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Conservatorio G.

Verdi Milano
Corso Accademico triennale di Pianoforte

Brahms e Liszt: gli opposti si attraggono?


Sul senso di un recital organico tramite l’analisi delle Ballate
op. 10 e Vallèe d’Obermann

Candidato: Simone Anelli

Docente: Mario Borciani

a.a. 2019 - 2020


A Carlo, per l’eredità più importante

A Lorenza, per la forza che ho ricevuto in ogni momento


CONSERVATORIO G. VERDI MILANO

Corso accademico triennale in Pianoforte

Elaborato finale di: Simone Anelli Docente: Mario Borciani

Brahms e Liszt: gli opposti si attraggono?

Sul senso di un recital organico tramite l’analisi delle Ballate op. 10 e Vallèe
d’Obermann

Johannes Brahms (1833 - 1897) e Franz Liszt (1811 - 1886) sono


indubitabilmente due delle personalità più rappresentative dell’ambiente culturale
romantico. Tra i due, comunque, pare non corresse buon sangue: vi sono numerosi
aneddoti che testimoniano la loro reciproca antipatia. La loro rivalità, però,
riguarda aspetti molto più profondi di una semplice incompatibilità personale e
nel corso della seconda metà dell’Ottocento divenne un elemento di contrasto che
coinvolse numerosi musicisti in quanto metteva a diretto confronto due veri e
propri paradigmi concettuali: la cosiddetta musica assoluta, di cui Brahms veniva
eletto rappresentante, e la musica a programma, di cui Liszt, con Berlioz e,
successivamente Wagner, venne considerato il paladino. Le differenze, di cui si
parlerà nell’ultima sezione, sono molto profonde e sembrano essere davvero
inconciliabili. Il presente elaborato, tramite l’analisi di due opere rappresentative
delle due differenti tendenze, le Ballate op 10 di Brahms e Vallèe d’Obermann di
Liszt, si occuperà, però, di giustificarne l’esecuzione in una forma di concerto
organica.
Introduzione: la ballata come genere letterario e strumentale 2
La ballata poetica .................................................................................................................2
La ballata strumentale ..........................................................................................................3
La Ballata per pianoforte - Chopin e Brahms ......................................................................3
Brahms, Ballate op. 10 6
Introduzione .........................................................................................................................6
Analisi n. 1 ...........................................................................................................................7
Analisi n. 2 .........................................................................................................................12
Analisi n. 3 .........................................................................................................................19
Analisi n. 4 .........................................................................................................................25
Liszt, Vallèe d’Obermann 30
La genesi dell’opera ...........................................................................................................30
L’”Oberman” di Senancour................................................................................................31
Byron, “Childe Harold’s Pilgrimage” ................................................................................32
Analisi ................................................................................................................................33
Liszt e Brahms: il Giano bifronte del Romanticismo 42
Conclusioni ........................................................................................................................45
Bibliografia ........................................................................................................................46
Introduzione: la ballata come genere letterario e strumentale

La ballata poetica

Il termine “ballata” designa un genere letterario originariamente associato a forme di danza. La


definizione di David Charles Ossenkop ne dà una chiara identificazione:

“Una ballata può essere definita come una canzone strofica moderatamente breve o una poesia di
argomento profano, ma non di contenuto politico, in cui è sottesa una trama relativa a un singolo
episodio. Le strofe sono solitamente dello stesso numero di versi e vi è solitamente una uniformità
di schema metrico e rimico o di assonanze.”1

Il genere nasce nella tradizione italiana e francese intorno alla metà del XIII secolo. Ha solitamente
forma strofica, con una ripresa/refrain che viene alternata a strofe/stanze. In Italia è uno dei generi
protagonisti di epoca stilnovista, tra gli altri, con Guido Cavalcanti (“Perch’i' no spero di tornar
giammai”). In Francia, invece, i trovieri Blondel de Nesle, Thibaut IV e Adam de la Halle la
utilizzano distesamente per le loro composizioni. Il genere ha successivamente una larga diffusione,
passando in ambiente nordico tramite la produzione di Minnesänger e Meistersinger.

Nell’ambiente culturale del primo Romanticismo, in Inghilterra e in Scozia nasce l’interesse per la
riscoperta di questa produzione per una duplice ragione: il più generale fascino per un medioevo
fantastico e il gusto per un certo esotismo, in cui, all’epoca, venivano fatti rientrare anche i canti
popolari nordici.

Nascono quindi le prime antologie di canti popolari (folksongs), tra cui i tre volumi delle Reliques
of Ancient English Poetry (1765) di Thomas Percy, che aggiunse alla raccolta di componimenti
originali anche poesie composte in stile popolare da poeti contemporanei o poesie originali basate
su frammenti preesistenti. Un’altra importante influenza sullo sviluppo della ballata tedesca fu
Ossianic Poetry (1760-65) di James Macpherson, che spacciò per poesia gaelica del XIV secolo dei
componimenti di cui lui stesso era autore.
Ossian era un fittizio poeta gaelico del III secolo d.C., la cui poesia epica, nella narrazione, tra gli
altri, di Macpherson, sarebbe stata trasmessa per via orale nelle highlands scozzesi fino alla sua

1 David Charles Ossenkop, "The Earliest Settings of German Ballads for Voice and Clavier” (New York:
Columbia University, 1968), pp. 25-26

2
trascrizione, raccolta poi in due pubblicazioni: Temora, An Ancient Epic Poem del 1763 e i Due
opere di Ossian del 1765. Ossian rappresenta una sorta di esotismo nordico e un’eredità culturale
alternativa alla classicità greca e lo stile che gli venne attribuito ha profondamente influenzato la
poesia e la letteratura del primo romanticismo, soprattutto nel genere della ballata. Per molti
pensatori era un esempio di genio naive potenzialmente superiore al genio di Omero e Shakespeare.

In Germania qualche decennio dopo si iniziarono a tradurre alcune antiche poesie inglesi e a
raccoglierne di tedesche, per poi farle confluire nei tre volumi di Des Knaben Wunderhorn (Il corno
magico del fanciullo) di Ludwig Achim von Arnim e Clemens Brentano.

La ballata strumentale

In Italia essa assume i caratteri di una composizione colta monodica, che “costituisce la forma
poetico-musicale più diffusa nella lirica italiana dei sec. XII, XIV e XV.”2 Era inizialmente musica
d’occasione, destinata alla danza in tondo. A livello formale è caratterizzata dalla presenza di una
“ripresa o un ritornello che, intonata dal solista, veniva subito ripetuta dal coro; seguiva a voce sola
la strofe o stanza che […] venne man mano fissandosi in piedi e volta.”3 Già nel XIV secolo la
musica perde il suo connotato funzionale e si emancipa dal ballo, sebbene esistano tradizioni
popolari in cui continua ad essere base per la danza. Tra fine XIV e inizio XV secolo si sviluppa una
folta tradizione di ballate polifoniche, che vedevano la possibilità di utilizzare degli strumenti di
accompagnamento o raddoppio delle voci.
Facendo un ampio salto temporale in avanti, anche visto il progressivo abbandono della ballata
nella produzione che si colloca dopo il XVI secolo, questa viene riscoperta in epoca romantica,
quando ci si rese conto del grande potenziale narrativo di tale genere poetico, inizialmente trasposto
nella forma del Lied (famosi esempi sono Erlkönig, Ballade op. 126 di Schubert), ma
successivamente in una forma solo strumentale.

La Ballata per pianoforte - Chopin e Brahms

Il genere della Ballata per pianoforte solo viene inaugurato dalle quattro Ballate di Chopin, scritte
tra gli anni ’30 e ’40 , che mantengono in certa misura dei legami con la tradizione liederistica di

2 DEUMM, “Ballata”
3 Ibidem

3
poco precedente. Come ricorda Jacob Joel Grant4, infatti, alcune edizioni tedesche della prima
ballata di Chopin, pubblicata nel 1836, portavano il titolo “Ballade ohne Worte” (Ballata senza
parole), chiaramente su modello del genere del “Lied ohne Worte” di Mendelssohn, a loro volta
trasposizione pianistica di una scrittura vocale accompagnata. Sia Lieder che Ballate sono brani
costruiti su un testo e la musica strumentale basata su questo modello necessariamente entra in
contatto con il programma contenuto in esso. La ballata per pianoforte, come le Romanze di
Mendelssohn, permette che il programma possa essere esplicitamente dichiarato, mascherato o del
tutto inesistente. In ogni caso, la primissima produzione di ballate strumentali pianistiche negli anni
’30 può essere vista come parte della tendenza romantica verso la musica a programma, tant’è vero
che i programmi impliciti delle ballate di Chopin e, soprattutto, di Liszt, sono stati oggetto di estese
speculazioni.

Molte ballate pianistiche successive, tra cui quelle di Brahms, hanno però ben poco a che fare con le
caratteristiche del genere chopiniano. Parakilas5, infatti, identificando due differenti tendenze
compositive, che si rifanno a due diversi tipi di tradizione, le inserisce in diverse categorie:
- tradizione narrativa, con uno stile strumentale di tipo quasi improvvisativo e con una costruzione
formale di stampo narrativo e drammatico, tipico di Chopin e di Liszt (soprattutto nella seconda
Ballata S. 171).
- tradizione lirica, che si concretizza in brevi composizioni, spesso in forma ternaria e molto meno
virtuosistici, in cui rientrano le ballate di Brahms.

Ulteriori differenze sono da ritrovarsi nel fatto che in Brahms solo la prima ha un testo dichiarato
(Nach der schottische Ballade “Edward”, in Herders “Stimmen der Völker”), mentre le restanti tre
non hanno alcun riferimento meta-musicale esplicito. Charles Rosen6, inoltre, a proposito di un
confronto tra le ballate dei due, sostiene che “Nel creare questo genere come una forma strumentale,
Chopin lo reinterpreto assai più liberamente di quanto in seguito avrebbe fatto Brahms, nelle cui
ballate il voluto effetto arcaico - derivato dall’alternanza di strofe e ritornelli - viene indicato in
senso più letterale. La forma di Chopin è la ballata romantica, moderna nella concezione, sebbene
influenzata dagli originali medioevali; quella di Brahms è, sotto tutti i punti di vista, più neogotica.
Il colpo di genio di Chopin consistette, soprattutto, nell’aver immaginato di imitare con uno
strumento non un particolare narrativo, ma la tecnica della narrazione propria della ballata: vale a

4 Jacob Joel Gran “Tonal and topical coherence in Brahms's op.10 ballades”
5 James Parakilas, “Ballads Without Words: Chopin and the Tradition of the Instrumental Ballade”
6 Charles Rosen “La generazione romantica”, Adelphi, pp. 364-365

4
dire, la forma periodica, il ritornello e il senso della narrazione che ignora queste divisioni formali
in virtù di una crescente tensione (come se egli andasse traducendo la definizione hegeliana della
musica intesa come una struttura formale provvista di un contenuto indeterminato). La ballata è una
narrazione cantata e, nell’intero arco di tutte le sue ballate, Chopin serba l’impressione di uno
scorrimento continuo, ininterrotto di una melodia reiterata, al quale egli non fa quasi mai ricordo in
altre composizioni di vasto respiro, come gli scherzi e le polacche”

Un’altra cruciale distinzione formale tra le ballate di Brahms e quelle di Chopin è il fatto che
Chopin, tramite l’utilizzo del bitematismo, fa in qualche modo intravedere la forma sonata, che
però, legandosi ad esigenze di tipo narrativo viene trasfigurato in una forma decisamente più libera
e sensibile a diverse istanze compositive; in Brahms invece la forma sonata è completamente
assente, vista la generale preponderanza di un’organizzazione formale tripartita, strettamente
derivata dalla forma del Lied.

