Egitto dove erano andati per fuggire a Erode
e il suo massacro degli innocenti. Luca, invece, ammette che
Maria e Giuseppe vivevano a Nazareth prima che Gesù na-
scesse. Ma allora come far sì che si trovassero a Betlemme nel
momento cruciale, per poter soddisfare la profezia? Luca dice
che, al tempo in cui Quirino era governatore della Siria, Cesa-
re Augusto decretò un censimento a scopo di tassazione, e che
tutti dovevano "recarsi nella propria città". Giuseppe era "del-
la casa e del lignaggio di Davide" e quindi doveva andare nel-
la "città di Davide, che è chiamata Betlemme". Questa deve es-
sergli sembrata una buona soluzione. Se non fosse che storica-
118
mente è completamente insensata, come è stato notato tra gli
altri da A. N. Wilson in "Jesus" e da Robin Lane Fox in "The
Unauthorized Version". Perché mai i romani avrebbero dovu-
to chiedere a Giuseppe di andare nella città dove era vissuto
un suo lontano antenato mille anni prima? E' come se a me
fosse richiesto di specificare come mia città di residenza, ad
esempio, Ashby-de-la-Zouch sul modulo di un censimento,
qualora io potessi per caso far risalire la mia linea genealogica
fino al Signeure de Dakeyne, che arrivò con Guglielmo il con-
quistatore e si stabilì in quel luogo.
Inoltre, Luca fa errori di datazione menzionando con legge-
rezza alcuni eventi che gli storici possono indipendentemente
verificare. È vero che c'è stato un censimento sotto il governa-
tore Quirino ― un censimento locale, non uno decretato da
Cesare Augusto per tutto l'impero ― ma avvenne troppo tar-
di: nell'anno del Signore 6, molto dopo la morte di Erode.
Lane Fox conclude che "la storia di Luca è storicamente im-
possibile e internamente incoerente", ma simpatizza con il de-
siderio di Luca di soddisfare la profezia di Micah.
Nell'edizione di Free Inquiry del dicembre 2004, Tom Flynn,
editore di quella eccellente rivista, mise insieme una collezio-
ne di articoli che documentavano le contraddizioni e i buchi
nella beneamata storia del Natale. Lo stesso Flynn elenca le
molte contraddizioni tra Matteo e Luca, gli unici due evangeli-
sti che trattino la nascita di Gesù. [...] Robert Gillooly mostra
come tutte le caratteristiche essenziali della nascita di Gesù,
compresa la stella nell'est, la nascita da una vergine, la venera-
zione del bambino da parte di re, i miracoli, l'esecuzione, la ri-
surrezione e l'ascensione, siano prese in prestito ― una per
una ― da altre religioni già esistenti nel Mediterraneo e nella
regione del medio oriente. Flynn suggerisce che il desiderio di
Matteo di soddisfare le profezie messianiche (la discendenza
da Davide, la nascita a Betlemme) per compiacere i lettori
ebrei entrò in conflitto con il desiderio di Luca di adattare il
cristianesimo per i Gentili, ed in tal modo ingraziarsi le fami-
liari religioni ellenistiche pagane (nascita da una vergine, ve-
nerazione da parte di re, eccetera). Le contraddizioni che risul-
119
tano da tutto ciò saltano palesemente all'occhio, ma sono rego-
larmente non viste dai fedeli.
I cristiani sofisticati non hanno bisogno di George Gershwin
per convincersi che " le cose che ti capita / di leggere nella Bib-
bia / non sono necessariamente vere". Ma ci sono tanti cristiani
non sofisticati là fuori che pensano che sia assolutamente e ne-
cessariamente così ― che prendono la Bibbia molto sul serio
come documento letterale ed accurato della storia, e quindi
come evidenza che supporta le loro credenze religiose. Ma
queste persone non aprono mai libro che credono essere la ve-
rità letterale? Perché non notano queste evidenti contraddizio-
ni? Non dovrebbero i letteralisti preoccuparsi del fatto che
Matteo faccia risalire la discendenza di Giuseppe a re Davide
attraverso 28 generazioni intermedie, mentre Luca presenta
41 generazioni? Ancora peggio, non c'è quasi alcuna sovrap-
posizione tra i nomi che compaiono nelle due liste! In ogni
caso, se davvero Gesù è nato da una vergine, la discendenza
di Giuseppe è irrilevante e non si può utilizzare per soddisfa-
re, verso Gesù, la profezia del vecchio testamento che il Mes-
sia dovrebbe discendere da Davide.
Lo studioso biblico americano Bart Ehrman, in un libro sot-
totitolato "La storia dietro chi modificò il nuovo testamento e
perché", mostra l'enorme incertezza che annebbia i testi del
nuovo testamento. Nell'introduzione al libro, il professor Ehr-
man illustra in modo commovente il suo viaggio personale di
educazione, dal credere nella Bibbia in modo fondamentalista
fino a divenire uno scettico assennato, viaggio guidato dalla
sua presa di coscienza della enorme fallibilità delle scritture.
Cosa significativa, mentre egli risaliva la gerarchia delle uni-
versità americane, dal fondo assoluto del "Moody Bible Insitu-
te", passando per il Wheaton College [...], fino a Princeton, in
ogni momento gli fu ricordato che avrebbe avuto problemi a
conservare la sua cristianità fondamentalista di fronte al peri-
coloso progressismo. La cosa si dimostrò infatti difficile; e noi,
i suoi elettori, ne siamo i beneficiari. Altri rinfrescanti libri ico-
noclasti di critica biblica sono "the unauthorized version" di
Robin Lane Fox, già menzionato, e "the secular bible: why
120
nonbelievers must take religion seriously" di Jacques Berliner-
blau.
I quattro Vangeli che sono entrati nel cannone ufficiale sono
stati scelti, più o meno arbitrariamente, da una rosa più vasta
di almeno dodici, tra cui il Vangelo di Tommaso, Pietro, Nico-
demo, Filippo, Bartolomeo, e Maria Maddalena. È a questi
Vangeli che si riferiva Thomas Jefferson nella sua lettera al ni-
pote:
Dimenticavo di osservare, quando parliamo del nuovo
testamento, che dovresti leggere tutte le storie di Cristo,
non solo quelle che un concilio di ecclesiastici ha deciso
che vadano considerate opera di pseudo-evangelisti.
Perché questi pseudo-evangelisti sostengono di avere
avuto un'ispirazione divina, tanto quanto gli altri, e devi
valutare tale pretesa con la tua stessa ragione, e non con
la ragione di quegli ecclesiastici.
I Vangeli che non ce l'hanno fatta sono stati omessi da quegli
ecclesiastici forse perché contenevano storie che erano ancor
meno plausibili ed ancor più imbarazzanti di quelle nei quat-
tro Vangeli canonici. Il Vangelo di Tommaso, ad esempio, con-
tiene numerosi aneddoti in cui Gesù abusa dei suoi poteri
magici come una fatina dispettosa, trasformando impietosa-
mente i suoi compagni di giochi in capre, o tramutando il fan-
go in passeri, o aiutando suo padre nel mestiere di carpentiere
allungando miracolosamente un pezzo di legno8. Si risponde-

8 A. N. Wilson, nella sua biografia di Gesù, mette in dubbio l'intera storia


che Giuseppe facesse il carpentiere. La parola greca tekton significa in
effetti carpentiere, ma fu tradotta dalla parola aramaica "naggar", che
potrebbe significare "craftsman" o "learned man". Questa è una delle
molte traduzioni errate che tormentano la Bibbia, la più famosa delle
quali è la traduzione erronea della parola "almah", che nell'ebraico di
Isaia significa "giovane donna", nella parola greca "vergine"
("parthenos"). Si tratta di un errore facile da fare (pensate alle parole
inglesi "maid" e "maiden" per rendervi conto di come ciò potrebbe
succedere), ma questo errore è stato gonfiato a tal punto da produrre
l'intera assurda leggenda che la madre di Gesù fosse una vergine!
L'unico concorrente per il titolo di "più grande errore di traduzione di
tutti i tempi" riguarda anch'esso le vergini. Ibn Warraq ha affermato in
121
rà che nessuno crede davvero alle crude storie di miracoli
come quelle che si trovano nel Vangelo di Tommaso. Ma non
c'è alcuna ragione per cui si debba credere di più (o di meno)
ai quattro Vangeli canonici. Tutti hanno lo status di leggende,
e sono tanto dubbi fattualmente quanto le storie di re Artù e i
cavalieri della tavola rotonda.
La maggior parte delle cose in comune ai quattro Vangeli
deriva da una fonte comune: o il Vangelo di Marco oppure un
lavoro perduto, di cui quello di Marco è il primo derivato
giunto fino a noi. Nessuno sa chi fossero i quattro evangelisti,
ma quasi certamente non incontrarono mai Gesù di persona.
Molto di ciò che scrissero non era affatto un tentativo onesto
di fare storia, ma semplicemente una continuazione del vec-
chio testamento, perché gli autori del Vangelo erano devota-
mente convinti che la vita di Gesù dovesse soddisfare le pro-
fezie del vecchio testamento. È perfino possibile fare l'ipotesi
storica seria, sebbene non largamente supportata, che Gesù
non sia mai vissuto, come è stato fatto, tra gli altri, dal profes-
sor G. A. Wells dell'Università di Londra in molti libri, tra cui
"Did Jesus exist?".
Sebbene Gesù sia probabilmente esistito, gli studiosi biblici
rispettabili generalmente non considerano il nuovo testamen-
to (e ovviamente neppure il vecchio testamento) come una
fonte attendibile di ciò che è successo davvero nella storia, ed
io non considererò più la Bibbia come evidenza di alcun tipo
di divinità. Nelle parole lungimiranti di thomas jefferson, che
scriveva al suo predecessore, John Adams, "verrà il giorno in
cui il mistico concepimento di Gesù, avente come padre un
essere supremo e come madre una vergine, sarà considerato
alla stregua della favola di Minerva nata dal cervello di Gio-
ve".

modo divertente che, nella famosa promessa di 72 vergini a ogni


martire musulmano, "vergine" sia una traduzione errata per "acini di
uva bianca di chiarezza cristallina". Se solo questa cosa fosse stata più
nota, quante vittime innocenti di missioni suicide avrebbero potuto
essere salvate? (Ibn Warraq, "Virgins? What virgins?", Free Inquiry 26:
1, 2006, 45-6)
122
Il romanzo "il Codice Da Vinci" di Dan Brown, e il film da
esso derivato, stanno suscitando un'enorme controversia nei
circoli ecclesiastici. Si incoraggiano i cristiani a boicottare il
film e ad assediare i cinema che lo proiettano. È vero che si
tratta di un'invenzione dall'inizio alla fine: una storia inventa-
ta di sana pianta. In questo senso, è esattamente come i Van-
geli. L'unica differenza tra il codice da Vinci e i Vangeli è che i
Vangeli sono fiction antica mentre il codice da Vinci è fiction
moderna.

I QUIZ MORALI. UNO STUDIO APPLICATO SULLE


RADICI DELLA MORALITÀ
(da “L'Illusione di Dio”, Richard Dawkins)

Se il nostro senso morale, come il desiderio sessuale, ha


davvero radici nel nostro passato darwiniano [vedi Parte II],
ed è quindi precedente alla religione, dovremmo aspettarci
che la ricerca sulla mente umana riveli alcuni precetti morali
universali, che scavalcano le barriere geografiche e culturali,
ed anche, crucialmente, le barriere religiose. Il biologo di
Harvard Marc Hauser, nel suo libro "Moral minds: how natu-
re designed our universal sense of right and wrong" [menti
morali: come la natura ha progettato il nostro senso universale
di giusto e sbagliato], ha continuato una linea fruttuosa di
esperimenti mentali proposti in origine da filosofi della mora-
le. Lo studio di Hauser servirà allo scopo aggiuntivo di intro-
durre il modo in cui ragionano i filosofi della morale. Viene
posto un ipotetico dilemma morale, e la difficoltà che noi ab-
biamo a rispondere ci dice qualcosa sul nostro senso di giusto
e sbagliato. Ma Hauser va oltre i filosofi, nel fatto che lui ef-
fettua dei sondaggi statistici e degli esperimenti psicologici,
usando questionari su Internet, per esempio, per investigare
sul senso morale di persone reali. Dal nostro punto di vista at-
tuale, ciò che ci interessa è che quasi tutte le persone arrivano
alla stessa decisione quando si presentano loro questi dilem-
mi; il loro accordo su queste stesse decisioni è forte, anche se
123
non sempre riescono a spiegare perché hanno preso quella
decisione. Questo è proprio ciò che dovremo aspettarci se
davvero avessimo un senso morale pre-programmato nei no-
stri cervelli, come l'istinto sessuale o la paura delle altezze o,
come lo stesso Hauser preferisce dire, la capacità di usare il
linguaggio (i dettagli variano da cultura a cultura, ma la strut-
tura profonda soggiacente della grammatica è universale).
Come vedremo, il modo in cui le persone rispondono a questi
test morali, e la loro incapacità di spiegare le loro ragioni,
sembrano largamente indipendenti dalle loro credenze reli-
giose o mancanza di esse. Il messaggio del libro di Hauser,
per anticiparlo con parole sue, è questo: "alla guida dei nostri
giudizi morali c'è una grammatica morale universale, una fa-
coltà della mente che si è evoluta per milioni di anni per inclu-
dere un insieme di principi per costruire una gamma di siste-
mi morali possibili. Come avviene per il linguaggio, noi non
siamo consapevoli dei principi che costituiscono la nostra
grammatica morale."
Alcuni tipici dilemmi morali di Hauser riguardano un “car-
rello ferroviario impazzito”, che corre senza controllo sulle
rotaie di un treno, e che minaccia di investire ed uccidere un
certo numero di persone. La storia più semplice consiste in
una persona, Denise, che si trova vicino ad uno scambio ferro-
viario ed è in grado di deviare il carrello verso un binario late-
rale, in tal modo salvando la vita di cinque persone intrappo-
late sul binario principale più avanti. Sfortunatamente c'è un
uomo intrappolato sul binario laterale. Ma poiché si tratta di
un solo uomo, la maggior parte delle persone è d'accordo che
per Denise sia moralmente lecito, se non obbligatorio, azio-
nare il cambio e salvare i cinque uccidendo l'uno. Ignoriamo
possibilità ipotetiche come il fatto che quell'uomo sul binario
laterale sia Beethoven, o un caro amico.
Elaborando questo esperimento mentale si arriva ad una se-
rie di dilemmi morali sempre più laceranti. Che dire se il car-
rello si può fermare facendo cadere un grosso peso sul suo
percorso da un ponte che si trova in alto? E' facile: ovviamente
dobbiamo gettare il peso. Ma che fare se l'unico grosso peso
124
disponibile è un uomo molto grasso che siede sul ponte, am-
mirando il tramonto? Quasi tutti convengono che sia immo-
rale spingere l'uomo grasso giù dal ponte, anche se, da un
certo punto di vista, il dilemma potrebbe sembrare analogo a
quello di Denise, dove azionare il cambio uccide una persona
per salvarne cinque. Ma la maggior parte di noi ha la forte
sensazione intuitiva che ci sia una differenza cruciale tra i due
casi, sebbene potremmo non essere in grado di articolarla a
parole.
L'uomo grasso spinto giù dal ponte ricorda un altro dilem-
ma che viene considerato da Hauser. In un ospedale stanno
morendo cinque pazienti, ognuno per una malattia ad un or-
gano diverso. Sarebbero tutti salvi se si trovasse un donatore
per il loro particolare organo difettoso, ma non ci sono dona-
tori disponibili. In quel momento il chirurgo nota che in sala
d'aspetto c'è un uomo perfettamente sano, con tutti e cinque
gli organi in buona condizione e adatti al trapianto. In questo
caso, non si riesce a trovare quasi nessuno che dica che l'atto
morale è uccidere l'uno per salvare i cinque.
Come per l'uomo grasso sul ponte, la sensazione intuitiva
che abbiamo quasi tutti noi è che non si può trascinare all'im-
provviso una persona innocente che passava lì per caso in
una situazione cattiva, ed utilizzarlo senza il suo consenso
per il bene di altri. Immanuel Kant notoriamente espresse il
principio che un essere razionale non si debba mai utilizzare
come mezzo non consenziente per uno scopo, anche se lo sco-
po è far del bene ad altri. Questo sembra fornire la differenza
cruciale tra il caso dell'uomo grasso sul ponte (o quello del-
l'uomo nella sala d'aspetto dell'ospedale) e l'uomo sul binario
laterale di Denise. L'uomo grasso sul ponte sta venendo deci-
samente usato come mezzo per fermare il carrello impazzito.
Questo viola chiaramente il principio di Kant. Invece, la perso-
na che si trova sul binario laterale non sta venendo usata per
salvare le vite delle cinque persone sul binario centrale. È il bi-
nario laterale che sta venendo usato, e l'uomo ha semplice-
mente la sfortuna di trovarsi su di esso al momento sbagliato.
Ma, quando esprimiamo la differenza in questo modo, perché
125
essa ci soddisfa? Per Kant, si tratta di un assoluto morale. Per
Hauser, è qualcosa di pre-programmato dentro di noi dall'e-
voluzione.
Le situazioni ipotetiche che coinvolgono carrelli impazziti
diventano sempre più ingegnose, e i dilemmi morali sempre
più tortuosi. Hauser mette a confronto i dilemmi che si trova-
no a fronteggiare due persone ipotetiche, Ned e Oscar. Ned si
trova vicino al binario ferroviario, vicino ad un cambio:

Diversamente da Denise, che poteva deviare il carrello su un


lato, il cambio che Ned potrebbe azionare devierebbe il car-
rello in un loop laterale che poi però tornerebbe di nuovo sul
binario principale, subito prima delle cinque persone. Sempli-
cemente azionare il cambio non aiuta: il carrello investirà co-
munque le cinque persone quando questo loop si ricongiunge-
rà al binario principale. Però, il caso vuole che ci sia un uomo
molto grasso sul loop laterale, abbastanza grasso da fermare
il carrello.
Dovrebbe Ned azionare il cambio e deviare il treno? L'intui-
zione della maggior parte delle persone è che non dovrebbe
farlo. Ma qual'è la differenza tra il dilemma di Ned e quello di
Denise? Presumibilmente le persone si stanno appellando in-
tuitivamente al principio di Kant. Denise , deviando il carrello,
gli impedisce di investire le cinque persone, e lo sfortunato
che viene ucciso sul binario laterale è un "danno collaterale",
per usare un termine affascinante di Rumsfeld. Egli non sta

126
venendo usato da Denise per salvare gli altri. Ned, invece, sta
realmente usando l'uomo grasso per fermare il carrello, e la
maggior parte delle persone (forse senza rendersene conto),
insieme a Kant (che se ne rende conto) vedono questa come
una differenza cruciale.
La differenza è di nuovo evidenziata dal dilemma di Oscar.
La situazione di Oscar è identica a quella di Ned, tranne che
c'è un grande peso di ferro sul loop laterale del binario, abba-
stanza pesante da fermare il carrello. Chiaramente Oscar non
dovrebbe avere problemi nel decidere di azionare il cambio e
deviare il carrello. Ma si dà il caso che ci sia un autostoppista
che cammina davanti al peso di ferro. Sarà certamente ucciso
se Oscar aziona il cambio, tanto quanto l'uomo grasso di Ned.
La differenza è che l'autostoppista di Oscar non sta venendo
usato per fermare il carrello: egli è danno collaterale, come nel
dilemma di Denise. Come Hauser, e come la maggior parte
delle persone che si sono sottoposte al test di Hauser, io sento
dentro di me che è lecito per Oscar azionare l'interruttore, ma
per Ned no. Ma anche io trovo molto difficile giustificare que-
sta mia intuizione. Il punto di Hauser è che spesso non riflet-
tiamo su queste intuizioni morali ma comunque le sentiamo
fortemente dentro di noi, a causa della nostra eredità evoluti-
va.
Avventurandosi in modo affascinante nell'antropologia,
Hauser e i suoi colleghi adattarono i loro esperimenti morali
per i Kuna, una piccola tribù dell'America centrale con po-
chissimi contatti con gli occidentali e senza alcuna religione
formale. I ricercatori modificarono l'esperimento del carrello
con appropriati equivalenti locali, come dei coccodrilli che
nuotavano verso le canoe. Con trascurabili differenze dovute a
questa traduzione, i Kuna mostrano gli stessi giudizi morali
del resto di noi.
Cosa di particolare interesse per questo libro, Hauser si è
anche chiesto se le persone religiose differiscano dagli atei
nelle loro intuizioni morali. Naturalmente, se la nostra mora-
le deriva dalla religione, dovrebbero essere differenti. Ma sem-
bra che non sia così. Hauser, lavorando con il filosofo della
127
morale Peter Singer, si concentrò su tre dilemmi ipotetici e
confrontò i verdetti degli atei con quelli dei religiosi. In ogni
caso, ai soggetti si domandava di scegliere se un'azione ipote-
tica sia moralmente "obbligatoria", "lecita" o "vietata". I tre di-
lemmi erano:
1. Il dilemma di Denise. Il 90% delle persone rispose
che è lecito deviare il carrello, uccidendo l'uno per
salvare i cinque.
2. Vedi un bambino che affonda in uno stagno e non
c'è alcun altro aiuto in vista. Puoi salvare il bambino,
ma i tuoi pantaloni andranno distrutti nel far ciò. Il
97% delle persone è d'accordo che si debba salvare il
bambino (sorprendentemente, il 3% apparentemente
preferisce salvare i pantaloni).
3. Il dilemma descritto prima sul trapianto degli orga-
ni. Il 97% dei soggetti conclude che è moralmente
vietato requisire la persona in salute che si trova in
sala d'attesa ed ucciderla per avere i suoi organi, sal-
vando in tal modo altre cinque persone.
La conclusione principale dello studio di Hauser e Singer fu
che non c'è alcuna differenza statisticamente significativa tra
gli atei e i credenti religiosi nel dare questi giudizi. Questo
sembra compatibile con la visione, che io e molti altri abbia-
mo, che non abbiamo bisogno di Dio per essere buoni ― o cat-
tivi.9

9 Per chi volesse approfondire questi temi (innatismo dei nostri principi
morali), consiglio i saggi:
• Il gene egoista, Richard Dawkins
• The moral animal: why we are the way we are, Robert Wright
• The origins of virtue: Human Instincts and the Evolution of
Cooperation, Matt Ridley
• Why good is good, Robert Hinde
• The science of good and evil, Michael Shermer
• Can we be good without god? , Robert Buckman
• Moral minds, Marc Hauser
• Come funziona la mente, Steven Pinker
128
UCCIDERE UNA “PERSONA POTENZIALE”
(da “L'Illusione di Dio”, Richard Dawkins)

La mossa successiva degli antiabortisti nella partita di scac-


chi verbale procede su queste linee. Non importa se un em-
brione umano non è capace di soffrire nel presente. Ciò che
conta è il suo potenziale. L'aborto lo priva dell'opportunità di
avere una vita umana completa nel futuro. Questa nozione è
rappresentata da un argomento la cui estrema stupidità è l'u-
nica difesa contro l'accusa di disonestà. Sto parlando della
grande Fallacia di Beethoven, che si presenta in varie versioni.
Peter e Jean Medawar, in “The Life Science”, lo presentano
nella forma [...] di un dialogo ipotetico tra due medici:
"Vorrei la tua opinione sull'interruzione di una gravi-
danza. Il padre aveva la sifilide, la madre la tubercolosi.
Dei quattro fratelli nati, il primo era cieco, il secondo
morto, il terzo sordomuto, il quarto tubercolotico an-
ch'esso. Cosa avresti fatto?"
"Avrei terminato la gravidanza."
"Allora avresti ucciso Beethoven."
Su internet, questi aneddoti su Beethoven si presentano in
modo sempre diverso (con malattie sempre diverse e con un
numero di fratelli oscillante tra 5 e 9) e non sono in ogni caso
storicamente esatti. [....]
La storia è completamente falsa. In realtà Ludwig Van Bee-
thoven non era né il nono né il quinto figlio dei suoi genitori.
Era il più anziano (tecnicamente il secondo, ma il primo morì
nell'infanzia, come era comune a quel tempo, e non era, per
quanto se ne sa, né sordo né cieco né ritardato). Non c'è evi-
denza che alcuno dei genitori avesse la sifilide, sebbene sia
vero che la madre finì per morire di tubercolosi. Era molto co-
mune a quel tempo.
Si tratta in realtà di una leggenda metropolitana bella e buo-
na, un'invenzione, deliberatamente messa in giro da gente che
aveva interesse a diffonderla. Ma il fatto che sia una menzo-
129
gna è, comunque, del tutto irrilevante. Anche se non lo fosse,
l'argomento derivato da essa è un pessimo argomento. Peter e
Jean Medawar non ebbero bisogno di mettere in discussione la
verità della storia per mettere a nudo la fallacia dell'argomen-
to:
Il ragionamento dietro questo misero e odioso argomen-
to è fallace in modo surreale perché, a meno che non si
sostenga che c'è qualche nesso causale tra l'avere una
madre tubercolotica e un padre con la sifilide ed il ge-
nerare un genio musicale, non è più probabile privare
il mondo di Beethoven mediante l'aborto che mediante
l'astinenza sessuale.
È impossibile replicare al modo brutale e laconico con cui i
Medawar liquidano questo argomento. (Prendendo in prestito
la trama di una storia breve di Roald Dahl, potremmo dire
che una decisione di non abortire presa nel 1888 ha prodotto
Hitler.) Ma occorre un po' di intelligenza ― o forse di indi-
pendenza da un certo genere di educazione religiosa ― per
capire qual è il punto chiave. Dei 43 siti web "pro-life" conte-
nenti una versione della leggenda di Beethoven che ho trovato
cercando con Google, neppure uno ha individuato l'errore lo-
gico nell'argomento. Ognuno di loro (erano tutti siti religiosi,
tra parentesi) è caduto in pieno nella fallacia. Uno di essi ha
persino citato lo stesso Medawar (scritto erroneamente Me-
davvar) come la fonte originale dell'argomento. Queste perso-
ne erano così desiderose di credere ad una fallacia che suppor-
tava la loro fede, da non notare neppure che i Medawar ave-
vano citato l'argomento solo per demolirlo.
Come i Medawar notano in modo del tutto corretto, l'argo-
mento dell' "individuo potenziale" implica che noi impedia-
mo ad un essere umano di esistere ogni volta che diciamo di
no all'opportunità di avere un rapporto sessuale. Con questa
bislacca logica, ogni nostro rifiuto ad una proposta di copula-
zione da parte di un individuo fertile sarebbe equivalente
all'omicidio di un bambino potenziale! Anche resistere ad
uno stupro potrebbe essere considerato come l'omicidio di

130
un bambino potenziale (e, tra parentesi, ci sono moltissimi
propagandisti 'pro-life' che negherebbero la possibilità di
abortire anche alle donne che sono state brutalmente
stuprate). L'argomento di Beethoven, come possiamo facil-
mente vedere, è pessima logica. La sua idiozia surreale è ben
raffigurata dalla splendida canzone "ogni sperma è sacro" di
Michael Palin [...]. La Grande Fallacia di Beethoven è un tipico
esempio del disastro logico in cui ci impantaniamo quando la
nostra mente è annebbiata dall'assolutismo ispirato dalla reli-
gione.
Notate che 'pro-life' non significa affatto 'dalla parte della
vita'. Significa 'dalla parte della vita umana'. La decisione di
garantire un diritto speciale ed unico alla specie Homo Sapiens
è difficile da riconciliare con il fatto dell'evoluzione. Di certo,
questo non preoccupa quei tanti anti-abortisti che non capi-
scono neppure che l'evoluzione è un fatto! [...]
L'umanità delle cellule di un embrione non può conferire a
queste cellule uno status morale assolutamente discontinuo.
Non può, a causa della nostra continuità evolutiva con gli
scimpanzè e, più oltre, con ogni specie del nostro pianeta. Per
rendervi conto di ciò, immaginate che una specie intermedia,
diciamo l'australopithecus afarensis, fosse riuscita a sopravvive-
re e fosse scoperta in una parte remota dell'Africa. Questa
creatura conterebbe come 'umana' o no? Per un consequenzia-
lista come me, questa domanda non merita risposta, perché
una risposta positiva o negativa non avrebbe comunque con-
seguenze. Mi basta il fatto che noi saremmo affascinati ed ono-
rati di incontrare una nuova 'Lucy' [Lucy è il soprannome con
cui i biologi chiamano il più recente antenato di tutti gli uomi-
ni viventi. Non sappiamo quando sia vissuto ma sappiamo
che è esistito]. Invece l'assolutista deve rispondere a questa
domanda, per poter applicare il principio morale di garantire
agli umani uno status speciale ed unico perché sono umani. [...]
dovrebbero presumibilmente predisporre delle Corti di Giu-
stizia, come quelle per l'apartheid in Sud Africa, per decidere
se ciascun individuo particolare dovrebbe essere considerato
'umano'.
131
Anche se potremmo cercare di rispondere affermativamente
alla domanda per quanto riguarda l'Australopthecus, la conti-
nuità graduale che è una caratteristica ineludibile dell'evolu-
zione biologica ci dice che ci deve essere qualche individuo in-
termedio che sarebbe abbastanza vicino alla 'linea di confine'
da impedirci di rispondere alla domanda, e quindi impedirci
di applicare il principio morale distruggendone l'assolutezza.
Un modo migliore di dire tutto ciò è che nell'evoluzione non ci
sono linee di demarcazione naturali. L'illusione di una linea
di demarcazione nasce dal fatto che gli individui intermedi
nell'evoluzione si sono estinti.
Naturalmente si potrebbe sostenere che gli umani, rispetto
alle altre specie, sono più capaci, ad esempio, di soffire. Que-
sto potrebbe benissimo essere vero, e potremmo legittima-
mente dare agli esseri umani uno status speciale per questo
motivo. Ma la continuità evolutiva mostra che non esiste una
distinzione assoluta. La discriminazione morale dell'assolutista
è minata in modo devastante dall'evidenza dell'evoluzione.
Una sconfortante consapevolezza di questo fatto potrebbe, in
realtà, essere una delle cause per cui i creazionisti si oppongo-
no all'evoluzione: temono quella che credono essere la sua
conseguenza morale. Si sbagliano nel credere ciò ma, in ogni
caso, se ci pensate, è strano che una verità del mondo reale
possa essere negata a causa di considerazioni su cosa sarebbe
desiderabile moralmente.

COME LA MORALE UMANA CAMBIA NEL TEMPO


(da “L'Illusione di Dio”, Richard Dawkins)

7.4 Lo Zeitgeist morale


Questo capitolo è cominciato mostrando che noi ― anche
quelli religiosi tra di noi ― non basiamo la nostra moralità
sulle sacre scritture, non importa se ne ne siamo consapevoli o
no. Ma allora come decidiamo cosa è giusto e cosa è sbagliato?
Indipendentemente da come rispondiamo a questa domanda,
c'è un consenso su ciò che di fatto consideriamo giusto e sba-
132
gliato: un consenso sorprendentemente largo. Tale consenso
non ha alcuna connessione ovvia con la religione. Si estende
però alla maggior parte delle persone religiose, che essi creda-
no o meno che la loro morale venga dalle scritture. Con ecce-
zioni notevoli, come i talebani afghani e gli equivalenti cristia-
ni americani, la maggior parte delle persone rispetta con va-
sto consenso gli stessi principi etici liberali. La maggioranza
di noi non causa sofferenza inutile; crediamo nella libertà di
parola e la proteggiamo anche se non siamo d'accordo con ciò
che viene detto; paghiamo le tasse; non inganniamo, non ucci-
diamo, non commettiamo incesto, non facciamo agli altri cose
che non vorremmo fossero fatte a noi. Alcuni di questi buoni
principi si possono trovare nei libri sacri, ma sepolti a fianco
di molte altre cose che nessuna persona decente desidererebbe
seguire: e i libri sacri non ci forniscono alcuna regola per di-
stinguere i principi buoni da quelli cattivi.
Un modo di esprimere la nostra etica consensuale è stilando
una specie di "nuovi 10 comandamenti". Vari individui ed isti-
tuzioni hanno avuto questa idea. La cosa significativa è che
tendono a produrre risultati molto simili tra di loro, e ciò che
essi producono è caratteristica del tempo in cui vivono. Ecco
un insieme di nuovi 10 comandamenti di oggi, che ho trovato
casualmente su un sito Web di atei.
• Non fare ad altri ciò che non vorresti fosse fatto a te.
• In ogni cosa, cerca di non causare sofferenza o danno.
• Tratta gli altri esseri umani, le altre cose viventi, e il
mondo in generale, con amore, onestà, fedeltà e rispet-
to.
• [..]
• Vivi la tua vita con un senso di gioia e meraviglia.
• Cerca sempre di imparare qualcosa di nuovo.
• Metti alla prova tutto; controlla sempre le tue idee
contro i fatti, e sii sempre pronto ad abbandonare an-
che la tua credenza più cara se non si conforma ad
essi.
133
• Non cercare mai di censurare, o di tagliare te stesso
fuori dal dissenso; rispetta sempre il diritto degli altri
di non essere d'accordo con te.
• Sviluppa delle opinioni indipendenti sulla base delle
tue personali ragioni ed esperienze; non permettere a
te stesso di farti condurre ciecamente dagli altri.
• Metti in discussione tutto.
Questa piccola collezione non è il lavoro di un grande saggio
o un profeta o un eticista professionista. È solo il normale la-
voro di un blogger che cerca di riassumere i principi della buo-
na vita oggi, in comparazione con i 10 comandamenti. È la pri-
ma lista che ho trovato quando ho digitato "nuovi 10 coman-
damenti" in un motore di ricerca, e deliberatamente non ho
cercato oltre. Il punto è proprio che questo è il tipo di lista che
qualunque persona comune e decente produrrebbe oggi. Non
tutti produrrebbero esattamente la stessa lista. Il filosofo John
Rawls potrebbe includere qualcosa del genere: "Designa sem-
pre le tue regole come se non sapessi se sarai in cima o in fon-
do alla lista di quelli che raccolgono". Un esempio pratico del
principio di Rawls è un sistema per condividere il cibo, che
sembra essere di origine Inuit: colui che taglia a fette il cibo è
quello che prende la sua fetta per ultimo.
Se dovessi fare io dei 10 comandamenti, sceglierei alcuni di
quelli sopra, ma cercherei di trovare spazio anche per i se-
guenti, tra gli altri:
• Goditi la tua vita sessuale (fino a che non danneggia
nessun altro) e lascia che gli altri si godano la propria
in privato, qualunque siano le loro inclinazioni, che
non sono affari tuoi.
• Non discriminare o opprimere qualcuno sulla base del
sesso, della razza o (per quanto possibile) della specie.
• Non indottrinare i tuoi bambini. Insegna loro a pensa-
re da soli, a valutare l'evidenza, e ad essere in disac-
cordo con te.
• Dai valore al futuro su una scala temporale più lunga
134
della tua vita.
Ma non importano queste piccole differenze di priorità. Ciò
che conta è che quasi tutti abbiamo fatto progressi in avanti,
ed in un modo enorme, dai tempi della Bibbia. La schiavitù,
che era data per scontata nella Bibbia e nella maggior parte
della nostra storia, fu abolita nei paesi civili nel diciannovesi-
mo secolo. Oggi tutte le nazioni civilizzate accettano ciò che
era largamente negato fino al 1920, cioè che il voto di una
donna, in un'elezione o in una giuria, valga quanto quello di
un uomo. Nelle società illuminate di oggi (una categoria che
evidentemente non include, per esempio, l'Arabia Saudita),
le donne non sono più considerate come una cosa di proprie-
tà, come invece erano chiaramente considerate nei tempi bibli-
ci. Qualunque sistema legale moderno avrebbe messo Abra-
mo sotto processo per abuso di minori. E se avesse davvero
portato a termine il suo piano di sacrificare Isacco, lo avrem-
mo condannato per omicidio di primo grado. Eppure, secondo
i costumi del suo tempo, la sua condotta era interamente am-
mirevole, obbedendo essa al comandamento di Dio. Religiosi
o meno, tutti abbiamo cambiato enormemente la nostra idea
di cosa è buono che cosa non lo è. Qual è la natura di questo
cambiamento, e che cosa lo guida?
In qualunque società esiste una specie di consenso misterio-
so, che cambia nei decenni, e per il quale non è inappropriato
usare la parola tedesca Zeitgeist (spirito dei tempi). Ho detto
che il suffragio femminile ora è universale nelle democrazie
del mondo, ma questa riforma è in realtà sorprendentemente
recente. Ecco alcune date in cui fu consentito alle donne di
votare:
• Nuova Zelanda 1893
• Australia 1902
• Finlandia 1906
• Norvegia 1913
• Stati Uniti 1920
• Gran Bretagna 1928
• Francia 1945

135
• Belgio 1946
• Svizzera 1971
• Kuwait 2006
Il modo in cui queste date sono disposte in tutto il ventesimo
secolo è segno dello Zeitgeist che avanza. Un altro segno è il
nostro atteggiamento verso la razza. Nella prima parte del
ventesimo secolo, quasi tutti gli abitanti della Gran Bretagna
(e anche di molti altri paesi) sarebbero giudicati razzisti se-
condo gli standard odierni. La maggioranza delle persone
bianche credeva che le persone nere (nella cui categoria avreb-
bero messo tanto gli africani, molto diversi tra loro, che gruppi
scorrelati dall'India, Australia e Melanesia) fossero inferiori
alle persone bianche in quasi ogni campo eccetto il senso del
ritmo. L'equivalente del 1920 di James Bond era il piacevole e
sofisticato eroe dell'adolescenza, Bulldog Drummond. in un
romanzo, The Black Gang, Drummond si riferisce agli "ebrei,
stranieri, e altre persone che non si lavano". Nella scena cul-
mine di "the female of the species", Drummond si traveste in-
gegnosamente da Pedro, il servitore negro del super cattivo di
turno. Per rivelare in modo drammatico, al lettore così come al
cattivo, che "Pedro" altri non era che lo stesso Drummond,
avrebbe potuto dire "tu pensi che io sia Pedro. Non capisci
niente, sono il tuo ultra-rivale Drummond, dipinto di nero". .
Invece scelse queste parole: "non tutte le barbe sono false, ma
tutti i negri puzzano. Questa barba non è falsa, caro mio, e
questo negro non puzza. Così, mi viene in mente che c'è qual-
cosa che non va". L'ho letto negli anni 50, trent'anni dopo che
fu scritto, ed era ancora possibile (a malapena) per un ragaz-
zo emozionarsi per il racconto e allo stesso tempo non notare
il razzismo. Oggi, sarebbe inconcepibile. Thomas Henry Hu-
xley, per gli standard del suo tempo, era un progressista libe-
rale e illuminato. Ma i suoi tempi non erano i nostri, e nel 1871
egli scrisse ciò che segue:
Nessun uomo razionale, che riesca a comprendere i fatti,
crede che il negro medio sia uguale, o ancor meno supe-
riore, all'uomo bianco. E per questo motivo è semplice-

136
mente impensabile che, quando tutte le sue disabilità
vengano rimosse, e il nostro prognato simile si trovi in
una situazione equa senza essere avvantaggiato né op-
presso, egli riesca a competere con successo con il suo ri-
vale con il cervello più grande e la mascella più piccola,
in una competizione che riguardi il pensiero e non i
morsi. I posti più alti nella gerarchia della civiltà non
sono certamente alla portata dei nostri cugini di colore.
È norma comune che un bravo storico non giudichi le affer-
mazioni dei tempi passati secondo gli standard del proprio
tempo. Abramo Lincoln, come Huxley, era in anticipo rispet-
to al suo tempo, eppure i suoi punti di vista su questioni di
razza suonano tremendamente razziste nel nostro tempo. Ec-
colo qui in un dibattito del 1858 con Stephen A. Douglas:
Dirò che io non sono, e non sono mai stato, in favore di
sostenere in qualunque modo l'uguaglianza politica e
sociale tra la razza bianca e quella nera; che non sono, e
non sono mai stato, in favore di permettere ai negri di
votare o di essere membri di una giuria, né di candidarsi
a cariche pubbliche, né di sposarsi con i bianchi; e dirò
che, in aggiunta a ciò, tra la razza bianca e quella nera
c'è una differenza fisica che credo impedirà per sempre
alle due razze di vivere insieme in termini di uguaglian-
za politica e sociale. E visto che non possono vivere in
uguaglianza, finché rimangono insieme, uno deve essere
in posizione di superiore e l'altro in posizione di inferio-
re, ed io, come qualunque altra persona, sono in favore
di assegnare la posizione superiore alla razza bianca.
Se Huxley e Lincoln fossero nati e fossero stati educati nel
nostro tempo, sarebbero stati i primi a rabbrividire insieme a
tutti noi del loro stesso sentimento vittoriano e del tono un-
tuoso. Io li cito solo per illustrare come si muova lo Zeitgeist.
Se persino Huxley, una delle grandi menti liberali della sua
epoca, e persino Lincoln, che liberò gli schiavi, hanno potuto
dire queste cose, immaginate che cosa dovevano pensare le
normali persone dell'epoca vittoriana. Andando indietro fino

137
al diciottesimo secolo è ben noto, naturalmente, che Washing-
ton, Jefferson e altri uomini dell'Illuminismo avevano degli
schiavi. Lo Zeitgeist avanza, così inesorabilmente che spesso
lo diamo per scontato e dimentichiamo che il cambiamento è
un fenomeno reale di per sé.
Ci sono molti altri esempi. Quando i naviganti approdarono
per la prima volta alle Mauritius e videro la gentile razza dei
"dodo", non venne loro in mente niente di diverso che ucci-
derli tutti con delle mazze. Non volevano neppure mangiarli
(erano descritti come immangiabili). Presumibilmente, l'atto di
colpire uccelli miti, indifesi, incapace di volare, in testa con
una clava era semplicemente una cosa come un'altra da fare.
Oggigiorno un tale comportamento sarebbe impensabile, e
l'estinzione di una razza come il dodo, anche se avvenisse per
caso (lasciamo perdere per un uccisione deliberata degli uomi-
ni), viene considerata una tragedia.
Una tragedia simile, per gli standard culturali odierni, è sta-
ta la più recente estinzione del "Thylacinus", il lupo della Ta-
smania [un animale incredibilmente somigliante al lupo, ma
marsupiale]. Queste creature oggi terribilmente rimpiante
avevano una taglia sulla loro testa addirittura fino al 1909. Nei
romanzi vittoriani dell'Africa, " l'elefante", " il leone" e " l'anti-
lope" (notare l'uso del nome al singolare, particolare rivelato-
re) sono considerati "gioco", e quello che si fa ad un gioco, sen-
za pensarci due volte, è sparargli. Non per avere cibo. Non per
autodifesa. Per "sport". Ma adesso lo Zeigeist è cambiato. È
vero, ci possono essere ancora dei ricchi, sedentari uomini
"sportivi" che sparano ad animali selvaggi dell'Africa dalla si-
curezza della loro Land-Rover, e riportano a casa le teste im-
pagliate. Ma devono pagare fior di quattrini per farlo, e sono
largamente disprezzati per questo. La conservazione della
vita selvaggia e dell'ambiente sono diventati dei valori co-
munemente accettati, con lo stesso status morale che una vol-
ta era accordato al rispetto del sabato e al divieto di produrre
raffigurazioni [graven images].
Gli anni 60 sono leggendari per la loro modernità liberale.
Ma all'inizio di quella decade un'avvocato dell'accusa, nel pro-
138
cesso per oscenità di "l'amante di Lady Chatterley", poteva an-
cora chiedere alla giuria: "Approvereste che i vostri giovani fi-
gli, e le giovani figlie ― perché le ragazze sono capaci di leg-
gere tanto quanto i ragazzi... " (riuscite a credere che abbia det-
to questo ?) "... leggessero questo libro? E' forse un libro che vi
piacerebbe lasciare in giro per casa vostra? E' un libro che de-
siderereste far vedere finanche alle vostre mogli o ai vostri ser-
vitori?". Quest'ultima domanda retorica è un'illustrazione par-
ticolarmente scioccante della velocità con cui avanza lo Zeit-
geist.
L'invasione americana dell'Iraq è largamente condannata
per le sue perdite civili, eppure l'entità di queste perdite è in-
feriore per molti ordini di grandezza alle perdite della secon-
da guerra mondiale. Sembra che lo standard di ciò che è accet-
tabile si sposti costantemente. Donald Rumsfeld, che oggi
suona a noi così odioso e spietato, sarebbe sembrato un libera-
le dal cuore sanguinante se avesse detto le stesse cose durante
la seconda guerra mondiale. Qualcosa si è spostato nelle deca-
di intermedie. Si è spostato in tutti noi, e lo spostamento non
ha alcuna connessione con la religione. Semmai, esso avviene
nonostante la religione, non a causa di essa.
Lo spostamento avviene in una direzione riconoscibile e
consistente, che molti di noi considererebbero un migliora-
mento. Persino Adolf Hitler, largamente considerato come
colui che ha portato il male verso vette inesplorate, non si
sarebbe distinto affatto ai tempi di Caligola o di Gengis
Khan. Senza dubbio Hitler ha ucciso più persone di Gengis
Khan, ma aveva a sua disposizione la tecnologia del ventesi-
mo secolo. E Hitler traeva forse il più grande piacere, come face-
va Gengis Khan, dalla vista dei "parenti più stretti delle sue
vittime che versavano fiumi di lacrime"? Giudichiamo il grado
di malvagità di Hitler secondo gli standard di oggi, e lo Zeit-
geist morale è avanzato dai tempi di Caligola, proprio come la
tecnologia. Hitler sembra particolarmente malvagio solo negli
standard benigni del nostro tempo.
Nell'arco della mia vita, molte persone sbandieravano senza
preoccuparsi soprannomi denigratori e stereotipi nazionali:
139
Frog, Wop, Dago, Hun, Yid, Coon, Nip, Wog. Non affermerò
che queste parole siano scomparse, ma ora sono largamente
disprezzate nei circoli educati. La parola "negro", anche quan-
do non è intesa come un insulto, si può usare per datare un
brano di prosa inglese. I pregiudizi rivelano la data di un bra-
no scritto. Al suo tempo, un rispettato teologo di Cambridge,
A. C. Bouquet, poté cominciare il capitolo sull'Islam del suo li-
bro "comparative religion" con queste parole: "il semita non è
un monoteista naturale, come si pensava circa nella metà del
diciannovesimo secolo. È un animista". L'ossessione verso la
razza (contrapposta alla cultura) e l'uso rivelatore del singola-
re (il semita... è un animista) per ridurre un'intera pluralità di
persone ad un "tipo" non sono considerati odiosi in alcuno
standard. Ma sono un altro piccolo indicatore dello Zeigeist
che si muove. Nessun professore di Cambridge, di teologia o
di alcuna altra materia, oggi userebbe queste parole. Questi
sottili indizi dei mores che cambiano ci dicono che Bouquet
stava scrivendo non più tardi della metà del ventesimo secolo.
Era infatti il 1941.
Andiamo ancora indietro di altre quattro decadi, e gli stan-
dard che cambiano sono impossibili da non notare. In un libro
precedente ho citato l'utopistico "New Republic" di H. G.
Wells, e lo farò di nuovo adesso perché è un'illustrazione
scioccante della mia tesi.
Questa Nuova Repubblica, come dovrebbe trattare le
razze inferiori? Come si comporterà con i neri? ... i
gialli? ... gli ebrei? ... Con tutta l'accozzaglia di gente di
colore nero, marrone, bianco sporco e giallo, che non
soddisfa i nuovi bisogni di efficienza? Beh, il mondo è
un mondo, non un'istituzione caritatevole, e presumo
che dovranno essere eliminati... Ed il sistema etico di
questi uomini della nuova Repubblica, il sistema etico
che dominerà lo stato del mondo, sarà modellato prin-
cipalmente in favore della procreazione di ciò che è
corretto, efficiente e bello nell'umanità ― corpi belli e
forti, menti chiare e capaci... e il metodo che la natura
ha seguito fino adesso nel plasmare il mondo, il meto-
140
do col quale alla debolezza fu impedito di propagare
la debolezza... è la morte... Gli uomini della nuova Re-
pubblica... avranno un ideale che renderà l'uccisione
degna di essere compiuta.
Questo fu scritto nel 1902, e Wells era considerato un pro-
gressista nel suo tempo. Nel 1902 tali sentimenti, sebbene
non largamente condivisi, sarebbero stati assolutamente
appropriati per una conversazione a tavola in un party sera-
le. I lettori moderni, invece, letteralmente sussultano d'orrore
quando vedono queste parole. Siamo costretti a renderci con-
to che Hitler, abominevole come era, non era affatto così
fuori dallo Zeitgeist del suo tempo quanto sembra a noi oggi,
dal nostro punto di vantaggio. Come si muove rapidamente lo
Zeitgeist ― e si muove in parallelo, in un fronte largo, in tutto
il mondo istruito.
Allora, da dove sono venuti questi cambiamenti stabili e
costanti nella coscienza della società? L'onere della risposta
non spetta a me. Per i miei scopi è sufficiente che certamente
essi non derivano dalla religione. Se proprio dovessi avanza-
re una teoria, mi muoverei sulle linee seguenti. Dobbiamo
spiegare perché il cambiamento dello Zeitgeist morale è sin-
cronizzato così largamente tra grandi numeri di persone; e
dobbiamo spiegare la sua direzione relativamente consisten-
te.
Primo, come si sincronizza attraverso così tante persone? Si
diffonde da una mente all'altra attraverso le conversazioni
nei bar e nei party serali, attraverso i libri e le recensioni dei li-
bri, attraverso i giornali e le trasmissioni in broadcast, e oggi-
giorno attraverso Internet. I cambiamenti nel clima morale
vengono segnalati negli editoriali, negli show radiofonici, nei
discorsi politici, nei discorsi dei cabarettisti e nei copioni delle
soap-opera, nei voti del Parlamento nel fare le leggi e nelle de-
cisioni dei giudici nell'interpretarle. Un modo di porre la que-
stione sarebbe in termini di "frequenze memetiche mobili nel
pool dei memi", ma non mi addentrerò in questo discorso.
[Per la teoria della "memetica" vedere il libro di Dawkins "Il

141
gene egoista"].
Alcuni di noi rimangono indietro rispetto all'onda avanzante
dello Zeitgeist morale, e altri di noi sono leggermente in anti-
cipo. Ma la maggior parte di noi nel ventunesimo secolo sono
molto vicini l'uno con l'altro, e siamo tutti molto avanti ri-
spetto ai nostri predecessori del medioevo, o del tempo di
Abramo, o persino degli anni 20. Tutta l'onda continua a
muoversi, e persino quelli che sono all'avanguardia in un cer-
to secolo (Huxley è l'esempio ovvio) si troverebbero molto in-
dietro rispetto agli ultimi del secolo successivo. Naturalmente,
l'avanzamento non segue una dolce inclinazione, ma una
curva scoscesa e a forma di dentatura. Ci sono dei passi indie-
tro locali e temporanei, come quello che gli Stati Uniti stanno
soffrendo dal governo agli inizi del 2000. Ma su una scala tem-
porale più lunga, la tendenza progressiva è indiscutibile e
continuerà.
Cosa spinge lo Zeitgeist nella sua direzione consistente?
Non dobbiamo trascurare i ruoli fondamentali dei leader in-
dividuali che, in anticipo rispetto al loro tempo, persuadono il
resto di noi a muoverci con loro. In America, gli ideali di
uguaglianza razziale furono spinti da leader politici del cali-
bro di Martin Luther King, e di uomini di spettacolo, sportivi
e altri personaggi pubblici e "modelli di vita" come Paul Robe-
son, Sidney Poitier, Jesse Owens e Jackie Robertson. L'emanci-
pazione degli schiavi e delle donne deve molto a leader cari-
smatici. Alcuni di questi leader erano religiosi, altri non lo era-
no. In altri casi la loro religione era un fatto accidentale. Sebbe-
ne Martin Luther King fosse cristiano, egli derivò la sua filoso-
fia e la sua disobbedienza civile non-violenta direttamente da
Gandhi, che non lo era.
Poi c'è la migliore istruzione e, in particolare, la compren-
sione sempre maggiore che ognuno di noi condivide un "fat-
tore di umanità" con membri di altre razze e dell'altro sesso
― due idee profondamente anti-bibliche, che derivano dalla
scienza biologica, specialmente dall'evoluzione. Una delle ra-
gioni per cui le persone di colore, le donne e (nella germania
nazista) gli ebrei e gli zingari sono stati trattati male è che non
142
erano percepiti come pienamente umani. Il filosofo Peter
Singer, in "Animal Liberation", è il più eloquente sostenito-
re dell'idea che dovremmo passare ad una condizione di
post-specismo, in cui il trattamento riservato agli uomini è
esteso a tutte le specie animali che hanno la capacità cerebra-
le di apprezzarlo. Forse è questa la direzione in cui lo Zeitgei-
st morale si sposterà nei secoli futuri. Sarebbe una naturale
estrapolazione di riforme precedenti come l'abolizione della
schiavitù e l'emancipazione delle donne. Non ho la pretesa
di spiegare ― ciò andrebbe oltre la mia conoscenza amatoriale
di psicologia e sociologia ― perché lo Zeitgeist morale si muo-
va nel suo modo largamente concorde. Per i miei scopi è suffi-
ciente notare che, come dato di fatto osservato, esso si muove,
e non è guidato dalla religione ― e certamente non dalle Scrit-
ture. Probabilmente non è una singola forza come la gravità,
ma una complessa interazione di forze disparate come quella
che spinge la legge di Moore, legge che descrive l'incremento
esponenziale nella potenza dei computer. Qualunque sia la
causa, il fenomeno manifesto del progresso dello Zeitgeist è
più che sufficiente a minare l'affermazione che abbiamo bi-
sogno di Dio per essere buoni, o per decidere cosa è buono.

IL FONDAMENTALISMO E LA SOVVERSIONE DELLA


SCIENZA
(da “L'Illusione di Dio”, Richard Dawkins)

I fondamentalisti sanno di avere ragione perché hanno letto


la verità in un libro sacro, e sanno, in anticipo, che niente li
smuoverà mai dalle loro credenze. La verità di quel libro sa-
cro è un assioma, non il prodotto finale di un processo di ra-
gionamento. Quel libro è vero, e, se l'evidenza sembra con-
traddirlo, è l'evidenza che deve essere gettata via, non il li-
bro. Per contrasto, ciò che uno scienziato crede (l'evoluzione
per esempio) non lo crede perché ha letto un libro sacro, bensì
perché ha studiato l'evidenza. E' una cosa completamente di-
versa. I libri sull'evoluzione vengono creduti non perché sono
143
sacri. Vengono creduti perché presentano una quantità sover-
chiante di evidenza, una quantità soverchiante di prove che
si rafforzano a vicenda. In linea di principio, qualunque let-
tore può alzarsi dalla poltrona e verificare quell'evidenza.
Quando un libro scientifico è sbagliato, l'errore prima o poi
viene scoperto da qualcuno e viene corretto nei libri successi-
vi. Questo, crucialmente, non avviene per i libri sacri.
A questo punto i filosofi, specialmente quelli dilettanti e con
poca conoscenza filosofica, e ancor più specialmente quelli in-
fettati dal "relativismo culturale", potrebbero sollevare un no-
ioso trabocchetto: l'atto degli scienziati di credere nell'evidenza
è esso stesso una forma di fede fondamentalista. Ho trattato
questo argomento altrove, e mi ripeterò qui solo brevemente.
Tutti noi crediamo nell'evidenza durante la nostra vita, indi-
pendentemente da cosa sosteniamo quando ci travestiamo da
filosofi dilettanti. Se vengo accusato di omicidio, e la pubblica
accusa mi domanda se è vero che mi trovavo a Chicago la not-
te del delitto, non posso cavarmela con l'escamotage filosofico:
'dipende da cosa intendi per "vero" '. E neppure con l'afferma-
zione antropologica relativista: 'Mi trovavo a Chicago soltanto
nel significato scientifico occidentale della parola "in". I bon-
golesi hanno un concetto completamente diverso di "in", se-
condo il quale sei davvero "in" un posto solo se sei un anziano
consacrato col diritto di annusare lo scroto essicato di una ca-
pra.'
Forse gli scienziati sono fondamentalisti quando si tratta di
definire in qualche modo astratto cosa si intende per 'verità'.
Ma lo sono anche tutti gli altri. Io non sono fondamentalista
quando dico che l'evoluzione è vera, più di quanto sono fon-
damentalista quando dico che la Nuova Zelanda è nell'emi-
sfero sud. Noi crediamo nell'evoluzione perché l'evidenza la
supporta, e la abbandoneremmo immediatamente se sorges-
se nuova evidenza che la dimostrasse falsa. Nessun fonda-
mentalista direbbe mai una cosa simile. È fin troppo facile
confondere il fondamentalismo con la passione. Io posso
sembrare appassionato quando difendo l'evoluzione dagli at-
tacchi di un creazionista fondamentalista, ma questo non per-
144
ché io sia a mia volta un fondamentalista. È perché l'evidenza
dell'evoluzione è soverchiante ed io sono passionalmente fru-
strato dal fatto che il mio interlocutore non riesca a vederla ―
o, più spesso, si rifiuti di guardare perché contraddice il suo li-
bro sacro. La mia passione aumenta ancora di più quando
penso a quante cose si stiano perdendo i poveri fondamentalisti,
e quelli sotto la loro influenza. La verità dell'evoluzione, insie-
me a molte altre verità scientifiche, è così incredibilmente affa-
scinante e meravigliosa; come è tragico che qualcuno muoia
senza aver conosciuto tutto questo! E quindi è ovvio che io mi
infervori. Come potrei non farlo? Ma il mio credere nell'evo-
luzione non è fondamentalismo, e non è fede, perché io so
cosa servirebbe per farmi cambiare idea, e lo farei con gioia
se si presentasse l'evidenza necessaria.
E ogni tanto succede. Ho già raccontato la storia di un ri-
spettato professore del dipartimento di zoologia di Oxford,
quando non ero ancora laureato. Per anni egli aveva creduto
con passione, ed aveva insegnato, che l'apparato di Golgi (una
caratteristica microscopica dell'interno delle cellule) non fosse
reale: che fosse un'illusione, un'invenzione. Ogni lunedì po-
meriggio il nostro dipartimento era solito ascoltare il resocon-
to di qualche ricercatore in visita da noi. Uno di questi lunedì,
il visitatore di turno era un biologo cellulare americano che
fornì evidenza del tutto convincente che l'apparato di Golgi
era reale. Alla fine della conferenza, l'anziano professore cam-
minò fino al podio della sala conferenze, strinse la mano all'a-
mericano e disse ― con passione ― "Mio caro amico, la vo-
glio ringraziare. Sono stato in errore per questi quindici
anni". Applaudimmo tutti fino a spellarci le mani. Ancora
oggi, il ricordo mi fa venire un groppo in gola. Nessun fonda-
mentalista direbbe mai una cosa simile. Nella pratica, nem-
meno tutti gli scienziati lo farebbero. Ma tutti gli scienziati so-
stengono a parole questo ideale ― diversamente, ad esempio,
dai politici, che probabilmente lo condannerebbero come "vo-
lubilità" o "incoerenza" [flip-flopping].
Come scienziato, sono ostile alla religione fondamentalista
perché corrompe attivamente l'intrapresa scientifica. Ci inse-
145
gna a non cambiare idea, a non voler sapere cose esaltanti che
sono disponibili a tutti. Sovverte la scienza e avvelena l'intel-
letto. L'esempio più triste che conosco è quello del geologo
americano Kurt Wise, che adesso dirige il "centro per la ricer-
ca sulle origini" nel Bryan College, Dayton, Tennessee. Non è
un caso che il Bryan College prenda il nome da William Jen-
nings Bryan, colui che svolse il ruolo di pubblica accusa verso
l'insegnante di scienza John Scopes, nel "processo delle scim-
mie" di Dayton nel 1925. Wise avrebbe potuto coronare la sua
ambizione giovanile di diventare professore di biologia in
un'università vera, un'università il cui motto poteva essere
"pensa in modo critico" invece dell'ossimoro che campeggia
sul sito Web del Bryan College: "pensa in modo critico e bibli-
co". In verità, egli ottenne una vera laurea in geologia all'Uni-
versità di Chicago, seguita da altre due lauree superiori in
geologia e paleontologia ad Harvard (nientemeno), dove stu-
diò sotto la guida di Stephen Jay Gould (nientemeno). Era un
giovane scienziato altamente qualificato e davvero prometten-
te, ben instradato per coronare il suo sogno di insegnare la
scienza e di fare ricerca in una università vera.
Poi venne la tragedia. Venne non da fuori, ma da dentro la
sua stessa mente, una mente fatalmente sovvertita e indebolita
da un'educazione religiosa fondamentalista, la quale gli impo-
neva di credere che la terra ― l'argomento della sua educa-
zione geologica a Chicago ed Harvard ― non fosse più vec-
chia di 10.000 anni. Egli era troppo intelligente per non notare
la collisione completa della sua religione con la sua scienza, ed
il conflitto nella sua mente lo rese sempre più inquieto. Un
giorno non riuscì più a sopportare questa condizione laceran-
te, e pose bruscamente fine alla questione. Prese la Bibbia e la
lesse da cima a fondo, letteralmente ritagliando via ogni sin-
golo verso che dovrebbe essere abbandonato se la visione
scientifica del mondo fosse vera. Alla fine di questo suo
esercizio onesto, testardo e laborioso, rimaneva così poco
della Bibbia che
Per quanto provassi, anche se avevo lasciato intatti i
margini di tutte le pagine della Bibbia, mi era impossibi-
146
le prenderla in mano senza che essa si spaccasse in due.
Dovevo scegliere tra l'evoluzione e le scritture. O le
scritture erano vere e l'evoluzione era falsa, oppure l'e-
voluzione era vera e dovevo gettar via la Bibbia... fu lì,
in quella precisa notte, che accettai la parola di Dio e ri-
fiutai tutto ciò che la potesse mai contraddire. E con
questo, con grandissima tristezza, gettai nel fuoco tutti i
miei sogni e tutte le speranze nella scienza.
Io trovo tutto ciò terribilmente triste; ma mentre la storia
dell'apparato di Golgi mi provoca lacrime di ammirazione e di
esultanza, la storia di Kurt Wise è semplicemente patetica ―
patetica e spregevole. La ferita, alla sua carriera e alla sua feli-
cità nella vita, fu una ferita autoinflitta, così non necessaria,
così facile da evitare. Tutto ciò che doveva fare era gettar via
la Bibbia. O interpretarla simbolicamente, o allegoricamente,
come fanno i teologi. Invece, fece la scelta fondamentalista e
buttò via la scienza, l'evidenza e la ragione, insieme a tutti i
suoi sogni e le speranze.
Caso forse unico tra i fondamentalisti, Kurt Wise è onesto ―
onesto in un modo scioccante, doloroso, devastante. Date a lui
il premio Templeton: potrebbe essere la prima persona davve-
ro sincera a riceverlo. Wise porta alla superficie ciò che segre-
tamente avviene sottobanco, nelle menti dei fondamentalisti
in generale, quando incontrano evidenza scientifica che con-
traddice le loro credenze. Ascoltate le sue parole:
Sebbene ci siano alcune ragioni scientifiche per credere
ad una "terra giovane", io sono un creazionista che crede
nella "terra giovane" perché questo dicono le scritture,
quali io le comprendo. Come ho confidato ai miei pro-
fessori anni fa quando ero in college, se anche tutta l'e-
videnza dell'universo dovesse contraddire il creazioni-
smo, io sarei il primo ad ammetterlo, ma resterei anco-
ra creazionista, perché questo è ciò che la parola di Dio
sembra indicare. Io devo stare da questa parte.
Sembra che stia citando Lutero quando esponeva le sue tesi
alla porta della chiesa di Wittenberg, ma il povero Kurt Wise

147
mi ricorda più il personaggio di Winston Smith nel romanzo
"1984" ― si sforza disperatamente di credere che due più due
faccia cinque, se il Grande Fratello dice che è così. Winston,
però, era sotto tortura. Il doppio-pensiero di Wise non deriva
dall'imperativo di una tortura fisica, ma dall'imperativo ―
ugualmente non rifiutabile per alcune persone, a quanto sem-
bra ― della fede religiosa: una forma di tortura mentale. Io
sono ostile alla religione per quello che ha fatto a Kurt Wise.
E se lo ha fatto ad un geologo educato ad Harvard, pensate
solo che cosa può fare ad altre persone meno dotate e meno
equipaggiate.
La religione fondamentalista è uno strumento micidiale per
distruggere l'educazione scientifica di innumerevoli migliaia
di menti innocenti, ben disposte, volenterose. Forse la religio-
ne non fondamentalista, "assennata", non fa la stessa cosa.
Ma sta rendendo il mondo un posto sicuro per il fondamen-
talismo, poiché insegna ai bambini, sin dall'infanzia, che
non mettere in discussione la fede sia una virtù.

I MIRACOLI

L'ATTEGGIAMENTO RELIGIOSO

(da una lettera di Sam Harris a Andrew Sullivan)

L'evidenza extra-biblica della vita di Gesù non è così con-


vincente come sembri suggerire. Come sai, del ministero di
Gesù non c'è alcun resoconto "oculare", cioè che sia scritto da
un suo contemporaneo; né nella Bibbia né da nessun'altra
parte. E anche se la testimonianza storica offrisse molti reso-
conti diretti dei suoi miracoli, questo non costituirebbe un
supporto sufficiente alle affermazioni basilari del cristiane-
simo. E perché?
Perché le testimonianze oculari di miracoli si trovano a
bizzeffe anche nel ventunesimo secolo. Molti ricercatori spi-

148
rituali in India testimoniano quotidianamente di aver visto
miracoli effettuati dai loro guru. Questi miracoli non sono
meno eclatanti e appariscenti di quelli attribuiti a Gesù. Ho
incontrato letteralmente centinaia di persone occidentali ben
istruite che sono convinte che il loro guru preferito abbia pote-
ri magici. Ma, per quanto ne so, tutte queste storie sono dif-
fuse da persone che vogliono disperatamente credere in
esse; tutte (nella mia conoscenza) sono prive di quel genere
di evidenza corroborante che dovremmo richiedere per cre-
dere davvero che le leggi di natura siano state abrogate; e la
maggior parte delle persone che raccontano questi eventi
mostrano una totale refrattarietà a cercare spiegazioni non
miracolose.
In ogni caso, le storie di mistici (e ciarlatani) che cammina-
no sull'acqua, che resuscitano i morti, che volano senza l'aiu-
to della tecnologia, che materializzano gli oggetti, che leggo-
no il pensiero, che predicono il futuro, eccetera, vengono
raccontate anche oggi. E sono molto comuni.
Prendete ad esempio Sathya Sai Baba: tutti questi miracoli
vengono attribuiti a Sai Baba da letteralmente migliaia e mi-
gliaia di testimoni oculari ancora in vita. Ed egli afferma an-
che di essere nato da una vergine, che tra parentesi non è
un'affermazione rara nella storia: Gengis Khan era nato da
una vergine, Alessandro magno era nato da una vergine.
Egli ha letteralmente milioni di seguaci, molti dei quali
sono occidentali istruiti. Questi milioni di persone credono
che Sai Baba sia un Dio vivente. [Allora, perché non perdia-
mo il sonno chiedendoci se dovremmo convertirci al "SaiBaba-
nesimo"?].
Puoi assistere ad alcuni dei suoi "miracoli" su Youtube, ef-
fettuati di fronte a credule orde di persone affamate di spiri-
tualità. Tieniti pronto ad essere deluso. Eppure, tu suggerisci
che alcune storie di eventi simili, provenienti dal panorama
religioso prescientifico dell'impero romano del primo secolo
(decenni dopo il loro presunto verificarsi), siano degne di
qualche credibilità speciale.

