COMMEDIA 1 Taciti, soli, sanza compagnia 1 Silenziosi, soli, non più accompagnati (dai n'andavam l'un dinanzi e l'altro dopo, diavoli) procedevamo l’uno davanti all’altro, come frati minor vanno per via. come i francescani camminano per la strada. HOME PAGE Dopo la fortissima animazione dei due canti precedenti, tutti risolti in movimento e contrapposizione di masse, l’inizio del XXIII propone il tema del silenzio e della meditazione. L’andatura lenta dei due poeti si riflette anche nella 1 2 3 4 scansione ritmica del primo verso, mentre il paragone con i frati minor suggerisce l’atmosfera claustrale che caratterizzerà la bolgia degli ipocriti. Il primo verso, "grave, ci dà il senso di smarrimento e di soggezione dei due poeti 5 6 7 8 di fronte al soprannaturale che li circonda" (Malagoli), il secondo ribadisce l’isolamento in cui ciascuno di loro si trova: 9 10 11 12 Dante e Virgilio avanzano probabilmente anche qui, come all’inizio dei canto X, per un secreto calle, che impedisce loro di procedere affiancati. 13 14 15 16 4 Vòlt' era in su la favola d'Isopo 4 A causa della recente zuffa il mio pensiero 17 18 19 20 lo mio pensier per la presente rissa, era rivolto alla favola di Esopo, nella quale 21 22 23 24 dov' el parlò de la rana e del topo; egli narra della rana e del topo; 25 26 27 28 7 ché più non si pareggia 'mo' e 'issa' 7 poiché "ora" e "adesso" non sono più uguali, che l'un con l'altro fa, se ben s'accoppia di quanto non lo siano la favola e la zuffa, se 29 30 31 32 principio e fine con la mente fissa. si confrontano con attenzione l’inizio e la 33 34 fine. La citazione di Esopo non ha carattere dotto, ma popolare. Nel Medioevo le favole esopiche erano molto conosciute Home Page attraverso volgarizzamenti e rielaborazioni del testo latino di Fedro. La favola alla quale Dante paragona la rissa che ha avuto come protagonisti Alichino e Calcabrina narra di una rana che, per far attraversare ad un topo un corso d’acqua, lo persuase a legarsi a lei. Giunti a metà cammino, la rana cominciò ad immergersi, volendo far affogare il topo. In quell’istante sopraggiunse un nibbio, che li ghermi entrambi. Come la rana, Calcabrina era accorso in apparenza per porgere aiuto ad Alichino, in realtà per azzuffarsi con lui, e come il nibbio della favola la pece bollente aveva posto fine alla loro contesa (XXII, verso 142). "Certamente il rapporto tra la favoletta e la disavventura dei due diavoli è calzante; anzi, come avverte il Poeta, il raffronto del principio e della fine dei due casi; ma più della corrispondenza di contenuto alla fantasia dell’artista si imponeva quella storia di animali tra i meno nobili... anche nella tradizione favolistica, per la sua concordanza con la trascrizione caricaturale del mondo demoniaco attuata nei due canti precedenti." (Bonora) 10 E come l'un pensier de l'altro scoppia, 10 E come un pensiero scaturisce all’improvviso così nacque di quello un altro poi, dall’altro, così da quello ne venne fuori in un che la prima paura mi fé doppia. secondo tempo un altro, che raddoppiò in me la paura di prima. La situazione drammatica prospettata dal Poeta in questo inizio di canto è soltanto immaginata. Il silenzio e la solitudine accrescono in Dante la paura. Non è tanto su questa che egli ferma la sua attenzione, quanto sulle modalità del suo determinarsi. Opportunamente osserva il Sanguineti: "Dalla intensa azione del ludo, dal suo colore aperto di spettacolo e di dramma, l’inizio del canto conduce... alle sole figure della coscienza: il dramma ora è primamente un dramma mentale". Testimonia di questa attenzione