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TERZO ANNO
di Giacomo Marciani
a.s. 2008/2009
STORIA
TERZO ANNO
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austriaca e dei rispettivi poteri locali. I maggiori fattori che determinarono la sconfitta italiana
furono l’estraneità delle masse e le fratture interne fra radical-democratici e liberal-moderati.
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popolare, in particolar modo di quei contadini che speravano fortemente in una rivoluzione dei
rapporti di proprietà. Così il Re decise di incontrarsi a Teano con Garibaldi. Dopo aver
congedato il generale, il quale si ritirò a Caprera, il 17 marzo 1861 Vittorio Emanuele II venne
incoronato Primo Re d’Italia “per grazia di Dio e volontà del popolo”. Roma venne dopo poco
fatta capitale del nuovo stato (mancante ancora del Veneto austriaco e del Lazio pontificio), ed
altrettanto presto il nobile Cavour morì (giugno del 1861).
L’Italia Post-Cavouriana
Dopo la morte di Cavour si susseguirono numerosi notabili della Destra Storica piemontese. Il
deficit statale causato dalle ingenti spese per la creazione pratica dell’unità, comportò una
stringente pressione fiscale, unita a leggi che sicuramente non contribuirono a sanare il
malcontento popolare (prima fra tutte le legge sul macinato). Nacque così il fenomeno del
brigantaggio, che dilaniò per tutta l’Italia meridionale.
La Destra Storica voleva impedire ogni tipo di moto insurrezionale: per questo fermò Garibaldi
nella battaglia dell’Aspromonte (Garibaldi aveva detto “o Roma o morte”). La Convenzione di
Settembre inasprì inoltre i rapporti con la Chiesa, la quale promulgò il Sillabo contro ogni tipo
di liberalismo.
Solo nel 1875 la Destra Storica venne destituita da De Pretis, appartenente alla Sinistra
Storica. Egli spostò il dialogo al centro e tentò l’osmosi fra riforma scolastica ed elettorale. Il
tentativo si rivelò inutile, in quanto l’arretrata economia del sud costringeva le famiglia ad
abbisognare la manodopera della prole.
L’Italia venne sconfitta a Custoza e Lissa nel 1866. Le sconfitte portarono in primis
all’Armistizio di Cormons, che prevedeva la cessazione del conflitto, in secundis alla Pace di
Vienna, che prevedeva l’annessione del Veneto al Regno d’Italia.
Ciò lasciò tuttavia dell’amaro in bocca: l’Italia era infatti cosciente di aver ottenuto il Veneto
solo grazie al fronte austro-prussiano, e ci fu chi non riuscì ad accettarlo. Fu così che si riaprì la
“questione romana”. Dopo il Concilio Vaticano, in cui venne proclamata l’infallibilità
universale del papato, Vittorio Emanuele II cercò di accordarsi con il papa, volendo stabilire un
rapporto basato sul principio cavouriano di “libera Chiesa in libero Stato”. Il “non possum”
del papa fu la scintilla che causò l’occupazione di Roma attraverso la breccia di Porta Pia. Il
papa, rinchiusosi nelle mura vaticane, rifiutò le Leggi delle Guarentigie che gli avrebbero
concesso il libero esercizio spirituale, considerandole un affronto ed invitando i fedeli a non
votare.
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L’Unificazione Tedesca
IV
Napoleone III cominciò tuttavia a temere l’avanzata prussiana, in quanto un Hoenzollern si era
presentato come candidato al trono spagnolo. Con il famoso “inganno di Ems” Bismark riuscì
a provocare la Francia, scatenando la guerra franco-prussiana.
Dopo la sconfitta francese a Sedan i prussiani entrano a Parigi scatenando l’ira indomita del
popolo.
Durante le trattative di pace franco-prussiane il popolo parigino insorse, dando vita alla
Comune di Parigi, una rivoluzione proletaria socialista che verrà tuttavia soffocata nel sangue
da Adolphe Thiers, il quale, divenuto presidente della repubblica e capo di governo, ottenne
l’evacuazione prussiana da Parigi attraverso il pagamento di un indennizzo di guerra. La
maggioranza conservatrice (orleanisti, bonapartisti e legittimisti) fecero destituire Thiers ed
elessero il maresciallo Mac Mahon, considerato la “sentinella della monarchia”. Il tentativo
monarchico fallì e venne proclamata la Costituzione della Terza Repubblica.
Intanto le vittorie prussiane convinsero anche i principi tedeschi della Germania del Sud
dell’inestimabile talento di Bismark. Fu così che, dopo la Riunione nella Sala degli Specchi di
Versailles, Gugliemo I venne eletto kaiser del II Reich.
Durante l’intero governo di Gugliemo I si riuscirono a mentente ottimi rapporti fra imperatore e
Cancelliere (Bismark); rapporti che vennero totalmente sfaldati dopo la successione a
Guglielmo II. Gli attriti fra i due divennero tanto forti e destabilizzanti da comportare il
licenziamento dello stesso Bismark.
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Nel 1875 l’immissione nel mercato europeo di grano a prezzi bassissimi proveniente
dall’America e dall’Australia provocò una forte crisi di sovrapproduzione. La crisi influì tanto
drammaticamente a livello di piccola impresa e a livello degli scambi internazionali, da
comportare inimmaginabili flussi migratori ed una in aspettabile controtendenza economica dal
capitalismo al protezionismo. La crisi portò anche all’attuazione di politiche fortemente
imperialiste, di cui la Conferenza del Congo (o Congresso di Berlino) del 1884-85, divenne
baluardo per antonomasia. Nonostante la sua avversione per le politiche colonialiste e le
avventure d’oltremare, Bismark si fece mediatore del dibattito sulle spartizioni dei cosiddetti
“territori liberi”.
La politica di De Pretis isolò l’Italia dal dibattito, da cui, paradossalmente, si astenne a livello
pratico anche la neo-unificata Germania, non ancora pronta ad avventure di conquista in terra
straniera. Fu così che le due protagoniste della grande spartizione africana divennero la Francia
e l’Inghilterra.
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presa inglese, che continuò a sfruttare le potenzialità indiane per lungo tempo, imponendosi
sommessamente sulla loro cultura.
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La Questione Giapponese
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Il Liberismo
Il liberismo si delineò, parallelamente allo sviluppo del pensiero liberale, come corrente di
pensiero economico radicalmente contraria all’ingerenza economica dello stato. E’sinonimo di
liberalismo economico, laissez-faire e in parte di liberoscambismo, anche se quest’ultimo si
riferisce fondamentalmente all’abbattimento di barriere internazionali che impediscano gli
scambi commerciali fra stato e stato.
Introduzione al Liberalismo
Il liberalismo è invece una corrente di pensiero nata in Inghilterra ed Olanda verso la fine del
XVII secolo, come antitesi radicale ai residui medievali e feudali, che si erano dimostrati in
certi casi ancora vivi dal punto di vista religioso (intolleranza), politico (assolutismo) ed
economico (gerarchia feudale). A questi caratteri si contrappose un individualismo che fece dei
diritti inalienabili, preesistenti alla creazione della società civile, cardine della propria
impostazione di pensiero.