149
La verità è che i miracoli di Sai Baba non meritano nean-
che un'ora su Discovery Channel. Ma metti questi miracoli
in un testo antico, e la metà delle persone su questo pianeta
lo considerano un progetto legittimo intorno a cui organiz-
zare la propria vita.

...E L'ATTEGGIAMENTO SCIENTIFICO

Caro Andrew, [...]


Rimango aperto all'evidenza e agli argomenti su questo
fronte e su ogni altro. In realtà, potrei facilmente immaginare
uno scenario che mi persuaderebbe dell'esistenza di Dio, la
divinità di Gesù, e la completa santità della benedetta Vergi-
ne. [..] Se, per esempio, il tuo "Amico Immaginario" ti desse
delle informazioni molto specifiche che non avresti potuto
ottenere in nessun altro modo, considererei questa come
un'evidenza molto forte in favore del tuo punto di vista. Per
aumentare la mia vulnerabilità a questa linea di attacco, ho
appena scritto un numero di 30 cifre su un foglio di carta e
l'ho nascosto nel mio ufficio. Se Dio dovesse dire a te (o a
uno qualsiasi dei nostri lettori) quale è questo numero, sarò
appropriatamente stupito e pubblicizzerò il risultato di questo
esperimento più che posso. Naturalmente, è vero che il tuo
successo aprirebbe a una varietà di interpretazioni ― forse un
tale miracolo non dice niente sull'esistenza di Dio, ma dimo-
stra che la chiaroveggenza è un vero potere della mente uma-
na e che tu la possiedi a iosa. O forse prova che esiste Satana, e
che lui ne possiede in gran quantità. Naturalmente, dovrem-
mo aspettarci che alcuni dei nostri lettori ci accusino entrambi
di frode. Rimandiamo questo problema a quando si presente-
rà. Il punto, naturalmente, è che se Dio esistesse, sarebbe ba-
nalmente facile per lui lasciarmi senza parole dallo stupore.
(Suggerimento per il Creatore: è un numero pari, e non è
927459757074561008328610835528).
Questo mi porta al punto su cui gli atei come me insistono
sempre: la maggior parte delle persone si concede il lusso
dello stupore per cose molto minori, con stimoli molto più

150
ambigui, e tengono la propria ragione in catene mentre la "vo-
lontà di credere" trionfa in una competizione non equilibrata.
Agli atei come me si chiede in genere di contemplare "miraco-
li" come i seguenti: un tipo era un grande bevitore (come il no-
stro Presidente), pregò Gesù, e adesso vive una vita di prodi-
giosa sobrietà. Viene lasciato allo scettico professionista il
compito di chiedersi come una persona intelligente possa cre-
dere che il semplice disintossicamento dall'alcolismo confermi
la dottrina del cristianesimo. Anche gli Induisti si disintossica-
no, e perfino gli atei. Questi fatti da soli invalidano qualunque
interpretazione religiosa dei dati.
La testimonianza sulla base di esperienze "spirituali" tende
ad essere ugualmente ambigua. Ecco qualcosa che ho scritto di
recente per il blog "On Faith" del Newsweek/Washington
Post. Lo riporto qui, perché penso che risponda alla tua do-
manda su cosa conta come evidenza per una specifica idea re-
ligiosa:
Recentemente ho passato un pomeriggio sulla spiaggia
nordovest del Mare di Galilea, in cima al monte dove
si ritiene che Gesù abbia predicato la maggior parte del
suo più famoso sermone. Era un giorno caldo in modo
infernale, ed il santuario era gremito di pellegrini cristia-
ni provenienti da vari continenti. Alcuni si raccoglieva-
no silenziosamente nelle zone d'ombra, mentre altri af-
frontavano il sole di mezzogiorno, scattando foto.
Mentre sedevo e osservavo le colline circostanti che de-
clinavano dolcemente dentro un mare interno, fui per-
vaso da un senso di pace. Crebbe molto presto, diven-
tando un senso di mistica immobilità che silenziò i
miei pensieri. In un instante, la sensazione di essere
un'entità separata e indipendente (un "Io") svanì. Tutto
era come prima ― il cielo senza nuvole, i pellegrini at-
taccati alla loro bottiglia d'acqua ― ma io non mi sentivo
più un'entità separata dallo sfondo, che guardava da
dietro gli occhi verso il mondo esterno. Restava soltanto
il mondo.

151
L'esperienza durò solo pochi istanti, ma tornò molte vol-
te, mentre guardavo la terra dove si ritiene che Gesù ab-
bia camminato, abbia raccolto gli apostoli, ed abbia com-
piuto molti dei suoi miracoli. Se fossi cristiano, senza
dubbio interpreterei questa esperienza in termini cri-
stiani. Potrei credere di aver visto un barlume dell'unici-
tà di Dio, o di aver percepito la discesa dello Spirito San-
to. Se fossi un induista, potrei parlare di "Brahman", l'Io
eterno, da cui tutte le menti individuali si ritengono es-
sere derivate. Ma non sono un induista. Se fossi buddi-
sta, potrei parlare del "dharmakaya del vuoto" in cui tut-
te le cose evidenti si manifestano. Ma non sono buddi-
sta.
Come persona che sta semplicemente facendo del suo me-
glio per essere razionale, sono molto restio a trarre conclusioni
metafisiche da esperienze di questo tipo. La verità è che speri-
mento molto spesso ciò che potrei chiamare "l'annullamento
dell'Io della coscienza", non importa dove mi trovo a medita-
re ― se mi trovo in un monastero buddista, un tempio Hin-
du, o al bagno mentre mi lavo i denti. Di conseguenza, il fat-
to che io abbia avuto questa esperienza anche in un luogo
sacro della cristianità non aumenta minimamente la credibi-
lità della dottrina cristiana.

L'ARGOMENTO DELL'ESPERIENZA PERSONALE

(da “L'Illusione di Dio”, Richard Dawkins)

Prima che mi laureassi, uno dei più intelligenti e maturi tra i


miei coetanei, che era molto religioso, fece un campeggio nelle
isole scozzesi. Nel bel mezzo della notte, lui e la sua ragazza
furono svegliati nella loro tenda dalla voce del diavolo ― Sa-
tana in persona; non poteva esserci alcun dubbio: la voce era
in ogni senso diabolica. Il mio amico non avrebbe mai dimen-
ticato quest'esperienza orribile, e fu uno dei fattori che lo por-
tarono in seguito a prendere i voti. Io stesso da giovane fui im-
pressionato dalla sua storia e la raccontai ad un convegno di
zoologi che si stavano riposando nella locanda Rose and Cro-

152
wn di Oxford. Il caso volle che due di loro fossero esperti orni-
tologi, e si misero subito a ridere. "Manx shearwater!" , grida-
rono in coro divertiti. [E' il nome di una specie di uccelli.] Uno
di essi aggiunse che le grida e le strida diaboliche di questa
specie le hanno fatto guadagnare, in varie parti del mondo e
in varie lingue, il soprannome locale di "uccello diavolo".
Molte persone credono in Dio perché credono di aver avuto
una visione di lui ― o di un angelo o di una vergine in blu ―
con i loro stessi occhi. Oppure Dio parla loro da dentro la loro
testa. Questo argomento dell'esperienza personale è uno dei
più convincenti per coloro che affermano di averne avuto una.
Ma è il meno convincente per tutti gli altri, e per chiunque ab-
bia un po' di conoscenza della psicologia.
Dici di aver sperimentato Dio direttamente? Beh, alcune
persone hanno sperimentato un elefante rosa, ma probabil-
mente questo non ti impressiona più di tanto. Peter Sutcliffe,
lo squartatore dello Yorkshire, ha sentito distintamente la voce
di Gesù che gli diceva di uccidere delle donne, ed andò in car-
cere per tutta la vita. George W. Bush dice che Dio gli ha detto
di invadere l'Iraq (peccato che Dio non lo abbia degnato della
rivelazione che non c'erano armi di distruzione di massa). Al-
cuni individui nelle case di cura pensano di essere Napoleone
o Charlie Chaplin, o che il mondo intero cospiri contro di loro,
o di poter trasmettere i loro pensieri in broadcast nelle teste
delle altre persone. Noi scherziamo su di loro ma non pren-
diamo sul serio le loro credenze rivelate internamente, soprat-
tutto perché non molte persone condividono tali credenze. Le
esperienze religiose differiscono solo per il fatto che molte
persone affermano di averle. Sam Harris non era cinico quan-
do scrisse, nel libro " la fine della fede":
Esiste un nome per le persone che hanno molte credenze
per cui non c'è giustificazione razionale. Quando le loro
credenze sono estremamente comuni li chiamiamo "reli-
giosi"; altrimenti, probabilmente li chiamiamo "matti",
"psicotici", o vittime di allucinazione... chiaramente c'è
sanità nei numeri. Eppure, è solo un accidente storico

153
che nella nostra società sia considerato normale credere
che il creatore dell'universo possa sentire i tuoi pensieri,
mentre viene considerato indice di malattia mentale cre-
dere che lui stia comunicando con te facendo sbattere la
pioggia in codice morse sulla finestra della tua stanza da
letto. E quindi, sebbene le persone religiose generalmen-
te non siano pazze, le loro credenze centrali lo sono as-
solutamente.
Tornerò nel capitolo 10 all'argomento dell'allucinazione.
Il cervello umano fa girare un software di simulazione raf-
finatissimo. I nostri occhi non presentano al cervello una foto-
grafia fedele di ciò che è là fuori, o un filmato accurato di ciò
che avviene nel tempo. Il nostro cervello costruisce un model-
lo che viene continuamente aggiornato: aggiornato mediante
impulsi codificati che attraversano il nervo ottico, ma in ogni
caso costruito. Le illusioni ottiche testimoniano ciò in modo
chiaro. Una classe di illusioni fondamentale, di cui fa parte ad
esempio il cubo di Necker, nasce perché i dati sensoriali rice-
vuti dal cervello sono compatibili con due modelli alternativi
di realtà. Il cervello, non avendo basi per scegliere tra i due
modelli, alterna continuamente, e noi sperimentiamo una serie
di passaggi rapidi da un modello interno all'altro. Sembra let-
teralmente che la figura che stiamo guardando si ribalti e di-
venti qualcos'altro.
Il software di simulazione nel nostro cervello è particolar-
mente abile a costruire volti e voci. Sul davanzale della fine-
stra ho una maschera di plastica di Einstein. Quando è vista
da davanti, essa sembra un volto solido, il che non è sorpren-
dente. Ciò che è sorprendente è che, anche quando è vista da
dietro (la parte vuota), sembra un volto solido, e la sensazione
che se ne ricava è davvero molto strana. Mentre l'osservatore
si muove, la faccia sembra seguirlo ― e non nel senso debole
in cui ci segue la Monna Lisa. La maschera vuota sembra dav-
vero davvero seguirti. Coloro che non hanno già visto l'illusio-
ne sussultano per lo stupore. Cosa ancora più strana, se la ma-
schera è montata su un tavolo che ruota lentamente, sembra

154
che essa stia girando nella direzione corretta quando stai guar-
dando il lato solido, ma nella direzione opposta quando è visi-
bile il lato vuoto. Il risultato è che, quando guardi la transizio-
ne da un lato all'altro, sembra che il lato che si avvicina stia
"inghiottendo" il lato che si allontana.
[...]
Perché succede questo? Non c'è alcun trucco nella costruzio-
ne della maschera. Qualunque maschera vuota servirà allo
scopo. Il trucco è tutto negli occhi di chi guarda. Il software di
simulazione interno riceve dati che indicano la presenza di un
volto, forse niente di più di un paio di occhi, un naso ed una
bocca approssimativamente al posto giusto. Avendo ricevuto
questi indizi approssimati, il cervello fa il resto. Il software
di simulazione entra in azione e costruisce un completo mo-
dello solido di un volto, sebbene la realtà presentata ai vostri
occhi sia una maschera vuota. L'illusione che stia ruotando nel
senso opposto si verifica perché (è piuttosto difficile, ma se ci
pensate attentamente lo confermerete) la rotazione inversa è
l'unico modo sensato di interpretare i dati ottici quando una
maschera vuota ruota mentre viene percepita come maschera
solida. E' come l'illusione del piatto rotante di un radar che a
volte si può vedere negli aeroporti. Finché il cervello non tro-
va il modello corretto di un piatto di radar, vede un modello
scorretto che ruota nella direzione sbagliata ma in un modo
strano, che dà un senso di nausea.
Dico tutto ciò per dimostrare la formidabile potenza del soft-
ware di simulazione del cervello. È ben capace di costruire 'vi-
sioni' e 'apparizioni' dotate della più assoluta veridicità. Simu-
lare un fantasma o un angelo o una vergine Maria sarebbe un
gioco da ragazzi per un software così sofisticato. E lo stesso
meccanismo vale per l'udito. Quando udiamo un suono, esso
non è trasportato fedelmente lungo il nervo uditivo e rilascia-
to nel cervello come con un Bang e Olufsen ad alta fedeltà.
Come per la visione, il cervello costruisce un modello sonoro,
basato su dati nervosi uditivi che vengono continuamente ag-
giornati. È questo il motivo per cui udiamo uno squillo di
tromba come una nota singola, piuttosto che come la composi-
155
zione di armoniche a toni puri che dà alla tromba il suo timbro
da ottone. Un clarinetto che suona la stessa nota suona 'legno-
so', ed un oboe suona [reedy], a causa dei diversi bilanciamen-
ti di armoniche. Se manipoli attentamente un sintetizzatore
software per introdurre una dopo l'altra le armoniche separa-
te, il cervello per un breve periodo le sente come una combi-
nazione di toni puri, fino a che il software di simulazione non
trova la giusta chiave di lettura, e da quel momento in poi spe-
rimentiamo solo una nota singola pura, di tromba, oboe o ciò
che è. Le vocali e le consonanti del parlato sono costruite nel
cervello nello stesso modo, e lo stesso dicasi, ad un altro livel-
lo, per i fonemi di livello più alto e le parole.
Una volta, da bambino, udii un fantasma: una voce maschi-
le che mormorava, come se stesse recitando una preghiera. Po-
tevo quasi, ma non del tutto, capire le parole, che sembravano
avere un timbro serio e solenne. Mi avevano raccontato storie
di nascondigli segreti di preti, presenti nelle case antiche, e mi
spaventai un po'. Ma uscii dal letto e mi trascinai fino alla fon-
te di quel suono. Man mano che mi avvicinavo, diventava più
forte, e poi improvvisamente cambiò significato dentro la mia
testa. Ora ero abbastanza vicino da capire cosa fosse in realtà.
Il vento, filtrando attraverso il buco della serratura, stava
creando dei suoni che il software di simulazione nel mio cer-
vello aveva utilizzato per costruire il modello di una voce ma-
schile, dotata di un tono solenne. Se fossi stato un bambino
più impressionabile, probabilmente avrei udito non solo paro-
le incomprensibili, ma parole precise e persino delle frasi. E se
fossi stato sia impressionabile sia cresciuto con un'educazione
religiosa, mi chiedo che parole il vento avrebbe potuto pro-
nunciare.
In un'altra occasione, in cui avevo più o meno la stessa età,
vidi una enorme faccia rotonda che guardava, con malignità
indescrivibile, fuori dalla finestra di una casa altrimenti ordi-
naria in un villaggio lungo la costa. In trepidazione, mi avvici-
nai fino ad arrivare così vicino da vedere che cosa fosse realtà:
soltanto una forma vagamente simile ad un volto, creata dalla
posizione casuale delle tende. La faccia stessa, ed il suo signifi-
156
cato maligno, erano state costruite dal mio timoroso cervello
di bambino. L'11 settembre 2001, alcune persone pie credette-
ro di vedere il volto di Satana nel fumo che si alzava dalle tor-
ri gemelle: una superstizione supportata da una fotografia che
fu pubblicata su Internet e circolò largamente.
Costruire modelli è qualcosa che il cervello umano sa fare
molto bene. Quando siamo addormentati si chiama sognare;
quando siamo svegli lo chiamiamo immaginazione o, quando
è eccezionalmente vivida, allucinazione. Come mostrerà il ca-
pitolo 10, i bambini che possiedono "amici immaginari" a volte
li vedono chiaramente, esattamente come se fossero reali. Se
siamo suggestionabili, non riconosciamo l'allucinazione o il
sogno ad occhi aperti per ciò che sono, e sosteniamo di aver
visto o sentito un fantasma; un angelo; o Dio; o ― specialmen-
te se siamo giovani, donne e cattoliche ― la vergine Maria.
Tali visioni e manifestazioni certamente non sono delle buone
basi per credere che siamo davvero in presenza di fantasmi o
angeli o dei o vergini.
Le apparizioni di massa, come la notizia che 70.000 pellegri-
ni a Fatima in Portogallo nel 1917 abbiano visto il sole "strap-
parsi via dal cielo e precipitare verso il basso su di loro", sono
più difficili da liquidare. Non è facile spiegare come 70.000
persone potrebbero condividere la stessa allucinazione. Ma è
ancora più difficile accettare che la cosa sia davvero avvenu-
ta senza che il resto del mondo, all'infuori di Fatima, la no-
tasse ― e non soltanto nel senso di vederla con gli occhi, ma
nel senso di notare la distruzione del sistema solare che ne
conseguirebbe, e che comprenderebbe forze di accelerazione
sufficienti a proiettare chiunque nello spazio. Viene in mente il
test ideato da David Hume per riconoscere i miracoli: "nessu-
na testimonianza è sufficiente per stabilire un miracolo, a
meno che la falsità di tale testimonianza non sia più incredi-
bile e miracolosa del fatto che essa vorrebbe provare".
Può sembrare improbabile che 70.000 persone possano avere
simultaneamente un'allucinazione, o che possano cospirare
tutte assieme per dire una bugia di massa. O che la storia si
sbagli quando racconta che 70.000 persone affermarono di ve-
157
dere il sole danzare. O che essi abbiano simultaneamente visto
un miraggio (erano stati persuasi a guardare verso il sole, che
non può aver fatto bene alla loro vista). Ma ognuna di queste
improbabilità apparenti è molto più probabile dell'alternativa:
che la terra abbia improvvisamente cambiato rotta nella sua
orbita, e che il sistema solare si sia distrutto, senza che nessu-
no fuori da Fatima lo abbia notato. Voglio dire, il Portogallo
non è così isolato.
[Analogamente potremmo chiedere: che cosa è più probabi-
le? Che Gesù abbia davvero camminato sulle acque, o che
qualcuno abbia mentito o abbia creduto di vederlo?]
[..] Davvero non c'è altro da dire sulle “esperienze” persona-
li di dei o altri fenomeni religiosi. Se tu hai avuto una simile
esperienza, potresti trovarti a credere fermamente che fu vera.
Ma non ti aspettare che il resto di noi ti creda sulla parola,
specialmente se abbiamo la minima familiarità con il cervello e
la potenza del suo funzionamento.

UNO DI NOI HA RAGIONE, L'ALTRO HA TORTO

(da “Lettera a una Nazione Cristiana”, Sam


Harris)

Capitolo 1
Tu credi che la Bibbia sia la parola di Dio, che Gesù sia il fi-
glio di Dio, e che solo quelli che hanno fede in Gesù troveran-
no la salvezza dopo la morte. Come cristiano, credi tutte que-
ste proposizioni non perché ti fanno sentire bene, ma perché
pensi che siano vere. Prima di evidenziare alcuni dei proble-
mi di queste credenze, vorrei precisare che io e te siamo d'ac-
cordo su molte cose. Siamo d'accordo, per esempio, che se uno
di noi ha ragione, l'altro ha torto. O la Bibbia è la parola di
Dio, o non lo è. O Gesù fornisce all'umanità l'unico vero
percorso verso la salvezza (Giovanni 14:6) oppure non lo fa.
Siamo d'accordo che essere un vero cristiano significa crede-
158
re che tutte le altre fedi siano nel torto, ed in modo profon-
do. Se il cristianesimo è corretto, ed io persisto nella mia mi-
scredenza, dovrei aspettarmi di soffrire le pene dell'inferno.
Ancora peggio, io ho persuaso altre persone, e molte di esse a
me vicine, a rifiutare l'idea stessa di Dio. Anche loro bruceran-
no nel fuoco eterno (Matteo 25:41). Se la dottrina fondamenta-
le della cristianità è corretta, allora io ho fatto cattivo uso della
mia vita nel peggior modo concepibile. Ammetto tutto questo
senza alcuna riserva. Il fatto che il mio continuato e pubblico
rifiuto del cristianesimo non mi preoccupi minimamente do-
vrebbe suggerirti quanto inadeguate mi sembrano le tue ra-
gioni per essere cristiano.
Naturalmente, ci sono cristiani che non sono d'accordo né
con me né con te. Secondo alcuni cristiani le altre fedi sono
percorsi ugualmente validi verso la salvezza. Ci sono cristia-
ni che non hanno paura dell'inferno e che non credono nella
resurrezione fisica di Gesù. Questi cristiani spesso chiamano
se stessi "religiosi liberali" o "religiosi moderati". Dal loro pun-
to di vista, io e te abbiamo entrambi frainteso cosa significa es-
sere una persona di fede. Ci assicurano che esiste un vasto e
meraviglioso terreno intermedio tra l'ateismo e il fondamenta-
lismo religioso, terreno che è stato esplorato da generazioni di
riflessivi cristiani. Secondo i liberali e i moderati, la fede ha
che fare con il mistero, il significato, la comunità e l'amore. Per
queste persone, la religione comprende tutto il materiale che
costituisce la loro vita, non solo il semplice credere.
Ho scritto altrove dei problemi che vedo nel liberalismo reli-
gioso e la moderazione religiosa. Qui dobbiamo solo osservare
che la questione è più semplice e più urgente di quanto i libe-
rali e i moderati siano soliti ammettere. O la Bibbia è soltanto
un normale libro, scritto da mortali, oppure non lo è. O Cri-
sto fu divino, o non lo fu. Se la Bibbia è solo un normale libro,
e Cristo fu un uomo normale, la dottrina fondamentale della
cristianità è falsa. Se la Bibbia è un libro normale, e Cristo è un
uomo normale, la storia della teologia cristiana è la storia di
alcuni "topi di biblioteca" che furono vittima di una allucina-
zione collettiva. Se le affermazioni di base del cristianesimo
159
sono vere, allora ci sono delle brutte sorprese in cantiere per
i non credenti come me. Tu comprendi tutto ciò. Almeno
metà della popolazione americana comprende tutto ciò.
Quindi siamo onesti con noi stessi: prima o poi, una delle
due fazioni uscirà davvero vincitrice da questa discussione,
e l'altra avrà davvero la peggio.
Considera: ogni musulmano devoto ha le stesse ragioni per
essere musulmano che tu hai per essere cristiano. Eppure tu
non trovi convincenti le sue ragioni . Il Corano dichiara ripe-
tutamente di essere il mondo perfetto del creatore dell'univer-
so. I musulmani credono questo tanto pienamente quanto tu
credi in ciò che la Bibbia dice di se stessa. C'è una vasta lettera-
tura che descrive la vita di Maometto che, dal punto di vista
dell'Islam, dimostra che egli fu il più recente profeta di Dio.
Maometto assicurò anche i suoi seguaci che Gesù non fosse
divino (Corano 5:71 -75; 19: 30 -38) e che chiunque creda al-
trimenti passerà l'eternità all'inferno. I musulmani sono cer-
ti che l'opinione di Maometto su questo argomento, e su tut-
ti gli altri, sia infallibile.
Perché non perdi il sonno chiedendoti se dovresti convertirti
all'Islam? Puoi dimostrare che Allah non è l'unico vero Dio?
Puoi dimostrare che l'arcangelo Gabriele non ha visitato
Maometto nella sua caverna? Naturalmente no. Ma non hai
bisogno di dimostrare alcuna di queste cose per respingere
le credenze dei musulmani come assurdità. Sono loro ad
avere l'onere di provare che le loro credenze su Dio e Mao-
metto sono valide. Loro non lo hanno fatto. Non possono far-
lo. I musulmani semplicemente non fanno affermazioni sulla
realtà che possono essere corroborate. Questo è perfettamente
evidente a chiunque non si sia fatto anestetizzare dai dogmi
dell'Islam.
La verità è che tu sai perfettamente cosa significa essere
ateo rispetto alle credenze dei musulmani. Non è ovvio che i
musulmani stanno ingannando se stessi? Non è ovvio che
chiunque pensi che il Corano sia il mondo perfetto del creato-
re dell'universo non ha letto il libro con spirito critico? Non è
ovvio che la dottrina dell'Islam rappresenta una barriera quasi
160
perfetta ad un'indagine onesta? Sì, queste cose sono ovvie. Eb-
bene, cerca di capire che il modo in cui tu vedi l'Islam è esat-
tamente il modo in cui i musulmani devoti vedono il cristia-
nesimo. Ed è il modo in cui io vedo tutte le religioni.

COME SI SPIEGA CIÒ CHE FECERO I PADRI DELLA


CHIESA?
(da “Lettera a una nazione cristiana” di Sam
Harris)

Prendiamo la religione del Giainismo. I giainisti credono a


tante cose improbabili [..] ma non credono a niente che possa
accendere i fuochi dell'inquisizione. Probabilmente tu pensi
che l'inquisizione sia una perversione del "vero" spirito del-
la cristianità. Forse lo era. Il problema, però, è che gli insegna-
menti della Bibbia sono così confusi e contraddittori che è
stato possibile per i cristiani bruciare vivi degli eretici tran-
quillamente per cinque lunghi secoli. Addirittura è stato
possibile per molti venerati patriarchi della Chiesa, come
Sant'Agostino e San Tommaso D'Aquino, concludere che gli
eretici debbano essere torturati (Agostino) o uccisi diretta-
mente (D'Aquino). Martin Lutero e Giovanni Calvino erano
decisi sostenitori dell'uccisione in massa degli eretici, degli
apostati, degli ebrei e delle streghe. Naturalmente, sei libero
di interpretare la Bibbia in modo diverso ― ma non è sor-
prendente che tu sia riuscito a comprendere il vero significa-
to della cristianità, mentre i più influenti pensatori della sto-
ria della fede hanno fallito?

IL GRANDE ESPERIMENTO DELLA PREGHIERA


(da “L'Illusione di Dio”, Richard Dawkins)

Uno studio applicato divertente, e forse un po' patetico, è il


Grande Esperimento Della Preghiera: pregare aiuta i pazienti
a guarire? È comune rivolgere preghiere alle persone malate,
161
sia in privato sia in luoghi formali di culto. Il cugino di Dar-
win, Francis Galton, fu il primo ad analizzare scientificamente
se pregare per le persone sia efficace. Egli notò che ogni dome-
nica, in tutte le chiese della Gran Bretagna, intere congregazio-
ni pregavano pubblicamente per la salute della famiglia reale.
Non dovevano allora costoro essere straordinariamente in
salute, comparati con il resto di noi, che riceviamo soltanto le
preghiere dei nostri cari e delle persone a noi più vicine? [..]
Galton esaminò la cosa, e non trovò alcuna differenza statisti-
ca. Le sue intenzioni, in ogni caso, potrebbero essere state sati-
riche, come anche quando egli pregò in favore di pezzi di terra
scelti a caso per vedere se le piante sarebbero cresciute più ve-
locemente (non fu così).
Più recentemente, il fisico Russel Stennard (uno dei tre ben
noti scienziati religiosi della Gran Bretagna, come vedremo) si
è dedicato ad un'iniziativa, finanziata ― naturalmente ― dal-
la Templeton Foundation, per testare sperimentalmente la
proposizione che pregare per i pazienti malati migliora la loro
salute.
Tali esperimenti, se fatti correttamente, devono essere "cie-
chi" in entrambe le direzioni, e questo standard è stato osser-
vato rigorosamente. I pazienti erano assegnati rigorosamente
a caso ad un gruppo sperimentale (che riceveva preghiere) o a
un gruppo di controllo (che non riceveva alcuna preghiera).
Non era permesso né ai pazienti, né ai loro dottori o curatori,
né agli sperimentatori, di sapere quali pazienti ricevevano
preghiere e quali erano "di controllo". Quelli che facevano le
preghiere dovevano sapere i nomi degli individui per cui sta-
vano pregando ― altrimenti, in che senso essi avrebbero pre-
gato per loro invece che per qualcun altro? Ma si fece attenzio-
ne a dire loro solo il nome di battesimo e la lettera iniziale del
cognome. A quanto sembra, questo doveva bastare per per-
mettere a Dio di identificare il giusto letto di ospedale.
L'idea stessa di fare questo tipo di esperimenti è aperta ad
una generosa quantità di ridicolo, ed il progetto l'ha in effetti
ricevuta.

162
[..]
Il team di ricercatori proseguì valorosamente, ignorando la
derisione, spendendo 2.4 milioni di dollari dei soldi della
fondazione Templeton [nota mia: sempre meglio che i soldi di
tutti i contribuenti, come avviene in Italia per mezzo dell'8 per
1000] sotto la guida del dottor Herbert Benson, cardiologo al-
l'Istituto Di Medicina Mentale E Corporea vicino Boston. Le
affermazioni precedenti del dottor Benson nella conferenza
stampa erano state... [..]
[...]
I risultati, riportati sull'American Heart Journal di aprile
2006, furono chiari. Non c'era differenza tra quei pazienti per
cui si pregava e quelli per cui non si pregava. Sorpresa. C'era
invece differenza tra quelli che sapevano che si pregava per
loro e quelli che non sapevano se si pregasse o no; ma andava
nella direzione sbagliata. Quelli che sapevano di essere i bene-
ficiari delle preghiere soffrivano di molte più complicazioni di
quelli che non lo sapevano. Forse che Dio si stesse vendican-
do, per mostrare la sua disapprovazione dell'intera impresa?
Sembra più probabile che quei pazienti che sapevano che si
pregava per loro subissero uno stress aggiuntivo in conse-
guenza di ciò: "ansia da prestazione", come gli sperimentatori
dissero.
[..]
Non sarà per il lettore una sorpresa che questo studio abbia
ricevuto l'opposizione dei teologi, forse timorosi che avrebbe
potuto mettere in ridicolo la religione. Richard Swinburne,
teologo di Oxford, scrivendo dopo il fallimento di questo stu-
dio, obiettò adesso sostenendo che Dio risponde alle preghiere
solo se vengono offerte per buone ragioni. [..] In seguito
Swinburne cercò di giustificare la sofferenza in un mondo
dominato da Dio:
La mia sofferenza mi fornisce l'opportunità di mostra-
re coraggio e pazienza. A voi fornisce l'opportunità di
mostrare compassione e di aiutare ad alleviare la mia
sofferenza. E fornisce alla società un'opportunità di
163
scegliere se investire o non investire un sacco di soldi
cercando di trovare una cura per questa o quella parti-
colare sofferenza... sebbene un Dio buono si rammarichi
della nostra sofferenza, la sua più grande preoccupazio-
ne è sicuramente che ognuno di noi mostri pazienza,
compassione e generosità e, quindi, produca un perso-
naggio santo.
Alcune persone hanno un assoluto bisogno di essere
malate, per il loro bene, ed altre hanno bisogno di esse-
re malate per invitare altri a fare importanti scelte. Solo
in questo modo alcune persone possono essere inco-
raggiate a fare scelte serie su che tipo di persona voglio-
no essere. Per altre persone, la malattia non ha un così
grande valore.
Questo ragionamento grottesco, così dannatamente tipico
della mentalità teologica, mi ricorda un'occasione in cui ero in
una trasmissione televisiva con Swinburne ed anche con il no-
stro collega di Oxford, il professor Peter Atkins. Swinburne a
un certo punto tentò di giustificare l'Olocausto dicendo che
dava agli ebrei un'opportunità meravigliosa per mostrarsi
coraggiosi e nobili. Peter Atkins rispose splendidamente con
un ringhio "che Lei possa marcire all'inferno".
Un altro tipico esempio di ragionamento teologico appare
più avanti nell'articolo di Swinburne. Egli fa notare giusta-
mente che se Dio volesse dimostrare la sua stessa esistenza
troverebbe dei modi migliori di alterare leggermente le stati-
stiche di guarigione di pazienti malati di cuore. Se Dio esistes-
se e volesse convincerci di ciò, potrebbe "riempire il mondo di
super miracoli". Ma subito dopo Swinburne ci regala questa
gemma: "C'è comunque moltissima evidenza dell'esistenza di
Dio, e troppa evidenza potrebbe essere un male per noi".
Troppa evidenza potrebbe essere un male per noi! Leggetelo
di nuovo. Troppa evidenza potrebbe essere un male per noi. Ri-
chard Swinburne è il possessore di una delle più prestigiose
cattedre di teologia della Gran Bretagna, ed è Fellow della Bri-
tish Academy. Se state cercando un teologo, non ce ne sono di

164
più accreditati. Pensandoci bene, forse non volete un teologo.
Swinburne non fu l'unico teologo a sconfessare lo studio
dopo che fu fallito. [... il reverendo Lawrence si disse lieto del
risultato negativo, per il bene dei medici]: "Recentemente, un
mio collega mi ha raccontato di una donna devota e bene
istruita che accusò un medico di negligenza nel trattamento di
suo marito. Ella accusava il medico di non aver pregato per
suo marito negli ultimi giorni della sua vita".
Altri teologi si unirono agli scettici ispirati dalla teoria
NOMA dicendo che studiare le preghiere in questo modo è
uno spreco di denaro perché le influenze soprannaturali sono
per definizione oltre la portata della scienza. Ma, come la fon-
dazione Templeton correttamente comprese quando finanziò
lo studio, i presunti poteri della preghiera sono almeno in li-
nea di principio dentro la portata della scienza. Si poteva fare
un esperimento con due gradi di cecità e fu fatto. Avrebbe po-
tuto portare un risultato positivo. E se lo avesse portato, riu-
scite a immaginare un solo difensore della religione che lo
liquidasse dicendo che la ricerca scientifica non ha rilevanza
sulle questioni religiose? Naturalmente no.
Inutile dirlo, i risultati negativi dell'esperimento non scuote-
ranno il fedele. Bob Barth, direttore spirituale del ministero di
preghiera del Missouri, che fornì alcune delle preghiere dell'e-
sperimento, disse: "una persona di fede direbbe che questo
studio è interessante, ma preghiamo da molto tempo ed abbia-
mo visto che le preghiere funzionano, sappiamo che funziona-
no, e la ricerca sulla preghiera e la spiritualità è appena all'ini-
zio". Già, proprio così: sappiamo dalla nostra fede che le pre-
ghiere funzionano quindi, se l'evidenza non riesce a dimo-
strarlo, continueremo semplicemente a provare finché non ot-
teniamo il risultato che vogliamo.

165
INTEGRARE IL DUBBIO NELLA PROPRIA FEDE
(da una lettera di Sam Harris ad Andrew
Sullivan)

[..]
Riconosco naturalmente che ci sono molte differenze impor-
tanti tra il moderatismo religioso e il fondamentalismo religio-
so. [..] Ma, come ti aspetterai, io non considero il confine tra la
moderazione e il fondamentalismo come un confine "solido", o
persino un confine di principio.
[...]
Ci sono molti problemi in questa difesa della religione mo-
derata. Primo, molti moderati assumono che "l'estremismo"
religioso sia raro e quindi non abbia tutte queste gravi conse-
guenze. Fortunatamente, tu non sei tra questi, ma vorrei farti
notare che tu sei in minoranza tra i moderati religiosi. Come
tu e io sappiamo, l'estremismo religioso non è raro, ed ha
enormi conseguenze. Il 44% degli americani crede che Gesù
tornerà sulla terra entro i prossimi cinquant'anni per giudi-
care i viventi e i morti. Quest'idea è estrema quasi in ogni sen-
so ― estremamente sciocca, estremamente pericolosa, estre-
mamente spregevole ― ma non è estrema nel senso di essere
rara. Il problema, per come la vedo io, è che i moderati tendo-
no a non capire che cosa significa essere davvero convinti
che la morte sia un'illusione e che un'eternità di felicità aspet-
ti il fedele dopo la tomba. I moderati, come dici tu, hanno "in-
tegrato il dubbio" nella loro fede. Un altro modo di mettere
la questione è che hanno meno fede ― e per buone ragioni. Il
risultato, comunque, è che i tuoi colleghi moderati tendono a
dubitare che qualcuno possa mai essere davvero motivato a
sacrificare la sua vita, o le vite di altri, sulla base di credenze
religiose profondamente sentite. Il dubbio dei moderati ―
che ammetto essere un miglioramento rispetto alla certezza
fondamentalista, in molti aspetti ― spesso acceca il moderato,
rendendolo incapace di vedere la realtà e le conseguenze di
una totale insanità religiosa. Tale cecità adesso è particolar-
mente controproducente, data la collisione con la certezza isla-
166
mica che si sta rivelando a tutti noi.

LE SCRITTURE, UN GENERATORE ETERNO DI FONDAMENTALISMO

Secondo: molti religiosi moderati immaginano, come te, che


ci sia qualche netta linea di separazione tra l'estremismo e la
religione moderata. Ma non c'è. Le scritture stesse rimangono
un generatore perpetuo di estremismo: perché, sebbene Dio
possa essere tante cose, il Dio della Bibbia e del Corano non
è un moderato. Leggi le scritture più attentamente e non tro-
verai alcuna ragione per essere religiosi moderati; troverai ra-
gioni per vivere come un totale maniaco religioso ― di teme-
re i fuochi dell'inferno, di disprezzare i non credenti, di perse-
guitare gli omosessuali, eccetera. [Ed una delle colpe più gravi
dei religiosi moderati è proprio il non aver mai condannato le
Scritture come immorali.] Naturalmente, uno può selezionare
arbitrariamente pezzettini delle scritture e trovarvi delle ra-
gioni per amare il tuo vicino e per porgere l'altra guancia, ma
la verità è che queste cose positive sono molto rare, e più uno
ripone la sua fede in questi libri, più egli si allineerà al punto
di vista che gli infedeli, gli eretici e gli apostati siano desti-
nati ad essere puniti dall'amorevole macchina di giustizia di
Dio.
Come si fa ad "integrare il dubbio" nella propria fede?
Prendendo atto di quanto dubbiose siano molte delle afferma-
zioni delle scritture, e, dopo averle lette selettivamente, depu-
randole delle cose orrende dove serve, e accettando che le sue
affermazioni sulla realtà siano continuamente falsificate da
nuove scoperte e comprensioni ― comprensioni scientifiche
("vuoi dire che il mondo ha più di 6000 anni?"), matematiche
(" vuoi dire che pi greco non è uguale a tre?") e morali (" vuoi
dire che non devo picchiare i miei schiavi? non posso nemme-
no avere degli schiavi? hmmm..."). La moderazione religiosa
è il risultato di non prendere le scritture troppo sul serio. Ma
allora perché non le prendi ancora meno seriamente? Perché
non ammetti che questi sono soltanto dei libri, scritti da esseri
umani fallibili come noi? Non furono, come direbbe il tuo
amato Papa, "scritti completamente e interamente, in tutte le
167
loro parti, sotto dettatura dello spirito Santo". Inutile dirlo,
credo che tu abbia dato al supremo pontefice troppo credito
come campione supremo di razionalità. Quell'uomo crede di
essere in possesso di un libro magico, interamente privo di
errori. Ecco la posizione del Vaticano (dal sito Web del Vatica-
no) nelle parole di Papa Leone XIII in Providentissimus Deus
(la sua enciclica del 1893 sullo studio delle sacre scritture):
È assolutamente sbagliato e vietato sia restringere l'i-
spirazione divina a solo alcune parti delle sacre scrittu-
re, sia ammettere che il sacro scrittore abbia mai errato.
L'atteggiamento di coloro che, per liberarsi di queste dif-
ficoltà, non esitano a concedere che la divina ispirazione
riguarda questioni di fede morale, e nient'altro, perché
(come essi ritengono erroneamente) per giudicare la ve-
rità o falsità di un passaggio dovremmo considerare non
tanto ciò che Dio ha detto quanto la ragione e lo scopo
che egli aveva in mente nel dirlo ― questo atteggiamen-
to non può essere tollerato. Perché tutti i libri che la
Chiesa riceve come sacri e canonici sono stati scritti inte-
ramente e completamente, in tutte le loro parti, sotto
dettatura dello spirito Santo; e l'idea che un errore qua-
lunque possa coesistere con l'ispirazione divina è im-
possibile; l'ispirazione non solo è essenzialmente in-
compatibile con l'errore, ma lo esclude e lo ripudia,
tanto assolutamente e necessariamente quanto è impos-
sibile che Dio stesso, la suprema verità, possa dire una
cosa che non è vera. Questa è l'antica e immodificabile
fede della Chiesa, solennemente definita nel concilio di
Firenze e di Trento, e finalmente confermata e formulata
più espressamente nel concilio Vaticano. Queste sono le
parole del secondo concilio: "i libri del vecchio e del
nuovo testamento, interamente e in tutte le loro parti,
come enumerate nel decreto dello stesso concilio (Tren-
to) e nell'antico Latin Vulgate, devono essere accettate
come sacre e canoniche. E la Chiesa le considera sacre e
canoniche, non perché, essendo state composte dall'ope-
ra umana, furono in seguito approvate dall'autorità del-
168
la Chiesa; né soltanto perché contengono rivelazioni pri-
ve di errore; ma perché, essendo state scritte sotto l'ispi-
razione dello spirito Santo, hanno Dio come loro auto-
re."
Questa è la "fede antica ed immutata della Chiesa" ― fede
che naturalmente cambia un pochino, di tanto in tanto. Essen-
do folle in modo notevole, deve farlo. Il fatto che il Papa attuale
utilizzi tranquillamente i termini "ragione" e "verità" non ga-
rantisce affatto che lui sia in buoni rapporti con la prima, o che
riconoscerebbe la seconda se anche lo mordesse. Partire con la
premessa (completamente ingiustificata) che uno dei tuoi libri
sia una guida infallibile alla realtà non è un approccio partico-
larmente promettente verso un'indagine ― che sia essa inda-
gine fisica, etica o spirituale.
Per favore considera quanto diversamente noi trattiamo i
testi scientifici e le scoperte scientifiche, non importa quanto
profonde siano: Isaac Newton passò il periodo tra l'estate del
1665 e la primavera del 1667 a lavorare in isolamento e a cer-
care di evitare l'epidemia di peste che stava facendo strage de-
gli uomini e donne pii di Inghilterra. Quando uscì dalla solitu-
dine, aveva inventato il calcolo differenziale e integrale, fon-
dato il campo scientifico dell'ottica, e scoperto le leggi del
moto e della gravitazione universale. Molti scienziati conside-
rano questo come il più sorprendente sfoggio di intelligenza
umana nella storia dell'intelligenza umana. Sono passati più
di 300 anni, e una persona deve ancora essere eccezionalmente
ben istruita per apprezzare completamente la profondità e la
bellezza dei risultati di Newton. Ma nessuno dubita che il la-
voro di Newton sia semplicemente il prodotto di uno sforzo
umano, concepito e realizzato da un mortale ― e un mortale
molto sgradevole se è per questo. Eppure, letteralmente mi-
liardi di nostri simili considerano il contenuto della Bibbia e
del Corano così profondo da scartare assolutamente la possi-
bilità che gli autori siano terrestri. Data la vastità e la profon-
dità dei risultati dell'uomo, sembra un'appropriazione indebi-
ta dello stupore, quasi incredibile. Sono occorsi due secoli di
ingegno continuo per migliorare sostanzialmente il lavoro di
169
Newton. Quanto difficile sarebbe migliorare la Bibbia? Sa-
rebbe banalmente facile, in realtà. Io e te potremmo migliora-
re questo testo "infallibile" ― scientificamente, storicamente, e
eticamente, e anche, spiritualmente ― in questo scambio di e-
mail.
Considera la possibilità di migliorare i 10 comandamenti.
Potrebbe sembrare che sia un obiettivo molto ambizioso, poi-
ché sono gli unici passaggi nella Bibbia che il creatore dell'uni-
verso ha sentito il bisogno di scrivere di persona fisicamente.
Ma dà uno sguardo al comandamento numero due. Non pro-
durre "raffigurazioni di Dio"? 10 Questa cosa non ti sembra
un po' indegna di essere "La seconda cosa più importante su
cui ammonire tutte le future generazioni di esseri umani"?
Ricordi quelle centinaia di migliaia di musulmani che recente-
mente sono insorti violentemente a causa delle vignette? Mol-
te persone si sono chieste che cosa mai li abbia potuti fare ar-
rabbiare così tanto. Beh, ecco che cosa. [..] Sostituendo quasi
qualsiasi precetto al posto di quella proibizione sulle raffi-
gurazioni, la saggezza della Bibbia aumenterebbe (non far
finta di sapere cose che non sai...? non maltrattare i bambi-
ni...? evita i grassi saturi...?). Possiamo realmente convivere
con i problemi che nascono dalla proliferazione di raffigura-
zioni? Beh, non sarebbe poi tanto difficile.
Naturalmente, le persone di fede hanno ragione ad insistere
che la vita non si esaurisce con la ragione, e che c'è dell'altro
nella vita oltre al semplice essere ragionevoli ― cioè, la vita è
altro che semplicemente comprendere il mondo e portare le
proprie credenze su di esso ad essere coerenti. Ma tutti pos-
siamo avere una vita etica e spirituale senza mentire a noi
stessi e agli altri, e senza fingere di essere sicuri su cose di
cui chiaramente non siamo sicuri. Chiunque pensi di sapere
per certo che Gesù è nato da una vergine, o che il Corano è il

10 Nota del traduttore: sebbene questo sia il secondo comandamento


secondo la Bibbia (Esodo 20:2-17), in Italia esso non viene normalmente
insegnato, in quanto è stato abolito dalla Chiesa Cattolica (il buco
restante è stato riempito con “non desiderare la donna d'altri” che nella
Bibbia faceva parte del decimo comandamento).
170
mondo perfetto del creatore dell'universo, sta mentendo. O
sta mentendo a se stesso, o a tutti gli altri. In nessuno dei
due casi queste false certezze dovrebbero essere celebrate.
I religiosi moderati ― rifiutandosi di mettere in discussio-
ne la legittimità di educare i bambini a credere di essere cri-
stiani, musulmani, ebrei ― tacitamente supportano le divi-
sioni religiose nel nostro mondo. E inoltre contribuiscono a
perpetuare il mito che, per poter avere una vita etica e spiri-
tuale, sia necessario credere in cose di cui non c'è evidenza
sufficiente. Sebbene i religiosi moderati non facciano schian-
tare gli aeroplani sugli edifici, e non organizzino la loro vita in
funzione dell'apocalisse, si rifiutano di mettere profondamen-
te in discussione le idee assurde di coloro che lo fanno. I mo-
derati da una parte non si sottomettono alle vere richieste del-
le scritture, dall'altra non traggono deduzioni veramente one-
ste dalla crescente testimonianza della scienza. Nel tentativo
di trovare un compromesso tra il dogmatismo religioso e l'o-
nestà intellettuale, mi sembra che i religiosi moderati tradi-
scano sia la fede sia la ragione, nella stessa misura.

“GLI ATEI SONO INTOLLERANTI, ARROGANTI E


DOGMATICI”
(da un discorso di Sam Harris)

Ho parlato dei problemi di sostenere la verità della religione


e dei problemi di sostenere l'utilità della religione. L'ultimo
modo di difendere la religione è essenzialmente attaccare l'a-
teismo come un'altra religione: è intollerante, è dogmatico, è
arrogante.
Ok, diciamolo chiaramente: gli ebrei, i cristiani e musul-
mani affermano che i loro libri sacri sono così profondi che
devono essere stati scritti sotto la direzione di una divinità
onnisciente. Un ateo è semplicemente qualcuno che ha preso
in considerazione questa affermazione, ha letto i libri in
questione, ed ha concluso che l'affermazione è ridicola. [Il
pubblico ride].
171
[L'ateo non è dogmatico, perché essere dogmatici significa
assumere qualcosa senza evidenza sufficiente]. E non c'è nien-
te che debba essere assunto senza evidenza sufficiente, per po-
ter respingere l'idea del Dio biblico. Forse che noi abbraccia-
mo un dogma quando liquidiamo Zeus, Poseidone e Apollo
come delle assurdità? Siamo forse dogmatici quando igno-
riamo tutte le migliaia di Dei morti, che oggi giacciono se-
polti in quella pagliacciata che chiamiamo mitologia? E' for-
se dogmatico dubitare che l'Iliade e l'Odissea siano stati scritti
dal creatore dell'universo? Questo non è dogmatismo. Come
disse Carl Sagan, "le affermazioni straordinarie richiedono
evidenza straordinaria". Ed è tutto ciò che serve per essere
atei. Tutto qui.

ARROGANTE È CHI AFFERMA DI SAPERE COSE CHE NON PUÒ SAPERE

C'è un'altra tendenza correlata a dire che l'ateismo è arro-


gante, o che la scienza in generale è arrogante, nel liquidare la
religione. Questo argomento riverbera incessantemente nell'e-
cosistema dei discorsi religiosi in America. Questo è davvero
ironico. E' profondamente ironico vedere delle persone reli-
giose, che decantano continuamente la propria umiltà [il
pubblico ride], e contemporaneamente con incredibile sicu-
mera fanno affermazioni sulla cosmologia, sulla fisica, sul-
l'astronomia, sulla geologia, sulla biologia e sulla paleonto-
logia, che nessuno scienziato si permetterebbe mai di fare.
[Quanto è UMILE questo atteggiamento? Quanto è umile af-
fermare di sapere con certezza cose contrarie all'evidenza?.
Il 53% degli americani a quanto pare prende alla lettera il re-
soconto della creazione che si trova nella genesi. Ma anche
solo se gli desse una minima dignità, come se fosse in qualche
modo informativo... [il pubblico ride]... Ogni persona che fa
questo sta essenzialmente dicendo a persone come Stephen
Hawking qualcosa tipo "Piccolo Stephen, sei una personcina
intelligente... [il pubblico ride]... Vedo che hai tante belle
equazioni sul tuo quadernino [il pubblico ride]... ma non sai
abbastanza di cosmologia, perché, sai, QUI C'E' SCRITTO
che Dio ha fatto tutto questo in sei giorni, e si è riposato il set-
172
timo. È vero, potrebbe essere una metafora, ma è a me non
sembra che tu ti stia concentrando abbastanza sulla sua sotti-
gliezza". Essenzialmente stanno dicendo a gente come Richard
Dawkins, o Robert Trivers, o qualunque biologo evoluzioni-
sta, "Parli sempre di questo Dna, dei fossili, della datazione al
carbonio radioattivo, ma... come posso dire... QUI C'E' SCRIT-
TO [il pubblico ride] che l'uomo è stato creato in un atto di
creazione separata. Dovresti veramente rifletterci su. Riflettici.
[Il pubblico ride]"
Questo genere di arroganza compassata sarebbe anche di-
vertente, se non avesse un effetto così disastroso, e non stesse
impedendo l'insegnamento della scienza in questo paese. Il
30% dei biologi non menzionano neppure l'evoluzione, per la
paura di dover avere a che fare con gli isterismi religiosi degli
studenti e dei loro genitori. Questo significa davvero impedi-
re la ricerca medica. Significa davvero erodere il prestigio de-
gli Stati Uniti agli occhi del resto del mondo. Avete visto tutti
il recente dibattito tra i candidati repubblicani alla presiden-
za. Quando fu chiesto loro "quanti di voi rifiutano l'evoluzio-
ne?", si sono alzate tre braccia. [Il pubblico ride]. Voglio dire,
questo è sconcertante. Queste persone sono candidate alla ca-
rica più alta nel nostro paese. Stanno per avere più potere e re-
sponsabilità di quanta ne abbia mai avuta qualunque persona
nella storia dell'umanità. [Il pubblico smette di colpo di ride-
re.]
Per ricapitolare, lasciatemi dire solo che niente di ciò che ho
detto dovrebbe essere considerato una negazione dell'impor-
tanza dell'etica nella nostra vita, e neppure dell'importanza
dell'esperienza spirituale. Puoi essere una persona profonda-
mente dedicata a trasformare la tua percezione temporale del
mondo, ed usare tecniche come la meditazione e il digiuno;
puoi andare a vivere in una caverna per un anno ed essere un
mistico, se vuoi. Niente di tutto questo richiede che tu creda
qualcosa senza evidenza sufficiente. E niente di tutto questo
richiede che mentiamo a noi stessi, o ai nostri figli, circa lo
stato della nostra conoscenza nel mondo.
E il problema principale che io ho con la religione è che
173
qualunque tipo di religione, non importa se moderata o fon-
damentalista, si pone come un continuo ostacolo alla possi-
bilità di sviluppare una discussione davvero razionale, mo-
derna, dall'esito non predeterminato, sulla natura della no-
stra soggettività, e sulla possibilità dell'etica e della spiritua-
lità. Ogni persona religiosa che resta attaccata al cristianesimo,
all'ebraismo o al buddhismo, sta essenzialmente dando un ta-
cito sostegno alle divisioni religiose nel nostro mondo, e sta
dicendo essenzialmente che noi abbiamo bisogno di una certa
quantità di mitologia, che abbiamo bisogno di una certa
quantità di favole, che abbiamo bisogno di fingere di sapere
cose che non sappiamo. È questo è semplicemente falso. Cre-
do sia abbastanza per cominciare. Grazie. [applausi]

DISONESTÀ INTELLETTUALE
(da una lettera di Sam Harris a Andrew Sullivan)

Ora lascia che risponda brevemente alla tua accusa principa-


le di "intolleranza". Le mie frasi che tu sembri aver trovato più
problematiche sono queste:
Chiunque pensi di sapere per certo che Gesù sia nato da
una vergine o che il Corano sia il mondo perfetto del
creatore dell'universo sta mentendo. O sta mentendo a
se stesso, o a tutti gli altri. In nessuno dei due casi queste
false certezze dovrebbero essere celebrate.
Che faresti se io ti dicessi che sono certo che le cellule del
mio corpo siano un numero pari? Quali sono le probabilità
che io sia nella posizione di avere davvero contato le mie
cellule (sono nell'ordine dei 100 trilioni) e che le abbia con-
tate correttamente? Sarebbe forse ingiusto (o peggio "intolle-
rante") da parte tua liquidare la mia affermazione come il
prodotto di un auto-inganno oppure di semplice disonestà?
Nota che questa affermazione ha il 50% di probabilità di esse-
re vera (diversamente dalle affermazioni sulla nascita da una
vergine e sulla resurrezione), eppure è completamente ridico-
la. Certe pretese di conoscenza ― anche su fatti che hanno
174
una grande probabilità ― svergognano immediatamente i
loro sostenitori come intellettualmente disonesti. Ti prego di
scusarmi se dico che è straordinariamente ovvio che né tu, né
il Papa, né alcun cristiano siete nella posizione di sapere che
Gesù è davvero nato da una vergine o che un giorno ritorne-
rà sulla terra brandendo poteri magici.
Per quanto riguarda la pretesa islamica che il Corano sia il
mondo perfetto del creatore dell'universo, lo stesso Corano
rende particolarmente facile liquidare quest'idea. Il libro affer-
ma di essere così perfetto che non avrebbe mai potuto essere
scritto da un essere umano (10: 37) e i lettori vengono sfidati a
cercare di scrivere una surah che sia degna di una qualunque
del testo (2:23). Chiunque abbia davvero letto il Corano (e
qualsiasi altra significativa opera di letteratura) converrebbe
che sarebbe molto facile fare ciò. Il Corano dichiara che, se non
fosse il mondo perfetto di Allah, i suoi critici ci troverebbero
dentro degli errori (4:82). I suoi critici ci hanno trovato degli
errori. Che cosa deve concludere una persona ragionevole?
[...]

INGANNARE I PROPRI FIGLI

Sembra che tu ti sia offeso particolarmente del fatto che ti ho


imputato un auto-inganno e/o una disonestà verso il fedele. Io
non ti chiedo affatto scusa per questo. Uno dei più grandi
problemi della religione è che è costruita, in un grado note-
vole, su bugie. La mamma dice di sapere che la nonna, dopo
che è morta, è andata diritta in paradiso. Ma la mamma non
sa veramente questa cosa. La verità è che, mentre mamma
può essere rigorosamente onesta in qualunque altro campo, in
questo caso non vuole distinguere tra ciò che veramente sa
(cioè ciò che ha buone ragioni di credere) e (1) ciò che vorreb-
be fosse vero, o (2) ciò che permetterà ai suoi figli di non sof-
frire troppo nell'assenza della nonna. Ella sta mentendo ― o a
se stessa o ai suoi figli ― ma siamo tutti d'accordo di non par-
larne. Piuttosto che insegnare ai nostri bambini ad affrontare
il dolore e a reagirvi, insegniamo loro a mentire a se stessi.

175
Puoi chiamarmi "intollerante" quanto vuoi, ma questo non
farà sembrare più ragionevoli le tue pretese irragionevoli di
sapere; non renderà le tue affermazioni di conoscenza reli-
giosa diverse da affermazioni altrui che tu consideri illegitti-
me; e non costituirà una risposta adeguata a qualunque cosa
io abbia scritto o stia per scrivere.

COME LA RELIGIONE OSTACOLA SISTEMATICAMENTE


LA SCIENZA
(da una lettera di Sam Harris a Andrew Sullivan)

La cosa che davvero mette gli scienziati in una posizione pri-


vilegiata in materia di verità è che gli scienziati sono disposti a
dire "non lo so" ― ad integrare davvero il dubbio nella loro
visione. Come sai, ci sono innumerevoli domande a cui la re-
ligione una volta offriva una risposta basata sulla fede, che
ora sono state cedute all'attenzione della scienza. In verità, il
processo di conquista della scienza e il corrispondente cedi-
mento della religione è incessante, unidirezionale, e altamente
prevedibile. Qualche persona intelligente comincia a dubita-
re di qualche opinione ricevuta ― circa le cause di una malat-
tia, il movimento dei corpi celestiali, la natura della percezione
sensoriale, ecc.; poi costui osserva il mondo più da vicino
(spesso servendosi della tecnologia e/o della matematica) e fa
delle predizioni che possono essere verificate da altri. E poi,
ogni volta, puntualmente, vediamo che i religiosi non sono
disposti ad interagire seriamente con questo processo (ed
anche ansiosi di soggiogare o assassinare i suoi autori) lad-
dove esso metta in difficoltà la dottrina alla quale sono emo-
tivamente attaccati. Alla fine, comunque, il potere che deriva
dal capire davvero il mondo diventa troppo seducente per
essere ignorato, e anche i chierici gettano la spugna. In que-
sto modo la vera conoscenza, essendo veramente universale,
erode alla base il dissenso dei religiosi. I musulmani e i cri-
stiani, ad esempio, non possono essere in disaccordo sulle
cause del colera, perché, qualunque cosa dicano i loro libri
176
sacri sulle malattie infettive, una comprensione genuina del
colera è arrivata da altri quartieri. L'epidemiologia sconfigge
la religione (o dovrebbe farlo), specialmente quando le perso-
ne stanno guardando i loro figli che muoiono. E' qui che giace
la nostra speranza per un futuro davvero non settario: nelle
questioni importanti, la gente tende a voler capire cosa davve-
ro sta succedendo nel mondo. La scienza (e in generale il di-
scorso razionale) riesce davvero a produrre questa compren-
sione, ed offre una stima molto sincera delle sue limitazioni at-
tuali; la religione fallisce su entrambi i fronti.
Non sono d'accordo neppure sul fatto che la fede religiosa
possa essere capace di "comportarsi bene" come tu credi. Af-
fermi che le credenze religiose sono "liberamente scelte e per
definizione trattano questioni che non possono essere soggette
a un consenso comune". Cosa significa dire che una credenza
è "liberamente scelta"? Se le nostre credenze sono rappresen-
tazioni di stati del mondo (fisico, storico, contemplativo, o an-
che immaginario), noi non le scegliamo affatto. Le credenze
tendono ad essere imposte su noi tutti da catene di evidenza
e di argomenti che sono troppo convincenti per essere igno-
rati. Hai scelto liberamente di credere che Gesù fosse croci-
fisso piuttosto che ghigliottinato? Non credo. Si dà il caso
che il resoconto biblico menzioni la crocifissione, e tu trovi
convincente questo resoconto. (Presumo che sia anche rile-
vante il fatto che Gesù precede l'invenzione della ghigliottina
di più di 1000 anni.) Il punto, naturalmente, è che non sei li-
bero di credere qualunque cosa tu voglia. E le persone che si
vantano di avere questa libertà sono dimostrabilmente paz-
ze. L'opinione di maggioranza è davvero lo "standard aureo"
in questo caso, come in ogni altro caso. La ragione della mag-
gioranza, naturalmente, ammette eccezioni. E' possibile che un
genio solitario possieda la verità prima che ogni altro la rag-
giunga. Prima o poi, però, altre persone autenticheranno i suoi
risultati. Questo vale anche per i risultati contemplativi e quel-
li classici "mistici". Sì, l'esperienza soggettiva è un fatto priva-
to, fino a un grado notevole, ma non è solo questo. Il linguag-
gio permette una forma di consenso su cosa sia ragionevole
177
credere, anche sulle proprie esperienze private.
Occorre disciplina per non mentire a se stessi e agli altri. E'
difficile, naturalmente, sapere quanti progressi tu stesso hai
fatto nel sentiero dell'onestà, ma non è difficile individuare i
cedimenti altrui. Non mi sto riferendo solo agli episodi ecla-
tanti di menzogna religiosa, nello stile di Ted Haggard. Mi ri-
ferisco alla quotidiana ed ubiqua incapacità della maggior
parte dei religiosi di ammettere che le affermazioni basilari
della loro fede sono profondamente sospette. Quanto è pro-
babile che Gesù sia davvero nato da una vergine, che sia re-
suscitato, e che stia per tornare in carne e ossa sulla terra per
giudicarci tutti? Quanto è ragionevole credere in una tale se-
quenza di miracoli sulla base del resoconto dei vangeli?
Quanto supporto ricevono queste dottrine dall'esperienza che
il cristiano medio fa in chiesa? Mi sembra che delle risposte
oneste a queste domande dovrebbero sollevare un tifone di
dubbi. Non sono sicuro che cosa ci sarà di "cristiano" in coloro
che resteranno in piedi dopo il tifone.

IL PERICOLO PER L'UMANITÀ

Mi sembra profondamente privo di immaginazione ― e


francamente pericoloso ― pensare che non sia possibile supe-
rare le divisioni religiose nel mondo. Qual è l'alternativa? Pen-
si davvero che la razza umana arriverà a vedere il 23-esimo
secolo, con una tecnologia potente oltre ogni immaginazione
e disponibile in ogni angolo della terra, e avendo allo stesso
tempo un pensiero ancora governato dalla certezza religiosa
settaria? Con i musulmani che bramano la jihad? Con i cristia-
ni "rapture" pronti per essere portati in cielo e con in mano il
potere politico?
Lasciami chiudere con una semplice domanda: cosa costitui-
rebbe per te una "prova" che le tue credenze attuali su Dio
sono sbagliate? (Cioè, cosa ti farebbe dubitare fondamental-
mente la validità della fede in generale e della cristianità in
particolare?) Sospetto che la tua risposta a questa domanda ri-
velerà molto sul perché tu credi ciò che credi.

178
I miei auguri,
Sam

LA SPIRITUALITÀ NON RICHIEDE LA FEDE


(da una lettera di Sam Harris a Andrew Sullivan)

Infine, lasciami chiarire che non considero i moderati religio-


si "semplicemente come coloro che rendono possibile l'intolle-
ranza fondamentalista". Sono perfino peggio. La mia più
grande critica al moderatismo religioso ― e al tuo ultimo
messaggio ― è che rappresenta precisamente il modo di
pensare che impedisce l'emergere nel mondo di una spiri-
tualità pienamente ragionevole e non-denominazionale. La
tua determinazione a conciliare i tuoi bisogni emotivi e spi-
rituali con la tradizione del cattolicesimo ti ha impedito di
scoprire che esiste una modalità di indagine etica e spiritua-
le che trascende la cultura, che non è contingente alla cultura
come invece sono tutte le religioni. Come ho scritto ne "La
fine della fede", qualunque cosa sia vera su di noi, spiritual-
mente ed eticamente, deve essere scopribile adesso. Non ha al-
cun senso permettere che la nostra vita spirituale continui a
dipendere da storie di eventi antichi, per quanto miracolosi.
Che faresti se, domani, un team di archeologi e studiosi della
Bibbia dimostrassero oltre ogni ombra di dubbio che i Vangeli
furono delle antiche invenzioni e che Gesù non è mai esistito?
Questo renderebbe impossibile la tua vita spirituale? Sarebbe
un peccato se lo facesse. E se non lo facesse, in che senso la tua
spiritualità dipende davvero dal Gesù storico?
Ti sto chiedendo di immaginare un mondo in cui si inse-
gna ai bambini ad indagare sulla realtà per conto proprio,
non in conformità con il dogmatismo religioso dei loro geni-
tori, ma sotto la luce di un'indagine davvero onesta e libera
da timori. Immagina un discorso sull'etica e sull'esperienza
mistica che sia libero dalle contingenze quanto oggi lo sono
i discorsi scientifici. La scienza trascende davvero le sfuma-
ture della cultura: non esiste una "scienza giapponese" con-
179
trapposta ad una "scienza francese"; non parliamo di "biolo-
gia induista" e di "chimica ebraica". Immagina un mondo
che abbia trasceso il suo tribalismo ― il razzismo e il nazio-
nalismo, sì, ma specialmente il tribalismo religioso ― in cui
tutti noi possiamo avere una conversazione davvero aperta a
qualsiasi esito, circa il nostro ruolo nell'universo e circa le
possibilità di approfondire la nostra esperienza d'amore e
compassione l'uno per l'altro. L'etica e la spiritualità non ri-
chiedono la fede. Uno può persino raggiungere un completo
assorbimento mistico nel mistero primordiale del momento
presente senza credere a niente che sia privo di sufficiente
evidenza.
Forse vorrai rispondere che ogni religione offre una guida
per fare questo. Sì, ma sono guide provvisorie, al meglio. In-
vece di rovistare nella carcassa del cristianesimo (o di qua-
lunque altra fede tradizionale) in cerca di qualche granello di
saggezza incontaminata, perché non sedersi completamente al
ricco banchetto della comprensione umana nel presente? Sono
già disponibili molti corsi ben rifiniti. Per coloro che sono inte-
ressati alle origini dell'universo, c'è la vera scienza della co-
smologia. A quelli che vogliono conoscere l'evoluzione della
vita su questo pianeta, offrono vero nutrimento la biologia, la
chimica e le loro sotto-specialità. (Ormai la conoscenza nella
maggior parte dei campi scientifici raddoppia ogni cinque
anni. Quanto rapidamente cresce nella religione?). E se ciò che
ti interessa è l'etica e la spiritualità, in questo momento ci sono
scienziati che fanno degli sforzi seri per comprendere queste
caratteristiche della nostra esperienza ― sia studiando le fun-
zioni cerebrali di persone esperte di meditazione, sia pratican-
do essi stessi la meditazione ed altre discipline spirituali (non
basate sulla fede). Anche quando si parla di compassione e
trascendenza da se stessi, c'è del vino nuovo che viene (lenta-
mente) versato. Perché non raccoglierlo con un bicchiere puli-
to?