È radicalmente diverso, inoltre, il trattamento della sezione finale o della coda. Per Chopin, l’ultima
esposizione è il momento di apoteosi del tema e del virtuosismo dell’esecutore, mentre tutte e
quattro le ballate di Brahms si chiudono nel piano e sono spesso i momenti di minore tensione
drammatica.

Da un punto di vista di tradizione esecutiva delle due raccolte, infine, le ballate di Brahms devono
essere eseguite in serie, visto che l’organicità dell’opera rende un’esecuzione integrale praticamente
necessaria, mentre le ballate di Chopin, sebbene a volte eseguite consecutivamente, non fanno in
nessun modo emergere tale esigenza.

5
Brahms, Ballate op. 10

Introduzione

Brahms compose le Ballate op. 10 nell’estate del 1854, mentre si trovava a Düsseldorf a casa
Schumann. Robert aveva appena tentato il suicidio ed era stato internato in manicomio e Brahms
faceva da tramite tra lui e Clara. L’anno successivo (1855), Brahms confesserà all’amico violinista
Joseph Joachim che questi brani gli ricordassero “così profondamente le ore del crepuscolo passate
con Clara”, la donna che in quel momento si rendeva conto di amare. Anche Julius O. Grimm,
l’effettivo dedicatario dell’opera, sostiene in una lettera che le ballate in realtà “appartengono a lei -
in relazione alle vere circostanze della loro composizione”. Negli anni precedenti Brahms aveva
esplorato a fondo la forma sonata pianistica con le sue 3 Sonate op. 1 in do maggiore, op. 2 in fa
diesis minore e op. 5 in fa minore e decide di rivolgersi verso altri modelli formali, in questo caso la
tripartizione tipica del Lied. Nonostante conoscesse sicuramente le quattro Ballate di Chopin, si
dimostra più interessato a un altro tipo di narratività, che ritrova, appunto, nella musica vocale da
camera. La forma della ballata chopiniana, tra l’altro, poco si sposava con le esigenze di Brahms,
che necessitava di una scrittura spesso arcaicizzante, come è la prima, o rarefatta e nebulosa, come
la sezione centrale della quarta, mentre le ballate di Chopin spesso hanno contenuto eroico o,
comunque, molto più “reale” e contemporaneo.

Le ballate sono praticamente un hapax nella produzione brahmsiana (vi ritornerà una volta sola con
l’op. 118 n. 3, ma con un senso radicalmente differente). La ricerca di un lirismo narrativo le rende
intimamente romantiche, evocative, nonostante un equilibrio formale di tipo quasi classico.

Rappresentano un’eccezione anche rispetto al genere della ballata pianistica: sono (e devono essere)
eseguite in serie, sono organizzate tonalmente secondo un cambio modale e rapporto di mediante
(re minore - re maggiore - si minore - si maggiore), ma sono ulteriormente interconnesse in quanto
la tonalità della ballata successiva è anticipata nella sezione centrale della precedente.

6
Analisi n. 1
La prima ballata ha forma ternaria (A B A’). Ogni sezione è divisa da doppia sbarra ed è indicata
chiaramente da diverse indicazioni di tempo.

La sezione A contiene due temi principali: un andante (Tema 1) e un poco più moto (tema 2), che
interpretano compositivamente la forma dialogica del testo: come nella ballata “Edward” i due temi
nella sezione A presentano la formula domanda - risposta, ricalcando le coppie di versi nella prima
strofa della poesia. Ogni frase ha finale aperto, tranne l’ultima prima della sezione B. La ragione si
trova nel testo, che si apre con le domande della madre e le false risposte di Edward.

Il I elemento (T1) è costruito su 3 ottave e accosta un elemento melodico a un disegno “sospirante”


discendente, in una prima versione, di quinta giusta.

Come sostiene Ting-Chu Heather Shih7 “tramite il raddoppio della linea melodica di una e tre ottave
e la formazione di un largo spazio tra i registri della mano destra e la mano sinistra, Brahms crea un
suono netto e cupo, che crea un clima scuro e instabile. Inoltre, il motivo sospirante di quinte
discendenti, con l’omissione della terza nella dominante, rinforza il senso di malinconia, in quanto
ricrea la voce della madre che apostrofa “Edward! Edward!”

A confermare tale visione è Jacob J. Gran8, che riporta il lavoro di Max Kallbeck, il primo ad aver
sovrapposto il primo verso della traduzione tedesca di “Edward” alla ballata di Brahms. Come si
può vedere dall’esempio, in corrispondenza del disegno di quinte discendenti si trova proprio il
richiamo implorante della madre.

7Ting-Chu Heather Shih, ”The four Ballades, op. 10 of Johannes Brahms: A Song Cycle Without Words” p.
65
8 Jacob Joel Gran “Tonal and topical coherence in Brahms's op.10 ballades”

7
Nella seconda frase (4-8) la domanda della madre si fa più accorata, tant’è vero che le invocazioni
“Edward! Edward!” (m. 5-6-7) vengono rese più intense e dissonanti: la prima è melodicamente una
quinta diminuita costruita su un’armonia di sesta tedesca, la seconda appoggiatura cromatica sulla
terza di si bemolle e la terza sintetizza le due versioni precedenti, mantenendo la forma melodica
del cromatismo ascendente e l’armonia di sesta eccedente.

Alla madre risponde Edward (T2), che cerca di mentire svicolando le domande della prima. Questo
secondo elemento (mm. 9-13) si pone in netto contrasto tematico con il precedente:

- armonicamente da una situazione di pedale di tonica si passa a un basso trattato come


contromelodia

- da una armonia pressoché statica si passa a una più mobile, anche se le concatenazioni
rimangono comunque abbastanza semplici

- l’ambientazione armonica passa da re minore a sib / sol m

- l’indicazione di tempo poco più moto contribuisce a creare un elemento di stacco

I due temi però si costruiscono sul medesimo schema ritmico:

In T2 questo viene esplicitamente interpretato come un metro di 5/4, con la funzione di garantire
una naturale varietà alle ripetizioni del frammento, in quanto la variazione dell’alternanza tempi
forti - tempi deboli, scalando di una semiminima ad ogni ripetizione, permette la sottolineatura
naturale di momenti diversi della figurazione.

Il legame di T2 con T1 viene costruito inoltre tramite una concatenazione V - VI.

Il sostenuto di misure 12-13 reintroduce il Tempo I, che armonicamente risolve la tensione


dominantica lasciata sospesa a fine T2. T1 viene ripreso verbatim, con l’unica variazione a misura
21, che sostituisce un’armonia di dominante secondaria del VI grado alla dominante principale. La
concatenazione tra le due sezioni viene così ad essere leggermente diversa, in quanto il precedente
sib era utilizzato come VI grado, ora come I in un processo di tonicizzazione.

8
La seconda presentazione di T2 sfrutta la scrittura di contrappunto doppio, che permette
l’inversione delle due voci. Il sostenuto apre a una situazione armonica molto più incerta della
precedente grazie all’uso delle quinte vuote: l’omissione della terza era già stata più volte utilizzata,
con la duplice funzione di creare una suggestione sonora arcaica e di creare un’armonia
indeterminata. In questo caso, il discorso rimane aperto anche da un punto di vista modale,
ambiguità che viene sfruttata per cambiare completamente clima con il passaggio da re minore a re
maggiore nella sezione B.

La sezione B si discosta da ogni tipo di riferimento direttamente sillabico al testo, ma ne mantiene


comunque il clima di grande drammaticità. Viene ripreso in due voci nella mano sinistra T2, quasi a
sottolineare il ruolo protagonistico di Edward, che con un grande climax confessa di aver ucciso il
proprio padre, ma qui lo schema metrico viene ad essere di 4/4, in quanto le due linee vengono
sovrapposte in modo che la seconda inizi in concomitanza dell’ultima semiminima della prima. La
linea melodica di Edward viene accompagnata da una figurazione di terzine di crome che ricordano
da vicino la scrittura dello Scherzo della Sonata FAE, la cui composizione precede di un anno quella
delle Ballate op.10. Tra le terzine si intravede, comunque il medesimo disegno di terze di T1. I due
elementi vengono progressivamente a compenetrarsi fino all’assimilazione in concomitanza del
grande punto apicale di misura 43.

Il raggiungimento di un primo apex avviene con il ff di misura 37, dopo la lunga modulazione verso
si maggiore; questo viene superato dal successivo ff a misura 40, che riporta verso re maggiore, ma
il punto che vede indiscutibilmente il maggior grado di intensità è misura 43, dopo lo spostamento
verso si bemolle. Quest’ultimo avviene con un diverso processo, in quanto non avviene più per
moto contrario delle parti, ma con un movimento ascendente di entrambe, che intensifica ancora di
più il dramma del momento. Con il raggiungimento del definitivo punto apicale l’elemento
melodico tratto da T2 viene riportato alla sua originaria configurazione metrica in 5/4.

A questo punto il discorso deve di necessità gradatamente discendere: un primo pedale di si bemolle
mantiene la sonorità del ff, che gradualmente scema con lo spostamento a misura 52 su mi bemolle,
dove viene reiterato un elemento melodico costruito dall’unione di testa e coda del tema di Edward.
Grazie all’aumentazione, al diminuendo e alla progressiva discesa verso la regione grave il discorso
si chiude nel pianissimo, con una modulazione che sfrutta processi enarmonici: a misura 58 la
settima diminuita del II grado di mi bemolle con la sostituzione enarmonica reb - do# viene ad
essere una settima diminuita di re minore, tonalità della sezione A e che introduce la ripresa.

