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I più grandi album rock #38

Ognuno ha un’idea diversa su quello che il postrock dovrebbe essere: chi un rock totalmente strumentale, chi
rumore bianco alternato a momenti eterei, chi una vocalità afona/gridata/parlata, chi lente astrazioni di dieci
minuti. I June of ‘44 racchiusero in un unico oggetto tutte queste impressioni. Nell’operazione riassunsero
l’(est)etica del post-rock: uno “slow-hardcore” ragionato e concettuale (di scuola Slint e Bitch Magnet) ma
anche potente e fruibile (nell’accezione di Fugazi) e austero e catatonico (citofonare Codeine).

Le loro canzoni sono strutture aperte, imprevedibili e quasi sempre dilaniate da angosce sotterranee. Il loro
metodo compositivo favorito consiste in un accumulo coerente di conflitti armonici. Il loro stile di jamming ha
pochi precedenti nel rock: l’improvvisazione non si appoggia sulla trance psichedelica ma su fredde strutture
geometriche, sostenute dal basso. Il canto è spesso ridotto a un fiotto di bisbigli agonizzante – ecco, ciò che
mancò al gruppo fu un cantante più duttile, che non si limitasse a declamare sopra l’ineccepibile fauna
strumentale.

Il contrappunto dissonante di “Engine Takes To The Water” e “Tropics And Meridians” raggiunge l’apice in “Four
Great points”, la summa di tutto ciò che all’epoca veniva bollato come postrock: destrutturazione della forma
canzone, contaminazione con folk e free jazz, sonorità ambientali, complessa semplicità. Il cantato quasi
recitato si muove in un ambiente di suoni psichedelici, animato dagli urti tra le chitarre e la sezione ritmica
(scuola Don Caballero), che par suo movimenta i brani con continue stasi e accelerazioni. Il discorso musicale è
basato su andirivieni e strappi, tra eruzioni ritmiche e riflessioni intimistiche – prassi dell’epoca.

Questo è l’album della maturità: il loro sound è personale, storicizzato ma non derivativo. Non si spinsero però
oltre il modello Slint – problema comune della scuola del Kentucky. La maturità porta con sé anche una perdita
di carica aggressiva. L’introspezione domina, come nei brani Shadow Pugilist o Of Information & Belief. Air è la
riprova che nel post-rock le emozioni non si vivono: si vedono scorrere.

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