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HXKO
CHARLES MORRIS
LINEAMENTI
DI UNA TEORIA DEI SEGNI
Introduzione, traduzione e commento
di
Ferruccio Rossi-Landi
G. B. PARAVIA & C.
TORINO - MILANO - PADOVA - FIRENZE - PESCARA - ROMA - NAPOLI - CATANIA - PALERMO
I
PRIMA EDIZIONE
'
Titolo originale dell’opera: « Foundations of thè Theory of Signs », ! '
The University of Chicago Press, Pubi., Chicago, 1938. :
;
.
!
PROPRIETÀ LETTERARIA
:
Printed in Italy
'
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INDICE
I - Introduzione Pag- 3
i. Semiotica e scienza » 3
II - Semiosi e semiotica » io
IV - Semantica ..... » 57
7. La dimensione semantica della semiosi » 57
8. Strutture linguistiche e non-linguistiche » 70
B - C. Morris, Lineamenti di una teoria dei segni.
I
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1
vi Indice
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1
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1 :
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CENNO INTRODUTTIVO
\
Cenno introduttivo IX
scienze. Ciò non vuol certo dire che i vecchi e nobili problemi
si siano disfatti in parole, o che delle scienze la filosofìa debba
necessariamente seguire i metodi. Ma solo che le nuove tecniche
analitiche permettono oggi di spezzare i problemi nei loro ele
menti costitutivi come non mai prima; e che le scienze, limi
tando e comprimendo il compito del filosofo, lo hanno fatto
più preciso e più responsabile. Tale situazione, ormai, è per lo
più acquisita nei paesi di lingua inglese, dove chi la nega è
considerato " un filosofo all’antica”; ma va penetrando solo molto
lentamente nel Continente europeo, dove la tradizione specula
tiva dell’idealismo germanico e del realismo ontologico di vario
colore sono molto più forti, e dove il divorzio fra filosofare e
r ricerca scientifica è molto più marcato. I Linearncnti di una teoria
dei segni sono qui tradotti e commentati, ad uso del lettore ita
liano, per dare un sia pur piccolo contributo a tale penetrazione.
Non si deve credere che questa filosofia analitica e linguistica
si possa esaurire in qualche formula, che essa rappresenti senza più
■
e senza meno una qualche “ posizione ” filosofica nel senso dei ma
nuali da liceo. Come Giulio Preti ebbe a scrivere recentemente, si
i tratta in realtà di « un numero notevole di correnti e sottocorrenti,
spesso assai diverse tra loro, unite solo dal fatto di trovarsi tutte
su di un “ piano ” tale da rendere possibile tra loro discussioni e i
scambi di idee e di tecniche: il che nel nostro secolo appare un
miracolo tanto -grande da far subito correre il pensiero alla
ricerca di un concetto che le identifichi tutte in una unità »
(“ Le tre fasi dell’empirismo scientifico ”, in Rivista critica di
storia della filosofia, IX, 1954, 1, p. 38). Questa, di cercar subito
delle etichette, è ovviamente la prima reazione di chi guarda
alla nuova filosofia dalla roccaforte di una posizione. Siccome
Cenno introduttivo XI
1
Cenno introduttivo XIII
\
—
V
Cenno introduttivo xv
‘ l-
>
■
• ,
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NOTA BIBLIOGRAFICA
• ••
Altre opere.
VI
LINEAMENTI DI UNA TEORIA DEI SEGNI
\
:
—.
Ncmo autem vereri debct ne cha-
racterum contemplatio nos a rebus
abducat, imo contra ad intima re
rum ducer.
Gottfried Leibniz (i).
I. INTRODUZIONE
i. Semiotica e scienza.
■1
\
i. Semiotica e scienza 9
:
t
!
2. Natura del segno *3
ì
rirci agli oggetti per mezzo di segni; ma senza un riferi
mento di questo genere non si dànno designata; una cosa
è un segno solo quando e in quanto è interpretata da un
interprete come segno di qualcos’altro; un rendersi-conto-di-
qualcosa è un interpretante solo nella misura in cui è suscitato
da qualcosa che funziona come segno; una cosa è un inter
prete solo quando si rende conto di un qualcosa in modo
mediato (io). Le proprietà di essere segno designatimi inter-
‘un altro qualcosa * per mezzo di ‘un terzo qualcosa * »» sta per
l'esempio addotto come per ogni altro.
(v) Per la nozione di “ rendersi-conto-di ” vedi al termine del pre
sente paragrafo. La locuzione originale è ‘ to ta\e account o/ ’ e ha !
su quella italiana, della quale qui ci serviamo in mancanza di meglio,
I
il vantaggio di far pensare di meno ad una eventuale necessaria con
sapevolezza del rendersi conto (uno può rispondere ad uno stimolo !!
come a un segno di un qualcosa anche senza porci mente: cfr. le
note 117 e 118). :i
M
(io) Si noti che la definizione è tenuta tanto larga, che la “ cosa ”
suscettibile di assumere la condizione di interprete non sembra neces ;
sariamente limitata agli organismi umani e animali (vedi qui la
quarta osservazione nella nota precedente). Così una macchina che, i
per esempio, compia una certa operazione verso la cosa a (cioè che si
comporti in un certo modo verso di essa) come conseguenza di un
comando b, sarebbe “interprete” di a per mezzo di bì Si tratta di
vedere se è lecito asserire che la macchina “ si rende conto ” di a
in virtù di b. In altre parole: è la nozione di “rendersi-conto-di”
necessariamente ristretta ai soli organismi, oppure no? Torneremo sulla
questione nella nota 72. Possiamo intanto ricordare i due libri di
Norbert Wiener recentemente apparsi anche in italiano: ha ciber
netica [Cybernetics, or Control and Communication in thè Animai
and thè Machine], trad. di O. Beghelli, Milano: Bompiani, 1953,
pp. 252; Introduzione alla cibernetica [The Human Use of Human
: '
J4 II. Semiosi e semiotica
\
2. Natura del segno x5
(12) Non è del tutto chiaro a quale fra le seguenti distinzioni Morris
si stia riferendo: (1) Quella fra “oggetti fisici”, di cui appunto si
usa dire che desistono “ realmente ”, nella cosiddetta “ realtà ogget
tiva ” del mondo, cioè (come anche si dice) “ fuori di noi ” e in ma
niera comune a tutti noi, e cose come per es. sentimenti e pensieri,
che certo “ esistono ” anch’essi, ma in un senso diverso da quello degli
oggetti fisici, (n) Quella fra tutto dò di cui si può dire che in un
modo o nell’altro esiste (sentimenti e pensieri compresi), e tutto ciò
'di cui non lo si può dire, o non con sicurezza; in questo caso, il
centauro non esiste, almeno fino a quando i genetisti ce ne producano
uno; ma certo esiste l’idea del centauro (di un nuova idea possiam
dire che prima non esisteva), (iiì) Quella fra ciò che esiste nell'atto
in cui se ne parla, e ciò che è esistito prima o potrà tornare ad
esistere, ma non esiste ora che stiamo parlandone, (iv) Quella fra ciò
che, oltre ad esistere, è effettivamente presente al parlante mentre egli
ne parla, e ciò che non lo è (l’esigenza espressa da questa quarta
distinzione corrisponde all'esse est percipi berkeleyiano con in più la
dimensione linguistica). Si noti che l’esistenza in cui sia nella (in) che
nella (iv) può a sua volta esser vista sia nel senso della (1) sia in
quello della (11). Ognuna delle quattro distinzioni accennate ha una
sua tradizione e dà origine a una sua problematica, che meriterebbe
I un lungo esame; e altre se ne potrebbero trarre. Può essere utile con
frontare la critica di Aristotile alla teoria platonica delle idee (per
es. in Metafisica, I, 5, 990 quali e quanti tipi di specie ideali
esistono?). Per semplificare, accontentiamoci per ora di assumere che
Morris abbia in mente soprattutto la prima distinzione. Così per
esempio il segno * centauro ’, designante animali che non sono mai
esistiti nel senso (1), ha come designatum una classe senza alcun
membro; e dunque non ha denotatum. La questione è ripresa nel
testo al termine del § 7, in corrispondenza alla nota 60.