Nucleo originario del liberalismo furono il libero arbitrio protestante, la filosofia cartesiana, con
il suo razionalismo e soggettivismo, e la filosofia giusnaturalista. Il liberalismo si prefigura
come risposta filosofica e politica alle aspirazione della borghesia emergente. Il progresso
economico borghese si sarebbe potuto infatti realizzare solo e solamente in un clima socio-
politico che valorizzasse l’iniziativa individuale in tutte le sue manifestazioni benefiche nei
confronti della società. Non vi sono, secondo Locke, possibilità di conflitti distruttivi nati
dall’esplicazione dell’individuo. Da essa può solo nascere un equilibrato sviluppo armonico,
fruibile dall’intera umanità. Nelle opere di Locke (Saggio sulla tolleranza, Lettera sulla
tolleranza e Due trattati sul governo) si evince che solo in presenza di uno stato non
eccessivamente ingerente, limitato al suo ruolo di legislazione imparziale contro abusi e
sopraffazioni, sarà possibile creare l’equilibrio suddetto. Qualora il potere legislativo non
garantisca l’esercizio dei diritti inalienabili e di ciò che ne discende, il popolo ha la libertà di
ribellarsi. Saranno l’implicita accentuazione del carattere democratico del pensiero liberale a
dar vita, nel XVIII, a ciò che viene definito liberalismo politico, le cui massime espressioni
furono la Dichiarazione di Indipendenza americana e la Dichiarazione dei diritti fondamentali
dell’uomo della rivoluzione francese. Tuttavia le vicende che seguirono la rivoluzione francese,
quali il successivo periodo di restaurazione, fecero emergere una potenziale antitesi fra
liberalismo ed egualitarismo, il cui preludio era stato lo spostamento verso in fluente più
moderate dei movimenti liberali. Differente fu invece il progresso liberale oltreoceano di De
Toqueville, nella cui opera (La democrazia in America), si evince una conciliazione di
egualitarismo e liberalismo, concretizzatasi in una impostazione politico-economica
liberaldemocratica , fondata sul decentramento dei poteri decisionali e sul diritto di
associazionismo.
Quando assunto dalla classe dominante, l’ideologia liberale diviene spesso sinonimo di
conservatorismo. Si tende infatti ad accentuare il limitato potere statale previsto dal liberalismo
d’origine, giungendo a forme di statalismo atte alla difesa di istituzioni politiche ed economiche
consolidate. Emerse quindi una corrente riformista che si propose si limitare le libertà
individuali in relazione al riscatto dei ceti oppressi (“libertà da” e “libertà di” formulata da
Ruffini alla fine del XIX secolo). Il liberalismo moderno si è quindi concentrato sul ruolo dello
stato come mediatore delle “libertà da” e delle “libertà di” e come demolitore degli ostacoli
economico-culturali allo sviluppo equilibrato della società.
Il Liberalismo Economico
Per liberalismo economico si intende un indirizzo economico che cominciò, già dal 1776 (data
della pubblicazione della Ricchezza delle nazioni di Smith), ad intravedere nell’esplicazione
dell’individuo in campo economico, previa astensione dell’ingerenza statale, la condizione
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ottimale al benessere dell’intera società. Come in ambito politico la centralità è affidata
all’individuo, il cui campo d’azione viene imparzialmente razionalizzato dal sistema di
mercato. L’astensione dello stato non preclude tuttavia il dovere di legiferare la razionalità del
mercato e la prevenzione di distorsioni quali monopoli e cartelli capaci di influenzare fino ad
obbligare le scelte individuali. L’intervento statale si delinea quindi sotto l’aspetto formale e
non sostanziale.
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cooperativi di Nash ed il Dilemma del prigioniero), il Monetarismo di Friedman e Lucas (alla
base del neoliberismo delle politiche monetarie occidentale dagli anni Sessanta agli anni
Ottanta) ed infine gli studi sull’implementazione delle tecnologie di informazione.
SECONDO BLOCCO DIDATTICO:
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sottoscritto dalla stessa Germania. Il 5 agosto l’Inghilterra, non potendo sopportare
l’occupazione di uno stato neutrale affacciato sul canale della Manica, dichiarò guerra alla
Germania. Ciò diede prova della scarsa lungimiranza tedesca, la quale non aveva mai calcolato
l’eventualità di un attacco inglese. Inoltre i politici tedeschi credettero di avere a che fare con
una guerra-lampo che, non solo non avrebbe apportato particolari danni alla nazione, ma
avrebbe addirittura contribuito a sanare le tensioni sociali e rafforzare il potere della classe
dirigente.
Intanto la mobilitazione patriottica portò alla crisi dell’internazionalismo socialista. La
socialdemocrazia tedesca ed austriaca votarono a favore della guerra per paura di un’eventuale
vittoria zarista. I socialisti francesi, capeggiati da Jean Juarès, ucciso da un nazionalista,
rinunciarono ad ogni sorta di pacifismo; lo stesso fecero i laburisti inglesi. Solo in Russia e in
Serbia i socialisti mantennero un intransigente opposizione. Intanto la Seconda Internazionale,
espressione più alta di internazionalismo fra i lavoratori cessò praticamente di esistere.
L’Intervento Italiano
Il 2 agosto 1914, appena scoppiata la guerra, il primo ministro Antonio Salandra aveva
dichiarato la neutralità italiana in onore al carattere difensivo, e non offensivo, della Triplice
Alleanza (l’Austria non era stata attaccata, e soprattutto non aveva consultato l’Italia prima di
aprire il conflitto con la Serbia). In seguito si pensò di intervenire contro l’Austria, in modo da
portare a compimento il processo risorgimentale, prendendosi Trento e Trieste, ed aiutare la
causa delle nazionalità oppresse e della stessa democrazia, la quale sarebbe stata messa a
repentaglio da un eventuale vittoria delle autoritarie Germani ed Austria.
I repubblicani, i radicali, i social-riformisti di Bissolati, le associazioni irredentiste, le frange
estremiste del movimento operaio, come i sindacalisti rivoluzionari di De Ambris e Corridoni,
si unirono ai nazionalisti, fautori attivi dell’intervento, i quali volevano affermare la vocazione
imperialista del Bel Paese.
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Più cauta e graduale fu l’adesione alla causa interventista dei gruppi liberal-conservatori
rappresentati politicamente da Salandra e Sonnino, e dei quali il “Corriere della Sera” di Luigi
Albertini si era dimostrato essere il più autorevole portavoce.
La linea neutralista venne assunta da Giovanni Giolitti, il quale sperava di avere buona parte
dei territori rivendicati come compenso da parte della Triplice Alleanza per la neutralità del
paese, e dal pontefice Benedetto XV, contrario per il suo estremo pacifismo e per il rifiuto di
vedere l’Italia schierata contro la cattolicissima Austria, piuttosto che contro l’anticlericale
Francia. Poi sebbene i socialisti del PSI e della CGL, rispecchiando l’istintivo pacifismo delle
masse operaie e contadine, confermassero la dura condanna all’intervento, vi fu una defezione
molto importante: il direttore del “Avanti!” Benito Mussolini si convertì improvvisamente a
favore dell’intervento. Espulso dal partito e destituito dall’incarico, Mussolini fondò nel
novembre 1914 il quotidiano “Il Popolo d’Italia”, tribuna dell’interventismo di sinistra.
Sebbene quindi la frangia neutralista fosse la maggioranza, gli interventisti godevano di
maggiore rappresentanza politica e un decisivo dominio sulle piazze. Anche la piccola e media
borghesia colta, più sensibile ai valori patriottici, fomentata dagli intellettuali di maggior
prestigio, come Luigi Einaudi, Gaetano Salvemini, Giovanni Gentile e Giuseppe Prezzolino, si
schierò, con piccole eccezioni come Benedetto Croce, a favore dell’intervento.
Infine furono Salandra e Sonnino, i quali avevano allacciato rapporti segretissimi con l’Intesa
durante le trattative con la Germania e l’Austria-Ungheria (riguardo i territori rivendicati in
cambio della neutralità), a decretare l’intervento italiano firmando il Patto di Londra del 26
aprile 1915, all’insaputa del Parlamento e degli altri membri di governo.