9
La ripresa è molto abbreviata, comprendendo solo T1, e costituisce un problema non indifferente in
termini di interpretazione della relazione strutturale tra testo e musica. È utile a questo proposito
occuparsi più a fondo del testo:

Nelle parole di Edward si raccontano tre eventi:

1. Edward e la madre conversano


2. Edward rivela di avere ucciso il padre
3. Edward rivela che la madre lo aveva consigliato in tal senso

Analizzando i tempi verbali che vengono utilizzati nel corso del testo si può intuire quale sia
l’ordine cronologico in cui questi avvengono e come questo sia ribaltato rispetto all’ordine in cui
questi elementi narrativi emergono nel corso del testo:

1. La madre consiglia il figlio Edward (Such counsels you gave to me, stanza 7)
2. Edward uccide il padre (I have killed my father, stanza 3).
3. Edward e la madre conversano (why does your sword so drip with blood?, stanza 1)

Da un punto di vista narrativo, dunque, il testo è costruito su un costante incremento climatico, che
parte dal dialogo madre-figlio, arriva a un primo punto di grande tensione drammatica in
concomitanza della confessione di Edward e raggiunge il definitivo punto di dramma, ovvero la
rivelazione del fatto che la madre in realtà è stata mandante dell’omicidio.

Una semplice messa in musica del testo dovrebbe quindi avere due punti apicali e concludersi con
la massima tensione possibile. In Brahms, però, la conclusione avviene dopo la ricapitolazione del
primo elemento e il brano si chiude nel piano.

Vi sono più interpretazioni che tentano di spiegare tale discrasia:

- La ricapitolazione di T1 potrebbe essere considerata come una sezione che, riprendendo il tema
iniziale, lo carica di suggestioni quasi programmatiche (Ellen R. Flint9, per esempio, sostiene che
possano essere la rappresentazione sonora delle gocce di sangue che cadono a terra dalla spada

9 Ellen Rennie Flint, “Thematic and Tonal Imagery in Brahms's Ballade in D Minor, Op. 10, No. 1”

10
insanguinata di Edward, Charise Hastings10, invece, che la figurazione della mano sinistra possa
rappresentare i sussurri con cui la madre cercava di convincere Edward a uccidere il padre)

- Ting-Chu Heather Shih11 sostiene invece che “è probabile che Brahms prese la poesia “Edward”
come modello strutturale all’inizio, come per esempio nella melodia che ricalca perfettamente la
prima stanza e nell’idea dei due temi in dialogo, ma senza seguirlo alla lettera per tutta la sua
durata, cogliendone, invece, la tensione e realizzandola in gruppi asimmetrici, frasi irregolari,
ambiguità tonale, dinamiche intense, intense figurazioni ritmiche e un epilogo disperato. Infatti,
riesce a comunicare con successo l’essenza di questa ballata inesorabile senza utilizzare una sola
parola”

- Si potrebbe formulare, invece, una terza ipotesi, che prende corpo dal fatto che entrambi i temi
vengono utilizzati nella sezione B: se il T2 era utilizzato per esteso a rimarcare il ruolo attivo di
Edward, la presenza di rimandi motivici al T1 e soprattutto l’assimilazione dei due in fase
apicale potrebbe suggerire il fatto che Brahms abbia voluto rimarcare la colpevolezza di
entrambi i personaggi, motivo per cui il punto apicale di misura 43 potrebbe coincidere con la
rivelazione del ruolo di mandante della madre e del ruolo di esecutore del figlio Edward. Il
Tempo I verrebbe quindi ad essere l’epilogo musicale della vicenda, che chiude
momentaneamente il sipario sul delitto.

La ripresa di T1 racchiude una non immediata difficoltà per l'esecutore: mantenere un buon legato e
un buon fraseggio della linea melodica della mano destra completamente senza pedale risulta
praticamente impossibile, soprattutto nelle quinte discendenti di misure 61-62, ma, di contro, un uso
troppo generoso del pedale rischierebbe di compromettere l’articolazione staccata delle crome della
mano sinistra. Charise Hastings12 sostiene che non vi sia un compromesso ideale e il bilanciamento
tra le due variabili deve essere realizzato nuovamente ad ogni esecuzione, ma che questo possa
costituire un dato interpretativo, in quanto “la sensazione di scomodità che provo in questo dilemma

10 Charise Hastings, “From Poem to Performance: Brahms's ‘Edward’ Ballade, Op. 10, No. 1.” College
Music Symposium, vol. 48, 2008, pp. 83–97
11 Ting-Chu Heather Shih, ”The four Ballades, op. 10 of Johannes Brahms: A Song Cycle Without Words” p.
73: “It is likely that Brahms took the poem "Edward" as the structural model at the beginning, that is, in the
melody which fits the stanza, and with the idea of two themes (dialogue). However, Brahms does not strictly
follow the plot. Instead, he captures the tension of the folk ballad via an asymmetrical structure, irregular
phrases, tonal ambiguity, building dynamics, intense rhythmic patterns, and a desperate epilogue. Indeed, he
successfully conveys the essence of this inexorable ballad without employing a single word.”
12 Ibidem

11
è, io credo, comunicata all’ascoltatore”, che, secondo la sua visione, prova il medesimo senso di
disagio dell’esecutore.

Analisi n. 2

La forma musicale dimostra una costruzione di più larga scala della precedente. La costruzione è a
specchio, di tipo ABCB’A’, ma è possibile interpretare la forma secondo una tripartizione
complessa, con una sezione B a sua volta tripartita: AB(b-c-b)A.

La ballata inizia con un’introduzione caratterizzata da una figurazione ben definita per entrambe le
mani: un pattern che ricorda un arpeggio nel basso viene alternato a un disegno di ottave nella mano
destra. Il movimento cullante di questa introduzione suggerisce il carattere di ninnananna del brano.
La figurazione del basso viene mantenuta inalterata per tutta la prima sezione, conferendo al brano,
con i suoi contorni sfocati, una situazione quasi onirica. Sono presenti solo la fondamentale e la
quinta. L’omissione della terza permette libere oscillazioni di modo nella mano destra, elemento che
verrà distesamente usato da Brahms come elemento ciclico anche nelle successive. È interessante
notare come l’inizio della prima ballata raccolga le stesse note dell’inizio della seconda,
inizialmente in forma accordale, ora in forma arpeggiata:

Nicole Agostino13 legge il movimento iniziale della mano destra (F# - A - F#) come “Frei aber froh,
or “Free but happy”– an adaptation of Joachim’s F–A–E motto, Frei aber einsam, or “Free but
lonely”, motto con cui Brahms era solito rispondere a quello dell’amico violinista e che Brahms
ripresenta anche all’inizio della Seconda Sinfonia.

13 Nicole Agostino, “Ballade op. 10 no. 2 by Johannes Brahms: a guide through harmony, form and
Schenkerian Analyses”

12
Sul levare di misura 3 entra finalmente il tema della I sezione, una linea melodica discendente che
ricorda da vicino il tema dell’op. 117 n. 1:

Se l’introduzione aveva tutti i caratteri di una scrittura strumentale, il tema ricorda molto una
melodia vocale, rifacendosi alla già citata atmosfera della ninnananna, alternanza di timbro e
tessitura che potrebbe ricordare le romanze senza parole di Mendelssohn.

La struttura fraseologica è irregolare: ha un’iniziale costruzione che segue gruppi di 2 misure, ma le


ultime 3 misure creano un gruppo fraseologico di 7.

A misure 5 e 6 il discorso si sposta sulla sottodominante, che viene ribadita tramite tonicizzazione
tra misura 7 e 8.

In queste ultime 3 misure la scrittura pianistica viene leggermente modificata, utilizzando


agglomerati accordali e intervalli melodici più ampi, che rendono il discorso meno vocale e più

13
orchestrale, ma al tempo stesso conferiscono maggior tensione alla frase, in concomitanza della
sopraccitata tonicizzazione.

A misura 10 si ha il primo vero spostamento tonale, che avviene verso la regione del VI grado: il
discorso perde la connotazione onirica e sognante che aveva caratterizzato la sezione precedente per
farsi più “terrestre” e reale.

L’utilizzo di raddoppi di seste, terze e quarte ammorbidisce ancor di più la scrittura. Viene
mantenuta l’oscillazione di modo, sempre grazie al basso in cui viene omessa la terza: in questo
caso il cambio di modo è interpretabile come ricordo della sezione sognante precedente, un parziale
ritorno al clima iniziale.

Il motivo iniziale re - do# - si viene recuperato e leggermente elaborato.

Motivo Re - Do# - Si

La frase, inoltre, assume una forma speculare rispetto alle precedenti misure 5 e 6 e si estende sulla
lunghezza di due intere misure, rispetto alla coppia di singole:

Da misura 14 si apre una sezione armonicamente più attiva: ci si sposta, infatti, prima verso Do per
poi tornare tramite progressione ascendente di tono nel Re tonalità di impianto. Per seguire i
movimenti armonici il basso necessariamente esce, per la prima volta, dal suo pattern. Viene
riproposto, inoltre, il motivo di terza riempita nella veste ritmica di misura 10 ma in forma inversa:

Motivo Re - Do# - Si

Vi è a questo punto una ripresa variata di misure 7-8, con l’estensione della cadenza finale che
risponde all’esigenza di maggior conclusione: la progressione viene ripetuta con una scrittura più

14
densa un’ottava sopra, creando un distanziamento di registri finora inedito nel brano. Misure 22-23
vengono quindi ad essere l’aggravamento armonizzato del movimento mi-re della voce centrale di
misura 9.

Con l’Allegro non troppo di misura 23 inizia la seconda sezione B, che si concretizza in un
improvviso cambio di tonalità, tempo, carattere, scrittura e ritmo. Da una sorta di ninnananna in re
maggiore, infatti, si passa a una situazione quasi militare, medievalmente cavalleresca in si minore
(che anticipa la tonalità della ballata n.3), connotata dai ribattuti in staccato, dalla scrittura
omofonica e omoritmica e dai numerosi accenti che scandiscono il primo e il terzo movimento della
misura.

Il primo periodo di 8 misure è costituito da 2 frasi molto simili di 4 misure: nella seconda la
scrittura viene resa più densa tramite l’utilizzo di ottave di rinforzo e la dinamica sale di grado, da

15
mf a f. Da un punto di vista di tensioni armoniche si ha a fine di ogni misura una fermata
alternativamente su tonica e dominante, quest’ultima preparata da gruppi di sottodominante nella
prima semifrase e da una minorizzazione della dominante stessa in primo rivolto, tonicizzata poi dal
suo V grado in secondo rivolto che la riporta in modo maggiore.

Come accadeva nella sezione A, il secondo periodo (mm. 32-42) vede una piccola elaborazione del
materiale precedente e una situazione tonale e fraseologica più fluida e volubile, nonostante la
scrittura quasi granitica:
- in termini armonici, il Si maggiore viene interpretato come dominante di mi minore, a cui si
arriva, nel basso, con un semplice movimento V-I, mentre la destra appoggia e ritarda
l’agglomerato di dominante. Nel momento di apparente risoluzione del ritardo (misura 33),
Brahms sfrutta la discesa melodica la - sol per inserire la settima di dominante in secondo rivolto
di do maggiore.
- In termini fraseologici, il discorso è imperniato su una progressione, che ha come modello mm.
31-33
La fluidità precedentemente accennata è quindi da ritrovarsi in una sorta di discrasia tra
l’incasellamento fraseologico della progressione e la tensione armonica, che tende a proseguire per
risolvere il ritardo, che ulteriormente si protrae con la risoluzione su una nuova dominante
secondaria.
La progressione prosegue, partendo da do maggiore, dominante di fa maggiore, su cui, questa volta,
Brahms risolve.