volta alle operazioni dell’intelletto, al modo in cui il pensiero prende forma e si lega ad un pensiero precedente, la precisione dei linguaggio, denunziata, fra l’altro, dal singolare impiego di avverbi altrimenti consueti come mo e íssa, da quello di sostantivi astratti, considerati nel loro distinguersi o contrapporsi reciproco (l’un con l’altro... principio e fine), e di verbi che indicano un massimo di genericità (la) o processi nei quali questo distinguersi e questo contrapporsi si fondono (s’accoppia, cui corrisponde, messa in forte rilievo dalla rima, la determinazione esatta, quantitativa, di un sentimento: fe’ doppia). 13 Io pensava così: «Questi per noi 13 Io ragionavo in questo modo: "Costoro sono sono scherniti con danno e con beffa stati per causa nostra derisi con tale danno e sì fatta, ch'assai credo che lor nòi. tale scorno, che ritengo che a loro rincresca grandemente. 16 Se l'ira sovra 'l mal voler s'aggueffa, 16 Se l’ira si aggiunge alla cattiveria, essi ci ei ne verranno dietro più crudeli inseguiranno più inferociti del cane nei che 'l cane a quella lievre ch'elli acceffa». confronti della lepre che addenta. 19 Già mi sentia tutti arricciar li peli 19 Sentivo già arricciarmisi tutti i peli per lo de la paura e stava in dietro intento, spavento, e volgevo attento lo sguardo quand' io dissi: «Maestro, se non celi indietro, allorché dissi: "Maestro, se non nascondi 22 te e me tostamente, i' ho pavento 22 rapidamente te e me, io ho paura dei d'i Malebranche. Noi li avem già dietro; Malebranche: li abbiamo già alle nostre io li 'magino sì, che già li sento». spalle: li vedo a tal punto con l’immaginazione, che già li sento (dietro di noi)". 25 E quei: «S'i' fossi di piombato vetro, 25 E Virgilio: "Se fossi uno specchio, non l'imagine di fuor tua non trarrei rifletterei più rapidamente la tua immagine più tosto a me, che quella dentro 'mpetro. esterna, di quanto ora imprimo in me la tua immagine interna. Osservazioni, analoghe a quelle sopra riportate a proposito del linguaggio astratto e preciso con il quale Dante definisce l’insorgere in lui della paura (soltanto nell’immagine del cane che ghiermisce la lepre e in quella, immediatamente successiva, dei peli che gli si "arricciano", quasi egli fosse, come ha notato il Momigliano, un cinghiale, una selvaggina inseguita, la paura trova una sua espressione diretta) possono farsi a proposito di questa risposta di Virgilio. Scrive il Mattalia: "Nemmeno in questa circostanza Virgilio vien meno al suo stile di poeta-filosofo amante della più calibrata precisione tecnica: Dante aveva parlato di " immaginazione ", e Virgilio riprende il vocabolo risolvendolo nel significato di figura o immagine, e svolgendolo nella chiave comparativa dello specchio che riflette le immagini". 28 Pur mo venieno i tuo' pensier tra ' miei, 28 Proprio ora i tuoi pensieri raggiungevano i con simile atto e con simile faccia, miei, col medesimo atteggiamento e con il sì che d'intrambi un sol consiglio fei. medesimo aspetto dei miei, in modo che dagli uni e dagli altri ho tratto una sola risoluzione. 31 S'elli è che sì la destra costa giaccia, 31 Se si dà il caso che la parete a destra abbia che noi possiam ne l'altra bolgia scendere, una così scarsa pendenza, che noi possiamo noi fuggirem l'imaginata caccia». scendere nell’altra bolgia (la sesta), sfuggiremo all’inseguimento temuto". 34 Già non compié di tal consiglio rendere, 34 Non finì neppure di manifestare tale ch'io li vidi venir con l'ali tese proposito, che io li vidi sopraggiungere non non molto lungi, per volerne prendere. molto lontani da noi con le ali spiegate, per volerci ghermire. 