180
INSEGNARE AI BAMBINI
(da una lettera di Sam Harris a Andrew Sullivan)

Per quanto riguarda il destino dei nostri figli: inutile dirlo,


abbiamo già scelto dei guardiani per educarli; si chiamano
"insegnanti". Cosa succede ad Harvard o Yale quando uno
studente alza la mano nel corso di storia e proclama "Il mio
papà dice che Londra e Costantinopoli sono la stessa città"?
Si presume che la prossima parola che sentirà sarà "Mi spia-
ce, ma il tuo papà si sbaglia". I genitori non sono gli eterni
detentori dell'epistemologia, e quando riescono a fuorviare i
loro bambini in materia di fatti, i loro bambini pagano il
prezzo. Qualunque aspirante medico che assuma, per l'autori-
tà di sua madre, che il pancreas si trovi nella testa, avrà una
vita dura a superare la scuola di medicina.

IL SUCCESSO DI UNA DOTTRINA NON NE IMPLICA LA


VERITÀ
(da una lettera di Sam Harris a Andrew Sullivan)

Termini il tuo ultimo scritto sostenendo la veridicità (o alme-


no la plausibilità) del cristianesimo sulla base del suo successo
culturale. Sospetto che tu sappia che in questo modo ti sei cac-
ciato da solo in un vicolo cieco. Tu ammetti persino l'esistenza
di altre religioni di grande successo, e così ti confuti da solo.
Considera il caso dell'Islam. Si tratta di una religione che ri-
pudia esplicitamente le affermazioni centrali del cristianesi-
mo (Maometto ci assicura che chiunque pensi che Gesù fos-
se divino passerà l'eternità all'inferno, Corano 5:71-75; 19:30-
38). L'Islam ha quasi tanti fedeli quanto il cristianesimo, ed ora
si diffonde più rapidamente di ogni altra religione sulla terra.
Che cosa dovrei dedurne, se seguissi il tuo ragionamento?
Dovrei credere che Maometto sia davvero volato in paradiso
su un cavallo alato? che il Corano sia il mondo perfetto di
Dio? Come tu dici, queste affermazioni hanno resistito alla
prova del tempo. Ma non è questo il punto. Il punto è che non

181
reggono agli attacchi di un'indagine spassionata. Eppure,
sotto molti aspetti, la carriera di Maometto come profeta è
stata anche più impressionante di quella di Gesù. Come mi-
nimo, riuscì a sfuggire alla crocifissione. Naturalmente, i cri-
stiani sono riusciti a trasformare persino la crocifissione del
loro Salvatore in una storia di successo. Sembra che la fede
possa razionalizzare qualunque cosa.
[...]
Il fatto che la religione, e in particolare il Cristianesimo, sia-
no sopravvissuti così a lungo non è così misterioso ― e certa-
mente non tanto da dare credibilità ad antichi miracoli. Senza
dubbio ci sono molti fattori che hanno contribuito al successo
del Cristianesimo. Il problema del costo dell'estinzione è sicu-
ramente uno di questi: guarda semplicemente quante risorse
emotive, di attenzione, e finanziarie sono state investite dalla
gente in questa religione. Nessuno è impaziente di rendersi
conto che ha perso il suo tempo. Comprendere che le afferma-
zioni di base del cristianesimo sono illegittime sarebbe, per un
cristiano, come ammettere "sono stato nel torto per tutti questi
anni". Non è una sorpresa che le persone voltino le spalle alla
porta, corazzandosi contro tali rivelazioni. Ho ricevuto mi-
gliaia di lettere ed email da persone che descrivevano quan-
to è stato doloroso per loro ammettere finalmente di essere
stati ingannati dalla cristianità, e di aver ingannato a loro
volta i loro bambini. Più comunemente, sento persone che
sono terrorizzate all'idea di articolare il loro crescente scetti-
cismo sulla dottrina del cristianesimo, per paura di essere
disconosciuti da amici e familiari. Non ignoro le pressioni so-
ciali e psicologiche che i religiosi si trovano ad affrontare. Non
credo che dovresti ignorarle neppure tu.
Un altro fattore è quella sensazione di appartenenza che tu
descrivi così eloquentemente ― il fatto che puoi andare in
qualunque posto del mondo e trovare una casa. (Francamente,
io preferirei poter andare in qualunque posto del mondo e tro-
vare un essere umano ragionevole, ma a ciascuno il suo.) Non
dubito che sia attraente poter disporre di una tale infrastruttu-
ra di comunità, e ammetto che non c'è nessun equivalente lai-
182
co (al momento). Ma è importante notare che questo tipo di af-
filiazione religiosa non dice niente sulla verità di alcuna dot-
trina religiosa specifica. Quando il credente scientologista dice
"abbiamo uffici in 175 città", questo non rende per me più cre-
dibili le sue affermazioni religiose. Gli scientologisti possono
costruire tutti gli uffici che vogliono, godersi tutta la fratellan-
za che vogliono, e sorridere quanto vogliono, ma niente di tut-
to ciò renderà profondi gli scritti di L. Ron Hubbard. Niente di
tutto ciò darà credibilità intellettuale a un sistema di credenze
che viene riassunto ottimamente in un episodio di South Park.
Sei davvero sorpreso che la religione sia durata così tanto?
Quale ideologia dovrebbe essere più duratura di una che si
affida, continuamente, alle nostre facoltà di auto-inganno
[wishful thinking]? E' facile sperare; è difficile conoscere. La
scienza è quell'unico dominio in cui noi esseri umani facciamo
lo sforzo davvero eroico di contrastare le nostre innate tenden-
ze a non essere obiettivi, e all'auto-inganno. La scienza è quel-
l'unico campo in cui abbiamo sviluppato una metodologia
sofisticata per separare ciò che speriamo essere vero da ciò
che abbiamo buone ragioni di credere. Questa metodologia
non è perfetta, e la storia della scienza è costellata di falli-
menti ingloriosi nel mantenere l'obiettività scientifica. Ma è
proprio questo il punto ― questi sono stati dei fallimenti
della scienza, scoperti e corretti. Da chi, dalla religione? No,
dalla scienza buona.
Non nego che ci sia qualcosa nel cuore dell'esperienza reli-
giosa che vale la pena di comprendere. Non nego neppure
che c'è qualcosa che meriti la nostra devozione. Ma la devo-
zione ad essa non rende vera una falsa affermazione di co-
noscenza, né richiede che noi cediamo alla parzialità emoti-
va/familiare/culturale in un modo non scientifico. [...] Non
c'è bisogno di credere a cose prive di sufficiente evidenza,
per provare "le esperienze estatiche di Madre Teresa" (o
quelle di Rumi, se è per questo). E quelli di noi che hanno la
fortuna di avere un'istruzione da ventesimo secolo possono
essere più parsimoniosi nel trarre conclusioni sul Cosmo
sulla base di queste esperienze estatiche. Anzi, credo che
183
dobbiamo esserlo, se non vogliamo che il nostro attaccamen-
to al linguaggio dei nostri antenati mantenga viva l'ignoran-
za nel nostro tempo.

LE ESPERIENZE MISTICHE NON SONO EVIDENZA


(da una lettera di Sam Harris a Andrew Sullivan)

Mi hai anche accusato falsamente di credere che le persone


religiose siano "sciocche", o " idiote". Inutile dirlo, io non pen-
so che Blaise Pascal fosse un idiota (né penso che lo sia tu, se è
per questo). Ma io considero idiozie alcune idee, e si possono
trovare di tanto in tanto delle idee idiote nel cervello di perso-
ne straordinariamente intelligenti. Uno degli orrori del dog-
matismo religioso è che può produrre un Pascal ― un uomo
brillante che fu irrimediabilmente auto-ingannato su questioni
di profonda importanza. Come ho scritto ne La Fine Della
Fede:
È vero che Pascal ha avuto quella che per lui fu una sor-
prendente esperienza contemplativa nella notte del 23
novembre 1654, una esperienza che lo convertì comple-
tamente a Gesù Cristo. Io non dubito del potere di tali
esperienze, ma mi sembra una cosa auto-evidente che
non sono di proprietà esclusiva dei cristiani devoti, più
di quanto lo siano le lacrime di gioia. In tutto l'arco del-
la storia ci sono stati degli induisti, dei buddisti, dei
musulmani, degli ebrei, e anche animisti di ogni tipo,
che hanno avuto questo tipo di esperienze. Pascal, es-
sendo molto intelligente e colto, avrebbe dovuto saperlo;
il fatto che non lo seppe (o che scelse di ignorarlo) testi-
monia l'effetto dannoso dell'ortodossia sulla mente uma-
na.
Sostengo fortemente quest'affermazione. Non c'è modo di
aggirare il fatto che San Paolo, Pascal, i papi (tutti), e ogni al-
tro cristiano che meriti questo nome, abbia affermato la vali-
dità esclusiva del cristianesimo. Questa affermazione è, al
meglio, ridicolmente provinciale. L'evidenza che viene addot-
184
ta a supporto della dottrina cristiana si può trovare anche in
ogni altra religione ― santi che compiono miracoli, resurre-
zioni dalla morte, libri ispirati da una divinità, poteri psichi-
ci, raptus spirituali, amore incondizionato, eccetera. Queste
affermazioni sono tutte o ugualmente buone o ugualmente
sbagliate. Ma "ugualmente buone" si riduce a "ugualmente
sbagliate", perché queste affermazioni sono mutuamente in-
compatibili. Se la cristianità ha ragione, tutte le altre religio-
ni sono nel torto. Tutti i cristiani, come minimo, professano
quanto segue: Gesù fu il Messia (e quindi gli ebrei sono nel
torto); egli era divino e risorse (e quindi i musulmani sono
nel torto ― "Gesù figlio di Maria, messaggero di Allah ―
non lo uccisero né lo crocifissero, ma così credettero": Cora-
no, 4:157); c'è un solo Dio (e quindi gli induisti sono nel tor-
to). Ma, naturalmente, i cristiani non hanno una ragione mi-
gliore degli ebrei, musulmani, o induisti, per credere di es-
sere nel giusto.

LA PERSONALITÀ DI GESÙ
(Dal monologo "Letting go of God" (lasciarsi alle
spalle Dio) di Julia Sweeney.)

Non vedevo l'ora di conoscere nuovamente Gesù, come se


fosse la prima volta. Ma... oh mio dio. Prima di tutto, Gesù era
molto più rabbioso di come mi aspettavo che fosse. Sapevo
che si arrabbiava con tutti quei mercanti nel tempio, ma non
avevo idea che fosse arrabbiato per la maggior parte del tem-
po, e così impaziente. Gesù dice che parla in parabole perché
le persone non capiscono nient'altro; ma le parabole sono
spesso fumose e senza senso... e Gesù scatta nervosamente
quando persino i suoi discepoli non le capiscono. Dice "Se non
capite questa parabola, allora come potete capire alcuna para-
bola! Siete del tutto incapaci di capire?" Io continuavo a pensa-
re "E allora non parlare in parabole!" [Il pubblico ride] "Non
sta funzionando! Perfino il tuo staff non ti capisce!" [il pubbli-
co ride] "Perché non dici semplicemente cosa intendi dire?" [il
185
pubblico ride]
Ok... Gesù non è così paziente, e credo che abbia scelto un
modo molto inefficace di dare lezioni, ed è arrabbiato per la
maggior parte del tempo... ma questo non lo rende cattivo! E'
solo che... wow, mi aspettavo davvero un altro tipo di persona.
Alcune delle parabole non sono solo fumose, ma, per me,
erano anche in un certo senso... offensive. Come in Luca:
Gesù ci aiuta a capire la relazione di Dio con gli esseri uma-
ni dicendo che Dio tratta le persone come le persone trattano
i loro schiavi: li picchia più di quanto picchia gli altri. Ok: lo
so che siamo in un'epoca diversa, e cose del genere, ed ho cer-
cato veramente di tenerlo a mente, in quanto la Bibbia fa riferi-
menti continui alla schiavitù, e non solo non dice che è sba-
gliata, ma dà delle regole su come devi trattare i tuoi schiavi,
come gli schiavi dovrebbero comportarsi in modo obbediente
verso i loro padroni... ma non so, pensavo che il figlio di Dio
avrebbe detto che che la schiavitù è sbagliata. Ma no, Gesù
non dice questo... anzi, usa la schiavitù come esempio di
come Dio tratta le persone.
Fu molto difficile restare dalla parte di Gesù quando comin-
ciò a dire cose davvero aggressive e piene di odio, come in
Luca, capitolo 19: Gesù dice di essere come un re, e dice
"chiunque non mi riconosce come tale, portatelo qui ed am-
mazzatelo davanti a me". O in Giovanni, capitolo 15, dove
Gesù dice "Chiunque non crede in me è come un ramo secco,
e sarà gettato nel fuoco e bruciato". In Matteo dice "Io non
vengo a portare la pace, ma una spada". E in Luca dice "Se
non hai una spada... venditi i vestiti e comprane una?" [il pubbli-
co ride]
Poi Gesù comincia a comportarsi come un pazzo totale,
come in Matteo capitolo 21, quando questo albero di fico non
ha un fico per farlo mangiare a Gesù, e Gesù condanna a mor-
te l'albero di fico! [Il pubblico ride.]. Proprio così: Gesù con-
danna a morte un albero di fico. Non è una parabola, tra pa-
rentesi. Solo Gesù incazzato nero che l'albero di fico non aves-
se un fico per lui! [il pubblico ride]. Non esattamente il princi-

186
pe della pace che ci ha insegnato a porgere l'altra guancia.
E poi c'è la famiglia. Devo dire che le cose di Gesù che ho
trovato più indisponenti sono i suoi valori familiari, il che è
sorprendente quando pensi che ci sono dei gruppi lì fuori che
basano i loro valori familiari sulla Bibbia. Voglio dire, Gesù
sembra non avere alcun legame stretto coi genitori; tratta la
madre crudelmente, di continuo; a un matrimonio dice ad una
donna ["what have I to do with you"]; e una volta, mentre par-
lava a una folla, c'era Maria che aspettava pazientemente al
bordo per parlargli, e Gesù disse ai suoi discepoli "Mandatela
via. Siete voi la mia famiglia ora". Matteo, Marco e Luca rac-
contano tutti questa stessa storia, ma Marco ci dice anche il
motivo per cui Maria era lì per vedere Gesù: dice che Maria era
venuta a trovare Gesù per cercare di farlo tornare in sé, perché
la gente diceva che era impazzito. [Il pubblico ride]. Io conti-
nuavo a pensare "Sì! Andiamo ad aiutare Gesù, ne ha tanto bi-
sogno!".
Comunque, Gesù scoraggia ogni contatto che i discepoli
hanno con la loro famiglia. Come sappiamo, lui stesso non si
sposa e non ha bambini, e dice esplicitamente ai suoi seguaci
di non avere famiglie, e se le hanno dovrebbero semplicemen-
te abbandonarle.
Ora, Gesù diceva questo soprattutto perché credeva che la
fine del tempo fosse imminente. Gesù dice continuamente
che le persone che sono vive quando lui era vivo non sareb-
bero morte naturalmente, ma avrebbero visto la fine del
tempo. Dice questo in Matteo, Marco e Luca. Così, ok, Gesù
ci dice di non avere famiglia perché crede che la fine del
tempo sia imminente. Ma poi ci dice di non occuparci delle
famiglie che abbiamo già. Come in Luca, capitolo 14: Gesù
dice "Chiunque viene da me e non odia sua madre e suo pa-
dre, fratello e sorelle, moglie e figli, non può essere mio di-
scepolo". Voglio dire: non è questo che fanno i culti? Ti fan-
no rifiutare la famiglia per plagiarti? [il pubblico ride] Così
questi sono i valori familiari del nuovo testamento, che do-
vrebbe essere un grande miglioramento sui valori familiari
del vecchio testamento? [..]
187
SULL'UTILITÀ DELLA RELIGIONE
(da alcuni discorsi di Sam Harris)

Tendo ad iniziare ogni discorso su questo argomento con


delle scuse, perché sto per dire cose molto severe sulla religio-
ne [il pubblico ride]; credo che non potrò evitare di offendere
qualcuno in questa stanza, perché viviamo in un paese dove il
90% delle persone affermano di credere nel Dio biblico. Voglio
solo assicurarvi sin da subito che non sono deliberatamente
provocatore. Lo scopo non è offendervi. E certamente non è lo
scopo dei miei libri. Sono soltanto estremamente preoccupato
dal ruolo che la religione sta giocando nel nostro mondo. Cre-
do che la religione sia l'ideologia più pericolosa e fonte di
divisioni che abbiamo mai ideato. E questo mi tiene sveglio
la notte. Sin dall'11 settembre, in cui abbiamo visto questi 19
uomini che si sono schiantati con degli aerei, e ci hanno mo-
strato quanto può essere "socialmente benefica" la certezza re-
ligiosa, ho sostenuto che il ruolo della religione nella nostra
società è negativo, e sono giunto a comprendere che ci sono
solo tre modi di ergersi a difensori della religione. Non ce ne
sono 100, solo tre. O una persona sostiene che una certa reli-
gione è vera, oppure sostiene che la religione in generale è
utile, così utile che potrebbe essere necessaria, oppure attac-
ca l'ateismo dicendo che è essenzialmente un'altra religione,
che è dogmatico, intollerante, irrazionale o comunque degno
di disprezzo. Per cui voglio separare queste tre modalità di di-
fesa della religione, perché qualunque conversazione tra un
credente e un non credente tende a incanalarsi in una di que-
ste tre strade.
Prima cominciamo con questa affermazione che una delle
nostre religioni sia vera. Ci sono almeno due problemi in que-
sta posizione. Il primo è che le religioni non possono essere
tutte vere. Questa cosa ci è stata fatta notare da Bertrand Rus-
sel cent'anni fa. Ma anche se sapessimo che una delle nostre
religioni è perfettamente vera, cioè se sapessimo che la vita è
in realtà un esame a crocette creato da Dio (A ebraismo, B cri-
stianesimo, C Islam) [il pubblico ride]... anche se sapessimo
188
che una è perfetta, allora, data l'impressionante profusione di
dottrine disponibili, e la loro mutua incompatibilità, ogni cre-
dente dovrebbe aspettarsi la dannazione per un semplice fatto
di probabilità. [Il pubblico ride]. A me sembra che questo deb-
ba dare alle persone religiose un attimo di ripensamento. Non
succede mai, ma dovrebbe.
Ma il problema più profondo nell'affermare che una certa re-
ligione è vera è che l'evidenza in favore delle religioni è inesi-
stente o pessima. E questo riassume tutte le affermazioni sul-
l'esistenza di un Dio dotato di personalità, sull'origine divina
di certi libri, sulla nascita da una vergine di certe persone [il
pubblico ride], sulla veridicità di alcuni antichi miracoli...
Prendete il cristianesimo, per esempio. Il cristianesimo è fon-
dato sull'assunzione che il resoconto fatto dai Vangeli dei
miracoli di Gesù sia vero. So che ci sono alcuni cristiani che
scuoteranno la testa qui, ma la verità è che la maggior parte
dei cristiani, per la maggior parte del tempo, prendono per
veri almeno alcuni di questi miracoli, il più importante dei
quali sembra essere la resurrezione. Il problema è che l'unica
cosa che attesta che questi miracoli siano mai avvenuti è il
Vangelo. Non c'è alcuna descrizione extra-biblica di questi
eventi. Tutti sono d'accordo che i Vangeli sono stati scritti
molti decenni dopo gli eventi che raccontano. Il problema è
che, anche se l'evidenza fosse molto migliore di così, anche se
avessimo centinaia di testimonianze oculari di questi miracoli
da parte di contemporanei, non sarebbe ancora abbastanza per
accettare le affermazioni del cristianesimo. Perché no?
Semplicemente perché anche nel ventunesimo secolo le te-
stimonianze di miracoli sono molto comuni. [Vedi miracoli
di Sai Baba, pagina 148]
[...]
Quindi lasciamo perdere le questioni di verità della religio-
ne. Il secondo modo di argomentare in difesa della religione è
dire che la religione è utile, così utile che potrebbe essere ne-
cessaria. Il modo più comune di sostenere la sua utilità è dire
che rende morali le persone, che fornisce loro consolazione, e

189
che dà significato alla loro vita. Ci sono due problemi con que-
sto. Il primo è che questo argomento, se usato per sostenere la
verità della religione, è un totale non sequitur. Io non dubito
che molte persone devotamente religiose compiano buone
azioni sulla base delle loro credenze religiose. Potresti ripe-
tere queste cose all'infinito, e non cominceranno mai a sugge-
rire che Dio esista veramente, o che la Bibbia sia la sua paro-
la, o che suo figlio scese sulla terra nella persona di Gesù per
redimere i nostri peccati. Non ho dubbi che ci siano milioni di
bravi mormoni [..]. Secondo te, questo aumenta anche di poco
la probabilità che il libro dei mormoni sia stato consegnato su
un piatto d'oro a Joseph Smith Jr [..] dall'angelo Moroni? Forse
tutti i buoni musulmani che esistono nel mondo rendono più
probabile l'affermazione che Maometto volò in paradiso su un
cavallo alato? Forse tutti i buoni pagani che sono esistiti nella
storia suggeriscono che il monte Olimpo sia mai stato pieno di
dei invisibili? Come ho notato altrove, la presunta utilità del-
la religione ― il fatto che a volte faccia compiere alle perso-
ne cose davvero molto buone ― non è un argomento che
supporti la sua verità.
L'altro problema è che l'utilità della religione è molto di-
scutibile. Nei miei libri ho sostenuto che la religione fa fare
alle persone cose buone per ragioni cattive, quando sono
perfettamente disponibili ragioni buone per fare le stesse
cose; ho anche sostenuto che molto spesso fa fare alle perso-
ne cose molto cattive che altrimenti non farebbero.
Per quanto riguarda il fare bene, io vi domando che cosa è
più morale: aiutare le persone semplicemente perché vi pre-
occupate della loro sofferenza, o aiutarle perché siete con-
vinti che Dio voglia che lo facciate? Personalmente preferirei
di gran lunga che i miei figli sviluppassero la prima di queste
due sensibilità. Per quanto riguarda il fare male: ci sono, in
questo preciso momento, degli sciiti e dei sunniti perfetta-
mente normali che si fanno l'un l'altro dei buchi nel cervel-
lo, con il trapano elettrico, nei sobborghi di Baghdad. Quali
sono le probabilità che farebbero la stessa cosa senza il "be-
neficio" delle loro identità religiose incompatibili?
190
I pericoli della religione sono testimoniati ormai su base
quotidiana dalle esplosioni di bombe. Quanto è utile che mi-
lioni di musulmani in questo mondo credano nella metafisi-
ca del martirio? Quanto è utile che gli sciiti e i sunniti in Iraq
abbiano delle divergenze religiose così accorate? Quanto è
utile che così tanti coloni ebrei credano che il creatore dell'u-
niverso abbia promesso loro un fazzoletto di terra nel Medi-
terraneo? Quanto è stata utile l'ossessione del cristianesimo
verso il sesso in queste ultime 70 generazioni?

IL NON CAMBIARE IDEA


(da una lettera di Sam Harris a Andrew Sullivan)

Molte grazie per il tuo ultimo scritto. Devo dire che, se fossi-
mo a un party serale, a questo punto sarei tentato di ammette-
re che il discorso razionale ci può portare solo fino a un certo
punto [..]. Hai semplicemente scritto per informarmi che non
hai mai dubitato dell'esistenza di Dio, che non sei in grado
di raccontare come sei giunto a credere in lui, e che sei ben
consapevole che questi fatti non mi persuaderanno (e non do-
vrebbero farlo) della legittimità delle tue credenze religiose.
Ora mi sento come un tennista che, nel bel mezzo del servi-
zio, si accorge che il suo avversario non ha più una racchetta
in mano.
[ Hai anche affermato che non riesci a immaginare alcuna
evidenza che possa farti smettere di credere in Dio. ] Hai sem-
plicemente dichiarato che la tua fede è immune al dialogo
razionale. Visto che non sei giunto a credere in Dio prenden-
do in considerazione alcuno stato del mondo, non esiste al-
cuno stato del mondo che potrebbe mai farti mettere in dub-
bio la sua esistenza. Questa è l'essenza stessa del dogmati-
smo. Ma chiamarlo così in questo contesto sembrerà crudele,
perché hai precisato come la tua fede sia sopravvissuta ― e
forse abbia aiutato te a sopravvivere ― a molte esperienze dif-
ficili. Queste testimonianze sulla forza e l'utilità della fede de-
limitano quel territorio che la maggior parte degli atei hanno
191
imparato a non oltrepassare mai. Questo mi ricorda la splen-
dida citazione di Mencken: “Dobbiamo rispettare la religione
del nostro vicino, ma solo nel senso in cui rispettiamo la sua
teoria che sua moglie è bella e i suoi figli intelligenti”. La veri-
tà è che a nessuno piace dire a un altro che la sua fonte princi-
pale di sollievo e gratificazione non è ciò che pensa che sia. Ma
adesso ci siamo dentro fino al collo, quindi permettimi di spu-
tare fuori ciò che penso e di dirti perché credo che la tua non-
giustificazione/giustificazione della fede non dovrebbe soddi-
sfare né te né nessun altro.
Mentre da una parte affermi di aver integrato il dubbio
nella tua fede, dall'altra dici che non hai mai (mai) dubitato
dell'esistenza di Dio. Questo mi sembra come dire "Sono una
persona che ama molto intensamente. Soltanto, non amo i
miei genitori o i miei bambini. Non gli ho mai amati. Probabil-
mente non li amerò mai". Ci sono sicuramente casi in cui i ca-
veat di un'affermazione sono troppo grandi da ignorare.
Così come l'hai esposta, la tua nozione di Dio non possiede
un grande contenuto specifico (a parte l'amore). Inoltre, ti sei
andato a rifugiare in una torre di mistero ― e ti sei ritirato las-
sù con l'affermazione che qualsiasi creatura abbastanza subli-
me da aver creato l'universo deve essere così al di là della no-
stra portata da eludere per sempre i nostri poteri di descrizio-
ne. L'ultima asserzione sembra plausibile, fin dove arriva. Ma,
naturalmente, non è un argomento per l'esistenza di Dio, né
tantomeno un buon argomento. In ogni caso, la tua vaporosa
concezione di divinità ti permette di dire che le tue credenze
religiose non sono in conflitto con quelle altrui. Dio ridotto a
puro amore permette che molte dottrine, anche contradditto-
rie, raggiungano la parità. La fede nell'assenza di specificazio-
ni rende un uomo umile.
Tutto questo, francamente, sembra un po' evasivo. Dato il
tuo attaccamento alla cristianità e la tua ammirazione per il
Papa (che, come sai, fa affermazioni molto più restrittive ―
e quindi arroganti ― su Dio), sospetto che ci sia una vasta
gamma di proposizioni religiose che tu accetti davvero per
vere ― sebbene forse sei meno certo di queste proposizioni
192
che dell'esistenza di Dio. Mi sto riferendo a quelle credenze
specifiche che ti renderebbero cristiano e cattolico, anziché
un generico teista. Credi nella resurrezione e nella nascita da
una vergine? La divinità del Gesù storico è per te un fatto
che è "più vero di qualunque prova... di qualunque sostan-
za... di qualunque oggetto"? Se queste cose non rientrano tra
quelle che una persona può "sapere e basta", senza alcuna giu-
stificazione, perché non ci rientrano? Se un uomo come James
Dobson si sbaglia ad essere certo, senza giustificazione, che
Gesù un giorno tornerà sulla terra, perché la tua affermazio-
ne che esista un Dio amorevole sarebbe diversa? Che cosa
diresti a una persona che una volta dubitava della storia di
Noè, ma il cui dubbio "improvvisamente, senza essere scac-
ciato da alcun pensiero specifico, semplicemente scivolò
via"? Un tale cambiamento di umore è sufficiente a stabilire il
mito dell'inondazione come un fatto storico?
Forse mi sfugge qualcosa, ma non mi sembra che tu stia li-
mitando la tua affermazione su Dio alla tua personale espe-
rienza. Non stai dicendo ― "Sam, non so come posso convin-
certi di questo, ma quando chiudo gli occhi a penso a Gesù,
provo un sentimento di pace assoluta. Sto chiamando questo
sentimento con il nome "Dio", e sospetto che, se più persone si
sentissero così, il nostro mondo sarebbe radicalmente trasfor-
mato". Un'affermazione di questo tipo non mi darebbe alcun
problema. Ma tu stai dicendo un po' più di questo. Stai affer-
mando di sapere che Dio esiste là fuori. In tal modo, stai fa-
cendo tacite affermazioni sulla fisica e sulla cosmologia e sulla
storia del mondo. Per di più, queste sono affermazioni che
hai appena dichiarato ingiustificate, ingiustificabili, ma allo
stesso tempo inattaccabili dal tuo stesso potere di dubitare.
Sembra anche che tu attribuisca qualche strano significato
epistemologico al fatto che non riesci a ricordare quando e
come hai acquisito la tua fede. Sicuramente le origini di tan-
te tue credenze ti sono ugualmente oscure. Io per esempio
non ricordo quando e come sono giunto a credere che Pluto-
ne è un pianeta. Forse per questo dovrei dire che tale creden-
za "ha scelto me"? Che diresti se, sentendo che gli astronomi
193
hanno cambiato opinione su Plutone, io annunciassi che
"non ho la capacità di smettere di credere... non conosco al-
cuna "dimostrazione" che potrebbe dissuadermi dal credere
che Plutone sia un pianeta, poiché nessuna "dimostrazione"
mi ha mai persuaso di ciò". Sono sicuro che ti lamenterai di
questa analogia, ma scommetto che i tuoi genitori ti hanno
raccontato di Dio sin dal momento in cui sei nato. È così, in
genere, che le persone sono messe in condizioni di dire cose
come "la fede mi ha scelto". Anche la lingua inglese ha scelto
sia te che me. Questo non significa che non possiamo riflettere
criticamente su di essa, o riconoscere che il fatto che la parlia-
mo entrambi (potrei dire che è "l'aria che respiriamo") è una
conseguenza completamente non-misteriosa del modo in cui
siamo stati cresciuti. In effetti, tu ammetti il ruolo giocato da
queste contingenze in questioni di fede. Come tu dici, se
fossi stato allevato da buddista, quasi certamente saresti un
buddista. Ma ti rifiuti di trarre alcuna conclusione importan-
te da questo. Se fossi stato allevato da ateo, potresti anche es-
sere un ateo?

L'INNOVAZIONE DEL CONCILIO VATICANO II


(da una lettera di Sam Harris a Andrew Sullivan)

[Nella sua lettera precedente nel carteggio, Sullivan sostene-


va che il Concilio Vaticano II ha prodotto un grande passo
avanti che ha risolto alcuni problemi sollevati da Harris.]
Il modo in cui utilizzi il Concilio Vaticano II è semplice-
mente ingenuo, e rafforza soltanto la mia tesi. Stai dicendo
che per circa 1960 anni i cristiani (compresi tutti papi) furono
in errore sulla vera dottrina della cristianità? Vorresti far cre-
dere ai nostri lettori che il concilio Vaticano II rappresenti
qualche tipo di stravolgimento epistemologico? In realtà, il
concilio Vaticano II fu soltanto riduzione del danno. La
Chiesa cattolica si trovava in difficoltà sin da quando quel tale
Galileo, come sai, fu costretto a prostrarsi davanti alla minac-
cia di tortura e fu obbligato a rinnegare la sua comprensione
194
del moto della terra, e poi fu messo agli arresti domiciliari fino
alla fine dei suoi giorni. Non fu assolto dall'eresia fino al 1992
(qualche decennio dopo il concilio Vaticano secondo), dopodi-
ché la chiesa attribuì il suo genio a Dio, "che, entrando nelle
profondità del suo spirito, lo ha stimolato, anticipando ed assi-
stendo le sue intuizioni". (Questo potrebbe essere un momen-
to appropriato per vomitare.) In ogni caso, il motivo per cui
ho citato Leone XIII non è che mi mancava materiale moder-
no. Avrei potuto citare Giovanni Paolo II, che venne dopo il
concilio Vaticano secondo. Eccolo qui in tutta la sua sagacia:
Questa rivelazione è definitiva; uno può soltanto accet-
tarla o rifiutarla. Uno può accettarla, professando di cre-
dere in Dio, il padre onnipotente, creatore del cielo della
terra, e in Gesù Cristo, il figlio, della stessa sostanza del
padre e dello spirito Santo, che è signore e donatore del-
la vita. Oppure uno può rifiutare tutto questo.
Non c'è dubbio che, se volessi prendermi la briga, potrei tro-
vare affermazioni ancor meno ecumeniche dal Papa attuale.
La morale è che questo Papa, e tutti i suoi predecessori, (e tu,
apparentemente), credono che la Bibbia sia un libro magico:
che non fu creato da esseri umani, per quanto brillanti, ma da
qualche forza soprannaturale. Questa è un'affermazione della
quale non c'è un barlume di evidenza e sulla quale ci sono
molte buone ragioni per essere scettici.
La Bibbia, come tu suggerisci, è "un guazzabuglio di scrittu-
re insoddisfacente". Ma è anche peggio. No, io non ho affer-
mato che il libro riguarda prevalentemente "avere degli schia-
vi", ma soltanto che, nell'etica della schiavitù, si pone dalla
parte sbagliata. La verità è che, anche con Gesù che difende
fortemente i poveri e i deboli e i perseguitati, la Bibbia essen-
zialmente legittima la schiavitù. Come ho sostenuto in "lette-
ra a una nazione cristiana", gli schiavisti del sud erano dalla
parte giusta di un argomento teologico. Lo sapevano. E hanno
fatto molto rumore per questo. Ci siamo liberati della schia-
vitù nonostante l'inadeguatezza morale della Bibbia, non
perché essa sia il più grande trattato sulla moralità che sia mai

195
stato scritto.
Sappiamo entrambi che ci basterebbero 5 minuti per pro-
durre un libro che offra una moralità più coerente e compas-
sionevole della Bibbia. Ho detto 5 minuti? Cinque secondi
― strappa semplicemente via il Levitico, il Deuteronomio ,
l'esodo, due Samuele dal vecchio testamento, e due Epistole
ai Tessalonicesi e Apocalisse dal Nuovo Testamento. Il libro
sarebbe enormemente migliore. Forse che in questo caso di-
venterebbe il libro più profondo che abbiamo sulla moralità (o
sulla cosmologia, la biologia, psicologia, eccetera)? No, di gran
lunga. Ma sarebbe un libro molto migliore di quanto sia ades-
so.

DUBITARE NON È DOGMATICO


(da una lettera di Sam Harris a Andrew Sullivan)

Contrariamente alla tua affermazione, io non ho fatto alcuna


affermazione che ci sia "il nulla alla fine delle nostre vite mor-
tali". La verità è che io non so cosa succede dopo la morte. È
forse dogmatico da parte mia dubitare che tu e il Papa lo
sappiate? Che ragione mi hai dato per credere che tu sappia
che succede "qualcosa" dopo la morte, o che il tuo qualcosa
sia più probabile del qualcosa dei musulmani, del qualcosa
degli induisti, del qualcosa dei buddisti? La domanda su
cosa succede dopo la morte (se qualcosa succede) è una do-
manda sulla relazione tra la coscienza e il mondo fisico. È vero
che molti atei sono convinti di sapere quale sia questa relazio-
ne, e che sia una relazione di dipendenza assoluta dell'una
sull'altra [la maggioranza dei neuroscienziati afferma che la
coscienza è il prodotto dello scambio di informazione tra i
neuroni del cervello, e che quindi non possa esistere coscienza
senza un cervello o qualcosa di analogo]. Quelli che hanno let-
to gli ultimi capitoli di "La Fine della Fede" sanno che io non
sono convinto di questo. Sebbene io spenda una notevole
quantità di tempo a ragionare sul cervello (mentre finisco il
mio dottorato in neuroscienze), non credo che sia stata appu-
196
rata la deducibilità totale della coscienza dalla materia. Po-
trebbe darsi che i concetti stessi di mente e materia ci stiano
fondamentalmente fuorviando. Ma questo non dà alcun dirit-
to ai religiosi di immaginare che tutte le loro pazze idee su
libri miracolosi, nascite da vergini, e salvatori che arrivano
alla fine del mondo, siano lontanamente plausibili.

DEFINIRE QUALCOSA NON LO FA AUTOMATICAMENTE


ESISTERE
(da una lettera di Sam Harris a Andrew Sullivan)

Vorrei ora fare riferimento ad alcune affermazioni che hai


fatto nel tuo primo post. Hai scritto:
La scienza non può dimostrare falsa la vera fede; per-
ché la vera fede poggia sulla verità; e in ultima analisi
la scienza non può essere in conflitto con la verità... non
ho paura di cosa la scienza ci dirà sull'universo ― poi-
ché Dio è per definizione il creatore di tale universo; e il
significato dell'universo non può essere in conflitto con
il suo creatore. In altre parole, non considero la ragione
una cosa in qualche modo in conflitto con la fede ― poi-
ché entrambe sono riconciliate da una verità che potreb-
be tuttavia essere fuori dalla portata della nostra com-
prensione.
Queste affermazioni sono più di un tantino rozze e chiara-
mente eludono la domanda. Stai facendo l'affermazione po-
sitiva che l'universo abbia avuto un creatore. Facendo ciò,
stai cercando di dare un contributo sostanziale alla scienza
della cosmologia. Quando i veri cosmologi torneranno dalla
loro prossima conferenza e diranno cose come "lo spaziotem-
po potrebbe essere circolare e, quindi, potrebbe non avere
alcun inizio o fine", questa sarebbe solo una di molte possibili
descrizioni dell'universo che chiuderebbero la porta all'even-
tualità di una creazione e, quindi, di un creatore. Ci sono mol-
ti modi in cui la scienza potrebbe confliggere con la "verità"
su cui la tua fede ora si poggia.
197
Inutile dirlo, il tuo tentativo di risollevare il teismo facen-
dolo appoggiare su se stesso ("poiché Dio è per definizione
il creatore di tale universo; e il significato dell'universo non
può essere in conflitto con il suo creatore") potrebbe essere
utilizzato per giustificare quasi qualunque asserzione meta-
fisica. Anche "Il Mostro Volante di Spaghetti che creò l'uni-
verso" è "per definizione" il creatore dell'universo; questo
non significa che tale mostro esista, o che l'universo abbia
avuto un creatore in primo luogo. Nello stesso modo si po-
trebbero metter su molti altri ragionamenti pii: "Satana è il
tentatore; io constato che ho continuamente la tentazione di
mangiare gelato e di fare sesso con la moglie del mio vicino;
quindi, Satana esiste". Oppure, se io ti suggerissi che ciò che
sappiamo sul cervello rende piuttosto implausibile l'idea di
un'anima umana, e uno dei tuoi seguaci rispondesse: "l'ani-
ma immortale governa tutte le attività del cervello di una
persona; non ho paura di ciò che la neuroscienza mi dirà sul
cervello, perché l'anima è per definizione l'operatore del cer-
vello". Questo ti sembra un argomento per l'esistenza dell'a-
nima? Naturalmente, nelle neuroscienze ci sono ancora mol-
ti spazi vuoti in cui si potrebbe ancora inserire un'anima,
proprio come ci sono degli spazi vuoti nella nostra compren-
sione del Cosmo in cui i fedeli inseriscono prontamente Dio,
ma questo genere di manovra è completamente priva di me-
rito intellettuale. Puoi inserire quasi qualunque cosa "per
definizione" in questi spazi vuoti. I musulmani ci hanno in-
serito Allah, e il Corano è il suo mondo perfetto. Gli induisti
ci hanno inserito dèi di ogni colore e sapore. Perché questi
sforzi non ti persuadono?

IL VANGELO È DOCUMENTO STORICO. PERCHÉ NON


CREDERVI?
(tratto da “Novissimo blog”)

Il commento di un lettore, Pasquale, mi offre l'occasione per


mettere insieme alcuni fili conduttori interessanti ed introdur-
198
re un nuovo dialogo di Sam Harris. Pasquale mi chiedeva, nel
commento in questione:

Credere che sia esistito un uomo chiamato Gesù che ha


fatto e detto tutto quello che di Lui è scritto non è tanto
diverso dal credere che sia esistito un uomo di nome
Giulio Cesare che ha fatto o detto quello che di lui è
scritto. Allora perchè pensi, senza farti problemi, che tut-
to quello che hai imparato di Giulio Cesare è vero e tutto
quello che hai imparato di Gesù Cristo sia falso?
Vorrei rispondere in tre modi:
1. La prima risposta è semplicemente che, per quanto ne so,
le testimonianze storiche su Giulio Cesare sono credibili. Lo
stesso non si può dire di ciò che è scritto nei Vangeli su Gesù
(basti pensare alla resurrezione, all'esser nato da una vergine,
all'aver resuscitato delle persone, ecc).
C'è una norma di buon senso, che tutte le persone al mondo
seguono nella maggior parte della propria vita, che dice che
"le affermazioni straordinarie richiedono evidenza straordi-
naria". Se tu entri in una stanza dicendo "scusate il ritardo, ho
perso l'autobus", io non ho ragione di dubitarne. Se invece en-
tri in una stanza e dici che sei arrivato nella stanza volando,
agitando le braccia come un uccello, io sono legittimato ad es-
sere scettico. Essere scettici è l'atteggiamento "di default" verso
certe affermazioni incredibilmente improbabili. E sono pronto
a scommettere che anche il nostro lettore Pasquale si comporta
così nel resto della sua vita.
2. Il secondo motivo è che esistono altre testimonianze sto-
riche che contraddicono i Vangeli. Ad esempio il Corano af-
ferma (Corano 5:71 -75; 19: 30 -38) che Gesù non ebbe natura
divina, e che chiunque lo pensi passerà l'eternità all'inferno.
Le due testimonianze storiche sono incompatibili. Perché cre-
dere all'una e non all'altra? Perché non perdi il sonno chieden-
doti se dovresti convertirti all'Islam?
Come se non bastasse, i Vangeli si contraddicono anche tra
di loro, e molto spesso (il che ci dice che almeno uno afferma
199
sicuramente il falso). Abbiamo già visto in dettaglio molte
contraddizioni nella sezione a pagina 117. Per usare le parole
di Christopher Hitchens, nel suo ultimo libro "Dio non è gran-
de":
I cristiani fanno l'errore di assumere che i quattro Van-
geli siano in qualche modo un resoconto storico. Ma gli
autori multipli dei Vangeli ― nessuno dei quali scrisse
nulla fino a molti anni dopo la crocifissione ― non rie-
scono a concordare su niente di importante. Matteo e
Luca non riescono nemmeno a concordare sulla nascita
da una vergine o sulla genealogia di Gesù. Si contraddi-
cono palesemente circa la fuga in Egitto, dove Matteo
dice che Giuseppe fu "avvisato in sogno" di fuggire im-
mediatamente e Luca dice che tutti e tre rimasero a Be-
tlemme fino alla "purificazione di Maria secondo le leggi
di Mosé", il che vorrebbe dire 40 giorni, e poi tornarono
a Nazaret attraverso Gerusalemme. [..]
[Per ulteriori informazioni, rimando nuovamente a pagina
117.]
3. Il terzo motivo è che anche oggi avvengono testimonianze
di miracoli, sorprendenti quanto quelli attribuiti a Cristo, che
ci vengono raccontati da migliaia di testimoni oculari ancora
vivi. Si tratta dei miracoli compiuti dai guru indiani, come Sai
Baba. [Vedi pagina 148] Perché dovremmo attribuire una cre-
dibilità speciale ai miracoli narrati in antichi libri, ed ignorare
quelle di testimoni oculari ancora in vita?

LA DIFFERENZA TRA STORIA E RELIGIONE

(da una lettera di Sam Harris a Andrew Sullivan)

Hai ragione, naturalmente, a dire che ci sono molti contesti


differenti in cui un'affermazione sul mondo si può considerare
"vera" (o probabile) e non tutti questi modi sono scientifici o
empirici, in senso stretto. Alcuni sono persino immaginari. Ad
esempio, è vera l'affermazione che "Amleto era il principe di
Danimarca". Ma riconoscere il ruolo del contesto non rende
tutte le assezioni di verità ugualmente legittime. Come noti, la
200
storia non è una scienza esatta, ma non è neppure esattamen-
te in conflitto con la ragione. Permettimi di citare un altro dei
miei saggi, perché riguarda precisamente questa questione:
E' il momento di mettere in chiaro un fatto basilare del
discorso umano: o le persone hanno buone ragioni per
credere ciò che credono, o non le hanno. Quando hanno
buone ragioni, le loro credenze contribuiscono a far cre-
scere la nostra comprensione del mondo. Non c'è biso-
gno di distinguere tra scienze "rigorose" o "deboli", o tra
la scienza ed altre discipline basate sull'evidenza, come
la storia. Si dà il caso che ci siano buone ragioni per
credere che i giapponesi abbiano bombardato Pearl
Harbour il 7 dicembre 1941. Di conseguenza, non è cre-
dibile l'idea che in realtà siano stati gli egiziani a farlo.
Ogni persona sana di mente riconosce che affidarsi
semplicemente alla "fede" per decidere la verità di spe-
cifici fatti storici sarebbe sia un'idiozia sia una cosa
grottesca ― fino a che la conversazione si sposta sulle
origini di libri come la Bibbia e il Corano, sulla resur-
rezione di Gesù, sulla conversazione di Maometto con
l'angelo Gabriele, o su alcuna delle osannate invenzioni
che ancora affollano l'altare dell'umana ignoranza.
La scienza, nel suo senso più largo, comprende tutte le
affermazioni ragionevoli di conoscenza su noi stessi e
sul mondo. Se ci fossero buone ragioni per credere che
Gesù sia nato da una vergine, o che Maometto volò in
paradiso su un cavallo alato, queste credenze necessa-
riamente diverrebbero parte della nostra descrizione
razionale dell'universo. La fede non è altro che la li-
cenza, che le persone religiose si danno vicendevol-
mente, di credere a tali proposizioni quando le ragioni
falliscono. La differenza tra la scienza e la religione è la
differenza tra l'essere disposti a valutare spassionata-
mente nuova evidenza e nuovi argomenti, e il non esse-
re disposti a farlo per motivi passionali. La distinzione
non potrebbe essere più ovvia, o più feconda di conse-

201
guenze, eppure viene omessa dovunque, anche nella
torre d'avorio.
Quindi, sebbene io ammetta che ci sono molti differenti
contesti in cui le nostre credenze possono essere giustificate,
e molti diversi tipi di giustificazione, tuttavia c'è un'impor-
tante differenza tra le credenze giustificate e quelle ingiusti-
ficate. Le mie osservazioni precedenti ― sul non sapere cosa
succede dopo la morte, sugli spazi vuoti nella scienza, sulla
potenziale validità delle esperienze contemplative, ecc. ―
non cambiano in nessun modo questa situazione. Ed è l'evi-
dente incapacità di molte persone di notare la differenza tra
credenze giustificate e ingiustificate (in genere chiamando
"fede" il loro atto di non notarla) che mi convince che essi
siano generalmente fuorviati nella loro ricerca della verità.

LA RELIGIONE COME FENOMENO NATURALE


(da "Rompere l'incantesimo: la religione come
fenomeno naturale", di Daniel Dennett)

Se "la sopravvivenza del più adatto" è uno slogan valido, allo-


ra la Bibbia sembra un ottimo candidato per il premio di testo
più adatto.
Hugh Pyper, "the selfish text: The bible and
memetics". [Il testo egoista: la Bibbia e la memetica]

State osservando una formica su un prato. La formica si ar-


rampica faticosamente su una montagnola d'erba, sempre più
in alto, fino a cadere; poi risale di nuovo, e di nuovo, come Si-
sifo fa rotolare la sua roccia, sforzandosi sempre di raggiunge-
re la cima. Perché la formica sta facendo questo? Quale benefi-
cio sta cercando di ottenere per se stessa, in questa attività
ostinata e insensata? Si dà il caso che la domanda sia sbagliata.
La formica non sta cercando di ottenere una visione più ampia
del territorio; non sta cercando cibo; non sta neppure facendo
sforzi inutili nel tentativo di impressionare un partner poten-
ziale per l'accoppiamento. Semplicemente, il suo cervello è ca-

202
duto sotto il controllo di un piccolo parassita, un verme chia-
mato “lancet fluke” (Dicrocelium dendriticum), il quale ha bi-
sogno di entrare nello stomaco di una pecora o una mucca per
completare il suo ciclo riproduttivo. Questo piccolo verme del
cervello sta guidando la formica in una situazione che benefi-
cerà la sua progenie, non quella della formica. Questo non è
un fenomeno isolato. Anche i pesci, i topi e altre specie vengo-
no invasi da parassiti manipolatori. Questi "autostoppisti" co-
stringono gli animali ospitanti a comportarsi in maniera insen-
sata, perfino suicida, tutto a beneficio dell'ospitato, non dell'o-
spitante.
Questo ha qualcosa a che fare con gli esseri umani? Sì, mol-
to. Spesso troviamo degli esseri umani che mettono da parte i
propri interessi personali, la loro salute, la loro possibilità di
avere figli, e dedicano la loro intera vita a fare gli interessi di
un'idea che ha preso possesso dei loro cervelli. La parola araba
Islam significa "sottomissione", ed ogni bravo musulmano ac-
cetta di fare da testimone, prega cinque volte al giorno, dona
dei soldi, digiuna durante il Ramadan, e cerca di arrivare in
pellegrinaggio, o "hajj", alla Mecca, il tutto per l'idea di Allah,
e di Maometto. I cristiani e gli ebrei si comportano in modo si-
mile, naturalmente, dedicando la loro vita alla diffusione del
Verbo, facendo sacrifici enormi, soffrendo coraggiosamente,
rischiando la propria vita per un'idea. Lo stesso fanno i Sikh,
gli induisti, i buddisti. E non dimenticate le molte migliaia di
umanisti laici che hanno donato la loro vita per la Democra-
zia, o per la Giustizia, o per la pura e semplice Verità. Ci sono
molte idee per cui morire.
La nostra capacità di dedicare la vita a qualcosa che ritenia-
mo più importante del nostro personale benessere ― o del no-
stro imperativo biologico di fare figli ― è una delle cose che ci
separano dal resto degli animali. Una mamma orso difenderà
coraggiosamente il cibo, e proteggerà ferocemente i suoi pic-
coli, o perfino la sua tana vuota, ma probabilmente sono morte
più persone nel tentativo valoroso di proteggere posti e testi
sacri che nel tentativo di proteggere depositi di cibo, o i loro
stessi figli e le loro case. Come altri animali, abbiamo il deside-
203
rio pre-programmato di riprodurci e di fare più o meno tutto
quello che serve per raggiungere questo obiettivo, ma abbia-
mo anche delle cose in cui crediamo, e la capacità di trascen-
dere i nostri imperativi genetici. Questo fatto ci rende sì diver-
si, ma è sempre un fatto biologico, visibile alla scienza natu-
rale, ed è qualcosa che richiede una spiegazione da parte del-
la scienza naturale. Come è stato possibile che una specie,
l'Homo Sapiens, abbia finito per ottenere queste straordinarie
prospettive sulla sua stessa vita?
Quasi nessuno direbbe che la cosa più importante nella vita
è avere più nipoti di un rivale, ma questo è il summum bonum
di default di ogni animale selvatico. Non sanno fare di meglio.
Non possono. Sono solo animali. Ma c'è un'interessante ecce-
zione, a quanto sembra: il cane. Il "migliore amico dell'uomo"
non è forse capace di una devozione che non ha niente a che
invidiare a quella di un amico umano? Non morirebbe forse
un cane se ciò servisse per proteggere il padrone? Sì, e non è
una coincidenza che questa ammirevole caratteristica si ritrovi
in una specie addomesticata. I cani di oggi sono i discendenti
dei cani che in passato i nostri antenati amarono ed ammiraro-
no di più; questi cani erano così fedeli che non cercavano nep-
pure di avere figli per lealtà, eppure riuscirono a riprodursi
[..]. Abbiamo forse inconsciamente modellato questa devozio-
ne verso il padrone per riflettere la nostra devozione verso
Dio? Stavamo plasmando i cani a nostra immagine e somi-
glianza? Forse, ma in questo caso da dove deriva la nostra de-
vozione per Dio?
L'analogia con cui ho cominciato, tra un verme parassita che
invade il cervello di una formica e un'idea che invade un cer-
vello umano, sembra probabilmente forzata e oltraggiosa. Di-
versamente dai vermi, le idee non sono vive, e non invadono i
cervelli; sono create dalle menti. È vero, ma queste obiezioni non
sono forti come sembrano sulle prime. Le idee non sono vive.
Non sanno vedere dove vanno e, anche se potessero vedere,
non avrebbero appendici con cui dirigere un cervello ospitan-
te verso un obiettivo. È vero, ma il verme parassita non è esat-
tamente un genio; non è più intelligente di una carota, per la
204
verità; non ha nemmeno un cervello. Ha semplicemente la
fortuna di essere dotato di caratteristiche che influenzano il
cervello delle formiche in questo modo utile, quando casual-
mente entra in contatto con esso. (Queste caratteristiche sono
come le macchie a forma di occhio presenti sulle ali delle far-
falle, che a volte ingannano gli uccelli predatori, facendo cre-
dere loro che qualche grosso animale li stia guardando. Gli
uccelli si spaventano e le farfalle ne traggono beneficio, ma
non è che le farfalle se ne rendano conto.). Un'idea inerte, se
dotata delle giuste caratteristiche, potrebbe avere un effetto
benefico su di un cervello, senza capire che sta lo sta aven-
do! E se ha questo effetto benefico, l'idea potrebbe avere
successo e moltiplicarsi, proprio perché possiede quelle ca-
ratteristiche.
Il confronto tra la parola di Dio e il verme delle formiche è
indisponente, ma l'idea di comparare un'idea con una cosa vi-
vente non è nuova. Io possiedo una pagina di musica, scritta
su un foglio della metà del sedicesimo secolo, che ho trovato
mezzo secolo fa in una libreria di Parigi. Il testo (in latino) rac-
conta la morale della parabola del seminatore (Matteo 13): Se-
men est verbum Dei; sator autem Christus. La parola di Dio è un
seme, e il seminatore del seme è Cristo. Questi semi mettono
radici nei singoli esseri umani, e fanno sì che questi esseri
umani li diffondano, sempre più lontano (e in cambio, gli
esseri umani ospitanti ottengono la vita eterna ― eum qui au-
dit manebit in eternum).
Come vengono create le idee dalle menti? Forse per ispira-
zione divina; o forse per vie più naturali, come quando le idee
si diffondono da una mente all'altra, sopravvivendo alle tra-
duzioni in lingue diverse, accettando un "passaggio" nelle can-
zoni, icone, statue e rituali, raggruppandosi assieme in combi-
nazioni improbabili dentro le teste di certe persone, dove dan-
no luce ad ulteriori nuove "creazioni", che hanno una somi-
glianza familiare con le idee che le hanno ispirate, ma che
strada facendo aggiungono nuove caratteristiche, nuovi po-
teri. E forse alcune delle idee "selvagge", che per prime invase-
ro le nostre menti, hanno prodotto delle "idee figlie" che sono
205
state addomesticate e domate, mentre tentavamo di diventare
i loro padroni o almeno i loro pastori. Quali erano gli antenati
delle idee addomesticate che si diffondono oggi? Dove hanno
avuto origine e perché? E una volta che i nostri antenati hanno
cominciato ad avere l'obiettivo di diffondere queste idee, non
soltanto ad ospitarle ma anche ad amarle, in che modo questo
"credere nel credere" ha modificato le idee che venivano diffu-
se?
Le grandi idee della religione hanno conquistato gli esseri
umani per migliaia di anni, un tempo più lungo della storia
che è giunta fino a noi, ma che è comunque un breve momen-
to rispetto al tempo biologico. Se vogliamo comprendere la
natura della religione oggi, come fenomeno naturale, dobbia-
mo guardare non soltanto cosa la religione è oggi, ma cosa era
una volta. Un racconto delle origini della religione, nei prossi-
mi sette capitoli, ci fornirà una nuova prospettiva da cui guar-
dare, negli ultimi tre capitoli, a che cosa la religione è oggi; a
perché è così importante per molte persone; e in che cosa essi
possono avere ragione o torto nella comprensione di se stessi e
della propria religiosità. Poi potremo capire meglio dove la re-
ligione ci condurrà nel prossimo futuro, il nostro futuro su
questo pianeta. Non riesco a pensare ad alcun argomento più
importante su cui investigare.

LETTERA A UNA NAZIONE CRISTIANA


(da “Lettera a una nazione cristiana”, Sam
Harris)

Sin dalla pubblicazione del mio primo libro, la Fine della


Fede, mi hanno scritto migliaia di persone per dirmi che ho
torto a non credere in Dio. Le più ostili tra queste comunica-
zioni provenivano da cristiani. Questo è ironico, poiché i cri-
stiani generalmente ritengono che nessuna fede impartisca le
virtù dell'amore e del perdono meglio della propria. La verità
è che molte persone che affermano di essere trasformate dal-
l'amore di Cristo sono profondamente intolleranti alla critica,
206
persino arrivando all'omicidio. Sebbene potremmo pensare di
imputare questo fatto alla natura umana, è chiaro che questo
odio viene alimentato considerevolmente dalla Bibbia.
Come faccio a sapere questo? I più disturbati dei miei corri-
spondenti citano sempre capitolo e verso.
Sebbene questo libro sia rivolto a persone di tutte le fedi, è
stato scritto nella forma di una lettera a un cristiano. Nel libro
rispondo a molte delle argomentazioni che i cristiani usano in
difesa delle proprie credenze religiose. Lo scopo principale del
libro è armare i laici nella nostra società ― cioè quelli che cre-
dono che la religione dovrebbe essere tenuta fuori dalla politi-
ca pubblica ― contro i loro oppositori della Destra Cristiana.
Conseguentemente, il cristiano a cui mi rivolgo è "cristiano"
nel senso più stretto del termine, cioè una persona che crede,
come minimo, che la Bibbia sia la parola ispirata di Dio e
che solo coloro che accettano la divinità di Gesù Cristo spe-
rimenteranno la salvezza dopo la morte. Decine di sondaggi
scientifici suggeriscono che ben più della metà della popola-
zione americana possiede queste credenze. Queste credenze
riguardano i conservatori di ogni setta cristiana ― cattolici,
protestanti [mainline], evangelici, battisti, pentecostali, testi-
moni di Geova, e così via. Come è ben noto, le credenze dei
cristiani conservatori ora esercitano una straordinaria influen-
za sulla politica nazionale ― nelle nostre corti, nelle scuole e
in ogni ramo del governo.
In lettera a una nazione cristiana, mi sono dedicato a demolire
le pretese intellettuali e morali della cristianità nella sua forma
più intransigente. Di conseguenza, i cristiani liberali e mode-
rati non sempre si riconosceranno nel "cristiano" a cui mi ri-
volgo. Comunque, dovrebbero riconoscere 150 milioni di loro
vicini. Sono quasi certo che i liberali e i moderati siano inquie-
tati tanto quanto me dalle tetre certezze della destra cristiana.
Ma spero che essi comincino anche a vedere che il rispetto che
esigono per le proprie credenze religiose fornisce protezione
agli estremisti di tutte le fedi. Sebbene i liberali e i moderati
non facciano precipitare gli aeroplani negli edifici, e non orga-
nizzino la loro vita attorno alla profezia dell'apocalisse, rara-
207
mente mettono in discussione la legittimità di crescere un
bambino convincendolo di essere cristiano, musulmano, o
ebreo. Anche la fede più progressista supporta tacitamente
le divisioni religiose nel nostro mondo. In lettera a una nazio-
ne cristiana io affronto quella parte di cristianità che è la più re-
trograda, ingiuriosa e fonte di divisioni. Nel far questo i libe-
rali, i moderati e i non credenti possono riconoscere una causa
comune.
Secondo un recente sondaggio Gallup, solo il 12% degli
americani credono che la vita sulla terra si sia evoluta attra-
verso un processo naturale, senza l'interferenza di una divi-
nità. Il 31% crede che l'evoluzione sia stata "guidata da Dio".
Se ci fosse una votazione sulle nostre visioni del mondo, le no-
zioni di "disegno intelligente" sconfiggerebbero la scienza del-
la biologia per quasi tre contro uno. Questo è inquietante,
poiché la natura non offre alcuna evidenza convincente per
un progettista intelligente, e innumerevoli esempi di proget-
to non-intelligente. Ma la controversia di oggi sul "disegno in-
telligente" non dovrebbe accecarci riguardo alla vera portata
della nostra allucinazione religiosa all'alba del ventunesimo
secolo. Lo stesso sondaggio Gallup rivela che il 53% degli
americani sono in realtà creazionisti. Questo significa che,
nonostante un secolo intero di scoperte scientifiche abbia
appurato l'antichità della vita e l'ancor più grande antichità
della terra, più della metà dei nostri vicini crede che l'intero
cosmo sia stato creato 6000 anni fa. Questo è, tra parentesi,
quasi 1000 anni dopo che i Sumeri inventarono la colla. Co-
loro che hanno il potere di eleggere i nostri presidenti e parla-
mentari ― e molti di quelli che vengono eletti ― credono che i
dinosauri vivessero due a due sull'arca di Noè, che la luce da
distanti galassie sia stata creata diretta verso la Terra, e che i
primi membri della nostra specie siano stati costruiti con il
fango e il respiro divino, in un giardino con un serpente par-
lante, per mano di un Dio invisibile.
Tra le nazioni sviluppate, l'America è l'unica ad avere queste
convinzioni. Il nostro paese oggi appare, più che in qualunque
altro momento nella storia, come un gigante stupido e bellico-
208
so. Chiunque si preoccupi del destino della civiltà farebbe
bene a riconoscere che la combinazione di grande potenza e
grande stupidità è semplicemente devastante, anche verso i
propri amici.
La verità, comunque, è che molti di noi potrebbero non pre-
occuparsi del destino della civiltà. Il 44% della popolazione
americana è convinta che Gesù ritornerà per giudicare i mor-
ti entro i prossimi cinquant'anni. Secondo la più comune in-
terpretazione della profezia biblica, Gesù tornerà solo dopo
che le cose saranno andate orribilmente male qui sulla terra.
Quindi, non è un'esagerazione dire che se la città di New York
fosse improvvisamente sostituita da una palla di fuoco, una
percentuale significativa della popolazione americana vedreb-
be un meraviglioso presagio nella successiva nuvola a forma
di fungo, in quanto suggerirebbe loro che sta per succedere la
cosa più bella che possa mai succedere: il ritorno di Cristo.
Dovrebbe essere completamente ovvio che credenze di questo
tipo aiutano ben poco a creare un futuro durevole per noi stes-
si ― socialmente, economicamente, ambientalmente, o geopo-
liticamente. Immaginate le conseguenze se una componente
significativa del governo degli Stati Uniti credesse davvero
che il mondo stia per terminare, e che la sua fine debba esse-
re gloriosa. Il fatto che quasi metà della popolazione ameri-
cana creda tutto questo, puramente sulla base di un dogma
religioso, dovrebbe essere considerato un'emergenza intel-
lettuale e morale. Il libro che state per leggere è la mia rispo-
sta a questa emergenza. Spero sinceramente che lo troviate
utile.

ETICHETTARE I BAMBINI CON LA RELIGIONE DI


NASCITA
(conferenza di Richard Dawkins)

Mi è stato chiesto di parlare di fede e, non essendo un esper-


to in fede e fondamentalismo, parlerò della fede come scien-
ziato. Fede per me significa "credere in assenza di evidenza".
209
Voglio iniziare illustrando la differenza tra le credenze ba-
sate sulla fede e quelle basate sull'evidenza, nella forma di
una edizione inventata della "Quarterly Review of Biology",
una ben nota rivista di biologia. Ho inventato un'edizione spe-
ciale centrata sulla difficile domanda "come si sono estinti i di-
nosauri?". Ho qui una lista di pubblicazioni scientifiche imma-
ginarie che avrebbero potuto essere inviate alla Quarterly Re-
view su questa domanda: i dinosauri furono uccisi da un aste-
roide?
1. La prima pubblicazione titola: "Lo strato di iridio nel
confine-di Tahiti e la datazione mediante potassio e
argo di un cratere nello Yucatan indicano che i dino-
sauri sono stati uccisi da un asteroide". Si tratta di
una pubblicazione scientifica perfettamente ragione-
vole e rispettabile.
2. La seconda pubblicazione: "il presidente della Royal
Society ha manifestato la sua forte convinzione in-
teriore [il pubblico ride] che i dinosauri sono stati
uccisi da un asteroide."
3. Il prof. Hapstein ha ricevuto la rivelazione privata
[il pubblico ride] che i dinosauri sono stati uccisi da
un asteroide.
4. Il professor Hardly è stato cresciuto per avere fede
totale e indiscussa che i dinosauri sono stati uccisi
da un asteroide.
5. Il prof. Hawkins ha promulgato un dogma ufficiale,
vincolante per tutti gli hawkinsiani leali, che affer-
ma che i dinosauri sono stati uccisi da un asteroide.
Beh, spero sia chiaro che la prima pubblicazione è quella che
approvo, e spero che nessuno approvi le pubblicazioni 2, 3, 4 e
5. Esse sembrano illustrare precisamente l'approccio religioso
verso cosa è vero e cosa è falso nel mondo.
La fede si può a volte ricevere, come un virus, da un predi-
catore carismatico o da un libro persuasivo; ma più spesso la
fede è ereditaria. Non è una coincidenza sorprendente? Quasi

210
tutti hanno la stessa religione dei propri genitori. E ogni volta,
il caso vuole che la propria religione sia proprio quella corret-
ta. La religione tende a conservarsi nelle famiglie. Se fossimo
stati cresciuti nell'antica Grecia, staremmo tutti venerando
Zeus e Apollo. Se fossimo nati vichinghi, staremmo veneran-
do Thor e Wotan. Cosa c'entra tutto questo con l'indottrina-
mento dei bambini?
Una volta, nel periodo natalizio, il mio quotidiano, l'Inde-
pendent, stava cercando un'immagine stagionale, e trovò que-
sta ecumenica fotografia che scalda il cuore:

La foto ritrae una recita scolastica sulla natività. La didasca-


lia della foto dice "I tre re magi erano impersonati da Shad-
Brit (un sikh), Musharraf (un musulmano), e Adel (un cri-
stiano), tutti dell'età di 4 anni." [il pubblico ride]
Io farò una piccola modifica a questa disascalia: "I tre re
magi erano impersonati da Shad-Brit (un monetarista), Mu-
sharraf (un keynesiano), e Adel (un marxista), tutti dell'età
di 4 anni." [il pubblico ride e applaude]
Se sul giornale fosse apparsa quest'ultima didascalia, i geni-
tori di questi bambini sarebbero stati investigati per scopri-
re se erano adatti a crescere dei bambini?
Le femministe mi hanno insegnato cosa significa "sensibiliz-
zare le coscienze", e io voglio sensibilizzare le nostre coscien-
ze contro l'etichettatura di bambini piccoli con la religione
211
dei loro genitori. Se stiamo parlando di bambini di 4 anni,
non esiste niente di simile a un bambino cattolico. Esiste
solo un bambino con genitori cattolici. Non esistono bambini
protestanti. Non esistono bambini musulmani. Solo bambini
con genitori musulmani.
Cambiamo ancora una volta quell'immagine: "I tre re magi
erano impersonati da Shad-Brit (un ateo), Musharraf (un
agnostico), e Adel (un umanista laico), tutti dell'età di 4
anni." Ebbene, io suggerirei che i genitori di quei bambini ve-
nissero investigati per abuso di minori.
A tutti noi è capitato di vedere delle mappe come questa,
che mappano con colori diversi le religioni predominanti del
mondo.

