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*1 DI UNA TEORIA

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CHARLES MORRIS

LINEAMENTI
DI UNA TEORIA DEI SEGNI
Introduzione, traduzione e commento
di
Ferruccio Rossi-Landi

G. B. PARAVIA & C.
TORINO - MILANO - PADOVA - FIRENZE - PESCARA - ROMA - NAPOLI - CATANIA - PALERMO
I

PRIMA EDIZIONE
'
Titolo originale dell’opera: « Foundations of thè Theory of Signs », ! '
The University of Chicago Press, Pubi., Chicago, 1938. :

;
.

!
PROPRIETÀ LETTERARIA

:
Printed in Italy

Si ritengono contraffatte le copie non firmate


o non munite del timbro della S.I.A.E.

'

1 Società per Azioni G. B. PARAVIA & C.


TORINO - Corso Racconigi, n. 16
357 (B) 1954 - 5723 | 1682 |

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i
INDICE

Cenno introduttivo Pag. VII

Nota bibliografica » XXV

LINEAMENTI DI UNA TEORIA DEI SEGNI

I - Introduzione Pag- 3
i. Semiotica e scienza » 3

II - Semiosi e semiotica » io

2. Natura del segno » io


3. Dimensioni e livelli della semiosi » 18
4. Il linguaggio . » 28

III - Sintattica ..... » 37


5. La concezione formale del linguaggio » 37 ■
6. Struttura linguistica » 46

IV - Semantica ..... » 57
7. La dimensione semantica della semiosi » 57
8. Strutture linguistiche e non-linguistiche » 70
B - C. Morris, Lineamenti di una teoria dei segni.
I
'
1

vi Indice

V - Pragmatica ..... Pag. 81


9. La dimensione pragmatica della semiosi » 81
::
10. Fattori individuali e sociali nella semiosi ». 91
11. Uso ed abuso pragmatico dei segni . » 103

VI - L’unità della semiotica • » 112

12. Il significato .... » 112

13. Universali e universalità » 128

14. Interrelazione delle scienze semiotiche » 138

. VII - Problemi e applicazioni » 142

15. Unificazione delle scienze semiotiche » 142


16. La semiotica come organo delle scienze » 152
17. Implicazioni umanistiche della semiotica » 155
j*

Scelta bibliografica » 161

Indice dei nomi » i63


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CENNO INTRODUTTIVO

L’operetta che qui si presenta è una breve ma compatta intro­


duzione ad alcune delle questioni dibattute dalla moderna filo­
sofia interessata al linguaggio in una delle forme che questa ha
assunte. Si tratta di un vasto moto di rinnovamento che, con molta
prudenza, possiamo chiamare “analitico ” e “ linguistico ” : di un
insieme di ricerche volte in maniera sempre più consapevole
all’analisi del linguaggio umano in generale, e di certe situazioni
linguistiche in particolare, nel convincimento che molti dei pro­
blemi tramandati come filosofici (se non forse, col tempo, tutti)
possano ricevere così una nuova luce. È uno studio del linguaggio
filosofico ed è insieme uno. studio filosofico del linguaggio. Chi
è mosso da curiosità intellettuale per l’uomo vi troverà chiarite
molte perplessità che spesso sorgono meditando in campi diversi,
ma che né le scienze costituite in senso stretto né la filosofia
“ speculativa ’’ sono solitamente in grado di eliminare.
L’interesse per il linguaggio non è cosa nuova nella storia del
pensiero. In un certo senso, i primi “ analisti ” furono i sofisti.
I Dialoghi di Platone, soprattutto quelli' della vecchiezza, abbon­
dano di analisi felicissime; l’Enciclopedia aristotelica e le opere
delle scuole ellenistiche (stoici, epicurei, scettici) ne son tutte intes­
sute. Le dottrine greche passarono nell’Europa medioevale già
I vili Cenno introduttivo

attraverso Agostino e Boezio, e poi attraverso i commentatori


arabi e giudaici di Aristotile; e autori come Pietro Ispano, Abe­
lardo, Ruggero Bacone e Guglielmo di Occam ne svilupparono
la cosiddetta sdentici sermodnalis, vera e propria teoria generale
»
del linguaggio, comprendente grammatica, logica e retorica. Le
scholae della tarda scolastica erano in misura notevole seminari
di analisi del linguaggio. Come Morris osserva nel suo libro Segni, t
linguaggio e comportamento (ed ital., Appendice, I, pp. 334-5),
si vennero poi distinguendo due correnti principali. L’una ten­
deva ad interpretare il linguaggio nel quadro della metafisica
; classica, platonica o aristotelica; l’altra a fare dello studio del
i
linguaggio una disciplina di tipo scientifico, che si accordasse
1 allo spirito della filosofia empirica. La prima direzione fu ripresa
in tempi moderni da Leibniz. Questi accettava ancora la dot­
;
:
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trina dello spirito-sostanza e si occupò di linguaggio e di logica i
con il fine di fare della metafisica una scienza esatta come la
I
matematica; però nel corso dei suoi tentativi diede l’avvio ad
una specie di teoria generale del linguaggio a carattere mate­ )
>1 matico, cui si ispirò più tardi tutta la moderna fioritura della
logica detta simbolica (Boole, Peirce, Frege, Peano, Russell e
; Whitehead, Carnap, i logici polacchi). La seconda direzione
j divenne elemento centrale nell’empirismo inglese classico: da
\ Bacone e Hobbes, attraverso Locke Berkeley Hume, fino a
} Bentham e oltre, essa fu oggetto d’incessante elaborazione nei
I paesi di lingua inglese. Questa seconda corrente si divise poi a
sua volta in due rami principali, a seconda che lo studio filo­
i

! sofico del linguaggio poggiasse su di una psicologia associazio­


nistica della mente umana, come appunto quella in cui finì per
arenarsi l’empirismo inglese; ovvero su di un’interpretazione

\
Cenno introduttivo IX

diretta dell’umano comportamento. Il primo ramo andò a poco


a poco estinguendosi, anche se è ancora rappresentato nelle
opere dedicate al linguaggio da studiosi di formazione special-
mente glottologica o letteraria, come Ogden e Richards. Il secondo
è quello del pragmatismo americano di Peirce, Dewey, Mead e
dell’autore di questo volumetto; sotto varia forma e con un certo
numero di correzioni, esso si è alleato da una parte alla psico­
logia del comportamento (fiorente soprattutto in America) e
dall’altra alle più recenti correnti di analisi del linguaggio comune
(fiorenti soprattutto in Inghilterra). Il lettore dei Lineamenti di
una teoria dei segni troverà sia nel testo che nel commento ripe­
tute precisazioni su molte di queste tendenze; e ad esse pos­
siamo rimandarlo.
Questo rapido cenno dei principali filoni storici che precedono
la moderna svolta analitica e linguistica del filosofare vuol ser­
vire solo a mettere innanzi come essa sia emersa da una lunga
tradizione d’approssimazioni successive. Va subito aggiunto, però,
che la situazione d’oggi non è in alcun modo riducibile alla tra­
dizione stessa. Fino a un trentennio fa le analisi linguistiche
erano ancora considerate — come dire — “ secondarie ” di fronte
ad un “ filosofare di fondo ”. Questo era ancora strettamente
imparentato alla problematica tradizionale nella sua forma clas­
sica. I due tronconi rimanevano separati, e il primo serviva al
secondo, che ne giudicava. Oggi le analisi linguistiche hanno per
così dire assorbita la problematica tradizionale, le hanno data
un’impostazione affatto nuova; tanto che son giunte a costituire
— beninteso presso i movimenti di pensiero di cui ci stiamo
occupando — il compito primo del filosofo, quello che il filo­
sofo può rivendicare a sè malgrado lo schiacciante sviluppo delle
Cenno introduttivo

scienze. Ciò non vuol certo dire che i vecchi e nobili problemi
si siano disfatti in parole, o che delle scienze la filosofìa debba
necessariamente seguire i metodi. Ma solo che le nuove tecniche
analitiche permettono oggi di spezzare i problemi nei loro ele­
menti costitutivi come non mai prima; e che le scienze, limi­
tando e comprimendo il compito del filosofo, lo hanno fatto
più preciso e più responsabile. Tale situazione, ormai, è per lo
più acquisita nei paesi di lingua inglese, dove chi la nega è
considerato " un filosofo all’antica”; ma va penetrando solo molto
lentamente nel Continente europeo, dove la tradizione specula­
tiva dell’idealismo germanico e del realismo ontologico di vario
colore sono molto più forti, e dove il divorzio fra filosofare e
r ricerca scientifica è molto più marcato. I Linearncnti di una teoria
dei segni sono qui tradotti e commentati, ad uso del lettore ita­
liano, per dare un sia pur piccolo contributo a tale penetrazione.
Non si deve credere che questa filosofia analitica e linguistica
si possa esaurire in qualche formula, che essa rappresenti senza più

e senza meno una qualche “ posizione ” filosofica nel senso dei ma­
nuali da liceo. Come Giulio Preti ebbe a scrivere recentemente, si
i tratta in realtà di « un numero notevole di correnti e sottocorrenti,
spesso assai diverse tra loro, unite solo dal fatto di trovarsi tutte
su di un “ piano ” tale da rendere possibile tra loro discussioni e i
scambi di idee e di tecniche: il che nel nostro secolo appare un
miracolo tanto -grande da far subito correre il pensiero alla
ricerca di un concetto che le identifichi tutte in una unità »
(“ Le tre fasi dell’empirismo scientifico ”, in Rivista critica di
storia della filosofia, IX, 1954, 1, p. 38). Questa, di cercar subito
delle etichette, è ovviamente la prima reazione di chi guarda
alla nuova filosofia dalla roccaforte di una posizione. Siccome
Cenno introduttivo XI

una posizione” filosofica è dichiarabile per mezzo di alcune


formule, l’uomo dalla roccaforte tenderà inevitabilmente a sco­
vare le formule delle supposte roccaforti altrui. Gli sfuggirà che
si tratta invece di ricercatori sparsi sul terreno. Fuor di metafora,
gli sfuggirà il nuovo tipo di lavoro che tali ricercatori svolgono
e che continuano a svolgere in comune anche quando, attra­
verso gli occhiali del “ posizionismo ”, sembrerebbe di poterli
rapidamente incasellare (e perfino anche quando Pincasellatura, a
quel livello superficiale d’esame, fosse legittima). Egli parlerà
in termini di “ idealismo ”, “ realismo ”, “ positivismo ”, “ empi­
rismo ” di persone che hanno oltrepassato o stanno oltrepassando
queste tradizionali opposizioni, che sono d’accordo fra loro sulla
possibilità del trapasso, e che lavorano di zappa sul vergine ter­
reno del linguaggio filosofico, al di là delle opposizioni stesse.
Egli prenderà per loro problematica fondamentale gli eventuali
rimasugli che essi si sono recati con sè dal terreno attraversato,
o gli eventuali schemi di cui essi si vanno via via servendo come
di strumenti di lavoro. La reazione è tanto erronea ed ingenua
quanto universalmente prevedibile. Di fronte ad essa l’analista,
che ha alle spalle non meno di trent’anni di specifiche ricerche
delle quali i suoi oppositori non si sono mai seriamente occu­
pati, non deve prendersela; ma solo attendere pazientemente che
la nuova mentalità si comunichi agli altri. Essa va facendo passi
giganteschi, secondo un processo di diffusione e insieme di con­
solidamento che presenta notevoli analogie con quello che tre
secoli fa recò all’affermazione della moderna mentalità scientifica
sull’astrologia, la magia e l’alchimia.
Raggrupperò qui le varie correnti della nuova filosofia in
base al criterio del tipo di linguaggio di cui esse si servono,
XII Cenno introduttivo

subordinando altre differenze che appaiono invece principali se


il criterio applicato è diverso. La cosa può essere utile per il
lettore, che si accinge ad esaminare una teoria del linguaggio.
Si ravvisano, dunque, due tendenze principali. Abbiamo chi
ritiene che Fanalisi non possa venir avviata se non dopo costruita
una ‘ lingua ideale o perfetta o tecnica ” esente dalle ambiguità
di quella quotidiana; di questa lingua perfetta ci serviremo come
di strumento univoco e intersoggettivo per la ricerca. Abbiamo,
di contro, chi rifiuta tale progetto e rivendica la possibilità di
avviare subito l’analisi nella lingua quotidiana che costituisce
; il nostro comune patrimonio di parlanti (ovviamente ciò non
: vuol dire che non vengono applicate delle tecniche). Sarà forse
chiaro che non si tratta, di nuovo, di due “ posizioni ”, ma solo
di due diversi metodi di lavoro, in ognuno dei quali conflui­
scono, variamente commisti, elementi da entrambe le direzioni
storiche ricordate. Si tratta di due modi di esplorare il terreno,
! non di due nuove roccaforti. Sussistono infatti fra le due ten-
denze numerosi scambi di metodi e di risultati, e ognuna di
esse dà luogo a varie formulazioni. I progetti di lingua ideale
ì possono venir realizzati ricorrendo alla già ricordata logica sim­
bolica o matematica, nel senso del progetto originale di Leibniz;
pero non è detto che in questi tentativi sia necessariamente pre­
sente, come in quelli di Leibniz, un qualche residuo della meta-
fisica classica, per es. la dottrina della mente come sostanza e
del linguaggio esprimente i concetti quali enti mentali o addi­
rittura quali enti ontologici. C’è invece chi tenta d’impostare
una teoria generale del comportamento umano che comprenda
come sua parte una teoria di quello linguistico; è questa, in
linea di massima, la posizione del nostro Autore. E c’è chi muove

1
Cenno introduttivo XIII

da una base “ operativa ”, cioè studia modèlli di operazioni com­


piute dall’uomo quando, servendosi del linguaggio, costruisce le
situazioni dette “filosofiche” (Bridgman, Dingler; in Italia c’è
stato un tentativo da parte di Ceccato). Le analisi svolte nella
lingua quotidiana, a lóro volta, possono riferirsi ad una psico­
logia associazionistica oppure ad una psicologia comportamenti­
stica. Possono anche rifiutare qualsiasi connessione con la psico­
logia per limitarsi allo studio della cosiddetta “ logica del lin­
guaggio” (gli analisti britannici: il secondo Wittgenstein, Ryle
e altri). Quest’ultimo caso è di particolare interesse in quanto
condivide l’assunto anti-psicologistico della logica simbolica pur
distaccandosi pienamente da questa per il rifiuto della lingua
ideale. Sia le soluzioni basate su di una lingua perfetta sia quelle
basate sulla lingua quotidiana son poi tutte tagliate di traverso
— e danno così origine a diverse sottosoluzioni — a seconda
che l’intento sia più o meno scientifico o umanistico, più o
meno connesso con la problematica filosofica tradizionale, più
o meno generale ovvero circostanziato. Anche su alcune fra
tutte queste possibilità il lettore dei Lineamenti troverà ripe­
tute osservazioni nel testo e nel commento; e anche qui, per
non anticipare sulla lettura, ad esse lo rimandiamo.
Conviene piuttosto far cenno delle opere di Morris, e dire
così qualcosa del suo debito verso quelli che furono i suoi mae­
stri e verso i movimenti di pensiero con cui egli si trovò in
contatto.

Nato a Denver (Colorado) nel 1901, Morris ha compiuti studi


d’ingegneria, biologia, psicologia e filosofia. Laureato in scienze
nel 1922, conseguì il dottorato in filosofia nel 1925 all’Univer-

C - C. Morris, Lineamenti di una teoria dei segni.


XIV Cenno introduttivo

sita di Chicago, dove insegna dal 1931. La sua prima opera


di respiro è Six Theories of Mind [Sei teorie della mente o
spinto], del 1932, nella quale sono esaminati i risultati otte­
nuti da sei gruppi di correnti filosofiche sul problema indicato
dal titolo. Fin da questo primo volume e dagli articoli del
periodo, il punto di vista di Morris è prevalentemente pragma­
tistico e comportamentistico; ma fin da allora egli mostra una
singolare comprensione per i punti di vista altri dal suo, ciò
che lo porterà a tentare più tardi una singolare opera d’assi­
milazione, coordinamento e superamento.
Il pragmatismo è l’insieme di dottrine e di metodi creati
da Charles $. Peirce e William James e continuati soprattutto
: da George H. Mead e John Dewey. Per un complesso di ra­
gioni che non possiamo esaminare qui, è accaduto in Italia
che l’opera di James fosse subito studiata e tradotta mentre
quella più profonda e duratura di Peirce è rimasta pressoché
sconosciuta; e che il gran nome di Dewey lasciasse nell’ombra
i
quello di Mead, pensatore senza dubbio meno importante, ma
che influì profondamente su tutta la filosofia americana del
Novecento, e del quale lo stesso Dewey già nel 1931 ebbe a scri­
! vere « non mi fa piacere immaginare cosa sarebbe avvenuto del
mio pensiero se non fosse stato per le idee seminali che ho
derivate da lui » (“ George Herbert Mead ”, Journal of Philo-
sophyt XXVIII, 311). Ricordiamo qui due aspetti soltanto del
pragmatismo. Il primo è che esso è una rivolta contro il dua­
! lismo ontologico fatta per mezzo di una rivalutazione dell’im-
portanza dell’azione nello sviluppo della vita mentale e spirituale,
quale è stata messa in luce dalle scoperte delle scienze biologiche,
j
3 psicologiche e sociali a partire da Darwin. La mente o spirito

\

V
Cenno introduttivo xv

non è una sostanza, come nel dualismo ontologico cartesiano;


ma non è nemmeno un processo o un atto nel senso dato a
questi termini dall’idealismo, o un insieme di relazioni come
vorrebbe l’empirismo classico. Essa è una funzione, e precisa-
mente è la funzione esercitata dai segni o simboli. Di qui che
la via regia per comprenderla sia lo studio del segno, del lin­
guaggio (come vedremo, i segni linguistici, cioè le parole, ven­
gono presentati come una specie del genus “ segno ”). Il secondo
aspetto del pragmatismo, che occorre ricordare qui, è stretta-
mente connesso al primo. Si tratta dell’aspetto forse più cospicuo,
certo del più noto e frainteso, ed è la teoria del significato come
verificabilità pratica della verità di un’asserzione. Questo aspetto
c stato svolto a fondo da Peirce; e giunse, attraverso James che
in parte lo traviò, a Dewey, il quale lo riprese con grande
vigore e diede alla propria versione il nome di “ sperimentali­
smo ” o “ strumentalismo ”. Lo troveremo trattato nella sezione V
dei Lineamenti.
Il comportamentismo [behaviorism] è la nota corrente psi­
cologica americana tondata da John B. Watson nel 1014 in
. base alla dottrina dei riflessi condizionati dello scienziato russo
Ivan P. Pavlov. c proseguita in sede psicologica soprattutto
da Edward C. Tolman e Clark L. Hull. Secondo questa dot­
trina, che ebbe grandi ripercussioni anche sul filosofare, qualsiasi
ricorso ad una realtà “ interna ” in quanto contrapposta alla
realtà detta “ esterna ” deve essere eliminato dallo studio psico­
logico dell’uomo. Ora, siccome la prima è (o sarebbe) “ privata ”
o “ coperta ” (nel senso di “ nascosta ”, di “ non-osservabile ”)
e la seconda “ pubblica ” o “ aperta ”, lo studio di tutti i feno­
meni della vita psichica dell’uomo viene risolto nello studio di
XVI Cenno introduttivo

quanto l’uomo fa in modo pubblico e aperto, cioè del modo in


cui l’uomo “ si comporta ”, agisce. L’interpretazione comporta­
mentistica del linguaggio recherà pertanto a indagare quei distinti
comportamenti umani osservabili, nei quali l’uomo si serve del
linguaggio stesso. Si comprendono le affinità del comportamen­
tismo col pragmatismo.
Partito da queste premesse, Morris accoglie ora in sè diversi
elementi delle più recenti indagini europee sulla natura del lin-
guaggio in generale e sul carattere linguistico dei problemi filo­
sofici; e cerca di conciliarli con la tradizione americana cui
appartiene. Il titolo del volumetto Logicai Positivism, Pragma-
tism, and Scientific Empiricism, del 1937, è significativo.
Il positivismo logico è un insieme di dottrine, e più di
ricerche, sviluppate soprattutto dal Circolo di Vienna, associa­
zione di filosofi di formazione scientifica che fiorì in questa
città nella terza decade del secolo, come pure dalla Scuola ana-
litica di Cambridge e da altri movimenti germanici e polacchi.
È un “ positivismo ” perché riprende da Comte e da Spencer,
attraverso la critica della scienza fiorita soprattutto in Germania
nelle ultime decadi dell’Ottocento e nelle prime del Novecento
(Mach, Helmholtz, Poincaré, Einstein), l’esigenza di una filo­
sofia “ positiva ”, basata sui fatti, di mentalità e metodi scien­
tifici, aliena dalla vaghezza del discorso spiritualistico e in pole­
mica con la tradizione speculativa specialmente idealistica; è
detto “ logico ” perché fa dell’analisi logica del linguaggio,
specie di quello delle scienze, il proprio compito centrale, che lo
distingue dal vecchio positivismo. I rappresentanti principali sono
Moritz Schlick, Rudòlf Carnap e, con alcune riserve, il Ludwig
Wittgenstein del Tractatus logico-philosophicus (1922). Già dal
Cenno introduttivo XVII

poco detto appare che si tratta di un movimentò immerso per


così dire per metà in un insieme di posizioni filosofiche tradi­
zionali, e per metà in atto di produrre nuove tecniche e una
nuova mentalità di ricerca. Di fronte questa situazione c’è
stato e c’è chi lo rifiuta per intero, e butta così via insieme
alle posizione filosofiche anche le nuove tecniche e la nuova men­
talità. È c’è chi cerca invece di disfarsi delle prime per ripren­
dere e sviluppare le seconde.
Fu quest’ultimo atteggiamento che permise la formazione del-
Yempirismo scientifico, movimento che venne costituendosi in
America intorno al 1935 per spontaneo accostamento del positi­
vismo logico originario con le ricordate correnti americane (vi
furono anche altri apporti; ma in questo rapido schizzo noi li
dobbiamo trascurare): esso ereditò alcune delle tesi centrali del
primo nel quadro delle seconde. L’empirismo scientifico riprende
e sviluppa fra l’altro un progetto già accarezzato dai Viennesi,
quello di muovere verso una scienza unificata, verso una siste­
mazione enciclopedica di tutto il sapere secondo principi e me­
todi tratti prevalentemente dalla fisica, che è la più sviluppata
di tutte le scienze. Siccome la fisica riposa ultimamente su
osservazioni che- gli uomini possono svolgere in comune, si
postula la possibilità di ricondurre tutte le indagini umane allo
stesso tipo di fondazione e si ritiene che in tal modo ne verrà
garantita la scientificità. Questo aspetto del movimento è il cosid­
detto fisicismo o fisicalismo. È appunto applicando il fisicismo
alla psicologia che verrà approfondita la base metodica del com-
portamentismo. Questo progetto dà origine, nell’ambito dello
stesso empirismo scientifico, al Movimento per Vunita della scienza
[Unity of Science Movement\, che si esprime in una Enciclo-
il
XVIII Cenno introduttivo

pedia della Scienza Unificata pubblicata a Chicago dalla Univer­


sity. of Chicago Press a partire dal 1938 in due volumi di dieci
monografie ciascuno (a tutto il 1953 ne sono però apparse solo 15;
hanno contribuito, fra gli altri, J. Dewey, B. Russell, R. Carnap,
O. Neurath). I Lineamenti di una teoria dei segni [Foundations
of thè Theory of Signs], del 1938, costituiscono la seconda mono­
grafia del I Volume dell’Enciclopedia.
NeH’empirismo scientifico l’analisi del linguaggio conserva
un’importanza centrale; e viene anzi estesa, secondo gli insegna-
menti dei pragmatisti Peirce, Mead e Dewey, anche agli aspetti
e alle implicazioni sociali e biologiche del significare. Inoltre,
mentre i positivisti logici insistevano soprattutto sull’analisi del
linguaggio delle scienze (e finivano così per sottovalutare tutto
il resto), gli empiristi scientifici furono fin dal principio, e si
mostrarono poi sempre più, aperti ad indagini di vario tipo su
qualsiasi settore del linguaggio: tesi chiaramente espressa in questo
volumetto. Anche a proposito dell’empirismo scientifico occorre
distinguere fra posizioni filosofiche e nuovi metodi di ricerca
applicati con mentalità nuova. Per limitarci a quel poco che
abbiamo detto, lo stesso progetto di ridurre tutto il sapere umano
ad immagine e simiglianza della fisica già costituisce una posi­
zione filosofica estremamente discutibile. Sono pochi oggi quelli
che la sostengono con la veemenza di quindici anni fa, e nel
complesso VEnciclopedia sembra essersi arenata. Tuttavia l’incontro
del pragmatismo e del comportamentismo americano con il posi­
tivismo logico è stato particolarmente fecondo; l’impresa totale
della nuova filosofia analitica e linguistica se ne è notevolmente
arricchita, e ha tratto poi nuove forze dal superamento di quanto
nello stesso empirismo scientifico era troppo rigido e chiuso.
Cenno introduttivo XIX

Dopo i Lineamenti le ricerche di Morris prendono due strade.


L’una consiste nelFapprofondire la nozione di segno e la teoria
generale dei segni, quali impareremo ora a conoscerle; l’altra
nell’affrontare il problema del valore. In alcuni articoli dal 1939
al 1945 (“ Esthetics and thè Theory of Signs ”, “ Science, Art,
and Technology ”, “ Empiricism, Religion, and Democracy ”, e
altri minori o di diverso carattere) le due ricerche sono ancora
commiste. In seguito si svilupparono indipendentemente l’una
dall’altra. Sono quegli articoli, comunque, che servono di pre­
parazione all’opera principale che Morris ha dedicata al linguaggio,
Signs, Language, and Behavior [Segni, linguaggio e comporta-
mento], del 1946, accessibile anche in traduzione italiana. Questo
libro sarà una complessa elaborazione dei Lineamenti in senso
ancor più decisamente comportamentistico : ciò che renderà l’espo­
sizione più solida e compatta ma anche più attaccabile e meno
ricca di spunti sviluppabili in direzioni diverse. Mentre nei
Lineamenti la teoria generale dei segni è considerata come un
organo del filosofare, in Segni, linguaggio e comportamento Morris
la presenterà come una giovane scienza biologica in formazione,
indipendente dal filosofare e atta a studiare su di un piano di parità
tutti i principali “ tipi di discorso ” (cosmologico, critico, reli­
gioso, propagandistico, grammaticale, poetico, logico-matematico,
e via dicendo). La filosofia sarà vista attraverso il suo aspetto
linguistico, che Morris determinerà come costituito da un certo
gruppo di discorsi: verrà cioè posta ad oggetto di un nuovo
tipo d’indagine linguistica al pari di qualsiasi altra attività umana
anziché essere di per sè ridotta ad un nuovo tipo d’indagine lin­
guistica. Le due posizioni hanno i loro aspetti positivi e negativi,
che qui non possiamo esaminare perché dovremmo premettere non
XX Cenno introduttivo

solo quanto Morris dice in proposito in questo volumetto, ma anche


tutto quello che ne dice in Segni, linguaggio e comportamento.
La seconda strada, quella dei valori, è documentata sin dal
1942 in Paths of Life [Sentieri della vita] ; e viene ripresa, dopo
alcuni articoli sia anteriori che posteriori a Segni, linguaggio e
comportamento, in The Open Self [L’io aperto], del 1948. Sostan­
zialmente, Morris studia il comportamento prelerenziale degli
uomini nelle proprietà che lo distinguono da altri comporta­
menti. Non sfuggirà l’analogia con lo studio del comportamento
in cui l’uomo si serve di segni; e si intuirà come il comporta­
mento “ con segni ” e quello preferenziale siano strettamente
connessi, o almeno come il primo possa o debba costituire una
premessa del secondo. Si tratta inoltre di rintracciare e descri­
vere le diverse “ scelte fondamentali ” operate dall’uomo in varie
culture, scelte in cui si esprimono appunto le preferenze com­
portamentistiche. Nei suoi ultimi scritti Morris si è andato occu­
pando sempre più di valori, e sta ora lavorando a un volume che
raccoglierà le sue ricerche in questo campo.

I cenni che precedono non possono sostituirsi ad una espo­


sizione del pensiero di Morris, e tanto meno ad una descri­
; zione anche sommaria del mondo di interessi e dei metodi d’inda­
gine che egli rappresenta (1). Il loro unico scopo è sottoporre
alcune informazioni che servano ad avviare le idee, a rendere
un po’ meno ostica la prima presa di contatto con i Lineamenti

(1) Il lettore troverà qualcosa in proposito nella monografia che ho


dedicata a Morris: Milano, 1953, Bocca, «Storia Universale della Filosofia »
n. 21, pp. 296.
1
Cenno introduttivo XXI

di una teoria dei segni. Li ho tenuti così succinti e generici anche


in opposizione al costume di preporre lunghi saggi personali,
che rendono spesso la comprensione del testo più ardua anziché
facilitarla; e che contribuiscono al doppio malanno dell’appren-
dimento mnemonico e del rapido disbrigo di un autore in base
ad alcune poche categorie fondamentali d’uso corrente. La cosa
è tanto più delicata in quanto, come dicevamo, si tratta, qui
soprattutto di cominciare ad assimilare una nuova mentalità e
ad apprendere un nuovo mestiere. Su quest’ultimo punto vorrei
insistere anche per quanto riguarda la valutazione di Charles
Morris. Egli è, se proprio vogliamo metterlo dentro ad alcune ca­
selle pronte per l’uso, un empirista scientifico e un comportamen.-
tista. In questo senso gli si possono rivolgere critiche molto distrut­
tive. Egli ha però anche dato un contributo suo personale al
rapido costituirsi della nuova filosofìa che abbiamo provvisoria­
mente designata come “ analitica ” e “ linguistica ” in generale.
Precisamente, egli ha saputo cogliere e mettere a fuoco quanto
c’era di convergente nelle correnti che abbiamo ricordate; ha
contribuito a mostrare come ognuna di esse recasse nello studio
del linguaggio esigenze e tecniche sue proprie, e come tutto
questo materiale potesse venir raccòlto e organizzato in vista di
futuri sviluppi. Quando leggendo i Lineamenti c’imbatteremo
nella “ analisi tridimensionale ” del linguaggio (diciamo per ora
in breve: nella possibilità di guardare al linguaggio, e anzi ai
segni nel senso più vasto, da tre distinti punti di vista che ben
ne mettono in luce vari aspetti solitamente trascurati), potremo
constatare come ognuna delle tre “dimensioni” corrisponda ad
una tradizione abbastanza precisa anche proprio in sede storica,
e pertanto a un distinto insieme di interessi e di metodi. Inoltre
I
XXII Cenno introduttivo

Morris ha vivissimo il senso della tecnicità e della socialità. Egli


ci parla di mestieri che gli uomini possono imparare a praticare
per aumentare la loro conoscenza di se stessi; e all’uomo pensa
costantemente nei termini dell’individuo formatosi nel contatto
con gli altri. Siamo lontani dal personalismo, dal lirismo ingiu­
stificato, dalle oscurità che ancora dominano tanta parte della
filosofia italiana. Le proposte di Morris, insomma, potranno ben
essere rifiutate; sono però sempre degne di un attento esame.
Vi è in esse una notevole carica d’esplosivo intellettuale, di cui
ben si renderà conto chi vorrà appropriarsele senza pregiudizi.
Mentre questo cenno introduttivo è stato tenuto in limiti
molto ristretti, si è pensato opportuno abbondare nelle note, che
ne riprendono tutti o quasi gli spunti. Sia l’introduzione che le
note sono rivolti a lettori giovani, compresi gli studenti univer­
sitari o medi, o comunque a lettori non informati delle mol­
tissime questioni che ogni filosofare interessato al linguaggio deve
affrontare, e nell’esame delle quali esso si costituisce. Nelle note
ho cercato di seguire fin dove possibile dei criteri di difficoltà
progressiva, e di istituire una trama di rapporti interni che
— almeno nelle intenzioni — dovrebbe affiorare ad una lettura
approfondita. Esse sono molte e sono lunghe; sembreranno forse
prolisse, e a tratti elementari o perfino ingenue. Spero però anche
che tanta pazienza ad alcuni non dispiacerà, in questo nostro
paese della velocità e dell’aristocraticismo filosofici. Esse sono un
\
tentativo di avviare una discussione più circostanziata, alla quale
si vorrebbe che i lettori si sentissero come invitati, e senza la
quale la mentalità analitica non può venir trasmessa. I cenni
critici che ho creduto di dover fare affioreranno anch’essi a poco
a poco nel commento, quando chi legge avrà già penetrato
Cenno introduttivo XXIII

l’esposizione di Morris almeno fino al punto cui essi si riferi­


scono: in modo che all’Autore presentato, una buona volta, sia
concesso di parlare prima del presentatore.

Milano, aprile 1954.


Ferruccio Rossi-Landi
; '
'

‘ l-

>

• ,


NOTA BIBLIOGRAFICA

Scritti principali di Charles Morris.

1. « The Total-Situation Theory in Ethics », International Journal of


Ethicsy XXXVII, 1927, pp. 258-268.
2. « The Concept of thè Symbol », Journal of Philosophy, XXIV, 1927,
pp. 253-262, 281-291.
3. « Relation of Formai to Instrumental Logic », in Essays in Philosophy,
edited by T. V. Smith and W. K. Wright, Chicago, 1929, The Open
Court Publishing Company, pp. xvi-337; saggio n. 14, pp. 253-268.
4. Six Theories of Mind, Chicago, 1932, University of Chicago Press,
pp. xi-337.
5. Pragmatism and thè Crisis of Democracy, Chicago, 1934, University
of Chicago Press, Public Policy Pamphlet n. 12, pp. 25.
6. Introduction to George H. Mead’s Mind, Self, and Society, Chicago,
1934, University of Chicago Press, pp. xxxvm-402.
7. Logicai Positivism, Pragmatism, and Scientifìc Empiricism, Paris, 1937,
Hermann & C.ie, « Actualités Scientifìques et Industrielles », n. 449,
pp. 72.
8. « Scientifìc Empiricism », in Encyclopedia and Unified Science, Voi. J,
n. 1 della International Encyclopedia of Unified Science, Chicago,
1938, University of Chicago Press, pp. 63-75.
9. « Peirce, Mead, and Pragmatism », Philosophical Review, XLVII, 1938,
pp. 109-127.
io. Foundations of thè Theory of Signs, Voi. I, n. 2 della International
Encyclopedia of Unified Science, Chicago, 1938, University of Chi­
cago Press, pp. 59.
*
XXVI Nota bibliografica

11. Introduction to George H. Mead’s The Philosophy of thè Act, in


collaborazione con J. M. Brewster, A. M. Dunham e D. L. Miller.
Chicago, 1938, University of Chicago Press, pp. xxxiv-696.
12. « Esthetics and thè Theory of Signs », ]ournal of Unificd Science
(séguito di Er\enntnis\ Vili, 1939, pp. 131-150.
13. « Science, Art, and Technology », Kcnyon Revieto, I, 1939, pp. 409-423.
14. « Empiricism, Religion, and Democracy », in Science, Philosophy, and
Religion, Second Symposium, edited by L. Bryson, New York, 1942,
pp. 213-236 + 5 di discussioni.
15. Paths of Life: Preface to a World Religion, New York, 1942, Harper
and Brothers, 1942, pp. 256.
16. «William James Today», in. In Commemoration of William fames,
edited by H. M. Kallcn, New York, 1942, Columbia University Press,
pp. xn-234: Morris, pp. 178-187.
17. «The Social Assimilation of Cultural Relativity », in Approachcs to
World Peace, edited by L. Bryson, L. Finkelstein & R. M. Maclver,
New York, 1944 (Conference on Science, Philosophy, and Religion,
1943), Cap.- XLI1I, pp. 619-626 + 17 di discussioni.
18. « Nietzsche, An Evaluation », Journal of thè History of Ideas, VI,
1945, pp. 285-293.
19. Signs, Language, and Behavior, New • York, 1946, Prentice-Hall,
pp. xn-365 (2. st. agosto 1947, 3. aprile 1949, 4. agosto 1950). Edizione
italiana: Segni, linguaggio e comportamento, trad. di S. Ceccato,
Milano, 1949, Longanesi, pp. 456.
! 20. « The Significance of thè Unity of Science Movement », Philosophy
a 1 ■ and Phenomenological Research, VI, 1946, pp. 508-515.
: 21. « Individuai Differences and Cultural Patterns », in Personality in Na­
ture, Society, and Culture, edited by C. Kluckhohn and H. A. Murray,
New York, 1948, London, 1949, Jonathan Cape, pp. xxn-561 + indice
4 dei nomi; Morris Cap. XI, pp. 131-143.
22. The Open Self, New York, 1948, Prentice-Hall, pp. xi-179.
23. « Signs about Signs about Signs », Philosophy and Phenomenological
Research, IX, 1948, pp. 115-133.
24. « Axiology as thè Science of Preferential Behavior », in Vaine : A Coo­
perative Inquiry, edited by R. Lepley, New York, 1949, Columbia
University Press, pp. x-487. Morris, pp. 211-222 (critiche e aggiunte:
PP- 33^395» 428-433, 437-439)-
Nota bibliografica XXVII

25. «Comparative Strength of Life-Ideals in Eastern and Western Cul-


tu res », contributo alla East-West Philosophers’ Confercnce, Honolulu,
1949; nel volume Essays iti East-West Philosophy, ed. by Charles A.
Moore, University of Hawai Press, 1951, alle pp. 353-370.
26. « The Science of Man and Unified Science », in Contribution to thè
Analysis and Synthesis of Knowlcdge, Proceedings of thè American
Academy of Arts and Sciences, Voi. 80, 1, 1951, pp. 37-44; Aut A ut,
I, 1951, 2, pp. 121-129 (in italiano).
27. « Comments on Mysticism and its Language », ETC, A Review of
General Semantics, IX, 1, 1951, pp- 3-8.
28. « Significance, SignLfication, and Painting », contributo alla Thirtecnth
Confercnce on Science, Philosophy, and Rcligion, New York, 1952:
Mcthodos, V, 1953, 18, pp. 87-102.

• ••

Altre opere.

Nell’opera maggiore di Morris, già tradotta in italiano (n. 19 qui sopra),


nella monografia Charles Morris (nota a p. xx del Cenno introduttivo) e
negli altri libri che qui sotto si elencano, il lettore troverà tutte le infor­
mazioni necessarie ad approfondire lo studio sia del pensiero di Morris sia
di varie altre correnti che costituiscono la moderna filosofia' “ analitica ”.
Ci limitiamo ad opere scritte o tradotte in italiano.

Barone, Francesco: Il neopositivismo logico, Torino: Edizioni di «Filo­


sofia », 1953, pp. x-408.
Bridgman, Percy W. : La logica della fisica moderna, trad. di V. Somenzi,
Torino: Einaudi, 1952, pp. 204.
Cohen, Morris R.: Introduzione alla logica, trad. di C. Pellizzi, Milano:
Longanesi, 1948, pp. 314.
Dingler, Hugo: Il metodo della ricerca nelle scienze, trad. di S. Ceccato,
Milano: Longanesi, 1953, pp. 658.
Frege, Gottlob: Aritmetica e logica, trad. di L. Geymonat, Torino:
Einaudi, 1948, pp. 269.
XXVIII Nota bibliografica

Geymonat, Ludovico: Studi per un nuovo razionalismo, Torino: Chian-


torc, 1945, pp. x-350.
Mises, Richard von: Manuale di critica scientifica e filosofica, trad. di
V. Villa, Milano: Longanesi, 1950, pp. 607.
Preti, Giulio: Linguaggio comune e linguaggi scientifici, Roma-Milano:
Bocca, 1953, pp. 77.
Russell, Bertrand: introduzione alla filosofia matematica, trad. di L. Pavo-
lini, Milano: Longanesi, 1947, pp. 227.
Ryle, Gilbert: Lo spirito come comportamento, ediz. ital. a cura di
F. Rossi-Landi, Torino: Einaudi, 1955, pp. Lii-365.
Scarpelli, Uberto: Filosofia analitica e giurisprudenza, Milano: Nuvoletti,
1953» PP* io2*
Waismann, Friedrich: Introduzione al pensiero matematico, trad. di L. Gey­
monat, Torino: Einaudi, 40 st. 1944, pp. 325.
Weinberg, Julius R. : Introduzione al positivismo logico, trad. di L. Gey­
monat, Torino: Einaudi, 1950, pp. 364.
Wittgenstein, Ludwig: Tractatus logico-philosophicus, testo orig. con
versione a fronte, introd. e note di G. C. M. Colombo, Roma-Milano:
Bocca, 1954, pp. 331.

Per un primo orientamento, conviene forse cominciare con il Manuale


di von Mises, ricordando però che l’originale risale al 1939. Su questo si
; possono innestare le opere di Geymonat, Weinberg e Preti. Il libro di
Scarpelli contiene un capitolo (il IV) dedicato al positivismo logico e alla
\
filosofia analitica in generale; per il resto ha carattere più speciale, come
pure i libri di Cohen, Russell e Waismann. Bridgman, Dingler, Frege e
\ Wittgenstein son quattro classici ai quali conviene giungere già preparati.
L’opera di Barone, ricchissima di informazioni, presenta un’interpretazione
complessa e personale; è pertanto meglio non avvicinarla per prima.
i L’opera che più direttamente dà il senso vivo della nuova filosofia in
uno dei suoi aspetti più recenti e discussi è quella di Ryle; essa ha anche
;
; il vantaggio di non presentare alcuna difficoltà tecnica nella lettura. Si
noterà che la maggior parte dei libri elencati riguarda la filosofia della
•* scienza; ciò è dovuto sia al fatto che la nuova filosofia ha coltivato dap­
principio soprattutto quel tipo di problemi, sia ai particolari interessi di
coloro che ne han finora tradotto i testi nella nostra lingua.

VI
LINEAMENTI DI UNA TEORIA DEI SEGNI

i - C. Morris, Lineamenti di una teoria dei segni.


f ...

\
:

—.
Ncmo autem vereri debct ne cha-
racterum contemplatio nos a rebus
abducat, imo contra ad intima re­
rum ducer.
Gottfried Leibniz (i).

I. INTRODUZIONE

i. Semiotica e scienza.

Non c’è nessun essere vivente che si serva di segni tanto


quanto gli uomini. È chiaro che anche gli animali rispon-

(i) Possiamo tradurre liberamente così : « Nessuno deve temere che


l’attenzione volta al linguaggio (o, più generalmente, ai segni) ci
distragga dalle cose; anzi, quella è la via migliore per comprendere
l’intima natura delle cose ». Gottfried W. Leibniz (nato a Lipsia
nel 1646 e morto a Berlino nel 1716) fu uno dei primi filosofi moderni
a occuparsi della possibilità d’una scienza dei segni, e ne progettò
egli stesso una dove i problemi del pensiero fossero tutti risolubili
per mezzo di calcoli intersoggettivi. Anticipò così di quasi due secoli
quel rifiorire della logica, che è caratteristico del pensiero contempo­
raneo. Queste sue ricerche rimasero per lungo tempo sconosciute, e
di lui si parlava soprattutto per le note dottrine della monadologia
e dell’armonia prestabilita, fino a che L. Couturat e B. Russell non
le trassero dall’oblio ai primi del Novecento (L. Couturat: ha logique
de Leibniz d’aprés des documents inédits, Paris, 1901; Opuscules et
jragments inédits de Leibniz, 1903; B. Russell: The Philosophy oj
il
4 I. Introduzione

dono (2) a certe cose come a segni di certe altre; ma i loro


segni non raggiungono il grado di complessità e di elabo­
razione che si ritrova nel linguaggio parlato e scritto, nelle
arti, nei mezzi per studiare e vagliare reazioni, nelle dia­
gnosi mediche, negli strumenti di segnalazione degli uomini.
Scienza e segni sono inseparabilmente connessi, giacché la
scienza da una parte fornisce agli uomini segni più precisi
e sicuri, dall’altra incorpora i suoi stessi risultati in sistemi
di segni. La civiltà umana riposa su segni e su sistemi di
segni, e non si può parlare della mente umana senza rife­
rirsi al funzionamento dei segni — ove non si debba addi­
rittura ammettere che essa consiste in tale funzionamento.