37 Lo duca mio di sùbito mi prese, 37 Virgilio mi afferrò immediatamente, come la come la madre ch'al romore è desta madre che si sveglia al frastuono, e vede e vede presso a sé le fiamme accese, accanto a sé le fiamme ardenti, 40 che prende il figlio e fugge e non s'arresta, 40 la quale afferra il figlio e fugge e, avendo più avendo più di lui che di sé cura, cura di lui che di se stessa, non si ferma tanto che solo una camiscia vesta; neppure quel poco tempo necessario ad indossare una camicia; 43 e giù dal collo de la ripa dura 43 e dalla sommità dell’argine pietroso si lasciò supin si diede a la pendente roccia, scivolare sul dorso lungo la parete scoscesa, che l'un de' lati a l'altra bolgia tura. che chiude uno dei lati dell’altra bolgia. L’affetto della madre che, incurante delle fiamme, pensa soltanto a porre in salvo il figlio, è messo in forte rilievo dal susseguirsi incalzante delle coordinate. Le similitudini in Dante fanno talvolta quadro a sé. isolandosi dal contesto narrativo. "Ma non è questo il caso del paragone della madre che, pur assumendo un forte rilievo tra gli altri versi, non si stacca dal resto, non interrompe il movimento della prima parte del canto. Anzi accelera e conclude il racconto della fuga con la sua concitazione." (Bonora) 46 Non corse mai sì tosto acqua per doccia 46 L’acqua non corse mai così velocemente a volger ruota di molin terragno, attraverso un condotto per far girare la ruota quand' ella più verso le pale approccia, di un mulino costruito sulla terraferma, nel punto in cui essa maggiormente si avvicina alle pale, 49 come 'l maestro mio per quel vivagno, 49 come Virgilio su quella parete dell’argine, portandosene me sovra 'l suo petto, mentre mi portava tenendomi, sul petto, come suo figlio, non come compagno. come se fossi stato suo figlio, non un compagno. Alla similitudine della madre, così ricca di contenuto umano, segue una similitudine volta a determinare soltanto la velocità con la quale Virgilio scende lungo la scarpata che porta al fondo della sesta bolgia. In essa la tinta patetica cede momentaneamente di fronte alla nuda vìolenza della figurazione rapinosamente incisiva" (Sanguineti). 52 A pena fuoro i piè suoi giunti al letto 52 Appena i suoi piedi raggiunsero la superficie del fondo giù, ch'e' furon in sul colle del fondo della bolgia, essi furono sulla sovresso noi; ma non lì era sospetto: sommità dell’argine sopra di noi; ma non vi era più motivo di temere, 55 ché l'alta provedenza che lor volle 55 poiché la divina provvidenza che volle porli porre ministri de la fossa quinta, quali esecutori dei suoi decreti nella quinta poder di partirs' indi a tutti tolle. bolgia, toglie a tutti loro la possibilità di allontanarsi di lì. 58 Là giù trovammo una gente dipinta 58 Laggiù incontrammo una moltitudine dipinta che giva intorno assai con lenti passi, che andava intorno con passi lentissimi, piangendo e nel sembiante stanca e vinta. lacrimando e stanca e affranta nell’aspetto. L’attributo dipinta, per ora non meglio specificato, si riferisce alle cappe dorate che coprono i dannati di questa bolgia: gli ipocriti. Ma, usato in questa terzina in modo assoluto, caratterizza più che altro in senso morale questi peccatori, suggerendo l’idea della falsità, dell’apparenza brillante sotto la quale si cela uno squallore profondo. Riprende, a partire da questa terzina, il motivo accennato nell’immagine dei frati minor, con la quale il canto si apre. "Ma è pur vero - scrive il Bonora - che il motivo annunziato al principio del canto, in tutta la prima parte, sino alla fuga dei due poeti, è soggetto alle complesse variazioni della situazione drammatica. All’apparire degli ipocriti invece il motivo del silenzio claustrale domina ininterrotto." 