Nell'area verde, sei un musulmano sunnita; nell'area rossa,


sei un protestante, eccetera. Ma... come è assurda questa map-
pa, quando ci riflettiamo bene. Provate a immaginare una
mappa simile per gli scienziati, che mappi zona per zona
cosa credono gli scienziati in merito all'estinzione dei dino-
sauri. [Il pubblico ride]
Il punto è che, sebbene tutto questo sia ridicolo, tutta la so-
cietà, anche la parte laica della società, accetta che sia perfet-
tamente naturale vedere una mappa come quella precedente,
e che sia perfettamente naturale vedere in un titolo di gior-
nale "questo bambino di 4 anni è un cristiano, questo bam-
bino di 4 anni è un musulmano, ecc" . Non sono solo le per-
sone religiose ad accettare questo. Tutti noi nella società sia-
mo stati condizionati, persuasi a trattare la religione come

212
l'unica entità a cui è concesso di attuare impunemente que-
ste vergognose etichettature di minori.
Ecco una mappa di Belfast. Le aree protestanti e le aree cat-
toliche. E in tanti secoli di storia, quelle linee di divisione sono
state e sono ancora trincee di guerra. Non c'è alcuna altra dif-
ferenza tra le persone che vivono a Belfast: hanno lo stesso
colore di pelle, parlano la stessa lingua, hanno lo stesso aspet-
to e voce; l'unica differenza è che hanno diverse fedi eredita-
rie. Ereditarie nel senso che i protestanti frequentano scuole
protestanti, e il loro figli e nipoti fanno lo stesso; i cattolici fre-
quentano scuole cattoliche. E così la cosa si propaga genera-
zione dopo generazione. E viene insegnata loro la separazione.
[..]
Ora, la scienza è spesso accusata di certezza arrogante. Ma
che dire della fede? La terza legge di Arthur C. Clarke dice
"qualunque tecnologia sufficientemente avanzata è indistin-
guibile dalla magia". La terza legge di Clarke è una buona il-
lustrazione dell'umiltà della scienza, in questo caso nella for-
ma di tecnologia. Noi siamo umili, nel senso che prendiamo
implicitamente atto che la tecnologia che avremo tra un seco-
lo, o due secoli, apparirà a noi magica come la tecnologia dei
telefoni cellulari e computer e boing 747 sarebbe apparza a
una persona del 18mo secolo. Lo stesso è vero della scienza,
nel suo atteggiamento verso i misteri dell'universo. J. B. S.
Haldane, il genio universale britannico, disse "il mio sospetto
è che l'universo non solo sia più strano di quanto supponia-
mo, ma più strano di quanto noi possiamo supporre. Sospetto
che ci siano più cose in cielo e terra di quante noi ne sognia-
mo, e possiamo sognare, in qualsiasi filosofia".

IL MITO DEL CAOS MORALE LAICO


(articolo di Sam Harris)

Non si può criticare a lungo il dogmatismo religioso senza


imbattersi nella seguente affermazione, proclamata come se
fosse un fatto evidente della natura: non esiste una base laica
213
per la moralità. Secondo questa logica, stuprare e uccidere
bambini può essere sbagliato soltanto se c'è un Dio che dice
che è sbagliato. Altrimenti, giusto e sbagliato sarebbero mere
costruzioni della società, e ogni società sarebbe libera di deci-
dere che stuprare e uccidere bambini è in realtà un piacevole
trastullo familiare. Nell'assenza di Dio, John Wayne Gacy po-
trebbe essere una persona migliore di Albert Schweitzer, se
solo più persone fossero d'accordo con lui.
E' semplicemente sorprendente quanto sia diffusa questa
paura di un "caos morale laico", data la quantità di errori, sulla
moralità e sulla natura umana, che bisogna fare per metterla
in moto nel cervello di una persona. Senza dubbio c'è molto
da dire contro il falso legame tra fede e morale, ma i seguenti
tre punti dovrebbero bastare.
1. Se un libro come la Bibbia fosse l'unico fondamento af-
fidabile per la moralità umana a nostra disposizione, sareb-
be impossibile (sia sul piano logico che su quello pratico)
criticare questo libro in termini morali. Invece è straordina-
riamente facile criticare la moralità che si trova nella Bibbia,
in quanto la maggior parte di essa è semplicemente aberran-
te e incompatibile con una società civile. La nozione che la
Bibbia sia una guida perfetta per la moralità è davvero sor-
prendente, dato il contenuto del libro. Il sacrificio umano, il
genocidio, la schiavitù, e la misoginia vengono regolarmente
celebrati. Naturalmente, il consiglio dato da Dio ai genitori è
semplice e tranquillizzante: ogni volta che i nostri figli vanno
un po' sopra le righe, dovremmo picchiarli con un bastone
(Proverbi 13:24, 20:30, e 23:13-14). Se sono così maleducati da
risponderci, dovremmo ucciderli (Esodo 21:15, Levitico 20:9,
Deuteronomio 21:18-21, Marco 7:9-13, Matteo 15:4-7). Dobbia-
mo anche lapidare a morte le persone per eresia, adulterio,
omosessualità, lavorare di sabato, venerare raffigurazioni di-
vine [graven images], praticare stregoneria, e una vasta gam-
ma di altri crimini immaginari.
La maggior parte dei cristiani immaginano che Gesù abbia
posto fine a tutta questa barbarie e ci abbia consegnato una
dottrina di puro amore e tolleranza. Non è così. (Vedi Matteo
214
5:18-19, Luca 16:17, 2 Timothy 3:16, 2 Pietro 20-21, Giovanni
7:19). Chiunque creda che Gesù abbia insegnato solo la Regola
d'Oro e l'amore per il prossimo dovrebbe rileggere il Nuovo
Testamento. E dovrebbe fare particolare attenzione al grande
esempio di moralità che sarà sotto gli occhi di tutti se Gesù
mai ritornerà sulla Terra davanti a nuvole di gloria (ad es. 2
Tessalonesi 1:7-9, 2:8; Ebrei 10:28-29; 2 Pietro 3:7; e tutta l'Apo-
calisse).
Non è un caso che S. Tommaso D'Aquino pensasse che gli
eretici andassero uccisi e S. Agostino pensasse che andassero
torturati. (Chiedetevi: quali sono le probabilità che questi ec-
cellenti studiosi della Chiesa non avessero letto il Nuovo Te-
stamento abbastanza attentamente da scoprire di essere in er-
rore?). Come fonte di moralità oggettiva, la Bibbia è uno dei li-
bri peggiori che abbiamo. Potrebbe benissimo essere il peggio-
re, se non avessimo anche il Corano.
E' importante notare che siamo noi a decidere che cosa è
buono nella Bibbia: noi leggiamo la Regola d'Oro e la giudi-
chiamo essere un brillante distillato di molti nostri impulsi eti-
ci; poi leggiamo che una donna che venga scoperta non vergi-
ne al matrimonio deve essere lapidata a morte, e (se siamo
persone civili) decidiamo che questa è la più vile follia che si
possa immaginare. Il criterio primario sono quindi le nostre
intuizioni etiche. Per cui la scelta davanti a noi è semplice:
possiamo avere una conversazione degna del ventesimo seco-
lo sull'etica ― avvalendoci di tutti gli argomenti e di tutta la
conoscenza scientifica che abbiamo accumulato negli ultimi
2000 anni di discorsi umani ― oppure possiamo confinarci da
soli in una conversazione degna del primo secolo, quale è pre-
servata nella Bibbia.
2. Se la religione fosse necessaria per la moralità, dovrebbe
esserci qualche evidenza che gli atei sono meno morali dei
credenti.
Le persone di fede sostengono regolarmente che l'ateismo è
responsabile per alcuni dei crimini più sconcertanti del vente-
simo secolo. Forse gli atei sono davvero meno morali dei cre-

215
denti? Mentre è vero che i regimi di Hitler, Stalin, Mao e Pol
Pot furono irreligiosi in grado variabile, tuttavia non erano
particolarmente razionali. [Erano profondamente dogmatici e
quindi, in un senso molto importante, religiosi.]
Anzi, i loro discorsi pubblici erano poco più che deliri al-
lucinati ― deliri sulla razza, sull'economia, sull'identità, sul
percorso della storia, sui pericoli morali dell'intellettualismo.
Sotto molti aspetti, la religione fu direttamente incolpabile an-
che di questo. Considerate l'Olocausto: l'antisemitismo che co-
struì i crematori nazisti, mattone dopo mattone, fu un'eredità
diretta del cristianesimo medievale. Per secoli, gli europei cri-
stiani avevano considerato gli ebrei come la peggior specie di
eretici e avevano attribuito ogni male della società alla loro
presenza continuata tra i fedeli.
Sebbene l'odio verso gli ebrei in Germania si sia espresso in
un modo prevalentemente laico, le sue radici furono indubbia-
mente religiose ― e la demonizzazione esplicitamente religio-
sa degli ebrei d'Europa continuò per tutto il periodo. (Lo stes-
so Vaticano perpetuò le ingiurie razziste nei suoi giornali fino
al 1914.) Auschwitz, i Gulag, e i campi di concentramento
non sono esempi di cosa succede quando la gente diventa
troppo critica verso credenze ingiustificate; al contrario, que-
sti errori testimoniano i pericoli di non riflettere abbastanza
criticamente su specifiche ideologie laiche. Inutile dirlo, pro-
durre un'argomentazione razionale contro la fede religiosa
non equivale ad abbracciare ciecamente l'ateismo come fosse
un dogma. Il problema che l'ateo espone non è altro che il pro-
blema del dogma stesso ― di cui ogni religione ha una quanti-
tà fin troppo grande. Non conosco alcuna società a memoria
d'uomo che abbia mai sofferto perché il suo popolo è diven-
tato troppo ragionevole.
Secondo il rapporto sullo sviluppo umano delle Nazioni
Unite (2005), le società più atee ― paesi come Norvegia, Islan-
da, Australia, Canada, Svezia, Svizzera, Belgio, Giappone,
Olanda, Danimarca e regno unito ― sono anche quelle più
sane e in salute, come indicano le stime su aspettativa di vita,
livello di istruzione, guadagno pro capite, uguaglianza tra i
216
sessi, tasso di omicidi e mortalità infantile. Al contrario, le 50
nazioni oggi classificate nei posti più bassi dalle Nazioni Unite
in termini di sviluppo umano sono saldamente religiose. Na-
turalmente, questo tipo di dati correlativi non dicono in che
direzione vada il nesso di causa ― credere in Dio può produr-
re una disfunzione sociale, una disfunzione sociale può ali-
mentare una credenza in Dio, ogni fattore potrebbe abilitare
l'altro, o entrambi potrebbero nascere da qualche fonte più
profonda di problemi. Lasciando da parte le questioni di cau-
sa ed effetto, questi fatti provano che l'ateismo è perfetta-
mente compatibile con le aspirazioni di base di una società
civile; provano anche, in modo definitivo, che la fede reli-
giosa non fa nulla per assicurare la salute di una società.
3. Se la religione fornisse davvero l'unica base oggettiva
concepibile per la moralità, dovrebbe essere impossibile
porre una base oggettiva non teistica per la moralità. Ma non
è impossibile, anzi è molto facile.
Chiaramente, riusciamo a pensare a fonti oggettive di ordine
morale che non richiedano l'esistenza di un Dio che dà le leg-
gi. In La Fine Della Fede, ho sostenuto che le questioni morali
sono in realtà questioni di felicità e sofferenza. Se esistono
modi di vivere che accrescono o diminuiscono oggettiva-
mente la felicità complessiva su questo mondo, allora queste
sarebbero verità morali oggettive. Non possiamo sapere in
anticipo se saremo mai nella posizione di scoprire queste veri-
tà e di essere d'accordo su di esse (e questo è vero per tutte le
questioni di fatti scientifici). Ma se esistono leggi psicofisiche
che determinano il benessere umano ― e perché non dovreb-
bero esserci? ― allora queste leggi si possono potenzialmente
scoprire. La conoscenza di queste leggi fornirebbe una base
durevole per una moralità oggettiva. Nel frattempo, tutto ciò
che sappiamo dell'esperienza umana suggerisce che l'amore è
migliore dell'odio per lo scopo di vivere felicemente su questo
mondo. Questa è un'affermazione oggettiva sulla mente uma-
na, sulla dinamica delle relazioni sociali, e sull'ordine morale
del nostro mondo. Sebbene non abbiamo niente di simile a un
approccio scientifico definitivo per massimizzare la felicità
217
umana, credo si possa dire con sicurezza che stuprare e ucci-
dere bambini non sarà uno dei suoi costituenti primari.
Una delle più grandi sfide che la civiltà nel ventunesimo se-
colo si trova a fronteggiare è che gli esseri umani imparino a
discutere le questioni personali più profonde e che stanno loro
più a cuore ― sull'etica, sull'esperienza spirituale, sull'inevita-
bilità della sofferenza umana ― in modi che non siano prepo-
tentemente irrazionali. Niente ostacola questo progetto più
del rispetto che noi accordiamo alla fede religiosa. Dottrine
religiose incompatibili hanno frazionato la nostra società in
comunità morali separate, e queste divisioni sono divenute
una fonte continuata di conflitti umani. L'idea che ci sia un le-
game necessario tra la fede religiosa e la moralità è uno dei
miti principali che mantengono la religione in buona posizio-
ne tra uomini e donne altrimenti ragionevoli. Eppure è un
mito che si può demolire facilmente.

LA FEDE È COMPATIBILE CON LA RAGIONE?


(da "L'idea pericolosa di Darwin" di Daniel
Dennett)

[...]
A questo punto, un lettore di una bozza preliminare di que-
sto capitolo si è lamentato dicendo che, trattando l'ipotesi di
Dio come una normale ipotesi scientifica, da valutare secondo
gli standard della scienza e del pensiero razionale in generale,
io e Dawkins stiamo ignorando l'affermazione, molto diffusa
tra i credenti in Dio, secondo cui la loro fede è del tutto al di
là della ragione, e non è una questione su cui si possono
applicare questi mondani metodi di verifica. Non è solo una
mancanza di sensibilità da parte mia, disse il lettore, ma è as-
solutamente illegittimo assumere che il metodo scientifico
continui ad essere completamente applicabile in questo domi-
nio di fede.
Molto bene, prendiamo in considerazione quest'obiezione.
Dubito che il difensore della religione la troverà attraente, una
218
volta che la avremo esplorata attentamente. Il filosofo Ronald
de Sousa una volta descrisse in modo memorabile la teologia
filosofica come un "tennis intellettuale senza la rete", e am-
metto che fino ad ora ho dato per scontato che la rete del giu-
dizio razionale fosse alzata. Ma, se davvero lo desiderate,
possiamo abbassarla. A voi la palla ed il servizio. Qualunque
cosa serviate, supponete che io risponda al servizio brutal-
mente in questo modo:
"Ciò che dite implica che Dio è un panino al prosciutto av-
volto nella carta stagnola. Non è un granché come oggetto di
venerazione!"
Se poi voi rispondete con una volée, pretendendo di sapere
come io possa giustificare logicamente la mia affermazione
che il vostro servizio abbia un'implicazione tanto insensata, io
risponderò:
"Oibò, volete che la rete sia alzata quando la risposta spet-
ta a me, ma non quando siete al servizio voi?
O la rete è sempre alzata, o è sempre abbassata. Se è abbas-
sata, allora non ci sono regole, e chiunque può dire qualun-
que cosa, un gioco da idioti come ce ne sono pochi. Io vi con-
cedevo il beneficio di assumere che non avreste sprecato vo-
stro tempo, o il mio, giocando con la rete abbassata."
Ora, se volete ragionare sulla fede, ed offrire una difesa ragio-
nata (e sensibile alla ragione) della fede come un tipo di cre-
denza straordinaria meritevole di considerazione speciale,
sono impaziente di giocare. Riconosco senza dubbio l'esisten-
za del fenomeno della fede; ciò che voglio vedere è un motivo
ponderato per prendere la fede sul serio come modo per arri-
vare alla verità, e non, ad esempio, come un modo per confor-
tare se stessi o altri (una funzione meritevole, che prendo sul
serio). Ma non dovete aspettarvi che io vi segua nella vostra
difesa della fede come strada per giungere alla verità se in
ogni momento vi appellate a quella stessa dispensazione che
si presume steste cercando di giustificare.
Prima di appellarvi alla fede quando la ragione vi ha co-
stretti nell'angolo, chiedetevi se vi piacerebbe davvero ab-

219
bandonare la ragione quando essa è dalla vostra parte. Siete
in vacanza in un paese straniero con la persona che amate, e
questa persona viene brutalmente assassinata davanti ai vostri
occhi. Nel processo scoprite che in questo paese si possono
chiamare come testimoni per la difesa gli amici dell'accusato, e
questi dichiarano di avere completa fede nella sua innocen-
za. Osservate la sfilata dei suoi amici in lacrime, ovviamente
sinceri, che proclamano orgogliosamente la loro inamovibile
fede nell'innocenza dell'uomo che voi avete visto commettere
il terribile delitto. Il giudice ascolta attentamente e con molto
rispetto, ovviamente commosso da queste esternazioni più
che da tutta l'evidenza presentata dall'accusa. Non è un incu-
bo? Sareste disposti a vivere in un paese del genere? Oppu-
re, vi piacerebbe essere operati da un chirurgo che vi dice che,
ogni volta che una vocina interiore gli dice di non tener con-
to delle sue conoscenze mediche, lui le dà sempre ascolto?
Mi rendo conto che tra gente educata si rispetta l'opinione al-
trui, e nella maggior parte delle circostanze io coopero con tut-
to il cuore verso questo accordo pacifico. Ma qui stiamo seria-
mente cercando di arrivare alla verità, e se voi pensate che
questo accordo comune ma tacito sulla fede sia qualche cosa
di meglio di un offuscamento socialmente utile al fine di evita-
re di mettersi reciprocamente in imbarazzo e perdere la faccia,
allora avete esplorato l'argomento in maniera molto più
approfondita di quanto abbiano mai fatto i filosofi (dato che
nessun filosofo ha mai presentato una buona difesa di questa
tesi), oppure vi prendete in giro da soli. (Ora la palla è nel vo-
stro campo).

220
PARTE II. L'ORIGINE DELLA VITA

221
SIAMO STATI CREATI DA DIO?
(da “Lettera a una Nazione Cristiana”, Sam
Harris)

Il condotto respiratorio umano e quello digestivo hanno un


tratto in comune nella faringe. Solo negli Stati Uniti, questo
esempio di "disegno intelligente" fa sì che decine di migliaia di
bambini ogni anno finiscano al pronto soccorso. Alcune centi-
naia di essi muoiono di soffocamento. A quale scopo compas-
sionevole potrebbe mai servire questa "scelta progettuale"?
Naturalmente, possiamo immaginare uno scopo compassione-
vole: forse i genitori dei bambini meritavano di ricevere una
lezione; o forse Dio ha preparato un premio speciale in paradi-
so per ogni bambino che soffoca a morte per un tappo di botti-
glia. Il problema, però, è che questo tipo di giustificazione im-
maginifica è compatibile con qualunque stato del mondo. Qua-
le orrenda catastrofe non potrebbe essere "razionalizzata" in
questo modo? E perché mai dovreste essere inclini a pensarla
così? Quanto è morale questo modo di pensare?

PERCHÉ ESISTIAMO?
(da "L'orologiaio cieco”, Richard Dawkins)

Capitolo 1. Spiegare il molto improbabile


Noi animali siamo le cose più complicate nell'universo noto.
[..] Le cose complicate, da dovunque provengano, meritano
un tipo molto speciale di spiegazione. Vogliamo sapere come
sono venute ad esistere e perché sono così complicate. Come
sosterrò, la spiegazione è molto probabilmente la stessa per
tutte le cose complicate presenti nell'universo: per noi, per gli
scimpanzé, per i vermi, per le querce e per i mostri dallo spa-
zio profondo. D'altra parte, non sarà la stessa per le cose che
chiamerò "semplici", come le rocce, le nuvole, i fiumi, le galas-
sie e i quark.
222
[.....]
Noi vogliamo sapere perché esistiamo, e perché esistono
tutte le altre cose complicate. E oggi possiamo rispondere a
questa domanda in termini generali.
[..]
Che dire dei nostri corpi? E' evidente che ognuno di noi è
una macchina, come un aereo di linea, solo molto più compli-
cata. Siamo forse stati ideati anche noi su una specie di lava-
gna, e le nostre parti sono forse state assemblate da un acuto
ingegnere? La risposta è no. È una risposta sorprendente, e la
conosciamo soltanto da un secolo circa. Quando Charles
Darwin risolse la questione la prima volta, molte persone non
vollero o non riuscirono a capire. Io stesso mi rifiutai ferma-
mente di credere alla teoria di Darwin quando la udii per la
prima volta da bambino. Quasi tutti nel corso della storia, fino
alla seconda metà del diciannovesimo secolo, hanno creduto
fermamente nel suo opposto ― la teoria del Progettista Con-
sapevole [o “disegno intelligente”]. Molte persone credono
ancora oggi in quest'ultima, forse perché la vera spiegazione
della nostra esistenza, quella darwiniana, non è ancora una
parte obbligatoria dei programmi scolastici, ed è largamente
fraintesa.
L'orologiaio del mio titolo è preso in prestito da un famoso
trattato del teologo del diciottesimo secolo William Paley. La
sua opera "teologia naturale ― o evidenza dell'esistenza e degli at-
tributi della divinità tratte dalle sembianze della natura", pubblica-
ta nel 1802, è la più nota esposizione dell' "argomento del di-
segno intelligente", che è sempre stato l'argomento più in-
fluente in favore dell'esistenza di Dio. È un libro che io ammi-
ro fortemente, perché in quei tempi l'autore è riuscito a fare
ciò che io mi sforzo di fare adesso. [..] Aveva una giusta rive-
renza verso la complessità del mondo vivente, e capiva che
questa complessità richiede un tipo molto speciale di spiega-
zione. L'unica cosa che sbagliò ― beh, non proprio una qui-
squilia! ― fu la spiegazione stessa. Egli diede la risposta reli-
giosa tradizionale al rompicapo in questione, ma la articolò in

223
modo più chiaro e convincente di chiunque altro prima di lui.
La spiegazione vera è completamente diversa, e avrebbe do-
vuto attendere l'arrivo di uno dei pensatori più rivoluzionari
di tutti i tempi, Charles Darwin.
Paley comincia il suo "teologia naturale" con un famoso pas-
saggio:
Attraversando una brughiera, supponiamo che io urti il
piede contro una pietra, e che qualcuno mi chieda in che
modo la pietra sia venuta a trovarsi lì. Io potrei forse ri-
spondere che, per quanto ne so, quella pietra potrebbe
anche essere lì da sempre [..]. Supponiamo però che io
trovi al suolo un orologio, e che mi venga chiesto in che
modo l'orologio si trovasse lì. Io non potrei certo dare la
risposta di prima, cioè che, per quanto ne so, l'orologio
potrebbe essere lì da sempre.
Paley dimostra di saper apprezzare la differenza tra gli og-
getti fisici naturali, come le pietre, e gli oggetti pensati e pro-
dotti da un artefice, come gli orologi. Egli prosegue illustran-
do la precisione con cui sono costruiti gli ingranaggi e le molle
di un orologio e la complessità con cui sono montati. Se noi
trovassimo in una brughiera un oggetto come un orologio, an-
che se non sapessimo in che modo esso avesse avuto origine,
la sua stessa precisione e l'intricatezza del suo progetto ci co-
stringerebbero a concludere
che l'orologio deve aver avuto un artefice: che deve es-
sere esistito, in qualche tempo e in qualche posto, un ar-
tefice, o degli artefici, che lo crearono in vista dello sco-
po al quale noi vediamo che effettivamente risponde,
che ne comprendevano la struttura e ne idearono l'uso.
Nessuno potrebbe ragionevolmente dissentire da questa
conclusione. Paley insiste però che è proprio questo che l'ateo
fa, quando contempla le opere della natura, poiché
ogni indicazione di inventiva, ogni manifestazione di un
disegno intelligente che esistono nell'orologio esistono
anche nelle opere della natura; con la differenza che la
natura mostra queste cose con grandezza molto maggio-
224
re, fuori dalla portata di ogni calcolo.
Paley correda la sua tesi con belle e riverenti descrizioni del
meccanismo della vita, che egli esamina molto attentamente, a
cominciare dall'occhio umano; l'occhio è uno degli esempi
preferiti in questo genere di argomentazioni, esempio che sa-
rebbe stato usato in seguito anche da Darwin e che riappare
nell'intero corso di questo libro. Paley paragona l'occhio a uno
strumento progettato dall'uomo, come un telescopio, e conclu-
de che "si dimostra esattamente nello stesso modo che l'occhio
è stato costruito per vedere e che il telescopio è stato costruito
per aiutare l'occhio". L'occhio deve avere avuto un progettista
consapevole, esattamente come il telescopio.
L'argomentazione di Paley viene condotta con appassionata
sincerità e si avvale delle migliori conoscenze biologiche del
tempo, ma è sbagliata, clamorosamente e completamente
sbagliata. L'analogia fra il telescopio e l'occhio, fra l'orologio
e l'organismo vivente, è falsa. Nonostante tutte le apparenze
dicano il contrario, l'unico orologiaio in natura sono le cieche
forze della fisica, sebbene impiegate in un modo molto spe-
ciale. Un vero orologiaio ha la lungimiranza, la capacità di
prevedere: progetta i suoi ingranaggi e le sue molle e pianifica
le loro interconnessioni avendo in mente uno scopo futuro.
Invece la selezione naturale, quel processo cieco, inconsape-
vole, automatico, che fu scoperto da Darwin e che oggi sap-
piamo essere la spiegazione dell'esistenza e dello scopo
apparente di tutte le forme di vita, non ha in mente alcuno
scopo. Anzi non ha alcuna mente, né alcuna forma di co-
scienza. Non fa progetti per il futuro. Non ha una visione,
non ha capacità di previsione, non ha alcun tipo di vista. Se
si può dire che essa svolge il ruolo di orologiaio in natura,
allora è un orologiaio cieco.
Spiegherò tutto questo e molto altro. Ma una cosa che non
farò è sminuire il senso di meraviglia verso gli "orologi" viven-
ti che ispirò tanto Paley. Al contrario, cercherò di illustrare la
mia sensazione che Paley avrebbe potuto spingersi oltre.
Quando si tratta di provare stupore e meraviglia per gli "oro-

225
logi" viventi, io non mi sento secondo a nessuno. Sento di ave-
re più in comune con il reverendo William Paley che con il
ben noto filosofo moderno, ed ateo, con cui una volta discussi
la questione a cena. Io dissi che non riuscivo a immaginare
come si potesse essere atei prima del 1859, quando fu pubbli-
cata "l'origine della specie" di Darwin. "E che mi dici di
Hume?", rispose il filosofo. "In che modo Hume spiegò la
complessità organizzata del mondo vivente?", domandai io.
"Non la spiegò", rispose il filosofo. "Perché mai dovrebbe ri-
chiedere una spiegazione speciale?"
Paley sapeva che richiedeva una spiegazione speciale; Dar-
win lo sapeva, e sospetto che nel profondo del suo cuore lo sa-
pesse anche il mio amico filosofo. In ogni caso è questo il com-
pito che io mi propongo qui. Quanto a David Hume, a volte si
dice che il grande filosofo scozzese liquidò l'argomento del di-
segno intelligente un secolo prima di Darwin. Ma il contributo
di Hume si ridusse semplicemente a criticare la logica di usare
il disegno apparente in natura come una prova positiva a soste-
gno dell'esistenza di un Dio. Egli non offrì alcuna spiegazione
alternativa del disegno apparente, ma lasciò aperto il proble-
ma. Un ateo prima di Darwin avrebbe potuto dire, seguendo
Hume: "Io non ho alcuna spiegazione per il complesso dise-
gno biologico. Tutto ciò che so è che Dio non è una buona
spiegazione, per cui dobbiamo attendere e sperare che qualcu-
no ne trovi una migliore". Io non posso fare a meno di pensare
che una tale posizione, per quanto logicamente sana, non po-
tesse essere soddisfacente e che, per quanto l'ateismo possa
essere stato logicamente sostenibile prima di Darwin, soltan-
to Darwin abbia creato la possibilità di adottare un punto di
vista ateo con piena soddisfazione intellettuale.

L'EVOLUZIONE È CASUALE?
(da "L'orologiaio cieco”, Richard Dawkins)

Abbiamo visto che le cose viventi sono troppo improbabili e


troppo meravigliosamente "congegnate" per essere nate per
226
caso. Allora, come sono nate? La risposta, scoperta da Darwin,
è che sono nate per mezzo di trasformazioni graduali, passo-
passo, a partire da entità primitive abbastanza semplici da
poter nascere per caso. In questa serie graduale di cambia-
menti successivi, ogni singolo cambiamento è stato abba-
stanza semplice, rispetto al suo predecessore, da poter nasce-
re per caso. Ma la sequenza intera di questi passi cumulativi
costituisce un processo tutt'altro che casuale [..]. Infatti il pro-
cesso cumulativo è guidato dalla sopravvivenza non casuale.
Lo scopo di questo capitolo è illustrare il potere di questa sele-
zione cumulativa come processo non casuale.
Se cammini su e giù per una spiaggia di ciottoli, noterai che i
ciottoli non sono disposti in modo casuale. I ciottoli più piccoli
tendono a trovarsi in zone circoscritte che corrono per la lun-
ghezza della spiaggia, mentre quelli più grandi si troveranno
in zone, o strisce, diverse. Questi ciottoli sono stati ordinati,
arrangiati, selezionati. Una tribù che vivesse vicino alla spiag-
gia potrebbe meravigliarsi di fronte a questa evidenza di ordi-
ne del mondo, e potrebbe sviluppare una mitologia per darne
conto, magari attribuendo quell'ordine ad un grande spirito
nel cielo dotato di una mente ordinata e un senso di rigore.
Potremmo sorridere con superiorità di fronte a una simile su-
perstizione, e dir loro che quella disposizione è stata prodotta
in realtà dalle cieche forze della fisica, in questo caso dall'azio-
ne delle onde. Le onde non hanno nessuno scopo o intenzione,
nessuna mente ordinata, anzi nessuna mente e basta. Esse
semplicemente rimescolano i ciottoli con forza, e i ciottoli
grandi e i ciottoli piccoli rispondono in modo diverso a questo
trattamento, così che terminano in posti diversi della spiaggia.
Una piccola quantità di ordine è sorta spontaneamente dal di-
sordine, e nessuna mente l'ha pianificata.
Le onde e i sassolini, messi insieme, costituiscono un esem-
pio semplice di sistema che genera automaticamente non-ca-
sualità. Il mondo è pieno di sistemi di questo genere. L'esem-
pio più semplice che mi viene in mente è un buco. Solo gli og-
getti più piccoli del buco possono passare attraverso di esso.
Questo significa che se si parte da un insieme casuale di og-
227
getti sopra al buco, e qualche forza li scuote in modo casuale,
dopo un po' gli oggetti sopra il buco e quelli sotto si troveran-
no ad essere ordinati in modo non casuale. Lo spazio sotto il
buco tenderà a contenere oggetti più piccoli del buco, e lo spa-
zio sopra tenderà a contenere oggetti più grandi del buco. L'u-
manità, naturalmente, ha imparato da tempo a sfruttare que-
sto semplice principio per generare non casualità, con il dispo-
sitivo noto come setaccio.
Il sistema solare è un'organizzazione stabile di pianeti, co-
mete e detriti in orbita intorno al sole, ed è presumibilmente
solo uno di molti sistemi simili orbitanti nell'universo. Più vi-
cino al sole un satellite si trova, più velocemente esso deve
viaggiare per poter contrastare la gravità del sole e rimanere
in un'orbita stabile. Per ogni data orbita, c'è soltanto una velo-
cità a cui un satellite può viaggiare e rimanere in quell'orbita.
Se stesse viaggiando a qualunque altra velocità, fuggirebbe via
nello spazio profondo, oppure precipiterebbe nel sole, oppure
si sposterebbe in un'altra orbita. Se guardiamo i pianeti del
nostro sistema solare scopriamo che ― guardacaso ― ognuno
di loro sta viaggiando esattamente alla giusta velocità per
mantenersi in orbita stabile intorno al sole. Si tratta forse di un
miracolo o di un disegno provvidenziale? No, è solo un altro
"setaccio" naturale. Ovviamente tutti i pianeti che vediamo in
orbita intorno al sole devono viaggiare esattamente alla veloci-
tà giusta per restare in orbita, altrimenti non li vedremmo,
perché non ci sarebbero! Ma è altrettanto ovvio che questa non
è evidenza di un disegno consapevole. È solo un altro tipo di
setaccio.
Un setaccio di quest'ordine di semplicità non è, da solo, suf-
ficiente a spiegare l'enorme quantità di ordine non casuale che
vediamo nelle cose viventi. Non è neppure lontanamente suf-
ficiente. Ricordate l'analogia del lucchetto a combinazione. Il
tipo di non-casualità che si può generare con un semplice se-
taccio è più o meno equivalente ad aprire un lucchetto a com-
binazione al primo colpo: è facile che avvenga per semplice
fortuna. Ma il tipo di non casualità che vediamo nei sistemi vi-
venti è equivalente a un enorme lucchetto a combinazione con
228
un numero di cifre spaventosamente grande, quasi incontabi-
le. Generare una molecola biologica come l'emoglobina, il pig-
mento rosso del sangue, con un semplice setaccio equivarreb-
be a prendere tutti gli aminoacidi costitutivi dell'emoglobina,
shakerarli a caso, e sperare che la molecola di emoglobina si
ricostituisca per un semplice colpo di fortuna. La quantità di
fortuna che sarebbe necessaria per quest'impresa è inconcepi-
bile, ed è stata utilizzata come termine di paragone da Isaac
Asimov ed altri.
Una molecola di emoglobina consiste di quattro catene di
aminoacidi attorcigliate insieme. Concentriamoci soltanto su
una di queste quattro catene. Consiste di 146 aminoacidi. Ci
sono 20 differenti tipi di aminoacidi che si trovano comune-
mente nelle cose viventi. Il numero di modi possibili di di-
sporre 20 tipi di oggetti in catene di lunghezza 146 è un nume-
ro inconcepibilmente grande, che Asimov chiamò "il numero
dell'emoglobina". È facile da calcolare, ma è impossibile visua-
lizzare la risposta. Il primo anello nella catena di 146 potrebbe
essere uno qualunque dei 20 possibili aminoacidi. Il secondo
anello potrebbe anche esso essere uno tra 20, così il numero di
possibili catene di lunghezza due è 20 x 20, cioè 400. Il numero
possibile di catene di lunghezza 3 è 20 x 20 x 20, cioè 8000. Il
numero di catene possibili di lunghezza 146 è 20 moltiplicato
per se stesso 146 volte. Si tratta di un numero enorme. Un mi-
lione è 1 con sei zeri dopo di esso. Un miliardo è un 1 con
nove zeri dopo di esso. Il numero che cerchiamo, il numero
dell'emoglobina, è circa 1 con 190 zeri dopo di esso. Questa è
quindi la probabilità contro la produzione di emoglobina per
un semplice colpo di fortuna [è 1 diviso quel numero enorme,
quindi è una probabilità piccolissima]. E una molecola di emo-
globina ha solo una piccola frazione della complessità di un
corpo vivente. Un semplice setaccio, da solo, non è lontana-
mente capace di generare la quantità di ordine che si trova in
una cosa vivente. Il setacciare è un ingrediente essenziale per
generare l'ordine vivente, ma è ben lontano da essere la con-
clusione della storia. Serve anche qualcos'altro. Per illustrare il
punto, dovrà fare una distinzione tra selezione "a passo sin-
229
golo" e selezione "cumulativa". I setacci semplici che abbiamo
considerato fino ad ora in questo capitolo sono tutti esempi di
selezione a passo singolo. L'organizzazione vivente è il pro-
dotto della selezione cumulativa.
La differenza fondamentale tra la selezione a passo singo-
lo e la selezione cumulativa è questa: nella selezione a passo
singolo le entità che vengono selezionate o ordinate (sassoli-
ni o qualunque altra cosa) vengono ordinate una volta per
tutte. Nella selezione cumulativa, invece, si "riproducono"; o
comunque il prodotto del processo di setacciamento viene in
qualche modo dato "in pasto" a una seconda operazione di
setacciamento, il cui prodotto viene a sua volta dato in pasto
ad una terza, e così via. Le entità vengono sottoposte a sele-
zione o ordinamento per molte "generazioni" successive. Il
prodotto finale di ogni generazione di selezione è il punto
di partenza per la prossima, e così via per molte generazioni.
È naturale che io prenda in prestito parole come "riprodursi" e
"generare", che di solito associamo alle cose viventi, perché le
cose viventi sono per noi l'esempio principale di cose soggette
a selezione cumulativa. [...]
A volte le nuvole, a causa del vento che le spinge e le rime-
scola in modo casuale, assumono le sembianze di oggetti fami-
liari. C'è una fotografia molto nota, scattata da un pilota di un
piccolo aeroplano, che raffigura ciò che sembra un po' il volto
di Gesù che spunta fuori dal cielo. Tutti noi abbiamo visto nu-
vole che ci ricordavano qualcosa ― un cavalluccio marino, ad
esempio, o un volto sorridente. Queste somiglianze nascono
mediante selezione a passo singolo, cioè in altre parole per
una singola coincidenza. Di conseguenza, non sono molto im-
pressionanti. La somiglianza dei segni zodiacali con gli anima-
li di cui portano il nome (scorpione, leone e così via) non è im-
pressionante, come non lo sono le predizioni degli astrologi.
Noi non ci sentiamo sconcertati da quella somiglianza, quanto
invece siamo sconcertati dalla complessità degli oggetti biolo-
gici ― che sono il prodotto della selezione cumulativa. Ad
esempio ci appare spettacolare la somiglianza di un insetto fo-
glia ad una foglia, o di una mantide religiosa ad un gruppo di
230
fiori rosa; ma la somiglianza di una nuvola ad una donnola è
solo un po' curiosa, e a malapena ci prendiamo la briga di por-
tarla all'attenzione di un amico. Inoltre, tendiamo a cambiare
opinione sull'oggetto a cui la nuvola davvero assomiglia.
Amleto. Vedete laggiù quella nuvola che sembra un cammel-
lo?
Polonio. Sacripante! E' un cammello davvero!
Amleto. O forse somiglia a una donnola.
Polonio. Infatti, è proprio una donnola.
Amleto. Non pare una balena?
Polonio. Tale e quale a una balena.
Non so chi sia stato il primo a dire che, dato un tempo abba-
stanza lungo, una scimmia che battesse a caso sui tasti di una
macchina per scrivere potrebbe produrre tutte le opere di Sha-
kespeare. La frase cruciale è, ovviamente, "dato un tempo ab-
bastanza lungo". Supponiamo che la scimmia debba produrre
non le opere complete di Shakespeare, bensì solo la breve fra-
se "o forse somiglia a una donnola" [METHINKS IT IS LIKE A
WEASEL], e noi le faciliteremo il compito dandole una mac-
china per scrivere con una tastiera ridotta, con le sole 26 lettere
(maiuscole) e la barra per gli spazi. Quanto tempo impiegherà
la nostra scimmia dattilografa a scrivere quest'unica piccola
frase?
La frase comprende 28 caratteri, cosicché supporremo che la
scimmia compia una serie di 'tentativi' discreti di 28 battute.
Se la scimmia scriverà la frase correttamente, l'esperimento
sarà concluso. In caso contrario le permetteremo un altro 'ten-
tativo' di 28 battute. Ora io non conosco scimmie, ma per for-
tuna mia figlia, che ha 11 mesi, è un ottimo dispositivo genera-
tore di casualità, ed ha accettato con entusiasmo il ruolo di
scimmia dattilografa. Ecco cosa ha digitato al computer:
UMMK JK CDZZ F ZD DSDSKSM
S SS FMCV PU I DDRGLKDXRRDO
RDTE QDWFDVIOY UDSKZWDCCVYT
H CHVY NMGNBAYTDFCCVD D

231
RCDFYYYRM N DFSKD LD K WDWK
HKAUIZMZI UXDKIDISFUMDKUDXI
Mia figlia ha anche altri impegni importanti, per cui sono
stato costretto a programmare il computer per simulare l'ope-
ra di un bambino piccolo o una scimmia che battessero a caso
sulla tastiera:
WDLDMNLT DTJBKWIRZREZLMQCO P
Y YVMQKZPGJXWVHGLAWFVCHQYOPY
MWR SWTNUXMLCDLEUBXTQHNZVIQF
FU OVAODVYKDGXDEKYVMOGGS VT
HZQZDSFZIHIVPHZPETPWVOVPMZGF
GEWRGZRPBCTPGQMCKHFDBGW ZCCF
E così via. Non è difficile calcolare quanto tempo dovremo
ragionevolmente attendere perché il computer (o il bambino
piccolo o la scimmia) con questo sistema casuale produca la
frase METHINKS IT IS LIKE A WEASEL. Si pensi al numero
totale dei frasi possibili della lunghezza corretta che la scim-
mia o il bambino o il computer potrebbero digitare. È lo stesso
tipo di calcolo che abbiamo fatto per l'emoglobina, e produce
un risultato similmente grande. Nella prima posizione ci sono
27 lettere possibili (considerando anche lo spazio come una
lettera). Quindi la probabilità che la scimmia azzecchi subito
la prima lettera, la M, è una su 27. La probabilità di azzeccare
le prime due lettere - ME - è uguale alla probabilità di azzecca-
re la prima lettera, moltiplicata per la probabilità di azzeccare
la seconda lettera (la E), sapendo che la prima lettera è stata già
azzeccata. [E quest'ultima probabillità è sempre 1/27, perché il
fatto di aver azzeccato la prima lettera non rende più facile az-
zeccare la seconda, né più difficile. Infatti stiamo generando
lettere completamente a caso, senza tener conto delle lettere
precedenti.] Abbiamo perciò (1/27) x (1/27), che fa 1/729. La
probabilità che la scimmia azzecchi la prima parola (ME-
THINKS) è 1/27 per ciascuna delle otto lettere, cioè (1/27) x
(1/27) x (1/27) .... x (1/27) eccetera, otto volte, cioè 1/27 all'otta-
va potenza. La probabilità che azzecchi l'intera frase di 28 let-
tere è 1/27 alla ventottesima potenza, cioè 1/27 moltiplicato
232
per se stesso 28 volte. Questa è una probabilità molto piccola,
circa uno su 10.000 milioni di milioni di milioni di milioni di
milioni di milioni. Servirebbe molto tempo per ottenere la
frase che cerchiamo, per non parlare di battere a macchina le
opere complete di Shakespeare.
Quanto detto vale però quando selezioniamo variazioni ca-
suali con un singolo passo. Che dire della selezione cumulati-
va? Quanto è più efficace questo genere di selezione? La rispo-
sta è: molto, molto più efficace, forse più di quanto possiamo
renderci conto a prima vista, anche se, a rifletterci sopra un po'
di più, si vede che è una cosa quasi ovvia. Usiamo di nuovo la
nostra scimmia computerizzata, ma con una differenza deter-
minante nel suo programma. La scimmia comincia anche qui
scegliendo una sequenza casuale di 28 lettere, esattamente
come nel primo esperimento:
WDLMNLT DTJBKWIRZREZLMQCO P
Ma stavolta la scimmia "fa riprodurre" questa frase casua-
le. Ne fa tante copie, ma con una certa probabilità di errore
casuale ― mutazione ― nell'operazione di copiatura. Poi, il
computer esamina le varie frasi mutanti (i 'figli' della frase ori-
ginale) e sceglie quella che somiglia di più, anche di pochis-
simo, alla frase che costituisce il nostro obiettivo, ME-
THINKS IT IS LIKE A WEASEL. Il caso ha voluto che la frase
scelta per la prossima 'generazione' fosse:
WDLTMNLT DTJBSWIRZREZLMQCO P
Non è un miglioramento così evidente! Ma la procedura vie-
ne ripetuta: di nuovo dei 'figli' mutanti vengono 'fatti nascere'
dalla frase, e viene scelto un nuovo 'vincitore'. Questo prose-
gue generazione dopo generazione. Dopo 10 generazioni, la
frase scelta per 'riprodursi' era:
MDLDMNLS ITJISWHRZREZ MECS P
Dopo 20 generazioni era:
MELDINLS IT ISWPRKE Z WECSEL
A questo punto, con un po' di buona volontà possiamo ve-
dere una somiglianza alla frase che è il nostro obiettivo. Alla
generazione 30 non può esserci dubbio:
233
METHINGS IT ISWLIKE B WECSEL
La generazione 40 ci porta ad una sola lettera dall'obiettivo:
METHINKS IT IS LIKE I WEASEL
E l'obiettivo fu finalmente raggiunto alla generazione 43.
Una seconda esecuzione del programma al computer comin-
ciò casualmente con la frase:
Y YVMQKZPFfXWVHGLAWFVCHQXYOPY
E passò attraverso (di nuovo sto riportando solo una rigene-
razione ogni 10):
Y YVMQKSPFTXWSHLIKEFV HQYSPY
YETHINKSPITXISHLIKEFA WQYSEY
METHINKS IT ISSLIKE A WEFSEY
METHINKS IT ISBLIKE A WEASES
METHINKS IT ISJLIKE A WEASEO
METHINKS IT IS LIKE A WEASEP
E raggiunse la frase obiettivo alla generazione 64. Una terza
esecuzione del programma cominciò casualmente con
GEWRGZRPBCTPGQMCKHFDBGW ZCCF
E raggiunse METHINKS IT IS LIKE A WEASEL in 41 gene-
razioni di riproduzione selettiva.
Non importa il tempo esatto impiegato dal computer per
raggiungere l'obiettivo. [L'operazione richiese qualche minu-
to.] Ciò che conta è la differenza tra il tempo impiegato dalla
selezione cumulativa, e il tempo che lo stesso computer im-
piegherebbe per raggiungere l'obiettivo se fosse costretto a
usare la selezione a passo singolo: circa un milione di milio-
ni di milioni di milioni di milioni di anni. E questo è un mi-
lione di milioni di milioni di volte più dell'età dell'universo.
In realtà sarebbe più giusto dire che, in confronto al tempo ne-
cessario perché una scimmia o un computer programmato a
caso digiti la nostra frase obiettivo, l'età complessiva dell'uni-
verso è una quantità piccolissima e trascurabile [..]. Invece il
tempo impiegato dal computer funzionando sempre a caso
ma con il vincolo di operare una selezione cumulativa è una
quantità del tutto comprensibile per gli esseri umani, cioè tra

234
11 secondi e il tempo necessario per pranzare.
Quindi c'è una grande differenza tra la selezione cumulati-
va (in cui ogni miglioramento, per quanto minuscolo, viene
usato come base per la selezione futura), e la selezione a pas-
so singolo (in cui ogni tentativo ricomincia da zero). Se il
progresso evolutivo avesse dovuto affidarsi alla selezione a
passo singolo, non sarebbe arrivato da nessuna parte. Se tut-
tavia le condizioni necessarie per la selezione cumulativa ven-
gono prodotte dalle cieche forze della natura, le conseguenze
sono strane e meravigliose. Si dà il caso che proprio questo sia
successo su questo pianeta, e noi stessi siamo la più recente, se
non la più strana e meravigliosa, di queste conseguenze.
È sorprendente che ancora oggi dei calcoli come quello del-
l'emoglobina vengano usati come se fossero argomenti contro
la teoria di Darwin. Le persone che fanno questo, spesso
esperte in campi come l'astronomia o altro, sembrano credere
sinceramente che il darwinismo spieghi l'organizzazione vi-
vente in termini del puro caso ― cioè selezione a passo singo-
lo. Questa credenza che l'evoluzione darwiniana sia 'casuale'
non è soltanto falsa. È l'esatto opposto della verità. Il caso è
un ingrediente secondario nella ricetta darwiniana. L'ingre-
diente più importante è la selezione cumulativa che è cru-
cialmente non casuale. Le nuvole non sono capaci di inne-
scare una selezione cumulativa. Non c'è alcun meccanismo
per cui le nuvole di una certa forma possono produrre delle
nuvole figlie somiglianti al genitore. Se esistesse un tale
meccanismo, se una nuvola che assomiglia a una donnola o a
un cammello potesse dar luce a una discendenza di altre nu-
vole più o meno della stessa forma, la selezione cumulativa
avrebbe l'opportunità di prendere il via. Naturalmente di
tanto in tanto le nuvole si dividono e formano nuvole
'figlie', ma questo non basta per la selezione cumulativa. È
anche necessario che i figli di ogni data nuvola assomiglino
al 'genitore' più di quanto somigliano a ogni altra nuvola
nella 'popolazione'. Questo punto di importanza fondamenta-
le è apparentemente frainteso da alcuni dei filosofi che, negli
anni recenti, si sono interessati alla teoria della selezione natu-
235
rale. Inoltre la probabilità che una nuvola sopravviva e pro-
duca copie di se stessa deve dipendere dalla sua forma. Forse
in qualche distante galassia queste condizioni si sono verifica-
te, ed il risultato, se sono passati abbastanza milioni di anni, è
qualche forma di vita sfuggente ed eterea.

COME NASCE UN ORGANO COMPLESSO COME


L'OCCHIO UMANO?
(da “L'orologiaio Cieco”, Richard Dawkins)

Come abbiamo visto nel capitolo 2, molte persone trovano


difficile credere che qualcosa come l'occhio, l'esempio favorito
di Paley, così complesso e ben congegnato, con così tante parti
che funzionano in modo interdipendente, possa essere nato a
partire da uno stato semplice mediante una serie graduale di
minuscoli cambiamenti. Torniamo al problema in luce delle
nuove intuizioni [...] del capitolo precedente. Rispondiamo a
queste due domande:
1. Può l'occhio umano essere nato direttamente dall'assen-
za di occhi, in un singolo passo?
2. Può l'occhio umano essere nato direttamente da qualcosa
di leggermente diverso da sé, qualcosa che potremmo chia-
mare X?
La risposta alla domanda 1 è chiaramente un 'no' deciso. Le
probabilità contro il 'sì' sono molti miliardi di più del numero
di atomi dell'universo. Servirebbe un salto enorme, ed enor-
memente improbabile, attraverso l'iperspazio genetico. La ri-
sposta alla domanda 2 è invece chiaramente sì, a patto che la
differenza tra l'occhio moderno e il suo immediato predeces-
sore X sia abbastanza piccola. [..] Se la risposta alla domanda
2 è no per una data differenza, tutto ciò che dobbiamo fare è
ripetere la domanda con una differenza minore. Continuiamo
a far ciò finché troviamo un grado di differenza abbastanza
piccolo da dare una risposta affermativa alla domanda 2.
X è definito come qualcosa di molto simile all'occhio umano,

236
così simile che l'occhio umano può plausibilmente esser nato
da una singola alterazione di X. Se avete in mente un certo X e
non vi sembra plausibile che l'occhio umano possa nascere di-
rettamente da esso, significa semplicemente che avete scelto
l'X sbagliato. Rendete la vostra immagine mentale di X sempre
più simile a un occhio umano, finché non trovate un X che vi
sembra plausibile come predecessore immediato dell'occhio
umano. Deve essercene uno che faccia al caso vostro, anche se
la vostra idea di cosa è plausibile può essere più o meno teme-
raria della mia!
Adesso che abbiamo trovato un X tale che la risposta alla do-
manda 2 è sì, applichiamo la stessa domanda ad X stesso.
Con lo stesso ragionamento dobbiamo concludere che X può
plausibilmente essere nato, direttamente per un singolo
cambiamento, da qualcosa di leggermente diverso, che pos-
siamo chiamare X'. Ovviamente possiamo poi far risalire X' a
qualcosa di leggermente diverso, X'', così via. Interponendo
una serie abbastanza grande di questi X, possiamo derivare
l'occhio umano da qualcosa di non leggermente diverso, ma
di molto diverso. Possiamo in altre parole percorrere una
grande distanza attraverso lo 'spazio animale', e le nostre mos-
se saranno plausibili a patto che facciamo dei passi abbastanza
piccoli. Ora siamo nella posizione di rispondere a una terza
domanda.
3. Esiste una serie continua di X che connettono l'occhio
umano moderno a uno stato del tutto privo di occhi?
Mi pare ovvio che la risposta sia sì, a patto che ci concedia-
mo una serie abbastanza lunga di X. Potreste pensare che 1000
X siano molti, ma se vi servono più passi per rendere plausibi-
le l'intera transizione nella vostra mente, concedetevi sempli-
cemente di assumere 10.000 X. E se 10.000 non è abbastanza
per voi, concedetevi 100.000, e così via. Naturalmente il tempo
disponibile impone un limite superiore a questo gioco, per-
ché può esserci soltanto un X per ogni generazione. Quindi
in pratica la domanda si riduce a: c'è stato abbastanza tempo
per un numero sufficiente di generazioni successive? Non
possiamo dare una risposta precisa al numero di generazioni
237
che sarebbero necessarie. Ciò che sappiamo è che il tempo
geologico è spaventosamente lungo. Solo per darvi un'idea
dell'ordine di grandezza di cui stiamo parlando, il numero di
generazioni che ci separano dai nostri primi antenati si misura
certamente in migliaia di milioni. Dati, diciamo, 100 milioni di
X, dovremmo poter costruire una serie plausibile di minuscole
variazioni che collegano l'occhio umano praticamente a qua-
lunque altra cosa!
Finora, con un processo di ragionamento più o meno astrat-
to, abbiamo concluso che esiste una serie di X concepibili dove
ognuno è abbastanza simile ai suoi vicini da potersi realistica-
mente trasformare in uno dei suoi vicini, e dove l'intera serie
collega l'occhio umano all'assenza di occhi. Ma non abbiamo
ancora dimostrato che è plausibile che questa serie di X sia
esistita davvero. Abbiamo altre due domande a cui risponde-
re.
4. Considerando ogni membro di questa serie di X ipotetici
che connettono l'occhio umano all'assenza di occhi, è plausi-
bile che ognuno di essi sia stato prodotto da una mutazione
casuale del suo predecessore?
Questa è in realtà una domanda sullo sviluppo embrionale,
non sulla genetica. [...] La mutazione deve lavorare modifican-
do i processi esistenti di sviluppo embrionale. È ragionevole
che alcuni tipi di processi embrionali si prestino molto bene a
mutare in una certa direzione, ma siano recalcitranti a mutare
in altre direzioni. Tornerò su questa questione nel capitolo 11,
mentre qui mi limiterò ad enfatizzare di nuovo la differenza
tra piccoli e grandi cambiamenti. Più è piccolo il cambiamen-
to che postuliamo, cioè più è piccola la differenza tra X'' e X',
e più sarà plausibile la mutazione in questione dal punto di
vista embriologico. Nel capitolo precedente abbiamo visto, su
basi puramente statistiche, che ogni grande mutazione è in-
trinsecamente meno probabile di qualunque piccola mutazio-
ne. Quindi, qualunque problema possa nascere nella domanda
4, possiamo almeno dire che più rendiamo piccola la differen-
za tra ogni X' e il suo X'', minori saranno i problemi. Ho idea
che, a patto che la differenza tra i vicini intermedi della nostra
238
serie che conduce all'occhio sia abbastanza piccola, le mutazioni
necessarie si verificheranno quasi inevitabilmente. Dopotutto,
stiamo sempre parlando di piccoli cambiamenti quantitativi di
processi embrionali esistenti. Ricordate che, per quanto com-
plicato possa essere lo stato attuale in ogni data generazione,
ogni cambiamento di questo stato può essere molto piccolo e
molto semplice.
Dobbiamo rispondere a un'ultima domanda:
5. Considerando ciascun membro della serie di X che con-
nette l'occhio umano all'assenza di occhi, è plausibile che
ognuno di essi abbia funzionato abbastanza bene da aiutare
la sopravvivenza e la riproduzione dell'animale in questio-
ne?
Cosa piuttosto strana, alcuni hanno pensato che la risposta a
questa domanda sia evidentemente no. Per esempio, citando il
libro di Francis Hitching del 1982 intitolato "Il collo della giraf-
fa, ovvero dove Darwin si sbagliò". Avrei potuto prendere gli
stessi argomenti da qualunque trattato di un testimone di
Geova, ma ho scelto questo libro perché un editore rispettabile
(Pan Books Ltd) ha ritenuto opportuno pubblicarlo, nonostan-
te la grande quantità di errori che sarebbero stati rapidamente
individuati da un laureato in biologia disoccupato, o neppure
laureato, se solo gli fosse stato chiesto di dare un'occhiata al
manoscritto. [..]
Perché l'occhio possa funzionare, devono verificarsi le
seguenti condizioni minime perfettamente coordinate
(ce ne sono molte altre che accadono simultaneamente,
ma anche una descrizione rozza e semplificata è suffi-
ciente a mettere in luce i problemi della teoria di Dar-
win). L'occhio deve essere pulito e umido, mantenuto in
questo stato dall'interazione fra la ghiandola lacrimale e
le palpebre mobili, le cui ciglia fungono anche da rozzo
filtro contro il sole. La luce passa quindi attraverso una
piccola sezione trasparente del rivestimento protettivo
esterno (la cornea) e prosegue attraverso una lente, il cri-
stallino, che la concentra sulla parte posteriore della reti-

239
na. Qui 130 milioni di bastoncelli e coni sensibili alla
luce causano reazioni fotochimiche che trasformano la
luce in impulsi elettrici. Circa un miliardo di impulsi
elettrici vengono trasmessi ogni secondo, per mezzo di
un meccanismo che non è compreso perfettamente, a un
cervello che intraprende poi un'azione appropriata.
Ora, è del tutto chiaro che se si verifica un inconvenien-
te anche minimo in questo delicato meccanismo ― se la
cornea non è perfettamente trasparente, o la pupilla non
riesce a dilatarsi, o il cristallino si opacizza, o la messa a
fuoco non funziona ― non si forma un'immagine rico-
noscibile. L'occhio o funziona completamente o non
funziona affatto. Come è dunque possibile che esso si
sia evoluto attraverso dei miglioramenti darwiniani, len-
ti, costanti, infinitamente piccoli? E' davvero plausibile
che migliaia e migliaia di mutazioni casuali fortunate
si siano verificate per pura coincidenza, così che il cri-
stallino e la retina, che non possono lavorare l'uno sen-
za l'altra, si siano evoluti in sincronia? Quale valore di
sopravvivenza potrebbe esserci in un occhio che non
vede?
Questo ragionamento degno di nota viene riproposto spes-
so, presumibilmente perché le persone desiderano credere nella
sua conclusione. Consideriamo l'affermazione che "se si verifi-
ca un inconveniente anche minimo, [..] se la messa a fuoco non
funziona [..] non si forma un'immagine riconoscibile". C'è una
probabilità di circa 50% che tu stia leggendo queste parole con
gli occhiali. Togliti gli occhiali e guardati in giro. Sei d'accordo
che "non si forma un'immagine riconoscibile?". Se sei maschio,
c'è una probabilità di 1 su 12 che tu soffra di una forma di
acromatopsia o cecità ai colori. Potresti essere astigmatico.
Non è improbabile che, senza occhiali, la tua vista sia confusa
e annebbiata. Uno dei teorici dell'evoluzione più famosi di
oggi [..] si pulisce le lenti così di rado che è improbabile che
esca mai fuori da una tale confusione nebulosa, ma pare che se
la cavi abbastanza bene e, a quanto dice egli stesso, era solito

240
giocare a squash con un solo occhio. Se ti capita di perdere gli
occhiali, forse potrai offendere i tuoi amici non riconoscendoli
per strada, ma tu stesso saresti ancora più indignato se qual-
cuno ti dicesse: "Dal momento che la tua vista non è assoluta-
mente perfetta, tanto vale che tu vada in giro ad occhi chiusi
finché non ritrovi gli occhiali". Eppure questo è essenzialmen-
te ciò che sta suggerendo l'autore del passo appena citato.
Egli afferma anche, come se fosse una cosa ovvia, che il cri-
stallino e la retina non possono lavorare l'uno senza l'altra.
Sulla base di quale autorità? Una donna che conosco bene è
stata operata di cataratta a entrambi gli occhi. Non ha più il
cristallino in nessuno dei due occhi. Senza occhiali non po-
trebbe nemmeno provare a giocare a tennis o puntare un fuci-
le. Però mi ha assicurato che se la cava molto meglio con occhi
privi di cristallino che senza occhi. Senza cristallino ti rendi
conto se stai per sbattere contro un muro, o contro un'altra
persona. Un animale selvatico privo di cristallino sarebbe
ancora in grado di usare gli occhi per percepire la figura in-
combente di un predatore e la direzione da cui si avvicina. In
un mondo primitivo popolato da creature prive di occhi e da
altre con occhi senza cristallino, quelle con occhi senza cristal-
lino avrebbero avuto ogni sorta di vantaggi. Ed esiste una se-
rie continua di X tale che ogni minuscolo miglioramento nel-
la nitidezza dell'immagine, dalla sfocatura nebbiosa alla vi-
sione umana perfetta, aumenta plausibilmente le probabilità
di sopravvivenza dell'organismo.
Il libro prosegue citando Stephen Jay Gould, il noto paleon-
tologo di Harvard, che dice:
Evitiamo la domanda eccellente "A che cosa serve il 5
per cento di occhio?" rispondendo che il possessore di
questo genere di struttura primitiva non la utilizzava
per vedere.
È vero che un animale primitivo con il 5 percento di occhio
avrebbe potuto usarlo per qualcos'altro che la vista, ma mi
sembra almeno ugualmente probabile che lo usasse per ve-
dere al 5 per cento. E, sinceramente, non credo che sia una do-

241
manda eccellente. Vale benissimo la pena di avere una vista
che sia solo il 5 per cento della mia, o della tua, se l'alternati-
va è la cecità totale. E anche una vista all'1 per cento è meglio
della cecità totale. E 6 per cento è meglio di 5, il 7 per cento è
meglio di 6, e così via, in una serie graduale e continua.

