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INDICE
Una disciplina generale del silenzio della Pubblica Amministrazione è stata introdotta, nell’ambito della
disciplina del procedimento amministrativo, nell’art. 2 della legge n° 241 del 1990, secondo cui (versione
originaria):
– ove il procedimento consegua obbligatoriamente ad un’istanza ovvero debba essere iniziato d’ufficio, la
Pubblica Amministrazione ha il dovere di concluderlo mediante l’adozione di un provvedimento espresso;
- le Pubbliche Amministrazioni determinano, per ciascun tipo di procedimento, in quanto non sia già
direttamente disposto per legge o per regolamento, il termine entro cui esso deve concludersi. Tale termine
decorre dall’inizio d’ufficio del procedimento o dal ricevimento della domanda, se il procedimento è ad
iniziativa di parte;
- qualora le Pubbliche Amministrazioni non provvedano ai sensi del comma 2, il termine è di 30 giorni.
Nello stesso anno vengono introdotti, anche da altre leggi, istituti volti a ridurre l’inerzia della Pubblica
Amministrazione.
Così l’art. 27 della legge n° 142 del 1990 prevedeva l’istituto dell’accordo di programma per agevolare la
conclusione di procedimenti connessi, di competenza di Amministrazioni diverse.
In tal modo si mirava soprattutto ad evitare il rischio che la mancata conclusione di un procedimento
provocasse l’impossibilità di concludere i procedimenti connessi.
In particolare il secondo comma del sopra richiamato art. 27 stabiliva che l’accordo può prevedere anche
interventi surrogatori di eventuali inadempienze dei soggetti partecipanti.
Il sesto comma demandava ad un apposito collegio la vigilanza sull’esecuzione dell’accordo di programma e
gli eventuali interventi sostitutivi.
L’art. 50 della legge n° 142 del 1990 disciplinava poi il termine da rendere da parte delle Pubbliche
Amministrazioni a favore degli enti locali.
Il 1990 ha segnato anche la riformulazione (da parte della legge n° 86 del 1990) dell’art. 328 del cod. pen.,
relativo al delitto di omissione di atti d’ufficio.
L’art. 16 del D. Lgs. n° 29 del 1993 prevedeva che i dirigenti generali verificano e controllano le attività dei
dirigenti , anche con potere sostitutivo in caso di inerzia degli stessi.
L’art. 17 della legge n° 59 del 1997 delegava il Governo a prevedere, per i casi di mancato rispetto dei
termini del procedimento, di mancata o ritardata adozione del provvedimento, di ritardato o incompleto
assolvimento degli obblighi e delle prestazioni, da parte della Pubblica Amministrazione, forme di
indennizzo automatico e forfettario a favore dei soggetti richiedenti il provvedimento.
L’art. 11 del D. Lgs. n° 286 del 1999 (in materia di qualità dei servizi pubblici e di carte dei servizi) ha
previsto che le modalità di definizione, adozione e pubblicizzazione degli standard di qualità, i casi e le
modalità di adozione delle carte dei servizi, i criteri di misurazione della qualità dei servizi, le condizioni di
tutela degli utenti, nonché i casi e le modalità di indennizzo automatico e forfettario all’utenza per mancato
rispetto degli standard di qualità, sono stabiliti con direttive, aggiornabili annualmente, del Presidente del
Consiglio dei Ministri.
Il terzo comma dell’art. 7 della legge n° 1034 del 1971, nel testo modificato dall’art. 7 della legge n° 205 del
2000, ha previsto il risarcimento del danno in ogni caso di giurisdizione del giudice amministrativo e dunque
anche nel caso di comportamento silente della Pubblica Amministrazione.
La legge n° 205 del 2000 ha introdotto, con l’art. 21-bis della legge n° 1034 del 1971, un giudizio accelerato
sul silenzio e dunque maggiore facilità di repressione di tale condotta.
La legge n ° 15 del 2005 ha previsto che per esperire il giudizio sul silenzio non è necessaria la previa diffida
all’Amministrazione e che il giudice amministrativo può conoscere la fondatezza dell’istanza.
La stessa legge n° 15 del 2005 ha introdotto l’art. 10-bis della legge n° 241 del 1990, che prevede la
comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza (c.d. preavviso di rigetto).