L’opposizione neutralista della Camera, a cui spettava la ratifica del trattato londinese,
appoggiò Giolitti e destituì Salandra. Tuttavia il re e le “radiose giornate” delle manifestazioni
di piazza spinsero tutti i deputati, eccezion fatta per i socialisti, a votare per l’intervento
(l’alternativa neutralista prevedeva la destituzione del re e del governo, quindi una grave crisi
istituzionale). Il 23 maggio 1915 l’Italia entrò in guerra a fianco dell’Intesa e il motto “né
aderire né sabotare” dell’internazionalismo proletario divenne un’implicita confessione di
impotenza.
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La Guerra nelle Trincee
Due anni e mezzo di guerra d’usura non risolsero la situazione di stallo, in cui la vecchia
dottrina militare (tattica di movimento) veniva messa in pratica con l’uso delle nuove armi
automatiche, capaci di trasformare uno scontro in una vera carneficina. Dal punto di vista
tecnico, il protagonista della guerra fu la trincea, inizialmente concepita come rifugio
provvisorio in previsione di un attacco decisivo, poi come sede permanente dei reparti di prima
linea. Venivano strutturate più linee di trincea, la prima posta anche a poche decine di metri
dalla prima linea nemica, collegate da camminamenti, protette da reticoli di filo spinato
(talvolta elettrificato) e da nidi di mitragliatrici. Le condizioni igieniche erano deplorevoli, e i
soldati erano costretti a cambi settimanali. La vita in trincea logorava i combattenti sia
fisicamente che moralmente, tanto che in pochi mesi l’entusiasmo patriottico svanì. Solo gli
ufficiali di complemento e le esigue minoranze organizzate in reparti speciali (come le
Strumtruppen tedesche o gli Arditi italiani), tutti gli altri, a partire dai giovani borghesi, fino ai
soldati semplici di origine contadina (gli operai erano rimasti nelle fabbriche per la produzione
bellica), furono tanto disillusi da mostrare un autentico rifiuto. Questo rifiuto si traduceva in
renitenza alla leva, alla diserzione, all’autolesionismo, fino ai casi più estremi:
l’ammutinamento collettivo, il cui numero crebbe con il prolungarsi del conflitto, con un
apice nel corso del 1917.
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mobilitazione dei cittadini. Venivano quindi stampati manifesti murali, organizzate
manifestazioni di solidarietà ai combattenti ed incoraggiate le associazioni di resistenza
interna. L’esaltazione patriottica non fece tacere i dissidenti del movimento operaio europeo,
tanto che si tennero in Svizzera le conferenze socialiste internazionali a Zimmerwald
(settembre 1915) e a Kienthal (aprile 1916), durante i quali Lenin, leader bolscevico, aveva
invitato i socialisti ad approfittare della guerra per affrettare il crollo del regime capitalista.
Tuttavia le conferenze resero evidenti alcune spaccature interne: la spaccatura tra il pacifismo
delle sinistre riformiste ed il disfattismo rivoluzionario dei radicali (ad esempio i bolscevichi
russi e gli spartachisti, chiamati così per la Lega di Spartaco, una società semiclandestina
fondata nel 1916 da Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg).
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morale, grazie alla propaganda al fronte, garantita dai giornali di trincea e dal Servizio P,
affidato ad ufficialai minori e prestigiosi intellettuali.
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La Rivoluzione Russa
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I Soviet e Lenin
Subito al potere legale si affiancò quello dei soviet, (“consiglio”), cioè degli organi locali
rivoluzionari eletti direttamente dal popolo, sorti a Pietroburgo nella rivoluzione fallita del
1905. Dopo un viaggio tumultuoso attraverso l’Europa in guerra, Lenin tornò finalmente in
Russia e diffuse le cosiddette Tesi d’Aprile, un documento in cui rinforzava la necessità di una
rivoluzione proletaria e affermava, contrariamente a quanto diceva Marx, che in Russia doveva
avvenire per prima, proprio perché arretrata e debole. L’occasione per far entrare i bolscevichi
in tutti i soviet si presentò quando il presidente del Consiglio Kerenskij incitò le forze
socialiste a fermare il colpo di stato militare che cercava di attuare il generale Kornilov. La
rivolta fu stroncata, ma i bolscevichi ne uscirono immensamente rinforzati, conquistando la
maggior parte dei soviet a Pietrogrado e Mosca.
La Terza Internazionale
Si doveva adesso, solidificata in patria, esportare la rivoluzione in Europa. Fu così che la
vecchia Internazionale Socialista divenne comunista a tutti gli effetti, e mirava a raccogliere
tutti i partiti rivoluzionari europei. Ai primi di marzo del 1919 l’Internazionale Comunista, o III
Internazionale, raccolse circa 50 delegati dalle province dell’ex impero russo. Fu dunque
decretata la fondazione ufficiale del Comintern (Internazionale Comunista). Il II Congresso
del Comintern, tenutosi nel luglio del 1920, raccolse ben più delegati, rappresentanti 64 partiti
operai da tutto il mondo. Tutti i partiti dovevano assumere il nome di Partito Comunista e
appoggiare la rivoluzione bolscevica in ogni sede e seguire le direttive del Partito centrale.
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economica più energica e autoritaria. Furono istituiti dei comitati per distribuire le derrate
alimentari, e si crearono le fattorie collettive (Kolchoz) e fattorie sovietiche (Sovchoz) gestite
direttamente dai soviet locali. Con un decreto si attuò la nazionalizzazione delle industrie più
importanti (1918). Sebbene questo piano fosse sufficiente per alcune funzioni essenziali,
economicamente si rivelò un fallimento. Dopo una terribile carestia del ’21, il governo dovette
correre ai ripari. Nel marzo, si tenne a Mosca il X Congresso del Partito Comunista, che
formalmente decise di avviare la Nep, Nuova Politica Economica. Ai contadini si consentiva di
vendere in proprio le eccedenze, dopo averne donate una parte allo Stato. Venne stabilita la
liberalizzazione industriale, parallelamente alla nazionalizzazione parziale del sistema
creditizio. Questo piano favorì una notevole ripresa economica e un miglioramento generale
delle condizioni sociali, ma rimanevano molti punti oscuri, come i salari piuttosto bassi,
l’assenza di un’organizzazione sindacale, la disoccupazione e nonché la creazione del ceto dei
kulaki, cioè dei contadini ricchi che controllavano il mercato agricolo.
La Politica di Stalin
Proprio per il suo isolamento, l’Urss non fu toccata dalla crisi economica. Abbandonata la Nep
Stalin volle dare una spinta straordinaria all’industria. Dal ’29 iniziano i Piani quinquennali
cioè periodi in cui si stabiliva di quanto dovesse crescere l’industria e l’economia. Nonostante
la quota fissata dal primo piano non fosse stata raggiunta, si raggiunse il prestigioso risultato di
raddoppiare la produzione in un solo anno. Tristemente si propose anche di eliminare la classe
sociale dei kulaki con un processo chiamato dekulakizzazione. Prese le loro terre e le rese
pubbliche. Gran parte si rifiutava e preferiva bruciare i propri raccolti piuttosto che donarli ai
kolchozy. I refrattari venivano deportati e massacrati, si parla di 5 milioni di morti.
Dal momento che chiunque poteva essere tacciato di essere fascista e quindi deportato, si creò
un clima di tensione e di sfiducia nei confronti del prossimo. Stalin aveva operato la
distruzione della personalità. La “rieducazione” consisteva nella deportazione nei campi
forzati chiamati Lager. Il Gulag era l’organo centrale amministrativo del Lager. Solzenitsyn
chiamerà questi campi di concentramento sparsi in tutte le zone più inospitali dell’Urss
“Arcipelago Gulag”. Le grandi frange intellettuali russe cominciarono qui un enorme esodo
all’estero. Il regime condannò ogni forma d’avanguardia artistica che si discostasse dal
realismo comunista, che descriveva, idealizzandola, la vita nella Russia. Tutto il fiorente
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movimento artistico (il Costruttivismo, il cinema di Ejzenjstein) e letterario (Majakovskij) nato
durante le prime fasi della rivoluzione fu costretto a scomparire sotto il controllo e la censura di
quello che, tradendo le iniziali aspettative di libertà, diventava sempre di più un regime
dittatoriale totalitario al pari di quello fascista.