IL PARADOSSO DEL MIMETISMO

Questo tipo di problema ha dato da pensare a chi studia gli


animali che si proteggono dai predatori mediante il mimeti-
smo. Gli "insetti stecco" assomigliano ad un ramoscello, e in
tal modo riescono a non essere mangiati dagli uccelli. Gli in-
setti foglia assomigliano a foglie. Molte specie commestibili di
farfalle ottengono protezione grazie alla loro somiglianza con
specie velenose o dannose. Queste somiglianze sono molto
più impressionanti della somiglianza di una nuvola a una
donnola. [La selezione naturale ha infatti avuto milioni di anni
per perfezionare la somiglianza.]
Usiamo la parola mimetismo per questi casi, non perché
pensiamo che gli animali imitino consciamente altre cose, ma
perché la selezione naturale ha favorito quegli individui i
cui corpi venivano scambiati per altre cose. Per metterla in
altre parole, gli antenati degli insetti foglia che non assomi-
gliavano a foglie non lasciavano discendenti. Il genetista te-
desco-americano Richard Goldschmidt è il più noto tra colo-
ro che hanno sostenuto che la selezione naturale non avreb-
be potuto favorire l'evoluzione iniziale di queste somiglian-
ze. Gould, che era un ammiratore di Goldschmidt, disse a pro-
posito degli insetti che imitano gli escrementi: "Può forse es-
serci un vantaggio ad assomigliare al 5% a uno stronzo?". In
gran parte grazie all'influenza di Gould, recentemente è di-
ventato di moda dire che Goldschmidt fu sottovalutato duran-
te la sua vita, e che in realtà ha molto da insegnarci. Ecco un
esempio del suo modo di ragionare.
Ford parla... di qualunque mutazione che può conferire
una 'remota somiglianza' ad una specie più protetta, so-
miglianza dalla quale potrebbe derivare qualche vantag-

242
gio, per quanto lieve. Noi dobbiamo chiederci quanto
possa essere remota questa somiglianza per avere un va-
lore selettivo. Possiamo veramente supporre che gli uc-
celli e le scimmie e anche le mantidi siano osservatori
così mirabili (o che lo siano alcuni di loro particolar-
mente abili) da notare una 'remota' somiglianza e igno-
rare la preda a causa di questa somiglianza? Io penso
che questo sia chiedere troppo.
Un tale sarcasmo si rivolta contro chiunque entri in un terri-
torio così malfermo come quello qui calcato da Goldschmidt.
Osservatori mirabili? Alcuni di loro particolarmente abili? C'è
qualcuno che pensa che gli uccelli e le scimmie abbiano benefi-
ciato dall'essere ingannati dalla remota somiglianza? Semmai
Goldschmidt avrebbe dovuto dire: "possiamo davvero assu-
mere che gli uccelli siano osservatori così mediocri (o che lo
siano alcuni di loro particolarmente stupidi)?".
Ciononostante, è vero che siamo in presenza di un rompica-
po. La somiglianza iniziale tra l'antenato dell'insetto stecco e
un ramoscello deve essere stata molto remota. Un uccello
avrebbe dovuto avere una visione estremamente mediocre
per esserne ingannato. Eppure la somiglianza di un insetto
stecco moderno ad un ramoscello è incredibilmente grande,
fino ai più minuscoli dettagli delle false gemme e delle false
cicatrici fogliari. Gli uccelli, la cui predazione selettiva ha
dato il tocco finale all'evoluzione degli insetti, devono aver
avuto, almeno nel complesso, una vista estremamente buo-
na. Devono essere stati estremamente difficili da ingannare,
altrimenti gli insetti non si sarebbero evoluti fino ai livelli
di mimetismo perfetto che vediamo oggi: sarebbero rimasti
in uno stato di mimetismo relativamente imperfetto. Come
possiamo risolvere questa contraddizione apparente?
Una possibile risposta suggerisce che la vista degli uccelli si
sia evoluta nello stesso arco di tempo evolutivo del mimeti-
smo degli insetti. Forse, per dirla scherzosamente, un insetto
ancestrale che somigliava solo per il 5% ad uno stronzo riusci-
va ad ingannare un uccello ancestrale che aveva solo il 5% di

243
vista. Ma non è questa la risposta che voglio dare. Infatti c'è
ragione di credere che l'intero processo di evoluzione del mi-
metismo, dalla somiglianza remota al mimetismo quasi perfet-
to, sia avvenuto molte volte indipendentemente, e rapidamen-
te, in diversi gruppi di insetti, durante un periodo in cui la vi-
sta degli uccelli è rimasta pressappoco buona come oggi.
[...]
Preferisco un'altra spiegazione. Cioè che, non importa quan-
to sia buona la vista di un predatore in certe condizioni, essa
può essere estremamente mediocre in altre condizioni. In
realtà, sulla base della nostra stessa esperienza personale, noi
siamo in grado di apprezzare facilmente l'intero ambito di va-
riazione da una vista molto imperfetta a una vista eccellente.
Se guardo direttamente un insetto stecco, a 20 centimetri dal
mio naso e in piena luce, non me ne lascerò ingannare. Noterò
le lunghe zampe che costeggiano la linea del torace e dell'ad-
dome. Potrei individuare l'innaturale simmetria che un vero
ramoscello non avrebbe. Però se io, con gli stessi occhi e lo
stesso cervello, sto camminando in una foresta al tramonto,
potrei benissimo non accorgermi di tutti gli insetti scuri sui
numerosi rami e ramoscelli. L'immagine dell'insetto potrebbe
essere proiettata alla periferia della mia retina, anziché nella
parte centrale che è più acuta. L'insetto potrebbe essere lonta-
no 10 metri e proiettare sulla mia retina solo un'immagine mi-
nuscola. La luce potrebbe essere così scarsa da non farmi ve-
dere praticamente niente.
In realtà, non importa quanto remota, quanto imperfetta
sia la somiglianza di un insetto ad un ramoscello, deve esi-
stere un qualche grado di penombra, o qualche grado di di-
stanza dall'occhio del predatore, o qualche grado di distra-
zione del predatore, tale che anche un occhio acutissimo ver-
rà ingannato da quella somiglianza remota. Se ciò non vi
sembra plausibile per qualche esempio particolare che avete in
mente, basta che diminuiate un pochino la quantità di luce
nella scena che avete immaginato, o che vi spostiate un po' più
lontano dall'oggetto immaginario! Il punto è che più di un in-
setto fu salvato da una somiglianza incredibilmente piccola a
244
un ramoscello o a una foglia o a un escremento, in un'occasio-
ne in cui si trovava molto lontano dal predatore, o in un'occa-
sione in cui il predatore lo stava guardando al tramonto, o at-
traverso la nebbia, o lo stava guardando mentre era distratto
da una femmina ricettiva. E più di un insetto fu salvato, forse
dal medesimo predatore, da una somiglianza molto buona a
un ramoscello, in un'occasione in cui il predatore lo guardava
relativamente da vicino e in buona luce.
La cosa importante nell'intensità della luce, nella distanza
dell'insetto dal predatore, nella distanza dell'immagine dal
centro della retina, e in tutte queste variabili, è che sono tut-
te variabili continue. Variano di quantità piccolissime e infini-
tesimali ricoprendo tutta la gamma, dall'estremo dell'invisibi-
lità all'estremo della visibilità. Queste variabili continue pro-
muovono un'evoluzione continua e graduale.
Il problema di Richard Goldschmidt ― che fu uno di una se-
rie di problemi che lo convinsero ad adottare, nella maggior
parte della sua vita professionale, la convinzione estrema che
l'evoluzione proceda per grandi balzi piuttosto che per pic-
coli passi ― si è rivelato un falso problema. E tra parentesi,
abbiamo dimostrato ancora una volta a noi stessi che una vi-
sta al 5% è meglio dell'assenza di vista. La qualità della mia
vista alla periferia della retina è probabilmente ancora meno
del 5% della qualità al centro della mia retina, se proprio vo-
gliamo dare una valutazione quantitativa della qualità. Eppu-
re, guardando con la coda dell'occhio, io riesco ancora a perce-
pire la presenza di un grande autocarro o di un autobus. Poi-
ché ogni giorno vado a lavorare in bicicletta, qualche volta
questo fatto mi ha probabilmente salvato la vita. Io mi accorgo
della differenza nei giorni in cui piove e porto un cappello. La
qualità della nostra visione in notte buia dev'essere molto infe-
riore al 5% di quella che è a mezzogiorno. Eppure più di un
nostro progenitore fu salvato probabilmente dall'aver visto
qualcosa di realmente importante, come ad esempio una tigre
dalle zanne a sciabola, o un precipizio, nel cuore della notte.
Ognuno di noi sa per esperienza personale, conseguita per
esempio in notti buie, che esiste una serie continua, graduale,
245
di sfumature infinitesimali, che percorre tutta la gamma dalla
cecità totale a una visione perfetta, e che ogni passo avanti in
questa serie conferisce benefici significativi. Guardando il
mondo attraverso un binocolo progressivamente messo a fuo-
co, possiamo convincerci facilmente che c'è una serie graduale
di qualità della messa a fuoco, dove ogni passo della serie è un
miglioramento rispetto al precedente. Se giriamo lentamente
la manopola del colore di un televisore, ci convinciamo che c'è
una serie graduale di miglioramenti progressivi dal bianco e
nero alla visione a colori. Il diaframma dell'iride che apre e
chiude la pupilla ci impedisce di essere accecati da una luce
viva, mentre ci permette di vedere quando la luce è poca. Tut-
ti sappiamo cosa si prova a non avere il diaframma dell'iri-
de, quando siamo temporaneamente accecati dai fari di
un'auto che sopraggiunge. Per quanto spiacevole e pericoloso
possa essere quest'accecamento, non significa che l'intero oc-
chio smetta di funzionare! L'affermazione che "l'occhio o fun-
ziona interamente o non funziona affatto" risulta essere non
solo falsa ma evidentemente falsa per chiunque rifletta per 2
secondi su questa esperienza familiare.
Torniamo alla domanda 5. Considerando ogni membro della
serie di X che connettono l'occhio umano all'assenza di occhi,
è plausibile che ognuno di essi abbia funzionato abbastanza
bene da aiutare la sopravvivenza e la riproduzione degli ani-
mali in questione? Ora abbiamo visto la stupidità dell'assun-
zione anti-evoluzionistica che la risposta sia "ovviamente no".
Ma la risposta è sì? E' meno ovvio, ma credo di sì. Non solo è
chiaro che una parte di occhio è meglio che niente occhi, ma
riusciamo anche a trovare una serie plausibile di strutture
oculari intermedie tra gli animali moderni. Questo non signi-
fica, naturalmente, che questi intermediari moderni rappre-
sentino davvero i tipi ancestrali. Ma dimostra che delle strut-
ture intermedie sono in grado di funzionare.

246
QUAL È L'EVIDENZA PER L'EVOLUZIONE?
(da “L'Illusione di Dio”, Richard Dawkins)

Anche se non avessimo alcun fossile, l'evidenza dell'evolu-


zione sarebbe ancora devastante per via di altre fonti, come la
genetica molecolare e la distribuzione geografica. Notare che
l'evoluzione permette di fare una previsione molto forte: se
anche un singolo fossile fosse trovato nello strato geologico
sbagliato, la teoria dell'evoluzione sarebbe immediatamente
distrutta. [...] Nessun tale fossile anacronistico è stato mai tro-
vato, nonostante alcune leggende, sparse dai creazionisti, di
teschi umani trovati nei Coal Measures, o impronte di piedi
umani mescolate a quelle di dinosauri.

L'ORIGINE DELLA VITA


(da “Il gene egoista”, Richard Dawkins)

In principio era la semplicità. È già abbastanza difficile spie-


gare come sia cominciato un universo semplice. Do per scon-
tato che sarebbe ancora più difficile spiegare l'improvviso
spuntare di un ordine complesso ― come la vita, oppure un
essere capace di crearla. La teoria di Darwin dell'evoluzione
per selezione naturale è soddisfacente perché ci svela come la
semplicità può trasformarsi in complessità; come degli atomi
disordinati possono raggrupparsi in strutture sempre più
complicate fino a produrre delle persone. Darwin fornisce una
soluzione, l'unica sostenibile finora proposta, al profondo pro-
blema della nostra esistenza. Cercherò di spiegare questa
grande teoria in un modo più generale di quanto si faccia di
solito, cominciando dal tempo precedente l'inizio dell'evolu-
zione stessa.
La darwiniana "sopravvivenza del più adatto" è in realtà un
caso particolare di una legge più generale: la sopravvivenza di
ciò che è stabile. L'universo è popolato da cose stabili. Una cosa
stabile è una collezione di atomi abbastanza permanente o ab-
bastanza comune da meritare un nome. Potrebbe trattarsi di
247
una collezione unica di atomi, come il monte Cervino, che
dura abbastanza a lungo da meritare un nome. O potrebbe es-
sere una classe di entità, come le gocce di pioggia, che nascono
abbastanza frequentemente da meritare un nome collettivo,
anche se ciascuna di loro singolarmente ha una vita molto bre-
ve. Le cose che vediamo intorno a noi, e che pensiamo necessi-
tino di una spiegazione ― le rocce, le galassie, le onde dell'o-
ceano ― sono tutte, in modo maggiore o minore, strutture sta-
bili di atomi. Le bolle di sapone tendono ad essere sferiche
perché questa è una configurazione stabile per delle sottili pel-
licole piene di gas. Dentro un'astronave, l'acqua è stabile an-
che in globuli sferici, ma qui sulla terra, dove c'è la gravità, la
superficie stabile per l'acqua in quiete è piatta e orizzontale. I
cristalli di sale tendono ad essere cubici perché questo è un
modo stabile di impacchettare insieme ioni di sodio e di cloro.
Nel sole, gli atomi più semplici di tutti, gli atomi di idrogeno,
si fondono per formare atomi di elio perché, nelle condizioni
che prevalgono lì, la configurazione di elio è più stabile. Altri
atomi ancora più complessi si formano nelle stelle in tutto l'u-
niverso, sin dal tempo del "Big Bang" che, secondo la teoria
prevalente, diede inizio all'universo. È da qui che si generaro-
no gli elementi del nostro mondo.
A volte, quando gli atomi si incontrano, si legano insieme in
reazioni chimiche per formare molecole, che possono essere
più o meno stabili. Tali molecole possono essere molto grandi.
Un cristallo come un diamante può essere considerato una
molecola singola, eccezionalmente stabile in questo caso, ma è
anche una molecola molto semplice, poiché la sua struttura
atomica interna si ripete all'infinito. Nei moderni organismi
viventi ci sono altre grandi molecole che sono molto comples-
se, e la loro complessità si rivela su vari livelli. L'emoglobina
del nostro sangue è una tipica molecola di proteina. È fatta da
catene di molecole più piccole, gli aminoacidi, ognuna delle
quali contiene qualche decina di atomi organizzati secondo
una struttura precisa. Nella molecola di emoglobina ci sono
574 molecole di aminoacidi. Queste sono organizzate in quat-
tro catene, che si avvolgono l'una attorno all'altra per formare
248
una struttura globulare tridimensionale di stupefacente com-
plessità. Un modello di molecola di emoglobina assomiglia a
un denso cespuglio di rovi. Ma, diversamente da un vero ce-
spuglio, non è una struttura improvvisata, ma una precisa
struttura invariante, ripetuta in modo identico, senza neanche
un pezzettino o una curva fuori posto, più di seimila milioni
di milioni di milioni di volte in un corpo umano medio. La
precisa forma a cespuglio di una molecola di proteina come
l'emoglobina è stabile nel senso che due catene che consistono
delle stesse sequenze di aminoacidi tenderanno, come due
molle, ad assestarsi esattamente nella stessa struttura di spira-
le tridimensionale. Nel vostro corpo, dei cespugli di emoglobi-
na si stanno assestando nella loro forma "preferita" ad una ve-
locità di circa 4000 milioni di milioni al secondo, ed altre ven-
gono distrutte alla stessa frequenza.
L'emoglobina è una molecola moderna, che uso solo per illu-
strare il principio che gli atomi tendono ad assestarsi in strut-
ture stabili. La cosa importante è che, prima della nascita della
vita sulla terra, potrebbe essere avvenuta qualche rudimentale
evoluzione di molecole, grazie a normali processi di fisica e
chimica. Non c'è bisogno di pensare ad una progettazione,
ad uno scopo, o a una direzione di qualche tipo. Se un grup-
po di atomi in presenza di energia si assesta in una struttura
stabile, tenderà a restare in quel modo. La prima forma di se-
lezione naturale fu semplicemente una selezione delle for-
me stabili e una scomparsa di quelle instabili. Non c'è nien-
te di misterioso in tutto questo. Doveva succedere per defi-
nizione.
Da questo, naturalmente, non segue che si possa spiegare
l'esistenza di entità complesse come le persone esattamente
con gli stessi principi e niente più. È inutile prendere la
quantità giusta di atomi e shakerarli insieme con l'aiuto di
qualche energia interna, sperando che da soli si assestino
nella struttura giusta, e che venga fuori Adamo! Con questa
tecnica potreste produrre una molecola di qualche decina di
atomi, ma una persona è fatta di più di 1000 milioni di milioni
di milioni di milioni di atomi. Per creare una persona, dovre-
249
ste scuotere il vostro cocktail-shaker biochimico per un tempo
così lungo che l'intera età dell'universo sembrerebbe al con-
fronto un battito di ciglia, ed anche allora non ci riuscireste. È
qui che la teoria di Darwin, nella sua forma più generale, vie-
ne alla riscossa. La teoria di Darwin entra in gioco dove la
storia della lenta costruzione delle molecole esce di scena.
Il racconto dell'origine della vita che sto per dare è necessa-
riamente speculativo; per definizione, nessuno si trovava in
quei paraggi ad assistere. Esiste un certo numero di teorie ri-
vali, ma hanno tutte certe caratteristiche in comune. L'esposi-
zione semplificata che darò non è probabilmente molto lonta-
na dalla verità.
Non sappiamo quali materie chimiche prime fossero abbon-
danti sulla terra prima che comparisse la vita, ma tra le possi-
bilità plausibili abbiamo l'acqua, il biossido di carbonio, il me-
tano e l'ammoniaca: tutti composti semplici che sono presenti
su altri pianeti del nostro sistema solare. I chimici hanno cer-
cato di imitare le condizioni chimiche della terra giovane.
Hanno messo queste semplici sostanze in una provetta ed
hanno fornito una fonte di energia come la luce ultravioletta o
una scintilla elettrica ― una simulazione artificiale dell'illumi-
nazione primordiale. Dopo qualche settimana di tutto ciò, nel-
la provetta trovarono qualcosa di interessante: un lento bro-
do marrone contenente un gran numero di molecole più
complesse di quelle inserite all'inizio. In particolare, sono
stati trovati degli aminoacidi ― i blocchi costituenti delle pro-
teine, una delle due grandi classi di molecole biologiche. Pri-
ma di questi esperimenti, degli aminoacidi che si formano da
soli sarebbero stati considerati una diagnosi della presenza
della vita. Se fossero stati scoperti, diciamo, su Marte, la vita
su quel pianeta sarebbe sembrata quasi una certezza. Nel no-
stro caso, però, la loro esistenza implica soltanto la presenza di
qualche semplice gas nell'atmosfera e di qualche vulcano, o
raggio di sole, o tempesta. Più di recente, simulazioni in labo-
ratorio delle condizioni chimiche della terra prima dell'avven-
to della vita hanno prodotto sostanze organiche chiamate pu-
rine e pirimidine. Questi sono i blocchi costitutivi della mole-
250
cola genetica, il DNA.
Processi analoghi a questi devono aver dato luce al "brodo
primordiale" che i biologi e i chimici credono abbia costituito
il mare di 3 o 4 mila milioni di anni fa. Le sostanze organiche
si concentrarono localmente, forse in una poltiglia che si asciu-
gava lungo le spiagge, o in piccole gocce sospese. Sotto l'ulte-
riore influenza di energia come la luce ultravioletta dal sole, si
combinarono in molecole più grandi. Oggigiorno, delle gran-
di molecole organiche non durerebbero abbastanza a lungo da
essere notate: sarebbero rapidamente assorbite e decomposte
da batteri o da altre creature viventi. Ma i batteri e il resto di
noi siamo arrivati tardi nella storia, e a quel tempo le grandi
molecole organiche riuscivano a fluttuare indisturbate attra-
verso il brodo che si addensava.
A un certo punto, per caso, si formò una molecola partico-
larmente notevole. La chiameremo il replicatore. Il replicato-
re potrebbe non essere stata la molecola più grande o la più
complessa di tutte, ma aveva la straordinaria proprietà di riu-
scire a creare copie di se stessa. Questo potrebbe sembrare un
avvenimento molto improbabile. E lo era. Era straordinaria-
mente improbabile. Nella vita di un uomo, cose così improba-
bili si possono trattare come impossibili, per tutti gli scopi pra-
tici. Ecco perché non farai mai 13 al Totocalcio. Ma nelle nostre
stime umane di cosa è probabile e cosa no, non siamo abituati
ad avere a che fare con centinaia di milioni di anni. Se riempis-
si schedine ogni settimana per 100 milioni di anni, vinceresti
molto probabilmente varie volte.
In realtà una molecola che fa copie di se stessa non è così dif-
ficile da immaginare come sembra sulle prime, ed è dovuta
nascere una volta sola. Pensate al replicatore come a una for-
mina o uno stampino. Immaginatela come una grande mole-
cola fatta di complesse catene di vari tipi di blocchi costitutivi.
I piccoli blocchi costitutivi erano abbondantemente disponibili
nel brodo che circondava il replicatore. Ora supponete che
ogni blocco costitutivo abbia un'affinità verso il suo stesso
genere. Allora, ogni volta che un blocco costitutivo dal bro-
do viene a contatto con quella parte del replicatore con cui
251
ha affinità, tenderà a restare attaccato lì. I blocchi che si at-
taccano in questo modo saranno automaticamente disposti
in una sequenza che ricopia quella del replicatore stesso. Al-
lora è facile pensare che essi si uniscano per formare una cate-
na stabile proprio come il replicatore originale. Questo proces-
so potrebbe continuare per accatastamento successivo, dove
ogni strato è costruito sopra l'altro. È così che si formano i cri-
stalli. D'altra parte, le due catene potrebbero dividersi, nel
qual caso abbiamo due replicatori, ognuno dei quali può con-
tinuare e produrre ulteriori copie.
Una possibilità più complessa è che ogni blocco costitutivo
abbia affinità non verso il suo stesso tipo, ma verso un altro
tipo ben preciso, e questo reciprocamente. Allora i replicato-
ri agirebbero come uno stampo che produce non una copia
identica, ma una specie di "negativo", il quale a sua volta ri-
produrrebbe una copia esatta dell'originale positivo. Per i
nostri scopi non importa se il processo di replicazione origina-
le sia stato positivo-negativo oppure positivo-positivo, sebbe-
ne valga la pena di notare che gli equivalenti moderni del
primo replicatore, le molecole di DNA, usano la replicazione
positivo-negativo. Ciò che conta è che improvvisamente era
nata nel mondo un nuovo tipo di "stabilità". In precedenza, è
probabile che nessuna molecola in particolare fosse molto
abbondante nel brodo, perché ognuna di esse dipendeva da
blocchi costitutivi che si dovevano assestare per caso in una
ben precisa configurazione stabile. Ma appena nacque il re-
plicatore, deve aver diffuso rapidamente le sue copie per tut-
to il mare, fino a che i piccoli blocchi costituenti divennero
una risorsa scarsa, ed altre grandi molecole si formavano sem-
pre più raramente.
Così sembra che siamo giunti ad una situazione di stallo,
con una grande popolazione di repliche identiche. Ma adesso
dobbiamo menzionare un'importante proprietà di qualun-
que processo di copiatura: non è perfetto. Avvengono degli
errori. Spero che non ci siano errori di stampa in questo libro,
ma se cercate attentamente potreste trovarne un paio. Proba-
bilmente gli errori non distorceranno seriamente il significato
252
delle frasi, perché saranno errori di "prima generazione". Ma
immaginate quando la stampa non era stata inventata, e i libri
come i Vangeli venivano copiati a mano. Tutti gli scrivani, per
quanto attenti, faranno irrimediabilmente qualche errore, e al-
cuni di essi cederanno alla tentazione di fare qualche "miglio-
ramento" a fin di bene. Se copiassero tutti da una singola ma-
trice originale, il significato non sarebbe pervertito granché.
Ma se le copie sono fatte da altre copie, che a loro volta furono
fatte da altre copie, gli errori cominceranno a diventare cumu-
lativi e seri.
Man mano che gli errori di copiatura avvenivano e si propa-
gavano, il brodo primordiale si riempiva di una popolazione
non di repliche identiche, ma di molte varietà di molecole re-
plicanti, tutte "discendenti" dallo stesso antenato. Potrebbero
alcune varietà essere state più numerose di altre? Quasi certa-
mente sì. Alcune varietà dovevano essere intrinsecamente più
stabili di altre. Certe molecole, una volta formate, avevano
meno probabilità di altre di dividersi di nuovo. Questi tipi
diventavano relativamente numerosi nel brodo, non solo
come diretta conseguenza della loro "longevità", ma anche
perché avevano molto tempo per produrre copie di se stessi.
I replicatori ad alta longevità tendevano quindi a diventare
più numerosi e, a parità di altri fattori, ci fu nella popolazione
di molecole una tendenza evolutiva verso una maggiore lon-
gevità.
Ma gli altri fattori probabilmente non erano uguali, e un'al-
tra proprietà dei replicatori, che deve aver giocato un ruolo
ancora più importante nel diffondere alcuni replicatori nella
popolazione, fu la velocità di replicazione, o "fecondità". Se le
molecole replicatori di tipo A fanno copie di se stesse in me-
dia una volta alla settimana, mentre quelle di tipo B fanno
copie di se stesse ogni ora, non è difficile capire che molto
presto le molecole del tipo A saranno presto numericamente
sovrastate, anche se "vivono" molto più a lungo delle mole-
cole di tipo B. Ci sarebbe quindi probabilmente una "tendenza
evolutiva" verso una "fecondità" più alta delle molecole nel
brodo.
253
Una terza caratteristica dei replicatori che sarebbe stata si-
curamente selezionata è l'accuratezza di replicazione. Se le
molecole di tipo X e di tipo Y durano lo stesso tempo e si re-
plicano alla stessa frequenza, ma X fa in media un errore
ogni 10 replicazioni, mentre Y fa un errore ogni 100 replica-
zioni, Y diverrà ovviamente più numeroso. Il contingente X
della popolazione perderà non solo quei "figli" che commetto-
no errori "personalmente", ma anche tutti i loro discendenti,
veri o potenziali.
Se sapete già qualcosa dell'evoluzione, potreste trovare
qualcosa di leggermente paradossale nell'ultimo punto. Pos-
siamo riconciliare l'idea che gli errori di copiatura siano un
prerequisito essenziale per l'evoluzione, con l'affermazione
che la selezione naturale favorisce un'alta fedeltà di copiatu-
ra? La risposta è che sebbene l'evoluzione possa sembrare,
in un certo senso, una "cosa buona", specialmente poiché noi
ne siamo il prodotto, niente "desidera" davvero evolversi.
L'evoluzione è un effetto collaterale, qualcosa che succede
nonostante gli sforzi dei replicatori (e oggigiorno dei geni)
di impedire che succeda. Jacques Monod ha espresso questo
fatto brillantemente nella sua conferenza su Herbert Spencer,
dopo aver notato: "un altro aspetto curioso della teoria dell'e-
voluzione è che tutti pensano di capirla!".
Per tornare al brodo primordiale, esso dovette divenire po-
polato di varietà stabili di molecole; stabili nel senso che le
molecole duravano a lungo singolarmente, oppure si replica-
vano rapidamente, oppure si replicavano accuratamente. La
tendenza evolutiva verso questi tre tipi di stabilità va intesa in
questo senso: se tu avessi prelevato dei campioni dal brodo in
due momenti diversi, il secondo campione avrebbe contenuto
una frazione più alta di varietà dotate di alta longevità/fecon-
dità/fedeltà di copiatura. Questo è essenzialmente ciò che i
biologi intendono per evoluzione quando parlano di creature
viventi, e il meccanismo è lo stesso ― la selezione naturale.
Allora dovremmo chiamare "viventi" le originali molecole
replicatori? Chi se ne importa? Io potrei dire a voi "Darwin fu
l'uomo più grande mai vissuto" e voi potreste rispondere "No,
254
fu Newton", ma spero che questo diverbio non durerebbe a
lungo. Il punto è che il modo in cui risolviamo il nostro diver-
bio non influenza la realtà delle cose. I fatti della vita e delle
imprese di Newton e di Darwin rimangono totalmente immu-
tati, non importa se li etichettiamo come "grandi" o meno. Si-
milmente, la storia delle molecole replicanti avvenne probabil-
mente in modo simile a come la sto raccontando, non importa
se decidiamo di chiamarli "viventi". Troppa sofferenza uma-
na è stata causata per l'incapacità di capire che le parole sono
solo strumenti al nostro servizio, e che la semplice presenza
nel dizionario di una parola come "vivo" non significa che si
riferisca necessariamente a qualcosa di preciso nel mondo rea-
le. Non importa se chiamiamo "vivi" i primi replicatori, essi
furono gli antenati della vita; furono i nostri padri fondatori.
Il prossimo passaggio importante nell'argomento, passaggio
che lo stesso Darwin enfatizzò molto (sebbene lui stesse par-
lando di animali e piante, non di molecole) è la competizione.
Il brodo primordiale non era capace di dare sostentamento a
un numero infinito di molecole replicanti. Tanto per comincia-
re, la terra ha dimensioni finite, ma anche altri fattori di limita-
zione devono aver giocato un ruolo importante. Nella nostra
immagine dei replicatori che agiscono come stampini, abbia-
mo ipotizzato che essi fossero immersi in un brodo ricco di
piccoli blocchi costitutivi molecolari necessari per produrre
copie. Ma quando i replicatori divennero numerosi, i blocchi
costitutivi dovevano venire usati a una frequenza tale da di-
venire una risorsa preziosa e scarsa. Le differenti varietà, o li-
nee, di replicatori devono essere stati in competizione per que-
ste risorse. Finora abbiamo considerato i fattori che potevano
aumentare il numero di tipi favoriti di replicatori. Ora possia-
mo vedere che alcuni tipi meno favoriti devono essere diven-
tati meno numerosi a causa della competizione, e alla fine
molte delle loro varietà devono essersi estinte. Ci fu una lotta
per l'esistenza tra le varietà di replicatori. Non sapevano che
stavano combattendo, né se ne preoccupavano; la lotta si
conduceva senza alcun sentimento di rancore, anzi senza
sentimenti di alcun tipo. Ma stavano combattendo, nel senso
255
che qualunque errore di copiatura che producesse un livello
più alto di stabilità, o un nuovo modo di ridurre la stabilità
dei rivali, veniva automaticamente preservato e moltiplicato.
Il processo di miglioramento era cumulativo. I modi di au-
mentare la stabilità e di diminunire la stabilità dei "rivali" di-
vennero sempre più elaborati ed efficienti. Alcuni replicatori
potrebbero persino avere "scoperto" come distruggere chimi-
camente le molecole delle varietà rivali, e utilizzare i blocchi
costitutivi così rilasciati per produrre le loro proprie copie.
Questi proto-carnivori ottenevano cibo e allo stesso tempo
eliminavano i rivali. Altri replicatori forse scoprirono come
proteggersi, o chimicamente, o costruendo un muro fisico di
proteine attorno a sé. Potrebbe essere stato così che apparvero
le prime cellule viventi. I replicatori cominciarono non sol-
tanto ad esistere e basta, ma a costruire per sé stessi dei con-
tenitori, dei veicoli per assicurare la loro esistenza continua-
ta. I replicatori che riuscivano a sopravvivere erano quelli
che costruivano delle macchine di sopravvivenza per abitarci
dentro. Le prime macchine di sopravvivenza non erano pro-
babilmente niente più che strati protettivi. Ma sopravvivere
diventava sempre più difficile, man mano che i rivali produce-
vano macchine di sopravvivenza migliori e più efficaci. Le
macchine di sopravvivenza divennero sempre più grandi e
più elaborate, ed il processo era cumulativo e progressivo.
Questo miglioramento graduale, nelle tecniche e negli artifi-
ci usati dai replicatori per assicurare la loro stessa sopravvi-
venza nel mondo, era forse destinato ad avere fine? Avevano
molto tempo a disposizione per migliorare. Quali strani mec-
canismi di auto-preservazione sono stati prodotti nei
millenni? Quattromila milioni di anni dopo, quale è stata la
sorte degli antichi replicatori? Essi non sono morti, perché
sono campioni assoluti nell'arte della sopravvivenza. Ma
non cercateli ancora mentre galleggiano nel mare; da molto
tempo hanno abbandonato quel genere di libertà. Adesso vi-
vono in enormi colonie, al sicuro all'interno di enormi robot
torreggianti, completamente sigillati dalle insidie del mon-
do esterno, e comunicano con esso per vie tortuose ed indi-
256
rette, manipolandolo con dei comandi a distanza. Si trovano
dentro di voi e dentro di me; ci hanno creati, sia i nostri cor-
pi sia le nostre menti; e la loro preservazione è il motivo ulti-
mo della nostra esistenza. Hanno fatto una lunga strada,
questi replicatori. Adesso hanno il nome di geni, e noi siamo
le loro macchine di sopravvivenza.

PERCHÉ ESISTONO LE PERSONE?


(da “Il gene egoista”, Richard Dawkins)

Prefazione all'edizione del 1976


Questo libro dovrebbe essere letto come se fosse fantascien-
za. È organizzato in modo da colpire l'immaginazione. Ma
non è fantascienza: è scienza. Il termine "più strano della fan-
tascienza" esprime esattamente quello che io provo di fronte
alla verità. Noi siamo macchine di sopravvivenza ― veicoli
robot programmati ciecamente per preservare le molecole
egoiste note come "geni". Questa è una verità che ancora oggi
mi riempie di stupore. Sebbene io la conosca ormai da anni,
non riesco mai davvero ad abituarmici. Una delle mie speran-
ze con questo libro è di riuscire a stupire anche qualcun altro.
[...]
1. Perché esistono le persone?
La vita intelligente su un pianeta raggiunge un traguardo
cruciale quando per la prima volta comprende le ragioni del-
la sua stessa esistenza. Se delle creature superiori provenienti
dallo spazio visiteranno mai la terra, la prima domanda che
faranno, per valutare il livello della nostra civilizzazione, sarà
"hanno già scoperto l'evoluzione?". Organismi viventi sono
esistiti su questa terra, senza nemmeno sapere perché, per
più di tre miliardi di anni, prima che la verità finalmente al-
beggiasse su uno di loro. Il suo nome era Charles Darwin.
Ad essere onesti, altri avevano raggiunto piccoli frammenti
della verità, ma fu Darwin che per primo mise insieme una
spiegazione coerente e sostenibile del perché noi esistiamo.

257
Darwin ci ha permesso di dare una risposta sensata al bambi-
no curioso la cui domanda dà il titolo a questo capitolo. Non
dobbiamo più ricorrere alla superstizione quando ci trovia-
mo di fronte ai problemi profondi: la vita ha un significato?
Perché esistiamo? Che cosa è l'uomo? Dopo aver posto l'ulti-
ma di queste domande, l'eminente zoologo G. G. Simpson si
espresse come segue: "Quello che voglio enfatizzare adesso è
che tutti i tentativi di rispondere a questa domanda prima
del 1859 sono privi di valore, e faremmo meglio ad ignorarli
completamente". Oggi la teoria dell'evoluzione non è sog-
getta a dubbi più di quanto lo sia la teoria che la terra gira
intorno al sole, ma le implicazioni vere della rivoluzione di
Darwin devono ancora essere largamente comprese. La zoo-
logia è ancora una materia secondaria nelle università, ed an-
che coloro che scelgono di studiarla prendono spesso questa
decisione senza apprezzare il suo profondo significato filosofi-
co. La filosofia e le materie cosiddette umanistiche vengono
ancora insegnate come se Darwin non fosse mai vissuto. Non
c'è dubbio che questo cambierà col tempo. Comunque, questo
libro non va inteso come un'apologia generale del darwini-
smo. Invece, esplorerà le conseguenze della teoria dell'evolu-
zione in una questione particolare. Il mio scopo è esaminare
la biologia dell'egoismo e dell'altruismo.
A parte il suo interesse accademico, l'importanza umana di
questa materia è ovvia. Tocca ogni aspetto delle nostre vite so-
ciali, il nostro amare e odiare, combattere e cooperare, il no-
stro donare e rubare, la nostra cupidigia e generosità. Anche
altri libri come "On Aggression" di Lorenz e "The social con-
tract" di Ardrey avrebbero potuto accampare quest'obiettivo.
Il guaio di questi libri è che i loro autori hanno sbagliato
completamente tutto. Hanno sbagliato perché hanno frainte-
so il modo in cui funziona l'evoluzione. Hanno fatto l'assun-
zione errata che la cosa importante nell'evoluzione sia il
bene della specie (o del gruppo) anziché il bene dell'indivi-
duo (o del gene). [..] Prima di incominciare il mio argomento,
vorrei spiegare brevemente che tipo di argomento è, e che tipo
di argomento non è. Se ci dicessero che un uomo ha vissuto a
258
lungo, ed ha fatto carriera, nel mondo della malavita di Chi-
cago, ci sentiremo legittimati a fare delle assunzioni su che
tipo di uomo fosse. Potremo aspettarci che abbia alcune quali-
tà come la durezza, il grilletto facile, e la capacità di attrarre
amici leali. Queste non sarebbero deduzioni infallibili, tuttavia
è lecito fare delle inferenze [deduzioni] sul carattere di un
uomo se sai qualcosa della condizione in cui egli è sopravvis-
suto ed ha fatto carriera. L'argomento di questo libro è che
noi, e tutti gli altri animali, siamo macchine create dai nostri
geni. Come i gangster di successo a Chicago, i nostri geni
sono sopravvissuti, in alcuni casi per milioni di anni, in un
mondo altamente competitivo. Questo ci legittima ad aspet-
tarci delle precise qualità nei nostri geni. Io sosterrò che una
qualità predominante da aspettarsi in un gene di successo
sia il totale egoismo. Questo egoismo del gene di solito pro-
durrà egoismo nel comportamento dell'individuo che pos-
siede quel gene. Però, come vedremo, ci sono circostanze
speciali in cui un gene può realizzare al meglio i suoi obiet-
tivi egoistici incoraggiando una forma limitata di altruismo
al livello dei singoli animali. "Speciale" e "limitata" sono pa-
role importanti in quest'ultima frase. Per quanto ci piaccia cre-
dere diversamente, l'amore universale e il bene della specie
nel suo complesso sono concetti che semplicemente non han-
no alcun senso, evolutivamente parlando.
Questo mi porta alla prima cosa da puntualizzare su cosa
questo libro non è. Io non sto sostenendo una moralità basata
sull'evoluzione. Io sto dicendo come le cose si sono evolute.
Non sto dicendo come noi esseri umani dovremmo compor-
tarci moralmente. Vorrei enfatizzare questo punto, perché so
che corro il pericolo di essere frainteso da quelle persone, mol-
to numerose, che non riescono a distinguere una dichiarazione
di credenza in ciò che è vero da una dichiarazione di credenza
in ciò che dovrebbe essere. La mia convinzione è che una so-
cietà umana basata semplicemente sulla legge genetica del-
l'egoismo universale sarebbe una orribile società in cui vive-
re. Ma, sfortunatamente, non importa quanto possiamo deplo-
rare qualcosa, questo non la fa smettere di essere vera. Questo
259
libro è scritto soprattutto per essere interessante, ma se volete
estrarne una morale, considerate questo un avvertimento. Sia-
te avvertiti che se volete, come me, costruire una società in
cui gli individui cooperano generosamente e altruisticamen-
te verso un bene comune, potete aspettarvi poco aiuto della
natura biologica. Cerchiamo di insegnare la generosità e l'al-
truismo, perché siamo nati egoisti. Comprendiamo quali
sono gli obiettivi dei nostri geni egoisti, perché allora po-
tremmo almeno avere la possibilità di sventare i loro piani,
cosa che nessun'altra specie ha mai aspirato a fare.
Come corollario a queste osservazioni sull'insegnamento, va
precisato che è una fallacia ― molto comune ― supporre che
delle caratteristiche ereditate geneticamente siano per defini-
zione fisse ed immutabili. I nostri geni possono istruirci ad
essere egoisti, ma non siamo necessariamente obbligati ad
obbedire loro per tutta la nostra vita. Potrebbe soltanto essere
più difficile imparare l'altruismo di quanto lo sarebbe se fossi-
mo geneticamente programmati per essere altruisti. Tra gli
animali, l'uomo è l'unico dominato dalla cultura, dalle in-
fluenze apprese e tramandate. Alcuni direbbero che la cultura
è così importante che i geni, egoisti o meno, sono virtualmente
irrilevanti per la nostra comprensione della natura umana. Al-
tri non sarebbero d'accordo. Dipende tutto da dove vi colloca-
te nel dibattito "natura contro cultura" come determinanti de-
gli attributi umani. Questo mi porta alla seconda cosa che que-
sto libro non è: non è una difesa di una posizione o l'altra nella
controversia natura/cultura. Naturalmente ho le mie opinioni
su questo, ma non le esprimerò, se non implicitamente nella
visione della cultura che presenterò nell'ultimo capitolo. Se i
geni si rivelano totalmente irrilevanti per la determinazione
del moderno comportamento umano, se siamo davvero unici
tra gli animali in questo aspetto, quantomeno è ancora interes-
sante indagare sulla regola di cui siamo recentemente diventa-
ti l'eccezione. E se la nostra specie non è così eccezionale come
ci farebbe piacere pensare, è ancora più importante che studia-
mo questa regola.
La terza cosa che questo libro non è: non è una descrizione
260
dettagliata del comportamento dell'uomo o di qualunque altra
specie animale. Userò i dettagli fattuali solo come esempi illu-
strativi. Non dirò "se guardate il comportamento dei babbuini
scoprirete che sono egoisti; quindi c'è un'alta probabilità che
anche il comportamento umano sia egoista". La logica del mio
argomento del "gangster di Chicago" è molto diversa. È la se-
guente. Gli umani e i babbuini si sono evoluti per selezione
naturale. Se guardate il modo in cui funziona la selezione na-
turale, sembra predire che qualunque cosa si evolve per sele-
zione naturale debba essere egoista. Quindi, quando andiamo
ad osservare comportamento dei babbuini, degli umani, e di
tutte le altre creature viventi, dobbiamo aspettarci che siano
egoisti. Se ci accorgiamo che la nostra aspettativa è sbagliata,
ad esempio perché il comportamento umano è davvero al-
truistico, allora siamo di fronte a qualcosa di strano, qualco-
sa che ha bisogno di una spiegazione.
Prima di procedere, ci serve una definizione. Un'entità,
come un babbuino, si dice altruista se si comporta in modo
tale da migliorare le condizioni di vita di un'altra entità si-
mile alle spese di se stessa. Il comportamento egoistico ha
esattamente l'effetto opposto. "Condizioni di vita" è definito
come "probabilità di sopravvivenza", anche se l'effetto sulle
vere prospettive di vita e di morte è così piccolo da sembrare
trascurabile. Una delle sorprendenti conseguenze della versio-
ne moderna della teoria di Darwin è che influenze apparente-
mente minuscole ed irrilevanti sulla probabilità di sopravvi-
venza possono avere un enorme impatto sull'evoluzione.
Questo a causa dell'enorme quantità di tempo disponibile,
che fa sì che anche delle influenze minuscole acquistino peso
notevole.
È importante capire che le definizioni di cui sopra di altrui-
smo ed egoismo sono comportamentali, non soggettive. Qui
non mi sto preoccupando della psicologia degli scopi. Non
mi sto chiedendo se le persone che si comportano altruistica-
mente lo stanno facendo in realtà per scopi segretamente o in-
consciamente egoistici. Forse lo stanno facendo e forse no, e
forse non lo sapremo mai, ma in ogni caso non è di questo che
261
parla il libro. La mia definizione si preoccupa solo se la conse-
guenza di un'azione aumenta o diminuisce le prospettive di
sopravvivenza del presunto altruista e le prospettive di so-
pravvivenza del presunto beneficiario.
È molto complicato dimostrare gli effetti del comportamento
sulle prospettive di sopravvivenza a lungo termine. Nella pra-
tica, quando applichiamo la definizione al comportamento
reale, dobbiamo qualificarla con la parola "apparentemente".
Un atto apparentemente altruistico è un atto che, superficial-
mente, sembra aumentare (anche di pochissimo) le probabi-
lità che l'altruista muoia, e che il beneficiario sopravviva.
Spesso, guardando da vicino, si scopre che alcuni atti di
apparente altruismo sono in realtà atti di egoismo dissimu-
lati. Ancora una volta, non voglio dire che gli scopi soggiacen-
ti siano segretamente egoistici, ma che l'effetto reale dell'azio-
ne sulle prospettive di sopravvivenza sono il contrario di ciò
che in origine si pensava.
Vorrei dare ora qualche esempio di comportamento appa-
rentemente egoistico e apparentemente altruistico. È difficile
sopprimere atteggiamenti di pensiero soggettivi quando si
parla della nostra specie, quindi sceglierò esempi da altri ani-
mali. Prima alcuni esempi di comportamento egoista in singoli
animali.
I gabbiani dalla testa nera nidificano in grandi colonie, con i
nidi separati soltanto di pochi metri l'uno dall'altro. Quando i
piccoli escono fuori dall'uovo sono indifesi, piccoli, e facili da
ingoiare. È molto comune che un gabbiano aspetti fino a che
un gabbiano vicino volta le spalle, forse perché si è allontanato
per pescare, e poi si sporga verso il nido del vicino ed ingoi
uno dei suoi piccoli tutto intero. In questo modo ottiene un
buon pasto nutriente, senza doversi prendere la briga di al-
lontanarsi per pescare un pesce, e senza dover lasciare il pro-
prio nido privo di protezione.
Più noto è il macabro cannibalismo nella mantide religiosa
femmina. Le mantidi sono grandi insetti carnivori. Normal-
mente mangiano insetti più piccoli come le mosche, ma attac-

262
cano quasi qualunque cosa che si muova. Quando si accoppia-
no, il maschio striscia cautamente sulla femmina, la monta e
avviene la copulazione. Se la femmina ne ha la possibilità, ella
lo mangia, per prima cosa strappandogli via la testa con un
morso, o mentre il maschio si sta avvicinando, o immediata-
mente dopo l'accoppiamento, o dopo che si sono separati. Po-
trebbe sembrare più logico per lei aspettare fino alla fine della
copulazione prima di cominciare a mangiarlo. Ma la perdita
della testa non sembra impedire al resto del corpo del ma-
schio di continuare l'atto sessuale. Anzi, visto che la testa del-
l'insetto è la sede di alcuni centri nervosi inibitori, è possibile
che la femmina aumenti la performance sessuale del maschio
mangiandogli la testa. Se è così, questo è un beneficio aggiun-
tivo. Quello primario è che ottiene un buon pasto.
La parola "egoistico" potrebbe sembrare un po' sottotono per
casi estremi come il cannibalismo, sebbene questi si adattino
molto bene alla nostra definizione. Forse riusciremo a simpa-
tizzare più facilmente con il comportamento codardo dei pin-
guini imperatori dell'antartico. Questi pinguini sono stati visti
fermi in piedi ai bordi dell'acqua, esitanti a tuffarsi, a causa
del pericolo di essere mangiati dalle foche. Se solo uno di essi
si tuffasse, il resto di loro saprebbe se c'è una foca o no. Na-
turalmente nessuno vuole fungere da capro espiatorio, così at-
tendono, e a volte cercano persino di spingersi l'un l'altro in
acqua.
Un comportamento egoistico più comune potrebbe consiste-
re semplicemente nel rifiutarsi di condividere qualche risorsa
di valore come il cibo, il territorio, o il partner sessuale. Ades-
so vediamo qualche esempio di comportamento apparente-
mente altruistico.
L'abitudine delle api operaie di pungere è una difesa molto
efficace contro i ladri di miele. Ma le api che effettuano la
puntura sono in realtà combattenti kamikaze. Nell'atto di
pungere, degli organi interni vitali vengono in genere strappa-
ti via del corpo, e l'ape stessa muore poco dopo. La sua missio-
ne suicida potrebbe aver salvato le riserve vitali di cibo della
sua colonia, ma lei non vivrà per trarne beneficio. Per la no-
263
stra definizione, questo è un atto di comportamento altruisti-
co. Ricordate che non stiamo parlando di scopi consapevoli.
Questi possono esserci o non esserci, sia qui che negli esempi
egoistici, ma sono irrilevanti nella nostra definizione.
Donare la propria vita per quella degli amici è ovviamente
un atto altruistico, ma lo è anche l'atto di assumersi un piccolo
rischio per essi. Molti piccoli uccelli, quando vedono un pre-
datore volante come un falco, emettono un caratteristico "ri-
chiamo d'allarme", in conseguenza del quale l'intero stormo
comincia un'appropriata azione evasiva. C'è evidenza indiret-
ta che l'uccello che dà l'allarme mette se stesso in un pericolo
speciale, perché attrae l'attenzione del predatore particolar-
mente verso di sé. Questo è soltanto un piccolo rischio ag-
giuntivo, ciononostante sembra, almeno a prima vista, qualifi-
carsi come atto altruistico secondo la nostra definizione.
Gli atti di altruismo animale più comuni e cospicui sono
compiuti dai genitori, specialmente le madri, verso i loro fi-
gli. Possono covarli, o nei nidi o nei loro stessi corpi, nutrirli
con enormi costi per se stesse, e correre grossi rischi per pro-
teggerli dai predatori. Per fare soltanto un esempio, molti uc-
celli che nidificano al suolo effettuano una cosiddetta "azione
diversiva" quando si avvicina un predatore come una volpe.
L'uccello genitore si allontana dal nido zoppicando, facendo
pendere un'ala come se fosse rotta. Il predatore, intuendo una
preda facile, è portato ad allontanarsi dal nido che contiene i
piccoli. Finalmente il genitore termina lo sceneggiato e vola
via in aria giusto in tempo per sfuggire alle fauci della volpe.
Probabilmente ha salvato la vita dei suoi piccoli, ma ha corso
qualche rischio per se stessa.

PERCHÉ LA TEORIA DEL “BENE DELLA SPECIE” È SBAGLIATA

Non sto cercando di argomentare qualcosa raccontando del-


le storie. Gli esempi scelti non sono mai un'evidenza seria per
trarre qualunque generalizzazione significativa. Le storie che
ho raccontato vanno intese soltanto come illustrazione di cosa
intendo per comportamento altruistico ed egoistico al livello

264
dell'individuo. Questo libro mostrerà come sia l'egoismo indi-
viduale sia l'altruismo individuale vengano spiegati dalla leg-
ge fondamentale che chiamo egoismo del gene. Ma prima devo
discutere di una particolare spiegazione errata dell'altruismo,
perché è molto diffusa, ed anche molto insegnata nelle scuole.
Questa spiegazione è basata sul fraintendimento che ho già
menzionato, che le creature viventi si evolvano per fare delle
cose "per il bene della specie" o "per il bene del gruppo". È
facile vedere come quest'idea abbia potuto nascere nella biolo-
gia. La maggior parte della vita di un animale è dedicata alla
riproduzione, e la maggior parte degli atti di sacrificio altrui-
stico che si osservano in natura sono compiuti dai parenti ver-
so i figli. "La perpetuazione della specie" è un eufemismo co-
mune per indicare la riproduzione, ed è innegabilmente una
conseguenza della riproduzione. Basta un piccolo errore di logi-
ca per dedurre che la "funzione" della riproduzione sia di per-
petuare la specie. Da questo, basta un ulteriore breve passo
falso per concludere che gli animali in generale si comportano
in modo tale da favorire la perpetuazione della specie. Sembra
seguirne che esista l'altruismo nei confronti dei membri della
stessa specie.
Questa linea di pensiero si può anche esprimere in termini
vagamente darwiniani. L'evoluzione funziona per selezione
naturale, e selezione naturale significa la sopravvivenza diffe-
renziata del più "adatto". Ma stiamo parlando dell'individuo
più adatto, della razza più adatta, della specie più adatta, o
che cosa altro? Per alcuni scopi questo non è molto importan-
te, ma quando si parla di altruismo è ovviamente cruciale. Se
sono le specie a competere in ciò che Darwin chiama la lotta
per l'esistenza, sembra che l'individuo giochi, al massimo, il
ruolo di pedina, sacrificabile quando lo richiede l'interesse
della specie nel suo complesso. Per metterla in termini legger-
mente più rispettabili: un gruppo (come una specie o una po-
polazione all'interno di una specie) i cui membri individuali
siano pronti a sacrificare se stessi per il bene del gruppo, po-
trebbe avere meno probabilità di estinguersi rispetto a un
gruppo rivale i cui membri individuali antepongono i propri
265
interessi egoistici a qualunque altra cosa. Quindi il mondo
diviene popolato principalmente di gruppi costituiti da indi-
vidui che tendono a sacrificare se stessi. Questa è la teoria
della "selezione di gruppo", per molto tempo accettata per
vera da biologi che non avevano familiarità con i dettagli della
teoria evoluzionistica, pubblicata nel famoso libro di V. C.
Wynne-Edwards, e resa popolare da Robert Ardrey in "The
Social Contract". L'alternativa ortodossa è normalmente chia-
mata "selezione individuale", sebbene io personalmente prefe-
risca parlare di selezione del gene.
La risposta veloce all'argomento della selezione di gruppo
potrebbe essere come segue. Anche in un gruppo altruistico,
ci sarà quasi certamente una minoranza ribelle che si rifiuta
di compiere alcun sacrificio. Se c'è anche un solo ribelle
egoista, pronto a sfruttare l'altruismo degli altri, allora lui,
per definizione, ha più probabilità degli altri di sopravvive-
re e di avere figli. Ognuno di questi figli tenderà ad eredita-
re i suoi tratti egoistici. Dopo molte generazioni di questa
selezione naturale, il "gruppo altruistico" sarà diventato
meno numeroso, fino ad essere numericamente indistingui-
bile dal gruppo egoistico. Anche se vogliamo concedere l'im-
probabile esistenza iniziale di un gruppo puramente altruisti-
co senza alcun ribelle, è molto difficile vedere cosa impedisca
ad individui egoisti di migrare da gruppi egoistici vicini, e, ac-
coppiandosi con loro, di contaminare la purezza del gruppo
altruistico.
Il selezionista individuale non nega che i gruppi si estinguo-
no, e che l'estinzione di un gruppo possa essere influenzata
dal comportamento degli individui di quel gruppo. Potrebbe
anche ammettere che, se solo gli individui di un gruppo
avessero il dono della lungimiranza, potrebbero capire che,
a lungo termine, la cosa migliore per loro è resistere alle ten-
denze egoistiche, per impedire la distruzione dell'intero
gruppo. Quante volte questa cosa è stata detta negli anni re-
centi alla classe operaia della Gran Bretagna? Ma l'estinzione
di un gruppo è un processo lento rispetto alla rapida morsa
di eventi nella competizione individuale. Anche quando il
266
gruppo sta lentamente e inesorabilmente declinando, ci sono
individui egoistici che fanno carriera a breve termine, alle spe-
se degli altruisti. I cittadini della Gran Bretagna possono ave-
re o non avere il dono della lungimiranza, ma l'evoluzione è
cieca al futuro.
Sebbene la teoria della selezione di gruppo goda oggi di
poco sostegno in quei circoli di biologi professionisti che com-
prendono l'evoluzione, è molto accattivante intuitivamente.
Molte generazioni successive di studenti di zoologia restano
sorpresi, quando escono da scuola, di scoprire che questo non
è il punto di vista ortodosso. Non si possono colpevolizzare
per questo, perché nella "guida per insegnanti di biologia di
Nuffield", scritta per insegnanti di biologia di livello avanzato
in Gran Bretagna, troviamo ciò che segue: "Negli animali su-
periori, il comportamento può assumere la forma di suicidio
individuale per assicurare la sopravvivenza della specie".
L'autore anonimo di questa guida è beatamente ignorante del
fatto che ha appena detto qualcosa di controverso. In questo è
accompagnato da alcuni vincitori di premi Nobel. Konrad Lo-
renz, in "sull'aggressione", dice che il comportamento aggres-
sivo ha delle funzioni di "preservazione delle specie", e che
una di queste funzioni sia assicurarsi che solo gli individui più
adatti riescano a riprodursi. Questa è una gemma di argomen-
to circolare, ma ciò che voglio evidenziare è che l'idea della se-
lezione di gruppo è così radicata che Lorenz, come l'autore
della "guida Nuffield", evidentemente non capiva che la sua
affermazione contraddiceva la teoria darwiniana ortodossa.
Recentemente ho udito un esempio delizioso di questa stes-
sa cosa in un altrimenti eccellente programma televisivo della
BBC sui ragni australiani. L' "esperto" del programma osserva-
va che la grande maggioranza dei ragni appena nati finisce
per essere preda di altre specie e poi continuava: "forse questo
è il vero scopo della loro esistenza, poiché solo pochi di essi
hanno bisogno di sopravvivere perché la specie sia preserva-
ta"! Robert Ardrey, ne "Il contratto sociale", utilizzò la teoria
della selezione di gruppo per spiegare l'ordine sociale nel suo
complesso. Chiaramente egli considera l'uomo una specie che
267
ha deviato dal percorso di rettitudine seguito dagli altri ani-
mali. Almeno Ardrey è stato accurato. La sua decisione di di-
staccarsi dalla teoria ortodossa è stata una decisione conscia, e
questo gli va riconosciuto.
Forse una delle ragioni per cui la teoria della selezione di
gruppo è accattivante è che è molto in linea con gli ideali poli-
tici e morali che la maggior parte di noi condividono. Fre-
quentemente potremmo comportarci egoisticamente come in-
dividui, ma nei nostri momenti più idealistici onoriamo e am-
miriamo quelli che antepongono il bene degli altri al proprio.
Però ci impasticciamo un po' quando si tratta di decidere l'in-
terpretazione della parola "altri". Spesso l'altruismo all'inter-
no di un gruppo va di pari passo con l'egoismo tra i gruppi.
Questo sta alla base delle corporazioni. Su un livello diverso,
la nazione è il più grande beneficiario del nostro sacrificio al-
truistico di noi stessi, e ci si aspetta che dei giovani uomini
muoiano per il bene maggiore della patria nel suo complesso.
Inoltre, essi vengono incoraggiati ad uccidere altri individui
dei quali non sanno nulla tranne che appartengono a una na-
zione diversa. (Curiosamente, gli appelli agli individui in tem-
po di pace perché facciano qualche piccolo sacrificio, con la
stessa frequenza con cui aumentano i loro standard di vita,
sembrano essere meno efficaci degli appelli agli individui in
tempo di guerra perché donino la propria vita.)
Recentemente c'è stata una reazione contro il razzismo e il
patriottismo, e una tendenza a sostituire la specie umana nel
suo complesso come oggetto del nostro altruismo. Questo al-
largamento all'umanità dell'obiettivo del nostro altruismo ha
una conseguenza interessante, che, ancora una volta, sembra
sostenere l'idea del "bene della specie" in evoluzione. I politici
liberali, che normalmente sono quelli che parlano con maggio-
re convinzione dell'etica di specie, ora si indignano fortemente
verso le persone che si spingono un po' oltre nell'allargamento
dell'altruismo, in modo da includere anche altre specie. Se
dico che sono più interessato ad impedire il massacro delle ba-
lene di quanto sia interessato a migliorare le condizioni dome-
stiche delle persone, è probabile che alcuni miei amici restino
268
sconvolti. C'è l'antico e profondo sentimento che i membri
della propria specie meritino una considerazione morale
speciale rispetto ai membri di altre specie. Uccidere persone
al di fuori della guerra è, tra i crimini più comuni, quello che
viene punito più severamente. L'unica cosa che è vietata più
fortemente dalla nostra cultura è mangiare le persone (anche
se sono già morte). Però mangiamo con piacere i membri di
altre specie. Molti di noi rabbrividiscono quando viene giu-
stiziato anche il più orribile dei criminali umani, mentre tol-
leriamo allegramente il massacro senza processo di animali
che causano inconvenienti piuttosto secondari. Addirittura
uccidiamo membri di altre specie innocue per divertimento
o come diversivo. Un feto umano, che non possiede senti-
menti umani più di quanto li possieda un'ameba, gode di
una reverenza e di una protezione legale che sorpassano di
gran lunga quelle garantite ad uno scimpanzé adulto. Eppu-
re lo scimpanzé sente, pensa, e ― secondo recente evidenza
sperimentale ― è persino capace di imparare una forma di
linguaggio umano. Il feto appartiene alla nostra specie, e per
questo acquisisce automaticamente privilegi speciali e dirit-
ti. Io non so se questa etica dello "specismo", per usare il ter-
mine di Richard Ryder, sia sul piano logico più coerente e
sostenibile del "razzismo". Ciò che so è che non ha alcuna
base scientifica nella biologia evoluzionistica.
La controversia nell'etica umana su quale sia il livello giusto
in cui l'altruismo è desiderabile ― la famiglia, la patria, la raz-
za, la specie, o tutte le cose viventi ― è accompagnato da una
parallela controversia in biologia sul livello a cui ci si deve at-
tendere altruismo secondo la teoria dell'evoluzione. Anche il
sostenitore della selezione di gruppo non si sorprenderebbe di
trovare membri di gruppi rivali che si comportano in modo
ostile tra di loro: in questo modo, come i membri di un sinda-
cato o i soldati, essi favoriscono il proprio gruppo nella com-
petizione per risorse limitate. Ma allora vale la pena di chie-
dere al sostenitore della selezione di gruppo come decide
quale livello è quello importante. Se la selezione avviene tra i
gruppi diversi all'interno di una specie, e tra le specie, perché
269
non dovrebbe anche avvenire tra raggruppamenti più larghi?
Le specie si raggruppano in generi, i generi in ordini, e gli or-
dini in classi. I leoni e le antilopi appartengono entrambi alla
classe dei mammiferi, come noi. Allora non dovremmo aspet-
tarci che i leoni si astengano dall'uccidere le antilopi, "per il
bene dei mammiferi"? Certamente dovrebbero cacciare gli uc-
celli o i rettili piuttosto, al fine di impedire l'estinzione della
classe. Ma allora, che dire del bisogno di perpetuare l'intero fi-
lone dei vertebrati?
È semplice per me ridurre all'assurdo queste tesi, ed eviden-
ziare le difficoltà della teoria di selezione di gruppo, ma resta
ancora da spiegare l'evidente esistenza dell'altruismo indivi-
duale. Ardrey arriva a dire che la selezione di gruppo è l'unica
spiegazione possibile per un comportamento come i "salti"
delle gazzelle di Thomson. Questo salto vigoroso ed eclatante
della gazzella di fronte al predatore è l'analogo dei richiami
d'allarme degli uccelli, poiché sembra avvisare i compagni del
pericolo mentre apparentemente attira l'attenzione del preda-
tore sulla gazzella stessa che effettua il salto. Abbiamo la re-
sponsabilità di spiegare questi fenomeni, ed è ciò che io af-
fronterò nei capitoli successivi.
Prima di far ciò devo argomentare la mia credenza che il
modo migliore di guardare l'evoluzione sia in termini di se-
lezione che avviene al livello più basso di tutti. In questa
mia opinione sono stato influenzato pesantemente dal grande
libro di G. C. Williams "Adaptation and natural selection". [..].
Avanzerò la tesi che l'unità fondamentale di selezione, e
quindi dell'interesse egoistico, non è la specie, né il gruppo,
e neppure, in senso stretto, l'individuo. È il gene, cioè l'unità
di ereditarietà. Per alcuni biologi potrebbe sembrare un punto
di vista estremo. Spero che, quando capiranno cosa intendo,
saranno d'accordo che, in sostanza, è un punto di vista orto-
dosso, sebbene espresso in un modo non familiare. [..]