L’introduzione di tale istituto ha posto il problema se i termini di conclusione del procedimento sono
rispettati, se si fa riferimento alla data di comunicazione del preavviso di rigetto anziché alla data del diniego
finale.
La prima soluzione muove dalla considerazione che, ai sensi dell'art. 10-bis della legge n° 241 del 1990, il
preavviso di rigetto interrompe i termini per concludere il procedimento, che iniziano nuovamente a
decorrere dalla data di presentazione delle osservazioni, o in mancanza, dalla scadenza del termine
assegnato.
Soccorre anche l’art. 2945 del cod. civ. secondo cui, per effetto dell’interruzione del termine, a differenza
della sospensione del termine, si inizia un nuovo periodo di computo.
Del resto anche ponendosi in una prospettiva civilistica di Amministrazione che deve adempiere, nel
momento in cui essa comunica il preavviso di rigetto, fa presente di avere concluso il procedimento, ponendo
termine agli adempimenti a proprio carico e rilevando che l’istanza non può essere accolta.
Tale assunto è confermato dall’art. 146 comma 8 del D. Lgs. n° 42 del 2004, che equipara, per quanto attiene
al rispetto dei termini del procedimento l’autorizzazione paesaggistica al preavviso di rigetto (“Entro venti
giorni dalla ricezione del parere del Soprintendente, l'Amministrazione rilascia l'autorizzazione ad esso
conforme oppure comunica agli interessati il preavviso di provvedimento negativo ai sensi dell'articolo 10-
bis della legge n° 240 del 1990”).
La tesi contraria, secondo cui i termini di conclusione del procedimento devono comunque fare riferimento
alla data di adozione del provvedimento finale, poggia sull’avverbio “tempestivamente” con cui deve essere
comunicato il preavviso di diniego.
Il significato dell’avverbio “tempestivamente” sarebbe appunto quello di consentire che la data di adozione
del provvedimento finale rispetti i termini di conclusione del procedimento.
Essendo tuttavia la concreta fissazione dei termini per provvedere demandata al potere regolamentare delle
Pubbliche Amministrazioni (nei limiti stabiliti dall’art. 2 della legge n° 241 del 1990), è opportuno che in tali
regolamenti sia prevista la specifica fissazione del termine per la comunicazione sia del preavviso di rigetto
sia del provvedimento finale di diniego.
Il secondo ed il terzo comma dell’art. 21-bis della legge n° 1034 del 1971 stabiliscono che:
2. In caso di totale o parziale accoglimento del ricorso di primo grado, il giudice amministrativo ordina
all'Amministrazione di provvedere di norma entro un termine non superiore a trenta giorni. Qualora
l'Amministrazione resti inadempiente oltre il detto termine, il giudice amministrativo, su richiesta di parte,
nomina un commissario che provveda in luogo della stessa.
La giurisprudenza ha chiarito che la nomina del Commissario ad acta può essere fatta dal Tribunale nella
stessa camera di consiglio in cui viene accertato l’inadempimento dell’obbligo di provvedere, senza che
debba essere accertata l’ulteriore inadempienza successiva alla sentenza dichiarativa dell’obbligo di
provvedere (così TAR Veneto II n° 2941 del 2009 e TAR Lazio II n° 7011 del 2009).
È ben vero che l'art. 21 bis, comma 2, della legge n. 1034/1971, prevede due distinte fasi processuali: una
relativa all'ordine all'Amministrazione di provvedere ed un'altra, eventuale in caso di inottemperanza della
stessa al predetto ordine, avente ad oggetto la nomina di un Commissario ad acta.
È anche vero però che quando il ricorrente ne faccia esplicita richiesta, in sede di impugnazione del silenzio-
inadempimento, si debba provvedere, in caso di accoglimento di detto ricorso, anche alla contestuale nomina
del Commissario, al fine di evitare all'interessato l'inutile aggravio di un’ ulteriore autonoma istanza
giurisdizionale.
Sotto tale profilo si deve osservare che comunque, sulla base del terzo comma dell’art. 21-bis della legge n°
1034 del 1971, al Commissario, preliminarmente all'emanazione del provvedimento da adottare in via
sostitutiva, spetta il potere di accertare se, anteriormente alla data del proprio insediamento,
l'Amministrazione abbia provveduto, ancorché in data successiva al termine assegnato dal giudice
amministrativo.