A questo punto le linee centrali di entrambe le mani propongono un movimento ascendente


cromatico (do - do#), a cui risponde il basso nella misura successiva (fa - fa#) mentre la mano
destra inaugura una figurazione di terzine discendenti, che anticipano la scrittura della sezione C.
Da un punto di vista armonico il primo spostamento cromatico spinge momentaneamente il centro
tonale su fa#, prima del successivo, che lo riporta a re maggiore in primo rivolto, in realtà solo di
passaggio prima del ritorno a fa# come dominante di si minore, confermato poi dalla
concatenazione VI6 - V56 a cui si arriva grazie all’enarmonia sib - la# tra misure 39 e 41.

A questo punto vengono riproposte con lievi modifiche le misure 28-29, a cui viene fatto seguire un
movimento simile, ma con funzione modulante al IV grado (mi minore). Su pedale di dominante
viene inserito un movimento parallelo a due ottave di distanza di due gruppi di terzine discendenti,
ribadito poi una terza sopra fino all’alternanza in tempo binario di T e D. Viene anticipato qui il

16
rapporto tonale tra do maggiore e fa diesis maggiore, che verrà riproposto nelle due ballate
successive.

Da molto staccato e leggiero inizia la terza sezione C, che di nuovo cambia totalmente clima,
assumendo i caratteri di uno scherzo in 64. Quest’ultimo mantiene comunque una certa coerenza e
continuità con le sezioni precedenti: con la sezione A condivide infatti l’uso di un pedale di tonica e
il motivo re(#) - do# - si; con la sezione B ha invece in comune la ripresa dell’elemento di terzine
discendenti finale, a scrittura per moto contrario tra basso e acciaccature, che si muovono per moto
di decime parallele, e la linea superiore.
Fraseologicamente vede 2 frasi identiche di 4 misure, con semicadenze alla dominante in coda a
entrambe le semifrasi, la prima delle quali insiste maggiormente sulle funzioni di T e D, mentre la
seconda ha una preponderanza del gruppo di sottodominante (oltretutto tonicizzato a cavallo di
battuta) in preparazione alla dominante stessa. Seguono poi una frase di 4 misure (59-62) e una di 5
(63-67). Come nelle precedenti sezioni, il secondo periodo si mantiene il più attivo da un punto di
vista armonico e melodico, sviluppando brevemente il materiale precedente su diversi centri tonali:
in una tessitura molto più compatta, viene di nuovo utilizzato il cambio di modo per minorizzare la
dominante, che diventa VI grado di la maggiore, a cui si modula tramite la dominante
corrispondente tra misure 60 e 61; la diventa poi dominante di re maggiore, su cui risolve in primo
rivolto il terzo rivolto della settima di dominante; re maggiore poi diventa fondamentale di un IV
grado in primo rivolto, in preparazione alla dominante di fa diesis, che diventa a sua volta
dominante di si minore, introdotta dalla sua sottodominante e tonicizzata da una settima diminuita a
misura 67, prima della ripresa del I periodo. L’emiolia di misure 66-67 richiama il ritorno del ritmo
binario di 49-50, richiamandone anche la situazione di alternanza di funzioni armoniche.
Da misura 68 a 71 viene inserita una breve ripresa variata del I periodo, in pp, con la scrittura di
acciaccature raccolta in forma accordale e in articolazione legata, forse un richiamo alla sezione A,
l’unica che vede la presenza del legato. A 70 una nuova voce superiore si sovrappone riprendendo
quasi completamente in aumentazione misura 53 (l’unica differenza è il mi che in questo caso viene
sostituito con do#), mentre le restanti voci proseguono la scrittura precedente.

Seguono poi 8 misure di transizione prima della ripresa della seconda sezione B’, con la funzione di
ribadire la dominante e di reintrodurre l’elemento ritmico che caratterizzava tale sezione. Una prima
coppia di 2 misure alterna IV e V grado, con la ripresentazione del motivo staccato, ora con una
connotazione quasi macabra. Successivamente viene tonicizzato il V/V tramite la settima diminuita
corrispondente, prima di introdurre di nuovo il V grado (fa#), che riporta alla sezione B.

17
La ripetizione è quasi letterale, se non fosse che le misure 84-88 vengono cambiate di modo (si
minore —> si maggiore), in modo da preparare la tonalità della ripresa A’, che avviene proprio in si
maggiore. È interessante la concatenazione di mm. 85-86: l’agglomerato di fine misura 85 potrebbe
essere interpretato come terzo rivolto della settima di dominante, sottointendendo il fa# appena
sentito nel basso e discendente di grado, oltretutto considerando la risoluzione di questo su re# (I6)
oppure come una settima diminuita in secondo rivolto a cui si sottointende sol; in entrambi i casi la
loro risoluzione viene ritardata con l’utilizzo di un IV grado maggiore (mi). La ripresa di B procede
invariata, fino a misura 108, dove viene inserito direttamente l’elemento di transizione invece di un
nuovo elemento C’.
Quest’ultimo viene prolungato di 2 misure, necessarie per la realizzazione completa dell’enarmonia
sib-la# tra misura 115 e 116, venutasi a creare tramite l’utilizzo del VI grado minorizzato (sol
minore) che prepara la settima di dominante grazie all’agglomerato intermedio di misura 115 (il sol
risolve su fa#, vengono tenuti il sib, che enarmonicamente diventerà la# e il re, che salirà verso la
settima mi).

La ripresa A’ avviene dunque una terza minore sotto, in si maggiore, rapporto che, forse, conferisce
maggior tenerezza rispetto alla sezione A. Fino a misura 126 tutto viene trasportato nota per nota.
Da 127, ciò che costituiva un rapporto di simigliante minore (Re maggiore - si minore), ora, per
ovvie ragioni, costituisce un cambio di modo (Si maggiore - si minore). Viene tutto mantenuto
identico alla sezione A e ci si ritrova in Re maggiore da misura 134.

La coda (mm. 139-149) ha una scrittura che ricorda il cantabile a tre mani tipicamente romantico ed
è costruita melodicamente sulla sezione A: viene letteralmente ripreso il frammento melodico
dell’introduzione e liberamente le prime due misure della I sezione. Ciò che cambia è il profilo
generale di misura 141, ma soprattutto l’armonizzazione del frammento di introduzione, che vira fin
da subito sulla sottodominante (mm. 140-141), per tornare in tonica con l’agglomerato di settima
diminuita di misura 142. Dopo il primo gruppo di 4 misure, le restanti 7 ne sono una ripetizione
prolungata: ritornano le prime 3 in modo quasi identico (cambia l’armonizzazione della terza
misura, che ora sembra muoversi verso do maggiore tramite la settima di dominante), poi viene
reiterato il frammento ritmico della quarta misura sotto diverse forme, prima in maggiore, poi
minorizzato, poi in un gruppo di secondo rivolto sulla dominante, poi come settima diminuita che
risolve finalmente sulla tonica. Viene, infine, per l’ultima volta utilizzato un frammento leggermente
variato dell’introduzione nella voce superiore della mano sinistra (la-re-fa#).

18
Analisi n. 3

Come sostiene William Horne14, “Brahms aveva originariamente concepito la Ballata op. 10 n. 3
come un brano di carattere con il titolo “Scherzino” o piccolo scherzo, come parte del Blätter aus
dem Tagebuch eines Musikers prima che fosse rimaneggiato come parte delle Ballate op. 10 e gli
venisse attribuito il titolo di Intermezzo”. Il carattere del brano, infatti, ricorda da vicino gli scherzi
della prima produzione brahmsiana, su tutti lo Scherzo op. 4: come in quest’ultimo, la prima sezione
è caratterizzata da una successione di gesti rapinosi delle due mani a cui seguono altrettante pause,
entrambi hanno un motivo iniziale con simile figurazione e il carattere generale è, come compare
nell’op. 4, feurig (“ardente”), anche se quest’ultima ha una forma decisamente più articolata
(scherzo con due trii) della ballata, formalmente molto più semplice (ABA).

La sezione A individua 3 grandi nuclei tonali:


- Si minore : 1 - 9, con transizione verso il V da 9 a 14
- Fa# (V) : 15 - 18 (minore) e 25 - 42 (maggiore)
- Do maggiore ( II) : 19 - 25
Questi vengono anticipati già nella prima frase, che, quindi, riassume i percorsi tonali principali
dell’intera sezione A:

14 William Horne, “Brahms’s Op. 10 Ballades and His Blätter aus dem Tagebuch eines Musikers”, The
Journal of Musicology , Winter, 1997, Vol. 15, No. 1 (Winter, 1997), pp. 98- 115

19
6
Si minore (I) Do maggiore (♭II ) Fa# (V)

Le prime 4 misure, dopo l’introduzione delle quinte vuote della sinistra, propongono un disegno
ascendente, che si innalza di un’ottava e armonicamente sposta il discorso sulla tensione
dominantica.
L’esordio è caratterizzato da un gioco ritmico decisamente insolito: le quinte vuote nel basso creano
l’illusione di un battere, che viene subito contraddetto dall’ingresso della mano destra a misura 3.
Jacob Joel Gran15 propone la versione alternativa alla scrittura ritmica brahmsiana, rispettando
l’impressione derivante dall’inganno metrico:

15 Jacob Joel Gran “Tonal and topical coherence in Brahms's op.10 ballades”

20
Inoltre la situazione è ambigua anche da un punto di vista tonale: le quinte vuote, infatti, lasciano in
sospeso il modo, che si scopre essere minore solo grazie al re di misura 3.