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La Repubblica
Nasce così una Repubblica, formata soprattutto da democratici e repubblicani, ma con una
maggioranza di destra. Dopo un periodo di notevole fragilità, con due tentativi di colpi di stato
(uno militare, nel ’32, e uno anarchico sanguinosamente represso nel ’32), nel Febbraio del ’36
finalmente uno schieramento composto dalle ali della sinistra parlamentare (comunisi,
repubblicani e socialisti), il Fronte Popolare, vince le elezioni e avvia una serie di importanti
riforme. Subito però si crearono tensioni. Da una parte, l’esito delle elezioni aveva dato alle
masse meno abbienti la speranza di una rivoluzione sociale che si concretizzò in un’esplosione
di collera nei confronti dell’aristocrazia e del clero cattolico; dall’altra, le numerose schiere
conservatrici e reazionarie trovarono nella Falange (un movimento militarista fondato dal figlio
di Rivera, ispirato nel nome alla falange macedone) una via per reinstaurare la monarchia.
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aerea. Il Fronte invece non riceveva nessun aiuto dalle potenze democratiche europee, Francia e
Inghilterra. Secondo il patto per il non intervento sottoscritto (ma non rispettato) anche da Italia
e Germania esse rimanevano neutrali, ben lontane dal finanziare il Fronte, che appariva ai loro
occhi una forza comunista. Soltanto l’URSS aiutò la Repubblica, con l’invio di materiale
bellico, ma soprattutto con l’istituzione delle Brigate Internazionali, un esercito di volontari
aperto a tutti gli antifascisti di ogni paese. Tra gli altri vi aderirono intellettuali come
Hemingway e Orwell. La famosa Brigata Garibaldi era composta da italiani anti-fascisti
orgogliosi di combattere contro la stessa forza che in Italia non potevano contrastare.
Come se non bastasse, all’interno del Fronte si faceva sempre più forte il contrasto tra gli
anarchici e gli altri gruppi politici, più moderati e che cercavano di attenersi ad una disciplina
militare. Spaccato così, perse rapidamente anche quell’euforico appoggio popolare degli inizi e
nella primavera del ’38 la sorte della guerra fu segnata. I fascisti riuscirono a dividere i territori
repubblicani separando Madrid e la Catalogna. Dopo il ritiro delle Brigate Internazionali la
Repubblica riuscì a resistere ancora per quasi un anno. All’inizio del ’39, però, Madrid cadde e
i Franchisti vinsero la guerra e instaurarono un regime fascista sulla falsa riga di Nazismo e
Fascismo, destinato tristemente a durare addirittura fino al 1975, ovvero fino alla morte del
dittatore.
La guerra civile, durata circa tre anni, lascia un’eredità disastrosa: se oltre 500mila sono i morti
durante il conflitto (in combattimento, per rastrellamenti o per stragi ideologiche) decine di
migliaia ve ne furono in seguito alle violente repressioni franchiste. Nel suo radiomessaggio del
16 Aprile 1939, papa Pio XII osò parlare di una vera e propria “vittoria contro i nemici di
Gesù Cristo". Questa guerra è per molti storici un sinistro preambolo alla guerra totale di poco
tempo dopo, caratterizzata da metodi e tecniche di guerra (i bombardamenti di centri abitati, le
rappresaglie, i rastrellamenti) che l’Europa avrebbe sperimentato successivamente.
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XVIII
speculativa quanto dell’intero processo di espansione economica nazionale. Alla crisi di
sovrapproduzione dei settori industriali di guerra e alla crisi del settore agricolo si tentò di
ovviare con un maggior flusso di esportazioni, il quale, unito alla dipendenza economica
europea dai finanziamenti USA, fece si che il legame tra i due continenti divenisse ancor più
stretto ed indissolubile: l’espansione americana finanziava infatti la ripresa europea, dalla
quale traeva il suo maggior sostentamento. Quando nel 1928 i capitali vennero dirottati verso
operazioni speculative di Wall Street, la produzione industriale volta all’esportazione in
Europa calò e con essa i maggiori titoli industriali. Questo fu l’inizio della crisi. Se nel
settembre ’29 le azioni vantavano quotazioni altissime, dopo due settimane di incertezza gli
speculatori cominciarono a liquidare in massa le azioni fino all’avvenmto del cosiddetto
“Giovedi Nero” (24 ottobre ‘29) in cui la corsa alle vendite si dilatò così tanto da far crollare
tutti gli indici di Wall Street, danneggiando immediatamente i ceti ricchie benestanti, portando
persino al suicidio 11 speculatori. Il protezionismo USA, la sospensione dei crediti all’estero
ed il protezionismo europeo che ne era diretta conseguenza contrassero il commercio mondiale
del 60%. I licenziamenti nelle industrie in deficit comportarono un rapido calo dei consumi
interni (direttamente proporzionale al tasso di disoccupazione e sottoccupazione) e quindi ad
un’altra crisi del settore agricolo.
La Crisi in Europa
In Europa la crisi finanziaria colpì per prime Germania ed Austria, la cui crisi bancaria e
monetaria nonché l’ovvio declino delle attività produttive e commerciali portò ad una crisi in
Gran Bretagna (i maggiori investimenti inglesi si concentravano nel mercato tedesco ad
austriaco) tanto drammatica che il governo dell’ex laburista Mac Donald (unitosi con una
minoranza liberista dopo essersi sataccato dal partito laburista per opposizione della Trade
Unions al taglio del sussidio di disoccupazione) dovette stabilire un più rigido sistema di
tariffe doganali e sospendere la convertibilità della sterlina, svalutandola e comportando la
decadenza del “Grande Banchiere del Mondo”. In molti paesi europei si pensò di adottare la
risoluzione inglese; se non fosse che la svalutazione della moneta, atta a favorire le
esportazioni, unita ad un’impreparazione politica convinta dell’efficacia del pareggio del
bilancio (tassazzioni maggiori e licenziamenti dei dipendenti pubblici), non fece altro che
contrarre ulteriormente la domanda, facendo andare in recessione la maggior parte degli stati
europei; una recessione che si sarebbe sanata soltanto con il riarmo del 1933.
In Germania il legame ancor più stretto fra prestiti USA ed economia interna fece andare in
crisi l’Spd per dissensi con il centro-destra, portando al governo i cattolici centristi di
Bruning. La politica dell’austerità del governo cattolico fece sospendere, in una conferenza
del 1932, i versamenti tedeschi previsti dal Trattato di Versailles, riducendo tuttavia alla fame
circa 6 milioni di disoccupati, il cui mal contento fu alla base del consenso dell’ascendente
partito nazional-socialista.
In Francia la crisi durò più a lungo poiché, assumendo come onore della nazione il valore
della moneta, venne ritardata la svalutazione del franco al ’37, provocando una tale
instabilità politica da assistere alla successione di 17 governi dal ’29 al ’36.
In Italia, ma di questo tratteremo con più ampio respiro nella sezione dedicata all’economia
fascista, Mussolini istituì l’Imi e, due anni dopo, l’Iri, con l’iniziale intento di far
provvisoriamente carico ai due enti statali dei deficit industriali, se non fosse che il processo di
riprivatizzazione divenne così impraticabile da rendere permanente l’Iri presieduto da
Beneduce, ponendo così le basi per le attitudini odierne dell’economia italiana, incapace di
prescindere dagli interessi politici della classe dirigente.
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incostituzionalità da parte della Corte Suprema, un’ira suscitata dall’incapacità del New Deal
di perseguire il fine ultimo che si era stabilito: ridare un nuovo slancio all’mpresa privata.