Leibniz, 1900). Morris lo chiama « una delle maggiori figure della


storia della semiotica », e dice che egli « ritenne che i segni usati dalla
mente presentassero in una forma percettibile e più facile da studiarsi
la struttura del pensiero e del mondo che essi rispecchiavano » (SLC,
[qui e di seguito, questa sigla sta per Segni, linguaggio e comporta­
mento] p. 335). Vedi avanti il § 5 del testo e la nota 30.
(2) Nel senso psicologico in cui si parla di una “ risposta ” ad uno
“stimolo”. In che modo il segno sia (o si possa interpretare come)
uno stimolo cui noi rispondiamo, verrà chiarendosi in seguito (v. nota 9).
Si tenga fin d’ora presente che la parola ‘ segno ’ è usata da Morris in
senso generalissimo, tale che vada bene per esempi disparati come i
seguenti: quando un animale si ripara perché ha visto in cielo una
nuvola nera, la nuvola è per esso segno di pioggia; una parola qual-
siasi in una lingua qualsiasi è un segno (in questo caso linguistico);
la bandiera è un segno della nazione (in questo caso è un segno di
tipo speciale, di solito chiamato ‘ simbolo ’); un’opera d’arte è, fra
l’altro, un segno della personalità dell’autore (certo un segno molto
complesso: potremmo meglio dire che c un ‘complesso segnicoo
un ‘ sistema di segni ’); e così via. ‘ Semiotica ’ è teoria o scienza dei
segni in generale.
i. Semiotica e scienza 5

È dubbio, che i segni siano mai stati studiati in modo così


intenso, da tante persone e tanti punti di vista come oggi-
giorno. L’esercito degli investigatori comprende linguisti,
logici, filosofi, psicologi, biologi, antropologo psicopatologi,
sociologi e studiosi di estetica. Si sente però la mancanza
di una struttura teorica, di foggia semplice, ma abbastanza
ampia perché vi possano rientrare i risultati ottenuti dai
diversi punti di vista, in modo che se ne formi un tutto uni­
tario e consistente. Il presente studio si propone di sugge­
rire un punto di vista per l’unificazione e di tracciare i
contorni di una scienza generale dei segni. Ma qui ci accon­
tenteremo di farlo molto brevemente, anche per via delle
condizioni di scarso sviluppo in cui si trova la nostra disci­
plina e dei fini che ci proponiamo nell’ambito di questa
Enciclopedia (3).
La semiotica sta con le varie scienze in un rapporto
duplice: è una di esse ed è un loro strumento comune. La
sua importanza come scienza indipendente viene dal fatto
che essa, col fornire i fondamenti comuni a tutte le disci­
pline che si occupano dei segni da un punto di vista spe­
ciale (linguistica, logica, matematica, retorica e, almeno fino
a un certo punto, estetica), fa muovere un passo verso l’uni-
ficazione della scienza in genere. Il concetto di segno può
rivelarsi importante per l’unificazione delle scienze sociali,
psicologiche e umanistiche in quanto distinte da quelle fisiche
e biologiche. E poiché, come vedremo, diventano “ segni ”
gli oggetti stessi, di cui si occupano le scienze biologiche e

(3) Per YEnciclopedia della Scienza Unificata rimandiamo al cenno


fattone nell’Introduzione. Ricordiamo che la nuova “ scienza dei
segni ” sarà poi sviluppata a poco a poco in una serie di articoli
culminanti in SLC del 1946.
4 S
6 I. Introduzione

fìsiche, quando noi li mettiamo in rapporto con certi com­


plessi processi funzionali (4), gli elementi comuni che si
possono trovare fra le scienze formali da un lato e quelle
sociali, psicologiche e umanistiche dall’altro verranno a for­
nire materiale acconcio ad ulteriori unificazioni da tentarsi
fra questi due gruppi di scienze e quelle fisiche e biologiche.
Dunque la semiotica può dare il suo contributo in un pro­
gramma per l’unificazione della scienza; ma la natura e i
limiti di tale contributo sono ancora da determinare (5).

(4) Vedi qui avanti il § 6 del testo, specie in corrispondenza alle


note 9 e io. Diciamo per ora in breve: La nuvola è un oggetto
fisico di cui si occupano i meteorologi, e che diventa segno in quanto
viene interpretata come segno di pioggia daH’animalc, che si ripara
quando la vede. Queste parole qui scritte sono anch’cssc degli oggetti
fisici: un chimico potrebbe dirci.la composizione dell’inchiostro con
cui sono stampate, un geometra calcolare esattamente le loro dimen­
sioni, e via dicendo; ma esse diventano segni in quanto noi le inter­
pretiamo. Il “ complesso processo funzionale ” di cui parla Morris è
appunto quello dell’interpretazione; egli lo chiamerà ‘ semiosi
(5) Abbiamo cioè i seguenti gruppi di scienze:
a) sociali, psicologiche ed umanistiche (sociologia, psicologia, lin­
guistica, retorica, estetica, ecc.);
b) formali (matematica, logica);
c) empiriche, cioè fisiche e biologiche (fisica, chimica, biolo­
gia, ecc.).
In questa rozza classificazione non c’è assolutamente nulla di defi­
nitivo; Morris l’adopera qui solo per indicare che per ognuna delle
discipline nominate ci sono delle specializzazioni accademiche, con
campi d’indagine, procedimenti e mentalità diversi; esse si esprimono
pertanto in diversi linguaggi. Se la corrente di pensiero cui Morris
appartiene si propone di “ unificare ” le varie scienze, ciò vuol dire
soprattutto far sì che esse si esprimano fin dove possibile in un lin-
i. Semiotica e scienza 7

La semiotica è una scienza coordinata con le altre, e


studia cose o proprietà di cose fungenti da segni; essa è
però anche strumento di tutte le scienze, giacché ogni scienza
si serve di segni ed esprime in segni i suoi risultati. Se
vogliamo dunque istituire uno studio scientifico della scienza
nel suo complesso, cioè una meta-scienza, dobbiamo usare
come strumento la semiotica. Nel saggio “ Empirismo scien­
tifico ” (Voi. I, n. i della Enciclopedia della Scienza Unificata)
si osservava che è possibile far rientrare completamente lo
studio della scienza in quello della lingua della scienza, in
quanto studiare tale lingua vuol dire occuparsi non soltanto
della sua struttura formale, ma anche dei suoi rapporti con
gli oggetti designati e con le persone che se ne servono.
Da tale punto di vista, l’intera Enciclopediaì quale studio
scientifico della scienza, è uno studio della lingua di questa.
Ora, siccome nulla può essere studiato senza segni che deno­
tino gli oggetti nel campo da studiarsi, uno studio della
lingua della scienza deve servirsi di segni riferentisi a segni.
La semiotica deve fornire i segni e i principi atti a portare
avanti tale studio, cioè una lingua generale applicabile ad
ogni lingua o segno particolare, e pertanto anche a quelli
specifici delle varie scienze (6).

guaggio comune. Si veda poi il testo al termine del § n e del § 15


e le note 149 e 150. Il § 15 riprende e sviluppa la questione dei rap­
porti fra semiotica e indagine scientifica in generale.
(6) Il concetto generalissimo (e come tale spesso ingannevole) di
“ scienza ” può essere interpretato come “ insieme di lingue perfezio-
• nate per parlare del mondo ” (per la nozione di lingua perfezionata
o artificiale o tecnica, si veda la nota 27). Se studiamo in modo inte­
grale tali lingue, studiamo in modo integrale la scienza stessa. Si
forma così il concetto di una lingua, la semiotica, nella quale noi
8 I. Introduzione

La presentazione della semiotica come scienza e come


fattore per l’unificazione delle scienze sarà qui tenuta in
limiti ristretti per ragioni pratiche. Qui vogliamo portare
avanti l’analisi solo quel tanto che basta a farne un primo
strumento di lavoro per la nostra Enàclopedta, cioè a
fornire una lingua nella quale cominciare a parlare delle
lingue della scienza, arrecando con ciò a queste qualche
miglioramento. Altre ricerche sarebbero necessarie per mo-
strare concretamente i risultati dell’analisi segnica applicata
alle scienze speciali e l’importanza generale di questo tipo
di analisi per Tunificazione delle scienze (7). Ma, anche
senza una documentazione particolareggiata, molti oggi non
esitano ad ammettere che gli uomini, compresi gli scienziati,
si debbono liberare dalla tela di parole che hanno filata; che
il linguaggio in genere, compreso quello scientifico, ha un
gran bisogno di venir purificato, semplificato e messo in
ordine. La teoria dei segni è un utile strumento per questa
‘ debabelizzazione ’ (8).

parliamo di altre lingue, quelle delle scienze : come quando parliamo


in italiano delle lingue, poniamo, latina e francese. Ora, mentre una
lingua è composta anche e soprattutto di segni (parole) che si rife­
riscono ad altre cose, a cose che non sono segni esse stesse, se par­
liamo di una lingua avviene che i segni (parole) di cui ci serviamo,
cioè la lingua in cui parliamo, si riferiranno sempre e soltanto ad
altri segni, ai segni costituenti la lingua studiata. Così diciamo: “in
latino, ‘ albus ’ vuol dire ‘bianco’”; “in francese, ‘ eau ’ vuol dire
acqua . Meta-lingua è una lingua in cui parliamo di un’altra. Vedi
poi le note 17 e 35, e il testo in corrispondenza ad esse.
(7) Ricordiamo che Morris tratta
: più ampiamente di tutto ciò in
scritti successivi ai Lineamenti di una teoria dei segni, specie in SLC.
(8). Accenno al mito della torre di Babele (Genesi, XI), eretta orgo-

■1

\
i. Semiotica e scienza 9

gliosamentc dagli uomini per raggiungere il cielo ma poi interrotta


per via della “ confusione delle lingue ”, che impedì il proseguimento
dei lavori. Oggi noi siamo meno ambiziosi dei Babilonesi; ma il
nostro bisogno d’intenderci è forse ancora più forte. La civiltà con­
temporanea va ormai vista su scala mondiale, e si presenta allora
più che mai gonfia di tendenze politiche, religiose, sociali, culturali
apparentemente non conciliabili fra loro. Nelle opere dedicate al lin-
guaggio, Morris studia la possibilità di una conciliazione delle 1
diverse lingue di cui si servono le discipline scientifiche e non scien­
tifiche; in altre opere (Paths of Life: Sentieri della vita, 1942; The
Open Self: L’io aperto, 1948) si occupa dei valori umani fondamentali,
che interpreta come atteggiamenti-guida verso la vita, come “ modi
di vivere ” che non possono venir ridotti l’uno all’altro ma che si
possono accettare su di un piano di parità e di reciproca compren­
:
sione, secondo un ideale d’illuminata tolleranza.
'db

II. SEMIOSI E SEMIOTICA

2. Natura del segno.

Il processo in cui qualcosa funziona come segno può


esser chiamato semiosi (8 a). Secondo una tradizione che
risale ai Greci, si ammette comunemente che esso è costi-
nito da tre (o quattro) fattori: ciò che agisce come segno,
iò cui il segno si riferisce, e l’effetto su di un interprete,
.1 virtù del quale effetto la cosa in questione è un segno per
l’interprete stesso. Queste tre componenti della semiosi pos­
sono venir chiamate,- rispettivamente, veicolo segnico, desi-
gnatum, interpretante; e Yinterprete può essere aggiunto come
quarto fattore. Questi termini rendono espliciti i fattori che
restano indifferenziati nella comune asserzione, che “ un
segno si riferisce a qualcosa per qualcuno
I Un cane risponde con un certo tipo di comportamento (7),
caratteristico nella caccia degli scoiattoli (D), a un certo
suono (5); un viaggiatore si prepara a comportarsi in un
certo modo (7) in una certa regione geografica (D) in virtù
H
(8 a) Da cui l’aggettivo ‘ semiosico distinto da ‘ semiotico ’ : il
primo si riferisce al processo, il secondo alla scienza dei segni. Così,
poco dopo, troviamo ‘ segnico ’ da ‘ segno \
2. Natura del segno 11

di (8 b) una lettera (5) ricevuta da un amico. In casi di


questo genere, 5 è il veicolo segnico (ed è un segno grazie
al suo funzionare), D il designatum e 1 l’interpretante del­
l’interprete. Possiamo allora caratterizzare il segno come
segue : S è per I un segno di D nella misura in cui I si rende
conto di D in virtù della presenza di S. Nella semiosi c’è
così un qualcosa che si rende conto di un altro qualcosa in
modo mediato, cioè per mezzo di un terzo qualcosa. La
semiosi, di conseguenza, è un rendersi-conto-mediatamente-
di-(-qualcosa). Mediatore è il veicolo segnico; il rendersi-
conto-di è Yinterf retante \ chi nel processo agisce è l’interprete \
ciò di cui ci si rende conto è il designatum. Dobbiamo fare
diversi commenti a questa formulazione (9).
Dovrebbe esser chiaro che i termini ‘ segno V ‘ designa-.

(8 b) * In virtù di ‘ grazie a ’, ‘ per via di ’, ‘ attraverso ’ me­


diante e simili, son tutte espressioni indicanti la mediazione che
un segno opera fra una cosa altra da se stesso e un interprete. Vedi
avanti nel testo, specie l’ultimo capoverso del presente § 2, il § 3
sopra la nota 17, e le note 9 e io.
(9) Ecco intanto alcuni chiarimenti terminologici e alcuni sug­
gerimenti.
(1) Quando Morris dice che il cane “ risponde ” a un certo suono,
si serve, come si accennava nella nota 2, del particolare senso tecnico
dato a ‘ risposta ’ e ‘ rispondere ’ in psicologia. Gli stessi psicologi non
sono ancora ben d’accordo sull’uso della coppia ‘ stimolo ’- risposta
e il problema è tutt’altro che semplice; ma per i nostri fini può esser
sufficiente chiarirlo con quest’altro esempio. Quando un bambino
ritrae la mano dal fuoco che gliela scotta, il calore del fuoco,
che agisce sui suoi ricettori sensoriali, è lo stimolo; il suo ritrarre
la mano è la risposta. Abbiamo da un parte qualcosa che giunge
all’organismo, dall’altra qualcosa che l’organismo fa come conseguenza
1
: il
'
12 II. Semiosi e semiotica

tum ‘ interpretante ’ e ‘ interprete ’ si comportano l’un l’altro,


giacché altro non sono che maniere di riferirsi a diversi
aspetti del processo della semiosi. Nessuno ci obbliga a rife-

di ciò che gli è giunto (stimolo-risposta costituiscono dunque una


coppia relazionale).
(n) I quattro termini * veicolo segnico ‘ designatum ’ (col plu­
rale alla latina : ‘ designata ’), ‘ interpretante * e ‘ interprete * vanno
appresi come termini tecnici, cioè investiti, nell'ambito della scienza
dei segni, di un significato speciale che andrà chiarendosi nel corso
dell’esposizione. ‘Interpretante’ può destare speciali difficoltà; diciamo
subito che esso corrisponde in parte a quanto tradizionalmente s’in­
tende con ‘ idea ’ o ‘ concetto ma solo in parte, perché, come Morris
dirà subito nel testo, anche tale termine acquista il suo significato
solo nel contesto creato da tutti e quattro i termini (si veda poi, nel :
§ 9, la critica che Morris fa del concettualismo).
(in) È importante distinguere subito fra “ segno ” e “ veicolo
segnico ” : il secondo è una cosa qualsiasi in quanto agisce da, fun­ ;
i
ziona come, segno. ■

(iv) Anche la frase “un qualcosa si rende conto di un altro


qualcosa... per mezzo di un terzo qualcosa ’’ può riuscire ostica. Si
pensi di leggere un libro sulla caccia grossa in Africa: c’è un senso
in cui ci si rende conto della caccia grossa per mezzo del libro; cioè
il libro, in un certo modo ed entro certi limiti, sostituisce per chi lo
legge la diretta esperienza della caccia grossa, media fra questa e il .
lettore. Qui il lettore è l’interprete; il libro il veicolo segnico;' la
caccia grossa il designatum; quello che, diciamo, il lettore apprende :
ì della caccia grossa (le sue reazioni al libro) è l’interpretante; il fatto
:
l
■1
che il libro metta in moto tutta la macchina fa del libro un segno.
Potremmo mettere, al posto di quei ‘ qualcosa ’, delle specificazioni
'
tratte da qualsiasi altro esempio. La loro funzione corrisponde un po’
a quella delle lettere alfabetiche in aritmetica. Chi capisce in che senso :

‘a + b = c’ sta, indifferentemente, per ‘2 + 3 = 5’ c Per ‘27 + 1 = 28’


può anche capire in che senso “ un ‘ qualcosa ’ si rende conto di
;
:

:
t
!
2. Natura del segno *3
ì
rirci agli oggetti per mezzo di segni; ma senza un riferi­
mento di questo genere non si dànno designata; una cosa
è un segno solo quando e in quanto è interpretata da un
interprete come segno di qualcos’altro; un rendersi-conto-di-
qualcosa è un interpretante solo nella misura in cui è suscitato
da qualcosa che funziona come segno; una cosa è un inter­
prete solo quando si rende conto di un qualcosa in modo
mediato (io). Le proprietà di essere segno designatimi inter-

‘un altro qualcosa * per mezzo di ‘un terzo qualcosa * »» sta per
l'esempio addotto come per ogni altro.
(v) Per la nozione di “ rendersi-conto-di ” vedi al termine del pre­
sente paragrafo. La locuzione originale è ‘ to ta\e account o/ ’ e ha !
su quella italiana, della quale qui ci serviamo in mancanza di meglio,
I
il vantaggio di far pensare di meno ad una eventuale necessaria con­
sapevolezza del rendersi conto (uno può rispondere ad uno stimolo !!
come a un segno di un qualcosa anche senza porci mente: cfr. le
note 117 e 118). :i
M
(io) Si noti che la definizione è tenuta tanto larga, che la “ cosa ”
suscettibile di assumere la condizione di interprete non sembra neces­ ;
sariamente limitata agli organismi umani e animali (vedi qui la
quarta osservazione nella nota precedente). Così una macchina che, i
per esempio, compia una certa operazione verso la cosa a (cioè che si
comporti in un certo modo verso di essa) come conseguenza di un
comando b, sarebbe “interprete” di a per mezzo di bì Si tratta di
vedere se è lecito asserire che la macchina “ si rende conto ” di a
in virtù di b. In altre parole: è la nozione di “rendersi-conto-di”
necessariamente ristretta ai soli organismi, oppure no? Torneremo sulla
questione nella nota 72. Possiamo intanto ricordare i due libri di
Norbert Wiener recentemente apparsi anche in italiano: ha ciber­
netica [Cybernetics, or Control and Communication in thè Animai
and thè Machine], trad. di O. Beghelli, Milano: Bompiani, 1953,
pp. 252; Introduzione alla cibernetica [The Human Use of Human
: '
J4 II. Semiosi e semiotica

prete interpretante sono proprietà relazionali, che le cose assu­


mono col partecipare al processo funzionale della semiosi.
La semiotica, pertanto, non si occupa dello studio di un
particolare tipo di oggetti, ma di oggetti ordinari in quanto
(e solo in quanto) partecipi della semiosi. L’importanza di
questo punto diverrà progressivamente più chiara.
Non è detto che segni riferentisi al medesimo oggetto
debbano avere gli stessi designata, giacché ciò di cui ci si
rende conto nell’oggetto può differire per i vari interpreti.
In teoria, una situazione estrema sarebbe quella di un segno
di un oggetto che fa semplicemente volgere l’interprete dal
segno all’oggetto; mentre l’opposta situazione estrema sarebbe
quella di un segno che mette l’interprete in grado di ren­
dersi conto di tutte le caratteristiche dell’oggetto in que­ ?
stione in assenza dell’oggetto stesso. Tutti i gradi di semiosi
riguardanti ogni oggetto o situazione potrebbero così trovar
posto in un continuum segnico potenziale; chiedersi quale
sia il designatum di un segno in certe determinate circo­
stanze è chiedersi di quali caratteristiche di quell’oggetto
i
o situazione ci si renda effettivamente conto in virtù della ;
presenza del solo veicolo segnico (n).

Beings], trad. di D. Persiani, Torino: Einaudi, 1953, pp. 229. Il


secondo volume è stato scritto dopo, ma è più elementare e di inte­
resse più generale. Si tratta di opere filosoficamente incomplete e a
: tratti anche ingenue (a parte il valore delle teorie matematiche e
ì delle realizzazioni tecniche che vi sono riferite); ma che introducono
ì ;
problemi del più grande interesse. :
:
(11) Un “continuum ”, qui, è una distesa indifferenziata, un tutto
senza soluzioni di continuità. Morris chiama “ potenziale ” il conti­
I nuum segnico di un dato oggetto o situazione in quanto non è

\
2. Natura del segno x5

Un segno deve avere un designatum; è tuttavia ovvio che


non tutti i segni si riferiscono a oggetti che esistono real­
mente. Le difficoltà cui possono dar luogo queste asserzioni
sono soltanto apparenti e non richiedono affatto che per risol­
verle si introduca un metafisico reame dell’44 esistenza reale”.
Se 4 designatum * è un termine semiotico, non ci possono
essere designata senza semiosi, mentre ci possono essere
oggetti anche senza che si dia semiosi. Il designatum di un
segno è il tipo di oggetto cui il segno si riferisce, è cioè
ogni oggetto che abbia le proprietà di cui l’interprete si
rende conto grazie alla presenza del veicolo segnico. E il
rcndcrsi-conto-di può aver lùogo senza che ci siano oggetti
o situazioni reali con le caratteristiche di cui ci si rende
conto. Ciò è vero perfino nel caso dell’additare: per certi
scopi uno può additare senza che ci sia alcuna cosa additata.
Non sorge alcuna contraddizione a dire che ogni segno ha
un designatum ma che non tutti i segni si riferiscono a
qualcosa che esiste realmente. Quando ciò cui ci si riferisce
esiste realmente nel modo in cui ci si riferisce ad esso,
l’oggetto del riferimento è un denotatum. Diventa così chiaro
che, mentre ogni segno ha un designatum, non ogni segno
ha un denotatum. Un designatum non è una cosa; è un
tipo di oggetto, o una classe di oggetti, e una classe può
avere molti membri, o un membro solo, o nessun membro.
Questa distinzione permette di spiegare fatti come quello di
chi stende la mano nella ghiacciaia per afferrare una mela
che non c’è; o come quello di chi fa preparativi per vivere

detto che tutti i gradi di semiosi riguardanti codesti siano presenti,


o lo possano, tosto essere; anzi, solo alcuni aspetti di un oggetto o
situazione vengono di solito rappresentati segnicamente.
%
16 II. Semiosi e semiotica
]
su di un’isola che magari non è mai esistita, o che è da
tempo scomparsa nel mare (12).
Come ultimo commento sulla definizione di segno, si

(12) Non è del tutto chiaro a quale fra le seguenti distinzioni Morris
si stia riferendo: (1) Quella fra “oggetti fisici”, di cui appunto si
usa dire che desistono “ realmente ”, nella cosiddetta “ realtà ogget­
tiva ” del mondo, cioè (come anche si dice) “ fuori di noi ” e in ma­
niera comune a tutti noi, e cose come per es. sentimenti e pensieri,
che certo “ esistono ” anch’essi, ma in un senso diverso da quello degli
oggetti fisici, (n) Quella fra tutto dò di cui si può dire che in un
modo o nell’altro esiste (sentimenti e pensieri compresi), e tutto ciò
'di cui non lo si può dire, o non con sicurezza; in questo caso, il
centauro non esiste, almeno fino a quando i genetisti ce ne producano
uno; ma certo esiste l’idea del centauro (di un nuova idea possiam
dire che prima non esisteva), (iiì) Quella fra ciò che esiste nell'atto
in cui se ne parla, e ciò che è esistito prima o potrà tornare ad
esistere, ma non esiste ora che stiamo parlandone, (iv) Quella fra ciò
che, oltre ad esistere, è effettivamente presente al parlante mentre egli
ne parla, e ciò che non lo è (l’esigenza espressa da questa quarta
distinzione corrisponde all'esse est percipi berkeleyiano con in più la
dimensione linguistica). Si noti che l’esistenza in cui sia nella (in) che
nella (iv) può a sua volta esser vista sia nel senso della (1) sia in
quello della (11). Ognuna delle quattro distinzioni accennate ha una
sua tradizione e dà origine a una sua problematica, che meriterebbe
I un lungo esame; e altre se ne potrebbero trarre. Può essere utile con­
frontare la critica di Aristotile alla teoria platonica delle idee (per
es. in Metafisica, I, 5, 990 quali e quanti tipi di specie ideali
esistono?). Per semplificare, accontentiamoci per ora di assumere che
Morris abbia in mente soprattutto la prima distinzione. Così per
esempio il segno * centauro ’, designante animali che non sono mai
esistiti nel senso (1), ha come designatum una classe senza alcun
membro; e dunque non ha denotatum. La questione è ripresa nel
testo al termine del § 7, in corrispondenza alla nota 60.
2. Natura del segno *7

deve notare che la teoria generale dei segni non ha bisogno


di affidarsi ad alcuna specifica teoria di ciò che avviene
quando ci si rende conto di qualcosa mediante l’uso di un
segno. Anzi, è forse possibile assumere il 4 rendersi-mediata-
mente-conto-di-qualcosa ’ come unico termine primitivo per
10 sviluppo assiomatico della semiotica. Vero è che quanto
si è detto finora si presta ad essere elaborato dal punto di
vista della comportamentistica, che sarà assunto in quanto
segue. Ma non ce alcun obbligo a interpretare la definizione
di segno comportamentisticamente. Qui lo facciamo perché
11 punto di vista comportamentistico, in una forma o in
un’altra (benché non in quella del behaviorism [comporta­
mentismo] di Watson), si è largamente diffuso fra gli psi­
cologi; e perché molte delle difficoltà incontrate dalla semio­
tica nel corso della sua storia sembrano dovute al fatto che
essa restò per lo più vincolata alle psicologie delle facoltà
e introspettiva. Dal punto di vista della comportamentistica,
rendersi conto di D per la presenza di S vuol dire rispon­
dere a D in virtù di una risposta ad S. Come sarà chiarito
in seguito, non è necessario negare che nel processo di
semiosi come in altri processi ci siano delle “ esperienze
private”; ma, dal punto di vista comportamentistico, è neces­
sario negare che tali esperienze abbiano un’importanza cen­
trale o che il loro esistere renda impossibile o anche soltanto
incompleto lo studio oggettivo della semiosi (e quindi del
segno, del designatum e dell’interpretante) (13).

(13) Come accennato nell’Introduzione, la posizione di Morris è


fondamentalmente comportamentistica. Egli però respinge l’interpre­
tazione che del comportamentismo (in americano ‘ behaviorism ’) ha
dato il suo fondatore Watson, e si accosta invece alla posizione di
altri studiosi (soprattutto Tolman e Hull). Il comportamentismo cerca
2 - C. Mojuus, Lineamenti di una teoria dei segni.
‘il..
18 II. Semiosi e semiotica
:
:

3. Dimensioni e livelli della semiosi.

Se consideriamo la semiosi come relazione triadica di


veicolo segnico, designatimi e interprete, possiamo isolarvi
a scopo di studio numerose relazioni diadiche. Si possono

di risolvere lo studio di alcuni dei problemi che la tradizione ci tra­


manda come filosofici nello studio di come gli uomini si comportano :
ciò che va inteso nel senso di comportamenti veri e propri, di azioni e
operazioni che gli uomini compiono, come si dice, “ in maniera aperta
e osservabile ”, compresa l’azione od operazione di servirsi del linguag­
gio a voce o per iscritto. Le esperienze private sono escluse dalla
ricerca perché “ coperte, nascoste, non osservabili ”, e quindi sot­
tratte per natura loro (finché rimangono private) al controllo intersog­
gettivo necessario alla ricerca stessa. La posizione comportamentistica
è molto più ampia, elastica e fruttuosa di quanto può forse apparire
dal poco che se ne è ora detto; la stessa esclusione delle esperienze
private non è sempre allarmante come potrebbe sembrare. Anzi, una
comportamentistica in senso largo (v. avanti la nota 47) costituisce
forse l’unica alternativa soddisfacente che sia stata finora proposta al
millenario dualismo ontologico di “ anima ” e “ corpo ”, di res cogitans
e res extensa; cioè l’unica alternativa che, per non dover ricorrere
-M
più o meno nascostamente al dualismo stesso, non si trovi costretta
a dover ridurre uno dei due termini all’altro (lo “ spirito ” o “ anima ”
o “ idea ” 0 “ ragione ” alla “ materia ” o “ corpo ” o “ sensazione ”
. 0 “ esperienza ”, o viceversa : come è nelle note ed insoddisfacenti
posizioni filosofiche che da tali riduzioni prendono il nome). Infatti
la nozione di comportamento, se debitamente precisata, permette di
descrivere tutto quello che gli uomini fanno senza dover ricorrere ad

i! alcun arresto di carattere conoscitivo, cioè all’assunzione di un qualche


dato che serva a spiegare il resto (come, appunto, la “ materia ” o
lo “spirito” o uno dei loro sinonimi).
3- Dimensioni e livelli della semiosi *9

studiare le relazioni dei segni con gli oggetti cui sono


applicabili. Chiameremo questa relazione dimensione seman­
tica della semiosi, simbolizzandola con il segno ‘ D.Cm’; lo
studio di questa dimensione sarà chiamato semantica. Op­
pure il soggetto di studio può essere la relazione dei segni
con gli interpreti. Chiameremo questa relazione dimensione
pragmatica della scmiosi, simbolizzandola con ‘ Dp lo studio
di questa dimensione avrà il nome di pragmatica.
Non abbiamo ancora introdotto un’importante relazione
in cui i segni possono venire a trovarsi: quella formale fra
i segni stessi (14). Questo tipo di relazione non fu esplici­
tamente incorporato nella nostra definizione di ‘ segno ’ per­
ché non sembra che l’uso corrente elimini la possibilità di
applicare il termine ‘ segno ’ anche a cose che non sono
membri di un sistema di segni : tali possibilità sono suggerite
dagli aspetti segnici della percezione e da vari espedienti
mnemonici e segnalateci apparentemente isolati (140). Tut-

(14) La relazione dei segni fra loro può esser vista (almeno così
si sostiene) anche prescindendo da una parte del significato dei segni
stessi, e cioè dai loro designata e denotata e dai loro interpreti; ed è
detta “ formale ” perché la tradizione considera il segno, se preso di
per se stesso, come una “ forma ” indipendente appunto dal “ conte­
nuto ” che può avere. La distinzione fra “ forma ” e “ contenuto ”
si ritrova in tutta la storia della filosofia, ma con significati diversi
(basti ricordare che Aristotile distingue fra la forma come essere in
atto e la materia come essere in potenza; e Kant fra attività formale
del pensiero e suo contenuto proveniente dairesperienza). Vedi avanti
nel testo, soprattutto il § 5.
(14 a) Per i possibili aspetti segnici della percezione vedi la nota 78
e il testo del § 9 in corrispondenza ad essa. Espedienti mnemonici e
segnaletici che, almeno prima facie, si direbbero isolati, sono rispetti-

:
7* ;
}!j ' il '
20 II. Semiosi e semiotica
;.
tavia l’interpretazione di questi casi non è perfettamente
chiara, ed è molto diffìcile esser sicuri che ci sia una cosa
come un segno isolato. Certo, potenzialmente se non di
fatto, ogni segno è in rapporto con altri, perché ciò di cui
il segno prepara l’interprete a rendersi conto può essere
detto solo per mezzo di altri segni. È vero che non è neces­
sario parlarne; ma in via di principio è possibile, e una
volta che se ne sia parlato il segno in questione è stato
messo in rapporto con altri. Siccome è chiaro che ogni segno
è per lo più in rapporto con altri, siccome l’analisi mostra
che molti segni apparentemente isolati in realtà non lo sono,
e siccome tutti i segni, potenzialmente se non di fatto, sono
in rapporto con altri, è bene coordinare una terza dimen­
sione della semiosi alle due già menzionate. Essa sarà chia­
mata dimensione sintattica della semiosi, simbolizzata da
* D,m’; e il suo studio avrà il nome di sintattica.
Converrà disporre di termini speciali per designare sepa­
ratamente i rapporti dei segni con: altri segni, gli oggetti,
gli interpreti. ‘Implica’ sarà limitato a D,in; ‘designa’ e
‘ denota ’ a Dtom; esprime a Dv. La parola ‘ tavola ’ implica
(ma non designa) ‘ mobile formato da un piano di assi
sorretto da quattro gambe, sul quale si possono posare
oggetti’; designa un certo tipo di oggetto (mobile formato
da un piano di assi sorretto da quattro gambe, sul quale si
possono posare oggetti); denota gli oggetti cui è applicabile;

vamente quello comunissimo del nodo al fazzoletto e quello di una


freccia indicante una direzione. Si noti il riferimento fatto da Morris
; all’uso corrente, di cui si deve tener conto nell’atto di introdurre qual­
I
siasi terminologia tecnica, e tanto più in un campo delicato e com­
plesso come quello del linguaggio, dove il segno è insieme strumento
e oggetto di studio (v. poi la nota 52).
3. Dimensioni e livelli della semiosi 21

ed esprime il proprio interprete (15). In ogni dato caso,


ognuna delle dimensioni può venire a mancare: vuoi che
di fatto non ci sia, vuoi che non la si avverta. Un segno
può essere sprovvisto di rapporti sintattici con altri segni;
allora la sua implicazione effettiva scende a zero; oppure

(15) Due osservazioni. (1) Anche i termini ‘ implicare ’, ‘ designare ’


e ‘ denotare *, ed ‘ esprimere ’ vanno appresi come termini tecnici della
semiotica. Così, siccome l’interprete è “ chi agisce nel processo della
semiosi ”, dovremo dire che un segno esprime il proprio interprete :
che il segno * tavola * esprime chi lo dice e chi lo capisce, cioè chi
per mezzo suo si rende conto del designatum di ‘ tavola \ Comu­
nemente non diremmo così, ed è questo un primo forzamento lin­
guistico, in contrasto con la norma di prudenza ricordata nella
nota 14a. (11) Il testo dice che la parola ‘tavola’ implica ‘mobile
formato da un piano... ’ e designa un mobile formato da un piano...
Le parole dopo ‘ implica * sono fra virgolette semplici, quelle dopo
‘ designa ’ no. Le virgolette mostrano che nel primo caso ci riferiamo I
non già a un certo tipo di oggetto, ma ad altre parole; questo uso
delle virgolette semplici, per indicare il termine o la locuzione o
l’enunciato in quanto tale, lo si ritroverà in tutto quello che segue.
Così, riassumendo:
Dalli : * tavola ’ implica ‘ mobile formato fa un piano... ecc. ’;
‘ tavola ’ designa un certo tipo di oggetto, e precisamente un
Dtem I mobile formato da un piano... ecc.;
‘ tavola ’ denota qualsiasi oggetto cui ‘ tavola ’ possa essere
applicato, cioè qualsiasi oggetto che sia
membro della classe di oggetti designata da
‘ tavola ’; I
DP: ‘ tavola ’ esprime il proprio interprete, cioè chiunque usi il
segno ‘ tavola ’ rendendosi conto del suo
designatum : sia che la parola venga detta, ,
udita, letta, scritta o anche soltanto pensata.
22 II. Semiosi c semiotica
r
può avere implicazione e tuttavia non denotare alcun oggetto;
ovvero può avere implicazione e non ancora alcun interprete
effettivo, cioè essere sprovvisto di espressione, come nel caso
di una parola di una lingua morta. Anche in questi casi i i
termini prescelti possono servire di riferimento al fatto che !
l’una o l’altra delle relazioni .possibili non si dà. {
È molto importante distinguere fra le relazioni sostenute
da un dato segno e i segni usati nel parlare intorno a tali
relazioni; riconoscere pienamente ciò è forse la più impor­
tante applicazione pratica generale della semiotica. Diciamo
in genere che ci sono dei segni quando certi esistenti si
rendono conto di altri esistenti attraverso una classe inter­

mediaria di esistenti (16). Ma in questo processo ci sono :


diversi livelli, che van tenuti accuratamente distinti se non
si vuole ne risulti la più grande confusione. La semiotica !
come scienza della semiosi è distinta dalla semiosi né più
né meno di qualsiasi altra scienza dal suo oggetto. Se x fun­
ziona in modo tale che y si rende conto di z attraverso x,
allora possiamo dire che x è un segno, e che designa z, !
eccetera; ma qui ‘ segno ’ e * designa ’ sono a loro volta segni
in un ordine superiore di semiosi, riferentesi al processo di
semiosi originario e di più basso livello. Ciò che viene ora :
;
designato è una certa relazione di x e z, non z soltanto; x è
designato, z è designato, ed è designata anche una relazione i

tale, che x diventa un segno e x un designatimi. Quindi la


1: '■
designazione può avvenire a vari livelli, e in corrispondenza
! i.’i a ciò ci sono vari livelli di designata; ‘designazione ’ mostra
di essere esso stesso un segno nell’ambito della Semiotica
Hi ■■

V'
(i6) * Esistente ’ = ‘ Una cosa qualsiasi che esiste, che c’è ’. Cfr. le ■
note 4, 9, io, 12, 111. ■

;

3. Dimensioni e livelli della semiosi 23

(specificamente, della semantica), giacché è un segno usato


per riferirsi a segni (17).
La semiotica in quanto scienza si serve di segni speciali
per asserire (18) dei fatti intorno ai segni; è una lingua per
parlare dei segni. La semiotica ha le tre branche subordi­
nate della sintattica, della semantica e della pragmatica,
che trattano rispettivamente le dimensioni sintattica, seman­
tica e pragmatica della semiosi. Ognuna di queste discipline
subordinate avrà bisogno di termini speciali suoi propri;
secondo l’uso fatto sopra, ‘implica’ è un termine della sin­
tattica, ‘ designa ’ e 4 denota ’ sono termini della semantica,
‘ esprime ’ è un termine della pragmatica. E siccome le
varie dimensioni sono soltanto aspetti di un processo uni­
tario, ci saranno talune relazioni fra i termini delle varie
branche e saranno necessari segni distintivi per caratteriz­
zare queste relazioni e con ciò il processo di semiosi come

(17) È la distinzione fra lingua e meta-lingua o, più generalmente,


fra semiosi e semiotica. Vedi la nota 6 e qui avanti nel testo.
(18) Il termine ‘ asserire ’ (inglese ‘ to state ’) va inteso come ‘ espri­
mere qualcosa, parlando 0 scrivendo, in maniera affermativa, catego­
rica ’. Per es. ‘ questa rosa è rossa * è un’asserzione (inglese ‘ statement ’).
Talvolta l’uso italiano corrente ha però suggerito ‘dichiarare’ (per
analogia con locuzioni come * dichiarare le proprie intenzioni ’ e con
certi usi comuni di ‘ dichiarazione ’). Espressioni come ‘ thè statements
of a Science ’ hanno un senso più pieno delle loro corrispondenti ita­
liane, come ‘ le asserzioni di una scienza ’ : vi è dentro la nozione di
un risultato positivo che, una volta raggiunto, è stato espresso affer­
mativamente, all’indicativo. Talvolta potremmo tradurre 4 statements ’
addirittura con 4 fatti asseriti ’. Si veda la nota 146 e l’inizio del § 16.
Cfr. anche il testo sopra alla nota 37.
i ?

24 II. Semiosi e semiotica
il
un tutto (19). ‘ Segno ’ è un termine strettamente semiotico,
nel senso che sintattica o semantica o pragmatica da sole

1 (19) Morris vuol dire che, una volta distinta la semiosi in tre dimen­
.
' sioni e rispettivamente la semiotica in tre branche, i termini intro­
il
dotti per indicare rapporti esistenti fra le tre dimensioni, e quindi
fra le tre branche che le studiano, avranno anche la funzione di richia­
marci all’unitarietà del processo semiosico. Un esempio: se io, dopo
aver detto che un uomo consta di tronco, membra e testa, discorro
dei rapporti fra queste tre porzioni, il mio discorso riguarderà anche
l’uòmo come un tutto (un tutto che, appunto, è stato diviso per
comodità di studio in quelle tre porzioni). L’intera situazione può
venir chiarita per mezzo del seguente diagramma, che traiamo da un
altro scritto di Morris (“ Esthetics and thè Theory of Signs ”, Journal
oj Unifìed Science, Vili, 1939, pp. 131-150):

DIMENSIONE DIMENSIONE
SEMIOSI SINTATTICA SEMANTICA
DELLA SEMIOS1 designatimi,
DELLA SEMIOSI
denotatimi
\
altri
veicoli <- veicolo segnico
f DIMENSIONE
/ PRAGMATICA
segnici / DELLA SEMIOSI
\
f' \ V interpretante,
/ \
\ / interprete
\ / \
T / \
SEMIOTICA \ / \
\ / \
sintattica semantica pragmatica

Nella parte superiore di questo diagramma abbiamo la semiosi,


cioè un processo reale in cui qualcosa funziona come segno. Il veicolo
segnico (l’oggetto che funziona come segno) è necessariamente in
rapporto con un designatum, ed eventualmente con un denotatum
(dimensione semantica della semiosi); è inoltre in rapporto con un
interprete, che è tale in quanto il segno desta in lui un interpretante
(dimensione pragmatica della semiosi); ed è inoltre in rapporto con
3. Dimensioni e livelli della scmiosi 25

non bastano a definirlo; invece tutti i vari termini delle


sotto-discipline sono semiotici solo se intendiamo * semiotico ’
nel senso più largo.
È possibile tentare l’ordinamento sistematico dell’intera
collezione di termini e proposizioni che riguardano i segni.
In linea di principio, la semiotica potrebbe esser presentata
come un sistema deduttivo, con termini indefiniti ed enun­
ciati primitivi da cui sia lecito dedurre altri enunciati in
forma di teoremi (20). Ma benché questo sia il tipo di pre-

altrì veicoli segnici (dimensione sintattica della semiosi). Nel diagramma


appare così anche la distinzione fra “ segno ” e “ veicolo segnico ”,
e conviene ripetere che è essenziale non confondere le due cose. Se
io capisco dal tuo viso raggiante che quella tal cosa che volevi fare
ti è riuscita, il tuo viso raggiante è il veicolo segnico perché funziona
da segno del tuo successo per me, iifterprete. Nella parte inferiore del
diagramma abbiamo la semiotica, cioè una disciplina che si occupa
della semiosi (una lingua per parlarne), con le tre branche corrispon­
denti alle tre dimensioni del processo semiosico.
(20) Non possiamo analizzare qui la struttura d’un sistema dedut­
tivo. Si pensi per esempio alla geometria. Quello che Morris intende
è che anche la semiotica potrebbe essere pienamente formalizzata,
cioè organizzata quanto al reciproco rapporto di tutti i segni che ne
costituiscono la lingua. I due termini ‘ proposizione ’ ed * enunciato ’
(in inglese ‘ proposition * e * sentence ’) indicano rispettivamente la
proposizione nel senso del significato, 0 proposizione significata, e la
proposizione nel senso grammaticale, 0 proposizione significante. Un
esempio : i tre enunciati ‘ mio cognato è calvo *, ‘ il marito di mia
I sorella ha pochissimi capelli ’, ‘ il genero di mia madre non ha nulla
da pettinare * sono diversi fra loro in quanto enunciati, cioè in quanto
combinazioni segniche; essi riguardano però sostanzialmente la stessa
proposizione, cioè in questo caso il fatto che un certo signore, il quale
è marito di mia sorella e con ciò cognato mio e genero di mia madre,
è affetto da calvizie. La distinzione fra proposizione ed enunciato è
i6 II. Semiosi e semiotica

sentazione cui tende la scienza, e benché il fatto che la


semiotica si occupa esclusivamente di relazioni la renda adatta
a venir trattata proprio con la nuova logica delle relazioni (21),
ì non è consigliabile né possibile tentare un tale tipo di espo­

1 sizione nella presente monografìa. È vero che i formalisti,


gli empiristi e i pragmatisti (22) hanno già ottenuto risultati
d’importanza generale nello studio delle relazioni segni-

della massima importanza per lo studio del linguaggio, ed è cosa


molto delicata. Nei termini di Morris potremmo dire che, mentre la
struttura di un enunciato in quanto tale (i rapporti fra le parole che
lo compongono) è un fatto sintattico, il rapporto fra un enunciato e
una proposizione è un fatto pragmatico. La proposizione, infatti, può
venir intesa come interpretante d’un certo tipo o come un certo rap­
porto fra interpretanti. Si vedanoole note 51 a e 64 a.
(21) La logica o algebra delle relazioni è uno dei prodotti della
moderna logica detta simbolica 0 matematica o formale o anche,
con termine unico, logistica. Questa costituisce nel suo complesso il
più grande contributo dato alla logica pura fin dai tempi dell’Organon
aristotelico (forse con la sola eccezione delle ricerche della tarda sco­
lastica, allo studio, sistematico delle quali si è tornati solo negli ultimi
! decenni). La logica classica s’imperniava sullo studio degli enunciati
esprimenti rapporti fra soggetti e predicati; la nuova logica le sosti­
tuisce quello degli enunciati esprimenti relazioni.
(22) Morris chiama “ formalisti ” i logici simbolici e in genere
coloro che si occupano “formalmente ” dei rapporti dei segni fra loro,
cioè della dimensione sintattica della semiosi. Gli empiristi e i prag­
matisti s’interessano soprattutto alle altre due, semantica e pragma­
tica. Le tre branche della semiotica, così, son fatte corrispondere a
tre gruppi di interessi, metodi e risultati, che hanno realtà storica;
■n
e anzi, si può dire, ad elementi essenziali di tre tradizioni. Questi
rapporti saranno esaminati nel testo : qui avanti, e poi nelle sezioni III,
IV e V, soprattutto nei §§ 5, 7 e 9.

*r
3. Dimensioni e livelli della semiosi 27

che (23); ma tali risultati altro non sembrano che una pic­
cola parte di ciò che ci si può attendere; anzi, il lavoro di
sistemazione preliminare dei campi costitutivi la semiotica è
■ appena cominciato. Per queste ragioni, come pure in vista
degli scopi solo introduttivi della nostra monografìa, non
è sembrato consigliabile tentare qui una formalizzazione che
sarebbe sproporzionata per eccesso al materiale di cui pos­
siamo oggi disporre e che potrebbe anche confondere le
idee sulla funzione assegnabile alla semiotica nella costru­
zione di una scienza unificata.
Tuttavia quella resta la nostra meta. Avremmo allora una
semiotica denominabile pura, con le branche costituiti ve di
sintattica pura, semantica pura e pragmatica pura. Verrebbe

I
sistematicamente elaborata la meta-lingua nei termini della
quale discutere tutte le situazioni segniche. L’applicazione
di questa lingua a esempi concreti di segni potrebbe allora
esser chiamata semiotica descrittiva (o sintattica, semantica
pragmatica descrittiva, secondo il caso). In questo senso h
presente Enciclopedia, nella misura in cui si occupa della
lingua della scienza, è essa stessa un caso importante di
semiotica descrittiva. Le trattazioni della struttura della
lingua scientifica, del suo rapporto da una parte con situa­
r zioni reali e dall’altra con coloro che la costruiscono e se
:
ne servono, rientrano rispettivamente nella sintattica, nella
semantica e nella pragmatica descrittive. Dal punto di vista
espresso in questa monografia, VEnciclopedia nel suo com­
plesso rientra nel campo della semiotica pura e descrittiva.

(23) Ricordiamo che l’aggettivo ‘ segnico ’ è coniato da ‘ segno ’.