Seguono poi due misure di caduta, che si caratterizzano da una figurazione di arpeggio di si minore
(I grado) melodicamente ornato da appoggiature ascendenti e che virano verso il settimo grado. Le
successive 4 misure vengono utilizzate con una funzione di brevissima transizione per connettere la
regione della tonica a quella della dominante, raggiunta con una certa stabilità a misure 13 e
seguenti. Viene riproposto a questo punto il tema nell’ambientazione armonica del V grado per 4
misure (15-18) prima di un processo di giustapposizione tonale con cui ci si ritrova
improvvisamente in do maggiore (m. 19), tonalità che funge da insolita sottodominante coloristica
in preparazione del ritorno della dominante (mm. 25 e seguenti) in cui si rimane fino alla
conclusione della prima sezione. Si potrebbe considerare questa seconda frase come un breve
sviluppo, visto il prolungarsi della figurazione di 4 misure, l’indagine più approfondita dei rapporti
armonici delle prime misure, il cambio di carattere e di dinamica, che passa da f a p e il
cambiamento della scrittura, soprattutto nelle misure 25-30, che riducono di molto lo spessore della
tessitura con un carattere più misterioso e scherzoso. Successivamente, da misura 31, un’ultima
ripresa del tema chiude la prima sezione nel pp nella regione grave dello strumento. In fase
cadenzale viene utilizzata un’insolita armonizzazione della sensibile, costruita su un accordo di III
grado: si viene a creare, in una situazione di tonicizzazione della dominante, una cadenza III - I tra
misura 37 e 38

Si apre poi la sezione successiva, una scrittura di corale forse assimilabile a un trio, visto il grande
contrasto di sonorità con la precedente sezione A. È l’unica sezione centrale che non riporta una
nuova indicazione di tempo.
La più evidente differenza con la sezione precedente è sicuramente la tessitura utilizzata: la destra,
infatti, viene spostata esattamente di quattro ottave e la mano sinistra si mantiene per la maggior
parte al di sopra del do centrale. Ciò che però mantiene una certa continuità con la sezione
precedente è l’utilizzo del medesimo materiale motivico, come sostiene anche Ting-Chu Heather
Shih16:

16 Ting-Chu Heather Shih, ”The four Ballades, op. 10 of Johannes Brahms: A Song Cycle Without Words” p.
93

21
Inoltre la figurazione di quarta ascendente di misura 43 viene recuperata per moto contrario nella
mano sinistra, per poi essere riproposta, sempre in forma di inversione, nella voce centrale di misure
48-49, a ricordare una sorta di motivo di campane in lontananza.
Dopo una prima irregolare frase di 7 misure in re# minore in cui viene esposto il tema della sezione
B, una seconda frase sviluppa brevemente tale materiale, utilizzando le due misure aggiuntive per
una passeggera tonicizzazione di mi maggiore (m. 53) e sol# minore (m. 54) per poi chiudere di
nuovo in re# minore mantenendo l’irregolarità fraseologica della frase precedente.

Un secondo periodo (59-70) si occupa di minare più a fondo la stabilità tonicale, utilizzando anche
toni lontani, come do# maggiore di misure 61-62, per preparare la cadenza sospesa sulla dominante
di re# minore (mm. 67-70), che non ha una definitiva risoluzione e, dopo un’ultima ripresa reiterata
dell’elemento tematico di questa seconda sezione, sfocia sulla dominante di si minore (mm. 78-92),
in preparazione della ripresa della sezione A. Quest’ultima lunga cadenza sospesa viene realizzata
con un preciso trattamento del tocco pianistico, che deve mirare a far risuonare il la# accentato e
tenuto dalla mano sinistra a misure 83 e simili su un sostegno del basso staccato ma sostenuto dal
pedale e i bicordi di riempimento armonico della mano destra.

Il pedale di dominante della cadenza sospesa non risolve, ma viene prolungato anche con l’inizio
della ripresa A’ in sostituzione dei precedenti bicordi della mano sinistra e l’armonizzazione rimane
di un accordo di dominante con la nona. Inoltre un’appoggiatura discendente prende il posto della

22
seconda voce che, nella sezione A, raddoppiava in ottava la destra, instaurando quindi un moto
contrario che sostituisce il parallelismo. Il fatto che un’armonia di dominante non venga risolto
all’inizio della ricapitolazione è un elemento decisamente forte e crea una situazione molto più
incerta.

In una situazione diversa avviene lo stesso procedimento nella Sonata op. 57 di Beethoven, la cui
ricapitolazione viene costruita su un pedale di dominante:

La ricapitolazione si mantiene dinamicamente nel pp, mentre nella sezione A il materiale era
esposto nel f o ff. Il cambio di dinamica influenza anche la scrittura, che viene radicalmente snellita:
a misura 97 la grande discesa viene semplificata, con la destra che ripropone la scrittura della
corrispondente misura 7, mentre la destra segue il disegno della sinistra solamente con un arpeggio
discendente di si minore; lo stesso cambio di scrittura avviene a misure 113 secondo le medesime
caratteristiche; a misure 100 e seguenti i grandi agglomerati accordali di misura 9 vengono snelliti,
ottenendo un carattere più misterioso e scherzoso.

Le discese di misure 97 e 113 iniziano con la contemporanea presenza della nota reale e della sua
appoggiatura, elemento che in quest’ultima versione ripropone sotto altra veste gli scivolamenti
modali maggiore - minore: se si considera infatti enarmonicamente do doppio diesis come re, si

23
hanno contemporaneamente la terza maggiore e la terza minore della triade che ha come
fondamentale si.

Confrontando esposizione (A) e ricapitolazione (A’) da un punto di vista fraseologico e tonale, si


può notare come A’ manchi di un periodo, in quanto il secondo periodo (da misura 105) riassume i
centri tonali del secondo e il terzo periodo dell’esposizione: se quest’ultimo distribuiva su due
diversi periodi rispettivamente do e fa, ora, dopo la breve transizione a do maggiore, i due vengono
alternati.

In coda viene riproposto per 3 volte il rapporto III - I in si maggiore, l’ultimo dei quali (mm.
119-124) viene molto prolungato, permettendo la citazione del motivo Frei aber froh della seconda
Ballata.

24
Analisi n. 4

In questo caso la forma è A B A’ C B’

Il carattere generale è decisamente introspettivo, meditativo, molto in contrasto con lo Scherzo


precedente.

La prima sezione è bipartita, con un segno di ritornello solo per la prima parte: 1 - 16 (a1) e 17 - 46
(a2). Si apre con un inusuale cambio di modo da minore (m. 1) a maggiore (m. 2), che riprende la
tendenza di tutta la raccolta a un certo scivolamento modale, riproposto in seguito anche in
quest’ultima ballata. Fraseologicamente si mantiene molto regolare, con un periodare
realizzato tramite la somma di blocchi di 4 misure (4+4+4+4). Nella prima frase anche da un punto
di vista armonico non ci sono particolari procedimenti messi in gioco, con un’armonia semplice e
funzioni molto chiare, con una classica tonicizzazione della dominante a fine prima frase che viene
utilizzata per realizzare una cadenza sospesa. La dominante risolve su un sesto grado con la settima
in I rivolto e il moto contrario delle parti estreme viene armonizzato tramite lo spostamento verso la
settima diminuita del V grado in II rivolto introdotto dalla settima di dominante secondaria del IV
grado in II rivolto. Per controbilanciare simmetricamente lo scivolamento modale di misure 1-2 e
preparare la sonorità minore di a2, l’ultima frase riporta il movimento opposto (maggiore —>
minore) per chiudere poi sulla dominante.

La seconda sezione a2 si fa più intensa sotto più aspetti:

- Fraseologicamente è irregolare (10 misure) e i gruppi di base sono di 2 misure invece che i
precedenti e canonici 4, dando un senso di maggior incertezza e tensione
- Melodicamente si apre con due sospiri, che vengono resi più intensi nella progressione di
misure 19 - 26
- Ritmicamente la minima viene sviluppata in due semiminime, creando una ripetizione
intensificata di misure 17-18
- Armonicamente è più instabile, anche vista la progressione, e si apre su un vero e proprio minore

La tensione accumulata si scioglie a misura 29, con la ripresa della seconda metà della I frase (in
2-8). Avviene di nuovo un breve processo elaborativo a misura 35 e seguenti, che tonicizzando il IV
grado porta alla chiusura sulla tonica.

25
La sezione B, indicata con “Più Lento” è caratterizzata da una scrittura insolita, con una melodia
posta nel registro di contralto, circondata da un movimento della destra che la avvolge e la rende
morbidamente appena percettibile: Probabilmente Brahms mutuò questa scrittura dalla Romanza 28
n° 2 di Schumann, che ha caratteristiche molto simili. La principale differenza sta, comunque,
nell’utilizzo del ritmo di terzina della mano destra contro la duina della sinistra, che ne rende i
contorni ancora più sfumati e nebbiosi.

Schumann, Romanza op. 28 n. 2

Lo schema ritmico è direttamente ripreso dalla sezione precedente (minima - semiminima) e, se


sottoposto a diminuzione, visto il metro di 64 invece dei 68 di Schumann, è il medesimo della già
citata Romanza.

La seconda frase (misura 50) risponde mezzo tono sotto. Con b2 viene inserito un ulteriore livello
ritmico in una voce simil-tenorile, ottenuto tramite diminuzione del tema principale del contralto.
Dopo questa breve elaborazione, ritorna b1 (misura 61) solo per la prima frase, in quanto subito un
crescendo porta dominante alla di la#, utilizzato come VII grado di si maggiore. Di nuovo ci si
sposta, raggiungendo la dominante di Sol# (misura 66), che risolve nella misura successiva, ma solo
momentaneamente. Per 2 volte con 2 successivi salti di terza (minore e maggiore) ci si sposta verso
la dominante, fino a quando (misura 69) la sensibile dal basso subisce trasformazione enarmonica;
invece della dominante di Sol#, come avveniva in precedenza, si viene a creare un agglomerato di
sottodominante di si minore, II grado in secondo rivolto, che prepara la dominante. La vera a
propria linea melodica sparisce a misura 71, lasciando un ricordo sfumato che rimane presente nei
raddoppi presenti nelle terzine.
Viene ripreso poi quasi letteralmente A (73-88), variato solo nelle articolazioni e nel ritmo
dell’accompagnamento, il cui bicordo del movimento discendente viene spezzato in due semicrome
e l’articolazione viene specificata in un legato e legato-staccato. Se inizialmente la linea melodica

26
era indiscussa protagonista e la scrittura era studiata per farla risaltare senza nessun elemento che
distogliesse l’attenzione da questa, ora, invece, il nuovo tipo di scrittura degli elementi secondari li
rende più partecipi e attivi, anche grazie al fatto che la necessità di realizzare allo strumento in
modo sufficientemente chiaro la nuova articolazione obbliga l’esecutore a utilizzare meno pedale.

Si apre così una terza sezione, che, seguendo le indicazioni di doppia sbarra utilizzate dal
compositore a misure 114 e 125, può essere considerata tripartita: c1 (89-114), c2 (115-124) e c3
(125-134).
Caratteristica saliente di questo nuovo elemento è la scrittura corale, generalmente realizzata per
moto contrario. Al contrario di quanto avveniva nella prima Ballata, Parakilas sostiene che in
questo caso la scrittura accordale non abbia una connotazione arcaicizzante, mentre, invece “la
sonorità e più Mendelssohniana”17. Una giustificazione di tale affermazione potrebbe risiedere nel
risalto che viene dato alla linea melodica, alla struttura fraseologica irregolare, spesso di 5 misure e,
soprattutto, alla grande intimità della sonorità, quasi un corale a bocca chiusa, grazie anche alla
scelta della tessitura medio-grave dello strumento.

