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Disturbi dell’Umore

Le emozioni sono delle forze attrattorie, un qualcosa che entra nella nostra sfera mentale e in qualche modo ci
condiziona, potremmo dire che sono una sorta di coloritura emotiva di tutto ciò che facciamo. Dietro a qualsiasi
cosa facciamo c’è un emozione che ci muove, le emozioni rendono più complesso un rapporto di causa effetto che
ci spinge a compiere delle azioni e fare scelte. Possono muoverci verso un obiettivo o allontanarci da esso,
pertanto potremmo dividerle in due grandi campi, le emozioni positive (gioia, felicità, amore, allegria, piacere,
desiderio, ecc.) e le emozioni negative (tristezza rabbia, disgusto ecc). Gli esseri umani tendono a dare una lettura
figurata delle emozioni, ci sono quelle che ci portano su e quelle che ci buttano giù: le metafore cosiddette
“incarnate” spesso nascono dal corpo (atteggiamento accasciato, sentirsi su, sentirsi giù ecc). C’è una sorta di
“barometro” delle emozioni che misura il nostro umore: l’umore lo potremmo definire come la scala parametrica
delle emozioni. Il termine umore fu coniato da Ippocrate che fu il primo a proporre questa sorta di lettura del
funzionamento del corpo umano secondo la regola degli umori intesi in senso letterale come liquidi. Ne
distingueva 4: il sangue, la bile nera, la bile gialla e la linfo flegma. Noi stiamo bene quando questi 4 umori sono
equilibrati, se ne prevale uno avremo delle alterazioni del comportamento. Queste nozioni, per quanto non ci si
creda più, sono rimaste nel nostro linguaggio e nella lettura degli stati d’animo umani. Nella specie umana gli
umori si modulano all’interno di due campi fisiologici (positive e negative) e siamo in grado di riconoscerle perché
sono le stesse che ognuno di noi sperimenta in vita. Parliamo di patologie dell’umore quando si va al di là della
scala della normalità (es. quando la tristezza diventa eccessiva parleremo di depressione, quando l’allegria diventa
eccessiva parleremo di mania).

La Depressione

Un’eccessiva tristezza porterà a uno stato di depressione. Parleremo di tristezza eccessiva quando non c’è
congruità tra lo stimolo depressogeno e la risposta. La depressione è una tristezza abnorme, pervasiva, che va al
di là di quello che dovrebbe essere la risposta normale allo stimolo, ma a volte può anche nascere senza uno
stimolo. La depressione è caratterizzata da tristezza estrema pervasiva, anedonia (da Eden, sta a indicare la
persona incapace di provare piacere per le cose che normalmente gli danno piacere), abulia (mancanza di volontà
di fare le cose), adinamia (mancanza di energia), alterazione dell’appetito per cui di solito il soggetto depresso non
mangia e si nutre solo per sopravvivere (la perdita di peso è una conseguenza classica dello stato di depressione),
tipicamente i soggetti depressi sviluppano anche dei sensi di colpa, si sentono in qualche modo responsabili del
loro stato e il fatto di non riuscire ad essere più come prima è la cosa che li fa soffrire di più. Quest’ ultimo
elemento poi è associato a un comportamento di chi sta intorno al malato che rinfocola questo suo senso di
colpa; la risposta tipica delle persone che stanno accanto a un depresso è quella di esprimersi con frasi del tipo
“fatti forza,tirati su che passerà, non è la fine del mondo”, comportamento che nasce da un desiderio di
rassicurare la persona ma nega la sofferenza e rimette sulle spalle della persona la responsabilità di stare bene o
male, facendola sentire doppiamente sofferente, sia perché sta male e poi perché in questo modo gli viene
accollata la responsabilità del malessere. Non c’è speranza in queste persone, non c’è volontà, non c’è
progettualità, tutto si spegne. In alcuni casi, nelle depressioni cosiddette melanconiche, possono comparire delle
inversioni del ritmo sonno/veglia. Hanno un accresciuto aumento della sintomatologia al mattino. Caratteristica
delle depressioni melanconiche invece è una fame esagerata, soprattutto i dolci. Altra caratteristica è la qualità
distinta, cioè una differenza tra le normali sensazioni di sofferenza e la sofferenza derivata dalla depressione che è
drammaticamente diversa. E qui entriamo nel campo delle cosiddette depressioni endogene o psicotiche, dove la
sofferenza è al di la di qualsiasi cosa che uno possa avere mai sperimentato, e spesso si accompagna a
manifestazioni psicotiche in forma di deliri e di allucinazioni. Il soggetto ha dei deliri che in qualche modo sarà
riconducibile a questa atmosfera di sofferenza, i contenuti saranno in qualche modo riferibili, saranno deliri di
colpa, di rovina, di fine, tipicamente la sindrome di Cotard. Il termine più corretto sarebbe quindi deliroide, in
quanto possiedono una certo grado di derivabilità o comprensibilità. La causa principale della comparsa di questi
deliroidi sono le preoccupazioni eccessive. A volte questo stato porta i soggetti a suicidarsi, perché la morte è
vista come un rimedio per porre fine a questo senso di rovina.