270
SPIRALI IMMORTALI
(da “Il gene egoista”, Richard Dawkins)

Noi siamo macchine di sopravvivenza, ma "noi" non signifi-


ca solo le persone. Comprende tutti gli animali, le piante, i
batteri, e i virus. Il numero totale di macchine di sopravviven-
za sulla terra è molto difficile da contare, ed è ignoto persino il
numero totale di specie viventi. Considerando i soli insetti, il
numero di specie viventi si stima a circa 3 milioni, e il numero
di singoli insetti potrebbe essere un milione di milioni di mi-
lioni.
I vari tipi di macchine di sopravvivenza sono molto diversi
tra di loro, sia nella parte esterna che negli organi interni. Un
polipo è molto diverso da un topo, ed entrambi sono molto di-
versi da una quercia. Eppure nella loro chimica fondamentale
sono piuttosto uniformi e, in particolare, i replicatori che han-
no al loro interno, i geni, sono fondamentalmente lo stesso
tipo di molecole in tutti noi ― dai batteri agli elefanti. Siamo
tutti macchine di sopravvivenza per lo stesso tipo di replicato-
re ― molecole chiamate DNA ― ma ci sono molti modi diver-
si di sopravvivere nel mondo, e i replicatori hanno costruito
una vasta gamma di macchine per sfruttarli. Una scimmia è
una macchina che preserva i geni stando sugli alberi; un pesce
è una macchina che preserva i geni stando in acqua; c'è persi-
no un vermicello che preserva i geni nei sottobicchieri di birra
tedeschi. Le vie del DNA sono misteriose.
Per semplicità ho dato l'impressione che i geni moderni, fatti
di DNA, siano molto simili ai primi replicatori che si trovava-
no nel brodo primordiale. Non è importante per i nostri scopi,
ma questo potrebbe non essere vero. I replicatori originali po-
trebbero essere stati molecole imparentate col DNA, o potreb-
bero essere stati del tutto diversi. Nel secondo caso potremmo
dire che le loro macchine di sopravvivenza devono essere sta-
te catturate dal DNA in un tempo successivo. Se è così, i repli-
catori originali sono andati del tutto distrutti, poiché non resta
alcuna traccia di essi nelle moderne macchine di sopravviven-
za. Lungo queste linee, A. G. Cairns Smith ha avanzato l'intri-
271
gante ipotesi che i nostri antenati, i primi replicatori, potrebbe-
ro non essere stati affatto molecole organiche, ma cristalli inor-
ganici ― minerali, pezzettini d'argilla]. Usurpatore o meno, il
DNA è indubbiamente al potere oggi, a meno che, come sug-
gerisco nel capitolo 11, non stia avvenendo proprio adesso un
nuovo passaggio di potere.
Una molecola di Dna è una lunga catena di blocchi costituti-
vi, piccole molecole chiamate nucleotidi. Proprio come le mo-
lecole di proteine sono catene di aminoacidi, le molecole di
Dna sono catene di nucleotidi. Una molecola di Dna è troppo
piccola per essere vista, ma la sua forma esatta è stata scoperta
ingegnosamente per vie indirette. Consiste di una coppia di
catene di nucleotidi attorcigliate insieme in un'elegante spira-
le; la "doppia elica"; la "spirale immortale". Il blocchi costituti-
vi di nucleotidi possono essere solo di quattro tipi diversi, i
cui nomi posso essere abbreviati in A, T, G, C. Sono gli stessi
in tutti gli animali e le piante. Ciò che cambia è l'ordine in cui
sono attaccati insieme. Un blocco costitutivo G in un uomo è
identico a un blocco costitutivo G in una lumaca. Ma la se-
quenza di blocchi costitutivi in un uomo non solo è diversa da
quella in una lumaca; è anche diversa ― sebbene in minor mi-
sura ― dalla sequenza presente in ogni altro uomo (tranne nel
caso dei gemelli identici).
Il nostro Dna vive dentro il nostro corpo. Non è concentrato
in un punto particolare del corpo, ma è distribuito tra tutte le
cellule. Ci sono circa mille milioni di milioni di cellule in un
corpo umano medio, e, con alcune eccezioni che possiamo
ignorare, ognuna di queste cellule contiene una copia com-
pleta del Dna di quel corpo. Questo DNA si può considerare
come un insieme di istruzioni per costruire un corpo, scritte
nell'alfabeto A, T, G, C dei nucleotidi. È come se, in ogni
stanza di un gigantesco edificio, ci fosse una libreria contenen-
te i piani architettonici dell'intero edificio. La "libreria" in una
cellula è chiamata nucleo. I piani architettonici sono divisi in
46 volumi nell'uomo ― questo numero è diverso in altre spe-
cie. Questi "volumi" si chiamano cromosomi. Sono visibili con
il microscopio e hanno l'aspetto di lunghi filamenti, e i geni
272
sono incastonati su di essi in un preciso ordine. Non è facile,
anzi potrebbe essere persino privo di senso, decidere dove fi-
nisce un gene e dove comincia il successivo. Fortunatamente,
come mostrerà questo capitolo, ciò non è importante per i no-
stri scopi.
Farò uso della metafora dei piani architettonici, mescolando
liberamente il linguaggio della metafora con il linguaggio del-
la cosa reale. "Volume" sarà usato intercambiabilmente con
"cromosoma". "Pagina" sarà temporaneamente usato intercam-
biabilmente con "gene", sebbene la divisione tra i geni sia
meno netta della divisione tra le pagine di un libro. Questa
metafora ci accompagnerà per molto tempo. Quando final-
mente cadrà, introdurrò altre metafore. Tra parentesi, non c'è
ovviamente alcun "architetto". Le istruzioni nel Dna sono
state assemblate dalla selezione naturale.
Le molecole di Dna fanno due cose importanti. Prima di tut-
to si replicano, cioè fanno copie di se stesse. Questo è avvenu-
to incessantemente sin dall'inizio della vita. E le molecole di
DNA oggi sono davvero molto abili a far ciò. Da adulti, voi
siete fatti di 1000 milioni di milioni di cellule, ma quando siete
stati concepiti eravate una cellula sola, dotata di una copia
master dei piani architettonici. Questa cellula si è divisa in
due, e ognuna delle due cellule ha ricevuto la sua propria co-
pia dei piani. Le divisioni successive hanno portato il numero
di cellule a 4,8,16,32, e così via fino ai miliardi. Ad ogni divi-
sione, i piani del Dna venivano copiati fedelmente, quasi sen-
za errori.
Una cosa è parlare di duplicazione del Dna. Ma se il DNA è
in realtà un insieme di piani per costruire un corpo, come ven-
gono messi in pratica questi piani? Come si traducono nella
fabbricazione del corpo? Questo mi conduce alla seconda cosa
importante fatta dal DNA: sovrintende indirettamente alla
produzione di un diverso tipo di molecola ― la proteina.
L'emoglobina che ho menzionato nell'ultimo capitolo è solo
un esemplare di una vastissima gamma di molecole di protei-
ne. Il messaggio codificato nel Dna, scritto nell'alfabeto di
quattro lettere dei nucleotidi, viene tradotto con un semplice
273
meccanismo in un altro alfabeto. Questo è l'alfabeto degli ami-
noacidi che descrive le molecole di proteina.
Produrre proteine potrebbe sembrare una cosa molto diver-
sa da produrre un corpo, ma è il primo piccolo passo in quella
direzione. Le proteine non solo costituiscono la maggior parte
della struttura fisica del corpo; esercitano anche un controllo
sensibile su tutti i i processi chimici dentro la cellula, attivan-
doli e disattivandoli selettivamente in precisi momenti e in
precisi luoghi. Agli embriologi occorreranno decenni, o forse
secoli, per decifrare in dettaglio come tutto ciò porti allo svi-
luppo di un bambino. Ma è certo che lo fa. I geni controllano
davvero, indirettamente, la produzione dei corpi, e l'influen-
za è strettamente unidirezionale: le caratteristiche acquisite
non vengono ereditate. Non importa quanta conoscenza e
saggezza voi acquisiate durante la vita, neanche un pezzetti-
no di essa passerà ai vostri figli per vie genetiche. Ogni nuo-
va generazione riparte da zero. Il corpo è il modo usato dai
geni per preservare se stessi inalterati.
Il fatto che i geni controllino lo sviluppo embrionale ha un'e-
norme importanza evolutiva: significa che i geni sono almeno
in parte responsabili della loro sopravvivenza nel futuro,
perché la loro sopravvivenza dipende dall'efficienza dei cor-
pi in cui vivono e che loro hanno aiutato a costruire. Tanto
tempo fa, la selezione naturale consisteva nella sopravvivenza
differenziata di replicatori liberamente fluttuanti nel brodo
primordiale. Oggi, la selezione naturale favorisce replicatori
che sono bravi a costruire macchine di sopravvivenza, geni
che sono bravi nell'arte di controllare lo sviluppo embriona-
le. Nel far ciò, i replicatori non sono più consci o dotati di
scopi di quanto lo fossero prima. Avviene ancora lo stesso
vecchio processo di selezione automatica tra molecole rivali
in base alla loro longevità, fecondità, e fedeltà di copiatura;
ed avviene tanto ciecamente e inevitabilmente quanto avve-
niva in quel tempo lontano. I geni non hanno lungimiranza.
Non fanno dei piani per il futuro. I geni semplicemente esi-
stono, alcuni più di altri, ed è tutto qui. Ma le qualità che de-
terminano la longevità e la fecondità di un gene non sono
274
così semplici come erano una volta. Tutt'altro.
Negli anni recenti ― gli ultimi 600 milioni circa ― i replica-
tori hanno conseguito notevoli trionfi nella tecnologia delle
macchine di sopravvivenza, "inventando" cose come i muscoli,
il cuore, e l'occhio (che si è evoluto indipendentemente mol-
te volte). Prima di questo, alterarono radicalmente alcune ca-
ratteristiche fondamentali del loro modo di vivere come repli-
catori, e dobbiamo comprendere questa cosa prima di proce-
dere nell'argomento.
La prima cosa da capire di un moderno replicatore è che è
altamente sociale, gregario. Una macchina di sopravvivenza è
un veicolo che contiene non un solo un gene ma molte miglia-
ia. La produzione di un corpo è un'opera di cooperazione tal-
mente intricata che è quasi impossibile isolare il contributo
di un gene da quello di un altro. Un dato gene avrà tanti ef-
fetti diversi in parti del corpo molto diverse. Ogni parte del
corpo sarà influenzata da molti geni, e l'effetto di ciascun gene
dipende dall'interazione con molti altri. Alcuni geni agiscono
come geni "master", controllando il funzionamento di un
gruppo di altri geni. Usando l'analogia di prima, ogni data pa-
gina dei piani si riferisce a molte diverse parti dell'edificio; e
ogni pagina ha senso solo in termini dei riferimenti incrociati
a numerose altre pagine.
Questa intricata interdipendenza dei geni potrebbe farvi do-
mandare perché mai usiamo la parola "gene" in primo luogo.
Perché non usare un nome collettivo come " gruppo di geni"?
La risposta è che per molti scopi quest'ultima cosa è davvero
conveniente. Ma se guardiamo le cose in un altro modo, ha
senso anche pensare al gruppo di geni come diviso in tanti re-
plicatori discreti, o geni. Questo avviene a causa del fenomeno
del sesso. La riproduzione sessuale ha l'effetto di mescolare i
geni. Questo significa che ogni singolo corpo è solo un veico-
lo temporaneo per una combinazione di geni che ha vita bre-
ve. La combinazione di geni che costituisce un singolo indi-
viduo può avere vita breve, ma i geni stessi sono potenzial-
mente molto longevi. Le loro strade si incrociano e ri-incro-
ciano costantemente nell'arco delle generazioni. Un gene si
275
può considerare come un'unità che sopravvive per un gran
numero di corpi individuali successivi. Questo è l'argomento
centrale che svilupperò in questo capitolo. È un argomento su
cui molti miei rispettabili colleghi si rifiutano ostinatamente di
essere d'accordo, quindi scusatemi se vi sembro troppo labo-
rioso! Prima devo spiegare i meccanismi della riproduzione
sessuale.
[...]
Ho detto che i piani per costruire un corpo umano sono divi-
si in 46 volumi. In realtà questo è troppo semplicistico. La ve-
rità è più curiosa. I 46 cromosomi consistono di 23 coppie di
cromosomi. Potremmo dire che, archiviati nel nucleo di ogni
cellula, ci sono due insiemi alternativi di 23 volumi dei piani
architettonici. Chiamateli volume 1a e 1b, volume 2a e volume
2b., eccetera, fino a volume 23a e volume 23b. Naturalmente i
numeri identificativi che uso per i volumi e, poi, per le pagine,
sono puramente arbitrari.
Noi riceviamo ogni cromosoma intatto da uno dei due geni-
tori, nelle cui ovaie o testicoli esso fu assemblato. I volumi 1a,
2a, 3a, ..., vengono, diciamo, dal padre. I volumi 1b, 2b, 3b, ...,
vengono dalla madre. In pratica è molto difficile, ma in teoria
potreste guardare con il microscopio i 46 cromosomi in una
qualunque delle vostre cellule, e identificare quei 23 che ven-
gono dal padre e quei 23 che vengono dalla madre.
I cromosomi accoppiati non passano tutta la loro vita fisica-
mente in contatto l'uno con l'altro, e neppure vicini tra loro. In
che senso allora sono "accoppiati"? Nel senso che ogni volume
che in origine veniva dal padre si può considerare, pagina per
pagina, come un'alternativa diretta a un particolare volume
che veniva in origine dalla madre. Per esempio, pagina 6 del
volume 13a e pagina 6 del volume 13b potrebbero "riguarda-
re" il colore degli occhi; forse uno dice "blu" mentre l'altro dice
"marrone".
A volte le due pagine alternative sono identiche, ma in altri
casi, come nel nostro esempio del colore degli occhi, sono di-
verse. Se le due pagine danno istruzioni contrastanti, cosa fa il

276
corpo? La risposta è variabile. A volte una lettura prevale sul-
l'altra. Nell'esempio del colore degli occhi, la persona finireb-
be per avere occhi marroni: le istruzioni per produrre occhi
blu sarebbero ignorate durante la costruzione del corpo, seb-
bene questo non impedisca che siano trasmesse alle future ge-
nerazioni. Un gene che viene ignorato in tale modo si chiama
"recessivo". L'opposto di un genere recessivo è un gene "domi-
nante". Il gene per gli occhi marroni è dominante sul gene per
gli occhi blu. Una persona ha gli occhi blu solo se entrambe le
copie della pagina rilevante sono unanimi nel prescrivere oc-
chi blu. Più spesso, quando due geni alternativi non sono
identici, il risultato è un qualche tipo di compromesso ― il
corpo è costruito con una soluzione intermedia, o in un modo
completamente diverso.
Quando due geni, come il gene dell'occhio marrone e del-
l'occhio blu, sono rivali per la stessa posizione su un cromoso-
ma, si chiamano alleli l'uno dell'altro. Per i nostri scopi, la pa-
rola allele è sinonimo di rivale. Immaginate i volumi dei piani
architettonici come se fossero dei raccoglitori ad anelli, dove
le pagine si possono staccare e scambiare tra loro. Ogni volu-
me 13 deve avere una pagina 6, ma ci sono molte possibili pa-
gine 6 che potrebbero andare nel rilegatore tra pagina 5 e pa-
gina 7. Una versione dice "occhi blu", un'altra versione possi-
bile dice "occhi marroni"; potrebbero esserci altre versioni nel-
la popolazione nel suo complesso che dicono altri colori, come
verde. Forse ci sono una decina di alleli alternativi collocati a
pagina 6 sul cromosoma 13, sparpagliati in tutta la popolazio-
ne nel suo complesso. Ogni data persona ha solo due cromo-
somi/volumi 13. Quindi può avere un massimo di due alleli
nella posizione di pagina 6. Potrebbe avere due copie dello
stesso allele, come le persone con occhi blu, o potrebbe avere
qualunque coppia di alleli scelta dalla decina di alternative di-
sponibili nella popolazione nel suo complesso.
Non si può, naturalmente, andarsi letteralmente a scegliere i
geni da un "pool" di geni disponibili all'intera popolazione. In
ogni dato momento tutti i geni sono legati assieme dentro cia-
scuna macchina di sopravvivenza. I nostri geni sono decisi al
277
concepimento, e non possiamo farci niente. Ciononostante, in
un certo senso, a lungo termine, i geni della popolazione in ge-
nerale si possono considerare come un "pool di geni". Questa
frase è in realtà un termine tecnico usato dai genetisti. Il pool
di geni è un'astrazione utile perché la riproduzione sessuale
mescola i geni tra di loro, sebbene in un modo ben preciso. In
particolare, avviene davvero qualcosa di simile allo staccare e
scambiare le pagine dei raccoglitori ad anelli, come vedremo
adesso.
Ho descritto la normale divisione di una cellula in due cellu-
le, ognuna delle quali riceve una copia completa di tutti i 46
cromosomi. Questa normale divisione della cellula si chiama
mitosi. Ma c'è un altro tipo di divisione della cellula che si
chiama meiosi. Essa avviene solo nella produzione di cellule
sessuali; spermatozoi o ovuli. Spermatozoi e ovuli sono unici
tra le nostre cellule poiché, invece di contenere 46 cromosomi,
ne contengono solo 23. 23 è esattamente la metà di 46 ― cosa
conveniente quando le cellule si fondono nella fertilizzazione
sessuale per creare un nuovo individuo! La meiosi è un tipo
speciale di divisione cellulare, che avviene solo nei testicoli e
nelle ovaie, in cui una cellula dotata di un intero doppio set di
46 cromosomi si divide per formare cellule sessuali con il sin-
golo set di 23. [..]
Uno spermatozoo, con i suoi 23 cromosomi, è prodotto dalla
divisione per meiosi di una delle cellule a 46 cromosomi nel
testicolo. Quali 23 vengono messe in ogni dato spermatozoo?
È chiaramente importante che uno spermatozoo non riceva un
insieme qualsiasi di 23 cromosomi: non deve finire per avere
due copie del volume 13 e nessuna del volume 17. Sarebbe
teoricamente possibile che qualcuno produca uno spermato-
zoo con cromosomi che derivano, diciamo, interamente da sua
madre; cioè volume 1b, 2b, 3b, ..., 23b. In questo caso improba-
bile, una bambina concepita da quello spermatozoo eredite-
rebbe la metà dei suoi geni dalla nonna paterna, e nessuna dal
nonno paterno. Ma in pratica questo genere di distribuzione,
in cui un cromosoma si trasmette intero, non avviene. La real-
tà è più complessa. Ricordate che i volumi (cromosomi) vanno
278
pensati come raccoglitori ad anelli. Ciò che avviene è che, du-
rante la produzione dello spermatozoo, si staccano delle sin-
gole pagine, o meglio blocchi di più pagine, e si scambiano
con i blocchi corrispondenti del volume alternativo. Così, un
particolare spermatozoo potrebbe produrre il suo volume 1
prendendo le prime 65 pagine dal volume 1a, e le pagine da 66
fino alla fine dal volume 1b. Gli altri 22 volumi di questo sper-
matozoo sono prodotti in un modo simile. Quindi ogni sper-
matozoo prodotto da un individuo è unico, sebbene tutti i
suoi spermatozoi abbiano assemblato i loro 23 cromosomi con
pezzi dello stesso insieme di 46 cromosomi. Gli ovuli sono
prodotti in modo simile nelle ovaie, e anch'essi sono unici.
Comprendiamo ormai piuttosto bene i meccanismi reali di
questa mescolanza. Durante la produzione di uno spermato-
zoo (ovulo), si staccano fisicamente dei pezzettini di ogni cro-
mosoma paterno e si scambiano di posto con i pezzettini esat-
tamente corrispondenti del cromosoma materno. (Ricordate
che stiamo parlando di cromosomi che venivano originaria-
mente dai genitori dell'individuo che produce la spermatozoo,
cioè dai nonni paterni del figlio che alla fine viene concepito
dallo spermatozoo). Il processo di scambiare pezzettini di cro-
mosoma si chiama "crossing-over". È molto importante in tut-
to questo libro. Significa che, se aveste il microscopio e guar-
daste i cromosomi di uno dei vostri spermatozoi (o ovuli), sa-
rebbe una perdita di tempo cercare di identificare i cromosomi
provenienti da vostro padre e quelli provenienti da vostra ma-
dre. (Questo contrasta fortemente con il caso delle normali cel-
lule del corpo, come abbiamo visto in precedenza.) Ogni sin-
golo cromosoma in uno spermatozoo è un collage, un mosaico
di geni materni e geni paterni.
A questo punto la metafora di geni come pagine comincia a
venir meno. In un raccoglitore ad anelli possiamo inserire, ri-
muovere o scambiare un'intera pagina, ma non una frazione
di pagina. Ma il complesso dei geni è solo una lunga sequenza
di lettere di nucleotidi, non è divisa in pagine discrete in alcun
modo ovvio.
[Dawkins spiega ora che il crossing over può avvenire in
279
qualunque punto di questa sequenza; non esiste alcuna unità
indivisibile, che non possa essere spezzata dal crossing over.
Poi continua:]
Un gene è definito come una qualunque porzione di mate-
riale cromosomico che potenzialmente dura abbastanza gene-
razioni da servire come unità di selezione naturale. Per usare
le parole del capitolo precedente, un gene è un replicatore con
un'alta fedeltà di copiatura. Fedeltà di copiatura è un altro
modo di dire longevità-nella-forma-di-copie, ed abbeverò tut-
to questo semplicemente in "longevità". La definizione dovrà
essere giustificata.
In qualunque definizione, un gene deve essere una porzione
di cromosoma. La domanda è: una porzione quanto grande?
[Salto quattro pagine in cui Dawkins spiega in sostanza per-
ché, sebbene a volte i geni possano essere spezzati dal cros-
sing-over, questo è enormemente improbabile (a causa della
loro piccolezza), e quindi possono essere considerati unità in-
divisibili. ]
Ora siamo arrivati al punto in cui avevamo chiuso il capitolo
1. Avevamo visto che bisogna aspettarsi egoismo in qualun-
que entità che meriti l'appellativo di unità di base della sele-
zione naturale. Abbiamo visto che alcune persone considerano
la specie come l'unità della selezione naturale, altre la popola-
zione o il gruppo all'interno della specie, e altre l'individuo.
Ho detto che io preferivo pensare al gene come l'unità fonda-
mentale di selezione naturale, e quindi all'unità fondamentale
di egoismo. [..]
La selezione naturale nella sua forma più generale significa
la sopravvivenza differenziata di varie entità. Alcune entità vi-
vono e altre muoiono ma, perché la morte selettiva abbia
qualche impatto sul mondo, è necessaria un'ulteriore condi-
zione. Ogni entità deve esistere nella forma di molte copie, e
almeno alcune delle entità devono essere potenzialmente in
grado di sopravvivere ― nella forma di copie ― per un pe-
riodo significativo di tempo evoluzionistico. Le unità geneti-
che piccole hanno queste proprietà; invece gli individui, i

280
gruppi e le specie non l'hanno.
[...]
Un altro aspetto particolare del gene è che non invecchia;
quando è vecchio un milione di anni, non ha più probabilità
di morire di quando ne ha solo 100. Salta da un corpo all'al-
tro attraverso le generazioni, manipolando un corpo dopo
l'altro, a modo suo e per i suoi propri scopi, abbandonando i
corpi mortali uno dopo l'altro prima che giungano alla vec-
chiaia e alla morte.
I geni sono gli immortali. [..] Noi, le singole macchine di so-
pravvivenza presenti nel mondo, possiamo aspettarci di vive-
re qualche decennio. Ma i geni presenti nel mondo hanno
un'aspettativa di vita che va misurata non in decenni ma in
migliaia e milioni di anni.
Nelle specie che si riproducono sessualmente, l'individuo è
un'unità genetica troppo grande e troppo temporanea per
qualificarsi come unità significativa di selezione naturale. Il
gruppo di individui è un'unità ancora più grande. Genetica-
mente parlando, gli individui e i gruppi sono come nuvole
nel cielo, o tempeste di sabbia nel deserto. Sono aggregazio-
ni temporanee. Non sono stabili lungo il tempo evoluzioni-
stico. Le popolazioni possono durare un po' di più, ma si fon-
dono costantemente con altre popolazioni e quindi perdono la
loro identità. Sono anche soggette a un cambiamento evoluti-
vo dall'interno. Una popolazione non è un'entità abbastanza
discreta per fungere da unità di selezione naturale; non è ab-
bastanza stabile e unitaria per essere "selezionata" al posto
di un'altra popolazione.
Un corpo individuale sembra abbastanza discreto finché
dura, ma purtroppo, quanto a lungo dura? Ogni individuo è
unico. Non puoi ottenere un'evoluzione selezionando tra va-
rie entità, quando esiste una sola copia di ogni entità! La ri-
produzione sessuale non è replicazione. Proprio come una po-
polazione è contaminata da altre popolazioni, così la discen-
denza di un individuo è contaminata da quella del suo partner
sessuale. I vostri figli sono solo metà di voi, i vostri nipoti solo

281
un quarto di voi. In qualche generazione, il massimo che pote-
te sperare è di avere molti discendenti, ognuno dei quali con-
tiene solo una piccola porzione di voi ― pochi geni ― anche
se alcuni di essi portano anche il vostro cognome.
Gli individui non sono cose stabili, sono fluttuanti. Anche i
cromosomi vengono rimescolati fino a scomparire, come una
mano di carte subito dopo essere stata distribuita. Ma le singo-
le carte sopravvivono al rimescolamento. Le singole carte sono
i geni. I geni non sono distrutti dal crossing-over, cambiano
soltanto partner e vanno avanti. Naturalmente vanno avanti. È
questa la loro specialità. Essi sono i replicatori e noi siamo le
loro macchine di sopravvivenza. Quando abbiamo assolto al
nostro scopo, siamo gettati via. Invece i geni esistono nel tem-
po geologico: i geni sono per sempre.
I geni, come i diamanti, sono per sempre, ma non proprio
nello stesso modo dei diamanti. Nel caso dei diamanti, ciò che
dura è il singolo cristallo, la struttura inalterata di atomi. Le
molecole di Dna non sono persistenti in quel senso. La vita di
ciascuna molecola fisica di Dna è molto breve ― forse qual-
che mese, certamente non più di una vita umana. Ma una
molecola di Dna potrebbe teoricamente vivere più di 100 mi-
lioni di anni nella forma di copie di se stessa. Inoltre, proprio
come gli antichi replicatori nel brodo primordiale, le copie di
un particolare gene possono essere distribuite per tutto il
mondo. La differenza è che le versioni moderne sono impac-
chettate con cura nei corpi delle macchine di sopravvivenza.
[...]
Il gene è il replicatore a vita lunga, che esiste nella forma di
molte copie duplicate. Non ha una vita infinitamente lunga.
Perfino un diamante non è eterno [..]. Il gene è definito come
un pezzo di cromosoma abbastanza piccolo da durare, poten-
zialmente, abbastanza a lungo da fungere da unità significati-
va di selezione naturale.
[...]
È la sua potenziale immortalità che rende un gene un buon
candidato a fungere da unità di selezione naturale. Ma ora è

282
venuto il momento di enfatizzare la parola "potenziale". Un
gene può vivere un milione di anni, ma molti nuovi geni non
superano nemmeno la prima generazione. Quei pochi che rie-
scono a farlo lo fanno in parte perché sono fortunati, ma so-
prattutto perché hanno ciò che serve, il che significa che
sono bravi a produrre macchine di sopravvivenza. Hanno un
effetto sullo sviluppo embrionale di ogni successivo corpo
in cui si vengono a trovare, tale che quel corpo ha un po' più
di probabilità di vivere e riprodursi di quante ne avrebbe se
fosse stato sotto l'influenza del gene rivale, o allele. Per esem-
pio, un gene "bravo" potrebbe assicurare la propria sopravvi-
venza tendendo a dotare i successivi corpi in cui si trova di
gambe lunghe, che aiutano questi corpi a fuggire dai preda-
tori. Questo è un esempio particolare, non universale. Le gam-
be lunghe, dopotutto, non sono sempre un vantaggio. In una
talpa sarebbero un handicap. Anziché perderci nei dettagli,
possiamo pensare a qualche qualità universale_che ci aspetter-
memo di trovare in tutti i geni (cioè in quelli più longevi)? Vi-
ceversa, quali sono le proprietà che classificano istantanea-
mente un gene come "cattivo", di vita breve? Potrebbero esser-
ci varie proprietà universali di questo tipo, ma ce n'è una par-
ticolarmente importante in questo libro: al livello dei geni,
l'altruismo deve essere male e l'egoismo deve essere bene.
Questo segue inesorabilmente dalla nostra definizione di al-
truismo ed egoismo. I geni competono direttamente con i loro
alleli per la sopravvivenza, poiché i loro alleli nel pool di geni
competono per la loro stessa posizione sui cromosomi delle
generazioni future. Ogni gene che si comporti in modo da
aumentare le proprie probabilità di sopravvivenza nel pool
di geni alle spese dei suoi alleli tenderà, per definizione,
tautologicamente, a sopravvivere. Il gene è l'unità di base
dell'egoismo.
Ho espresso ora il messaggio principale di questo capitolo.
Ma ho evitato alcune complicazioni ed assunzioni nascoste. La
prima complicazione è stata già menzionata brevemente. Per
quanto indipendenti e liberi possano essere i geni nel loro
viaggio lungo le generazioni, non sono affatto liberi e indipen-
283
denti nel controllare lo sviluppo embrionale. Essi collaborano
e interagiscono in modi inestricabilmente complessi, sia tra di
loro, sia con l'ambiente esterno. Espressioni come "gene per le
gambe lunghe" o "gene per il comportamento altruistico" sono
comode figure retoriche, ma è importante capire cosa signifi-
cano. Non esiste un gene che da solo costruisce una gamba,
lunga o corta che sia. Costruire una gamba è un'impresa coo-
perativa che coinvolge molti geni. Sono anche indispensabili
delle influenze dall'ambiente esterno: dopo tutto, le gambe
sono fatte di cibo! Ma può esserci benissimo un singolo gene
che, a parità di altri fattori, tende a produrre gambe più lun-
ghe di quanto lo sarebbero state sotto l'influenza dell'allele di
quel gene.
Come analogia, pensate all'influenza di un fertilizzante, di-
ciamo un nitrato, sulla crescita del grano. Tutti sanno che le
piante di grano crescono più grandi in presenza di nitrato che
in sua assenza. Ma nessuno sarebbe così sciocco da affermare
che, di per sé, il nitrato può fare una pianta di grano. Sono ne-
cessari, naturalmente, un seme, il suolo, il sole, l'acqua, e vari
minerali . Ma se tutti questi altri fattori restano costanti, e an-
che se variano entro certi limiti, l'aggiunta di un nitrato farà
crescere di più la pianta di grano. Lo stesso vale per i singoli
geni nello sviluppo di un embrione. Lo sviluppo embrionale è
controllato da una rete di relazioni così intricata che quasi ci
passerebbe la voglia di guardarla. Nessun singolo fattore, ge-
nerico o ambientale, si può considerare come l'unica causa di
una data parte di un bambino. Tutte le parti di un bambino
hanno un numero quasi infinito di cause antecedenti. Ma la
differenza tra un bambino e un altro, per esempio la differenza
nella lunghezza di una gamba, è facile da ricondurre a una o a
poche semplici differenze antecedenti, nell'ambiente o nei
geni. Sono le differenze che contano nella lotta competitiva per
la sopravvivenza; e sono le differenze controllate dei geni che
contano nell'evoluzione.
Dal punto di vista di un gene, i suoi alleli sono i suoi ne-
mici mortali, ma gli altri geni sono solo parte dell'ambiente,
come la temperatura, il cibo, i predatori, o gli amici. L'effetto
284
del gene dipende dal suo ambiente, il quale comprende gli al-
tri geni. A volte un gene ha un effetto solo in presenza di un
altro insieme di geni compagni. L'intero insieme di geni in un
corpo costituisce una specie di "clima", o background genetico,
che modifica e influenza gli effetti di ogni particolare gene.
Ma ora sembra che siamo arrivati a un paradosso. Se costrui-
re un bambino è un'impresa cooperativa così intricata, ed ogni
gene ha bisogno di molte migliaia di geni compagni per svol-
gere il suo compito, come possiamo riconciliare tutto questo
con la mia descrizione dei geni come entità che saltano da cor-
po a corpo lungo i millenni, liberi, autonomi e senza ostacoli?
Erano cose prive di senso? Assolutamente no. Forse mi sono
lasciato trasportare dall'enfasi, ma non stavo dicendo scioc-
chezze, e non c'è alcun paradosso. Possiamo spiegare tutto
questo mediante un'altra analogia.
Un vogatore non può vincere da solo la gara di canottaggio
tra Oxford e Cambridge. Ha bisogno di otto colleghi. Ognu-
no è specializzato a sedersi in una parte precisa della barca
― prodiere, primo rematore, timoniere, eccetera. Condurre la
barca è un'impresa cooperativa, ma alcuni uomini sono co-
munque migliori di altri. Supponiamo che un coach debba
scegliere la squadra ideale da un pool di candidati, alcuni dei
quali specializzati nella posizione di prua, altri come timonieri
e così via. Supponiamo che il coach effettui la selezione come
segue. Ogni giorno assembla tre nuove squadre di prova, me-
scolando a caso i candidati in ciascuna posizione, e fa gareg-
giare le tre squadre una contro l'altra. Dopo qualche settima-
na comincerà ad emergere che la barca vincitrice tende a
contenere sempre gli stessi uomini. Questi vengono contras-
segnati come bravi rematori. Altri individui finiscono per tro-
varsi spesso nelle squadre perdenti, e alla fine questi vengono
scartati. Ma anche un rematore incredibilmente bravo potreb-
be a volte trovarsi in una squadra lenta, o a causa dell'inferio-
rità degli altri, o perché ha avuto un colpo di sfortuna ― dicia-
mo un forte vento contrario. È solo in media che l'uomo miglio-
re tende ad essere sulla barca vincitrice.
I rematori sono i geni. I rivali per ogni sedile sulla barca
285
sono alleli potenzialmente capaci di occupare la stessa posi-
zione su un cromosoma. Remare velocemente corrisponde a
costruire un corpo bravo a sopravvivere. Il vento è l'ambien-
te esterno. Il pool di candidati alternativi è il pool di geni.
Per quanto riguarda la sopravvivenza di ciascun corpo, tutti
i suoi geni sono nella stessa barca. Molti geni "buoni" hanno
la sfortuna di trovarsi in cattiva compagnia, e si trovano a
coabitare nello stesso corpo con un gene letale, che uccide il
corpo durante l'infanzia. In questo caso il gene buono va di-
strutto insieme agli altri. Ma si tratta solo di un corpo, e le
repliche di quello stesso gene buono vivono anche in altri
corpi che non hanno il gene letale. Molte copie dello stesso
gene vengono scartate perché hanno la sfortuna di trovarsi
nello stesso corpo con dei geni cattivi, e molti muoiono per
altri tipi di sfortuna, diciamo quando il corpo è colpito da un
fulmine. Ma per definizione la sfortuna colpisce a caso, ed
un gene che si trova regolarmente dalla parte perdente non è
sfortunato: è un gene cattivo.
Una delle qualità di un buon rematore è il gioco di squa-
dra, la capacità di adattarsi e di cooperare con il resto della
squadra. Questa qualità potrebbe essere importante quanto
avere buoni muscoli. Come abbiamo visto nel caso delle farfal-
le, la selezione naturale potrebbe inconsciamente "modificare"
un complesso di geni mediante inversione e altri grossi spo-
stamenti di pezzi di cromosoma, in tal modo portando nello
stesso gruppo geni che cooperano bene insieme. Ma in un al-
tro senso, dei geni che non sono collegati l'uno con l'altro fisi-
camente possono essere selezionati per la loro mutua compati-
bilità. Un gene che coopera bene con la maggior parte degli al-
tri geni che si trova ad incontrare nei corpi successivi, cioè con
i restanti geni del pool di geni nel suo complesso, tenderà ad
avere un vantaggio.
Per esempio, in un corpo efficiente di carnivoro sono deside-
rabili un certo numero di attributi, tra cui denti aguzzi, il giu-
sto tipo di intestino per digerire la carne, e molte altre cose.
Un erbivoro efficiente, d'altra parte, ha bisogno di denti piatti,
e un intestino molto più lungo con diversi tipi di chimica dige-
286
stiva. Nel pool di geni di un erbivoro, ogni nuovo gene che
conferisse denti affilati al suo possessore non avrebbe molto
successo. Questo non perché mangiare carne sia intrinseca-
mente un'idea sconveniente, ma perché non puoi mangiare
carne in modo efficiente se non hai il giusto tipo di intestino, e
tutti gli altri attributi di un carnivoro. I geni che producono
denti aguzzi non sono intrinsecamente cattivi. Sono solo catti-
vi in un pool di geni che sia dominato da geni per qualità erbi-
vore.
Questa è un'idea sottile e complicata. È complicata perché
"l'ambiente" di un gene consiste in gran parte di altri geni,
ciascuno dei quali è a sua volta selezionato per la sua capacità
di cooperare con i geni che lo circondano. Esiste in effetti un'a-
nalogia adeguata a spiegare questo punto sottile, ma non deri-
va dall'esperienza di tutti i giorni: è l'analogia con la "teoria
dei giochi", che sarà discussa nel capitolo 5 quando si parlerà
delle situazioni di aggressione fra singoli animali. Rimando
quindi ogni ulteriore discussione di questo punto alla fine di
quel capitolo e ritorno al messaggio centrale di questo, cioè
che è meglio identificare l'unità base della selezione naturale
non con la specie né con la popolazione né con l'individuo, ma
con una piccola unità di materiale genetico che è conveniente
etichettare come il gene.

PERCHÉ ESISTE LA MORTE?


(da “Il gene egoista”, Richard Dawkins)

La questione del perché moriamo di vecchiaia è complessa e


i dettagli esulano dagli scopi di questo libro. Oltre a ragioni
particolari ne sono state proposte alcune più generali. Per
esempio, una teoria è che la senilità rappresenti un accumulo
di errori di copiatura deleteri e di altri danni genetici che av-
vengono nel corso della vita dell'individuo. Un'altra teoria,
dovuta a Sir Peter Medawar, è un buon esempio di pensiero
evoluzionistico in termini della selezione del gene. Medawar
per prima cosa rigetta argomenti tradizionali come "i vecchi
287
muoiono per un atto di altruismo verso il resto della specie,
perché se restassero in vita quando sono troppo decrepiti per
riprodursi affollerebbero il mondo senza scopo". Come fa no-
tare Medawar, questo è un argomento circolare, che dà per
scontato quello che vuole provare, cioè che gli animali vecchi
sono troppo decrepiti per riprodursi. È anche un modo inge-
nuo di esporre la selezione di gruppo o di specie, sebbene
quella parte possa essere riformulata in termini più corretti. La
teoria di Medawar ha invece una logica stringente che possia-
mo ricostruire nel modo seguente.
Ci siamo già chiesti quali siano gli attributi più generali di
un gene "di successo" e abbiamo concluso che uno di essi è
"l'egoismo"; ma un'altra qualità generale che un gene vincen-
te deve avere è la tendenza a rimandare la morte della sua
macchina di sopravvivenza almeno fino a dopo la riprodu-
zione. Senza dubbio qualcuno dei nostri cugini o prozii è mor-
to nell'infanzia, ma certamente nessuno dei nostri antenati. Gli
antenati non muoiono mai giovani!
Un gene che fa morire il suo possessore è chiamato gene le-
tale. Un gene semi-letale ha alcuni effetti debilitanti che rendo-
no più probabile la morte per altre cause. Ogni gene esercita il
suo effetto massimo sul corpo a uno stadio particolare della
vita e i geni letali e semi-letali non fanno eccezione. La mag-
gior parte dei geni esercitano la loro influenza durante la vita
fetale, altri durante l'infanzia, l'adolescenza, la mezza età o la
vecchiaia (considerate che un bruco e la farfalla in cui si tra-
sforma hanno esattamente lo stesso patrimonio genetico). Ov-
viamente i geni letali tenderanno ad essere rimossi dal pool
genetico, ma altrettanto ovviamente un gene letale che agi-
sca in tarda età sarà più stabile nel pool genetico di un gene
letale che agisca precocemente. Un gene che è letale in un
corpo vecchio può ancora avere successo nel pool genetico,
purché il suo effetto letale non si manifesti se non dopo che
il corpo ha avuto il tempo di riprodursi. Per esempio, un
gene che fa sviluppare il cancro in un corpo vecchio potreb-
be essere trasmesso a numerosi discendenti perché gli indi-
vidui si riprodurrebbero prima di sviluppare il cancro. D'al-
288
tra parte, un gene che fa sviluppare il cancro in un corpo gio-
vane non si trasmetterà a molti discendenti, e un gene che fa
sviluppare il cancro nell'infanzia non si trasmetterà affatto.
Allora, secondo questa teoria, il decadimento senile è sempli-
cemente un sottoprodotto dell'accumulo nel pool genetico di
geni letali e semi-letali tardivi, che hanno potuto scivolare fra
le maglie della rete della selezione naturale semplicemente
perché sono tardivi.
[Come altro esempio, immaginate un gene cancerogeno che
si attivi solo quando l'individuo diviene sterile, cioè quando
nel corpo sono presenti sostanze che indicano la sterilità. Que-
sto gene potrà ancora avere successo e diffondersi nel pool ge-
netico, perché in genere si attiverà solo dopo che quell'indivi-
duo si è riprodotto; ma una persona che per qualche motivo
divenga sterile in gioventù potrebbe contrarre il cancro in gio-
ventù.]
L'aspetto che lo stesso Medawar sottolinea è che la selezione
favorisce i geni che hanno l'effetto di rimandare l'operazione
di altri, i geni letali, nonché quei geni che accelerano l'effetto
dei geni buoni. Potrebbe darsi che buona parte dell'evoluzione
consista in cambiamenti, controllati geneticamente, del mo-
mento di inizio dell'attività dei geni.
È importante notare che questa teoria non ha bisogno di ipo-
tizzare una precisa età di inizio dell'attività riproduttiva. Par-
tendo dal presupposto che tutti gli individui hanno la stessa
probabilità di avere figli a qualunque età, la teoria di Meda-
war predice l'accumulo nel pool genetico di geni deleteri e
semi-deleteri tardivi, e la tendenza a riprodursi meno nella
vecchiaia ne è una conseguenza secondaria.
Come corollario, un lato positivo di questa teoria è che ci
porta ad alcune speculazioni interessanti. Per esempio ne con-
segue che, se vogliamo aumentare la durata della vita uma-
na, esistono due possibilità di farlo. Per prima cosa potrem-
mo vietare la riproduzione prima di una certa età, diciamo 40
anni; dopo qualche secolo il limite minimo di età verrebbe ele-
vato a 50, e così via. È concepibile che con questo sistema la

289
longevità umana possa essere portata a parecchi secoli. Non
riesco però a immaginare nessuno che prenderebbe seriamen-
te in considerazione la sua attuazione.
Oppure potremmo tentare di "ingannare" i geni facendo
credere loro che il corpo in cui si trovano sia più giovane di
quello che è in realtà. In pratica ciò vorrebbe dire identificare
nell'ambiente chimico interno di un corpo i cambiamenti che
avvengono durante l'invecchiamento. Ciascuno di essi potreb-
be essere il segnale che "accende" geni letali tardivi. Simulan-
do le proprietà chimiche superficiali di un corpo giovane po-
tremmo impedire l'attivazione di geni deleteri tardivi. Il
punto interessante è che i segnali chimici della vecchiaia non
sono di per sé necessariamente deleteri. Per esempio, suppo-
niamo che una sostanza "S" sia più concentrata nei corpi degli
anziani. S di per sé potrebbe essere assolutamente innocua,
forse una sostanza che si trova nel cibo e che si accumula nel
corso degli anni; però qualunque gene che eserciti un effetto
deleterio in presenza di S, ma che altrimenti avrebbe un ef-
fetto buono, verrebbe automaticamente selezionato nel pool
genetico e sarebbe in effetti un gene "per" la morte di vec-
chiaia. La cura sarebbe allora semplicemente la rimozione di S
dal corpo.
Ciò che è rivoluzionario in questa idea è che S di per sé è sol-
tanto un "indice" di vecchiaia. Un medico, notando che alte
concentrazioni di S tendono a portare alla morte, penserebbe
probabilmente che S sia una specie di veleno e si spremereb-
be il cervello per trovare un legame causale diretto fra S e il
cattivo funzionamento del corpo. Ma nel nostro esempio ipo-
tetico sarebbe soltanto una perdita di tempo.
Potrebbe anche esserci una sostanza Y, un "indice" di giovi-
nezza nel senso che sarebbe più concentrata nei corpi giovani.
Di nuovo, potrebbero essere selezionati geni che hanno un ef-
fetto positivo in presenza di Y ma che sono deleteri in sua as-
senza. Senza avere modo di sapere cosa sono S e Y ― potreb-
bero esserci molte di queste sostanze ― possiamo semplice-
mente fare la predizione generica che più riusciamo a simula-
re o a mimare le proprietà di un corpo giovane in uno vecchio,
290
per quanto superficiali queste proprietà possano sembrare,
più aumentiamo la lunghezza della vita del corpo vecchio.
Devo sottolineare che si tratta soltanto di speculazioni basate
sulla teoria di Medawar. Sebbene la teoria di Medawar con-
tenga logicamente un po' di verità, questo non significa neces-
sariamente che sia la spiegazione giusta per ogni esempio pra-
tico di decadimento senile. Ciò che importa per gli scopi pre-
senti è che l'evoluzione, intesa come selezione del gene, non
ha difficoltà a spiegare la tendenza degli individui a morire
quando diventano vecchi.

PERCHÉ ESISTE LA MENTE


(da “Il gene egoista”, Richard Dawkins)

Le macchine di sopravvivenza nacquero come un involucro


passivo per i geni, e fornivano poco più di un muro per pro-
teggerli dagli attacchi chimici dei loro rivali e dal bombarda-
mento molecolare accidentale. Nei primi giorni esse si "cibava-
no" di molecole organiche facilmente reperibili nel brodo pri-
mordiale. Questa vita comoda giunse al termine quando il
cibo organico nel brodo, che era stato lentamente costruito
grazie all'influenza energetica di secoli di luce solare, si esaurì
completamente. Un ramo fondamentale delle macchine di so-
pravvivenza, oggi noto come 'piante', cominciò ad usare diret-
tamente la luce solare per costruire molecole complesse a par-
tire da molecole semplici, riabilitando ad una velocità molto
più alta i processi sintetici del brodo originale. Un altro ramo,
oggi noto come animali, "scoprì" come sfruttare il lavoro chi-
mico delle piante, mangiandole, o mangiando altri animali.
Entrambi questi rami principali di macchine di sopravvivenza
evolvevano trucchi sempre più ingegnosi per aumentare la
propria efficienza nei loro vari modi di vivere, e nuovi modi
di vivere venivano inaugurati di continuo. Si evolvevano sot-
to-rami e sotto-sotto-rami, ognuno altamente specializzato in
un modo preciso di guadagnarsi da vivere: nel mare, sulla ter-
ra, nell'aria, sotto terra, sugli alberi, dentro altri corpi viventi.
291
Questa ripetuta diramazione ha dato luce all'immensa varietà
di animali e piante che oggi è così impressionante per noi.
Gli animali e le piante si evolvevano in corpi di molte cellu-
le, dove ogni singola cellula riceveva una copia completa di
tutti i geni. Questa cosa avvenne indipendentemente tante
volte [..]. Alcune persone usano la metafora della colonia, de-
scrivendo un corpo come una colonia di cellule. Io preferisco
pensare al corpo come una colonia di geni, e alla cellula come
una conveniente unità di funzionamento per le industrie chi-
miche dei geni.
I corpi potranno anche essere colonie di geni ma, nel loro
comportamento, hanno innegabilmente acquisito un'indivi-
dualità propria. Un animale si muove come un insieme coor-
dinato, una unità. Soggettivamente io mi sento come un uni-
tà, non una colonia. Questo è prevedibile. La selezione ha fa-
vorito i geni che cooperano bene con gli altri. Nella feroce
competizione per risorse scarse, nell'incessante lotta per man-
giare altre macchine di sopravvivenza, e per evitare di essere
mangiati, deve esserci stato un vantaggio ad avere una coor-
dinazione centrale anziché un'anarchia all'interno di un corpo
condiviso. Oggigiorno l'intricata co-evoluzione mutua dei
geni è andata così avanti che la natura comunitaria di una sin-
gola macchina di sopravvivenza è virtualmente irriconoscibi-
le. Addirittura molti biologi non la riconoscono, e saranno in
disaccordo con me.
Fortunatamente per ciò che i giornalisti chiamerebbero la
'credibilità' del resto di questo libro, il disaccordo è in gran
parte accademico. Proprio come non conviene parlare in ter-
mini di quanti e particelle fondamentali quando discutiamo il
funzionamento di un'automobile, così è spesso noioso e non
necessario tirare sempre in ballo i geni quando discutiamo il
comportamento delle macchine di sopravvivenza. In pratica
è spesso conveniente, come approssimazione, considerare il
corpo individuale come un agente che "cerca" di aumentare
il numero dei suoi geni che verranno tramandati alle genera-
zioni future. Userò il linguaggio conveniente. A meno che
non specifichi altrimenti, "comportamento altruistico" e "com-
292
portamento egoistico" significherà comportamento di un cor-
po animale verso un altro.
Questo capitolo riguarda il comportamento ― quel trucco
che consiste nel muoversi rapidamente che è stato largamen-
te sfruttato dal ramo animale delle macchine di sopravviven-
za. Gli animali divennero veicoli attivi di propagazione dei
geni: macchine dei geni. La caratteristica del comportamento,
nel senso in cui i biologi usano questo termine, è che è velo-
ce. Le piante si muovono, ma molto lentamente. Quando le
vediamo in filmati accelerati, le piante che crescono appaiono
come animali attivi. Ma la maggior parte del movimento ani-
male è in realtà una crescita irreversibile. Gli animali, invece,
hanno evoluto modi di muoversi che sono centinaia di miglia-
ia di volte più veloci. Inoltre, i movimenti che fanno sono re-
versibili, e ripetibili un numero indefinito di volte.
Lo strumento che gli animali hanno evoluto per ottenere un
movimento rapido è il muscolo. I muscoli sono motori che,
come il motore a vapore e il motore a combustione interna,
usano l'energia immagazzinata in serbatoi chimici per genera-
re movimento meccanico. La differenza è che la forza mecca-
nica immediata di un muscolo è generata nella forma di ten-
sione, anziché come pressione di gas come avviene nel caso
nei motori a vapore e a combustione interna. Ma i muscoli
sono come motori nel fatto che spesso esercitano la loro forza
su corde, e leve con perni. In noi le leve sono note come ossa,
le corde come tendini, e i perni come giunture. Sappiamo mol-
to sull'esatto funzionamento molecolare dei muscoli, ma trovo
più interessante la domanda di come le contrazioni muscolari
vengono temporizzate.
Avete mai osservato una macchina artificiale di qualche
complessità, una macchina per cucire, un telaio, una macchina
di imbottigliamento automatico, o un imballatore di fieno? La
forza motrice proviene da qualche parte, diciamo un motore
elettrico o un trattore. Ma molto più stupefacente è la tempo-
rizzazione intricata delle operazioni. Le valvole si aprono e
chiudono nell'ordine giusto, le dita d'acciaio rapidamente fan-
no un nodo intorno alla balla di fieno, e poi proprio al mo-
293
mento giusto viene fuori un coltello che taglia la corda. In
molte macchine artificiali la temporizzazione è ottenuta con
quella brillante invenzione che è la camma. La camma traduce
un semplice moto rotatorio in una complessa sequenza ritmica
di operazioni per mezzo di una ruota eccentrica o con una for-
ma speciale. Un principio simile è usato dal carillon. Altre
macchine come l'organo a vapore e la pianola usano rotoli di
carta o carte perforate inserite con una disposizione precisa.
Recentemente c'è stata una tendenza a sostituire questi mecca-
nismi di temporizzazione meccanica con meccanismi elettroni-
ci. I computer digitali sono esempi di dispositivi grandi e ver-
satili che possono essere usati per generare complesse sequen-
ze temporali di movimenti. Il componente di base di una mo-
derna macchina elettronica come un computer è il semicon-
duttore, di cui una forma familiare è il transistor.
Le macchine di sopravvivenza sembrano aver scavalcato a
piè pari la camma e la carta perforata. L'apparato che usano
per temporizzare i loro movimenti è molto più simile ad un
computer elettronico, sebbene sia molto differente nel suo
funzionamento interno. L'unità di base dei computer biologici,
la cellula nervosa o un neurone, in realtà non è affatto come
un transistor nel suo funzionamento interno. Certamente la
codifica con cui i neuroni comunicano tra loro sembra essere
un po' come il codice a impulsi dei computer digitali, ma il
singolo neurone è un unità di elaborazione molto più sofistica-
ta del transistor. Invece di avere solo tre connessioni con altre
componenti, un singolo neurone può averne decine di miglia-
ia. I neurone è più lento del transistor, ma è andato molto oltre
nella direzione della miniaturizzazione, una tendenza che ha
dominato l'industria elettronica negli ultimi vent'anni. Il tutto
funziona poiché ci sono decine di migliaia di neuroni nel cer-
vello umano, mentre entrerebbero soltanto poche centinaia di
transistor in quello stesso spazio.
Le piante non hanno bisogno del neurone, perché riescono
a vivere senza muoversi, ma il neurone si trova nella stra-
grande maggioranza dei gruppi animali. Potrebbe essere sta-
to "scoperto" presto nel corso dell'evoluzione animale, ed ere-
294
ditato da tutti i gruppi, oppure potrebbe essere stato ri-scoper-
to indipendentemente varie volte.
I neuroni sono fondamentalmente semplici cellule, con un
nucleo e un cromosoma come le altre cellule. Ma le loro pareti
cellulari si protendono assumendo una forma lunga e sottile,
simile a un cavo di comunicazione. Spesso un neurone ha un
"cavo" particolarmente lungo chiamato assone. Sebbene la lar-
ghezza di un assone sia microscopica, la sua lunghezza può
essere di molti piedi: ci sono singoli assoni che percorrono l'in-
tera lunghezza di un collo di giraffa. Gli assoni sono general-
mente raggruppati assieme formando spessi cavi chiamati
nervi. Questi si estendono da una parte all'altra di un corpo
trasmettendo messaggi, più o meno come il cavo di una cor-
netta telefonica. Altri neuroni hanno assoni corti, e sono confi-
nati a dense concentrazioni di tessuto nervoso chiamate gan-
gli, o, quando sono molto grandi, cervelli. I cervelli si posso-
no considerare come analoghi ai computer. Queste due mac-
chine sono analoghe nel senso che entrambe generano com-
plesse strutture di segnali in uscita, dopo aver fatto un'anali-
si di complesse strutture in ingresso, e dopo aver preso in
considerazione l'informazione immagazzinata al loro inter-
no. Il modo principale in cui i cervelli contribuiscono al suc-
cesso delle macchine di sopravvivenza è controllando e coor-
dinando le contrazioni dei muscoli. Per fare questo hanno bi-
sogno di cavi che arrivino fino ai muscoli, e questi cavi si chia-
mano nervi motori. Ma questo conduce ad una efficiente pre-
servazione di geni soltanto se la temporizzazione delle con-
trazioni dei muscoli ha qualche relazione con la temporizza-
zione degli eventi nel mondo esterno. E' importante contrar-
re i muscoli della mascella solo quando la mascella contiene
qualcosa che vale la pena di mordere, e contrarre i muscoli
delle gambe in sequenze che producono la corsa soltanto
quando c'è qualcosa verso cui valga la pena di correre o da
cui valga la pena fuggire. Per questa ragione, la selezione
naturale ha favorito quegli animali che venivano equipag-
giati di organi sensoriali, dispositivi che traducono sequen-
ze di eventi fisici presenti nel mondo esterno nel codice a
295
impulsi dei neuroni. Il cervello è connesso agli organi senso-
riali ― occhi, orecchie, papille gustative, eccetera ― mediante
cavi chiamati nervi sensori. Il funzionamento del sistema sen-
sorio è particolarmente stupefacente, perché esso può rag-
giungere risultati di riconoscimento di segnali molto più sofi-
sticati delle più costose macchine create dall'uomo; se così non
fosse, tutti i dattilografi sarebbero inutili, rimpiazzati da mac-
chine di riconoscimento vocale, o da macchine per leggere la
grafia manuale. I dattilografi umani saranno necessari ancora
per molti decenni. [Dawkins scriveva questo nel 1976. Oggi
tali programmi esistono e funzionano piuttosto bene. Il più fa-
moso è Dragon NaturallySpeaking.]
Potrebbe esserci stato un tempo in cui gli organi di senso co-
municavano più o meno direttamente con i muscoli; in verità,
gli anemoni marini oggi non sono lontani da questo stato, in
quanto è un sistema efficiente per il loro modo di vivere. Ma
per ottenere una relazione più complessa e più indiretta tra
la temporizzazione degli eventi nel mondo esterno e la tem-
porizzazione delle contrazioni muscolari, era necessario
qualche tipo di cervello come intermediario. Un progresso
notevole fu l' "invenzione" evolutiva della memoria. Me-
diante questa tecnologia, la temporizzazione delle contrazioni
muscolari poté essere influenzata non solo dagli eventi nel
passato immediato, ma anche dagli eventi nel passato lontano.
La memoria, o deposito di informazioni, è una parte essenzia-
le anche dei computer digitali. Le memorie per computer sono
più affidabili delle memorie umane, ma sono meno capienti, e
molto meno sofisticate nelle loro tecniche di reperimento del-
l'informazione.
Una delle proprietà più sorprendenti del comportamento
delle macchine di sopravvivenza è che apparentemente sem-
brano dotate di scopo. Non intendo solo dire che il comporta-
mento animale sembra ben congegnato per aiutare i geni del-
l'animale a sopravvivere, sebbene naturalmente sia così. Sto
parlando di un'analogia più diretta con il comportamento
umano intenzionale, basato su scopi. Quando osserviamo un
animale che "cerca" del cibo, o un partner, o un figlio che si è
296
smarrito, non possiamo non imputare tutto questo a qualche
sentimento soggettivo che noi stessi sperimentiamo quando
cerchiamo. Questi sentimenti soggettivi possono includere
"il desiderio" di un qualche oggetto, una "rappresentazione
mentale" dell'oggetto desiderato, uno "scopo" o una "rappre-
sentazione del futuro". Ognuno di noi sa, dall'evidenza della
propria introspezione, che, almeno in una delle moderne mac-
chine di sopravvivenza, si è evoluta la proprietà che chiamia-
mo "coscienza". Non sono abbastanza filosofo da discutere
cosa questo significhi, ma fortunatamente non importa per i
nostri scopi presenti, perché possiamo facilmente parlare di
macchine che si comportano come se fossero motivate da uno
scopo, e lasciare aperta la domanda se esse siano davvero co-
scienti. Queste macchine sono fondamentalmente molto sem-
plici, e il comportamento inconscio basato su scopi apparenti è
qualcosa di molto comune nella scienza dell'ingegneria. L'e-
sempio classico è il regolatore del vapore di Watt.
Il principio fondamentale impiegato in questo dispositivo è
chiamato "feedback negativo", di cui esistono varie forme di-
verse. In generale ciò che succede è questo. La "macchina do-
tata di scopo apparente", cioè la macchina o la cosa che si
comporta come se avesse uno scopo conscio, è equipaggiata
con qualche tipo di dispositivo di misurazione che misura la
discrepanza tra lo stato attuale delle cose e lo stato "deside-
rato". È costruita in modo tale che più grande è questa discre-
panza, più la macchina si attiva con vigore. In questo modo la
macchina tenderà automaticamente a ridurre la discrepanza
― ecco perché si chiama feedback negativo ― e potrebbe an-
che mettersi completamente a riposo se raggiungesse lo stato
"desiderato". Il regolatore Watt consiste di una coppia di sfere
che vengono fatte muovere in cerchio da un motore a vapore.
Ogni sfera si trova ad un'estremità di un braccio snodato.
Quanto più velocemente le sfere volano in circolo, tanto più la
forza centrifuga spinge i bracci verso la posizione orizzontale,
e questa tendenza viene contrastata dalla gravità. Le braccia
sono connesse alla valvola del vapore che alimenta il motore,
in modo tale che il getto di vapore tende ad essere interrotto
297
quando le braccia si avvicinano alla posizione orizzontale.
Così, se il motore va troppo veloce, una parte del suo vapore
sarà interrotta, e tenderà a rallentare. Se rallenta troppo, auto-
maticamente più vapore sarà iniettato nella valvola, e accele-
rerà di nuovo. Queste macchine dotate di scopo apparente
sono solite oscillare, a causa di dosaggio eccessivo e di ritardi
nella trasmissione della temporizzazione, ed è compito di un
bravo ingegnere costruire dispositivi supplementari per ridur-
re le oscillazioni.
Lo stato "desiderato" dal regolatore di vapore Watt è una
particolare velocità di rotazione. Naturalmente non lo deside-
ra consciamente. L' "obiettivo" di una macchina è definito
semplicemente come lo stato in cui la macchina tende a ritor-
nare. Le moderne macchine dotate di scopo apparente usano
un'estensione di principi di base come i feedback negativo per
ottenere un comportamento molto più complesso simile agli
esseri viventi. I missili teleguidati, per esempio, sembrano ri-
cercare attivamente il loro bersaglio, e quando lo hanno loca-
lizzato sembrano perseguirlo, tenendo conto dei suoi movi-
menti evasivi, e a volte persino predicendoli o anticipandoli.
Non vale la pena di entrare nei dettagli di come questo avven-
ga: hanno a che fare con un feedback negativo di molti tipi, il
"feed-forward", ed altri principi ben noti agli ingegneri, e che
oggi sappiamo essere impiegati abbondantemente nel funzio-
namento dei corpi viventi. Non c'è bisogno di postulare niente
di lontanamente simile alla coscienza, sebbene una persona
comune, osservando il comportamento apparentemente inten-
zionale e dotato di scopi di un missile, trova difficile credere
che il missile non sia sotto il controllo diretto di un pilota
umano.

IN CHE SENSO I GENI CONTROLLANO LE NOSTRE DECISIONI

È un fraintendimento comune pensare che, poiché una mac-


china come un missile teleguidato è stata originariamente pro-
gettata e costruita consapevolmente da un uomo, allora deve
essere anche sotto il controllo diretto di un uomo. Un'altra va-
riante di questa fallacia è "i computer non giocano davvero a
298
scacchi, perché si limitano a fare ciò che è stato detto loro da
un operatore umano". È importante capire perché questa è
una fallacia, altrimenti non riusciremo a comprendere in che
senso i geni possano 'controllare' il nostro comportamento. Gli
scacchi computerizzati sono un ottimo esempio per illustrare
la situazione, quindi li discuterò brevemente.
I computer non giocano ancora bene a scacchi come i cam-
pioni umani, ma hanno raggiunto lo standard di un bravo di-
lettante. [Dawkins scriveva nel 1976. Qualche anno fa, Kaspa-
rov è stato sconfitto dal programma di scacchi Deep Blue,] .
Per essere più precisi bisognerebbe dire che i programmi hanno
raggiunto lo standard di un bravo dilettante, perché un pro-
gramma non è legato a un computer specifico, ma può funzio-
nare su molti computer diversi. Ora, qual è il ruolo del pro-
grammatore umano? Per prima cosa, mettiamo in chiaro che
egli non manipola il computer di tanto in tanto, come un bu-
rattinaio che tira i fili. Questo significherebbe barare. Invece
lui scrive il programma, lo inserisce nel computer, e da quel
momento in poi il computer viene lasciato a se stesso: non
c'è più alcun intervento umano, tranne quando l'avversario di-
gita le sue mosse. Forse che il programmatore ha previsto tut-
te le possibili posizioni degli scacchi sulla scacchiera, e ha
dato al computer una lunga lista di tutte le mosse buone, una
per ogni possibile situazione? Niente di tutto questo, perché il
numero di posizioni possibili negli scacchi è così grande che il
mondo intero terminerebbe prima che la lista fosse completa-
ta. Per la stessa ragione, il computer non si può programmare
in modo da valutare "nella sua testa" tutte le possibili mosse, e
tutte le possibili contromosse, fino a che non trova una strate-
gia vincente. Infatti il numero di partite di scacchi ipotetiche
che dovrebbe valutare in questo modo è maggiore del numero
di atomi nella galassia. Quindi non funzionano queste non-so-
luzioni banali al problema di programmare un computer per
giocare a scacchi. In realtà è un problema enormemente diffici-
le, e non sorprende affatto che i migliori programmi non ab-
biano ancora raggiunto lo status di campione del mondo.
In realtà il ruolo del programmatore è più simile a un pa-
299
dre che insegna a suo figlio a giocare a scacchi. Egli insegna
al computer le mosse basilari del gioco, non separatamente
per ogni possibile posizione iniziale, ma in termini di regole
espresse più economicamente. Non gli dice letteralmente in
italiano "gli alfieri si muovono in diagonale", ma dice qualcosa
di matematicamente equivalente, più o meno come "le nuove
coordinate di un alfiere si ottengono dalle coordinate prece-
denti aggiungendo la stessa costante, sebbene non necessaria-
mente con lo stesso segno, alle precedenti coordinate x e alle
precedenti coordinate y". Poi potrebbe inserire nel programma
qualche "consiglio", scritto nello stesso linguaggio matemati-
co-logico, ma che in termini umani si riduce a consigli come
"non lasciare il re senza protezione", o trucchi utili come il
"forking" con il cavallo. I dettagli sono interessanti, ma ci por-
terebbero troppo lontano. Il punto importante è questo. Quan-
do alla fine sta giocando, il computer è solo con se stesso, e
non può aspettarsi alcun aiuto dal suo padrone. Tutto ciò
che il programmatore può fare è preparare il computer in
anticipo nel miglior modo possibile, bilanciando nel modo
migliore la quantità di conoscenze specifiche e la quantità di
consigli su strategie e tecniche.
Anche i geni controllano il comportamento delle loro mac-
chine di sopravvivenza, non direttamente come fanno i bu-
rattinai attraverso i fili, ma indirettamente come un pro-
grammatore di computer. Tutto ciò che possono fare è prepa-
rarla in anticipo, e poi la macchina di sopravvivenza è lascia-
ta sola, e i geni possono solo starsene passivamente all'inter-
no di essa. Ma perché sono così passivi? Perché non prendo-
no le redini di tanto in tanto e decidono da soli cosa conviene
fare? la risposta è che non possono farlo, per problemi di rapi-
dità di risposta. Questo è illustrato bene da un'altra analogia,
che prendo dalla fantascienza. "A come Andromeda" di Fred
Hoyle e John Elliot è una storia emozionante e, come tutta la
buona fantascienza, ha degli interessanti concetti scientifici
dietro di essa. Stranamente, nel libro sembra mancare una
menzione specifica del punto più importante. Viene lasciato
all'immaginazione del lettore. Spero che gli autori non se la
300
prendano se lo esplicito qui.
Nella costellazione di Andromeda c'è una civiltà lontana
200 anni luce. Vogliono diffondere la loro cultura in mondi
distanti. Qual è il miglior modo di farlo? Viaggiare diretta-
mente è fuori questione. La velocità della luce impone teorica-
mente un limite superiore alla velocità con cui ci si può spo-
stare da un posto ad un altro nell'universo, e considerazioni
meccaniche impongono in pratica un limite molto più basso.
Inoltre, potrebbero non esserci così tanti mondi dove valga la
pena di andare: come si fa a sapere in che direzione andare?
La radio è un modo migliore di comunicare con il resto dell'u-
niverso, poiché, se hai abbastanza energia per diffondere il se-
gnale in tutte le direzioni anziché incanalarlo in una direzione
specifica, puoi raggiungere un gran numero di mondi [..]. Le
onde radio viaggiano alla velocità della luce, il che significa
che il segnale impiega 200 anni per raggiungere la terra da
Andromeda. Il problema con distanze così grandi è che non
puoi avere una conversazione. Anche ignorando il fatto che
ogni messaggio successivo dalla terra sarebbe trasmesso da
persone lontane 12 generazioni l'una dall'altra, sarebbe un
grande spreco cercare di conversare su distanze così grandi.
Questo problema si presenterà presto anche per noi: occor-
rono circa 4 minuti alle onde radio per viaggiare tra la terra e
Marte. Non c'è dubbio che gli astronauti dovranno abbando-
nare l'abitudine di conversare in brevi frasi alternate, e do-
vranno cominciare a parlare in lunghi soliloqui o monologhi,
più simili a lettere che a conversazioni. Come altro esempio,
Roger Payne ci ha fatto notare che l'acustica del mare possiede
alcune proprietà particolari, per cui la lunghissima "canzone"
di alcune balene potrebbe teoricamente essere udita in ogni
parte del mondo, a patto che le balene nuotino a una certa
profondità. Non è noto se le balene comunichino davvero tra
loro su così grandi distanze, ma se lo fanno deve essere in
modo molto simile ad un astronauta su Marte. La velocità del
suono nell'acqua è tale che servirebbero quasi 2 ore perché la
canzone attraversi l'oceano Atlantico e la risposta torni indie-
tro. Suggerisco questa come spiegazione per il fatto che alcune
301
balene emettono un soliloquio continuo, senza ripetizioni, per
8 minuti pieni. Poi ricominciano dall'inizio della canzone e la
ripetono da capo, molte volte, e ogni ciclo completo dura circa
8 minuti.
Gli andromedani della nostra storia fecero la stessa cosa.
Poiché non aveva senso aspettare una risposta, raggrupparo-
no tutto quello che volevano dire in un enorme messaggio
ininterrotto, e poi lo trasmisero nello spazio profondo, più e
più volte, ripetendolo con un ciclo di qualche mese.
Il loro messaggio, però, era molto diverso da quello delle ba-
lene. Consisteva in una serie di istruzioni codificate per co-
struire e programmare un computer gigantesco. Naturalmen-
te le istruzioni non erano in linguaggio umano, ma un esperto
di crittografia è capace di decifrare quasi qualunque codice,
specialmente se gli ideatori del codice lo hanno pensato per
essere facilmente decifrato. Intercettato dal telescopio radio
della Jodrell Bank, il messaggio fu alla fine decifrato, il com-
puter fu costruito, e il programma fu eseguito. Il risultato fu
quasi disastroso per l'umanità, poiché le intenzioni degli abi-
tanti di Andromeda non erano universalmente altruistiche, e il
computer era molto vicino a diventare padrone del mondo
quando l'eroe lo distrusse nel finale (con un'accetta).
Dal nostro punto di vista, la domanda interessante è: in che
senso possiamo dire che gli abitanti di Andromeda stessero
manipolando gli eventi sulla terra? Essi non avevano alcun
controllo diretto su ciò che il computer faceva in ogni singo-
lo momento; anzi non avevano nemmeno modo di sapere
che il computer era stato costruito, poiché questa informa-
zione avrebbe impiegato 200 anni per tornare fino a loro. Le
decisioni e le azioni del computer erano interamente sue.
Non poteva nemmeno chiedere consiglio ai suoi padroni sulle
politiche generali da seguire. Tutte le sue istruzioni dovettero
essere costruite in anticipo, pre-programmate, a causa dell'in-
violabile barriera dei 200 anni. In linea di principio, doveva es-
sere stato programmato in modo molto simile a un program-
ma di scacchi, ma con maggiore flessibilità e capacità di assor-
bire informazioni dall'ambiente. Questo perché il programma
302
doveva essere progettato per funzionare non soltanto sulla
terra, ma in qualunque mondo che possedesse una tecnologia
avanzata, mondo le cui condizioni gli Andromedani non ave-
vano modo di conoscere.
Proprio come gli andromedani dovettero far arrivare un
computer sulla terra per fargli prendere al posto loro le deci-
sioni di tutti i giorni, i nostri geni hanno dovuto costruire un
cervello. Ma i geni non sono solo gli andromedani che han-
no mandato le istruzioni codificate; sono anche le istruzioni
stesse. La ragione per cui non possono manipolarci diretta-
mente come dei burattinai è la stessa: il lasso di tempo. I
geni funzionano controllando la sintesi proteica. Questo è
un modo potente di manipolare il mondo, ma è lento. Occor-
rono mesi di paziente lavoro con le proteine per costruire un
embrione. D'altra parte, la caratteristica fondamentale del
comportamento è che è veloce. Opera su una scala temporale
non di mesi, ma di secondi e frazioni di secondo. Qualcosa ac-
cade nel mondo, un gufo appare nel cielo, un fremito nell'erba
alta tradisce la preda, e in pochi millisecondi i sistemi nervosi
entrano in azione, i muscoli si contraggono, e la vita di qualcu-
no è salvata ― o perduta. I geni non hanno tempi di reazione
come questi. Come gli abitanti di Andromeda, i geni posso-
no soltanto far del loro meglio in anticipo costruendo un
computer veloce perché prenda decisioni al posto loro, e pro-
grammarlo in anticipo con regole e "consigli" per fronteggiare
quante più eventualità possono 'prevedere'. Ma la vita, come
il gioco degli scacchi, offre troppe eventualità diverse perché
si possano prevedere tutte. Come il programmatore degli
scacchi, i geni devono "istruire" le loro macchine di soprav-
vivenza non nei dettagli, ma dando loro strategie generali e
trucchi generici di sopravvivenza.