Così abbiamo per es. un “ comportamento segnico ” quando un orga­
nismo svolge un’azione come conseguenza dell’aver interpretato qual-
cosa come segno.
'

28 II. Semiosi e semiotica


VI
)\

4. Il linguaggio (24).

Quanto abbiamo detto va bene per tutti i segni, comunque


semplici o complessi. È dunque applicabile anche al lin­
guaggio come tipo particolare di sistema segnico. Come la

(24) In inglese non esiste la distinzione fra ‘ linguaggio ’ e ‘ lin­


gua’: si dice sempre ‘ language ’, caso mai distinguendo in seguito
fra varie accezioni di questo termine. Qui abbiamo già usati entrambi
i termini italiani, e ora conviene accennare in cosa essi differiscano.
Il Vocabolario della lingua italiana di G. Cappuccini e B. Migliorini
dà come principali i due significati seguenti : Linguaggio : « l’espres­
sione dei pensieri e dei sentimenti per mezzo di suoni articolati»;
Lingua: «il complesso delle parole, locuzioni e frasi, usate da tutto
un popolo per comunicare i pensieri e i sentimenti ». In queste due
accezioni, il linguaggio è un fatto umano in generale (e non neces­
sariamente soltanto umano). La lingua è quella parlata da una comu­
nità umana detta, appunto, linguistica (lingua naturale o universale:
italiano, francese); oppure è uno strumento linguistico costruito per
certi scopi (lingua tecnica, o artificiale, o ideale: quella della geo­

I
metria, la logica simbolica). C’è poi un seconda accezione di ‘ lin­
guaggio ’, diversa dalla prima e di solito ancor più ristretta di * lin­
gua ’. È quella di quando parliamo, per esempio, del “ linguaggio
militare”; o, ancor più specificamente, di un “linguaggio schietto”;
o del “ linguaggio di Omero ” (cioè dello stile di Omero come poeta,
mentre la “ lingua ” di Omero è il particolare tipo di lingua greca,
filologicamente considerata, di cui egli si serve). Morris come semio-
ticista si occupa del linguaggio in generale; ma ciò che analizza in
questo paragrafo e nei successivi come “ sistema di segni interconnessi ”
è spesso una lingua, naturale 0 tecnica che sia. Noi tradurremo ‘ lin­
guaggio ’ o ‘lingua’ a seconda dei casi; e per ‘linguaggio’ intende­
remo ora il senso più lato ora quello più ristretto (‘ linguaggio della


n
'

L
4- H linguaggio 29

maggior parte dei termini che hanno a che fare coi segni,
anche ‘ linguaggio ’ e ‘ lingua * sono ambigui in questo, che
si possono caratterizzare secondo ognuna delle tre dimen­
sioni. Così un formalista è incline a vedere una lingua in
qualsiasi sistema assiomatico, ci siano o meno delle cose
da esso denotate, sia esso effettivamente usato da un gruppo
di interpreti o no; un empirista tende a insistere sul fatto
che i segni devono trovarsi in rapporto con oggetti da essi
denotati, di cui asseriscono con esattezza le proprietà; un
pragmatista vede nel linguaggio soprattutto un tipo di atti­
vità comunicativa, di origine e natura sociale, che permette
ai membri di un gruppo sociale di meglio soddisfare i
propri bisogni individuali e comuni. Il merito dell’analisi
tri-dimensionale è che vi si riconosce la validità di tutti
questi punti di vista, in quanto essi si riferiscono a tre
aspetti di un unico fenomeno, che resta sempre lo stesso;
quando occorra, si indicherà il tipo di considerazione (e
quindi di astrazione) usato con ‘L„n’, ‘ Lacm ’ o ‘LP’ (25).
Si è già osservato che un segno può non denotare alcun
oggetto reale (cioè non avere denotatum), o non avere alcuno
che lo interpreti. Parimenti, ci possono essere delle lingue,
cioè dei complessi segnici, che in un dato momento non

fìsica ’ differirà da 4 lingua della fisica ’ nel senso in cui 4 particolare


maniera di servirsi dei segni ’ differisce da 4 particolare insieme di
segni interconnessi ’). Ulteriori precisazioni nelle note 61 e 88; esempi
dell’uso ristretto di ‘linguaggio’ in corrispondenza alle note 67a e 152.
(25) Cioè il linguaggio (o una data lingua) dal punto di vista, 0
considerato nel suo aspetto, sintattico, semantico e pragmatico. Morris
parla di “ tipo di considerazione e quindi di astrazione ” perché
44 considerare ” una sola delle tre dimensioni vuol dire “ astrarre ”
dalle altre.
30 II. Semiosi e semiotica
I
hanno alcuna applicazione e che hanno un unico interprete
o magari nessuno: proprio come un edificio disabitato può
tuttavia rispondere al nome di casa. Non è però possibile
avere una lingua se la collezione di segni non ha una dimen­
sione sintattica, giacché non si usa chiamare lingua un
segno isolato. Anche questo caso è istruttivo, perché, dal
punto di vista espresso (cioè che ogni segno si trova poten­
zialmente in rapporto sintattico con i segni che asserireb­
bero il suo designatum, vale a dire il tipo di situazione cui
esso è applicabile), perfino un segno isolato è potenzial­
mente linguistico. Si potrebbe anche dire che un tal segno
ha certe relazioni con se stesso, e così una dimensione sin­
tattica; oppure che avere una dimensione sintattica nulla
è solo un caso speciale dell’averne. Queste possibilità hanno
il loro peso in quanto mostrano la misura in cui le varie
iimensioni, e conseguentemente L,ta, Lscm e Lp, sono indi-
endenti. Se ne ricava anche che non c’è fra segni singoli,
egni appartenenti a enunciati e lingue vere e proprie una
scissione netta: cosa che fu ben posta in luce da Peirce (26).

(26) Charles Sanders Peirce (1839-1914), forse il più grande filo­


sofo americano, certo quello che più contribuì al costituirsi d’una
i

tradizione filosofica americana originale, cui appartengono sia John
Dewey (1859-1951) che Josiah Royce (1855-1916). È l’inventore del
pragmatismo, cioè della dottrina secondo la quale « la somma delle
conseguenze, che derivano dal falLQ^che una concezione intellettuale
vera, costituiscajed_esaurisce il ^significato del1 ajc on cezionejstessa ».
Di qui William James (1842-1910) trasse poi la sua versione, che fu
il:
subito semplicisticamente ridotta alla formula « la verità di un’idea
31 sta nelle conseguenze pratiche che essa può dare ». Di solito, quando si
i
! parla di pragmatismo, ci si riferisce al popolarizzatore James invece
i; che a Peirce, che fu filosofo austero e rigorosissimo, e uno dei mag-
ili
4* N linguaggio 31

Una lingua dunque, che è un sistema di segni inter­


connessi, ha una struttura sintattica tale che alcune delle
combinazioni segniche ammessevi possono funzionare da
asserzioni; e ha veicoli segnici tali da poter esser comuni
a un certo numero d’interpreti. Gli aspetti sintattici, seman­
tici e pragmatici di questa caratterizzazione del linguaggio
i si chiariranno quando considereremo le rispettive branche
della semiotica. Apparirà anche che, come per la piena
determinazione di un segno individuale è sufficiente indi­
carne le relazioni con gli altri segni, con gli oggetti e con
: chi del segno si serve, così una lingua resta completamente
-
caratterizzata da quelle che chiameremo le regole sintat-
tiche, semantiche e pragmatiche') reggenti i suoi veicoli
segniCL PèFll momento si osservi che la presente caratte­
rizzazione del linguaggio è pienamente semiotica in quanto
è tri-dimensionale; si potranno evitare molte confusioni se si
riconosce che le parole ‘ linguaggio ’ e ‘ lingua ’ sono spesso
usate a designare un aspetto soltanto di ciò che esse signifi­
cano nel senso pieno. La semplice formula L = L,ln + Lacm + L,
aiuta a chiarire la situazione.
Una lingua può avere vari gradi di ricchezza quanto a
complessità di struttura, campo delle cose che designa e scopi

giori logici di tutti i tempi. I meriti reali di James stanno altrove:


non in logica, ma in psicologia e nell’aver valutato l’importanza del
discorso non-scientifico e, in genere, dei valori umani. Vedi però la
difesa che Morris fa di James, anche per quel che concerne la teoria
dei linguaggio, qui ayanti nel § n. Le opere di Peirce, uno dei più
originali e fecondi contributi di pensiero dell’Ottocento, sono state
raccolte da Ch. Hartshorne e P. Weiss nei sei volumi dei Collected
Papers (1931-35). Si veda, oltre al cenno fatto nell’Introduzione, la
nota 70 e tutto il § 9.

ij w ? < vvv (.V ■< «N '


I
;
32 II. Semiosi e semiotica

ì
'
; cui è adeguata. Sotto questi rispetti, le più ricche sono le
lingue naturali, come italiano, francese, tedesco, ecc., che
sono state dette universali appunto perché in esse si può
rappresentare qualsiasi cosa. Questa stessa ricchezza, tut­
tavia, può essere uno svantaggio per la realizzazione di certi
scopi. Nelle lingue universali è spesso difficilissimo accer­
r. tare dentro a quale dimensione un certo segno funzioni
predominantemente; e i vari livelli di riferimento simbolico
non sono chiaramente indicati. Lingue siffatte sono per­
tanto ambigue, e danno adito a contraddizioni esplicite : fatti
questi che in talune circostanze (ma non in tutte!) sono
vantaggiosi. I tecnicismi medesimi che favoriscono la chia­
i rezza scientifica possono tagliar via dai segni quello che
n servirebbe invece a fini estetici; e si dà anche l’opposto.
È dunque comprensibile che gli uomini abbiano sviluppato
certe lingue speciali e ristrette per meglio raggiungere taluni
scopi: matematica e logica formale per mettere in luce
strutture sintattiche, scienze empiriche per una più accurata
descrizione e predizione dei processi naturali, arti belle ed
applicate per conservare e riprodurre ciò cui va l’affetto
degli uomini. La lingua quotidiana è particolarmente povera
di mezzi per parlare del linguaggio, e la semiotica ha pro­
prio il compito di fornire una lingua che soddisfi tale esi­
genza. Può avvenire che tutte queste lingue speciali, per
realizzare i loro particolari fini, accentuino certe dimensioni
del funzionamento segnico a scapito delle altre; ma raro
! ?:
è il caso, se pur si dà, di totale assenza di una dimensione.
Sicché tali lingue sono, sì, casi speciali, ma che in ultima
analisi rientrano nella caratterizzazione pienamente semio­
tica del linguaggio, quale la abbiamo proposta (27).

fi (27) Di particolare importanza la distinzione qui fatta da Morris


4. Il linguaggio 33

Non è difficile dare una spiegazione generale dell Eri­


gine dei sistemi di segni interconnessi. I veicoli segnici come
esistenti naturali partecipano della connessione dei processi

fra lingue naturali e lingue artificiali (per cui rivedi la nota 24).
Alcuni suoi aspetti sono messi in luce se accanto a ‘ naturale ’ usiamo
‘ universale ’, ‘ comune ’, ‘ spontanea ’, ‘ storica ‘ assunta com’è ’, e
accanto ad ‘ artificiale ’ diciamo ‘ tecnica ’, ‘ ristretta ’, ‘ speciale *, ‘ vo­
luta ’, ‘ costruita ‘ progettata ‘ perfezionata ’, 4 ideale \ La distin­
zione, si badi, non è a taglio netto. Basti pensare a come certi termini,
dapprima usati solo nell’ambito di lingue tecniche, entrino poi in
quelle naturali, via via arricchendole: termini chimici, biologici, mec­
canici di cui noi ci serviamo correntemente mentre non se ne servi-
vano i nostri padri. Inoltre, se appena riflettiamo con impegno su di
una parola qualsiasi, siamo portati ad assumere di fronte ad essa
un atteggiamento, diciamo appunto, più tecnico. Per es., noi tutti
sappiamo cosa è una mela, ma se vogliamo approfondire finiremo
per parlare in termini botanici, chimici, agrari, merceologici. Noi
tutti sappiamo che 4 il ’ è un articolo, e sappiamo servircene; ma
potremmo svolgere su di esso un’indagine grammaticale, o di storia
della lingua, 0 addirittura un’indagine logica. Se anche per queste
ragioni (e per altre che qui tralasciamo) non è possibile, o non sempre,
distinguere nettamente fra lingue naturali e lingue tecniche, nel
complesso, però, la distinzione regge, specialmente quando si tratta
di sistemi segnici costruiti volontariamente per certi scopi, cioè di
sistemi nei quali volontarie sono sia le semantizzazioni dei vari segni
sia le regole per i loro rapporti. Ed è distinzione molto utile a chia­
rire la posizione di Morris: egli vuole che la sua semiotica sia un
.passo verso la costruzione di una lingua tecnica che permetta di par­
lare intorno a tutti gli aspetti del linguaggio in genere come pure
delle varie lingue in particolare, sianò queste naturali o, a loro
volta, tecniche. Un secondo passo nella stessa direzione sarà compiuto,
come già sappiamo, in SLC. Vedi la nota 52.
3 - C. Morris, Lineamenti di una teoria dei segni.
!

34 E. Semiosi- e semiotica

extra-organici e intra-organici (28). Le parole pronunciate e


cantate son parte vera e propria di risposte organiche, mentre
scrittura pittura musica e segnali sono prodotti immediati
del comportamento. Nel caso poi di segni ricavati da mate­
riali altri dal comportamento o dai suoi prodotti — come
nei fattori segnici della percezione — i segni diventano
interconnessi perché lo sono i veicoli segnici. Per esempio il
tuono diventa un segno del lampo e il lampo un segno di
pericolo proprio perché tuono lampo e pericolo hanno di
fatto fra loro certe specifiche connessioni (28 a). Se w si
aspetta x quando è presente y, e si aspetta z quando è pre-

(28) Crediamo che questo enunciato vada svolto così : « I veicoli


segnici, come oggetti che esistono in natura, fan parte essi stessi di
quei sistemi di connessioni in cui possiamo articolare i processi organici
(biologici) naturali, sia quelli che avvengono dentro all’organismo, sia
quelli che avvengono fuori dell’organismo » (ricordiamo che i veicoli
segnici sono eventi od oggetti fisici). Cfr. la nota seguente.
(28 à) Che la connessione fra lampo, tuono e pericolo non sia
pensata da Morris come indipendente dall’uomo che l’osserva (secondo
il realismo ontologico della tradizione) appare da quanto egli ora
dirà delle connessioni fra aspettazioni dell’interprete. L’osservatore
umano va comunque premesso; solo che, una volta ammesso ciò, resta
il fatto che quelle connessioni esistono, si danno. In altre parole, non
si deve confondere il problema del rapporto fra uomo e mondo (fra
soggetto e oggetto) nella percezione con quanto si può dire del mondo
Uifi una volta si sia ammesso che si tratta comunque del mondo da noi
percepito. La confusione, nelle due direzioni possibili, è probabilmente
r
il una delle radici di quelle enfiagioni del soggetto ai danni dell’oggetto
e dell’oggetto ai danni del soggetto che vanno sotto il nome di idea­
lismo e, rispettivamente, di realismo ontologico. Si veda anche la
nota seguente.

:
4. Il linguaggio 35
:
sente x, l’interconnessione delle due aspettazioni rende natu- 1
• ralissimo che w si aspetti z quando è presente y. Essendo da
una parte interconnessi gli eventi e dall’altra le azioni, :
diventano interconnessi anche i segni; e sorge il linguaggio
come loro sistema (29). Che la struttura sintattica del lin-

(29) Il linguaggio come sistema segnico si forma dunque, secondo


Morris, nelle maniere, o per le ragioni, seguenti:
(I) i veicoli segnici fan parte di processi di un organismo che
avvengono dentro all’organismo stesso, come il parlare;
(II) i veicoli segnici fan parte di processi di un organismo che
avvengono fuori di tale organismo, come il dipingere;
(iii) i veicoli segnici sono staccati dall’organismo, cioè non fanno >
t
parte del comportamento dell’organismo, e sono oggetti fisici d’altro !.
tipo: come i tuoni e i lampi che noi percepiamo. 5
In ognuno di questi tre casi, abbiamo dei processi analizzabili in
ì
elementi connessi fra loro; e questi elementi sono i veicoli segnici,
di cui ci stiamo occupando. Siccome i veicoli segnici (oggetti od
eventi interconnessi) sono interpretati come segni, le connessioni esi­
stenti fra loro diventano connessioni fra segni. In altre parole, le
azioni di interpretare i veicoli segnici (per es. le varie “ aspettazioni ”
di cui parla Morris) assumono le stesse strutture di interconnessioni
che si danno fra i veicoli segnici interpretati. Dobbiamo però tener
presente che i veicoli segnici sono tali in quanto vengono interpretati
come segni, altrimenti sarebbero meri oggetti od eventi fisici estranei
alla semiosi. Sicché il formarsi di un sistema di azioni interpretative,
che è poi un brano di comportamento organizzato in un certo modo,
non avviene dopo il formarsi di un sistema di veicoli segnici, ma
contemporaneamente. Come Morris dirà subito dopo nei testo, questo
duplice sistema di riferimenti (agli eventi oggettivi e al comporta­
mento) garantisce dagli eccessi sia di chi fa del linguaggio il mero
I
specchio degli eventi oggettivi (empirismo tradizionale) sia di chi ne
fa la mera espressione del comportamento dell’interprete (convenzio­
nalismo). Con questo, si badi, non abbiam fatto altro che ritoccar di
36 II. Semiosi e semiotica

guaggio sia, in genere, funzione e degli eventi oggettivi e


del comportamento, ma non mai di quelli o di questo sol­
tanto, è una tesi che potremmo battezzare del duplice con­
trollo della struttura linguistica. Questa tesi sarà elaborata
\ più avanti; dovrebbe intanto esser già chiaro che essa offre
il destro d’evitare nella spiegazione di quello che è una
struttura linguistica gli opposti estremi sia del convenzio­
nalismo sia dell’empirismo tradizionale. Per le ragioni date,
gruppi di segni tendono a divenire sistemi di segni; ciò
avviene nel caso di segni percettivi gesti note musicali e
pittura come in quello del parlare e dello scrivere. In taluni
casi si addiviene ad una sistemazione relativamente sciolta
e mutevole, che può includere sotto-sistemi con vari gradi
di organizzazione e interconnessione; in altri a una siste­
mazione relativamente chiusa e stabile, per es. a quella della
matematica e delle lingue scientifiche. È comunque possi­
bile sottoporre le strutture linguistiche di cui si dispone a
un’analisi tri-dimensionale che ne investighi la struttura for­
male, il rapporto con ciò che denotano e i rapporti con i
f loro interpreti. Questo lo faremo ora (sempre in termini
. generali): discuteremo separatamente la sintattica, la seman­
tica e la pragmatica del linguaggio, tenendo però presente
dal principio alla fine il rapporto che ciascuna dimensione,
•> e così ciascuna ripartizione della semiotica, ha con le altre
due. Più avanti, dopo esserci serviti delle astrazioni di questo
procedimento, porremo invece espressamente l’accento sul­
l’unità della semiotica.
!
; sfuggita, e solo nei limiti posti da Morris, un argomento che merita
ben altra elaborazione.
-=

5
:J

III. SINTATTICA

5. La concezione formale del linguaggio.

La sintattica, come studio delle relazioni sintattiche dei


segni fra loro astrazion facendo delle relazioni dei segni
con gli oggetti o con gli interpreti, è la branca della semio­
tica meglio sviluppata. Molto del lavoro della linguistica in
senso stretto è stato svolto da questo punto di vista, benché
I spesso con scarsa consapevolezza e molte confusioni. _Fin_
dai tempi più remoti i logici si sono occupati geli ìnrerenza :
la'quale, se pure nefTórscTcfflla~stc)ria e stata caricata_____
d’inte-
ressi d’altro genere, è pur^ sempre;jgjidiouikL EappOUtLfra
certe combinazioni di segni dentro a pmajdata Jingua. Di
speciale impQrtanZà 'fu ll fatto che i Greci ci abbiano così
di buon’ora presentato la matematica nella forma di un
sistema deduttivo o assiomatico : ciò rimase attraverso i
tempi come modello costante di un compattissimo sistema
; di segni, dove tutte le combinazioni segniche vengono otte­
nute per mezzo di operazioni su certe combinazioni iniziali.
Questi sistemi formali presentavano già quel materiale, il
cui esame rese poi inevitabile il formarsi della sintattica.
Fu con Leibniz il matematico che il convergere di conside­
razioni linguistiche, logiche e matematiche portò a conce-
38 III. Sintattica

pire un’arte formale generale (speciosa generalis). Questa


includeva, primo, l’arte caratteristica generale {ars characte-
ristica), che era essenzialmente una teoria e un’arte di fog­
giare i segni in modo tale, che tutte le conseguenze delle
“idee” corrispondenti [ai segni] si potessero trarre me­
diante l’esame dei soli segni; e, secondo, l’arte combinatoria
generale {ars combinatoria), ovvero un calcolo generale che
forniva un metodo formale universale per trarre conseguenze
dai segni (30). Dopo Leibniz, la logica simbolica, grazie
agli sforzi di Boole, Frege, Peano, Peirce, Russell, Whitehead
e altri, ha notevolmente esteso l’unificazione e la generaliz­
zazione della forma e del metodo matematico; mentre la

(30) Per la considerazione (soltanto) formale dei segni, rivedi le


note 14 e 22. Abbiamo lasciato l’italiano ‘ arte ’ per il latino ‘ ars ’ così
come Morris ha lasciato l’inglese 4 art *; ma, per meglio comprendere,
si rileggano le ultime righe del testo sostituendo ad 4 arte ’ 4 tecnica ’ o
4 metodo ’. Così per Leibniz (v. nota 1) Vars charaderìstica doveva ;

permettere che una considerazione soltanto formale, cioè sintattica, i


dei segni desse la comprensione delle conseguenze delle idee inizial­
mente congiunte ai segni stessi; mentre Pars combinatoria stabiliva le
regole della deduzione. Questo brano di Bertrand Russell illustra in
cosa consistesse il progetto di Leibniz : « Accarezzò per tutta la vita
la speranza di scoprire una matematica generalizzata..., per mezzo
della quale il pensiero potesse esser sostituito dal calcolo. Se noi
l’avessimo, dice Leibniz, saremmo in grado di ragionare in campo
metafisico e morale nella stessa maniera che in geometria e in analisi.
Se dovessero sorgere delle controversie, non ci sarebbe bisogno di
discussioni tra due filosofi più che tra due contabili. Infatti basterebbe
che prendessero in mano le loro matite, sedessero ai loro tavoli e si
dicessero l’un l’altro (con un amico per testimone, se piacerà loro):
calcoliamo ». {Storia della Filosofia europea, trad. italiana di L. Pa-
volini, Milano: Longanesi, 1948, Voi. Ili, p. 138).
5- Concezione formale del linguaggio 39

teoria delle relazioni sintattiche raggiungeva il vertice del suo


sviluppo contemporaneo nella sintassi logica di Carnap (31).
Per i nostri scopi basta un cenno generale a tale punto di

(31) Per la logica simbolica v. le note 21 e 22; per Peirce la nota 26.
George Boole (1815-1864), matematico inglese, è ricordato soprattutto
per i suoi volumi Mathematical Analysis oj Logic (1847) e Laws of
Thought (1854), che anticipano la moderna logica matematica. Gottlob
Frege (1848-1925), matematico e logico tedesco, professore alPUniver­
si tà di Jena, è ritenuto oggi da molti specialisti il più grande logico
delPOttocento. Alcuni dei suoi scritti principali sono stati raccolti e
tradotti da L. Geymonat nel volume Aritmetica e Logica (Torino:
Einaudi, 1948, pp. 269). Il matematico Giuseppe Peano (1854-1932)
insegnò all’Università di Torino dal 1890 alla morte ed elaborò un
sistema di notazione logica ora comunemente accettato. Le sue opere
sono stranamente dimenticate dai filosofi italiani, mentre godono della
più alta reputazione in tutto il mondo anglosassone. Bertrand Russell
(1872, viv.), autore di numerose opere di varia filosofia, diede insieme
a Whitehead uno dei maggiori contributi alla rinascita della logica
nel nostro secolo con l’opera monumentale Principia Mathematica
(3 voli., 1910-13, seconda edizione 1925-27). Sostenne e tuttora sostiene
una “ filosofia dell’analisi logica ” apparentata, almeno nei metodi,
alla ricerca scientifica. Diverse sue opere sono state tradotte in italiano,
soprattutto presso l’editore Longanesi di Milano. Alfred N. Whitehead
(1861-1947) da una Part€ collaborò con Russell ai Principia Mathematica,
dall’altra sviluppò una sua complessa metafisica basata sul principio
di relatività della fisica contemporanea. Rudolf Carnap (1891, viv.)
è uno dei maggiori rappresentanti del positivismo logico e poi del­
l’empirismo scientifico (vedi Introduzione); si è occupato soprattutto
di teoria della conoscenza e di epistemologia, sviluppando original­
mente i metodi d’analisi logica avanzati, fra gli altri, nei Principia di
Russell e Whitehead. Alcune delle sue opere principali sono citate
nella Nota Bibliografica posta da Morris a termine del presente
volumetto.
40 III. Sintattica

vista, tanto più che lo stesso Carnap tratta l’argomento nel


I Volume, numeri 1 e 3 (32).
La sintassi logica trascura deliberatamente ciò che qui
abbiamo chiamato dimensioni semantica e pragmatica della
semiosi, per concentrarsi sulla struttura logico-grammaticale .«
del linguaggio, cioè sulla dimensione sintattica. Guardando !
le cose in questi termini, si ha una ‘ lingua ’ (cioè un Lgln) i

ogni volta che si ha una collezione di oggetti combinati fra


( loro secondo due classi di regole: regole di formazione, che
stabiliscono quali combinazioni indipendenti di membri della
collezione siano permesse (tali combinazioni vengon dette
‘ enunciati ’); e regole di fracfnrnt/ixinn*. che stabiliscono
quali enunciati siano derivabili da altri enunciati. Possiamo
'iunire le due nel termine ‘ regola sintattica La sintattica,
dunque, è esame dei segni e delle combinazioni segniche
in quanto soggetti alle regole sintattiche. Essa non si occupa
delle proprietà individuali dei veicoli segnici, né delle loro
relazioni altre dalle sintattiche (cioè determinate da regole
sintattiche).
Investigato da questo punto di vista, il fatto linguistico
ha rivelato inattese complessità; e il punto di vista si è mo­
strato insperatamente fertile. È stato possibile caratterizzare
accuratamente gli enunciati primitivi, analitici, contraddit­
tori e sintetici, come pure la dimostrazione e la derivazione.
Senza abbandonare il punto di vista formale, si è avuta la
possibilità di distinguere i segni logici dai descrittivi, di defi­
nire i segni sinonimi e gli enunciati equipollenti, di caratte-

(32) Nella stessa Enciclopedia della Scienza Unificata: il volume


introduttivo (1938) a cura di O. Neurath, N. Bohr, J. Dewey. B. Russell,
R. Carnap e Ch. Morris c i Foundations of Logic and Mathematica
di Carnap (1939).
5- Concezione formale del linguaggio 4*

rizzare il contenuto di un enunciato, di trattare i paradossi


logici, di classificare certi tipi di espressioni, di chiarificare
le espressioni modali di necessità, possibilità e impossi­
bilità. Questi e molti altri risultati hanno ricevuto parziale
sistemazione nella forma di una lingua; inoltre la maggior
parte dei termini della sintassi logica possono venir definiti
per mezzo della nozione di conseguenza. Il risultato è che
oggi, per parlare intorno alla dimensione formale delle varie
lingue, noi disponiamo di una lingua- più precisa che non
mai prima. La sintassi logica ha dato risultati di grande
interesse intrinseco e ha fornito un poderoso strumento ana­
litico; sarà usata per esteso neH’analizzare il linguaggio della
scienza in questa Enciclopedia (33).
Ma noi qui ci vogliamo occupare soltanto del rapporto
della sintassi logica con la semiotica. È evidente che essa
rientra nella sintattica; ha infatti suggerito questo nome, e
tutti i suoi risultati possono essere assimilati dalla sintattica.
Inoltre non v’è dubbio che la sintassi logica sia la parte più
sviluppata della sintattica, e quindi dell’intiera semiotica.

(33) Oltre che nello studio di Carnap ora citato, nei Principles of
thè Theory of Probability (1939) di E. Nagel e in The Technique of
Theory Construction (1939) di J. H. Woodger. Si ha l’impressione
che quando scrisse il presente lavoro (1938) Morris esagerasse un po’
l’importanza della logica simbolica. Negli ultimi anni questa ha rice­
vute molte nuove critiche: soprattutto per quanto riguarda il suo
istituire caselle astratte nelle quali viene poi forzata la fluida varietà
delle lingue ‘ naturali ’. Si tende oggi a limitare la portata della
logica simbolica in genere (e della sintassi logica di Carnap in par-
ticolare) allo-iludio. dei-fondamenti della logica e della matematica.
Lo stesso Carnap, del resto, ha accolto la concezione semiotica di
Morris e ha allargato nelle ultime opere i suoi schemi formali (si
veda la Introduction to Semantics, Cambridge, Mass., 1942).
i
i
42 , III. Sintattica

Col suo spirito e col suo metodo, essa può essere molto
i
utile anche alla semantica e alla pragmatica, nei quali campi
il suo influsso appare infatti già evidente.

Molti dei risultati specifici della sintassi logica hanno :
riscontro in altre branche della semiotica. Diamo un esempio.
Il termine * enunciato cosale * (34) serva a designare ogni_
enunciato,Jl.cui designatum non includa segni; tale enun­
ciato riguarda delle cose, e può essere studiato dalla semio­
tica. Secondo questo uso, nessun enunciato delle lingue
semiotiche è cosale (35). Ora Carnap ha messo in luce come
molti enunciati apparentemente cosali, che sembrano cioè
riferirsi a oggetti che non sono segni, risultino all’analisi
pseudo enunciati cosali, che vanno interpretati come asser­
zioni sintattiche intorno al linguaggio. Ebbene, in analogia
con questi enunciati quasi-sintattici ci sono corrispondenti
enunciati quasi-semantici e quasi-pragmatici, che si presen­
tano nella veste di enunciati cosali e che vanno invece inter­
pretati secondo il rapporto dei segni con i designata o dei
segni con gli interpreti (36).

(34) In inglese ‘ thing-sentence ’, cioè ‘ enunciato-cosa \ L’aggettivo


‘ cosale ’, del resto già usato da altri studiosi italiani, acquista subito

senso dal contesto. Di qui. poi la nozione di “ lingua cosale ”
: (v. nota 48).

ìi (35) Perché le lingue della semiotica sono meta-lingue, che si rife­


riscono ad altri segni, quelli della semiosi. La semiotica tutta, infatti,
è una lingua speciale per parlare del linguaggio (cioè di altre lingue).
Rivedi le note 6 e 17; e avanti nel testo, specie in corrispondenza alle
note 83 e 84 e, poi, 131.
(36) La questione sarà ripresa e sviluppata per la semantica lungo
tutto il § 7, nei §§ io e 11 per la pragmatica, e sarà poi toccata nuo­
vamente nel § 13. Si chiarirà lì anche il senso in cui Morris parla di
5. Concezione formale del linguaggio 43

Sotto certi riguardi, è più facile sviluppare la sintattica


che i campi ad essa coordinati: in quanto, specie nel caso
di segni scritti, è in un certo modo più facile studiare le
relazioni, stabilite da regole, dei segni fra loro, che caratte­
rizzare le situazioni esistenziali nelle quali trovano impiego
certi segni, o ciò che avviene nell’interprete quando un segno
è all’opera. Onde che l’avvertire certe distinzioni per mezzo
della sintattica possa servire da spunto per la ricerca dei loro
corrispettivi in indagini semantiche e pragmatiche (36 a).

enunciati quasi sintattici, semantici e pragmatici, cioè che quasi si


direbbero tali ma in realtà non lo sono, o solo in un certo senso
ristretto (vedi anche al termine del § 8).
(36 a) Che la sintattica sia più facilmente sviluppabile della seman­
tica e della pragmatica è affermazione forse molto discutibile; ma è
anche molto facile fraintenderla. La maggior facilità di cui parla
Morris può essere intesa attraverso una distinzione degli universi di
discorso in cui si può muovere la nostra ricerca. In sede logica, un
universo di discorso è una classe di segni privilegiata'Hi'fronte à tutte
,W- ——V'- •:ìhu.-^W-"- ■ *
Je altre: precisamente, è una classe tale, che tutte le altre vengono
considerate come sue sotto-classi (sicché anche i membri di una qual­
siasi delle sotto-classi sono considerati come membri della classe pri­
vilegiata). In un senso più ampio e più fluido, possiamo intendere
per universo di discorso l’insieme dei segni in cui è condotta una
certa ricerca, e con ciò naturalmente anche i tipi di relazioni sintat­
tiche, semantiche e pragmatiche che i segni hanno dentro a quel­
l’insieme, per quella ricerca. Così possiamo distinguere Puniverso di
discorso delle varie discipline scientifiche a qualunque stadio di com-,
prensività e di interrelazione: quello della chimica da quello della
biologia e da quello della psicologia; e, dentro a quello per esempio
della biologia, quello della genetica (che partecipa però anche di quelli
della chimica "e della fisica); e così via; o addirittura quello della
scienza da quello della religione, dell’arte, della morale.-
44 III. Sintattica

Malgrado Timportanza che le abbiamo attribuita, non


possiamo equiparare la sintassi logica al complesso della
sintattica. Essa infatti (come mostra il termine 4 enunciato ’)
ha limitato le proprie indagini sulla struttura sintattica ai
tipi di combinazioni segniche dominanti nella scienza, cioè :

Ora è ovvio che una cosa qualsiasi possa essere studiata, ed entro :
certi limiti adoperata, nell’ambito di un qualsiasi universo di discorso
(negare ciò significherebbe concepire la natura come di per sè divisa
in compartimenti stagni). Esempi: (i) un chimico può studiare il
• comportamento religioso dell’uomo, se gli riesce di trovare delle modi­ !
ficazioni chimiche che avvengono quando l’uomo prega con fervore,
o ha visioni, o sente voci, o compie atti miracolosi; (li) un fisico può
studiare il comportamento segnico deH’uomo, se gli riesce di trovare
delle modificazioni elettriche nell’uomo che parla, o che parla in un
certo modo, o che parla una certa lingua invece che un’altra, o che
adopera certe parole, o che si rivolge a certe persone, e così via; (in) un
teologo può studiare il comportamento della materia in base ai suoi
principi, correlando per esempio a certi cangiamenti determinati inter­
venti angelici; (iv) un musicista può comporre una sinfonia in cui
sussistono certi rapporti geometrici o aritmetici; e così via. Questi
stessi esempi mostrano però anche come certe cose si prestino ad essere
studiate in certi universi di discorso meglio che in certi altri, e ad
essere adoperate per certi fini meglio che per certi altri. Ciò avviene
sia perché le indagini e in genere le attività umane si sono sviluppate
come si sono sviluppate e non altrimenti, sia perché certi tipi di
fenomeni non possono venir dominati da certi tipi di procedimenti,
sia per qualunque altra ragione si voglia addurre (c’è in questo fatto
. una spiegazione di quanto s’intende quando si raccomanda ad ogni
specialista di non compiere arbitrarie escursioni al di fuori del suo
campo, di non trasferire ad altri universi di discorso ciò che è valido
soltanto nel suo).
Credo dunque che Morris voglia dire questo: il rapporto fra il
segno a e il segno b può essere studiato sintatticamente, sulla carta;

fa
5. Concezione formale del linguaggio 45
-i
3
ajle combinazioni che da un punto di vista semantico sono
dette asserzioni, e a quelle altre combinazioni segniche che
-
2 servono a trasformare le asserzioni. Così, secondo Fuso che
Carnap fa del termine, un comando non è un enunciato, e
molte linee di poesia non sarebbero enunciati. Insomma,
secondo lui, ‘ enunciato ’ non è un termine applicabile a
qualsiasi combinazione segnica indipendente permessa dalle
regole di formazione di una lingua, mentre è chiaro che
la sintattica nel senso lato deve occuparsi di tutte quelle
combinazioni. Ci sono dunque problemi sintattici nel campo
dei segni percettivi, dei segni estetici, dell’uso pratico dei
segni, della linguistica generale, che non sono stati presi in
; considerazione nel quadro di ciò che oggi s’intende per
! sintassi logica, ma che rientrano nella sintattica quale noi
la concepiamo (37).

data una certa interpretazione di a e di b (per rinterpretazione come


attribuzione d’un significato vedi la nota 44) quel rapporto viene a li
sussistere anche fra due eventi (diciamo) neurologici nell’organismo jj f
che interpreta a e b, e anche fra due oggetti nel mondo: se, per es., ? t -
: U
r
a e b sono un gatto e un topo. Ora può essere, e comunemente è,
molto più difficile dichiarare il rapporto fra a e b nell’universo del
discorso neurologico e in quello del discorso zoologico o fisiologico o
chimico che non in quello del discorso della sintassi logica: basti
pensare a cosa accadrebbe se ogni volta che diciamo a e b dovessimo
descrivere in termini chimici un gatto che mangia e digerisce un
topo, o descrivere in termini neurologici tutto quello che avviene in
un interprete che comprende l’enunciato ‘ un gatto mangia un topo ’.
(37) Quest’ultimo passo mostra la larghezza dell’impostazione di
Morris e con ciò quella dei suoi interessi. La concezione neo-positi­
vistica di Carnap poggia per intero sulle asserzioni (v. nota 18), e
in quanto sintassi sull’interpretazione ristretta degli enunciati: tra-
lascia cioè, in nome della scienza, tutto ciò che scienza non è. Invece
t.
46 III. Sintattica %
=
=
i-
6. Struttura linguistica. =-
r
Vediamo ora più da vicino cosa sia una struttura lingui­ 1
stica; ricorreremo alla semantica e alla pragmatica là dove
potremo averne un aiuto per la comprensione della dimen­ i
sione sintattica della semiosi.

Morris concepisce la sua semiotica come studio del linguaggio in


tutti i suoi aspetti, siano essi connessi alla scienza o no. Qualsiasi
combinazione segnica permessa dalle regole di formazione di una
data lingua è per Morris un enunciato, e come tale un oggetto di
studio per la semiotica. Si confrontino il § 11, specie in corrispon­
denza alla nota 97, e il § 17 (Implicazioni umanistiche della semiotica).
È opportuno cogliere quest’occasione per precisare che per * com­
binazione segnica non permessa ’ dobbiamo intendere qualsiasi gruppo
di parole senza senso, come per esempio ‘ agosto è ubriaco fradicio ’,
‘il teorema di Pitagora è rosso ’, ‘ questo cane è saltuario ’, ‘ la coda
pelosa della Secónda Crociata *, ‘ io camminavo il vino quarantadue ’.
Naturalmente, moltissime combinazioni senza senso possono per così
dire venir promosse al grado di enunciati in quanto, dati certi contesti,
vi si ravvisi un qualche senso anche lontanamente analogico o sim­
bolico. Ma allora non è più la combinazione originaria ad aver senso,
perché noi abbiamo rioperato su di essa per dargliene uno. (Non si
deve dunque credere che la distinzione fra ‘ senso ’ e ‘ senza senso *
sia qualcosa di meramente oggettivo. È chiaro che una combinazione
segnica acquista senso, cioè diventa un enunciato, in quanto noi glielo
troviamo. Ma è anche chiaro che spetta a noi l’onere di dire in cosa
consista il significato di enunciati bizzarri o anormali. Le regole cor­
renti nella lingua cui l’enunciato appartiene formano d’altra parte la
* base relativamente oggettiva della sua comprensibilità; ed è strano
che questo aspetto della questione venga subito dimenticato da chi
si rende conto della totale convenzionalità del linguaggio). Così,
6. Struttura linguistica 47

Ove si abbia una pluralità di segni usati dal medesimo


interprete, c’è sempre la possibilità di certe relazioni sintat­
tiche fra essi. Siano due segni, S, e S2, usati in modo tale
a
che 5, (poniamo, ‘ animale ’) viene applicato a ogni oggetto
cui è applicato S2 (poniamo, ‘ uomo ’), ma non reciproca­
mente: allora, per via di quest’uso, la semiosi che occorre
ì per il funzionamento di 5, è inclusa in quella di S2. Un
5
interprete risponderà a un oggetto denotato da ‘ uomo ’ con
le risposte che darebbe a un oggetto denotato da ‘ animale ’;
ma ci saranno inoltre certe risposte che non verrebbero date
nel caso di animali cui ‘ uomo ’ non sia applicabile, e nem-

per cs., se abbiamo ritagliato la figura di vari teoremi geometrici su


carte colorate, può aver senso dire ‘ il teorema di Pitagora è rosso \
Ma rosso non è il teorema in quanto tale; rossa è la carta su cui lo
abbiamo ritagliato, sicché quella combinazione segnica diventa signi­
ficante solo in quanto, dato quel contesto, essa è una brachilogia,, per
‘ il teorema di Pitagora è quello ritagliato in un pezzo di carta rossa
Analogamente, ‘ questo cane è saltuario ’ può essere espressione molto
impropria per ‘ questo cane si fa vedere di quando in quando \
‘ Agosto è ubriaco fradicio * può, dato un certo contesto, lasciar capire
che ‘ ubriachi fradici sono gli uomini che hanno vendemmiato in
agosto ’; oppure un poeta si può servire di un’espressione come ‘ agosto
ubriaco * per suggerire la disordinata ricchezza di ardori e di colori
della natura durante quel mese; e via dicendo. Comunque, coloro i
quali intendono tenere il discorso filosofico separato dal discorso poe­
tico mirano a espressioni il meno possibile metaforiche.
Le questioni dell’analogia, del simbolismo e dei contesti sono di\
-*ui .V )l( ,| il gl—I . nn-i— rii **1 r,. « »■***1 >*-ì**M 1

eccezionale^ Importanza, per..comprondero^.la.^naqy^,,.Ijngiin


per stabilire i limiti delle regole di formazione di una data lingua
naturale posta a oggetto d’indagine, o di una lingua speciale che
ci si proponga di costruire. Esse hanno un peso notevole anche per
la determinazione dell’impresa filosofica nel suo complesso.

;A V—
1

48 III. Sintattica

meno nel caso di un animale cui siano applicabili altri ter­


mini (come, per esempio, ‘ ameba ’). In questo modo i ter­
mini si pongono fra loro in rapporti che corrispondono ai
rapporti delle risposte di cui fan parte i veicoli segnici; e
queste modalità d’impiego sono lo sfondo pragmatico delle
regole di formazione e trasformazione. La struttura lingui­
stica di una lingua è il mutuo rapporto fra i segni, quale
risulta per via del mutuo rapporto fra le risposte di cui i
veicoli segnici sono prodotto o parte. Il formalista sostituisce
a queste risposte la loro formulazione in segni; quando
prende le mosse da un’arbitraria collezione di regole, egli
stipula quali mutui rapporti di risposte un possibile inter­
prete debba avere acciocché si possa dire che si sta servendo
della lingua in esame (38).
Nella misura in cui un singolo segno (per es. un certo
gesto ostentivo) può denotare soltanto un oggetto isolato, la
sua natura è quella di mero indice; se può denotare una
pluralità di cose (come il termine ‘ uomo ’), risulta possibile
combinarlo in varia guisa con segni che allargano o restrin­
gono il suo campo di applicazione; se può denotare qualsiasi
cosa (come il termine ‘ qualcosa ’), si trova allora in rapporto
con ogni altro segno e ha così un’implicazione universale,
vale a dire che è implicato da qualsiasi segno nell’ambito
di quella lingua. Questi tre tipi di segni saranno chiamati
rispettivamente indici. caratterizzanti e universali (39).
Una delle differenze fra i segni è dunque quella del
grado di determinatezza delle aspettazioni che essi fan sor-

(38) Rivedi le note 28, 29, 36 a, e il testo ad esse relativo.


