Abbinando queste due parole, un nome di persona - *Gesù - e un nome di funzione
- Cristo -, la Chiesa primitiva (non soltanto Paolo, ma anche Mt 1, 1. 18; 16, 21; Mc 1, 1; Gv 1, 17; 17, 3; Atti passim) non si limita ad attribuire a Gesù il titolo di *messia, come fa per altri appellativi: agnello di Dio, David, figlio di Dio, figlio dell’uomo, mediatore, parola di Dio, profeta, santo, salvatore, signore, servo di Dio... Dicendo Gesù Cristo, la Chiesa associa in una intima relazione il titolo proclamato dai credenti e la persona storica vissuta sulla terra, l’interpretazione e il fatto originale. Ogni interpretazione che conglobi uno dei due termini nell’altro sminuisce indebitamente il vangelo. La critica deve scomporre in due tempi il movimento che porta alla conoscenza di Gesù; spetta alla contemplazione orante ricomporla per incontrare un vivente. Questo articolo, senza elencare nei particolari «tutto ciò che Gesù ha fatto», resoconto che neppure il mondo intero potrebbe contenere (Gv 21, 25), si concentra sulla figura del maestro stesso. Considerare Gesù di Nazaret con il rigore della critica letteraria, significa udire la domanda rivolta da Gesù: «E voi chi dite che io sia?» (I), interrogativo al quale gli autori del NT si sforzano di rispondere (II). E questa risposta rimanda sempre alla persona storica che ha posto la domanda. I. GESU DI NAZARET I *vangeli non sono delle vite di Gesù redatte secondo i principi della moderna storiografia. Scritti da dei credenti, per suscitare e rafforzare la fede, organizzano dei ricordi che sono stati certo illuminati e trasfigurati dalla fede pasquale, ma che, criticati con perspicacia, consentono di inquadrare sicuramente Gesù di Nazaret. l. Situazione escatologica di Gesu. - La buona novella annunciata da Gesù, è che il regno di Dio si inaugura con la sua stessa parola: «Beati i vostri occhi perché vedono e le vostre orecchie perché ascoltano. Perché in verità vi dico: molti profeti e giusti hanno desiderato vedere ciò che voi vedete e non l’hanno visto, e udire ciò che voi udite e non l’udirono» (Mt 13, 16 par.). Che cosa dunque hanno visto e udito? Innanzitutto degli esorcismi interpretati da Gesù stesso: «Ma se io scaccio i demoni in virtù del dito di Dio, è dunque venuto per voi il regno di Dio» (Lc 11, 20 par.); infatti il nemico è vinto: «Vedevo Satana cadere dal cielo come la folgore» (10, 18). Poi, dei *miracoli che attestano, secondo Gesù, che si è entrati in un’era nuova: «I ciechi vedono e gli zoppi camminano diritti, i lebbrosi sono purificati e i sordi sentono, i morti risuscitano». Infine hanno ascoltato la scelta definitiva di Gesù, ancora più importante: «Ai poveri è annunziata la buona novella» (Mt 11, 5 par.). Perché, parlando così, Gesù dichiara che si è realizzata la profezia di Isaia (Is 29, 17 s; 35, 5 s; 61, 1). Ai suoi occhi, infatti, l’annuncio è escatologico: porta a *compimento il disegno di Dio, ricapitolandolo. Gesù quindi si colloca in rapporto al VT. Ammira Giovanni come l’ultimo e il più grande dei profeti: «In verità vi dico: fra i nati di donna non è apparso uno più grande di Giovanni Battista», ma poiché il regno di Dio ha inaugurato una era nuova, Gesù prosegue: «e tuttavia il più piccolo del regno dei cieli è più grande di lui» (Mt 11, 11 s). La radicale novità del regno di Dio non consiste solo nel fatto della sua presenza, ma nella sua natura. «Dai giorni di Giovanni Battista fino ad ora il regno dei cieli soffre *violenza e i violenti se ne impadroniscono (strappandolo a quelli che vogliono entrarvi)» (Mt 11, 12). Gesù perciò deve ergersi contro i seguaci dell’ordine sabbatico e rituale istituito dai dottori della legge con la loro casistica e le loro sottigliezze (Mt 15, 1-20; 23, 1-33). Ma deve anche purificare l’attesa dei suoi contemporanei che confondono regno di Dio e liberazione nazionale e terrena (Mt 16, 22; 20, 21; 21, 9 par.; Lc 19, 11; 22, 38; 24, 21; Gv 6, 15; Atti 1, 6). Gesù stabilisce anche le distanze da Giovanni Battista (Mt 11, 3): come lui, esige la piena *conversione, ma, anziché annunciare l’imminente condanna da parte di un Dio vendicatore (Mt 3, 7-10), proclama un anno di grazia (Lc 4, 19). Questa è la situazione unica nella quale Gesù ritiene di trovarsi. La *gioia è promessa a coloro che scoprono il tesoro (Mt 13, 44 s). Beati quelli che vivono quell’ora! 2. La decisione nei confronti di Gesu. - È inutile chiedersi quando suonerà questa ora: «Il regno di Dio non viene ostensibilmente, né si potrà dire: “Eccolo qua”, oppure, «Eccolo là; ecco, infatti, il regno di Dio è tra voi» (Lc 17, 20 s). Il regno di Dio semplicemente non è più futuro, è alla portata di tutti: basta riconoscere i tempi messianici e far convergere gli sguardi su Gesù. Chi è dunque? Questo Gesù non è un rabbino ordinario che spiega le Scritture, insegna con autorità (Mc 1, 22). A differenza dei *profeti, non enuncia semplicemente l’oracolo di Dio, proclama: «Io, però, vi dico» (Mt 5, 22. 