Sei sulla pagina 1di 184

NEUROLOGIA-PRIMA LEZIONE

Prof. Di Costanzo
Introduzione
Qual è il confine tra la neurologia e la psichiatria? La neurologia studia le patologie del sistema
nervoso che hanno una base organica mentre la psichiatria si occupa di quelle non organiche,
puramente “mentali” (es. ansia, depressione). Un paziente con un problema neurologico
dovrebbe essere controllato prima da un neurologo, che ha una mentalità organicistica, e
qualora il paziente non avesse non avesse alcun problema organico il neurologo lo indirizza
dallo psichiatra (anche se piccoli problemi psichiatrici, come i conflitti di conversione, vengono
gestiti anche dai neurologi).
Talvolta un problema neurologico potrebbe essere la manifestazione di un’altra patologia di
base e può quindi essere necessario l’intervento di altri specialisti (es: patologie tiroidee,
vertigini, patologia ipofisaria, encefalopatia epatica, malattie ematologiche, polmonari).
METODO CLINICO
Si parte dall’anamnesi patologica prossima (inizialmente spontanea e poi mirata): si lascia
parlare il paziente e poi si pongono delle domande mirate circa tipo di dolore, sede, durata,
intensità, familiarità. Sulla base di quello che dice si iniziano a formulare delle ipotesi
diagnostiche. La neurologia è basata sul metodo delle congetture e delle confutazioni: si cerca di
confutare la prima ipotesi, formulata sulla base dell’anamnesi. Si ricorre all’indagine a tappeto
solo quando il paziente è in coma o non collabora.
Esempio:
Anamnesi spontanea: il paziente lamenta forte mal di testa.
Ipotesi diagnostiche: trauma, crisi ipertensiva, emicrania, emicrania rebound, neoplasia,
meningite, emorragia, effetto collaterale di una terapia farmacologica, ecc. (Si mettono in ordine
di frequenza le possibili cause).
Anamnesi mirata.
Diagnosi differenziale:

• Emicrania: dolore pulsante, che si ripete, dura qualche ora e cambia lato; accompagnata
da sintomi e segni prodromici; passa con antinfiammatori.
• Emorragia sub aracnoidea: dolore olocefalico e intenso che può esitare nella perdita
transitoria di coscienza; esordio improvviso.
• Neoplasia: dolore continuo, monolaterale; intensità e frequenza aumentano con il
passare del tempo; non risponde agli antinfiammatori; segni localizzati associati.
Esclusa un’ipotesi plausibile si passa a quella successiva più probabile; esiste una quota di casi
che resta in osservazione poiché non si riesce a formulare una diagnosi.

1
L’esame neurologico deve essere mirato e inizia quando il paziente entra nello studio con
l’osservazione di: disordini di movimenti, livello di coscienza e lucidità, linguaggio,
orientamento nel tempo e nello spazio, discinesie, prontezza della risposta, atteggiamento,
abbigliamento ecc.
Il neurologo deve fare due diagnosi: prima di SEDE e poi di NATURA della lesione.
Si passa dal sintomo (diagnosi sindromica), al segno, al disturbo funzionale, alla lesione
anatomica, alla etiologia (la diagnosi etiologica non è sempre possiblle).
Esempio:
1. Tetraparesi flaccida (diagnosi sindromica)
La paralisi è la perdita completa dell’attività motoria, la paresi è la perdita parziale della stessa.
A seconda del motoneurone colpito dalla lesione si può distinguere tra:

• Paralisi/paresi CENTRALE: è interessato il primo motoneurone (corticale) ed è di tipo


SPASTICO (ipertono).
• Paralisi/paresi PERIFERICA: è interessato il secondo motoneurone (al livello del corpo
o dell’assone o della placca neuromuscolare o il muscolo) ed è di tipo FLACCIDO
(ipotono).

2. Polineuropatia (diagnosi funzionale)


Passando all’esame obiettivo comprendo che è il nervo ad essere compromesso.
3. Poliradicoloneuropatia demielinizzante (diagnosi neuropatologica)
Si fa l’esame elettromiografico con cui misuro la velocità di conduzione del nervo: se si ha
una riduzione della velocità di conduzione significa che c’è un problema a carico della
mielina. Si effettua un esame liquorale con una puntura lombare e si osserva un incremento
delle proteine a discapito delle cellule che sono quasi normali.
4. Poliradicolonevrite di Guillain Barré da Campylobacter jejuni (diagnosi
etiologica).
Si effettuano indagini ematologiche e si osserva che il paziente ha un’infezione da C. jejuni.
Il trattamento consiste nella iniezione di immunoglobuline o ..?
ESEMPI CLINICI
Paziente con perdita di coscienza:
I ipotesi: riduzione della perfusione cerebrale: sincope(perdita transitoria di coscienza per
ridotta perfusione cerebrale) e lipotimia.

2
Segni e sintomi: sensazione di testa vuota, gambe legnose, acufeni (anche all’interno del
labirinto c’è un liquido sotto pressione), vista annebbiata (perché quando si abbassa la
pressione sistemica la prima a risentirne è la pressione endoculare), il paziente cade
verticalmente e ciò può determinare lesioni a livello delle ginocchia e della fronte.
Possibili cause di sincope: aritmie, scompenso cardiaco da insufficienza valvolare,
ipotensione ortostatica, disautonomie, sincope da iperventilazione (es. con attacco di
panico), sincope vasovagale (es. con dolore intenso; associati anche nausea, vomito,
aumento della sudorazione, pallore), sincopi situazionali (dopo la minzione, tosse, pasto
abbondante, sforzi fisici).
II ipotesi: ischemia cerebrale focale (attacco ischemico transitorio (TIA*) a livello vertebro-
basilare, che compromette la funzionalità della sostanza reticolare, e drop attack (caduta al
suolo senza perdita di coscienza)
*in base all’arteria colpita si avrà perdita di tono della parte del corpo corrispondente alla
rappresentazione della stessa sulla corteccia (homunculus di Penfield)
Altre ipotesi: crisi epilettica, trauma cranico, ipovolemia, depressione funzionale della
corteccia cerebrale associata o meno a vasospasmo (emicrania, emorragia subaracnoidea ,
encefalopatia ipertensiva), incremento della pressione endocranica (ipertensione
endocranica), ipoglicemia, assunzione di framaci (oppiacei o psicofarmaci) o droghe,
ipersonnie (narcolessia), ipossiemia e/o ipercapnia, pseudo crisi ed attacchi di panico,
tumori endoventricolari.
Domande da fare al paziente che ha perso coscienza: se ha avuto altri sintomi prima di
perdere coscienza o ha perso coscienza all’improvviso, cosa stava facendo.
Diagnosi differenziale tra sincope e crisi epilettica.
SINCOPE:

• Cute pallida
• Di giorno
• Sudorazione comune
• Fattori precipitanti: emozione, trauma, dolore,luoghi affollati, sforzi fisici, caldo, paura,
disidratazione, tosse, minzione.
• Mioclonie dopo un periodo di latenza di 15 secondi
• Non c’è rilasciamento degli sfinteri
• Il paziente non è confuso al risveglio
• Il paziente non ha cefalea al risveglio
• Il paziente cade in avanti
• Segni premonitori solo nella sincope vasovagale e non in quella cardiaca
• Sintomi cardiovascolari quali bradicardia
• Segni neurologici negativi
3
CRISI EPILETTICA:

• Cute cianotica
• Sia di giorno che di notte
• Sudorazione rara
• Mioclonia immediata
• Irrigidimento, torsione di testa e collo da un lato, movimenti stereotipati
• Rilasciamento sfinteri
• Il paziente è confuso al risveglio
• Il paziente ha cefalea al risveglio
• Il paziente ha dolore al risveglio
• Morsicatura lingua
• Segni neurologici focali positivi
Gli esami strumentali che si effettuano sono: ECG, holter, ecocardiografia, EEG, test di
privazione del sonno.

Meteodo clinico in neurologia : anamnesi spontanea, formulazione ipotesi, sede lesionale,


anamnesi mirata, esame neurologico, indagini strumentali per confutare l’ipotesi che è la più
probabile fra quelle formulate.

Caso clinico

Donna di 65 anni che all’improvviso sente un intorpidimento al volto e all’arto superiore di


destra, ha difficoltà nel formulare delle frasi, difficoltà a trovare la parola giusta e nel camminare
urta degli ostacoli sulla sua destra. Questa è l’anamnesi spontanea,ora partiamo formulando
delle ipotesi: dove sta la lesione?
Sicuramente nel SNC a sx: può essere vicino all’area motoria perché lì vicino c’è area di
broca(piede della terza circonvoluzione frontale subito anteriormente all’area motoria). Poi
dobbiamo spiegarci perché urta gli oggetti sulla destra?
Inoltre la pz ha difficoltà a manipolare gli oggetti con la mano destra (cadono di mano), si tratta
quindi di una parestesia. Il termine parestesia non è altro che delle sensazioni abnormi
spontanee (non vengo provocate) e posso andare da intorpidimento, addormentamento,
puntura di spillo, sensazione di fasciatura e compressione (imp: sono spontanee). Per esempio
se prendo il pennellino del martelletto e lo passo sulla cute del pz io vado a saggiare quella che è
la sensibilità tattile protopatica; oppure se prendo l’ago del martelletto e pungo il pz senza
provocare un danno (non deve uscire sangue) io vado a saggiare la sensazione dolorosa e la
stimolazione nocicettiva.
4
Disestesia= Alla stimolazione sempre con il solito martelletto, il pz anziché provare una
sensazione tattile prova una sensazione spiacevole (imp: sono provocate).
Allodinia = sensazione dolorosa ad uno stimolo che NON è nocicettivo.Es:sempre strisciando
il batuffolo di cotone sul pz questo ha una sensazione di bruciore o di scossa elettrica.
Iperalgesia= Se con l’ago vado anche solo a toccare il paziente e questo sente un dolore enorme
sicuramente spropositato a quella che è la stimolazione.

Tornando alla pz del caso clinico, questi sintomi sono spontanei cioè lei spontaneamente da
alcuni giorni a questa parte sente questa sensazione di addormentamento e di formicolio al
volto e al braccio dx. Se fosse la corteccia motoria come avevamo ipotizzato la donna si
dovrebbe lamentare di un’alterazione della motilità con un deficit di forza che lei non lamenta,
noi possiamo anche chiederlo (anamnesi mirata).
Seconda ipotesi è quella del cervelletto, perché effettivamente una lesione cerebellare può
portare ad un’alterazione della coordinazione del movimento(che noi chiamiamo atassia).In
realtà l’atassia non è solamente causata da alterazioni del cervelletto. Abbiamo vari tipi di
atassia, perché ci sono altre strutture che se lesi possono dare atassia (non le ha più dette).
Terza ipotesi: lesione a livello frontale che include la corteccia motoria, area di broca e anche le
fibre del chiasma ottico/tratto ottico e l’atassia si può spiegare con il coinvolgimento del campo
visivo. Ricordando che lei urta gli oggetti a dx e lo si potrebbe spiegare con un problema visivo.
Possibile origine: può essere una quadrantanopsia. (Il campo visivo di ogni occhio può essere
diviso con una linea mediana in un emicampo nasale e uno temporale che sono in parte
sovrapposti. L’immagine che noi vediamo è capovolta sulla retina quindi quello che io vedo
nell’ emicampo temporale si proietta nell’emiretina nasale e viceversa. Tutte le fibre che
provengono dall’emiretina nasale incrociano a livello del chiasma ottico, per cui a livello del
tratto ottico [posteriormente al chiasma ottico] ci sono le fibre che provengono dall’emerita
temporale dell’occhio omolaterale e le fibre dell’emiretina nasale dell’occhio controlaterale.
Quindi se ho una lesione del tratto ottico dx: io perdo l’emerita temporale dell’occhio dx e
l’emerita nasale dell’occhio sx. Siccome quando parliamo di emacino è tutto invertito io perdo i
due emicampi controlaterali.)
Riportando tutto ciò sulla nostra pz che ha un problema a dx: può essere che sia un problema a
carico del tratto ottico di sinistra, che significa che se guarda di fronte a lei e ha una anopsia
completa, lei non vede gran parte della porzione laterale del campo visivo.
Oppure potrebbe essere una quadrantanopsia quindi vado a dividere il campo visivo in quattro
parti (temporale superiore, temporale inferiore, nasale sup, nasale inf.).Se fosse un quadrante,
immaginiamo il superiore, lei comunque avrebbe quello inferiore; quindi un ostacolo non lo
vedrebbe in toto ma almeno in parte (questo è l’esempio di una colonna però ad esempio una
sedia con una quadrantanopsia inferiore non si vede).

5
Ricordiamo che il tratto ottico arriva al corpo ginicologo laterale, quindi al talamo poi
dopodiché ci sono le radiazioni ottiche che si aprono a ventaglio e in parte passano per il lobo
parietale, in parte per il lobo temporale e arrivano a livello della corteccia. Ora è difficile
immaginare una lesione che prende contemporaneamente corteccia motoria, l’area dibroca e il
tratto ottico che è abbastanza staccato e in basso: ipotesi poco probabile.
Quarta ipotesi: nell’area somatosensitiva (non ha deficit di forza) quindi un po’ più indietro a
quella motoria e potrebbe coinvolgere Wernicke che verosimilmente è più posteriore rispetto a
Broca. (Classicamente l’afasico di Broca sa quello che vorrebbe dire però non riesce a dirlo e si
innervosisce, l’afasico di Wernicke è fluente però la frase è priva di contenuto informativo(per
esempio delle parafrasie fonetiche o semantiche, fino ad arrivare nelle forme più gravi ad una
vera insalata di parole e inoltre nemmeno lui riesce a comprendere quello che sta dicendo e si
innervosisce se non lo capisci). Quindi bisogna andare a vedere di cosa si tratta, potrebbe essere
una lesione lieve di Wernicke, ma questa lesione posteriore potrebbe andare a spiegare anche il
deficit visivo della pz perché andando più indietro si può andare ad interessare le radiazioni
ottiche.

Quindi si tratta di una lesione dell’emisfero di sx, che nel destrimane è la parte implicata nel
linguaggio, che contemporaneamente compromette la corteccia somaro-sensitiva ( che spiega le
parestesie al volto e alla mano), con enopsia laterale e un afasia di Wernicke o broca (difficoltà
nel linguaggio).

Quale può essere la natura della lesione? Diagnosi di natura della lesione.

Bisogna completare l’anamnesi e si può chiedere alla pz se l’esordio è stato acuto oppure
strisciante, progressivo. La pz risponde che si è svegliata così e la sintomatologia persiste per
4/5 giorni. Quindi un esordio acuto.
Potrebbe essere un problema vascolare che è insorto durante la notte, quindi non abbiamo
molte altre informazioni. Sicuramente non è un tumore che avrebbe un esordio progressivo nel
tempo. Potrebbe essere un’encefalite? Di solito le encefaliti sono subacute, sono rare ma ci
sono anche encefaliti acute.
Quindi ci orientiamo su un problema vascolare.
Embolia=Un qualcosa che è libero all’interno dell’albero circolatorio e si va ad incuneare nel
vaso, può essere di varia natura (grassoso, gassoso …).
Nel nostro caso verosimilmente è un embolo ematico quindi un trombo che si è formato in un
punto qualsiasi ed è arrivato al cervello.

6
Differenza fra embolia e trombosi? Nella trombosi vedo il vaso e c’è una placca (es placca
ateromasica) dove si rompe il cappuccio e questo è lo stimolo alla cascata coagulativa ed in quel
punto si forma il trombo. Invece nell’embolia il vaso è sano, perché il trombo si è formato da
un’altra parte per esempio a livello cardiaco,ci sono una serie di patologie
cosidettecardioemboliche.
Qual è l’area interessata? La cerebrale media perché è l’arteria che va ad irrorare la parte del
homunculus formato dalla faccia e dall’arto superiore, le stessel’aree di Wernicke e di broca
sono irrorate dalla cerebrale media e anche le fibre che dal corpo ginecolato laterale si aprono a
ventaglio e vanno posteriormente: sono irrorate dalla cerebrale media.

Rivediamo l’anatomia della circolazione cerebrale: Abbiamo un sistema anteriore che è quello
carotideo, quello posteriore è il sistema vertebrobasilare.
Il sistema anteriore origina dalla carotide comune che si biforca nella carotide interna ed
esterna, quella interna entra nel seno cavernoso e infondo si continua con la cerebrale media
che decorre nella scissura di Silvio, poi la cerebrale anteriore con la comunicante anteriore e poi
la cerebrale posteriore che però è un ramo del sistema vertebro-basilare di cui le due vertebrali
si uniscono a formare l’arteria basilare che termina con le due cerebrali posteriori che irrorano il
polo occipitale e la porzione interna del lobo occipitale.
Poligono di Willis con le due comunicanti posteriori, la comunicante anteriore, …
Se vediamo i due Homunculus di Panfield sia sensitivo che motorio, sono irrorati dalla
cerebrale media le parti che includono: gli arti inferiori, il tronco, l’arto superiore e la faccia. La
cerebrale anteriore irrora la parte dell’arto inferiore.
L’ homunculus motorio è la rappresentazione delle aree innervate e più è FINE il movimento
maggiore è il numero di neuroni usati per quell’area. Lo stesso dicasi per quello sensitivo.

Tornando alla paziente.


Ora dobbiamo passare all’esame neurologico e l’idea è quella di cercare di demolire questa
ipotesi (evento ischemico nel territorio della cerebrale media sx).
Partiamo dall’ enopsia dx, come verifico un enopsia dx? Faccio un esame del campo visivo,
eseguibile manualmente, è chiaro che se ci sono dei dubbi passo ad un esame strumentale
(come una campimetria o una perimetria a seconda se voglio valutare tutto il campo visivo o
solo una parte). Manualmente si può fare per confronto, bendando il paziente e chiedere se
vede il martelletto entrare nel suo campo visivo. Oppure in una maniera più semplice e pratica
posso farlo guardare la punta del naso del medico e poi valutare tutti i quadranti possibilmente
nell’estrema periferia chiedendo i numeri che gli mostro con la mano.

7
Come verifico un’alterazione della sensibilità? Per quella tattile posso usare un batuffolo di
cotone o l’ago, in particolare in questo modo vado a saggiare la sensibilità esterocettiva, quindi
quella termica (usando acqua calda o fredda), dolorifica e tattile protopatica. Le due vie
principali che trasmettono la sensibilità al encefalo sono la via spinotalamica (divisa in neo e
paleo, la neo è quella che ci interessa di più) e la via del lemniscale. Quindi la sensibilità tattile
protopatica, termico e dolorifica usano i fasci spinotalamici mentre la sensibilità profonda è
trasportata dal sistema lemniscale. La sensibilità profonda propriocettiva consiste nella
percezione del corpo nello spazio e per la coordinazione, infatti una compromissione della via
propriocettiva può portare ad atassia.Per eseguire correttamente un movimento non devo avere
solo l’integrità del sistema motorio (cervelletto e vie afferenti e efferenti) ma anche del sistema
di controllo retroattivo o feedback che è appunto il sistema propriocettivo.
Come posso valutare la propriocezione e le forme più complesse di sensibilità che sono
controllate dalla corteccia parietale? cosa posso usare? Ad occhi chiusi spostiamo nello spazio il
dito del pz e il paziente dovrà dire se viene spostato verso l’alto o verso il basso.
Il sistema del lemniscale trasporta diverse tipologie di sensibilità come la batiestesia(senso di
posizione), barestesia, chinestesia, pallestesia o sensibilità vibratoria che può essere saggiata
andando a posizionare il diapason su alcune sporgenze ossee del paziente.
Poi abbiamo le forme più discriminative della sensibilità che sono quelle controllate dalla
corteccia parietale, è chiaro che anche alterazione delle vie di conduzione possono dare
alterazioni della sensibilità e quindi prima di andare ad identificare un possibile problema
centrale devo accertarmi dell’integrità delle vie di conduzione. Per controllare la sensibilità
parietale posso andare a disegnare sulla mano del paziente dei numeri o lettere che ad occhi
chiusi dovrà dire di che numero o lettera si tratta (grafoestesia).
Un’altra sensibilità controllata dalla corteccia parietale è la stereoestesia che su qualche testo è
usato come sinonimo di stereognosia (per il prof non sono la stessa cosa), che si può valutare
chiedendo al paziente di andare ad identificare un oggetto con il solo utilizzo delle mani che
manipolando l’oggetto deve essere in grado di riconoscere caratteristiche come il materiale
esempio una moneta.
Altra forma di sensibilità è quella di discriminazione tattile che si può saggiare usando il
compasso diReter che ha due punte che possono essere allontanate tra di loro: a livello dei
polpastrelli delle dita, io posso riconoscere le due punte anche se sono a distanza di pochi
millimetri tra di loro. La discriminazione tattile è sicuramente inferiore a livello dorsale, dove
bisogna mettere le due punte a distanza di alcuni cm fino a 7-8 cm, sotto i 4cm sente un'unica
stimolazione. Quindi che cosa ci immaginiamo nella nostra paziente mettendo a confronto i
due arti? Ci potrebbe essere una disestesia ma in questo caso non c’è. Ho una ipoanestesia
facendo il confronto con l’altro arto, ho una perdita della grafoestesia, stereoestesia e
discriminazione tattile. Cos’altro? Sul linguaggio tutto sommato era una compromissione lieve
con delle parafrasie semantiche e fonetiche ogni tanto.
L’esame neurologico non demolisce l’ipotesi che avevamo formulato!
8
Arriva il momento di fare un esame strumentale. Facciamo una risonanza e vediamo che
posteriormente a livello del solco centrale abbiamo una lesione che risparmia l’arto inferiore e
va a colpire tutta quella parte che va a colpire l’arto superiore e tutta la faccia, si approfondisce
per andare a interessare l’area di Wernicke e le proiezioni ottiche.
A che cosa è dovuta questa occlusione vasale?
Modalità di occlusione di un’arteria: oltre all’embolia e trombosi ci può essere il vasospasmo,
un’occlusione esterna e una ipoperfusione per arresto cardiaco per esempio. Se ho una ridotta
perfusione i territori che vanno in contro a ischemia sono i territori di confine (cerebrale
anteriore media e posteriore).
Differenza tra ischemia e infarto= ischemia: ipoperfusione reversibile che se perdura ci porterà
alla necrosi del tessuto.

NEUROLOGIA: Casi clinici


Qual è la differenza tra ischemia e infarto? Quando c’è l’occlusione di un vaso, inizialmente il
territorio irrorato dal vaso va incontro ad ischemia, che può essere anche reversibile; se perdura
per un certo tempo si innescano una serie di eventi che portano irrimediabilmente alla necrosi
del tessuto. Oggi si parla di Stroke Unit, di unità coronarica, di trombolisi. In che consiste la
trombolisi? Si può fare in parte iniettando il trombolitico per via sistemica o per via
endovenosa, oppure andando ad iniettarlo attraverso il catetere direttamente nel vaso occluso.
Esistono dei tempi ben precisi entro i quali si deve fare la trombolisi in caso di ictus ischemico,
per evitare che il tessuto modificato, una volta riperfuso, vada incontro ad emorragia. Se io
faccio la trombolisi dopo un certo tempo, ormai sono già cominciati i fenomeni di necrosi, i
fenomeni di modificazione del tessuto, per cui se quel vaso viene riperfuso c’è rischio di
emorragia. L’ideale sarebbe agire entro le 4 ore e mezza, massimo 6 ore. Questo perché il
tessuto nervoso è estremamente delicato, in quanto manca il tessuto connettivo, è fatto solo da
cellule (neuroni, glia, ependima), non ci sono fibre collagene (diversamente, il tessuto muscolare
è più compatto perché c’è il tessuto connettivo che lo rende relativamente più resistente).
Cos’altro possiamo fare in questa paziente? Possiamo fare un ECG e un EcoCardio, quindi una
valutazione cardiologica, perché potrebbe essere un infarto cardioembolico. Possiamo fare un
EcoDoppler, un’ecografia dei vasi sopraortici per vedere se c’è una placca ateromasica. Una
placca ateromasica può causare un’embolia, perché si forma un’ulcera, si innesca la cascata
coagulativa e si forma un trombo che non è occludente (non c’è trombosi), ma si può
frammentare in tanti piccoli emboli ematici che vanno a valle e si vanno ad incuneare in uno dei
rami dell’arteria cerebrale media.
È questo il caso della paziente, la quale aveva una placca ulcerata a livello dell’arteria carotide
interna, quindi è verosimile che sia stata un’embolia artero-arteriosa, in cui si è formato il

9
trombo in quel punto della placca, si è frammentato, è partito un embolo che è andato a valle in
uno dei rami dell’arteria cerebrale media (non è un’occlusione all’origine dell’arteria, altrimenti
avrebbe avuto un infarto massivo di tutto il territorio, superficiale e profondo).
2° CASO. Uomo di 62 anni, che all’improvviso si sveglia al mattino con una sensazione di
addormentamento di tutto l’emi lato di destra, compreso volto, arto superiore e inferiore.
Innanzitutto, diagnosi della natura della lesione. Verosimilmente, anche in questo caso si tratta di un
accidente vascolare, che può essere ischemico o emorragico.
Diagnosi della sede della lesione. Questa volta non c’è afasia o un disturbo della visione. Sembra un
disturbo isolato della sensibilità, però di tutto l’emi lato, in assenza di altri disturbi.
Potrebbe essere una lesione che va a compromettere tutta la corteccia sensitiva, senza intaccare
la corteccia motoria in avanti, l’area di Wernicke e l’area di Broca vicine. Per prendere tutta
l’area sensitiva dovrebbe essere una lesione massiva, ma in questo caso andrebbe a prendere
anche le fibre della radiazione ottica. Una lesione di questo tipo è possibile, ma sicuramente
poco probabile.
Il paziente andrebbe in coma, perché in caso di un infarto massivo di tutto il territorio della
cerebrale media c’è un edema citotossico: i neuroni e la glia non riescono più a scambiare Na+
e K+ perché la pompa non funziona più e quindi le cellule richiamano liquidi al loro interno e il
tessuto cerebrale si gonfia. Si evidenzia con una tecnica di risonanza magnetica che si chiama
diffusione, che permette di sapere se il paziente ha avuto o meno l’ischemia, soprattutto una
StrokeUnit. Già nei primissimi minuti dell’ischemia, le sequenze di diffusione fanno vedere
questa restrizione della diffusione, sotto forma di area iperintensa, che è legata
all’intrappolamento dell’acqua all’interno delle cellule. Il tessuto che sta andando incontro a
necrosi si rigonfia e comprime: siamo all’interno di una scatola cranica inestensibile, quindi se
quella parte del tessuto fa l’edema, finisce per schiacciare tutte le strutture circostanti e ci
possono essere delle ernie endocraniche.
L’edema impiega più o meno 72 ore per arrivare alla massima espressione. L’edema citotossico
evolve in edema vasogenico, dopodiché c’è addirittura un aumento della diffusione.
(Nell’evoluzione di un’area infartuale, c’è prima l’ischemia, poi l’infarto, poi l’edema citotossico
quando le cellule richiamano al loro interno liquido, si gonfiano e vanno incontro a necrosi per
cui si ha l’edema vasogenico in cui non c’è più la restrizione della diffusione).
Potrebbe essere una lesione a carico della viaspinotalamica, del talamo o della via talamocorticale.
Nella viaspinotalamica, si parte dai recettori a livello della cute (Merkel e Maissner come
meccanocettori per il tatto, terminazioni libere nocicettive, corpuscoli di Krause per la
sensibilità tattile). Ad esempio stimolando le terminazioni libere a livello del polpastrello, se la
stimolazione dei recettori periferici supera una certa soglia, parte il potenziale d’azione (che
segue la legge del tutto o nulla) e percorre tutta la fibra (nervo mediano) fino ad arrivare a
livello della radice sensitiva del mielomero di C6 (qualcuno dice C7, ma sulla distribuzione
dermatomerica non troverete due libri che dicono la stessa cosa). Il corpo cellulare del primo
neurone sensitivo si trova nei gangli delle radici posteriori; è una cellula a T, il cui ramo

10
periferico funzionalmente è un dendrite, strutturalmente è un assone, mentre il ramo
centripeto, attraverso la radice posteriore, entra nel midollo e viene messo in connessione
diretta con il secondo neurone (neurone sensitivo di II ordine) che si trova nelle corna
posteriori del midollo spinale, il cui assone attraversa la linea mediana e forma il
fasciospinotalamico nel midollo emilaterale. Il fascio spinotalamico va verso l’alto, attraversa bulbo,
ponte e mesencefalo, giunge al talamo e dal talamo va alla corteccia motoria.
Per quanto riguarda la sensibilità profonda, muovendo l’articolazione iterfalangea distale del
dito del paziente (che ha gli occhi chiusi!) vado ad eccitare i meccanocettori articolari. Parte lo
stimolo che viaggia attraverso il nervo mediano ed entra attraverso la radice posteriore di C6. Il
corpo cellulare del primo neurone sensitivo si trova sempre a livello del ganglio ma questa volta
il suo assone, che entra nel midollo, non si mette in connessione diretta con il secondo neurone
sensitivo, ma viaggia nei cordoni posteriori e incontra il secondo neurone a livello dei nuclei
bulbari gracile e cuneato; da qui, attraverso il lemniscomediale, vanno al talamo e dal talamo alla
corteccia. Quindi, mentre nel sistema spinotalamico la decussazione avviene man mano che
entra nel midollo, per il sistema lemniscale tutti i fasci si raccolgono nell’emimidollo dello stesso
lato, vanno a livello del bulbo, incontrano il secondo neurone, si incrociano e vanno al talamo e
alla corteccia.
Allora dove potrebbe essere la lesione in questo paziente con ipoestesia facio-brachio-crurale di
destra? Potrebbe essere in un punto qualsiasi di questo percorso che inizia dal recettore
periferico, percorre tutto il nervo, entra nel midollocon le radici, sale fino al talamo e da qui alla
corteccia.
Se la lesione fosse a livello cervicale al di sopra di C5, avrei perdita della sensibilità all’arto
superiore ed inferiore. Se metà midollo a livello di C4 fosse tagliato (Sindrome di BrownSequard: ad
esempio, può avvenire negli incedenti stradali, in cui si può avere una frattura cervicale che può
comprimere e schiacciare mezzo midollo), ci sarebbe una perdita della sensibilità
termodolorifica controlaterale, perché ifasci spinotalamici si metto in contatto subito con i
neuroni e si incrociano (al massimo 3-4 mielomeri più in alto), mentre la sensibilità profonda è
persa omolateralmente; quindi il taglio di metà midollo va a ledere sia il fascio spinotalamico
(che trasporta la sensibilità dall’altro lato perché si incrocia subito) sia il fascio lemniscale (che
non incrocia subito ma resta nell’emimidollo omolaterale e incrocia nel bulbo) e il
pazienteavrebbeun’emianestesia termodolorifica controlaterale e un’anestesia tattile epicritica
profonda(mentre la sensibilità tattile protopatica viaggia con i fasci spinotalamici) omolaterale.
Quindi nel nostro paziente la lesione non può essere a livello cervicale, altrimenti avrebbe
dovuto avere una dissociazione della perdita della sensibilità. Oltretutto il paziente riferisce che
è coinvolta anche la faccia, per cui dobbiamo immaginare una lesione perlomeno al di sopra del
nucleo del trigemino, al di sopra del ponte. In realtà il nucleo trigeminale è un nucleo
estremamente lungo diviso in 3 parti, una mesencefalica alla quale arrivano le informazioni
propriocettive, una porzione pontina principale cui arrivano le informazioni tattili e una lunga
porzione spinale che arriva anche a livello dei primi mielomeri cervicali dove vanno tutte le
informazioni termodolorifiche.
11
La lesione potrebbe essere a livello della capsula interna? In un taglio a livello dei nuclei della
base, nella casula internasi riconosce un braccio anteriore, un ginocchio (all’interno del quale
decorrono le fibre corticonucleari che controllano la motilità dei nervi cranici) e un braccio
posteriore (in cui decorro, in ordine, le fibre corticospinali per arto superiore, tronco, arto
inferiore).
Le parti del talamo dove arrivano le afferenze somatiche sono i nuclei ventroposterolaterale e
ventroposteromediale; in questi punti dovrebbero partire le fibre che vanno a livello della
corteccia. In alcune testi si può trovare che le fibre talamocorticali viaggiano nella parte più
posteriore della capsula interna, secondo altri invece viaggiano sovrapposte alle fibre
corticospinali; quindi è difficile che una lesione della capsula interna (un infarto lacunare, meno
di 1 cc, per occlusione delle arterie perforanti) dia un problema sensitivo senza dare
contemporaneamente anche un problema motorio (ma è possibile perché secondo alcuni autori
i due tipi di fibre viaggiano separati).
Molto probabilmente la lesione è a livello del talamo.
Dall’esame neurologico, ci aspettiamo una ipoestesia, ma non ci aspettiamo una grafestesia, una
astereognosia, una astereoestesia o stereoanestesia, perché sono tutte funzioni controllate dalla
corteccia parietale (un’altra cosa che ci può essere nelle lesioni parietali è l’estinzione tattile, per
cui se faccio chiudere gli occhi al paziente e contemporaneamente tocco tutte e due le mani, lui
estingue una delle due stimolazioni, ovviamente dal lato opposto a quello della lesione). Nel
paziente, la sensibilità tattile discriminativa non è compromessa, ma la sensibilità superficiale
termodolorifica e la sensibilità propriocettiva profonda sono compromesse (perché giungono
entrambe al talamo), nell’emilato controlaterale al talamo.
Quali sono le indagini che facciamo? Risonanza, per evidenziare la lesione al talamo.
Gli infarti lacunari si verificano soprattutto nei pazienti ipertesi (il paziente in questione non ha
placche significative a carico della carotide e lo studio cardiologico è negativo, ma è iperteso e
diabetico, due importanti fattori di rischio per le malattie cardiovascolari).
3° CASO. Donna di 31 anni che comincia ad accusare un deficit di forza al volto, all’arto
superiore e all’arto inferiore di sinistra.
Come il caso precedente, una lesione di tutta la corteccia motoria è difficile, infatti anche in
caso di infarto massivo con occlusione completa di una delle due carotidi, soprattutto se
l’occlusione è stata graduale nel tempo, grazie al poligono di Willis è comunque possibile
irrorare il territorio di un’arteria principale occlusa. È chiaro che un’occlusione improvvisa di
una vaso come la carotide interna (che irrora i ¾ di un emisfero), in assenza di un circolo
collaterale di compenso, porta il paziente in coma.
Le fibre corticospinali che originano dalla corteccia motoria e che formano la corona radiata si
compattano ne centro semiovale e convergono a livello del braccio posteriore della capsula
interna. In questo punto, anche una lesione molto piccola compromette tutto il fascio
piramidale.
12
Se la lesione fosse in un altro punto, dovrebbero esserci anche altri segni di accompagnamento.
Ad esempio, una lesione a livello pontino che prenda i fasci corticopontini che transitano nel
ponte può compromette il nucleo del nervo faciale o del trigemino.
Una lesione a livello del mesencefalo che vada a compromettere uno solo dei due peduncoli
cerebrali, nella cui porzione mediana transitano le fibre piramidali, è molto rara; inoltre i vasi
penetranti vanno in profondità, dove ci sono i nuclei di alcuni nervi cranici (oculomotore
comune, trocleare) quindi avrei un’emiparesi da un lato e la compromissione del III o IV nervo
cranico dall’altro: sono le cosiddette Sindromi Alterne, che si possono avere per lesione a livello
del tronco encefalico.
Anche una lesione a livello del midollo è improbabile, perché sarebbero coinvolte anche le vie
sensitive.
Qual è la natura della lesione? È una donna di 31 anni, un accidente cardiovascolare è possibile
ma poco probabile. Non è stato un evento acuto, la sintomatologia si è instaurata nell’arco di
qualche giorno quindi è subacuto.
Un’ipotesi potrebbe essere un tumore cerebrale, che di solito hanno un’evoluzione progressiva,
ma è difficile che un tumore evolva così rapidamente.
Non ha avuto traumi.
Per quanto riguarda le malformazioni vascolari, queste possono manifestarsi in diversa maniera,
sia in acuto, perché a livello della malformazione di possono avere degli eventi trombotici ma
anche fenomeni emorragici, però è altresì vero che a livello della malformazione c’è una sorta di
“furto” di sangue, per cui tutte le aree che stanno intorno o all’internodella malformazione
vanno incontro ad una ischemia cronica e quindi posso anche avere un’evoluzione cronico-
progressiva, quindi la sintomatologia può instaurarsi gradualmente nel tempo. Ma 3/4 giorni
sono comunque pochi affinché questo avvenga.
Potrebbe essere una manifestazione infiammatoria, che dal punto di vista temporale è una via di
mezzo tra l’esordio acutissimo dell’evento vascolare, caratteristico dell’evento ischemico ma
soprattutto emorragico, e l’andamento cronico-progressivo della neoplasia. Ma non può essere,
ad esempio, un’encefalite, che ha una sintomatologia plurifocale diffusa, con interessamento di
quasi tutto l’encefalo, per cui è difficile che dia segni così precisi e isolati e di solito inizia con
una cefalea o con uno stato confusionale.
L’altra ipotesi è la presenza di un ascesso, che in sostanza si comporta come se fosse un
processo espansivo e può avere un decorso un po’ più rapido dei un glioma. Ma sono
comunque rari.
In questo caso, è la sclerosi multipla. E in effetti, interrogando meglio la paziente, riferisce che
in passato aveva avuto altri segni e sintomi.
L’esame neurologico ci dice che c’è una emiparesi sinistra. Che differenza c’è tra paralisi
centrale e paralisi periferica? La paralisi centrale è spastica, viene compromesso il primo neurone

13
o le vie piramidali (corteccia motoria, Homuculus di Penfield, fibre corticospinali che si
concentrano nella capsula interna, peduncolo cerebrale, ponte, decussazione dell’85% delle
fibre che vanno nell’emimidollo controlaterale mentre la restante parte è diretta e infine si
metto in connessione con i secondi neuroni che si trovano o a livello dei nuclei dei nervi cranici
o a livello delle corna anteriori del midollo spinale), per cui si ha un deficit di forza. Nella
paralisiperiferica si ha la compromissione del secondo motoneurone o dell’assone, quindi paralisi
flaccida.
La spasticità si individua valutando il tono muscolare, ovvero imprimendo dei movimenti
passivi al paziente apprezzo una certa resistenza, ma bisogna fare attenzione perché, ad
esempio, in un paziente con il Parkinson si osserva comunque ipertono. Nell’ipertono spastico
dovuto ad una lesione piramidale il paziente ha una atteggiamento caratteristico in flessione
dell’arto superiore (anche la mano è in flessione) e iperestensione dell’arto inferiore con
flessione plantare del piede, ha la cosiddetta andatura falciante, in cui non piega il ginocchio e
deve circondurre l’arto inferiore che di solito non riesce a portare più avanti dell’altro piede.
Provando ad estendere l’arto superiore del paziente, si osserva una resistenza che poi cede di
scatto. Facendo la stessa cosa in paziente parkinsoniano (atteggiamento caratteristico in
flessione del tronco e degli arti, con la mano in flessione metacarpofalangea e iperestensione
interfalangea), non c’è il “segno del coltello a serramanico”, la resistenza perdura per tutto l’arco del
movimento.
Inoltre nel paziente con paralisi spastica, i riflessi sono vivacissimi, infatti nel momento in cui si
vanno a saggiare i riflessi, a livello muscolare si ha lo stiramento del fusi neuromuscolari.
Il fuso neuromuscolare presenta una capsula in cui sono contenute le fibre intrafusali; queste
hanno una porzione centrale che non contiene sarcomeri, che sono invece presenti alle due
estremità, ma contiene i nuclei (a sacco nucleare o a catena nucleare); poi ci sono le
terminazioni anulospirali e le terminazioni a fiorami, per gli stimoli statici e dinamici.
Nel riflesso rotuleo, quando si dà il colpo con il martelletto sul tendine si va a stirare il fuso
allontanando tra di loro le fibre anulospirali e questo è lo stimolo per far partire il potenziale
d’azione che arriva al midollo spinale, si mette in connessione diretta con l’α-motoneurone nelle
corna anteriori del midollo spinale (riflesso monosinaptico diretto) e l’assone del motoneurone
raggiunge, attraverso lo stesso nervo, la muscolatura extrafusalein periferia, che serve al
movimento, e si ha la contrazione.
La stessa cosa succede quando si prova ad estendere il braccio del paziente in flessione,cioè
stiro il muscolo e si attiva la via riflessa che contrae il muscolo e quindi ho la resistenza. Nel
paziente con lesione piramidale si ha ipertono e riflessi accentati perché normalmente le vie
piramidali hanno un effetto inibitorio sui γ-motoneuroni che vanno ad innervare la parte polare
delle fibrocellule intrafusali, in questo caso c’è invece un aumento del tono GAMMA, per cui la
porzione dove si trovano i sarcomeri si accorcia, la porzione centrale si allunga e le fibre
anulospirali si allontanano tra loro già in condizioni basali, quindi il fuso neuromuscolare
diventa molto più sensibile. L’iperriflessia sarà dovuta al fatto che viene meno il controllo
inibitorio delle vie piramidali, per cui aumenta la scarica deiγ-motoneuroni, le fibre anulospirali
si allontanano e basta un minimo stimolo per far partire il potenziale d’azione che in via riflessa
dà la contrazione. Ad un certo punto il muscolo cede di scatto perché, quando la tensione a
14
carico del muscolo supera una certa soglia, si attivano gli organi miotendinei del Golgi che,
sempre in via riflessa ma questa volta attraverso un interneurone inibitore, vanno ad inibire
l’attività degli α-motoneuroni e c’è l’immediato rilassamento delle fibre muscolari.

Caso clinico

Ritorniamo un attimo al caso clinico precedente. La paziente aveva una lesione intorno a T9-
T10 con impaccio motorio, debolezza e astenia più marcati all’arto inferiore sx con parestesie
all’arto inferiore dx grossomodo dell’ombelico in giù. Essendo che il tutto si è instaurato
gradualmente nel tempo, abbiamo sospettato che la paziente potesse avere un tumore. Ma,
secondo voi, tale processo espansivo come sarà? Endomidollare o extramidollare?
Di fondo, dalla sintomatologia, possiamo affermare di trovarci di fronte a una sindrome di
Brown-Sequard. È ovviamente una forma incompleta, anche perché nella pratica clinica è
molto difficile incontrare una emisezione “perfetta” a livello midollare. Se è un quadro
sindromico come quello che abbiamo delineato, è ovvio che il processo espansivo sarà esterno
al midollo.
Cosa ci si aspetta da questa paziente all’esame neurologico? Ci si aspetta un deficit di forza
prevalente a sx, ma non un deficit evidente della motilità, essendo i neuromeri T9 e T10
deputati prevalentemente al controllo dei muscoli addominali. Però, poiché sono state lesionate
anche le fibre ascendenti, a livello dell’arto inferiore sx (omolaterale rispetto alla lesione) mi
aspetto dei segni riconducibili al lesionamento delle vie corticospinali. Sostanzialmente si avrà
un ipertono spastico, iperreflessia e segno di Babinski positivo a livello dell’arto inferiore
sinistro proprio per il danneggiamento delle vie piramidali.

[Inciso. Per valutare il segno di Babinski si va a strusciare un oggetto a punta smussa lungo il
margine esterno della pianta del piede, procedendo dal calcagno fino all’alluce passando sotto la
base delle dita. Se il segno è positivo c’è una lenta dorsiflessione dell’alluce. Altro segno
piramidale che è possibile reperire insieme a quello di Babinski è il segno di Dupré, cioè
l’apertura a ventaglio delle altre dita del piede nel passare la punta smussa. Tali due segni,
entrambi piramidali, non vanno confusi fra di loro.]