In casi rari succede che il delirio non sia congruo con l’umore: laddove ci aspetteremo un delirio depressorio come
quelli descritti, possiamo avere invece dei deliri di grandezza o comunque incongrui con l’umore e sono segni di
gravità maggiore. Tutto questo stato di cose deve durare almeno due settimane di seguito, e allora si parlerà di
episodio depressivo maggiore: periodo di abnorme abbassamento del tono dell’umore accompagnato da questi
sintomi descritti. Nei casi estremi si può arrivare al cosiddetto stupore melanconico o depressione plumbea, con il
soggetto immobile e in stato di “stupor”, in blocco psicomotorio. Il pericolo peggiore della depressione rimane
comunque il suicidio. Quando parliamo di suicidio dobbiamo fare una prima distinzione tra tentati suicidi e
mancati suicidi: i primi sono dei tentativi in cui il soggetto in qualche modo si lascia una scappatoia, o perché le
modalità sono inadatte a procurare la morte o perché lascia una scappatoia di altro genere; i secondi sono dei
tentativi di suicidio veri e propri che possono non andare a buon fine solo per eventi fortuiti. Il momento più
pericoloso per il rischio che si possa mettere in atto un suicidio, è quando i soggetti cominciano a recuperare un
po’ le forze (ad esempio come effetto di una terapia farmacologica) ma rimane comunque in loro l’idea suicidaria.
Nei soggetti affetti da depressione è totalmente inutile mettere in atto la cosiddetta “moral suasion”, la
persuasione morale, il cercare di minimizzare o rivedere determinati comportamenti, quando siamo di fronte a
una situazione di depressione bisogna intervenire e rivolgersi a uno specialista poiché il soggetto va curato.

La mania

un’eccessiva felicità è definita mania, la quale si divide a sua volta in ipo-mania (forma di esaltazione abnorme
dell’umore che ancora consente il mantenimento di una vita sociale) e mania conclamata (non consente il
mantenimento di relazioni sociali). L’ipomania e la mania sono delle esaltazioni abnormi del tono dell’umore. Il
soggetto maniacale sta sempre in movimento, parla in continuazione, dorme poco, tende a fare giochi di parole,
ha mille progetti, tipicamente non si rendono conto dei propri limiti, spendono troppo (le spese pazze sono
l’aspetto più tipico), in stato di eccitazione perdono le inibizioni sessuali, si imbarcano in progetti irrealizzabili.
Presentano quella che si chiama la fuga delle idee durante la quale innumerevoli pensieri si affacciano
contemporaneamente. I soggetti maniaci, quando giungono in situazioni estremi, stranamente smettono di
parlare, presentano mutacismo paradosso che consiste nel sovraffollamento delle idee che non permette loro di
esporne alcuna. Anche nelle forme di mania conclamata si possono avere manifestazioni psicotiche, deliroidi
congrui con l’umore, di tipo di grandezza, inventori, di potenza, o anche qui deliri incongrui con l’umore che sono
sintomo di un peggioramento della situazione.

Un’altra forma particolare di alterazione dell’umore è l’appiattimento affettivo, cioè una caduta della capacità di
provare emozioni dovuto a una demotivazione generale. Sempre in questo ambito possiamo avere delle
alterazioni di tipo qualitativo come la discordanza ideo-affettiva, cioè l’esistenza di due modalità che sono
incompatibili (ti voglio tanto bene – ti do un pugno) o anche l’ambivalenza affettiva, cioè la coesistenza di due
sentimenti opposti. Sono tutti e tre fenomeni dell’umore che si ritrovano nella SCHIZOFRENIA.
La coscienza o consapevolezza