Vediamo ora di cosa si trattò. Nei “Cento Giorni” venne sostanzialmente rivalutata l’efficacia
e l’etica dell’intervento statale in campo economico, in netta opposizione con la tradizione
liberista dei repubblicani. In questo breve periodo venne ristrutturato il sistema creditizio
(erano infatti falliti oltre 5000 istituti bancari), svalutato il dollaro al fine di proporre ai mercati
europei esportazioni più competitive, aumentata la spesa pubblica, aumentati i sussidi di
disoccupazione, nonché i prestiti per il congelamento delle ipoteche sulle case, varata una
riforma fiscale ed una legge sulla sicurezza sociale la quale prevedeva la creazione di fondi
pensionistici per la vecchiaia e permetteva la contrattazione collettiva dei salari. Vennero poi
varati tre provvedimenti risolutivi: l’Agricoltural Adjustment Act (Aaa), il quale pur
prevedendo premi in denaro per limitare la sovrapproduzione agricola non riuscì ad arrestare la
caduta dei prezzi e l’aumento del tasso di disoccupazione rurale; il National Industrial
Recovery Act (Nira) che, atto a limitare la sfrenata concorrenza industriale a tutela dei diritti e
dei salari dei lavoratori, suscitò tuttavia la perplessità dei ceti medi per l’effettiva tutela dei soli
interessi dei grandi industriali; il Tennesee Valley Authority (Tva) per la vendita di energia a
buon mercato a favore degli agricoltori attraverso lo sfruttamento delle risorse idroelettriche
del bacino del Tennesee, il quale consistette in un successo più propagandistico che
concretamente economico.
XX
l’indottrinamento ideologico ed il culto della persona, sia le democrazie per la
spettacolarizzazione del dibattito politico, non poterono più fare a meno.
La Disillusione Sociale
Parallelamente allo sviluppo ottimista della società e alla parziale e difficoltosa ripresa
dell’economia internazionale, la profonda disillusione collettiva fu alla base delle
Avanguardie Storiche, delle nuove filosofie (neopositivismo, fenomenologia, esistenzialismo,
spiritualismo cattolico e neo-marxismo), della crisi del romanzo borghese (ci si voleva
concentrare sui nuovi problemi dell’uomo del XX secolo piuttosto che promuovere gli agi
dell’universo preconfezionato della cultura borghese), delle grandi radicalizzazioni
ideologiche, dell’impegno politico dei grandi intellettuali ai fini della propaganda e della
fuga dei cervelli. In sostanza: la Grande Depressione non portò solo al crollo della tradizione
del liberismo radicale degli stati occidentali, ma all’impoveriemtno generale dell’intera cultura
europea.
***
Il Fascismo
XXI
un tale consenso da parte di quei ceti meno abbienti soggetti al dirigismo delle leghe che nel
’21 Mussolini riuscì ad unificare un movimento diviso fra la sua figura ed il fenomeno
squadrista sotto la comune bandiera nonché organo burocratico del Partito Nazionale
Fascista (Pnf). Un anno dopo, nell’ottobre del ’22, Italo Balbo convinse Mussolini a fare
sfoggio della forza acquisita dal movimento, facendo sfilare a Roma circa 30.000 soldati, ed
occupando successivamente arsenali e stazioni, i quella che sarebbe divenuta celebre con il
nome di Marcia su Roma. Fatta chiede al re di firmare lo stato d’assedio, andando incontro ad
un sicuro rifiuto, motivato da un ingiustificata fiducia in una possibile rivalsa liberale. Il re
chiama difatti Mussolini da Milano e gli propone di formare un governo in collaborazione con
le frange liberali del Parlamento. Mussolini rifiuta categoricamente e si dirige alla volta di
Roma, dove presto si sarebbe imposto come capo del governo e ministro degli esteri ad
interim. Con l’istituzione del Gran Consiglio del Fascismo e la sostituzione dei sindaci con la
Prefettura Mussolini cominciò l’accentramento di potere che gli permise di avere la meglio
alle elezioni del ’24. I palesi brogli elettorali suscitarono la rabbia dei socialisti, i quali
esposero tanto Matteotti a denuncia dell’accaduto, da procurarne indirettamente la morte nel
giro di due mesi (il corpo venne ritrovato nel boscho di Riano). L’evidente assassinio di
Matteotti portò alla secessione dell’Aventino dei socialisti, una forma di ribellione e
dimostrazione di dissenso che tuttavia non impedì, anzi, in un certo senso facilitò,
l’imposizione della dittatura fascista a partire dal gennaio ’25.
L’Organizzazione Fascista
Negli anni ’20 in Italia lo stato totalitario era una realtà già profondamente consolidata nella
struttra giuridica e ben riconosciuta nelle sue manifestazioni esteriori. L’impalcatura esterna
dello stato andava sovrapponendosi sempre più a quella del partito grazie al Gran Consiglio
del Fascismo, detentore di funzioni costituzionali in crescita, Mussolini come capo del
governo e Duce del fascismo, la Prefettura, la Polizia di Stato e la Milizia, con la funzione
per lo più decorativa di potere ausiliario. A questi organi erano da aggiungersi le numerose
organizzazioni collaterali che consentirono al Pnf di permeare in ogni realtà sociale,
indirizzandone la mentalità. Gli organismi collaterali di maggior rilevanza erano l’Opera
Nazionale del Dopolavoro, il Comitato Olimpico Nazionale (Coni), i Fasci Giovanili, i
Gruppi Universitari Fascisti, l’Opera Nazionale Balilla, i Figli della Lupa, nonché le
organizzazioni collaterali femminili (Fasci Femminili, Piccole Italiane, Giovani Italiane e
Massaie Rurali), volti alla propaganda delle tradizionali virtù domestiche della donna e al
sotteso impedimento di ogni qualsivoglia processo di emancipazione della donna. Grazie a tale
XXII
organizzazione, fondata sul raccordo fra organi burocratico-giuridici del Partito ed organi
collaterali volti all’indottrinamento politico-ideologico fondamentalmente giovanile, il Pnf
dilatò la propria presenza nella società civile tanto che l’adesione ad esso passò dall’essere
segno distintivo di una elite a pratica massiva, nonché formalità burocratica per l’accesso ai
posti di lavoro dell’amministrazione pubblica.
XXIII
palesò all’avvento della Grande Depressione del ’29, alla quale, se in un primo momento si
rispose con politiche disoccupazioniste, in seguitò vi si pensò di ovviare con lo sviluppo di
lavori pubblici e con l’intervento statale nelle imprese private. Del primo provvedimento si
videro i risultati con il Progetto di Bonifica Integrale dell’Agro-Pontino il quale, pur
valorizzando terre un tempo incolte, apportò un vantaggio sostanzialmente propagandistico
(basti pensare alla fondazione di Sabaudia e di Littoria), la costruzione di nuove strade, di
tronchi ferroviari e di nuovi edifici pubblici volti a soddisfare il gusto monumentale del Duce,
del Pnf e dei giovani “adepti”.
L’intervento diretto dello stato si ebbe con la cosiddetta “crisi delle banche miste”, cioè di
quelle banche che, create nell’800 a sostegno del credito industriale, si erano trovate a gestire
l’intera economia industriale del paese. In aiuto di Banco Commerciale e Credito Italiano
vennero istituiti l’Imi e, due anni dopo, l’Iri, istituto di credito che, inizialmente pensato come
provvisorio, si trovò a gestire come azionista di maggioranza l’intera struttura bancaria ed
imprenditoriale italiana, rendendo impraticabile la riprivatizzazione delle imprese e
divenendo quindi ente statale permanente nel ’37.