Valutare i riflessi osteotendinei ci serve per sapere se l’arco riflesso monosinaptico, costituito da
neurone sensitivo e motoneurone, è integro e funzionante. Questo è possibile farlo conoscendo
i centri reflessogeni responsabili di ciascun riflesso. Nel caso dell’arto superiore si vanno a
valutare i riflessi radioflessore (C5-C6), tricipitale (C6-C7), radiopronatore (C7-C8) e
cubitopronatore (C8-T1). Invece, per quanto riguarda l’arto inferiore, i riflessi osteotendinei che
si vanno a valutare nella pratica clinica sono sostanzialmente due, cioè il riflesso rotuleo e il
riflesso achilleo. Nella fattispecie andare a valutare il riflesso rotuleo ci serve per esaminare

15
l’integrità dei mielomeri L2-L3-L4, mentre con il riflesso achilleo valutiamo l’integrità di L5-S1
(secondo alcuni testi, anche S2).
È importante tenere a mente che non bisogna percuotere il muscolo con il martelletto, poiché
si andrebbe ad evocare il cosiddetto riflesso endomuscolare, che, non essendo un vero e
proprio riflesso, potrebbe dare un risultato falsamente negativo.
In questa paziente i riflessi osteotendinei dell’arto superiore, come anche quelli addominali (fino
a T9-T10), sono normali. Invece, agli arti inferiori avremo una iperreflessiaomolateralmente alla
lesione midollare mentre all’arto inferiore controlaterale -questo vale specialmente in una
sindrome di Brown-Sequard pura- non dovrebbe evidenziarsi alcuna variazione della reflessia.
Il problema è più complesso in sede lesionale, dove i riflessi sono aboliti. Questo fenomeno è
dovuto al fatto che a livello della lesione è avvenuta la compromissione dei circuiti
monosinaptici responsabili dei riflessi osteotendinei. Quindi, ad esempio, in caso di una
emisezione midollare in C6-C7, avremo una abolizione del riflesso tricipitale per
compromissione diretta dell’arco riflesso. Tutto questo, però, è valido solo e soltanto
omolaterlamente alla lesione, poiché in sede controlaterale i riflessi saranno assolutamente
normali.
Per sintetizzare: 1) a livello sopralesionale i riflessi saranno normali, sia omo- che
controlateralmente; 2) a livello lesionale, i riflessi dell’arto omolaterale saranno assenti per
distruzione o compromissione diretta del centro reflessogeno, mentre quelli controlaterali
saranno normali e conservati; 3) a livello sottolesionale si denoteranno, invece, una iperreflessia
e un ipertono spastico omolateralmente alla lesione, mentre controlateralmente i riflessi sono
conservati.
A livello sottolesionale, per quanto riguarda, invece, la sensibilità termodolorifica bisogna
ricordare che i fasci ascendenti spinotalamici incrociano all’ingresso nel midollo. Di
conseguenza si avrà la perdita di tale sensibilità controlateralmente al sito di emisezione
midollare. Invece, in merito alla sensibilità profonda propiocettiva si avrà una perdita
omolateralmente alla lesione, dal momento che le fibre veicolanti tale sensibilità non incrociano
a livello midollare ma a livello bulbare. A livello lesionale, invece, si ha una perdita tanto della
sensibilità superficiale quanto di quella profonda.
Quindi, tornando al caso clinico di prima, andando a saggiare i riflessi rotuleo e achilleo dal lato
della lesione li ritroveremo ipereccitabili mentre saggiando il tono muscolare si troverà un
ipertono spastico. La sensibilità profonda, valutata come pallestesia con il diapason, sarà ridotta
con ipopallestesiaomolateralmente alla lesione (cioè a sx) mentre la sensibilità superficiale e
termodolorifica sarà ridotta controlateralmente (a dx). Ovviamente, come abbiamo detto prima,
è improbabile andare a vedere un quadro sintomatologico così preciso nella pratica clinica, dal
momento che la sindrome di Brown-Sequard raramente si ritrova in forma “pura”. Difatti nella
paziente era stata ritrovata una ipopallestesia prevalentemente ma non esclusivamente a sx e
una ridotta sensibilità termodolorifica a dx ma anche all’arto controlaterale.
Cosa fare di fronte a una paziente come questa? Per prima cosa si fa una risonanza midollare.
In questo modo visualizziamo il processo espansivo in sede midollare e come questo comprime
il midollo spinale da un solo lato (questo spiega la sintomatologia da sindrome di Brown-
Sequard).
16
Questo tumore era un meningioma e la paziente, dopo la rimozione chirurgica, ha riacquisito
lentamente ma non completamente la sensibilità. Tale recupero non completo è da ascrivere alla
presenza di aree iperintense nel midollo spinale, indici di una sofferenza midollare irreversibile
dovuta ad ischemia da schiacciamento.

Caso clinico 2

Giovane soggetto di 30 anni che lavora come cuoco. Si accorge solo a sera di essersi ustionato
le ultime tre dita della mano destra quel giorno. Inoltre riferisce di ustionarsi con estrema
facilità e senza sentire dolore le ultime tre dita della mano destra e le ultime due dita della mano
sinistra, mentre alle altre dita lui sostiene di sentire normalmente il calore e quindi anche il
bruciore. Lui si accorge di essersi ustionato solo vedendo i segni dell’ustione dopo aver toccato
un oggetto molto caldo, ma non sente dolore. Le lesioni sono indolenti.
Tenete presente una cosa. Molto spesso nelle malattie neurologiche, specialmente quelle che
insorgono con estrema lentezza, il paziente si abitua a determinati disturbi e può non riferirli
all’atto dell’anamnesi, essendo diventati per lui “la normalità”. Questo fatto deve essere tenuto
in considerazione poiché il paziente riferirà i sintomi solo quando questi avranno raggiunto un
certo grado di gravità, lasciando supporre erroneamente che si tratti di un fatto acuto. In questo
paziente è una cosa da considerare.
In sintesi, l’anamnesi spontanea riferita da questo paziente è la perdita della sensibilità
termodolorifica alle ultime tre dita della mano destra e alle ultime due dita della mano sinistra.
Quali altre domande possono essere fatte?
Gli si può chiedere se ha notato disturbi della motilità alle mani, cosa che lui nega. Riferisce,
tuttavia, di aver notato negli ultimi tempi un certo grado di impaccio nella deambulazione.
La sensibilità tattile della mano, inoltre, sembra conservata. Difatti riferisce di riuscire a sentire
normalmente gli oggetti e di lavorare normalmente anche eseguendo movimenti fini con le
mani. Quindi si escluderebbe anche un eventuale deficit della propiocezione e della
coordinazione.
Gli è stato anche chiesto se ha notato disturbi della minzione, a cui risponde dicendo che negli
ultimi tempi ha avuto perdite urinarie (poche gocce) solo quando ha resistito a lungo allo
stimolo.
Dai dati riferiti sembrerebbe, dunque, che non vi siano disturbi della sensibilità tattile e
profonda, ma solo di quella termodolorifica.
Qual è il tipo di lesione che potrebbe dare una perdita così selettiva e quasi simmetrica della
sensibilità termodolorifica a entrambi gli arti? E dove si trova?
Giustamente, ce la si immagina a livello midollare e non corticale, essendo inverosimile un
quadro clinico simile per una lesione centrale. È, quindi, una lesione periferica ed è molto
probabilmente una lesione sospesa in sede anteriore e a livello dei mielomeri C7-C8. Si
delineerà la cosiddetta anestesia sospesa, poiché una lesione in sede anteriore a tale livello andrà
a ledere le fibre veicolanti la sensibilità termodolorifica che stanno ivi decussando. L’eventuale
interessamento di altri mielomeri posti inferiormente a C8 deve essere indagato clinicamente,
17
non essendo evidenti eventuali problemi agli arti inferiori. Verosimilmente, si potrebbe
escludere l’interessamento di mielomeri al di sopra di C7 poiché il paziente riferisce di avere una
buona sensibilità alle prime due dita.
Il quadro clinico, comunque, va sotto il nome di anestesia sospesa e, se la lesione c’è, è da C7 in
giù.
Però lui riferisce di aver avuto negli ultimi tempi un certo impaccio nella coordinazione dei
movimenti, specialmente agli arti inferiori durante la deambulazione, e una saltuaria
incontinenza urinaria. Questo ci indirizza verso una lesione che ha interessato anche i cordoni
posteriori del midollo spinale.
Abbiamo quindi una lesione anteriore che distrugge le fibre spinotalamiche nel punto in cui
esse incrociano (questo determina l’anestesia sospesa) e che va a disturbare la conduzione dei
fasci lemniscali posteriori (questo determina il disturbo della sensibilità profonda degli arti
inferiori).
All’esame neurologico si riscontra una anestesia sospesa termodolorifica, che riguarda i
mielomeri da C7 fino a T2-T3 a livello toracico da ambo i lati, e un disturbo della sensibilità
profonda da quel livello lesionale a scendere.
Cosa può essere tale lesione? Dobbiamo innanzitutto pensare che questa sia una lesione insorta
nel giro di lungo tempo, dal momento che il paziente non ha immediatamente riferito i disturbi
nella deambulazione e della minzione, poiché si sono instaurati lentamente e gradualmente e vi
si è “abituato”.

[Inciso. Tale paziente ha sicuramente un certo grado di atassia, che supponiamo essere
sensitiva. Ma come si può distinguere un paziente con atassia cerebellare da uno con atassia
sensitiva? Valutiamo tanto la deambulazione quanto la capacità di mantenere la stazione eretta
con la posizione di Romberg (piedi uniti con braccia lungo i fianchi). Nel primo caso, l’andatura
del paziente così come la sua capacità di rimanere in posizione eretta sono ugualmente instabili
sia ad occhi chiusi sia ad occhi aperti. Nel secondo caso, invece, il paziente può correggere la
propria andatura con la vista guardandosi i piedi e mantenendo un’ andatura definita
“talloneggiante”, elevando maggiormente il piede per farlo ricadere più pesantemente sul
tallone. Il paziente è in grado di colmare il proprio deficit propiocettivo con la vista e, nel
momento in cui gli si fanno chiudere gli occhi, la sua andatura peggiora nettamente al punto
che rischia di cadere. Similmente, non è in grado di mantenere la posizione eretta a occhi chiusi
nella posizione di Romberg, mentre invece non tende a cadere stando ad occhi aperti.]

Nel nostro paziente ci aspettiamo di trovare andatura “talloneggiante” e difficoltà sia


deambulatorie sia nel mantenimento della posizione eretta a occhi chiusi, avendo noi il sospetto
di una lesione midollare che determini atassia sensitiva.
Si effettua una risonanza magnetica in cui si evidenzierà un’area iperintensa al centro del
midollo che ha le stesse caratteristiche di segnale del liquor, si vede, cioè, una cavità estesa fra
C2 e C8 che scende in realtà ancora più in basso (essendo i dermatomeri interessati da C7 a
T4).

18
Questa è una cavità siringomielica, nella quale si raccoglie del liquor. Può essere primitiva o
congenita, cioè una malformazione, oppure può essere secondaria. La forma secondaria è
spesso dovuta a incidenti o traumi che coinvolgono il midollo determinandone la cavitazione
oppure a mielomalacia (cioè un rammollimento midollare, ad esempio da infarto, ove il
materiale necrotico viene riassorbito e si viene a formare la cavità) o, ancora, a ematomielia
(emorragia intramidollare in cui il sangue viene riassorbito e permane la cavità formatasi).
Il nostro paziente ha molto probabilmente una cavità siringomielica congenita su base
malformativa. La patogenesi della siringomielia su base congenita non è stata chiarita ma è stato
proposto come primummovens un aumento della pressione del liquor nel canale ependimale
midollare, dovuto a una non completa pervietà dei forami di Luschka e Magendie. Questo
aumento pressorio determinerebbe la rottura della parete del canale con l’infiltrazione del liquor
nel midollo e la formazione della cavità siringomielica. La diagnosi differenziale deve essere
fatta per distinguere la siringomielia dalla idromielia, condizione di semplice slargamento del
canale ependimale. La differenza fra queste può essere valutata ricercando l’ependima come
rivestimento della cavità, il quale manca classicamente nella siringomielia.
La sintomatologia della siringomielia può variare in base al punto in cui compare la cavità. Di
solito vi è anestesia sospesa, ma non è un dato assoluto, poiché molto spesso la cavità è
rinvenuta a livello della base delle corna posteriori. In questo caso, dipendentemente
dall’estensione della lesione, non avremo anestesia sospesa ma anestesia
termodolorificamonolaterale con o senza coinvolgimento della sensibilità profonda. Inoltre, in
base alla grandezza della cavità e al grado di compressione sulle strutture midollari, si potrà
ritrovare una semplice anestesia sospesa o anche un interessamento più esteso delle varie vie
ascendenti e discendenti con sindrome lesionale e sottolesionale (cioè con compromissione
della motilità e della sensibilità profonda e termodolorifica anche al di sotto della lesione),
tipicamente con disposizione somatotopica. Un interessamento esteso delle corna anteriori può
dare una paralisi flaccida.
Il trattamento della siringomielia è solitamente conservativo con controlli ravvicinati, ma nei
casi in cui la pressione aumenti all’interno della cavità e la sintomatologia divenga severa si può
tentare la cosiddetta siringotomia. In sintesi, ci si approccia alla cavità da dietro, fra i due
cordoni posteriori, e si effettua un’incisione per far defluire il liquor e ridurre la compressione.
In alternativa si può anche apporre un piccolo catetere.

Caso clinico 3

Donna giovane, la quale, mentre sta spostando gli oggetti dal carrello della spesa al nastro della
cassa, si accorge che sta perdendo destrezza nel manipolare gli oggetti. Nelle ore successive ha
sperimentato parestesie alle mani che sono poi progredite al tronco e agli arti inferiori. Questa
stessa sensazione di alterata coordinazione si è estesa successivamente anche agli arti inferiori e
alla deambulazione.
Che tipo di lesione ci aspettiamo e a che livello? Sembrerebbe più un disturbo della
coordinazione, per cui potrebbe essere un problema ai cordoni posteriori o al cervelletto. La
presenza di parestesie, cioè di disturbi soggettivi della sensibilità, indirizza più verso una causa
19
sensitiva e ci permette di escludere una causa cerebellare, nel qual caso ci sarebbe solo un
movimento mal regolato. Tale lesione sembrerebbe essere a livello dei mielomeri che vanno ad
innervare le mani e non sembrerebbe essere né un fatto acuto né un fatto lentamente
ingravescente, essendo la sintomatologia insorta nel giro di ore.
Con questa serie di considerazioni, possiamo supporre che si tratti di un disturbo infiammatorio
come una mielite. Infatti, nelle due settimane precedenti, la paziente aveva avuto una sindrome
influenzale risoltasi spontaneamente. Questo suggerisce come ipotesi una mielite postinfettiva,
la quale ha una base autoimmune.
Si effettua una risonanza magnetica dove si individua un’area iperintensa in mielomeri posti
superiormente a quelli precedentemente ipotizzati. La paziente è stata poi sottoposta a esame
liquorale, il quale ha evidenziato un aumento della cellularità con bande oligoclonali
all’elettroforesi. Questo quadro è molto suggestivo di mielite postinfettiva.
La sintomatologia si è risolta nel giro di un paio di settimane senza reliquati e ricadute.

Caso clinico 4

Paziente di 65 anni, di professione camionista, si accorge negli ultimi tempi di un impaccio


motorio agli arti inferiori. Tale impaccio tende a peggiorare con la deambulazione tanto che
dopo alcuni metri è costretto a fermarsi, poiché l’ipostenia è talmente intensa che rischia di
cadere perché gli vengono meno le gambe. Riferisce, inoltre, che tale sintomatologia si è
instaurata in modo lento e graduale. Questa è la sua anamnesi spontanea.
Questo quadro ricorda la claudicatiointermittens, dovuta a malattia aterosclerotica a livello degli
arti inferiori. Però in questa malattia di solito c’è dolore crampiforme intenso, classicamente al
polpaccio, che tende a regredire con il riposo. Il dolore, però, è assente in questo paziente, cosa
che ci fa escludere la claudicatiointermittens.
È evidente che durante la deambulazione il midollo richiede un maggiore apporto ematico per
soddisfare il fabbisogno energetico delle numerose fibre nervose attivate. Se ciò non avviene ci
troviamo di fronte alla cosiddetta claudicatio midollare, caratteristicamente non dolorosa e
dovuta a una compressione sul midollo spinale. I pazienti lamentano tipicamente una
iposteniaingravescente che peggiora fino al punto in cui sono costretti a fermarsi, per il rischio
di cadere.
A che livello sarà la lesione? Probabilmente o a livello toracico o a livello cervicale, dal
momento che il paziente riferisce tale sintomatologia ad entrambi gli arti inferiori. Per
indirizzare meglio l’indagine, si effettuano altre domande al paziente circa la sensibilità e la
motilità degli arti superiori. Il soggetto riferisce di aver avuto saltuariamente delle
cervicobrachialgie. Infine, riferisce che negli ultimi tempi ha difficoltà nel trattenere l’urina con
episodi di incontinenza.
Questo paziente potrebbe avere una radicolopatia, nelle quali i dolori si diffondono dalla sede
radicolare colpita ai territori di innervazione prossimali ed eventualmente anche distali. Il

20
paziente, infatti, riferisce di soffrire di cervicobrachialgie bilaterali, le quali si estendono fino alla
spalla o anche fino al pollice dell’arto colpito.
La storia clinica suggerisce una patologia a lento e ingravescente sviluppo, cui lui ha dato peso
solo con la comparsa dei disturbi della deambulazione. Nella fattispecie, questo paziente ha una
mielorizopatia da spondilodiscoartrosi cervicale.
Con l’età e con la tipologia di lavoro fatta, si possono avere fenomeni degenerativi a carico del
rachide cervicale con schiacciamento dei dischi, i quali perdono la loro elasticità e protrudono
nello speco vertebrale. Si può anche avere formazione di speroni osteofitosici specialmente a
livello delle articolazioni uncovertebrali, che possono protrudere o nel forame di coniugazione
con la compressione delle radici nervose o nello speco vertebrale comprimendo direttamente il
midollo. Vi può anche essere ipertrofia moderata o severa dei legamenti gialli.
Tutto questo può portare a un restringimento del canale vertebrale con una compressione
progressiva e ingravescente del midollo con eventuale sofferenza midollare, che può portare nel
paziente a una claudicatio midollare, con interessamento tanto radicolare quanto di tutte le fibre
ascendenti e discendenti. La sintomatologia può essere prevalentemente sensitiva o motoria in
base all’interessamento di una o dell’altra radice spinale, ma si può anche avere una
compressione di entrambe. Nella fattispecie, è classico riscontrare una sintomatologia sensitiva
periferica, così che con un interessamento di C7 si avranno disturbi della sensibilità al dito
medio, mentre i sintomi dolorosi si distribuiscono prevalentemente in sede prossimale nel
dermatomero. Coesistono, inoltre, una sindrome lesionale e una sindrome sottolesionale.
All’esame neurologico, infatti, vedremo che i riflessi osteotendinei in corrispondenza delle
radici nervose compresse saranno assenti. Tornando all’esempio della compressione in C7, si
avrà assenza del riflesso tricipitale. A livello sottolesionale si avrà sintomatologia piramidale e
atassico-sensitiva per interessamento dei cordoni anteriori e posteriori. Il paziente avrà
un’andatura denominata atasso-spastica, dovuta a una paraparesi spastica cui si sovrappone
un’atassia sensitiva. L’andatura paraparetico-spastica è determinata dai muscoli estensori
antigravitariipertonici, che spingono il paziente a camminare sulle punte senza flettere il
ginocchio, strisciando di conseguenza la porzione anterolaterale del piede. Questi pazienti
hanno anche una componente atassica dovuta a un problema della sensibilità profonda, tanto
che a occhi chiusi tendono a cadere.
Da un punto di vista epidemiologico, fino al 60% dei pazienti di sessant’anni hanno alterazioni
a livello cervicale che possono determinare una compressione a livello midollare. Tale quadro è
sintomatico solo nel 10% dei casi, con una sintomatologia riconducibile a una mielopatia o a
una mielorizopatia non sempre a carattere degenerativo.

21
Disturbi oculari: la DIPLOPIA

Ripasso dell’anatomia
L’anello di Zinn (o anello tendineo comune) è posto posteriormente e medialmente. I muscoli
che partono da questa struttura hanno, quindi, una disposizione in senso medio-laterale. La
funzione dei muscoli retto esterno e retto interno è molto semplice: se si contrare il retto
interno, l’occhio va in adduzione, mentre, se si contrae il retto esterno, l’occhio va in
abduzione. Per quanto riguarda, invece, il retto superiore e il retto inferiore, l’azione dei due
muscoli dipende dalla posizione dell’occhio nell’orbita. Se l’occhio è in abduzione, l’asse
dell’occhio diventa parallelo all’asse dei retti e il retto superiore, contraendosi, porta l’occhio
verso l’alto, mentre il retto inferiore porta l’occhio verso il basso. Se, invece, l’occhio è in
adduzione, i due muscoli diventano perpendicolari all’asse visivo, quindi il retto superiore avrà
la funzione, in questo caso, di ruotare l’occhio verso l’interno, mentre il retto inferiore di
ruotarlo verso l’esterno. Il muscolo obliquo superiore prende anch’esso origine dall’anello di
Zinn e presenta due ventri: uno va alla troclea (in alto e medialmente, per questo detto anche
“trocleare”) e l’altro parte dalla troclea e si va ad inserire nella porzione superiore del globo
oculare. L’obliquo inferiore è l’unico muscolo che non parte dall’anello di Zinn e si va ad
inserire in un punto corrispondente, inferiormente nel globo oculare, parallelo, però più in
basso, con un percorso analogo all’obliquo superiore. La funzione dei retti e degli obliqui
dipende dalla posizione dell’occhio nell’orbita. Infatti, se porto l’occhioin adduzione, l’asse
visivo diventa parallelo all’asse dell’obliquo superiore: in questo modo quest’ultimo,
22
contraendosi, porterà l’occhio verso il basso, mentre l’obliquo inferiore porterà l’occhio verso
l’alto. Se, invece, l’occhio è in abduzione, l’asse visivo diventa perpendicolare all’obliquo
superiore, che avrà la funzione, quindi, di ruotarlo verso l’interno mentre l’inferiore di ruotarlo
verso l’esterno. Infine, se l’occhio è nella posizione primaria di sguardo, sollevano l’occhio il
retto superiore e l’obliquo inferiore mentre lo portano verso il basso il retto inferiore e l’obliquo
superiore.

I nervi oculomotori sono costituiti dal nervo abducente, o VI nervo cranico, che innerva il
muscolo retto laterale; dal terzo nervo cranico, o oculomotore comune, che innerva tutti i
muscoli tranne il retto laterale e l’obliquo superiore, muscolo, invece, innervato dal trocleare,
quarto nervo cranico. Per quanto riguarda i loro nuclei e la loro origine, ricordiamo che il
quarto nervo cranico ha un percorso un po’ anomalo: è l’unico che emerge dorsalmente per poi
incrociare dopo la sua origine. Invece il nucleo del sesto nervo cranico è situato al di sotto del
ponte e, caratteristicamente, è avvolto dai fasci che provengono dal settimo nervo cranico.

Paziente di 57 anni che racconta che la mattina, mentre stava al volante dell’auto, ad un certo
punto ha cominciato a vedere doppio, per cui si preoccupa, si ferma e viene alla nostra
osservazione. Come sempre va fatta prima di tutto una diagnosi di sede e poi una diagnosi di
natura della lesione.
Quale potrebbe essere la sede della lesione? Che cosa può essere successo?
Potrebbe trattarsi di una lesione improvvisa, acuta, a livello dei nervi oculomotori. Potrebbe
essere un problema muscolare, un problema nucleare o sopra-nucleare. In quest’ultimo caso,
però, il paziente presenta diplopia solo nel caso di una lesione a livello del fascicolo
longitudinale mediale, mentre,se la lesione interessa la zona corticale come, per esempio, i
campi oculomotore frontali, o centro frontale dello sguardo, situato nel piede o porzione più
posteriore della seconda delle tre circonvoluzioni frontali, quasi a ridosso della corteccia
motoria, paradossalmente il paziente non presenta diplopia, ma solo una paralisi di sguardo,

23
cioè incapacità di potare gli occhi controlateralmente. Un’altra possibile struttura coinvolta,
infine, potrebbe essere la giunzione neuromuscolare.
Ma cosa succede nella diplopia? Perché il paziente vede doppio?
Quando noi esaminiamo un oggetto, gli assi visivi dei nostri occhi sono in parallelo, in maniera
particolare per la visione da lontano (infatti, quando accomodiamo per la visione da vicino, c’è
un certo grado di convergenza, nonessendo più gli assi esattamente paralleli). Quindil’immagine
che noi vediamo cade in due punti corrispondenti delle nostre retine, non esattamente
identici.Quest’ultimo aspetto è molto importante dato che il nostro sistema nervoso ci consente
di fondere le due immagini e avere la visione stereoscopica. Noi, in realtà, con un solo occhio
possiamo vedere senza problemi, ma perdiamo la percezione della profondità, la visione in 3D.
Quando, per un qualsiasi motivo, gli assi dei due occhi non sono più allineati, tranne in
situazione particolari (come quando si trovano in convergenza nel momento in cui accomodo
per la visione da vicino), io ho la visione doppia. Questo perché nell’occhio sano l’immagine
cade direttamente nella fovea, che è la parte della retina che ci consente la massima acuità visiva,
ovvero che ci consente di definire tutte quelle che sono la struttura, la forma ei colori
dell’oggetto, mentre nell’altro occhio cade in qualsiasi altra parte della retina, fornendo
un’immagine non più così nitida e non permettendo di distinguere bene neanche i colori.
Quindi si presenta diplopia nel momento in cui si perde il parallelismo degli assi visivi, avendo
un’immagine cosiddetta “vera”, che è l’immagine dell’occhio sano, e un’immagine “falsa”, che è
l’immagine che vede l’occhio malato.
Ritornando al nostro paziente, dobbiamo quindi immaginare che uno dei due occhi abbia un
problema di allineamento rispetto all’occhio sano. Per cui l’immagine cade in due punti
differenti e non corrispondenti delle due retine. Per poter individuare la sede e,
successivamente, la natura della lesione, prima di eseguire un esame obiettivo, dobbiamo
eseguire un interrogatorio e cercare di capire, già sulla base dell’anamnesi, il tipo di lesione. Se il
paziente avesse una paralisi completa del sesto nervo cranico di destra per un fatto ischemico
acuto, per esempio per una trombosi dei vasanervorum, il paziente lamenterebbe uno strabismo
convergente perché prevarrebbe il muscolo antagonista, cioè il retto interno. Se gli faccio
vedere un oggetto dal lato opposto, l’occhio sano seguirà l’oggetto, arriverà nell’estrema
lateralità di sguardo e, in questa situazione, poiché gli occhi riacquisteranno il parallelismo, il
paziente non vedrà doppio. Se, invece, l’oggetto lo porto dall’altro lato, l’occhio malato rimarrà,
ovviamente, in abduzione, quindi verso il naso, mentre l’occhio sano seguirà l’oggetto; il
paziente,in questo caso, lamenterà di vedere doppio e, man mano che spostiamo l’oggetto verso
destra, di vedere sempre più doppio. Le due immagini, quella vera dell’occhio sano e quella falsa
dell’occhio malato, si allontanano sempre di più, avendo il massimo della diplopia, cioè il
massimo della distanza tra le due immagini dello stesso oggetto, nell’estrema lateralità di destra.
Si tratta, dunque, di una diplopia orizzontale.
Se il paziente avesse una lesione del quarto nervo cranico che va all’occhio di destra, la diplopia
sarà orizzontale, verticale o diagonale a seconda della posizione dell’occhio nell’orbita: se
l’occhio è in abduzione, la funzione del muscolo è di rotazione e,prevalendo l’obliquo inferiore,
quindi, nell’estrema lateralità a destra, una delle due immagini sarà un po’ inclinata. Se,invece,
l’occhio è in adduzione,poiché la funzione dei muscoli è quella di portare l’occhio verso l’alto o
24
verso il basso, la diplopia sarà verticale. Dobbiamo, quindi, interrogare il paziente su come vede
le due immagini. In questo caso il paziente, essendoci un interessamento dell’obliquo superiore
di destra, presenterà il massimo della diplopia verticale guardando verso sinistra e verso il basso.
Se il paziente avesse, invece, una paralisi completa del terzo nervo cranico di destra, siccome gli
unici due nervi rimasti funzionanti sarebbero il sesto e il quarto, ci sarebbe uno strabismo
divergente e l’occhio dovrebbe essere in abduzione, deviato, quindi, verso l’esterno, un po’
verso il basso (prevalendo l’effetto della rotazione) e, anche se difficile da cogliere all’esame
obiettivo, intra ruotato. Nel momento in cui entra nella stanza, il paziente, però, non vedrebbe
doppio perchépresenterebbe una ptosi palpebrale e quindi mi accorgerei dello strabismo solo
una volta sollevata la palpebra.
In seguito all’anamnesi, occorre osservare lo sguardo del paziente nelle nove posizioni cardinali
dello sguardo, facendogli mantenere la testa ferma e guardando se in un punto qualsiasi si
presenta un disallineamento oculare. Successivamente chiederemo al paziente in quanto tempo
ha avuto il disturbo, se ci sono degli altri sintomi o segni di accompagnamento e cercheremo
quindi di capire qual è la natura della lesione.
Diplopia monoculare e diplopia binoculare
Nel caso di una lesione dei nervi cranici la diplopia è binoculare, cioè, se il paziente chiude
prima un occhio e poi un altro, non vedrà doppio.
È possibile, tuttavia, avere anche una diplopia monoculare, in cui, cioè, il paziente vede doppio
con un solo occhio,cioè la diplopia non scompare se il paziente chiude l’occhio sano. Questo è
possibile nel caso di un difetto di rifrazione dell’occhio che può riguardare la cornea, la retina, il
cristallino e tutti gli altri mezzi diottrici dell’occhio (per esempio anche una cornea secca). In
realtà, però,in questo caso è difficile che si abbia lo sdoppiamento completo: è come se
l’oggetto avesse un doppio contorno e non una diplopia franca come nello strabismo paralitico.
C’è una forma di strabismo nella quale il paziente, pur essendo strabico, non vede doppio?
Lo strabismo latenteè un tipo di strabismo divergente che colpisce il 50% di tutti noi. Esso
può essere evidenziato facendo il COVER TEST: si fa osservare un punto, solitamente verso
l’alto, coprendo prima un occhio e poi l’altro. Il nostro sistema nervoso lo riesce a correggere
ma, in particolari circostanze, se sono particolarmente stanco, se ho assunto ansiolitici o alcool,
si slatentizza facendoci vedere doppio. Parliamo di una EXOFORIA, se c’è deviazione verso
l’esterno degli occhi, e diESOFORIA, nel caso di deviazione in convergenza.
Invece quando lo strabismo è evidente, si parla di TROPIA: EXOTROPIA, se divergente, ed
ESOTROPIA, se convergente. Per quanto riguarda lo strabismo sul piano verticale, parliamo
diIPERTROPIA, se l’occhio è deviato verso l’alto, e diIPOTROPIA, se l’occhio è deviato
verso il basso.
Quali sono le differenze tra uno strabismo paralitico (o non concomitante) e uno strabismo non paralitico (o
concomitante)?
Oltre al fatto che nello strabismo “di Venere”, cioè concomitante, non si lamenta diplopia, la
deviazione dei due occhi è la stessa in tutte le direzioni dello sguardo: l’angolo, cioè, tra i due
assi visivi rimane lo stesso in tutte le direzioni. Invece non è così se lo strabismo è paralitico
(come nell’esempio in alto della paralisi del sesto nervo cranico).

25
Esempio: in un esame obiettivo quando la bacchetta viene spostata verso sinistra, i due occhi
sono in parallelo, mentre quando la bacchetta si sposta verso destra, appare lo strabismo
convergente e l’occhio di destra rimane sulla lineamediana e non va in abduzione =Paralisi del
nervo abducente di destra
In caso diparalisi completa del nervo, la diagnosi è facile: una diplopia orizzontale ci fa pensare
ad una lesione del sesto, per esempio, o una diplopia verticale, ad una lesione del quarto o del
terzo nervo cranico.
Certe volte, però, ci può essere anche solo una paresi, cioè non una paralisi completa, ma solo
una minima insufficienza. In questo caso diventa più difficile capire quali sono i muscoli
interessati, perché il paziente può decidere di continuare a guardare con l’occhio paretico, se è
quello il suo occhio dominante e non è eccessivo l’indebolimento. In questo modo potrebbe
sembrare strabico,quindi paretico, l’altro occhio. Ecco perché, in caso di paresi, diventa difficile
capire quale dei due occhi è paretico. Per questo si utilizza il COVER TEST: immaginiamoci
di fronte ad una paresi del retto esterno dell’occhio di destra. Se io vado a coprire l’occhio di
destra, si ha uno strabismo convergente a destra,mentre l’occhio sano èquello costretto a fissare
l’oggetto. In questo caso c’è un perfetto equilibrio dell’input nervoso a tutti e quattro i retti sul
piano orizzontale. Nel momento, però, in cui copro l’occhio sano e costringo l’occhio malato a
fissare l’oggetto, essendoci un indebolimento del retto esterno dell’occhio di destra, il mio
sistema nervoso ha bisogno di fare uno sforzo maggiore. Siccome, però, per la legge di
HERING, l’input nervoso è lo stesso nei due muscoli agonisti (se porto lo sguardo verso destra,
i muscoli agonisti sono il retto esterno dell’occhio di destra e il retto interno dell’occhio di
sinistra), mandando un input più intenso al retto esterno dell’occhio di destra, nella stessa entità
lo stesso input andrà al retto interno dell’occhio controlaterale, perciò l’occhio sano sarà deviato
ancora di più in adduzione rispetto all’occhio malato. L’occhio, quindi, che ha una minore
escursione, la cosiddetta deviazione primaria, è l’occhio paretico, mentre l’occhio sano è
quello che presenta una deviazione secondaria o maggiore. Si può anche eseguire un COVER
TEST ALTERNATO, in cui, cioè, rapidamente passo la paletta da un occhio all’altro, non
cambiando il risultato e il significato del test.
Un altro test per individuare il muscolo lesionato è il cosiddetto test del “VETRINO ROSSO”
che, per convenzione, si mette sempre davanti all’occhio di destra (che questo sia malato o no).
Mostrando al paziente una luce bianca, se non vi è diplopia, le due immagini una rossa e una
bianca si sovrappongono completamente e il paziente vede rosa. Se, al contrario, vi è diplopia, il
paziente vede un’immagine bianca e un’immagine rossa.
DIPLOPIA OMONIMA E DIPLOPIA CROCIATA
Immaginiamo di trovarci di fronte ad una paralisi del retto esterno dell’occhio di destra.
Prevalendo il retto interno, l’occhio sarà deviato verso l’interno. L’oggetto che osservo in quel
momento cade nella metà nasale della retina e quindi io vedo l’immagine sana nell’emicampo
temporale, andando questa sotto il termine di “diplopia omonima” perché si presenta dallo
stesso lato del retto paralizzato. Nel caso, invece, di un’insufficienza del retto interno
dell’occhio di destra, prevale il retto esterno, quindi l’occhio è deviato verso l’esterno (strabismo
divergente), l’oggetto osservato cade nell’emiretina temporale ed è visto, quindi, nell’emicampo
nasale, andando sotto il nome di “diplopia crociata”.
26
TORCICOLLO OCULARE
Il paziente per non vedere doppio adotta una particolare posizione del capo, il cosiddetto
“torcicollo oculare”. Un paziente con una paralisi del sesto nervo cranico ruota il capo
controlateralmente al campo d’azione del retto malato.Se, per esempio, il retto malato è il retto
esterno dell’occhio di destra che porta l’occhio in abduzione, il paziente rivolge il capo
controlateralmente. Nel caso di una paralisi del quarto nervo cranico che va all’occhio di destra,
il paziente vede doppio guardando in basso e a sinistra (pensiamo al momento, per esempio, in
cui scende le scale). Deve cercare di allontanare l’occhio il più possibile dal campo di azione
dell’obliquo superiore inclinando controlateralmente il capo e interrompendo così la diplopia.

CONCETTI CHIAVE
• La distanza delle due immagini aumenta se si porta lo sguardo nel campo d’azione del
muscolo deficitario;
• Nella paralisi dei muscoli che agiscono orizzontalmente, quindi retti mediali e laterali, le
due immagini sono separate in senso orizzontale;
• Nei muscoli che agiscono verticalmente, cioè retto superiore e obliquo inferiore per lo
sguardo verso l’alto e retto inferiore e obliquo superiore per lo sguardo verso il basso, le
due immagini sono separate in senso verticale;
• L’immagine falsa è spostata nella direzione d’azione del muscolo deficitario;
• L’immagine falsa è sempre in posizione eccentrica rispetto all’immagine vera, cioè
sempre spostata più perifericamente. Più lateralmente nello sguardo di lateralità, più in
basso nello sguardo verso il basso e più in alto nello sguardo verso l’alto. Il paziente
riesce a distinguere le due immagini perché l’immagine falsa, cadendo nella periferia
retinica, è una immagine sfocata, soprattutto quando è nel campo d’azione del muscolo
malato;
• La direzione del capo nella direzione del muscolo deficitario riduce la distanza tra le due
immagini.

NEUROLOGIA: lesione dei nervi cranici e breve cenno alle cause di diplopia
monoculare
CAUSE DI DIPLOPIA MONOCULARE

• l’astigmatismo
• le patologie della cornea
• l’occhio secco
• il cheratocono
• problemi a carico del cristallino e dell’umore vitreo
• anomalie dell’iride

27
• mioclonia dell’obliquo superiore (l’obliquo superiore va incontro a contrazioni più o
meno continue che possono dare un’oscillopsia, cioè il pz vede tutto intorno che si
muove e che oscilla)
• problema legato a dei traumi o a una crisi epilettica che interessa la corteccia occipitale
• la palinopsia, cioè si possono vedere più immagini dello stesso oggetto(3,4 o 5)
• psicogena

LESIONE DEI NERVI CRANICI OCULOMOTORI


Stiamo vedendo che cosa succede in caso di lesione dei nervi cranici oculomotori.
Quando la lesione è franca, c’è una paralisi completa del nervo, la diagnosi è facile: se ho una
paralisi completa del sesto nervo cranico, ho la completa assenza di attività del muscolo, la
paralisi completa del muscolo adduttore (immaginiamoci) dell’occhio di destra, ho uno
strabismo convergente, l’occhio rimane fisso in adduzione, se io sposto una meta luminosa,
l’occhio sano la segue e l’occhio malato, invece, rimane in adduzione. E qui la diagnosi è
semplice. Quindi, in caso di paralisi del sesto di destra, testa ferma, portiamo l’oggetto verso
sinistra, nell’estrema sinistra i due occhi ritornano in parallelo, quindi non ho diplopia; nel
momento in cui porto l’oggetto dall’altro lato, verso destra, l’occhio sano si sposta, l’occhio
malato rimane fermo, per cui il soggetto vede sempre doppio, cioè le due immagini vera e falsa
si allontanano sempre di più man mano che ci spostiamo verso destra e la diagnosi è
semplicissima. Se io ho una paralisi completa del terzo nervo cranico, anche qui è semplice la
diagnosi: ptosi palpebrale,il paziente non vede doppio, nel momento in cui sollevo la palpebra,
l’occhio è deviato in abduzione quindi verso l’esterno, un po’ verso il basso ed è anche
intraruotato, però non riesco a vederlo clinicamente, però con dei test particolari si deduce che l
‘immagine falsa è un po’ inclinata rispetto all’immagine vera. È l’opposto di quello che accade
nella paralisi del sesto: l’occhio è in abduzione, non più in adduzione, quindi se io porto
l’oggetto nella estrema lateralità a destra, gli occhi riacquistano il parallelismo e quindi non vede
doppio, se io da destra mi sposto verso sinistra, l’occhio sano si sposta, segue la mira, l’occhio
malato rimane fisso in abduzione e quindi il paziente vedrà sempre più doppio, le due immagini
che si allontanano sempre di più man mano che andiamo nel campo d’azione di quello che è il
retto deficitario sul piano orizzontale, è chiaro che poi ci stanno anche gli altri muscoli implicati
in una paralisi completa del terzo. Tutti quanti non funzionano tranne l’obliquo superiore e il
retto laterale. Stesso discorso vale nel caso in cui io ho paralisi del quarto nervo cranico. Se ho
una paralisi del quarto nervo cranico che va all’occhio di destra, che è l’unico che incrocia,
quindi prende origine contro lateralmente, anche in questo caso è semplice. Io ho una
ipertropia, cioè l’occhio malato si porta verso l’alto e il paziente ha il massimo della diplopia
quando noi portiamo l’oggetto in basso e contro lateralmente, perché l’azione dell’obliquo
superiore dipende dalla posizione dell’occhio nell’orbita, quindi quando l’occhio è in adduzione,
lo porta verso il basso, quindi il paziente ha il massimo della diplopia, quindi la maggiore
distanza tra immagine vera e immagine falsa quando guarda in basso e contro lateralmente. Fin
qui fare una diagnosi è semplicissimo.

28
Il problema interviene nel momento in cui la paralisi non è completa, c’è una paresi, c’è un
indebolimento del muscolo o dei muscoli innervati da quel determinato nervo e se l’occhio
dominante è l’occhio malato, paralizzato, il paziente può decidere di guardare con l’occhio
malato e per la legge di Hering, se io ho un retto che non funziona bene, il sistema nervoso è
costretto - per far funzionare bene quel retto deficitario – a mandare una più alta scarica moto
neuronale e questa scarica moto neuronale in eccesso, per la legge di Hering, viene trasmessa
anche al retto agonista contro laterale. Se io porto gli occhi verso destra, i due agonisti sono il
retto esterno dell’occhio di destra, e il retto interno dell’occhio di sinistra. Per la legge di Hering,
io mando lo stesso input nervoso, quindi la stessa scarica moto neuronale per tutti e due i retti.
Se io ho un retto deficitario (immaginiamoci il retto destra dell’occhio di destra) e il mio sistema
nervoso centrale per poter portare l’occhio sul bersaglio deve fare un certo sforzo quindi deve
aumentare la scarica dei motoneuroni, all’occhio malato quella è sufficiente per portare l’occhio
sul bersaglio, però è in eccesso rispetto all’altro muscolo che è un muscolo sano e quindi devia
ancora di più. Quindi se io decido di fissare con l’occhio malato, l’occhio sano è ancora più
deviato, quindi ci può trarre ancora di più in inganno. Ci può far pensare che sia l’occhio
deviato l’occhio malato, ma in realtà non è così e quindi ho bisogno di alcuni test per cercare di
capire con esattezza qual è il muscolo e l’occhio quindi malato. Quindi se io ho un’insufficienza
del retto esterno dell’occhio di destra, nel momento in cui io lo copro e faccio fissare l’occhio
sano – vedete c’è un ++++, quindi in sostanza il sistema nervoso non deve attuare nessun
compenso, non c’è nessuno sforzo da parte del sistema nervoso e l’occhio malato è deviato
verso l’interno perché prevale ovviamente il retto interno dell’occhio di destra sul retto esterno
che è indebolito, e quindi c’è uno strabismo convergente. Nel momento in cui però io copro
l’occhio sano e costringo l’occhio malato ad andare sul bersaglio, quindi in sostanza l’occhio
malato deve sforzare di più il retto esterno, per fare questo – vedete 3+ che significa che l’input
moto neuronale deve essere maggiorato, deve essere incrementato e come arriva al retto
esterno malato, così arriva al retto interno sano. Siccome la scarica moto neuronale è
decisamente maggiore, quindi c’è una deviazione maggiore dell’occhio sano. Quindi facendo il
cover test (copro un occhio, poi lo scopro, poi copro l’alto, poi lo scopro) oppure posso fare il
cover test alternato (copro alternativamente i due occhi), io vedrò che c’è uno spostamento dei
due occhi, l’occhio che ha lo spostamento meno ampio è l’occhio malato, quello che ha lo
spostamento maggiore è l’occhio sano.

29
(Cover test)
Test del vetrino rosso. Qui ci sono una serie di regole generali che ci consentono di
individuare l’occhio e il muscolo malato. Quindi per convenzione si mette il vetrino rosso
davanti all’occhio di destra (malato o non malato) e poi si porta la mira luminosa in tutte e 9 le
posizioni di sguardo.
Se noi guardiamo in alto a destra, succede che se porto la mira verso sinistra, il paziente vede
un'unica luce che è rosa, quindi un mix tra bianco e rosso. Se però mi sposto verso destra, il
paziente vede sempre più doppio e mi riferisce che vede due immagini della stessa mira
luminosa, una bianca e una rossa. Noi chiediamo:” dove vede l’immagine rossa? All’interno o
all’esterno della bianca?” e il paziente risponde:” io la vedo all’esterno” quindi in posizione
eccentrica rispetto alla posizione primaria di sguardo, alla visione centrale. Allora una regola
generale è che l’immagine più eccentrica è quella vista dall’occhio malato. Quindi se,
allontanandoci sul piano orizzontale, il pz vede doppia immagine quindi una rossa e una
bianca, quella rossa è più esterna di quella bianca sulla linea orizzontale, ciò significa che stiamo
andando nel campo d’azione del muscolo retto esterno dell’occhio di destra ma anche del retto
interno dell’occhio di sinistra, quindi può essere tanto il retto esterno dell’occhio di destra,
quanto il retto interno dell’occhio di sinistra, quindi se sul piano orizzontale vedo doppio, può
essere o l’uno o l’altro. La regola generale vuole che l’immagine eccentrica fa riferimento
all’occhio che è malato, quindi in questo caso l’immagine eccentrica è quella rossa e quindi è il
retto esterno dell’occhio di destra.
Se io vado verso destra, non vede più doppio ma un'unica immagine rosa; al centro vede
doppio; mi sposto all’estrema lateralità a sinistra e vedo doppio. Ora può essere tanto il retto
esterno dell’occhio di destra, tanto il retto interno dell’occhio di sinistra. Siccome l’immagine
rossa più eccentrica fa riferimento all’occhio di destra, qual è il retto interessato? È il retto
interno dell’occhio di destra.
Immaginiamo di avere un’insufficienza del retto interno dell’occhio di destra, il che significa che
se io mi porto verso sinistra, il mio occhio di sinistra riesce ad arrivare sul bersaglio, il mio

30
occhio di destra si ferma più o meno a metà o all’inizio oppure non riesce a coprire- se noi
andiamo ad esaminare la motilità oculare in un pz, la portiamo in tutte le direzioni dello
sguardo, se si va nell’estrema lateralità dello sguardo, la sfera è quasi completamente coperta
dalle palpebre, se c’è un minimo di sclera, molto probabilmente c’è un’insufficienza del retto,
quindi io posso avere una paralisi franca o una paresi, quindi appena un deficit del retto
esterno per esempio e allora io me ne accorgo vedendo che non riesce a coprire completamente
la sclera quando lo porto in abduzione. Non è sempre così, dipende per esempio ci sono
soggetti che hanno l’occhio più sporgente, quindi dovete sempre fare il confronto con l’altro
occhio. Non è detto che, se io porto l’occhio nell’estrema lateralità deve essere per forza
coperto dalle palpebre, dipende da come è fatto costituzionalmente l’occhio, quindi bisogna
fare sempre il confronto con i due lati. Quindi immaginiamoci che l’occhio si ferma più o meno
a metà e l’altro riesce ad andare sul bersaglio. Se io porto l’immagine verso destra, non c’è
problema, i due occhi hanno il parallelismo, però io man mano che lo sposto verso sinistra, un
occhio si ferma sulla linea mediana più o meno e l’altro arriva sul bersaglio. Quindi man mano
che mi sposto verso sinistra vedo sempre più doppio. L’immagine è eccentrica nel caso in cui io
ho un’insufficienza del retto interno dell’occhio di destra che guarda verso sinistra.
Se guarda verso sinistra non c’è nessun problema.
In posizione primaria di sguardo già c’è una diplopia verticale.
Se io porto gli occhi verso destra, il paziente ha il massimo della diplopia.
In basso e a destra, ha il massimo della diplopia e l’immagine rossa è più eccentrica rispetto a
quella bianca, quindi questo ci dice che il problema è a carico dell’occhio di destra. Ora in basso
e a destra, considerato l’occhio di destra, è il campo d’azione di quale retto? Se io ho l’occhio in
abduzione, il retto superiore porta l’occhio verso l’alto, il retto inferiore porta l’occhio verso il
basso. Quindi in basso e a destra per l’occhio di destra, il campo di azione è del retto inferiore.
Quindi questo paziente ha un’insufficienza del retto inferiore dell’occhio di destra.
Altro caso: a sinistra non vede doppio, al centro già vede doppio però è una diplopia verticale,
andiamo nella lateralità a destra, l’immagine più eccentrica è quella dell’occhio di destra ed è in
alto a destra, occhio di destra, quindi campo d’azione del retto superiore, quindi questo paziente
ha un’insufficienza del retto superiore.
Altro caso: a destra non ha niente, al centro comincia ad avere una diplopia verticale, a sinistra il
massimo della diplopia ce l’ha in basso e a sinistra, l’immagine eccentrica è rossa quindi l’occhio
malato è l’occhio di destra. In basso e a destra nell’occhio di destra è il campo di azione
dell’obliquo superiore,
Altro caso: a destra niente, in posizione primaria di sguardo ha già una diplopia, verso sinistra
c’è il massimo della diplopia, quindi la massima distanza è in alto e a sinistra. Occhio destro, in
alto e a sinistra, campo d’azione dell’obliquo inferiore. Quindi questo pz ha un’insufficienza
dell’obliquo inferiore.