2. Natura del segno *7
(14) La relazione dei segni fra loro può esser vista (almeno così
si sostiene) anche prescindendo da una parte del significato dei segni
stessi, e cioè dai loro designata e denotata e dai loro interpreti; ed è
detta “ formale ” perché la tradizione considera il segno, se preso di
per se stesso, come una “ forma ” indipendente appunto dal “ conte
nuto ” che può avere. La distinzione fra “ forma ” e “ contenuto ”
si ritrova in tutta la storia della filosofia, ma con significati diversi
(basti ricordare che Aristotile distingue fra la forma come essere in
atto e la materia come essere in potenza; e Kant fra attività formale
del pensiero e suo contenuto proveniente dairesperienza). Vedi avanti
nel testo, soprattutto il § 5.
(14 a) Per i possibili aspetti segnici della percezione vedi la nota 78
e il testo del § 9 in corrispondenza ad essa. Espedienti mnemonici e
segnaletici che, almeno prima facie, si direbbero isolati, sono rispetti-
:
7* ;
}!j ' il '
20 II. Semiosi e semiotica
;.
tavia l’interpretazione di questi casi non è perfettamente
chiara, ed è molto diffìcile esser sicuri che ci sia una cosa
come un segno isolato. Certo, potenzialmente se non di
fatto, ogni segno è in rapporto con altri, perché ciò di cui
il segno prepara l’interprete a rendersi conto può essere
detto solo per mezzo di altri segni. È vero che non è neces
sario parlarne; ma in via di principio è possibile, e una
volta che se ne sia parlato il segno in questione è stato
messo in rapporto con altri. Siccome è chiaro che ogni segno
è per lo più in rapporto con altri, siccome l’analisi mostra
che molti segni apparentemente isolati in realtà non lo sono,
e siccome tutti i segni, potenzialmente se non di fatto, sono
in rapporto con altri, è bene coordinare una terza dimen
sione della semiosi alle due già menzionate. Essa sarà chia
mata dimensione sintattica della semiosi, simbolizzata da
* D,m’; e il suo studio avrà il nome di sintattica.
Converrà disporre di termini speciali per designare sepa
ratamente i rapporti dei segni con: altri segni, gli oggetti,
gli interpreti. ‘Implica’ sarà limitato a D,in; ‘designa’ e
‘ denota ’ a Dtom; esprime a Dv. La parola ‘ tavola ’ implica
(ma non designa) ‘ mobile formato da un piano di assi
sorretto da quattro gambe, sul quale si possono posare
oggetti’; designa un certo tipo di oggetto (mobile formato
da un piano di assi sorretto da quattro gambe, sul quale si
possono posare oggetti); denota gli oggetti cui è applicabile;
V'
(i6) * Esistente ’ = ‘ Una cosa qualsiasi che esiste, che c’è ’. Cfr. le ■
note 4, 9, io, 12, 111. ■
;
■
3. Dimensioni e livelli della semiosi 23
1 (19) Morris vuol dire che, una volta distinta la semiosi in tre dimen
.
' sioni e rispettivamente la semiotica in tre branche, i termini intro
il
dotti per indicare rapporti esistenti fra le tre dimensioni, e quindi
fra le tre branche che le studiano, avranno anche la funzione di richia
marci all’unitarietà del processo semiosico. Un esempio: se io, dopo
aver detto che un uomo consta di tronco, membra e testa, discorro
dei rapporti fra queste tre porzioni, il mio discorso riguarderà anche
l’uòmo come un tutto (un tutto che, appunto, è stato diviso per
comodità di studio in quelle tre porzioni). L’intera situazione può
venir chiarita per mezzo del seguente diagramma, che traiamo da un
altro scritto di Morris (“ Esthetics and thè Theory of Signs ”, Journal
oj Unifìed Science, Vili, 1939, pp. 131-150):
DIMENSIONE DIMENSIONE
SEMIOSI SINTATTICA SEMANTICA
DELLA SEMIOS1 designatimi,
DELLA SEMIOSI
denotatimi
\
altri
veicoli <- veicolo segnico
f DIMENSIONE
/ PRAGMATICA
segnici / DELLA SEMIOSI
\
f' \ V interpretante,
/ \
\ / interprete
\ / \
T / \
SEMIOTICA \ / \
\ / \
sintattica semantica pragmatica
*r
3. Dimensioni e livelli della semiosi 27
che (23); ma tali risultati altro non sembrano che una pic
cola parte di ciò che ci si può attendere; anzi, il lavoro di
sistemazione preliminare dei campi costitutivi la semiotica è
■ appena cominciato. Per queste ragioni, come pure in vista
degli scopi solo introduttivi della nostra monografìa, non
è sembrato consigliabile tentare qui una formalizzazione che
sarebbe sproporzionata per eccesso al materiale di cui pos
siamo oggi disporre e che potrebbe anche confondere le
idee sulla funzione assegnabile alla semiotica nella costru
zione di una scienza unificata.
Tuttavia quella resta la nostra meta. Avremmo allora una
semiotica denominabile pura, con le branche costituiti ve di
sintattica pura, semantica pura e pragmatica pura. Verrebbe
I
sistematicamente elaborata la meta-lingua nei termini della
quale discutere tutte le situazioni segniche. L’applicazione
di questa lingua a esempi concreti di segni potrebbe allora
esser chiamata semiotica descrittiva (o sintattica, semantica
pragmatica descrittiva, secondo il caso). In questo senso h
presente Enciclopedia, nella misura in cui si occupa della
lingua della scienza, è essa stessa un caso importante di
semiotica descrittiva. Le trattazioni della struttura della
lingua scientifica, del suo rapporto da una parte con situa
r zioni reali e dall’altra con coloro che la costruiscono e se
:
ne servono, rientrano rispettivamente nella sintattica, nella
semantica e nella pragmatica descrittive. Dal punto di vista
espresso in questa monografia, VEnciclopedia nel suo com
plesso rientra nel campo della semiotica pura e descrittiva.