28. 34. 39. 44), facendo precedere le sue dichiarazioni da un’attestazione solenne: «Qui c’è più che Giona... Qui c’è più che Salomone» (Mt 12, 41 s; Lc 11, 31 s). Per questo, convertirsi a Dio significa *seguire Gesù, decidersi per lui o contro di lui. «Chi non è con me è contro di me e chi non raccoglie con me disperde» (Mt 12, 30). Ascoltare Gesù significa ascoltare Dio stesso, perché equivale a «costruire la propria casa sulla roccia» (7, 24). Ma, di fronte a un Gesù, il cui comportamento sconcerta, come prendere una simile decisione?: «Beato chi non sarà *scandalizzato da me!» (11, 6 par.). Gesù deve perciò giustificare la sua pretesa. Non già dichiarando la propria identità, ma dimostrando di avere una relazione unica con il Padre. Tutto gli è possibile perché crede (Mc 9, 23), di una fede che sarà definita prototipo di ogni *fede (cfr. Ebr 12, 2). Inoltre, parla a Dio come un «papà» (Mc 14, 36), e, collegandosi alla tradizione apocalittica di Daniele (Dan 2, 23-30) osa affermare che i misteri gli sono rivelati perché egli è «il Figlio» in relazione unica con «il Padre» (Mt 11, 25 ss par.). Non si attribuisce tuttavia la conoscenza di ogni cosa (Mc 13, 32) e subordina la propria volontà a quella del Padre (14, 36; cfr. Mt 13, 3-9 par.), come dimostra il suo comportamento nei confronti dei poveri e dei peccatori, simbolo dell’atteggiamento stesso di Dio (Lc 15). 3. Gesu e l’avvenire. - Gesù è vissuto da buon giudeo. Ma domina le tradizioni giudaiche, di cui stima il valore in base alla *volontà di Dio, col quale intrattiene la relazione unica che abbiamo indicato. Viene a portare a *compimento la legge e i profeti (Mt 5, 17). L’ideale d’amore assoluto che propone sconvolge le sottigliezze della casistica e si mantiene impraticabile per colui che non *segue Gesù; non può essere ben visto né perseguito se non in una stretta dipendenza nei suoi confronti: «Venite a me... perché il mio giogo è dolce e il mio fardello leggero» (Mt 11, 28 s). Gesù realizza inoltre la tradizione profetica quando, a dispetto dei suoi contemporanei, annuncia che anche i pagani riceveranno la salvezza (Lc 13, 28 s par.). Ai fini della realizzazione di quest’opera, Gesù ha forse pensato che la Chiesa avrebbe preso il suo posto? Sarebbe ingenuo ritenere che Gesù abbia costituito la Chiesa quale la conosciamo noi; ma è falso affermare che Gesù abbia pensato che, alla sua morte, non vi sarebbe più stato posto per dei tempi intermedi prima della parusia (cfr. *giorno del Signore). Radunando intorno a sé la cerchia dei discepoli (Lc 10, 1 s par.) e in particolare quella dei Dodici (Mc 3, 12), che devono venire dietro a lui (Lc 9, 57-61 par.) per estendere la sua azione e la sua presenza - fatto storico riconosciuto anche se è difficile datarlo con precisione -, Gesù senza dubbio non ha voluto inaugurare una *Chiesa concepita sugli schemi della comunità separatista di Qumrân, ma prefigurare il *popolo di Dio definitivo (Mt 19, 28 par.). D’altra parte, contrariamente a Giovanni Battista, ha sicuramente pensato che l’instaurazione del regno di Dio sarebbe avvenuta per gradi (Mc 4, 29; Mt 13, 24-30), che Simone avrebbe dovuto consolidare i compagni nella fede (Lc 22, 32) e che i suoi discepoli, dopo la sua morte, sarebbero stati destinati a soffrire (Mt 9, 15 par.; Mc 8, 34 par.; Lc 6, 22 par.). Per questo la parola ekklesia, equivalente del termine aramaico sod o ‘edah, utilizzato a Qumrân per designare la comunità escatologica degli eletti di Dio, poté effettivamente ricorrere sulle labbra di Gesù, anche se si trova nei vangeli solo due volte (Mt 16,18; 18, 17). Negare a Gesù la prospettiva di un tempo dopo la morte significherebbe semplificare i dati neotestamentari; il che non esclude assolutamente la convinzione personale che, con la sua morte, sarebbe sopravvenuta la fine (cfr. Mc 9, 1). Per apprezzare il senso di quest’ultima affermazione, bisogna pesare altre parole di