31
Se l’immagine cade nell’emiretina temporale, significa che è proiettato nell’emicampo nasale; se
cade nell’emiretina nasale significa che è proiettato nell’emicampo temporale.

Più vado nel campo d’azione del muscolo deficitario e maggiore è la distanza tra le due
immagini, quindi per quanto riguarda retti mediali e retti laterali, le due immagini sono separate
in senso orizzontale, quindi c’è una diplopia orizzontale, se invece riguarda i retti o gli obliqui, è
una diplopia verticale.
L’immagine è sempre in posizione eccentrica rispetto all’immagine vera.

ESERCIZIO:
Paziente in posizione primaria di sguardo, c’è un’ipertropia a sinistra, l’occhio di sinistra è
spostato verso l’alto, allora cosa può essere? Tanto può essere un problema dei depressori
dell’occhio di sinistra e tanto può essere un problema degli elevatori dell’occhio di destra. Allora
io faccio portare gli occhi verso destra e l’occhio di sinistra non riesce a fissare la mira. Se io
porto la mira verso il basso, l’occhio di destra ha mira, l’occhio di sinistra si ferma a
quest’altezza. Se io porto gli occhi in alto e a destra e li porto verso sinistra, sostanzialmente il
disallineamento tra i due occhi si riduce moltissimo.
Il test di Bielschowskye (si fa inclinare la testa dal lato opposto e si vede se c’è strabismo),
quando è positivo, è caratteristico di una paralisi del quarto nervo cranico e quindi di una paresi
dell’obliquo superiore.

32
Caratteristicamente quando il paziente tende ad inclinare la testa, nel caso di paralisi del quarto
nervo cranico e quindi insufficienza dell’obliquo superiore, il pz per non vedere doppio, tende
ad inclinare la testa in modo da allontanare l’occhio il più possibile dal campo d’azione
dell’obliquo superiore, che è in basso a destra.
Un altro test che si può effettuare e che ci consente di individuare l’inclinazione dell’immagine
falsa è la bacchetta di Maddox. Nella bacchetta di Maddox ci sono una serie di cilindri, per
cui se io lo metto davanti ad un occhio e faccio vedere al paziente una mira luminosa, la mira
luminosa che vede attraverso la bacchetta di Maddox, proprio perché ci stanno tutti questi
cilindri, la vede come se fosse una linea luminosa e non più un punto luminoso. Per
convenzione va messa davanti all’occhio di destra, quindi in alto a destra dove sta il problema?
Verso destra lui vede sostanzialmente la mira luminosa sovrapposta alla linea luminosa; in
posizione primaria di sguardo comincia già a vedere doppio, però se lo porto verso sinistra,
punto luminoso e linea luminosa si allontanano tra di loro. Siccome la linea è in posizione
eccentrica rispetto al punto quindi il problema è a carico dell’occhio di destra, praticamente
siamo nel campo d’azione del retto interno dell’occhio di destra e quindi la diplopia è nello
sguardo verso sinistra.
Utilizzando la bacchetta di Maddox è possibile vedere anche l’inclinazione, per esempio nelle
paresi dei retti e degli obliqui, siccome questi possono avere anche un effetto di rotazione
sull’occhio, l’immagine falsa è anche ruotata, oltre ad essere in posizione più eccentrica.

(Bacchetta di Maddox)

33
Test di Hirschberg. Si fa specchiare una sorgente luminosa sulla cornea e si va a vedere se
l’immagine della luce cade esattamente al centro della pupilla. Se è al centro della pupilla è
normale, se invece è spostato da un lato e dall’altro significa che c’è uno strabismo convergente
o divergente, quindi può essere interessato il retto interno e il retto esterno. In questo caso la
luce è spostata lateralmente rispetto al centro della pupilla, quindi è uno strabismo convergente,
verosimilmente c’è un’insufficienza del retto esterno dell’occhio di destra.
VEDIAMO ALCUNI ESEMPI
Cover test: copro prima un occhio, poi la bacchetta, poi copro l’altro, e dico al paziente di
fissare un oggetto davanti a lui. Sta fissando con l’occhio di destra, lo copre, costringo l’occhio
di sinistra a fissare. Adesso copro l’occhio di sinistra e costringo il destro a fissare. Lo strabismo
è divergente. Quindi c’è interessamento di quale muscolo e di quale nervo? E il problema è a
carico dell’occhio di sinistra o destra? La deviazione primaria è di minore entità , occhio malato,
deviazione secondaria di maggiore entità, occhio sano. Nell’occhio malato lo spostamento è un
po’ più lento rispetto all’occhio sano.
Cover alternato: insufficienza del retto interno dell’occhio di destra o di sinistra? Osserviamo
anche la rapidità con la quale ritorna sulla mira, nell’occhio di destra e nell’occhio di sinistra.
L’occhio di destra è un po’ più rapido. Quando lo scopre, quasi subito va sulla mira. L’occhio di
sinistra ci mette quella frazione di secondo in più come se facesse uno sforzo maggiore,
guardate come si sforza un po’ di più, quindi è a carico dell’occhio di sinistra. Quindi
l’escursione è leggermente meno ampia nell’occhio di sinistra rispetto all’occhio di destra.
Questo è un paziente che ha una lesione parcellare - è un’altra cosa che può succedere- del
terzo nervo cranico, quindi con l’interessamento prevalentemente del retto interno dell’occhio
di sinistra.
ALTRO ESEMPIO: i due occhi si spostano sul piano verticale. Facendo inclinare la testa del
paziente verso destra, gli occhi si allineano, non c’è più spostamento; se invece lo faccio
inclinare dall’altro lato, si sposta ancora di più. Questo è un pz che ha una paralisi del quarto
nervo cranico di sinistra, perché inclinandosi contro lateralmente, in sostanza gli occhi vengono
allineati, mentre inclinandosi dallo stesso lato c’è un peggioramento.
Guarda verso destra, cosa noto? A sinistra non adduce. Poi guarda verso sinistra e a destra non
adduce, quindi sembrerebbe un problema a carico dei due retti interni, un’insufficienza dei due
retti interni. Però se io poi lo faccio convergere, converge. Quindi come si spiega questa
anomalia dei movimenti coniugati? Quindi la lesione è a livello? In realtà io quando devo
portare gli occhi da un lato e dall’altro, ho bisogno dell’azione combinata del retto esterno di un
occhio e del retto interno dell’altro occhio. Allora il terzo nervo cranico sta a livello del
mesencefalo e va ad innervare il retto interno. Il retto esterno invece è innervato dal sesto che è
a livello del ponte, quindi ho bisogno di una struttura che mi va a mettere in connessione il
sesto di un lato con il terzo dell’altro lato per avere l’azione combinata dei due muscoli agonisti
e quindi portare gli occhi da un lato e dall’altro. È quello che fa il fascicolo longitudinale
mediale. Questo è il sesto nervo cranico di un lato che porta l’input al sesto dell’occhio

34
omolaterale e poi attraverso questo fascio di fibre l’input al terzo dell’altro lato contro
lateralmente e quindi al retto interno contro laterale. In realtà esiste un centro continuo dello
sguardo, un centro frontale, a livello del piede della seconda circonvoluzione frontale e poi c’è
un centro pontino dello sguardo. Quindi io quando devo portare gli occhi verso sinistra, è il
mio campo oculo motore frontale di destra che mi manda l’input al centro pontino dello
sguardo di sinistra e il centro pontino dello sguardo di sinistra manda l’input al retto esterno
dell’occhio di sinistra e attraverso il fascicolo longitudinale mediale al retto interno dell’occhio
di destra in modo che gli occhi mi si portano a sinistra. Quindi il centro pontino dello sguardo
porta gli occhi omolateralmente, il centro frontale contro lateralmente, quindi l’input parte dal
centro frontale, se io devo portare gli occhi verso sinistra, è il centro frontale di destra che dà il
comando, porta l’input al centro dello sguardo pontino di sinistra e questo poi porta gli occhi
verso sinistra attraverso queste vie. Quindi se io ho una lesione del fascicolo longitudinale
mediale di un lato, devo portare gli occhi verso sinistra, mi parte l’input dal campo oculomotore
frontale di destra, l’input arriva alla sostanza reticolare pontina paramediale che sarebbe il
centro pontino dello sguardo che manda l’input al sesto quindi al retto esterno dell’occhio
omolaterale. Quindi se io devo guardare verso sinistra e ho una lesione del fascicolo
longitudinale mediale di destra, perché appena emerge immediatamente incrocia e quindi va
contro lateralmente, quindi se io ho una lesione del fascicolo longitudinale mediale di destra e il
retto interno dell’occhio di destra che non funziona, quindi se io devo portare l’occhio verso
sinistra, l’input mi arriva al retto esterno dell’occhio di destra, però l’altro rimane sulla linea
mediana.
Nel pz la lesione e mono o bilaterale? Bilaterale.
ALTRO ESEMPIO: se guarda verso destra, è normale; se guarda verso sinistra, l’occhio di
destra non riesce ad andare in adduzione; quando va verso destra, la sclera risulta quasi
completamente coperta dalle palpebre, quindi non c’è problema. Invece quando vado dall’altro
lato- a destra è quasi coperto- in realtà l’occhio che va in abduzione ha un nistagmo, quindi
molto spesso, nelle lesioni del fascicolo longitudinale mediale l’occhio che va in abduzione ha
anche un nistagmo. L’occhio di sinistra che va in abduzione ha un nistagmo, ossia è un
movimento costituito da una fase rapida e una fase lenta. Il pz ha una fase rapida e una fase
lenta, l’occhio che va in abduzione. Quindi questo pz ha una lesione del fascicolo longitudinale
mediale di destra, perché manca l’adduzione dell’occhio di destra.
Perché la convergenza è conservata? Perché in realtà il centro della convergenza è sito a livello
del mesencefalo. Ci sono dei nuclei della formazione reticolare mesencefalica che controllano.
Non sono stati ancora del tutto individuati nell’uomo, ma sicuramente è nel mesencefalo il
centro della convergenza, quindi esso attraverso altre vie, manda l’input ai nuclei del terzo
nervo cranico che controllano i due retti interni e quindi i due occhi vanno in abduzione.
Noi siamo partiti dal nostro pz con una età di 54 anni, con diabete mellito, che mentre stava al
volante dell’auto, si accorge di vedere doppio. Che cosa gli chiediamo per capire bene, prima
ancora di andarlo a visitare, quindi semplicemente sulla base dell’anamnesi, vediamo di capire
bene qual è il muscolo e qual è il nervo interessato, quindi fare una diagnosi di sede e poi fare
35
una diagnosi di natura della lesione. Che cosa chiedete al pz? Lui dice che verso sinistra vede
doppio e a destra, invece, no. Cos’altro chiedete? L’immagine si sdoppia sul piano orizzontale,
quindi lui ha una diplopia orizzontale, che peggiora nello sguardo verso sinistra. Quindi allora
che pensate? Potrebbe essere o il retto laterale di sinistra o il retto mediale di destra. E lui non
racconta nessun altro disturbo. Se fosse il retto interno dell’occhio di sinistra, che cosa vi
aspettereste? Qual è il nervo che controlla il retto interno?
Egli dovrebbe dire, ammesso che non sia una lesione parcellare, di vedere doppio anche
portando gli occhi verso l’alto o verso il basso. Di avere una diplopia verticale, portando gli
occhi verso l’alto o verso il basso, per l’interessamento degli altri muscoli extraoculari, in caso di
lesione del terzo. Ma se glielo chiediamo dice di no. Anche se guarda verso l’alto o il basso, la
diplopia è sempre orizzontale, quindi verosimilmente si tratta di un sesto nervo cranico e, in
maniera particolare, se lui vede doppio nello sguardo verso sinistra, quale nervo? Il sesto di
sinistra. Non ha altri disturbi, quindi ci aspettiamo una paralisi del sesto nervo cranico di
sinistra. E per quanto riguarda la natura della lesione? È diabetico, iperteso, quindi
probabilmente sarà un incidente vascolare che ha interessato uno dei vasanervorum del sesto
nervo cranico e quindi con una paresi del sesto. Che ci aspettiamo all’esame obbiettivo? Uno
strabismo convergente. Poi andiamo a valutare la motilità oculare in tutte le direzioni dello
sguardo e cosa notiamo? Che nello sguardo verso sinistra, l’occhio di sinistra non riesce ad
andare nell’estrema lateralità, per cui si vede parte della sclera. Se faccio il confronto e lo faccio
andare verso destra e verso sinistra, vedo che verso destra non c’è nessun problema, è quasi
completamente coperta, mentre dall’altro lato vedo che una parte della sclera dell’occhio di
sinistra non è coperta, e quindi questo mi suggerisce che c’è un’insufficienza del retto esterno
dell’occhio di sinistra e quindi una paralisi del sesto nervo cranico di sinistra. Quali sono gli
accertamenti che fareste? Quali possono essere le cause di una paralisi del sesto? Possono
essere diverse. Ci può essere un fatto infiammatorio, un fatto compressivo, anche
nell’idrocefalo o nell’ipertensione endocranica, siccome il sesto nervo cranico ha un lungo
percorso, perché fuoriesce a livello della giunzione tra bulbo e ponte, poi si porta verso l’alto
negli spazi subaracnoidei, quindi costeggia il clivus, poi arriva al seno cavernoso, che è quello
che sta più vicino alla carotide nel seno cavernoso.
Il sesto nervo cranico passa al di sotto del legamento di Gruber quindi qua siamo al livello
dell’apice della rocca e poi entra nel seno cavernoso ed è quello che sta più vicino all’arteria
carotide. Questo è il seno cavernoso, la carotide, poi c’è il terzo, il quarto, la prima branca del
trigemino e la seconda branca trigeminale, ha rapporti di stretta vicinanza tra ipofisi e seno
cavernoso. Quindi ha un lungo percorso. Quindi se c’è un problema di ipertensione
endocranica, per esempio un processo espansivo endocranico oppure anche lo stesso idrocefalo
o se c’è uno pseudotumor, c’è un edema cerebrale, questo può provocare un dislocamento del
tronco encefalo, quindi può essere stirato il nervo e quindi vi può dare una paralisi o paresi del
sesto, quindi anche una sindrome da ipertensione endocranica, quindi un processo espansivo
endocranico, un idrocefalo, per questo meccanismo di trazione, di dislocazione del sesto, vi può
dare una paralisi del sesto nervo cranico, quindi è necessario fare una tac o meglio ancora una
risonanza. Preferibilmente una risonanza con mezzo di contrasto, quindi va fatta in ogni caso.
36
Che cosa vi aspettate in questo pz? Se è un’ischemia di uno dei vasanervorum, che cosa vi
aspettate? È difficile evidenziarla, con una tac peggio ancora, con la risonanza forse se è
particolarmente estesa, ma è negativa, quindi l’immagine è negativa. Di solito è un’evenienza
abbastanza benigna, quindi nel giro di alcune settimane, qualche mese, due-tre mesi, poi
regredisce completamente, ed è il caso di questo pz.

CASO CLINICO: una donna di 48 anni, si reca al pronto soccorso con dolore ingravescente
all’occhio sinistro e una visione sdoppiata intermittente(anamnesi spontanea). Lei racconta che
da 4-5 anni ha cominciato ad avere cefalea frontale e retro-orbitale a sinistra, inizialmente
intermittente, poi quasi quotidiana, negli ultimi tempi era diventata quotidiana.Poi lei aveva
notato, inizialmente sempre in maniera intermittente, dopo alcuni anni di questo dolore, una
ptosi della palpebra di sinistra e una dilatazione della pupilla a sinistra. Aveva notato che ogni
tanto il suo occhio sinistro deviava occasionalmente a sinistra, causando appunto diplopia e la
pz aveva notato che la sua diplopia peggiorava quando guardava verso destra, coprendo
alternativamente un occhio o l’altro, riferiva che le due immagini non si sovrapponevano e
l’immagine dell’occhio sinistro risultava più a destra e in alto rispetto a quella dell’occhio di
destra. Questi sintomi peggiorarono gradualmente diventando da fluttuanti a continui e le
cefalee non regredivano nonostante la paziente arrivasse ad assumere fino a 12 compresse al
giorno di ibuprofene.
C’è questo dolore all’orbita di sinistra frontale, orbitale, retro-orbitale a sinistra. Questa
deviazione dell’occhio di sinistra verso sinistra, quindi con diplopia e poi c’è questa midriasi
nell’occhio di sinistra. A che cosa possiamo pensare? Potrebbe essere il terzo di sinistra. Perché
ha midriasi secondo voi? Qual è l’altra funzione del terzo nervo cranico? C’è la componente
parasimpatica che dà il riflesso alla luce, ma anche il riflesso all’accomodazione. Se io illumino

37
l’occhio di un pz, ho una miosi, ho la risposta diretta, ma anche la risposta consensuale, cioè se
vado a vedere l’altro occhio, anche l’altro occhio mi va in miosi. Come è costituito quest’arco
riflesso? C’è la retina, il nervo ottico, chiasma ottico, tratto ottico, braccio mesencefalico, quindi
un fascio di fibre che vanno direttamente al nucleo pretettale, da questo ai due nuclei di Edinger
e Westphal, nuclei parasimpatici a livello del mesencefalo, dove ci sta il neurone pregangliare.
Quindi prima di arrivare al genicolato laterale, questo fascio di rami che dal tratto ottico va al
nucleo pretettale e dal nucleo pretettale ai nuclei di Edinger e Westphal di tutti e due i lati, di
qui, attraverso il terzo nervo cranico, al ganglio ciliare dove il neurone pregangliare si mette in
connessioni sinaitiche con il neurone postgangliare, che poi va ad innervare il muscolo sfintere
costrittore della pupilla quindi c’è il riflesso fotomore. C’è anche il riflesso di accomodazione
convergenza e qui è implicata anche la corteccia visiva, ma l’efferenza è la stessa, quindi i nuclei
di Edinger e Westphal, però in questo caso è il muscolo ciliare che consente l’accomodazione
da vicino, cioè il cristallino ha il legamento sospensore, normalmente è rilassato il muscolo per
cui il cristallino che è molto elastico, è meno biconvesso. Quando invece accomodo per la
visione da vicino, c’è la contrazione del muscolo ciliare, quindi c’è rilassamento del legamento
sospensore del cristallino, e quindi il cristallino diventa più globoso, più biconvesso. Diventa
una lente biconvessa con una maggiore convergenza dei fasci e quindi accomodo per una
visione da vicino. Questo meccanismo purtroppo con l’età non funziona più perché si
irrigidisce il cristallino e quindi generalmente rimane fisso per la visione da lontano, quindi
bisogna utilizzare le lenti biconvesse, le lenti convergenti per mettere a fuoco da vicino. Quindi
se io oltre ad illuminare, per valutare la motilità intrinseca, fino ad adesso abbiamo parlato della
motilità estrinseca dell’occhio, però nell esame neurologico io devo andare a valutare anche la
motilità intrinseca col riflesso foto motore, quindi vado a vedere se c’è la risposta diretta e
consensuale, e faccio accomodare per la visione da vicino, quindi faccio vedere da lontano e poi
faccio vedere il dito a una distanza di 20-25 centimetri, lo faccio convergere e vedo che ho una
miosi. Perché nel momento in cui io accomodo per la visione da vicino, non solo ho la
contrazione del muscolo ciliare, quindi rilassamento del legamento sospensore, il cristallino che
essendo elastico quindi diventa ancora più globoso, ma ho anche una miosi. Questo è il
simpatico, invece il parasimpatico che effetto ha sulla pupilla? Determina una midriasi. Qual è la
via simpatica che va ad innervare il muscolo dilatatore dell’iride? Il primo neurone è a livello
dell’ipotalamo, quindi c’è tutto un percorso delle fibre simpatiche, dall’ipotalamo attraverso
tutto il tronco dell’encefalo, attraverso i primi mielomeri cervicali, fino a livello di T1- T2 dove
ci sta il neurone simpatico pregangliare, quindi attraverso sostanzialmente le prime due radici
toraciche quindi va al ganglio cervicale inferiore fino al superiore dove incontra, si mette in
connessione sinaptica con il neurone simpatico postgangliare e attraverso il plesso carotideo e
attraverso la divisione oftalmica del quinto nervo cranico, porta le fibre simpatiche al dilatatore
dell’iride e al muscolo tarsale di Muller, perché oltre ad esserci un elevatore della palpebra, che è
un muscolo striato e che è sotto il controllo del terzo nervo cranico, c’è anche un muscolo
liscio, che è un po’ come un’amaca, sostiene l’occhio all’interno della cavità orbitale e mantiene
il tono della palpebra superiore. Quindi oltre all’elevatore della palpebra c’è anche questo
muscolo liscio tarsale di Muller che mantiene sollevata la palpebra ed è sotto il controllo del
simpatico. Questo lo si vede soprattutto in condizioni patologiche, quindi nel caso in cui io ho
38
una lesione dell’innervazione simpatica. La sindrome di Bernard Horner, che è caratterizzata da
miosi perché c’è uno squilibrio tra simpatico e parasimpatico, prevale il parasimpatico quindi ho
una miosi, perde tono il muscolo tarsale di Muller e quindi c’è un minimo di ptosi palpebrale.
Molti autori dicono che non bisognerebbe utilizzare il termine di ptosi palpebrale però in realtà
c’è rispetto all’altro occhio una minima ptosi palpebrale e poi venendo meno questo effetto di
sostegno del muscolo tarsale di Muller, è come se l’occhio fosse un po’ più all’interno
dell’orbita e quindi l’enoftalmo, questo è l’altro elemento della sindrome di Bernard Horner,
quindi miosi, ptosi palpebrale e enoftalmo, quindi per lesione lungo tutta questa via quindi a
partire dall’ipotalamo. Quindi se ho una lesione a livello del tronco dell’encefalo, se ho una
lesione a livello del midollo cervicale o del centro cilio spinale di Budge o a livello della catena
simpatica cervicale o lungo tutto il plesso carotideo, quindi un punto qualsiasi di questo
percorso, io posso avere una sindrome di Bernard Horner.

(sindrome di Bernard Horner)

39
Lezione Neurologia del 6/04/2018
Se c’è una lesione a livello dell’encefalo, del midollo cervicale o del centro cilio-spinale di
Budge, o a livello della catena simpatica cervicale o lungo il plesso carotideo, quindi in un punto
qualsiasi lungo tutto questo percorso, io posso avere una Sindrome oculopupillare di Bernald-
Holder.
In caso di lesione al terzo nervo cranico avrò invece la Midriasi paralitica. Esistono delle lesioni
del terzo nervo cranico parcellari, che potrebbero risparmiare alcuni fasci nervosi, perché i fasci
di fibre che trasportano l’input parasimpatico al muscolo ciliare e al costrittore dell’iride
viaggiano superficialmente al nervo. Se io ho qualcosa che comprime e compromette il nervo,
una delle prime manifestazioni della compromissione del III nervo cranico può essere una
midriasi paralitica, prima ancora dell’interessamento dei muscoli innervati dal terzo nervo cranico,
proprio per questa posizione dei fasci superficiale. Questo accade, ad esempio, in caso di
Aneurisma o di Ernia temporale. Il lobo temporale può erniare attraverso il margine del
tentorio e comprimere il III nervo cranico.
Altro caso: siccome i vasa nervorum entrano nel nervo e ne irrorano la porzione più interna, se
ho un’occlusione di questi, posso risparmiare le fibre nervose parasimpatiche più superficiali.
Per esempio, nella paralisi del III N C in un paziente diabetico caratteristicamente abbiamo
interessamento di tutta la muscolatura extraoculare e il risparmio della motilità intrinseca, quindi
dell’accomodazione, convergenza e del riflesso alla luce.
Torniamo alla nostra paziente. Cefalea fronto-orbitaria sinistra, ptosi palpebrale a sinistra,
midriasi, non ha altri disturbi. Ci aspettiamo all’esame neurologico che non ci sia risposta alla
luce (nessuna costrizione pupillare) nell’occhio sinistro “malato”, con il III nervo cranico
paralizzato; che ci sia in quello controlaterale, perché il nervo ottico funziona, la via efferente è
integra. Quindi illumino l’occhio malato, la retina trasporta l’informazione al nucleo pretettale e
da qui ai due nuclei di Edinger-Westphal dei due lati, quindi l’input arriva all’altro occhio-> ho
la risposta alla luce -> miosi consensuale nell’occhio sano. Se illumino l’occhio sano, non c’è
miosi nell’occhio malato -> MIDRIASI PARALITICA. Inoltre se vado ad analizzare la motilità
oculare, vedo in questa paziente che c’è una limitazione nell’occhio di sinistra, verso l’alto e il
basso, e quindi gli unici muscoli risparmiati dovrebbero essere il retto esterno dell’occhio di sx
(innervato dal VI nervo cranico) e l’obliquo superiore di sx, tutti gli altri dovrebbero essere
compromessi. La lesione di questa paziente era parcellare, non completa. Era interessata
soprattutto l’adduzione, quindi il retto interno, e un po’ meno gli altri muscoli.
Se avessi avuto un problema nel nervo ottico a destra (es. una neurite ottica retrobulbare) e
vado a illuminare l’occhio dx, non ho riflesso né a dx né a sx. Se illumino l’occhio sano, invece,
ho il riflesso sia a dx che a sx.
Ma perché la nostra paziente ha questa paralisi del terzo nervo cranico parziale? Ricordiamo, ha
una storia di cefalea intermitente da circa cinque anni, ma con un antinfiammatorio inizialmente
le passava. Negli ultimi giorni era arrivata a prendere 12 compresse e non le passava più! E’ una
storia di lenta ingravescenza nel tempo, dobbiamo immaginare qualcosa che comprima il terzo
40
nervo cranico. Dura da cinque anni e sicuramente non è un glioblastoma, o un tumore maligno,
che avrebbe decisamente un decorso più rapido. Potrebbe essere un tumore benigno oppure un
aneurisma della comunicante posteriore, questa è la prima cosa a cui bisogna pensare se un
paziente ha un dolore fisso frontale retro orbitale, sempre dallo stesso lato. Il terzo nervo
cranico emerge dal tronco dell’encefalo tra cerebrale posteriore e cerebellare superiore e
affianca la comunicante posteriore fino ad arrivare alla fessura orbitaria superiore, entrando
nell’orbita. La paziente è stata sottoposta a TC che faceva vedere una massa in cima al processo
clinoideo che era molto suggestivo di un aneurisma, poi ha fatto un’angiografia e si poteva
vedere chiaramente l’aneurisma della comunicante posteriore. La paziente è stata poi sottoposta
a intervento chirurgico di clippaggio dell’aneurisma, in pratica i chirurghi hanno chiuso il
“colletto” dell’aneurisma, l’hanno svuotato e la paziente nei mesi successivi gradualmente ha
migliorato le sue condizioni.
Altro caso clinico. Uomo, 74 anni, si sveglia con DIPLOPIA VERTICALE , particolarmente
evidente guardando il basso e verso sinistra, anche qui paziente diabetico e iperteso. Pensiamo
al IV nervo cranico di destra che però origina contro lateralmente a sinistra e in effetti all’E.O.
c’è questa ipertrofia destra e il massimo della deviazione è facendo guardare il paziente in basso
a sinistra.
Uomo, 27 anni, viene all’osservazione del medico per cefalea ingravescente nell’ultima
settimana, soprattutto all’emicapo di sinistro , dolore all’occhio sinistro e DIPLOPIA
ORIZZONTALE. Aveva notato che la congiuntiva dell’occhio sinistro era diventata rossa e
che nei movimenti dell’occhio si accentuava il dolore. Chiediamo al paziente in che direzione
vede doppio: sia verso destra che verso sinistra. Chiudendo alternativamente gli occhi e
guardando verso destra, l’immagine più a destra, quindi quella “falsa”, era quella dell’occhio di
sinistra. Se guardava verso sinistra, lo stesso, l’immagine più a sinistra, “falsa” era quella che
scompariva quando chiudeva l’occhio di sinistra. Non tutti i pz sono così attenti. Spesso dopo
l’anamnesi bisogna passare necessariamente all’esame obiettivo, ma in questo caso era un
paziente giovane e molto attento, questo ci ha aiutato –per come diceva lui- a capire che il
problema era ovviamente all’occhio di sinistra. È una diplopia orizzontale quindi che cosa ci
aspettiamo? Una compromissione di tutti e due i retti, sia interno che esterno (mediale e
laterale) dell’occhio di sinistra. Ricordiamo che quando muove gli occhi lui ha dolore all’occhio
e che è rosso. Forse è un problema soprattutto dell’orbita, a carico dei muscoli dell’orbita!
All’esame obiettivo: deficit dei due retti dell’occhio di sinistra, lui muove l’occhio ma c’è
un’escursione ridotta, c’è congiuntivite. Come indagine neuro-radiologica facciamo una
risonanza con mdc, perché c’è un processo infiammatorio e ho bisogno di altre informazioni.
Vedete che c’è un ispessimento marcato del retto laterale di sinistra e in minima parte anche del
retto mediale di sinistra, ma anche questo è compromesso. Miosite idiopatica che risponde bene
ai cortisonici con remissione della sintomatologia.
Donna, 24 anni, con improvvisa cefalea frontale e dopo poche ore diplopia (la paziente riferisce
essere in tutte le direzioni dello sguardo) E poi riferisce di avere una sensazione di
addormentamento all’emifronte di sinistra, alla fronte, al naso e all’occhio di sx. Possiamo

41
sospettare qualcosa a livello del seno cavernoso. C’è un’oftalmoplegia completa, ossia
interessamento di tutti i nervi cranici, perché ha diplopia in tutte le direzioni. C’è inoltre un
interessamento della prima branca del trigemino, perché avverte “l’addormentamento”
all’emifronte sx. L’esordio acuto in questa donna così giovane può farci pensare ad
un’aneurisma della carotide all’interno del seno cavernoso. Ma se questo aneurisma a livello
della carotide (quindi sangue ad alta pressione) che entra direttamente nel seno cavernoso
dovesse rompersi, dovrebbe accadere che a livello dell’occhio ci sia edema, perché viene
ostacolato il reflusso venoso dall’occhio ci si aspetterebbe una chemosi , un edema
importante della congiuntiva, fino anche al prolasso di questa e all’esoftalmo. Cosa che lei non
ha. Potrebbe essere che l’aneurisma ci sia, si sia sfiancato, abbia compresso alcune strutture, ma
non si sia ancora rotto. Potrebbe anche essere un’emorragia dall’esterno con compressione, ma
non invasione, del seno cavernoso. A questa paziente alcuni anni prima era stato diagnosticato
un Adenoma Ipofisario. Quindi l’altra ipotesi è che abbia avuto un’apoplessia ipofisaria, raro,
ma può succedere. E’ un’emorragia nella loggia ipofisaria con compressione, ma probabilmente
non invasione del seno cavernoso di sinistra.
Ragazzo americano, 17 anni, ubriaco, litiga con la sorella che gli spara al collo un proiettile di
acciaio. Viene portato in pronto soccorso per pneumotorace. All’esame obiettivo il medico nota
un’asimmetria delle pupille. Chiede valutazione neurologica. Ptosi sinistra e miosi reagente alla
luce a sinistra, e ridotta sudorazione all’emifaccia di sinistra. Ipotesi: sindrome di Bernard-
holder di sinistra. Viene fatta un’angiotac (non si poteva fare la risonanza magnetica a causa del
proiettile d’acciaio). Il proiettile aveva probabilmente leso le afferenze simpatiche a livello dei
gangli cervicali.
Uomo, 71 anni, cade a terra e non riesce a rialzarsi. Al pronto soccorso, in stato stuporoso, ha
deviazione dello sguardo verso destra e incapacità di muovere gli occhi oltre la linea mediana
verso sinistra, presentava inoltre paralisi dell’emivolto inferiore di destra e ipostenia a braccio e
gamba di destra, con un Babinski, quindi il riflesso plantare in estensione a destra.
[Segno di Babinski: dorsiflessione dell’alluce in seguito a strisciamento lungo il margine esterno
della pianta del piede fino alla base delle dita .]
Ci immaginiamo una lesione a livello del ponte. Essendo un esordio acuto, possiamo pensare
ad un ictus, un’ischemia, un’emorragia. Se fosse stato a livello emisferico frontale, con
interessamento della corteccia motoria, ma anche dei campi oculomotori frontali, lo sguardo
sarebbe dovuto essere verso il lato della lesione, dove c’è stato l’ictus (si dice che il paziente
“guarda la lesione”), mentre l’emiparesi è contro laterale . In questo caso,invece, è tutto verso
destra e la lesione è pontina. Noi abbiamo detto che i campi oculomotori di un lato si mettono
in connessione con il centro pontino contro laterale e porta gli occhi contro lateralmente. Se la
lesione è pontina, lo sguardo è deviato dallo stesso lato dell’emiparesi (“sguardo verso
l’emiparesi, dalla parte opposta alla lesione” in fase acuta). Dunque: lesione ischemica sinistra a livello
del centro pontino. Caratteristicamente è compromesso soltanto mezzo ponte, le arterie
paramediane di un solo lato, un solo territorio vascolare.

42
Uomo, 70 anni, da alcuni mesi a questa parte vede doppio, in maniera intermittente. A volte
vede le immagini una accanto all’altra, altre volte una sopra e una sotto [diplopia verticale;
diplopia orizzontale], a volte in maniera diagonale. Il disturbo non è costante. Quando c’è può
durare anche per un’ora o due, poi sparisce. Ha notato che a volte una delle due palpebre è più
abbassata rispetto all’altra, altra volte no. Dove localizziamo la lesione? Può essere un problema
di tronco nervoso? No, perché è molto variabile questa diplopia, dovrebbe essere una volta il
III nervo cranico, una volta il VI, una volta il IV. Potrebbe essere un problema di muscolo, di
distrofia muscolare? Dovrebbe essere lentamente ingravescente. Può essere una miosite, come
nel caso del paziente precedente? Non sembra, perché quel paziente aveva avuto un esordio
subacuto, con dolore, con congiuntivite, con remissione post-farmacologica. Potrebbe essere
un disturbo centrale? Non ci spiegheremmo questa intermittenza. L’ipotesi più probabile è che
sia un problema a livello della placca motrice, in maniera particolare ad una Miastenia, l’unica
che può spiegarci questo interessamento così variegato. E’ una malattia autoimmune che ha
come bersaglio i recettori post-sinaptici a livello della placca neuromuscolare. L’anticorpo si
lega al posto dell’Ach sui recettori nicotinici, impedendo la fuoriuscita del Ca2+ e il
raggiungimento della soglia di attivazione del potenziale di placca che porta poi alla contrazione
muscolare. C’è inoltre attivazione del sistema del complemento, uno stato generale di
infiammazione a questo livello, un aumentato turnover dei recettori nicotinici. A livello
istologico, la placca neuromuscolare di un paziente con miastenia è completamente
disorganizzata, soprattutto se la lesione è di vecchia data. Questa fluttuazione è caratteristica
della miastenia. Altro elemento importante è la facile affaticabilità, la mattina sta bene, nel
pomeriggio o mentre legge o mentre vede la televisione è più facile che veda doppio. Esiste una
forma oculare di Miastenia, che colpisce isolatamente la muscolatura extraoculare. Oppure nel
60% dei casi ci può essere un esordio oculare di una Miastenia generalizzata, con conseguente
interessamento di tutti i muscoli del corpo, soprattutto la muscolatura prossimale e del tronco,
e poi anche disfagia, disartria, ipofonia. Ci sono dei test per testare l’affaticabilità e rendere
evidente questo aspetto caratterizzante della miastenia.
Fate guardare il paziente verso l’alto per diversi secondi, e poi verso il basso. Dato lo sforzo
fatto dal paziente miastenico per elevare l’occhio e la palpebra verso l’alto, ci sarà
un’accentuazione della ptosi palpebrale.
Per la legge Hering, se voi provate a dare al paziente lo stesso input nervoso da ambo i lati e poi
sollevate la palpebra ptosica da un lato, vedete che dall’altro lato automaticamente l’altra
palpebra si risolleva.
Se fate guardare il paziente da un lato per diversi secondi, dopo un certo periodo di tempo il
paziente si affatica e compare una sorta di nistagmo, cioè l’occhio tende a scivolare verso la
linea mediana e poi a ritornare nell’estrema lateralità, fino al punto in cui non riesce più a
portare l’occhio nell’estrema lateralità.
Se provate a fare aprire e stringere il pugno della mano, oppure a sollevare più volte, a un certo
punto non ce la fa più, come se fosse quasi una paralisi, è costretto a fermarsi, recuperare un
po’ e poi può riprovare. Man mano che parla, diventa sempre più ipofonico, diventa disartrico
43
perché aumenta la difficoltà a muovere la lingua, diventa rinolalico, cioè l’aria sfugge attraverso
il naso e si può avere la cosiddetta rinolalia aperta.
[segue momento slide, in cui fa vedere delle immagini di Facies miastenica]
Quando il paziente cerca di sorridere, il cosiddetto “ghigno” miastenico, alza le sopracciglia per
compensare la ptosi palpebrale. Inoltre, mentre quando noi sorridiamo tendiamo a sollevare gli
angoli delle labbra verso l’alto, i miastenici non riescono.
Se faccio chiudere gli occhi al paziente, c’è un’insufficienza del muscolo orbicolare delle
palpebre innervato dal VII nervo cranico e inoltre insufficienza dei muscoli extraoculari, la
cosiddetta “sbirciata”. Il paziente non riesce a chiudere completamente le palpebre, come
dovrebbe accadere normalmente, si affatica e ogni tanto li riapre come se volesse dare una
sbirciata, in realtà le palpebre si riaprono spontaneamente chiaramente, senza la volontà del
paziente.
Altri segni oltre l’abnorme affaticamento: la fronte corrugata per la ptosi palpebrale e la bocca
aperta, a causa dell’ipostenia dei muscoli della masticazione; la compromissione oculare è asimmetrica.
A destra probabilmente c’è un’insufficienza del retto esterno, a sinistra ptosi palpebrale,
strabismo convergente. La palpebra superiore può essere considerata normale, non ptosica, se
copre per 1-2 mm il limbus corneale, mentre la palpebra inferiore deve essere a livello del
limbus.
Altro segno. L’esaminatore fa guardare il paziente a destra,poi a sinistra. C’è un’oftalmoplegia,
ma quando l’esaminatore sposta la penna da destra a sinistra, c’è un movimento rapidissimo e
poi rallenta, tipico della miastenia.
Test al Tensilon per la diagnosi di miastenia gravis. Il tensilon è un inibitore dell’ AchE, a breve
emivita, l’effetto dura 5-10 minuti. Si inietta Edrofonio (o tensilon) in vena e nei pazienti con
miastenia gravis immediatamente scompare il disturbo, scompare l’oftalmoplegia e i movimenti
sono rapidi. Attenzione ad alcuni falsi positivi in alcune patologie (neuropatie o nella Sindrome
di Lambert-Eaton ).
Diagnosi di miastenia: test al Tensilon. Poi si vanno a ricercare gli anticorpi anti-recettore
nicotinico, non sempre sono positivi. Nella forma generalizzata ci sono quattro gradi: lieve,
moderata, severa, gravissima. E per ognuna di questi di gradi c’è la forma con e senza
interessamento dei muscoli bulbari. Nella forma gravissima il paziente dev’essere ospedalizzato
perché in pericolo di morte per insufficienza respiratoria, le cosiddette crisi miasteniche,
repentino aggravamento della sintomatologia e per evitare di perdere il paziente si deve
intervenire immediatamente con l’intubazione. Crisi miasteniche possono essere dovute ad
infezioni, a traumi o in seguito a sospensione brusca della terapia. Poi esistono le crisi colinergiche,
con continua depolarizzazione di membrana a causa di un sovradosaggio del farmaco di prima
scelta, inibitore dell’acetilcolinesterasi, in particolare il Mestinon (piridostigmina) o la neostigmina,
che quindi fanno “sostare” più a lungo l’Ach nello spazio intersinaptico, anche più del dovuto
se non faccio attenzione alla dose , oltre a tutti poi gli altri effetti collaterali degli anticolinergici

44
(vomito, diarrea, sudorazione, tachicardia ecc). In ca. il 60% dei pazienti con miastenia oculare
gli anticorpi anti –recettore dell’Ach sono positivi. Nelle altre forme siamo attorno all’80-90%. Ad
ogni modo, non tutti sono positivi e in questi casi bisogna ricercare altri anticorpi, es. anticorpi
anti MUSK, tirosinchinasi di membrana la cui funzione non è ben nota ; anticorpi anti-agrina;
anticorpi anti-lrp4. Queste tre proteine (MUSK, agrina ed lrp4) formano un complesso che
consente il corretto clustering delle varie subunità del recettore per l’Ach. Se si formano gli
anticorpi contro le componenti di questo complesso, si avrà un clustering errato dell’AchR e
l’attivazione del complemento con conseguente stato infiammatorio generalizzato.
Seconda strategia terapeutica che può essere utilizzata nella miastenia se il farmaco di prima
scelta anticolinesterasico non funziona, è la terapia con immunosoppressori (ciclosporina,
azatioprina, ecc), oppure soprattutto in caso di crisi miastenica (emergenza/urgenza) si fa la
plasmaferesi oppure l’iniezione di Immunoglobuline. Ulteriore possibilità, solo in pazienti che
hanno superato la pubertà e con età inferiore a 60 anni , si può fare la Timectomia. Se c’è un
timoma, viene fatta a prescindere. Talvolta però può esserci soltanto un’iperplasia e in un
soggetto giovane la timectomia può essere un’altra strategia. In ca il 50-60% dei pazienti trattati
in questo modo si ottiene una remissione completa, dopo diversi mesi.
Controindicati assolutamente perché fanno precipitare la patologia in una crisi miastenica sono:
INF-alfa, la tossina botulinica, la penicillamina, la telitromicina.
Altro elenco di farmaci da usare con cautela: agenti bloccanti neuromuscolari (succinilcolina, d-
turbocurarina), gli antiaritmici (chinidina, procainamide) , antibiotici (amminoglicosidi,
ciprofloxacina, levofloxacina, macrolidi), i beta-bloccanti, i calcio-antagonisti, i Sali di magnesio,
il litio.

CASO CLINICO
Paziente di 74 anni comincia ad avere difficoltà a camminare ( “ a staccare i piedi da terra”),
tant’è che certe volte inciampa. All’inizio era in grado di camminare autonomamente, seppur
con fatica, tuttavia negli ultimi mesi è costretto a camminare col bastone. Inoltre non riesce a
trattenere le urine . In più i famigliari hanno fanno notare che tende, più del solito, a
dimenticarsi le cose.

Ricapitolando:
-andatura strisciante

- urgenza minzionale

- disturbi di memoria

45
Il coinvolgimento della memoria ci porta a pensare che la sede della lesione sia centrale.Ad
esempio nella mielopatia da spondilo-disco-artrosi, il paziente può manifestare sia l’urgenza
minzionale sia i disturbi dell’andatura. Ma per quanto concerne la componente cognitiva, il
midollo non ci dà nessuna correlazione.