(39) Anche questi tre termini vanno d’ora innanzi pensati e usati
nel senso tecnico loro dato nel testo, senza che ci si lasci fuorviare da
eventuali associazioni suggerite dall’uso comune.
6. Struttura linguistica 49

gere. Il dire che 4 ci si sta riferendo a qualcosa ’ non pro­


muove alcuna aspettazione definita, non permette che uno
si renda conto di ciò cui ci si sta riferendo; l’uso di 4 ani­
male ’ senza alcun’altra precisazione desta, sì, certi gruppi
di risposte, ma troppo vaghe perché ci si possa vedere un
comportamento adeguato nei riguardi di un qualche spe­
cifico animale; la situazione migliora se usiamo ‘uomo’,
nel senso della differenza che si dà fra sapere che si avvicina
un animale e che si avvicina un uomo; infine, l’uso di
4 questo ’ in una situazione reale, quando alla parola si
accompagni un gesto o una spinta, dirige il comportamento
verso un oggetto specifico, ma fa sorgere aspettazioni sol­
tanto minime quanto al carattere della cosa che viene deno­
*
tata. L’importanza dei segni universali sta nel fatto che essi
permettono di parlare in modo generico dei designata senza
che si debba specificare il segno o il designatum; la loro
utilità per certi scopi è mostrata dalla difficoltà di evitare
termini come 4 oggetto ’, 4 entità 4 qualcosa Tuttavia, più
importante è la combinazione di segni indici e caratteriz­
zanti (come in 4 qàél cavallo corre ’), poiché qui si ha la
precisione di riferimento propria del segno indice con in
più la determinatezza dell’aspettazione richiesta dal segno
caratterizzante. È della complessa struttura di tali combina­
zioni che, da un punto di vista formale, si occupano gli
enunciati dei sistemi logici e matematici; ed è a esse che
(dal punto di vista semantico) sono applicabili i predicati
di verità e falsità. La loro importanza si riflette nel fatto
che tutti i sistemi formali contengono una distinzione fra
due tipi di segni, che corrisponde a quella fra segni indici
e caratterizzanti. Inoltre, il fatto che la determinatezza del­
l’aspettazione può essere accresciuta per mezzo di segni addi­
zionali ha riscontro nel fatto che le strutture linguistiche
4 - C. Morris, Lineamenti di una teoria dei segni.
50 III. Sintattica
=
vengono a costituire come un canovaccio sul quale si può
graduare la specificazione e mettere in evidenza i rapporti §
segnici in causa (40).
Nei termini proposti da M. J. Andrade (41), possiamo
dire che ogni enunciato contiene un segno dominante e
taluni specificatovi. Questi termini si comportano l’un l’altro,
giacché quello che è un segno dominante nei riguardi di
certi specificatoti può essere a sua volta uno specificatore nei I
riguardi di un segno dominante più generale : così 4 bianco ’
può rendere più specifico il riferimento a dei cavalli, mentre
‘ cavallo ’ può essere uno specificatore di ‘ animale \ Siccome
;
per rendersi adeguatamente conto di qualcosa bisogna che
della cosa siano indicate e la locazione e le proprietà (più 1
importanti), e siccome un grado di specificazione conve­
niente [delle proprietà] lo si ottiene mediante una combi­ !
nazione di segni caratterizzanti, un enunciato di cui si possa *
dire che è vero o falso richiede : segni indici, un segno carat­
terizzante dominante con specificatoti possibilmente caratte­
rizzanti, e alcuni altri segni che mostrino il rapporto dei

(40) Dei tre tipi di segni distinti (indici, caratterizzanti, universali),


sembra dunque che i primi due abbiano maggior peso nella formazione
del linguaggio. Di particolare importanza l’accenno alla predicazione
di verità e falsità, che non è possibile nei riguardi dei soli segni
universali. ‘ Qualcosa è vero ’ non va, se non come brachilogia per .
‘c’è qualcosa di vero’ (in una data situazione di cui si sta parlando)
o per ‘ c’è una cosa, da specificare, la quale è vera ’ : cioè, vero non !
è il “ qualcosa ” in quanto tale. Viene così rivendicato il carattere
linguistico della verità: v. le note 57 e 81.
(41) Manuel J. Andrade, linguista e antropologo americano, cui
la morte prematura impedì di portare a termine un programma di
f
ricerche sulla scienza del linguaggio. Cfr. SLC, pp. 298-9.

ir
6. Struttura linguistica 51

segni indici e caratterizzanti fra loro e con i membri della


loro classe. Ecco allora la formula generale di un tale
enunciato :
Segno dominante caratterizzarne [specifìcatori caratteriz- ( ?
zanti (segni indici)] (42). 4
In un enunciato come ‘ quel cavallo bianco corre lenta­
mente pronunciato in una situazione reale con l’accompa­
gnamento di gesti, ‘ corre ’ può essere preso come segno domi­
nante; ‘ lentamente ’ come uno specifìcatore caratterizzante di
4 corre’; ‘cavallo ’ specifica a sua volta di che tipo di ‘corre
lentamente’ si tratri; 4 bianco’ accentua ulteriormente la spe­
cificazione; e ‘quel’, in combinazione col gesto indicante,
serve come segno indice per localizzare l’oggetto cui va appli­
cato il segno dominante quale lo si è specificato. Le circostanze
del discorso possono farci prendere come dominante anche
‘ cavallo ’ o altro segno : sono delle considerazioni pragmati­
che a determinarlo. Il segno dominante può anche essere più
generale di tutti quelli ora nominati: per esempio un segno
che serve a mostrare che quanto segue è una dichiarazione,
o una credenza sostenuta con un certo grado di convin­
zione. Invece di un segno indice in una situazione di fatto,
si potrebbero usare dei segni caratterizzanti in modo tale,
che l’ascoltatore apprenda come fornire lui stesso il segno
indice: ‘trova un cavallo tale che...; quello è il cavallo cui
stiamo riferendoci’; o ‘prendi un cavallo qualsiasi; vedrai

(42) In questa formula le parole ‘ specifìcatori caratterizzanti * vanno


riferite alle parole ‘ segno dominante caratterizzante ’. Non è detto
che in un enunciato i vari segni linguistici stiano nell’ordine indicato
dalla formula. Subito dopo nel testo Morris dà un esempio in cui
l’ordine è diverso. In SLC l’articolazione dei vari tipi di segni sarà
molto più complessa.
: ;:
r!
III. Sintattica ?
52 ■

che esso... ’. Nel caso che ci si riferisca a una collezione di


oggetti, il riferimento può riguardare l’insieme della colle­ ;
zione, o una sua parte, o alcuni membri, o uno solo, spe­
cificati; termini come ‘tutti’, ‘alcuni’, ‘tre’, congiunti a :.
5
segni indici e a descrizioni, assolvono la funzione di indi­
care a quale fra i possibili denotata di un segno caratteriz­
zante ci si riferisca. Non occorre che ci sia un solo segno
indice; in un enunciato come ‘ A diede B a C ’, tutti e tre i i
correlati della relazione triadica vanno specificati da segni :
indici, siano questi usati da soli o in connessione con altri
espedienti.
Il segno ‘ a ’ nell’enunciato ‘ A diede B a C ’ offre il destro
di sottolineare un punto importante : per avere combinazioni
segniche comprensibili è necessario che nella lingua in causa
ci siano anche dei segni speciali indicanti le relazioni degli
altri; e siccome questi segni fanno parte della lingua, li
dobbiamo tener distinti da quei segni che designano tali
relazioni nella lingua della sintattica. Negli esempi dati,
1*‘ e ’ di ‘ corre ’, il ‘ mente ’ di ‘ lentamente ’, la posizione di
‘ quello e di bianco ’ rispetto alla posizione di ‘ cavallo ’,
la posizione di ‘ A ’ e * B ’ prima e dopo il segno dominante
‘ diede ’, la posizione di ‘ a ’ prima di ‘ C ’, forniscono tutti
indicazioni su quale segno ne specifichi quale altro, su quale
correlato della relazione sia denotato da un segno indice e
da quale, su quali segni siano indici e quali caratterizzanti.
Nella lingua parlata, lo svolgimento di tali funzioni è aiutato
dalle pause, dal tono di voce, dall’enfasi; in quella scritta e
, stampata da segni d’interpunzione, accenti, parentesi, corsivi,
1- corpo delle lettere, eccetera. La funzione di questi segni
dentro alla lingua è prevalentemente pragmatica; ma è nella
! meta-lingua che troviamo il termine ‘ parentesi ’ e i suoi

i
6. Struttura linguistica 53

implicati (43). Non si deve confondere la meta-lingua con


una lingua cui essa si riferisce; e nella stessa lingua-oggetto
si deve poi distinguere fra quei segni, i cui designata stanno
fuori della lingua, e quelli che indicano rapporti fra altri segni.
Tutte le distinzioni, che abbiam viste presenti nel fun­
zionamento linguistico in senso semiotico pieno, sono riflessi
in quegli aspetti del linguaggio dei quali si occupa la sin­
tattica. Questa ammette diverse classi di segni, come costanti
e variabili individuali e costanti e variabili predicative, che
sono i correlati formali di vari tipi di segni indici e carat­
terizzanti; gli operatori corrispondono a specificatoli di classi;
i puntini e i vari tipi di parentesi sono mezzi che indicano
nell’ambito della lingua certe relazioni fra i segni; termini
come ‘ enunciato ’, ‘ conseguenza * e ‘ analitico ’ sono termini
sintattici per designare certi tipi di combinazioni segniche e
di relazioni fra i segni; le funzioni degli enunciati (o delle
“ proposizioni ”) corrispondono a combinazioni segniche man­
canti di certi specificatori-indici necessari a completare gli
enunciati (0 le “ proposizioni ”); le regole di formazione e
di trasformazione corrispondono alle maniere in cui i segni
vengono combinati o derivati gli uni dagli altri ad opera di
chi si serva, di fatto o potenzialmente, della lingua (44). In

(43) Participio passato sostantivato dal verbo ‘ implicare * nel suo


senso tecnico (v. nota 15).
(44) Il succo di questo discorso è che, come dirà subito dopo
Morris nel testo, le lingue formali della moderna logica simbolica o
matematica, che per lui sono una parte della sintattica, riflettono nella
loro struttura tutti i principali aspetti di una qualsiasi lingua natu­
rale (e con ciò del fatto linguistico in generale, del linguaggio). Se
ciò sia vero 0 no, dipende naturalmente anche dagli “ aspetti ” del
linguaggio che si ritengono principali. Un breve cenno alla struttura
54 III. Sintattica

tal modo le lingue formalizzate studiate dalla logica e dalla


matematica contemporanee mostrano chiaramente di essere
la struttura formale di lingue reali e possibili del tipo usato
per fare asserzioni intorno a cose; esse riflettono punto per

di una lingua formale o ideale del tipo di quella proposta nei Principia
Mathematica di Russell e Whitehead (nota 31) può servire a chia­
rire il raffronto.
Il principio che bisogna tenere presente nel costruire lo schema di
una lingua formale è che i segni sono visti solo come oggetti fisici,
cioè come forme geometriche sulla carta. « Una teoria, una regola,
una definizione, e così via, sarà chiamata formale quando non si fa
alcun riferimento o al significato dei simboli o al senso delle espres­
sioni, ma solo e unicamente ai tipi e all’ordine dei simboli di cui son
costruite le espressioni » (Carnap). La sintassi logica è così « studio
che riguarda il disegno geometrico » (Bergmann). Ciò vuol dire che
il significato dei segni è soltanto potenziale: è un significato qual­
siasi, non meglio determinato che per la sua potenzialità; e diven­
terà un significato vero e proprio quando lo schema sarà interpretato
(vedi avanti).
* La costruzione dello schema di una lingua formale può essere
svolta in tre passi successivi:
(I) Selezione di segni (considerati per ora solo come forme geo­
metriche) o di tipi di segni, che servano da elementi costitutivi; e
loro suddivisione in categorie. Si distingue fra segni descrittivi (nomi
propri e predicati di vario ordine) e segni logici (connettivi, come ‘ no
‘ e ’, ‘ se... allora ’; quantificatori, come ‘ alcuni *, ‘ tutti variabili,
cioè segni indicanti un membro qualsiasi di una data classe, dove
tale membro può essere sostituito alla variabile e ne costituisce dunque
un possibile valore; tutti i segni che non sono variabili sono costanti).
(II) Selezione di certe determinate sequenze di segni che saranno
gli enunciati-JÌ£ÌL&-]ing\i2.. e che saranno chiamati jz/omiW se conter­
ranno solo segni descrittivi (‘ la mela è verde ’), com.pìejjfi se conter­
ranno anche segni logici (‘ se la mela e la pera sono verdi, allora io
6. Struttura linguistica 55

punto gli aspetti significativi del linguaggio reale. Il delibe­


rato disinteresse dei formalisti per gli altri aspetti del lin­
guaggio, e i modi in cui le lingue cangiano, sono di aiuto
nell’isolare un particolare oggetto di studio: la struttura lin­
guistica (45). Il logico formale, differisce dal grammatico sol­

le mangio ’). Operatore, o predicato in senso largo, sarà qualsiasi


espressione che ne determini un’altra.
(iii) Selezione di una sottoclasse di enunciati che vengono detti
analitici, nei quali o si hanno solo segni logici o gli eventuali segni
descrittivi possono venir sostituiti senza mutare la struttura del-
l’enunciato.
I vari enunciati sono messi in rapporto fra loro per mezzo di
quattro simboli fondamentali: • per la congiunzione, v per la disgiun­
zione, wn per la negazione, p per Pimplicazione. Si usano vari tipi
di parentesi, come in algebra, per mostrare i limiti dei vari rapporti
dentro a un determinato algoritmo. Per es., ‘ p v (q 3 r) ’ vuol dire
pressappoco che “ o si dà p, oppure q implica r”; invece ‘ (p v q) p r ’
vuol dire che “ o p o q implica r ” (p} q, r sono variabili).
Ciò dovrebbe bastare a dare un’idea dei riferimenti fatti da Morris.
Si ricordi che lo schema di una lingua ideale come quello ora schiz­
zato viene presentato dai logici come una specie di macchina sprov­
vista di senso. Per fare dello schema una lingua con tutte e tre le

uno dei_suoi_,segni_.ad_un’espressjqne Jjl^paxUj^-^r-dÌA^ri:Q^ Siccome


tutti i segni dello schema sono in rapporto fra loro, basterà che uno
solo di essi riceva un significato perché lo riceva tutta la macchina.
Per ulteriori chiarimenti si vedano, nel loro contesto, le note 51 a e 135.
Per la distinzione fra enunciato e proposizione, la nota 20..
(45) Anche « i modi in cui le lingue cangiano » servono a isolare
nell’attenzione dello studioso la struttura linguistica. In questo senso:
le parole cangiano significato, entrano in uso e ne escono; sempre
nuovi costrutti vengono proposti nel parlare di tutti i giorni e ad
opera degli scrittori; le varie lingue naturali si scambiano influssi;
56 III. Sintattica

tanto in questo, che s’interessa maggiormente di quei tipi di


enunciati e di quelle regole di trasformazione che operano
nella lingua della scienza. Se vogliamo che l’intero dominio et
della sintattica sia adeguatamente esplorato, bisogna che al 5=
:
tipo di ricerca svolto dal logico si affianchi una ricerca del
tipo di quella svolta dal grammatico, e che l’attenzione sia
estesa anche a combinazioni e trasformazioni segniche in f
campi diversi dalla scienza.
;
c’è — come abbiamo visto nella nota 27 — un circolo fra lingue
naturali e lingue tecniche : i vari * universi di discorso ’ (come è stato
chiamato il complesso dei mezzi linguistici di cui dispongono un
uomo o una cultura, o una parte di questa, o un certo tipo di ricerca:
i
v. nota 36 a) sono in costante alterazione, esprimono spesso visioni
del mondo affatto diverse, sono a volte in vivo contrasto fra loro. ;
Nonostante tutto ciò, c’è qualcosa nel fluire delle lingue che rimane >

in un certo modo costante, ed è la struttura linguistica, cioè l’insieme
delle distinzioni fra alcune categorie fondamentali di segni e dei rap­
porti fra queste. Rimane costante nel senso che, se quelle categorie e
quei rapporti non sussistessero, non avremmo più nemmeno una lin­
] .

gua, anzi non avremmo più nemmeno il linguaggio in genere : l’uomo .


cesserebbe di parlare, di comunicare con gli altri uomini. In modo
non dissimile, se non avessimo più sulla Terra quei fenomeni che i
vanno sotto il nome di metabolismo, non avremmo più la vita. Ora
il contrasto fra ciò che nel linguaggio cangia e ciò che vi permane
serve appunto a far vedere con maggior chiarezza l’elemento costante.
Quando si parla di elementi costanti nel linguaggio non ci si rife­
risce ad una qualche entità staccata dal flusso degli umani interessi, !
ma al fatto che studiando il linguaggio vi si riscontrano certe carat­
teristiche, che sono appunto quelle intese nell’uso del termine ‘ lin­ ;
guaggio ’. Vale a dire che, in assenza di tali caratteristiche, non par­ ■

leremmo di linguaggio, ma di qualche altra cosa.


IV. SEMANTICA

7. La dimensione semantica della semiosi.

La semantica tratta del rapporto dei segni coi loro desi­


gnata e così con gli oggetti che, eventualmente, essi deno­
tano. Come per le altre discipline che si occupano di segni,
si può distinguere fra un aspetto puro e uno descrittivo:
la semantica pura fornisce i termini e_la teoria per parlare
3eTTa dimensioneTcmantica della semiosi.^queliajdescriftiva,
affronta casi concreti di questa dimensione. Il secondo tipo
d'indagine ha preceduto storicamente il primo : da secoli i
linguisti studiano le condizioni d’impiego di questa o di
quella parola, i grammatici con interessi filosofici tentano di
trovare nella natura elementi correlabili alle strutture del
linguaggio e di differenziare le parti del discorso, e, da un
punto di vista più generale, i filosofi empiristi studiano sotto
quali condizioni si possa dire che un segno ha un denotatimi
(spesso con lo scopo di mostrare che i termini dei loro
avversari metafisici non le soddisfano); inoltre, il gran discu­
tere che si è sempre fatto intorno ah termine 4 verità * ha
necessariamente tirato in ballo la questione del rapporto dei
segni con le cose (46). Tuttavia, a dispetto di una così vene-

(46) La semantica mostra dunque il suo rapporto con le varie


discipline che si occupano del linguaggio dal punto di vista del signi-
58 IV. Semantica

randa tradizione, relativamente poco è stato fatto nel senso


di esperimenti controllati, e una lingua nella quale parlare
convenientemente di questa dimensione non è mai stata ela­
borata. Il metodo sperimentale reso possibile dalla compor­
tamentistica offre grandi promesse per la determinazione delle
reali condizioni d’impiego di certi segni. Le recenti discus­
sioni sul rapporto fra strutture linguistiche formali e loro
“ interpretazioni ”, i tentativi (come quelli di Carnap e di
Reichenbach) (46 a) di formulare più nettamente la dottrina
deH’empirismo, e gli sforzi dei logici polacchi (soprattutto
Tarski) (46 b) di dare in maniera sistematica la definizione

ficato, compresa la corrente filosofica delPempirismo classico, che è


fondamentalmente una teoria del significato stesso. Siccome anche
Morris proviene (ma non è detto vi resti, e certo non vi resta per
intero) dalla corrente empiristica, va riconosciuta la sua imparzialità
quando rivolge agli empiristi l’accusa di aver sviluppato certe teorie
della denotazione per ragioni di polemica contro filosofi dell’altra
sponda, cioè contro razionalisti, idealisti, spiritualisti. Se ricordiamo
la distinzione fra designatum e denotatum (§ 2; nota 12), che sarà
ulteriormente sviluppata in questo paragrafo, possiamo comprendere
l’importanza dell’affermazione o negazione di certi denotata. Noi tutti
sappiamo “ cosa significano ” termini come ‘ idea ’, ‘ angelo ’, ‘ intel­
letto ’, * Dio ’. Ma hanno questi termini, oltre a un designatum, un
denotatum? Le varie risposte che si possono dare a questa domanda
corrispondono in parte alle varie posizioni filosofiche che la tradi­
zione tramanda (v. il testo in corrispondenza alla nota 145).
(460) Hans Reichenbach (1891-1953), professore a Berlino e poi
a Los Angeles, si è occupato soprattutto di filosofia della fisica e di
metodologia. I suoi contributi più importanti riguardano i problemi
della causalità, dell’induzione e della probabilità.
(46 £) Alfred Tarski (1901, viv.) operò dapprima in Polonia c poi
y. Dimensione semantica della semiosi 59

formale di certi termini che hanno nella semantica un’im­


portanza centrale, son tutte cose che hanno portato avanti
la lingua della semantica (47). Ciò non ostante, la seman­
tica è ancora lontana dalla chiarezza e dalla sistematicità
raggiunte da certe porzioni della sintattica.
La situazione, a ben considerarla, non sorprende, giacché
uno sviluppo rigoroso della semantica presuppone una sin­
tattica relativamente molto sviluppata. Un discorso sul rap­
porto dei segni con gli oggetti che designano presuppone,
se ci si vuol riferire e ai segni e agli oggetti, sia la lingua
della sintattica sia la lingua cosale (48). Che si debba contare
sulla sintattica appare soprattutto quando si discute di lingue,
ché qui non si può fare a meno di una teoria della strut­
! tura linguistica formale. Per esempio, non ci si può met­
tere seriamente a discutere la sempre ricorrente questione se

negli Stati Uniti. I suoi contributi alla semantica hanno avuto grande
influsso su Carnap, Morris e moltissimi altri.
(47) La “ comportamentistica ”, di cui qualche riga più sopra nel
testo, può esser distinta dal “ comportamentismo ” perché questo è
una dottrina psicologica che vuole ci si limiti ai comportamenti
direttamente osservabili, mentre quella è studio generale della con­
dotta umana (v. nota 13; i due termini americani sono ‘ behavioristics *
e ‘ behaviorism ’). Che cosa sia il « rapporto fra strutture linguistiche
formali e loro interpretazioni » s’intende tenendo presente cos’è una
lingua formale (nota 44). Morris ne parla poi nel testo. Per una prima
bibliografia su quest’ultimo problema, come pure per i titoli dei
lavori di Carnap e Reichenbach, di Tarski e di altri logici polacchi
(Ajdukiewicz e Kokoszynska), basti rimandare alla Nota Bibliografica
aggiunta da Morris a questo volumetto e agli altri libri elencati al
termine dell’Introduzione.
(48) Cioè composta di “ enunciati cosali ” : v. la nota 34.
I

6o IV. Semantica
!
la struttura del linguaggio sia la struttura della natura fino
a che i termini ‘ struttura ’ e ‘ struttura linguistica ’ non
siano stati precisati (49); quanto v’è d’insoddisfacente nelle
passate discussioni di tale questione è certo in parte dovuto
*=
alla mancanza di una chiarificazione preliminare come quella
fornita oggi dalla sintattica. r
Una combinazione segnica come “ ‘ Fido * designa A ” è
;
un esempio di enunciato nella lingua della semantica. Qui
c <
Fido ’ ’ denota ‘ Fido ’ (cioè denota il segno o il veicolo '
segnico, non un oggetto non-linguistico), mentre 4 A ’ è un i
segno indice di un qualche oggetto (potrebbe essere la parola !
‘ quello ’ usata congiuntamente a un gesto indicante una dire­
zione). 4 4 Fido ’ * è pertanto un termine della meta-lingua, e :
;
denota il segno ‘Fido’ della lingua-oggetto; 'A * è un ter­ .
mine della lingua cosale, e denota una cosa. 4 Designa ’ è
1
un termine semantico, giacché è un segno caratterizzante

(49) E non lo sia anche il termine ‘ natura ’, vien voglia d’aggiun­


gere. Comunque, il linguaggio può essere considerato “ non-naturale ” :
sia nel senso in cui esso è un prodotto umano, sia nel senso che, in
una lingua come in qualsiasi altra cosa posta ad oggetto, si possono
riscontrare (o meglio, tracciare secondo certi criteri) delle strutture.
Sicché si comprende poi un paragone fra il linguaggio (0 una data
lingua) da una parte e la natura non-linguistica dall’altra, fra feno­
meni in cui la semiosi è presente e altri in cui è invece assente. Si '
noti che difficoltà non dissimili sorgono se a ‘ natura ’ si sostituisce,
:
per esempio, ‘realtà’. Nel suo Tractatus logico-philosophicus (Lon­
dra : Routledge & Kegan Paul, 1922) Ludwig Wittgenstein ha esposto
la tesi della corrispondenza fra linguaggio e realtà non-linguistica
in modo- molto vigoroso ma tuttavia non accettabile (la ha poi respinta !
egli stesso nelle postume Philosophische Untersuchungen (Oxford : !
Blackwell, 1953). Alla questione è dedicato il paragrafo seguente (8°).
Si veda anche la nota 109.

I
7. Dimensione semantica della semiosi 61

che designa una relazione fra un segno e un oggetto. La


semantica presuppone la sintattica, ma fa astrazione dalla
pragmatica; sia che si occupi di segni semplici o di segni
complessi (come un intero sistema matematico), essa si limita
alla dimensione semantica della semiosi.
Proseguendo lìell’esame di questa dimensione, la cosa più
importante che ci resta da aggiungere riguarda il termine
‘ regola semantica ’. A differenza delle regole di formazione
e di trasformazione, che trattano di certe combinazioni
segniche e dei loro rapporti, 4 regola semantica ’ designa,
nell’ambito della semiotica, una regola che determina le
condizioni d’applicabilità di un segno a un oggetto o situà-
^zipuc^queste regole correlano i segni con situazioni^efeno-
tabili dai segni stessi. Un segno denota ciò che risponde
alle condizioni poste dalla regola semantica, mentre la regola
stessa asserisce le condizioni della designazione e determina
così il designatum (la classe, o il genere, dei denotata) (50).
L’importanza di queste regole è stata messa in evidenza da
Reichenbach e da Ajdukiewicz (500). Il primo le considera
definizioni di coordinazione (51); il secondo le vede come

(50) Si ricordi (note 9 e 12, e testo in corrispondenza) che i deno­


tata sono i membri della classe ,df „ un retto designatimi La regola
semantica determina il designatum; quando qualcosa risponde alle con­
dizioni poste dalla regola, vuol dire che la classe in causa ha
(almeno) un membro, cioè che -c’è un denotatum: e il segno lo
denoterà.
(50 a) Kasimierz Ajdukiewicz (1890, viv.), logico polacco noto per
i suoi studi di “ meta-logica ”, un aspetto dei quali verrà poi ripreso
da Carnap.
(51) Fra i segni linguistici costituenti la lingua; si tratta cioè della
struttura formale della lingua stessa.
62 IV. Semantica
I

regole empiriche di significato. Senza di esse — egli insiste —


non si potrebbe caratterizzare univocamente una lingua:
due persone potrebbero avere in comune la medesima strut­
!
tura linguistica formale e tuttavia, se le regole semantiche
sono differenti, esser incapaci di comprendersi. Per caratte­
rizzare una lingua dobbiamo pertanto accompagnare le sue
regole sintattiche con la descrizione delle regole semantiche
governanti ciascuno dei veicoli segnici e le loro combina­
zioni (apparirà in seguito che, per avere una caratterizza­
zione pienamente semiotica di una lingua, occorre stabilire
esplicitamente anche quelle che chiameremo regole pragma­
tiche) (51 a).
Di solito chi si serve di una lingua non formula le regole
per l’uso dei veicoli segnici, o lo fa solo parzialmente.
Direi che esse esistono come abiti comportamentistici (51 b) :
di fatto si danno solo talune combinazioni segniche, solo

(51 a) Si noti che occorrono regole semantiche anche per le com­


binazioni dei veicoli segnici. Ciò serva a evitare gli equivoci che pro­
vengono dal credere che, data una lingua, una parte di essa sia
semantica e un’altra parte sintattica (e una terza pragmatica): per
es., l’equivoco che la dimensione del significato sia limitata ai segni
presi isolatamente, i quali potrebbero poi venir combinati sintatti­
camente fra loro come mattoni che rimangono uguali a se stessi. La
stessa combinazione dei segni, invece, è anche un fatto semantico.
Una lingua ha tutte e tre le dimensioni, è insieme tutte e tre le
cose. Ma ci sono tre modi di guardare ad essa, che corrispondono alle
tre relazioni fondamentali costitutive della semiosi. Vedi la nota 64 a.
(51 b) Questa è forse l’idea centrale della corrente cui Morris appar­
tiene: l’idea-guida che permette di studiare il linguaggio e i pro­
blemi che si formano di sul linguaggio in tutta la loro complessità
senza per altro dover ricorrere a elementi assunti in modo acritico e
che non spiegano cosa alcuna (come la mente o il pensiero senza
7. Dimensione semantica della semiosi 63

certune vengono derivate da altre, solo certi segni sono


applicati a certe situazioni. La formulazione esplicita di
regole per una data lingua richiede un più elevato ordine
di simbolizzazione, ed è fra i compiti della semiotica descrit­
tiva. La formulazione delle regole che presiedono all’uso
corrente, per esempio, della lingua italiana, sarebbe impresa
difficilissima: lo si constata subito se si tenta di stabilire
anche soltanto le condizioni d’impiego delle parole ‘questo ’
c ‘ quello ’. È dunque naturale che gli studiosi si siano occu­
pati prevalentemente di frammenti delle lingue comuni e di
lingue deliberatamente costruite (52).

ulteriori precisazioni). Si vedano le note 69, 85, 124 (e le altre


cui quest’ultima rimanda); il termine del § 8 e tutto il § 9 del testo.
(52) Questa affermazione è sostanzialmente confermata dalle ricer­
che successive di Morris. Le sue implicazioni indicano in cosa Morris
diverga da altre correnti interessate allo studio del linguaggio, e
segnano probabilmente anche uno dei suoi limiti principali. Sia in
America sia, e più, in Gran Bretagna, si è infatti sviluppata, a
partire pressappoco dagli anni in cui furono scritti i Lineamenti di
una teoria dei segni, una ricchissima corrente che affronta di petto
la difficoltà additata e lasciata in disparte da Morris: quella della
formulazione delle regole che presiedono all’uso corrente dei ter­
mini nelle lingue naturali. Con espressione che può dar luogo ad
equivoci, questa corrente è solitamente descritta come “ analisi del
linguaggio”. L’intento di chiarificazione logica delle strutture lin­
guistiche non è formalizzante. Tale corrente non si occupa di tutti
i termini di una lingua indifferentemente; ma di quelli sui quali han
fatto perno le tradizionali dispute dei filosofi, o il cui impiego può,
per una ragione o per l’altra, essere utilmente studiato nel processo
di formulazione, precisazione ed eventuale dissoluzione o soluzione
di certi problemi. Si tratta di problemi che non sono analizzabili in
laboratorio, o con metodi sperimentali 0 matematici : in breve, che
JT.. 5

Un ssgrc- uria rrTrre^sirrrtf ne-àa .m’snra ir:


ot c sano rzgiiit •sf^arrir.rif oran ±rp:riE se innan^K o
no) chs d^^rznmano la sua ano:iranista a cene sir-isocmi
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l'Un;vers:^ da Canhridge ssbhippsiid» madri di veria anemeriesza
•ed é ■oggi in dare soprammo .acT:T~,sh*crsià è: Ocxi. ostìàaa
ratffiTìw d«-"ts lingua cuori ner mer-zo nem sressi lìngua quev
ti'iis-rs.. g'-n*r>n in linea m —e s£ve ©erse fanrraìazaKà che
porremmo chiamare * omasiDualmente sceniche \ C:ò è in vivo con-
stesso non la resi di Mania, che l'analisi di una naia lingua richieda
la previa cosrrnzinne di ima nxr-a-lingna nella quale condurre il lavoro.
Senza rinviare aimna delle due correnti. circi che. miro som­
mato, Morris ha esagerato in fatto di schemi preconcetti: che ranalisi
non-formale del linguaggio è sviluppabile anche senza una meta-
lingua; che talvolta l'uso di una meta-lingua precosti mira oscura e
complica i problemi anziché chiarirli e semplificarli. Ma direi anche
che molte avvertenze preliminari e molti principi di metodo del
tipo di quelli dati da Morris possono essere udii e come sprone e
come guida per la coordinazione del vastissimo materiale. L'equivoco
di Morris procede forse dalTaver trascurato il fatto che. una volta
sviluppata la lingua tecnica, bisognerà comunque applicarla a quella
comune, fare i conti con essa; sicché alla questione del rapporto
iniziale fra le due si aggiungerà anche quella dell’applicabilità della
lingua tecnica a quella comune. È essenziale comprendere che sia
un’indagine come quella di Morris (“ tecnica ” in senso stretto) sìa
un’indagine come quella di Oxford (non “ tecnica ” in senso stretto,
ma, si direbbe piuttosto, “ artigianesca ”) sono, in un senso più largo
del termine, “ tecniche ” in questo, che rifiutano il personalismo,
l’evasionismo e la presunzione di certo filosofare accademico specie
spiritualistico, e vogliono che la ricerca sia collegiale, responsabile,
modesta, cauta. Vedi poi la nota 109.

k
*v

*' :' vccyìc a ” e!e$:g:‘& k CvVkLkvvn A A Av.v


k cwah è $phhcìih;k *'- Là xik'‘h>à;4>?'KVKs 'Csp'sekà A
ooe.k'- conci. r *o. c k regcik seaià&cicà per ' .v '*. i'ft <$&!-
sasi cggecro s»rvwtfk>nes che sdddkfc k \\v,vh?\vu pe>y\\
è denego ck ' a- '■* Ì1 vckvk> ^segtrkw in se àkrò
•noci c che un dgeottA e e ho oknotì àlm ciotti \Lpovkie
sokjinro ckl kne ohe ci sc»ee delk regdk JVApkgc edere
knr. k due ceder km vLeggwi A
Semplice e k regola semantica di un ^v indico. come
Lirkticarc col uro: U segno designa in \>gTÀ istante ciò
che sta indicando. In concrc» un segtte indice designa vto
cui dirige larren ?iot>e. In segno indice non cavattevi?.7a ciò
che dcnv'ta (a parte il tatto clic aie univa grosso Modo k
care nate spazio-temporaLL e non occorre che assonnigli a
ciò che denota. I n aerivi earatteri?7anre cava»tcvì^a ciò
che può denotare. Quando ciò avviene jvr il ùnto clic d
: segno caratteri;.r.ante mostra iti se stesso io jM\>pvictò elio
:
un oggetto deve avere per esserne denotato*. chiameremo il
segno ùy;r; altrimenti io chiame;emo y/;g,\yo. Iòta foto­
grafia* una carta steTfàrc* un modello* un ìuagvamtna chi
mico sono ìconi* mentre la parola ' fotografia \ i nomi
delle stelle e degli elementi chimici sono simboli (s^./’V 11 v
“ concetto ” può esser visto come rcyola jenniUÙCLL.aiclct mi- V
nantc Fuso di segni carattgnzzanti-i^ó* La regola semantica

(52 a) Per la natura del veicolo scguìco sì vedrà poi nella nota 113»
La questione è se si tratti in ogni caso dì un oggetto fìsico 0 di un
r
j
evento determinabile.
(52 b) La nozione dì icone sì può chiarire se pensiamo a espressioni
come ‘ statua iconica \ cioò fatta “ secondo le misure del corpo umano
al naturale.
(53) Si confrontino i §§ 12 e 13.
5 - C. Morris, Lineamenti di una teoria dei segni.

:
!
i 66 IV. Semantica
s
per l’impiego di un’icone è che questa denota ogni oggetto
j avente le caratteristiche possedute dall’icone stessa, o, più
comunemente, una certa specificata collezione di tali carat­
teristiche. La regola semantica per l’impiego di un simbolo
deve essere asserita nei termini di altri simboli, le cui regole
d’impiego siano fuori discussione; ovvero indicando oggetti
specifici che servano da modelli (e così da iconi), in modo
che il simbolo in questione venga poi usato per denotare
oggetti simili ai modelli (54). È il fatto che la regola seman­
tica d’impiego di un simbolo possa essere asserita per mezzo
d’altri simboli a render possibile (per dirla con Carnap) la
riduzione di un termine scientifico ad altri (o, meglio, la
costruzione di un termine su altri) e così la sistemazione
della lingua della scienza. Ma siccome i segni indici sono
indispensabili (i simboli, in ultima analisi, richiedono iconi,
e le iconi indici), un programma di sistemazione come
quello proposto dal fisicismo è costretto^ ad arrestare il pro­
cesso di riduzione di fronte a certi segni, che vengono
accettati come termini primitivi. Le regole semantiche d’im-
: (54) La regola semantica per l’impiego di un’icone rinvia neces­
sariamente a un oggetto (e richiederà dunque anche l’uso di indici
per la localizzazione spazio-temporale dell’oggetto). Quella per l’im­
piego di un simbolo può invece anche rinviare ad altri simboli, già
noti almeno quanto basta per comprendere il nuovo simbolo: è il
rapporto classico fra definìendum e definiens. Vedi la nota seguente.
La distinzione fra “ iconi ” e “ simboli ” è sembrata poi insufficiente
allo stesso Morris, che in SLC la ha sostituita con una doppia distin­
zione : fra “ simboli” (= segni di altri segni) e “segnali” ( = tutti i
segni che non sono simboli, cioè che si riferiscono _aJ?gg?ItL_nq]ì-
lingmstjel), e fra “ segni iconici ” e-^-segni nnp-irnnirj ” Allora un
simbolo non potrà mai essere iconico, mentre un segnale potrà essere
n ìrnnirn (xpn fnrngmfiq) p porkicouico (un semaforo,Ja^paroìa ‘ casa’).
7. Dimensione semantica della semiosi 67

piego di questi termini primitivi, cioè le regole che deter­


minano la loro applicabilità a cose indicate da indici, deb­
bono essere accettate come valide; ma non possono Venire
esplicitamente asserite nell’ambito di quella particolare siste­
mazione (55).
La regola semantica per l’uso di un enunciato comporta

(55) Il fisicismo (più noto con il termine ‘ fisicalismo che deriva


dall’aggettivo tedesco ‘ physikcilisch ’ e si ottiene aggiungendo all’ag­
gettivo inglese 4 physical ’ il solito suffisso -ism, -ismo) è il programma
di ridurre tutto il linguaggio scientifico, cioè la lingua di tutte le
scienze, alla lingua della fisica, ovvero di costruire tutte le altre
lingue scientifiche su quella della fisica. Siccome la lingua della fisica
riposa ultimamente su enunciati di osservazioni sensoriali intersog­
gettive (sono i cosiddetti 4 protocolli ’ : per es. ‘ rosso qui ora ’, ‘ ter­
mometro indicante 70° in questo punto adesso ’), il programma del
fisicismo consiste dunque nel ricondurre qualsiasi enunciato scienti­
fico ad enunciati protocollari. Ovviamente, il processo di riduzione
dovrà arrestarsi”di fronte agli enunciati protocollari, che sono dunque
termini primitivi del sistema. Come si adoperano questi termini pri­
mitivi (per es. 4 rosso ’), e come avviene che si possa contare sul loro
impiego intersoggettivo? Qualunque sia la risposta che si può dare a
questa domanda da un altro punto di vista, è chiaro che il fisicismo
non può rispondere; perché, se rispondesse, ricondurrebbe ad altro i
suoi termini primitivi, che allora non sarebbero più primitivi. Il fisi­
cismo accentua la tesi che risalendo attraverso il linguaggio ci si
imbatte ad un certo punto in qualcosa di non-linguistico: che risa­
lendo attraverso i simboli a un certo punto s’incontrano iconi ed
indici non ulteriormente definibili per mezzo di simboli. [Ricordiamo
ancora una volta che tutte queste questioni sono molto complesse, e
che qui dobbiamo accontentarci di girare un po’ intorno ai luoghi
che si presentano nel testo di Morris, a guisa di avvio d’una discus­
sione che può e deve essere sviluppata molto di più].
:;
t
!
.
68 IV. Semantica
!
riferimenti a quelle dei veicoli segnici componenti. Un
enunciato è un segno complesso, in cui avviene che il desi­
gnatimi deH’elemento indicativo è anche un designatum
dell’elemento caratterizzante. Il designatum di un enunciato
è così il designatum-di-un-segno-indice-come-dcsignatum-di-
un-segno-carattcrizzante (56); quando una situazione è con­
forme alla regola semantica di un enunciato, la situazione
stessa è un denotatum di quell’enunciato (e si può dire che
l’enunciato è vero nei riguardi di quella ..situazione) (57).
La differenza fra indici, iconi e simboli (gli enunciati
sono dei composti di altri segni) è spiegata per mezzo di
differenti tipi di regole semantiche. Le cose possono esser
viste come designata di segni indici (570); proprietà come
designata di segni caratterizzanti monovalenti; le relazioni
come designata di segni caratterizzanti bi-(o pluri-)valenti (58);

(56) I trattini congiungenti queste n parole indicano che esse vanno


prese come un tutto. Si riveda nel § 6 la formula generale dell’enunciato.
(57) Ciò equivale a dire che la verità è denotazione, e che non
c’è verità al di fuori del linguaggio. Vedi poi la nota 81 e il testo
relativo.
l
(57a) Qui Per * cose * si deve evidentemente intendere non ‘ una
I cosa qualsiasi ’ nel senso più generale, ma una cosa nel senso di oggetto
fìsico, tale appunto che lo si può designare per mezzo di un segno
indice.
(58) Traduciamo 1 one-place' e ‘two-{or more-)place’ con ‘mono­
valenti ’ e ‘ bi-(o pluri-)valenti *. Espressioni come (per es.) ‘ mono-
localizzante ’ farebbero pensare troppo alla dimensione spaziale (assente
da un termine come ‘ prima ’ quando indica una relazione nel tempo;
o come ‘ padre che indica addirittura una relazione non spazio-
temporale, ovvero anche temporale ma solo nel senso della priorità
dell’oggetto designato come ‘ padre ’ nei riguardi di quello designato
7- Dimensione semantica della semiosi 69

i fatti e gli stati di cose come designata di enunciati; e le


entità o essenze come designata di tutti i segni indifferen­
temente (59).
Siccome un segno può avere una regola d’impiego deter­
minante ciò che esso può denotare, senza che tuttavia lo si
adoperi a quel modo, ci possono essere segni che di fatto
non denotano cosa alcuna, cioè che hanno una denotazione
nulla. Si osservò in precedenza che la nozione stessa di
segno richiede quella di designatum, senza però richiedere
l’esistenza di oggetti reali che vengono denotati. Il desi­
gnatum di un segno è le cose che il segno può denotare,
cioè gli oggetti o situazioni che, conforme.alla regola seman­
tica d’impiego, potrebbero essere correlati al veicolo segnico
col rapporto semantico di denotazione (60). È ora chiaro,

come ‘ figlio ’). Quello che Morris vuol dire è che i termini per le
proprietà, come ‘ giallo ‘ duro ‘diritto ’ dolce svolgono una fun­
zione singola, si riferiscono a quella data cosa che è gialla, dura, diritta,
dolce. Invece i termini per le relazioni svolgono una funzione in un
certo senso (e perlomeno) duplice: non c’è un prima se non c’è anche
un dopo, e non c’è un padre se non c’è anche un figlio, sicché in
‘ prima ’ e in ‘ padre ’ è implicito un doppio riferimento.
(59) I fatti e gli stati di cose [states of affairs] sono per Morris desi­
gnata di enunciati, cioè di segni complessi e non semplici. Questo
avvierebbe un discorso su ciò che intendiamo per 4 fatto ’. Val la pena
che uno se lo domandi. Che le entità o essenze siano designata di
«tutti i segni indifferentemente» [all signs whatsoever] può venir
inteso nel senso che si può pensare che a qualsiasi segno corrisponda
un’entità, sia questa concettuale od ontologica : cioè in senso polemico,
che Morris non è certo concettualista od ontologista (ciò apparirà ben
chiaramente nel seguito della sua trattazione).
(60) Malgrado queste precisazioni e quelle che poi seguono nel
testo, si ripresenta il dubbio indicato nella nota 12.
r
70 IV. Semantica
;
mentre più sopra non poteva esserlo, che per asserire quello
che costituirebbe il designatum di un certo segno si deb­ *

u bono adoperare termini con relazioni sintattiche, giacché iI


la regola semantica d’impiego, neH’asserire ciò che il segno
in questione significa, lo usa in relazione ad altri segni.
! ‘ Designatum è evidentemente un termine semiotico; lad­ :
dove la questione se ci siano oggetti di quel tipo può tro­ 1
vare una risposta solo in considerazioni che vanno al di là
della semiotica. Il non aver tenute le asserzioni della semio­
I
tica ben distinte dagli enunciati cosali ha fatto produrre !
molti pseudo enunciati cosali. Dire che, siccome “ quando ;
pensiamo, dobbiamo.pensare a qualcosa”, ci deve essere un '
“ reame del sussistente ” oltre a quello della realtà ogget­
tiva, è un’asserzione quasi-semantica : sembra che parli del
mondo allo stesso modo in cui ne parla la fisica, ma di
fatto è solo un ambiguo travestimento di un enunciato
semantico; e precisamente dell’enunciato che, per ogni segno
che può denotare qualcosa, si può formulare una regola
semantica d’impiego asserente le condizioni d’applicabilità
• del segno. Tale asserzione, analiticamente corretta nell’am­
bito della semantica, non implica in alcun senso che ci
siano oggetti denotati da ogni segno di quel tipo, oggetti
che “ sussistono ” quand’anche non esistano.