I GENI PREVEDONO IL FUTURO


(da “Il gene egoista”, Richard Dawkins)

Come ci ha fatto notare J. Z. Young, i geni devono svolgere


303
un compito analogo alla predizione. Quando una macchina
di sopravvivenza sta venendo costruita e si trova ancora allo
stadio embrionale, prima di nascere, i pericoli e i problemi che
essa dovrà affrontare non si sono ancora manifestati e si mani-
festeranno soltanto in futuro. Chi può dire quali carnivori la
aspetteranno in agguato dietro quali cespugli, o quale velocis-
sima preda sfreccerà zig-zagando lungo il suo percorso? Nes-
sun profeta umano, né alcun gene, può dirlo. Ma si possono
fare alcune predizioni generiche. I geni degli orsi polari pos-
sono tranquillamente predire che il futuro della loro macchi-
na di sopravvivenza non ancora nata sarà freddo. Essi non
pensano a questa come una profezia; anzi non pensano affatto:
costruiscono soltanto una spessa pelliccia, perché questo è
ciò che hanno sempre fatto nei corpi precedenti, ed è per
questo che esistono ancora nel pool di geni. Essi predicono
anche che il terreno sarà coperto di neve, e la loro predizione
si concretizza nel rendere la pelliccia bianca e quindi mimeti-
ca. Se il clima dell'artico cambiasse così rapidamente che il
piccolo orso si trovasse a nascere in un deserto tropicale, le
predizioni dei geni sarebbero sbagliate, e loro ne paghereb-
bero la penalità. Il piccolo orso morirebbe, e loro morirebbero
dentro di lui.
La predizione in un mondo complesso è una questione di
probabilità. Ogni decisione presa da una macchina di so-
pravvivenza è un gioco d'azzardo, e la specialità dei geni è
programmare i cervelli in modo che prendano decisioni me-
diamente vantaggiose. La moneta in uso nel casinò dell'evolu-
zione è la sopravvivenza, e precisamente la sopravvivenza del
gene, ma per molti scopi possiamo approssimarla con la so-
pravvivenza dell'individuo. Se ti avvicini al pozzo per bere,
aumenti il rischio di essere mangiato da predatori che si gua-
dagnano da vivere aspettando in agguato vicino ai pozzi. Se
invece non vai al pozzo, prima o poi morirai di sete. Ci sono
dei rischi ovunque ti volti, e devi prendere la decisione che
massimizza le probabilità di sopravvivenza a lungo termine
dei tuoi geni. Forse la politica migliore è posticipare la bevuta
fino a che non hai molta sete, poi recarti al pozzo e bere il più
304
possibile, il modo che ti duri molto. In questo modo riduci il
numero di visite al pozzo, ma devi passare molto tempo con la
testa abbassata quando stai bevendo. In alternativa, la miglior
scommessa potrebbe essere bere poco e spesso, rubando rapi-
di sorsi d'acqua mentre corri via dal pozzo. Quale sia la strate-
gia migliore dipende da una grande quantità di fattori, non ul-
timo l'abitudine di caccia dei predatori, la quale a sua volta si
è evoluta per essere massimamente efficiente dal loro punto di
vista. Un qualche tipo di valutazione delle probabilità deve es-
sere fatto. Ma naturalmente non dobbiamo pensare che gli ani-
mali facciano questi calcoli consciamente. Dobbiamo solo cre-
dere che quegli individui, i cui geni costruiscono cervelli
che giocano d'azzardo correttamente, hanno, come diretta
conseguenza, più probabilità di sopravvivere, e quindi di
propagare quegli stessi geni.
Possiamo spingere la metafora del gioco d'azzardo un po' ol-
tre. Un giocatore d'azzardo deve considerare tre quantità prin-
cipali: il denaro che possiede, le probabilità, e il premio. Se il
premio è molto grande, un giocatore è pronto a rischiare mol-
to denaro. Un giocatore che rischia tutto in un solo colpo può
guadagnare molto. Rischia anche di perdere molto, ma in me-
dia i giocatori che scommettono grosse cifre non fanno né me-
glio né peggio dei giocatori che puntano poco e vincono poco.
Un paragone analogo è quello tra gli investitori prudenti e
quelli speculativi sul mercato azionario. Per certi versi il mer-
cato azionario è un'analogia migliore del casinò, perché nel ca-
sinò le probabilità sono deliberatamente regolate a favore del
banco (il che significa che in media i giocatori che rischiano
molto finiranno più poveri di quelli che rischiano poco, e que-
sti ultimi a loro volta finiranno più poveri di quelli che non
giocano affatto. Ma la ragione di ciò esula dai nostri scopi).
Ignorando ciò, sia puntare molto sia puntare poco sembra un
comportamento ragionevole. Esistono in natura animali gioca-
tori d'azzardo che rischiano molto, ed altri che hanno un gioco
più prudente? Nel capitolo 9 vedremo che è spesso corretto
descrivere i maschi come giocatori che rischiano molto, e le
femmine come investitori prudenti, specialmente nelle specie
305
poligame in cui i maschi competono per le femmine. I natura-
listi che leggono questo libro saranno in grado di nominare
specie che si possono descrivere come giocatori che rischiano,
ed altre specie che giocano con uno stile più prudente. Tornia-
mo adesso al tema più generale di come i geni facciano "predi-
zioni" sul futuro.
Un modo in cui i geni risolvono il problema di fare predi-
zioni in ambienti imprevedibili è conferire alla macchina di
sopravvivenza la capacità di imparare. Il programma potreb-
be consistere nelle seguenti istruzioni date alla macchina di
sopravvivenza: "Ecco una lista di cose definite come appagan-
ti: sapore dolce in bocca, orgasmo, temperatura mite, bambino
sorridente. Ecco una lista di cose brutte: vari tipi di dolore,
nausea, stomaco vuoto, bambino che piange. Se ti capita di
fare qualcosa che è seguito da una delle cose brutte, non farlo
più; e d'altra parte ripeti qualunque cosa venga seguito da una
di quelle belle". Il vantaggio di questo tipo di programmazio-
ne è che diminuisce enormemente il numero di regole detta-
gliate che devono essere pre-programmate nel cervello; ed è
anche in grado di adattarsi ai cambiamenti dell'ambiente che
non si possono mai predire nei dettagli. Ciononostante, qual-
che tipo di predizione è ancora necessario. Nel nostro esempio
i geni stanno facendo la predizione che il sapore dolce in boc-
ca, e l'orgasmo, saranno "cose buone", cioè che mangiare zuc-
chero e copulare aumenteranno la probabilità di sopravviven-
za dei geni. La saccarina e la masturbazione non sono state
previste dai geni in questo caso; né sono stati previsti i peri-
coli dell'eccesso di zucchero in un ambiente dove ne esiste
una quantità innaturalmente grande.

IL POTERE DELLA SIMULAZIONE

Le strategie di apprendimento sono state usate in alcuni pro-


grammi che giocano a scacchi. Questi programmi diventano
più bravi man mano che giocano contro avversari umani o
contro altri computer. Sebbene siano dotati di un repertorio di
regole e tattiche, essi hanno anche una piccola componente di
casualità inserita nella loro procedura di decisione. Essi regi-
306
strano le decisioni passate e, ogni volta che vincono una parti-
ta, aumentano leggermente il peso attribuito alle tattiche che
hanno preceduto la vittoria, così da avere una probabilità
maggiore di scegliere le stesse tattiche la prossima volta.
Uno dei metodi più interessanti di predire il futuro è la si-
mulazione. Se un generale vuole sapere se un dato piano mili-
tare sarà migliore dei piani alternativi, ha un problema di pre-
dizione. Sono in gioco delle quantità non note, come il tempo,
il morale delle sue truppe e le possibili contromisure del nemi-
co. Un modo di scoprire se un piano è buono è attuarlo sul
campo di battaglia e vedere che succede, ma non è desiderabi-
le usare questo test per tutti i piani ipotetici che vengono in
mente, se non altro perché la quantità di giovani disposti a
morire "per il loro Paese" è limitata, e la quantità di piani pos-
sibili è molto grande. E' meglio mettere alla prova i vari piani
per finta, anziché sul serio. Questo può avvenire con esercita-
zioni con munizioni a salve, ma anche questo è costoso in ter-
mini di materiale e tempo. Più economicamente, si può fare
un gioco di guerra, con soldati di latta e carri armati giocattolo
che vengono spostati su una grossa mappa.
Di recente i computer sono diventati protagonisti nel cam-
po della simulazione, non solo nella stategia militare ma in
tutti i campi dove è necessario predire il futuro, come l'econo-
mia, l'ecologia, la sociologia e molti altri. La tecnica funziona
così. Viene inserito nel computer un modello di qualche aspet-
to del mondo. Questo non significa che se smontaste il compu-
ter ci vedreste dentro una miniatura con la stessa forma del-
l'oggetto simulato. Nei computer che giocano a scacchi non c'è
alcuna "immagine mentale" nei banchi di memoria, che somi-
gli visivamente ad una scacchiera con pedoni e cavalli poggia-
ti su di essa. La scacchiera e la situazione di gioco attuale ven-
gono rappresentati con liste di numeri codificati elettronica-
mente. Per noi, una mappa è un modello miniaturizzato in
scala del mondo, compresso in due dimensioni. In un compu-
ter, una mappa si può rappresentare alternativamente come
una lista di città ed altri punti di interesse, ognuno con due
numeri ― la sua latitudine e longitudine. Ma non importa
307
come esattamente il computer memorizza il modello del
mondo nella sua testa, fino a che lo memorizza in una forma
in cui lo può manipolare facilmente, può farci esperimenti
sopra, e può restituirlo all'operatore umano in una forma che
lui può capire. Attraverso la tecnica della simulazione, delle
battaglie simulate possono essere vinte o perse, degli aerei si-
mulati possono atterrare o precipitare, e delle politiche econo-
miche possono portare alla prosperità o alla catastrofe. In ogni
caso l'intero processo si svolge all'interno del computer in una
piccola frazione del tempo che servirebbe nella vita reale. Na-
turalmente ci sono modelli del mondo buoni e modelli catti-
vi, ed anche quelli buoni sono soltanto approssimazioni. Nes-
suna quantità di simulazione può predire esattamente cosa ac-
cadrà nella realtà, ma una buona simulazione è enormemen-
te preferibile ad una cieca strategia basata su "tentativi ed er-
rori". [..]
Se la simulazione è davvero un'idea così buona, dovrem-
mo aspettarci che i geni l'abbiano scoperta prima di noi.
Dopo tutto, la selezione naturale ha inventato molte delle
tecniche dell'ingegneria umana, molto prima che l'uomo esi-
stesse: la lente e il riflettore parabolico, l'analisi della fre-
quenza delle onde sonore, i servo-controlli, il sonar, la me-
morizzazione bufferizzata dell'informazione in ingresso, e
innumerevoli altre invenzioni con nomi lunghi, i cui dettagli
non ci interessano. Che dire della simulazione? Beh, quando
tu hai una decisione difficile da prendere che coinvolge quan-
tità ignote nel futuro, tu stesso ti cimenti in una forma di si-
mulazione: cerchi di immaginare che cosa succederebbe se
prendessi ciascuna delle alternative che hai di fronte. Costrui-
sci un modello dentro la tua testa; non un modello di ogni
aspetto del mondo, ma di quelle entità del mondo che tu ritie-
ni rilevanti. Potresti vederle con chiarezza nel tuo "occhio
mentale", oppure potresti vedere e manipolare astrazioni sti-
lizzate di esse. In un modo o nell'altro è improbabile che da
qualche parte nel tuo cervello ci sia un vero e proprio modello
spaziale degli eventi che stai immaginando. Ma, proprio come
nel computer, i dettagli di come il tuo cervello rappresenta il
308
suo modello di mondo sono meno importanti del fatto che il
cervello riesce a usarlo per predire gli eventi possibili. Le mac-
chine di sopravvivenza che possono simulare il futuro sono
sempre avvantaggiate rispetto alle macchine di sopravviven-
za che possono imparare solo dai propri errori. Il problema
dei tentativi reali è che l'errore è spesso fatale. La simulazio-
ne è allo stesso tempo più sicura e più veloce.
[...]
Questo significa che] le macchine di sopravvivenza, diven-
tando esseri capaci di prendere decisioni, si sono emancipate
da coloro che in ultima analisi sono i loro padroni, i geni.
Non solo i cervelli sono oggi al comando nella quotidiana lotta
per la sopravvivenza, ma hanno anche acquisito la capacità di
predire il futuro e agire di conseguenza. Hanno persino il po-
tere di ribellarsi alla dittatura dei geni, per esempio rifiutan-
dosi di avere il maggior numero possibile di figli. Ma in que-
sto aspetto l'uomo è un caso molto speciale, come vedremo.
Che cosa c'entra tutto questo con l'egoismo e l'altruismo? Sto
cercando di articolare l'idea che il comportamento animale, al-
truistico o egoistico, è sotto il controllo dei geni solo in un sen-
so indiretto, ma ciononostante molto potente. I geni determi-
nano come vengono costruite le macchine di sopravvivenza
e i loro sistemi nervosi; in tal modo esercitano il loro potere
sul comportamento. Ma le decisioni specifiche su cosa fare
in ogni dato momento sono prese dal sistema nervoso. I geni
sono coloro che forniscono le politiche generali; i cervelli sono
gli esecutori. Ma man mano che i cervelli divenivano più svi-
luppati, si impadronivano di un sempre maggior potere di de-
cisione, usando, nel far ciò, trucchi come l'apprendimento e la
simulazione. La logica conclusione di questa tendenza, non
ancora raggiunta in alcuna specie, sarebbe che i geni dessero
alla macchina di sopravvivenza un'unica istruzione: fai qua-
lunque cosa ritieni sia la migliore per mantenerci in vita.
Le analogie con i computer e le decisioni umane sono affa-
scinanti. Ma ora dobbiamo tornare alla realtà e ricordare che
l'evoluzione avviene per piccoli passi, attraverso la sopravvi-

309
venza differenziata di alcuni geni all'interno del pool di
geni. Quindi, affinché possa evolversi una tendenza com-
portamentale ― altruistica o egoistica ― è necessario che un
gene "per" quel comportamento sopravviva nel pool di geni
con maggior successo di un gene rivale o allele "per" un
comportamento diverso.

PERCHÉ ESISTE L'ALTRUISMO


(da “Il gene egoista”, Richard Dawkins)

Per una macchina di sopravvivenza, un'altra macchina di


sopravvivenza (che non sia suo figlio o un altro parente
stretto) è parte dell'ambiente, come una roccia o un fiume o
un pezzo di cibo. E' qualcosa che si mette di traverso, oppure
qualcosa che può essere sfruttato. Differisce dalle rocce e dai
fiumi per un aspetto importante: tende a rispondere se viene
colpita. Questo perché anch'essa è una macchina che contiene i
propri geni immortali in custodia per il futuro, ed anch'essa
non si fermerà di fronte a nulla per preservarli. La selezione
naturale favorisce quei geni che controllano le loro macchi-
ne di sopravvivenza in modo da sfruttare l'ambiente nel
modo migliore. Questo include sfruttare al meglio le altre
macchine di sopravvivenza, sia della stessa specie che di spe-
cie differenti.
[..]
Le macchine di sopravvivenza di specie diverse si influenza-
no tra loro in vari modi. Possono essere predatori o prede, pa-
rassiti o ospiti di parassiti, o in competizione tra loro per risor-
se scarse. Le macchine di sopravvivenza possono essere sfrut-
tate in vari modi. [Ad esempio, le orchidee inducono le api a
copulare coi loro fiori, a causa della loro forte somiglianza con
le api femmine. Ciò che l'orchidea ottiene da questo inganno è
l'impollinazione, perché un'ape che venga ingannata da due
orchidee trasporterà il polline dall'una all'altra. Come altro
esempio, le lucciole attraggono i loro partner lampeggiando di
fronte a loro. Ogni specie di lucciola ha la sua particolare se-
310
quenza di lampeggio, il che impedisce la confusione tra le va-
rie specie, e la conseguente dannosa ibridazione. Proprio come
i marinai ricercano la sequenza di lampeggio di un preciso
faro, le lucciole ricercano sequenze della propria specie. Le
femmine del genere Photuris hanno "scoperto" che possono at-
tirare i maschi del genere Photinus se imitano il codice di lam-
peggio di una femmina Photinus. Così fanno, e quando un ma-
schio Photinus cade nell'imbroglio e si avvicina alla femmina,
viene da essa sommariamente mangiato.]
Le macchine di sopravvivenza della stessa specie tendono a
influenzarsi più direttamente tra loro. Questo per molte ragio-
ni. Una è che la metà della popolazione della tua stessa specie
potrebbe essere un partner potenziale di accoppiamento, e un
infaticabile e sfruttabile genitore per i tuoi figli. Un'altra ragio-
ne è che i membri della stessa specie, essendo macchine per
preservare i geni nello stesso tipo di ambiente, con lo stesso
stile di vita, competono tra loro in modo particolarmente di-
retto per tutte le risorse necessarie per vivere. Per un merlo,
una talpa può essere un concorrente, ma non un concorrente
tanto importante quanto un altro merlo. I merli e le talpe pos-
sono competere per i vermi, ma un merlo e un altro merlo
competono tra loro per vermi e ogni altra cosa. Se sono mem-
bri dello stesso sesso, possono competere anche per i partner
di accoppiamento. Per ragioni che vedremo, sono di solito i
maschi che competono tra loro per le femmine. Questo signifi-
ca che un maschio potrebbe dare beneficio ai propri geni se
produce qualche danno a un altro maschio con cui è in compe-
tizione.
Potrebbe quindi sembrare che la politica più logica sia as-
sassinare i rivali e, poi, preferibilmente mangiarli. Sebbene
l'assassinio e il cannibalismo in effetti accadano in natura, non
sono comuni come un'interpretazione ingenua della teoria del
gene egoista sembra predire. Konrad Lorenz, in Sull'aggressio-
ne, pone l'accento sulla natura "da gentiluomini" dei combatti-
menti tra animali. Per lui la cosa notevole sui combattimenti
tra animali è che sono dei tornei formali, combattuti secondo
regole come quelle della boxe o del fioretto. Gli animali com-
311
battono con guantoni e spade smussate. Minacce e bluff pren-
dono il posto di [deadly earnest]. I gesti di resa sono ricono-
sciuti dai vincitori, che evitano di dare quel colpo di grazia che
la nostra teoria ingenua potrebbe predire.
[...] Anche se è stata esagerata, questa visione "sportiva" dei
combattimenti animali sembra avere qualche verità. Superfi-
cialmente sembra una forma di altruismo. La teoria del gene
egoista deve affrontare il difficile compito di spiegarla. Perché
gli animali non uccidono semplicemente i membri rivali
della loro specie ogni volta che possono?
La risposta generale è che la pugnacità indiscriminata, ol-
tre a dare benefici, ha anche dei costi, e non solo i costi ovvi
in termini di tempo ed energia. Per esempio, supponiamo che
B e C siano entrambi miei rivali, e che mi capiti di incontrare
B. Potrebbe sembrare ragionevole che io, in quanto individuo
egoista, tenti di ucciderlo. Ma un momento. Anche C è mio ri-
vale, e C è anche rivale di B. Uccidendo B, sto potenzialmente
facendo un favore a C, eliminando uno dei suoi rivali. Potreb-
be essere meglio per me lasciare in vita B, perché allora egli
potrebbe competere o combattere con C, in tal modo benefi-
ciando indirettamente me. La morale di questo semplice esem-
pio ipotetico è che non c'è un vantaggio ovvio nel cercare di
uccidere indiscriminatamente i propri rivali. In un sistema di
rivalità grande e complesso, eliminare un rivale dalla scena
non è necessariamente bene: altri rivali potrebbero beneficiare
della sua morte più di me. Questa è la dura lezione imparata
dai funzionari della disinfestazione. Hai un grave parassita
che minaccia l'agricoltura, scopri un buon modo per stermi-
narlo e lo fai, solo per scoprire che un altro parassita beneficia
della sua eliminazione ancor più di quanto faccia l'agricoltura,
e finisci per stare peggio di prima.
D'altra parte, potrebbe sembrare un buon piano uccidere, o
almeno combattere con, alcuni rivali particolari in modo selet-
tivo. Se B è una foca-elefante che possiede un grande harem di
femmine, ed io, un'altra foca-elefante, posso acquisire il suo
harem uccidendolo, potrebbe convenirmi cercare di ucciderlo.
Ma ci sono costi e rischi anche in una pugnacità selettiva. E'
312
interesse di B rispondere all'attacco, per difendere la sua pre-
ziosa proprietà. Se io comincio un combattimento, ho le stesse
probabilità di morire che ha lui. Forse anche di più. Lui pos-
siede una risorsa di valore, ed è per questo che lo voglio sfida-
re. Ma perché la possiede? Forse l'ha vinta in combattimento.
Probabilmente ha sconfitto altri sfidanti prima di me. E' pro-
babilmente un bravo combattente. Anche se io vincessi ed ot-
tenessi l'harem, potrei uscirne così malconcio da non poterne
trarre beneficio. Inoltre, combattere consuma tempo ed ener-
gia. Potrei far meglio a conservarli per adesso. Se mi concentro
nel cibarmi e a tenermi fuori dai guai per un po', diventerò più
grande e più forte. Prima o poi lo sfiderò, ma, se aspetto, po-
trei avere maggiori possibilità di vincere.
Questo soliloquio soggettivo è solo un modo di evidenziare
che la decisione se combattere o meno dovrebbe essere prece-
duta da una complessa (seppure inconscia) valutazione costo-
beneficio. I benefici potenziali non sono tutti dalla parte del
combattere, sebbene alcuni di essi indubbiamente lo siano. Si-
milmente, durante il combattimento, ogni decisione tattica se
continuare il combattimento o scappare ha costi e benefici che,
in linea di principio, si possono valutare. Gli etologi l'hanno
compreso da molto tempo, ma è stato necessario l'ingegno di
John Maynard Smith, non comunemente considerato un eto-
logo, per esprimere chiaramente e decisamente quest'idea. [...]
Egli usa il ramo della matematica noto come Teoria dei Gio-
chi. Le sue idee eleganti si possono esprimere a parole senza
ricorrere a simboli matematici, sebbene pagando un piccolo
prezzo in termini di precisione.
Il concetto essenziale introdotto da Maynard Smith è quello
di strategia evolutivamente stabile, un'idea che risale a W.D.
Hamilton e R. H. MacArthur. Una "strategia" è una politica di
comportamento pre-programmata. Un esempio di strategia è:
"Attacca l'avversario; se scappa inseguilo; se risponde all'attac-
co scappa". E' importante capire che non stiamo pensando alle
strategie come se fossero attuate consciamente dagli individui.
Ricordate che stiamo dipingendo l'animale come una macchi-
na di sopravvivenza robot dotata di un computer pre-pro-
313
grammato che controlla i muscoli. Rappresentare la strategia
in lingua inglese è per noi solo un modo conveniente di pen-
sarla. Per mezzo di qualche meccanismo non specificato, l'ani-
male si comporta come se stesse seguendo quelle istruzioni.
Una "strategia evolutivamente stabile", o ESS, è definita
come una strategia che, se è adottata dalla maggior parte dei
membri della popolazione, non può essere migliorata da una
strategia alternativa. E' un'idea sottile e importante. Un altro
modo di mettere la questione è dire che che la strategia mi-
gliore per un individuo dipende da cosa fa la maggioranza
della popolazione. Poiché il resto della popolazione consiste
di individui, ognuno dei quali sta cercando di massimizzare il
proprio successo, l'unica strategia che persiste nella popolazio-
ne sarà quella che, una volta diffusa nella popolazione, non
può essere migliorata da un individuo che cerchi di cambiarla.
Se c'è un repentino cambiamento nell'ambiente, subito dopo ci
può essere un breve periodo di instabilità evolutiva, forse an-
che un'oscillazione nella popolazione. Ma una volta che una
ESS si è diffusa nella popolazione, rimarrà: la selezione pena-
lizzerà le deviazioni da essa.

LA TEORIA DEL GENE EGOISTA

Come applicazione pratica [dell'idea di teoria evolutivamen-


te stabile], considerate uno dei più semplici esempi ipotetici
fatti da Maynard Smith. Supponiamo che, in una popolazione
di una data specie, ci siano solo due tipi di strategie di com-
battimento , "colomba" e "falco". (I nomi si riferiscono all'uti-
lizzo umano convenzionale e non hanno connessione con le
abitudini degli uccelli in questione: le colombe sono in realtà
uccelli piuttosto aggressivi.) Qualunque individuo della no-
stra popolazione ipotetica è classificato come falco o come co-
lomba. I falchi combattono sempre senza risparmiarsi e con
più violenza possibile, ritirandosi solo quando sono seriamen-
te feriti. Le colombe lanciano soltanto minacce, senza mai far
male a nessuno. Se un falco si scontra con una colomba, la co-
lomba scappa via subito, per cui non resta ferita. Se un falco si
scontra con un falco continuano finché uno dei due non è se-
314
riamente ferito o morto. Se una colomba incontra un'altra co-
lomba, nessuno si fa male; i due continuano a insultarsi l'un
l'altro per molto tempo finché uno dei due si stanca o decide
di non perdere altro tempo, e quindi si ritira. Per ora, assumia-
mo che un individuo non abbia alcun modo di capire, in anti-
cipo, se un dato rivale è falco o colomba. Lo scopre solo com-
battendoci, e non ha memoria dei combattimenti passati con
particolari individui per guidarlo.
Ora, come convenzione puramente arbitraria, assegniamo
dei "punti" ai contendenti. Diciamo 50 punti per chi vince, 0
per chi perde, -100 per chi resta seriamente ferito, e -10 per chi
perde tempo facendo un lungo combattimento. Questi punti si
possono pensare come direttamente convertibili nella moneta
della sopravvivenza dei geni. Un individuo che vince molti
punti, cioè che ha in media un guadagno, è un individuo che
lascia molti geni dietro di lui, nel pool di geni. Entro certi lar-
ghi limiti, i valori numerici esatti non contano, ma ci aiutano a
ragionare sul problema.
La cosa importante è che non ci interessa se i falchi tende-
ranno o no a sconfiggere le colombe quando ci combattono
contro. Sappiamo già la risposta: i falchi vinceranno sempre.
Vogliamo sapere se falco e/o colomba sono strategie evoluti-
vamente stabili (ESS). Se una di esse è una ESS e l'altra no,
dobbiamo aspettarci che quella delle due che è ESS finisca
per evolversi. In teoria è possibile che ci siano due ESS. Que-
sto può essere vero se, qualunque fosse la strategia di maggio-
ranza nella popolazione, la miglior strategia per ogni dato in-
dividuo fosse di adeguarsi alla maggioranza. In tal caso la po-
polazione tenderebbe a rimanere in qualunque dei due stati
stabili fosse casualmente raggiunto per primo. Comunque,
come vedremo, nessuna delle due strategie, falco o colomba, è
in realtà evolutivamente stabile da sola, e quindi non dobbia-
mo aspettarci che nessuna delle due si evolva. Per mostrare
questo dobbiamo calcolare il tornaconto medio.
Supponiamo di avere una popolazione che consiste intera-
mente di colombe. Ogni volta che combattono, nessuno resta
ferito. Il combattimento consiste di lunghi tornei rituali, ad
315
esempio consistenti nel guardarsi negli occhi, che terminano
quando uno dei due rivali si volta. Allora il vincitore guada-
gna 50 punti perché ottiene la risorsa che era oggetto della
contesa, ma paga una penalità di -10 per aver perso tempo in
un lungo scontro di sguardi, così totalizza 40 punti al netto.
Anche il perdente viene penalizzato: -10 punti per aver perso
tempo. In media, un individuo può aspettarsi di vincere la
metà degli scontri e di perderne la metà. Quindi il suo torna-
conto medio per ciascuno scontro è il valore medio tra +40 e
-10, che è +15. Quindi, ogni individuo in una popolazione di
colombe sembra passarsela piuttosto bene.
Ma ora supponiamo che un falco mutante compaia nella
popolazione. Poiché è l'unico falco nei paraggi, tutti i combat-
timenti che fa sono contro una colomba. I falchi battono sem-
pre le colombe, così vince +50 ad ogni combattimento, ed è
questo il tuo tornaconto medio. Egli ottiene un enorme succes-
so rispetto alle colombe, il cui tornaconto netto è solo +15.
Come risultato, i geni del falco si diffonderanno rapidamen-
te nella popolazione. Ma adesso ogni falco non può più confi-
dare che tutti i rivali che incontrerà saranno colombe. Per fare
un esempio estremo, se il gene del falco si diffondesse con tale
successo che l'intera popolazione finisse per essere di falchi,
tutti i combattimenti sarebbero ora tra falchi. Insomma le cose
ora sono molto diverse. Quando un falco incontra un falco,
uno dei due è seriamente ferito, totalizzando -100, mentre il
vincitore totalizza +50. Ogni falco in una popolazione di falchi
può aspettarsi di vincere la metà dei suoi combattimenti e di
perderne la metà. Il suo tornaconto medio atteso è quindi a
metà tra +50 e -100, che è -25. Ora considerate una singola co-
lomba in una popolazione di falchi. Certamente perde tutti gli
scontri, ma d'altra parte non si fa mai male. Il suo tornaconto
medio è 0 in una popolazione di falchi, mentre il tornaconto
medio di un falco nella stessa popolazione è -25. I geni della
colomba tenderanno quindi a diffondersi nella popolazione.
Per come ho raccontato la storia sembra che ci debba essere
una oscillazione continua nella popolazione. I geni del falco
saliranno rapidamente; poi, come conseguenza della maggio-
316
ranza di falchi, i geni della colomba otterranno un vantaggio e
aumenteranno di numero fino a che ancora una volta i geni
del falco cominceranno a prosperare, e così via. D'altra parte,
una simile oscillazione non deve necessariamente avvenire.
Esiste una proporzione stabile tra i falchi e le colombe. Nel
sistema di punti arbitrario che stiamo usando, questo rapporto
stabile, se lo calcoliamo, risulta essere 5/12 di colombe e 7/12
di falchi. Quando questo rapporto stabile viene raggiunto, il
tornaconto medio per i falchi è esattamente uguale al torna-
conto medio per le colombe. Quindi la selezione non favorisce
nessuno dei due rispetto all'altro. Se il numero di falchi nella
popolazione cominciasse a salire in modo che la proporzione
non fosse più 7/12, le colombe comincerebbero ad avere un
vantaggio extra, e la proporzione ritornerebbe presto a quella
stabile. Proprio come troveremo che il rapporto stabile tra i
sessi è 50:50, così il rapporto stabile tra falchi e colombe in
questo esempio ipotetico è 7:5. In ciascuno dei due casi, se ci
sono oscillazioni intorno al punto stabile, non c'è bisogno che
siano molto grandi.
Superficialmente, questo assomiglia un po' alla selezione di
gruppo, ma in realtà non è nulla del genere. Assomiglia alla
selezione di gruppo perché ci permette di pensare a una popo-
lazione come se avesse un equilibrio stabile al quale tende a ri-
tornare quando è disturbato. Ma l'ESS è un concetto molto più
sottile della selezione di gruppo. Non ha niente a che fare con
gruppi che hanno più successo di altri. Questo si può illustra-
re bene mediante il sistema di punti arbitrario del nostro
esempio ipotetico. Il tornaconto medio di un individuo in una
popolazione stabile fatta di 7/12 falchi e 5/12 colombe risulta
essere 6 * 1/4. Questo è vero sia se l'individuo è un falco sia se
è una colomba. Ora 6*1/4 è molto meno del tornaconto medio
di una colomba in una popolazione di colombe (che è 15). Se
solo tutti si accordassero per essere colombe, ogni singolo
individuo ne trarrebbe beneficio. Secondo la semplice sele-
zione di gruppo, qualunque gruppo in cui tutti gli individui
si accordano per essere colombe avrebbe molto più successo
di un gruppo rivale che si trova in una situazione ESS. (Tra
317
parentesi, una cospirazione fatta solo di colombe non è il
gruppo di maggior successo possibile. In un gruppo che consi-
ste di 1/6 falchi e 5/6 colombe, il tornaconto medio per combat-
timento è 16 * 2/3. Questa è la cospirazione di maggior succes-
so possibile, ma per gli scopi attuali possiamo ignorarla. Una
più semplice cospirazione di sole colombe, con un tornaconto
medio doi 15 per ogni individuo, è molto meglio della ESS per
ogni singolo individuo.) La teoria della selezione di gruppo
predirebbe quindi l'evoluzione di una cospirazione di sole
colombe, poiché un gruppo che contiene una proporzione 7/12
di falchi avrebbe meno successo. Ma il problema delle cospi-
razioni, anche quelle che fanno l'interesse di tutti a lungo
termine, è che sono vulnerabili al tradimento. E' vero che
ognuno si avvantaggia in un gruppo di sole colombe più di
quanto farebbe in un gruppo ESS. Ma, sfortunatamente, in
una cospirazione di colombe, un singolo falco ha così tanto
successo che niente può fermare l'evoluzione dei falchi. La
cospirazione è quindi destinata ad essere distrutta dal tradi-
mento dall'interno. Una ESS è stabile, non perché è particola-
mente vantaggiosa per gli individui che vi partecipano, ma
semplicemente perché è immune al tradimento dall'interno.

318
APPENDICE. APPROFONDIMENTI E
CURIOSITÀ

319
ARGOMENTI BAYESIANI PER L'ESISTENZA DI DIO
(da “L'Illusione di Dio”, Richard Dawkins)

Credo che il tentativo più strano che ho mai sentito di argo-


mentare l'esistenza di Dio sia l'argomento bayesiano, recente-
mente avanzato da Stephen Unwin in "The probability of
God". Ho esitato un po' prima di includere nel libro questo ar-
gomento, che è più debole degli altri e non è reso altrettanto
celebre dall'antichità. Il libro di Unwin, comunque, ha ricevu-
to una notevole attenzione giornalistica quando fu pubblicato
nel 2003 e, inoltre, mi dà l'opportunità di raggruppare insieme
alcuni temi chiarificatori. In realtà ho una certa simpatia per
gli obiettivi di Unwin perché, come ho sostenuto nel capitolo
2, credo che l'esistenza di Dio sia un'ipotesi scientifica su cui si
può, almeno in linea di principio, investigare. Inoltre, il tenta-
tivo donchisciottesco di Unwin di quantificare la probabilità
di Dio con un numero è innegabilmente divertente.
Il sottotitolo del libro, "un semplice calcolo che dimostra la
Verità Definitiva", ha tutta l'apparenza di essere un'aggiunta a
posteriori dalla casa editrice, perché questo tipo di eccessiva
confidenza non si ritrova nel testo di Unwin. Il libro andrebbe
piuttosto considerato come una "guida rapida", una specie di
"teorema di Bayes per persone un po' tarde" [for dummies],
che usa l'esistenza di Dio come applicazione pratica semiseria.
Unwin avrebbe potuto usare anche un omicidio ipotetico
come applicazione pratica per esemplificare il teorema di
Bayes. Il detective soppesa l'evidenza. [Dawkins usa d'ora in
poi i nomi classici dei personaggi di Cluedo] Le impronte digi-
tali sulla pistola incriminano Mrs Peacock. Quantifica quel so-
spetto assegnando una probabilità numerica su di lei. Però, il
professor Plum aveva un movente per incastrarla. Riduci il so-
spetto su Mrs Peacock di un corrispondente valore numerico.
L'evidenza forense suggerisce una probabilità del 70% che la
pistola abbia sparato accuratamente da una lunga distanza, il
che sembra spostare i sospetti su qualcuno militarmente adde-
320
strato. Quantifica questo nuovo sospetto ed attribuiscilo al co-
lonnello Mustard. Il reverendo Green ha però il movente più
plausibile per il delitto (a proposito, il reverendo Green è il
nome del personaggio nelle versioni di Cluedo vendute in
Gran Bretagna ― dove il gioco è nato ―, Australia, Nuova Ze-
landa, India e tutte le altre regioni dove si parla inglese, tranne
in Nord America, dove per magia diventa Mr Green. Che sta
succedendo?). Aumenta la nostra stima numerica della sua
probabilità di essere colpevole. Ma il lungo capello biondo
sulla giacca della vittima potrebbe appartenere soltanto a Miss
Scarlet... e così via. Nella mente del detective si forma così un
miscuglio di probabilità giudicate più o meno soggettivamen-
te, che lo tirano in direzioni diverse. Il teorema di Bayes serve
ad aiutarlo a raggiungere una conclusione. È un meccanismo
matematico per combinare molte probabilità stimate ed otte-
nere un verdetto finale, che possiede anch'esso una certa pro-
babilità stimata di esattezza. Ma naturalmente la stima finale è
buona solo quanto i numeri originali dati in input. Questi nu-
meri di solito sono giudicati soggettivamente, con tutti i dubbi
che inevitabilmente ne derivano. Si applica in questo caso il
principio GIGO (garbage in, garbage out [se entra robaccia,
esce robaccia]) ― e, nel caso del Dio di Unwin, "si applica" è
un termine troppo blando.
Unwin di mestiere è consulente sulla gestione dei rischi, e
sostiene accoratamente l'uso dell'inferenza bayesiana contro i
metodi statistici alternativi. Egli illustra il teorema di Bayes
applicandolo non a un semplice omicidio, ma al più grande
"test su strada" di tutti, l'esistenza di Dio. La sua strategia è co-
minciare con un'incertezza totale, che egli sceglie di quantifi-
care assegnando all'esistenza e all'inesistenza di Dio la stessa
probabilità del 50%. Poi elenca sei fatti che potrebbero essere
rilevanti nella questione, trasformati in numeri per amore del-
l'esercizio. I sei fatti sono:
1. Abbiamo un senso di bontà.
2. Le persone fanno cose malvagie (Hitler, Stalin, Sad-
dam Hussein).

321
3. La natura fa cose malvagie (terremoti, tsunami, ci-
cloni).
4. Potrebbero esserci dei piccoli miracoli (ho perso le
chiavi e le ho ritrovate).
5. Potrebbero esserci dei grandi miracoli (Gesù potreb-
be essere resuscitato).
6. Le persone hanno esperienze religiose.
Per ciò che vale (niente, a mio parere), dopo questa strana
corsa bayesiana, dove Dio prima si porta in vantaggio nelle
scommesse, poi ritorna indietro, poi ritorna in vantaggio oltre
il 50% da cui è partito, alla fine Dio si ritrova con un meritato,
secondo la stima di Unwin, 67% di probabilità di esistere.
Unwin decide poi che il suo verdetto bayesiano del 67% non è
abbastanza alto, così fa la bizzarra mossa di incrementarlo a
95%, per mezzo di un'emergenziale iniezione di "fede". Sem-
bra uno scherzo, ma è davvero così che procede. Vorrei poter-
vi dire come lo giustifica, ma davvero non c'è niente di più.
Ho incontrato altrove questo tipo di assurdità, quando sfidavo
alcuni scienziati, religiosi ma a parte questo intelligenti, a giu-
stificare la loro credenza, data la loro ammissione che non esi-
ste evidenza in favore di Dio: "Ammetto che non c'è evidenza.
C'è un motivo per cui si chiama fede." (quest'ultima frase pro-
nunciata con una convinzione quasi truculenta, e nessun ac-
cenno di scusa o di tono difensivo).
Sorprendentemente, la lista di sei affermazioni compilata da
Unwin non comprende l'argomento della progettazione, né al-
cuna delle cinque "dimostrazioni" di Tommaso d'Aquino, né
alcuno dei vari argomenti ontologici. Li ignora completamen-
te: non contribuiscono nemmeno un pochino alla sua stima
della probabilità di Dio. Li discute e poi, da bravo statistico, li
liquida come vacui. Credo che questo vada a suo merito, seb-
bene la ragione per cui disdegna l'argomento della progetta-
zione sia diversa dalla mia. Ma gli argomenti che egli invece
ammette sono, mi sembra, ugualmente deboli. Il che significa
solo che i pesi soggettivi di probabilità che io darei loro sono
differenti da quelli scelti da lui, e, in ogni caso, chi se ne impor-
322
ta dei giudizi soggettivi? Lui ritiene che il fatto che noi abbia-
mo un senso di giusto e sbagliato conti fortemente in favore
dell'esistenza di Dio, mentre io non penso che debba spostare
la probabilità, in nessuna delle due direzioni, dall'aspettativa
iniziale. I capitoli 6 e 7 mostreranno che non ci sono buoni ar-
gomenti per sostenere che il fatto che possediamo un senso di
giusto è sbagliato abbia una connessione chiara con l'esistenza
di una divinità soprannaturale. Come nel caso della nostra ca-
pacità di apprezzare un quartetto di Beethoven, il nostro senso
di bontà (sebbene non necessariamente la nostra tendenza a
seguirlo) sarebbe uguale sia con Dio sia senza Dio.
D'altra parte, Unwin ritiene che l'esistenza del male, spe-
cialmente le catastrofi naturali come i terremoti e gli tsunami,
conti fortemente contro la probabilità che Dio esista. Qui, il
giudizio di Unwin è opposto al mio ma concorda con molti
teologi inquieti. La "teodicia" (la giustificazione della provvi-
denza divina in un universo dove esiste il male) tiene svegli i
teologi la notte. L'autorevole "Oxford Companion to Theolo-
gy" descrive il problema del male come "la più forte obiezione
al teismo tradizionale". Ma è solo un argomento contro l'esi-
stenza di un Dio buono. La bontà non è parte della definizione
dell'ipotesi di Dio, ma solo un'aggiunta desiderabile.
Certo, le persone con tendenze teologiche sono spesso croni-
camente incapaci di distinguere ciò che è vero da ciò che vor-
rebbero fosse vero. Ma, per un più sofisticato credente in qual-
che tipo di intelligenza sovrannaturale, è puerilmente facile ri-
solvere il problema del male. Basta postulare un Dio malva-
gio ― come quello che danna ogni pagina del vecchio testa-
mento. Oppure, se non vi piace, inventate un Dio malvagio se-
parato, chiamatelo Satana, e date la colpa alla sua battaglia co-
smica contro il dio buono per il trionfo del male del mondo.
Oppure ― soluzione più sofisticata ― postulate un Dio con
cose più importanti da fare che perdere tempo sugli affanni
umani. Oppure un Dio che non è indifferente alla sofferenza
ma la considera il prezzo da pagare in cambio del libero arbi-
trio in un cosmo ordinato e regolato da leggi. Per ognuna di
queste razionalizzazioni si possono trovare dei teologi a soste-
323
nerla.
Per queste ragioni, se io rifacessi l'esercizio bayesiano di Un-
win, né il problema del male né alcuna considerazione morale
in generale mi farebbero allontanare, in un modo o nell'altro,
dall'ipotesi nulla (il 50% di Unwin). Ma non voglio andare ol-
tre in questo discorso perché, in ogni caso, non riesco ad emo-
zionarmi delle opinioni personali di qualcuno, che si tratti di
Unwin o di me.
Esiste un argomento molto più potente, che non dipende dal
giudizio soggettivo, ed è l'argomento dell'improbabilità.
Questo sì, ci porta drammaticamente lontani dall'agnosticismo
del 50%: secondo molti teisti ci porta molto vicini all'estremo
del teismo, e secondo me ci porta molto vicini all'estremo del-
l'ateismo. Ho già fatto molte allusioni a questo argomento.
L'intero argomento gira intorno alla domanda familiare "chi
ha creato Dio?", che la maggior parte delle persone pensanti
scoprono da sole. Un Dio progettista non si può usare per
spiegare la complessità organizzata, perché qualunque Dio
capace di progettare alcunché dovrebbe essere abbastanza
complesso da richiedere lo stesso tipo di spiegazione a sua
volta. Dio presenta un regresso infinito dal quale non può aiu-
tarci a fuggire. Questo argomento, come mostrerò nel prossi-
mo capitolo, dimostra che Dio, sebbene non tecnicamente fal-
sificabile, è davvero molto, molto improbabile.

LA SCOMMESSA DI PASCAL
(articolo di Sam Harris )

Il resoconto del Newsweek del mio recente dibattito inizia e


finisce con Jon Meacham e Rick Warren che menzionano con
ammirazione la Scommessa di Pascal. Come molti lettori ri-
corderanno, Pascal suggerì che i credenti religiosi stanno fa-
cendo la scommessa più giusta tra due scommesse: se un cre-
dente si sbaglia su Dio, non c'è gran danno per lui e per nes-
sun altro, e se ha ragione, ottiene in premio la felicità eterna;
se un ateo si sbaglia, invece, è destinato all'inferno. Posta così
324
la questione, l'ateismo sembra la più pura rappresentazione di
stupidità.
Ma ci sono molte assunzioni discutibili nell'argomento di
Pascal. Una è l'assunzione che le persone non paghino un
prezzo terribile per la fede religiosa. A tal proposito vale la
pena di ricordare che tipo di costi, grandi e piccoli, stiamo pa-
gando a causa della religione. Con la tecnologia distruttiva che
si sta diffondendo nel mondo con l'efficienza del 21esimo se-
colo, qual è il costo sociale di milioni di musulmani che cre-
dono nella metafisica del martirio? Chi ha voglia di quanti-
ficare il danno delle profonde divergenze religiose che i
sunniti e gli sciiti stanno ora esprimendo in Iraq (con auto-
bombe e trapani elettrici)? Qual è l'effetto netto della cre-
denza di così tanti ebrei che il Creatore dell'universo abbia
promesso loro un pezzo di deserto nel Mediterraneo? [A tal
proposito, vedere anche l'esperimento sui bambini israeliani
descritto a pagina 75]. Quali sono stati i costi psicologici impo-
sti dall'ossessione cristiana in materia di sesso in queste ultime
settanta generazioni? I costi attuali della religione sono incal-
colabili. E sono dolorosi.
Mentre la reputazione di Pascal come brillante matematico è
meritata, la sua scommessa non è mai stata niente più di una
accattivante (e falsa) analogia. Come molte idee accattivanti in
filosofia, si ricorda facilmente e viene spesso ripetuta, e questo
le ha conferito un'aria immeritata di profondità. Se la logica
della "scommessa" fosse valida, potrebbe essere usata per
giustificare qualunque sistema di credenze (non importa
quanto ridicolo) come una "buona scommessa". I musulmani
potrebbero usarla per supportare l'affermazione che Gesù non
fu divino (il Corano afferma che chiunque creda nella divinità
di Gesù andrà all'inferno); I buddisti potrebbero usarla per
supportare la dottrina del karma e della reincarnazione; e gli
editori del TIME potrebbero usarla per persuadere il mondo
che chiunque legga il Newsweek è destinato alla dannazione.
Ma il problema più grave della Scommessa ― ed è il proble-
ma che infetta il pensiero religioso in generale ― è l'assunzio-
ne che una persona razionale possa costringere se stessa a
325
credere in una proposizione per la quale non possiede alcu-
na evidenza. Una persona può professare qualsiasi credo vo-
glia, naturalmente, ma, per credere davvero qualcosa, deve
anche credere che la cosa in questione sia vera. Credere che
esiste un Dio, ad esempio, significa credere che non ti stai solo
prendendo in giro; significa credere che il tuo modo di porti
verso l'esistenza di Dio è tale che, se Egli non esistesse, non
crederesti in lui. Come si adatta a questo schema la scommes-
sa di Pascal? Non ci si adatta affatto.
Le credenze non sono come i vestiti: non si possono sce-
gliere in base alla loro comodità, utilità e attrattività. Almeno
non consciamente. E' vero che le persone spesso credono alcu-
ne cose per cattive ragioni ― l'auto-inganno, il pensiero otti-
mista, e molte altre parzialità cognitive annebbiano davvero il
nostro pensiero ― ma le cattive ragioni tendono a funzionare
solo quando non ci rendiamo conto che sono cattive. Invece la
scommessa di Pascal suggerisce che una persona razionale
possa consciamente credere in una proposizione per la pura
preoccupazione di una gratificazione futura. Sospetto che nes-
suno acquisisca le proprie credenze in questo modo (Pascal
certamente non lo faceva). Ma anche se alcune persone lo fa-
cessero, chi potrebbe essere così sciocco da pensare che delle
credenze acquisite in questo modo abbiano probabilità di esse-
re vere?

“LA RAGIONE NON SI APPLICA A DIO”


Durante il question-time di una conferenza tenuta da Richard
Dawkins per presentare il suo ultimo libro "L'Illusione di
Dio”, uno spettatore pose a Dawkins la seguente obiezione:
Il problema nel tuo ragionamento è che stai applicando
le leggi naturali a Dio, il quale afferma di esistere fuori
da esse, quindi Dio non necessita di un inizio, diversa-
mente dalla materia, la quale ha bisogno di un inizio.
Dawkins rispose:

326
Beh, ma non ti pare troppo facile? [il pubblico ride] Voglio
dire: tu ti stai esimendo dal dovere di fornire un argo-
mento razionale, semplicemente affermando per "fiat"
che Dio... [è interrotto da applausi]... che Dio semplice-
mente dichiara di essere fuori dalla materia, e quindi non
ha bisogno dello stesso tipo di argomentazione che riser-
viamo a qualunque altra cosa. Se veramente una cosa
del genere ti convince... sei il benvenuto.

IL FIREWALL DELLA FEDE


(discorso di Richard Dawkins ad una conferenza)

Prima di cominciare vorrei brevemente rispondere a un paio


di affermazioni fatte dal dottor Spivey che ha parlato prima di
me. Egli ha sostenuto che la nostra battaglia [per sensibilizzare
le persone ai pericoli della religione] sia destinata alla sconfitta
in quanto la religione fa parte della nostra natura di esseri
umani. Ebbene, dottor Spivey, parla per te. Non fa parte del-
la mia natura, e non fa parte della natura della stragrande
maggioranza dei miei amici nelle università di Gran Bretagna,
Stati Uniti e ovunque altro.
Spivey ha anche detto: se non avessimo la religione, come fa-
remmo senza la Cappella del King's College, senza la Cappella
Sistina, eccetera? Beh, sapete com'e: gli artisti devono pur
mangiare. [Il pubblico ride] E, al tempo in cui fu costruita la
Cappella Sistina e fu dipinto il suo soffitto, sapete bene chi
aveva i soldi. Artisti come Michelangelo dovevano andare
dove era il patronato. Non sapremo mai che soffitto avrebbe
potuto dipingere Michelangelo se gli fosse stato commissio-
nato di dipingere, per esempio, il museo della scienza. Non
sapremo mai come avrebbe potuto essere "l'oratorio evoluzio-
nistico" di Haydn... [Il pubblico ride] o la "sinfonia mesozoica"
di Beethoven. [Il pubblico ride].
Ora, suppongo che un difensore della religione, molto pro-
babilmente, avanzerebbe quattro ragioni per credere che la re-
ligione sia una cosa buona; quattro cose che la religione fa per
327
noi, ed io le chiamo "spiegazione" (spiegare il mondo, da dove
veniamo, da dove viene l'universo, e così via), "esortazione"
(il che significa l'esortazione morale; cosa è bene, cosa è male);
"ispirazione" e "consolazione". Credo che il mio collega An-
thony Grayling, nel suo discorso, coprirà alcuni aspetti dell'e-
sortazione, così farò meglio ad essere breve su di essa.
Per quanto riguarda la consolazione, incontro spesso perso-
ne che dicono "ma se togli la religione alle persone, come fa-
ranno a sopravvivere? Come faranno ad andare avanti quan-
do perdono una persona amata, o quando temono la morte
per se stessi?". È un argomento ragionevole. È certamente pos-
sibile ottenere consolazione da una bugia. Molte persone,
quando chiediamo loro se vorrebbero che il medico dicesse
loro la verità, nel caso avessero una malattia mortale e restas-
sero loro soltanto sei mesi di vita, rispondono "no, preferirei
che il medico mi mentisse". In questo non c'è niente di male;
ed io rispetterei questo desiderio, se fossi un medico e pensas-
si che il paziente volesse che io gli mentissi. Ma non credo che
questa sia dignitosa come giustificazione generale della reli-
gione. A meno che, naturalmente, essa [la religione] non sia
vera. Non abbiamo tempo di entrare nel merito, ma credo che
ci siano ottime, ottime ragioni per credere che non c'è assolu-
tamente alcuna base per credere che ci sia alcuna verità nelle
affermazioni della religione. Così, coloro che ottengono conso-
lazione dalla religione... confesso che li assimilo a dei bambi-
ni con un ciuccio in bocca; non credo che sia una posizione
molto dignitosa, molto degna di rispetto, per un adulto, anda-
re in giro succhiando un ciuccio. Ed è essenzialmente questo
che essi fanno.
Ispirazione. Trovo che l'ispirazione fornita dalla religione
(il paradiso dichiara la gloria di Dio, tutte le cose luminose e
meravigliose, e così via) sia una completa robaccia, parroc-
chiale, di vedute limitate, se comparata con l'ispirazione che
si può ottenere contemplando il mondo della scienza: lo spa-
zio profondo, il tempo profondo, e, come il defunto Carl Sa-
gan ci ha insegnato, la profonda complessità nello studio del-
la vita. Lo studio scientifico di questi profondi, meravigliosi,
328
eleganti misteri è uno dei più grandi traguardi raggiunti dal-
lo spirito umano, e, fino al punto in cui la religione offre
un'alternativa, o addirittura ostacola l'attività scientifica, credo
che staremmo tutti meglio senza di essa.
Il che mi porta all'altra delle mie quattro categorie, la spiega-
zione. Nel campo della spiegazione, la scienza ha tutte le carte
in mano. La religione una volta aspirava ad avere una mano
di carte decente, ma oggi non più. Non c'è ragione di suppor-
re che alcuna religione, alcun libro religioso, alcun inse-
gnante di religione, abbia alcunché da dire su domande
come "da dove viene l'universo", "da dove veniamo", "perché
esiste la vita", "a cosa serve la vita". Oggi sappiamo che tutte
le risposte date dalla religione a queste domande, che una
volta erano le migliori risposte disponibili, sono completa-
mente sbagliate. Non c'è assolutamente alcuna evidenza per
esse.
Ed è molto peggio di così. Il punto centrale con cui vorrei
terminare è che la religione corrompe l'educazione, in quanto
interferisce in grande misura con l'istruzione dei bambini e de-
gli studenti. Non è solo che ai bambini vengono insegnate
cose false; è che l'indottrinamento dei bambini che la fede
sia una virtù li porta ad essere immunizzati, messi in guar-
dia, contro i nemici della fede, che si dice loro arriveranno; le
loro menti diventano come dei computer che erigono un fi-
rewall per impedire l'ingresso di informazioni. Ho parlato
con dei miei colleghi in America, scienziati che cercavano di
tenere conferenze di biologia agli studenti (e naturalmente la
biologia non ha senso senza l'evoluzione), e ogni volta che la
conferenza menzionava l'evoluzione, i miei colleghi vedevano
un mare di teste che si muovevano facendo segno di "no",
braccia incrociate, e persone che non ascoltavano. Sono adde-
strati per dare le risposte giuste, per mettere le crocette nel po-
sto giusto, negli esami; sanno come rispondere agli esami sul-
l'evoluzione; ma sono stati in anticipo messi in guardia, coraz-
zati dal firewall della fede, per tapparsi di fatto le orecchie
ogni volta che l'insegnante parla di evoluzione. E questo signi-
fica corrompere l'educazione. Ecco una citazione da Kurt
329
Wise, un geologo americano. Egli studiò geologia ad Harward
(nientemeno), sotto la guida di Stephen J. Gould (nientemeno),
ed era bene instradato verso una carriera eccellente di geologo
accademico, carriera che aveva desiderato disperatamente per
tutta la vita. Il problema venne da dentro di lui, ed era la sua
educazione religiosa ― il suo firewall di fede. Non riusciva a
riconciliare la sua educazione scientifica con la sua religione,
per cui letteralmente prese un paio di forbici e ritagliò via dal-
la Bibbia tutti i versi a cui avrebbe dovuto rinunciare se voleva
accettare la sua educazione scientifica. Scrisse:
Per quanto mi sforzassi, anche se avevo lasciato intatti i
margini di tutte le pagine della Bibbia, mi era impossibi-
le prenderla in mano senza che essa si spaccasse in due.
Dovevo scegliere tra l'evoluzione e le scritture. O le scrit-
ture erano vere e l'evoluzione era falsa, oppure l'evolu-
zione era vera e dovevo gettar via la Bibbia... fu lì, in
quella precisa notte, che accettai la parola di Dio e rifiu-
tai tutto ciò che la potesse mai contraddire. E con questo,
con grandissima tristezza, gettai nel fuoco tutti i miei so-
gni e tutte le speranze nella scienza.
[..] io sono un creazionista che crede nella "terra giova-
ne" perché questo dicono le scritture, quali io le com-
prendo. Come ho confidato ai miei professori anni fa
quando ero in college, se anche tutta l'evidenza dell'u-
niverso dovesse contraddire il creazionismo, io sarei il
primo ad ammetterlo, ma resterei ancora creazionista,
perché questo è ciò che la parola di Dio sembra indica-
re. Io devo stare da questa parte.
Se la religione può fare tutto questo ad un geologo di Har-
vard di grande istruzione, provate a immaginare cosa può
fare ad un normale bambino che va a scuola.

330
L'INSEGNAMENTO DELLA RELIGIONE
(articolo di Daniel Dennett)

Come insegnare ai nostri figli


Nel mio recente libro, Rompere l'Incantesimo, ho sostenuto
l'introduzione di un corso di insegnamento obbligatorio sul-
le religioni del mondo, in tutte le scuole, pubbliche, private e
casalinghe. Ecco cosa ho scritto:
Forse potremmo confidare di più nelle scelte informate
delle persone, in ogni parte del globo, e quindi potrem-
mo lasciarli liberi di compiere scelte informate. Scelta in-
formata! Che idea formidabile e rivoluzionaria! Forse
dovremmo confidare nelle scelte delle persone; non ne-
cessariamente che facciano le scelte che noi raccoman-
diamo loro, ma che facciano le scelte che hanno la mi-
gliore probabilità di soddisfare quegli obiettivi che loro
fissano per se stessi.
Ma cosa dobbiamo insegnar loro, finché non sono ab-
bastanza informati e maturi per decidere da soli? Inse-
gniamo loro tutte le religioni del mondo, a livello di
nozioni, in modo biologicamente e storicamente infor-
mato, proprio come insegniamo la geografia, la storia e
l'aritmetica.
Aumentiamo l'insegnamento della religione nelle no-
stre scuole, anziché diminuirlo. Dovremmo insegnare
ai nostri figli i credo e le tradizioni, le proibizioni e i
rituali, i testi e la musica, e, quando arriviamo alla sto-
ria della religione, dovremmo includere sia i fatti posi-
tivi (il ruolo delle Chiese nei movimenti per i diritti civi-
li degli anni 60, la fioritura della scienza e dell'arte nel
primo Islam, e il ruolo dei Musulmani Neri nel portare
speranza, onore ed autostima nella vita altrimenti di-
strutta di molti carcerati nelle nostre prigioni, per esem-
pio) sia i fatti negativi (l'inquisizione, l'antisemitismo in
tutte le epoche, il ruolo della Chiesa cattolica nel diffon-
dere l'Aids in Africa opponendosi ai preservativi).

331
Nessuna religione dovrebbe essere favorita, e nessuna
ignorata. E man mano che scopriamo nuove basi biologi-
che e psicologiche delle pratiche e degli atteggiamenti
religiosi, queste scoperte dovrebbero essere aggiunte al
curriculum, esattamente come aggiorniamo la nostra
istruzione sulla scienza, la salute, e gli eventi attuali.
Questo dovrebbe far parte del curriculum obbligatorio
sia delle scuole pubbliche sia delle scuole casalinghe.
Ecco una proposta, quindi: finché i genitori non inse-
gnano ai loro bambini niente che possa chiudere loro
la mente ― attraverso la paura, o l'odio, o rendendoli
incapaci di effettuare indagini (negando loro un'istru-
zione, per esempio, o mantenendoli completamente
isolati dal mondo) ― allora possono insegnare ai loro
bambini qualunque dottrina religiosa vogliano.
È solo un'idea, e forse ce ne sono di migliori da conside-
rare, ma dovrebbe piacere agli amanti della libertà di
tutto il mondo: l'idea di richiedere ai devoti di tutte le
fedi di mettere il proprio credo in concorrenza con gli
altri; di assicurarsi che il loro credo sia abbastanza di
valore, abbastanza attraente e plausibile e sensato, da
resistere alla tentazione dei suoi concorrenti. Se invece
hai bisogno di incappucciare ― o accecare ― i tuoi
bambini per esser sicuro che da adulti scelgano la tua
stessa fede, allora è meglio che la tua fede si estingua.
Nell'anno che è trascorso dopo la pubblicazione del mio li-
bro, questa proposta ha generato molta discussione, e non
sono stato sorpreso di scoprire che molti personaggi religiosi
di spicco, tra cui alcuni molto conservatori, sono stati favore-
voli ad essa.
Non sono affatto impauriti all'idea di sottoporre i loro bam-
bini ad una grande e bilanciata dose di fatti ― non valori, non
propaganda ― su tutte le religioni del mondo, inclusa la pro-
pria. Essi sono d'accordo con me che questa sia, in effetti, una
misura per la salute pubblica: aprendo la mente dei giovani e
dando loro una quantità comune di conoscenza reciproca su
332
tutte le religioni, proteggono tutte queste menti da quelle
forme tossiche di religione che spuntano fuori qua e là in
ogni tradizione. Ma ci sono alcune obiezioni a cui bisogna ri-
spondere.
Primo, le persone vogliono sapere come si possa mai decide-
re il curriculum esatto. Chi "deciderebbe" quali fatti sono ri-
chiesti e quali si possono omettere? Di certo, pensano le perso-
ne, questo accenderebbe una tempesta politica.
Non è così, rispondo io. Se riusciamo a ideare un processo
politico che non sia soltanto trasparente ed equo, ma sia anche
percepito come tale, dovremmo riuscire a raggiungere un con-
senso stabile su cosa debba andare nel curriculum e cosa no ―
e questo sarebbe regolabile nel tempo, man mano che appren-
diamo nuove cose sulle religioni, visto che il processo politico
sarebbe auto-correggente e auto-sostenente.
Tutte le religioni maggiori e minori riceverebbero l'invito a
partecipare, così come i rappresentanti della minoranza non-
religiosa, che sono più numerosi di molte delle religioni prin-
cipali negli Stati Uniti. Oggi nel mondo ci sono 749 milioni di
atei; sono il doppio dei buddisti, 40 volte più degli ebrei, e più
di 50 volte più dei mormoni, secondo un recente studio di Phil
Zuckerman (2006).
Tutti i principali gruppi religiosi e non religiosi sarebbero in-
vitati a proporre degli auto-ritratti delle proprie tradizioni,
compreso tutto il materiale su di sé che desidererebbero fosse
noto agli altri, entro certi limiti di lunghezza concordati. Nes-
suna religione ha attualmente una maggioranza nel mondo, e
ad una prima approssimazione ― soggetta ad aggiustamenti
mediante il processo politico stesso ― il tempo e lo spazio nel
curriculum dovrebbe essere proporzionale al numero di ade-
renti in tutto il mondo.
Questi autoritratti sarebbero comunque soggetti a critiche di
inaccuratezza fattuale, ed altri rappresentanti (e studiosi e al-
tre parti interessate) avrebbero la possibilità di proporre altri
fatti importanti lasciati fuori dagli autoritratti. Queste diver-
genze sui fatti si potrebbero poi risolvere in un modo simile a

333
un processo legale, e questo processo attraverserebbe varie ite-
razioni, senza dubbio, prima che si possano approvare delle
bozze di compromesso.
Sappiamo già come fare tutto questo. Ci sono già molti
controlli e regolamenti per impedire alle religioni da una
parte di censurare verità vergognose ma innegabili, dall'altra
di coalizzarsi tra loro per perseguitare religioni di minoran-
za. Servirà una volontà politica perché accada, ma chi oggi
non riesce a vedere l'importanza di sottoporre queste que-
stioni all'indagine razionale?
(Notate che nel curriculum non sarebbe inclusa la verità o
falsità di alcuna dottrina religiosa, poiché non esiste alcun
punto di dottina religiosa sulla cui verità siano tutti d'accor-
do.)
Un'altra obiezione frequente è che è irrealistico aspettarsi
che gli insegnanti delle scuole private e casalinghe insegnino
bene questo curriculum, perché molti di loro presumibilmente
lo troveranno antitetico alla loro visione del mondo.
Sono d'accordo, e senza dubbio una percentuale significativa
degli insegnanti delle scuole pubbliche insegnerebbero questo
curriculum controvoglia, ma non credo sia importante. Mi ac-
contento che gli insegnanti dicano agli studenti: "questo curri-
culum obbligatorio è spazzatura, un'opera di Satana, un mise-
rabile compromesso politico infilatoci in gola da uno Stato an-
tipatico", ma che poi aggiungano: "Comunque, sarete messi
alla prova su questo curriculum, e, se non superate gli esami,
il vostro futuro scolastico sarà in pericolo".
Non importa se gli insegnanti insegneranno il curriculum
in modo non imparziale: il semplice fatto di udire che la
maggior parte delle persone crede quelle cose dovrebbe ba-
stare a vaccinare molti bambini contro i virus tossici di alcu-
ne religioni. La credibilità degli insegnanti sarà inoltre in peri-
colo se parlano male del curriculum; e meglio creiamo il curri-
culum, più difficile sarà per loro avere quest'opinione. Ci sa-
rebbe anche qualche serie televisiva importante sul nuovo cur-
riculum, e grossi siti Web, per far da contrappeso a coloro che

334
cercheranno di screditarlo.
[...]
Infine, mi sono divertito molto quando alcuni oppositori
di questa proposta l'hanno chiamata "fascista" o "totalitaria",
quando in realtà è meravigliosamente libertaria: puoi inse-
gnare ai tuoi bambini tutto quello che vuoi sulla religione,
senza alcuna interferenza dello Stato, fino a che insegni loro
anche questi fatti.
Quale altra libertà potrebbe desiderare un genitore? La li-
bertà di mentire ai suoi bambini? La libertà di mantenerli
ignoranti? I bambini non sono di proprietà del genitore,
quasi fossero schiavi, e i genitori non hanno alcun diritto di
renderli incapaci mediante l'ignoranza. Al contrario hanno
l'obbligo di dar loro quella conoscenza sugli altri che è di-
sponibile a ogni altro bambino, come parte normale della
crescita in una società libera.
Inoltre, questa conoscenza arricchirà le loro menti in innu-
merevoli modi, poiché li porterà a conoscere gran parte della
più bella musica, arte e letteratura che il mondo possa offrire,
e darà loro quel tipo di prospettiva sulla propria vita che si
può avere solo quando si confronta la propria vita con quella
degli altri.