Lo Stato divenne quindi, oltre a banchiere, anche imprenditore, cercando tuttavia di ricreare
con incentivi statali un tessuto di impresa privata, i cui rischi andarono inevitabilmente a
gravare sulle tasche della collettività.
Uscita meglio e prima dalla crisi delle altre potenze occidentali, l’Italia di Mussolini decise di
convogliare i guadagni in dispendiose quanto poco proficue imprese militari, accentuando
l’isolamento economico del paese alle porte di una stagione di economia di guerra che si
sarebbe prolungata, con il secondo conflitto mondiale, fino al secondo dopoguerra.
L’Antifascismo
L’Italia antifascista, a partire dagli anni in cui l’opposizione politica venne resa illegale
(’25-‘26) si organizzò in modo molto eterogeneo, dimostrandosi nei fatti inconcludente fino al
secondo dopoguerra. Se da una parte gli ex popolari (Ppi) poterono organizzare
un’opposizione silenziosa contando sull’indiretta protezione della Chiesa, e i liberali
antifascisti su personalità critiche di spicco del calibro di Benedetto Croce, i comunisti, unici
preparati all’attività cospiratoria con una fitta rete clandestina, concentrarono come anche i
socialisti, la propria principale attività nell’opposizione all’estero, e in particolar modo in
XXIV
Francia. L’opposizione estera si riunì nel ’27 nella Concentrazione Antifascista, la quale
portò anche, in fede di una prossima riscossa democratica, alla riunificazione dei socialisti nel
Psi nel ’30.
Contro la tattica attesista della Concentrazione Antifascista si schierò Giustizia e Libertà,
fondata nel ’29 da Lussu e Rosselli, due antifascisti della nuova generazione, i quali avevano
intenzione di creare, attraverso un gruppo di lotta di stampo mazziniano, un centro di raccordo
fra socialisti, liberali e e repubblicani, sanando così la profonda frattura fra marxismo e
liberalismo. Il Pci mantenne una posizione di orgoglioso isolamento strutturando
un’opposizione a Parigi facente capo all’Internazionale con dirigenza moscovita.
Con il Patto di Unità di Azione fra comunisti e socialisti, le forze di opposizione si unirono
sperando di poter incidere sul consenso popolare italiano a seguito della Grande Depressione
del ’29 e dell’impresa in Etiopia, dalle quali tuttavia l’immagine del fascismo uscì solo che
rinvigorita.
***
Il Nazismo
XXV
Presto però Hitler si dimenticò il ruolo di spia e cominciò a emergere in ambito politico, grazie
alle sue grandiose orazioni, che radunavano sempre più gente. Divenne il leader del partito,
scavalcando Dexler. Cambiò il nome in Nasdap, e nel ’23, quando l’inflazione era a livelli
intollerabili, insieme a Ludendorf tentò di compiere un colpo di stato a Monaco, ma viene
arrestato e imprigionato. In carcere scrisse il “Mein Kampf”, testo sacro del nazismo in cui
sono esposti i piani del dittatore. Crede in una razza superiore, quella tedesca ariana,
inquinatasi per la commistione con gli ebrei, popolo senza patria, portatore della dissoluzione
morale del capitalismo e del bolscevismo. Aspira all’abolizione del trattato di Versailles e a
recuperare lo “spazio vitale” espandendosi a oriente.
Fino al 1928 il partito nazionalsocialista non aveva mai ottenuto più del 3% dei voti, ma con lo
scoppio della Grande Depressione del ‘29 lo scenario cambiò radicalmente. A destra le forze
conservatrici cominciarono ad appoggiare le forze eversive, a cominciare dai nazisti. A sinistra
molti operai staccandosi dalla socialdemocrazia si avvicinarono ai comunisti. Alle elezioni del
1930 i nazisti ottennero il 18,3% dei voti. Alla paura e alla rabbia dei ceti medi e dei
disoccupati Hitler offriva esaltanti prospettive di un nuovo primato tedesco, rassicuranti
indicazioni contro i capri espiatori a cui addossare ogni male del paese, e l’immagine di una
forza politica in grado di ristabilire l’ordine contro i “traditori”. Il dissesto economico e
l’esplosione della violenza (150 morti per gli scontri tra nazisti e comunisti nel 1932) andarono
di pari passo con il collasso del sistema politico.
Alle elezioni del marzo’32 il presidente 85enne Hindenburg vinse contro il neocandidato
Adolf Hitler (prese il 37% dei voti) e, spinto dalla grande industria, congedò il cancelliere
Bruning per dar vita ad un governo di destra conservatrice, guidato da Papen e Schleicher.
Questi indissero subito nuove elezioni, cercando la stabilità politica, e Hitler vinse col 37%. Il
30 gennaio del 1933 accettò il governo con solo 3 ministeri nazisti su 11. I conservatori
crederono di aver ingabbiato i nazisti (come avevano creduto i liberali per Mussolini) ma non
fu così. Col pretesto che l’incendio del Reichstag del 27 febbraio 1933 fosse stato opera dei
comunisti, Hitler impose delle gravi limitazioni alla libertà di stampa e di riunione. Il Reichstag
gli concesse pieni poteri con una legge suicida, a cui votarono contro solo i socialdemocratici,
essendo i comunisti ormai nelle carceri o latitanti. In giugno fu sciolta la Spd, e il partito
tedesco-nazionale si autosciolse su pressione dei nazisti, come fece anche il Centro cattolico. In
luglio si proclamava che il partito nazionalsocialista era l’unico consentito in Germania.
Gli ultimi ostacoli erano le S.A. di Rohm (che non appoggiavano l’apertura all’industria di
Hitler) e il capo di stato Hindenburg. Le SA furono massacrate nella famosa “notte dei lunghi
coltelli” dalle SS, schlulz-staffeln, squadre di difesa, create da Hitler. Hindenburg morì del
1934, e Hitler cumulò nelle sue mani le cariche di cancelliere e capo di stato. Così nacque il
Terzo Reich.
Si realizzò il Fuhrerprinzip, il principio del capo come guida del popolo intero, investito del
potere carismatico, cioè fondato su un dono o su una qualità straordinaria, consapevole della
sua missione. Il Fuher doveva avere un rapporto diretto col popolo, e a questo scopo fu creata
la Hitlerjugend (gioventù hitleriana) e l’idea di una “comunità di popolo”. Da questa, in difesa
della razza, erano esclusi tutti i cittadini antinazionali, stranieri o non ariani, e soprattutto gli
ebrei. Allora erano 500.000, e occupavano le zone medio-alte della scala sociale. La loro
discriminazione fu sancita nel settembre 1935 dalle Leggi di Norimberga, che aboliva la parità
di diritti e proibiva i matrimoni tra ebrei e non ebrei; 200.000 ebrei abbandonarono il paese. Tra
l’8 e il 9 novembre’38 fu organizzato un gigantesco “pogrom” che fu ricordato come la notte
dei cristalli, in cui i nazisti distrussero gran parte delle proprietà degli ebrei, e ne uccisero a
decine. A guerra iniziata fu stabilita la soluzione finale, cioè la deportazione di massa e lo
sterminio del popolo ebraico.
La Chiesa nel luglio del 33 stipulò un concordato coi nazisti assicurandosi la libertà di culto e
la non interferenza dello stato negli affari del clero. Le chiese luterane si piegarono al potere e
giurarono fedeltà al fuher. L’unica opposizione un po’pericolosa fu quella della destra
conservatrice, paradossalmente, che aveva permesso al nazismo di ascendere. La mancanza di
dissenso fu dovuta al terribile apparato repressivo e terroristico, costituito di SS, Gestapo e
Lager. Ma come spiegare le dimensioni del consenso?
Grazie innanzitutto ai successi in politica estera: smontò pezzo per pezzo il Trattato di
Versailles, riportando la Germania al ruolo di protagonista europea.