4. Il linguaggio (24).
I
metria, la logica simbolica). C’è poi un seconda accezione di ‘ lin
guaggio ’, diversa dalla prima e di solito ancor più ristretta di * lin
gua ’. È quella di quando parliamo, per esempio, del “ linguaggio
militare”; o, ancor più specificamente, di un “linguaggio schietto”;
o del “ linguaggio di Omero ” (cioè dello stile di Omero come poeta,
mentre la “ lingua ” di Omero è il particolare tipo di lingua greca,
filologicamente considerata, di cui egli si serve). Morris come semio-
ticista si occupa del linguaggio in generale; ma ciò che analizza in
questo paragrafo e nei successivi come “ sistema di segni interconnessi ”
è spesso una lingua, naturale 0 tecnica che sia. Noi tradurremo ‘ lin
guaggio ’ o ‘lingua’ a seconda dei casi; e per ‘linguaggio’ intende
remo ora il senso più lato ora quello più ristretto (‘ linguaggio della
lì
n
'
L
4- H linguaggio 29
maggior parte dei termini che hanno a che fare coi segni,
anche ‘ linguaggio ’ e ‘ lingua * sono ambigui in questo, che
si possono caratterizzare secondo ognuna delle tre dimen
sioni. Così un formalista è incline a vedere una lingua in
qualsiasi sistema assiomatico, ci siano o meno delle cose
da esso denotate, sia esso effettivamente usato da un gruppo
di interpreti o no; un empirista tende a insistere sul fatto
che i segni devono trovarsi in rapporto con oggetti da essi
denotati, di cui asseriscono con esattezza le proprietà; un
pragmatista vede nel linguaggio soprattutto un tipo di atti
vità comunicativa, di origine e natura sociale, che permette
ai membri di un gruppo sociale di meglio soddisfare i
propri bisogni individuali e comuni. Il merito dell’analisi
tri-dimensionale è che vi si riconosce la validità di tutti
questi punti di vista, in quanto essi si riferiscono a tre
aspetti di un unico fenomeno, che resta sempre lo stesso;
quando occorra, si indicherà il tipo di considerazione (e
quindi di astrazione) usato con ‘L„n’, ‘ Lacm ’ o ‘LP’ (25).
Si è già osservato che un segno può non denotare alcun
oggetto reale (cioè non avere denotatum), o non avere alcuno
che lo interpreti. Parimenti, ci possono essere delle lingue,
cioè dei complessi segnici, che in un dato momento non
fra lingue naturali e lingue artificiali (per cui rivedi la nota 24).
Alcuni suoi aspetti sono messi in luce se accanto a ‘ naturale ’ usiamo
‘ universale ’, ‘ comune ’, ‘ spontanea ’, ‘ storica ‘ assunta com’è ’, e
accanto ad ‘ artificiale ’ diciamo ‘ tecnica ’, ‘ ristretta ’, ‘ speciale *, ‘ vo
luta ’, ‘ costruita ‘ progettata ‘ perfezionata ’, 4 ideale \ La distin
zione, si badi, non è a taglio netto. Basti pensare a come certi termini,
dapprima usati solo nell’ambito di lingue tecniche, entrino poi in
quelle naturali, via via arricchendole: termini chimici, biologici, mec
canici di cui noi ci serviamo correntemente mentre non se ne servi-
vano i nostri padri. Inoltre, se appena riflettiamo con impegno su di
una parola qualsiasi, siamo portati ad assumere di fronte ad essa
un atteggiamento, diciamo appunto, più tecnico. Per es., noi tutti
sappiamo cosa è una mela, ma se vogliamo approfondire finiremo
per parlare in termini botanici, chimici, agrari, merceologici. Noi
tutti sappiamo che 4 il ’ è un articolo, e sappiamo servircene; ma
potremmo svolgere su di esso un’indagine grammaticale, o di storia
della lingua, 0 addirittura un’indagine logica. Se anche per queste
ragioni (e per altre che qui tralasciamo) non è possibile, o non sempre,
distinguere nettamente fra lingue naturali e lingue tecniche, nel
complesso, però, la distinzione regge, specialmente quando si tratta
di sistemi segnici costruiti volontariamente per certi scopi, cioè di
sistemi nei quali volontarie sono sia le semantizzazioni dei vari segni
sia le regole per i loro rapporti. Ed è distinzione molto utile a chia
rire la posizione di Morris: egli vuole che la sua semiotica sia un
.passo verso la costruzione di una lingua tecnica che permetta di par
lare intorno a tutti gli aspetti del linguaggio in genere come pure
delle varie lingue in particolare, sianò queste naturali o, a loro
volta, tecniche. Un secondo passo nella stessa direzione sarà compiuto,
come già sappiamo, in SLC. Vedi la nota 52.
3 - C. Morris, Lineamenti di una teoria dei segni.
!
34 E. Semiosi- e semiotica
:
4. Il linguaggio 35
:
sente x, l’interconnessione delle due aspettazioni rende natu- 1
• ralissimo che w si aspetti z quando è presente y. Essendo da
una parte interconnessi gli eventi e dall’altra le azioni, :
diventano interconnessi anche i segni; e sorge il linguaggio
come loro sistema (29). Che la struttura sintattica del lin-
5
:J
III. SINTATTICA
(31) Per la logica simbolica v. le note 21 e 22; per Peirce la nota 26.
George Boole (1815-1864), matematico inglese, è ricordato soprattutto
per i suoi volumi Mathematical Analysis oj Logic (1847) e Laws of
Thought (1854), che anticipano la moderna logica matematica. Gottlob
Frege (1848-1925), matematico e logico tedesco, professore alPUniver
si tà di Jena, è ritenuto oggi da molti specialisti il più grande logico
delPOttocento. Alcuni dei suoi scritti principali sono stati raccolti e
tradotti da L. Geymonat nel volume Aritmetica e Logica (Torino:
Einaudi, 1948, pp. 269). Il matematico Giuseppe Peano (1854-1932)
insegnò all’Università di Torino dal 1890 alla morte ed elaborò un
sistema di notazione logica ora comunemente accettato. Le sue opere
sono stranamente dimenticate dai filosofi italiani, mentre godono della
più alta reputazione in tutto il mondo anglosassone. Bertrand Russell
(1872, viv.), autore di numerose opere di varia filosofia, diede insieme
a Whitehead uno dei maggiori contributi alla rinascita della logica
nel nostro secolo con l’opera monumentale Principia Mathematica
(3 voli., 1910-13, seconda edizione 1925-27). Sostenne e tuttora sostiene
una “ filosofia dell’analisi logica ” apparentata, almeno nei metodi,
alla ricerca scientifica. Diverse sue opere sono state tradotte in italiano,
soprattutto presso l’editore Longanesi di Milano. Alfred N. Whitehead
(1861-1947) da una Part€ collaborò con Russell ai Principia Mathematica,
dall’altra sviluppò una sua complessa metafisica basata sul principio
di relatività della fisica contemporanea. Rudolf Carnap (1891, viv.)
è uno dei maggiori rappresentanti del positivismo logico e poi del
l’empirismo scientifico (vedi Introduzione); si è occupato soprattutto
di teoria della conoscenza e di epistemologia, sviluppando original
mente i metodi d’analisi logica avanzati, fra gli altri, nei Principia di
Russell e Whitehead. Alcune delle sue opere principali sono citate
nella Nota Bibliografica posta da Morris a termine del presente
volumetto.