• Potrebbe essere una demenza del tipo Alzheimer ?


I disturbi motori e della minzione tendono in genere ad insorgere più tardivamente,
mentre in questo caso costituiscono la presentazione clinica.

• Può essere una malattia di Parkinson?


In genere nelle fasi iniziali si tratta di un disturbo prevalentemente motorio, senza
coinvolgimento cognitivo.
Questo perché le malattie neurodegenerative sono caratterizzate da uno “spopolamento
neuronale” di natura apoptotica. Tale processo si avvia in alcune zone neuronali, per poi
estendersi ad altre. Nell’Alzheimer inizia a livello dell’ippocampo con deficit della memoria
episodica a breve termine, per poi interessare tutte le altre strutture corticali. Nel Parkinson ,
invece , il processo degenerativo inizia nella substantianigra , con comparsa di disturbi
motori; con il passare del tempo compaiono disturbi cognitivi.

Pertanto saremmo indotti a pensare che il paziente stia manifestando un esordio di malattia
di Parkinson. In realtà, in quest’ultima, il tempo che intercorre tra la comparsa dei segni
motori e cognitivi è di circa 10 anni, non in linea con quanto riferito dal paziente. Il discorso
varia con i parkinsonismi.

• Potrebbe essere un parkinsonismo?


L’esordio è infatti tipicamente quello di un parkinsonismo , in quanto coinvolge gli arti
inferiori. Tuttavia nell’arco di un anno , non vi è stato anche il coinvolgimento degli arti
superiori. Inoltre il paziente non riferisce lentezza nel movimento, tantomeno rigidità ,
elementi cardine dei parkinsonismi. Anche se, va detto, che i disturbi della memoria nei
parkinonismi tendono a presentarsi più precocemente.

46
• Potrebbe essere un idrocefalo normoteso?
Il termine idrocefalo normoteso è stato coniato nel 1965 , perché caratteristicamente presentava
una dilatazione ventricolare ; però andando a misurare la pressione liquorale, era nei limiti della
norma.
La triade di questa patologia prevede:

1) aprassia della marcia

2) urgenza minzionale

3) demenza
Si riconoscono delle forme idiopatichein cui tutte le indagini effettuate sono negative, a parte i
segni inerenti all’alterato circolo del liquor.

Mentre nelle forme secondarie , può insorgere come complicanza tardiva di :emorragia
subaracnoidea, trauma, meningite , neoplasie (cfr. meningite carcinomatosa,
metastasi),interventi chirurgici , etc.

47
APRASSIA DELLA MARCIA

Il paziente sembra aver dimenticato come si fa a camminare. Tende ad avere la base allargata,
aspetto non tipico del Parkinson. Tende a sollevare poco il piede da terra (marcia magnetica) ,
ha difficoltà ad alzarsi dalla sedia/dal letto. Ha il fenomeno del freezing , caratteristico del
Parkinson: quando si trova dinanzi ad un ostacolo virtuale, si blocca. Tende a camminare a
passettini, come se volesse staccare i piedi da terra. Tende ad avere anche instabilità posturale
con retro- o antero-pulsione.
Quando cambia direzione tende a “festinare”( aumenta la frequenza del passo).

In definitiva questo corteo di segni tende a mimare un parkinsonismo.

La frequenza della patologia tende ad aumentare con l’età:al di sopra dei 65 anni è più o meno
dello 0.2% , mentre negli over 80 tende ad essere del 6 % . Negli USA i pazienti sono circa
700.000 , quelli con MS sono circa 400.000. Non tutti i soggetti vengono operati ( solo 1/3 ) .
L’andatura migliora nettamente con l’intervento.
DISTURBI DELLA MINZIONE

Deve esserci una minzione imperiosa. Una perdita di urina saltuaria deporrebbe a sfavore
dell’idrocefalo normoteso.
DISTURBI DELLA MEMORIA

Il disturbo differisce da quello della malattia di Alzheimer; in quest’ultima anchese il paziente


viene facilitato, tende comunque a non ricordare. Ad esempio, in caso di idrocefalo normoteso, si
sottopone il paziente altest delle tre parole.Se si danno indizi sulle parole che non riesce a
ricordare ( ex: la parola che non ricorda è “cane” ; lo informiamo che si tratta di un animale
domestico). In tal caso il paziente riesce a ricordare, a differenza di quanto avverrebbe nella
malattia diAlzheimer.

E’ una demenza sottocorticale con rallentamento del processing delle informazioni. Sono
particolarmente interessate le funzioni esecutive, controllate dalle aree prefrontali.
IMAGING
L’indagine di elezione è la RM. C’è una
netta sproporzione tra la dilatazione
ventricolare e i solchi cerebrali.
Mentre nella malattia di Alzheimer l’atrofia è

48
di tipocortico/sottocorticale ( soprattutto corticale) , interessando l’encefalo nella sua globalità.
Ci sono delle aree più colpite rispetto ad altre: tra le prime predominano lefrontoparietali. I lobi
occipitali caratteristicamente sono risparmiati nelle fasi iniziali.

SEGNI TIPICI ALLA RISONANZA MAGNETICA


Si apprezza iperintensitàperiventricolare: rappresenta liquor che trasuda dagli spazi
ventricolari e tende a raccogliersi nell’intestizio. In alcuni casi tende a raggiungere la corteccia,
come se tentasse di cercare un’altra via di deflusso.

Un altro aspetto è l’ampliamento del terzo ventricolo.

Vi è discrepanza tra i solchi:ci sono solchi che risultano sfiancati (scissura di Silvio) ed altri che
tendono ad apparire più ristretti (“ solchi virtuali ” ).

Inoltre nelle scansioni saggitali si apprezza un aspetto


“rotondeggiante” del corpo calloso.

C’è un indice che viene misurato : l’indice di Evans.


Questo misura il rapporto tra il diamentro massimo dei
corni ventricolari frontali ( 4.4 cm) e quello dell’encefalo( 13.7 cm). Se questo indice supera 0.3 ,
pur non essendo patognomonico, ci dice che è presente uno slargamento ventricolare superiore
al normale.

In RM è molto utile la sequenza Flare. Inoltre si può utilizzare la flussimetria liquorale. C’è anche
un segnale vuoto dell’acquedotto di Silvio che appare ipointenso, artefatto dovuto all’elevato
flusso al suo interno. Grazie alla flussimetria possiamo notare la dinamica liquorale ed
evidenziare tale alterazione.

Perciò nella diagnosi dell’idrocefalo normoteso la clinica ( la triade è suggestiva) insieme


all’imaging ci permette di fare la diagnosi.

Esistono situazioni che possono simulare questo quadro. Un interessamento più diffuso della
sostanza bianca , si può avere nella malattia cerebrovascolare, con leucoaraiosi .

49
L’idrocefalo normoteso è una delle poche forme di demenza trattabile. La terapia è chirurgica.
Bisogna selezionare accuratamente i pz che possono beneficiare dell’intervento mediante:

▫ La clinica
▫ LaRM
▫ Il TAP test.
TAP test(Test di sottrazione liquorale)
Consiste nel fare una sottrazione liquorale: sottopongo il pz a puntura lombare ed estraggo dai
30 ai 50cc di liquor.
Bisogna esaminare il pz prima del TAP test e dopo, a distanza di alcune ore dalla sottrazione
liquorale:
Osservo il pz mentre cammina:
▫ posso fare un filmino;
▫ o posso registrare una serie di parametri:
- misuro con un cronometro il tempo che il pz impiega per passeggiare per 6 metri;
- conto i passi (il pz in genere procede a passettini, dopo l’intervento allunga il passo e
soprattutto riesce a sollevare meglio il piede dal suolo e a portarlo avanti, riesce meglio
ad alzarsi e a sedersi sia dalla sedia che dal letto), misuro una serie di parametri prima
del TAP test e poi dopodiché li rimisuro a distanza di alcune ore.

Se questi parametri migliorano, allora significa che è un ottimo candidato all’intervento (può
trarre beneficio dall’intervento) e quindi andando a mettere su due piatti della bilancia rischi e
benefici sicuramente i benefici sono di più.

In alternativa,attraverso un piccolo intervento chirurgico, possoeseguire il monitoraggio


continuo della pressione liquorale (PIC pressione intracranica)nelle 24 ore, andando a
inserire un rilevatore di pressione direttamente a livello ventricolare o a livello lombare. Quando
si fa questo si vede che nell’idrocefalo normoteso in realtà l’incremento di pressione è
“pulsante” (di breve durata), è per questo che poi i primi ricercatori (Adams nel 1965) quando
hanno descritto la malattia avevano parlato di idrocefalo normoteso (a pressione liquorale
normale), perché quando lui aveva fatto la rilevazione la pressione risultava normale, ma in
realtà se si fa la rilevazione nelle 24h si vede che c’è un incremento pressorio ma non è costante
nell’arco della giornata.

Un’altra possibilità è quella di fare, sempre a livello lombare, un’infusione di soluzione


fisiologica e registrare la resistenza all’infusione (questo è indicativo di un idrocefalo
normoteso).

L’intervento di elezione è sicuramente la derivazione ventricolo-peritoneale, però, essendo


questa una tecnica che ha comunque le sue complicanze, in particolari condizioni è possibile
fare anche un altro tipo di intervento, che è la ventricolostomia endoscopica: si pratica un

50
foro di trapano a livello della calotta cranica, si inserisce un endoscopio in uno dei
ventricoli,attraverso il forame di Monro si arriva a livello del terzo ventricolo, si evidenzia il
pavimento del terzo ventricolo (che è molto sottile), si fa un forame a questo livello, quindi si
esegue di fatto una derivazione ventricolo-cisternale(e quindi si crea uno shunt).Questo
intervento in casi selezionati funziona molto bene e non è gravato da tutte le complicanze che
invece ci possono essere con la derivazione ventricolo-peritoneale.
Il professoremostra una tabella (tratta da una review) nella quale vengono elencati i principali
elementi differenziali tra il Morbo di Parkinson e l’idrocefalo normoteso (l’andatura del pz è
simile in queste due condizioni; è importante la diagnosi differenziale in quanto tali patologie
richiedono una differente terapia, se un pz ha il Morbo di Parkinson non ha nessun senso
sottoporlo agli interventi di cui sopra):

▫ La prevalenza: il Morbo di Parkinson è molto più frequente rispetto all’idrocefalo


normoteso. Gli autori di questa revisione parlano di 2 casi su 1000 per l’idrocefalo
normoteso in pz con più di 70 anni e 10 casi su mille per quanto riguarda il morbo di
Parkinson nei soggetti tra i 70 e i 79;
▫ L’età di esordio non è un elemento discriminante
▫ I disturbi urinari:(non èun elemento discriminante) sono presenti nell’idrocefalo normoteso
e si hanno anche nel morbo di Parkinson(il sintomo principale nel Parkinson è l’urgenza
minzionale, che compare tardivamente rispetto all’esordio dei sintomi);
▫ Le funzioni cognitive: nell’idrocefalo normoteso sono compromesse soprattutto le
funzioni esecutive(funzioni frontali), nel morbo di Parkinson, sempre dopo alcuni anni
dall’esordio, possono essere compromesse appunto le funzioni frontali, ma può anche
esserci una compromissione più globale delle funzioni cognitive(nelle fasi più
avanzate della malattia);
▫ La bradicinesia: il 62% dei pz conidrocefalo normoteso può presentare una bradicinesia
che compromette gli arti inferiori simmetricamente(i due arti inferiori sono
egualmente compromessi). La simmetria dell’interessamento è un elemento caratteristico
dell’idrocefalo normoteso;
▫ Il tremore a riposo: è assente nell’idrocefalo normoteso, mentre è una caratteristica
abbastanza frequentenei pz con Morbo di Parkinson(è presente in almeno il 60% dei pz),
anche se non sempre è presente;
▫ La rigidità:l’esame neurologico degli arti inferiori eseguito al letto del pzcon idrocefalo
normotesonon evidenzia la presenza di segni neurologici, il pz non ha nessuna
difficoltà,riesce a muovere i piedi, riesce a pedalare su comando, i riflessi sono normali,
non c’è il segno di babinsky, non c’è rigidità, o comunque è rara.Però quando il pz
camminaha un’andatura caratteristica.
▫ Le allucinazioni nell’idrocefalo normoteso sono assenti
▫ Le disfunzioni corticali(afasia, agnosia ,aprassia)nell’idrocefalo normoteso sono assenti
(a parte il disturbo di memoria e il deficit delle funzioni esecutive, non ci sono altri
deficit sostanziali)
51
▫ La risposta alla Levodopaè un elemento caratteristico della diagnostica differenziale:
nel morbo di Parkinson c’è risposta alla levodopa, mentre nell’idrocefalo normoteso la
risposta non c’è o,se c’è,è minima.
▫ La base d’appoggioè allargatanell’idrocefalo normoteso mentre invece è ristretta nel
Morbo di Parkinson.
▫ Il pendolamento degli arti superiori nel camminare è normale nell’idrocefalo
normoteso, mentre invece tende ad essere di molto abolito nel Morbo di Parkinson.
Questi sono gli elementi principali che ci consentono di distinguere il morbo di Parkinson
dall’idrocefalo normoteso, a parte la RM che abbiamo detto essere estremamente caratteristica.
IDROCEFALO NORMOTESO SECONDARIO -EZIOLOGIA:
- Emorragia subaracnoidea (è la forma più frequente)
- Traumi cranici
- Neoplasie e la chirurgia connessa
- Meningo-encefaliti
- Malattie Cerebrovascolari
- Emorragia cerebrale
- Altri interventi chirurgici a livello cerebrale
Non tutte le forme di idrocefalo normoteso secondario rispondono bene al trattamento: sicuramente in caso di
idrocefalo secondario a emorragia subaracnoidea la percentuale di soggetti che rispondono
al trattamento è abbastanza alta, mentre,per esempio, in caso di malattia cerebrovascolareè
molto bassa(il 64% dei pz trae beneficio dall’intervento chirurgico).

CASO CLINICO-DEMENZA A CORPI DI LEWY


Pz di 65 anni che nell’ultimo anno si è notevolmente rallentato nei movimenti e presenta ogni
tanto degli episodi in cui appare confuso, disorientato, dice di vedere animali o persone che
vengono in casa (dice di vedere i ladri che vengono in casa che lo vogliono derubare, che lo
vogliono uccidere) per cui ovviamente diventa particolarmente agitato (informazioni riferite dal
familiare del pz, in quanto il pz non si rende conto di queste problematiche).Ci sono quindi dei
momenti in cui il pz è più o meno presente e dei momenti in cui è invece molto confuso,
dimentica facilmente le cose, non arriva a riconoscere i volti dei familiari.
Il rallentamento, l’irrigidimento a che cosa vi fa pensare?
Al Morbo di Parkinson. Triade classica sintomatologica del Morbo di Parkinson:
▫ Tremore
▫ Rigidità
▫ Bradicinesia

Nel morbo di Parkinson distinguiamo due forme:


- la forma tremorigena, in cui prevale il tremore
52
- la forma rigido-acinetica, in cui prevalgono la rigidità e la bradicinesia
Nel casoclinico considerato non c’è il tremore: è una forma rigido-acinetica.
In sintesi abbiamo da circa un anno:
• Disturbo del movimento (segni di parkinsonismo: rigidità, bradicinesia)
• Fluttuazione delle funzioni cognitive: alternanza tra momenti in cui è presente, risponde
correttamente, in maniera congrua a quello che gli si chiede e momenti invece in cui è
particolarmente confuso, agitato, distratto (anche disturbi dell’attenzione)
• Allucinazioni visive (vivide).
Questa triade è caratteristica di una forma particolare di demenza: la DEMENZA A CORPI
DI LEWY, che secondo alcuni autori sarebbe la seconda in ordine di frequenza rispetto alla
malattia di Alzheimer, secondo altri invece sarebbe al terzo posto dopo la demenza vascolare.
In realtà si è osservato nei riscontri diagnostici post mortembasati sull’esame
anatomopatologico che è una patologia molto più frequente di quello che sembra a livello
clinico. Quindi non sempre viene fatta correttamente la diagnosi perché si confonde anche con
la malattia di Alzheimer.

CRITERI DI MCKEITH DEL 2017 per la diagnosi di demenza con corpi di Lewy (i
criteri diagnostici precedenti, sempre elaborati da Mc Keith risalgono al 2005).

▪ È essenziale che sia presente una demenza* definita come un “progressivo declino cognitivo di
sufficiente intensità da interferire con le funzioni sociali o occupazionali del pz o con le attività della vita
quotidiana”.
[*DIGRESSIONE SULLA DIFFERENZA TRA DEMENZA E DETERIORAMENTO
COGNITIVO LIEVE
La volta scorsa quando abbiamo parlato di demenze e di deterioramento cognitivo lieve
abbiamo detto che la differenza consiste proprio in questo. In entrambi c’è una caduta ai vari
test per le funzioni cognitive, che può riguardare anche una sola funzione cognitiva (nel DSM
IV: la memoria più un’altra funzione cognitiva; nei nuovi criteri: basta un’unica funzione
cognitiva). Potrebbe anche essere un disturbo comportamentale (ne esistono tanti). In alcune
forme di demenza i primi disturbi possono essere dei disturbi comportamentali: demenza
frontotemporale classicamente o la variante atipica dell’Alzheimer (variante frontale,
comportamentale dell’Alzheimer). In queste due forme di demenza i primi disturbi sono dei
disturbi comportamentali, se io vado a fare una batteria di test neuropsicologici i pz risultano
perfettamente normali. Quindi la differenza tra il deterioramento cognitivo lieve e la demenza
è la conservata funzionalità nelle attività della vita quotidiana, nel lavoro, nel sociale, ma soprattutto nelle
attività strumentali (l’uso del telefono, la spesa etc.). Perché si parli di demenza devono essere
quindi compromesse queste funzioni. Il disturbo della memoria non necessariamente deve
esserci nelle fasi inziali della malattia, ma diventa evidente in seguito con la progressione della
malattia. Mediante dei test che valutano l’attenzione, le funzioni esecutive, le abilità

53
visuopercettive, soprattutto nelle fasi iniziali, si possono dimostrare dei deficit in queste
funzioni.]

SINTOMI CARDINE

▪ Fluttuazione delle funzioni cognitiveassociata a deficit dell’attenzione e della


vigilanza (caratteristiche tipiche della patologia). Bisogna porre particolare attenzione
perché può capitare che se si esamina il pz nella fase in cui le funzioni cognitive sono
normali non si coglienessun disturbo.
▪ Allucinazioni visive ricorrenti (altro elemento cardine) che sono tipicamente vivide,ben
formate, dettagliate, in 3D, colorate, è come se effettivamente vedesse illadro che entra in
casa e lo vuole derubare.
▪ Disturbi comportamentali nel sonno REM (altro elemento caratteristico, è stato
introdotto con questa revisione, mentre nei criteri precedenti non c’era):
normalmentedurante il sonno REM, si ha una riduzione del tono muscolare;in questi pz
non avviene questa fisiologica riduzione del tono e di conseguenza partecipano ai loro sogni
(se in quel momento stanno sognando di prendere a pugni un aggressore danno pugni, calci
durante il sonno). Quindi possono essere pericolosi per sé stessi ma anche per chi dorme
affianco a loro.
▪ Parkinsonismo (altro elemento importante), più frequentemente con bradicinesia o
rigidità, mentre iltremore a riposo è raro.

CARATTERISTICHE CLINICHE DI SUPPORTO (sono altri elementi che aiutano nella


diagnosi e sono abbastanza frequenti nella malattia):
▫ Una particolare sensibilità agli agenti anti psicotici. Il trattamento di questi pz è
davvero difficile perché loro hanno i segni del Parkinson, quindi hanno rigidità,
bradicinesia etc. quindi dovrebbero essere trattati con i farmaci antiparkinsoniani, quindi
gli agonisti recettoriali della dopamina (L-DOPA). Questi farmaci però come effetto
collaterale scatenano le allucinazioni. Se il pz ha le allucinazioni e io provo a dare un
antipsicotico(soprattutto con i vecchi antipsicotici, in minor misura con gli antipsicotici
atipici) immediatamente si accentua il parkinsonismo. Quindi è particolarmente difficili
trattarli.
▫ Instabilità posturale (frequenti cadute)
▫ Episodi transitori di perdita della coscienza o sincopi
▫ Disfunzioni autonomiche (ad esempio: costipazione, ipotensione ortostatica,
incontinenza urinaria) sono tra le condizioni associate più importanti
▫ Ipersonnia
▫ Iposmia
▫ Allucinazioni
▫ Apatia
54
▫ Ansia
▫ Depressione
L’altro elemento che differenzia i nuovi criteri da quelli vecchi è l’introduzione del biomarker.
Unbiomarker“è un parametrochimico, fisico o biologico oggettivo e misurabile legato ad un processo fisiologico
o fisiopatologico oppure alla risposta a un trattamento farmacologico”.
ESEMPI DI BIOMARCATORI RADIOLOGICI: l’atrofia dell’ippocampo, caratteristica del
morbo di Alzheimer; la dilatazione ventricolare con iperintensitàperiventricolare,
caratteristica dell’idrocefalo normoteso.
A proposito della malattia di Alzheimer (AD) recentemente sono stati introdotti dei bio-
marcatori umorali, che si ricercano nel liquor dei pz:se si ha una riduzione dei livelli della β-
amiloide (1-42) e un incremento della proteina tau τ totale e τfosforilata questo è molto
suggestivo di AD.
Sin dalla prima descrizione che fece Alzheimer, sappiamo che elementi neuropatologici
caratteristici della patologia sono i grovigli neurofibrillari, e quindi la deposizione di τ
patologica sotto forma di doppia elica e laβ-amiloide, in maniera particolare ci sono vari
frammenti ma l’1-42 è quello che sembra essere più patologico di tutti gli altri ed è quello che
viene ricercato nel liquor dei pz.
Ad aprile di quest’anno sono usciti i nuovi criteri del NIA-AA(National Institute on Aging-
Alzheimer'sAssociation) che introducono una serie di biomarcatoriin base ai quali classificare in
gruppi diversi ipz affetti da Alzheimer basandosi sui livelli di amiloide β e di tau fosforilata.
Altre metodiche utili sono:

▪ La PET con FDG mostra nell’Alzheimer una ridotta captazione in regione temporo-
parietale, nella demenza a corpi di Lewy mostra una ridotta captazione a livello occipitale.
▪ La SPECTcon DAT-SCAN è una metodica che utilizza un radiofarmaco che va a
legarsi al trasportatore per la dopamina a livello striatale. Nella demenza da corpi di Lewyci
permette di osservare una ridotta captazione a livello striatale. Questo aspetto è assente
nella malattia di Alzheimer. Nella demenza a corpi di Lewy osserviamo degenerazione
più o meno estesa in particolar modo a livello occipitale ed a livello delle proiezioni
nigrostriatali dopaminergiche. La dopamina viene rilasciata a livello dei terminali
sinaptici di queste proiezioni e ricaptata da DAT, per questo i ligandi che somministro
sono poco captati.
E’ bene ricordare che tutte queste metodiche non sono dotate di elevata sensibilità e specificità.
Dunque possono essere solo di ausilio per la diagnosi, che è comunque basata sempre su criteri
clinici.
Nell’ambito dellademenza a corpi di Lewyed Alzheimer possiamo osservareipoperfusione
occipitale con risparmio della porzione più posteriore del cingolato al contrario dell’Alzheimer
dove si osserva atrofia dell’ippocampo

55
TC o RMN

▪ TCl'ippocampo apparirà atrofico con slargamento dei corni temporali (cosa che non
succede caratteristicamente della demenza con corpi di Lewy), con aree iperdense.
Sicuramente suggestivo di malattia di Alzheimer è un'atrofia corticale ma può esserci
anche un interessamento sottocorticale. Bisogna stare attenti perchè un'atrofia non vuol
dire che il soggetto sia affetto necessariamente da una demenza. Molti soggetti anziani
possono avere quello che è definito leucoaraiosi. Nella demenza con corpi di Lewy si
riscontrerà l’atrofia del putamen, caratteristica della malattia. Nella demenza fronto-
temporale l’atrofia sarà a livello dei due lobi frontali con l’assottigliamento delle
circonvoluzioni a livello frontale, un po’ meno interessata la regione temporale.
▪ RMN le aree atrofiche appariranno ipointense alla RMN in T1
▪ PET con FLUORO-DOPA. La DOPA marcata a livello dello striato viene ricaptata
e trasformata in dopamina marcata. In caso di degenerazione nigrostriatale si avranno
ridotti livelli di dopamina marcata
▪ PET con dei ligandi per l'amiloide Il pitzburg compound B è un ligando
dell'amiloide. In alcuni casi con la RMN il quadro del controllo negativo e quello con
malattia di Alzheimer sono sovrapponibili, se si effettua la PET con FDG si vede che c'è
una riduzione della captazione a livello frontale e temporale, però la differenza non è
netta rispetto al soggetto normale. Con la PIB-PET la differenza sarà evidente.
Sembrerebbe che la PIB-PET possa distinguere i soggetti con deterioramento cognitivo lieve che
evolveranno nell' Alzheimer da quelli che non evolveranno. L'uso di PIB potrebbe aiutare (ancora
in fase sperimentale) a distinguere gli MCI converter, dove la deposizione del ligando è
maggiore, che presumibilmente evolveranno, dai non converter.
La PIB-PET può aiutare la diagnostica differenziale tra varie forme di demenza. In un soggetto
normale o con demenza fronto-temporale, l’accumulo di PIB è ridotto a causa dello scarso
deposito di amiloide. I pazienti con demenza a corpi di Lewy o con Alzheimer l’amiloide si
accumula maggiormente, più nel soggetto con Alzheimer ma si avrà riscontrerà anche nella
demenza con corpi di Levy.

IODIO 123 MIBG (meta-iodio-benzil-guanidina) TOTAL BODY : valutazione di


carattere scintigrafico che si concentra su cuore fegato e mediastino. Nella demenza a corpi di
Lewy il rapporto di captazione tra mediastino e cuore risulta ridotto rispetto all’Alzheimer,
laddove è normale.
Si fa diagnosi di probabile demenza di corpi di lewy se sono presenti due o + caratteristiche
essenziali con o senza la presenza di biomarcatori. La presenza di un solo criterio essenziale,
invece, necessita della contemporanea valutazione dei biomarker.
DEMENZA VASCOLARE nella demenza vascolare abbiamo un accumulo progressivo di
danni ischemici, emorragici od ischemico-emorragici (possono coesistere, ad esempio, in pz che
in seguito ad eventi tromboembolici, assumono anticoagulanti)
56
La DD con l’Alzheimer oltre che sulle evidenze strumentali (TC-RMN) si basa primariamente
su valutazioni cliniche. Nell’Alzheimer l’esordio e subdolo e comporta sin da subito deficit
della memoria, l’evoluzione è lenta e progressiva e porterà ad uno stato di demenza in fasi
avanzate. Nella demenza vascolare l’esordio è acuto ( si sviluppa infatti nell’arco di giorni-
settimane) e l’evoluzione acuta od subacuta di solito ha un andamento a gradini; ovvero la
condizione acuta che si sviluppa in due settimane può stabilizzarsi od addirittura migliorare(
senza mai avere una restitutio ad integrum delle condizioni del pz) per poi peggiorare
nuovamente in seguito ad un altro evento ictale. A gradini perché si riscontra un accidente con
un peggioramento, poi ci sarà un altro accidente con relativo peggioramento… ogni
peggioramento rappresenta l’accumularsi di eventi vascolari. Nella fluttuazioni l’evento, ad
esempio uno stroke nel territorio vertebro-basilare a livello delle due cerebrali posteriori, darà
un deficit della memoria recente che sarà seguito da un recupero che potrà essere parziale o
totale. Successivamente il paziente, ad esempio, potrà presentare un altro ictus a livello del ramo
inferiore della cerebrale media, con interessamento dell’area di Wernicke, con un’afasia
sensoriale.
MALATTIA DI BINSWANGER (o ENCEFALOPATIA ATEROSCLEROTICA)
Caratterizzata da arteriolosclerosi, insorge quasi sempre in pazienti ipertesi. Presenta delle
alterazioni strutturali dei vasi più periferici cerebrali con l’evoluzione molto simile a quella della
malattia di Alzheimer. Ci troviamo molto spesso dinanzi un quadro di ischemia cronica,
caratterizzata da un andamento strisciante con un quadro evolutivo di tipo progressivo che
mima in questo modo il morbo di Alzheimer.
Nella demenza vascolare inoltre il deficit di memoria non è preminente e si sviluppa in fasi
tardive della patologia al contrario di quello che accade per l’Alzheimer. Nella demenza
vascolare vi è responsività al trattamento farmacologico che in realtà con il passare del tempo
potrebbe risultare inefficace per lo sviluppo successivo di una lesione neurodegenerativa.
In caso di demenza vascolare i deficit neurologici, che possono avere esordio acuto-subacuto,
possono avere diverse conseguenze a livello clinico sintomatologico, in base all’area cerebrale
colpita. Se viene coinvolta la componente motoria possiamo avere paresi, emiparesi,
monoparesi. Se viene ad esempio colpita la corteccia visiva possiamo avere emianopsia. Tutte
queste funzioni nel pz affetto da Alzheimer sono conservate e lo sono per molto tempo in
quanto vengono intaccate nello stadio avanzato della patologia.
Nella demenza vascolare l’andatura è compromessa precocemente al contrario dell’Alzheimer.
Nell’ambito dell’anamnesi prossima o storica del pz in caso di demenza vascolare sono
apprezzabili episodi di TIA STROKE cosa che non abbiamo nell’Alzheimer.
Quindi per fare diagnosi di Demenza vascolare dobbiamo avere un esordio acuto, un
andamento continuo a gradini, evidenze di focolai ischemico emorragici alla TC od RMN, ed
associazione tra ictus e comparsa dei sintomi. Anche per la demenza vascolare ci rifacciamo al
DSMV

57
Caratteristiche psicopatologiche e sintomi della demenza
Secondo il DSM-5 (Diagnostic and statisticalmanual of mentaldisorders – 5) i criteri per
formulare diagnosi di disturbo neurocognitivo sono:

▪ deficit che riguardano la cognizione:tali deficit rappresentano un declino rispetto al


precedente livello di funzionamento cognitivo raggiunto.
▪ Le demenze si differenziano, a seconda del grado di interferenza con lo svolgimento
autonomo delle attività quotidiane di base e strumentali
Per livello di compromissione:
▫ Maggiore
▫ Moderato
▫ Minore
▪ Si differenziano inoltre per eziologia:
▫ Disturbo cognitivo non altrimenti specificato
▫ Disturbo amnestico dovuto a condizione medica generale
▫ Disturbo amnestico non altrimenti specificato
▫ Demenza dovuta a condizione medica generale
▫ Demenza non altrimenti specificata
▫ Demenza di Alzheimer
▫ Demenza vascolare
▫ Demenza fronto temporale
▫ Demenza a corpi di Lewy
▫ Demenza associata a Parkinson
▫ Demenza dovuta a trauma cranico
▫ Demenza dovuta a eziologie multiple

Disturbi neurocognitivi maggiori


I disturbi neurocognitivi maggiori sono quei disturbi con un alto grado di danneggiamento
cognitivo in almeno una delle seguenti aree:
▪ Attenzione complessa (pianificazione, presa di decisioni, memoria di lavoro, risposta
correttiva a un feedback di errore, abitudini predominanti, flessibilità mentale);
▪ Abilità esecutive (pianificazione,presa di decisioni, memoria di lavoro, risposta
correttiva a un feedback di errore, abitudini predominanti, flessibilità mentale);
▪ Apprendimento e memoria (memoria immediata, memoria di richiamo);
▪ Linguaggio (espressione e comprensione);
▪ Abilità percettive (visuali e costruttive);
▪ Cognizione sociale (riconoscimento di emozioni, teoria della mente, regolazione del
comportamento)

58
Disturbi neurocognitivi minori
Lieve deterioramento cognitivo in uno o più degli stessi domini dei disturbi neurocognitivi
maggiori, ma che hanno conservato un funzionamento autonomo e l’indipendenza nello
svolgimento delle attività quotidiane. Queste sindromi, ampiamente diffuse e riscontrate nella
pratica clinica sono particolarmente critiche in quanto, se riconosciute e individuate in tempo,
rappresentano il terreno fertile per l’intervento dei clinici. Esempi di questo tipo di disturbi
sono le demenze dovute a condizioni mediche generali, a traumi cranici, a malattie
psichiatriche, ma anche i primi stadi di malattie neurodegenerative come la demenza di
Alzheimer.

Caratteristiche cliniche associate alla diagnosi di disturbo neurocognitivo:


• Il disturbo neurocognitivo minore si presenta in associazione a sintomi psicotici
(ideazione delirante ed allucinazioni), alterazione dell’umore (ansia, euforia, depressione,
labilità emotiva), autonomia funzionale intaccata, ma sufficientemente compensata
attraverso l’uso di strategie compensatorie e di adattamento.

• Il disturbo neurocognitivo moderato si associa a disturbi comportamentali


(vagabondaggio, comportamenti di accumulo, aggressività, agitazione psico-motoria etc.).

• Il disturbo neurocognitivo maggiore si presenta in associazione a dipendenza totale nello


svolgimento delle attività del quotidiano.

DEMENZA FRONTOTEMPORALE
Inizialmente caratterizzata o da disturbi del linguaggio o da disturbi comportamentali, dopo
anni può seguire l’interessamento delle funzioni cognitive.
Incidenza: 1,6-4,1 casi su 100000 all’anno, più rara rispetto alla malattia di Alzheimer, anche se
nei soggetti con meno di 65 la demenza frontotemporale è la seconda demenza per frequenza
dopo la malattia di Alzheimer. Età di insorgenza più frequente 45-65 aa, documentati anche casi
tardivi e casi precoci.
Può essere quindi divisa in 2 varianti: variante linguistica e variante comportamentale.

59
CRITERI DSM V per VARIANTE COMPORTAMENTALE DELLA DEMENZA
FRONTO-TEMPORALE:
Si ha inizio insidioso e conseguente progressivo deterioramento del comportamento o delle
funzioni cognitive, derivando informazioni riguardo modifiche del comportamento o di
funzioni cognitive da familiari o conoscenti.
Per fare diagnosi di demenza fronto-temporale devono essere presenti almeno 3 dei seguenti
sintomi di tipo cognitivo-comportamentali:
1 – Iniziale disinibizione del comportamento, comportamento socialmente inappropriato;
ad es. una persona che abbraccia e bacia un’altra persona che non ha mai visto in mezzo alla
strada; perdita di buone maniere, del decoro: espletare le funzioni corporali in luoghi
pubblici; comportamento impulsivo, esplosivo;
2 – Apatia o inerzia (es. genitore attento a moglie e figli perde improvvisamente i contatti con
il proprio nucleo familiare);
3 – Perdita di empatia;
4 – Comparsa di comportamenti stereotipati, compulsivo-ossessivi, ritualistici (es.
paziente con chewinggum continuamente in bocca, in maniera rumorosa); ripetizione continua
della stessa cosa, ripetizione nel linguaggio (tutto bene?, tutto bene? tutto bene?...);
5 – Iperoralità :pazienti mangiano a tavola con voracità come se qualcuno potesse
costantemente sottrarre loro il cibo; incremento dell’assunzione di qualsiasi tipo di cibo, in
generale, ma dell’alcol in particolare; ingestione di oggetti non commestibili; alterazione della
preferenza dei cibi (in un primo momento al paziente non piace un certo cibo, es. prosciutto o
grasso animale, poi inizia a mangiarne grandi quantità);
Associati a questi sintomi (si ricordi che devono esservene 3 o più per poter far diagnosi di
demenza fronto temporale) si osserva un deficit delle funzioni cognitivo-sociali e delle
funzioni esecutive, con risparmio della memoria episodica e delle abilità visuo-spaziali.
Alterazioni della memoria episodica sono più tipiche della malattia di Alzheimer, alterazioni
delle abilità visuo-spaziali, invece, più tipiche della forma posteriore dell’Alzheimer.
Ripetendo, per fare diagnosi di demenza fronto-temporale devono essere presenti 3 o più di
questi sintomi cognitivo-comportamentali. Si può fare diagnosi di probabile demenza fronto-
temporale se, innanzitutto, vengono soddisfatti i criteri DSM V per la diagnosi di demenza
fronto-temporale variante comportamentale, con sintomi specifici (comportamentali); oltre a
questi sintomi la diagnosi è più probabile se si aggiunge un deterioramento funzionale (riportato
da care-giver o dimostrato mediante test specifici o scale tipiche), in aggiunta a metodiche di
imaging che presentano quadri tipici: atrofia dei lobi cerebrali anteriori (frontali o temporali) alla TAC o
alla risonanza magnetica; ipoperfusione alla SPET (tomoscintigrafia cerebrale) o
ipometabolismo alla PET nelle stesse regioni cerebrali (lobo fronto-temporale).

60
Post-mortem: diagnosi certa mediante esame anatomo-patologico, con la valutazione di
atrofia diretta sull’encefalo del paziente, con l’esclusione di tutte le altre patologie
neurodegenerative che possono simulare una demenza fronto-temporale.

VARIANTE LINGUISTICA DELLA DEMENZA FRONTO-TEMPORALE O


AFASIA
Distinta in 2 tipologie:
▫ afasia primaria progressiva di tipo non fluente o agrammatica
▫ afasia primaria progressiva di tipo fluente.
CRITERI DIAGNOSTICI per l’afasia primaria progressiva, variante non fluente o
agrammatica:
1 – Agrammatismo (linguaggio sgrammaticato, linguaggio “thoughtful”, cioèil pz compie un
grande sforzonella produzione del linguaggio, con delle frequenti interruzioni,degli errori e delle
distorsioni);
2 – Alterata comprensione di frasi sintatticamente complesse, mentre è conservata la
comprensione e il riconoscimento dei vari singoli termini.
METODICHE DI IMAGING: alla RM si osserva un prevalente interessamento dell’area
fronto-insulare posteriore a sinistra; alla SPET un’ipoperfusione o un ipometabolismo nelle
stesse aree.

CRITERI CLINICI per la diagnosi dellavariante semantica dell’afasia primaria


progressiva:
1 –Compromissione della denominazione del confronto (si mostrano degli oggetti al
paziente e il paziente fallisce nella loro denominazione).
2 – Compromissione della comprensione delle singole parole

E poi almeno 3 delle seguenti alterazioni:


1 – Difficoltà nel riconoscimento degli oggetti; inizialmente, riguarda oggetti che vengono
utilizzati raramente, di uso poco comune, con successivo coinvolgimento anche degli oggetti di
uso comune.
2 – Dislessia di superficie: difficoltàa leggere “non parole”, cioè parole che non hanno nessun
significato, mentre la capacità di leggere le parole normali è conservata. Durante l’esame
neuropsicologico vengono fatte leggere dapprima delle parole di uso comune (pane, acqua,
casa…) per poi proporre la lettura di “non-parole” (es: tatipa, patopa), parole senza alcun
significato. Conservate riproduzione e funzionalità del linguaggio.
61
METODICHE DI IMAGING: alla RM si osserva un coinvolgimento (atrofia) delle porzioni
anteriori del lobo temporale; alla SPETipoperfusione o ipometabolismo delle stesse.

Il professore descrive una serie di RM:


• Variante comportamentale della demenza frontotemporale: atrofia delle porzioni
fronto-temporali si manifestano come un assottigliamento delle circonvoluzioni anteriori,
che è palese e netto se si confrontano tali regioni con quelle posteriori (regioni parietali e
occipitali). Può sembrare che alcune circonvoluzioni frontali o temporali scompaiano.
• Nel caso di variante fluente di afasia primaria progressiva, il confronto tra le
circonvoluzioni si effettua tra i due lobi temporali, rispettivamente di destra e di sinistra. In
caso di afasia, caratteristicamente quella di sinistra presenterà una significativa riduzione
delle circonvoluzioni rispetto a quella di destra, soprattutto nelle porzioni anteriori di tale
lobo.
• Nel caso di variante afluente di afasia primaria progressiva, l’atrofia si manifesterà a
livello fronto-temporo-insulare di sinistra, sempre valutabile mediante il confronto con lo
stesso lobo controlaterale.

REPERTI NEUROPATOLOGICI(vi sono diverse forme che possono essere distinte in base
all’esame anatomopatologico) ci sono delle forme in cui si osservano dei grovigli neuro-
fibrillari da accumulo della proteina tau; altre in cui vi è un deposito di TDP43 (TAR
DNA-bindingProtein 43); in altre di FUS e di altre proteine e delleinclusioni di ubiquitina.

Caso clinico: paziente di 58 anni che si sveglia per vertigini oggettive (il paziente vede girare la
stanza intorno a sé; mentre nelle nella vertigine soggettiva è il paziente stesso che ha la
sensazione di ruotare) violentissime (che durano da 48 ore) che lo costringono a stare al letto
con impossibilità a stare in piedi, nausea, vomito.
La vertigine è la sensazione di movimento o dell’ambiente circostante rispetto al paziente
(vertigine oggettiva) o del paziente rispetto all’ambiente (vertigine soggettiva).
Molte volte il paziente riferisce di avere avuto una vertigine come identificando delle altre
sensazioni (pseudo vertigini) come per esempio:

• Nella lipotimia per intendere la sensazione di “testa vuota” prima di uno svenimento;
• Nel disturbo della sensibilità profonda riferita come capogiro;
• Nell’nsufficienza dell’apparato vestibolare con depauperamento delle cellule ciliate
(soprattutto nell’anziano)
• Polineuropatia a livello periferico (anziano)

62
• Mielopatia da spondilodiscoartrosi a livello cervicale (anziano)
(nell’anziano si ha incertezza nella direzione)
• Nei pazienti ansiosi e con attacchi di panico (sindrome da iperventilazione con
parestesie alle estremità e sensazione di mancamento)

Quando un paziente ha delle vertigini oggettive le strutture coinvolte sono il VESTIBOLO o il


CERVELLETTO.
Se ad essere interessato è il cervelletto si può avere:

• Lesione mediana, vermiana o diffusa con senso di instabilità pluridirezionale, ovvero il


paziente in posizione di Romberg (con i piedi uniti e le braccia lungo il corpo) oscilla il
tutte le direzioni ma soprattutto in senso anteroposteriore;
• Se la lesione è emisferica (ovvero è colpito un emisfero cerebellare) il paziente è
lateralizzato dal lato della lezione;
(rivedi anatomia e fisiologia vestibolare)
Un paziente che ha perso completamente entrambi i labirinti (per intossicazione da
Gentamicina, antibiotico ototossico, infiammazione, problema infettivo...) si lamenta di
Oscillopsia soprattutto quando si muove e quando corre (per esempio non riesce a leggere un
cartello perché lo vede oscillare).
In un paziente normale mentre corre una serie di vibrazioni vengono trasmesse alla testa che
cosi esegue una serie di movimenti, ma gli occhi matengono sempre la stessa posizione nello
spazio in modo da mantenere la mira di interesse, l’oggetto di interesse, nella fovea (parte della
retina che consente la massima acuità visiva) grazie al RIFLESSO VESTIBOLO-
OCULARE.
Nel paziente che ha avuto una lesione bilaterale di entrambi i vestiboli mentre guarda il cartello
di fronte a lui ed ha una sollecitazione gli occhi si spostano dal bersaglio, quindi il bersaglio di
interesse non cade più nella fovea, ma in una porzione periferica della retina, dalla retina
l’informazione attraverso tutte le vie visive va alla cortaccia visiva, da qui ai campi oculomotori
frontali, poi al centro pontino dello sguardo e da qui ai nuclei dei nervi cranici e ho una saccade
di correzione, impiegando 180 millisecondi; invece grazie all’apparato vestibolare e al riflesso
vestibolo-oculare si ha una correzione in 10-15 millisecondi, motivo per cui il paziente con
lesioni vestibolari non è in grado di leggere mentre cammina o mentre corre, perché lui è
costretto a correggere le sollecitazioni che riceve la testa e quindi lo spostamento degli occhi
attraverso le saccadi e queste impiegano 180 millisecondi; invece con il riflesso vestibolo-
oculare io ho una correzione entro 10-15 millisecondi.
Come funziona il riflesso vestibolo oculare? I canali semicircolari sono una parte dell’apparato
vestibolare che ci informa sulle accelerazioni angolari della testa in tutte le direzioni dello
spazio. Nelle cupole lo spostamento dell’endolinfa da un lato e dall’altro a seconda che il
63
chinociglio va verso le stereociglia o dall’altro lato porta una depolarizzazione o una
iperpolarizzazione. Se si effettua un movimento brusco della testa verso destra l’endolinfa nei
canali semicircolari rimane nella stessa posizione dello spazio, ma si muove all’interno dei canali
(es scorza di mandarino che rimane nello stesso punto se gi gira il bicchiere pieno di acqua);
quindi nel momento in cui giro bruscamente la testa l’endolinfa rimane nello stesso punto ma
siccome si sposta il canale semicircolare io ho una deflessione delle cupole per cui un labirinto è
eccitato e l’altro è inibito, uno scarica di più e uno di meno. Dalla cellula ciliata, neurone del
ganglio dello scarpa, neurone a livello vestibolare dei nuclei vestibolari, di qui al sesto da un lato
e al terzo dall’altro lato per cui ho lo spostamento degli occhi in direzione opposta. Per cui se
giro la testa gli occhi restano in posizione primaria di sguardo, grazie a questo riflesso.
Con le prove caloriche si possono stimolare i canali semicircolari.
L’esame vestibolare clinico (bed-side) può essere completato con altri test per la ricerca di
nistagmi evocati (di posizionamento, da vibrazione, da iperventilazione, da scuotimento del
capo) o di altri movimenti degli occhi (head impulse test) e con la stimolazione termica del
labirinto, ossia con le prove caloriche consistenti nell’instillare nell’orecchio acqua calda
(44°C) o fredda (30°C) per 30 secondi per provocare una vertigine della durata di circa 60
secondi; l'assenza di vertigine o una sua manifestazione più intensa può essere indice
di patologia vestibolare.