61 Elli avean cappe con cappucci bassi 61 Questi dannati indossavano cappe con i dinanzi a li occhi, fatte de la taglia cappucci abbassati davanti agli occhi, fatte che in Clugnì per li monaci fassi. nel modo in cui si fanno a Cluny per i monaci. 64 Di fuor dorate son, sì ch'elli abbaglia; 64 Esternamente sono dorate tanto da ma dentro tutte piombo, e gravi tanto, abbagliare; ma dentro sono completamente che Federigo le mettea di paglia. di piombo, e così pesanti, che (al confronto) Federico Il le faceva indossare di paglia. Le cappe degli ipocriti somigliano a quelle, molto ampie, indossate dai benedettini del monastero di Cluny, in Borgogna. Il loro peso è tale - precisa il Poeta con un’iperbole che si colora di sarcasmo - che quello delle cappe di piombo fatte indossare da Federico Il ai rei di lesa maestà appare, al confronto, irrisorio.Secondo una leggenda che ebbe vasta diffusione negli ambienti guelfi l’imperatore Federico II faceva morire i colpevoli di lesa maestà sul fuoco, dopo averli fatti rivestire di cappe di piombo.La pena degli ipocriti è stata probabilmente suggerita a Dante dalla strana etimologia proposta per il termine ipocrita da Uguccione da Pisa, nelle sue Magnae Derivationes: ipocrita si dice da yper, che significa " sopra ", e da crisis, che significa " oro ", quasi " sopradorato ", poiché nella superficie e di fuori sembra buono, mentre internamente è cattivo; oppure da ypo, che significa " sotto " e da crisis che significa " oro ", quasi avente qualcosa " sotto l’oro ". Per quel che si riferisce al significato morale adombrato nel contrasto tra lo sfavillare dell’oro che ricopre le cappe degli ipocriti e l’opacità del piombo, di cui sono fatte, Dante ha probabilmente tenuto presente un passo del vangelo di Matteo (XXIII, 27-28), in cui gli Scribi e i Farisei, definiti ipocriti, sono paragonati a sepolcri imbiancati, belli esteriormente, ma pieni all’interno di ossa e di sudiciume. 67 Oh in etterno faticoso manto! 67 Oh veste opprimente per l’eternità! Noi ci Noi ci volgemmo ancor pur a man manca dirigemmo ancora, come al solito, verso con loro insieme, intenti al tristo pianto; sinistra nella stessa direzione di quei dannati, osservandone il pianto sconsolato; 70 ma per lo peso quella gente stanca 70 ma a causa del peso quella moltitudine venìa sì pian, che noi eravam nuovi sfinita avanzava così lentamente, che noi di compagnia ad ogne mover d'anca. avevamo nuovi compagni ad ogni passo. 73 Per ch'io al duca mio: «Fa che tu trovi 73 Perciò dissi a Virgilio: "Cerca di trovare alcun ch'al fatto o al nome si conosca, qualcuno che sia famoso per le sue azioni o e li occhi, sì andando, intorno movi». per il suo nome, e, continuando a camminare così, volgi lo sguardo intorno a te". 76 E un che 'ntese la parola tosca, 76 E uno, che udì il parlare toscano, gridò dietro di retro a noi gridò: «Tenete i piedi, di noi: "Fermatevi, voi che avanzate così voi che correte sì per l'aura fosca! veloci nell’aria buia! Esatta la seguente osservazione del Biondolillo: "Il dannato, misurando le distanze alla stregua dell’estrema lentezza de’ propri movimenti... sente il bisogno di " gridare " (e l’accento percuote fortemente su gridò) quasi che essi non possano udirlo, e giudica un " correre " quello che per Dante era un " muover d’anca ", un camminare a passi lentissimi e regolari". 79 Forse ch'avrai da me quel che tu chiedi». 