40 III. Sintattica
(33) Oltre che nello studio di Carnap ora citato, nei Principles of
thè Theory of Probability (1939) di E. Nagel e in The Technique of
Theory Construction (1939) di J. H. Woodger. Si ha l’impressione
che quando scrisse il presente lavoro (1938) Morris esagerasse un po’
l’importanza della logica simbolica. Negli ultimi anni questa ha rice
vute molte nuove critiche: soprattutto per quanto riguarda il suo
istituire caselle astratte nelle quali viene poi forzata la fluida varietà
delle lingue ‘ naturali ’. Si tende oggi a limitare la portata della
logica simbolica in genere (e della sintassi logica di Carnap in par-
ticolare) allo-iludio. dei-fondamenti della logica e della matematica.
Lo stesso Carnap, del resto, ha accolto la concezione semiotica di
Morris e ha allargato nelle ultime opere i suoi schemi formali (si
veda la Introduction to Semantics, Cambridge, Mass., 1942).
i
i
42 , III. Sintattica
Col suo spirito e col suo metodo, essa può essere molto
i
utile anche alla semantica e alla pragmatica, nei quali campi
il suo influsso appare infatti già evidente.
■
Molti dei risultati specifici della sintassi logica hanno :
riscontro in altre branche della semiotica. Diamo un esempio.
Il termine * enunciato cosale * (34) serva a designare ogni_
enunciato,Jl.cui designatum non includa segni; tale enun
ciato riguarda delle cose, e può essere studiato dalla semio
tica. Secondo questo uso, nessun enunciato delle lingue
semiotiche è cosale (35). Ora Carnap ha messo in luce come
molti enunciati apparentemente cosali, che sembrano cioè
riferirsi a oggetti che non sono segni, risultino all’analisi
pseudo enunciati cosali, che vanno interpretati come asser
zioni sintattiche intorno al linguaggio. Ebbene, in analogia
con questi enunciati quasi-sintattici ci sono corrispondenti
enunciati quasi-semantici e quasi-pragmatici, che si presen
tano nella veste di enunciati cosali e che vanno invece inter
pretati secondo il rapporto dei segni con i designata o dei
segni con gli interpreti (36).
Ora è ovvio che una cosa qualsiasi possa essere studiata, ed entro :
certi limiti adoperata, nell’ambito di un qualsiasi universo di discorso
(negare ciò significherebbe concepire la natura come di per sè divisa
in compartimenti stagni). Esempi: (i) un chimico può studiare il
• comportamento religioso dell’uomo, se gli riesce di trovare delle modi !
ficazioni chimiche che avvengono quando l’uomo prega con fervore,
o ha visioni, o sente voci, o compie atti miracolosi; (li) un fisico può
studiare il comportamento segnico deH’uomo, se gli riesce di trovare
delle modificazioni elettriche nell’uomo che parla, o che parla in un
certo modo, o che parla una certa lingua invece che un’altra, o che
adopera certe parole, o che si rivolge a certe persone, e così via; (in) un
teologo può studiare il comportamento della materia in base ai suoi
principi, correlando per esempio a certi cangiamenti determinati inter
venti angelici; (iv) un musicista può comporre una sinfonia in cui
sussistono certi rapporti geometrici o aritmetici; e così via. Questi
stessi esempi mostrano però anche come certe cose si prestino ad essere
studiate in certi universi di discorso meglio che in certi altri, e ad
essere adoperate per certi fini meglio che per certi altri. Ciò avviene
sia perché le indagini e in genere le attività umane si sono sviluppate
come si sono sviluppate e non altrimenti, sia perché certi tipi di
fenomeni non possono venir dominati da certi tipi di procedimenti,
sia per qualunque altra ragione si voglia addurre (c’è in questo fatto
. una spiegazione di quanto s’intende quando si raccomanda ad ogni
specialista di non compiere arbitrarie escursioni al di fuori del suo
campo, di non trasferire ad altri universi di discorso ciò che è valido
soltanto nel suo).
Credo dunque che Morris voglia dire questo: il rapporto fra il
segno a e il segno b può essere studiato sintatticamente, sulla carta;
fa
5. Concezione formale del linguaggio 45
-i
3
ajle combinazioni che da un punto di vista semantico sono
dette asserzioni, e a quelle altre combinazioni segniche che
-
2 servono a trasformare le asserzioni. Così, secondo Fuso che
Carnap fa del termine, un comando non è un enunciato, e
molte linee di poesia non sarebbero enunciati. Insomma,
secondo lui, ‘ enunciato ’ non è un termine applicabile a
qualsiasi combinazione segnica indipendente permessa dalle
regole di formazione di una lingua, mentre è chiaro che
la sintattica nel senso lato deve occuparsi di tutte quelle
combinazioni. Ci sono dunque problemi sintattici nel campo
dei segni percettivi, dei segni estetici, dell’uso pratico dei
segni, della linguistica generale, che non sono stati presi in
; considerazione nel quadro di ciò che oggi s’intende per
! sintassi logica, ma che rientrano nella sintattica quale noi
la concepiamo (37).
;A V—
1
48 III. Sintattica
ir
6. Struttura linguistica 51
i
6. Struttura linguistica 53
di una lingua formale o ideale del tipo di quella proposta nei Principia
Mathematica di Russell e Whitehead (nota 31) può servire a chia
rire il raffronto.
Il principio che bisogna tenere presente nel costruire lo schema di
una lingua formale è che i segni sono visti solo come oggetti fisici,
cioè come forme geometriche sulla carta. « Una teoria, una regola,
una definizione, e così via, sarà chiamata formale quando non si fa
alcun riferimento o al significato dei simboli o al senso delle espres
sioni, ma solo e unicamente ai tipi e all’ordine dei simboli di cui son
costruite le espressioni » (Carnap). La sintassi logica è così « studio
che riguarda il disegno geometrico » (Bergmann). Ciò vuol dire che
il significato dei segni è soltanto potenziale: è un significato qual
siasi, non meglio determinato che per la sua potenzialità; e diven
terà un significato vero e proprio quando lo schema sarà interpretato
(vedi avanti).
* La costruzione dello schema di una lingua formale può essere
svolta in tre passi successivi:
(I) Selezione di segni (considerati per ora solo come forme geo
metriche) o di tipi di segni, che servano da elementi costitutivi; e
loro suddivisione in categorie. Si distingue fra segni descrittivi (nomi
propri e predicati di vario ordine) e segni logici (connettivi, come ‘ no
‘ e ’, ‘ se... allora ’; quantificatori, come ‘ alcuni *, ‘ tutti variabili,
cioè segni indicanti un membro qualsiasi di una data classe, dove
tale membro può essere sostituito alla variabile e ne costituisce dunque
un possibile valore; tutti i segni che non sono variabili sono costanti).
(II) Selezione di certe determinate sequenze di segni che saranno
gli enunciati-JÌ£ÌL&-]ing\i2.. e che saranno chiamati jz/omiW se conter
ranno solo segni descrittivi (‘ la mela è verde ’), com.pìejjfi se conter
ranno anche segni logici (‘ se la mela e la pera sono verdi, allora io
6. Struttura linguistica 55
negli Stati Uniti. I suoi contributi alla semantica hanno avuto grande
influsso su Carnap, Morris e moltissimi altri.