8. Strutture linguistiche e non-linguistiche.

È teoria fra le più vecchie e persistenti che il linguag­


gio rispecchi (corrisponda a, rifletta, sia isomorfico con) il
:!•• • reame degli oggetti non-linguistici. Nella tradizione classica
i
si sostenne spesso che questo rispecchiare fosse triplice: il

1
8. Strutture linguistiche e non-linguistiche 71

pensiero rifletteva le proprietà degli oggetti; e il linguaggio


parlato, composto di suoni cui la mente aveva impressa una
funzione rappresentativa, rifletteva a sua volta i tipi e le
relazioni dei fenomeni mentali e così il regno degli oggetti
non-mentali.
: È superfluo dire che, quando una tradizione come quella
. che fa da sfondo a tale dottrina dura così a lungo, un qual­
.
cosa di buono ci deve pur essere; è però significativo che
essa si sia progressivamente indebolita, fino al punto che
alcuni dei suoi più vigorosi sostenitori han finito per abban­
donarla. Possiamo chiarire la situazione dal punto di vista
semiotico? Cercheremo di farlo, e vedremo che il nocciolo
della questione sta nel fatto che la sola correlazione fra
segni ,e_altri oggetti, della qualej>iSpossarf.parlar^^T^quelja”
stabilita dalle regole_seiuantiche..
Se i tentativi di trovare una correlazione semantica esau­
riente fra segni linguistici e altri oggetti sono stati spesso
intemperanti e difficoltosi, lo dobbiamo al fatto che le
dimensioni sintattica e pragmatica della semiosi vi sono
state trascurate. Abbiam visto che, se non ci sono dei segni
speciali indicanti le relazioni sintattiche di altri segni, non
possiamo parlare di lingua (61): per esempio pause, toni

(61) Ricordiamo che non esiste in inglese la distinzione fra ‘ lin­


guaggio * e ‘ lingua Qui qualcuno potrebbe sostenere che la pre­
senza di una dimensione sintattica è necessaria per una lingua (natu­
rale o tecnica che sia), non per il linguaggio: nel senso che la presenza
della sola dimensione semantica sarebbe sufficiente a originare il fatto
linguistico in generale. L’equivoco viene dall’estendere ‘ semantico ’ a
‘ significato ’ (nn. 64 a e 66). A me sembra possibile intendere per * lin­
guaggio’ quello che intende Morris in SLC, quando dice che qual­
siasi sistema di segni è linguaggio purché risponda a certi requisiti,
72 IV. Semantica

di voce, ordine dei segni, preposizioni, affissi, suffissi, e via


dicendo. Questi segni funzionano predominantemente nelle
dimensioni sintattica e pragmatica; e, nella misura in cui
hanno una dimensione semantica, denotano veicoli segnici
?
e non oggetti non-linguistici. Non c’è bisogno di negare
che tali segni potrebbero servire all’istituzione di un qualche 1
tipo d’isomorfismo fra i- segni rimanenti e gli oggetti non­
J
linguistici: un isomorfismo magari molto più complicato
del rapporto di un modello con ciò di cui è modello. Le
relazioni spaziali fra i segni potrebbero non corrispondere
alle relazioni spaziali fra le cose; ma ci potrebbe essere un
rapporto correlante tale, che per ogni relazione spaziale fra

cioè in breve: 1) si componga d’una pluralità di segni; 2) ogni segno


vi abbia significazione comune a un certo numero d’interpreti; 3) i
segni siano producibili da questi interpreti; 4) i segni siano “ pluri-
situazionali ”, cioè abbiano almeno una certa costanza di significazione
col variare delle situazioni in cui vengono impiegati; 5) i segni pos­
sano venir combinati fra loro in qualche determinato modo e non
8 diversamente. Questa caratterizzazione presenta il vantaggio di non
esigere che un segno, per essere linguistico, debba venir usato in un
comportamento sociale, cioè alla presenza di, 0 con il fine di rivol­
gersi a, almeno un altro interprete oltre al suo produttore: altrimenti
saremmo costretti a dire che una poesia scritta in solitudine e distrutta
prima che altri la legga non è linguaggio. La nuvolanera, segno
di pioggia, non solo non è un fatto linguistico nel senso di apparte-
nente a una data lingua; non è nemmeno uh fatto linguistico nel
senso di appartenente a un sistema di segni rispondenti ai requisiti su
ricordati (cioè un fatto di linguaggio): è soltanto un fatto segnico. La
questione, a dire il vero, non è così semplice, e molte altre distin-
: ;i ziom e precisazioni sarebbero indispensabili in un’indagine più appro­
fondita. Si veda poi quanto dice Morris nel § io.
:5
8. Strutture linguistiche e non-Iinguistiche 73

segni si dia una qualche altra relazione fra gli oggetti da


essi denotati (62). Queste possibilità sono aperte all’indagine,
e meriterebbero una trattazione a sè; se non per tutti, può
darsi valgano per certi segni, quelli correlati da regole
semantiche a situazioni non-linguistiche. Però i difensori del-
Tisomorfismo non hanno ancora provato che le cose stiano
così; e nemmeno che, se non stanno così, non abbiamo
linguaggio (63).
La teoria generale dell’isomorfismo si fa ancor meno
convincente se volgiamo l’attenzione a segni come ‘ tutto
‘ alcuni ’, ‘ il ’, ‘ non ’, ‘ punto all’infinito ’, ‘ -1 I primi tre
termini indicano quanta parte di una classe determinata da
un segno caratterizzante si debba prendere in considerazione.
Il termine ‘ non ’ ha un’importanza soprattutto pratica, giac­
ché permette d’accennare a qualcosa d’altro da ciò cui
vien fatto specifico riferimento, senza tuttavia specificare che
cosa sia quest’altro. Semanticamente precisata, l’importanza
pratica del termine appare ovvia; ma esso non è teoricamente
necessario in una lingua, e certo non v’è bisogno d’invocare

(62) Se per es. dico ‘ L’onda bagna la spiaggia c’è una relazione
spaziale fra i due segni ‘ onda ’ e ‘ spiaggia e ad essa corrisponde
una relazione spaziale fra l’onda e la spiaggia. In ‘ Verrò oggi 0
domani ’ la relazione spaziale fra ‘ oggi ’ e ‘ domani ’ corrisponde ad
una relazione non-spaziale fra l’oggi e il domani. E così via. Ma si
capisce subito come sia difficile generalizzare.
(63) Morris non nega che un certo isomorfismo fra segni lingui­
stici e situazioni non linguistiche lo si possa magari riscontrare. Si
tratterà in ogni caso di svolgere ricerche specifiche su alcuni settori
del linguaggio. Ma nulla ci autorizza ad assumere la tesi dell’isomor-
fismo per spiegare la natura del linguaggio in generale. Rivedi la
nota 49 e il testo relativo.
m ' 74 IV. Semantica

dei “ fatti negativi ” esistenziali che gli corrispondano (64).


Nei termini matematici menzionati si suole vedere dei segni

l\\ aggiunti alla lingua per rendere sempre possibili certe ope­
razioni, che altrimenti in certi casi sarebbero impossibili,
• ; e per asserire nel modo più generale certe formule, che
altrimenti andrebbero sempre qualificate.
Nella lingua comune ci sono anche molti segni che
indicano la reazione di colui che li usa alla situazione
descritta (come ‘ fortunatamente ’ in ‘ Fortunatamente, egli
venne ’), o anche la sua reazione ai segni stessi di cui egli
si sta servendo nella descrizione (come quando uno esprime
il proprio grado di fiducia in un’asserzione che sta facendo).
Questi strumenti del discorso hanno una dimensione seman­
tica solo ad un più alto livello di semiosi, giacché la dimen­
sione pragmatica di un processo di semiosi non è denotata
in quello stesso processo, ma solo in uno di più alto
livello (640). In una lingua ci sono, oltre ad aspetti predo-

(64) Se dico ‘ Rosina è graziosa ’ oppure ‘ Rosina non è graziosa ’,


il fatto riferito riguarda in ogni caso l’aspetto fisico di Rosina; ma
non c’è alcun esistente fatto negativo che corrisponda al ‘ non ’ del
;
■ secondo enunciato. Potrei limitarmi a dire ‘ Rosina è scialba ’. Ancor
: : più semplicemente: se dico soltanto ‘No’, uno capisce che c’è qual­
li
cosa che non va fatta, sente come un impedimento; ma il ‘ no ’ non
; 3 gli dice quale sia la cosa che non va fatta, o quale sia l’impedimento
e nei riguardi di cosa. Lo studio della negazione attraverso il lin-
guaggio è molto interessante, e quello di Morris è solo un primo cenno.
; ; (640) Vien voglia d’obiettare che un segno non può non avere
ii
una dimensione anche semantica: altrimenti sarebbe mera grafia o
i fonazione, e non segno. Proprio nell’esempio addotto da Morris: che
j senso avrebbe dire.che ‘fortunatamente’ non ha un significato? L’equi­
! ! voco di questa obiezione — se di equivoco si tratta — sta nel pareg-

1A
4
8. Strutture linguistiche e non-linguistiche 75

minantemente sintattici, aspetti predominantemente pragma­


tici; e anche questi non debbono essere confusi con quanto
nella lingua viene correlato per mezzo di regole semantiche
agli oggetti non-linguistici che si stanno denotando. Le
versioni tradizionali deH’isomorfìsmo non riuscirono a distin-'
guere le varie dimensioni della semiosi e i vari livelli delle
lingue e dei designata. In quale misura se ne possa sostenere
una nuova c qualificata versione, è da decidere solo a for­
mulazione avvenuta. Resta comunque chiaro che, se pren­
diamo una lingua come un tutto, la sua struttura sintattica
dipende anche da fattori e pragmatici ed empirici (65), e

giare la dimensione semantica alla presenza d’un significato. Invece


per Morris c’è un significato dei segni anche quando il segno svolge
una funzione pragmatica (come nell’esempio in causa) o sintattica.
In altre parole, ‘ fortunatamente ’ ha, e non può non avere, un signi­
ficato: vuol dire qualcosa, altrimenti non sarebbe una parola. Ma non
ha, nel processo di semiosi in cui s’immagina che l’esempio sia pro­
ferito, una dimensione semantica, in quanto non serve a designare *
una qualche classe di oggetti, ma a indicare la reazione di chi sta
parlando a ciò di cui sta parlando. Come Morris dirà più avanti nel
testo (sopra la nota 66), si tratta di un segno che ìndica ma non
designa. È dunque col termine * indicare ’, non con ‘ designare ’, che
MorriT si riferisce al fatto che una parola deve comunque voler dire
qualcosa. Vedi la nota 66. All’inizio del § io troveremo approfondito
il concetto della non-riducibilità della pragmatica alla semantica, e
Morris dirà esplicitamente che « la semantica non considera tutti i
rapporti dei segni con gli oggetti; ma solo, in quanto scienza semio­
1 tica, il rapporto dei segni con i loro designata ». L’intera questione
del significato verrà discussa nel § 12, dove si mostrerà come ‘ signi­
ficato’ sia un termine estremamente vago, una specie di etichetta che
i copre confusamente il processo della semiosi.
(65) Fattori “ empirici ” perché relativi all’esperienza che l’uomo
T
;
76 IV. Semantica :
i :
;
non è mai mero rispecchiamento di una natura presa in
astrazione da chi si serve della lingua stessa (65 a).
'
Il punto centrale della discussione non sta nel negare che :1
tutti i segni in una lingua possano avere dei designata e
con ciò una dimensione semantica, ma piuttosto nel richia­
mare l’attenzione sul fatto che i designata dei segni appar­
tenenti a un dato discorso (e così gli oggetti denotati, se
ce ne sono) non stanno allo stesso livello: i designata di
alcuni segni debbono essere cercati al livello della semiotica
e non a quello della lingua cosale; in quel dato discorso,
tali segni soltanto indicano (ma non designano) relazioni di
altri segni fra loro 0 con l’interprete — in termini scolastici,
essi recano qualcosa della suppostilo materialis e della sup­
postilo simplex nel funzionamento di termini in suppostilo

ha delle cose e dei fatti del mondo. Il termine è quasi sinonimo di


‘ semantico e rimane da una fase precedente, nella quale Morris
diceva appunto ‘empirico ’ invece che 4 semantico ’ (nel volumetto
Logicai Posilivism, Pragmatista, and Scientific Empiricism si possono
rintracciare le fasi di questo processo). Si veda anche il testo in cor­
rispondenza alla nota 100.
1
(65 a) Non si parla dunque della natura se non attraverso una
lingua, e così attraverso il linguaggio. Una natura pensata precedente
1 al linguaggio, e in questo rispecchiata, è un’astrazione (si possono
rivedere qui i cenni fatti alla questione degli universi linguistici,
: I: nota 36#). L’affermazione è della massima importanza, e rescinde
eventuali sospetti circa il realismo filosofico di Morris, o almeno circa
lì l’ingenuità del suo realismo. I fattori pragmatici ed empirici da cui
! ;
: dipende la struttura sintattica del linguaggio, d’altra parte, stanno
: a testimoniare come nemmeno il linguaggio vada pensato quale dono
! gratuito che gli uomini ricevono dagli dèi (per la formazione del
t ir linguaggio come sistema segnico si riveda la nòta 29).

J
'■!j
8. Strutture linguistiche e non-linguistiche 77

personali (66). Gli strati dei segni sono altrettanto com­


plessi e difficili da districare che gli strati geologici; e i

(66) Nella logica medioevale, supposìtio est positio termini prò re


quam legitime exprimit; cioè, possiamo svolgere, è. il tipo di signi­
ficato particolare che un termine viene ad assumere in un determinato
uso, fermo restando il suo significato fondamentale. Si distinguevano
pertanto varie suppositiones: la materialis quando il termine è usato
per indicare se stesso in quanto termine (“‘homo’ est dysillabum ”;
'biologia’ è parola'italiana femminile derivante dal greco pio*;, vita,
e Xóyoc;, discorso); la simplex quando il nome è usato per il rela­
tivo concetto di classe (‘ homo est species ’); la personalis quando il
nome è usato per un membro particolare della classe (l homo canit ’);
e via dicendo. La dottrina delle suppositiones è connessa con quella
delle intentiones, di cui nella nota 74.
Secondo Morris, qualsiasi segno può avere un designaturn. Ma,
dato un certo discorso, alcuni segni non designano se non dal punto
di vista di un altro discorso fatto intorno al primo. Così quando dico
‘Voglio mangiare una mela e una pera’, i termini ‘voglio’, ‘e’,
‘ una ’, al livello del mio parlare, non hanno designazione. ‘ Voglio ’
indica un rapporto fra me e gli altri termini di cui mi sto servendo,
cioè esprime me come interprete di ‘mangiare una mela’; ‘e’ indica
un rapporto fra i due segni ‘pera’ e ‘mela’; i due ‘una’ indicano
quanti individui delle classi “ mele ” e “ pere ” io voglio, cioè hanno
una funzione sintattica e pragmatica ma non semantica. Se desidero
trovare i designata di quei termini, debbo — sempre secondo Morris —
considerare semioticamente l’enunciato in causa. Allora ‘ voglio ’ desi­
gnerà un mio comportamento; dati i due veicoli segnici ‘ pera ’ e
‘ mela ’ come oggetti fisici, cioè come grafie o come fonazioni, il
segno ‘e’ designerà un rapporto fra i due; ‘una’ designerà una par­
ticolarità del mio comportamento. Non dico che tutto ciò vada accet­
tato così come Morris lo formula. Ma certo l’idea degli strati di
segni aiuta a comprendere la natura del linguaggio; e la distinzione
; fra vari livelli od ordini di simbolizzazione, anche nei riguardi
i

I 78 IV. Semantica I
=

risultati scientifici e psicologici della loro escavazione pos­ =


sono essere altrettanto grandi (67).
Non abbiam fatto altro che accennar di sfuggita a quello ;
che è il campo della semantica. In un ragguaglio intro­
duttivo come il nostro non è possibile avviare alcuna analisi i
precisa dei termini semantici, o tentare una loro sistema­ É
zione formale, o toccar la questione dell’applicabilità della
ì
semantica a dominii diversi da quello del linguaggio scien­
tifico (6ya) (per esempio ai segni estetici) (68). Se . in pagine

d’enunciati apparentemente semplicissimi, è indispensabile ad evitare


la postulazione di entità fittizie, che sarebbero designate (o denotate)
da ogni termine del discorso.
(67) Charles Lyell (1797-1875), inglese, fu il primo a formulare la
teoria geologica dell’attualismo, secondo la quale i processi che attual­
mente modificano la superficie terrestre bastano a spiegare i cangia­
menti avvenuti nel passato. La superficie, quale noi la troviamo, si
è formata sotto l’influsso di cause fisiche e chimiche sostanzialmente
identiche a quelle tuttora in azione. I suoi Principi di geologia (1830-34),
nei quali tale teoria è esposta, hanno importanza nella storia del pen­
siero perché pongono il principio che , da ciò che si presenta ora si
i possa e si debba risalire induttivamente a ciò che c’era prima. Si
; dovettero così abbandonare 0 modificare profondamente molte idee
riguardanti l’origine del mondo, e con ciò l’interpretazione letterale
hi della Bibbia. La concezione del posto dell’uomo nel mondo subì,
1 almeno per le persone colte, cangiamenti giganteschi, quali non ne
:} avevano prodotte né le scoperte filologiche sul carattere composito
della Genesi né lo studio delle probabili derivazioni babilonesi del
1
racconto del diluvio. Credo siano questi i risultati “ psicologici ” che
: ; Morris ha in mente. Per l’opera di Darwin, che continuò in quel
senso Lyell, si veda la nota 76.
(67 a) Si noti che qui si parla di “ linguaggio ” anziché di- “ lin­
gua ” scientifica. Morris si riferisce non a questa o a quella lingua

!
8. Strutture linguistiche e non-linguisdche 79

dedicate alla semantica si è parlato così spesso di fattori


pragmatici, è perché, mentre si ammette comunemente che
la sintattica va integrata con la semantica, l’integrazione che
le semantica deve a sua volta ricevere ad opera della pragma­
tica non è altrettanto riconosciuta. È vero che la sintattica
e la semantica, ciascuna per conto suo oppure congiunte,
sono suscettibili di un grado relativamente alto d’autonomia.
Ma le regole sintattiche e semantiche sono soltanto la for­
mulazione verbale, nell’ambito della semiotica, di quello
che, in ogni caso concreto di semiosi, è abito nell’uso dei
segni, abito di chi effettivamente se ne serve (69). ‘ Regole

scientifica costituita, ma genericamente a quanto neirindagine scien­


tifica è linguaggio, e a quel particolare modo di servirsi del lin­
guaggio che troviamo nelle varie scienze. Un caso simile è indicato
nella nota 152.
(68) Ciò che Morris ha fatto nell’articolo citato nella nota 19,
“ Esthetics and thè Theory of Signs
(69) Come si accennava nella nota 51 b, quest’idea del linguaggio
come insieme di abiti comportamentistici è molto feconda. La locu­
zione ‘abiti nell’uso dei segni’ [habits of sign usage], però, può
trarre in inganno, perché la si può interpretare almeno nei tre modi
seguenti. (1) Abitudine, che uno ha, di servirsi di certi segni linguistici,
cioè di certe parole, piuttosto che di certi altri; 0 di servirsene in un
certo modo. Qui si tratta di una caratteristica personale dell'interprete:
del particolare modo in cui una persona si serve del linguaggio, parla
la lingua che parla. (11) L’uso dei segni linguistici costituenti una
certa lingua naturale, in quanto distinta dalle altre, in un certo mo­
mento del suo sviluppo storico. Qui si tratta della lingua che uno si
trova a parlare, e cioè di un fatto sociale. (111) Le operazioni che uno
compie quando si serve dei segni linguistici in generale o di certi
particolari segni posti ad oggetto d’indagine; con altra e meno ingan­
nevole formulazione, le tecniche che uno applica quando si serve del
\
f
F
/ =
80 IV. Semantica

per l’uso di segni * è locuzione semiotica, come del resto lo


stesso termine ‘segno’; non la si può asserire solo sintatti­ =
camente o semanticamente. -

linguaggio, tecniche che ha apprese e possiede in comune con gli


altri parlanti e che può applicare in modo più o meno corretto. Qui si =
! tratta di pezzi di comportamento umano, e precisamente di pezzi
del comportamento detto segnico e (specificando) linguistico. Se stu­
diamo (i), facciamo della letteratura, della psicologia descrittiva o
analitica intorno all’interprete; se (n), facciamo della filologia, della i
linguistica, della sociologia. Nel terzo caso, invece, Io studio del com­
portamento umano segnico e linguistico apre le porte di un’indagine
che sarà insieme filosofica e tecnica: filosofica per via dei problemi
trattati e degli interessi che muovono a trattarli, tecnica per il tipo
dell’impegno richiesto e l’intersoggettività dei metodi applicati (vedi
nota 125 e testo relativo). Io non credo che Morris avesse ben chiara
in mente questa tricotomia; ma penso gli si faccia un meritato ser­
vigio consigliando di tener presente la terza interpretazione. Si vedano
però le note 85 e 124.

! !

.
:
/
!

?
ì
l
V. PRAGMATICA

9. La dimensione pragmatica della semiosi.

È evidente che coniando il termine ‘ pragmatica ’ si è


fatto riferimento al termine ‘ pragmatismo \ È opinione accet­
tabile che il significato duraturo del pragmatismo stia nel-
l’aver diretto l’attenzione al rapporto dei segni con chi se
ne serve più di quanto fosse stato fatto prima, e nell’aver
valutato più profondamente che mai l’importanza di tale
rapporto per la comprensione delle attività intellettuali. Il
termine ‘ pragmatica ’ aiuta a segnalare l’importanza dei
risultati di Peirce, James, Dewey e Mead nel campo della
semiotica (70). Nel tempo stesso, ‘ pragmatica ’ deve ricevere
una sua propria formulazione come termine specificamente
semiotico. Con ‘ pragmatica ’ designiamo la scienza del rap-

(70) Per Peirce e James v. la nota 26. Ricordiamo che John


Dewey (1859-1951), il più importante filosofo americano del Novecento,
e come James già largamente noto anche in Italia, è l’esponente di
quella branca.^-.nrAKmatisnu)uchc^,.^mJI nome jj^ strumenja-
Hsmo George Herbert Mead (1863-1931) accentuò soprattutto l’aspetto
sociale del linguaggio e formulò una teoria della mente umana come
funzionamento segnico in atto. Per tutti e quattro i filosofi, riman­
diamo anche a quanto ne abbiamo accennato nell’Introduzione. Morris
si occupa di Mead qui avanti nel § io.
6 - C. Morris, Lineamenti di una teoria dei segni.
V

82 V. Pragmatica

_______
CO) 4 j. Sicché dobbiamo distin­
guere ‘ pragmatica ’ da ‘ pragmatismo ’ e ‘ pragmatico ’ da :
‘ pragmatistico ’ (71). Siccome la maggior parte se non la
totalità dei segni (72) hanno come interpreti degli organismi
viventi, è caratterizzazione sufficientemente accurata della
pragmatica dire che essa tratta gli aspetti biotici della semiosi.
cioè tuttiJl fenomeni psicologici, biologici e sociologici che *
intervengono nel funzionamento dei segni. Anche la pragma-
tica ha un aspetto puro e uno descrittivo: il primo come
tentativo di sviluppare una lingua nella quale parlare della :
dimensione pragmatica della semiosi; il secondo come appli­ :
cazione di questa lingua a casi specifici. !

(71) L’aggettivo ‘pragmatico’ si riferisce alla semiotica; l’aggettivo


‘ pragmatistico ’ al movimento filosofico, il pragmatismo.
(72) Il testo dice: « Since most, if not all, signs have as their
interpreters living organisms » (p. 30). Non si deve vedere in queste
parole un’affermazione categorica dell’esistenza di interpreti che non
sono organismi, bensì la concessione ipotetica che un tale tipo d’inter­
preti si possa anche ammettere. In altre parole, la semiotica può
prendere in considerazione anche segni “ interpretati ”, diciamo, da
una macchina; il che equivale a dire che conviene usare il termine
‘ segno ’ in modo da non limitare ‘ interprete di un segno ’ agli orga­
! nismi viventi; e che anche un oggetto non vivente può, in un qualche
:ì senso, “ rendersi-conto-di ” qualcosa. Tutto dipende dalla definizione
che vogliamo dare di ‘ segno ’ e di ‘ interpretazione ’. Con una defi­
: nizione tenuta larghissima come quella di Morris, la classe degli
:• interpreti verrebbe limitata alla classe degli organismi solo per mezzo
di una decisione di fare così. La decisione, del resto, potrebbe essere
giustificata in base alla complessità dei processi organici e all’impor­
tanza dei segni per la vita degli animali. Più avanti, infatti, Morris
«.■!
preferirà dichiarare che « l’interprete di un segno è un organismo ».
: Si riveda la nota io; e, per la nozione di sperimentare, la nota 116.
1 ■
9. Dimensione pragmatica della semiosi 83
In sede storica, una forma primitiva e ristretta della
pragmatica può esser trovata nella retorica; e l’aspetto prag­
matico della scienza è stato un tema ricorrente fra gli espo­
sitori e gli interpreti della scienza sperimentale. Nella defi­
nizione classica dei segni è comune il riferimento all’inter­
prete e all’interpretazione. Nel De Interpretatione (73) Ari­
stotile parla delle parole come di segni convenzionali di
pensieri che tutti gli uomini hanno in comune. Quanto
egli dice è il nocciolo della teoria tradizionalmente accet­
tata: interprete del segno è la mente; interpretante è un
pensiero 0 concetto; questi pensieri o concètti sonócomunf
a~tutti gli uomini e sorgono dall’apprensione che la mente
ha degli oggetti e delle loro proprietà; le parole pronunciate
ricevono poi dalla mente la funzione di rappresentare diret­
tamente questi concetti e indirettamente le corrispondenti
cose; le fonazioni scelte a questo scopo sono arbitrarie e
variano di gruppo in gruppo sociale; le relazioni tra le
fonazioni, invece, non sono arbitrarie, ma corrispondono a
quelle fra i concetti e così fra le cose. In tal modo, attra­
verso buona parte della sua storia, la teoria dei segni rimase
legata a una particolare teoria del pensiero e della mente;
tanto è vero che la logica, la quale ha sempre risentito delle
teorie dei segni dominanti, fu spesso concepita come scienza
che si occupa dei concetti, una veduta questa che si precisò
nella dottrina scolastica dei termini logici come termini di
“ seconda istanza ” (74). Perfino l’insistenza di Leibniz sullo

(73) L’Hermeneia 0 dell’interpretazione segue nell’ Organon aristo-


. telico alle Categorie (che trattano dei predicati primi, o forme più
generali del discorso) e precede i Primi Analitici (che trattano del
sillogismo).
(74) Nello studiare quella che Morris chiama la semiosi, gli SCO-

I
'?
!

84 V. Pragmatica

i
studio empirico del veicolo segnico in quanto determinato t

i
da regole non era un ripudio della tradizione dominante;
vi era solo l’idea che, in quel modo, si potesse conseguire :
per l’analisi dei concetti una nuova tecnica, e ciò meglio 1
che tentando d’ispezionare direttamente il pensiero (75). ?
Col passar del tempo, quasi tutti i postulati di questa .
tradizionale versione della pragmatica furono posti in dub­
bio; sarebbero oggi accettati solo con serie restrizioni. Il
punto di vista è rapidamente cangiato in seguito alle impli-

lastici distinsero fra una intentio prima e una intentio secunda (in
italiano possiamo usare ‘ istanza ’). L'intentio prima era il jvolgersjjdeJf
l’intelletto alle cose (actus intellectus directus); la secunda era il vol­
gersi cfèirmtelfctto sulToggetto di pensiero suscitato dalla prima (actus
intellectus riflexus). Risulta dunque che l’intentio secunda ha per suo
oggetto non già una cosa, ma il pensiero di una cosa, cioè — come
dicevano gli scolastici — un ens rationis. Se i termini logici sono
termini di seconda istanza nel senso ora detto, la dottrina della
mente accettata è quella aristotelica (si veda la nota 114 e il testo in
corrispondenza ad essa; la questione sarà poi ripresa a proposito degli
universali: § 13, nota 131). Del resto, tutta l’impostazione scolastica
riposa sulla nozione di spirito come ente di cui si studiano le non

materiali azioni : e per questo non c’è di meglio che rimandare allo
Spirito come comportamento di Gilbert Ryle, Torino: Einaudi, 1955.
( 1. | Una parte di quanto gli scolastici intendevano è stata assorbita nella
: : I moderna teoria dei tipi logici, inventata da Bertrand Russell (nota 31)
I -1
^ per la soluzione dei paradossi logici (un cenno nella nota 141).
(75) In altre parole, i concetti come enti mentali rimanevano.
E rimaneva così anche la nozione del pensiero come una realtà che
scorre in un mondo non spaziale, una specie di misterioso fiume
;
:!! i “ interiore ” del quale è difficile, ma non impossibile, studiare il
corso anche direttamente: anche senza ricorrere alle sue “espressioni
esteriori ”, cioè al linguaggio. Al linguaggio l’accorto Leibniz prefe-
1:

;
9- Dimensione pragmatica della semiosi 85

cazioni psicologiche della biologia darwiniana (76), implica­


zioni che il pragmatismo si affrettò a sviluppare. Charles
S. Peirce, la cui opera è insuperata nella storia della semio­
tica, giunse alla conclusione che, in ultima analisi, Finterà

riva volgersi; ma continuava ad accettare la vecchia teoria della mente.


Per Leibniz rivedi l’Introduzione e le note 1 e 30.
(76) Charles Darwin (1809*1882), naturalista inglese, impose all’at­
tenzione del mondo scientifico l’ipotesi evoluzionistica, secondo la
quale tutte le forme viventi sono connesse fra loro e derivano l’una
dall’altra (L’origine delle specie, 1859); compreso l’uomo, che discende
! da forme inferiori (La discendenza dell’uomo, 1871). Le implicazioni
psicologiche della biologia di Darwin, cui Morris accenna, stanno
soprattutto nella concezione dei poteri mentali dell’uomo come pro­
dotti essi stessi di un’evoluzione precedente, e quindi come fatti natu­
rali; ne segue che anche il linguaggio umano viene interpretato come
comportamento volto al conseguimento di certi fini, in rapporto con
altri uomini, e via dicendo. Si passa allora a poco a poco dalla con­
cezione dell’uomo come formato di due pezzi distinti, il corpo e la
mente (o spirito o anima), il primo immerso nella natura e il secondo
in un qualche modo da essa staccato, alla concezione dell’uomo come
I
essere naturale unitario. Si passa con ciò, per quel che riguarda la
semiosi, dalla concezione che Morris descrive come aristotelica, nella
guale la mefite 0 pensièro spiega il segno, a quella comportamaiti-
sticaA. nella quale_il segno_ spxega_ k mgu^^{ìensigxi) (Mead : vedi
nel testo subito avanti e poi anche nel § io). Il pericolo di questo
duplice passaggio è quello di ogni naturalismo, la sottovalutazione
dei valori detti spirituali della vita umana: perché questi sembrano
diminuiti dal rifiuto di una loro sorgente soprannaturale. Ma è un
pericolo che un naturalismo sano deve poter superare, che in fin dei
conti quello che importa sono i valori, non la loro derivazione da
questo o da quel principio metafisico. Il vantaggio del passaggio per
la teoria dei segni è che esso permette uno studio intersoggettivo del
linguaggio come luogo di tutto ciò che s’intende per ‘ pensiero ’ o
86 V. Pragmatica

pretante di un simbolo, doveva risiedere in un abito, e non


nell'immediata reazione fisiologica evocata dal veicolo segnico
o nelle immagini ed emozioni concomitanti. Questa dottrina
*• '• -v’-t--------- ------------------- 11" ............. i ' e il
preparo la via a quelle contemporanee, che fan perno sulla
nozione di regola d’impiego. William James sostenne che
il concetto non è un’entità, ma Tapina niera hféul CeTfT~cla£f~~ _

*1 percettivi funzionano rappresentativamente; e che tale tun-


zionamento mentale , anziché essere una mera contem­
plazione del mondo, è un processo altamente selettivo nel
quale l’organismo raccoglie indicazioni sul modo in cui,
nel suo rapporto col mondo, deve agire per soddisfare i
suoi bisogni o interessi. George H. Mead si occupò special-
mente del comportamento che ha luogo quando sono all’opera
dei segni linguistici e del contesto sociale in cui tali segni
sorgono e funzionano. La sua opera costituisce la più impor­
tante ricerca intorno a questi aspetti della semiosi dal punto
di vista del pragmatismo. Lo strumentalismo di John Dewey
è una generalizzazione dell’importanza attribuita dal prag­
matismo al fatto che segni o “ idee ” funzionano come
strumenti.
Se si estraggono dal pragmatismo gli aspetti di partico­
lare interesse per la pragmatica, si può giungere pressappoco

i ; ‘ concetto ’. Sorge qui la questione dei rapporti fra linguaggio e pen­


siero, che è molto complessa. Basti dire che non occorre affatto
!I sostenere la tesi estrema, secondo la quale non si pensa se non quando
si parla o si immagina di parlare, per ammettere che noi ci occu­
piamo del pensiero solo in quanto esso è espresso linguisticamente
ì-
(o per altri segni anche non linguistici): altrimenti o si sta zitti,
! oppure si deve postulare una misteriosa via d’accesso al pensiero puro
! (via che molti filosofi anche illustri hanno ingenuamente creduto di
percorrere). Vedi la nota' 67.

E lì
! ■

-i
:
9. Dimensione pragmatica della semiosi 87

alla seguente formulazione : l’interprete dej_ segno è uni


organismo; l’interpretante È, unabitQ, pfie^ j’prganisrqq _ba., •
Sì rispondere per via^del veicolo segnico ad oggetti assenti
[ìJùaF^ocano jnjjna situazione problematica presente cornei
se fossero presenti essTTtessìT"Grazie""alla semiosTTurPorfifa-
nismò si rende conto di proprietà che lo interessano in
oggetti assenti, e di proprietà inosservate (77) di oggetti pre­
senti; e in ciò risiede l’importanza strumentale generale delle
idee. Dato il veicolo segnico come oggetto di una sua rispo­
sta, l’organismo si aspetta una situazione di un certo tipo
determinato; avendo tale aspettazione, è in grado di pre­
pararsi anticipatamente, almeno in parte, a ciò che può
accadere. Dal punto di vista biologico, rispondere alle cose
attraverso i segni è così un ulteriore sviluppo di quello stesso
processo che, nelle forme animali superiori, ha portato i
sensi di distanza a precedere i sensi di contatto nel controllo
del comportamento. Con la vista, l’udito e l’odorato gli
animali superiori già rispondono a sezioni distanti dell’am­
biente grazie a certe proprietà degli oggetti, le quali fun­
zionano come segni di altre (78). Questo processo, di ren-

0 (77) Proprietà di oggetti presenti non ancora osservate, oppure


proprietà non riscontrabili se non per mezzo della semiosi : quello
che importa è che, grazie alla semiosi, l’organismo giunge a ren­
dersene conto.
(78) Una belva che odora la preda si dirige verso di essa: l’odore
è per la belva segno della preda stessa, cioè di qualcosa che potrà
essere toccato e mangiato. Se vogliamo limitare la semiosi ai casi in
cui le proprietà di cui ci si rende conto sono percettivamente assenti,
dovremmo dire però che l’odore è un segno solo quando la preda
che l’emana è altrimenti assente, cioè non è percepibile con gli altri
sensi; e che quando la belva avvista la preda l’odore non è più
88 V. Pragmatica

dersi conto di un ambiente sempre più remoto, trova appunto


la sua naturale continuazione nel complicato processo della
semiosi reso possibile dal linguaggio: dove non c’è più
bisogno che l’oggetto di cui ci si rende conto sia percetti­
vamente presente.
Con questo orientamento, alcuni dei termini usati in
precedenza appaiono in una nuova luce. Il rapporto di un
veicolo segnico con jl suq designatum è ilTatS^Hé^Tinter-
prete, col rispondere^al^ veicolo segnico, si rende conto di
una classe cu cose] designata sono appunto le cose di cui
egTTsTrende conto in tale modo. La regola semantica ha
come correlato nella dimensione pragmatica l’abito dell’in­
terprete a usare il veicolo segnico in certe circostanze e,
di converso, ad aspettarsi che le cose stiano in un certo
modo allorché il segno viene usato. Le regole di formazione
e trasformazione corrispondono alle combinazioni e traspo­
sizioni segniche di cui l’interprete effettivamente si serve,
o alle stipulazioni per l’uso dei segni che egli impone a se
stesso (in modo analogo, ognuno tende a padroneggiare

segno. Ne sorge insomma la questione della misura in cui ciò che


giunge a uno dei sensi (nel caso l’odorato) può essere considerato
segno di ciò che giungerebbe agli altri. In particolare, la questione
delle funzioni segniche esercitate dai cosiddetti sensi di distanza nei
riguardi dei cosiddetti sensi di contatto. Vista, udito e odorato sem­
brano riguardare oggetti lontani, o anche lontani : si vede e ode quella
campana che sta suonando lassù in cima al campanile, si odorano

I quelle rose in fiore nel cespuglio laggiù. Tatto e gusto sembrano


riguardare soltanto ciò che è a contatto con noi. La distinzione, si
:Ì noti, è tutt’altro che pacifica in fiolosofia; e la questione dei rapporti
fra i due tipi di sensi ha dato origine ad alcune fra le più interessanti
discussioni di tutta la filosofia — basti pensare a Berkeley.

!:
9. Dimensione pragmatica della semiosi 89

anche altri aspetti del proprio comportamento nei riguardi


delle persone e delle cose) (79). Considerata dal punto di
vista della pragmatica, una struttura linguistica è un sistema
di comportamento: agli enunciati analitici corrispondono
le relazioni fra certe risposte segniche e certe altre, più ampie,
di cui le prime sono frammenti; agli enunciati sintetici cor­
rispondono quelle relazioni fra risposte segniche che non
sono relazioni di parte a tutto. I segni indici di una combi- |)
nazione segnica (o i loro sostituti) dirigono l’attenzione del- I
l’interprete a certi settori dell’ambiente; il segno dominante f
:
■ caratterizzante- determina una qualche risposta generale a I f
quei settori (un’aspettazione); gli specificatoti caratterizzanti l f
- delimitano l’aspettazione generale, nel senso che il grado f |
di specificazione e la scelta del segno dominante vengono [
determinati nei riguardi del problema in causa (80). Quando
hanno luogo sia la funzione indicante che quella caratteriz­
zante, l’interprete sta giudicando e la combinazione segnica j

(79) Questo era un periodo oscuro. Intendo: uno “impone” a se


stesso certe convenzioni per l’uso dei segni nel senso che, se non
padroneggiasse il proprio comportamento segnico, se non seguisse certe
regole, non sarebbe capito e perderebbe il controllo sulPambiente in
cui vive, se ne staccherebbe. Siccome non tutto il comportamento
umano è segnico, e siccome l’uomo organizza e tende a padroneggiare
tutto il suo comportamento, si giustifica un paragone fra l’organiz­
zazione della parte segnica e di quella non-segnica del comporta­
mento. Ricordiamo che ‘ segnico ’ è termine più largo di ‘ lingui­
stico ’ : il comportamento linguistico è solo una parte di quello segnico.
(80) Si riveda il § 6, e si ricordi che un segno è dominante non
per natura sua, ma nei riguardi di altri segni: di qui che l’inter­
prete debba scegliere quale è il segno dominante di una certa com-
binazione segnica data una situazione, cioè, come dice Morris, nei
riguardi del problema in causa.
•:
90 V. Pragmatica
I
è un giudizio (che corrisponde all’enunciato della sintattica
e, all’asserzione
«WWW I ■»
o Aproposizione
A ,
della
t
semantica). Nella misura
i in cui si trova che ciò che ci si aspettava e proprio come lo
si aspettava, il segno è confermato; le aspettazioni, di solito,
trovano una conferma solo parziale; ma che ciò, cui un
segno indice si riferisce, abbia le proprietà che ci si attende,
!!
viene talvolta più o meno confermato per altra via, in ma­
niera indiretta. In generale, si jpuò dire che, dal punto di
vista del comportamento, i segni sono ^ veri ’r nella misura,
in cui determinano correttamente le aspettazioni di chi se
nè serve e sprigionano così più pienamente il comporta­
mento già implicito nell’aspettazione o interpretazione (81).
f Queste nostre asserzioni oltrepassano il campo proprio
della pragmatica e riguardano la questione strettamente
semiotica dell’interrelazione delle dimensioni, argomento che
non abbiamo ancora preso di petto (81 a). La pragmatica

(81) Questa è un’interessante caratterizzazione della verità come


proprietà relazionale fra certi segni o combinazioni segniche e chi se
ne serve. Un segno è già un fatto semiosico compiuto (ivi compresa
la dimensione semantica); la verità sta nella ripetizione di quel fatto
semiosico (compreso quel rapporto semantico) quando la ripetizione
è soddisfacente per l’interprete. Se mi si dice ‘ C’è un gatto in cucina
io, interpretando tale enunciato, dispongo il mio comportamento in
un cèrto modo, cioè mi aspetto di trovare un gatto in cucina. Se ce
lo trovo, l’enunciato è stato usato correttamente e la mia aspettazione
y •j
viene soddisfatta; diciamo allora che l’enunciato è * vero ’. Le cose
divengono più complesse quando mi domando se siano veri enunciati
come, per es., ‘ Picasso è un gran pittore ’, o ‘ Una rondine non fa
primavera ’, o ‘La voce della coscienza mi disse che non dovevo
1 ! farlo’. In che modo essi possono meritare la qualifica di veri o falsi?
Sembra però che il principio sussista.
(81 a) Lo sarà nel § 14 (cfr. nota 134).
'
■li
io. Fattori individuali e sociali 91

tenta di sviluppare termini atti allo studio del rapporto dei


segni con chi se ne serve e all’ordinamento sistematico dei
risultati di tale studio. Termini come ‘ interprete 4 inter­
pretante ‘ convenzione ’ (quando riguarda i segni), ‘ ren-
dersi-conto-di ’ (quando ciò avviene in funzione di segni),
‘ verificazione ’ e ‘ egli comprende ’, sono termini della prag­
matica; mentre molti termini strettamente semiotici come
‘ segno ‘ linguaggio 4 lingua 4 verità ’ e 4 conoscenza ’
hanno componenti pragmatiche importanti. In una presen­
tazione sistematica della semiotica, la pragmatica presup­
pone e sintattica e semantica, e di queste la seconda pre­
suppone a sua volta la prima; infatti, per discutere in modo
adeguato il rapporto dei segni con i loro interpreti, bisogna
conoscere il rapporto dei segni e fra loro e con quelle cose,
alle quali essi rimandano gli interpreti stessi. Si dovrebbero
trovare elementi esclusivamente pragmatici in quei termini
che, mentre da un lato non sono strettamente semiotici,
non possono dall’altro venir definiti in sede sintattica e
semantica; e, inoltre, nel chiarire l’aspetto pragmatico di
vari termini semiotici e nel dichiarare le implicazioni psico­
logiche, biologiche e sociologiche dell'accadere segnico. Pos­
siamo ora volgerci ad alcuni aspetti di quest’ultimo problema.

io. Fattori individuali e sodali nella semiosi.