79 Forse otterrai da me quello che domandi". Onde 'l duca si volse e disse: «Aspetta, Perciò Virgilio si voltò e disse: "Attendi, e poi e poi secondo il suo passo procedi». avanza col suo passo". 82 Ristetti, e vidi due mostrar gran fretta 82 Sostai, e vidi due che, con l’espressione del de l'animo, col viso, d'esser meco; volto, mostravano una grande ansia di essere ma tardavali 'l carco e la via stretta. con me; ma il peso e l’angusto cammino li rendevano lenti. 85 Quando fuor giunti, assai con l'occhio bieco 85 Quando furono arrivati, mi osservarono a mi rimiraron sanza far parola; lungo con sguardo obliquo senza parlare; poi si volsero in sé, e dicean seco: quindi si rivolsero l’uno verso l’altro, dicendo fra loro: 88 «Costui par vivo a l'atto de la gola; 88 "Questo sembra vivo dal movimento della e s'e' son morti, per qual privilegio gola (perché respira); e se invece sono vanno scoperti de la grave stola?». morti, per quale privilegio avanzano privi della pesante cappa?" I pesanti cappucci di piombo non consentono agli ipocriti di volgere la testa; perciò essi sono costretti, per osservare Dante che si trova al loro fianco, a guardarlo di traverso. Ma lo sguardo obliquo, non meno del loro silenzio del successivo confabulare fra loro, esprime quella che è la loro indole. 91 Poi disser me: «O Tosco, ch'al collegio 91 Poi mi dissero: "O Toscano, che sei giunto al de l'ipocriti tristi se' venuto, raduno dei tristi ipocriti, non disdegnare di dir chi tu se' non avere in dispregio». dire chi sei". 94 E io a loro: «I' fui nato e cresciuto 94 E io a costoro: "Nacqui e fui allevato nella sovra 'l bel fiume d'Arno a la gran villa, grande città sulle rive del bel fiume Arno, e e son col corpo ch'i' ho sempre avuto. mi trovo qui col corpo che ho sempre avuto. 97 Ma voi chi siete, a cui tanto distilla 97 Ma chi siete voi, ai quali tante lagrime quante quant' i' veggio dolor giù per le guance? ne vedo scendono copiose lungo le gote? e e che pena è in voi che sì sfavilla?». quale castigo è il vostro, che brilla in tal modo?" 100 E l'un rispuose a me: «Le cappe rance 100 E uno di loro mi rispose: "Le cappe dorate son di piombo sì grosse, che li pesi sono di piombo così spesso, che i pesi fanno fan così cigolar le lor bilance. in tal modo gemere le loro bilance. L’insistenza sul dato fisico, assunto nella sua evidenza più cruda, ripropone in questo canto alcune soluzioni già prospettate nel canto XVI e culmina nella similitudine che trasforma, dietro la suggestione del termine pesi, i dannati della sesta bolgia in bilance. Questa immagine richiama quella della rota (canto XVI, versi 21-24), senza tuttavia riscattarsi in una prospettiva umana. 103 Frati godenti fummo, e bolognesi; 103 Fummo frati Gaudenti, e bolognesi; chiamati io Catalano e questi Loderingo io Catalano e questo Loderingo, e scelti nomati, e da tua terra insieme presi entrambi dalla tua città, 106 come suole esser tolto un uom solingo, 106 come è usanza che sia scelto un uomo solo per conservar sua pace; e fummo tali, per salvaguardarne la pace; e il nostro ch'ancor si pare intorno dal Gardingo». comportamento fu tale, che le conseguenze sono ancora visibili tutt’intorno al Gardingo". L’ordine laico dei Cavalieri di Maria Vergine Gloriosa, detto anche dei frati Gaudenti, fu fondato a Bologna nel 1261 con lo scopo di assistere i poveri e i deboli contro le violenze dei potenti e di promuovere la pace fra i partiti e le famiglie che si contendevano il potere nelle città italiane. In origine la designazione di frati Godenti non aveva un senso dispregiativo, poiché il