Ogni sezione di C ha un elemento del discorso musicale sottoposto ad elaborazione. Se c1 ha


apparentemente ben poco in comune con quanto avvenuto in precedenza, in realtà mantiene
continuità di disegno ritmico con le precedenti sezioni vista l’alternanza di minime e semiminime e
da un punto di vista armonico le regioni tonali esplorate sono molto simili a quelle utilizzate in A.
La prima frase, per esempio, si mantiene in si maggiore, poi ci si sposta verso la dominante tramite
la sua dominante secondaria, poi viene tonicizzato il IV grado poi di nuovo un elemento
discendente passa dalla dominante secondaria del V grado per fare cadenza sospesa
Schematizzando i movimenti armonici di a1

MISURE FUNZIONI

1-4 I

5-8 VI7 - V/V - V

9 - 12 V/IV - VII/V - V

13 - 14 I

15 V/V

16 V

17 James Parakilas, “Ballads Without Words: Chopin and the Tradition of the Instrumental Ballade”

27
e di c1:

MISURE FUNZIONI

89 - 93 I

94 - 98 VI7 - V/V - V

99 - 103 V/IV - VII/V - V (-IV - II)

104 - 107 Sezione modulante su basso discendente

108 - 114 V/V (- V2 - I6) - V/V - V

si può notare come le analogie siano forse troppe per essere casuali. C2 riprende la linea melodica
delle prime 10 misure di a2, inserendole nel nuovo contesto corale di C. Viene qui messo in gioco
uno strumento compositivo classico, largamente utilizzato, tra gli altri, da Beethoven: la riduzione,
un processo in genere atto a sviluppare o intensificare una situazione di incalzando compositivo. Si
realizza tramite ripetizioni sintetizzate (ridotte) di un elemento del discorso. Come si diceva,
Beethoven ne fece un larghissimo uso. Un esempio molto famoso è l’inizio del I movimento della
Sonata op. 2 n. 1 in fa minore:

28
In questo caso Brahms la utilizza nella scrittura dell’accompagnamento:

112

Se nella prima versione (misure 115-116), infatti, questo era costituito da un antecedente (misura
115) che creava tensione armonica, rendendo il re nota ritardata di do e formando un agglomerato
armonico diminuito, e un conseguente (m 116), che risolveva la tensione della quinta diminuita sul I
grado in primo rivolto, da misura 119 l’accompagnamento segue unicamente la forma del
conseguente, creando una serie di elementi bisognosi di risoluzione, l’ultimo dei quali (misura 124)
prolunga la tensione della nona minore tra le voci estreme, caricandola ulteriormente di tensione
con il passaggio cromatico ascendente la - la#.

Tale tensione si scioglie solo momentaneamente con l’esordio di c3, che funge da breve transizione
verso la ripresa di B’: dopo due misure di modulazione viene riproposto con un rapporto di terza
l’elemento di 91, in re maggiore invece che si maggiore. A misura 130 un misterioso unisono
distribuito su tre ottave introduce una nuova modulazione che, toccando di passaggio sol maggiore
tramite un rapporto di terza con si maggiore, porta di nuovo alla dominante di si maggiore,
introdotta dal secondo grado abbassato (do maggiore), concatenazione che ricorda la terza Ballata.

La cadenza sospesa, prolungata dalla corona, viene risolta con una cadenza evitata V - VI che porta
il discorso di nuovo su sol maggiore, per la ripresa di B. Il tema viene riproposto per come appariva
da misura 61, fino a quando la mano destra non riprende l’elemento tematico di A, una sorta di
reminiscenza sfumata che riassume la nebulosità modale dell’intera raccolta e, in particolare, di
quest’ultima Ballata. Questa, oltretutto è ulteriormente evidenziata nelle misure che precedono il
passaggio della destra: a misura 141, infatti viene realizzata completamente, mentre nel passaggio

29
successivo corrispondente di misura 143 la terza viene ritardata, in quanto preceduta da una settima
maggiore (di quarta specie) in sostituzione della settima di dominante. La Ballata termina con un
inaspettato crescendo sul ritardando di misura 146, che sottolinea ancor di più il finale
cambiamento di modo verso il maggiore.

Liszt, Vallèe d’Obermann

La genesi dell’opera

Nei primi anni ’30 Liszt si trova a Parigi, dove vive come virtuoso del pianoforte e conosce le più
importanti famiglie nobili del tempo, di cui frequenta i salotti. Nel 1833, all’età di 21 anni, conosce
l’infelicemente sposata contessa Marie d’Agoult, che rimane assolutamente stregata dal giovane
Liszt durante il loro primo incontro. Come racconta lei stessa in una lettera: “La porta si aprì e una
incredibile apparizione colpì i miei occhi. Io la chiamo apparizione perché non trovo altro modo per
descrivere una così potente emozione che mi ha sconvolto alla vista della persona più straordinaria
che io abbia mai incontrato”18. I due intraprendono una relazione clandestina, ma Marie rimane
incinta di Liszt e i due, per evitare lo scandalo, decidono di fuggire: inizialmente si spostano a
Basilea per poi trascorrere le successive settimane al lago di Costanza, di Wallenstadt (il lago della
contea di Guglielmo Tell), la valle del Rodano e infine Ginevra. Ma se, da un lato, il viaggio
arricchiva enormemente il vissuto di Liszt, la sua conoscenza della diversità, gli permetteva di
trovare nuove ispirazioni e stimolava la sua introspezione artistica, di contro egli spesso si sentiva
solo, triste, provava nostalgia di casa ed era preoccupato per il futuro. La complessità delle sue
esperienze viene poi artisticamente registrata in una raccolta pianistica, che nel 1842 prende il titolo
di “Album d’un voyageur” e, con la successiva revisione del 1855, “Annees de Pelegrinage”.
Liszt aveva una vastissima conoscenza della letteratura occidentale: come sostiene Bora Lee19, la
sua presenza nei salotti parigini dei primi anni ’30 e i suoi viaggi con la contessa Marie d’Agoult
sono stati un momento incredibilmente fertile per l’ampliamento dei suoi orizzonti culturali; Liszt
iniziò a concepire, infatti, musica, letteratura e natura come un’unica forma di espressione,

18 Bauer, 305
19 Bora Lee, “Franz Liszt's "Vallee D'Obermann" from the "Annees de Pelerinage, Premiere Annee, Suisse":
A Poetic Performance Guide” p. 9

30
concezione che trova la sua realizzazione musicale nel genere del poema sinfonico, di cui Liszt fu
senza dubbio uno dei maggiori rappresentanti nell’Ottocento.

L’”Oberman” di Senancour

A dispetto di questo può far immaginare il titolo, “Oberman” (divenuto “Obermann” nelle
successive traduzioni) non è il nome di una valle svizzera, bensì il protagonista dell’omonimo
romanzo epistolare di Etienne Pivert de Senancour, pubblicato nel 1804. L’autore descrive la noia
esistenziale, il mal di vivere di un giovane e talentuoso scrittore che narra la sua vita dopo la
partenza da Parigi alla volta della Svizzera per fuggire dagli affari di famiglia, ma si accorge di
essersi autoimposto l’esilio nelle Alpi Svizzere. Liszt stesso descrive il romanzo come il
“monocordo dell’inesorabile solitudine del dolore umano” e allo stesso tempo “il libro che allevia le
mie sofferenze”. Le risonanze tra Oberman e Liszt sono in effetti molto pronunciate e la temperie
romantica che avvolge il romanzo deve sicuramente essere stata molto apprezzata dal giovane
compositore.

Lo stesso Liszt, scrivendo al suo editore lamentandosi della illustrazione all’edizione del brano, che
rappresentava una tipica valle svizzera, dice che il brano “si riferisce semplicemente e unicamente
al romanzo francese di Senancour, Obermann […] Il cupo e iper-elegiaco frammento la vallèe
d’Obermann che ho incluso nell’anno svizzero degli Annèes de Pelerinage (in quanto il romanzo
stesso è ambientato in Svizzera), evoca molti dei dettagli principali dell’opera di Senancour.”

Come programma del brano vengono utilizzati la lettera 63 e lettera 4, in cui viene rappresentato
Obermann nel momento in cui realizza di non sentirsi a casa nemmeno dopo la sua fuga e registra
tutta la sua disperazione nelle lettere. I riferimenti autobiografici con la storia passionale di Liszt
sono evidenti

- Dubbio esistenziale
- Impotenza di fronte alla Natura (“Toute cause est invisible, toute fin trompeuse, toute dourée
s’épuise”)
- Rimorso (“j’ai dévoré dix années de ma vie”)

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Senancour, “Oberman” - estratti

“Que veux-je? Que suis-je? Que demander à la nature? … Toute cause est invisible, tout fin
trompeuse; toute forme change, toute durée s’épuise: … Je sens, j’existe pour me consumer en
désirs indomptables, pour m’abreuver de la séduction d’un monde fantastique, pour rester atteré de
sa voluptueuse erreur.”

“Cosa desidero? Cosa sono? Cosa devo chiedere della natura? - Ogni causa è invisibile, ogni fine
ingannevole; ogni forma cambia, ogni durata infine giunge a un termine… Io sento; Io esisto solo
per gettarmi in desideri irraggiungibili, per abbeverarmi della seduzione di un mondo di fantasia,
per rimanere soggiogato alla sua voluttuosa illusione.”

“Indicible sensibilité, charme et tourment de nos vaines années; vaste conscience d’une nature
partout accablante et partout impénétrable, passion universelle, sagesse avancée, voluptueux
abandon; tout ce qu’un coeur mortel peut contenir de besoins et d’ennuis profonds, j’ai tout senti,
tout éprouvé dans cette nuit mémorable. J’ai fait un pas sinistre vers l’âge d’affaiblissement; j’ai
dévoré dix années de ma vie.”

“Sensibilità indicibile, il fascino e il tormento dei nostri futili giorni; vasta coscienza di una natura
che è ovunque incomprensibile e sopraffatrice; passione universale, indifferenza, altissima
saggezza, abbandono al piacere - tutti bisogni e profonde e tediose preoccupazioni che il cuore di un
uomo può conoscere; Io li ho provati e sperimentati tutti in quella notte memorabile. Ho fatto un
sinistro passo verso gli anni della debolezza. Ho divorato dieci anni della mia vita”

Byron, “Childe Harold’s Pilgrimage”

Il secondo frammento esplicitato da Liszt è tratto da “Childe Harold’s Pilgrimage” di Byron,


pubblicato tra il 1812 e il 1818. Lord Byron fu probabilmente uno dei più influenti personaggi e
letterati del romanticismo inglese, uno dei miti romantici per antonomasia, la cui poesia esprimeva
l’inquietudine esistenziale, il desiderio di ribellione e la genialità di cui lui stesso si nutriva in prima
persona.
L’Harold di Byron, non senza numerose risonanze autobiografiche, è un solitario e giovane uomo
inglese che intraprende un viaggio nel continente per trovare la felicità e il senso della vita. Nel

32
1816, durante il suo soggiorno a Ginevra, Byron pubblica il Canto III di “Childe Harold’s”,
ambientato nell’Europa centrale, dal Belgio, alla valle del Reno, alle Alpi. Anche in questo caso
Liszt deve essersi identificato con l’autore, non solo nel suo vagabondare per l’Europa come
pianista, ma anche nelle simili risonanze emotive del vivere come wanderer nell’Europa centrale
romantica. Vallée d’Obermann non è l’unica realizzazione musicale che ha come programma
“Childe Harold’s”: Berlioz la utilizzò, infatti, come ispirazione per scrivere Harold en Italie (1834),
una sinfonia a programma in 4 parti, genere da lui stesso inaugurato con la Symphonie Fantastique
del 1830.