(47) La “ comportamentistica ”, di cui qualche riga più sopra nel
testo, può esser distinta dal “ comportamentismo ” perché questo è
una dottrina psicologica che vuole ci si limiti ai comportamenti
direttamente osservabili, mentre quella è studio generale della con
dotta umana (v. nota 13; i due termini americani sono ‘ behavioristics *
e ‘ behaviorism ’). Che cosa sia il « rapporto fra strutture linguistiche
formali e loro interpretazioni » s’intende tenendo presente cos’è una
lingua formale (nota 44). Morris ne parla poi nel testo. Per una prima
bibliografia su quest’ultimo problema, come pure per i titoli dei
lavori di Carnap e Reichenbach, di Tarski e di altri logici polacchi
(Ajdukiewicz e Kokoszynska), basti rimandare alla Nota Bibliografica
aggiunta da Morris a questo volumetto e agli altri libri elencati al
termine dell’Introduzione.
(48) Cioè composta di “ enunciati cosali ” : v. la nota 34.
I
6o IV. Semantica
!
la struttura del linguaggio sia la struttura della natura fino
a che i termini ‘ struttura ’ e ‘ struttura linguistica ’ non
siano stati precisati (49); quanto v’è d’insoddisfacente nelle
passate discussioni di tale questione è certo in parte dovuto
*=
alla mancanza di una chiarificazione preliminare come quella
fornita oggi dalla sintattica. r
Una combinazione segnica come “ ‘ Fido * designa A ” è
;
un esempio di enunciato nella lingua della semantica. Qui
c <
Fido ’ ’ denota ‘ Fido ’ (cioè denota il segno o il veicolo '
segnico, non un oggetto non-linguistico), mentre 4 A ’ è un i
segno indice di un qualche oggetto (potrebbe essere la parola !
‘ quello ’ usata congiuntamente a un gesto indicante una dire
zione). 4 4 Fido ’ * è pertanto un termine della meta-lingua, e :
;
denota il segno ‘Fido’ della lingua-oggetto; 'A * è un ter .
mine della lingua cosale, e denota una cosa. 4 Designa ’ è
1
un termine semantico, giacché è un segno caratterizzante
I
7. Dimensione semantica della semiosi 61
2K£D honu saturunz; ima niiasioni Qxcsù& eurremec che s: fermò «a-
l'Un;vers:^ da Canhridge ssbhippsiid» madri di veria anemeriesza
•ed é ■oggi in dare soprammo .acT:T~,sh*crsià è: Ocxi. ostìàaa
ratffiTìw d«-"ts lingua cuori ner mer-zo nem sressi lìngua quev
ti'iis-rs.. g'-n*r>n in linea m —e s£ve ©erse fanrraìazaKà che
porremmo chiamare * omasiDualmente sceniche \ C:ò è in vivo con-
stesso non la resi di Mania, che l'analisi di una naia lingua richieda
la previa cosrrnzinne di ima nxr-a-lingna nella quale condurre il lavoro.
Senza rinviare aimna delle due correnti. circi che. miro som
mato, Morris ha esagerato in fatto di schemi preconcetti: che ranalisi
non-formale del linguaggio è sviluppabile anche senza una meta-
lingua; che talvolta l'uso di una meta-lingua precosti mira oscura e
complica i problemi anziché chiarirli e semplificarli. Ma direi anche
che molte avvertenze preliminari e molti principi di metodo del
tipo di quelli dati da Morris possono essere udii e come sprone e
come guida per la coordinazione del vastissimo materiale. L'equivoco
di Morris procede forse dalTaver trascurato il fatto che. una volta
sviluppata la lingua tecnica, bisognerà comunque applicarla a quella
comune, fare i conti con essa; sicché alla questione del rapporto
iniziale fra le due si aggiungerà anche quella dell’applicabilità della
lingua tecnica a quella comune. È essenziale comprendere che sia
un’indagine come quella di Morris (“ tecnica ” in senso stretto) sìa
un’indagine come quella di Oxford (non “ tecnica ” in senso stretto,
ma, si direbbe piuttosto, “ artigianesca ”) sono, in un senso più largo
del termine, “ tecniche ” in questo, che rifiutano il personalismo,
l’evasionismo e la presunzione di certo filosofare accademico specie
spiritualistico, e vogliono che la ricerca sia collegiale, responsabile,
modesta, cauta. Vedi poi la nota 109.
k
*v
(52 a) Per la natura del veicolo scguìco sì vedrà poi nella nota 113»
La questione è se si tratti in ogni caso dì un oggetto fìsico 0 di un
r
j
evento determinabile.
(52 b) La nozione dì icone sì può chiarire se pensiamo a espressioni
come ‘ statua iconica \ cioò fatta “ secondo le misure del corpo umano
al naturale.
(53) Si confrontino i §§ 12 e 13.
5 - C. Morris, Lineamenti di una teoria dei segni.
:
!
i 66 IV. Semantica
s
per l’impiego di un’icone è che questa denota ogni oggetto
j avente le caratteristiche possedute dall’icone stessa, o, più
comunemente, una certa specificata collezione di tali carat
teristiche. La regola semantica per l’impiego di un simbolo
deve essere asserita nei termini di altri simboli, le cui regole
d’impiego siano fuori discussione; ovvero indicando oggetti
specifici che servano da modelli (e così da iconi), in modo
che il simbolo in questione venga poi usato per denotare
oggetti simili ai modelli (54). È il fatto che la regola seman
tica d’impiego di un simbolo possa essere asserita per mezzo
d’altri simboli a render possibile (per dirla con Carnap) la
riduzione di un termine scientifico ad altri (o, meglio, la
costruzione di un termine su altri) e così la sistemazione
della lingua della scienza. Ma siccome i segni indici sono
indispensabili (i simboli, in ultima analisi, richiedono iconi,
e le iconi indici), un programma di sistemazione come
quello proposto dal fisicismo è costretto^ ad arrestare il pro
cesso di riduzione di fronte a certi segni, che vengono
accettati come termini primitivi. Le regole semantiche d’im-
: (54) La regola semantica per l’impiego di un’icone rinvia neces
sariamente a un oggetto (e richiederà dunque anche l’uso di indici
per la localizzazione spazio-temporale dell’oggetto). Quella per l’im
piego di un simbolo può invece anche rinviare ad altri simboli, già
noti almeno quanto basta per comprendere il nuovo simbolo: è il
rapporto classico fra definìendum e definiens. Vedi la nota seguente.
La distinzione fra “ iconi ” e “ simboli ” è sembrata poi insufficiente
allo stesso Morris, che in SLC la ha sostituita con una doppia distin
zione : fra “ simboli” (= segni di altri segni) e “segnali” ( = tutti i
segni che non sono simboli, cioè che si riferiscono _aJ?gg?ItL_nq]ì-
lingmstjel), e fra “ segni iconici ” e-^-segni nnp-irnnirj ” Allora un
simbolo non potrà mai essere iconico, mentre un segnale potrà essere
n ìrnnirn (xpn fnrngmfiq) p porkicouico (un semaforo,Ja^paroìa ‘ casa’).
7. Dimensione semantica della semiosi 67
come ‘ figlio ’). Quello che Morris vuol dire è che i termini per le
proprietà, come ‘ giallo ‘ duro ‘diritto ’ dolce svolgono una fun
zione singola, si riferiscono a quella data cosa che è gialla, dura, diritta,
dolce. Invece i termini per le relazioni svolgono una funzione in un
certo senso (e perlomeno) duplice: non c’è un prima se non c’è anche
un dopo, e non c’è un padre se non c’è anche un figlio, sicché in
‘ prima ’ e in ‘ padre ’ è implicito un doppio riferimento.