In psichiatria quando parliamo di coscienza parliamo di consapevolezza, in quanto coscienza nella nostra lingua
vuol dire anche coscienza morale, ovvero l’insieme delle regole morali che applichiamo e dalle quali siamo
governati. Essere consapevoli significa essere presenti a se stessi, sapere chi sono ed essere orientato nel tempo e
nello spazio. È la consapevolezza di essere e di esserci, ma quello che appare bizzarro è che mentre noi abbiamo
la sensazione che questa consapevolezza sia un dato costante, gli studi dimostrano che non è così. Quello che noi
percepiamo come un continuum stabile di consapevolezza in realtà è una cosa un po’ diversa: la consapevolezza è
come se fatta da dei picchi di momenti consapevoli e dei lunghi momenti di automatismo, noi poi unifichiamo
tutto nel nostro ricordo come se fossimo costantemente consapevoli. La coscienza è molto più frammentaria e
complessa di quanto non ci sembri. Alla base della coscienza c’è l’idea che noi siamo in qualche modo i padroni
dei propri atti, siamo consapevoli di quello che facciamo e decidiamo cosa facciamo. L’aspetto fondamentale della
consapevolezza è rispecchiato dalla nostra capacità di manipolare nelle nostre menti cose che non esistono. Se
dobbiamo progettare delle cose le possiamo immaginare nella nostra mente ancor prima che esistano
concretamente. La consapevolezza probabilmente ci permettere di rappresentare, in una sorta di teatro della
mente, la nostra progettualità. La consapevolezza è alla base di un’altra attività importantissima che è quella di
focalizzare il nostro apparato percettivo e reattivo verso gli stimoli esterni (l’attenzione). La mescolanza di
consapevolezza e attenzione forma quella che si chiama la vigilanza. La vigilanza può venir meno fisiologicamente
durante il sonno o anche per questioni di natura patologica. In quest’ultimo caso la vigilanza diventerà piano
piano un torpore progressivo in cui si perderanno tutte le capacità della consapevolezza. Le caratteristiche delle
alterazioni della coscienza sono la confusione, che inizia nell’incapacità a collocarsi nel tempo, il disorientamento
spaziale e quello situazionale. La distraibilità è un altro aspetto importante, caratteristico di questa è il
restringimento dello stato di coscienza, ovvero il soggetto è capace di focalizzare la sua coscienza solo verso gli
stimoli più vicini e immediati. Negli stadi più avanzati segue uno stadio di torpore in cui il soggetto non è più
svegliabile dagli stimoli tattili, dolorosi, sonori, visivi ecc. Ancora più avanti non rispondono più neanche i riflessi
corneali.

Nei disturbi della coscienza ci possono poi essere i cosiddetti dreaming states o stati oniroidi, durante i quali il
soggetto non è più in grado di capire se quello che gli sta succedendo è reale o lo sta sognando.

Schizofrenia
È una malattia incurabile, grave, diffusa, definita anche come “demenzia precox” poiché colpisce soprattutto i
giovani. È un’alterazione di tipo qualitativo, per cui le normali facoltà intellettive, emotive, volitive, mnemoniche si
alterano e non funzionano più in armonia. Il termine sta a indicare proprio questa caratteristica, come se i nervi
fossero separati e le varie funzioni non lavorassero più da concerto. Colpisce soggetti giovani con una lieve
prevalenza per le femmine, l’età d’insorgenza è tra i 18 e i 24 anni, è un problema sociale grandemente
significativo. La malattia ha un inizio abbastanza subdolo: quando arriva la diagnosi il paziente di solito ha già alle
spalle una storia di qualche settimana o mese in cui i sintomi si vanno strutturando, con comportamenti strani,
bizzarri di chiusura, e quando la psicosi è conclamata di solito è incompatibile con la vita normale. Per fare
diagnosi di schizofrenia ci vogliono almeno due dei seguenti 5 sintomi: deliri, allucinazioni, comportamento
disorganizzato, eloquio disorganizzato, appiattimento affettivo. Questi due sintomi devono durare per almeno 6
mesi, durante i quali devono essere prevalenti per almeno un mese. Se il delirio è bizzarro e se le allucinazioni
sono in forma di voci dialoganti o commentanti, posso fare diagnosi anche solo con questi sintomi. I soggetti
schizofrenici hanno dei comportamenti tipicamente bizzarri, strambi, di qualsiasi genere senza finalità o
consequenzialità. La cosa forse più grave è l’appiattimento affettivo, per il quale non esiste tutt’ora un intervento
efficace. La malattia si presenta in 4 sottotipi: il tipo paranoideo, il tipo disorganizzato, tipo catatonico e
indifferenziato. Questi 4 sottotipi si possono cronicizzare e confluire negli anni nel cosiddetto tipo residuale che
rappresenta la conclusione della malattia.

Il tipo paranoideo è quello in cui la personalità è meglio conservata, e prevalgono soprattutto i deliri di tipo
persecutorio e allucinazioni uditive. L’appiattimento affettivo è meno marcato e il comportamento è ancora
compatibile con la vita normale.

Nella forma disorganizzata invece di prevalere i deliri, che comunque sono presenti, prevalgono i disturbi del
comportamento, i soggetti sono disorganizzati e hanno comportamenti molto strani.

Le forme catatoniche non si vedono quasi più: in queste prevale il blocco ideomotorio per cui il soggetto rallenta
progressivamente le azioni fino al punto in cui appunto si blocca, come se non potesse più governare le proprie
azioni. In questa situazione il soggetto può essere addirittura manipolato, si può cambiare postura al soggetto
senza che egli opponga alcuna resistenza, come se plasmassi della cera (flexibilitas cerea). Normalmente nelle
forme catatoniche i soggetti hanno il segno del cuscino perché passano molto tempo a letto con la testa
appoggiata su un cuscino immaginario sena mai stancarsi. Queste forme sono meno visibili in quanto sono
condizioni che possono essere prevenute con l’intervento farmacologico.