Il discorso sui canali semicircolari vale per tutti; qualsiasi sia la sollecitazione ricevuta dalla testa
nello spazio, gli occhi vengono mantenuti nella stessa posizione.
1. Canale semicircolare superiore è sensibile ai movimenti della testa sul piano coronale
2. Canale semicircolare posteriore è sensibile ai movimenti sul piano sagittale
3. Canale semicircolare laterale è sensibile ai movimenti sul piano frontale
Qualsiasi sia la direzione della testa possono intervenire tutti e tre i canali.
Nelle macule dell’utricolo e del sacculo la membrana gelatinosa è appesantita da cristalli di
ossalato di calcio perché esse danno informazioni sulle accelerazioni lineari (le accelerazioni
angolari della testa nello spazio invece sono percepite dai canali semicircolari) e sulla posizione
della testa rispetto alla forza di gravità.
Grazie al riflesso vestibolo spinale posso attuare una serie di atteggiamenti posturali a seconda
della sollecitazioni che il corpo riceve per mantenere l’equilibrio. Se metto il paziente il
posizione di Romberg, soprattutto ad occhi chiusi, ed egli devia verso destra, emerge che ha
una lesione al labirinto di destra (in fase acuta il paziente non riesce nemmeno a stare in piedi,
mentre successivamente si instaurano dei meccanismi di compenso).
Tornando alle lesioni del labirinto, queste ultime possono essere irritative o deficitarie.
Se ho una sindrome irritativa a carico di uno dei due labirinti, il labirinto irritato prevale
sull’altro labirinto, producendo uno squilibrio tra i due labirinti cosicchè il paziente, in
64
posizione di Romberg e alla prova degli indici, devia controlateralmente alla lesione e anche la
fase lenta del nistagmo, che è controllata dal riflesso vestiboloculare, è contro laterale (la fase
rapida è controllata dai campi oculomotori frontali). Questa è la cosiddetta sindrome
vestibolare periferica armonica, poiché sia la fase lenta del nistagmo che la deviazione degli
indici e del tronco sono dallo stesso lato ovvero contro lateralmente alla lesione.
Se la sindrome è di tipo deficitario la deviazione è dal lato della lesione. (verificare sul libro
perché dopo il prof si è contraddetto!!!)
Se la lesione è centrale ho la sindrome vestibolare disarmonica: fase lenta del nistagmo da un
lato e deviazione degli indici e del tronco dall’altro lato.
Come si fa una diagnosi differenziale tra una vertigine periferica e centrale?
Se è periferica (per es. se è interessata la parte cocleare) avrò vertigine oggettiva, acufeni,
ipoacusia, secrezioni purulente dal condotto uditivo esterno (se la causa è infettiva), sensazione
di ripienezza a carico dell’orecchio.
I sintomi sono quelli di una lesione centrale se la lesione è localizzata sopra ai nuclei vestibolari;
una lesione dei nuclei vestibolari invece può avere le caratteristiche di una lesione sia centrale
sia periferica che di entrambe.
Se la lesione è del tronco dell’encefalo (centrale) non compromette solo i nuclei vestibolari, ma
anche i nervi cranici, quindi il paziente ha altri segni: disartria, paralisi a carico di qualcuno dei
nervi cranici, disfagia.
Altra causa di vertigine può essere la CANALOLITIASI (causa idiopatica, traumatica,
infiammatoria o per senescenza): i cristalli di ossalato di calcio presenti nelle macule si staccano,
diventano liberi e si imbrigliano nella cupola delle Creste Ampollari per cui la appesantiscono, la
rendono sensibile alla forza di gravità e la possono far deflettere da un lato o dall’altro,
scatenando le vertigini posizionali benigne. Tali vertigini si possono scatenare con
movimenti bruschi del capo ma scompaiono dopo poco e possono ricomparire qualora il
paziente eseguisse movimenti bruschi con il capo.
Il paziente con problema vestibolare assume un’andatura chiamata “marcia a stella”: devia da
un lato (quello della lesione se la lesione è deficitaria) e fa passi avanti e passi indietro
descrivendo il profilo di una stella, mentre marcia sul posto ad occhi chiusi.
Se la vertigine dura molto (48 h) può essere una vertigine dovuta ad un fatto vascolare (tipico
dei soggetti più anziani) o infettivo-infiammatorio (tipico dei giovani).
Se compare nistagmo spontaneo vado a valutarne:

• Direzione (definita dalla fase rapida del nistagmo)


• Uni o bidirezionalità
o Uni direzione (periferica o centrale)
o Bidirezionale (centrale)

65
• Intensità
o I grado: solo nella direzione della fase rapida
o II grado: anche in posizione primaria di sguardo
o III grado: solo nella direzione della fase lenta
• Frequenza
• Ampiezza
• Monoculare o bioculare
• Movimenti oculari con il “head thrust test” (test del movimento rapido della testa) in cui
muovendo rapidamente la testa lo sguardo deve restare fisso nel paziente normale,
mentre si sposta nel paziente malato
• Acuità visiva dinamica (ridotta in caso di lesione vestibolare): si pone il paziente davanti
ad una dall’altro per valutare se scende l’acuità visiva.tavola otto tipica prima in
condizioni basali e poi muovendo rapidamente la testa da un lato e
Manovra di Dix Hallpike:
Descrivo la manovra per il vestibolo destro, che sarà poi seguita da quella per il sinistro, del
tutto speculare.
1. Paziente seduto con capo ruotato a destra di circa 45°
2. Repentinamente il paziente viene fatto sdraiare, con collo esteso all'indietro di circa 20°
(e mantenendo sempre la rotazione di 45° a destra)
3. Osserva gli occhi del paziente per circa 45 secondi (nistagmo può durare anche solo
qualche secondo)
4. Riportare il paziente in posizione seduta sempre con il capo ruotato a 45°
5. Osserva gli occhi del paziente per circa 45 secondi.
In caso di vertigine posizionale parossistica benigna, il nistagmo è evocabile dopo un periodo di
latenza di circa 5-10 secondi. E' tipicamente rotatorio o rotatorio-orizzontale diretto verso
l'orecchio sano.
Sensibilità e specificità per la vertigine posizionale è di circa il 75%
In caso di assenza di periodo di latenza e nistagmo puramente verticale occorre escludere una
causa centrale.

Confronto tra caratteristiche del nistagmo centrale e periferico rispetto alla manovra di Dix
Hallpike:
NISTAGMO PERIFERICO CENTRALE
Latenza Tipicamente 3-10 sec; No
raramente fino a 40 sec;
Esauribilità I singoli episodi tipicamente No
si esauriscono entro 10-30
sec;
raramente fino ad 1 min;

66
Adattabilità La manovra ripetuta più No (la vertigine si
volte consecutive non porta manifesta tutte le volte che
più a vertigine; si ripete la manovra)
Direzione Fissa, mista (di solito ci Variabile, spesso puramente
sono una componente verticale o puramente
rotatoria e una piccola orizzontale
componente orizzontale)
Soppressione del nistagmo Si no
con la fissazione
Gravità Severa, intenso nistagmo, Modeste vertigini, non c’è
nausea, marcate vertigini sempre nausea, nistagmo
meno evidente
Consistenza Meno consistente Più consistente
Past pointing Deviazione di entrambi gli Deviazione del solo indice
indici nella direzione della del lato colpito dalla lesione
fase lenta del nistagmo; nella direzione della fase
rapida

Si può eseguire la manovra indice-naso o la manovra del puntamento dell’indice: se si fa


puntare l’indice al paziente prima ad occhi aperti e poi ad occhi chiusi; facendo questa manovra
un paziente che ha un problema vestibolare o un disturbo cerebellare devia dal lato della lesione
.

La Manovra di Epley

Obiettivo della Manovra di Epley è spostare questi cristalli, riportandoli nella loro posizione
originale. La percentuale di successo in questo obiettivo, che porta ad un sollievo
sintomatologico, è superiore all’80%. In più dei 394 pazienti riportanti i 3 diversi Trial
controllati, la risposta mediana era dell’81% con la Manovra di Epley, in confronto al 37% dei
soggetti non trattati o trattati con placebo (Cochrane Database Syst. Rev. 004;2:CD003162).

Vediamo nel dettaglio le fasi della procedura.

La manovra di Epley inizia con il paziente seduto (A); il medico lo porta bruscamente in
posizione supina con la testa ruotata a 45 gradi verso il lato sintomatico (B). Il capo viene
67
mantenuto in questa posizione per 30-60 secondi, in base alla durata della vertigine (osservate il
nistagmo) in genere 30 secondi sono sufficienti, e il paziente è sintomatico per vertigine solo
durante i primi 10 secondi. Dopo questo, si fa ruotare la testa del paziente dall’altro lato (C) e la
si mantiene in questa posizione per altri 30-60 secondi (si può avere nuovamente vertigine).

A questo punto girate il paziente nella stessa direzione del suo fianco, mantenendo il capo a 45
gradi e con il naso puntato verso il pavimento (D). Mantenete il soggetto in questa posizione
per ancora 30 secondi (anche in questo caso si può verificare una nuova vertigine

68
Alla fine, si riporta il paziente in posizione seduta per 15 secondi, con la testa mantenuta
lievemente ruotata verso il basso per circa 1 minuto.

Tutta la sequenza si ripete due volte. Fate attendere almeno 10 minuti il paziente dopo il
trattamento, e sconsigliare che guidi. Attenzione! La manovra deve essere fatta con cautela se il
paziente ha una stenosi delle carotidi di alto grado o patologie del collo, o se si sviluppano
sintomi neurologici diversi dalla vertigine. Si può utilizzare in questi casi la Manovra di
Sermont, molto popolare in Europa, nella quale il paziente viene spostato rapidamente da un
lato all’altro. Il trattamento è efficace nel 90% dei casi dopo 4 ripetizioni della manovra. Se le
manovra non hanno successo il paziente deve essere inviato allo specialista ORL.

69
ARGOMENTI TRATTATI: NISTAGMO, DELIRIO,COMA.
Continuazione della lezione precedenti, il prof mostra dei video con pazienti affetti da
nistagmo.
PRIMO CASO:
Il paziente presenta una lesione vestibolare acuta a destra di 2 grado in posizione primaria di
sguardo. Se porta gli occhi verso sinistra, avrà nistagmo verso sinistra. Ricordate che la
direzione del nistagmo viene definita in base al movimento che si ha durante la fase rapida. Sia
se il paziente guarda verso l’alto sia se guarda verso il basso, il nistagmo avrà sempre la stessa
direzione. Questo fenomeno non c’è nello sguardo verso destra. Questo può succedere quando
si è di fronte ad un nistagmo inferiore al 3 ̊ grado.
HEAD THRUST TEST: il test viene usato per valutare il riflesso vestibolo-oculomotore.
L’esaminatore tiene tra la mani la testa del paziente il quale deve tenere lo sguardo sul naso del
medico. Quest’ultimo effettua delle rapide rotazioni su entrambi i lati e valuta la capacità del
paziente di mantenere fisso la sguardo sul naso del medico. Quando sposta la testa verso un
lato, se il riflesso vestibolo oculomotorio funziona gli occhi non si spostano dalla mira del
bersaglio.
In questo caso, non funzionando, gli occhi si spostano ed è costretto a fare una saccade
correttiva. Ieri vi ho detto che se c’è un errore, l’oggetto di interesse si sposta e cade in un altro
punto della retina e il difetto può essere corretto mediante il sistema delle saccadi.
Dalla retina, l’impulso va alla corteccia occipitale e da qui ai campi oculomotori frontali, si
porta al tronco encefalico, ai nervi cranici e infine ai muscoli oculomotori. C’è una latenza
intorno ai 180ms e quindi il paziente è costretto, ovviamente involontariamente, a fare una
saccade. C’è un ritardo nello spostamento degli occhi che impiegano qualche secondo in più a
raggiungere il bersaglio. Dall’altro lato gli occhi restano sul bersaglio.
Gli occhiali di Frenzel sono degli occhiali con lenti biconvesse a 20 diottrie (hanno anche una
telecamera all’interno), che impedendo la fissazione dello sguardo, permettono lo studio del
nistagmo spontaneo e provocato. Nel nistagmo di origine periferica, eliminando la fissazione, si
accentua il fenomeno.
SECONDO CASO
Paziente con stroke a livello dell’emisfero cerebellare di destra, il nistagmo è presente solamente
nello sguardo verso destra ed è un nistagmo unidirezionale periferico.
Movimenti oculari di inseguimento: nello sguardo verso destra, il movimento è fluido. Nello sguardo
verso sinistra, il movimento è normale con la manovra di spostamento rapido della testa. Il
fatto che la manovra sia negativa mi suggerisce che il danno è a livello cerebellare.

70
TERZO CASO
Paziente con un infarto del territorio cerebellare postero-inferiore: quando l’esaminatore sposta
rapidamente la testa verso sinistra, la paziente è costretta a fare una saccade correttiva per
riportare l’occhio sul bersaglio. Pur essendo una lesione centrale c’è un interessamento dei
nuclei vestibolari. In questo caso c’è un mix di segni di interessamento centrale e di
interessamento periferico. Se non c’è il riflesso vestibolo-oculare significa che è interessato
l’arco riflesso vestibolare.
QUARTO CASO
Paziente che ha una canalolitiasi, una vertigine parossistica posizionale benigna. Effettuando la
manovra di Hallplike si ha immediatamente una vertigine e il nistagmo. Si possono anche usare
gli occhiali di Frenzel.
Qui c’è un interessamento del labirinto posteriore perché il nistagmo è prevalentemente
verticale e in parte rotatorio. Se l’occhio è volto in abduzione prevale la componente rotatoria,
se l’occhio è in adduzione prevale la componente verticale.
Head Shaking Test: si ruota la testa con elevata frequenza sul piano orizzontale, si blocca
improvvisamente e si osserva il nistagmo.
Il nistagmo centrale modifica la direzione in rapporto alla direzione di sguardo: se guarda a
sininstra la fase rapida è diretta a sinistra e viceversa.

DELIRIUM E COMA
Premessa: il delirium non va confuso con delirio che è una condizione psichiatrica caratterizzata
da un disturbo del pensiero.
Il delirium è una condizione clinica caratterizzata da uno stato confusionale acuto. Altri
sinonimi sono: stato mentale alterato, sindrome cerebrale acuta, encefalopatia tossica, sindrome
organica acuta.
Condizione relativamente frequente nei soggetti anziani e durante un ricovero ospedalierio
soprattutto nelle unità intensive o nei reparti di chirurgia dove la percentuale dei soggetti affetti
arriva anche al 50% mentre normalmente è dell’ 1-2% . Si riscontra frequentemente anche nei
centri di cure palliative, nelle case di cura e nei reparti di lunga degenza.
Il principale fattore di rischio è l’età avanzata. Secondo alcuni autori circa il 60% di questi
pazienti non viene diagnosticato.

71
CLINICA

- Esordio acuto o subacuto nell’arco di ore e giorni ( in questo si differenzia dalla


demenza) con presenza di fluttuazioni delle manifestazioni cliniche tanto che ci può
essere un intervallo lucido. Se si visita il paziente durante questa fase, si corre il rischio di
non diagnosticare la patologia. Questo spiega perché è sotto diagnosticata. È soprattutto
l’attenzione che flutta nel tempo, il paziente è distratto da qualunque stimolo, non è in
grado di passare l’attenzione da un soggetto ad un altro;

- Disorganizzazione del pensiero che viene colta interrogando il paziente: passa da un


argomento all’altro in maniera tangenziale, incongruente;

- Disturbi del linguaggio, dell’articolazione della parola;

- Alterato livello di coscienza, ipervigile, iperattivo, irritabile, aggressivo oppure


sonnolento, soporoso, letargico e deve essere stimolato per ottenere una risposta. Anche
se ipervigile ha comunque problemi di attenzione;

- Disturbo della percezione, il paziente appare rallentato con allucinazioni vivide. Ci può
essere il cosiddetto “fenomeno di rilascio”: il paziente proietta nella realtà ciò che sogna
e non è in grado di discernere i sogni dalla realtà;

- Ci può essere un delirio paranoide e di persecuzione che però non è sistematizzato.


Sono deliri abbastanza cangianti;

- Alterazione del ritmo sonno-veglia con inversione del ritmo;

- Alterata attività psicomotoria: possono sembrare attivi tranquilli non mostrando


apparentemente nessun problema, possono essere iperattivi oppure possono passare
dall’uno all’altro;

- Disturbo della memoria accompagnato da incapacità a memorizzare, paramnesia,


riconoscono come familiare il reparto nel quale si trovano e non riconoscono i parenti. I
vuoti di memoria vengono riempiti con fatti inventati che prende il nome di
confabulazione;

- Disorientamento nel tempo e nello spazio difficilmente nei confronti della propria
persona;

72
- Altri deficit cognitivi come la compromissione delle capacità visuo-spaziali, la scrittura,
disturbi comportamentali.

Come si valuta l’attenzione del soggetto? Innanzitutto dal comportamento, dal dialogo,
si distrae facilmente, si guarda intorno. Ci sono una serie di test:
- Si elenca al paziente una serie di cifre e vanno fatte ripetere sia in avanti che al contrario.
Tipicamente un individuo normale riesca a ricordarne 7 +/-2;
- Far dire una parola al contrario;
- Indicare su un giornale tutte le lettere “A”
- Far ripetere 4/5 parole.

Nel delirium è compromessa la working memory quindi avrà difficoltà a ripetere le


parole. Se si fa passare qualche minuto e si chiede di ripetere le parole, il paziente avrà
difficoltà perché è compromessa anche la memoria episodica a breve termine.
Quali possono essere la cause di delirium?

- Cause tossiche
- Cause metaboliche (problemi ormonali, idro-elettrolitici)
- Problemi di natura circolatoria
- Patologie infiammatorie e di natura infettiva

Qualunque patologia internistica di sufficiente gravità può dare delirium. Ad esempio lo stato
confusionale potrebbe essere l’unico segno di una grave infezione polmonare. La diagnosi,
quindi, risulta molto difficile.

La fisiopatologia del delirium non è ancora chiaramente conosciuta, ma sembra dipendere da


diverse disfunzioni neurologiche. Il delirium rappresenta la via finale comune di molti disturbi
fisiopatologici che riducono il metabolismo ossidativo dei neuroni. Questi cambiamenti
inducono delle alterazioni in molteplici pathways neuronali. Un’altra teoria per il delirium è una
alterazione dei neurotrasmettitori in particolar modo la via colinergica-dopaminergica. Tuttavia
sono chiamati in causa anche altri neurotrasmettitori come la norepinefrina, GABA, le
citochine infiammatorie. In definitiva, il delirium è causato da qualunque patologia che altera il
metabolismo del neurone.
FATTORI SCATENANTI E PREDISPONENTI

- L’incidenza aumenta con l’età


- Presenza di demenza
- Deterioramento cognitivo
- Malattie cerebrovascolari plurifocali

73
- Disidratazione ( si può valutare l’osmolarità sierica e plasmatica, aumento dell’Hct, ma
soprattutto il rapporto Urea/Creatinina. Se è elevato è indice di una disidratazione)
- Disturbi elettrolitici
- Insufficienza renale, epatica
- Comorbilità
- Infezione delle vie urinarie, polmonari
- Aids
- Malnutrizione (fattore predisponente e precipitante)
- Insufficienza cardiaca ( per via dell’ostacolo al deflusso venoso)
- Ipossiemia
- Stroke ( a livello dell’arteria cerebrale media di destra o posteriore, a livello vertebro-
basilare,
- Farmaci (tra le cause più frequenti, quasi il 40%. Psicofarmaci, antiepilettici,
benzodiazepine, anticolinergici, analgesici, oppioidi, antiparkinsoniani, corticosteroidi,
antistaminici, alcuni betabloccanti, TC, fenotiazine, alcuni antibiotici,
immunosoppressori)
- Abuso di farmaci o la sospensione brusca
- Alcol e astinenza da alcol. Il delirium tremens compare dopo 48-72 ore dalla
sospensione ed è caratterizzato da allucinazione vivide, spaventose. il paziente è
impaurito,sudato, ipertermico)
- Iperstimolazione (psicosi da unità di terapia intensiva)
- Disturbi del sonno
- Febbre, ipertermia, ipotermia
- Traumi, ustioni, fratture
- Depressione
- Interventi chirurgici (eziologia multifattoriale)
- Sindrome da astinenza da alcol, farmaci, droghe.

SCALA CLINICA: se presente una modificazione dello stato mentale ad esordio acuto con
scarsa attenzione, pensiero disorganizzato, alterato livello di coscienza, paziente facilmente
distrai bile è possibile fare diagnosi di delirium.

Criteri diagnostici DSM V


A Disturbo dell’attenzione ( difficoltà a dirigere, focalizzare e sostenere) e della
consapevolezza

B Il disturbo insorge in breve periodo di tempo (ore o pochi giorni) con un


cambiamento repentino del livello di coscienza con fluttazione cliniche durante l’arco
della giornata

74
C Possono essere presenti ulteriori deficit cognitivi come problemi di memoria,
disorientamento spazio-tempo

D I disturbi dei criteri A e C non sono meglio spiegati da un disturbo neuro cognitivo
preesistente, stabilito o in evoluzione e non si verificano nel contesto di una condizione
clinica grave come il coma

E Devono esistere prove dall’esame fisico o da esami di laboratorio che il disturbo è


una conseguenza fisiologica derivante da un’altra condizione medica, intossicazione o
ritiro della sostanza (ad esempio a causa di un abuso di un farmaco) o a esposizione di
tossine o è dovuto a molteplici eziologie.

Bisogna poi specificare se c’è attività, iperattività, o di entrambe. Possono essere presenti
anche disturbi motori, allucinazioni, illusioni, anomalie elettroencefalografiche.

DIAGNOSI DIFFERENZIALE PER IL DELIRIUM

CARATTERIST DELIRIU DEMENZA STROKE SCHIZOFR DEPRESSI


ICHE M CON ENIA ONE
AFASIA
CLINICHE
DI
WERNI
CKE
LINGUAGGIO Grave Anomia. Prominen Disorganizzat Notevole
E PENSIERO deficit Nelle fasi te o con termini riduzione
dell’attenzio avanzate il parafasia e bizzarri. della
ne, con linguaggio neologism produzione
Livello di
fluttuazione diventa i, di parole
attenzione
del pensiero. incomprensib anomalia
normale o
Il delirio è ile nella
lievemente
cangiante, comprensi
modificato. Il
non one
delirio è
sistematizzat
sistematizzato
o. Disartria,
linguaggio
incoerente,
rallentanto

75
CAPACITÀ Disorientam Disorientame Non ci Disorientamen Capacità
COGNITIVE ento spazio- nto spazio- sono to rispetto alla mentali
tempo,mem tempo, deficit deficit persona rallentate,
oria a breve cognitivi. aggiuntivi difficoltà di
termine e Non c’è memoria
visuo- deficit di
spaziale attenzione
anomala,
alterazione
della
memoria
recente
COMPORTAM Letargia o Disinteressam Possibile Delusione, Umore
ENTO delirium, ento, paranoia. paranoia, depresso,
labilità disinibizione, Percezion bizzarrie, anedonia,
emotiva, delusione, e normale allucinazioni apatia. Nelle
allucinazioni non ci sono uditive rivolte formi gravi ci
visive,param disturbi al paziente possono
nesia percettive essere
tranne nella allucinazioni
demenza con
corpi di Lewy
EEG Riduzione Fase iniziale Normale Normale Normale
del voltaggio normale, poi
in fase si assiste ad
rapida, una riduzione
specifici del voltaggio
patterns

La schizofrenia è un disturbo del pensiero.


L’afasia di Wernicke è una afasia sensoriale in cui è compromessa la comprensione: i pazienti
non capiscono cosa ascoltano e nemmeno cosa dicono. Il linguaggio è ricco di parafasie
semanticamente correlato fino ad arrivare ad una insalata di parole. Nell’afasia di Broca il
pazienta ha difficoltà nella produzione e ha coscienza di ciò, cerca di correggere, ma non ci
riesce.

76
L’esordio nel delirium è acuto, mentre nelle demenze è insidioso. Nello stroke l’esordio è acuto,
ma poi la patologia si stabilizza. Nello schizofrenia l’esordio è insidioso (6 mesi) depressione
idem.

Gestione e Trattamento
Innanzitutto bisogna fare una anamnesi approfondita con l’aiuto dei familiari: storia clinica,
malattie pregresse, farmaci assunti, uso di alcol o sostanza stupefacenti. È necessario fare un
esame completo del paziente non solo l’esame neurologico. Se l’esame obiettivo generale e
neurologico non ci aiutano, allora bisogna fare delle indagini di laboratorio più approfondite.
Spesso la causa di un delirium è multipla.
Esami di laboratorio: elettroliti, azotemia, glicemia, dosaggio delle vitamine, esame colturale del
sangue, antibiogramma, ammoniemia. Si possono richiedere anche un ECG, EEG, RX torace o
una TC. In casi particolari anche una puntura lombare (paziente anziano o immunodepresso).
Farmaci da usare con cautela nei pazienti che presentano delirium:
- Antiparkinsoniani
- Antistaminici
- Benzodiazepine
- H2 antagonisti

I principali fattori che possono scatenare la patologia sono:


- I presidi di contenimento del paziente: spesso capita che questi pazienti vengano legati
con delle fasce. Questo è considerato una dei principali fattori precipitanti e scatenanti
- Malnutrizione
- L’uso di cateteri
- Utilizzo concomitante di più farmaci (3)

Per quanto riguarda il management, bisogna innanzitutto individuare la causa perché spesso è
multifattoriale. Ad esempio in caso di iposodiemia si danno delle supplementi. Bisogna però
prestare attenzione a non correggere troppo rapidamente il disturbo perché si può incorrere in
una mielinolisi centrale del ponte. Se il deficit si instaura con molta lentezza, il disturbo si può
tollerare. Se si instaura velocemente, bisogna intervenire precocemente.
Se abbiamo un paziente anziano in stato confusionale che viene ricoverato in ospedale bisogna
cercare di rendere l’ambiente familiare e confortevole. Se hanno problemi di vista o di udito
bisogna dare occhiali e impianti acustici. L’ambiente non deve essere né troppo deprivato né
troppo stimolante, limitare l’inquinamento ambientale. Evitare visite di estranei. Cercare di
favorire il ritmo sonno veglia: durante il giorno è importante che ci sia una buona illuminazione,
durante la notte bisogna ridurla mantenendo un minimo di luce qualora il paziente dovesse
77
svegliarsi. È importante che i familiari, se possibile, stiano con il paziente. Fare una terapia di
accompagnamento dando un calendario, spiegare dove si trovano, perché si trovano, spiegare le
manovre di contenimento, mobilizzazione precoce. Comunicare in maniera appropriata con il
paziente durante le allucinazioni. Revisionare tutti i farmaci assunti dal paziente cercando di
ridurre al minimo la terapia farmacologica.
Se il paziente continua ad essere pericoloso e violento per sé e per gli altri, rifiuta la terapia,
allora si somministrano dei sedativi. Bisogna evitare le benzodiazepine perché hanno un effetto
paradosso aumentando l’agitazione del paziente e il fenobarbital. Si può usare l’aloperidolo ( si
parte da 0,25mg e si aumenta gradualmente nell’arco delle 24 ore fino ad arrivare ad un
massimo di 5 mg e a partire dal giorno successivo si va a ridurre la dose) oppure antipsicotici
atipici a basse dosi. Mantenere una giusta idratazione del paziente e un giusto stato nutrizionale,
prevenire le infezioni.

78
IL COMA
Adesso parliamo di un’altra condizione in cui non c’è collaborazione del paziente: il coma. Esso
può essere definito come una condizione in cui il soggetto perde coscienza, la coscienza è la
consapevolezza temporale ed ordinata di se stessi e dell’ambiente circostante. L’idea che si ha di
paziente comatoso è quella di un soggetto immobile con occhi chiusi, che, se stimolato, non
risponde ed ha bisogno di una totale assistenza. In realtà va detto che c’è da una parte la
coscienza e dall’altra la vigilanza, infatti ci possono essere pazienti vigili e non coscienti o
viceversa. Un esempio del primo caso è quello dello stato vegetativo persistente o quello dello
stato di minima coscienza, poiché c’è allerta o vigilanza, ma non coscienza. Quali possono
essere le cause di un coma e quali sono le strutture che vanno in sofferenza? Le strutture
coinvolte sono la sostanza reticolare attivatrice, il talamo, la corteccia(qui è rappresentata la
coscienza in senso stretto) e le vie di connessione sottostanti. Per quanto riguarda le cause,
bisogna fare una distinzione in due gruppi: coma strutturale e coma metabolico.

• STRUTTURALE: danno diretto a livello delle strutture prima menzionate. Le


condizioni che danno coma strutturale sono ad esempio un trauma cranico importante,
emorragia subaracnoidea, ischemia ed infarto nel territorio vertebro-basilare con
interessamento della sostanza reticolare, lesione di entrambi i talami, arresto cardiaco,
processi infettivi. Un infarto massivo a livello della cerebrale media può dare coma? Sì,
perché ci sarà edema citotossico (si valuta con diffusione in RM) e avrà un apice in
terza/quarta giornata e causerà ipertensione endocranica, la quale determinerà un coma
qualora ci fosse erniazione o centrale, ossia tutto il tronco dell’encefalo viene compresso
e dislocato, oppure del lobo temporale che, dislocando il mesencefalo, dislocherà tutto il
tronco encefalico.
• METABOLICO: ipo ed iperglicemia, coma acidosico, alcalosi eccessiva, encefalopatia
epatica, encefalopatia uremica, encefalopatia ipossico-ipercapnica (nell’insufficienza
respiratoria), ipo ed ipercalcemia, ipo ed ipermagnesemia, ipo ed ipertiroidismo,
ipopituitarismo.

Quando si presenta un pz in stato comatoso, prima di tutto vanno valutati i parametri vitali(
pressione, frequenza cardiaca e respiratoria, saturazione, temperatura) e il pz va stabilizzato.
Qualcuno discute se è il caso di fare una glucosata con tiamina ( per evitare encefalopatia di
Wernicke) nel sospetto di un coma ipoglicemico, se ne discute perché se il coma fosse
ischemico la glicemia più alta creerebbe un danno non importante. Una volta che sono stati
valutati i parametri vitali, va cercata la causa del coma ed a questo punto, poiché il paziente è
incosciente, vanno ricercati oggetti da lui posseduti come medicinali(insulina ad esempio) o
sostanze stupefacenti, eventuali contusioni e ferite a carico del capo o del resto del corpo per
essere indirizzati nella ricerca della causa del coma.
EO
Vanno valutati tutti i tegumenti, le mucose, che possono essere cianotiche o secche. A tal
proposito sapete qual è l’aspetto di un paziente in stato confusionale o comatoso in
79
intossicazione da anticolinesterasici? Si dice che è rosso come una barbabietola, caldo come una
lepre, matto come il cappellaio, secco come l’osso, cieco come un pipistrello. A carico della cute
ci possono essere petecchie, colorito pallido nel caso di emorragie, colorito bluastro
nell’intossicazione da anilina poiché si forma metaemoglobina, colorito rosso ciliegia nella
intossicazione da monossido di carbonio. In quest’ultimo caso il primo sintomo è la cefalea,
seguita da astenia ingravescente. Bisogna poi procedere con un accurato eo, palpando l’addome,
auscultando il torace.
ESAME NEUROLOGICO
Non è un esame neurologico classico del paziente collaborante, di cui si possono valutare
innanzitutto aspetto, andatura ed eloquio. Nel paziente comatoso vanno esaminate le pupille,
bisogna valutare se sono miotiche, midriatiche o intermedie e se sono reattive alla luce. Le
strutture del riflesso fotomotore sono retina, nervo ottico, braccio congiuntivale,nucleo
pretettale, nucleo di Edinger e Westphal, III nervo cranico e costrittore della pupilla. Facciamo
degli esempi:

• Lesione del diencefalo o biemisferica: le pupille sono miotiche con il riflesso fotomotore
conservato.
• Lesione del mesencefalo: il riflesso è interrotto quindi le pupille sono areattive alla luce e
sono neutre poiché è compromesso sia il simpatico che il parasimpatico, infatti le vie
simpatiche partono dall’ipotalamo, attraversano mesencefalo, ponte e bulbo, vanno al
centro cilio-spinale diBudge, catena cervicale, ganglio cervicale superiore, plesso
carotideo, dilatatore della pupilla. In realtà si potrebbe avere midriasi nel caso in cui
venissero risparmiate le vie simpatiche, come nel caso dell’ernia del lobo temporale che,
erniando, comprime il III nervo cranico e crea una dilatazione nelle fasi iniziali e si ha un
riflesso blando alla luce. Mano a mano che aumenta l’erniazione, si ha midriasi franca e
interessamento dei muscoli extraoculari.
• Lesione pretettale: pupille intermedie e non reagenti alla luce, ma reagiscono
all’accomodazione. Si può dimostrare integrità della via simpatica attraverso il riflesso
cilio-spinale, pizzicando la base del collo del pz e provocando dolore che genererà
midriasi dal lato del collo pizzicato.
• Lesione pontina: pupille miotiche poiché è stato risparmiato il parasimpatico e
danneggiato il simpatico e sono reagenti alla luce.

Può essere ricercata la presenza del riflesso vestibolo-oculare tramite le prove caloriche. Piego
in avanti di 30° la testa del paziente, in modo da rendere perpendicolare il canale semicircolare
laterale, inietto acqua calda o fredda e si avrà solo la fase lenta del nistagmo, controllata dal
labirinto e non quella rapida, che è controllata dalla corteccia frontale. Dunque nel caso di
integrità del riflesso vestibolo-oculare, si avrà deviazione degli occhi senza fase rapida del
nistagmo. Tutti i riflessi sono assenti nel coma di quarto grado. Valutare i riflessi serve anche a
smascherare le condizioni di pseudocoma come nel pz con disturbo di conversione (paziente
psichiatrico) o nel simulatore (si finge di proposito comatoso). Ci sono altri elementi che

80
permettono di distinguere uno pseudocoma da un coma vero, per esempio normalmente nel
soggetto che dorme e che, quando si sveglia, apre gli occhi, c’è una miosi, mentre nel soggetto
comatoso vero succede l’opposto ossia si ha midriasi. Inoltre non si ha difficoltà nel sollevare le
palpebre ad un paziente comatoso e si noterà che, quando queste vengono rilasciate, si
chiudono lentamente, cosa che un soggetto pseudocomatoso non riuscirebbe ad imitare. Oltre
alle prove caloriche come si può valutare il riflesso vestibolo-oculare? Si può fare con la
manovra degli occhi di bambola. Nel paziente comatoso non si ha la necessità di eseguire
movimenti rapidi del capo, ma si può semplicemente spostare la testa del soggetto sul piano
orizzontale e su quello verticale e si vedrà lo spostamento degli occhi dalla parte opposta
rispetto al movimento della testa (gli occhi mantengono la stessa posizione nello spazio).
Facciamo qualche esempio:

81
• Caso B: paralisi del VI nervo cranico bilaterale, nella manovra si ha deficit di abduzione
dei due occhi. La paralisi del VI può essere un segno di falsa localizzazione, in caso di

82
ipertensione endocranica si può avere cefalea (molto frequente), papilledema, vomito e
paralisi del VI che ha un lungo percorso all’interno della scatola cranica.
• Caso C: paralisi del retto interno dell’occhio destro, lesione o del III nervo cranico o del
fascicolo longitudinale mediale di destra.
• Caso D: non c’è riflesso dunque si ha un coma severo.

Oltre al riflesso vestibolo-oculare si può vedere se il soggetto ha paralisi di sguardo, infatti, se si


ha una lesione a carico di un emisfero ed in particolare del centro frontale dello sguardo di un
lato, il paziente devia gli occhi verso la lesione e si dice che guarda la lesione, invece se si ha una
lesione pontina, gli occhi saranno deviati controlateralmente. Nel paziente comatoso si hanno
anche dei movimenti erratici oculari che consistono in movimenti lenti da un lato e dall’altro e
sono tipici del coma tossico e metabolico. Altro movimento oculare anomalo è quello detto
ocularbobbing, ossia un movimento rapido verso il basso e lento verso l’alto.
Passiamo alla valutazione del tono muscolare nel paziente in coma, poiché bisogna verificare se
c’è o non c’è un interessamento di un emilato. Io vi ho detto che, se c’è una lesione delle vie
piramidali o della corteccia motoria, si avrà un ipertono spastico, ma in acuto si avrà il
fenomeno della diaschisi ossia una flaccidità. Bisogna considerare anche i riflessi osteotendinei,
che sono assenti in acuto e compaiono dopo per la spasticità, dunque dal lato dell’emiparesi si
avrà iperreflessia.
Per quanto riguarda l’atteggiamento del paziente comatoso invece si possono distinguere due
atteggiamenti principali: in decorticazione e in decerebrazione. Nel primo si ha iperestensione
agli arti inferiori e flessione agli arti superiori. Nel secondo sia gli arti superiori che quelli
inferiori sono iperestesi ed intraruotati ed è un segno prognostico negativo. Questo è un
atteggiamento che può essere assunto spontaneamente dal paziente o in seguito a stimolazione
dolorosa. L’atteggiamento infine può essere anche asimmetrico ossia in decerebrazione da un
lato e decorticazione dall’altro.

83
Per conoscere il livello di coscienza, va chiamato il paziente per nome a voce prima bassa e poi
più alta, poi si passa alle stimolazioni dolorose pizzicandolo sugli arti distalmente , poi ci si

84
avvicina al volto schiacciando sugli zigomi ed a livello dell’emergenza del nervo sopraorbitario,
oppure si può pizzicare sullo sterno o sulle apofisi mastoidee.
Va valutato anche il respiro perché fornisce informazioni sulla gravità e sulla sede della lesione:

• Lesione biemisferica o sottocorticale bilaterale o coma metabolico: respiro di Cheyne-


Stokes, caratterizzato da una apnea, ampiezza progressiva del respiro che raggiunge un
massimo, poi decresce fino ad avere un nuovo periodo di apnea.
• Lesioni mesencefaliche e pontine superiori: iperventilazione neurogena centrale, tra 70
ed 80 atti respiratori al minuto.
• Lesioni pontine: respiro apneustico caratterizzato da una pausa respiratoria all’apice
dell’inspirazione.
• Lesioni del ponte inferiore: respiro a grappolo cioè una serie di atti respiratori e poi
apnee.
• Lesione bulbare: respiro atassico, completamente disorganizzato e tipico di un paziente
in fase terminale.

COME DIFFERENZIARE IL COMA METABOLICO DA QUELLO STRUTTURALE


Tralasciamo le indagini strumentali (TC ed esami di laboratorio) e facciamo riferimento solo
all’esame clinico. Nel coma metabolico generalmente le pupille sono reagenti (eccezioni sono
l’ipotermia e l’intossicazione da barbiturici o da bloccanti neuromuscolari), si ha simmetria del
tono muscolare e dei riflessi osteotendinei, il riflesso vestibolo-oculare è conservato, i
movimenti oculari erratici che hanno piena escursione sono presenti, sono intatti i movimenti
oculari riflessi tranne nell’intossicazione da fenobarbitale e fenitoina o se il coma è molto
profondo, il livello di vigilanza non ha sempre la stessa intensità, ma è fluttuante, all’esame del
fondo oculare dovrebbe essere assente il papilledema tranne nel caso dell’ipoparatirodismo,
nell’intossicazione da piombo e nell’ipertensione maligna, infine ci potrebbero essere delle
mioclonie tipiche dell’intossicazione da clorpromazina, litio e del coma anossico.

85
SINDROME DA DETERIORAMENTO ROSTRO CAUDALE

86
Questa immagine mostra diverse tipologie di ernie. Tra le più temibili c’è quella delle tonsille
cerebellari, infatti, se si sospetta ipertensione endocranica, prima della puntura lombare bisogna
fare una TC perché se si ha un processo espansivo nella fossa cranica posteriore, facendo la
puntura lombare, si rischia di far erniare le tonsille cerebellari che comprimerebbero il bulbo
causando problemi cardiocircolatori, respiratori ed opistotono. Nel deterioramento rostro
caudale ci sono diversi stadi come nel caso dell’ernia centrale:

• Sindrome diencefalica iniziale: respiro di Cheyne-Stokes, pupille miotiche ma reagenti


alla luce, riflessi oculocefalici e vestibolo-oculari conservati, risposta allo stimolo
doloroso è finalistica, cioè il paziente cerca di allontanare lo stimolo doloroso.
• Sindrome diencefalica tardiva: respiro di Cheyne-stokes, le pupille reagenti solo a stimoli
luminosi intensi, riflessi vestibolo-oculari ed oculocefalici conservati, risposta al dolore
non è più finalistica, c’è rigidità da decorticazione.
• Sindrome mesencefalo-pontina: iperventilazione neurogena o respiro di Cheyne-stokes,
pupille non reagenti, riflessi vestibolo-oculari possono essere assenti o per
coinvolgimento del terzo si ha deficit in adduzione, atteggiamento in decerebrazione.
• Sindrome ponto bulbare: respiro quasi atassico, pupille non reagenti, assenza dei riflessi
vestibolo-oculari ed oculocefalici, possono esserci dei riflessi automatici come quello di
triplice flessione (flessione dorsale del piede, flessione del ginocchio, flessione a livello
dell’anca), importante per la diagnosi di morte cerebrale perché è presente anche in
questo caso.

Nella sindrome uncale da erniazione del lobo temporale il respiro è normale inizialmente, si ha
midriasi per compressione del terzo ed è generalmente poco reagente alla luce, i riflessi
oculocefalici e vestibolo-oculari possono essere conservati oppure ci può essere paralisi del
retto interno dell’occhio dal lato della compressione sempre per coinvolgimento del terzo,
emiplegia dal lato della lesione cerebrale e questo perché, quando il lobo temporale ernia, tende
a comprimere il mesencefalo spostandolo controlateralmente e il peduncolo cerebrale può
essere compresso dal tentorio del cervelletto controlaterale.