(59) I fatti e gli stati di cose [states of affairs] sono per Morris desi
gnata di enunciati, cioè di segni complessi e non semplici. Questo
avvierebbe un discorso su ciò che intendiamo per 4 fatto ’. Val la pena
che uno se lo domandi. Che le entità o essenze siano designata di
«tutti i segni indifferentemente» [all signs whatsoever] può venir
inteso nel senso che si può pensare che a qualsiasi segno corrisponda
un’entità, sia questa concettuale od ontologica : cioè in senso polemico,
che Morris non è certo concettualista od ontologista (ciò apparirà ben
chiaramente nel seguito della sua trattazione).
(60) Malgrado queste precisazioni e quelle che poi seguono nel
testo, si ripresenta il dubbio indicato nella nota 12.
r
70 IV. Semantica
;
mentre più sopra non poteva esserlo, che per asserire quello
che costituirebbe il designatum di un certo segno si deb *
1
8. Strutture linguistiche e non-linguistiche 71
(62) Se per es. dico ‘ L’onda bagna la spiaggia c’è una relazione
spaziale fra i due segni ‘ onda ’ e ‘ spiaggia e ad essa corrisponde
una relazione spaziale fra l’onda e la spiaggia. In ‘ Verrò oggi 0
domani ’ la relazione spaziale fra ‘ oggi ’ e ‘ domani ’ corrisponde ad
una relazione non-spaziale fra l’oggi e il domani. E così via. Ma si
capisce subito come sia difficile generalizzare.
(63) Morris non nega che un certo isomorfismo fra segni lingui
stici e situazioni non linguistiche lo si possa magari riscontrare. Si
tratterà in ogni caso di svolgere ricerche specifiche su alcuni settori
del linguaggio. Ma nulla ci autorizza ad assumere la tesi dell’isomor-
fismo per spiegare la natura del linguaggio in generale. Rivedi la
nota 49 e il testo relativo.
m ' 74 IV. Semantica
l\\ aggiunti alla lingua per rendere sempre possibili certe ope
razioni, che altrimenti in certi casi sarebbero impossibili,
• ; e per asserire nel modo più generale certe formule, che
altrimenti andrebbero sempre qualificate.
Nella lingua comune ci sono anche molti segni che
indicano la reazione di colui che li usa alla situazione
descritta (come ‘ fortunatamente ’ in ‘ Fortunatamente, egli
venne ’), o anche la sua reazione ai segni stessi di cui egli
si sta servendo nella descrizione (come quando uno esprime
il proprio grado di fiducia in un’asserzione che sta facendo).
Questi strumenti del discorso hanno una dimensione seman
tica solo ad un più alto livello di semiosi, giacché la dimen
sione pragmatica di un processo di semiosi non è denotata
in quello stesso processo, ma solo in uno di più alto
livello (640). In una lingua ci sono, oltre ad aspetti predo-
1A
4
8. Strutture linguistiche e non-linguistiche 75
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8. Strutture linguistiche e non-linguistiche 77
I 78 IV. Semantica I
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8. Strutture linguistiche e non-linguisdche 79
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V. PRAGMATICA
82 V. Pragmatica
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CO) 4 j. Sicché dobbiamo distin
guere ‘ pragmatica ’ da ‘ pragmatismo ’ e ‘ pragmatico ’ da :
‘ pragmatistico ’ (71). Siccome la maggior parte se non la
totalità dei segni (72) hanno come interpreti degli organismi
viventi, è caratterizzazione sufficientemente accurata della
pragmatica dire che essa tratta gli aspetti biotici della semiosi.
cioè tuttiJl fenomeni psicologici, biologici e sociologici che *
intervengono nel funzionamento dei segni. Anche la pragma-
tica ha un aspetto puro e uno descrittivo: il primo come
tentativo di sviluppare una lingua nella quale parlare della :
dimensione pragmatica della semiosi; il secondo come appli :
cazione di questa lingua a casi specifici. !
I
'?
!
84 V. Pragmatica
i
studio empirico del veicolo segnico in quanto determinato t
i
da regole non era un ripudio della tradizione dominante;
vi era solo l’idea che, in quel modo, si potesse conseguire :
per l’analisi dei concetti una nuova tecnica, e ciò meglio 1
che tentando d’ispezionare direttamente il pensiero (75). ?
Col passar del tempo, quasi tutti i postulati di questa .
tradizionale versione della pragmatica furono posti in dub
bio; sarebbero oggi accettati solo con serie restrizioni. Il
punto di vista è rapidamente cangiato in seguito alle impli-
lastici distinsero fra una intentio prima e una intentio secunda (in
italiano possiamo usare ‘ istanza ’). L'intentio prima era il jvolgersjjdeJf
l’intelletto alle cose (actus intellectus directus); la secunda era il vol
gersi cfèirmtelfctto sulToggetto di pensiero suscitato dalla prima (actus
intellectus riflexus). Risulta dunque che l’intentio secunda ha per suo
oggetto non già una cosa, ma il pensiero di una cosa, cioè — come
dicevano gli scolastici — un ens rationis. Se i termini logici sono
termini di seconda istanza nel senso ora detto, la dottrina della
mente accettata è quella aristotelica (si veda la nota 114 e il testo in
corrispondenza ad essa; la questione sarà poi ripresa a proposito degli
universali: § 13, nota 131). Del resto, tutta l’impostazione scolastica
riposa sulla nozione di spirito come ente di cui si studiano le non
■
materiali azioni : e per questo non c’è di meglio che rimandare allo
Spirito come comportamento di Gilbert Ryle, Torino: Einaudi, 1955.
( 1. | Una parte di quanto gli scolastici intendevano è stata assorbita nella
: : I moderna teoria dei tipi logici, inventata da Bertrand Russell (nota 31)
I -1
^ per la soluzione dei paradossi logici (un cenno nella nota 141).
(75) In altre parole, i concetti come enti mentali rimanevano.
E rimaneva così anche la nozione del pensiero come una realtà che
scorre in un mondo non spaziale, una specie di misterioso fiume
;
:!! i “ interiore ” del quale è difficile, ma non impossibile, studiare il
corso anche direttamente: anche senza ricorrere alle sue “espressioni
esteriori ”, cioè al linguaggio. Al linguaggio l’accorto Leibniz prefe-
1:
;
9- Dimensione pragmatica della semiosi 85
E lì
! ■
-i
:
9. Dimensione pragmatica della semiosi 87
!:
9. Dimensione pragmatica della semiosi 89
i
1
io. Fattori individuali e sociali 93
11,1
!I
io. Fattori individuali e sociali 99
che il veicolo segnico del primo è una fase anteriore di un
atto sociale nel quale il designatum è fase posteriore (in
questo caso, l’attacco del cane). Qui abbiamo un organismo
che si prepara a ciò che un altro organismo — il cane — sta
per fare rispondendo a certi atti del secondo come a segni:
il ringhio è il segno, l’attacco il designatum, l’animale attac-
cato l’interprete, e la risposta preparatoria dell’interprete è \ %
s l’interpretante. L’utilità di siffatti gesti segnici è limitata dal. ^
-
fatto che il segno non è tale per chi lo produce come per/'
chi lo riceve: il cane che ringhia non risponde al proprio1 \\ *
ringhio come fa il suo avversario; il segno non viene assunto
in comune, dunque non è un segno linguistico (92).