Poi abbiamo le forme indifferenziate che sono quelle in cui non è possibile identificare un tipo specifico, in cui non
c’è un sintomo prevalente. In queste prevalgono di solito gli aspetti dell’appiattimento affettivo.

La caratteristica della malattia in generale è la mancanza di “insight”, ovvero mancanza di consapevolezza della
malattia, il che li rende scarsamente o per niente aderenti alle cure. Tutto sommato se si struttura un buon
rapporto con il paziente si riesce a convincerli ad intraprendere un percorso di cura, data soprattutto la mancanza
in essi di una volontà strutturata.

In alcuni casi si possono ottenere dei miglioramenti mediante la terapia ed evitare la cronicizzazione, grazie
soprattutto allo spegnimento dei sintomi positivi o produttivi, chiamati così per evidenziare l’insorgenza di
qualcosa che prima non c’era, che sono i primi quattro. Il sintomo dell’appiattimento affettivo invece è chiamato
sintomo negativo perché è la perdita di qualcosa che invece si aveva, quindi si ha una riduzione di qualità. I
farmaci odierni, nonostante i grossi benefici, non riescono a trattare questa componente sintomatologica
negativa, quindi anche se i soggetti dovessero trarne benefici, comunque subirebbero la perdita di qualcosa (ecco
perché in passato si usava dire che “guariscono per difetto”). Un’altra caratteristica della schizofrenia è che può
avere fasi di riacutizzazione e fasi di spegnimento, ma non ritornerà mai lo stato “quo ante”.

Esistono dei casi in cui questi sintomi patognomonici durano meno di 6 mesi, e in tal caso si parlerà di sindrome
schizofreniforme. Ovviamente la prognosi è buona, ma c’è da dire che spesso queste sindromi possono
ripresentarsi nel corso della vita. Se i sintomi durano meno di un mese ci troviamo in un altro quadro ancora che
si chiama sindrome psicotica acuta transitoria (SPAT). Anche questa può ripresentarsi nel corso della vita.

Disturbi Deliranti
Sono delle malattie caratterizzate dalla presenza di un delirio non bizzarro, cronico e che dura praticamente tutta
la vita. Questo unico sintomo consiste nella malattia, somigliano alla schizofrenia in quanto anche in quest’ultima
l’aspetto più vistoso è il delirio. I disturbi deliranti più comuni sono il disturbo delirante paranoideo, caratterizzato
dalla presenza di un delirio persecutorio cronico in cui non ci sono allucinazioni, appiattimento affettivo,
comportamenti disorganizzati. Il soggetto ha un delirio ed è tutta lì la sua alterazione.
Un’altra forma è caratterizzata dalla presenza di deliri di grandezza, di solito sono deliri inventori, con soggetti
convinti di aver inventato oggetti strambi. Deliri di gelosia, e in questo campo è molto difficile fare una diagnosi in
quanto esistono persone estremamente gelose ma non deliranti, e comunque le persone sane possono avere dei
dubbi sulla fondatezza della propria gelosia mentre nel disturbo il soggetto crede fermamente nella propria tesi
che non è correggibile. Deliri genealogici che consistono nel delirio di credere di essere figli di famiglie nobili, in
cui spesso si inserisce il delirio di Capgras o delirio dei sosia, con il paziente che si convince che i propri genitori
siano dei sosia che si siano sostituiti ai veri genitori. Poi abbiamo il disturbo delirante erotomanico che è la
convinzione delirante di essere in un rapporto amoroso con una persona importante. Queste persone sono
spesso alla ricerca della persona con cui credono di avere una relazione, arrivano a cercare il contatto o
comunque a contattarle e cercare di rintracciarle, ma per via del disturbo tramutano la inevitabile delusione,
dovuta a un allontanamento forzato, in dolore e rabbia e a volte arrivano a essere stalking o a fare gesti
inconsulti. L’ultimo di questi disturbi è il disturbo delirante somatico, ovvero delle convinzioni deliranti che il
proprio corpo si stia trasformando, ed è l’unica forma di disturbo delirante in cui il soggetto può avere delle
allucinazioni sfumate e non strutturate, per cui sente letteralmente il cambiamento corporeo.

Questo tipo di disturbi deliranti una volta erano indicati con il termine di paranoia, successivamente
abbandonato, con il quale si cercava di rendere tali disturbi derivabili, associabili a una condizione o a un qualsiasi
altro elemento. I disturbi deliranti in linea di massima rispondono male alla terapia.

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