87
Argomenti: sclerosi multipla.
CASO CLINICO: paziente di 32 anni, che racconta che nel giro di qualche giorno ha
cominciato ad avere prima una sensazione di addormentamento a tutta l’emifaccia di destra
(iniziata da dietro la testa e poi a tutta la faccia) fino ad interessare tutto l’emicorpo e infine
l’emicorpo controlaterale. Dopo si è accorto di essere diventato scoordinato nei movimenti, sia
nel camminare sia nell’effettuare dei compiti; in maniera particolare dice di essere diventato
goffo ed impacciato all’arto superiore di sinistra. Perde facilmente l’equilibrio nella
deambulazione, il tutto nell’arco di alcuni giorni. Ha iniziato a vedere doppio (soprattutto
guardando verso destra) e si è accorto che il volto è diventato asimmetrico, nel senso che il
solco naso-genieno è più spianato a destra rispetto a sinistra.
Diagnosi di sede: il fatto che abbia una sensazione di intorpidimento che cosa fa pensare come
sede lesionale o come sistema implicato?
1. Il trigemino, che va ad innervare tutto l’emivolto, si occupa dell’innervazione sensitiva
somatica generale (lasciando l’angolo della mandibola e questo è importante in caso di
simulazione o in caso di disturbo di conversione; se il paziente con un disturbo
funzionale o psicogeno dice di aver perso la sensibilità all’emivolto, se dice di aver perso
sensibilità anche all’angolo della mandibola è un simulatore o psicogeno – l’angolo della
mandibola è innervato dalle radici cervicali -). Il paziente dice che è iniziato da dietro la
nuca, territorio non trigeminale; ha iniziato ad interessare anche il territorio trigeminale,
ma poi anche entrambi gli emicorpi con esordio subacuto. Sicuramente è implicato
anche il trigemino, però ci dobbiamo spiegare qualcosa che mi compromette, su
entrambi i lati, la sensibilità propriocettiva profonda: quando si parla di parestesia,
sensazione di addormentamento o formicolii è più probabile un interessamento della
sensibilità profonda piuttosto che quella superficiale esterocettiva termodolorifica.
Dobbiamo immaginare un punto del nevrasse o periferico che ci dia alterazioni di tutti e 2
gli emicorpi. Poi dice di vedere doppio nello sguardo verso destra, quindi deve essere un
punto dove ho interessamento anche di qualcuno dei nervi cranici o fascicolo longitudinale
mediale; abbiamo detto che nelle paralisi longitudinali di sguardo, quando interessato il
centro oculomotore frontale o il centro pontino, c’è la paralisi di sguardo con il paziente che
non è in grado di portare tutti e 2 gli occhi omo o controlateralmente (ma non vede
doppio). Se la lesione è a carico di uno dei nervi cranici o del fascicolo longitudinale mediale
il paziente vede doppio. Dobbiamo considerare anche il fatto che nel camminare tende a
perdere l’equilibrio e il fatto dell’impaccio nei movimenti dell’arto superiore di sinistra.
2. Vediamo di interpretare il disturbo all’arto superiore: secondo voi può essere un
disturbo della via piramidale? In fondo anche un paziente con una lesione della via
piramidale può avere un impaccio nel movimento delle dita, un paziente con emiparesi
ha perso la motilità fine della mano. Quando ho lesione piramidale ho spasticità (in
acuto con ictus, nel fenomeno della diaschisi, ho flaccidità e nel giro di qualche giorno

88
compare la spasticità) e deficit di forza. Il nostro paziente ha la goffaggine, ma non il
deficit di forza.
3. Lesione cerebellare? Lesione direttamente del cervelletto o delle vie che afferiscono.
Potrebbe spiegare il problema all’arto superiore di destra e il fatto che, nel camminare,
ha difficoltà a mantenere l’equilibrio. L’interessamento potrebbe essere a livello dell’arto
superiore e inferiore con atassia.
4. L’asimmetria del volto potrebbe far pensare ad un interessamento del nervo faciale. Se
ho emiparesi del VII nervo cranico posso avere un deficit dei muscoli mimici e
asimmetria. La PARALISI DEL FACIALE può essere PERIFERICA o CENTRALE:
nella periferica completa a livello dell’emergenza dal tronco encefalico si ha paralisi dei
muscoli mimici e dal lato della lesione non si riesce a fare nessuna smorfia (il paziente
non è in grado di sollevare il sopracciglio, chiudere la palpebra, sorridere, il cibo resta nel
vestibolo) con paralisi di un emivolto e si ha lagoftalmo per insufficienza dell’orbicolare
delle palpebre. Il nervo faciale tramite la corda del timpano raccoglie la sensibilità
gustativa del terzo anteriore della lingua (terzo posteriore dal glossofaringeo), mentre la
sensibilità somatica generale è raccolta dal linguale. Innerva le ghiandole salivari e
lacrimali e, all’interno del canale acustico, da una serie di rami: innerva il muscolo
stapedio. Quando arriva il suono alla membrana del timpano viene trasmesso alla staffa,
che mette in vibrazione l’endolinfa: è un sistema di trasduzione, in quanto il suono passa
da aria ad acqua. La staffa trasmette le vibrazioni nell’orecchio interno alla membrana
basale della coclea, dove sta l’organo del Corti, dove tradotto in segnale nervoso.
Quando ho contrazione della staffa riduco la trasmissione delle vibrazioni e, con paralisi
del faciale, il paziente ha iperacusia. Il nervo faciale innerva la conca del padiglione
auricolare: è difficile che si possa obiettivare ipoestesia termodolorifica a questo livello,
ma è importante in caso di Zoster del faciale poiché in questo caso l’eruzione di
vescicole avviene a questo livello (sindrome di Ramsay-Hunt). Uscito dal canale acustico
interno entra nella loggia parotidea fino ai muscoli mimici: a seconda della
sintomatologia posso individuare la sede di lesione, ad esempio se è a livello del foro
stilomastoideo o nella loggia parotidea ho solo paralisi del sopracciglio. Nella paralisi
centrale si ha una peculiarità: nella porzione superiore (orbicolare delle palpebre,
corrugatore del sopracciglio) ha rappresentazione corticale bilaterale, mentre la parte
inferiore è controllata da una sola corteccia. Se il paziente ha una lesione della corteccia
motoria di destra riesce a chiudere entrambi gli occhi, ma non tira il sorriso
controlateralmente. Si ha anche una dissociazione automatica volontaria, ossia se chiedo
di sorridere il paziente non riesce a tirare controlateralmente e invece riesce a farlo se
ride spontaneamente.
Il nostro paziente ha interessamento delle vie profonde e di qualcuno dei nervi cranici,
in quanto non riesce a guardare verso destra (diplopia). Potrebbe quindi essere il nervo
abducente o il fascicolo longitudinale mediale. Ha interessamento cerebellare agli arti e
un faciale a destra. Quando il faciale esce dal nucleo gli assoni fanno un’ansa intorno al
VI nervo cranico.

89
Questo è il territorio d’innervazione del trigemino: la 1° branca in alto
fino a parte del naso, la 2° branca al labbro superiore, zigomi e la 3°
branca con risparmio dell’angolo della mandibola. C’è una differenza
della rappresentazione a livello del nucleo spinale dell’emifaccia
rispetto a quella periferica: qui c’è un’organizzazione a cerchi concentrici, per cui la
sensibilità che parte dall’emifaccia va alla parte più caudale del nucleo spinale e quella più
vicina al labbro inferiore va alla parte più dorsale. Quindi a seconda della distribuzione
del deficit posso capire se si tratta di un problema centrale o periferico: un paziente con
strabismo convergente ha paralisi del VI nervo cranico in quanto non riesce a portare
l’occhio in abduzione e l’unica maniera per spiegare l’interessamento congiunto di VII e
VI è una lesione a livello del ponte, nel punto in cui i fasci di fibre del faciale avvolgono
il VI.
5. Lesione a carico dell’angolo ponto-cerebellare? Ci dovrebbe essere una lesione
dell’VIII, come un neurinoma. Quest’ultimo però, essendo un tumore benigno, cresce
con estrema lentezza e difficilmente da una sintomatologia che si sviluppa nel giro di
qualche giorno. Dobbiamo tener presente che ha il disturbo della sensibilità, vede
doppio a destra, ha faciale a destra e disturbo cerebellare a sinistra. Quindi se la lesione
fosse a livello dell’angolo ponto-cerebellare dovrebbe dare lesione del VII e VIII nervo
e, a meno che non si porti in avanti, non dovrebbe prendere il VI (origina a livello della
giunzione bulbo-pontina, ossia più anteriormente). Non spiega il deficit di sensibilità di
entrambi i lati del corpo e l’atassia.
6. IV ventricolo? Ad esempio se c’è un idrocefalo in un bambino può essere asintomatico,
tranne il fatto che la testa si espande; nell’adulto c’è cefalea con sindrome da
ipertensione endocranica prima di diventare così grave da dare interessamento all’arto. E
poi non spiegherebbe perché l’interessamento è solo omolaterale, dovrebbe essere
simmetrica.
7. È UNA LESIONE PONTINA. Spiega l’interessamento congiunto di VI e VII nervo
cranico, delle vie spino-cerebellari e della sensibilità di entrambi i lati (le vie della
sensibilità profonda passano per il ponte per arrivare a talamo e corteccia). In qualche
maniera ha compromesso la via lemniscale da entrambi i lati, però è prevalente da un
lato; infatti abbiamo un disturbo della coordinazione a sinistra e a destra VI e VII. La
lesione dovrebbe essere prevalentemente a destra, perché il faciale periferico è
omolaterale alla lesione (solo il IV nervo cranico incrocia), e in qualche maniera
oltrepassa la linea mediana e mi va ad interessare anche il lemnisco controlaterale.

90
Le vie spino-cerebellari (anteriore e posteriore),
giunte al peduncolo cerebellare inferiore e superiore, hanno diverso destino in quanto
una va direttamente e l’altra ha un doppio incrocio: l’emisfero cerebellare da un lato
controlla l’emicorpo omolaterale. Come ci spieghiamo l’interessamento a sinistra se la
lesione è a destra? La possibilità è che siano interessate le vie cortico-ponto-cerebellari,
poiché sono quelle che incrociano e vanno all’emisfero cerebellare controlaterale. Se ho
una lesione all’emisfero di destra, che compromette queste vie, posso spiegare perché la
lesione a destra da interessamento cerebellare a sinistra e dei nervi cranici.
Diagnosi di natura:
1. Tumore? È difficile che nel giro di qualche giorno dia questa sintomatologia.
2. Accidente vascolare? Essendo sub-acuto e non acuto e in paziente giovane è poco
probabile. Considerando l’anatomia vascolare del ponte se ho un’occlusione dei rami
paramediani (arterie mediane, paramediane e circonferenziali) è difficile che oltrepassi la
linea mediana fino al lemnisco controlaterale.
3. È UN DANNO INFIAMMATORIO? In questo punto preciso dell’encefalo
potrebbe essere una placca, quindi sclerosi multipla.
ESAME OBIETTIVO NEUROLOGICO:

• Motilità oculare: c’è uno strabismo convergente in posizione primaria di sguardo.


Quando il paziente guarda verso sinistra c’è un nistagmo con fase rapida a sinistra e non
riesce a portare lo sguardo verso destra, tende a cambiare posizione e diventa verticale.
Anche se guarda verso il basso presenta nistagmo con fase rapida in basso e verso l’alto
se guarda verso l’alto (è un nistagmo che cambia direzione a seconda della direzione
dello sguardo, ossia NISTAGMO CENTRALE caratteristico dell’interessamento
cerebellare o delle vie afferenti). Il paziente non riesce a portare lo sguardo a destra, ha
strabismo convergente e vede doppio: dobbiamo ipotizzare interessamento del VI di
destra e il centro dello sguardo pontino. Se fosse una paralisi pura del centro pontino
dello sguardo non dovrei avere diplopia, causata invece da paralisi del VI;
l’interessamento del centro pontino è la causa del fatto che il paziente non riesce a
spostare lo sguardo a destra.

91
• Deficit dell’orbicolare e solco naso-genieno più marcato a destra sono segni di un deficit
dei muscoli mimici, per cui non è una paresi del VII nervo cranico (non paralisi
completa).
• Prove di forza: deficit di forza nell’orbicolare delle palpebre a destra rispetto a sinistra,
dove l’esaminatore non riesce ad aprire l’occhio (a destra ci riesce). Riesce a corrugare la
fronte a sinistra, ma non riesce a sollevare il sopracciglio a destra.
• Manovra del Mingazzini: serve a valutare se è presente un deficit di forza all’arto
superiore. Si fanno mettere le mani tese in avanti, si fa chiudere l’occhio e se c’è un
deficit piramidale l’arto con deficit tende a slivellare ed a pronare. È accompagnato dal
segno della mano cava. Essendo compromesse le vie cortico-ponto-cerebellari si ha
anche una compromissione delle vie piramidali vicine.
• Prova indice-naso: si osserva la netta differenza tra destra e sinistra, con il fenomeno del
past-pointing (quando il paziente raggiunge il dito dell’esaminatore tende a deviare verso
il lato della lesione).
• Disdiadocinesia: si osserval’incapacità di effettuare movimenti rapidi.
• Prova calcagno-ginocchio-tibia: si osserva la differenza tra lato destro e sinistro. A
sinistra fa un movimento a zig-zag.
• Camminata a base allargata, che tende a deviare verso sinistra (tipica del cerebellare).
Nella camminata a tandem, ossia mettendo un piede avanti all’altro, il paziente tende a
cadere verso sinistra. Nel girarsi ha una titubazione del capo, tipica delle lesioni
cerebellari.
Cosa fareste a questo paziente? Osservando l’RM del paziente si osserva una lesione abbastanza
estesa a livello dell’emiponte destro con parte estesa anche all’emiponte controlaterale,
spiegando l’interessamento del lemnisco controlaterale. Ci sono altre lesioni in altre sedi, in
tutto 3 lesioni. Dunque l’ipotesi della sclerosi multipla non è stata demolita dalle indagini.
SCLEROSI MULTIPLA
Patologia demielinizzante con interessamento della mielina centrale; ci sono forme rarissime
con interessamento anche della mielina periferica, ossia forme di poliradicolonevrite di Guillain-
Barrè. È una malattia inizialmente demielinizzante, quindi infiammatoria con meccanismo
autoimmune; ci sono evidenze epidemiologiche e neuropatologiche sperimentali come
l’encefalite allergica (modello animale di sclerosi multipla), che ci dicono che è autoimmune. Ad
un certo punto si innescano meccanismi neurodegenerativi, per cui la patologia inizialmente ha
un andamento recidivante-remittente (a poussè) e poi diventa cronico-progressiva. All’inizio il
paziente ha la sintomatologia con esordio subacuto (da poche ore a qualche giorno), raggiunge
un acme e poi regredisce recuperando (quasi)totalmente. Sta bene per un certo periodo, mesi o
anni, e poi ha un altro attacco sempre con regressione; con il tempo si accumulano disabilità e
la malattia inizia ad essere cronico-progressiva.
EPIDEMIOLOGIA. La prevalenza della malattia è molto variabile perché dipende dall’area
geografica: tende ad aumentare con la latitudine ed è più bassa nei paesi della fascia equatoriale.
92
La federazione internazionale della sclerosi multipla nel 2013 ha studiato l’epidemiologia della
SM nel mondo: prevalenza >100/100000 abitanti nell’America settentrionale, come in Italia
(anche più bassa di 100 tranne che in alcune aree). Tutti i paesi equatoriali e orientali hanno
prevalenza più bassa. Si stima che nel 2013 erano 2300000 i pazienti affetti da SM con un
aumento rispetto al 2008. È più comune nelle donne rispetto agli uomini (F:M=3:1) per la
forma recidivante-remittente, mentre la forma cronico-progressiva ab inizio è uniforme.
L’incidenza è 2-5 casi fino a 11-13/100000 per anno, è relativamente rara.
FISIOPATOLOGIA. Perché il processo di demielinizzazione da la sintomatologia? Quando ho
la demielinizzazione ho alterazione della conduzione saltatoria, quindi il potenziale d’azione
(che dovrebbe saltare da un nodo di Ranvier all’altro) ha una dispersione nelle sedi di lesione
con rallentamento o blocco della conduzione. Considerando che sono interessate soprattutto le
fibre mieliniche ad alta velocità di conduzione, quando ho il rallentamento o il blocco quelle
fibre non funzionano più bene. L’attacco autoimmunitario è soprattutto a carico della mielina,
anche se alcuni autori hanno dimostrato anticorpi che attaccano l’assone. Gli attori del processo
infiammatorio sono i linfociti Th CD4+, in particolare i Th1, 2 e 17, che secernono
interleuchine infiammatorie e determinano il danno a carico della mielina (si ripercuote sul
profilo funzionale e, con il tempo, l’infiammazione da danno assonale con depauperamento e
morte neuronale). Non sappiamo se il processo autoimmune parta direttamente dall’encefalo o
se in qualche altra parte dell’organismo, dove si formano cellule autoreattive, che vanno poi ad
attaccare la mielina; si ha una predisposizione genetica (i gemelli monocoriali hanno una
concordanza del 30%, ossia su 10 gemelli 3/10 hanno la malattia, rispetto al 2-5% nel caso di
gemelli non monocoriali) con rischio di contrarre la malattia in un familiare di primo grado
molto elevato rispetto al resto della popolazione. Si è visto che antigeni di istocompatibilità si
associano con il rischio di malattia, ma non sono geni causali (sono geni di suscettibilità). Da un
lato c’è la predisposizione genetica e dall’altro un’infezione virale, in modo particolare da EBV
o da virus del morbillo; i virus determinano una risposta immunitaria che, attraverso
mimetismo molecolare (gli antigeni virali sono molto simili ad antigeni propri, come la proteina
basica della mielina), induce una risposta nei confronti della mielina centrale.
TECNICHE STRUMENTALI. Oggi abbiamo a disposizione diverse indagini strumentali che
ci consentono di approfondire i meccanismi della patologia. Oltre la RM, che permette di
valutare l’atrofia della sostanza bianca e grigia, le immagini pesate in diffusione danno
informazioni sull’integrità di mielina e vie nervose; abbiamo anche la PET molecolare, ossia
tramite traccianti posso valutare l’attivazione della microglia. Ad esempio la PET con TSPO da
un tracciato di aree dell’encefalo dove c’è la microglia attivata; posso vedere aree di attivazione
di astrociti attraverso la PET con acetato; vedere le aree di degenerazione assonale con
immagini pesate in diffusione o con RM spettroscopica, che permette di valutare metaboliti
come l’N-metil-aspartato (marker di integrità neuronale); posso valutare l’inositolo, marker di
attivazione dell’astrocita. Dunque tramite RM con sequenze particolari posso valutare in vivo i
livelli di certi metaboliti (anche creatina e fosfocreatina, che sono marker del metabolismo
energetico).

93
NEUROPATOLOGIA. La prima descrizione dettagliata risale a Charcot nel 1868, anche se il
termine di “sclerose en plaques” fu introdotto qualche anno dopo sulla base della descrizione.
Esaminando il nevrasse si vede che è costellato da placche, che alla digitopressione hanno
consistenza aumentata. Nella fase acuta iniziale sono massimi i fenomeni infiammatori con
vasodilatazione, edema, infiltrato infiammatorio e demielinizzazione, ma l’assone è ancora
integro; andando avanti il processo infiammatorio va verso la cicatrizzazione con la placca
(inizialmente soffice e rosea) che diviene di aspetto grigiastro e di consistenza aumentata man
mano che si spegne il processo infiammatorio, a causa della cicatrice gliale che si viene a
formare. Nella fase iniziale abbiamo una reversibilità. A livello anatomo-patologico vediamo
come a livello della placca gli assoni sono scomparsi e sostituiti da una cicatrice gliale.
IMMAGINI. In acuto, a causa della rottura della BEE, si ha impregnazione con mezzo di
contrasto: ciò è indice di fase acuta (fino a 3 settimane dalla comparsa della placca). Nelle
immagini T2 e FLAIR le placche appaiono tutte iperintense, è il gadolinio che differenzia fase
acuta o tardiva; se non c’è impregnazione la placca ha più di 3-4 mesi. In T1 possono apparire
ipointense a causa dell’edema o per perdita di sostanza (buchi neri). Hanno spesso forma
ovalare a partenza radiale dal corpo calloso e dal ventricolo con aspetto digitiforme. A livello
midollare possono esserci placche. La malattia inizialmente è caratterizzata dal processo
autoimmune infiammatorio e poi si instaurano i processi degenerativi, visibili alla RM come
atrofia cortico-sottocorticale; già normalmente dai 35 anni iniziamo a perdere neuroni, per cui il
cervello dell’anziano è più atrofico. In pazienti con SM questo processo è decisamente più
rapido.

La SM è una malattia autoimmune e infiammatoria alla cui base abbiamo un processo di


demielinizzazione che termina con una degenerazione assonale e una morte neuronale.

94
Oltre a questi sintomi possiamo avere:

• Neurite ottica retro bulbare: il paziente ha inizialmente una desaturazione del


rosso(alterata percezione dei colori), segue una caduta del visus e può terminare con
uno scotoma cerebrale. Può accusare dolore nei movimenti dell’occhio, poiché il
nervo ottico può essere colpito dal punto in cui emerge dal bulbo fino al chiasma ottico.
Cosa vede l’oculista o il neurologo se va ad analizzare il fondo dell’occhio?
Assolutamente niente perché la neurite è retro bulbare! Il paziente può avere inoltre una
papillite o un papilledema; queste tre forme si distinguono in base a ciò che il medico
vede all’esame del fondo oculare e in base alla visione del paziente (nella neurite retro
bulbare l’esaminatore non vede e il paziente non vede; nella papillite l’esaminatore vede
e il paziente non vede; nel papilledema l’esaminatore vede e il paziente vede). Se la
neurite non dovesse regredire, sul fondo posso notare atrofia ottica, ossia un pallore
della papilla che normalmente ha un colorito più arancione in cui entra l’arteria retinica,
affiancata dalla vena retinica. Come riconosco l’arteria dalla vena retinica? L’arteria ha un
calibro minore e un certo grado di lucentezza dovuto al trasporto di sangue arterioso. In
caso di papilledema, all’esame oftalmico si constata un rigonfiamento della papilla, una
sfumatura dei suoi margini e la mancanza dell’escavazione fisiologica; nell’atrofia ho una
accentuazione del pallore (atrofia primaria per tabagismo, alcolismo, sifilide; secondaria
per ipertensione endocranica).
• Andatura atassica con elementi spastici: il paziente cammina con la base allargata
delle gambe, a “zig-zag”, senza flettere le ginocchia.
• Urgenza minzionaria
• Impotenza
• Fatica
• Disturbi sensitivi e motori parimente al 40percento

SINTOMI SM - Atlas of MS 2013. MSIF 2013

95
SM: EVOLUZIONE DELLA MALATTIA
Vi sono tre forme:
1. Recidivante-remittente
2. Secondaria progressiva
3. Primariamente progressiva (10%)

Nella prima ho un andamento altalenante con periodi di remissione e di attacchi; nella


primariamente progressiva(la più grave) c’è una rapida progressione delle lesioni; nella
secondaria progressiva si ha sempre una progressione delle lesioni, ma si alternano anche
periodi di remissione.

RR-MS, Relapsing-remitting multiple sclerosis


SP-MS, Secondary progressive MS
PP-MS, Primary progressive MS
Nel 2013 viene introdotto il termine CIS, ossia sindrome clinicamente isolata: clinicamente
ho un unico episodio di malattia, che non specifica per forza l’evoluzione verso la SM. Si tiene
quindi conto di una nuova evoluzione clinica:

CRITERI DIAGNOSTICI SM
NOTA BENE: seguiranno delle tabelle riguardanti diversi criteri classificativi, dal 1965 ad
oggi. Si consiglia una lettura di tutti i criteri. Da notare come in quelli di Schumacher, per
diagnosticare la malattia, ci si basava soltanto sui sintomi clinici, data l’assenza della RM. Ai fini
96
dell’esame è utile conoscere i “criteri di Mcdonald del 2017”, cosa si intende per attacco,
disseminazione nello spazio, disseminazione nel tempo.
1. Schumacher Committee on Diagnostic Criteria for MS

• objective CNS dysfunction,

• involvement of white matter structures,

• two or more sites of CNS involvement,

• relapsing-remitting or chronic (more than 6 months) progressive course,

• age 10 to 50 years at onset,

• no better explanation of symptoms as assessed by a competent neurologist.

SM definita:
– decorso recidivante-remittente con almeno due episodi a distanza di un mese
l’uno dall’altro;

– oppure progressione graduale o a gradini nel corso di almeno sei mesi;

– segni neurologici documentati da lesioni encefaliche o midollari in più di una


sede;

– esordio tra 10 e 50 anni;

– assenza di diagnosi alternative;

SM probabile:
– storia di disturbi neurologici recidivanti-remittenti, ma senza segni clinici
documentati; e

– un solo segno comunemente associato alla SM;

– oppure singolo episodio documentato, seguito da un buon recupero funzionale;


e

– segni relativi a più di una lesione della sostanza bianca;

– assenza di diagnosi alternative.

SM possibile:

– storia di disturbi neurologici recidivanti-remittenti;

97
– non segni documentati o segni obiettivi non sufficienti a stabilire la presenza di
più di una lesione della sostanza bianca cerebrale;

– assenza di diagnosi alternativa.

2. Criteri diagnostici per la SM proposti da Poser et al (1983)


Sclerosi Multipla clinicamente definita :
• due episodi* ed evidenza clinica di due diverse e separate sedi lesionali†;

• due episodi, evidenza clinica di una sede lesionale ed evidenza paraclinica di un’altra
separata lesione‡.

Sclerosi Multipla strumentalmente definita :


• due episodi; evidenza clinica o paraclinica di una sede lesionale; presenza di bande
oligoclonali o di un’aumentata sintesi intratecale di IgG all’esame del liquor;

• un episodio; evidenza clinica di due diverse sedi lesionali; presenza di bande oligoclonali
o di un’aumentata sintesi intratecale di IgG all’esame del liquor;

• un episodio; evidenza clinica di una sede lesionale e paraclinica di un’altra separata


lesione‡; presenza di bande oligoclonali o di un’aumentata sintesi intratecale di IgG
all’esame del liquor.

Sclerosi Multipla clinicamente probabile:

• due episodi ed evidenza clinica di una sede lesionale;

• un episodio ed evidenza clinica di due sedi lesionali separate;

• un episodio, evidenza clinica di una sede lesionale ed evidenza paraclinica di un’altra


separata lesione‡.

Sclerosi multipla strumentalmente probabile:


• due episodi e presenza di bande oligoclonali o di un’aumentata sintesi intratecale di IgG
all’esame del liquor.

3.

98
99
100
4.

101
Diagnosi differenziale: si consiglia lettura.

Systemic lupus erythematosus


Sjögren's disease
Behçet's disease
Polyarteritis nodosa
Paraneoplastic encephalomyelopathies
Acute disseminated encephalomyelitis, postinfectious
encephalomyelitis
Granulomatous angiitis
INFECTIOUS DISEASES

Lyme neuroborreliosis
[*]
Human T-cell lymphotropic virus type 1 infection
Human immunodeficiency virus infection
[*]
Progressive multifocal leukoencephalopathy
[*]
Neurosyphilis
GRANULOMATOUS DISEASES

Sarcoidosis
Wegener's granulomatosis
Lymphomatoid granulomatosis
DISEASES OF MYELIN
[*]
Metachromatic leukodystrophy (juvenile and adult)
[*]
Adrenomyeloleukodystrophy

102
MISCELLANEOUS
[*]
Spinocerebellar disorders
[*]
Arnold-Chiari malformation deficiency
Vitamin B12

103
104
TERAPIA: TRATTAMENTO NEI DIVERSI ANNI IN BASE ALLA SCOPERTA
DEI NUOVI FARMACI

• Interferon beta 1a and b: Are recombinant and modified forms of human interferon β
(IFN-β).Reduced the rate of clinical exacerbations and the number of lesions on brain
MRI in placebo-controlled trials .Were recognized as proteins with antiviral
propertiesTheir therapeutic use in MS was explored because of indirect evidence of viral
infections in this disease.However, there are no conclusive evidence that viral inhibition
accounts for the beneficial effects in MS.

• Natalizumab: anticorpo monoclonale che mi da come effetto collaterale la


leucoencefalopatia multifocale progressiva con rischio quantificato, più alto dopo due
anni di trattamento e/o con immunosoppresori. Riduce le lesioni del 68%, tra i farmaci
più potenti della SM.

• Fingolimod: per os

• Alentuzumab e Teriflunomide( tra i farmaci di prima scelta)

• Dimetilfumarato: meningoencefalite tra gli effetti indesiderati (molto rara 1 su 50mila;


riduce le ricadute del 51%, rispetto all’interferone che va sul 30%)

• Daclizumab: ritirato nel marzo 2018 perche dava eventi indesiderati come la
meningoencefalite

• Cladribina antineoplastico. Riduce le lesioni del 58%

Tutti questi farmaci vengono usati per la forma recidivante-remittente; l’unico farmaco
utilizzato per la primaria progressiva è OCRELIZUMAB.

105
106
Neurologia 24 Maggio 2018 prof Di Costanzo
Disturbi del movimento, morbo di Parkinson
Paziente di 65 anni nell’ultimo anno ha cominciato ad accorgersi di avere difficoltà nel muovere
la mano destra, riferisce un impaccio per quanto riguarda soprattutto i movimenti fini (ad
esempio abbottonare la camicia), maggiore lentezza della suddetta mano rispetto alla sinistra e,
nell’ultimo mese, riferisce la comparsa di un tremore saltuario interessante sempre la mano
destra.
L’impaccio motorio di per sé risulta aspecifico: infatti può essere conseguenza anche di una
lesione piramidale, nel qual caso però si accompagna anche a deficit di forza; anche un paziente
cerebellare può essere goffo nei movimenti, scoordinato, atassico; questo impaccio motorio
può essere tuttavia dovuto anche al di Parkinson, la quale diagnosi rimane ancora oggi
squisitamente clinica.
Dal punto di vista clinico il morbo di Parkinson ha una moltitudine di manifestazioni: estrema
lentezza nei movimenti, asimmetria della compromissione motoria, tremore (che può essere più
o meno evidente e tipicamente presente a riposo), atteggiamento camptocormico (paziente in
flessione, sia a livello degli arti superiori che inferiori) tipico del paziente con Parkinson; si può
notare anche un tipico atteggiamento della mano: flessione a livello metacarpo-falangeo ed
estensione a livello interfalangeo ( a differenza del paziente piramidale); andatura a piccoli passi
(“strascicata”), freezing (il paziente sembra rimanere bloccato con i piedi per terra nel momento
in cui cerca di girarsi: per superare l’inconveniente il paziente tende ad eseguire con difficoltà
piccoli passettini, molto instabili, che lo espongono anche a rischio di caduta. Spesso per
ovviare a tali inconvenienti i pazienti adottano delle strategie: ad esempio anteporre un bastone
nella direzione della marcia, concentrandosi così nel superare l’ostacolo e riducendo di
conseguenza il freezing; oppure possono eseguire la marcia militare), instabilità posturale
(rilevabile con il Pull Test nel quale il paziente parkinsoniano resta fermo rischiando di cadere),
difficoltà nell’iniziare il movimento e conseguente rarità nei movimenti (caratteristiche
identificate come acinesia, rilevabile con svariati test come il “finger tapping”), facies amimica
con rarità nell’ammiccamento, adiadocinesia (o disdiadocinesia: difficoltà nell’eseguire con un
107
ritmo rapido dei movimenti alternati); tipica risulta anche la presenza della micrografia; si può
ritrovare in alcuni casi un’alterazione dell’andatura: la festinazione. In questi casi il paziente nel
camminare ad un certo punto accelera, come se rincorresse il proprio baricentro, e non riesce a
fermarsi se non aggrappandosi a qualcosa; importante risulta anche la presenza di ipertono
muscolare, rigidità muscolare, che a differenza del paziente piramidale in cui abbiamo il segno
del coltello a serramanico, in tali pazienti si presenta lungo l’intera ampiezza del movimento,
interrotto da cedimenti bruschi, il cosiddetto segna della ruota dentata;

Più in generale distinguiamo il morbo di Parkinson classico, idiopatico e un’altra serie di


patologie che lo ricordano, definiti parkinsonismi, i quali spesso presentano una minore risposta
al trattamento e una prognosi peggiore: infatti il Parkinson idiopatico almeno all’inizio risponde
bene alla levodopa e i vari trattamenti. I parkinsonismi entrano nel capitolo più ampio dei
disturbi del movimento, molto variegato e il quale va spesso incontro a rimaneggiamento.
Con disturbi del movimento o malattie extrapiramidali indentiamo un insieme di patologie
distinte in due grossi insiemi:
● Patologie caratterizzate da lentezza e povertà dei movimenti, bradicinesia e ipocinesia;
● Patologie nelle quali vi sono movimenti involontari anomali;
Per quanto riguarda invece quei disturbi motori dovuti a interessamento di primo e secondo
motoneurone, midollo spinale, nervi periferici e muscoli, anche sa danno comunque alterazioni
della motilità NON sono classicamente classificati tra i disordini del movimento; diverso è il
ragionamento per le anomalie del tono muscolare, rigidità, spasticità, incoordinazione motoria
(come in atassia cerebellare), disturbi motori complessi, i quali sono attualmente classificati tra i
disturbi del movimento;
Tornando ai parkinsonismi, essi hanno diverse definizioni, tra cui:
Sindromi che si manifestano con la combinazione delle seguenti sei caratteristiche:
● Tremore a riposo
● Bradicinesia
● Rigidità
● Perdita dei riflessi posturali
● Postura in flessione
● Freezing, blocchi motori
Si può dunque fare diagnosi di parkinsonismo definito se vi sono almeno due delle suddette manifestazioni
cliniche, tra cui una deve essere il tremore a riposo; (questo varia a seconda dei criteri clinici considerati:
infatti altri considerano come sintomo cardine la bradicinesia);
Diagnosi di parkinsonismo probabile se vi è il tremore a riposo o la rigidità a riposo
Diagnosi di parkinsonismo possibile se vi sono almeno due tra bradicinesia, perdita dei riflessi posturali, postura
in flessione e freezing;
108
Per quanto riguarda il morbo di Parkinson Classico, esso è una malattia neurodegenerativa con
andamento quindi progressivo che coinvolge diverse strutture: inizia a carico dei neuroni
dopaminergici nigro-striatali per poi passare ad altre parti dell’encefalo. Sembrerebbe dunque
che l’esordio della patologia sia motorio, tuttavia non è esattamente così: infatti il morbo di
Parkinson è caratterizzato inizialmente da una fase prodromica in cui si hanno altri disturbi tra
cui depressione, disturbi del sonno REM, stipsi e iposmia; secondo diverse teorie quindi, la
comparsa dei corpi di Lewy, il processo neurodegenerativo inizierebbe a carico del bulbo
olfattorio e dei plessi mioenterici (piuttosto che a livello della substantia nigra). Dalla parete
intestinale attraverso il vago, il processo degenerativo interesserebbe il bulbo, dal bulbo in via
ascendente il mesencefalo, da qui i porzioni mediali dei lobi temporali e infine tutta la corteccia.
Questi sono i cosiddetti stati di Braak.
Oltre al Parkinson classico vi sono però altre patologie neurodegenerative primitive, tra cui la
Paralisi Sopranucleare Progressiva, l’Atrofia multisistemica, la Degenerazione Cortico-basale, il
Complesso Parkinsonismo Demenza, la Distonia che risponde a levodopa, la malattia di
Huntington, la malattia di Wilson, le cui vanno in diagnosi differenziale col parkinson.
Vi sono inoltre i parkinsonismi secondari, che spesso sono reversibili. Ad esempio forme
iatrogene da antipsicotici (i vecchi soprattutto ma anche gli atipici), antiemetici, reserpina, la
tetrabenazina, la metil-DOPA, il Litio, la flunarizina, la cinarizina, il valproato. Possibili sono le
forme dovute a tossine: ad esempio da MTPT (che può contaminare la meperidina), il
monossido di carbonio (soprattutto se severa, a distanza di diverse settimane), manganese,
mercurio, metanolo, anche etanolo. Sono possibili forme vascolari, nonché infettive ( parkinson
post encefalitico, come conseguenza dell’encefalite di Von Economo, opppure a seguito della
leucoencefalite sclerosante subacuta, o AIDS); ancora sono possibili casi traumatici (es nei
pugili); l’idrocefalo anche può dare un parkinsonismo, come flogosi a livello mesencefalico,
neoplasie destruenti a livello mesencefalico, e infine altre condizioni cliniche come
l’ipotiroidismo possono simulare un parkinsonismo, per la bradicinesia e le altre manifestazioni
cliniche.
Da un punto di vista epidemiologico il morbo di Parkinson è la seconda patologia
neurodegenerativa più frequente dopo l’Alzheimer. Esso colpisce più frequentemente pazienti
più avanti nell’età, sebbene possa coinvolgere anche i giovani: in generale la prevalenza passa
dal 2% tra i 55-65 anni a 3-5% tra 85-89; grossomodo l’1% degli over 60 anni e il 4% degli over
85 sono interessati da tale patologia; Considerando la popolazione in toto possiamo dire che il
morbo di Parkinson ha una prevalenza dello 0,1/0,2%, con sicuramente maggior frequenza
negli individui più anziani.
La gran parte delle forme di Parkinson sono sporadiche, il 5-10% sono geneticamente
determinate e il 20% dei pazienti con Parkinson hanno almeno un collaterale affetto (a
sottolineare il grosso peso della genetica alla base della patologia). Al 2010 erano stati
identificati 15 loci genici coinvolti nell’insorgenza di Parkinson, saliti a 16 nel 2012 e 19 nel
2016, appunto Park1-19 (identificati con studi del tipo “Genome Wide Association Studies”),
per arrivare oggi a 23 loci coinvolti.
109
Per molti di questi geni la funzione ancora non è conosciuta, e i difetti possono essere
ovviamente mutazioni puntiformi, duplicazioni (a carico della sinucleina) e così via. Nonostante
tale patologia si conosca da lungo tempo, ancora non abbiamo conoscenze approfondite a
riguardo tali da avere una terapia che modifichi il decorso della stessa (infatti la terapia attuale è
ancora sintomatica). Nel 1872 è stata adottato il termine di Morbo di Parkinson, in quanto da
Parkinson fu inizialmente denominata “Paralisi Agitata”. Nel 1997 è stato identificato il primo
gene causale, quello della sinucleina, in una grossa famiglia italiana, usando degli studi di tipo
linkage. La funzione di tali geni risulta non completamente conosciuta ancora, tuttavia è stato
possibile avanzare delle teorie sul ruolo delle mutazioni nel causare la morte cellulare neuronale:
molti di questi geni (alpha-sinucleina, parkina…) sono implicati nel funzionamento del sistema
ubiquitinina-proteasoma, dunque loro mutazioni danno un’alterata funzionalità di questa via di
degradazione con conseguente accumulo di alpha-sinucleina che si aggrega e forma i corpi di
Lewy; vi sono anche mutazioni di geni che contribuiscono al funzionamento dei microtubuli
(come la parkina), importantissimo per il trasporto assonale e quindi possibile causa di apoptosi
se mal funzionate. Alcuni di questi geni sono fondamentali per il funzionamento mitocondriale,
e dunque loro mutazioni possono portare ad un aumento dello stress ossidativo e morte
cellulare. Ancora si hanno evidenze di alterazione dei meccanismi dell’auto-fagocitosi (che
rimuoverebbe proteine mal ripiegate e degraderebbe organelli cellulari), stress del reticolo
endoplasmatico, alterazioni a carico del sistema dell’endocitosi, malfunzionamento delle
vescicole sinaptiche: tutto ciò può contribuire alla morte neuronale.
110
Per quanto riguarda i rilievi istopatologici, caratteristici risultano i corpi di Lewy, intracellulari,
caratterizzati da un nucleo centrale eosinofilo circondato da un alone periferico. Essi sono
costituiti da alpha-sinucleina e altre proteine (ad esempio ubiquitinina). Dal punto di vista
neurofisiopatologico per le alterazioni del movimento, un ruolo centrale è rivestito dalla
dopamina, rilasciata a livello nigrostriatale: essa ha un duplice effetto, eccitatorio per le cellule
putaminali dotate di recettori appartenenti alla famiglia D1-like e inibitorio per le cellule
putaminali dotate di recettori D2-like. Da qui si dipartono due vie che portano al Globo Pallido
interno, il quale ha a sua volta effetto inibitorio sul Talamo (a livello del quale proietta) che ha
effetto eccitatorio a livello corticale. Queste due vie sono la via diretta e indiretta.
● La via diretta mette in connessione diretta il putamen con il globo pallido interno
attraverso proiezioni GABAergiche. Il globo pallido interno si mette poi in connessione
con il Talamo, sempre attraverso una via GABAergica. La substanzia nigra stimola
attraverso D1 i neuroni putaminali che proiettano al pallido interno inibendolo. A tal
punto viene meno l’inibizione che il pallido interno esercita sul talamo che quindi attiva
le sue proiezioni eccitatorie a livello corticale.
● La via indiretta passa attraverso il Globo Pallido Esterno, il nucleo Subtalamico, il
pallido interno, talamo e corteccia. La substantia nigra attiva i recettori D2 che
inibiscono l’attività dei neuroni putaminali che proiettano al pallido esterno, così
facendo viene meno l’inibizione a tale livello.
111
Il pallido esterno dunque proietta sul nucleo subtalamico, inibendolo. Il nucleo subtalamico ha
proiezioni glutammatergiche e quindi eccitatorie a livello del pallido interno, tuttavia
essendo queste inibite viene meno l’attivazione del GPi e si ha disinibizione del talamo
che può proiettare alla corteccia.

Nel parkinson si ha degenerazione della SNc e si ha riduzione del tono dopaminergico


putaminale. Viene meno quindi l’effetto eccitatorio della via nigrostriatale sui neuroni
putaminali con recettori D1, si ha una riduzione del tono inibitorio sul GPi il quale può quindi
inibire con maggior efficienza il Talamo, ciò causa conseguente riduzione del tono eccitatorio a
livello corticale e quindi bradicinesia. Nella corea di Huntington, invece, si ha degenerazione dei
neuroni putaminali, soprattutto quelli dotati di recettori D2: si ha quindi una riduzione
dell’inibizione del GPe con riduzione del tono del nucleo subtalamico quindi ridotta attivazione
del GPi e iperattivazione conseguente del Talamo, con aumento del tono eccitatorio corticale e
insorgenza di movimenti involontari. Queste interconnessioni pongono il razionale per le
terapie chirurgiche effettuate a livello dei nuclei della base: un tempo si era soliti ledere o il GPi
o il nucleo subtalamico, attraverso l’utilizzo di un casco stereotassico fissato al cranio e con
sonde che giungono ai nuclei della base. Oggi invece si usa la Deep Brain Stimulation, ovvero
impianto di elettrodi a livello dei nuclei della base con possibilità di stimolazione degli stessi. Il
vantaggio è la reversibilità di questa tecnica, rispetto alla lesione.

112
Oltre ai segni e sintomi fino ad ora elencati, nel morbo di Parkinson ne possiamo annoverare
altri. Uno di questi è la bradifrenia: il paziente ha un rallentamento nel processing, e
conseguentemente impiega un tempo maggiore a rispondere ad una domanda, soprattutto se
non è in terapia con levodopa. Si hanno anche depressione, disturbi del sonno REM, e nelle fasi
tardive (dopo molti anni dall’insorgenza dei disturbi motori, di solito 10) si ha demenza. Questo
è importante per differenziare il Parkinson da altre condizioni come la demenza a corpi di Lewy
in cui la demenza ha un esordio più precoce. Vi sono anche segni e sintomi neurovegetativi:
scialorrea, iperidrosi, seborrea, ipotensione ortostatica, disturbi urinari e sessuali. Nel Parkinson
classico questi disturbi sono inizialmente molto modesti e si accentuano tardivamente. Può
esservi una sintomatologia dolorosa, la quale è caratterizzata da parestesie che spesso portano il
paziente all’osservazione di altri specialisti prima di giungere all’osservazione del neurologo.
Importante considerare per il Parkinson le seguenti bandierine rosse che ci devono aiutare nella
diagnosi differenziale di altre patologie col suddetto Parkinson (ci suggeriscono la possibilità
che la condizione che stiamo osservando non sia un morbo di Parkinson classico):

113
Nel corso degli anni per la diagnosi di morbo di parkinson si sono susseguiti una serie di criteri
clinici: quelli più utilizzati sono quelli della Queen Square Brain Bank introdotti nel 1988,
mentre dal 2015 si usano i nuovi criteri della Movement Disordes Society.
Per quanto riguarda i criteri della Queen Square Brain Bank essi sono caratterizzati da 3 step:
● Primo step: ha l’obiettivo di fare diagnosi di morbo di Parkinson
● Secondo step: criteri che escludono la malattia di Parkinson
● Terzo step: criteri che supportano la diagnosi di Parkinson

Tuttavia oggi quelli in uso sono della Movement DIsorders Society:

114
115
Per quanto riguarda le metodiche strumentali posso utilizzare il DAT (trasportatore della
dopamina) scan, o la PET con fluoro-DOPA che mostrano una riduzione del segnale a livello
dei nuclei della base e della SNc a causa della degenerazione dei neuroni dopaminergici.