D’altra parte, la caratteristica che conta nel gesto vocale £
sta precisamente nel fatto che chi emette il suono lo ode
proprio come gli altri. Quando tali suoni entrano in con- • . '• ^
nessione con un atto sociale (un combattimento, un gioco,
un canto), tutti coloro che partecipano all’atto godono, grazie
al segno che hanno in comune, di un designatum comune,
e ciò pur essendo le loro funzioni dentro all’atto differen
ziate. Chi partecipa ad un’attività comune stimola con i
propri gesti vocali se stesso come gli altri. Si congiunga
questo con quanto Mead chiamava la dimensione temporale
del sistema nervoso (cioè: un’attività antecedente, ma di più
lenta estrinsecazione, può dare inizio ad un’attività susse
guente e più rapida; la seconda a sua volta favorisce od osta
cola la completa estrinsecazione della prima), e si otterrà
una spiegazione possibile di come i segni linguistici ser
vono alla comunicazione volontaria. Per usare uno dei fre
quenti esempi di Mead, si prenda il caso di una persona
sa•:
!<
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il. Uso e abuso pragmatico in
!
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-
VI. L’UNITÀ DELLA SEMIOTICA
i
!
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12. Il significato IX3
»
12. Il significato 117
egli dice una certa residua ambiguità fra esperienza come relazione
d’esperienza ed esperienza come sperimentato. Già nell’uso comune,
‘ esperienza ’ serve sia per * sperimentato sia per * esperienza in atto ’,
‘sperimentare’, ‘relazione d’esperienza’; e forse in italiano saremmo
portati ad adoperare il termine più nel secondo senso (in una delle
tre sfumature dette) che nel primo. Siccome lo stesso Morris presenta
la sua analisi come affatto provvisoria, non è il caso d’insistere troppo.
■i Gli esempi dati nella nota 119 mostreranno tuttavia che anche la
•; nozione d’esperienza come sperimentato richiede ulteriori elaborazioni.
(118) L’espressione y\E[yxEx^\ si può leggere “ y1 è in relazione
; d’esperienza con yxEx19 cioè con il fatto che yx è in relazione d’espe
rienza con x! ”, ovvero “ y, sperimenta il suo proprio sperimentare xx
Vale a dire che ha un’esperienza conscia quando in realtà ne ha
due l’una sull’altra.
(119) Se io (y,) guardo un quadro e sono il solo a guardarlo, l’espe-
rienza-di-guardare-quel-quadro (*j) è di fatto mia soggettiva. Se io
(yj e tu (y2) guardiamo insieme lo stesso quadro, l’esperienza-di-
guardare-quel-quadro (x-f) è di fatto intersoggettiva fra me e te. Se
io avverto un dolore al mio piede sinistro, l’esperienza del dolore è
intrinsecamente mia soggettiva (giacché tu non potrai mai provare il
mio dolore). Potenzialmente intersoggettive sono tutte le esperienze che
12. Il significato 121
non sono soggettive in modo intrinseco, cioè che sono soggettive solo
di fatto; e per questo rimandiamo a quanto scrive Morris più avanti
nel testo. Qual’è però, nel caso del quadro che io guardo, lo speri
mentato (vedi nota 117 in fondo)? Il quadro o il mio guardarlo?
Rispondere a questa domanda nel primo o nel secondo senso significa,
in genere, propendere per una posizione realistica o idealistica in
fatto di percezione. Anche solo un tentativo di risposta richiederebbe
argomenti troppo lunghi e complessi per questo commento.
Il riferimento alle leggi di natura di cui si dispone a un certo
stadio del sapere, che Morris fa a proposito delle esperienze intrinse
camente soggettive, consiste in questo, che con il progresso delle cogni
zioni umane, del dominio delPuomo sulla natura tutta e quindi anche
su se stesso, certe esperienze credute private possono venir condivise
da più soggetti e il limite dell’intrinsecamente soggettivo può restrin
gersi. Per es. la psicoanalisi ha portato alla luce, e quindi reso in un
certo senso intersoggettivi, processi che sembravano chiusi nel. segreto
del soggetto (non per questo dobbiamo pensare alla psicoanalisi come
a metodo per la scoperta di realtà psichiche considerate come essenze,
nel senso criticato nelle note 13, 93 e altrove. Si veda anche la
nota 95).
(120) Questa è una conclusione di notevole importanza, che mette
a fuoco la discussione precedente (sia del testo che delle note). Espe
rienze soggettive non sono quelle che riguardano lo sperimentante
ed esperienze intersoggettive non sono quelle che riguardano gli
oggetti esterni: non nel senso che non lo possano essere, ma in
quello che non lo sono necessariamente. Dati uno sperimentante e
un oggetto esterno qualsivogliano, di entrambi ci possono essere espe-
ri
122 VI. Unità della semiotica
(122) Dunque: (1) il fatto che yxE [y2Exx] e y,E [y.Ex»] non
reggano, non comporta che nemmeno reggano yxExx e y2Ex resta
il fatto che (y„ y2)Exl. (11) y, può dare un designazione di yaExx
e y2 di yiExx : dove y2Exx è, attraverso la designazione, un’esperienza
indiretta di y„ e viceversa.
124 VI. Unità della semiotica
■
138 VI. Unità della semiotica
:
14. Interrelazione delle scienze semiotiche 141
i
I
;
s
1
p*
15. Unificazione delle scienze semiotiche 143
4
processo; i secondi, alla luce dei fatti disponibili, debbono
sviluppare una struttura teorica precisa e ben organizzata,
della quale si serviranno a loro volta i futuri accertatori di
I fatti (136). Un problema teorico importante è quello del
4
(136) È questo, in nucey il processo della ricerca scientifica. Esso
muove in genere attraverso fasi del tipo delle seguenti, che qui sche
matizziamo a fine puramente didattico. (1) Su di un certo numero di
fatti accertati in una certa misura si sviluppa una prima teoria
elementare. (2) Questa teoria elementare viene usata come ipotesi per
la ricerca e il migliore accertamento di nuovi fatti. (3) I nuovi
fatti vengono organizzati in una struttura teorica più complessa,
che si cerca di far discendere per intero da alcuni singoli principi
il più possibile semplici, economici, unitari. Il processo che dai
fatti reca _ai..,principi è detto induzione, quello che dai principi
reca ai fatti, deduzione. La validità dei principi così raggiunti viene
messa a prova per mezzo d’esperimenti ben costruiti. (4) Ove tali
principi, e con essi tutta la struttura teorica già costruita, siano con
fermati dagli esperimenti, si può tentar di passare dalla fase esplica
tiva a quella preditiva: cioè di predire lo sviluppo di certi processi
ben individuati e isolati, nei quali occorrano i fatti di cui nella terza • }
fase. Quello che dovrà essere il risultato di cui si è in cerca viene
dedotto allora dai principi stabiliti. In genere a questo punto non si i
parla più di principi, ma di leggi. (5) Se anche la predizione riesce, i:
si cerca di passare alla fase del condizionamento, che consiste nel
cercar di imporre la nostra volontà sullo svolgimento dei processi
isolati, e ciò al fine di realizzare i nostri fini nel mondo. Così aumenta
il dominio dell’uomo sulle cose.