Possiamo avvicinare il nostro argomento, e prevenire una


possibile obiezione, domandandoci perché mai si debba ag­
giungere la pragmatica alla semantica: dal momento che
questa tratta del rapporto dei segni con gli oggetti, e dal
momento che gli interpreti e le loro risposte sono oggetti
92 V. Pragmatica
a
naturali studiati dalle scienze empiriche (82), sembrerebbe
i che il rapporto dei segni con gli interpreti rientri nella
semantica. Qui c’è una confusione che sorge perché non si
distingue fra diversi livelli di simbolizzazione e perché — nel­
i l’uso di 1 oggetto ’ — non si tengono separati i termini
semiotici dai non-semiotici. Ogni cosa designabile può essere
i studiata da una scienza (in linea di principio) unificata, e
in questo senso tutte le scienze semiotiche fan - parte della
scienza unificata. Quando si fanno delle asserzioni descrit­
tive intorno ad una dimensione della semiosi, esse appar­
tengono alla dimensione semantica d’una semiosi di più alto
livello e quindi non necessariamente alla dimensione stessa
che viene studiata (83). Quando nella pragmatica si fa un’as-

(82) Non dimentichiamo che il termine ‘ oggetto ’ è spesso usato


da Morris in senso assai ampio: non solo come ‘oggetto fisico’, ma
anche per una situazione, per un comportamento, per “ la cosa di
cui ci stiamo occupando ” (o “ di cui ci si può occupare ”). Così
anche chi si serve di un segno, e quello che gli avviene 0 che egli
: fa quando se ne serve, sono oggetti di studio per le scienze empiriche.
Morris procede subito a precisare egli stesso l’uso del termine. Si
I rivedano, anche, le note 64 a e 66 per la posizione di chi tende a
far rientrare tutta la semiotica nella semantica.
(83) Perché la dimensione che viene studiata può essere la sintat­
tica o la pragmatica, e allora abbiamo asserzioni che descrivono
semanticamente fatti linguistici non-semantici. Se io dico “ Il segno
■i
‘ ( ) ’ si chiama ‘ parentesi ’ e serve a introdurre nel discorso un
brano che, ecc... ”, questa mia asserzione descrive, necessariamente
nella dimensione semantica, un fatto linguistico sintattico, la paren-
' tesi (§ 5). Abbiamo la dimensione semantica al livello di semiosi
in cui il fatto linguistico studiato viene posto ad oggetto, cioè viene
esso stesso designato; questo nuovo livello è detto “più alto”, oppure
“ nuovo ”, solo perché presuppone il primo. Si osservi che Morris
:

i
1
io. Fattori individuali e sociali 93

serzione intorno alla dimensione pragmatica di un dato


segno, l’asserzione funziona predominantemente nella di­
mensione pragmatica. Il fatto però che la stessa dimensione
pragmatica diventi un designatum in un processo descrit­
tivo di livello più alto, non significa che l’interpretante
di un segno a un qualsiasi dato livello [di semiosi] sia un
designatum di quel particolare segno (84). L’interpretante

non sta costruendo un’astratta impalcatura di livelli semiosici, ma


solo descrivendo il funzionamento di una semiosi applicata ad un’altra.
La semiosi in atto è sempre e soltanto una, anche se può avere a suo
oggetto un’altra semiosi; questa altra semiosi potrà essere in atto anche
lei, ma non per l’interprete della prima. È poi anche possibile, anzi
è comunissimo, che un interprete interpreti una propria precedente
semiosi: come avviene per es. quando, ricordandoci una cosa che
abbiam detta nelle parole in cui l’abbiam detta, domandiamo a noi
stessi che mai intendessimo. Siccome si tratta in tal caso di una mia
semiosi precedente, per me come interprete la semiosi in atto resta
anche qui sempre e soltanto una. Si connettano a questo commento
le note 35 (con i riferimenti ivi dati), 64 a e 66 (seconda parte). La
discussione continua nella nota seguente.
(84) Se lo fosse, sarebbe legittima l’obiezione che Morris sta cer­
cando di respingere, sarebbe cioè legittimo sostenere che la pragmatica
rientra tutta nella semantica: basterebbe infatti studiare il rapporto
semantico fra il segno e il designatum. Invece esiste anche il rapporto
pragmatico fra il segno e il suo interpretante (con il relativo inter­
prete), e questo rapporto può diventare designatum solo fuori dal
livello di semiosi in cui è rapporto, appunto, pragmatico: diventerà
designatum dentro ad una nuova semiosi, nella quale verrà designata
la semiosi precedente (e, naturalmente, anche questa nuova semiosi
di più alto livello avrà per definizione tutte e tre le dimensioni). Uno
sguardo al diagramma inserito nella nota 19 può servire a far assi­
milare la questione dei diversi livelli di semiosi (sulla quale insisto
94 V. Pragmatica
;; i
S di un segno è l’abito che ci permette di dire che il veicolo i
segnico designa certi tipi di oggetti o situazioni; essendo il
metodo con cui si determina la collezione di oggetti che il
segno in questione designa, l’interpretante non può essere
r
un membro della collezione stessa (85). Perfino la lingua
di una scienza unificata, che contenesse essa stessa un rag­
!
guaglio della dimensione pragmatica, non denoterebbe, nel
momento in cui viene usata, la sua propria dimensione

perché risulta all’esperienza che essa presenta notevoli difficoltà, che


persistono anche quando uno crede di averla padroneggiata). Si con­
sideri l’intiera situazione rappresentata dalla parte superiore del dia­
gramma come oggetto di una semiosi di più alto livello : questa nuova
semiosi ha luogo non appena ci si mette a descrivere il diagramma.
Ognuna delle dimensioni della semiosi rappresentata dal diagramma
diventa allora designatum dei segni di cui ci serviamo nella nuova
semiosi. La cosa si chiarirà all’inizio del § 11 : si veda in corrispon­
denza alla nota 96.
(85) Un abito comportamentistico nei riguardi di un segno
: (v. nota 69) è dunque il metodo che noi seguiamo per applicare il
segno stesso. L’apprendimento del linguaggio da parte d?ì fanciulli
apprendimento di.metodLpprllnsn ,di $fgnyjingimri£i. Non è detto
che tale apprendimento sia consapevole; anzi, in gran parte non lo
è; e per buona parte inconsapevole resta anche presso gli adulti. La
moderna filosofìa interessata al linguaggio si propone appunto la
v precisazione dei metodi e dei criteri di cui noi ci serviamo quando
parliamo, naturalmente per quella parte del linguaggio in cui si
esprimono i problemi che la tradizione tramanda come filosofici. Per
es., uno studio approfondito dell’uso degli articoli getta viva luce
sul problema degli universali. Una delle tesi generali è che l’incon­
h' sapevolezza dell’uso linguistico comune ha generato quei problemi
apparentemente insolubili che costituiscono il cuore della filosofia tra­
dizionale. Si veda poi la nota 124.
!
io. Fattori individuali c sociali 95

pragmatica; e ciò anche se, ad un più alto livello d’impiego,


si possa poi trovare che il suddetto ragguaglio della dimen­
sione pragmatica è applicabile alla dimensione pragmatica •
del livello inferiore (86). Siccome la dimensione pragmatica
è condizione necessaria a che si dia un rapporto di desi­
gnazione, non è possibile metterla dentro alla dimensione
semantica. La semantica non considera tutti i rapporti dei
ségni con gli oggetti; ma solo, in quanto scienza semiotica,
il rapporto dei segni con i loro designata. La pragmatica
considera un altro rapporto dei segni; non può dunque, sola
o in combinazione con la sintattica, trovare un posto nella
semantica. Questa conclusione è del tutto indipendente dal
rapporto fra esistenti fisici e biologici; la distinzione fra
dimensione pragmatica e semantica è una distinzione semio­
tica e non ha nulla a che fare con il rapporto fra biologia
e fisica (87).
Questo punto può venir forse meglio delineato se intro­
duciamo il termine ‘ regola pragmatica ’. Le regole sintat­
tiche determinano le rejazioni segniche fra veicoli segnici ;
j£_r5S9^-^I5^^che..corrdaxu3„Yeicoli.,segnÌ£L.c.on„,al.tjj^gg<-
getti.LLfcJcepole..pragmatiche..dichiarano...in-quali condizioni,

(86) Si tratta anche qui di distinguere fra la dimensione pragma­


tica di una semiosi in atto e la descrizione (semantica) di quella dimen­
sione. La lingua completissima della scienza unificata che Morris ha
in mente dovrebbe contenere anche un ragguaglio della dimensione
pragmatica; ma perfino in questo caso la dimensione pragmatica non
sarebbe designata (o denotata) da quella lingua in atto.
(87) Morris dice questo per eliminare l’idea che si possa ricondurre
la distinzione fra semantica e pragmatica alla distinzione fra fisica
e biologia, o che ci sia fra quelle due dimensioni un rapporto para-
gonabile a quello che c’è fra le due scienze.
96 V. Pragmatica

dell’interprete un veicolo segnico è un segno. Ogni regola,


neiratto d’essere usata* opera come un tipo di comporta­
mento, e in questo senso c’è una componente pragmatica
in tutte le regole. Ma in certe lingue ci sono anche dei veicoli
segnici governati da regole affatto indipendenti da qualsiasi
regola sintattica o semantica governante quegli stessi veicoli;
. ; si tratta allora di regole solo pragmatiche. Interiezioni come
‘Oh!’, ordini come ‘Vieni qui!’, termini valutativi come
! ‘ Fortunatamente ’, espressioni come ‘ Buon giorno ! ’, e vari
artifizi retorici e poetici, ricorrono solo quando chi si serve
della lingua si trova in certe ben definite condizioni; si può
dire che essi esprimono tali condizioni; ma, al livello di
semiosi in cui vengono di fatto impiegati nel comune discorso,
essi non le denotano. Quando le condizioni d’impiego di un
termine non possono essere tutte formulate solo per mezzo
di regole sintattiche e semantiche, la dichiarazione delle
condizioni rimanenti costituisce la regola pragmatica di quel
termine.
Possiamo ora dare la piena caratterizzazione di una lin­
. gua: Una lingua nel pieno senso semiotico del termine è
i; * una qualsiasi collezione intersoggettiva di veicoli segnici,
Vimpiego dei quali sia determinato da regole sintattiche,
il ! i semantiche e pragmatiche (88).
Ili L’interpretazione si fa particolarmente complessa, e i risul-

(88) Se teniam presenti le distinzioni fra ‘ linguaggio ’ e ‘ lingua ’


Si (nota 24), la definizione sembra riguardare una lingua, non il lin­
guaggio in generale e nemmeno il linguaggio nell’accezione più
:» ristretta. Infatti Morris parla di veicoli segnici, non di segni in gene­
rale; e i veicoli segnici, nel complesso, vengono intesi come oggetti
il fisici, cioè nel caso di una lingua come determinate grafie e fonazioni.
V. la nota 90 e, per i veicoli segnici, le note 29 e 123.
!.
!•
d
io. Fattori individuali e sociali 97

tati per l’individuo e per la società acquistano speciale impor­


tanza, allorché si tratta di segni linguistici. In termini di
pragmatica, un segno linguistico è usato in combinazione
con altri dai membri di un gruppo sociale; una lingua è
i
un sistema sociale di segni, mediatore delle risposte che i
membri di una comunità si dànno fra loro e dànno all’am­
i biente che li circonda (89). Comprendere una lingua vuol
dire impiegare solo quelle combinazioni e trasformazioni
:
= segniche che non sono proibite presso il gruppo sociale in
questione (90); vuol dire denotare oggetti e situazioni così

(89) Si tenga presente l’impostazione fondamentalmente compor­


tamentistica di tutto il pensiero di Morris (cfr. Introduzione e note 2,
9, 13, 47); e che questo comportamentismo, nella sua forma più intel­
ligente, non è riduzione dei valori spirituali a processi di organismi,
ma solo studio di quello che gli uomini fanno nei riguardi di altri
uomini e dell’ambiente.
(90) Il testo dice «... not prohibited by thè usages of thè social
group... »; cioè, letteralmente, “ non proibite dagli usi del gruppo
sociale ”. Senonché * usages ’ è * usi ’ nel senso di convenzioni in atto,
che possono cangiare; non in quello di ‘ modalità d’impiego ’, che
non cangiano (nel senso di cui nella nota 69, (in)). In inglese si tende
a parlare di “ use ” in riferimento a ciò che noi chiamiamo “ linguag­
gio ”, di “ usage ” a ciò che chiamiamo “ lingua ” (nota 24). Qui
Morris adopera ‘ usages ’ perché si sta riferendo ad una lingua costi­
tuita, come l’inglese e l’italiano, non al linguaggio in generale
(v. nota 88): ciò sembra assodato dalla sua espressione «To understand
a language is... ». E gli si potrebbe chiedere se abbia in mente piut­
tosto ciò che nella lingua è linguaggio (ciò che negli usages è uses)
0 piuttosto il fatto che una lingua è costituita da quel materiale e non
da altro. Senza sviluppare ora l’argomento, non escluderei che rimanga
in questo come in altri luoghi del testo americano una certa ambi­
guità fra language come linguaggio e language come lingua, fra uses
7 - C. Morris, Lineamenti di una teoria dei segni.
98 V. Pragmatica

come lo fanno i membri di quel gruppo, avere le stesse


aspettazioni che gli altri hanno quando vengono impiegati
! certi veicoli segnici, esprimere le proprie condizioni alla
maniera degli altri: in breve, comprendere una lingua, ovve­
rosia usarla correttamente, è seguire le regole d’impiego (sin­
tattiche, semantiche e pragmatiche) correnti nella comunità
sociale di cui si tratta.
! Si avanza spesso un’ulteriore condizione, cui deve rispon­
1 dere il segno linguistico, ed è che lo si possa usare volonta­
riamente al fine di comunicare. Termini come ‘ volontario ’
e ‘ comunicazione ’ richiedono un’analisi più estesa di quella
possibile qui; ma già l’interpretazione del segno linguistico
data da Mead in Mind, Self, and Society [La mente, l'io
e la società\ (egli lo chiama simbolo significante) sembra
toccare proprio la condizione di cui stiamo parlando. Secondo^
Mead, iL.fenoinenq primario da cui emerge il linguaggio
nel pieno.. saisa^jimano è, il, gesto, specialmente il... gesto
vocale. Il segno gestico (91) (come il ringhio d’un cane) dif­
-r ferisce da un segno non-gestico (come il tuono) in questo,
I 5

l e usages. Il fatto è che, in inglese come in italiano, gli strati dei


I: segni linguistici con cui parliamo dei segni linguistici stessi sono
estremamente articolati e complessi. È solo con la scuola di Oxford
(nota 52) che tale complessità viene infine presa di petto. Cfr. la
I 1!
nota 124.
'I !: (91) Bisogna rispettare la lingua che si parla, ma anche osarle
qualche piccola violenza quando ciò serva a meglio comunicare un
li
concetto. Così si è coniato ‘ gestico ’, come aggettivo da ‘ gesto ’, alla •
maniera di ‘ segnico * da ‘ segno * e di ‘ semiosico ’ da ‘ semiosi ’. Dif­
: <rv. ficile altrimenti rendere le locuzioni di Morris ‘ gesture sign ’ e ‘ non-
gestural sign ’, se non ricorrendo a perifrasi pesanti e sempre in un
modo o nell’altro ingannevoli.

11,1
!I
io. Fattori individuali e sociali 99
che il veicolo segnico del primo è una fase anteriore di un
atto sociale nel quale il designatum è fase posteriore (in
questo caso, l’attacco del cane). Qui abbiamo un organismo
che si prepara a ciò che un altro organismo — il cane — sta
per fare rispondendo a certi atti del secondo come a segni:
il ringhio è il segno, l’attacco il designatum, l’animale attac-
cato l’interprete, e la risposta preparatoria dell’interprete è \ %
s l’interpretante. L’utilità di siffatti gesti segnici è limitata dal. ^
-
fatto che il segno non è tale per chi lo produce come per/'
chi lo riceve: il cane che ringhia non risponde al proprio1 \\ *
ringhio come fa il suo avversario; il segno non viene assunto
in comune, dunque non è un segno linguistico (92).
D’altra parte, la caratteristica che conta nel gesto vocale £
sta precisamente nel fatto che chi emette il suono lo ode
proprio come gli altri. Quando tali suoni entrano in con- • . '• ^
nessione con un atto sociale (un combattimento, un gioco,
un canto), tutti coloro che partecipano all’atto godono, grazie
al segno che hanno in comune, di un designatum comune,
e ciò pur essendo le loro funzioni dentro all’atto differen­
ziate. Chi partecipa ad un’attività comune stimola con i
propri gesti vocali se stesso come gli altri. Si congiunga
questo con quanto Mead chiamava la dimensione temporale
del sistema nervoso (cioè: un’attività antecedente, ma di più
lenta estrinsecazione, può dare inizio ad un’attività susse­
guente e più rapida; la seconda a sua volta favorisce od osta­
cola la completa estrinsecazione della prima), e si otterrà
una spiegazione possibile di come i segni linguistici ser­
vono alla comunicazione volontaria. Per usare uno dei fre­
quenti esempi di Mead, si prenda il caso di una persona

(92) Si ricordino i requisiti del linguaggio, che Morris dà in SLCy


e che sono stati accennati qui sopra nella nota 61.
!-
100 V. Pragmatica
I
che avvista del fumo in un teatro affollato. Il fumo è un
segno non-gestico del fuoco, e il percepirlo promuove entro
!
certi limiti delle risposte appropriate al fuoco. Ma poi, uno
tende a pronunciare il vocabolo ‘ fuoco ’ come risposta con­
nessa a un’intera collezione di risposte al fuoco. Siccome
i
questo è un segno linguistico, chi lo pronuncia comincia a
rispondere alla sua propria tendenza a pronunciarlo nella
maniera in cui risponderebbero gli altri membri del suo
gruppo sociale: correre verso un’uscita, spingere e magari
calpestare chi gli blocca la via, eccetera. Il singolo individuo,
però, risponderà favorevolmente oppure no a queste ten­
denze a seconda di certe sue inclinazioni fondamentali, e
così ostacolerà oppure favorirà la propria tendenza a dire
‘ Fuoco ! ’.
In un caso Come questo, si usa dire che l’uomo “ sapeva
ciò che stava facendo ”, “ usava (o non usava) deliberata-
mente un certo segno per comunicare con gli altri ”, “ si
rendeva conto degli altri ”. Mead generalizzava da simili usi
comuni : dal suo punto di vista, “ avere una mente o es-
sere conscio di qualcosa ” equivaleva a “ usare segni lingui­
stici ” (93). È per mezzo di questi segni che l’individuo
!
(93) Questa è affermazione di grande portata, che capovolge la
dottrina tradizionale. Il pensiero come ente, e sia pure come “ ente
che scorre, che diviene ”, continuava ad essere da più di duemila
anni di grave ostacolo allo studio del comportamento mentale e spi­
rituale dell’uomo. E siccome si era sempre spiegato il linguaggio per
mezzo del pensiero, la natura del linguaggio restava nell’ombra, o
veniva interpretata miticamente, nella misura in cui neH’ombra o
nell’interpretazione mitica restava quella del pensiero. Ora invece si
parte dal linguaggio, o meglio dal segno linguistico; e per mezzo di
questo si spiega il pensiero. Il vantaggio è che il segno linguistico
io. Fattori individuali e sociali IOI

riesce ad agire nella luce di quanto ne verrà a se stesso e


agli altri, e pertanto a conseguire un certo controllo sul
proprio comportamento; la produzione di segni linguistici
fa sì che egli abbia presenti le possibili conseguenze della
sua azione, e ciò diventa un fattore nel processo in cui
l’azione che ha (o sembra avere) tali conseguenze viene
promossa o inibita. È nei termini di questi processi che si
riesce a chiarire cosa intendiamo per ‘ scelta ’ e a precisare
qualsiasi distinzione ci sembri opportuno tracciare fra chi
invia e chi riceve i segni linguistici. Siccome il segno lin­
guistico è socialmente condizionato, Mead, dal punto di
= vista del suo comportamentismo sociale, riteneva che la

mente individuale e l’io cosciente di sè apparissero in un


processo sociale allorché la comunicazione gestica obiettiva
si faceva interna all’individuo grazie all’entrata in gioco
jJci:..gcs.tjLJCQ.(;aa,rJ£ dunque ad opera di quanto la comunità
ha già raggiunto che l’individuo, potendo attingere a quel
patrimonio perché partecipe della lingua comune, è in grado
di formarsi un io e una mente e di utilizzare i risultati
della comunità nella realizzazione dei suoi interessi perso-

è aperto al controllo intersoggettivo, mentre il pensiero in quanto


tale, per definizione, non può esserlo. Si noti che il capovolgimento,
almeno potenzialmente, può avvenire senza alcun ricorso a storture
materialistiche o positivistiche o meccanicistiche; e ciò grazie a nozioni
come comportamento, operazione, funzione, che sono neutre di fronte
al dualismo tradizionale fra spirito e materia in quanto riguardano
nonle .coscl ma. il modo in cui noi le spieghiamo (cfr. nota 13), sono
cioè nostri schemi per l’interpretazione delle cose. La posizione di
Mead, e con essa anche quella di Morris, ha tuttavia ancora grossi
residui empiristici e scientistici : basti notare che vi si dà sempre troppa
importanza all’aspetto biologico dei processi studiati (si veda la nota 94,
sul carattere ancora “ scientistico ” di queste interpretazioni).
I
102 V. Pragmatica

nali. Nel tempo stesso, la comunità trae vantaggio dal fatto


; che i suoi membri sono ora capaci di controllare il proprio
.
’ comportamento nella luce delle sue conseguenze sugli altri,
;. e di mettere a disposizione dell’intera comunità esperienze e
:I risultati propri. Quando la semiosi raggiunge questi com­
1 ;! plessi livelli, il segno mostra di essere il fattore più impor­
Ih tante nello sviluppo della libertà individuale e dell’integra­
zione sociale (94).

(94) Qui abbiamo, più che considerazioni di carattere logico-filoso­


fico, l’abbozzo di una teoria che è insieme sociologia e psicologia e
biologia. Questo, di abbozzare possibili interpretazioni di processi reali,
interpretazioni che la scienza futura potrà poi confermare come rifiu­
tare, è un pericolo che Mead e Morris corrono troppo spesso. Facile
allora l’accusa di scientismo, cioè dell’arbitraria (o almeno prematura)
estensione di idee e metodi stabiliti nell’ambito di una particolare
ricerca scientifica ad altre ricerche di carattere più ampio, o di carat­
tere non ancora ben precisato, o di carattere filosofico anziché scien­
tifico. A parziale difesa di Morris, non dimentichiamo che egli pro­
pone la sua semiotica come giovane scienza in formazione: una
scienza di cui il filosofo non potrebbe non occuparsi per via dell’iden­
tità dei problemi che essa tratta con alcuni problemi che la tradizione
tramanda a lui filosofo come tipicamente suoi. [Sarebbe forse questo
il luogo per un lungo discorso sulle posizioni del pensiero contem­
poraneo intorno ai rapporti fra le scienze e le filosofie. Dobbiamo
n
! . rinunciarvi, ma possiamo almeno ripetere l’osservazione fatta nella
nota 52: sembra si possano considerare filosofici tutti quei problemi
che non possono esser risolti per mezzo di esperimenti fatti in labo­
\* ratorio o di calcoli matematici o di ricerche empiriche 0 statistiche
— problemi cioè che richiedono il discorso, l’applicazione di strumenti
logici, una speciale attenzione per il linguaggio. — Questa non è nem­
meno una caratterizzazione preliminare: è solo un cenno alla direzione
■:

in cui muovere per giungere - ad una caratterizzazione. L’interesse


i:
1
li. Uso c abuso pragmatico io3

il. Uso ed abuso pragmatico dei segni.

Quando ci serviamo di un segno prodotto o usato da


un interprete come di un mezzo per informarsi intorno
all’interprete stesso, il punto di vista che si viene ad assu­
mere è quello di un più alto processo di semiosi, cioè quello
della pragmatica descrittiva. La psicoanalisi in psicologia, il
pragmatismo in filosofia e ora la sociologia del sapere (95)

filosofico della semiotica sta soprattutto in questo, che in essa (e sia


pure attraverso la distinzione fra lingua e meta-lingua) il linguaggio
(o la particolare lingua studiata) viene posto contemporaneamente a
oggetto e a strumento dell’indagine].
(95) Manca in inglese la distinzione fra ‘ sapere ’ e ‘ conoscere * (si
dice sempre ‘ \nowledge ’, e ‘ lore ’ ha altri sensi più specifici), sicché
“ sociology of \nowledge ” può essere sociologia e del “ sapere ” e
della “ conoscenza ”. Direi che nel primo caso si tratta di studiare
soprattutto quello che gli uomini sanno o credono di sapere, le loro
scienze e credenze costituite; nel secondo di studiare piuttosto il modo
in cui essi acquistano il loro sapere. Comunque, la nuova disciplina
accoglie l’eredità di quella parte della storia della filosofia che si
occupava del mondo sociale in cui i vari filosofi si trovarono e si
trovano ad operare.
La psicoanalisi è la nota scuola di psicologia del profondo fondata
da Sigmund Freud (1856-1939), uno dei maggiori innovatori del pen­
siero contemporaneo. Essa, fatta distinzione fra psiche “ conscia ” e
“ inconscia ”, muove alla ricerca di processi inconsci, cioè “ profondi ”,
che determinerebbero la vita cosciente. Nel caso di molti disturbi
psichici sembra assodato che render conscio il processo che li deter­
mina può portare ad eliminarli. La psicoanalisi era, nelle intenzioni
del suo fondatore, ed è di nuovo oggi nelle critiche più consapevoli,
;
104 V. Pragmatica

i fra le scienze sociali hanno fatto di questo modo di guar­


\. dare ai segni un possesso comune delle persone istruite. Si
>i
va guardando sempre più a quello che dicono i giornali,
alle credenze politiche e ai sistemi filosofici nei termini
ì ■

1 degli interessi espressi e serviti dalla produzione e dall’im-


\ i piego dei segni in questione. Lo psicoanalista s’interessa ai
sogni per la luce che essi gettano su chi li sogna; il socio­
logo del sapere s’interessa alle condizioni sociali che accom­
u pagnano la presenza delle varie dottrine e di loro sistemi.
In nessuno dei due casi ci si occupa della questione se i
! sogni e le dottrine siano veri nel senso semantico del ter­
mine, cioè se ci siano delle situazioni tali, che si possa dire
che i sogni e le dottrine li denotano. Tali ricerche, insieme
. a molte altre, hanno confermato su di un campo molto largo
la tesi generale del pragmatismo circa il carattere strumen­
tale delle idee.
Si può guardare a qualsiasi segno nei termini delle con­
dizioni psicologiche, biologiche e sociologiche in cui viene
impiegato. Il segno esprime ma non denota il suo inter­
pretante; il suo rapporto con l’interprete diventa qualcosa

un rivoluzionario metodo d’indagine per la cura di certe malattie


mentali e con ciò anche per l’abbattimento di molti pregiudizi sociali;
essa diede però origine ad una specie di dottrina sulla natura della
psiche e anzi ad un’intera visione del mondo, che sono entrambe da
rifiutarsi come mitiche. L’importanza della psicoanalisi è stata ed è
enorme, con conseguenze in campi anche lontani come la critica
d’arte. Nella terminologia di Morris, i processi di cui si occupa la
psicoanalisi sono evidentemente segnici; lo stesso Freud, infatti, ha
lasciato importanti contributi sul simbolismo.
Del pragmatismo si è fatto cenno nell’Introduzione e, più 0 meno
direttamente, in diverse note. V. anche la nota 99.
li. Uso e abuso pragmatico 105

che può essere designato solo ad un livello più alto. Quando


ciò vien fatto e si trova una correlazione, il segno acquista
un valore diagnostico individuale e sociale, e diventa così
un nuovo segno a un più alto livello di semiosi. Sia i segni,
sia le cose che non sono segni, possono diventare segni dia­
gnostici: il fatto che un paziente abbia la febbre mostra
certe cose intorno al suo stato; allo stesso modo, il fatto che
un certo segno sia usato da una persona esprime lo stato
in cui si trova la persona stessa, giacché l’interpretante del
segno fa parte della condotta dell’individuo. In questi casi,
il medesimo veicolo segnico può funzionare come due segni :
il paziente lo interpreta riferito ai suoi denotata, chi fa la
diagnosi riferito al l’interpretante del segno del paziente (96).
Non soltanto è possibile considerare tutti i segni da un
punto di vista pragmatico; per certi scopi è anche perfetta­
mente legittimo usare i segni al solo fine di produrre certi
processi d’interpretazione, senza star lì a vedere se ci siano
oggetti denotati dai segni e perfino se le combinazioni
segniche siano formalmente possibili in base alle regole di
formazione e di trasformazione della lingua in cui sono
normalmente impiegati i veicoli segnici in questione. Alcuni .
logici mostrano di avere una specie di paura generalizzata
delle contraddizioni; essi dimenticano che le contraddizioni,
se impediscono il normale dedurre, possono essere del tutto
compatibili con altri interessi. Anzi, tutti i segni linguistici
hanno molti altri impieghi oltre a quello di comunicare
proposizioni confermabili: possono essere variamente usati

(96) Questo brano dovrebbe servire anche a chiarire la questione


dei livelli di semiosi, di cui nelle note 83 e 84. È importante ricor­
dare che si parla di livello “ più alto ” solo perché si era partiti da
' una certa semiosi, la quale, a sua volta designata, diventa “ più bassa
!
106 V. Pragmatica

- per controllare il comportamento proprio, o di altri che li


adoperano, col produrre certi interpretanti. Comandi, do­
mande, suppliche ed esortazioni sono di questo tipo; come
i -i pure, in misura notevole, i segni usati nelle arti letterarie,
plastiche e pittoriche. Per usare efficacemente i segni a scopo
;I estetico e pratico, occorre spesso impiegare gli stessi veicoli
i
segnici in modo molto diverso da quello che si rivela più
! • efficace per gli scopi della scienza. Dobbiamo scusare scien­
ziati e logici se giudicano dei segni in base ai loro interessi;
il scmioticista deve però interessarsi a tutte le dimensioni
e a tutti gli usi dei segni; sintattica, semantica e pragmatica
i dei segni usati in letteratura, nelle arti, nella moralità, nella
religione e nei giudizi di valore in generale sono oggetto
della sua ricerca tanto quanto i segni usati nelle scienze.
Nell’uno come nell’altro caso l’uso del veicolo segnico varia
con lo scopo cui deve servire (97).
La semiotica deve dunque difendere la legittimità del­
l’interesse che per certi scopi viene rivolto all’effetto del
segno su chi lo interpreta; essa deve però anche porsi il
compito di smascherare la confusione, sia essa non inten­
zionale 0 deliberata, fra questi vari scopi cui i segni pos­
sono servire. Come certe asserzioni, che propriamente sono
:
! (97) È confermata la larghezza clell’impostazione di Morris, libera
dalle limitazioni del positivismo logico. Di particolare interesse le
osservazioni intorno al linguaggio non-scientifìco, che negli ultimi ven­
tanni è stato oggetto d’indagini sempre più accurate (ricordiamo fra
gli altri i nomi di Stevenson, Toulmin e Hare). Rivedi la nota 37,
e poi tutto il § 17. Si noti che il variare dell’aro di un veicolo segnico
è variare del segno stesso, perché il veicolo segnico usato in due (o più)
modi diversi reca due (0 più) significati, suscita due (o più) inter­
:
:!ì
ir
pretanti. V. la nota 124.
il. Uso e abuso pragmatico 107

sintattiche o semantiche, possono assumere una veste che le


fa sembrare asserzioni su oggetti non-linguistici, cosi pos­
sono mascherarsi anche certe asserzioni pragmatiche; diven­
gono allora, come asserzioni quasi-pragmatiche, una forma
particolare di pseudo enunciati cosali. Nei casi di chiara
disonestà, vediamo che un certo scopo viene raggiunto col
dare ai segni impiegati le caratteristiche di asserzioni con
dimensione sintattica o semantica, in modo che essi sem­
brino dimostrati dal raziocinio o sostenuti dall’esperienza,
mentre di fatto non sono alcuna delle due cose (98). Si
può invocare un’intuizione intellettuale superiore al metodo
scientifico per impedire che venga meno la validità di quella
che si vuol far passare per una vera asserzione. Talvolta la
mascherata non consiste nel mettere una dimensione nei
panni di un’altra, e ha invece luogo nell’ambito della sola
dimensione pragmatica; uno scopo, che non potrebbe .pie­
namente sostenersi alla luce di un esame critico, viene espresso
in una forma adatta ad altri scopi: atti aggressivi di indi­
vidui e di gruppi sociali si drappeggiano spesso nel manto
della moralità, e spesso lo scopo dichiarato non è quello
reale. Una giustificazione tipicamente intellettualistica del­
l’uso disonesto dei segni sta nel negare che la verità abbia
altre componenti oltre a quella pragmatica, ciò che per­
mette di dichiarare vero ogni segno che favorisca gli inte­
ressi di chi se ne serve. L’analisi fatta più sopra dovrebbe

(98) Qui c’è veramente molto da imparare. -Anche il successivo


accenno all’intuizione intellettuale è delizioso. Si veda in proposito il
Manuale di critica scientifica e filosofica di Richard Von Mises, trad.
di V. Villa, Milano: Longanesi, 1950, pp. 607 [Kleines Lehrbuch des
Positivismus], opera per molti versi invecchiata ma piena di sani ragio­
namenti sulle pretese dei filosofi all’antica.
108 V. Pragmatica

aver chiarito che ‘ verità ’, nel suo uso comune, è un ter­


mine semiotico, sicché non lo si può usare nell'ambito di
una sola delle dimensioni: a meno che questo uso venga
esplicitamente dichiarato. Coloro i quali amano credere che
‘verità’ sia un termine strettamente pragmatico, per soste­
nere le loro vedute si riferiscono spesso ai pragmatisti; ma
naturalmente dimenticano di notare (o di far notare) che il
pragmatismo, come continuazione dell’empirismo, è una gene­
ralizzazione del metodo scientifico per scopi filosofici, e non
può certo sostenere che quei fattori nell’uso comune del
termine ‘ verità ai quali esso ebbe il merito di volgere
l’attenzione, abbiano l’ufficio di distruggere gli altri fattori,
che già in precedenza erano stati avvertiti (99). Alcune delle
asserzioni'di James, se si prendono isolatamente, sembrereb­
bero giustificare questa perversione del pragmatismo; ma
nessuno può studiare seriamente James senza accorgersi che
la sua dottrina della verità, in linea di principio, era piena­
mente semiotica : non c’è dubbio ch’egli ammettesse di
dover considerare fattori formali, empirici (100) e pragma­
tici; la sua difficoltà maggiore stava nell’integrazione di
questi fattori, e ciò perché gli mancava la base fornita da

(99) Cioè: il pragmatismo mette in luce i fattori pragmatici nel­


l’uso comune di ‘ verità ma non con questo vuol negare i fattori
sintattici e semantici. La novità del vero pragmatismo sta nelTinter-
pretare la verità anche dal punto di vista pragmatico, che era stato
fin ad allora trascurato; non nelPescludere gli altri due punti di vista
(come moltissimi critici del pragmatismo hanno creduto, affiancandosi
in questo errore d’interpretazione a chi pensava di potersi servire del
pragmatismo per gli scopi non belli descritti da Morris).

; (100) Ricordiamo che ‘ empirico ’ vale qui per ‘ semantico ’ : vedi


nota 65.
li. Uso e abuso pragmatico 109

una teoria dei segni ben sviluppata. Dewey ha specifica­


mente respinta l’accusa d’identificare verità e utilità. Il prag­
matismo ha insistito sugli aspetti pragmatici e pragmatistici
i della verità; il pervertimento di questa dottrina dell’opi­
nione che la verità abbia soltanto quegli aspetti è un caso
interessante di come i risultati di un’analisi scientifica pos­
sano essere falsati per rendere credibili asserzioni quasi-
pragmatiche.
Gli pseudo enunciati cosali di tipo quasi-pragmatico non
sono, per lo più, inganni deliberatamente perpetrati me­
diante l’uso dei segni, ma casi d’inconsapevole inganno di
se stessi. Così un filosofo, che abbia certi bisogni imperiosi,
può costruire, partendo da una base empirica relativamente
ristretta, un elaborato sistema segnico, magari in forma ma­
tematica, dove però ja più gran parte dei termini resta senza
regole semantiche d/impiego^ l’impressione che il sistema
riguardi il mondo, e sia magari superiore alla scienza quanto
a verità, deriva allora da confusioni fra enunciati analitici e
sintetici e dall’illusione che gli atteggiamenti congeniali evo­
cati dai segni costituiscano delle regole semantiche. Ritro­
viamo una manifestazione similare nella mitologia, ma senza
l’influsso evidente di tipi d’espressione scientifici (101).

(101) Morris si riferisce ai sistemi filosofici detti metafisici, come


quelli di Platone, di Spinoza, di Hegel. Questi sistemi contengono
un’enorme ricchezza spirituale; ma se ci si mette da un punto di
vista che, pur senza cadere nello scientismo (n. 94),'tenga conto dei
metodi d’indagine sviluppati dalle scienze moderne, diventa molto
diffìcile se non impossibile accettare quello che essi sembrano volerci
dire del mondo, della realtà. La natura del discorso filosofico, come
pure quella del mitologico e di molti altri “ tipi di discorso ”, sarà
oggetto di ampia trattazione in SLC.
no V. Pragmatica

Un’aberrazione particolarmente interessante dei processi


semiotici ha luogo in certi fenomeni studiati dalla psico-
patologia. Naturalmente i segni prendono il posto degli
1 oggetti, che designano, solo in misura limitata; ma se,
••
per una ragione o per l’altra, gli interessi del soggetto non
: possono venir soddisfatti negli oggetti stessi, i segni si fanno
avanti a prendere sempre di più il posto degli oggetti.
Questo sviluppo è già evidente nel segno estetico, dove
però l’interprete non giunge al punto di confondere real­
mente il segno con l’oggetto che esso designa: l’uomo
descritto o dipinto vien chiamato uomo, d’accordo, ma ci
si rende conto più o meno chiaramente del suo status
segnico — si tratta solo di un uomo dipinto o descritto. Nel­
l’uso magico dei segni la distinzione è fatta con minor
chiarezza; operazioni sul veicolo segnico prendono il posto
di operazioni sull’oggetto, che è più elusivo. In certi tipi
d’insania la distinzione fra il designatum e gli eventuali
denotata svanisce; l’incomodo mondo di ciò che esiste real­
mente viene spinto da parte, e gli interessi frustrati si sod­
disfano come possono nel reame dei segni, eludendo in
varia misura le restrizioni di consistenza e di verificabilità
imposte dalle dimensioni sintattica e semantica. Il campo
m della psicopatologia offre grandi opportunità di applicare la
semiotica e di contribuire ad essa. Molti ricercatori in questo
campo hanno già riconosciuto che il concetto di segno vi
tiene una posizione-chiave. Ove, sotto la guida del pragma­
tismo, i fenomeni mentali siano visti come risposte segniche,
Tesser coscienti di qualcosa come riferimento fatto alla cosa
per mezzo di segni (102), e il comportamento razionale

(102) Il testo dice soltanto « consciousness [be equated] with refer-


cnce by signs » (p. 42); si tratta di uno dei possibili modi di spiegare

sa•:
!<
'
il. Uso e abuso pragmatico in

(o “ libero ”) come controllo della condotta in base alle con­


seguenze rese prevedibili dai segni, la psicologia e le scienze
sociali potranno identificare in cosa propriamente consista
il loro compito e al tempo stesso chiarire la propria posi­
— zione nell’ambito di una scienza unificata. In verità, non
sembra fantastico credere che il concetto di segno possa
i mostrarsi altrettanto fondamentale per le scienze dell’uomo
i
di quanto lo sono stati quello di atomo per le scienze
= fìsiche o quello di cellula per le biologiche (103).
!
! la coscienza nel senso di consapevolezza e auto-coscienza (la coscienza
morale non c’entra, perché per essa si usa in inglese un altro termine,
‘ conscience ’). Si veda un altro cenno ai rapporti fra le scienze sociali
e psicologiche e la semiotica al termine del § 15.
(103) Si confronti l’aflermazione fatta da Morris nel § 8, in cor­
rispondenza alla nota 67, sugli strati dei segni.

!
!
-
VI. L’UNITÀ DELLA SEMIOTICA
i
!

12. Il significato (104).


I
i
Abbiamo studiato alcuni aspetti del fenomeno del funzio­
namento segnico distinguendo fra sintattica, semantica e
pragmatica, cioè per mezzo d’astrazioni, proprio come i bio­
logi studiano anatomia, ecologia e fisiologia (105). Abbiamo

(104) Il termine inglese ‘ meaning ’ non equivale in modo completo


* al nostro ‘ significato ’ : a volte dice qualcosa di più, altre volte qual­
cosa di meno. Avvertiamo di questo nel caso che lo studio del pre­
sente paragrafo sveli qualche forzamento dell’uso italiano comune:
se ciò avviene, si pensi, oltre che a ‘ significato a * significazione ’
■ e ‘ significare ‘ senso ’ e ‘ aver senso ’, ‘ voler dire ’ e ‘ voler dire una
qualche cosa (in quanto distinta da altra cosa)’, ‘significatività’. Come
vedremo, Morris considera l’analisi del termine ‘ significato ’ provvi­
soria, e il suo uso non 'indispensabile alla semiotica. Lo abbandonerà
infatti nei paragrafi seguenti c poi anche in SLC.
(105) L’ecologia studia i rapporti degli organismi con l’ambiente
in cui vivono. Un organismo può venir studiato nell’ambito della
?
biologia da molti punti di vista, ognuno dei quali, quando è appli­
cato, può entro certi limiti prescindere da tutti gli altri. L’oggetto
di studio resta però sempre unitario. Allo stesso modo, le branche della '
.
semiotica studiano sempre e soltanto la semiosi, cioè quel fenomeno
unitario in cui qualcosa funziona come segno.

i
12. Il significato IX3

esplicitamente ammesso che si tratta di astrazioni, e tenuto


le tre sotto-discipline della semiotica in correlazione costante;
dobbiamo ora, in modo ancor più esplicito, mettere a fuoco
l’unità della semiotica e volger lo sguardo a questa unità.
In senso largo, semiotico è ogni termine della sintattica,
della semantica e della pragmatica; in senso stretto, sono
semiotici soltanto quei termini che non è possibile definire
nell’ambito di uno solo dei campi componenti. ‘ Segno
‘ linguaggio ‘ lingua ‘ semiotica ‘ semiosi ’, ‘ sintattica ’,
‘ verità ’, 4 conoscenza ecc., sono termini semiotici in senso
stretto. Ma che dire del termine ‘ significato *? Nella discus­
sione che precede, lo si è deliberatamente evitato. Ed è in
genere meglio lasciarlo perdere, quando si discute di segni;
teoricamente, se ne può fare a meno e non lo si deve incor­
porare nella lingua della semiotica. Siccome però esso ha
tutta una tradizione storica dietro di sè, e siccome nell’esa-
minarlo si possono chiarire alcune importanti implicazioni
del presente ragguaglio, dedichiamogli pure un paragrafo.
Si fanno confusioni quanto al “ significato di ‘ signifi-
y
cato perché, fra l’altro, non si distingue con sufficiente
ìì

chiarezza quale sia la dimensione di semiosi in esame: ciò


che avviene anche nelle confusioni che si fanno sui termini
‘ verità ’ e 4 logica In alcuni casi ‘ significato ’ si riferisce
a designata, in altri a denotata; talvolta all’interpretante,
altra a ciò che il segno implica; in taluni usi al processo di
semiosi come tale, e spesso alla significatività, al valore (106).

(106) Come quando diciamo “ quest’opera ha molto significato ”,


o domandiamo quale sia il significato di un autore nella storia del
pensiero o della letteratura. Conoscendo le articolazioni della semio­
tica di Morris, non è difficile trovare esempi di domande riguardanti
il significato di un termine, alle quali risponderemmo riferendoci ora
8 - C. Morris, Lineamenti di una teoria dei segni.
ir4 VI. Unità della semiotica

Confusioni similari si trovano negli usi comuni di ‘ designa ’,


‘significa’, ‘indica’, ‘esprime’; nonché in vari tentativi,
fatti da linguisti, di definire termini come ‘ enunciato ’ (107),
‘ parola ’, ‘ parte del discorso L’interpretazione più carita­
tevole di queste confusioni è suggerire che, per i fini vastis­
:
simi cui servono le lingue d’ogni giorno, non è stato neces­
sario denotare con precisione i vari fattori della semiosi, e ci
si limita ad accennare vagamente al processo con il termine :
‘ significato ’. Quando però questi vaghi usi vengono tra­
1
sferiti in domini dove è importante comprendere la semiosi,
si ha per risultato la confusione. Diventa allora necessario :
abbandonare il termine 4 significato ’, oppure escogitare mezzi
per chiarirne l’uso. La semiotica non si fonda su di una
teoria del “ significato ”; è il termine 4 significato ’ che deve
essere invece chiarito per mezzo della semiotica (108).
Un altro fattore di confusione ha carattere psicologico-
linguistico: in genere gli uomini trovano difficile pensare
con chiarezza su complicati processi funzionali e relazionali, :
il che trova riscontro nel prevalere di certe forme lingui­
stiche. L’azione fa centro sulla manipolazione di cose che
hanno delle proprietà; e del fatto che queste cose e pro-
!
! al designatimi, ora al denotatum, e via dicendo. Ci si chieda, per
j
! esempio, quale sia il significato di ‘ cane e si pensi di dover rispon­
' dere interpretando * significato ’ nel senso delle varie espressioni quasi
sinonimiche elencate nella nota 104.
(107) Traduciamo come al solito ‘sentence' con ‘enunciato’ (cfr.
nota 20); in grammatica si distingue invece fra “ frase ” e “ periodo ”,
e ‘ proposizione ’ è usato in maniera indipendente dalla distinzione
filosofica fra “ proposizione ” ed “ enunciato ”.
(108) Si noti la diversa virgolatura : ‘ significato ’ è un termine,
44 significato ” è il significato del termine * significato V. nota 15, (11).
12. Il significato IJ5

prietà appaiono soltanto in contesti complicati ci si rende


conto solo molto più tardi e con molto maggiore difficoltà. Di
qui la naturalezza di ciò che Whitehead ha chiamato ‘ fal­
lacia della localizzazione semplice ’ (109). Quello che avviene
nel caso presente è che uno si mette a cercare significati
: nella maniera in cui i bimbi rincorrono le biglie con cui
giocano : considera un significato come una cosa in mezzo
3 ad altre, un che di definito, definitamente situato in un
qualche luogo. Lo si può cercare nel designatum, che si
trasforma così, presso certe varietà di “ realismo ”, in un
tipo speciale di oggetto, una “ idea platonica ” che dimora
nel “ reame del sussistente ”, magari afferrata da una facoltà
speciale messa a intuire le “essenze”; oppure lo si può cer­
care nel l’interpretante, che si trasforma allora, presso il con­
cettualismo, nel concetto o idea dimorante in uno speciale
reame di entità mentali, il cui rapporto con gli “ stati psi­
chici ” dei singoli interpreti è assai difficile dichiarare; ovvero,
disperati dalla contemplazione delle precedenti alternative,
lo si può cercare nel veicolo segnico, benché in sede storica
solo pochi “ nominalisti ”, se pur ci furono, abbiano soste­
nuto questa posizione. Alla stregua dei fatti, nessuna di
queste posizioni si è mostrata soddisfacente; e nessuna ci
occorre. Come termini semiotici, né * veicolo segnico ’, né
‘ designatum ’,-né ‘ interpretante * possono venir definiti senza

(109) « Fallacy of simple location » (p. 44): la cosa vien chiarita


subito dopo nel testo. Di A. N. Whitehead si è già detto nella nota 31.
La fallacia di una proprietà comune che si pensa poter rintracciare in
tutto ciò che vien designato da un certo termine è stata ed è oggetto
di accuratissime analisi da parte di Ludwig Wittgenstein (1889-1951)
e dei suoi seguaci della scuola di Cambridge e Oxford (v. note 49 e 52).
n6 VI. Unità della semiotica

reciproco riferimento; non stanno quindi per (no) degli


esistenti isolati, ma per cose o proprietà di cose che si tro­
vano in certe specificabili relazioni funzionali con altre cose
o proprietà (m). Uno “ stato psichico ”, e perfino una rispo­
sta (112), non è come tale un interpretante: lo diviene, e
rimane tale, solo £uanto_ sia un “ rendersi-conto-di-quaP
cosa
" """evocato eia un veicolo segnicorNessun ometto come
: talee un denotatum; ma lo diviene, e rimane tale, in quanto
l'­ sia un- mèmbro'*'della classe di oggetti design abili da un vei-
colo segnico pei\ jprza della regola semantica del veicolo
stessa Nulla è intrinsecamente segno o veicolo segnico; ma
diventa e rimane tale solo in quanto permetta che qualcosa
si renda conto di qualcos’altro per mezzo della sua media­
zione (113). I significati non debbono venir localizzati in
un qualche posto del processo semiosico, come fossero degli
esistenti; vanno invece caratterizzati nei termini di questo

(110) ‘Stare per qualcosa’ è espressione generica utile ad indicare


la presenza della dimensione semantica, 0 ancor più vagamente di un
qualsiasi rapporto semiosico, senza dover precisare di che tipo di rap­
? porto si tratti (in inglese ‘ to stand for ’).
; (111) È ribadito qui e subito dopo nel testo il carattere della
semiosi, per cui le proprietà di essere interpretante, denotatum, etc.,
sorgono e permangono solo ove si formi e finché permanga il rapporto
funzionale della semiosi stessa. Dove ho tradotto con ‘ divenire e rima­
nere ’ il testo dice (per es. di uno stato psichico) « in so far as it is »
(p. 45); tradurre ‘ nella misura in cui è ’ 0 ‘ fintantoché è ’ sarebbe
stato povero; il senso comunque non cangia.
(112) Sempre nel senso tecnico, di cui nelle note 2 e 9.
I (113) Si noti anche qui l’estrema generalità dell’impostazione: a si
rende conto di b grazie a cì dove a b c sono soltanto dei “ qualcosa
Vedi le note 9 (iv), io, 72.