significato di godente era ""gioioso" di quella gioia che sta nella santità della fede, nel sacrificio di sé, nella pura e candida aspettazíone della felicità eterna e, in particolare, nella compartecipazione al mistico godimento dei sette gaudii della Vergine: l’annunciazione, la nascita di Cristo, l’adorazione dei Re Magi, la risurrezione, l’ascensione, la pentecoste, l’assunzione" (Bertoni). In seguito l’ordine degenerò e i frati Gaudenti furono soprannominati per dileggio "capponi di Cristo". Catalano dei Catalani. appartenente alla famiglia guelfa dei Malavolti, e Loderingo, della famiglia ghibellina degli Andalò. nacquero entrambi a Bologna intorno al 1210. Furono tra i fondatori dell’ordine dei frati Gaudenti. A Firenze, dove furono chiamati nel 1266 per fare opera di conciliazione fra i partiti, favorirono i Guelfi, che, poco dopo la fine del loro governo, cacciarono dalla città i Ghibellini e rasero al suolo le dimore degli Uberti, situate nei pressi della località chiamata Gardingo. Secondo il Villani, i due frati Gaudenti "sotto coverto di falsa ipocrisia furono in concordia più al guadagno loro proprio che al bene comune" (Cronaca VII, 13). Morirono in un monastero dell’ordine da loro fondato, Catalano nel 1285 e Loderingo nel 1293. 109 Io cominciai: «O frati, i vostri mali... »; 109 Cominciai a dire: "Frati, i vostri supplizi ..."; ma più non dissi, ch'a l'occhio mi corse ma non aggiunsi altro, poiché mi si presentò un, crucifisso in terra con tre pali. allo sguardo uno, crocifisso in terra per mezzo di tre pali. V. Rossi ha messo in rilievo la somiglianza tra questa apostrofe, subito interrotta, ai due frati Gaudenti ed espressioni analoghe con le quali Dante si è rivolto a Francesca (canto V, verso 116) e a Ciacco (canto VI, verso 58), sottolineando tuttavia che "qui tutto è ambiguo: l’apostrofe, che riprende la qualificazione con cui i frati si sono presentati, ma può anche celare un rinfaccio (gente di Chiesa, così ben finita!), l’espressione i vostri mali, che fa pensare al tormento (ma perché non alla colpa?), la reticenza". 112 Quando mi vide, tutto si distorse, 112 Quando mi vide, si contorse tutto quanto, soffiando ne la barba con sospiri; sospirando nel folto della barba; e frate e 'l frate Catalan, ch'a ciò s'accorse, Catalano, che si era accorto di ciò, 115 mi disse: «Quel confitto che tu miri, 115 mi disse: "Quell’inchiodato che tu osservi, consigliò i Farisei che convenia espresse ai Farisei il parere che era porre un uom per lo popolo a' martìri. opportuno per il bene pubblico suppliziare un uomo. Il crocifisso è il sommo sacerdote Caifas, che nel sinedrio dei sacerdoti e Farisei manifestò l’opinione che Cristo dovesse, per il bene comune, essere ucciso. La sua ipocrisia fu nel fatto che "invece di esprimere direttamente il suo parere, lo espresse in forma sentenziosa e generica non sicuramente interpretabile, credendo in tal modo di sottrarsi a ogni responsabilità diretta nella condanna di Cristo, e ammantandolo con la scusa del bene pubblico" (Mattalia). 118 Attraversato è, nudo, ne la via, 118 E’ posto di traverso, nudo, sul cammino, come tu vedi, ed è mestier ch'el senta come tu stesso vedi, ed è necessario che egli qualunque passa, come pesa, pria. senta, prima che sia passato, quanto pesa chiunque passa. 