Alcune osservazioni. (1) Il momento teorico e il momento osser
vati vo-sperimentale non sono due tronconi separati, né partecipano di
una qualche diversa realtà (per es., si sarebbe tentati di dire, il teo
rico della ragione e l’osservativo-sperimentale dell’esperienza). Tutt’al
contrario, si tratta di due procedimenti che vengono svolti di pari
passo, che non sono pensabili l’uno senza l’altro, e che derivano
1
M4 VII. Problemi e applicazioni
entrambi sia dalla ragione sia dall’esperienza. Così, per esempio, certe
osservazioni possono essere indispensabili alla costruzione di un’ipo ;
tesi di lavoro; le osservazioni, a loro volta, non sono mai un passivo j
aprir gli occhi di fronte alla natura, ma costituiscono anzi già qual
cosa di altamente attivo che l’uomo compie sulle cose; gli esperimenti
poi non potrebbero esser compiuti se non ci fosse già tutta una com s
plessa struttura teorica. Anche qui, insomma, dobbiamo guardarci ;
dal pensare l’uomo diviso in due pezzi, la ragione che pensa e i sensi ;
\
che sperimentano; dobbiamo invece partire dall’uomo, e chiederci quali
diverse tecniche l’uomo, che rimane sempre intero, stia applicando,
(n) Il momento iniziale (i) risulta anch’esso dall’applicazione con
temporanea dei due procedimenti. Non dobbiamo pensare che ci
siano prima i fatti accertati e poi la teoria elementare che li coordina : i
è proprio l’uso di una teoria che permette-.d’accertare certi, fatti, invece^
che certi altri. E d’altra parte è difficile pensare a una teoria che
non coordini cosa alcuna. Quello che importa, comunque, è non con
I
fondere la questione di come si formi una teoria in sede genetica con
la questione del processo costruttivo della ricerca e dei rapporti logici
fra teoria ed esperienza (si veda in proposito 11 metodo della ricerca
nelle scienze di Hugo Dingler, Milano: Longanesi, 1953). (ni) Pari-
menti, induzione deduzione ipotesi non sono tanto tre procedimenti
■!
isolati, quanto tre aspetti separatamente descrivibili di un unico pro
t cedimento molto complesso, (iv) Non tutte le scienze hanno rag
1
giunto lo stesso grado di sviluppo. Delle fasi che abbiamo provviso
riamente distinte, alcune, come la fisica, hanno già pienamente rag
•J giunto la (5); altre, come la psicologia, son ferme fra la (2) e la (3),
ma per così dire con alcune avanguardie spinte fin verso la (5); altre
si sviluppano prevalentemente per entro una delle fasi iniziali, e
restano prevalentemente descrittive 0 al più esplicative (accertamento
di fatti e formulazione di rozze teorie generali: la storia); altre
15- Unificazione delle scienze semiotiche *45
I
teorici della politica, e simili. I contatti fra la semiotica e altre disci
pline, scientifiche in senso stretto come umanistiche, dovrebbero ser
vire a mostrare della semiotica sia i limiti sia, entro quei limiti
l’originalità e l’indipendenza.
(138) Vedi le note 21 e 44.
(*39) Non è questo il luogo per un esame semiotico, o anche solo
per qualche cenno di analisi linguistica, di dottrine come le cate
gorie d’Aristotile (dette anche praedicabilia, perché studiano i prin
cipali tipi di predicazione) 0 gli elementi trascendentali di Kant.
Morris distingue fra categorie e predicabili perché questi sono sen-
z altro forme della predicazione, cioè della congiunzione di un pre
dicato a un soggetto, mentre in alcuni autori quelle sono anche
forme della realta (ciò e discusso in Kant, è certo in Hegel). Un
10 • C. Morris, Lineamenti di una teoria dei segni.
146 VII. Problemi e applicazioni
i
15. Unificazione delle scienze semiotiche M7
!
u
I
I
una comunità: dobbiamo anche tener conto dei risultati di quei pro
cedimenti, e cioè delle asserzioni (v. nota 18) nelle quali i risultati
vengono espressi. Queste asserzioni avranno un valore o status cono
scitivo o euristico nel senso che saranno asserzioni di quello che,, nel
senso più vasto, noi sappiamo : che abbiamo ottenuto o accertato, o
(
I
che siamo in grado di ripetere o di produrre, e via dicendo.
(147) In base alla distinzione fra iconi e simboli (§ 7), Morris svi
lupperà nell’articolo citato nella nota 19 una teoria semiotica del
segno estetico. L’opera d’arte è un segno complesso, un’elaborata
t struttura di segni che agisce sull'interprete con una trama di riferi
menti,: certi suoi aspetti fanno sorgere domande e aspettazioni che
altri aspetti, almeno parzialmente, soddisfano. L’interprete passa da
una parte all’altra dell’oggetto artistico rispondendo a certe sue parti
come a segni di altre e costruendo così una risposta totale. La difle-
rentia specifica del segno estetico sta in quelli fra i segni iconici che
designano valori; e che dunque (essendo iconici) esibiscono in se
stessi una parte almeno delle proprietà di un loro eventuale deno
tatami. Così, nell’opera d’arte, le proprietà di valore sono avvertite
per mezzo di alcuni fra i segni stessi che la costituiscono, gli iconici.
jj Questo spiega come l’opera d’arte non sia, se non in parte, segno
di altre cose, ma bensì di se stessa: èssa reca in se stessa la propria
significatività. L
! (148) Per la sociologia del sapere vedi la nota 95. Il trivium e il
a
l!
:
15. Unificazione delle scienze semiotiche *5*
;
16. La semiotica come organo delle scienze 153
!
17. Implicazioni umanistiche *57
(153) Qui e alcune altre volte nel corso del volumetto ci imbat
tiamo in un uso inglese di ‘ true ’ e ‘ truth ’ che non viene reso ade
guatamente con ‘ vero ’ e ‘ verità * : i due termini italiani paiono
molto più ponderosi e problematici dei loro compagni inglesi. Così
‘ la verità delle asserzioni della lingua della scienza empirica ’ ha,
in italiano, un suono molto solenne: forse perché fa pensare ad una
verità precostituita, della quale la scienza empirica si impadronirebbe,
e che nella lingua di tale scienza risulterebbe dunque espressa. Ma
quello che Morris vuol dire è solo che la scienza cosiddetta empirica
mira ad accertare dei fatti, e che il tipo di linguaggio che essa si
è formato serve molto bene a precisare di che razza di fatti si tratti
(basti pensare alla precisione delle misurazioni in fìsica, astronomia,
chimica); mentre non serve affatto a dirci se e come i fatti precisati
siano poi importanti. Un chimico può esprimere in quattro formule
una sua scoperta, ma a cosa essa serva lo dirà semmai per mezzo di
un altro linguaggio; e si potrebbe dire che quando lo dice egli cessa
di essere un chimico in senso stretto.
(154) Queste distinzioni fra linguaggi o modi di funzionare dei
segni sono il primo nucleo di una lunga serie di classificazioni che,
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SCELTA BIBLIOGRAFICA
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