XXVI
Poi ai successi economici: il piano di preparazione alla guerra permise di raggiungere nel ’39 la
piena occupazione. Inoltre fu costruita una vasta rete autostradale. Hitler usò la spesa pubblica
per favorire la ripresa (come Roosvelt con il new deal), e incoraggiò l’iniziativa privata a
rendere il paese pronto alla guerra. Fu applicato il fuhrerprinzip nelle industrie, con
l’imprenditore elevato a capo. Gli operai fruirono di migliori servizi sociali. Infine, grazie ad
una serie di miti vicini all’anima popolare e alla loro diffusione mediante tutti gli strumenti
delle comunicazioni di massa disponibili. Si parla di utopia ruralistica per indicare la società
di contadini-guerrieri celebrata dal nazismo, fondata sui miti della terra e del sangue. Fu
istituito il Ministero per la Propaganda , affidato a Joseph Goebbels. Gl intellettuali furono
inquadrati nella Camera di Cultura. Grandi spettacoli, sfilate, parate, eventi sportivi offrivano
ai cittadini la socializzazione e gli elementi sacrali di cui avevano bisogno.
***
L’Antefatto
La causa principale dello scoppio del conflitto è da attribuirsi allo spregiudicato espansionismo
hitleriano. Tra il 1935 e l’inizio del 1939 infatti la Germania aveva riarmato la Renania
(1936), annesso l’Austria (Anschluss, 1938), occupato la regione dei Sudeti. Dopo la
Conferenza di Monaco nel 1938, con la quale la Germania aveva ottenuto il riconoscimento di
quei possedimenti, l’espansionismo tedesco anziché arrestarsi continuò freneticamente e la
Germania occupò tutta la Cecoslovacchia e rivendicò il corridoio di Danzica in Polonia. Dopo
che anche l’Italia aveva invaso l’Albania, le altre nazioni europee, Francia e Gran Bretagna in
testa, costituirono una rete di alleanze per frenare le potenze dell’Asse, che si erano alleate
militarmente con il Patto d’Acciaio. Nel frattempo Hitler sfruttando lo scetticismo dei sovietici
ad un’alleanza con le potenze occidentali, aveva avviato delle trattative con Stalin. Il 23 Agosto
1939 Ribbentrop e Molotov firmavano a Mosca un patto di non aggressione tra Germania e
Urss, con l’aggiunta di un protocollo segreto con il quale le due potenze leggitimavano le loro
mire espansionistiche nell’Est europeo (come ad esempio, la spartizione della Polonia). La
guerra, a quel punto inevitabile, scoppiò il 1° Settembre 1939, quando le truppe della
Wermacht penetrarono in territorio polacco con 1.200.000 uomini, mentre Varsavia veniva
bombardata dalla Luftwaffe. Immediatamente, il 3 Settembre Francia e Gran Bretagna
dichiararono guerra alla Germania.
Le Prime Occupazioni
La Polonia cadde in due settimane, a causa dello strapotere bellico tedesco, che applicava la
tattica della guerra lampo (blitzkrieg). Intanto negli ultimi mesi del 1939 l’Urss occupò la
zona orientale della Polonia e la Finlandia(che attuò una forte resistenza). Ad inizio 1940 le
truppe tedesche invasero Danimarca e Norvegia, permettendo ad Hitler il controllo su buona
parte dell’Europa centro-settentrionale. In questo periodo Francia e Inghilterra stavano a
guardare senza attuare alcuna mossa (i francesi la chiamarono drole de guerre, guerra per
finta). Lo scontro ebbe inizio il 10 Maggio 1940, quando la Germania cominciò l’invasione
della Francia. La Wermacht penetrò facilmente in territorio francese attraverso i Paesi Bassi e
aggirando la linea Maginot, su cui erroneamente i generali francesi contavano eccessivamente.
L’esercito francese e il contingente alleato rischiarono la totale distruzione e soltanto
un’indecisione di Hitler permise a 350.000 uomini di imbarcarsi nei pressi di Dunkerque e
rifugiarsi in Inghilterra. Il 14 Giugno i tedeschi entrarono a Parigi e il 22 Giugno il maresciallo
Petain, ignorando le esortazioni del generale Charles De Gaulle, firmò l’Armistizio a
Rethondes (nello stesso vagone dove nel 1918 era stato firmato l’armistizio che sanciva la
sconfitta tedesca nella prima guerra mondiale). I tedeschi permisero che nel sud della Francia e
nelle colonie vi fosse un regime collaborazionista guidato da Petain, il Governo di Vichy. Nel
frattempo il 10 Giugno anche l’Italia aveva dichiarato guerra a Francia e Gran Bretagna e aveva
sferrato una debole offensiva nel sud della Francia.
XXVII
La Battaglia d’Inghilterra
Una volta conquistata la Francia, ad Hitler restava da sconfiggere la sola Gran Bretagna per
ottenere il controllo totale sull’Europa occidentale. Dopo che le ipotesi di tregua tra i due paesi
erano sfumate, grazie alla combattività del primo ministro inglese Winston Churchill, gli
strateghi di Hitler avevano messo a punto un piano per l’invasione dell’Inghilterra, denominata
Operazione See-Lowe(Leone Marino). La premessa fondamentale per la riuscita di tale piano
era il controllo dei cieli. Ad inizio di luglio l’aviazione tedesca cominciò a bombardare
frequentemente il territorio inglese, distruggendo non solo obiettivi militari ma anche città
intere (ad esempio Coventry e Leicester), sperando così di fiaccare il morale inglese. Gli inglesi
però non cedettero e anzi respinsero buona parte degli attacchi grazie all’efficienza della Royal
Air Force (RAF) e ad un ottimo sistema di di informazione e di avvistamento radar.
L’aviazione inglese, che aveva circa un terzo degli aerei dei tedeschi, aveva aerei più efficienti
(come lo Spitfire) ed inflisse fortissime perdite alla Luftwaffe, tanto che dopo qualche mese
Hitler dovette rinunciare al suo progetto di conquista dell’Inghilterra.
XXVIII
- I primi segnali di ripresa arrivarono dall’Oceano Pacifico, dove nel maggio-giugno del
1942 gli americani arrestarono l’avanzata giapponese, con le importanti battaglie navali del Mar dei
Coralli e delle Isole Midway. A quel punto gli americani decisero di contrattaccare e costringere il
nemico sulla difensiva con lo sbarco di Guadalcanal, nel febbraio 1943.
- Anche nell’Oceano Atlantico si avvertì questa ripresa. Gli Alleati riuscirono a limitare
il pericolo degli U-Boote tedeschi, che dal 1940 imperversavano lungo le rotte dei convogli che
dall’America si dirigevano in Gran Bretagna, facendone strage. Tale pericolo fu sconfitto grazie a
vari fattori, tra cui il perfezionamento delle tecnologie radar (che furono applicati anche agli aerei) e
a nuove armi più precise. Ciò permise agli Alleati di far giungere più approvvigionamenti in
Inghilterra.
- Altro episodio decisivo fu la battaglia di Stalingrado, in Russia. Dopo durissimi
combattimenti durati mesi e mesi, nel novembre 1942 l’esercito sovietico era riuscito a contrattaccare
in maniera efficace e a chiudere l’armata tedesca in una morsa. Non autorizzando la ritirata delle sue
truppe, Hitler fece sì che l’intera armata tedesca fosse distrutta, subendo così una gravissima sconfitta
(160.000 morti e 91.000 prigionieri), che diede nuovo vigore all’esercito sovietico e alle altre potenze
alleate.
- Stesso discorso vale per il Nord-Africa, dove tra il 23 ottobre e il 2 novembre 1942 gli
inglesi, comandati dal generale Montgomery, avevano attuato una massiccia controffensiva
sconfiggendo il contingente italo-tedesco a El Alamein, in Egitto, costringendo Rommel e il suo
Africa Korps alla ritirata verso la Tunisia.