L'AGNOSTICISMO IGNORA IL CONCETTO DI


PROBABILITÀ
(da “L'Illusione di Dio”, Richard Dawkins)

Vorrei distinguere due tipi di agnosticismo. TAP, ossia


Agnosticismo Temporaneo in Pratica, è la posizione legittima
secondo cui esiste una risposta alla domanda, ma fino ad ora
non abbiamo sufficiente evidenza per raggiungerla (o non
comprendiamo l'evidenza, o non abbiamo tempo di interpre-
tarla, eccetera). TAP sarebbe una posizione ragionevole verso
l'estinzione permiana. Là fuori c'è una verità ed un giorno spe-
riamo di trovarla, sebbene per il momento non la conosciamo.

335
Ma c'è anche un'altra posizione, che chiamerò PAP (agnosti-
cismo permanente in linea di principio). [..] l'agnosticismo di
tipo PAP è appropriato per domande a cui non si potrà mai
dare risposta, non importa quanta evidenza raccogliamo, per-
ché l'idea stessa di evidenza non è applicabile. La domanda si
pone su un piano differente, o in una dimensione differente,
oltre alle zone raggiungibili dall'evidenza. Un esempio potreb-
be essere quel famoso rompicapo filosofico, la domanda se tu
vedi rosso come lo vedo io. Forse il tuo rosso è il mio verde, o
qualcosa di completamente differente da qualunque altro co-
lore io possa immaginare. I filosofi citano questa domanda
come una a cui non si potrà mai rispondere, non importa qua-
le nuova evidenza un giorno possa venire alla luce. E alcuni
scienziati ed altri intellettuali sono convinti ― con troppo zelo
secondo me ― che la domanda dell'esistenza di Dio apparten-
ga alla categoria PAP, per sempre inaccessibile. Da questo,
come abbiamo visto, spesso essi traggono la deduzione illogi-
ca che l'ipotesi dell'esistenza di Dio, e l'ipotesi della sua non
esistenza, abbiano esattamente la stessa probabilità di essere
vere. Il punto di vista che io difenderò è completamente diver-
so: l'agnosticismo sull'esistenza di Dio appartiene decisamente
nella categoria temporanea o TAP. O egli esiste o non esiste. È
una domanda scientifica; un giorno potremmo conoscere la
risposta, e nel frattempo possiamo dire qualcosa di molto forte
circa la sua probabilità.
Nella storia delle idee, ci sono esempi di domande che han-
no ricevuto una risposta ma che in precedenza erano consi-
derate per sempre al di là della portata della scienza. Nel
1835 il celebrato filosofo francese Auguste Comte scrisse a
proposito delle stelle: "Non saremo mai in grado di studiare,
con qualunque metodo, la loro composizione chimica o la loro
struttura mineralogica." Eppure, anche prima che Comte aves-
se pronunciato queste parole, Fraunhofer aveva cominciato ad
utilizzare il suo spettroscopio per analizzare la composizione
chimica del sole. Oggi gli spettroscopisti giornalmente ridico-
lizzano l'agnosticismo di Comte con le loro analisi a lunga di-
stanza della composizione chimica esatta delle stelle più di-
336
stanti. [..] Questa storia suggerisce, quantomeno, che dovrem-
mo esitare prima di proclamare l'eterna verità dell'agnostici-
smo in modo troppo deciso. Ciò nondimeno, quando si tratta
di Dio, una buona quantità di filosofi e scienziati è felice di
farlo, a cominciare dallo stesso inventore della parola, T. H.
Huxley.
Huxley raccontò di quando coniò questa parola rispondendo
ad un attacco personale che essa aveva provocato. Il direttore
del King's College di Londra, il reverendo dottor Wace, aveva
messo in ridicolo il "codardo agnosticismo" di Huxley:
Può anche chiamare se stesso agnostico; ma il suo vero
nome è un nome più vecchio ― è un infedele; vale a
dire, un non credente. La parola infedele, forse, porta un
significato spiacevole. Forse è giusto che sia così. È, e do-
vrebbe essere, una cosa spiacevole che un uomo dica
apertamente di non credere in Gesù Cristo.
Huxley non era un uomo che lasciava correre su una provo-
cazione di questo tipo [..] In seguito ritornò sulla parola "agno-
stico" e spiegò come la coniò:
Altre persone erano ben sicure di avere raggiunto una
certa 'gnosis' ― di aver risolto, più o meno con successo,
il problema dell'esistenza; mentre io ero ben sicuro di
non averlo fatto, ed avevo una forte convinzione che il
problema fosse insolubile. E, con al mio fianco Hume e
Kant, non potevo pensarmi così presuntuoso da attener-
mi fermamente a quest'opinione... in tal modo inventai il
titolo di "agnostico".
Nel seguito del suo discorso, Huxley spiegò che gli agnostici
non hanno un credo, neppure uno negativo.
L'agnosticismo in realtà non è un credo, ma un metodo,
l'essenza del quale giace nella rigorosa applicazione di
un singolo principio... in senso positivo, il principio si
potrebbe esprimere così: in questioni intellettuali, segui
la tua ragione fino al punto in cui essa ti porta, senza
preoccuparti di alcuna altra considerazione. In senso ne-
gativo: in questioni intellettuali, se ci sono delle conclu-
337
sioni che non sono dimostrate o dimostrabili, non finge-
re che siano certe. Questa io considero essere la fede
agnostica, cioè che se un uomo è integro ed obiettivo,
non si vergognerà di guardare in faccia l'universo, qua-
lunque cosa il futuro abbia in serbo per lui.
Per uno scienziato queste sono parole nobili, e non possiamo
criticare con leggerezza Huxley. Ma Huxley, concentrandosi
sull'assoluta impossibilità di dimostrare o confutare l'esistenza
di Dio, sembra avere ignorato la sfumatura delle probabilità.
Il fatto che non possiamo né dimostrare né falsificare l'esi-
stenza di qualcosa non mette sullo stesso piano l'esistenza e
l'inesistenza. Credo che Huxley sarebbe d'accordo, e sospetto
che quando egli sembrò in disaccordo stesse in realtà conce-
dendo all'avversario qualcosa allo scopo di concentrarsi su
qualcos'altro. Tutti noi lo abbiamo fatto, una volta o l'altra.
Al contrario di Huxley, io suggerirò che l'esistenza di Dio
sia un'ipotesi scientifica come ogni altra. Anche se difficile
da testare in pratica, appartiene alla categoria TAP o di agno-
sticismo temporaneo, al pari delle controversie sulle estinzioni
permiana e cretacea. L'esistenza o l'inesistenza di Dio è un
fatto scientifico sull'universo, scopribile in linea di principio
se non in pratica. Se lui è esistito e ha scelto di non rivelarlo,
Dio stesso potrebbe concludere una volta per tutte la questio-
ne, rumorosamente ed inequivocabilmente, in suo favore. E
perfino se l'esistenza di Dio non fosse mai provata o dimostra-
ta falsa con certezza, l'evidenza disponibile ed il ragionamento
potrebbero produrre una stima della probabilità molto lontana
dal 50%.
Prendiamo quindi sul serio l'idea di uno spettro di probabili-
tà, e collochiamo su di esso i giudizi umani circa l'esistenza di
Dio, tra i due estremi opposti di certezza. Lo spettro è conti-
nuo, ma può essere rappresentato con le seguenti sette posi-
zioni.
7. Teista forte. 100% di probabilità di Dio. Nelle parole
di C. G. Jung, "io non credo, io so".
8. Probabilità molto alta ma non 100%. Un teista di fat-
338
to. "Non posso saperlo per certo, ma credo ferma-
mente in Dio e vivo la mia vita nell'assunzione che
lui esista".
9. Più del 50% ma non molto alta. Tecnicamente agno-
stico ma propende verso il teismo."sono molto incer-
to, ma tendo a credere in Dio".
10. Esattamente 50%. Completamente agnostico ed im-
parziale. "L'esistenza e l'inesistenza di Dio sono esat-
tamente equiprobabili".
11. Meno del 50% ma non molto bassa. Tecnicamente
agnostico ma incline all'ateismo. "Non so se Dio esi-
sta ma tendono ad essere scettico."
12. Probabilità molto bassa, ma vicina allo zero. un ateo
di fatto."non posso saperlo per certo ma credo che
Dio sia molto improbabile, e vivo la mia vita nell'as-
sunzione che lui non esista."
13. Ateo forte. "So che non esiste nessun Dio, con la stes-
sa convinzione con cui Jung sa che ce n'è uno".
Sarei sorpreso di incontrare molte persone nella categoria 7,
ma la includo per simmetria con la categoria 1, che è molto
ben popolata. È nella natura stessa della fede che uno sia capa-
ce, come Jung, di avere una credenza senza una ragione ade-
guata per farlo (Jung credeva anche che alcuni libri sul suo
scaffale esplodessero spontaneamente con un sonoro bang).
Gli atei non hanno fede; e la ragione da sola non può condur-
re nessuno alla totale convinzione che qualcosa non esista.
Per questo motivo la categoria 7 è in pratica molto più vuota
del suo corrispettivo, la categoria 1, che ha molti abitanti de-
voti. Io mi considero nella categoria 6, ma tendo verso la 7 ―
sono agnostico ma solo nel senso in cui sono agnostico sul-
l'esistenza delle fate del giardino.
Lo spettro delle probabilità funziona bene per TAP (agnosti-
cismo temporaneo in pratica). Superficialmente si potrebbe es-
sere tentati di collocare PAP (agnosticismo permanente in li-
nea di principio) a metà dello spettro, con una probabilità del
339
50% di esistenza di Dio, ma questo non è corretto. Gli agnosti-
ci di tipo PAP sostengono che non possiamo dire nulla, in un
modo o nell'altro, sulla domanda se Dio esista o meno. Per gli
agnostici di tipo PAP, questa domanda non può avere risposta
in linea di principio, e dovrebbero rifiutarsi fermamente di
collocare se stessi in qualunque punto dello spettro di proba-
bilità. Il fatto che io non posso sapere se il tuo rosso è come il
mio verde non rende la probabilità 50%. La proposizione in
questione è troppo priva di significato perché le si attribuisca
una probabilità. Ciononostante, è un errore comune, che in-
contreremo di nuovo, partire dalla premessa che non si possa
rispondere in linea di principio alla domanda sull'esistenza di
Dio e da ciò concludere che la sua esistenza e non esistenza
siano ugualmente probabili.

DARWIN E LA RELIGIONE
(da una recensione del premio nobel per la fisica
Steven Weinberg al libro di Richard Dawkins
“L'Illusione di Dio”)

Una certezza mortale


Tra tutte le scoperte scientifiche che hanno disturbato la
mente religiosa, nessuna ha avuto un impatto grande quanto
la teoria di Darwin dell'evoluzione per selezione naturale.
Nessun avanzamento nella fisica o perfino nella cosmologia
ha mai prodotto uno shock così grande. Nei primi giorni del
Cristianesimo, i Padri della Chiesa Teofilo di Antiochia e Cle-
mente di Alessandria rifiutarono la conoscenza, nota sin dai
tempi di Platone, che la Terra fosse sferica. Insistettero sulla
verità letterale della Bibbia; dalla Genesi all'Apocalisse ci sono
versi che sembrano affermare che la Terra sia piatta. Ma l'evi-
denza per una Terra sferica era soverchiante per chiunque
vedesse lo scafo di una nave scomparire sotto l'orizzonte men-
tre le vele restavano visibili, e alla fine la Terra piatta non sem-
brò una causa per cui valesse la pena di combattere. Nell'alto
340
medioevo, la sfericità della Terra fu accettata dai cristiani
istruiti. Dante, per esempio, considerò il centro di una Terra
sferica come destinazione conveniente per i peccatori. Ciò che
una volta era una questione seria era divenuta una barzelletta.
Un mio amico all'Università dell'Arkansas ha fondato la Socie-
tà per la Terra Piatta, per chiedere ― in segno di derisione del-
la richiesta dei creazionisti del Kansas che la scuola presenti il
"disegno intelligente" come "alternativa" all'evoluzione ― che
le scuole pubbliche del Kansas insegnino la teoria della Terra
piatta come "alternativa" alla teoria della Terra sferica.
L'idea più radicale che la Terra si muova intorno al sole fu
più difficile da accettare. Dopo tutto, la Bibbia colloca l'umani-
tà al centro di un grande dramma cosmico di peccato e salvez-
za, e quindi come potrebbe la nostra terra non essere al centro
dell'universo? Fino al diciannovesimo secolo, l'astronomia co-
pernicana non si poteva insegnare a Salamanca o in altre uni-
versità spagnole, ma al tempo di Darwin non dava più proble-
mi a nessuno. Persino al tempo precedente di Galileo, il cardi-
nale Baronio, bibliotecario del Vaticano, affermò notoriamente
che la Bibbia ci insegna come andare in cielo, non come vanno
i cieli.
Una diversa sfida alla religione emerse con Newton. Le sue
teorie del moto e della gravitazione mostrarono come i feno-
meni naturali si potessero spiegare senza l'intervento divino,
ed incontrarono un'opposizione su basi religiose nella stessa
università di Newton, da parte di John Hutchinson. Ma l'op-
posizione al Newtonismo in Europa crollò prima della fine del
diciottesimo secolo. I credenti riuscirono a tranquillizzarsi as-
sumendo semplicemente che i miracoli fossero delle occasio-
nali eccezioni alle leggi di Newton, e comunque era impro-
babile che la fisica matematica disturbasse coloro che non
comprendono il suo potere di spiegazione.
Il darwinismo fu diverso. Non solo perché la teoria dell'e-
voluzione, come la teoria di una terra sferica che si muove,
era in conflitto con il letteralismo biblico; non solo perché
l'evoluzione, come la teoria di Copernico, negava centralità
agli esseri umani; e non solo perché l'evoluzione, come la
341
teoria di Newton, forniva una spiegazione non religiosa per
fenomeni naturali che fino allora sembravano inspiegabili
senza l'intervento divino. Molto peggio: tra i fenomeni natu-
rali che venivano spiegati dalla selezione naturale c'erano
quelle caratteristiche dell'umanità di cui andiamo più fieri.
Divenne plausibile che il nostro amore per i figli e compa-
gni, e (dopo il lavoro dei moderni biologi evoluzionisti) an-
che principi morali più astratti come la lealtà, la carità è l'o-
nestà, abbiano origine nell'evoluzione, anziché in un'anima
creata da un essere divino.
Dati i danni che la religione tradizionale ha ottenuto dalla
teoria dell'evoluzione, è appropriato dire che i più energici,
eloquenti e inflessibili avversari moderni della religione sono
quei biologi che ci hanno aiutato a comprendere l'evoluzione:
prima Francis Crick, e ora Richard Dawkins. Con "The God
Delusion", Dawkins corona una serie di libri sulla biologia e la
religione con un attacco a testa bassa a ogni aspetto della reli-
gione ― non solo la religione tradizionale, ma anche quel mo-
derno e più vago assortimento di pietà che spesso si appropria
di questo nome. Nel modo più impietoso, Dawkins afferma
persino che la persistente fede in Dio sia essa stessa un pro-
dotto della selezione naturale ― che agisce forse sui nostri
geni, come affermato da Dean Hamer in "The God Gene", ma
più certamente sui nostri "memi", gli elementi di credenze e
atteggiamenti culturali che, in modo darwiniano seppure non
biologico, tendono a trasmettersi di generazione in generazio-
ne. Non è che i memi aiutino il credente o i geni del credente
a sopravvivere; è il meme stesso che per sua natura tende a
sopravvivere.
Per esempio, la fede persistente in una data religione viene
automaticamente favorita se la religione in questione inse-
gna che Dio punisce chi non ha fede. Una simile religione
tende a sopravvivere se la punizione minacciata è abbastan-
za spaventosa. Per contrasto, una religione avrebbe problemi
a mantenere i suoi fedeli se insegnasse che gli infedeli sono
soggetti dopo la morte soltanto a un breve periodo di blando
sconforto, dopo il quale si riuniscono ai fedeli nella gioia
342
eterna. Così è naturale che, nel Cristianesimo e l'Islam tradi-
zionali, il non credere sia divenuto il crimine ultimo, e l'in-
ferno la camera di tortura definitiva. Non sorprende che il
matematico Paul Erdos si sia riferito sempre a Dio come Il Fa-
scista Supremo. Il libro di Dawkins si concentra sul Cristiane-
simo e Islam, che tradizionalmente enfatizzano l'importanza
della fede, anziché su religioni come l'Ebraismo, l'Induismo o
lo Scintoismo, che sono legate a specifici gruppi etnici, e ten-
dono a enfatizzare più l'osservanza che la fede.
A Dawkins, come a Erdos, Dio non piace per niente. Daw-
kins chiama il Dio dell'antico testamento "il personaggio più
sgradevole di tutti i racconti fantastici: geloso ed orgoglioso di
esserlo, un insignificante, ingiusto, impietoso maniaco del
controllo; un reo di pulizia etnica, vendicativo e assetato di
sangue; un misogino, pestilenziale, megalomane, sadomaso-
chista, capriccioso, malevolo bulletto". Per quanto riguarda il
nuovo testamento, Dawkins cita con approvazione le parole di
Thomas Jefferson, per cui "il Dio cristiano è un personaggio
spaventoso ― crudele, vendicativo, capriccioso e ingiusto".
Questa è roba forte, e Dawkins ovviamente vuole traumatiz-
zare il lettore, ma la sua invettiva ha uno scopo costruttivo.
Attaccando il Dio delle sacre scritture, sta cercando di indebo-
lire l'autorevolezza dei comandi impartiti da quel Dio ― co-
mandi la cui interpretazione ha condotto l'umanità a una ver-
gognosa storia di inquisizioni, crociate e jihad. Dawkins non
risparmia al lettore molti dettagli brutali, ma basta che guar-
diamo i titoli dei giornali di oggi per trovarne di nuovi.

LA TOLLERANZA INDICA L'INDEBOLIMENTO DELLA


FEDE
(da una recensione del premio nobel per la fisica
Steven Weinberg al libro di Richard Dawkins
“L'Illusione di Dio”)

Dove credo che Dawkins si sbagli, come Enrico V dopo


Agincourt, è che non sembra rendersi conto che, in grande mi-
343
sura, la sua squadra ha già vinto. Tralasciando per un momen-
to la crescita dell'Islam in Europa, il declino di una vera fede
cristiana tra gli europei è così ampiamente evidente che Da-
wkins è costretto a rivolgersi agli Stati Uniti per ottenere
esempi di credenza religiosa inalterata. Egli attribuisce il ruolo
importante giocato dalla religione negli Stati Uniti al fatto che
gli americani non hanno mai avuto una chiesa ufficiale di Sta-
to (idea che Dawkins potrebbe aver preso da Tocqueville). Ma
sebbene la maggior parte degli americani possa essere certa
del valore della religione, per quanto ne so non sono affatto
sicuri della verità di ciò che la loro stessa religione professa.
Secondo un recente articolo sul New York Times, gli evangeli-
ci americani sono disperati per un sondaggio che ha dimostra-
to che solo il 4% dei teenager americani diventano "cristiani
che credono nella Bibbia" da adulti. La diffusione della tolle-
ranza religiosa fornisce evidenza dell'indebolimento della
certezza religiosa. La maggior parte dei gruppi cristiani han-
no storicamente insegnato che non c'è salvezza senza la fede
in Cristo. Se tu sei davvero sicuro che chiunque non ha quel-
la fede è destinato a passare l'eternità all'inferno, allora dif-
fondere quella fede e sopprimere la miscredenza sarebbe lo-
gicamente la cosa più importante al mondo ― molto più im-
portante di qualunque virtù meramente laica come la tolle-
ranza religiosa. Eppure la tolleranza religiosa è preponderan-
te in America. Nessuno che pubblicamente esprima mancanza
di rispetto per una qualunque religione potrebbe mai essere
eletto ad una carica pubblica importante.
Sebbene gli atei americani possano avere difficoltà a vincere
un'elezione, gli americani sono notevolmente tolleranti verso
noi miscredenti. I miei molti amici nel Texas che professano il
cristianesimo non cercano neppure di convertirmi. Questo po-
trebbe significare che a loro non importa davvero se io pas-
serò l'eternità all'inferno, ma preferisco pensare (e i battisti e
i presbiteriani me lo hanno confessato esplicitamente) che
non sono così sicuri dell'esistenza dell'inferno e del paradi-
so. Ho spesso sentito l'osservazione (una volta anche da un
prete americano) che non è tanto importante cosa uno crede;
344
la cosa importante è come ci trattiamo l'un l'altro. Natural-
mente, io applaudo a questo modo di pensare, ma immagina-
te se aveste cercato di dire una cosa simile a Lutero, a Calvi-
no o a San Paolo. Immaginate soltanto di spiegar loro "non
importa ciò che uno crede". Affermazioni come questa mo-
strano una ritirata totale del cristianesimo dal territorio che
una volta occupava, ritirata che si può attribuire non a una
nuova rivelazione, ma solo a una perdita di certezza. Gran
parte dell'indebolimento della certezza religiosa nell'Occiden-
te cristiano si può attribuire al contributo della scienza; an-
che quelle persone la cui religione li fa tendere all'ostilità ver-
so le pretese della scienza capiscono che devono affidarsi alla
scienza piuttosto che alla religione per ottenere risultati con-
creti. Ma questo non è assolutamente successo nella stessa mi-
sura nel mondo dell'Islam.

L'ISLAM E IL RIFIUTO DELLA SCIENZA

Nei paesi islamici troviamo non solo opposizione religiosa a


specifiche teorie scientifiche, come occasionalmente accade in
Occidente, ma una diffusa ostilità religiosa verso la scienza
stessa. Un mio defunto amico, l'illustre fisico pakistano Abdus
Salam, cercò di convincere i re dei ricchi Stati petroliferi del
Golfo Persico ad investire nella ricerca e nell'istruzione scienti-
fica, ma scoprì che, sebbene costoro fossero entusiasti della
tecnologia, ritenevano che la pura scienza mettesse troppo in
difficoltà la fede. Nel 1981, la Fratellanza Musulmana d'Egit-
to scese in campo per far terminare l'istruzione scientifica.
Nelle aree della scienza che conosco meglio, sebbene ci siano
scienziati di talento di origine musulmana che lavorano pro-
duttivamente in Occidente, in quarant'anni non ho visto una
singola pubblicazione da un fisico o un astronomo che lavo-
rasse in un paese musulmano che valesse la pena di leggere.
Questo avviene nonostante il fatto che nel nono secolo, quan-
do la scienza esisteva a malapena in Europa, il più grande cen-
tro di ricerca scientifica del mondo fosse la Casa della Saggez-
za di Baghdad [House of Wisdom].
Ahimè, l'Islam si rivoltò contro la scienza nel dodicesimo
345
secolo. La figura più eminente di questo movimento fu il filo-
sofo Abu Hamid al-Ghazzali, che, ne "L'incorenza dei
Filosofi", attaccò l'idea stessa di leggi naturali, sostenendo che
l'esistenza di qualunque legge fisica metterebbe in catene la li-
bertà di Dio. Secondo al-Ghazzali, un pezzo di cotone che
prende fuoco non si consuma a causa del calore, ma perché
Dio vuole che lo faccia. Dopo al-Ghazzali, non ci fu più alcu-
na scienza degna di questo nome nei paesi islamici.
Le conseguenze sono orribili. Non importa cosa pensiamo
dei musulmani che si fanno esplodere in affollate città euro-
pee o in Israele, o che fanno schiantare aeroplani in edifici
degli Stati Uniti, chi potrebbe mettere in discussione che la
loro fede abbia qualcosa a che fare con tutto ciò? George W.
Bush e molti altri vorrebbero farci credere che il terrorismo
sia una distorsione dell'Islam, e che l'Islam sia una religione
di pace. Naturalmente, è buona politica dire queste cose, ma
qualunque affermazione su cosa l'Islam "sia davvero" ha
molto poco senso. (Lo stesso si applica al resoconto altamen-
te personale di Eagleton su che cosa "sia" il Cristianesimo. ).
Io non so su che basi si possa affermare che una persona pa-
cifica e benintenzionata come Abdus Salam sia più musul-
mano di uno qualunque dei guerrieri santi ed assassini di
Hezbollah e della jihad islamica, dei sacerdoti islamici di
tutto il mondo che incitano all'odio e alla violenza, e di quei
musulmani che scendono in piazza contro i presunti insulti
alla loro fede, ma non contro le atrocità commesse in suo
nome. (Tra parentesi, Abdus Salam considerava se stesso un
musulmano devoto, ma apparteneva ad una setta che la mag-
gior parte dei musulmani considera eretica, e per anni gli fu
impedito di tornare in Pakistan.) Dawkins tratta l'Islam come
una delle tante deplorevoli religioni, ma c'è una differenza. La
differenza sta nella maggiore certezza religiosa degli islamici,
e nel danno che essa produce. L'imparzialità di Richard Daw-
kins nasce da buone intenzioni, ma è fuori luogo. Io condivido
la sua mancanza di rispetto per tutte le religioni, ma oggigior-
no è una follia denigrarle tutte allo stesso modo.

346
UN UOMO RAGGIUNTO DALLA FEDE
(da “L'Illusione di Dio” di Richard Dawkins)

La seguente lettera fu indirizzata a Brian Flemming, autore e


direttore della pellicola "The God who wasn't there", una sin-
cera e commovente apologia dell'ateismo.
Quanto siete irritanti. Mi piacerebbe prendere un coltel-
lo, squartare tutti voi idioti, e gridare di gioia mentre le
vostre interiora spillano fuori davanti a voi. State cercan-
do di scatenare una guerra santa in cui un giorno io, ed
altri come me, potremmo avere il piacere di fare una
cosa come quella che ho detto.
A questo punto all'autore sovviene il fatto che il suo lin-
guaggio non è molto cristiano, in quanto egli continua, più ca-
ritatevolmente:
Comunque, DIO ci dice di non ricercare la vendetta, ma
di pregare per quelli come voi.
Il sentimento di carità ha vita breve, comunque, poiché con-
tinua:
Mi conforterò pensando che la punizione che DIO vi in-
fliggerà sarà mille volte peggiore di qualunque cosa pos-
sa fare io. La parte migliore sarà che voi soffrirete per l'e-
ternità per peccati che voi neppure conoscete. L'ira di
DIO non avrà alcuna pietà. Per il vostro bene, spero che
la verità vi venga rivelata prima che il coltello entri in
contatto con la vostra carne. Buon Natale!!!
PS voi non avete davvero la minima idea di quello che
vi aspetta... ringrazio DIO di non essere voi.

BACIARE IL CULO DI HANK


(di James Huber, www.jhuger.com)

Uno studente sente bussare alla porta. Apre e trova due uo-
mini, vestiti di nero e con gli occhiali da sole, che lo salutano
cordialmente dicendo:
347
John. Ciao! Io sono John e questo qui è Mary.
Mary. Ciao! Siamo qui per invitarti a venire con noi a bacia-
re il culo a Hank.
Ragazzo. Chiedo scusa? Di che cosa state parlando? Chi è
Hank, e perché dovrei voler baciare il suo culo?
John. Se baci il culo a Hank, lui ti regala un milione di dolla-
ri. E se non lo fai, ti rompe le ossa.
Ragazzo. Cosa? Ma è una specie di estorsione?
John. Hank è un filantropo miliardario. Hank ha costruito
questa città. Hank possiede questa città. Può fare quello che
vuole, e ciò che vuole è regalarti un milione di dollari, ma non
può farlo finché non gli baci il culo.
Ragazzo. Ma questo non ha senso. Perché?
Mary. Chi sei tu per giudicare il regalo di Hank? Non vuoi
un milione di dollari? Non vale un bacetto sul culo?
Ragazzo. Beh, forse, se è una cosa legale, ma...
John. Allora vieni a baciare con noi il culo a Hank.
Ragazzo. Voi baciate spesso il culo a Hank?
Mary. Oh, sì, continuamente...
Ragazzo. E a voi ha dato un milione di dollari?
John. Beh no. I soldi non ti vengono dati fino a che non ti
trasferisci fuori città.
Ragazzo. E allora perché non ve ne andate subito?
Mary. Non puoi andartene finché non te lo dice Hank, altri-
menti non prendi neanche un soldo, e inoltre lui ti rompe le
ossa.
Ragazzo. Conoscete qualcuno che abbia baciato il culo a
Hank, sia andato via dalla città, e abbia ottenuto il milione di
dollari?
John. Mia madre. Lei ha baciato il culo a Hank per anni. È
andata fuori città l'anno scorso, e sono sicuro che ha avuto i
soldi.
Ragazzo. Le hai parlato da allora?
John. Certo che no, Hank non lo permette.
Ragazzo. E allora cosa ti fa pensare che ti darà veramente i
348
soldi, se non hai mai parlato con nessuno che li abbia avuti?
Mary. Beh, Hank ti dà un piccolo anticipo prima che te ne
vada. Forse avrai un aumento di stipendio, forse vincerai una
piccola lotteria, forse troverai 20 bigliettoni per terra...
Ragazzo. E cosa c'entrano queste cose con Hank?
John. Hank ha "connessioni" ovunque... non so se mi spiego.
Ragazzo. Mi spiace, ma mi sembra un imbroglio.
John. Ma si tratta di un milione di dollari. Puoi correre il ri-
schio di farti sfuggire un milione? E ricorda, se non baci il culo
a Hank, lui ti romperà tutte le ossa.
Ragazzo. Forse, se potessi vedere Hank di persona, parlar-
gli, conoscere i dettagli direttamente da lui...
Mary. "Nessuno vede Hank, nessuno parla con Hank."
Ragazzo. E allora come fate a baciargli il culo?
John. A volte mandiamo un bacetto nell'aria, e intanto pen-
siamo al suo culo. Altre volte baciamo il culo di Karl, e Karl lo
trasmette a Hank.
Ragazzo. Chi è Karl?
Mary. Un nostro amico. È quello che ci ha insegnato a bacia-
re il culo di Hank. Tutto ciò che abbiamo dovuto fare in cam-
bio è offrirgli qualche cena.
Ragazzo. E voi gli avete creduto sulla parola, quando vi ha
detto che Hank esisteva, che Hank voleva che gli baciaste il
culo, e che Hank vi avrebbe premiati?
John. Oh no! Karl ha una lettera che gli è stata data da Hank
anni fa e che spiega tutto. Eccone una copia: guarda tu stesso.
Dalla scrivania di Karl
1. bacia il culo a Hank e lui ti darà un milione di dollari
quando lascerai la città.
2. Assumi alcool con moderazione.
3. Rompi le ossa alle persone che non sono come te.
4. Mangia correttamente.
5. Hank ha dettato personalmente questa lista.

349
6. La Luna è fatta di formaggio verde.
7. Tutto ciò che Hank dice è giusto.
8. Lavati le mani dopo essere andato al bagno.
9. Non fare uso di alcool.
10. Mangia i würstel senza condimento, in panini forati.
11. Bacia il culo a Hank o ti romperà le ossa.
Ragazzo. Questo pezzo di carta porta l'intestazione di Karl.
Mary. Hank non aveva sottomano della carta in quel mo-
mento.
Ragazzo. Sospetto che, se controllassimo, scopriremmo che
la scrittura è di Karl.
John. Ma certo, Hank gliel'ha dettata.
Ragazzo. Ma credevo aveste detto che nessuno vede mai
Hank.
Mary. Ora no, ma anni fa parlava con qualcuno.
Ragazzo. Credevo aveste detto che era un filantropo. Che
tipo di filantropo rompe le ossa alle persone semplicemente
perché sono diverse?
Mary. È quello che vuole Hank, e Hank ha sempre ragione.
Ragazzo. E voi come lo sapete?
Mary. Il punto 7 dice "tutto ciò che Hank dice è corretto". E
questo mi basta!
Ragazzo. Forse il vostro amico Karl si è inventato tutta la
faccenda.
John. Ma no! Il punto 5 dice "Hank ha dettato questa lista
personalmente". Inoltre, il punto 2 dice "Assumi alcool con
moderazione", il punto 4 dice "mangia correttamente" e il pun-
to 8 dice "lavati le mani dopo essere andato al bagno". Tutti
sanno che queste sono cose buone, e quindi devono essere buo-
ne anche le altre.
Ragazzo. Ma il punto 9 dice "Non fare uso di alcool", che
non è compatibile col punto 2; e il punto 6 dice "La luna è fatta
di formaggio verde", che semplicemente è falso.
John. Non c'è nessuna contraddizione tra i punti 9 e 2: sem-
350
plicemente il 9 chiarisce il 2. Per quanto riguarda il punto 6, tu
non sei mai stato sulla Luna, quindi non ne puoi essere sicuro.
Ragazzo. Ma gli scienziati hanno appurato che la luna è fatta
di pietra...
Mary. Ma non sanno se la pietra proviene dalla terra o dallo
spazio profondo, e quindi potrebbe anche essere formaggio
verde.
Ragazzo. Non sono un esperto, ma credo che la teoria secon-
do cui la Luna è stata catturata nell'orbita della Terra sia stata
dimostrata errata. Inoltre, non sapere da dove viene quella
pietra non la rende formaggio.
John. Ha! Hai appena ammesso che gli scienziati commetto-
no errori, ma noi sappiamo che Hank ha sempre ragione!
Ragazzo. Lo sappiamo?
Mary. Certo che lo sappiamo, lo dice il punto 7.
Ragazzo. Voi dite che Hank ha sempre ragione perché lo
dice la lista, che la lista è corretta perché l'ha dettata Hank, e
che l'ha dettata Hank perché lo dice la lista. Questa è una logi-
ca circolare. È come dire "Hank ha ragione perché dice che ha
ragione".
John. Ah, vedo che inizi a capire! Che grande soddisfazione
quando qualcuno comincia a entrare nel modo di pensare di
Hank.
Ragazzo. Ma... va beh, lasciamo perdere. Ma cos'è questa
storia dei würstel?
Mary. (arrossisce)
John. "I würstel, solo in panini forati, senza condimento."
Alla maniera di Hank. Qualunque altro modo è sbagliato.
Ragazzo. E se io non ho un panino forato?
John. Niente panino forato, niente würstel. Un würstel sen-
za panino forato è sbagliato.
Ragazzo. Niente salse? Niente senape?
Mary. (sembra terribilmente sconvolta)
John. (urlando) Non c'è bisogno di usare questo linguaggio! I
condimenti di qualunque tipo sono sbagliati!
351
Ragazzo. Quindi un grosso mucchio di crauti con dei wür-
stel tagliati a pezzi non va bene?
Mary. (Si copre le orecchie con le mani.) Non sto ascoltando. La
la la la...
John. Ma sei disgustoso. Solo un deviato malefico mange-
rebbe una cosa simile...
Ragazzo. Ma è buono! Io lo mangio continuamente.
Mary. (sviene)
John. (sostenendo Mary). Beh, se avessi saputo che tu eri uno
di quelli, non avrei perso il mio tempo con te. Quando Hank ti
romperà le ossa io ci sarò, e intanto conterò i miei soldi e ride-
rò. Bacerò il culo a Hank anche per te, mangiatore di würstel
tagliati a pezzi e senza panino forato.
(John sorregge Mary dentro la macchina e vanno via.)

L'INFANZIA DI CHRISTOPHER HITCHENS


( tratto da "Dio non è grande: come la religione
avvelena tutto", di Christopher Hitchens )

Se il lettore di questo libro volesse andare oltre il disaccordo


col suo autore e cercare di identificare i peccati e le aberrazioni
che lo hanno spinto a scriverlo [..] allora lui o lei non si troverà
davanti soltanto l'ineffabile e inconoscibile creatore che ― pre-
sumibilmente ― ha deciso di crearmi in questo modo. Si tro-
verà davanti la memoria di una donna semplice, sincera, buo-
na, di fede decente e ferma, di nome Mrs. Watts.
Era compito di Mrs Watts, quando avevo circa 9 anni e fre-
quentavo una scuola di periferia a Dartmoor, nel sud-ovest
dell'Inghilterra, istruirmi con lezioni sulla natura, e anche sul-
le Scritture. Ella mi portava coi miei compagni a passeggio, in
parti particolarmente belle del mio paese di nascita, e ci inse-
gnava a distinguere i diversi tipi di uccelli, alberi e piante. La
sorprendente varietà che si trovava in un cespuglio; la meravi-
glia di un gruppo di uova che si trovavano in un nido intrica-
to; il modo in cui, se le ortiche ti pungevano (dovevamo indos-

352
sare i pantaloni corti), avremmo potuto trovare una foglia
anti-infiammazione nei paraggi: tutto questo mi è rimasto in
mente, proprio come il "museo del guardaboschi", dove i con-
tadini del luogo conservavano i cadaveri di topi, donnole, e al-
tri piccoli predatori, presumibilmente tutelati da qualche divi-
nità meno generosa. Se leggete le poesie rurali di John Clare
capirete il tipo di sentimento che sto cercando di evocare.
[...]
Comunque, arrivò un giorno in cui la povera, cara Mrs.
Watts superò se stessa. Sforzandosi di fondere il suo ruolo di
insegnante della natura e insegnante della Bibbia, disse, "Così
vedete, bambini, quanto Dio è potente e generoso. Ha creato
tutti gli alberi, e l'erba, col colore verde, che è proprio il co-
lore più riposante per i nostri occhi. Immaginate se invece la
vegetazione fosse tutta viola, o arancione, quanto sarebbe
brutta."
E guardate cosa ha prodotto questa pia, anziana signora.
Mrs. Watts mi era simpatica: era un'affettuosa vedova senza
figli che aveva un vecchio affettuoso cane da caccia di nome
Rover, e ci invitava offrendoci dolciumi nella sua casa un po'
malmessa presso la ferrovia. Se Satana ha scelto di indurmi in
errore, è stato molto più ingegnoso del serpente nel giardino
dell'eden. Lei non ha mai alzato la voce e non è mai stata vio-
lenta [..]
Però io rimasi sinceramente sconvolto da ciò che aveva det-
to. I miei sandaletti allacciati alla caviglia si vergognavano per
lei. All'età di 9 anni non avevo neppure idea dell'argomento
del "disegno intelligente", o dell'evoluzione darwiniana come
sua rivale, o della relazione tra la fotosintesi e la clorofilla. I se-
greti del mio genoma mi erano ignoti quanto lo sono agli altri
bambini di quell'età. Non avevo ancora visto scene della natu-
ra in cui quasi tutto era orrendamente indifferente o ostile alla
vita umana, se non alla vita stessa. Ma semplicemente sapevo,
quasi come se avessi avuto accesso ad un'autorità più alta, che
la mia insegnante era riuscita a sbagliare completamente tutto
in sole due frasi. Erano gli occhi ad essere adattati alla natu-

353
ra, non il contrario.
Non fingo di ricordare tutto perfettamente, o l'ordine in cui
avvenne, ma, dopo questa epifania, in un tempo molto breve
cominciai a notare altre stranezze. Se dio era il creatore di tut-
te le cose, perché dovevamo "lodarlo" così incessantemente
per aver fatto cose che gli venivano naturali? Sembrava servi-
le, tra le altre cose. Se Gesù poteva guarire una persona cieca
in cui si imbatteva, allora perché non guarire la cecità? Cosa
c'era di così meraviglioso nel suo atto di cacciare via dei dia-
voli, facendoli entrare in un branco di maiali? Sembrava sini-
stro, come la magia nera. Con tutte queste preghiere continue,
perché non c'era risultato? Perché dovevo continuare a dire in
pubblico che ero un miserabile peccatore? Perché il sesso era
considerato un argomento così tossico? Queste obiezioni im-
precise e puerili sono, come ho poi scoperto, estremamente co-
muni, in parte perché nessuna religione può rispondere ad
esse in modo soddisfacente. Ma se ne presentò anche un'altra,
più grande. [..] Il preside, che era colui che dirigeva le funzioni
e preghiere quotidiane e teneva il Libro, ed era un po' sadico e
segretamente omosessuale [..], una sera fece un discorso ad al-
cuni di noi. "Per ora potreste non vedere il senso di questa
fede" disse. "Ma lo vedrete un giorno, quando comincerete a
perdere delle persone care."
Di nuovo, sentii una pugnalata di indignazione così come di
incredulità. Insomma, questo equivaleva a dire che la religio-
ne potrebbe anche non essere vera, ma non importa, perché
ci avrebbe portato conforto. Che cosa spregevole. Allora ave-
vo quasi 13 anni, e stavo diventando quel classico tipo di intel-
lettuale in erba insopportabile. Non avevo mai sentito parlare
di Siegmund Freud ― sebbene mi sarebbe stato utile per capi-
re il preside ― ma avevo appena ricevuto un barlume del suo
saggio "Il futuro di un'illusione".
Infliggo tutto ciò su di voi perché io non sono uno di que-
gli sfortunati la cui possibilità di credere cose sensate è stata
distrutta dall'abuso di minori nella forma di brutale indot-
trinamento. So che milioni di esseri umani hanno dovuto su-
bire queste cose, e non credo che le religioni vadano mai per-
354
donate per aver imposto tanta miseria. (Nel passato molto re-
cente, abbiamo visto la Chiesa di Roma sprofondare nel fango
per la sua complicità nel peccato imperdonabile di stupro di
minori, o, come si potrebbe dire in Latino, "non resta il di die-
tro di un bambino"). Ma altre organizzazioni non religiose
hanno commesso crimini simili, o anche peggiori.

LA VITA CI APPARTIENE?
David Hume, 1757

Se disporre della vita umana fosse una prerogativa peculiare


dell’Onnipotente, allora per gli uomini sarebbe ugualmente
criminoso salvare o preservare la vita. Se cerco di scansare un
sasso che mi cade sulla testa, disturbo il corso della natura,
prolungando la mia vita oltre il periodo che, in base alle leggi
generali della materia e del moto, le era assegnato. Se la mia
vita non fosse del tutto mia, sarebbe delittuoso sia porla in pe-
ricolo sia disporne. Se la provvidenza, o le leggi della natura,
guida tutte le cause, allora nulla accade nell’universo senza il
suo consenso e tutto deve essere sempre assecondato.

LE RESPONSABILITÀ DEI GENITORI VERSO I FIGLI


Il seguente brano è tratto dal libro di Richard Dawkins "Un-
weaving the rainbow: science, delusion, and the appetite for
wonder" (disponibile in italiano con il titolo "L'arcobaleno della
vita. La scienza di fronte alla bellezza dell'universo").
Una volta, il primo di aprile, quando io e mia sorella era-
vamo bambini, i nostri genitori e i nostri zii ci fecero un
semplice scherzo. Annunciarono che avevano ritrovato
in soffitta un piccolo aeroplano che era appartenuto loro
da giovani, e che ci avrebbero portato a fare un giro. Vo-
lare era una cosa meno comune allora, ed eravamo emo-
zionatissimi. L'unica condizione era che dovevamo ave-
re gli occhi bendati per tutto il tempo. Ci portarono per
355
mano fino all'aereo, facendoci inciampare per tutto il
prato, e poi ci allacciarono ai nostri sedili. Sentimmo ru-
more del motore che partiva, ci fu un sobbalzo; poi sa-
limmo su in aria, fluttuando, ondeggiando, oscillando
nel nostro viaggio. Di tanto in tanto attraversavamo evi-
dentemente le cime degli alberi, perché sentivamo i rami
che ci accarezzavano dolcemente, ed un vento piacevole
sul viso. Finalmente 'atterrammo', l'emozionante volo
giunse al termine sulla terraferma, la benda ci fu rimossa
e tutto ci fu rivelato tra le risate. Non c'era alcun aero-
plano. Non ci eravamo spostati dal punto del prato da
cui eravamo partiti. Eravamo semplicemente rimasti se-
duti su una sedia da giardino che nostro padre e nostro
zio avevano sollevato, ruotato, e fatto sobbalzare in giro
per simulare un movimento aereo. Nessun motore, solo
l'aspirapolvere che faceva rumore, e un ventilatore per
farci arrivare il vento sul viso. Li avevano attivati nostra
madre e nostra zia, comodamente sedute, come anche i
rami d'albero che ci facevano scivolare addosso. Fu di-
vertente finché durò.
Da bambini creduloni e pieni di fiducia che eravamo,
avevamo atteso il volo promesso per giorni prima che
arrivasse. Non ci venne mai in mente di domandarci
perché dovessimo essere bendati. Non sarebbe stato
naturale chiedere a che serviva fare un volo per diverti-
mento se poi non potevi vedere niente? Ma no, i nostri
genitori ci avevano semplicemente detto che, per qual-
che ragione non specificata, era necessario bendarci; e
noi lo accettammo. Forse ricorsero alla vecchia scusa che
non bisognava rovinare la sorpresa. Non ci siamo mai
domandati perché i nostri parenti ci avessero tenuto se-
greto che almeno uno di loro fosse un pilota addestrato
― non credo che chiedemmo neppure quale di loro lo
fosse. Semplicemente non avevamo una mentalità scet-
tica. Non avevamo paura di precipitare, tale era la fidu-
cia nei nostri genitori. E quando le bende ci furono tolte
e ci fu rivelato lo scherzo, non smettemmo di credere in
356
babbo Natale, la fata dei denti, il paradiso, il paradiso
degli animali ed altre storie che i nostri parenti ci aveva-
no raccontato. Tra parentesi, mia madre non ricorda l'e-
vento, ma ricorda l'occasione della sua infanzia in cui
suo padre fece lo stesso identico trucco a lei e sua sorel-
la. Il suo caso è ancora più estremo, perché il suo aereo
'decollò' da dentro casa, e ai bambini fu detto di "chinar-
si nel momento in cui passavano dentro la finestra". Lei
e sua sorella ci caddero ugualmente.
I bambini sono creduli per natura. Naturalmente devo-
no esserlo; che altro ti aspetteresti? Arrivano nel mondo
senza sapere nulla, circondati da adulti che, al loro con-
fronto, sembrano onniscienti. È certamente vero che il
fuoco brucia, che i serpenti mordono, che se cammini
senza protezione sotto il sole di mezzogiorno ti scotterai
― e, come ora sappiamo, prenderai il cancro alla pelle.
Inoltre, l'altro modo apparentemente più scientifico di
ottenere conoscenza utile, cioè apprenderla da soli per
tentativi ed errori, in genere è una pessima idea perché
gli errori hanno un costo troppo alto. Se tua madre ti
dice di non giocare in riva al lago a causa dei coccodrilli,
non è il caso di fare lo scettico e lo scienziato e risponde-
re con tono adulto "grazie madre, ma preferisco sotto-
porre la tua affermazione ad un test sperimentale".
Troppo spesso, un tale esperimento sarebbe l'ultimo. È
facile capire perché la selezione naturale ― la soprav-
vivenza del più adatto ― abbia penalizzato la mentali-
tà sperimentale e scettica nei bambini, in favore della
semplice credulità.
Ma questo ha una sfortunata conseguenza che non si
può rimuovere. Se i genitori ti dicono qualcosa che
non è vero, devi credere anche a quello. Come potresti
non farlo? i bambini non hanno l'equipaggiamento per
capire la differenza tra un avvertimento vero di un peri-
colo genuino e un falso avvertimento, ad esempio che
diventerai cieco o andrai all'inferno se commetterai un

357
peccato. Se fossero capaci di distinguere, non avrebbero
bisogno di avvertimenti in primo luogo. Insomma la cre-
dulità, in quanto dispositivo di sopravvivenza, va accet-
tata in blocco. Devi credere tutto quello che ti dicono, il
falso e il vero. I genitori e gli anziani sanno così tante
cose che è naturale assumere che sappiano tutto, ed è
naturale credere loro. Così quando ti dicono che Babbo
Natale scende dal camino, e che la fede "muove le mon-
tagne", naturalmente credi anche a quello.
I bambini sono creduloni perché hanno bisogno di es-
serlo per svolgere la loro funzione [evolutiva] di "bru-
chi" nella vita. Le farfalle hanno le ali perché la loro fun-
zione e localizzare i membri del sesso opposto e diffon-
dere i loro figli verso nuove piante da cibo. Hanno un
appetito modesto, soddisfatto da occasionali succhiate
di nettare. Mangiano poche proteine in confronto ai bru-
chi, che stanno ancora crescendo. Gli animali giovani in
generale hanno la funzione di prepararsi a diventare
adulti capaci di riprodursi. E bruchi sono fatti per man-
giare più rapidamente possibile per poter diventare cri-
salide e di divenire adulti volanti, capaci di riprodursi.
Per questo motivo non hanno ali ma invece hanno gros-
se mandibole e un appetito vorace.
I bambini umani devono essere creduloni per una ragio-
ne simile. Sono bruchi dell'informazione. Sono lì per di-
ventare adulti capaci di riprodursi, in una sofisticata so-
cietà basata sulla conoscenza. E la fonte di informazione
di gran lunga più importante nella loro dieta sono gli
anziani, soprattutto i genitori. Per la stessa ragione per
cui i bruchi hanno mandibole fortissime per succhiare la
polpa dei cavoli, i bambini umani hanno occhi e orecchie
ben aperti, e menti fiduciose e capaci di "succhiare" il
linguaggio e altra conoscenza. Sono succhiatori di cono-
scenza adulta. Valanghe di dati, gigabyte di sapienza
scorrono nei portali del cranio di un infante, e la mag-
gior parte di questa sapienza ha origine nella cultura co-

358
struita dai genitori e da generazioni di antenati. (Tra pa-
rentesi, è importante non portare troppo lontano l'analo-
gia con il bruco: i bambini cambiano gradualmente in
adulti, non di colpo, come un bruco si trasforma in far-
falla.)
Ricordo che una volta, a Natale, ho cercato amabilmen-
te di divertire una bambina di sei anni ragionando con
lei su quanto avrebbe dovuto impiegare Babbo Natale
per entrare in tutti i camini del mondo. Se un camino
medio è lungo 6 metri e ci sono, diciamo, 100 milioni di
case con bambini, quanto velocemente, domandai ad
alta voce, dovrebbe sfrecciare in ogni camino per poter
terminare il suo incarico in tempo, entro l'alba del gior-
no di Natale? Non avrebbe certo il tempo di andare in
punta di piedi senza far rumore in ogni stanza da letto
di ogni bambino, non credi, perché dovrebbe necessaria-
mente rompere il muro del suono? Ella comprese il ra-
gionamento e capì che c'era un problema, ma non se ne
preoccupò minimamente. Lasciò cadere la questione
senza indagare su di essa. L'ovvia possibilità che i suoi
genitori le avessero detto una cosa falsa non sembrò mai
attraversare la sua mente. Lei non l'avrebbe messa in
questi termini, ma l'implicazione fu che, se le leggi della
fisica rendevano impossibile l'opera di babbo Natale,
tanto peggio per le leggi della fisica. Era sufficiente che
i genitori le dicessero che lui scendeva nei camini duran-
te le poche ore della sera di Natale. Deve essere così
perché mamma e papà hanno detto che è così.
[...]
Questo fu scritto da Dawkins nel libro "Unweaving the rain-
bow". Durante una conferenza di scienziati (Beyond Belief
2006, i cui filmati sono su youtube.), uno di essi (Melvin Konn-
ner) accusò Dawkins di predicare bene e razzolare male: an-
che lui ha cercato di corrompere la mente di quella bambina,
rivelandole che Babbo Natale non esiste. La risposta di Daw-
kins alla conferenza fu:
359
È qui Melvin Konner? No, è andato via? In realtà io ho
delle grosse obiezioni su quello che ha detto. Ha affer-
mato che io ho indottrinato quella bambina dicendole
che Babbo Natale non esiste. Il punto della questione è
proprio che io non l'ho fatto. L'ho invitata a riflettere da
sola su questo. L'ho invitata a calcolare. Questo è com-
pletamente diverso dall'indottrinamento e, se Melvin
fosse qui, gli chiederei di scusarsi per ciò che ha detto.

TRINITÀ E TEORIA QUANTISTICA


Durante il question-time di una conferenza, uno spettatore
pose a Dawkins questa obiezione:
[..]
Nel tuo discorso metti in ridicolo la Trinità, descriven-
dola come una cosa senza senso, o controintuitiva, e do-
mandi perché mai una persona dovrebbe sforzarsi di ca-
pirla, in primo luogo. Però poi, curiosamente, termini la
tua conferenza parlando della "stranezza quantistica",
che in realtà per gli scienziati è un problema analogo alla
Trinità per i cristiani credenti.
[...]
Dawkins rispose:
[...]
Se ho capito bene, tu stai mettendo in relazione la teoria
quantistica, che certo è profondamente misteriosa, e il
mistero della trinità. Implichi che c'è una sorta di com-
parabilità tra le due cose: se sono entrambe profonda-
mente misteriose, perché dovremmo preferire una ri-
spetto all'altra? La risposta in realtà è molto semplice:
la teoria quantistica produce delle previsioni speri-
mentali che sono state verificate fino ad un'accuratezza
di molte cifre decimali ― così accurate che il grande fi-
sico teoretico Richard Feynman lo comparò all'atto di
predire la larghezza del Nordamerica con l'accuratezza

360
della larghezza di un capello umano. Questo è il motivo
per cui la teoria quantistica deve essere presa sul serio,
e non importa [..] se essa è misteriosa ― è così misterio-
sa che lo stesso Feynman una volta disse: "se pensi di ca-
pire la teoria quantistica, non conosci la teoria quantisti-
ca". [Il pubblico ride.]
È vero che la mente umana non riesce ad afferrarla, ed io
credo che il motivo sia che la mente umana si è evoluta
in un "mondo di mezzo" dove la stranezza della teoria
quantistica non aveva alcun impatto sulla vita umana.
[la logica quantistica si manifesta solo in un dominio mi-
croscopico; non nella vita di tutti i giorni]
E' vero che la mente umana non può afferrare, non può
visualizzare, non può immaginare le assunzioni che la
teoria quantistica ha bisogno di fare, ma i fisici che
fanno gli esperimenti possono verificare le predizioni
della teoria quantistica, fino ad un'accuratezza che è
assolutamente stupefacente, e che ci assicura senza
ombra di dubbio che la teoria quantistica deve, in un
certo senso, essere vera. Niente di lontanamente simile
a questo si potrebbe mai affermare per la dottrina del-
la Trinità; né la dottrina della Trinità è così misteriosa
ed interessante, anche lontanamente, come la teoria
quantistica.

361
CONCLUSIONE

LA NECESSITÀ DI UN ASSOCIAZIONISMO LAICO


(da “L'Illusione di Dio”, Richard Dawkins)

Ateismo significa non credere in quel culto che si dà il caso


pervada la società in cui vivi. In America significa il culto di
Yahweh, il Dio degli ebrei confiscato dai cristiani, i musulma-
ni e i mormoni. Oggi, tutti danno per scontato che siamo atei
rispetto a Thor, Wotan, Zeus e Poseidone, Mitra e Amon-Ra.
Se ti chiedessero perché non credi nel martello di Thor, proba-
bilmente risponderesti qualcosa tipo "perché dovrei essere te-
nuto a giustificare il mio non credere in Thor, dato che non
esiste la più piccola prova per credervi?" . Potresti anche con-
tinuare dicendo che il tuono, che una volta era attribuito al
martello di Thor, ora ha una spiegazione migliore in termini
di cariche elettriche nelle nuvole. Sebbene tu sia tecnicamente
agnostico su tutti questi antichi dei, ed anche sulle fate e sui
leprecani (neppure per loro si può dimostrare che siano falsi),
in pratica non crediamo in nessuno di essi, e non sentiamo il
dovere di spiegare perché.
Oggi, sebbene quasi tutti siano athoristi, il non credere nel
Dio di Abramo è l'opinione più vilipesa degli Stati Uniti. Il
professor Anthony M Stephens-Arroyo, uno dei regolari auto-

362
ri dei testi di On Faith, inizia la sua risposta alla domanda at-
tuale dicendo "Non ho mai incontrato un ateo che fosse una
persona piacevole. Di certo, da qualche parte di questo piane-
ta, ci deve essere un ateo amichevole, ma non mi sono ancora
imbattuto in uno di essi. Gli atei che hanno incrociato la mia
strada sono repellenti..."
Come esperimento, provate a sostituire la parola "ateo" con
"ebreo" o "donna", e chiedetevi se la persona che ha pronun-
ciato queste tre frasi potrebbe mai conservare il suo posto di
lavoro. Eppure nell'America di oggi un professore (di "studi
latini") può pubblicare questi odiose affermazioni e non su-
bire alcuna conseguenza.
Tra gli scienziati abbastanza distinti da essere eletti nella Na-
tional Academy, più del 90% non crede ad alcun tipo di Dio
soprannaturale. Inutile dirlo, molti di essi sono persone piace-
voli, amichevoli e tutt'altro che nauseanti, oltre ad essere intel-
ligenti, beneducati, e cittadini felici e produttivi.
Una proporzione di atei ugualmente alta è stata trovata re-
centemente tra i Fellow della Royal Society, ed è possibile che
gli stessi dati sarebbero prodotti da distinti studiosi di filoso-
fia, storia, economia, letteratura ed altre discipline, provenien-
ti dagli stessi ambienti colti ed intelligenti della società.
Dovremmo sperare che una notevole percentuale dei mem-
bri del Parlamento americano provenga dalla stessa elite in-
tellettuale e culturale, quindi c'è una forte aspettativa statistica
che anche molti di loro siano atei. Eppure sono quasi certo che
nemmeno uno dei 535 membri del Parlamento ammetterà
una cosa simile. Una grande quantità di essi deve per forza
stare mentendo, ma chi può criticarli? Se si rivelassero atei sa-
rebbero ineleggibili, come hanno confermato i sondaggi.
Molti danno per scontato che gli atei non abbiano valori o
una morale, che siano incapaci di amare, o di apprezzare la
bellezza e la natura. Chi voterebbe per uno di loro?
La premessa della domanda di questa settimana è che gli
atei siano di moda in questo periodo. Spero e credo che non
sia un fuoco di paglia. I sintomi di cui sono a conoscenza sono

363
davvero incoraggianti. Il libro di Daniel Dennett "Breaking the
spell" e " lettera a una nazione cristiana" di Sam Harris hanno
venduto benissimo per tutto il 2006, ed il mio "the god delu-
sion" rimane alto nelle classifiche dei best-seller nel 2007.
Dobbiamo aspettarci un successo simile nel 2007 da "God is
not great" di Christopher Hitchens, già autore de "la posizione
della missionaria" e da "God: the failed hypothesis" di Victor
Stenger. Tali roboanti vendite di libri che incoraggiano l'atei-
smo alla luce del sole sarebbero state inconcepibili fino a po-
chissimo tempo fa. Quando,6 anni fa, proposi "the god delu-
sion" al mio agente, lui fu categorico: non ci pensare nemme-
no. E invece, dopo sei anni di teocrazia cristiana incipiente...
Nel mio recente tour di promozione del libro negli Stati Uni-
ti, le standing ovation che ho ricevuto regolarmente dal pub-
blico che si accalcava in tutta la nazione [...] non era dovuto
alle mie abilità di eloquenza o di scrittura, ma completamente,
credo, alla totale frustrazione di liberi pensatori vilipesi. Volta
dopo volta, nelle lunghe file in cui mettevo l'autografo sui li-
bri, giovani americani (giovani in modo incoraggiante) mi
confidavano "grazie, grazie, grazie per aver detto le cose che
volevo dire ma non credevo di potere" (vedi www.RichardDa-
wkins.net).
Sam Harris e Daniel Dennett riportano esperienze simili da
pubblici ugualmente grandi. C'è una speranza diffusa che stia-
mo vedendo l'inizio di uno spostamento da troppo tempo at-
teso della tettonica della nostra cultura. I sondaggi suggerisco-
no che gli atei in America siano molto più numerosi di quan-
to essi stessi comprendano. Sono molti di più degli ebrei, la
cui lobby politica è notoriamente potentissima.
È il momento che gli atei d'America prendano da questo li-
bro, e degli altri che ho menzionato, il coraggio di "rivelarsi",
di alzarsi in piedi, di riconoscersi l'un l'altro, e di lavorare
insieme per esercitare il diritto di esercitare una giusta e pro-
porzionata influenza su questa grande democrazia. Se questi
libri sono, come viene spesso detto per liquidarli, come pre-
dicare al coro, non sottovalutate la sua grandezza e capacità.

364
Si tratta di un coro molto grande e di talento, ed è giunto il
momento che la sua musica si faccia sentire.
[ Se il lettore italiano fosse persuaso di questa necessità, può
iscriversi all'unione italiana degli atei, il cui sito web è
www.uaar.it ]

POSTFAZIONE
La libertà e la vita su questo pianeta sono oggi gravemente
minacciate dall'avanzare del fondamentalismo religioso, spe-
cialmente quello islamico e quello cristiano evangelico ameri-
cano. Come avrete appreso, sia i fondamentalisti cristiani
evangelici sia i fondamentalisti islamici sostengono aperta-
mente l'uccisione degli infedeli, l'uccisione delle donne adulte-
re, l'uccisione degli omosessuali, la fine della democrazia e
l'avvento della teocrazia. Il motivo per cui lo fanno è che cre-
dono che i loro Testi Sacri (rispettivamente Bibbia e Corano)
vadano applicati alla lettera ― e, come è noto, i testi in questio-
ne prescrivono davvero tutti quei delitti, esplicitamente. In
più, i fondamentalisti islamici sostengono le nozioni di jihad e
di soggiogamento della donna, mentre quelli evangelici so-
stengono l'uccisione dei bambini disobbedienti. (I fondamen-
talisti evangelici sono meno noti in Italia di quelli islamici, ma
si contano a milioni negli Stati Uniti, ed hanno una enorme in-
fluenza sulle politiche governative. Uno dei loro capi, Ted
Haggard, si vanta di poter conversare telefonicamente con
George W. Bush ogni domenica.).
Sebbene questi fanatici si contino a milioni, il pericolo più
grave non proviene da loro, bensì dai molti religiosi moderati e
liberali, i quali, senza rendersene conto, sostengono e rafforza-
no i fondamentalisti, in almeno cinque modi: primo, difendo-
no l'idea che la fede (cioè l'atto di credere qualcosa senza evi-
denza) sia di per sé qualcosa di positivo e meritevole, e in tal
modo proteggono ogni tipo di fede, anche quella fondamenta-
lista, dalla critica e dall'emarginazione. Secondo, pretendono
che la fede goda di un rispetto speciale, maggiore di quello
365
che concediamo ad altre credenze, e in tal modo proteggono
ogni fede, anche quella fondamentalista, dall'indagine raziona-
le che potrebbe annientarla. Terzo, i religiosi moderati non
hanno mai preso le distanze dalle Sacre Scritture (Bibbia, Co-
rano): non le hanno mai condannate pubblicamente come vio-
lente, immorali e perverse, bensì continuano a sostenere che
sono scritte sotto ispirazione di Dio, ed in tal modo favorisco-
no i fondamentalisti che ne sostengono l'applicazione letterale
(l'uccisione dei diversamente credenti, degli omosessuali, del-
le adultere, dei figli disobbedienti, ecc). Quarto, i religiosi mo-
derati non mettono mai in discussione la legittimità di cresce-
re i bambini convincendoli di appartenere ad una precisa reli-
gione, instillando nei loro cervelli dei dogmi. Quinto, i religio-
si moderati propagano l'idea che sia legittimo etichettare i
bambini con la religione di nascita (sebbene i bambini siano
ovviamente troppo giovani per avere posizioni ragionate sulla
religione) perpetuando così le divisioni religiose nel mondo.
La combinazione di questi cinque ostinati atteggiamenti dei
religiosi moderati e liberali protegge i fondamentalisti, e rende
possibile il loro successo sempre maggiore. Oggi esiste la pos-
sibilità che i fondamentalisti usino la democrazia americana
come un mezzo, per poi liberarsene come uno straccio vec-
chio, una volta raggiunta la teocrazia.
Anche i non credenti, specialmente quelli “di sinistra”, favori-
scono questa tragica presa di potere, in quanto sottovalutano
quasi sempre i pericoli della fede, e tendono ad attribuire la
responsabilità della violenza e delle stragi non alla fede reli-
giosa in sé e per sé, ma ad altri fattori come la povertà, la di-
sperazione o la mancanza di istruzione. Questa posizione è
fortemente contraria all'evidenza: i kamikaze sono quasi sem-
pre appartenenti alla classe ricca o a quella media, e sono mol-
to colti ed istruiti. Inoltre la loro morte non dà beneficio a nes-
suno, ma danneggia sia i loro cari sia la loro comunità. Abbia-
mo persino testimonianze dirette di kamikaze falliti che con-
fermano personalmente di non odiare nessuno, e di aver agito
soltanto per ricevere il premio di Dio nell'aldilà.
Questo involontario sostegno ai fondamentalisti da parte dei
366
religiosi moderati e dei non credenti produce la conservazione
indefinita di credenze da età della pietra che, combinate alle
tecnologie belliche del ventunesimo o ventiduesimo secolo,
potrebbero portare l'umanità all'estinzione.
Questo esito tragico si può evitare, sebbene le probabilità
non sembrino buone, solo grazie ad un nuovo illuminismo su
scala planetaria, che rivoluzioni completamente l'atteggiamen-
to delle persone verso le credenze non supportate da eviden-
za, e verso l'insegnamento di tali credenze ai bambini. Questo
movimento dovrebbe diffondere nuovi standard di onestà in-
tellettuale, secondo cui una persona che afferma di sapere cose
di cui non c'è evidenza venga immediatamente emarginata ed
esclusa dai dibattiti pubblici (anziché eletta presidente, come
accade oggi). Spero che questa raccolta abbia potuto farvi
prendere coscienza della necessità di tutto ciò e possa stimo-
lare l'inizio di un dibattito.
Se siete persuasi della necessità di un associazionismo laico
per contrastare il crescente potere del dogmatismo religioso
sulle nostre istituzioni democratiche, prendete in considera-
zione l'iscrizione all'unione italiana degli atei, il cui sito web è
www.uaar.it.

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