Byron, Childe Harold’s Pilgrimage - estratto

“Could I embody and unbosom now


That which is most within me, – could I wreak
My thoughts upon expression, and thus throw
Soul, heart, mind, passions, feelings, strong or weak, All that I would have sought, and all I seek,
Bear, know, feel, and yet breathe – into one word, And that one word were Lightning, I would
speak; But as it is, I live and die unheard,
With a most voiceless thought, sheathing it as a sword.”

“Se io potessi ora rivestire di forme ed esprimere dal mio cuore quel che v’è di più riposto; potessi
costringere i miei pensieri nell’espressione, e così gettare anima, cuore, mente, passioni, sentimenti
forti e deboli, tutto ciò che avrei voluto cercare e ciò che cerco e sopporto, conosco, sento (eppure
continuo a vivere) – potessi gettarli in un’unica parola, e quella parola fosse folgore, parlerei; ma
invece vivo e muoio non udito, con un muto pensiero, ringuainando in me quale spada.”20

Analisi

L’impianto formale generale ricorda l’organizzazione del materiale tipico della forma sonata,
rielaborato da Liszt alla luce dello sviluppo che questa ha avuto in epoca romantica e alle esigenze
del brano:
- 1-74: I gruppo tematico.
- 75-118: II gruppo tematico- 119-169: elaborazione/recitativo

20Byron, “Aroldo”, a cura di A. Ricci, Sansoni, Firenze, 1923, 3 voll., II, p. 71

33
- 170-207: ricapitolazione della sola II area tematica
- 208- 216: coda

Il trattamento della forma è comunque molto fluido, non coercizzato dall’esigenza di creare blocchi
con specifiche funzioni: manca una vera e propria fase di transizione tra i due gruppi tematici, il I
gruppo tematico non viene ripreso e il II gruppo è strettamente derivato dal primo, quasi una sua
trasfigurazione.

Il primo gruppo tematico è costruito interamente sull’idea di discesa, strettamente connessa al


significato suggerito dal frammento di Senancour: oltre alla direzione che seguono molti degli
elementi melodici, infatti, è possibile individuare nel basso una figurazione progressivamente
discendente di grado congiunto. La discesa nella “valle” è qui rappresentata non solo come
elemento geografico, ma anche come uno stato emotivo e psicologico che fa da sostrato all’intero
brano. Il frammento che Liszt propone come programma, del resto, insiste quasi ossessionatamente
sul dubbio esistenziale che attanaglia il protagonista: “chi sono io?” Cosa chiedo alla Natura?”.

A tal proposito, forse si può individuare una citazione di Schubert nascosta nel primo gruppo
tematico. La figurazione a cavallo di battuta, infatti, è molto simile a un passaggio del Lied di
Schubert “Der Wanderer”, di cui Liszt realizzò una trascrizione per pianoforte solo. Inoltre, il senso
generale del testo del Lied sembra ben riecheggiare le tematiche proprie delle fonti letterarie scelte
da Liszt

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Individuata la direzione generale, che rievoca le suggestioni della valle e del programma letterario,
è possibile notare quanto anche le singole linee seguano il medesimo disegno. Le prime due
semifrasi, per esempio, mantengono tensione discendente, declinata in due modi diversi: il primo
rimane in un ambiente diatonico, il secondo, più sofferto, perde centro tonale, spostandosi in sol
minore. A collegamento con la fase successiva vi è un movimento che spezza il clima discendente e
di grado congiunto, come un tentativo di rialzarsi per poi di nuovo ricadere nel clima precedente.

Di assoluta importanza è l’individuazione del motivo che sottende a tutto il brano, costituito dalla
terza riempita sol - fa # - mi che subisce numerose variazioni:
La prima avviene già a misura 10 e 11, anche se strettamente legate al clima iniziale.

Una seconda volta appare trasfigurato a misura 75, ovvero nel II gruppo tematico.

Il cambio è davvero radicale, in termini armonici (mi minore - do maggiore), di carattere (triste -
estasiato), di significato (dolorosa ricerca di senso - acquietamento nella luce), di tessitura (registro
medio grave - registro acuto), di ritmo (ottenuto per aggravamento). Tutto ciò si riflette
inevitabilmente anche sulla concezione della forma sonata: se in epoca classica, soprattutto in
Beethoven, la dialettica tra i due temi era ricercata nella distanza tra imposto e contrapposto, tonica
e dominante o tonica e relativa maggiore, in questo caso è da ricercarsi, forse, proprio in un senso
trasfigurativo. Il protagonista della dialettica compositiva non è più la ragione illuminista che
governa la composizione classica, ma l’interpretazione della soggettività umana. Il tipico rapporto
tonale romantico di terza, che già aveva organizzato il precedente materiale, concretizza un vero e
proprio contrasto tra l’oscurità del mi minore) e la luce del do maggiore (una lettura tradizionale di
tale tonalità, di cui un famoso esempio e l’esplosione della modulazione in do maggiore del coro
nella Creazione di Haydn proprio in concomitanza alle parole fiat lux).

Ulteriormente trasfigurato appare nello sviluppo, a misura 120. Probabilmente questa sezione
interpreta i desideri ingovernabili di Senancour, vista anche l’indicazione drammatica di recitativo.

Il tremolo nel registro grave della tastiera rende ancora più esplicita la rottura con la sezione
precedente, portando l’ascoltatore in un clima del tutto estraneo: irrobustito da ottave di rinforzo, il

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motivo principale appare quasi come una imposizione del fato, a cui si contrappone la più volatile
misura successiva. È dalla misura 128 (più mosso e agitato molto) che i desideri esplodono
inaspettatamente.

Il tremolo passa nel registro centrale, mentre la sinistra si divide tra due poli drammatici opposti:
delle perentorie ottave nel basso si oppongono a terze discendenti più melodiche, quasi a suggerire i
due poli opposti del desiderio del protagonista.

Dopo una quasi cadenza virtuosistica, la scrittura si sfalda e di nuovo, per tre volte, appare la
versione aggravata del motivo discendente, interrotto da tre accordi nella regione grave, che
riecheggiano il motivo nel basso, prima di una cadenza di stile quasi vocale:

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Il motivo riappare successivamente (m. 170) come ricapitolazione del II gruppo tematico: il ritmo è
riportato alla sua forma originale, accompagnato da terzine di sedicesimi. Il mi maggiore potrebbe
essere interpretato come punto di approdo esistenziale dopo la profonda ricerca di sé di tutte le
precedenti sezioni.

A misura 180 viene ripreso in inversione il primo tema

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Dal sempre animando sin’al fine di misura 188 il motivo viene disposto su tre ottave e
l’accompagnamento si fa decisamente più intenso, grazie ai ribattuti di terze in entrambe le mani

A questo punto il motivo viene messo sempre in maggior fibrillazione, tramite l’uso degli accenti
sulla nota lunga e lo staccatissimo sulla nota corta, con ribattuti di accompagnamento. Il motivo
passa poi nella regione grave fino all’effetto quasi pirotecnico dell’arpeggio di ottave. Il brano,
però, non finisce con questa risoluzione eroica e decisamente affermativa: compare un’ultima volta
il tema principale, con un movimento cromatico del basso che risolve in tonica, a cui si arriva con
una triade eccedente, di grande spessore drammatico.

Indubbiamente le scelte tonali di Liszt hanno sempre avuto un significato simbolico: Paul Merrick21
sostiene che molte tonalità abbiano una risonanza simbolica di elementi o temi meta-musicali (la
bemolle maggiore è la tonalità associata all’amore, re minore la morte, mi maggiore un sentimento
religioso, si maggiore il Paradiso, fa diesis maggiore la contemplazione spirituale). Inoltre Merrick
asserisce che molti, se non tutti, i brani della raccolta siano costruiti su “un uso simbolico della
tonalità”, una sorta di “percorso interiore”, che termina con Les cloches de Genève in Si maggiore.

21 Paul Merrick, “The Role of Tonality in the Swiss Book of Années de Pèlerinage,”

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Anche Vallee d’Obermann, uno dei brani più densi della raccolta, non è esente da tale concezione
tonale:

I tema Mi minore
II tema Do maggiore
Recitativo Mi minore
Ricapitolazione II tema Mi maggiore

Il mi minore di apertura trova probabilmente spiegazione nel clima di ricerca dell’io presente anche
nei frammenti poetici (“Que veux-je? Que suis-je? Que demander à la nature?”)
In realtà, in questa prima sezione non è mai dichiarata la tonalità di impianto e regna l’incertezza
assoluta dell’armonia: il brano si apre senza l’esplicitazione della fondamentale e il primo
agglomerato accordale è un II grado con la nona minore di incredibile vaghezza. Le appoggiature e
i ritardi della mano destra non fanno che amplificare tale senso di totale incertezza: il la diesis di
passaggio di misura 2 crea una sesta tedesca che solo nel movimento successivo risolve sul V
grado; a misura 4 il sol è ritardato tramite l’uso del fa diesis della triade eccedente. Non appena ci si
trova in una situazione che potrebbe ricondurre a una stabilità tonicale (misura 2, con la
tonicizzazione della dominante tramite sesta eccedente e la dominante con un secondo rivolto di mi
minore) Liszt si sposta con un salto di quarta diminuita, modulando a sol minore. Procedimento
simile avviene anche nella seconda frase, con la modulazione da sol minore a si bemolle minore,
che conferma lo schema di spostamenti tonali di terza minore ipotizzabile in precedenza (mi - sol -
si bemolle).

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Anche le continue modulazioni della transizione per la riproposizione del tema (mm. 26-33)
spostano continuamente il fuoco da un centro tonale all’altro: la sesta eccedente di misura 25, data
la sua natura enarmonica (re# —> mib ecc.), fa da ponte tra mi minore e mi bemolle minore. Il
percorso viene dunque a essere: mib minore, la minore, V di mi minore, che riporta al I tema.

