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di Patrizia Spagnolo
“Così, con la scusa che la lezione stava per finire – prosegue Silvia – ho rimandato
la discussione e mi sono preparata meglio sull’argomento. Anzi, ho fatto di più, ho
portato i miei allievi ad un incontro con un giudice importante che tanto ha fatto
per combattere la mafia. Hanno sentito parlare di personaggi come Borsellino,
Falcone…”.
La domanda giusta
Nel suo piccolo Silvia, consapevole del ruolo educativo della scuola e di quanto le
coscienze abbiano bisogno di essere scosse, risvegliate, strappate a uno stato di
narcosi ormai troppo diffuso, ha fatto qualcosa di molto importante. Soprattutto,
ha suscitato una domanda: per combattere la mafia cosa può fare ognuno di
noi? Già, cosa possiamo fare oltre ad acquistare i prodotti frutto del lavoro di
giovani che, riunitisi in cooperative sociali, coltivano ettari di terra confiscati ai
boss? Come possiamo trasformare in proposta la protesta delle piazze, dei
concerti, dei discorsi, delle raccolte firme, delle sempre più numerose mobilitazioni
che vedono grande partecipazione di giovani stretti intorno a don Ciotti e alla sua
associazione “Libera” o a Saviano o in fitto dialogo su siti come
www.ammazzatecitutti.org? Sicuramente la scuola fa paura alla mafia ben più di
una fiaccolata, di una manifestazione di piazza o di alcuni arresti esemplari. Fa
paura perché qui - in un contesto educante dove i ragazzi più che altrove possono
trovare risposte convincenti e non superficiali alle loro domande - l’ingiustizia e la
criminalità possono essere colpite alle radici. “I ragazzi - continua la prof Silvia -
devono essere educati contro tutto ciò su cui si fonda la mafia (omertà,
estorsione, violenza...), in modo che quella futura sia una società migliore”.
Tempo fa, ad un convegno cui intervenne anche don Luigi Ciotti, un magistrato in
prima linea contro la mafia ricordò le parole di un boss: "Quando voi venite nelle
nostre scuole e parlate di legalità, i nostri ragazzi vi seguono, ma quando avranno
18 anni e avranno bisogno di un lavoro o di una casa, chi troveranno? Noi o voi?".
Appunto. Secondo Cecilia, 18 anni, la mafia prospera perché riesce a soddisfare il
nostro desiderio di ottenere prima certe cose. “Se per avere una licenza o un
permesso bisogna sottostare a vincoli e tempi burocratici infiniti, è facile cedere
alla tentazione rappresentata da scorciatoie. E poi, se qualcuno mi ammazzasse e
violentasse la figlia e poi questo qualcuno venisse scagionato dopo poco tempo,
forse anch’io mi rivolgerei a chi è in grado di fare, a modo suo, giustizia”.
Vicina, vicina
Già, ad ascoltare e leggere ciò che i giovani pensano della mafia, emerge sì che si
tratta di un’organizzazione criminale che crea sfruttamento e divario sia al Sud sia
tra Nord e Sud, ma emerge anche che la mafia, più ancora dello Stato, è
vicinissima ad ognuno di noi, è nell’aria che respiriamo, è pronta a sfruttare ogni
debolezza e colpevole vuoto istituzionale per allargarsi e invadere quanti più spazi
può, facendo leva sui bisogni più pressanti delle persone.
Per Marco, addirittura, “siamo tutti mafiosi. Per me è mafia anche quando il mio
dentista mi propone di non farmi la ricevuta fiscale in cambio di 50 euro di sconto
e io accetto. Oppure quando faccio il furbo e non rispetto la coda o mi faccio
raccomandare da qualcuno per avere un lavoro ambito da tante altre persone più
meritevoli di me. Oppure se un professore universitario o un primario d’ospedale
fa fare carriera solo a chi gli è gradito”.
“È mafioso – continua Marco – anche l’atteggiamento di chi sa che accadono certe
cose ma non dice niente perché ritiene che queste cose siano normali e potrebbero
addirittura tornargli utili un giorno. Così come è mafioso chi, per aggirare trafile e
ostacoli burocratici vari, è disposto a pagare bustarelle o a fare favori personali.
Finché continuiamo ad assecondare questi comportamenti con il silenzio, la
rassegnazione, l’omertà o peggio la convenienza, la mafia si espanderà e divorerà
ogni nostra possibilità di essere un Paese civile. Chi è morto lottando contro la
mafia, non deve essere considerato un eroe, ma una persona che ha fatto il
proprio dovere”. “Lotta alla mafia? – dice Elena - I politici ne parlano, ma gli
impegni veri dove sono? Come faccio a spiegare a mio figlio perché gli assassini di
Falcone e Borsellino non sono in galera ma alcuni siedono addirittura in
Parlamento? Se vogliamo contrastare la mafia, si cominci dalle candidature dei
politici: devono essere persone serie, oneste, non in odor di mafia, devono essere
in grado di opporre una certa resistenza alla tentazione di lasciarsi corrompere”.
Giovanni Falcone amava ripetere una frase di J. F. Kennedy: "Un uomo fa quello
che è suo dovere fare, quali che siano le conseguenze personali, quali che siano gli
ostacoli, i pericoli o le pressioni. Questa è la base di tutta la moralità umana".