»
12. Il significato 117

processo preso nella sua interezza. ‘ Significato ’ è un ter­


mine semiotico, non un termine della lingua cosale; dire
che in natura ci sono dei significati non è affermare che
ci sia una classe di entità così come ci sono alberi, rocce,
organismi e colori, bensì che ci sono oggetti e proprietà fun­
zionanti in processi di semiosi.
Questa formulazione evita anche un’altra persistente causa
d’errore, cioè la credenza, che il significato sia per principio
personale, privato, soggettivo. In sede storica, questa veduta
si formò specie in seguito all’assimilazione del concettua­
lismo in una psicologia associazionistica che accettava acri­
ticamente la comune credenza metafisica nella soggettività
dell’esperienza. Persone come Occam e Locke (114) si ren­
devano ben conto dell’importanza dell’abito nel funziona-

(114) I due noti pensatori inglesi, che tanta importanza diedero


allo studio filosofico del linguaggio. Guglielmo di Occam (Ockham,
1290 c. - 1349 c.) tenne la logica ben distinta dalla metafisica e svi­
luppò la prima nella dottrina detta terminismo. secondo la quale
Funi versatele un termine soltanto, cioè un .segno, enon una cosa.
Anzi, la logica tutta si occupa non già delle cose, ma del linguaggio:
è una scienza non di prima, ma di seconda istanza o intentio (nota 74).
Giovanni Locke (1632-1704) nel suo Saggio sulla capacità umana
d’intendere (normalmente si traduce il termine inglese ‘ understanding ’
con ‘ intelletto ’, il che a me sembra insoddisfacente) combatte fra
l’altro la dottrina scolastica delle essenze, che interpreta come fatti
puramente verbali (definizione di termini generali). Certo Morris “sta
dalla parte ” del nominalismo di Occam e di Locke quanto a men­
talità; ma una prova di come egli sia critico di fronte all’empirismo
tradizionale l’abbiamo proprio qui avanti nel testo. Bisogna guardarsi
dunque da facili etichettature: il movimento di pensiero cui Morris
appartiene è qualcosa di nuovo, che non si può ridurre a posizioni
storiche già note e criticate.
n8 VI. Unità della semiotica

mento dei segni (115); ma quando la psicologia associazio­


nistica procedette a ridurre sempre più i fenomeni mentali
a combinazioni di “ stati psichici e a concepire questi stati
come interni alla “ mente ” dell’individuo e accessibili sol­
tanto ad essa, tale si finì per considerare anche il significato.
I significati erano inaccessibili all’osservazione dall’esterno;
ma gli individui, servendosi di fonazioni, grafie e altri .
segni, riuscivano in un qualche modo a comunicare questi
stati mentali privati.
La nozione della soggettività dell’esperienza non può
essere analizzata qui con la cura che il problema merita.
Si ritiene tuttavia che una tale analisi mostrerebbe come
anche ‘ esperienza ’ sia un termine relazionale che si ma­
schera da nome cosale. X è un’esperienza se e solo se c’è un
qualche y (lo sperimentante) (116) che si trova nella rela-

(115) V. le note 69 e 85. La psicologia associazionistica cui Morris


si riferisce è ovviamente quella deirempirismo inglese dal Seicento
all’Ottocento, del materialismo francese del Settecento, di Federico
Herbart (1776-1841) e della sua scuola.
(116) Ingl. ‘ experiencer Dovrebbe esser chiaro che il termine ita­
liano introdotto, ‘ sperimentante *, sta qui per ‘ colui che ha l’espe­
rienza potremmo anche dire ‘ ciò che ha l’esperienza ’, perché qui
pure non è detto che si debba restringere l’uso di ‘ esperienza ’ agli
organismi (cfr. la nota 72). Allo stesso modo, adopereremo più avanti
il verbo ‘ sperimentare ’ nel senso di ‘ avere o provare un’esperienza ’
(ted. erfahren), qualunque sia poi il senso di questo * avere ’ o * pro­
vare ’. Si pensi anche a un termine generale come ‘osservatore ’ e
alla triade “ osservatore-osservato-osservazione ” in corrispondenza alla
triade “ sperimentante-esperienza-relazione d’esperienza Lo sperimen­
tare nel senso di far delle prove o degli esperimenti non c’entra affatto.
12. Il significato 119

zione d’esperienza con x. Se E è un’abbreviazione per ‘ rela­


zione d’esperienza ’, allora la classe degli y, tale che y sta
nella relazione E con qualcosa, è la classe degli sperimen­
tatiti; e gli x, cui qualcosa sta nella relazione E, costituisce
la classe delle esperienze. Un’esperienza, dunque, non è una
speciale classe di oggetti in mezzo ad altri; è oggetti in una
certa relazione. Non caratterizzeremo qui la relazione E in
maniera esauriente (il farlo è per l’empirismo un compito
centrale); come prima approssimazione, possiamo però dire
che sperimentare qualcosa è rendersi conto delle sue pro­
prietà con una condotta appropriata; e che l’esperienza è
diretta nella misura in cui ciò vien fatto col rispondere diret­
tamente alla cosa in questione, indiretta nella misura in cui
vien fatto attraverso segni (117). Acciocché yx sperimenti xìy

(117) Il “ciò” che “vien fatto” è in entrambi i casi il “rendersi


conto ” di cui sopra. È importante che Morris parli del “ rendersi
conto delle proprietà di una qualche cosa ” come di un’attività che
va svolta. Siamo ben lontani dal passivismo deH’empirismo tradizio­
nale. È inoltre importante la tesi che, essendo ‘ esperienza ’ un ter­
mine relazionale, il rapporto soggetto-oggetto, croce e delizia di tutto
il filosofare, si presenta solo nell’ambito dell’esperienza in atto. In
altre parole, non ci sono uno sperimentante e uno sperimentato (una
esperienza, nella terminologia di Morris) in attesa d’essere uniti dalla
relazione d’esperienza. Così nemmeno la relazione d’esperienza è qual­
cosa di precedente a sperimentante e sperimentato (esperienza): essa
si forma solo in quanto sperimentante e sperimentato entrino fra loro
in una certa relazione, quella che Morris ha approssimativamente
descritta come “a che, comportandosi in un certo modo, si rende
conto delle proprietà di b “. Per non confondere le cose, occorre tener
ben presente che Morris si serve di ‘ esperienza ’ per ciò che è speri­
mentato, non per lo sperimentare 0 esperienza in atto; e chiama invece
lo sperimentare ‘ relazione d’esperienza Però si avverte in quanto
!
120 VI. Unità della semiotica

basta che regga la yvExx; abbiamo esperienza conscia se yxExx


è a sua volta un’esperienza (cioè se regge la yxE [yj?*,]),
! altrimenti l’esperienza è inconscia (118). Un’esperienza xx è
di fatto soggettiva nei riguardi di y„ se y, è il solo che si
trova nella relazione E con xx; un’esperienza xx è intrinseca- \
mente soggettiva nei riguardi di y„ relativamente a un certo
stato del sapere, se le leggi di natura di cui disponiamo \
permettono di dedurre che nessun altro y può trovarsi in
tale relazione con Un’esperienza è di fatto intersoggettiva
se non è di fatto soggettiva, ed è potenzialmente intersog­
gettiva se non è intrinsecamente soggettiva (119). Si noti

egli dice una certa residua ambiguità fra esperienza come relazione
d’esperienza ed esperienza come sperimentato. Già nell’uso comune,
‘ esperienza ’ serve sia per * sperimentato sia per * esperienza in atto ’,
‘sperimentare’, ‘relazione d’esperienza’; e forse in italiano saremmo
portati ad adoperare il termine più nel secondo senso (in una delle
tre sfumature dette) che nel primo. Siccome lo stesso Morris presenta
la sua analisi come affatto provvisoria, non è il caso d’insistere troppo.
■i Gli esempi dati nella nota 119 mostreranno tuttavia che anche la
•; nozione d’esperienza come sperimentato richiede ulteriori elaborazioni.
(118) L’espressione y\E[yxEx^\ si può leggere “ y1 è in relazione
; d’esperienza con yxEx19 cioè con il fatto che yx è in relazione d’espe­
rienza con x! ”, ovvero “ y, sperimenta il suo proprio sperimentare xx
Vale a dire che ha un’esperienza conscia quando in realtà ne ha
due l’una sull’altra.
(119) Se io (y,) guardo un quadro e sono il solo a guardarlo, l’espe-
rienza-di-guardare-quel-quadro (*j) è di fatto mia soggettiva. Se io
(yj e tu (y2) guardiamo insieme lo stesso quadro, l’esperienza-di-
guardare-quel-quadro (x-f) è di fatto intersoggettiva fra me e te. Se
io avverto un dolore al mio piede sinistro, l’esperienza del dolore è
intrinsecamente mia soggettiva (giacché tu non potrai mai provare il
mio dolore). Potenzialmente intersoggettive sono tutte le esperienze che
12. Il significato 121

che, messe le cose a questo modo, ci possono essere aspetti


di una persona che altri sperimentano direttamente, e quella
stessa persona no: cosicché il confine fra esperienza sog­
gettiva e intersoggettiva non coincide in alcun senso con la
distinzione fra sperimentanti e oggetti esterni (120).

non sono soggettive in modo intrinseco, cioè che sono soggettive solo
di fatto; e per questo rimandiamo a quanto scrive Morris più avanti
nel testo. Qual’è però, nel caso del quadro che io guardo, lo speri­
mentato (vedi nota 117 in fondo)? Il quadro o il mio guardarlo?
Rispondere a questa domanda nel primo o nel secondo senso significa,
in genere, propendere per una posizione realistica o idealistica in
fatto di percezione. Anche solo un tentativo di risposta richiederebbe
argomenti troppo lunghi e complessi per questo commento.
Il riferimento alle leggi di natura di cui si dispone a un certo
stadio del sapere, che Morris fa a proposito delle esperienze intrinse­
camente soggettive, consiste in questo, che con il progresso delle cogni­
zioni umane, del dominio delPuomo sulla natura tutta e quindi anche
su se stesso, certe esperienze credute private possono venir condivise
da più soggetti e il limite dell’intrinsecamente soggettivo può restrin­
gersi. Per es. la psicoanalisi ha portato alla luce, e quindi reso in un
certo senso intersoggettivi, processi che sembravano chiusi nel. segreto
del soggetto (non per questo dobbiamo pensare alla psicoanalisi come
a metodo per la scoperta di realtà psichiche considerate come essenze,
nel senso criticato nelle note 13, 93 e altrove. Si veda anche la
nota 95).
(120) Questa è una conclusione di notevole importanza, che mette
a fuoco la discussione precedente (sia del testo che delle note). Espe­
rienze soggettive non sono quelle che riguardano lo sperimentante
ed esperienze intersoggettive non sono quelle che riguardano gli
oggetti esterni: non nel senso che non lo possano essere, ma in
quello che non lo sono necessariamente. Dati uno sperimentante e
un oggetto esterno qualsivogliano, di entrambi ci possono essere espe-
ri
122 VI. Unità della semiotica

Quale portata può avere questa analisi (che è solo un


tentativo preliminare) sulla questione del significato? Ove i
fatti ci autorizzino, si può ammettere che ci sono certe
esperienze, le quali restano di fatto soggettive fin tanto che
si tratta di esperienza diretta (121); e che ciò può avvenire
1
anche quando si tratta dell’esperienza diretta del processo di
semiosi; nulla ci sarebbe di sorprendente nella conclusione
che, se io sono l’interprete di un determinato segno, si
danno aspetti del processo d’interpretazione dei quali io ho
esperienza diretta ma altri no. Quello che importa è che
una conclusione siffatta non sarebbe in contrasto con la tesi
della intersoggettività potenziale di ogni significato. Il fatto
che y1 e y2 non si trovino in relazione di diretta esperienza

rienze soggettive come intersoggettive, e ciò sia per lo stesso speri­


mentante sia per altri. Il dogma di cui occorre liberarsi, insomma, è
che intersoggettivo sia solo ciò che riguarda il mondo detto esterno.
• Ciò è falso in due sensi. Primo, perché un oggetto del mondo detto
esterno può costituirsi in esperienza solo mia soggettiva. Secondo,
perché un fatto del mondo che io dico mio privato (interno a me,
personale) può costituirsi in esperienza intersoggettiva fra me e altri,
o anche — me escluso — fra altri sperimentanti: basti pensare al
caso in cui tutti sono d’accordo nell’attribuirmi un’intenzione di cui
io non sono consapevole, e 'che magari sinceramente nego quando
*
ri me la sento attribuire. Un modo spiccio per riassumere questo com­
mento è dire che la distinzione fra soggettivo e intersoggettivo non
solo non è identica a quella fra sperimentanti e oggetti esterni, o a
quella fra soggettivo e oggettivo, o a quella fra privato e pubblico,
! ma anzi le taglia tutte di traverso. Questo aspetto del pensiero di
Morris è giunto, credo però per altra via, a Gilbert Ryle, che nello
! Spirito come comportamento (Torino: Einaudi, 1955) lo sviluppa a
fondo con grande abilità.
(121) Cioè senza segni intermediari: v. nota 117 e testo relativo.
I
12. Il significato I23

con l’esperienza che ognuno di essi ha di non impedisce


che ciascuno dei due sperimenti direttamente xx; o che desi­
gni indirettamente (e così indirettamente sperimenti), me­
diante l’uso di segni, le relazioni d’esperienza in cui si trova
l’altro — poiché in certe circostanze un oggetto, che non può
essere direttamente sperimentato, può tuttavia essere deno­
tato (122). Applicando questo risultato al caso di un deter­
minato segno: yx e y2 possono differire quanto all’esperienza
diretta che ognuno di essi ha della situazione significante;
tuttavia, ci può essere un significato che essi possiedono
insieme; e ognuno di essi può, in generale, essere in grado
di stabilire ciò che l’altro vuol significare con quel determi­
nato segno, nonché la misura in cui i due significati coin­
cidono o differiscono. Per determinare il significato di Sx
(dove Si è un veicolo segnico) per y,, non è necessario che
il ricercatore diventi y x o abbia le di lui esperienze di Sx:
è sufficiente determinare come Sa sia connesso ad altri segni
usati da y„ in quali situazioni yx si serva di Si con lo scopo
di designare, e quali siano le aspettazioni di yx quando
risponde a Su Nella misura in cui le stesse relazioni valgono
per y2 come per y„ Si ha lo stesso significato per yt e
per y2; nella misura in cui le relazioni in questione diffe­
riscono per yy e y2, Si ha un significato differente.
In breve, siccome si può specificare esaurientemente il
significato di un segno accertando le sue regole d’impiego,
in linea di principio il significato di ogni segno è esaurien-

(122) Dunque: (1) il fatto che yxE [y2Exx] e y,E [y.Ex»] non
reggano, non comporta che nemmeno reggano yxExx e y2Ex resta
il fatto che (y„ y2)Exl. (11) y, può dare un designazione di yaExx
e y2 di yiExx : dove y2Exx è, attraverso la designazione, un’esperienza
indiretta di y„ e viceversa.
124 VI. Unità della semiotica

temente determinabile con la ricerca obiettiva. E siccome è


allora possibile, ove lo si ritenga opportuno, uniformare l’uso
accertato, si addiviene a questo, che il significato di ogni
segno è potenzialmente intersoggettivo. Perfino quando il
veicolo segnico è intrinsecamente soggettivo, si può avere
conferma indiretta che c’è quel veicolo segnico e proprio
con quel significato (123). È vero che in pratica la deter­
minazione del significato è difficile e che le differenze nel­ !
' l’impiego dei segni (124) fra persone anche dello stesso

(123) Per la distinzione fra segno e veicolo segnico si veda nelle


note 9 (ni) e (iv), 29, 88. Essa non mi sembra perfettamente salda.
Non m’è del tutto chiaro, anche qui, se per es. si debba intendere
il veicolo segnico solo come un oggetto fìsico che funziona da segno
(nel qual caso è discutibile l’ipotesi, ora espressa da Morris, di un
veicolo segnico intrinsecamente soggettivo), o anche come una qual­
siasi cosa che venga a trovarsi nel rapporto di semiosi (nel qual caso
anche uno stato d’animo può essere un veicolo segnico, ma allora
diventa un po’ più diffìcile distinguere fra segno e veicolo segnico).
Vedi anche la nota 52 a e il testo relativo, e la nota 124.
(124) « Difjerences in sign usages » : cioè, come si diceva nella
i nota 90, “ differenze negli usi segnici costituiti ” più che “ differenze
nel modo in cui ci si serve di un dato segno ”. Ho tradotto generica­
mente con “ differenze nell’impiego dei segni ” perché non mi sembra
che nei Lineamenti la distinzione fra “ use ” e “ usage ”, e con ciò
fra “ language ” come “ linguaggio ” e “ language ” come “ lingua ”,
sia ben stabilita; mentre d’altra parte mi sembra ch’essa vi sia sempre
in un qualche modo implicita, fino al punto di comandare l’inter­
vento del commentatore. Qui sopra nel testo pare che Morris si
riferisca di nuovo alla lingua piuttosto che al linguaggio, tanto è
vero che aggiunge subito una precisazione in senso sociologico (« fra
persone anche dello stesso gruppo sociale »); più avanti, nel § 15,
; distinguerà fra “ funzioni segniche ” e “ costrutti linguistici ”, ma
!
!
12. Il significato I25

gruppo sociale possono essere piuttosto grandi. Ma quel che


conta è formarsi la convinzione teorica che la soggettività

la distinzione non sarà approfondita, e resterà possibile contestare che


anche dei costrutti linguistici noi “ ci serviamo
La distinzione, come già abbiamo detto, è di somma importanza
■ per lo studio tecnico-filosofico del linguaggio; e questo è forse il
luogo per riprendere in breve i cenni fatti nelle note 24, 61, 69, 88,
90 (si rivedano anche le note 27, 29, 37, 45, 52, 66, 74, 85, 94; e si
vedano poi le 130 e 143). Nel modo in cui ci si serve di un dato
segno (linguistico o no), cioè nella funzione segnica in esame, non
ci possono essere differenze: nel senso che, se ci sono, il modo o fun­
zione non è più lo stesso, ma un altro; e se cambia il modo cambia
anche il segno (note 85, 97 e 69 (ni)). Invece le differenze negli usi
segnici costituiti naturalmente sussistono sia nel senso di caratteristiche
1 personali degli interpreti (nota 69 (1)), sia in quello di eventi sociali
di una comunità linguistica in un determinato momento del suo svi­
luppo storico (nota 69 (11)). A noi come filosofi o studiosi di semio­
tica interessa il modo in cui ci si serve di un dato segno, la funzione
segnica; non l’uso istituzionale. Ma come distinguere fra i due in
ogni dato caso posto ad esame?
La risposta è che la distinzione è complessa e difficile, e che vi si
esprimono tutta una mentalità e tutta una tecnica di ricerca. Per evi­
tare confusioni, bisognerà tener sempre presenti i rapporti fra lin­
guaggio e lingua. Ecco, in forma molto succinta e incompleta, alcuni
aspetti di tali rapporti, quali si possono presentare nell’avvio e nel
perseguimento di una data ricerca. (1) Si parte, ovviamente, da una
lingua; altrimenti si resterebbe zitti. (11) Si cerca di stabilire quali
tecniche reggano l’impiego dei termini che si è deciso di esaminare
nella lingua da cui si è partiti, (ni) Ove, adoperando come termine
di paragone una determinata funzione di linguaggio che è stata
isolata, ci si imbatta in un cangiamento di uso costituito (itsage\ cioè
di lingua, il cangiamento va ridotto a cangiamento nella tecnica
impiegata, cioè nel linguaggio in generale. Senza questo continuo
126 VI. Unità della semiotica

di certe esperienze, comprese quelle di semiosi, è compa-

forzamento della ricerca verso la dimensione del linguaggio come


insieme di tecniche, di comportamenti, il cangiamento di cui sopra
farebbe guizzar via l’oggetto d’indagine; e uno si ritroverebbe a far
opera di filologo o sociologo che descrive la realtà linguistica data
nelle sue articolazioni più minute, con atteggiamento in certo modo
passivo. Appare dunque il senso in cui lo studio tecnico-filosofico del
linguaggio comporta sempre un’attività, una costruttività da parte di
chi lo pratica, (iv) A questo punto uno può desiderare di far sì che
la lingua come insieme di usi costituiti, come materiale esistente, si
pieghi alle tecniche che sono state distinte nel nostro servirci del
linguaggio come tipo di comportamento umano. Il desiderio è legit­
timo, e nel realizzarlo si addiviene ad una progressiva riformulazione
della lingua stessa in cui l’indagine è svolta. Ma è un desiderio che
va moderato, perché c’è un senso in cui la realtà linguistica è, invero,
data; e se la cangiassimo a nostro piacere rischieremmo di non
venir più nemmeno intesi dai nostri simili. In altre parole, la ricerca
deve invero far confluire i suoi risultati in quella stessa lingua da
cui ha prese le mosse; ma deve anche contenersi nei limiti del
comunicabile. Si è così tornati ad (1).
Con una diversa formulazione, la semiotica e qualsiasi altro tipo
f
di studio tecnico-filosofico del linguaggio possono venir intesi come
progressivo aumento della consapevolezza che si ha del linguaggio
dentro alla lingua, cioè del comportamento linguistico dell’uomo quale
esso ci appare dentro agli usi linguistici costituiti di cui ogni lingua
è fatta. Una parte di ciò può essere riespressa anche così: interessano
i segni, non i veicoli segnici.
L’esperienza mostra che a perder di vista l’uno o l’altro degli
aspetti di questo metodo di lavoro si cade rapidamente o dalla parte
della lingua pensata troppo indipendentemente dal linguaggio (cioè
verso la filologia 0 verso la sociologia: ciò che diventa un fatto
negativo in quanto l’assunto non era filologico o sociologico); ovvero
dalla parte del linguaggio pensato troppo indipendentemente dalla
12. Il significato 127

tibile con la possibilità di determinare in modo obiettivo ed


esauriente qualsiasi significato (125).
Abbiamo introdotto il termine ‘ significato * solo provvi­
soriamente, al fine di svolgere le implicazioni della posizione
assunta; d’ora in avanti lo tralasceremo, esso nulla aggiunge
alla collezione dei termini semiotici. Val la pena di far
notare che gli argomenti svolti mostrano come ciò che
chiameremo analisi segnica risponda alle esigenze della ricerca
scientifica. L’analisi segnica è la determinazione delle^dimeiv
sioni sintattica, semantica e pragmatica. djLsp£.cifici processi
31 semiosi e delle regole d’impiego..di.-determinati. veicoli
segnici. L’analisi logica, nel senso più largo del termine
. ‘logica*, coincide con l’analisi segnica; in sensi più ristretti,
l’analisi logica è parte di quella segnica, per es. è studio
dei rapporti sintattici del veicolo segnico esaminato. L’analisi
segnica è semiotica descrittiva, e la si può svolgere in accordo
con tutti i riconosciuti principi del metodo scientifico.

lingua (cioè verso il lirismo filosofico personale ed incontrollato, che


sottrae la ricerca ai metodi intersoggettivi e al piano di controllo
offerto dalla realtà di una data lingua in atto). La semiotica di Morris
corre, malgrado il suo residuo scientistico, piuttosto il secondo pericolo
che il primo; l’accennata scuola di Cambridge-Oxford corre invece
piuttosto il primo.
(125) Tutto questo brano a partire dalla nota 122, e anzi tutto
questo § 12, mira a stabilire la possibilità del lavoro intersoggettivo
in filosofia e a caratterizzare questo lavoro nel senso che abbiamo
ripetutamente indicato come “ studio tecnico-filosofico del linguaggio
Le due etichette di cui preferisce servirsi Morris, ‘ semiotica ’ e ‘ analisi
segpica ’, possono essere preferite a quella proposta nelle note; ma
hanno forse questi svantaggi, che la prima avanza la pretesa del­
l’estraneità alla filosofia, la seconda può far pensare ad un’analisi come
contrapposta ad una sintesi.
;
!
128 VI. Unità della semiotica 1
?
1

.13. Universali e universalità. !

Alcuni aspetti della “ universalità ” (o generalità) dei segni


hanno attirato molta attenzione; e la loro spiegazione è i

stata fonte di numerose dispute filosofiche. Se guardiamo i 1


fenomeni, cui ci si riferisce vagamente con gli stanchi ter­ I
mini ‘ universali ' e ‘ universalità ’, attraverso il prisma del­
l’analisi semiotica, possiamo discernere gli elementi costi­ !
tutivi di quei problemi e vederne i rapporti. :
Ci si può accostare all’argomento nei termini della distin­
zione fatta da Peirce fra sinsegno e legisegno : un sinsegno ?
è un particolare qualcosa. die funziona come segno, mentre
un legisegno è una “legge ” che funziona come segno. Una
particolare serie di grafie in un determinato posto, come ;
‘ casa è un sinsegno; ma questa specifica collezione di \
grafie non è la parola italiana casa, perché questa parola
è “ una ”, mentre gli esempi e le repliche che se ne possono
dare sono tante quante volte la parola è impiegata. Questa
è una legge o abito d’impiego, un “ universale ” in quanto
contrapposto alle sue istanze particolari. Peirce fu colpito da
questa situazione, tanto che considerò la differenza [fra sin­
segno e legisegno] fondamentale nella sua classificazione
dei segni : essa mostrava nel dominio dei segni quei feno­
meni della legge (abito, terzità, jnediazione), sull’oggettività
dei quali egli tanto insistette (126).
i

(126) Per Peirce vedi la nota 26. Si comprende che il termine


‘sinsegno’ deriva dal fatto che si tratta di un segno singolo, ‘ legi­
segno ’ dalla nozione di regolarità, di legge. I concetti di abito, ter-
zità [thìrdness] e mediazione sono sviluppati nella logica e nella 1
13. Universali e univérsalità 129

La nostra formulazione è compatibile con il punto di


vista di Peirce; il paragrafò precedente dovrebbe aver chia­
rito che la semiosi, come processo funzionale, è altrettanto
reale e oggettiva dei fattori componenti che funzionano nel
processo. Si deve anche ammettere che in un dato caso di
semiosi dove, poniamo, ‘ casa ’ funziona come veicolo segnico,
questo sinsegno 0 particolare caso di semiosi non è identico
al legisegno casa. Che cos’è allora un legisegno, e dove
troveremo “ universali ” e “ universalità ” in semiosi ? In linea
di principio, la risposta dovrà dirci che c’è un elemento di
universalità o generalità in tutte e tre le dimensioni; e che,
quando queste non vengono distinte e quando si confondono
asserzioni nella meta-lingua con asserzioni nella lingua cosale,
sorgono qui come altrove delle confusioni.
È sperimentalmente dimostrabile che in un dato processo

metafisica di Peirce. Per l’abito basti quanto ne dice Morris avanti


nel testo; per gli altri due ecco un passo di Peirce : « Ci sono tre
concezioni, che continuamente ricorrono in ogni fase d’ogni teoria
della logica... La prima è quella dell’essere 0 esistere indipendente
da qualsiasi altra cosa. La seconda è quella dell’essere relativo a,
del reagire con, qualcos’altro. La terza è la concezione della media­
zione, nella quale un primo e un secondo sono messi in rapporto [da
un terzo] » (Collected Papers, voi. VI, § 32). Peirce cercò di fissare
una caratteristica distintiva di tutto ciò che intendiamo per * segno ’
e sinonimi, cioè cercò di definire nel modo più generale possibile la
segnità. Per es. : « Segno... è un qualcosa che, per qualcuno, sta per
qualcos’altro sotto un qualche rispetto» (ib.t voi. II, § 228). Lungi
tuttavia dal cadere nella fallacia della localizzazione semplice o della
proprietà comune (n. 109), egli si occupò a lungo e sottilmente anche
delle differenze dei segni, ravvisandone in un primo momento dieci
classi fondamentali e giungendo poi a distinguerne addirittura ses-
santasei varietà.
9 - C. Morris, Lineamenti di una teoria dei segni.
130 VI. Unità della semiotica

di semiosi vari veicoli segnici possono venir sostituiti al vei­


colo segnico originale senza che si verifichi alcun muta­
mento importante nel resto del processo. Il battito del metro­
nomo cui un animale è condizionato (127) può accelerare 0
rallentare entro certi limiti senza che la risposta dell’animale
abbia a mutare; il vocabolo ‘casa’ può essere pronunciato
in momenti diversi, dalla stessa o da diverse persone, con
vari cangiamenti di tono, e tuttavia destare in ogni caso
la medesima risposta e venir usato per designare gli stessi
oggetti. Se la parola è scritta, le sue dimensioni possono
variare moltissimo, il carattere può mutare di lettera in let­
tera, il materiale usato può essere di vari colori. È molto
difficile stabilire, anche se si usano le tecniche sperimentali
più accurate, quali siano in ogni dato caso i limiti di tale
variazione, e che cosa rimanga costante nell’ambito del
variabile; ma sul fatto della variabilità non c’è dubbio pos­
sibile. A rigore, il veicolo segnico è soltanto quell’aspetto

(127) In psicologia ‘ condizionare ’ vuol dire far sì che a un certo


stimolo segua una certa risposta. In particolare, “ riflesso condizio­
nato ” è quello di un organismo che ad uno stimolo ne associa un
altro, in modo che poi risponde a quest’altro come se si trattasse
del primo. Nei classici esperimenti dello scienziato russo Ivan P.
Pavlov (1849-1936), che fondò la dottrina dei riflessi condizionati,
un cane, abituato a sentir suonare un campanello ogni volta che
vede il cibo, finisce per secernere saliva al suono del campanello
anche in assenza del cibo. Se secerne saliva vuol dire che, in un
qualche modo, il suo organismo ha risposto al campanello come se
si trattasse di cibo. Si è dunque creata in esso un’associazione fra il
suono del campanello e la presenza del cibo. Il campanello ha fun­
zionato come segno del cibo. Si comprende l’importanza di ciò per
lo studio dei segni. Infatti Morris svilupperà poi in SLC un’interpre­
tazione del segno proprio in base all’esempio ora riferito.
—5

13. Universali e universalità 131

del veicolo segnico apparente, in virtù del quale [aspetto]


ha luogo la semiosi; il resto è semioticamente irrilevante (128).
Dire che un dato veicolo segnico è “ universale ” (o generale)
è meramente dire che esso appartiene a una classe di oggetti
che hanno la proprietà o le proprietà necessarie a destare
- certe aspettazioni, a combinarsi in determinate maniere con
altri veicoli segnici, a denotare certi oggetti: è cioè dire
che esso è un membro di una classe di oggetti, i quali
§ sono tutti soggetti alle medesime regole d’impiego segnico.
Così ‘casa’ e ‘CASA’ possono essere lo stesso veicolo
segnico, ma ‘ casa ’ e ‘ Haus ’ (129) non lo sono; il fatto che
‘ la casa è rossa ’ sia conforme alle regole dell’italiano,
1 mentre ‘ la Haus è rossa ’ non lo è, mostra che non si tratta
dello stesso veicolo segnico, perché le regole d’impiego sono
(in parte) diverse (130). Nessuna delle discipline che si occu-

(128) “ Veicolo segnico apparente ” è qui l’oggetto che funziona


come segno; è detto “ apparente ” perché è l’oggetto quale ci appare,
in tutta la sua eventuale complessità. Ma veicolo segnico in senso
stretto è soltanto quell’aspetto dell’oggetto che è sufficiente a provo­
care il processo di semiosi. Il veicolo segnico apparente può cang:are
■ moltissimo; ma deve restar costante quell’aspetto che ne fa un veicolo
segnico in senso stretto: nel caso di parole scritte, una certa dispo­
sizione grafica che noi abbiamo imparato ad associare con certi suoni,
con un certo oggetto, con un certo abito d’interpretazione.
(129) ‘ Haus ’ = ‘casa ’ in tedesco, lingua nella quale i sostantivi
si scrivono con la maiuscola anche nel corso del periodo.
(I3°) La misura in cui queste regole differiscono ci interessa però
molto meno di quella in cui esse coincidono. ‘Haus* differisce da
‘ casa’ perche e parola di un’altra lingua, per es. neutra in tedesco e
femminile in italiano; ma se attraverso la lingua guardiamo al lin-
guaggio, quello che importa è che esse significano la stessa cosa,
* Casa ’ non è un esempio eccitante. Si pensi invece a termini come
132 VI. Unità della semiotica

pano di segni è interessata alla completa descrizione fisica


del veicolo segni co; di questo si occupa solo nella misura
in cui esso è soggetto a regole d’impiego.
In ogni specifico caso di semiosi, il veicolo segnico è -
naturalmente un particolare definito, un sinsegno; la sua r
“ universalità ”, il suo essere un legisegno, consiste solo nel
!
fatto (asseribile nella meta-lingua) che esso è un membro
i
di una classe di oggetti capaci di svolgere la medesima fun­
zione segnica. l
Troviamo un altro elemento costitutivo del problema in
fatto di dimensione semantica. Il designatimi di un segno
è 1 a classe Jx.aggetti, che^ un segnQ_puà^denQtare. .in_yirtù i

‘ anima * valore ‘ Dio ’, ‘ causa ’, ‘ universale *, ‘ numero * : qui, una


volta ammesse e studiate eventuali differenze d’uso nelle varie lingue
naturali, restano ampie zone comuni, ed è in queste che risiedono i
problemi di ognuno di quei termini. In altre parole, lo studio tecnico-
filosofico del linguaggio (o analisi segnica, come lo chiama Morris)
non si occupa delle regole d’impiego di * valore ’, * valeur ’, ‘ value ’,
‘ Wert ’, eccetera, in quanto termini distinti, ma in quanto termini
che recano significazioni comuni a tutti gli uomini, o almeno suffi­
cientemente estese fra di essi. Cioè ancora: non ci si vuole occupare
delle differenze che, al livello delle lingue naturali come complessi
di usi costituiti in un certo momento storico, si danno, poniamo,
fra ‘valore’ e ‘ valeur1 ; ma di quello che intendiamo quando par­
liamo di “ valore ” 0, indifferentemente, di “ valeur ”. L’indagine
della reale situazione storica in cui un certo termine ha impiego
-W
presso una certa cultura si distingue dunque da quella perseguita da
Morris e da chi come lui si volge al linguaggio con un atteggiamento
tecnico e con il fine di migliorare le proprie conoscenze sul compor­
tamento linguistico dell’uomo. Le due indagini possono esser pensate
come parallele; si può dire che fra esse non si dà concorrenza, ma
solo collaborazione. Cfr. la nota 124.
13. Universali e universalità 133

della sua regola semantica La regola può permettere che


il segno sia applicato a un solo oggetto, o a molti ma non
a tutti, o a qualsiasi cosa. Qui “ universalità ” è .semplice-
mente potenzialità di denotare più di un singolo oggetto o
situazione. Siccome quest’asserzione è semantica, se ne può
fare un’altra guardando al rapporto di denotazione nel
verso opposto: si può cioè dire che degli oggetti hanno la
proprietà dell’universalità quando sono denotabili mediante
10 stesso segno. Un certo numero di oggetti o situazioni
rispondono alle condizioni poste dalla regola semantica di
un certo segno nella misura in cui è possibile applicare loro
11 segno stesso; vi è allora qualcosa di egualmente vero
per ognuno di essi, *e sotto questo aspetto, o entro questi
limiti, essi sono la stessa cosa — qualsiasi altra differenza sia
poi riscontrabile fra di essi è irrilevante al caso particolare
della semiosi. ‘ Universalità (o generalità) degli oggetti ’ è
locuzione semantica; e chi parla come se ‘universalità’ fosse
un termine nella lingua cosale, designante entità (“ univer­
sali ”) nel mondo, discorre per pseudo enunciati cosali di
tipo quasi-semantico. Questo fatto fu riconosciuto nel me­
dioevo dalla dottrina secondo la quale ‘ universalità ’ è ter­
mine di seconda e non di prima istanza [intenzione]; in
linguaggio contemporaneo, è termine che appartiene alla
semiotica, non alla lingua cosale. Nella lingua cosale abbiamo
soltanto termini le cui regole d’impiego li rendono applicabili
a una pluralità di situazioni; se vogliamo parlare del mondo
nel linguaggio delle cose, possiamo dunque dire soltanto che
in esso ci sono sovente gruppi di oggetti o di situazioni che
possono venir denotati da un singolo segno (131).

(131) Il nerbo della posizione di Morris in fatto di universali è


forse questo. Dal punto di vista semantico, il problema delTuniver-
*34 VI. Unità della semiotica

Una situazione simile appare nella sintattica, dove le


relazioni dei veicoli segnici sono studiate nella misura in
cui risultano determinate da regole di formazione o tra­

salita diventa uno pseudo-problema ove appena si dimentichi che il


linguaggio non consiste soltanto di termini ed enunciati cosali (il cui
designatum non include segni), ma anche di termini ed enunciati -
che designano altri termini ed enunciati. La dimenticanza permette
di credere che anche ‘ universale ’ designi o addirittura denoti un =
qualche oggetto o situazione (si vedano le note 34, 35, 83, 84).
Abbiamo invece la proprietà deiruniversalità quando un segno può
denotare più di un oggetto o situazione, ciò che è come dire che
I
un gruppo di oggetti o situazioni possono venir denotati dallo stesso
segno. Si.tratta dunque di proprietà disposizionali del segno e, rispet­
tivamente, degli oggetti. Perché queste ultime asserzioni siano intese,
bisogna però tener sempre presente che esse non sono cosali, ma
semantiche. Loro designatum è un certo rapporto (semantico) fra il
segno e il designatum del segno; e l’elemento universale sta in
questo rapporto, non nel segno 0 nelle cose indipendentemente dal
rapporto (di qui il riferimento alla seconda istanza 0 intendo, di cui
nella nota 74). Il mondo e il linguaggio sono così visti insiemej e
non come due pezzi staccati che si cerca poi di ricongiungere. Impor­
tante anche l’osservazione di Morris, che tutti gli oggetti 0 situazioni
cui è applicabile un dato segno sono, in questo, la stessa cosa, comun­
que differiscano sotto altri rispetti. Per prendere un esempio classico,
tutti i cavalli sono la stessa cosa perché, e nella misura in cui, a tutti
spetta il nome ‘ cavallo e il nome 4 cavallo ’ gli spetta perché quella
è la regola d’impiego del termine ‘ cavallo ’. Non c’è alcun mistero
nel fatto che un asino lo chiamiamo 4 asino ’ e non 4 cavallo ’ : si tratta
di convenzioni semantiche. Antistene aveva detto a Platone di vedere
i cavalli, ma non la cavallinità; è Platone lo aveva rimproverato di
avere soltanto gli occhi materiali, con i quali si vedono i cavalli, ma
non quelli della mente, con i quali si scorge, al di là dei cavalli, la
cavallinità. Aveva ragione Antistene a negare la cavallinità come
13. Universali e universalità J35

sformazione. Una combinazione di veicoli segnici è un par­


ticolare, ma può condividere la sua forma con altre com­
binazioni di veicoli segnici; in altre parole, un certo numero
di combinazioni di differenti veicoli segnici possono essere
istanze della medesima regola di formazione o di trasfor­
mazione. In questo caso la combinazione segnica partico­

lare ha un’universalità formale o sintattica.
=
Dal punto di vista della pragmatica, due considerazioni
hanno importanza per il presente problema. Una è correla­
tiva alla situazione semantica già descritta. Il fatto che certi
veicoli segnici possono denotare molti oggetti corrisponde al
fatto che le aspettazioni sono più o meno determinate,
sicché un’aspettazione può essere soddisfatta da un certo
numero di oggetti. Uno si aspetta una bella giornata do­
mani, e molte sono le condizioni del tempo che possono
soddisfare la sua aspettazione. Una risposta in una situa­
zione particolare ha da essere specifica; tuttavia, è pragma-
ticamente vero che risposte simili sono spesso suscitate da
veicoli segnici diversi e soddisfatte da oggetti diversi. Da
questo punto di vista l’interpretante (come è di qualsiasi

ente; e aveva ragione Platone a insistere sulla costanza di “ cavallo ”


di fronte a tutti i cavalli, cioè sul concetto di cavallo. Ma i due non
potevano mettersi d’accordo, perché l’uno affermava una cosa, che
l’altro negava solo dopo aver, accettato la natura dell’affermazione
da negare. Chi più non ricorre ad affermazioni e negazioni ontolo­
giche, tende oggi a dire che la cavallinità è il fatto che il termine
‘ cavallo ’ possa venir applicato ad una pluralità di oggetti. Il meta­
fisico problema degli universali trova così un’impostazione semantica.
A queste considerazioni semantiche Morris ne aggiungerà ora
altre, di carattere sintattico e pragmatico; e giungerà a distinguere
cinque tipi di universalità in semiosi.
136 VI. Unità della semiotica

abito) ha un carattere di “ universalità ” che contrasta con


la sua particolarità in una situazione specifica. Si può distin­
guere nella pragmatica un secondo aspetto di universalità
segnica: l’universalità sociale, che risiede nel fatto che un
=
segno può essere comune a un certo numero d’interpreti.
Occorre pertanto distinguere cinque tipi di universalità
in semiosi. Dato l’uso così vario del termine ‘ universalità :
c
che certo in alcuni dei cinque casi non suonerebbe appro­
priato, useremo al suo posto il termine ‘ generalità ’. Ci sono,
dunque, cinque tipi di generalità segnica: generalità del
veicolo segnico, generalità della forma, generalità della deno­
tazione, generalità dell’interpretante, generalità sociale. Il
punto essenziale è che ognuno di questi tipi di generalità
può essere dichiarato solo nell’ambito della semiotica; di
conseguenza, generalità è un concetto relazionale, e infatti
tutte le branche della semiotica altro non investigano che
relazioni. Parlar di qualcosa come di un “ generale ” o di 1
un “ universale ” è semplicemente usare uno pseudo enun­ !r
ciato cosale al posto della non ambigua espressione semio­ t
tica; quei termini possono significare soltanto che il qual­
cosa in questione si trova con un qualche altro qualcosa in
una delle relazioni racchiuse nei cinque tipi di generalità
segnica che abbiamo distinti (132). Si conserva così quello
che di significativo c’era nelle unilaterali interpretazioni sto­
ricamente note come- nominalismo, realismo e concettuali­
smo; e ci si libera nel contempo delle ultime tracce della

(132) Si tratta del rapporto di due “ qualcosa ” [something] : Morris


si serve di questo termine per non far venire in mente alcunché di
definito e per evitare che si pensi per es. ai soli oggetti fisici (cfr. già
i
nella nota 9 (iv)). Il testo dice : «... thè something in question stands
to something or other in one of thè relations... » (p. 52).
13. Universali e universalità *37

concezione sostanzialistica o entistica (133) della generalità:


in quanto ci si rende conto di quale sia il livello di discorso

: (133) * Concezione sostanzialistica o entistica ’ = ‘ substantive or


entitive conccption ’. Il termine ‘ substcìntive ’ andrebbe reso con ‘ so­
stantiva in quanto la concezione del generale cui Morris si riferisce
I consiste proprio nel considerare ‘ generale ’ un nome in senso stretto,
un sostantivo come ‘ cavallo invece che un termine relazionale.
Pensarlo come sostantivo fa pensare ad una sostanza fìssa da esso
denotata 0 almeno designata.
Da questo esame degli universali attraverso le tre dimensioni della
semiotica risulta dunque che le differenze fra singolare 0 particolare
e universale o generale, sulle quali la storia della filosofia ha tanto
insistito, starebbero semplicemente nel diverso modo in cui gli
uomini si servono di certi fatti linguistici. Diciamo “ semplicemente ”
non perché lo studio delle tecniche linguistiche applicate dagli uomini
sia in alcun modo facile (anzi: ci sono voluti duemila anni perché
esse ricevessero l’attenzione che meritano); ma perché semplice è la
soluzione in confronto alle terribili strutture metafisiche che da molti
erano state erette intorno a concezioni non-semiotiche degli stessi
problemi. In confronto a queste strutture, la posizione di Morris potrà 1I
sembrare di colore nominalistico, così come tutta la sua semiotica
potrà esser fatta rientrare nella corrente dell’empirismo. Abbiam detto t
come queste etichette siano pericolose per nuovi sviluppi del pen­ -
siero. Di fatto, quello che Morris ci dice sugli universali potrà !
venir discusso quanto si vuole, e richiederà chissà quali elaborazioni.
Ma mostra una strada che non ha più nulla a che fare con lo stesso 1
nominalismo, non foss’altro perché questo consisteva nell’accettare di
parlare dell’esistenza dell’universale per poi dire che tale esistenza
risiedeva solo nel nome, nel flatus vocis. Ben lontani da quest’ultima
tesi, quello che oggi si tende a fare è rifiutare nel suo complesso la-
situazione teoretico-conoscitiva da cui sorgevano le tradizionali oppo­
sizioni; per accettare qualcosa da ognuna di queste su di un piano
nuovo. i


138 VI. Unità della semiotica

che permette di discutere la generalità stessa, e del carattere


relazionale dei termini impiegati a questo livello.

