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Il Canto X dell’Inferno si svolge all’interno del Sesto Cerchio, nella città di Dite: è qui che – dopo
aver incontrato le anime punite per i peccati dell’incontinenza – Dante inizia la sua discesa verso i
Cerchi dove vengono puniti i peccati più gravi, legati alla malizia. Tra di essi l’eresia, la colpa che
viene analizzata in questo Canto, in particolar modo in una delle sue diramazioni: la corrente
filosofica dell’epicureismo.
Due i dannati, macchiatisi di questo peccato, con cui Dante instaura un dialogo:
Farinata degli Uberti, capo riconosciuto dei Ghibellini di Firenze (vedi paragrafo 2.1);
Cavalcante de’ Cavalcanti, padre del celebre poeta stilnovista – nonché amico in gioventù
di Dante – Guido (vedi paragrafo 2.2).
Ad animare l’ambientazione cimiteriale sono quindi tre personaggi – Dante, Farinata e
Cavalcante – di origine fiorentina: Firenze diventa, quindi, sfondo delle disquisizioni tra i
personaggi, tra lotte di fazione e ricordo nostalgico. È proprio legato alla città il punto nevralgico
del decimo Canto dell’Inferno: ai versi 79-81, Farinata profetizzerà a Dante l’esilio, per la prima
volta all’interno della Commedia.
Canto X: i personaggi
Farinata degli Uberti
Primo personaggio del Cerchio degli eretici a interloquire con Dante, Manente degli Uberti –
detto il “Farinata” – è probabilmente il vero protagonista del Canto X dell’Inferno: il dialogo tra i
due, diviso in due sezioni, occupa ben 78 versi. Nato a Firenze intorno al 1212, egli appartenne alla
nobile e ricca famiglia ghibellina degli Uberti, di cui prese le redini nel 1239; nello stesso anno egli
divenne anche il massimo esponente dei Ghibellini di Firenze.
Farinata ebbe un ruolo cardine nella vita politica della città: il 2 febbraio 1248 riuscì a sconfiggere i
Guelfi e ad esiliarli grazie all’aiuto dell’imperatore Federico II di Svevia; dopo la morte di
quest’ultimo, però, la fazione guelfa riuscì a riprendersi la propria rivincita a Figline Valdarno e
rientrò così in città nel gennaio 1251, condannando all’esilio, a Siena, gli Uberti. Farinata decise
così di prendere parte, il 4 settembre 1260, alla battaglia di Montaperti tra le truppe ghibelline
senesi e i Guelfi di Firenze; dopo la vittoria, egli si oppose fermamente alla distruzione di Firenze
e qui rientrò, per morirvi nel 1264.
Cavalcante Cavalcanti
La seconda anima con cui Dante dialoga nel Canto X dell’Inferno è quella di Cavalcante de'
Cavalcanti, padre di Guido Cavalcanti, celebre poeta stilnovista nonché amico, in gioventù,
di Dante. Nato a Firenze nella prima metà del secolo XIII, intorno al 1220, appartenne a una delle
più antiche e nobili casate fiorentine di parte guelfa, avversaria di quella degli Uberti.
Poche le notizie sul suo conto: nel 1257 divenne potestà di Gubbio e nel 1260, in seguito alla
sconfitta nella battaglia di Montaperti, venne esiliato a Lucca e le sue case in San Pier Scheraggio
vennero incendiate. Rientrò a Firenze solo nel 1266, dopo la vittoria ottenuta dai Guelfi nella
battaglia di Benevento; qui, probabilmente, morì in una data imprecisabile tra il 1267 e il 1280.
Per quale motivo Dante lo inserisce nel VI Cerchio infernale, quello destinato ad Epicuro e a
«tutti suoi seguaci, / che l’anima col corpo morta fanno» (vv. 14-15)? Dell’eresia di cui Dante lo
accusa poco sappiamo, se non quello che ci dicono il poeta stesso e i primi commentatori
della Commedia: egli sarebbe stato quindi noto, all’epoca, per aver aderito alla filosofia epicurea,
sostenendo la mortalità dell’anima. Della stessa colpa si sarebbe poi macchiato anche il figlio
Guido.
Entrano in gioco i temi del dolore e dell'amore paterno L’intero episodio di Cavalcante si inserisce
tra le due parti in cui è suddiviso il colloquio di Dante con Farinata: con grande maestria, il poeta
riesce così ad addolcire i toni del Canto, ponendosi in netto contrasto con la prima sezione del
testo e aprendo le porte alla tematica del dolore e dell’amore paterno, che torneranno anche nella
ripresa del dialogo con Farinata.
Se quest’ultimo ci era apparso imperturbabile di fronte alla propria condizione, quasi
fiero, Cavalcante è invece connotato dai tipici tratti di un essere umano sofferente. Egli si mostra
angosciato non tanto per la propria pena, quanto per le sorti del figlio: anche Guido, infatti, ha
piegato la sua «altezza d’ingegno» alle teorie epicuree, precludendosi così il viaggio salvifico
nell’oltretomba che sta intraprendendo Dante (vv. 61-63).