La prima trasfigurazione tematica viene raggiunta dopo una breve transizione (mm. 67-74) in cui
viene inserito un pedale di tonica, scelta di forte contrasto, per esempio, con la visione tradizionale
di un ponte modulante: se tale sezione nella produzione sonatistica classica era utilizzata per
spostare il complesso tonale da una condizione di stasi (Tonica) a una di dinamismo (Dominante),
in questo caso la transizione diventa forse uno dei momenti più stabili del brano. Tale ribaltamento
concettuale si potrebbe spiegare con l’esigenza di evidenziare il contrasto tra le due sezioni, in
termini di carattere e di tonalità, oltretutto considerando che la nuova tonalità viene raggiunta per
giustapposizione.

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Il do maggiore del II gruppo tematico, anche grazie al grande salto dalla regione estremamente
grave della tastiera a quella acuta, appare ancora più etereo, quasi una sorta di apparizione angelica,
incarnando musicalmente gli opposti della valle tormentata del I tema.

Di nuovo in mi minore è il recitativo, che probabilmente riflette lo struggimento dell’immaginario


protagonista, i suoi dubbi più angosciosi e terribili, risolti nella successiva trasfigurazione in mi
maggiore, che apre a una sorta di acquietamento, anche se solo momentaneo, prima del ritorno in
chiusura del mi minore.

Senza dubbio, il passaggio a mi maggiore è il più importante da un punto di vista simbolico. Come
sostiene Bora Lee22, “spesso anche nella produzione orchestrale Liszt si rifà al modello della Quinta
Sinfonia di Beethoven, che inizia nell’oscurità del do minore e finisce nella luce del do maggiore”.

22Bora Lee, “Franz Liszt's "Vallee D'Obermann" from the "Annees de Pelerinage, Premiere Annee, Suisse":
A Poetic Performance Guide” p. 41

41
Dopo il magma denso del Recitativo e del Presto, che hanno funzione di elaborazione/sviluppo, a
misura 170 il mi maggiore, che segnala la ricapitolazione, si affaccia timidamente nel piano.
Lentamente sembra come risvegliarsi, prendere coscienza di sé, già con i raddoppi di ottava di
misura 175 e seguenti. La metamorfosi completa avviene a misura 180, dove i dubbi, la tristezza e
le preoccupazioni del protagonista si sciolgono nel completo rovesciamento tematico, in un
momento di estasi da cui avrà origine il grande incremento climatico che raggiunge la gloria prima
a misura 196 e poi a 204, con il grande passaggio di ottave nel fortissimo.

Come già si diceva, la coda, che raggiunge il massimo grado di stabilità tonicale in mi maggiore
con il grandioso arpeggio di ottave a misura 214, ricade nel clima pessimistico iniziale: nonostante
si esaurisca, infatti, su un accordo di I grado nel modo maggiore, l’ambiente armonico, con l’uso del
II grado abbassato e la triade eccedente che si viene a formare con l’appoggiatura del do naturale, e
la linea melodica discendente rigettano l’ascoltatore nel dubbio e nell’angoscia dell’esordio.

Liszt e Brahms: il Giano bifronte del Romanticismo

Al termine dell’indagine analitica sui due brani, che fanno emergere caratteristiche così diverse
della produzione romantica, è necessario chiedersi in che modo poterli conciliare in un recital
pianistico. La ragione sta in parte in alcune variabili comuni, ma soprattutto sulla visione d’insieme
che questi danno all’ascoltatore sul romanticismo musicale: Liszt e Brahms, infatti, sono non a torto
considerati i paradigmi di due opposte tendenze della loro epoca, ovvero della cosiddetta “musica a
programma” e della “musica assoluta”. È Eduard Hanslick uno dei primi a coniare il termine di
“musica assoluta”, che mira alla “autonomia della musica da testi, programmi, funzioni e, in alcuni
casi, anche affetti”23 o, per usare parole del musicologo Carl Dalhaus, viene definita come “musica
strumentale priva di testo, autonoma, non legata a funzioni o programmi extramusicali”24. Hanslick
sostiene che il bello debba essere “specificamente musicale. [...] un bello che, senza dipendere e
senza abbisognare di alcun contenuto esteriore, consiste unicamente nei suoni e nel loro artistico
collegamento. Le ingegnose combinazioni dei suoni [...] questo è ciò che in libere forme si presenta
all'intuizione del nostro spirito e che ci piace come bello”25. Oltretutto, tra Brahms e Hanslick
intercorse anche una amicizia che probabilmente trovò un suo fondamento nel saggio di

23 Alessandra Brusadin, “Wittgenstein e Hanslick. Per una valutazione del formalismo musicale” p. 5
24 Carl Dalhaus, “L’idea di musica assoluta” p.8
25 Eduard Hanslick, “Il bello musicale”, cap. III

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quest’ultimo “Il Bello musicale”, proprio del 1854 (data di pubblicazione dell’op 10 di Brahms),
dove Hanslick, non senza una certa influenza concettuale e filosofica idealista, sosteneva la
superiorità della musica assoluta. Per comprendere dunque l’ambiente concettuale musicale
romantico è necessario far riferimento a entrambi i “volti di Giano”, ovvero sia Brahms che Liszt.

Ulteriore differenza tra questi due giganti della storia della musica europea è da ritrovarsi anche nel
loro modo di affrontare il pianismo da esecutori. Un critico del “Signale für die Musikalische Welt”,
rivista di critica musicale fondata a Lipsia nel 1843, a proposito di Brahms come interprete di
Beethoven scrive: “molti artisti possiedono una tecnica appariscente, ma pochi sanno tradurre le
intenzioni del compositore in modo così convincente o seguire, come fa Brahms, il volo del genio
beethoveniano, rivelandone tutto lo splendore.” Il Liszt pianista dei primi anni, invece,
generalizzando per questioni pratiche, ha una grande accezione personalistica, il protagonista delle
sue esecuzioni è lui stesso, anche nel momento in cui esegue a memoria l’op 106 di Beethoven,
avvenimento decisamente incredibile per l’epoca, ed è probabilmente uno dei “molti artisti” a cui il
commentatore tedesco si riferiva. Non a caso il poeta tedesco Heinrich Heine parla di
“Lisztomania” a proposito delle reazioni del pubblico alle esecuzioni del Liszt pianista.

È emblematico a tal proposito l’aneddoto che racconta di un primo incontro poco felice tra i due,
quando Liszt eseguì una Sonata, lo Scherzo op. 4 di Brahms e, su richiesta, la sua Sonata in si
minore: guardando nel pubblico in uno dei momenti di grande pathos di cui è ricca la sonata, si dice
che abbia visto Brahms addormentato sulla sedia.

Il fatto che entrambi i brani trovino un punto di partenza in un testo potrebbe costituire un punto di
contatto tra i due. In realtà, però, questo riceve un trattamento molto diverso, sia in termini di
presupposti concettuali che di svolgimento compositivo vero e proprio. Un primo elemento
discordante non da trascurare è l’epoca storica da cui questo viene tratto: se Liszt, infatti, parte dalla
produzione romantica, e quindi cronologicamente abbastanza vicina alla sua contemporaneità,
francese (Etienne Pivert de Senancour) e inglese (Lord Byron), Brahms, comunque tramite la
mediazione romantica, scava nell’antichissima tradizione scozzese. Una così grande forbice
temporale si spiega con il diverso significato che il testo ha per i due: anche in questo Liszt inserisce
un diretto elemento autobiografico, mentre Brahms distoglie fortemente l’attenzione da una
soggettività autoriferita, per rappresentare invece il mondo sonoro della visione medioevale
romantica. In Brahms è dunque quasi un’operazione di fantasia archeologica e storicistica.

Inoltre, da un punto di vista più generale, sono diverse anche le tematiche proprie del Romanticismo
messe in luce dai due: Liszt, rifacendosi al programma esplicitato dall’autore stesso e alle vicende
autobiografiche dei suoi Anni di pellegrinaggio, si occupa del rapporto tra Uomo e Natura, del

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sentimento di smarrimento che questo prova di fronte ad essa e a un complesso rapporto dell’uomo
con sé stesso; Brahms, invece, riprende il gusto per l’esotico, in cui rientra il già citato Ossianismo,
la visione del medioevo fantastico e idealizzato romantico e, in qualche modo similmente alle
raccolte di Schumann, il raggiungimento di un’unità tramite la somma di più parti.

È chiaro, però, che anche solo per ragioni cronologiche debbano esserci delle analogie tra i due: le
principali sono da ritrovarsi nel trattamento dei rapporti tonali e nella considerazione della forma
sonata.

Per quanto riguarda il primo aspetto, l’elemento compositivo più evidente è da ritrovarsi nella
strutturalizzazione dei rapporti di mediante, processo già largamente iniziato da Schubert e
mantenuto nella produzione del primo Romanticismo: in Liszt questi sostituiscono, infatti, a pieno
titolo la contrapposizione funzionale Tonica - Dominante che aveva caratterizzato per la maggior
parte la dialettica compositiva classica. Venendo meno, infatti, l’esigenza di costruire
un’architettura formale basata su una logica di contrapposizione tematica (oppure, in altri termini,
sentendo la necessità di una nuova logica di costruzione strutturale che superasse il precedente
modello classico), una delle soluzioni adottate, in questo caso, da Liszt è l’utilizzo di un’idea
monotematica da cui vengono fatte derivare successive trasfigurazioni, che spesso si susseguono,
come già esemplificato nella corrispondenze sezione dell’elaborato, secondo rapporti di mediante.
In Brahms, invece, questi diventano uno degli elementi utili a garantire organicità strutturale e, allo
stesso tempo, consequenzialità tonale alle 4 Ballate (si vedano, per esempio, i rapporti tra i brani e,
come già detto, l’anticipazione della tonalità del brano successivo nella sezione centrale di quello
precedente).

Per quanto riguarda, invece, la trattazione dell’eredità della tradizione classica, ovvero la forma di
Allegro di Sonata, vengono tradite le nostre aspettative: infatti, al contrario di quanto si potrebbe
ipotizzare pensando a Brahms e Liszt, il primo si disinteressa completamente della forma sonata,
mentre il secondo la utilizza come sostrato formale in una veste non proprio tradizionale. Liszt,
infatti, adotta un principio bitematico e tripartito, con un’idea di esposizione di un materiale che
segue l’alternanza maggiore/minore, una sorta di recitativo/elaborazione e la ricapitolazione del
solo secondo elemento, con una suggestione variata del primo, mentre Brahms si affida a forme
molto più brevi e generalmente tripartite.

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Conclusioni

Per rispondere al quesito posto nel titolo: gli opposti si attraggono? Io credo di sì, ma ciò che più
conta in questo caso è il senso di tale opposizione: la conoscenza dell’uno è determinante per la
comprensione dell’altro e la diversità culturale di cui i due si sono nutriti e hanno trasmesso con la
loro produzione artistica rende assolutamente interessante ed efficace un loro confronto e una loro
esecuzione in un programma di concerto organico e ragionato.

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Bibliografia

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- Shih, Ting-Chu Heather: “Four Ballades, op.10 of Johannes Brahms: a Song Cycle without
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