14. Interrelazione delle scienze semiotiche.

Siccome oggi si tende alla ricerca specializzata in sin­


tattica, semantica o pragmatica, è bene insistere con energia
sui rapporti che legano queste discipline dentro alla semio­
tica. Infatti la semiotica, in quanto è qualcosa di più di
queste discipline, si occupa prevalentemente dei rapporti che
intercorrono fra loro; e con ciò del carattere unitario della
semiosi, che quelle, individualmente, ignorano.
Un aspetto dell’interrelazione è messo in luce dal fatto
;
che nessuna delle discipline componenti, per quanto ognuna
di esse si occupi in un modo o nell’altro di segni, è in
grado di definire da sola il termine ‘ segno esse non possono
:
pertanto definire se stesse. ‘ Sintattica ’ non è un termine
nella sintattica, ma un termine strettamente semiotico (134), r
e lo stesso si può dire di ‘ semantica ’ e ‘ pragmatica ’. La sin­
1
tattica parla di regole di formazione e trasformazione, ma
le regole sono modi possibili del comportamento: riman-

(134) Abbiamo già incontrata diverse volte la distinzione fra ter­


mini soltanto sintattici, semantici e pragmatici e termini strettamente (
;
semiotici (per es. nel § 9: v. nota Sia; e all’inizio del § 12). Può sor­
gere una confusione per via di quello 4 strettamente ’ riferito a ciò che k
è più ampio, alla semiotica in quanto contrapposta alle tre discipline
componenti. Si intenda che certi termini, per es. lo stesso 4 segno ’,
possono venir usati solo tenendo presenti tutte e tre le sotto-discipline. *
Qui 4 stretto ’ equivale dunque a 4 pienamente precisato ’, 4 largo ’ a
4 precisato solo in parte ’.
i
!
i
ì
14. Interrelazione delle scienze semiotiche *39

dano alla nozione d’interprete; ‘ regola pertanto, è un


termine pragmatico. La semantica si riferisce esplicitamente
soltanto a segni in quanto designanti oggetti o situazioni;
ma tale rapporto non c’è senza regole semantiche d’impiego,
sicché anche qui è implicito un rimando alla nozione d’in­
terprete. La pragmatica si occupa direttamente solo di segni
in quanto interpretati; ma ‘interprete’ e ‘interpretante’
non possono essere definiti senza usare ‘ veicolo scgnico ’ e :
‘ designatum ’, cosicché tutti questi termini sono strettamente
semiotici. Queste considerazioni — e sono alcune soltanto
fra le molte possibili — mostrano che le discipline semio­
tiche componenti, malgrado la loro indipendenza scientifica,
non possono venir caratterizzate e distinte se non nei ter­
mini della più vasta disciplina di cui fan parte.
Bisogna poi dire che anche chi si concentra su di una
dimensione della semiosi si serve di termini che hanno tutte
e tre le dimensioni e impiega i risultati dello studio delle
altre. Le regole che governano i veicoli segnici della lingua
studiata han da esser comprese, e ‘ comprendere * è un ter-
jpÌne_pragmatÌ£Q. Le regole per combinare e trasformare
possibili veicoli segnici non possono esser composte mera­
mente di possibili veicoli segnici: devono funzionare di
fatto come segni (135). Nella sintattica descrittiva si deb-
;

(135) La distinzione fra “ di fatto ” (potremmo anche dire “ in


atto ”) e “ possibili ” (potremmo anche dire “ potenziali ”) rimanda
a questo. La sintattica studia collezioni di oggetti combinati fra I
loro per mezzo delle regole di formazione e di trasformazione; cioè
studia formalmente degli oggetti che possono esser segni nel senso
pieno, ma che, fin quando l’indagine resta soltanto sintattica cioè
soltanto formale, non lo sono di fatto o in atto (cfr. il § 5). Quando
poi la collezione di oggetti viene interpretata (nota 44), i veicoli
140 VI. Unità della semiotica
f
bono avere dei segni per denotare i veicoli segnici studiati,
e lo scopo deve essere quello di fare delle asserzioni vere
=! intorno a questi veicoli segnici; ma ‘ denotare ’ e ‘ vero non
' sono termini sintattici. La semantica studierà il rapporto di
i!
una combinazione segnica con ciò che essa denota o può
11 denotare; ma ciò richiede la conoscenza della struttura di
».!
quella combinazione segnica e delle regole semantiche in
virtù delle quali il rapporto di denotazione può sussistere.
La pragmatica non può fare gran che se non tien conto
delle strutture formali, di cui deve cercare il correlato prag­
matico, e del rapporto dei segni con gli oggetti, rapporto
che cerca di spiegare mediante la nozione di abito d’im­
piego. Infine, la sintattica, la semantica e la pragmatica sono
lingue, e hanno pertanto tutte e tre le dimensioni: desi­
gnano un qualche aspetto della semiosi, hanno una strut­
tura formale e hanno un aspetto pragmatico nella misura
in cui sono usate e comprese.
! La semiotica come scienza è resa possibile dall’intimo
rapporto delle sue sotto-discipline, le quali tuttavia non ces­
sano di rappresentare tre punti di vista irriducibili e pari-
menti legittimi, che corrispondono alle tre dimensioni ogget­
tive della semiosi. Ogni e qualsiasi segno può essere guar­
dato in ognuna delle tre direzioni possibili, anche se nes­
suna di queste è di per sè sufficiente a farci vedere la semiosi
nel suo complesso. Così nessuna delle tre dimensioni è
limitata nel senso che a un certo punto lo studioso debba

segnici passano dallo stato potenziale a quello in atto. Comunque,


anche quando l’indagine è soltanto formale, cioè anche quando la
collezione non viene ancora interpretata, le regole di formazione e
trasformazione degli oggetti componenti la collezione stessa devono
pur avere tutte e tre le dimensioni, essere segni nel senso pieno.

:
14. Interrelazione delle scienze semiotiche 141

=2 abbandonarla per passare ad un’altra. Si tratta sempre di


guardare alla semiosi; soltanto che, quanto meglio uno si I
concentra nello studio dal punto di vista che ha assunto,
-j tanto più, e deliberatamente, trascura quegli aspetti del pro­
2 cesso semiosico che si presentano a chi guarda da uno degli
5 altri due. La sintattica, la semantica e la pragmatica sono
i insomma le componenti di una scienza sola, la semiotica:
9

_ componenti, però, mutualmente irriducibili.


-=

i
I
;
s
1

VII. PROBLEMI E APPLICAZIONI

15. Unifìcazio?2€ delle scienze semiotiche.

Ci resta il compito di mostrar brevemente quali pro­


blemi abbiam lasciati aperti in fatto di semiotica e quali
siano i possibili campi di applicazione. Raggrupperemo il
materiale, un po’ alla buona, sotto tre titoli: l’unificazione
delle scienze semiotiche, la semiotica come organo delle
scienze, le implicazioni umanistiche della semiotica. Le osser­
vazioni che seguono vogliono essere semplici suggerimenti,
i-
indicare direzioni piuttosto che soluzioni.
1 L’esposizione fatta è stata adattata a quelli che sono gli.
scopi di un’introduzione. Si sono ignorate vaste zone del
campo; si è spesso sacrificata l’esattezza della formulazione
per evitare diffuse analisi preliminari; l’esame degli esempi
introdotti è stato portato avanti solo quanto bastava a get­
tare una qualche luce sul punto in discussione. Anche ad
ammettere che i contorni più vasti della semiotica siano
corretti, è chiaro che siamo ancora ben lontani da una
scienza costituita. Il progresso richiederà la collaborazione
di molti ricercatori. C’è bisogno sia di chi trova dei fatti
sia di chi li sistema. I primi debbono accertare le condizioni
nelle quali si ha semiosi e ciò che precisamente avviene nel

p*
15. Unificazione delle scienze semiotiche 143

4
processo; i secondi, alla luce dei fatti disponibili, debbono
sviluppare una struttura teorica precisa e ben organizzata,
della quale si serviranno a loro volta i futuri accertatori di
I fatti (136). Un problema teorico importante è quello del
4
(136) È questo, in nucey il processo della ricerca scientifica. Esso
muove in genere attraverso fasi del tipo delle seguenti, che qui sche­
matizziamo a fine puramente didattico. (1) Su di un certo numero di
fatti accertati in una certa misura si sviluppa una prima teoria
elementare. (2) Questa teoria elementare viene usata come ipotesi per
la ricerca e il migliore accertamento di nuovi fatti. (3) I nuovi
fatti vengono organizzati in una struttura teorica più complessa,
che si cerca di far discendere per intero da alcuni singoli principi
il più possibile semplici, economici, unitari. Il processo che dai
fatti reca _ai..,principi è detto induzione, quello che dai principi
reca ai fatti, deduzione. La validità dei principi così raggiunti viene
messa a prova per mezzo d’esperimenti ben costruiti. (4) Ove tali
principi, e con essi tutta la struttura teorica già costruita, siano con­
fermati dagli esperimenti, si può tentar di passare dalla fase esplica­
tiva a quella preditiva: cioè di predire lo sviluppo di certi processi
ben individuati e isolati, nei quali occorrano i fatti di cui nella terza • }
fase. Quello che dovrà essere il risultato di cui si è in cerca viene
dedotto allora dai principi stabiliti. In genere a questo punto non si i
parla più di principi, ma di leggi. (5) Se anche la predizione riesce, i:
si cerca di passare alla fase del condizionamento, che consiste nel
cercar di imporre la nostra volontà sullo svolgimento dei processi
isolati, e ciò al fine di realizzare i nostri fini nel mondo. Così aumenta
il dominio dell’uomo sulle cose.
Alcune osservazioni. (1) Il momento teorico e il momento osser­
vati vo-sperimentale non sono due tronconi separati, né partecipano di
una qualche diversa realtà (per es., si sarebbe tentati di dire, il teo­
rico della ragione e l’osservativo-sperimentale dell’esperienza). Tutt’al
contrario, si tratta di due procedimenti che vengono svolti di pari
passo, che non sono pensabili l’uno senza l’altro, e che derivano
1
M4 VII. Problemi e applicazioni

rapporto fra i vari tipi di regole. La teoria dei segni pro­


posta si apre a molti possibili contatti con il lavoro concreto
di biologi, psicologi, psicopatologi, linguisti e studiosi del
'
! ’

entrambi sia dalla ragione sia dall’esperienza. Così, per esempio, certe
osservazioni possono essere indispensabili alla costruzione di un’ipo­ ;
tesi di lavoro; le osservazioni, a loro volta, non sono mai un passivo j
aprir gli occhi di fronte alla natura, ma costituiscono anzi già qual­
cosa di altamente attivo che l’uomo compie sulle cose; gli esperimenti
poi non potrebbero esser compiuti se non ci fosse già tutta una com­ s
plessa struttura teorica. Anche qui, insomma, dobbiamo guardarci ;
dal pensare l’uomo diviso in due pezzi, la ragione che pensa e i sensi ;
\
che sperimentano; dobbiamo invece partire dall’uomo, e chiederci quali
diverse tecniche l’uomo, che rimane sempre intero, stia applicando,
(n) Il momento iniziale (i) risulta anch’esso dall’applicazione con­
temporanea dei due procedimenti. Non dobbiamo pensare che ci
siano prima i fatti accertati e poi la teoria elementare che li coordina : i
è proprio l’uso di una teoria che permette-.d’accertare certi, fatti, invece^
che certi altri. E d’altra parte è difficile pensare a una teoria che
non coordini cosa alcuna. Quello che importa, comunque, è non con­
I
fondere la questione di come si formi una teoria in sede genetica con
la questione del processo costruttivo della ricerca e dei rapporti logici
fra teoria ed esperienza (si veda in proposito 11 metodo della ricerca
nelle scienze di Hugo Dingler, Milano: Longanesi, 1953). (ni) Pari-
menti, induzione deduzione ipotesi non sono tanto tre procedimenti
■!
isolati, quanto tre aspetti separatamente descrivibili di un unico pro­
t cedimento molto complesso, (iv) Non tutte le scienze hanno rag­
1
giunto lo stesso grado di sviluppo. Delle fasi che abbiamo provviso­
riamente distinte, alcune, come la fisica, hanno già pienamente rag­
•J giunto la (5); altre, come la psicologia, son ferme fra la (2) e la (3),
ma per così dire con alcune avanguardie spinte fin verso la (5); altre
si sviluppano prevalentemente per entro una delle fasi iniziali, e
restano prevalentemente descrittive 0 al più esplicative (accertamento
di fatti e formulazione di rozze teorie generali: la storia); altre
15- Unificazione delle scienze semiotiche *45

fatto sociale (137). Per organizzare il materiale ci si potrà


utilmente servire della logica simbolica: infatti la semiotica
si presta peculiarmente bene a esser trattata per mezzo della
logica delle relazioni, in quanto di relazioni appunto si
occupa dal principio alla fine (138). Il lavoro di chi accerta
i fatti e quello di chi li sistema hanno la stessa importanza
e devono procedere fianco a fianco: l’uno provvede mate­
riale per l’altro.
I semioticisti, credo, troveranno la storia della semiotica
utile sia come stimolo che come campo d’applicazione. Vene­
rande dottrine come le categorie, i trascendentali e i predi­
cabili (139) sono primitive escursioni nei campi della semio-

ancora sposano il procedimento descritto, o una parte di esso, con


procedimenti diversi, per esempio la valutazione (la cosiddetta poli­
tica, la storia stessa). Morris presenta la semiotica al livello della
prima fase e si augura possa servire per la seconda.
(137) Studiosi del fatto sociale [social scientists\ sono tutti coloro
che si occupano della società umana (o specialmente di questa) con
intenti scientifici: sociologi, antropologi, etnologi, storici, economisti,

I
teorici della politica, e simili. I contatti fra la semiotica e altre disci­
pline, scientifiche in senso stretto come umanistiche, dovrebbero ser­
vire a mostrare della semiotica sia i limiti sia, entro quei limiti
l’originalità e l’indipendenza.
(138) Vedi le note 21 e 44.
(*39) Non è questo il luogo per un esame semiotico, o anche solo
per qualche cenno di analisi linguistica, di dottrine come le cate­
gorie d’Aristotile (dette anche praedicabilia, perché studiano i prin­
cipali tipi di predicazione) 0 gli elementi trascendentali di Kant.
Morris distingue fra categorie e predicabili perché questi sono sen-
z altro forme della predicazione, cioè della congiunzione di un pre­
dicato a un soggetto, mentre in alcuni autori quelle sono anche
forme della realta (ciò e discusso in Kant, è certo in Hegel). Un
10 • C. Morris, Lineamenti di una teoria dei segni.
146 VII. Problemi e applicazioni

tica e dovrebbero venir chiarite dagli sviluppi successivi. Le


controversie ellenistiche sul segno ammonitivo e indicativo e
le dottrine medioevali delVintentio, impositio e suppositio
sono degne di rivivere e di essere interpretate (140). La
storia della linguistica, della retorica, della logica, dell’em-
pirismo e delle scienze sperimentali offre un ricco materiale
supplettivo. La semiotica ha una lunga tradizione; come
fanno tutte le scienze, ha il dovere di mantener viva la
propria storia.
Via via che la semiotica si sviluppasse, le discipline che

esempio di quello che si può cominciare a fare lo troviamo qui sopra


nel § 12, sul significato, e nel § 13, sugli universali o generali.
(140) Per Vintentio e la suppositio vedi rispettivamente le note 74
e 66. L'impositio era un modo di classificare i termini grammaticali.
Fra segni ammonitivi e indicativi distinguevano gli Stoici, gli Epi­
curei e gli Scettici. In genere la distinzione era questa: il segno
ammonitivo porta alla memoria solo qualcosa che era stato sperimen­
tato, mentre il segno indicativo significa ciò che non può essere spe­ |
I ■ rimentato (come gli atomi e il vuoto degli Epicurei). Gli Scettici
ammettevano i segni ammonitivi ma negavano la validità di quelli
indicativi. Tutto questo materiale dovrebbe venir reinterpretato per
mezzo delle moderne tecniche logico-linguistiche; e di ciò già abbiamo ■

alcuni interessanti esempi, come la Aristotle's Syllogistic di Jan


Lukasiewicz, Oxford, 1951 e VAncient Formai Logic di I. M.
Bochenski, Amsterdam, 1951, che si servono della logica matematica. I
Interpretazioni di pensatori più recenti dal punto di vista delPanalisi
linguistica colloquiale sono il Berkeley di G. J. Warnok, Penguin
Book, London, 1953, e lo Spinoza di Stuart Hampshire, ih., 1951.
Molto più resta da fare; e se la pratica dello studio filosofico del
linguaggio si andrà diffondendo si può prevedere che tutta la storia
della filosofia verrà a poco a poco rivista alla luce delle nuove
tecniche d’analisi.

i
15. Unificazione delle scienze semiotiche M7

vanno ora sotto il nome di logica, matematica e linguistica


potrebbero venir re-interpretate in termini semiotici. I para­
dossi logici, la teoria dei tipi, le leggi della logica, la teoria
della probabilità, la distinzione fra deduzione induzione ipo­
tesi, la logica della modalità: tutti questi argomenti si pre­
stano a venir discussi nell’ambito della teoria dei segni (141).

(141) Fin dall’antichità furono noti numerosi paradossi logici, cioè


asserzioni o insiemi d’asserzioni che si contraddicono da sole. Esempio
classico quello d’Epimenide cretese, il quale affermava che tutti i
Cretesi mentono sempre. Ora, se tale affermazione è vera, Epimenide
dice la verità, e così contraddice la sua stessa affermazione che tutti
i Cretesi mentano. Se invece, mentendo anche lui, Epimenide con­
ferma la propria affermazione, nell’atto stesso questa è vera. Una
forma ancor più semplice del paradosso consiste nel dire ‘ io mento ’
(<|;só§op.ai> mentior): dove se ciò che dico è vero, ciò che dico è
falso; e se è falso, è vero. Di fronte a questo inghippo si può con­
cludere che la stessa asserzione può essere insieme vera e falsa, oppure
che oscilla indefinitamente fra le due alternative (situazione logica
detta “ ricorrente ”V Aristotile sembra accettare piuttosto la prima
interpretazione. Fra le molte soluzioni che sono state tentate per
uscire dalla difficoltà, e in genere per superare i paradossi logici,
notissima è la teoria dei tipi di Bertrand Russell, ora però per lo più
abbandonata nella sua forma originaria. La teoria è connessa ad una
classificazione delle espressioni linguistiche in ‘vere’, ‘false ’ e ‘ senza
senso ’ : i paradossi sarebbero espressioni solo apparentemente signi­
ficanti. Le leggi della logica sono, in primo luogo, quelle tradizionali
d’identità, non contraddizione e terzo escluso, cui possono venir
aggiunte quelle dell’induzione; in secondo luogo tutte le regole che
vengono elaborate dalla moderna logica; in terzo luogo, e in un
senso più ampio, tutte le regolarità d’ordine specialmente sintattico
che si riscontrano nel linguaggio in genere. Il calcolo delle probabilità
è quella parte della matematica che studia le regolarità statistiche
presentate da fenomeni che non è possibile ridurre a spiegazione cau-
I0* ' C. Morris, Lineamenti di una teoria dei segni.
148 VII. Problemi e applicazioni

Anche la matematica, nella misura in cui è conoscenza di


strutture linguistiche, e cioè non soltanto struttura lingui­
stica essa stessa, può esser considerata parte della semio­
tica (142). La linguistica, ovviamente, rientra nella semiotica, I%
in quanto si occupa di certi aspetti delle complesse strut­
ture segniche che costituiscono le lingue nel pieno senso
semiotico del termine. In fatto di termini come ‘ parola ’,
‘ enunciato ’ e ‘ parte del discorso ’ la situazione, si ammette,
è insoddisfacente: è possibile che essa venga chiarita stu­
diando le funzioni segniche esercitate dai vari costrutti lin­
!
guistici. Gli antichi progetti di una grammatica universale
prendono una forma nuova e sostenibile se ne facciamo uno
studio del modo in cui tutte le lingue svolgono funzioni
segniche simili per mezzo di costrutti diversi (143).
1

sale in senso classico; teoria della probabilità è quella parte dell’epi­


stemologia che studia (o studierebbe) l’aspetto filosofico della proba­
bilità. Per la distinzione fra deduzione, induzione e ipotesi, vedi lo
schizzo dato nella nota 136. La logica della modalità è quella che
studia le proposizioni dal punto di vista del tipo di asserzione che
vi è fatta: asserzioni categoriche, apodittiche, problematiche, condii
zionali, ipotetiche, eccetera (si pensi ai modi dei verbi).
(142) Se la matematica è vista solo come insieme di strutture lin­
guistiche, quasi fosse una lingua naturale spontaneamente parlata,
I non ha niente a che fare con la semiotica, che di tali strutture è
conoscenza. La parola * conoscenza ’ non spaventi : Morris adopera
qui il solito ‘ \nowledge ’ (nota 95) non nel senso di una qualche
teoria filosofica della conoscenza, ma in quello di studio o indagine
per mezzo della quale si accrescono le nostre cognizioni.
(143) In questo periodo e nel precedente il termine ‘ costrutti ’ (lin­
guistici) è usato in senso più vasto di quello solitamente attribuitogli
dai grammatici (due o più parole riunite insieme, e per di più con

!
u

I
I

15. Unificazione delle scienze semiotiche .149

Logica, matematica e linguistica possono venir assorbite


per intiero dalla semiotica. Nel caso di altre discipline l’as-
sorbimento sarà solo parziale. Problemi spesso classificati
come di teoria della conoscenza o di metodologia (144) rien-
trano in gran parte nella semiotica: così empirismo e razio­
nalismo sono, nel loro nucleo, delle teorie sul rapporto di
denotazione (se esso si dia, e se si possa dire che c’è) (145);
ogni discussione sulla verità e sulla conoscenza è insepara­
bilmente connessa alla semantica e alla pragmatica; un
esame dei procedimenti degli scienziati, quando è qualcosa
di più che un capitolo di logica o di psicologia o di socio­
logia, deve rapportare quei procedimenti al valore conosci­
tivo delle asserzioni che risultano dalla loro applicazione (146).

l’idea di una disposizione preferenziale secondo le regole della lingua


cui il costrutto appartiene). Si trattava di rendere (linguistic) *devices
che nel presente contesto serve a Morris per contrapporre una parte
di quello che nelle nostre note è stato chiamato * lingua ’ a una parte
di quello che è stato chiamato ‘ linguaggio ’ (v. la nota 124 e i rimandi
ivi compresi).
(144) Con ‘ teoria della conoscenza * va tradotto il termine inglese
‘ epistemology e non con ‘ epistemologia che da noi è filosofia delle
scienze. La metodologia è lo studio del metodo applicato nella ricerca
scientifica; in un senso più vasto, è lo studio delle operazioni com­
piute dalTuomo nel procacciarsi e neU’organizzare conoscenze di qual­
siasi genere. Si tende oggi da parte di molti a contrapporre un’indagine
metodologica alla teoria della conoscenza tradizionale. Lo studio tecnico­
filosofico del linguaggio è strettamente imparentato alla metodologia
in senso largo.
(*45) Si rivedano le note 12 e 46.
(146) Per stabilire l’intrinseca natura e il valore dei procedimenti
degli scienziati non possiamo accontentarci di descriverne la struttura
logica o di studiare gli scienziati come individui o come membri di
150 VII. Problemi e applicazioni

n L’estetica, nella misura in cui studia un certo funzionamento


dei segni (diciamo: segni iconici i cui designata sono valori),.,
ì
è una disciplina semiotica con componenti sintattiche, seman­
tiche e pragmatiche, la distinzione delle quali offre un \
fondamento alla critica estetica (147). È chiaro che la socio­
logia del sapere, e così pure la retorica, fan parte della
pragmatica; la semiotica è come una cornice nella quale si
può disporre quanto oggi corrisponde all’antico trivio di
logica, grammatica e retorica (148). Abbiamo già sugge-

una comunità: dobbiamo anche tener conto dei risultati di quei pro­
cedimenti, e cioè delle asserzioni (v. nota 18) nelle quali i risultati
vengono espressi. Queste asserzioni avranno un valore o status cono­
scitivo o euristico nel senso che saranno asserzioni di quello che,, nel
senso più vasto, noi sappiamo : che abbiamo ottenuto o accertato, o
(
I
che siamo in grado di ripetere o di produrre, e via dicendo.
(147) In base alla distinzione fra iconi e simboli (§ 7), Morris svi­
lupperà nell’articolo citato nella nota 19 una teoria semiotica del
segno estetico. L’opera d’arte è un segno complesso, un’elaborata
t struttura di segni che agisce sull'interprete con una trama di riferi­
menti,: certi suoi aspetti fanno sorgere domande e aspettazioni che
altri aspetti, almeno parzialmente, soddisfano. L’interprete passa da
una parte all’altra dell’oggetto artistico rispondendo a certe sue parti
come a segni di altre e costruendo così una risposta totale. La difle-
rentia specifica del segno estetico sta in quelli fra i segni iconici che
designano valori; e che dunque (essendo iconici) esibiscono in se
stessi una parte almeno delle proprietà di un loro eventuale deno­
tatami. Così, nell’opera d’arte, le proprietà di valore sono avvertite
per mezzo di alcuni fra i segni stessi che la costituiscono, gli iconici.
jj Questo spiega come l’opera d’arte non sia, se non in parte, segno
di altre cose, ma bensì di se stessa: èssa reca in se stessa la propria
significatività. L
! (148) Per la sociologia del sapere vedi la nota 95. Il trivium e il
a
l!

:
15. Unificazione delle scienze semiotiche *5*

rito (149) che la psicologia e le scienze sociali umane pos­


sono trovare una giustificazione del loro esser distinte dalle
altre scienze biologiche e sociali nel fatto che si occupano
di risposte mediate da segni. L’elaborazione della semiotica
rappresenta essa stessa un momento nel processo d’unifica­
zione delle scienze che si occupano per intiero o in parte
di segni; essa può anche svolgere una funzione importante
per la conciliazione delle scienze biologiche con le scienze
psicologiche e sociali dell’uomo, che formano oggi due
gruppi staccati; e potrà gettare nuova luce sul rapporto fra
le scienze cosiddette “ formali” ed “empiriche” (150).

quadrivium costituivano le sette arti liberali del sistema educativo


medioevale: grammatica, retorica, dialettica (o logica), di cui già fa
cenno Platone nel terzo libro della Repubblica; aritmetica, geometria,
astronomia e musica.
(149) Al termine del § 11. Se non ci fosse di mezzo la semiosi,
dice Morris, sarebbe ancor più difficile giustificare la dibattuta distin­
zione fra psicologia e scienze sociali umane da una parte e tutte le
altre scienze biologiche e sociali dall’altra. Si pensi per es. alla distin­
zione fra psicologia e fisiologia della percezione. Le scienze sociali
che Morris chiama “ umane ” sono quelle che si occupano degli uomini
in quanto dotati di interessi, capacità, comportamenti tipicamente
loro: per es. i vari tipi di storiografia. Ci sarebbe su tutto ciò molto
da dire; ma, nel complesso, il criterio sembra accettabile. Si riveda
la nota 5 e il testo relativo.
(150) Si sarà notato che il tono di questo paragrafo è un po’ troppo
grandioso. È un tono che avevamo già avvertito nel primo paragrafo
del volumetto e che ritroveremo nei due ultimi. Per spiegare come
quel tono sia stato assunto, bisogna riferire quello che Morris aveva
in mente neH’assumerlo. Diciamo in breve che: (1) Di alcuni dei
problemi elencati Morris si voleva occupare egli stesso; lo fece subito
dopo la pubblicazione dei Lineamenti in una serie di articoli, e
x52 VII. Problemi e applicazioni

16. La semiotica come organo delle scienze.

La posizione della semiotica fra le scienze è unica. È forse


lecito dire che ogni scienza empirica è impegnata a tro­
vare dati che servano come segni sicuri; è comunque fuori

poi in SLC. (n) I movimenti di pensiero e le discipline scientifiche


che Morris chiama in causa dal punto di vista della semiotica erano
di fatto già convergenti allorché egli scrisse il volumetto; e il pro­
cesso si accelerò negli anni successivi, mostrando la giustezza delle
di lui previsioni. Se anche vogliamo rifiutare la semiotica di Morris
così come egli la ha formulata qui, resta dunque il fatto che dal
lavoro parallelo di scienziati di varia specializzazione e di filosofi
di varia tendenza va emergendo una nuova interpretazione generale .
di tutti gli aspetti del linguaggio, (in) La tradizionale distinzione
fra vari gruppi di scienze e la tradizionale classificazione delle
scienze sono andate sempre più perdendosi. Sussistono anzi ormai
soltanto nei programmi dei licei o come etichette accademiche. Con
ciò l’intero campo dell’indagine scientifica tende in un certo senso
ed entro certi limiti (vedi qui l’osservazione successiva) ad un’uni­
ficazione di criteri e di metodi, in un altro senso ad un fraziona­
mento estremo. II risultato di questo doppio processo è che il settore
di specializzazione si fa molto ristretto e che, al tempo stesso, non
è facile farlo appartenere ad una sola delle discipline tradizionali.
Esempi : il genetista si occupa indifferentemente di fatti appartenenti
alla zoologia o alla botanica; inoltre fa ricorso a tecniche della mate­
matica e a procedimenti della fisica; il cibernetista si occupa di
certi settori della matematica, della neurologia e della meccanica
disposti in un certo modo fra loro; certi filosofi svolgono ricerche
che hanno a che fare con varie discipline storiche e insieme con
questioni di logica, di linguistica, di sociologia.
(iv) Malgrado queste giustificazioni, si ammette che i Lineamenti

;
16. La semiotica come organo delle scienze 153

discussione che ogni scienza deve incorporare i suoi risultati


in segni linguistici. Così stando le cose, lo scienziato deve
avere dei suoi strumenti linguistici la stessa cura che ha
degli apparecchi che progetta e delle osservazioni che com­
pie. È nella semiotica che le varie scienze debbono cercare i
concetti e i principi generali che riguardano i loro problemi
di analisi segnica. La semiotica non è soltanto una scienza

siano stati scritti in un momento in cui l’idea di unificare tutte le


scienze era fortemente sentita più per via delle impostazioni pro­
grammatiche di certi filosofi che in base ai bisogni degli scienziati
(cfr. l’Introduzione); di ciò rimane traccia negativa in quello che
Morris dice nei paragrafi finali dei Lineamenti. All’inizio del § 16,
per esempio, egli dichiara: «è nella semiotica che le varie scienze
debbono cercare i concetti e i principi generali che riguardano i loro
problemi di analisi segnica ». Sarebbe facile rispondere che questo
è un bellissimo programma, ma che gli scienziati fanno tutto per
conto loro anche quanto ai segni di cui si servono.
Inoltre Morris sembra confondere uno studio tecnico-filosofico del
linguaggio, che infatti si è poi sviluppato fino al punto di costituire
un fascio di correnti che danno un certo carattere unitario a tutta la
filosofia anglosassone contemporanea, con uno studio tecnico-scientifico
del linguaggio, che è poi quello da lui avviato in SLC. Il secondo
tipo d’indagine, nel complesso, si è rivelato insufficiente; Morris si
è trovato ad esprimere delle generalità riguardanti una grandiosa
scienza futura (ciò che è tipico di una certa mentalità filosofica in
lui stranamente rifluita) anziché svolgere quelle piccole ricerche cir­
costanziate ma nettissime e sempre concrete di cui c’era nei. Linea­
menti l’esigenza e l’avvio, e che formano oggi la forza della scuola
di Oxford-Cambridge. I Lineamenti, insomma, avrebbero potuto venir
sviluppati nell’una come nell’altra direzione, ed è un peccato che
Morris abbia presa quella che culminò in SLC.
Vorrei infine osservare che l’entusiasmo programmatico di Morris
trova una giustificazione, oltre che nel gioco complesso dei fattori
I54 VII. Problemi e applicazioni

fra le altre: è anche un organo o strumento di tutte le


scienze.
Questa funzione può essere svolta in due modi. Uno
consiste nel far sì che un addestramento alla semiotica faccia v
regolarmente parte del normale corredo dello scienziato.
Gli scienziati diverrebbero così criticamente consapevoli del
loro apparato linguistico e si formerebbero l’abito di servir­
;
sene con cura. Il secondo modo consiste nello svolgere
indagini specifiche sulle lingue delle varie specializzazioni.
I risultati di tutte le scienze in quanto linguisticamente
espressi fan parte del materiale della semiotica descrittiva.
Più che qualsiasi insieme, per quanto grande, di argomen­
tazioni astratte, saranno le analisi specifiche di certi termini
e problemi fondamentali nelle varie scienze che mostreranno
al ricercatore quale sia l’eventuale peso della semiotica in
quei settori. Altri saggi della presente Enàclopedia sono fra
l’altro dei contributi in questo senso. Nella scienza contem­
poranea ci sono molti pseudo-problemi che derivano da con­
fusioni fra asserzioni nella lingua della semiotica e nella

ora ricordati, anche proprio nella larghezza di interessi e di mezzi


che caratterizzano ogni branca della ricerca negli Stati Uniti. A noi
Europei, che mettiamo la nostra porzione d’ingenuità filosofica in
altre cose, i programmi di Morris non possono non sembrare un po’
ingenui. Lo sono un po’ meno se teniam presente lo sfondo sociale
da cui si formano. Raccomanderei anche di valutare le diverse asso­
ciazioni destate in italiano e in inglese (e nell’inglese americano) da f
termini, appunto, solenni e programmatici come ‘ scienza ’, ‘ ricerca ’,
‘ filosofia ‘semiotica spesso il contesto autorizza a rendere questi
termini con altri meno poderosi, e l’infedeltà letterale serve a meglio
rendere lo spirito dell’insieme. Così, per esempio, ho qua e là tra­
dotto ‘ Science ’ con 4 disciplina ’.
17. Implicazioni umanistiche *55

lingua cosale : le recenti discussioni suirindeterminismo (151)


e la complementarità nelle scienze fisiche abbondano di
esempi. Non si risolvono problemi empirici di tipo non­
linguistico per mezzo di considerazioni linguistiche; ma è
importante che i due tipi di problemi non vengano confusi
e che quelli non-linguistici siano espressi in una forma tale
da facilitare la loro soluzione empirica. La logica classica
pensava d’esser l’organo delle scienze, ma di fatto era inca­
pace di sostenere la parte che assegnava a se stessa; la
semiotica contemporanea, che in sè comprende i più recenti
sviluppi logici e una grande varietà di approcci ai fenomeni
segnici, può ritentare di assumere quella funzione.

17. Implicazioni umanistiche della semiotica.

I segni servono ad altri scopi oltre che all’acquisto del I


sapere; e la semiotica descrittiva è più estesa dello studio
del linguaggio della scienza (152). In corrispondenza ai vari

(151) La questione dell’indeterminismo fa capo al principio d’inde­


terminazione formulato dal fisico tedesco Werner Heisemberg (nato
nel 1901). Secondo questo principio, la posizione e la velocità di un
corpuscolo non potrebbero essere esattamente determinate insieme
perché nell’atto di osservare il corpuscolo si influisce o sulla sua
velocità o sulla sua posizione; si potrebbe stabilire dunque o solo
l’una o solo l’altra. Da questo principio sono state tratte inferenze
d’ogni genere, per lo più arbitrarie.
(152) Qui il riferimento è al fatto che la scienza in genere si
esprime linguisticamente, e non solo al fatto che ogni singola scienza
costituisce una lingua organizzata. Come già in altri casi (nota 67 a)
si è pertanto usato ‘ linguaggio ’ invece di ‘lingua’; lo stesso anche
più avanti nel testo.
! t

j 156 VII. Problemi e applicazioni

scopi cui servono i segni, si sono sviluppate delle lingue


più o meno specializzate, le quali corrispondono in una
:
qualche misura alle varie dimensioni della semiosi. Così la
forma espressiva della matematica è adatta a porre in rilievo
l’interrelazione dei termini in una lingua, lasciando che il
rapporto con gli oggetti e con gli interpreti receda verso lò
sfondo; il linguaggio della scienza empirica si presta spe­ {
cialmente bene alla descrizione della natura; i linguaggi
della moralità e delle arti belle e applicate vanno bene
soprattutto per controllare il comportamento, per presentare
cose o situazioni come oggetti d’interesse, per manipolare
le cose al fine di ottenere risultati desiderati. In nessuno di
questi casi si può parlare di totale assenza di questa o di
quella dimensione della semiosi; quello che avviene è che
volgendo l’attenzione a una sola di esse le altre risultano
come subordinate e parzialmente trasformate. Le proposi­
zioni matematiche possono avere un aspetto empirico (invero,
molte furono scoperte per via empirica), e un problema
matematico può venir posto da problemi di altri campi; la
lingua della matematica, però, subordina questi fattori per ■

poter meglio assolvere il compito in vista del quale è stata !


sviluppata. Non si può dire che la scienza empirica d’altro
non si occupi che di raccogliere tutte le possibili asser­
zioni vere (comprese quelle che stabiliscono la superficie di
ognuna delle grafie su questa pagina): essa vuol giungere
ad asserzioni vere che siano importanti (cioè che, da un
lato, offrano una base sicura per la predizione, e che dal­ I
l’altro rechino un contributo all’edificazione di una scienza
sistematica); tuttavia, la lingua della scienza empirica è
adatta a esprimere la verità e non l’importanza delle proprie 1

!
17. Implicazioni umanistiche *57

asserzioni (153). La poesia lirica ha una sua sintassi e usa


termini che designano cose; ma dell’una e degli altri si
serve in modo tale, che ciò che si presenta al lettore sono
dei valori e delle valutazioni. Le massime delle arti appli­
cate poggiano su proposizioni vere che riguardano il rag­
giungimento di certi scopi (“ per conseguire x, fai così e
così ”); i giudizi morali possono avere anch’essi una com­
ponente empirica, ma inoltre assumono la desiderabilità di
un certo fine e mirano al controllo della condotta (“ dovresti
far vaccinare tuo figlio ”, cioè: “ ammessa come fine la salute,
nella situazione presente la vaccinazione è il mezzo più
sicuro per raggiungerlo; quindi falla fare”) (154).

(153) Qui e alcune altre volte nel corso del volumetto ci imbat­
tiamo in un uso inglese di ‘ true ’ e ‘ truth ’ che non viene reso ade­
guatamente con ‘ vero ’ e ‘ verità * : i due termini italiani paiono
molto più ponderosi e problematici dei loro compagni inglesi. Così
‘ la verità delle asserzioni della lingua della scienza empirica ’ ha,
in italiano, un suono molto solenne: forse perché fa pensare ad una
verità precostituita, della quale la scienza empirica si impadronirebbe,
e che nella lingua di tale scienza risulterebbe dunque espressa. Ma
quello che Morris vuol dire è solo che la scienza cosiddetta empirica
mira ad accertare dei fatti, e che il tipo di linguaggio che essa si
è formato serve molto bene a precisare di che razza di fatti si tratti
(basti pensare alla precisione delle misurazioni in fìsica, astronomia,
chimica); mentre non serve affatto a dirci se e come i fatti precisati
siano poi importanti. Un chimico può esprimere in quattro formule
una sua scoperta, ma a cosa essa serva lo dirà semmai per mezzo di
un altro linguaggio; e si potrebbe dire che quando lo dice egli cessa
di essere un chimico in senso stretto.
(154) Queste distinzioni fra linguaggi o modi di funzionare dei
segni sono il primo nucleo di una lunga serie di classificazioni che,
?

158 VII. Problemi c applicazioni

La semiotica fornisce una base per la comprensione delle


principali forme dell’attività umana e dei loro reciproci rap­

porti: infatti tutte queste attività e tutti questi rapporti sono
riflessi nei segni che mediano le attività stesse. Questa com­
prensione è a sua volta di effettivo aiuto nell’evitare confu­
sioni fra le varie funzioni compiute dai segni. Come diceva
Goethe, « non è possibile prendersela sul serio con una
!
forma di rappresentazione », a patto, beninteso, che la forma
di rappresentazione non si mascheri per quello che non è.
Nell’offrire questa possibilità di comprendere, la semiotica
promette di assolvere uno dei compiti tradizionalmente chia­
mati filosofici. La filosofia ha spesso commesso il peccato di
confondere nel suo linguaggio le varie funzioni esercitate
dai segni. Ora è una vecchia tradizione che la filosofia debba
mirare all’intima comprensione delle forme caratteristiche
dell’attività umana e sforzarsi verso un sapere il più gene­
rale e il più sistematico possibile. Questa tradizione si ripre­
senta in forma moderna nell’identificazione della filosofia
con la teoria dei segni e con l’unificazione della scienza,

a partire da due articoli del 1939, culminerà nella complessa strut­


tura della semiotica in S'LC, dove si parlerà di tipi di discorso.
Dei tre tipi di discorso che qui Morris descrive come logico-matema­
tico ("prevalentemente sintattico), empirico (prevalentemente semanticoL
e delle arti belle e applicate (prevalentemente pragmatico; in questo
gruppo rientrerebbe qui il discorso morale), i primi due saranno
ripresi rispettivamente come “ maniere di significare ” (dei segni)
formativa, cioè che dà una forma, una struttura, e designativa-, il
terzo sarà scisso in maniera apprezzativa e maniera prescrittiva. Alle
quattro maniere di significare, che saranno intese come diversi tipi
di designazione, si contrapporranno poi quattro diversi usi dei segni
(e ‘ uso ’ vorrà allora dire ‘ scopo per cui un segno è impiegato ’).
17. Implicazioni umanistiche *59

cioè con gli aspetti più generali e sistematici della semiotica


pura e descrittiva (155).

(155) In SLC la semiotica sarà invece considerata una scienza a


sè, e la filosofia uno dei tipi di discorso (v. nota precedente) da quella
studiati. Per i rapporti fra la semiotica e la filosofia rivedi, oltre
aH’Introduzione, i cenni fatti in vari contesti nelle note 5, 27, 52, 94,
124, 125, 150.
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Morris, C. W. : Logicai Positivism, Pragmatista, and Scientific Empiricism,
Parigi, 1937.
Ogden, C. K. e Richards, I. A. : The Meaning of ‘ Meaning ', Londra, 1923.
Peirce, C. S. : Collccted Papers, specialm. Voi. II, Cambridge, Mass.,
1931 sgg.
Reichenbach, H.: Experience and Prediction, cap. I e II, Chicago, 1938.
Schlick, M. : Gesamrnelte Aufsàtzc, 1926-1936, Vienna, 1938.
162 Scelta bibliografica

Tarski, A. : « Grundlegung der wissenschaftlichen Semantik », Actes du


Congrès in terna tional de philosophie scientifique, Parigi, 1936.
— « Der Wahrheitsbegriff in den formalisierten Sprachen », Studia Philo-
* sophica, Voi. I (1935).
Wittgenstein, L. : Tractatus logico-philosopfticus, Londra, 1922. !

!
i

UNIVERSITÀ OEGU STUDI DI TRENTO


SISTEMA BIBLIOTECARIO Di ATENEO

n. Jfv.Mo.
INDICE DEI NOMI

Abelardo: Vili. Colombo G. C. M.: XXVIII.


Agostino S. : Vili. Comte A.: XVI.
Ajdukiewicz K.: 59 n., 61 e n., 161. Couturat L. : 3 n.
Andrade M. J.: 50 e n.
Antistenc: 134 n. Darwin Ch.: XIV, 78 n., 85 n.
Aristotile: VII, Vili, 16 n., 19 n., Dewey J.: IX, XIV, XV, XVIII,
26 n., 83, 145 n., 146 n., 147 n. 30 n., 40 n., 81 e n., 86, 109.
Dinglcr H.: XIII, XXVII, 144 n.
Bacone F.: Vili.
Bacone R.: Vili. Eaton R. M.: 161.
Barone F.: XXVII. Einstein A.: XVI.
Beghelli O. : 13 n. Epimenide cretese: 147 n.
Benjamin A. C. : 161.
Bentham J. : Vili. Frege G.: Vili, XXVII, 38, 39 n.
Bergmann G. : 54 n. Freud S.: 103-4 n-
Berkeley G. : Vili, 16 n., 88 n., .*•
146 n. Gàtschcnberger R. : 161.
Bochenski I. M. : 146 n. Geymonat L.:- XXVII, XXVIII,
Boezio S.: Vili. 39n*
Bohr N., 40 n. Goethe W. : 158.
Boole G. : Vili, 38, 39 n.
Bridgman P. W.: XIII, XXVII. Hampshire S.: 146 n.
Hare R. M.: 106 n.
Carnap R.: Vili, XVI, XVIII, 39-41 Hartshorne Ch.: 31 n.
e n., 42, 45 e n., 54 n., 58, 59 n., Hegel G. W. F.: 109 n., 145 n.
66, 161. Heisemberg W.: 155 n.
Cassirer E.: 161. Helmholtz H.: XVI.
Ceccato S.: XIII, XXVII. Herbart J. F.: 118 n.
Cohen M. R.: XXVII. Hobbes Th.: Vili.
164 Ìndice dei nomi

Hull C. L.: XV, 17 n. Pitagora: 46 n., 47 n.


i
Hume D.: Vili. Platone: VII, 109 n., 134-5 n., 151 n.
Husserl E. : 161. Poincaré H.: XVI.
Preti G.: X, XXVIII.
James W. : XIV, XV, 30-31 n., 81
e n., 86, 108. Reichenbach H.: 58 e n., 59 n., 61,
161.
Kant I.: 19 n., 145 n. Richards I. A.: IX, 161.
Kokoszynska M. : 59 n., 161. Royce J. : 30 n.
Russell B.: Vili, XVIII, XXVIII,
Leibniz G. W.: Vili, XII, 3 n., 3 n., 38 e n., 39 n., 40 n., 54 n.,
4 37, 38 e n., 83-4, 84-5 n. 84 n., 147 n.
Locke J.: Vili, 117 e n. Ryle G.: XIII, XXVIII, 84 n., 122 n.
Lukasiewicz J.: 146 n.
Lyell Ch.: 78 n. Scarpelli U.: XXVIII.
I,
Schlick M.: XVI, 161.
j Mach E.: XVI. Somenzi V.: XXVII.
Mead G. H.: IX, XIV, XVIII, 81 Spencer H.: XVI.
e n., 85 n., 86, 98-102, 101 n., Spinoza B. : 109 n., 146 n.
102 n., 161. Stevenson Ch. : 106 n.
Mises R. von: XXVIII, 107 n.
Tarski A.: 58 e n., 59 n., 162.
S
Nagel E.: 41 n. Tolman E. C. : XV, 17 n.
Neurath O. : XVIII, 40 n. Toulmin S. : 106 n.

Occam G. di: Vili, 117 e n. Villa V.: XXVIII, 107 n.


Ogden C. K. : IX, 161.
Waismann F. : XXVIII.
! Pavlov I. P. : XV, 130 n. Warnock G. J. : 146 n.
Pavolini L.: XXVIII, 38 n. Watson J. B. : XV, 17 e n.
•: Peano G. : Vili, 38, 39 n. Weinberg J. R. : XXVIII.
Peirce Ch. S.: Vili, IX, XIV, XV, Weiss P. : 31 n.
XVIII, 30, 30-31 n., 38, 81 e n., Whitehead A. N.: Vili, 38, 39 n., t
85-6, 128-9 e n-> I^1- 54 n., 115 e n.
Pellizzi C.: XXVII. Wiener N.: 13-14 n.
Persiani D.: 14 n. Wittgenstein L. : XIII, XVI, XXVIII, 3
Picasso P. : 90 n. 60 n., 115 n., 162.
Pietro Ispano: Vili. Woodger J. H.: 41 n. s
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