Ne consegue che non sussiste un potere esclusivo del Tribunale Amministrativo di accertare
l’inadempimento della Pubblica Amministrazione rispetto alle statuizioni della sentenza e dunque la norma
di cui all’art. 21-bis della legge n° 1034 del 1971 non pone ostacoli alla nomina del Commissario
contestualmente alla dichiarazione dell’obbligo di provvedere.
I provvedimenti adottati dal Commissario costituiscono esercizio del potere proprio dell’Amministrazione
soccombente. (così TAR Napoli I 1363 del 2009, Consiglio di Stato Adunanza Plenaria n° 1 del 2002).
Il commissario si qualifica come organo straordinario di nomina giudiziale.
Ne consegue che, trattandosi dell’esercizio della medesima funzione, l’Amministrazione sostituita si trova
rispetto all’attività del Commissario nella condizione di doverne accettare le decisioni come a sé imputabili e
quindi modificabili solo in sede di autotutela.
L’Amministrazione non è pertanto legittimata a proporre ricorso contro i provvedimenti adottati dal
Commissario.
Trattandosi di sostituzione amministrativa, il compito del Commissario è alternativo all’esercizio del potere
amministrativo rimasto incompiuto ed è rivolto alla cura dell’interese pubblico (e di quello individuale
reclamato dal ricorrente) in maniera autonoma e senza alcun vincolo determinato dalle direttive del giudice,
cui residuerà solo il potere di verifica dell’assolvimento dell’obbligo disposto con l’ordine di sostituzione
contenuto nella decisione sul silenzio.
I terzi possono proporre avverso gli atti del Commissario un ordinario ricorso impugnatorio (così TAR
Catania I n° 1650 del 2008).
Gli organi ordinari dell’Amministrazione mantengono l’ordinario potere di provvedere fino all’insediamento
del Commissario ovverosia fino alla redazione del verbale di immissione del Commissario nelle funzioni
amministrative, che segna il momento in cui il potere è trasferito in via esclusiva al Commissario.
Il Commissario nominato ai sensi dell’art. 21-bis della legge n° 1034 del 1971 è figura distinta dal
commissario nominato in sede di ottemperanza.
Il tratto differenziale discende dalla circostanza che in sede di ottemperanza spetta allo stesso giudice
amministrativo emanare un provvedimento che sostituisce il provvedimento che avrebbe dovuto adottare
l’Amministrazione, nell’esercizio della giurisdizione di merito.
Il Commissario ad acta in sede di ottemperanza è organo del giudice di ottemperanza, così che i suoi atti non
sono impugnabili nelle forme ordinarie, ma solo con reclamo allo stesso giudice dell’ottemperanza (così
TAR Catania I n° 1650 del 2008).
Si faccia il caso che il Comune rimanga inerte rispetto all’obbligo di reprimere un abuso edilizio. Tizio,
proprietario confinante, agisce in giudizio per dichiarare l’obbligo dell’Amministrazione di emettere
ordinanza di demolizione.
Viene nominato il Commissario ad acta che, accertato l’ulteriore inadempimento dell’Amministrazione,
emette ordinanza di demolizione.
A tale ordinanza di demolizione non viene data materiale esecuzione.
A Tizio rimane il rimedio di istaurare un nuovo giudizio sul silenzio ai sensi dell’art. 21-bis della legge n°
1034 del 1971, affinchè sia dichiarato l’obbligo dell’Amministrazione di ordinare ai propri uffici la
demolizione coattiva dell’immobile abusivo (così Consiglio di Stato IV n° 793 del 2008).
Infatti l’ordine di demolizione all’autore dell’abuso e l’ordine di demolizione coattiva sono provvedimenti
distinti che hanno differenti presupposti ovverosia rispettivamente l’accertamento dell’abuso edilizio e
l’accertamento dell’inottemperanza all’ordinanza di demolizione e dunque con l’ordinanza di demolizione
emessa dal Commissario il primo giudizio sul silenzio si è comunque concluso con la soddisfazione (sia pure
formale) degli interessi del ricorrente.