- Intanto l’8 novembre 1942 le truppe americane sbarcarono in Marocco e si avviavano
alla conquista dell’Algeria e della Tunisia (Operazione Torch). Dopo alcuni mesi grazie anche al
sopraggiungere da Est dell’armata inglese di Montgomery, che inseguiva l’Africa Korps di Rommel,
nel Maggio del 1943, una volta accerchiata l’ultima parte di Tunisia che resisteva, gli Alleati
cacciarono le forze dell’Asse fuori dal Nord-Africa. Mentre tale campagna si avviava al termine i capi
di stato alleati si riunirono nella Conferenza di Casablanca, in cui Roosevelt e Churchill decisero di
aprire un nuovo fronte in Italia.
La Campagna d’Italia
Il 10 luglio 1943 gli anglo-americani diedero inizio all’Operazione Husky, lo sbarco delle loro
truppe in Sicilia, per poi risalire la penisola italiana. Questo avvenimento rappresentò quasi un
colpo di grazia per il regime di Mussolini. Già a marzo c’erano stati scioperi e manifestazioni
nel Nord Italia, a causa del disagio popolare, degli stenti e dei sempre più frequenti
bombardamenti alleati. Il 25 Luglio 1943 il Gran Consiglio del Fascismo votò la sfiducia nei
confronti del duce, che venne arrestato. Il governo fu affidato a Pietro Badoglio. L’8 Settembre
1943 fu divulgata la notizia dell’armistizio tra gli Alleati e l’Italia, decretando per quest’ultima
la resa incondizionata. Mentre il re e Badoglio fuggivano a Brindisi, già liberata dagli anglo-
americani, l’Italia si ritrovò nel caos. Le truppe, ormai senza più un capo, si ritrovarono del
tutto impreparate, e dovettero fronteggiare la forte repressione dell’esercito tedesco, già
presente in massa in Italia. I tedeschi fecero 600.000 prigionieri italiani e, in caso di non resa,
avvenivano dei veri e propri massacri (come a Cefalonia). A Porta San Paolo, a Roma, alcuni
reparti isolati uniti ai civili armati si ribellarono ai tedeschi, compiendo il primo episodio di
resistenza italiana ai tedeschi.
Il 12 Settembre 1943 Mussolini, dopo essere stato liberato dai tedeschi, proclamò la nascita
nell’Italia occupata dai tedeschi della Repubblica Sociale Italiana, con sede a Salò.
Intanto l’occupazione tedesca era estremamente pesante e attuava repressioni durissime nei
confronti della popolazione. Le truppe tedesche infatti, unite agli italiani fedeli alla Repubblica
di Salò, combatterono duramente qualsiasi tipo di qualsiasi tipo di Resistenza, che in quel
periodo si andava sempre più rafforzando (Gruppi d’Azione Patriottica in testa). Un episodio di
dura repressione lo si ebbe a Roma nel marzo del 1944, quando in seguito a un attentato che
aveva ucciso 33 soldati tedeschi, furono fucilati 335 italiani alle Fosse Ardeatine.
Dall’unione di sei partiti antifascisti nacque il Comitato di Liberazione Nazionale (CLN), che
incitava il popolo alla lotta contro i nazi-fascisti. Tale movimento non riuscì però a sostituirsi al
governo di Badoglio, che nel frattempo aveva dichiarato guerra alla Germania.
XXIX
L’avanzata alleata però era rimasta bloccata nel punto strategico di Cassino, lungo la Linea
Gustav. Questa località fu teatro di una sanguinosissima battaglia, durata fino al maggio del
1944, nel corso della quale caddero 150.000 soldati alleati e 70.000 tedeschi, e inoltre fu
distrutta l’antichissima abbazia di San Benedetto. Per velocizzare il rallentamento a Cassino, i
generali alleati pianificarono anche uno sbarco ad Anzio, che però fallì.
Una volta superata Cassino, gli americani entrarono il 4 Giugno 1944 a Roma, costringendo il
re Vittorio Emanuele III ad abdicare in favore di Umberto, che divenne luogotenente generale
del regno. Badoglio si dimise e fu sostituito da Ivanoe Bonomi, uno dei membri più importanti
del Cln. Mano a mano che il fronte si spostava verso Nord, anche la resistenza in quelle zone si
rafforzò notevolmente, e anche in questo caso vi furono durissime repressioni ( ad esempio a
Marzabotto e a Sant’Anna di Stazzema). L’offensiva alleata subì un nuovo stop nei pressi
della Linea Gotica, nell’Autunno del 1944.
Lo Sbarco in Normandia
Mentre i russi avevano preso ad avanzare da Est, e Roosevelt, Churchill e Stalin si accordavano
sul da farsi nella Conferenza di Teheran, le forze anglo-americane pianificarono
l’Operazione Overlord, che prevedeva un massiccio sbarco di uomini e mezzi sulle coste della
Normandia. Il piano fu messo in atto il 6 Giugno 1944, e, grazie alla netta superiorità bellica
alleata, fu un successo. Gli alleati infatti disponevano di quasi 3 milioni di uomini e di 3500
bombardieri(contro i 200 tedeschi), oltre che di 55 divisioni motorizzate contro nessuna dei
tedeschi. Nei mesi successivi, nonostante l’accanita resistenza dei tedeschi, la Francia fu
liberata e il 24 Agosto 1944 anche Parigi era libera.
XXX
dall’equipe del fisico Robert Oppenheimer, la bomba atomica. Ne furono sganciate due sul
territorio giapponese tra il 6 e il 9 Agosto 1945, rispettivamente a Hiroshima e Nagasaki,
causando centinaia di migliaia di morti tra i civili. Vista la situazione drammatica in cui versava
il Giappone, l’imperatore ordinò ai capi di stato maggiore dell’esercito di richiedere
l’armistizio. Esso fu firmato il 2 Settembre 1945 a bordo della corazzata americana Missouri.
Anche per il Giappone la resa fu incondizionata. La Seconda Guerra Mondiale era finita.
- Durante il conflitto vi erano stati molti episodi in cui erano state violate le
Convenzioni di Ginevra, compiendo crimini di guerra efferati. Gli Alleati dopo l’armistizio decisero
di punire i colpevoli di tali crimini, in Giappone e, soprattutto, in Germania. Alla fine del 1945 ebbe
luogo il processo di Norimberga, con il quale vennero giudicati i principali responsabili dei crimini
di guerra nazisti. Anche se molti si erano già suicidati (Hitler, Himmler, Goebels, Goring) furono
condannate a morte 12 imputati e molti altri scontarono pene detentive, soltanto 3 vennero assolti.
- L’assetto europeo subì notevoli cambiamenti. L’Urss ottenne diversi territori nell’Est
europeo, oltre ad avere una sfera d’influenza che si estendeva fino in Germania. L’Italia perse le
colonie e cedette l’Istria e parte della Venezia-Giulia alla Jugoslavia. Alla Polonia fu assegnato il
territorio ad Ovest dell’Oder-Neisse a scapito della Germania. Proprio quest’ultima fu la nazione che
ebbe cambiamenti maggiori. Essa fu occupata militarmente e divisa in 4 zone d’influenza (a Francia,
Gran Bretagna e Stati Uniti la zona occidentale, all’Urss quella orientale), e anche Berlino fu a sua
volta divisa in 4 zone con lo stesso criterio. Inoltre la Germania fu costretta al pagamento di un
risarcimento nei confronti delle nazioni alleate, che ammontava a 20 miliardi di dollari.
- Per quanto riguarda invece il Giappone, esso fu costretto a cedere tutti i territori
conquistati e gli fu imposta la smilitarizzazione e la democratizzazione.
XXXI