121 E a tal modo il socero si stenta 121 E allo stesso modo soffrono in questa bolgia in questa fossa, e li altri dal concilio suo suocero, e gli altri appartenenti al che fu per li Giudei mala sementa». concilio che per gli Ebrei rappresentò un inizio di sventure". Il suocero di Caifas, Anna, partecipò anch’egli alla riunione in cui venne deliberata la condanna a morte di Cristo. Da allora, secondo Dante (Purgatorio XXI, 82-84: Paradiso VI, 92-93; VII, 19-51 ), una serie di sventure si abbatté sugli Ebrei, tra cui la distruzione di Gerusalemme ad opera dell’imperatore Tito e la dispersione del popolo ebraico nel mondo. 124 Allor vid' io maravigliar Virgilio 124 Allora vidi Virgilio stupirsi riguardo a colui sovra colui ch'era disteso in croce che stava disteso in croce in modo così tanto vilmente ne l'etterno essilio. ignobile nel luogo dell’eterna dannazione. La maggior parte dei commentatori spiega la meraviglia di Virgilio col fatto che, nella sua precedente discesa nel basso inferno, avvenuta prima che Cristo morisse, e della quale è fatto cenno nel canto IX (versi 22-27), Caifas e gli altri membri dei concilio non si trovavano ancora tra i dannati. HOME PAGE Per il Momigliano, invece, la meraviglia di Virgilio sarebbe "espressione di profonda commozione morale". 127 Poscia drizzò al frate cotal voce: 127 Quindi rivolse al frate queste parole: "Non vi «Non vi dispiaccia, se vi lece, dirci spiaccia, se vi è permesso dirci se verso 1 2 3 4 s'a la man destra giace alcuna foce destra si apre un passaggio 5 6 7 8 130 onde noi amendue possiamo uscirci, 130 attraverso il quale noi due possiamo uscire di 9 10 11 12 sanza costrigner de li angeli neri qui, senza dover obbligare i diavoli a venire a 13 14 15 16 che vegnan d'esto fondo a dipartirci». toglierci da questa fossa". 17 18 19 20 133 Rispuose adunque: «Più che tu non speri 133 Allora rispose: "Più di quanto tu non speri è 21 22 23 24 s'appressa un sasso che da la gran cerchia vicino un ponte che parte dalla grande parete si move e varca tutt' i vallon feri, che circonda Malebolge (dalla gran cerchia) e 25 26 27 28 attraversa tutti gli spaventosi ripiani, 29 30 31 32 136 salvo che 'n questo è rotto e nol coperchia; 136 il quale però in questa bolgia è spezzato e 33 34 montar potrete su per la ruina, non la valica: potrete salire su per le macerie che giace in costa e nel fondo soperchia». (di questo ponte), che si adagiano lungo il pendio (che giace in costa) e si elevano sul fondo della bolgia". 139 Lo duca stette un poco a testa china; 139 Virgilio restò per un po’ a testa bassa; poi poi disse: «Mal contava la bisogna disse: "Riferiva male lo stato delle cose colui colui che i peccator di qua uncina». che afferra con gli uncini i peccatori nella quinta bolgia". 142 E 'l frate: «Io udi' già dire a Bologna 142 E il frate: "A Bologna io udii una volta del diavol vizi assai, tra ' quali udi' menzionare molti vizi del diavolo, tra i quali ch'elli è bugiardo e padre di menzogna». appresi che egli è bugiardo, e mentitore per eccellenza". A Virgilio, che si meraviglia e si addolora per l’inganno di Malacoda, frate Catalano ricorda come cosa di cui ha sentito dissertare nelle scuole teologiche della dotta Bologna, una verità semplicissima: tra i vizi del diavolo c’è anche la menzogna, anzi, il diavolo è all’origine di ogni menzogna. Il commento è canzonatorio e, un pochino pungente, e scopre insieme, nell’ipocrita Catalano, una sorta d’inconscia ammirazione per i vizi del diavolo. a proposito dei quali egli possiede una particolare competenza."(Mattalia) 145 Appresso il duca a gran passi sen gì, 145 Dopo ciò Virgilio se ne andò a gran passi, un turbato un poco d'ira nel sembiante; po’ alterato dall’ira nell’aspetto, per cui mi ond' io da li 'ncarcati mi parti' allontanai dagli oppressi dalle cappe 148 dietro a le poste de le care piante. 148 dietro le orme degli amati piedi.