116
Disordini del movimento
Continuiamo il nostro discorso sui disordini del movimento. Cercherò di farvi vedere più video
e meno diapositive. Una cosa però, rapidamente, ve la voglio dire riguardo la terapia. Già
abbiamo detto che, in sostanza, si tratta solamente di una terapia sintomatica. Non esiste una
terapia disease modifying, in grado di modificare il decorso della malattia. Purtroppo la malattia
va avanti. Inizialmente la terapia con i farmaci dopaminergici funziona benissimo, infatti è
considerata uno dei criteri per la diagnosi di malattia di Alzheimer idiopatica, poi con il tempo
questa risposta diventa meno brillante fino ad arrivare al punto in cui non funzionano più.
Questo perché se si tratta di un processo neurodegenerativo ,con un depauperamento dei
neuroni dopaminergici e non solo, essendo un processo che si diffonde anche ad altre strutture
dell’encefalo, è chiaro che non c’è più il substrato sul quale possono agire questi farmaci.
I farmaci per la terapia sintomatica che vengono usati sono gli anticolinergici ( biperidene,
benzdiopina ecc.) . L’Atropa Belladonna, il rimedio bulgaro, è stato il primo trattamento per la
malattia di Parkinson , pur non funzionando bene sul tremore. Sul tremore ,in alcuni pazienti
funziona bene mentre in altri no, il trattamento dopaminergico. Quindi, in alcuni pazienti, per
controllare e ridurre al minimo il tremore, ovviamente senza toglierlo ma solamente
mascherandolo, si utilizzano gli anticolinergici, che devono essere usati con cautela nei soggetti
più anziani, oltre i 65 anni, perché facilmente possono dare uno stato confusionale , infatti
rappresentano una delle cause più frequenti di delirium dell’anziano, come visto in precedenza.
Poi c’è la Levodopa, che ovviamente deve essere trasformata in dopamina nei neuroni, i
dopamino agonisti, che si dividono in ergolinici e non ergolinici. Gli ergolinici vengono
utilizzati come farmaci di seconda scelta in quanto hanno molteplici effetti indesiderati, tra cui
la fibrosi peritoneale, mentre tra quelli non ergolinici che vengono utilizzati abbiamo il
pramipexolo e il ropinirolo.
Poi abbiamo gli inibitori delle COMT ( cateto-O-metiltrasferasi), che riducendo il metabolismo
della dopa a livello periferico, consentono un maggiore passaggio della dopamina a livello
centrale. Tutti questi farmaci danno però una serie di effetti indesiderati come nausea,
sonnolenza, insonnia, soprattutto i dopamino-agonisti, depressione, allucinazione, ipotensione
ortostatica, vertigini.
Che cosa succede a lungo andare? A lungo andare si presenta “sindrome del trattamento a
lungo termine”. Cominciano a comparire le fluttuazioni e le discinesie. Per quanto riguarda le
fluttuazioni, ce ne sono di diversa tipologia, c’è il cosiddetto “wearing off”, deterioramento di
fine dose, cioè , mentre nella fase della “luna di miele” (si possono somministrare tre o quattro
somministrazioni, di solito quattro perché la levodopa ha un emivita relativamente breve) il
paziente aveva una certa continuità nelle sue prestazioni motorie, successivamente comincia ad
avere fenomeni “off” prima della fine dose. Quindi, se prima il paziente assumeva il farmaco
ogni 4 ore, 8.00-12.00-16.00-20.00, senza alcun problema e mantenendo una certa continuità
nelle sue prestazioni motorie, con la comparsa della sindrome a lungo termine è costretto ad
anticipare la dose perché non riesce a coprire tutte le 4 ore. E’ possibile anche che ci sia un
ritardo nell’inizio dell’effetto. Il fenomeno più drammatico, tuttavia, sono le discinesie, che
possono essere di fine dose o di picco dose e nelle fasi più avanzate della malattia sono davvero
difficili da gestire e questo è il motivo per cui, per esempio, alcuni pazienti selezionati vengono
117
sottoposti al trattamento di deep brain stimulation ( stimolazione celebrale profonda) o ad
interventi di lisi a livello del nucleo subtalamico. Per quanto riguarda la deep brain stimulation,
dobbiamo precisare che una stimolazione eccessiva del nucleo subtalamico di Lewis ne inibisce
la funzione. Cioè, anziché fare interventi di lisi, di lesione del nucleo, si è visto che, per varie
motivazioni, funziona meglio la stimolazione celebrale profonda. Una sovrastimolazione è
come se creasse una depolarizzazione permanente.
Per i pazienti che cominciano ad essere resistenti al trattamento con la Levodopa, ci sono altri
presidi terapeutici, per esempio la pompa di infusione con morfina oppure una particolare
formulazione di Levodopa gel, che viene iniettata direttamente, attraverso PEG, nello stomaco
del paziente, anche qui si tratta di una pompa di infusione però attraverso la PEG.
A questo punto, il professore ci ha mostrato alcuni video su come avviene la deep brain
stimulation e riguardo alcuni disturbi del movimento che credo sarebbe stato utile vedere in
quanto è impossibile descrivere a parole alcune caratteristiche e differenze da cogliere solo con
lo sguardo. Quanto riporto ora, quindi, è riguardo alcuni commenti del professore , durante la
visione dei video, che ritengo opportuno riportare in questa sbobina.
Il tremore essenziale è un tremore che può essere confuso con il tremore parkinsoniano. Spesso
il morbo di Parkinson esordisce con un tremore che ha tutte le caratteristiche del tremore
essenziale e poi successivamente cominciano a comparire gli altri segni della malattia quali la
rigidità, la bradicinesia ecc. Nel tremore essenziale c’è solo questo tremore che, inizialmente ha
una frequenza un po’ più alta del caratteristico tremore a riposo del morbo di Parkinson ed è
meno ampio, però poi, con il tempo, dopo molti anni, ci può essere un lento peggioramento,
per quanto riguarda il tremore essenziale, fino a diventare invalidante in alcuni casi. Con il
passare del tempo, la frequenza si riduce mentre aumenta l’ampiezza. L’aumento dell’ampiezza
comporta un aumento dell’invalidità del tremore. In più del 50% dei casi è familiare, anche se
non è stato ancora individuato un gene, probabilmente si tratta di più geni implicati. Se un
paziente presenta tremore essenziale, molto spesso ne soffre anche un parente di primo grado.
In caso di dubbio si può ricorrere al DaTSCAN oppure alla PET con fluorodopa che ci
consente di fare diagnosi di morbo di Parkinson in caso di ridotta captazione, si usa fare
eventualmente anche la scintigrafia miocardica con MIBG, dove risulta una ridotta captazione
nel Parkinson e non nel tremore essenziale. Ci sono vari farmaci che possono essere utilizzati e
anche questi consentono la diagnosi differenziale perché mentre il tremore parkinsoniano
risponde alla Levodopa, anche se non in tutti i casi, o agli anticolinergici, il tremore essenziale
risponde bene ai beta-bloccanti come il propanololo, che si usa di più, si può usare anche il
povidone, un barbiturico che poi si trasforma in fenobarbitale. Quindi, come vi dicevo, è un
tremore che può diventare invalidante. Inoltre, mentre il tremore parkinsoniano è
caratteristicamente a riposo e tende ad attenuarsi con la postura, anche se non in tutti i casi, il
tremore essenziale è prevalentemente posturale e cinetico. Caratteristiche importanti in questo
tremore sono il tremore del capo e della voce, che solo raramente si presentano nel Parkinson,
si può avere ma non è caratteristico mentre è caratteristico il tremore della mandibola e delle
labbra. Il paziente con morbo di Parkinson è ipofonico, manca di prosodia ma
caratteristicamente non ha tremore della voce.

118
(Video di pazienti con tremore essenziale)
Quali sono le possibili complicanze della stimolazione celebrale profonda? Le complicanze
possono essere diverse : emorragia, soprattutto se non viene eseguita per bene, l’intervento non
potrebbe riuscire, oppure si può avere l’emiballismo. Si tratta di movimenti “ballici” abbastanza
ampi che possono essere anche molto violenti e il paziente si può far male. Compaiono quando
si accende lo stimolatore. Un’ulteriore complicanza che ci può essere è che, essendo vicinissimi
alle vie piramidali, ci può essere uno screzio piramidale. Ricordate che la deep brain stimulation
è fatta a livello del nucleo talamico, ventrale intermedio del talamo. L’intervento può essere
monolaterale o bilaterale, su entrambi i nuclei talamici. Di solito si fa prima da un lato e poi se
va bene si fa anche dall’altro lato.

(Video sull’emiballismo)
Di solito il tremore dà al paziente una sensazione di incertezza nell’andatura e quindi tende a
sbandare durante la camminata.

(Video di pazienti sottoposti a deep brain stimulation)


Nel morbo di Parkinson, proprio per la tendenza alla micrografia non si hanno delle alterazioni
così vistose come nel paziente con tremore essenziale (Il professore si riferisce ad un video in
cui viene chiesto ai pazienti con tremore di disegnare una spirale)

(Video di pazienti con morbo di Parkinson prima e dopo stimolazione profonda dei
subtalami)
L’inibizione del nucleo subtalamico, durante la deep brain stimulation, è un’inibizione
reversibile che si può attivare e disattivare dall’esterno. Fin quando è attivo lo stimolatore,
inibisce la funzione del nucleo subtalamico. Tutto questo non avviene nell’intervento di lisi.

(Video Pull Test normale e Pull test in pazienti con morbo di Parkinson di diversa
gravità
(Il pull test va a verificare l’instabilità posturale, molto frequente nel morbo di Parkinson,
spesso associata a disturbi dell’andatura. In questo test al paziente viene chiesto di mantenere
l'equilibrio, mentre l'esaminatore, in piedi dietro, tira con forza verso di sé.)
Questa invece è una paziente con degenerazione cortico- basale. (Video) Tra i disturbi corticali,
c’è anche l’aprassia ( nel video l’esaminatore chiede alla paziente di impugnare la penna con
l’altra mano, passarla da una mano all’altra, e lei ha difficoltà a compiere questo movimento)

(Video di una paziente con mioclono riflesso corticale in una paziente con
degenerazione cortico -basale)
La paziente ha delle contrazioni muscolari improvvise, molto rapide, involontarie. Queste
contrazioni sono tra i disturbi del movimento più rari, possono essere ritmiche o aritmiche ed
hanno la caratteristica di essere istantanee, rispetto, per esempio, al movimento coreico.

119
Le mioclonie sono presenti in moltissime patologie. Possono essere sia primarie che secondarie.
Però quando è presente in questo tipo di mioclono, il mioclono riflesso, siamo in presenza di
una degenerazione cortico-basale.
La degenerazione cortico-basale è uno dei parkinsonismi. È una tra le forme primarie
neurodegenerative ed è caratterizzata da una stretta unilateralità, che resta tale anche a distanza
di diversi anni dall’esordio. Di solito questo disturbo comincia all’arto superiore e si può
manifestare con rigidità, distonia, ovvero un movimento in cui si ha una contrazione prolungata
dei muscoli agonisti e antagonisti, per cui il paziente assume degli atteggiamenti particolari. Le
distonie possono essere focali o generalizzate, focali se riguardano solo parti del corpo, come il
crampo dello scrivano, oppure possono essere generalizzate, che interessano tutto il corpo e
spesso sono geneticamente determinate.
Quindi, ci può essere una distonia, ci può essere una rigidità, un mioclono, ci può essere l’arto
alieno.

(Video di arto alieno in una paziente con degenerazione cortico-basale)


L’esaminatore chiede al paziente, seduto su una sedia, di abbassare il piede ed inizialmente ci
riesce , poi, involontariamente, lo rialza in maniera del tutto autonoma.
Spesso, nei pazienti con degenerazione cortico- basale ,accade che la mano assume un
atteggiamento distonico e non riescono più a gestirla. La mano è bloccata in questo
atteggiamento ed è, caratteristicamente, unilaterale.

(Video di paziente con catesia)


Il paziente con questo disturbo del movimento non riesce a stare fermo, si muove in
continuazione, spesso è una complicanza del trattamento con neurolettici.

(Video sull’emiballismo in una paziente che ha avuto ictus)


Spesso sono le lesioni a carico del subtalamo che possono dare emiballismo. Tali lesioni
possono essere anche di natura neoplastica. Raramente è bilaterale.

(Video di un paziente con Corea di Huntington)


Rispetto alle mioclonie, sono movimenti meno rapidi, anche se hanno in comune molte
caratteristiche, come il fatto di essere totalmente involontari. Nel mioclono i movimenti
possono essere ritmici o aritmici mentre nella corea di Huntington sono assolutamente aritmici
, del tutto imprevedibili, possono riguardare qualsiasi muscolo del corpo e sono pressoché
subcontinui, scompaiono solo nel sonno. Il nome della malattia deriva dal fatto che, durante la
camminata, si ha l’impressione che il paziente esegua dei passi di danza, infatti la parola “corea”
deriva dal latino e significa “danza”.
La Corea di Huntington è una malattia geneticamente determinata, autosomica dominante. Il
difetto genetico è una ripetizione abnorme della tripletta CAG. La penetranza della malattia
aumenta quando il numero il numero di ripetizioni supera i 40. Più il numero delle triplette,
prima si manifesta e si ha il cosiddetto fenomeno dell’anticipazione. Il gene coinvolto è il gene
per l’hungtintina, non si sa bene ancora quale sia la funzione ma probabilmente interviene in
120
alcuni processi neuronali come la funzione sinaptica, il trasporto asso-plasmatico. Ancora non
si sa per quale motivo le mutazioni a carico di questo gene portano a morte i neuroni. I primi
neuroni che vanno incontro ad apoptosi sono quelli dello striato, quindi putamen, caudato,
formati da neuroni spinosi intermedi che sono i primi che vanno incontro a degenerazione. Il
risultato di tale perdita neuronale è una ridotta inibizione del talamo, il quale eccita di più la
corteccia che comporta questi movimenti. Molto spesso, l’esordio della malattia è subdolo, di
natura psichiatrica con depressione o con dei disturbi comportamentali come l’apatia,
l’irritabilità. Questi pazienti hanno un alto rischio di suicidio. I movimenti coreici inizialmente
sono molto vaghi, lievi, che spesso tendono ad essere nascosti dal soggetto, man mano che la
malattia va avanti cominciano ad essere particolarmente intensi e invalidanti e può comparire
persino una bradicinesia oppure una rigidità, come avviene inizialmente nella variante giovanile
di Westphal, similmente alla fase di esordio del Parkinson. Questa di cui abbiamo parlato fin
ora è la Corea Major, che porta a demenza, quindi è un processo neurodegenerativo con
coinvolgimento di tutta la corteccia. . Abbiamo anche la Corea Minor che compare in età più
giovanile ,a differenza della Major che può comparire a qualsiasi età (spesso intorno ai
quarant’anni). Nella Minor il meccanismo è completamente diverso, non si tratta di un
meccanismo neurodegenerativo ma di un meccanismo autoimmune, di mimetismo molecolare.
Da 4 a 8 settimane prima della comparsa dei sintomi, c’è un’infezione delle prime vie aeree da
Streptococco β-emolitico del gruppo A , che determina la formazione di anticorpi che cross-
reagiscono con antigeni presenti nei neuroni dei nuclei della base. I movimenti sono un po’
diversi rispetto a quelli della Corea Major (Video). Sembra quasi che la paziente sia irrequieta e
non riesca a stare ferma. Anche in questo caso, l’esordio può avvenire con segni e sintomi di
natura psichiatrica o con disturbi comportamentali. La corea Minor è una malattia del tutto
reversibile e benigna e risponde bene al trattamento e regredisce dopo qualche mese.

(Video di pazienti con distonie focali)

(Video di paziente con distonia cervicale, forma di distonia focale)


Le distonie sono primarie, non c’è nessuna lesione dimostrabile con la risonanza o con altre
indagini. Una forma di distonia focale, primaria è il “crampo dello scrivano” (video). Non
considerando la comparsa di movimenti distonici, esame neurologico è negativo.

( Video di paziente con distonia generalizzata ai muscoli del tronco)


Dopo trattamento con anticolinergici, antimuscarinico e baclofene, il paziente migliora
nettamente.

(Video di paziente con crisi oculogire)


Questo disturbo può essere una complicanza del trattamento con neurolettici. La paziente ha
gli occhi deviati tonicamente verso l’alto.

121
(Video di pazienti con tic nervosi)
È un disturbo abbastanza frequente. I tic nervosi si differenziano dai movimenti coreici. Sono
rapidi ma non rapidissimi, improvvisi, tendono ad essere stereotipati e si ripetono ad intervalli
più o meno regolari, sono afinalistici. Si distinguono in motori e vocali. I tic motori, a loro
volta, possono essere motori semplici, come l’ammiccamento degli occhi o le smorfie della
faccia, o motori complessi. Possono essere rivolti verso se stessi oppure verso gli altri. Talvolta
questi soggetti possono fare dei gesti osceni, la cosiddetta coproprassia, oppure sono portati ad
imitare involontariamente il gesto dell’esaminatore, ecoprassia. Anche i tic vocali si distinguono
i semplici o complessi. Sono semplici se si tratta di un tic nervoso vocale semplice, come
schiarirsi la gola, sbuffare, sputare, oppure si definiscono complessi quando i soggetti tendono
involontariamente a ripetere le frasi di altri, la cosiddetta ecolalia, o tendono a ripetere quello
che loro stessi hanno detto,in questo caso si parla di palilalia. Spesso si osservano casi in cui i
soggetti tendono a ripetere parolacce, disturbo definito come coprolalia. Come si fanno a
differenziare i tic nervosi dagli altri disordini del movimento? Il paziente con tic nervoso riesce
a controllarli per un certo periodo di tempo, per esempio se è distratto o impegnato a fare
qualcosa. I tic nervosi, soprattutto quelli complessi, tendono ad essere stereotipati. In alcune
forme, come per esempio nella sindrome di Tourette, che è la più studiata, probabilmente c’è
una base genetica però al momento ancora non si è trovato un gene responsabile. Il paziente
sente in quel momento il bisogno irresistibile di muoversi, cioè sale il livello di ansia, che per un
po’ riescono a controllare, fino al punto in cui non riescono più a contenersi e fanno il tic, in
questo modo scaricano la tensione accumulata. Di solito l’esordio si ha in età infanto-giovanile,
possono esserci delle remissioni spontanee per poi avere la ricomparsa dopo un certo periodo
di tempo. Il trattamento è complesso, multidisciplinare, con una collaborazione tra psicologo,
psichiatra e neurologo. Si possono utilizzare neurolettici sia tipici che atipici ma resta molto
importante la psicoterapia, soprattutto comportamentale.

(Video di paziente con sindrome di Tourette)

(Video di paziente con paralisi sopranucleare progressiva)


La paralisi sopranucleare progressiva è un’altra forma di parkinsonismo nella quale è presente
una paralisi dello sguardo sul piano verticale e sul piano orizzontale. E’ una sindrome rigido-
acinetica, simmetrica. Inizialmente la paralisi interessa solo i movimenti dello sguardo verso il
basso, solo successivamente, anche verso l’alto. Un’altra caratteristica della malattia è l’instabilità
posturale che è molto precoce e può essere uno dei primi sintomi. Il paziente inizia a cadere,
inspiegabilmente ad un certo punto cade. Questo avviene per vari motivi. Può dipendere anche
dalla paralisi dello sguardo che si manifesta fin da subito e che è sopranucleare perché, facendo
la manovra degli occhi di bambola, il riflesso vestibolo-oculare è presente, quindi vi è
un’integrità dei nuclei dei nervi cranici, per cui il problema riguarda i centri dello sguardo e
parliamo di paralisi sopranucleare progressiva. Questa patologia presenta anche una peculiarità,
il caratteristico aspetto accigliato, come se il soggetto stesse pensando, un po’ burbero, il
cosiddetto “segno del procerus”, che è un muscolo che serve ad accigliare. In alcuni casi i

122
soggetti possono avere, invece, gli occhi sbarrati. Quando parliamo di rigidità è di tipo
prevalentemente assiale, per cui tendono a cadere facilmente già nelle fasi iniziali della malattia.
Se ricordate, abbiamo detto che le cadute in esordio sono una “bandierina rossa”, in quanto
questo segno ci deve direzionare verso la diagnosi di parkinsonismo e non di morbo di
Parkinson, come anche la presenza di disturbi del movimento oculare e la simmetria della
patologia. Spesso si manifesta anche disartria accompagnata da disfagia che sono anche questi
una “bandierina rossa” verso la diagnosi di parkinsonismo. Nel video si osserva che la paziente
non riesce a portare lo sguardo verso l’alto e verso il basso se non con la manovra degli occhi di
bambola.

“Red Flags” in the Diagnosis of Parkinson's Disease

• Early or prominent dementia


• Symmetrical signs
• Bulbar dysfunction
• Early gait disorder
• Falls within the first year
• Wheelchair dependence within 5 years
• Early autonomic failure
• Sleep apnea
• Inspiratory stridor
• Apraxia
• Alien limb
• Cortical sensory loss

(Video di una paziente con nistagmo ottico-cinetico)

(Video di una paziente con sindrome di Pisa)

(Video di un paziente con atrofia multi sistemica)


Ricapitolando, diciamo che paralisi sopranucleare progressiva, atrofia multi sistemica e
degenerazione cortico-basale sono abbastanza rare rispetto alla forma classica, fortunatamente,
perché, rispetto al morbo di Parkinson, non rispondono al trattamento con farmaci
dopaminergici e hanno un’evoluzione più rapida. Il rapporto di prevalenza di queste forme
rispetto a quella classica è di circa 1 su 20.
L’atrofia multi sistemica prende il nome dal fatto che sono coinvolti più sistemi. Una
caratteristica è la colorazione bluastra dei piedi dei soggetti affetti e, se provate a toccarli, sono
anche molto freddi, allo stesso modo delle mani. Si differenziano tre forme: una con prevalente
interessamento vegetativo, una con interessamento extrapiramidale, quindi con il
parkinsonismo e una terza forma con interessamento prevalente del cervelletto. Queste tre
forme quindi prendono il nome di forma P (parkinsonismo), forma C (cervelletto) e forma shy
123
drager (vegetativa), termine caduto ormai in disuso. Successivamente si è visto che, in ogni
caso, alcuni sintomi vegetativi sono presenti in ogni forma di questa malattia, si trovano
sempre, come l’aspetto delle mani e dei piedi dovuto ad un difetto della circolazione periferica,
essendo, appunto, sotto il controllo vegetativo. Molto spesso i pazienti soffrono di ipotensione
posturale oppure presentano disturbi sfinterici, quindi segni e sintomi legati all’interessamento
vegetativo. Nella forma P sono presenti i classici sintomi del parkinsonismo come la rigidità, la
bradicinesia, mentre nella forma C si manifestano segni di interessamento cerebellare come
l’atassia con talvolta segni di interessamento piramidale, per questo è definita multisistemica.
Abbiamo , infatti, interessamento cerebellare, piramidale, vegetativo ed extrapiramidale, ovvero
dei nuclei della base. A seconda delle varie forme, può prevalere di più una sintomatologia
rispetto alle altre.

(Video di un paziente con idrocefalo normoteso)


Il paziente ha un disturbo del movimento chiamato aprassia della marcia. Dopo l’intervento di
derivazione la camminata migliora nettamente.

Criteri diagnostici per le varie forme di parkinsonismo: degenerazione cortico-basale,


paralisi sovra nucleare progressiva, atrofia multisistemica.

Marsili et al. Front Neurol. 2018; 9: 156.

124
125
126
127
128
Criteria for possible MSA
A sporadic, progressive, adult (>30 y)–onset disease
characterized by:
• Parkinsonism (bradykinesia with rigidity, tremor, or
postural instability) or
• A cerebellar syndrome (gait ataxia with cerebellar
dysarthria, limb ataxia, or cerebellar oculomotor
dysfunction) and
• At least one feature suggesting autonomic dysfunction
(otherwise unexplained urinary urgency, frequency or
incomplete bladder emptying, erectile dysfunction in
males, or significant orthostatic blood pressure decline
that does not meet the level required in probable MSA)
and
• At least one of the additional features shown in table 3

Gilman et al. Neurology. 2008 Aug 26;71(9):670-6.

Table 3 Additional features of possible MSA


Possible MSA-P or MSA-C
• Babinski sign with hyperreflexia
• Stridor

Possible MSA-P
• Rapidly progressive parkinsonism
• Poor response to levodopa
• Postural instability within 3 y of motor onset
• Gait ataxia, cerebellar dysarthria, limb ataxia, or cerebellar oculomotor
dysfunction
• Dysphagia within 5 y of motor onset
• Atrophy on MRI of putamen, middle cerebellar peduncle, pons, or
cerebellum
• Hypometabolism on FDG-PET in putamen, brainstem, or cerebellum

Possible MSA-C
• Parkinsonism (bradykinesia and rigidity)
• Atrophy on MRI of putamen, middle cerebellar peduncle, or pons
• Hypometabolism on FDG-PET in putamen
• Presynaptic nigrostriatal dopaminergic denervation on SPECT or PET

Il professore ora mostra alcuni quadri radiologici di questi pazienti.


Quadro radiologico di un’atrofia multisistemica dove sono presenti alcuni segni radiologici
come l’iperintensità del putamen. Questi segni non sono sempre presenti ma, se si evidenziano,
sono molto suggestivi. Nell’atrofia multisistemica ritroviamo anche il segno della croce a livello
del ponte, molto caratteristico, probabilmente dovuto alla degenerazione delle fibre cortico-
ponto-cerebellari. In questi quadri si denota un’atrofia. Vedete com’è slargato il quarto
ventricolo e come sono atrofici il cervelletto ed il ponte. L’iperintensità del putamen, quando

129
presente, ci consente di differenziare il morbo di Parkinson da un’atrofia multisistemica della
forma P. Nella forma C, invece, si demarca un’atrofia dei peduncoli cerebellari medi e del
cervelletto.
Il cosiddetto segno del pinguino, invece, è caratteristico della paralisi sovranucleare progressiva,
dove il mesencefalo sembra avere la forma di un pinguino che dipende appunto da un’atrofia
mesencefalica.

MSA

MSA

130
PD MSA-P

131
Il morbo di Wilson è un’altra patologia geneticamente determinata ad esordio infanto-giovanile
dove è difettoso un gene che codifica per un trasportatore del rame. Tale difetto porta ad un
accumulo di rame nel fegato, infatti tra i primi segni si manifesta un’epatopatia.
Successivamente, tale sostanza, che non può essere eliminata si accumula anche a livello di altri
organi e ,quando si accumula a livello del sistema nervoso centrale, può dare una forma di
parkinsonismo, una distonia o dei disturbi comportamentali. L’accumulo di rame a carico dei
nuclei della base determina una caratteristica iperintensità a livello del putamen che tende a
scomparire accompagnata dalla remissione clinica della patologia. Per tale motivo, è importante
conoscere questa forma perché, se diagnosticata in tempo, può essere del tutto reversibile,
eliminando il rame dalla dieta, somministrando degli agenti chelanti oppure utilizzando lo zinco
che viene assorbito al posto del rame. Un segno particolare si nota a livello della cornea, l’anello
di kayser-Fleischer.

132
Wilson Disease of Childhood: Findings Before and After Treatment

Sbobina Neurologia 25-05 Andrea Viviani


ARGOMENTI: cefalea senza aura e con aura
CEFALEA
L’emicrania non è una patologia rara, anzi tutt’altro, infatti pochissime persone sono libere dal
mal di testa; tanto è vero ciò che l’emicrania costituisce la settima patologia invalidante al
mondo in termini di cronicità.
Il mal di testa, insieme con l’emicrania (quest’ultima è un sottotipo di mal di testa), rappresenta
una patologia che interessa un 38% della popolazione.
Secondo voi il mal di testa è un sintomo o una malattia?
È un sintomo quando rappresenta un sintomo di un’altra malattia, ma in realtà rappresenta una
malattia. Sono perfino presenti studi che dimostrano l’emicrania una vera e propria modalità
evoluzionistica, che permette di sopravvivere meglio a delle dinamiche ambientali; tant’è vero
che la cefalea rappresenta una delle espressioni più in crescita negli ultimi 50 anni in termini
epidemiologici.
La classificazione
Rappresenta una delle patologie più classificate. Mentre prima degli anni ’80 le cefalee erano
tutte completamente in mano alla medicina interna, dal 1980 hanno iniziato a prenderla in
mano i neurologi. Proprio da quegli anni si sentì il bisogno di classificarle.
Le classificazioni sono estremamente complesse, hanno dei gradi di raffinatezza deversi e tutte
sono in grado di inquadrarvi la persona che avete di fronte. Esistono 4 grandi classificazioni:
1. 1988: fu la prima classificazione data dai neurologi
133
2. 2004
3. 2013
4. Gennaio 2018
Questo ci dice che il tempo tra le vare classificazione si assottiglia sempre di più a causa delle
continue scoperte e materiale aggiuntivo da mettere dentro alle varie classificazioni.Ogni tipo di
mal di testa ha le sue caratteristiche, qualità, diagnosi differenziale e perfino una sua terapia.
Il primo grado di accuratezza
(tipo di emicrania) dovrebbero
saperlo più o meno tutti. Anche
il secondo grado di accuratezza
(emicrania con aurea,
emicrania senza aurea,
emicrania cronica e
complicanze dell’emicrania)
dovrebbe essere abbastanza
conosciuto da tutti i medici per
poter fare una diagnosi. Dal
terzo livello in poi sono di
competenza dei neurologi.

Struttura generale delle cefalee

• Cefalea primaria (90-92% di tutte le cefalee)


• Cefalea secondaria
• Nevralgie (non ne parlerà molto ma ci ha tenuto a specificare di imparare molto bene la
nevralgia del trigemino [patologia molto rara e tipica delle donne in menopausa] che ci
permetterà di fare diagnosi differenziale con molte altre patologie)
Per quanto riguarda le cefalee primarie si dividono in ulteriori 4 gruppi:
1. Emicrania
2. Cefalea di tipo tensivo
3. Cefalea a grappolo ed altre cefalee trigeminali autonomiche
4. Altre cefalee primarie.

134
Casi clinici.
Donna di 38 anni, nubile, infermiera con turni di notte, dieta regolare, fumatrice, cicli mestruali
regolari, non assume contraccettivi, tonsilliti frequenti durante l’infanzia, colpo di frusta per
tamponamento, ipertensione arteriosa dall’età di 32 anni, sotto beta-bloccanti giornalmente.
C’è qualcosa che ci può guidare verso il mal di testa della signora? Ipertensione, trauma e turni
di notte. (Il turnismo è fondamentale, uno dei fattori scatenante è proprio l’alterazione del
ritmo sonno veglia.)
Dopo di che la signora ci riferisce che è soggetta a questo dolore (pulsante, severo, fotofobico,
aggravato dall’attività fisica, nausea vomito, con attacchi di durata di 12 ore con 4 attacchi al
mese e con il progredire aumentano gli attacchi mensili a causa di una non responsività ai
trattamenti) dall’età di 16 anni, età tipica di esordio dell’emicrania (altro dato che ci spinge a
pensare all’emicrania).
Noi supponiamo così un’emicrania SENZA aura perché: l’emicrania è presente dall’età di 16
anni e sono presenti attacchi stereotipati (con sempre le stesse caratteristiche).
La signora risponde poco hai FANS, l’unico sollievo è dato dal’nimesulide.
Queste sono le caratteristiche del mal di testa: localizzazione da un lato (che non è quasi mai
solo presente in un solo lato) è pulsante, di entità grave o severa e deve essere aggravato da
attività fisica.
Il dolore si divide in 3 grandi categorie:
1. LIEVE: quando si può far di tutto con il dolore
2. MODERATO: quando fai tutto con difficoltà
3. SEVERO: quando il dolore non ti perfette di far nulla.
Un altro aspetto, in termini classificativi, ci dice una almeno tra le seguenti condizioni:
Nausea e/o vomito
Fotofobia e fonofobia (devono essere presenti entrambi)
Il paziente basta che abbia 5 attacchi in tutta la sua vita per essere classificato come emicranico.
Il professore ha constatato che con questa clausola non si trovano donne non emicraniche, cioè
donne che in tutta la loro vita non abbiano avuto almeno 5 attacchi, perché una donna almeno
una volta all’anno ha un attacco.
Nei bambini
Nei bambini (anche già a 18 mesi) la cosa è un po’ diversa, perché è un’emicrania che non dura
più delle 4 ore. Tanto è vero che alcuni criteri classificativi sono diversi e basta avere 1 ora di
mal di testa. Il bambino ha dei mal d testa molto diversi dall’adulto, sono spesso non
caratteristici e non rispettano tutti i vari criteri classificativi. Il bambino ha dei comportamenti
che ci guidano alla diagnosi di mal di testa: si mette al buio, non mangia, ecc.

135
Innanzitutto in epoca infantile i maschietti sono più emicranici delle femminucce. Quando
andiamo in pubertà si inverte (fattore ormonale, la fluttuazione ormonale o meglio il calo
ormonale ciclico che crea l’attacco di emicrania. Perché nelle donne gli estrogeni hanno un
effetto inibitorio sul SNC e l’emicrania è una malattia dell’attivazione del SNC).
FAMILIARITA’
L’emicrania è soprattutto una patologia femminile (4:1), le donne raggiungono prevalenze fino
al 30% di mal di testa con picco a 36 anni. La prevalenza mondiale è il 12% [anche se prima
parlava del 38%]. Il numero continua ad aumentare, soprattutto in America, perché sembra
essere anche correlata all’obesità (soprattutto l’emicrania cronica). Circa il 90% dei malati di
emicrania ha una storia familiare di emicrania. La familiarità è più rilevante lì dove ci sta una
emicrania tipica e dove c’è maggiore severità del dolore e precocità dell’esordio. L’emicrania
non è una malattia monogenetica ma poligenica.
Curiosità: In America trattano tutte le emicranie con degli oppiacei, quindi hanno un impatto
devastate con rischio di dipendenza. Dati strepitosi, con 5000 morti l’anno per uso di oppiacei
legati all’emicrania.
Per quanto riguarda l’invalidità, la maggior parte di queste persone hanno grosse invalidità.
Sicuramente il 3% in Italia soffre di emicrania cronica (15 giorni è lo sparti acque per
caratterizzare una emicrania cronica o meno) e la maggior parte è causata dall’abuso di
antidolorifici perché sottovalutata la patologia.
L’emicrania presenta comunque sintomi associati come per es:

• Non può muoversi


• Se vede la luce sta male
• Vomita ha nausea
• Osmofobia
COMORBILITA’
Le comorbilità sono un aspetto importantissimo dell’emicrania, perché quest’ultima si contorna
di molte altre patologie neurologiche e non. Es neurologicche: vertigine, tremore, epilessia sono
malattie associate.
I costi di un paziente tra costi diretti e indiretti sono: 2000euro l’anno e considerando che ci
sono circa 2 milioni di emicranici (in crescita) cronici sono circa 2 miliardi l’anno.
Passa a parlare del famosissimo diagramma di Blau (??l’ho cercato ovunque ma non ho trovato
nessun Blau??) che ci dice che l’emicrania non è solo la fase del dolore, nausea, vomito,
fotofobia ecc, ma ha anche una fase prodromica e postdromica. I prodromi sono presenti già
24h prima e sono:

• Fame
• Sbadigli
136
• Percezioni intensificate
• Ritenzione idrica
I posdromi sono:

• Inappetenza
• Astenia
• Poliuria

Fattori scatenanti
Oltre a problemi della vista (astigmatismo o patologie di diffrazione) sono presenti anche degli
alimenti che possono causare la cefalea come: caffe, cioccolato, vino, formaggi (tiranina) ecc.
[In tutti i paesi del Nord Europa (studio fatto dal prof) dalla Germania a salire è il vino rosso a
scatenare l’emicrania, in tutti i paesi del sud/mediterranei è il vino bianco (sembra essere
causata da una distribuzione poligenetica diversa)]. Al primo posto su tutti i fattori scatenanti
c’è lo STRESS; in oltre abbiamo tutti i cambiamenti fisiologici come le mestruazioni o la
menopausa, gravidanza (fino al terzo mese, dal quarto mese in poi si è protetti); farmaci (la
pillola nel 50% peggiora il mal di testa, nel 30% lo migliora e nel 20% né un né l’altro); ritmo
sonno veglia (turnista); diete squilibrate; ipoglicemia (chi fa lunghi digiuni attiva la propria
emicrania); fattori ambientali (rumori, luci); movimento (più che altro va ad AGGRAVARE
l’emicrania).
137
Questi sono i sintomi/segni che sono tipici di una emicrania che non ci devono allarmare:

- Alternanza di lato
- Elevata intensità di nausea e vomito
- Foto-fonofobia
- Familiarità
- Sintomi premonitori
- Fattori scatenanti/favorenti
- Osmofobia e iperosmia
- Ricorrenza di crisi in fase mestruale
- Cinetosi
- Dolori addominali ricorrenti
Questi invece sono segni/sintomi che ci devono allarmare:

- Cambiamento del dolore, non è sempre stereotipato


- Variabilità nell’incidenza delle crisi
- Decorso progressivo
- Risvegli notturni per mal di testa
- Cefalee che peggiorano con la manovra di Valsalva
- Sintomi sistemici (febbre, aritmie)
- Altri sintomi neurologici (vertiggini, sincopi, parestesie)
- Resistenza a terapie farmacologiche
- Età di esordio (es: 45anni non è normale)
- Insorgenza improvvisa.
Tutto ciò ci obbliga ad approfondimenti diagnostici.
N.B.
Quando usiamo farmaci di attacco lavoriamo sulla periferia dell’emicrania, quado usiamo
farmaci di profilassi lavoriamo sulla causa/centralità dell’emicrania.
Farmaci di profilassi: sono i più disparati, vanno dagli antiepilettici, agli antidepressivi, ai beta-
bloccanti, ai calcio-antagonisti agli anti-serotoninergici. La cosa bella è che noi pensavamo che
questi farmaci agissero sui recettori (serotoninergici, noradrenergici, ecc.) periferici. In realtà
non è così, infatti agiscono come dei veri e propri anti eccitatori bloccando gli stimoli eccitatori.
Il loro effetto, alla fine, è un effetto inibitorio.

EMICRANIA CON AURA


È una tipologia di emicrania tale e quale all’emicrania senza aura ma con l’aura emicranica.

138
A differenza dell’emicrania senza aura devono esserci solo 1-2 attacchi di emicrania con
auraall’anno (fondamentale il numero di attacchi)e sono disturbi nella maggior parte visivi
esensitivi. Il disturbo (zigrinature luminose) parte dal centro retinico e si espande in periferia e
prima che prenda tutto il campo visivo ci impiega 5 minuti, passa entro 1 ora (con media 20
minuti), è seguita da un’emicrania tipica.
Nel caso dei disturbi sensitivi i pazienti hanno parestesie con formicolii alle mane e nel cavo
buccale con difficoltà a parlare.
Nell’emicrania con aura c’è un evento tipico di questa patologia che è la depolarizzazione
(3ml/min) della corteccia visiva che viene progressivamente in avanti. Questa è un’onda di
eccitazione che si esprime con un rilascio forzato di glutammato nelle aree extracellulari, per cui
la LAMOTRIGINA che è un anti-glutammatergico blocca l’emicrania con aura.
Se il paziente ha una familiarità e l’emicrania con aura insorge precocemente (12-13anni) io
devo far approfondimenti, perché spesso è un segnale anticipatorio di una patologia più grave.
Quando si scopre la cefalea c’è da imparare a curarla assecondandola non cercando sempre di
contrastarla, perché a volte la cefalea ha un valore evoluzionistico, perché la cefalea ci sta
segnando qualcosa che non va sia nel cervello che in periferia (da un tumore ad
un’infiammazione).
Controindicazione ASSOLUTA l’uso di contraccettivi orali per problemi
coagulativi/trombotici, perché quando il cervello si eccita stimola perifericamente le piastrine
(l’emicrania con aura è una specie di attacco epilettico di tutto il cervello, quindi estremamente
eccitativo). Evitare l’uso anche di ergotaminici e serotoninergici antidepressivi (SSRI).
Diagnosi differenziale
AURA Vs TIA
Nell’ aura c’è la marcia anatomica che non c’è nel TIA. Il TIA non si accompagna a cefalea, ha
un’età di esordio più avanzata, ci sono fattori di rischio (non preseti nell’emicrania con aura),
nel 90% i TIA durano meno di 15 min.
AURA Vs EPILESSIA OCCIPITALE
Entrambe colpisco l’età pediatrica, l’epilessia presenta un tracciato elettroencefalogramma
caratteristico. Nell’epilessia i disturbi visivi sono immagini geometriche semplici e colorate
(nell’emicrania sono circolari e acromatici), durata minore di 3 minuti e ultima caratteristica
molto importante è che il disturbo visivo parte dalla periferia e si dirige verso il centro.

Ci sono una serie di patologie che posso dare aura emicranica, come le vasculiti, la sindrome da
anticorpi anticardiolipina, la sindrome da anticorpi lupus anticoagulant (LAC), MELAS,
CADASIL; però in tutte queste forme, quando è tipica, stereotipata e risponde ai criteri clinici
della classificazione, è quasi sempre primaria; più è atipica, più è secondaria. Ogni volta che
139
vedete una forma che è tipica nella sua gran parte ma presenta uno o due aspetti atipici (durata,
frequenza, intensità), fate approfondire.
Non esistono farmaci d’attacco per l’aura emicranica, esiste una farmaco che esiste per il dolore
del dopo, che vanno bene per la fase algica ma tripani, furosemide, acetazolamide, ASA non
funzionano in senso stretto (un Lasix endovena in fase di aura emicranica funziona, ma nei
pazienti giovani di 10-11 anni non si può usare); per la prevenzione si usa Lamotrigina.
Tenete presente che questi possono complicarsi con infarti emicranici: quando il disturbo
dell’aura dura più di 6 giorni tende a diventare un infarto.

Domanda 1: in che modo la manifestazione dell’emicrania può essere un’evoluzione in senso


filogenetico?
Perché è molto legata alle abitudini di vita, ad esempio l’obeso, chi mangia male, chi ha la
pressione alta fa più emicrania, quindi questi soggetti, che hanno la cefalea, approfondiscono
questo sintomo e scoprono di essere emicranici, obesi, dislipidemici, cardiopatici o di avere
un'altra delle patologie associate all’emicrania. Ovviamente, scoprendo queste cose, i cefalalgici
allungano la loro vita e correggono il loro percorso di vita. In questo senso assume un valore
evoluzionistico.

La CEFALEA DI TIPO TENSIVOha una peculiarità, ovvero la vedrete in una quota


epidemiologica altissima: mentre la prevalenza media dell’emicrania è del 12%, per la cefalea di
tipo tensivo la prevalenza oscilla dal 10% all’80%. È una forma di mal di testa estremamente
meno inquadrabile, meno classica, meno definita, che alla fine ci si mette dentro qualsiasi tipo
di mal di testa che non sia emicrania, infatti la chiamiamo “cefalea non emicranica”; ma visto
che ha delle caratteristiche associate ad una tensione muscolare e ad una mancanza di segni
“vascolari”, la cataloghiamo come cefalea di tipo tensivo.
Questa, a differenza dell’emicrania, già nella classificazione, viene indicata come sporadica, cioè
i pazienti hanno uno o meno di un attacco al mese (< di 12 giorni all’anno), e frequente, cioè
che va da 1 a 15 giorni al mese per almeno 3 mesi. La cosa singolare di questa classificazione è
proprio che crea un intervallo temporale ampissimo, perché immaginate uno che ha 2 giorni di
mal di testa al mese (con sensazione di pesantezza e dolore di testa leggero) e uno che ne ha 15,
sono due cose molto diverse. Eppure usiamo il termine frequente per tutta questa grande massa
di persone che invece hanno forme estremamente diverse tra di loro. Per cui quello che
differenzia un sintomo dalla malattia è il numero di attacchi nel tempo, in questo caso almeno
10 attacchi.
La localizzazione è bilaterale.Il livello è gravativo costrittivo e mai pulsante.L’intensità è lieve e
media; non è aggravata dall’attività fisica, come camminare o salire le scale. Si verificano

140
entrambe le seguenti condizioni, cioè non c’è nausea o vomito, può manifestarsi un po’ di
mancanza d’appetito, e può esserci un po’ di fotofobia oppure fonofobia, ma mai entrambe.
Questa forma così generica e indistinta, in realtà, non riceve mai un primo inquadramento.
Importate.Una volta nella classificazione si metteva anche l’impegno muscolare: sono pazienti
che hanno una spiccata allodinia (è un meccanismo fisiopatologico in cui uno stimolo tattile
non doloroso diventa doloroso, cioè ho una sensibilità cutanea al braccio o al viso, mi sfioro e
non avverto il tatto, ma il dolore). Questa sensibilizzazione è legata sempre ad uno stato di sub-
eccitabilità del sistema nervoso centrale, in particolare nelle aree ipotalamiche e nelle corna
dorsali cervicali dove c’è il nucleo trigeminale.
Sembra essere attivata da stress, ansia, depressione perché questi eventi modificano la
modulazione del dolore, sia a livello periferico che centrale. Quindi la cefalea stessa, in questo
caso specifico, di comporta da “stressor”, cioè attiva essa stessa la dispercezione nocicettiva.
La cefalea cervicale e la cefalea di tipo tensivo sono 2 malattie separate o sono un continum
della stessa malattia?
La mia personale idea è che siano un continum, ma una serie di esperti mondiali di mal di testa
ritengono che siano malattia separate. In realtà una cosa che capita in questi pazienti è che
hanno un substrato di sensibilizzazione esattamente come l’emicranico e che alcuni
raggiungono attacchi emicranici, altri no. Tant’è vero che una quota non indifferente di
emicranici hanno anche attacchi tensivi: si chiamano “cefalee miste”, in cui ci sono 4-6
attacchi importanti come quelli che abbiamo visto prima e negli intervalli tra gli attacchi si
presentava questo mal di testa strano (con peso alla testa, fastidio, senso di vuoto e di
confusione). Una delle cose tipiche dei pazienti con questo mal di testa è che hanno una
contrattura muscolare, per cui dividiamo cefalee di tipo tensivo con contrattura e senza
contrattura, perché le scelte terapeutiche che poi andrete a fare cambiano.

141
CASO CLINICO.
Uomo di 41 anni affetto da ipertensione (da 2 anni trattata con Sartani)ed episodi depressivi
ricorrenti (due fattori preclinici di patologia), non ha familiarità per cefalea, non fumatore, 3
caffe al giorno.
Il caffe è un fattore scatenante l’emicrania. Nella credenza popolare, “un caffe neutralizza
l’emicrania”, addirittura mia nonna scioglieva nel caffè un po’ di limone, perché il limone ha un
effetto leggermente vaso costrittivo e il caffe, oltre all’effetto vaso costrittivo, ha un effetto
veicolante di alcune molecole a livello della parete gastrica, infatti coniugazioni con la caffeina
vengono utilizzate anche in campo farmacologico; per cui per molto tempo si è pensato che la
caffeina fosse una terapia.
In realtà in parte lo è, ma soprattutto per quelli che smettono di prendere caffè.
Un caffè del bar contiene circa 80mg di caffeina, un caffè lungo può arrivare a 120ml, il caffè
della moka può avere anche 150mg di caffeina. Si considerano abusatori di caffeina tutti quelli
che bevono almeno 500mg di caffeina al giorno, cioè 5-6 tazzine di caffè al giorno. Gli
americani mettono in un caffè lungo anche 200-250mg di caffeina e ne bevono dalle 3 alle 10
tazze al giorno, quindi sono abusatori di caffè in una percentuale altissima, per cui abbiamo
delle cefalee non solo da abuso di farmaci di attacco sintomatico come gli antiinfiammatori o i
triptani, ma anche da caffeina; molti pazienti diventano cronici (ma sempre lievi).
Non superare i 300 mg di caffeina al giorno è fondamentale per resettare una serie di recettori,
perché se prendo 1500mg di caffeina, i miei recettori adrenergici sono estremamente attivati,
quindi devo desensibilizzare quei recettori.
Una delle cefalee che vi capiterà di incontrare non è quella da abuso di caffeina ma da
sospensione di caffeina, tant’è vero che se capita di non bere caffè per 2-3 giorni (credo volesse dire
ore!)e si è abituati a prendere 3-4 caffe al giorno, a metà mattinata si comincia ad avere cefalee e
se si beve una tazzina di caffe in 20 minuti passa il mal di testa.
Questo aspetto è molto rilevante perché insegna a valutare i comportamenti generali (quante
esposizioni al computer, quante ore di sonno, se è un sonno regolare, il digiuno….).
Per l’Organizzazione Mondiale della Sanità, il consumo medio di vino adeguato che non vi
permette di considerarvi alcolisti è di 2 bicchieri di vino al giorno per i maschi e 1 bicchiere di
vino per le femmine, preferibilmente rosso per il motivo che abbiamo detto prima.
Il paziente riferisce un senso di peso alla testa che inizia a livello della fronte e si diffonde a
tutto il cranio fino al collo; non è invalidato; forma episodica frequente; assume
occasionalmente antiinfiammatori.
Queste cefalee di tipo tensivo sono quelle più a rischio di essere sintomatiche: è più facile che
un emicranico sia primario, cioè che non abbia malattie sottostanti, piuttosto che un cefalalgico
di tipo tensivo. La cefalea di tipo tensivo è sintomo classico dell’esordio di tumori cerebrali,
perché aumenta la pressione intracranica che si manifesta come cefalea di tipo tensivo.