Gesù. Gesù ha previsto di andare verso una morte imminente, come affermano gli annunci che non accennano alla risurrezione (Lc 13, 31 ss; cfr. 17, 25; Mc 8, 31; 9, 12). Ha visto questa morte nel disegno di Dio, come un servizio, come un riscatto sacrificale (Mc 10, 45); e, nel momenti in cui sta per andare a morte, lascia ai suoi il testamento di reciproco servizio (Lc 22, 25 ss). Queste indicazioni impediscono di fare di Gesù un uomo che avrebbe subito involontariamente una morte inflittagli da nemici più forti di lui. Molti esegeti si spingono più in là e pensano che Gesù abbia identificato la propria esistenza con quella del *servo di Dio. Effettivamente, Gesù presenta il proprio destino, quello del *figlio dell’uomo, mediante le espressioni stesse dei canti del servo in Isaia (52, 13 - 53, 12): la sua obbedienza si esprime con il «è necessario...» (Lc 17, 25), il sacrificio della sua vita è offerto per la moltitudine (Mt 20, 28 par.; 26, 28 par.; Lc 22, 16. 18. 30 b), quella che istituisce è l’*alleanza (Lc 22, 20). Se Gesù in effetti ha avvertito la propria morte, perché non avrebbe presentito la risurrezione? Le precisazioni apportate dai tre grandi annunci della passione e della risurrezione di Gesù (Mt 16, 21 par.; 17, 22 s par.; 20, 18 s par.; cfr. Lc 24, 25 s. 45) indubbiamente rivelano l’influsso della comunità primitiva; ma la fede di Gesù nella sua risurrezione entro un breve lasso di tempo si rivela chiaramente dalle sue parole. Come ogni ebreo credente, sa di dover risuscitare alla fine dei tempi (cfr. Mt 22, 23-32 par.); inoltre, come si è visto, si colloca a parte, e anche alla fine dei tempi. Convinto d’altronde della relazione unica che ha con Dio e con tutti gli uomini, come avrebbe potuto dubitare Gesù del successo finale della sua missione e di un intervento particolare del Padre in suo favore? La certezza della risurrezione non lo sottrae certo alla condizione umana: colto da *angoscia, trema nel Getsemani (Mc 14, 36) e si considera addirittura abbandonato da Dio (15, 34); ma sa di essere «il Figlio». Rimane un ultimo interrogativo. Per rivelare chi era, Gesù ha scelto un metodo sbrigativo, utilizzando formule correnti nel giudaismo, come messia, Figlio di Dio, figlio dell’uomo? Nei vangeli, questi appellativi ricorrono indifferentemente tutti sulle sue labbra. Tuttavia, a parte le designazioni «il Figlio» e «figlio dell’uomo», che non possono essergli categoricamente negate, le critiche ritengono che la Chiesa nascente abbia se non deformato, almeno reso esplicito il pensiero di Gesù facendogli dire di essere «il Figlio di Dio» o «il messia». Gesù non ha preso l’iniziativa di proclamarsi messia, appellativo cui solo la morte in croce avrebbe tolto il suo carattere di ambiguità; ma mette i contemporanei sulla via del riconoscimento, quando proibisce ai discepoli di svelare la sua vera identità (Mc 8, 27-30 par.), quando si lascia acclamare figlio di David, al momento del suo ingresso in Gerusalemme (Mt 21, 1-9 par.), o quando, al sommo sacerdote che lo sta interrogando: «Sei tu il figlio del Benedetto?» risponde in modo involuto, secondo l’antica formula tipica di Matteo: «Tu lo dici» (Mt 26, 64). Nel suo comportamento rivelatore, Gesù non annette importanza a questi «titoli», che senza dubbio avrebbero falsato il rapporto autentico che intendeva stabilire con gli uomini. Presentandosi come l’uomo che ha una relazione unica con Dio e unica con tutti gli uomini, Gesù ha rivolto la domanda definitiva: «E voi, chi dite che io sia?» (Mt 16, 15 par.).
II. GESU, SIGNORE, CRISTO E FIGLIO DI DIO
A questa domanda, i discepoli non erano in grado di rispondere correttamente, prima che Gesù, morto in croce, si manifestasse loro, vivo, con delle *apparizioni. Rispondendo con la loro *fede all’iniziativa di Gesù, i discepoli scoprono il senso della vita e il mistero della persona di Gesù di Nazaret. Per esprimere questo senso, applicano a Gesù degli appellativi desunti dal linguaggio tradizionale, caricandoli di un nuovo significato. Le formulazioni sono varie ed esitanti, a seconda dei doni di ciascuno e degli ambienti di vita. Questa cristologia ha senza dubbio una storia, ma non siamo in grado di rintracciarla con sicurezza, dato che le fonti presentano mescolati i sottofondi palestinesi e le interpretazioni ellenistiche. Ci è tuttavia possibile individuare i primi presentimenti del mistero di Gesù, e quindi le prospettive tipiche degli evangelisti.