142
Esame obiettivo e valori normali.
A questo paziente viene data l’amitriptilina, che è un vecchio antidepressivo.
In realtà non esiste una terapia efficace per la cefalea di tipo tensivo, ma sicuramente
l’amitriptilina è la più usata, ma secondo me è più una punizione che un farmaco, perché è poco
maneggevole, amatissimo dagli americani, se ne fanno dosi da 75-100 mg al giorno (la dose
italiana consigliata non supera i 25 mg/die), ma alcuni pazienti già con 10 mg hanno tachicardia,
secchezza delle fauci, difficoltà di concentrazione, per cui a questi pazienti consiglio di cambiare
lo stile di vita, casomai li faccio prendere qualcosa di naturale (nell’emicranico, così come nel
tensivo, si ha un calo di magnesio, quindi darò dei Sali di magnesio), li faccio fare attività fisica
regolare, cerco di farli dormire anche con un po’ di melatonina serale ( sono usciti due lavori
che hanno evidenziato l’efficacia della melatonina sia nell’emicrania che nella cefalea di tipo
tensivo, quindi dosando già 6 mg di melatonina serale è efficace per combattere questo
disturbo).
Nella cefalea di tipo tensivo, il paziente racconta di avere “un casco in testa”, molto raramente
unilaterale, quasi sempre è anteriore e tende a diffondere anteriormente o a casco su tutta la
testa; qualche volta è anche caudale, localizzato al collo e alle spalle.
Molto spesso i pazienti dicono di non soffrire di mal di testa ma di cervicale.
Esiste una cefalea cervicogenica, scoperta da un grande esperto di mal di testa che vive in
Svezia, che tuttavia secondo me non esiste, perché il midollo spinale a livello cervicale manda le
sue irradiazioni alle braccia e al collo, ma non le manda al cranio. Invece esiste una cefalea con
un coinvolgimento cervicale, una cefalea sovraspinale, perché il nucleo del trigemino scende
fino a C2-C4 e questo determina che l’attivazione trigeminale centrale possa impegnare
secondariamente le aree cervicali e i muscoli paravertebrali cervicali. Quindi le cefalee cervicali
sono cefalee sovraspinali, ovvero sono delle emicranie o cefalee tensive che si ripercuotono, per
coinvolgimento del nucleo sensitivo centrale del trigemino, anche a livello cervicale. L’aspetto è
gravativo, intensità lieve o moderata e durata da 30 minuti a 7 giorni (basteranno 2 attacchi in
almeno 7 giorni per avere la forma cronica). Poi, inappetenza e nausea, sensazione di
confusione mentale, difficoltà di concentrazione, stanchezza, paure, ansie, dizziness (che è
traducibile dall’inglese con senso di disequilibrio).

CEFALEA A GRAPPOLO
La cafalea a grappolo, benché sia una forma rara, è una cefalea drammatica, ma si cura
benissimo con i farmaci di profilassi e con i farmaci d’attacco, cosa che non avete con nessun
altro tipo di mal di testa.
La cefalea a grappolo ha un carattere tipicamente episodico, si chiama “grappolo” o “cluster”
perché gli attacchi si raggruppano in episodi che durano 15-30 giorni in cui i pazienti (questa
volta sono più interessati i maschi) tendono ad avere più attacchi giornalieri per un mese (alcuni
anche per 10 mesi o anni, ci sono forme croniche dopo i 12 mesi).

143
Vi ho portato il caso di una donna di 68 anni e già questo è atipico (età e il fatto di essere
femmina),che inizia a soffrire di questa forma dall’età di 45-46 anni. Il dolore comincia
partendo dalla regione temporo-mascellare destra, ma la cosa che la rende del tutto atipica è che
questa signora faceva 4-8 attacchi al giorno della durata di 10-15 minuti e si ripetono per più di
30-45 giorni, 2-3 volte all’anno. Aveva degli attacchi in cui c’erano associati ptosi, arrossamento
oculare, congestione nasale; il dolore era violentissimo, tanto che non riusciva a stare ferma e si
doveva muovere continuamente.
Prima vi ho detto che cefalalgico a grappolo fa l’opposto di quello che fa l’emicranico:
l’emicranico di mette a letto, il cefalalgico si muove, è agitatissimo; questa è una cosa utilissima
per la diagnosi differenziale, insieme alla durata, infatti non durano mai le 4 ore dell’emicranico
anzi a 3 ore al massimo si fermano.
La cosa particolare di questa signora è che nel tempo cambia farmaci e così cambia anche la
durata dei suoi attacchi (passa da 30 secondi a 2 minuti). Passava da forme di emicrania
parossistica, a una cefalea a grappolo, a una SUNCT.
Queste forme TRIGEMINO VASCOLARI sono delle forme particolarissime e di breve
durata, la differenza sta solo nella durata di ciascuna di queste forme.
Quindi, la cosa atipica di questa signora è che esordiva tardi, era donna e passava dalla cefalea a
grappolo all’emicrania parossistica, dall’emicrania parossistica alla SUNCT, fino a tornare alla
cefalea a grappolo; rispondeva a tutti i farmaci fino ad un certo punto, poi passava ad un’altra
forma e non rispondeva più a quei farmaci.
Tutte le indagini erano negative, tranne un po’ di sinusite.
Queste crisi cambiavano continuamente e rispondevano all’Indometacina, che è un farmaco
utilizzato come criterio terapeutico (come per la cefalea a grappolo il Cumatriptan): se una
cefalea di breve durata risponde all’Indometacina, allora è tipicamente un’emicrania parossistica.
In realtà usiamo l’Indometacina per curare anche altre forme (esempio la cefalea trafittiva
idiopatica).
La terapia della cefalea a grappolo si fa con Verapamil 120ml x 3 oppure 240ml x 2 (il
Verapamil è un farmaco cardiologico antiaritmico, fu scoperto per caso perché un signore ebbe
un aritmia durante un episodio di cefalea a grappolo che non rispondeva niente; prese, per
l’aritmia, il Verapamil in alte dosi e la cefalea a grappolo si fermò nel giro di 24 ore. Da qui
abbiamo scoperto che il Verapamil, con meccanismi del tutto oscuri, blocca la cefalea a
grappolo).
Altro blocco per la cefalea a grappolo è l’ossigeno terapia ad alte dosi (10-12 L al minuto).
Ma il farmaco principe per la terapia della cefalea a grappolo è il Sumatriptan: con 1 fiala
sottocute, nel giro di 3-7 minuti passa l’attacco di cefalea a grappolo.

144
Quindi usando Verapamil nella profilassi e Sumatriptan nell’attacco i paziente (ovviamente non
tutti perché una quota del 15-30% sono non-responder e cronicizzano) riescono a migliorare.
Criteri clinici della cefalea a grappolo
1. Almeno 5 attacchi
2. Intensità forte o molto forte, unilaterale, orbitario o sovraorbitario o temporale
3. Durata di 15-180 minuti
4. Arrossamento congiuntivale e/o lacrimazione
5. Sensazione di naso chiuso
6. Edema palpebrale
7. Hanno una sudorazione frontale e facciale
8. Hanno una miosi o ptosi omolaterale
9. Frequenza di 1-8 attacchi al giorno
10. Sono quasi sempre notturni, sempre alla stessa ora (è la cefalea più cronobiologia che
esista al mondo)
11. I pazienti sono quasi sempre forti bevitori di alcolici e forti fumatori, tant’è vero che
hanno una “facies leonina” caratteristica, con una struttura del massiccio facciale un po’
più grande, sono un po’ pletorici, hanno gli occhi gonfi (perché bevono molto) e sono
dei grandi fumatori quindi sono un po’ più arrossati in viso.

Questo nell’immagine è il paziente classico che vi troverete: suda, lacrima, ha rinorrea, ha


arrossamento dell’emifaccia, vedete la ptosi palpebrale….

Tra i mal di testa primari a breve durata, quelli con


segni autonomici sono cefalea a grappolo, emicrania
parossistica cronica (anche se non si usa più il
termine cronico!), SUNCT, emicrania continua,
Cluster-tic syndrome. Tra quelli senza segni autonomici
c’è la nevralgia del trigemino: molti pazienti con
SUNCT, che hanno una durata breve degli attacchi,
sono scambiati per nevralgie trigeminali però la
differenza è proprio che la SUNCT ha segni
autonomici, ma nevralgia del trigemino no.

145
Da notare: il Litio è un altro farmaco che funziona bene per la cefalea a grappolo, tuttavia
funziona meglio nelle forme non episodiche, cioè quelle che durano meno di 11 mesi, rispetto
alle forme croniche (dai 12 mesi in su senza interruzioni)
Anche l’Ergotamina con la caffeina funziona bene.
Esistono le politerapie e le combinazioni farmacologiche che potete fare (perché non tutti i
pazienti rispondono allo stesso modo) sono cortisone+verapamil, cortisone+litio,
verapamil+litio.

DIAGNOSI DIFFERENZIALE DELLE VARIE FORME.


La familiarità è presente nell’emicrania, assente nella cefalea tensiva, presente nella cefalea a
grappolo.
Distribuzione per sesso: le
femmine sono più affette da
emicrania e cefalea di tipo
tensivo, ma i maschi si
beccano la gran parte delle
cefalee a grappolo.
La qualità del dolore:
pulsante, gravativo-
costrittivo, trafittivo-
lancinante.
La sede: unilaterale per
l’emicrania, bilaterale per la
cefalea di tipo tensivo,
unilaterale però costantemente peri orbitale per la cefalea a grappolo.
Intensità: medio-forte, forte, fortissima (per la cefalea grappolo).
Durata: 4-72 ore per l’emicrania, 30 minuti-7 giorni la cefalea tensiva, 15-180 minuti per la
cefalea a grappolo.

La cefalea di tipo tensivo e soprattutto la cefalea a grappolo hanno meno comorbilità, cioè nella
cefalea a grappolo in cui i pazienti sono bevitori e fumatore, fate smettere di bere e fumare e già
togliete un fattore di rischio). Tuttavia come fate a scegliere un farmaco ad esempio per
l’emicranico, che è un paziente particolarissimo? Lo scegliete per le comorbilità, cioè se avete
un emicranico che è anche ansioso, gli date un farmaco che agisce anche sull’ansia, se avete una
emicranico che è anche un allergico, gli date anche un antistaminico. Facciamo un esempio:
laFlufenazina ha una buona azione ansiolitica e ha una buona azione antistaminica, tuttavia se il
146
paziente è obeso non gliela potete dare perché fa aumentare di peso, anche nelle dosi in cui la
diamo adesso. 20-30 anni fa si dava 20 mg di Flufenazina: le donne diventavano amenorroiche
o facevano iperprolattinemia (per la Flufenazina ha un effetto antidopaminergico centrale); gli
uomini diventavano obesi, facevano ginecomastia, diventavano impotenti. Oggi diamo 2,5 mg
di Flufenazina e per tempi brevi e, dato che ha un’emivita molto lunga (3-4 giorni), si può usare
a 5 giorni a settimana o a giorni alterni, cioè si può sfruttare l’effetto farmacocinetico
prolungato per dare la minima dose efficace. Se una donna è obesa diamo il Topiramato, che fa
dimagrire (come effetto collaterale può anche dare parestesia alle mani o alla bocca, che si può
eliminare dando Sali di potassio, come il comune Polase). Un altro farmaco è il Depakin, che si
può dare nei pazienti che hanno sincopi associate all’attacco emicranico.
Quindi si sceglie il farmaco più efficace in base alle associazioni con altre patologie. Spesso, tra
le patologie associate, ci sono i disturbi del sonno in generale e in particolare le apnee ostruttive
del sonno, in cui si hanno rialzi pressori e aumento di peso: le due cose si muovono insieme,
infatti molti obesi sono apnoici ostruttivi di notte, cioè russano e se scendono di peso non
russano più; questi pazienti fanno le apnee ostruttive, queste favoriscono l’aumento pressorio,
che a sua volta favorisce lo squilibrio metabolico, diventano diabetici e dislipidemici, attivando
così un circolo vizioso per cui cronicizzano più facilmente.

EMICRANIA PAROSSISTICA
A differenza della cefalea a grappolo, nell’emicrania parossistica gli attacchi devo essere più
numerosi, almeno 20 attacchi al
giorno. Risponde bene
all’Indometacina.

SUNCT
Sempre almeno 20 attacchi, da 1
a 600 secondi (mentre la
nevralgia del trigemino è
tipicamente trafittiva breve
durata, da frazioni di secondo a 2 minuti). A differenza della nevralgia del trigemino, ha
iniezioni congiuntivali, lacrimazione e tantissimi altri fattori autonomici (è la più ricca di fattori
autonomici).

SINUSITE
La sinusite NON causa cefalea a meno che non sia associata a febbre e a secrezioni purulente
dal naso; senza questi due criteri NON può essere causa di cefa

147
Conclusioni.
Le cefalee sono iper classificate, tuttavia le cefalee classificano la malattia, non il paziente. Il
paziente potrà seguire una sua strada totalmente diversa da quella riportata sul libri.

SINDROME EPILETTICA, MALATTIA EPILETTICA, TRATTAMENTO


Sindrome epilettica: costellazione di segni e di sintomi caratteristici di una determinata forma di
epilessia. Per poter fare una diagnosi di sindrome epilettica ho bisogno di una serie di elementi,
non basta il tipo di crisi o la sede, ho bisogno di informazioni sull’età, sulla progressione della
sintomatologia, sul quadro encefalo grafico, su u eventuale interessamento genetico. Mettendo
insieme tutte queste informazioni io posso fare una diagnosi di sindrome epilettica. In realtà
esiste una classificazione per le crisi epilettiche, la vecchia classificazione dell’81 che
sostanzialmente è stata utilizzata fino ai nostri giorni, prevedeva da un lato le crisi parziali, cioè
le crisi che hanno origine in un punto dell’encefalo, quindi un’origine focale, possono essere
parziali semplici o parziali complesse (la differenza è la compromissione o meno della
coscienza: nelle parziali complesse vi è la compromissione della coscienza, nelle parziali
semplici invece no). Le crisi possono essere parziali nel senso che c’è un episodio focale, però
poi ci può essere una successiva generalizzazione e sostanzialmente le crisi parziali nella vecchia
classificazione erano distinte in due tempi: crisi parziali semplici (senza perdere conoscenza) e
parziali complesse ( con compromissione dello stato di coscienza) e poi le crisi che all’inizio
sono generalizzate, come le assenze tipiche e atipiche (caratterizzate sull’EEG da lunghe onde
con frequenza più bassa). Vi sono anche le fasi toniche, in cui il paziente si irrigidisce, emette
un suono, per alcuni secondi resta immobile, al punto che si blocca il respiro, diventa cianotico,
si può mordere la lingua, dopo cominciano a comparire le cromine che cominciano a diventare
sempre più intense, poi anche queste durano 30/40 secondi, dopo c’è una fase di coma in cui le
onde possono essere addirittura piatte. Questo coma post critico può durare diversi minuti, poi
un po’ alla volta il paziente si riprende, è confuso, accusa dolori, ha mal di testa, ha la bava che
esce dalla bocca, può sanguinare se c’è stato il morso della lingua. Nella miocromia positiva c’è
una contrazione muscolare non fulminea, mentre nella miocromia negativa per una frazione di
secondo vi è la perdita del tono muscolare, per cui il paziente si presenta con le braccia davanti
a sé e le dita della mano ad un certo punto cadono, perdono il tono. Poi ci sono gli spasmi
infantili, tipici della sindrome di guest, una encefalopatia epilettica abbastanza severa. Le cause
possono essere diverse e anche le forme non sono uguali. Le caratteristiche di questa sindrome
sono gli spasmi infantili, con palmi delle mani in flessione di solito; colpisce di solito il neonato
entro i 7 mesi di età, quindi non si uò parlare di ritardo mentale, ma di ritardo nello sviluppo
psicomotorio. In questi pazienti vi è l’extra aritmia, cioè un mix di onde su un tracciato molto
rallentato, quindi un tracciato un po’ caotico. La definizione di sindrome epilettica è stata un
po’ modificata nel corso degli anni. In realtà c’è bisogno di una serie di caratteristiche, non ne
148
basta solo una. Bisogna avere una serie di informazioni. Questa prima classificazione delle
sindromi epilettiche poi è rimasta nel tempo. quindi vengono divise in base alla sede di origine
del focolaio della scarica epilettica che può essere focale o generalizzata, oppure in base
all’eziologia. Quindi abbiamo forse focali e generalizzate, poi per ognuna di queste due forme
abbiamo una forma idiopatica (l’esame neurlogico è negativo, lo sviluppo del bambino è
sostanzialmente normale sia all’esame neurologico che all’esame neuropsicologico, di solito
sono forme geneticamente determinanti) e una forma sintomatica (c’è dimostrazione di una
patologia che può essere un trauma, un ictus, in queste forme molto spesso ci sono segni
neurologici, come ad esempio un’emiparesi) e poi ci sono le epilessie criptogenetiche
(probabilmente sintomatiche, ma non c’è dimostrazione di una patologia in atto, significa che
c’è una patologia di fondo probabilmente strutturata, probabilmente metabolica, però non è
dimostrabile, questo perché ad esempio un paziente che ha epilessia, ha un ritardo mentale, si
tratta di una sindrome epilettica criptogenetica, perché per definizione quella idiopatica non
deve avere nessun segno particolare).
Poi in realtà fanno anche la differenza tra sindrome epilettica e malattia epilettica: la sindrome
epilettica è questo complesso di segni e sintomi che definiscono una particolare condizione
epilettica, distinta dalla malattia epilettica della quale c’è una eziologia ben precisa (il decorso è
più lento nel tempo per alcune malattie).
Nella classificazione del 2001 alcune forme già elencate nella classificazione precedente sono le
stesse.
Encefalopatie epilettiche: si ritiene che l’encefalopatia contribuisca alla sintomatologia del
paziente.
Nell’adulto spesso l’epilessia può essere dovuta ad un trauma cranico, di solito questo avviene
dopo sei mesi dal trauma, soprattutto se è stato un trauma importante.
La sclerosi tuberosa è una malattia neurodegenerativa geneticamente determinata, neuro
cutanea, perché vi è contemporaneamente l’interessamento anche della cute, con macchie
ipopigmentate.
Le crisi epilettiche possono essere anche farmaco resistenti, infatti in alcuni pazienti, se si
individua il focolaio, se ne può fare l’asportazione. Poi ci sono le malformazioni, i tumori e
anomalie cromosomiche, i disordini ereditari, i disordini del ciclo dell’urea, il deficit della
proteina trasportatrice di glucosio, ecc..tutte queste possono dare encefalopatie. La
classificazione del 2001 è quella un po’ più completa, per poi giungere a quella del 2010 in cui
non c’è più distinzione tra sindrome epilettica e malattia epilettica. L’ultima classificazione è
quella del 2017, sostanzialmente bisogna fare una diagnosi di crisi epilettica, distinte in focali,
generalizzate e sconosciute. Quindi non vi è più il termine parziale, ma si usa il termine focale.
Bisogna fare la diagnosi del tipo di epilessia. In ogni caso, in qualsiasi momento, io devo cercare
di fare una diagnosi EZIOLOGICA. Quindi l’obiettivo della nuova classificazione è quello di
prediligere la diagnosi eziologica, capire se c’è un’alterazione strutturale, o un difetto genetico,
un’infiammazione, un disturbo metabolico, immune, e andare a guardare i vari segni
149
neurologici, la depressione, disturbi comportamentali, di personalità, ecc. scompare il termine di
epilessia parziale complessa, cioè bisogna precisare se la coscienza è conservata oppure
compromessa. Questa distinzione vale solo per le epilessie ad esordio focale, perché per quelle
generalizzate si dà per scontato che c’è sempre una compromissione della coscienza. Quando i
trovo di fronte ad una crisi epilettica ad esordio focale, devo cercare di precisare, ma non è
indispensabile se c’è o non c’è la compromissione della coscienza, sevo precisare se è motoria o
meno e se è focale che si trasforma in bilaterale. Poi ci sono quelle in cui non è possibile
stabilire l’inizio, però possono essere classificate in motorie o non motorie. Questa è la forma
estesa di classificazione. Ci sono una serie di cambiamenti rispetto alla classificazione
precedente. A volte i pazienti, durante una crisi epilettica, hanno la sensazione del deja vu,
oppure non riconoscono una situazione familiare, possono avere allucinazioni, essere aggressivi,
tanto da sembrare pazienti psichiatrici, agitazione, crampi, ansia, paura, nausea, vomito,
distonie.
Per fare una diagnosi di epilessia devo cercare di capire se mi trovo di fronte ad una crisi
epilettica o ad una patologia che simula l’epilessia, dopo devo capire se la crisi è stata riflessa,
non provocata oppure se è acuta sintomatica, poi si fa una diagnosi di epilessia (ha avuto più
crisi questo paziente? Per fare una diagnosi di epilessia ho bisogno di almeno due crisi. Se ho
due crisi, la probabilità di una terza crisi è del 60% e devo cercare di intervenire con una terapia.
Se ho una sola crisi, devo capire se la probabilità di andare incontro ad una seconda crisi è alta o
no), poi devo classificare il tipo di crisi, il tipo di epilessia e la sindrome epilettica, sicuramente
la risonanza ci dà molte più informazioni, per esempio la sclerosi temporale io difficilmente la
vedo dalla TAC. Posso ricorrere alle indagini genetiche che possono essere svolte per
individuare la sindrome epilettica.
Trattamento: come possiamo trattare la crisi epilettica? Di solito dura un paio di minuti, ma se
si dovesse prolungare nel tempo bisogna intervenire. Nell’adulto di solito si deve iniettare in
vena il valium. Ci sono molti farmaci antiepilettici, sono circa una ventina. Si prova con un
farmaco, a seconda della tipologia di crisi si sceglie il farmaco, si aumenta gradualmente la dose
perché si potrebbero avere effetti indesiderati perché non sono ben tollerati, poi si aumenta
gradualmente la dose e si vede quali sono gli effetti. Se non si riesce a controllare la crisi, allora
si può fare il dosaggio del farmaco. Se un farmaco non funziona, se ne può utilizzare un altro, si
lascia il primo farmaco a dose piena e se ne introduce un altro, se le crisi si riducono, si elimina
il primo farmaco. Certe volte non è possibile, quindi si possono usare anche tre farmaci
insieme. Nel 70% dei casi si controlla l’epilessia. Nel 30% dei casi l’epilessia è farmaco
resistente ( quando sono stati usati almeno due farmaci a dosaggio adeguato e non si è riusciti a
controllare le crisi). In questi casi si può fare un intervento chirurgico che asporta il focolaio
epilettico. Bisogna individuare bene il focolaio. Bisogna controllare che l’intervento non vada a
provocare danno, come disturbi cognitivi, emiparesi, memoria, ecc. bisogna quindi valutare
bene il preoperatorio. Si può ricorrere all’elettrootticografia, cioè vado a mettere gli elettrodi
direttamente sulla corteccia motoria, oppure impiantare elettrodi subdurali e si valuta l’attività
elettrica centrale per individuare precisamente la sede del focolaio, si può utilizzare la risonanza
magnetica funzionale per edere quali sono le aree eloquenti, i centri della memoria, per capire
150
fin dove può essere fatta la resezione per conservare le funzioni cognitive del paziente. L’altra
possibilità è la stimolazione vagale oppure la stimolazione profonda a livello del talamo
anteriore (quando possibile è preferibile la resezione), oppure un’altra possibilità è la dieta
chetogena, soprattutto in particolari forme metaboliche dà buoni risultati.

CASO CLINICO -EPILESSIA


Ragazzo di 18 anni. La mammalo porta dal medico, preoccupata perché negli ultimi tempi lo
vede strano: infatti ogni tanto questo ragazzo si blocca, come se fosse ‘incantato’, fa dei
movimenti strani con gli arti, questo dura un po’, dopodiché sembra nuovamente normale.
Questo ragazzo fino a qualche anno prima sembrava del tutto normale e adesso comincia ad
avere questi strani comportamenti.
Gli provo a chiedere: ma che ti succede?
Lui rimane molto vago, non mi sa dire con esattezza che cosa succede in quel momento.

La storia è raccontata dalla madre, perché il figlio sostanzialmente o non si rende conto oppure
fa finta di non rendersi conto. È chiaro che noi dobbiamo anche pensare a una cosa del genere,
cioè che possa essere non una patologia organica ma una patologia funzionale.

Domande utili per formulare un’ipotesi diagnostica

• Assume droghe?
Può essere che assume droghe. Coloro che assumono droghe possono avere disturbi
comportamentali. Lui nega l’assunzione di droghe. Molti tossicodipendenti chiaramente tali
negano, quindi se c’è il dubbio bisogna comunque ricorrere ad indagini tossicologiche
(screening delle principali sostanze di abuso).

• Ha mai sofferto di epilessia?


Non ha mai sofferto di epilessia, però potrebbero essere delle crisi epilettiche.

L’epilessia non è solamente la cosiddetta crisi di grande male (adesso è cambiata un po’ la
terminologia, però certi termini restano ancora nell’uso comune, nonostante lo sforzo di
uniformare il linguaggio, soprattutto da parte delle società scientifiche internazionali), che
sicuramente è quella che è più chiara è più evidente e sulla quale non c’è alcun dubbio, ma ci
possono essere anche delle crisi nelle quali il pz ha delle assenze (distinte in assenze tipiche e
assenze atipiche).

• L’attacco è sempre uguale?


Secondo la mamma sembrerebbe di sì, cioè quando lui ha questo sguardo nel vuoto, ‘si
151
incanta’ (termine spesso utilizzato dai pz per descrivere la sintomatologia) fa più o meno le
stesse cose, quindi il comportamento è più o meno sempre lo stesso.

• In quale parte della giornata (mattina, pomeriggio, sera) si presentano prevalentemente gli attacchi? Cioè
succede sempre allo stesso periodo della giornata oppure cambia?

Facendo un po’ più di attenzione la mamma ha notato che non c’è un periodo proprio fisso
della giornata, però ha notato per esempio che quando sta stanco perché è uscito con gli
amici la sera precedente e si è ritirato tardi è più facile che possa avere questo strano
comportamento.
Pare che il ragazzo non beva (bisogna considerare però che molti ragazzi per le mamme non
fumano, non bevono, non tirano). Non bisogna escludere nessuna possibilità.

• Gli attacchi sono ingravescenti o sono costanti, come gravità?



Qualche anno fa ne aveva una ogni tanto, adesso negli ultimi tempi stanno cominciando ad
essere più frequenti, soprattutto se il pz è stanco, non ha dormito la notte. Stanno
diventando più frequenti nel tempo rispetto al passato.
• Durante un attacco non risponde?

Durante l’attacco se la mamma prova a chiamarlo, a dirgli qualcosa, a scuoterlo lui non
risponde. Sembra che in quel momento abbia perso la coscienza, non è più presente.

• Quanto tempo durano più o meno gli attacchi?



Secondo la mamma dura qualche minuto (all’incirca 2-3 minuti), ma non si è mai messa a
controllare con l’orologio. Tenete presente che spesse volte quando si hanno queste crisi,
siccome le persone che sono intorno si spaventano e si preoccupano il tempo si dilata
apparentemente. Quindi dovete indagare bene quando dicono venti minuti, perché in realtà
quei venti minuti sono di fatto 1-3 minuti, che però nel vissuto di chi in quel momento
assiste alla scena preoccupato si ingigantisce. Questa è una cosa che dovete andare a
verificare.

• Ci sono dei segni prodromici? Cioè la madre si accorge che sta per arrivare l’attacco?

Non ci sono segni prodromici, però il pz per un attimo dice che sente una sensazione di
forte paura e poi non ricorda più niente. Lui in realtà non ricorda, non si rende conto della
cosa.

152
• Aspettano che l’attacco passi da solo o devono fare qualcosa per poterlo fermare? Va via
spontaneamente, dura quei 2-3 minuti, poi il pz si riprende.

• Qualcuno in famiglia ha gli stessi episodi?



No, nessun altro in famiglia ha avuto episodi analoghi.

• Ha avuto traumi in passato?



No.

• L’attacco si è presentato spontaneamente o è stato provocato da qualcosa in particolare?



Apparentemente sembra essere stato qualcosa di spontaneo, di non provocato.

• Il pz è mai caduto a terra durante un attacco?



Diciamo che quando la mamma l’ha visto o stava seduto o stava a letto o stava in poltrona
etc. non è mai capitato secondo la mamma quando stava all’impiedi, quindi non sa se
capitando all’impiedi poteva cadere a terra o meno.

• Nel momento in cui ha ripreso conoscenza è diventato subito lucido, orientato nel tempo e nello spazio
oppure è stato per un po’ confuso ?

Il nostro pz non riprendeva subito un ottimale livello di coscienza, ma per un po’ era un po’
confuso, quindi faceva un po’ fatica a riprendersi.

• Potrebbe essere una sincope? Perché no e perché si? Nella sincope che succede?

La sincope generalmente esordisce improvvisamente in un soggetto che perde coscienza e
riprende coscienza in breve tempo, lucido, direttamente orientato nel tempo e nello spazio
(non c’è quel periodo di confusione che invece si ha nella crisi epilettica).
In questo caso clinico nel momento in cui il pz perde conoscenza, gesticola, fa dei
movimenti, questo depone a sfavore della sincope (se un pz ha una sincope stando seduto
immediatamente perde conoscenza, non fa dei movimenti come nel nostro caso).

• Può indirizzare nella diagnosi la valutazione del tono muscolare?



Possono esserci delle crisi toniche, delle crisi cloniche, delle crisi tonico cloniche o
clonico tonico cloniche.
153
Secondo la mamma fa dei movimenti, quindi sembrerebbero degli automatismi motori.

Ci sono forme diverse di epilessia: forme idiopatiche e forme sintomatiche.


Se si tratta di una crisi epilettica, nel momento in cui andiamo a visitare il pz nella fase
intercritica nelle forme idiopatiche l’esame neurologico è negativo e non esce fuori niente
qualsiasi indagine voi facciate (RM, esame liquorale, indagini di laboratorio).
E poi ci stanno le cosiddette forme sintomatiche, nelle quali viene fuori un qualcosa, che può
essere un tumore cerebrale, un accidente vascolare, un’encefalite e così via discorrendo.

È importante la diagnosi differenziale con la crisi psicogena (funzionale). Psicogeno nel


senso che vi è un disturbo di conversione.
Le crisi non epilettiche psicogene (CNEP) ricordano, come fenomeno, delle crisi epilettiche, ma
hanno un’origine psicologica. Appartengono alla categoria dei disturbi dissociativi/disturbi di
conversioni nelle classificazioni internazionali.

La diagnosi di certezza è fornita dalla registrazione videoelettroencefalografica (EEG) delle


manifestazioni cliniche.
Video EEG: il pz viene ricoverato, si applicano tutti gli elettrodi con la telecamera, e quindi si
vede al momento della crisi, che viene filmata con la telecamera, che succede all’attività elettrica
cerebrale. Se ci sono delle anomalie epilettiformi allora coincide proprio con una crisi epilettica;
se non ci sono allora questo ci dice che quella è una crisi funzionale.
Dobbiamo stare attenti su questo perché molti focolai che sono profondi poi non possono
essere colti con gli elettrodi di superficie, anche su questo bisogna vedere caso per caso.

Ci sono una serie di elementi che permettono di differenziare la crisi funzionale dalla crisi
epilettica:

▫ La durata
La crisi epilettica in linea generale è breve (2-3 min), , a meno che non si entri in uno
stato di male epilettico (caratterizzato da crisi subentranti in cui la scarica si può
protrarre nel tempo o più frequentemente ci sono scariche ripetitive, quindi sono più
crisi che si succedono nel tempo) e quindi ovviamente si allunga il tempo della crisi. In
realtà non è una vera e propria crisi epilettica, ma è uno stato di male epilettico.
Nella crisi funzionale invece la durata è decisamente più lunga.

▫ I movimenti

Se c’è una classica crisi tonico-clonica è facile fare una diagnosi.

154
Però se ci sono degli automatismi motori fare la diagnosi differenziale tra i movimenti
che un pz in piena crisi funzionale fa rispetto a quelli di una crisi epilettica può essere
difficile, tenendo presente che ci sono delle tipologie particolari di crisi epilettiche nelle
quali il pz si mette a pedalare o fa degli altri movimenti come se volesse avvitare
qualcosa, che sembrano dei gesti finalistici, soprattutto se il focolaio è un focolaio
frontale.
Quello che però caratterizza l’epilessia è la stereotipia (i movimenti sono più o meno
sempre gli stessi). È difficile che in una crisi funzionale il pz faccia sempre le stesse cose,
quindi se è stereotipato allora è molto più probabile che ci troviamo di fronte ad una
crisi epilettica.

▫ Controllo degli sfinteri

Di solito nella crisi epilettica, soprattutto nelle forme generalizzate c’è un’incontinenza
che di solito è urinaria ma può essere anche fecale.
Nella crisi funzionale invece in genere non c’è la perdita del controllo degli sfinteri.

▫ La fase post critica

Di solito il pz con epilessia, in linea generale, accusa una serie di disturbi nella fase post
critica per esempio una cefalea, uno stato confusionale, cosa che di solito non succede
nel pz che ha una crisi funzionale.

Nel nostro caso ci sono tutta una serie di elementiche fanno pensare che ci troviamo di fronte a
una crisi epilettica: la brevità della crisi, la stereotipia, il fatto che sia confuso subito dopo, il
fatto di non serbare ricordo della crisi (in verità anche il pz con una crisi funzionale dice di non
ricordare, bisogna vedere fino a che punto effettivamente non lo ricorda oppure dice di non
ricordare).

Crisi epilettica

È una scarica neuronale anomala che può comportare delle convulsioni e che può essere dovuta
a varie cause.
La crisi epilettica può essere caratterizzata dalla presenza di movimenti involontari, ad esempio
convulsioni, (il termine convulsioni ultimamente è caduto un po’ in disuso nell’ultima
classificazione) che non sono sempre presenti, e automatismi.
Le crisi epilettiche sono caratterizzate anche da una perdita di coscienza da parte del pz.

155
Il focolaio che scatena la crisi epilettica, questa scarica neuronale ipersincrona può
interessare praticamente tutto l’encefalo.

Segni e sintomi di una crisi epilettica:


Estremamente vari. Praticamente tutto quello che controlla il cervello può manifestarsi in una
crisi epilettica. Una crisi epilettica può dare quindi: disturbi sensitivi, disturbi motori, l’interessamento
del sistema vegetativo (perdita del controllo degli sfinteri), allucinazioni (visive uditive, olfattive), disturbi della
sfera affettiva, assenze.
Disturbi sensitivi(tutto quello che è controllato dalla corteccia somatosensitiva si può
manifestare in una crisi epilettica): sinestesie, parestesiedi diversa tipologia (formicolio,
intorpidimento, prurito), alterazioni dello schema corporeo.
Durante la crisi epilettica si può verificare anche la cosiddetta marcia Jacksoniana(sia per disturbi
motori che per disturbi sensitivi)

Se c’è un glioma a livello della rappresentazione della mano io posso incominciare ad avere
delle clonie alla mano, e poi le clonie alla mano si possono diffondere al braccio, alla faccia, e
magari contemporaneamente all’arto inferiore.

Se a livello della corteccia sensitiva ho un glioma nel punto di rappresentazione del piede io ho
una sensazione parestesica che comincia dal piede e poi mi può diffondere a tutto l’emicorpo,
all’arto superiore e arrivare alla faccia.

Lo stesso dicasi se il focolaio è a livello della corteccia motoria: posso avere delle clonìe, un
ipertono, dei movimenti tonico-clonici che cominciano in una parte del corpo e
successivamente si possono diffondere ad altre parti.
L’interessamento della corteccia motoria può provocare la cosiddetta paralisi post critica o paralisi
di Todd, cioè dopo che il pz ha avuto le convulsioni, cioè ad esempio la crisi tonico - clonica, o
la crisi clonico tonico clonica, nella fase post critica il pz resta paralizzato, la paralisi dopo un
po’ di tempo regredisce completamente e questo può creare dei problemi di diagnosi
differenziale per esempio con un TIA (attacco ischemico transitorio).
I pz durante la crisi epilettica possono avere allucinazioni visive.

Possono essere semplici: dei lampi, delle luci colorate, dei cerchi colorati, se il focolaio è centrale,
soprattutto nelle aree peristriate.

156
Possono essere complesse: i pz vedono delle persone che entrano, vedono degli animali se il
focolaio è localizzato in basso, in regione occipito-temporale.
Lo stesso dicasi per le allucinazioni uditive possono essere semplici (fischi, rombi, il rumore del
treno che cammina, etc.) o possono essere complesse (il pz può sentire interi brani musicali).
L’epilessia del lobo temporale per esempio può dare allucinazioni olfattive, per cui il pz a un certo
punto sente un odore, generalmente sgradevole, si mette a cercare in giro quale può essere la
fonte di questo cattivo odore ma non trova niente, dura qualche minuto e poi passa.
Se è interessato il sistema limbico, la corteccia cingolata per esempio, possono venir fuori
disturbi della sfera affettiva, il pz può sentirsi in quel momento profondamente depresso o al
contrario euforico, o avere una sensazione di paura, una sensazione di rabbia intensa in quel
momento o addirittura di tristezza al punto che comincia a piangere (crisi dacristiche) o a
ridere (crisi gelastiche) senza un motivo (non c’è nulla che possa aver scatenato la risata o il
pianto) e poi si capisce che si tratta di una crisi epilettica. Le crisi gelastiche per esempio sono
caratteristiche di tumori al livello dell’ipotalamo.
Possono aversi delle assenze: il pz mentre sta parlando con voi a un certo punto si blocca con lo
sguardo nel vuoto. Per esempio nella crisi di piccolo male, che è la forma più frequente
nell’infanzia, il bambino si ferma e rimane pochi secondi con lo sguardo nel vuoto, può avere
delle mioclonie palpebrali, e poi lentamente si riprende. Spesso il pz non si accorge di aver
avuto la crisi perché questa è fugace, dura pochissimo tempo, però chi ci sta di fronte si accorge
che per un attimo ha perso il contatto con la realtà.

Ci sono delle assenze tipiche, caratteristiche delle forme di epilessia benigna nell’infanzia, tra
cui il piccolo male, che hanno delle caratteristiche ben precise: durata breve (alcuni secondi),
inizio e fine rapida e hanno caratteristicamente al tracciato elettroencefalografico dei complessi
punta- onda (sono delle punte seguite da un’onda) la punta rappresenta la scarica neuronale,
l’onda invece la fase successiva di iperpolarizzazione, che serve a interrompere la scarica
neuronale, a 3 cicli al secondo, caratteristicamente.

157
Nelle forme atipiche invece le assenze possono essere più prolungate, possono avere un
esordio un po’ più lento, anche una fine un po’ più lenta e ci possono essere queste punte onda,
però di solito hanno una frequenza inferiore, cioè per esempio 2-2,5 cicli al secondo.

Crisi epilettica

Comparsa transitoria di segni o sintomi legati ad una eccessiva scarica neuronale a livello
cerebrale. Sussiste una sostanziale differenza tra crisi epilettica ed epilessia per cui possiamo
affermare che chi ha avuto una crisi epilettica non è detto che sia affetto da epilessia. Il nostro
cervello infatti è predisposto allo sviluppo di crisi epilettiche. Ognuno di noi in condizioni
estreme può sviluppare una crisi, è un fatto normale. Lo sviluppo di crisi epilettiche può essere
dovuto a pratiche mediche che assumono una connotazione iatrogena; si pensi, ad esempio,
all’elettroshock a cui si ricorre in casi di depressione o psicosi grave resistente al trattamento. Il
ricorso all’elettroshock può determinare uno stato di male epilettico all’interno dell’encefalo. Lo
stesso shock insulinico può determinare una crisi epilettica legata ad uno stato ipoglicemico
marcato.
Per queste ragioni nel momento in cui abbiamo un singolo episodio non possiamo parlare di
epilessia ma di una crisi acuta sintomatica: pz molto disidratati, con ipocalcemia spinta, iposodiemia
acuta, un trauma acuto (nel caso di traumi bisogna ricordare che diverso è il discorso per una crisi
che si sviluppa a distanza da un trauma cranico, in tal caso vorrà dire che si è sviluppata una
cicatrice ed in quel caso gli episodi possono ripetersi) anche un etilista può sviluppare delle crisi
acute sintomatiche dovute all’assunzione di alcol od allo stato di deprivazione ed alla
conseguenziale crisi di astinenza.
158
Il 10% della popolazione soffre di crisi epilettiche.
EPILESSIA
Disordine neurologico caratterizzato da una predisposizione a generare crisi epilettiche
continue con le conseguenze psico-cognitivo e sociali annesse. L’aspetto fondamentale quindi è
che in questa condizione patologica le crisi tendono a ripetersi.
Per fare DIAGNOSI DI EPILESSIA deve essere soddisfatta almeno 1 delle seguenti
condizioni:
1) Almeno due crisi non provocate o riflesse a distanza di 24 h
2) 1 crisi non provocata o riflessa ed almeno il 60% di probabilità di sviluppare una
seconda crisi (il rischio cresce ancora di più in quei pz in cui si sono manifestate due crisi
rispetto allo sviluppo di una terza)
3) Diagnosi di sindrome epilettica
La diagnosi di epilessia deve essere ben meditata dal punto di vista clinico-strumentale perché
ha importanti conseguenze economiche sociali e fisiche. Infatti non si possono fare sport
estremi oppure non si può portare la macchina (per poter ritornare a guidare deve passare
almeno un anno dalla manifestazione dell’ultima crisi e deve essere in atto un piano terapeutico
ben equilibrato ed efficace).
La giusta diagnosi di epilessia è importante anche per gli importanti effetti collaterali legati
all’utilizzo dei antiepilettici. Si pensi ai problemi cognitivi che possono investire soprattutto i
bambini.
L’epilessia si considera risolta quando:
1) Per le forme età dipendente si è superati una certa età
2) Almeno 10 anni da ultima crisi
3) No uso farmaci da ultimi 5 anni

DIAGNOSI DIFFERENZIALE:

▫ Sincope
▫ Crisi funzionali: disordini comportamentali
▫ Spasmi respiratori infantili (sincope blu): i bimbi in seguito al pianto si bloccano in fase
inspiratoria per alcuni secondi sviluppando cianosi e movimenti tonico-clonici che possono
mimare una crisi epilettica
▫ Sincope pallida: crisi vaso vagale che nei bambini si sviluppa di solito dopo un piccolo
trauma al capo; abbiamo irrigidimento e movimenti clonici.
▫ Disordini psichiatrici: condizioni di “sogno ad occhi aperti” possiamo avere automatismi
motori o i bambini che rimangono incantati come nelle assenze.
▫ Crisi di panico e dicollera
▫ Disordini del sonno (Parasonnie):
159
- Paralisi ipnagogiche(fase di addormentamento);
- Paralisi ipnopompiche (fase di risveglio);
- Sonnambulismo: episodi caratterizzati da comportamenti automatici più o meno
complessi, finalistici o afinalistici (come camminare, mangiare, bere, uscire di
casa…);
- Terrori notturni: episodi di risveglio parziale, spesso ad esordio improvviso, con
espressione di terrore, intensa agitazione, sudorazione, pallore, respiro affannoso,
tachicardia (il bambino urla, è inconsolabile, poco responsivo alle stimolazioni
ambientali e non riconosce i genitori).
▫ Disordini del movimento: TIC
▫ Spasmusnutans: la malattia esordisce tra i 4 e i 12 mesi di vita e si caratterizza, dal punto di
vista clinico, per una triade di segni che comprende il nistagmo, il ciondolamento del capo e
la rotazione o l'inclinazione anomala della testa (torcicollo). Il nistagmo presente nello SN è
caratterizzato da oscillazioni pendolari, intermittenti, di piccola ampiezza, ad alta frequenza
(nistagmo dei minatori) ed è di solito bilaterale, sebbene possa essere monoculare,
asimmetrico e variabile nelle diverse posizioni dello sguardo. Sia il nistagmo che il
ciondolamento del capo possono interessare qualsiasi piano [orizzontale (è il più frequente),
oppure verticale, obliquo o di torsione]. Lo strabismo e l'ambliopia possono essere presenti
in assenza di oscillopsia. Non sono in genere presenti anomalie retiniche, intracraniche o del
nervo ottico.
La diagnosi differenziale si fa soprattutto con sincopi e disturbi funzionali. In questo caso la
valutazione clinica, prima del ricorso all’EEG risulta importante.
Vi sono infatti differenze di frequenza degli attacchi, manifestazioni cliniche, durata, fenomeni
post critici.
Frequenza:

- CRISI EPILETTICA : non abbiamo fattori scatenanti, e le crisi si sviluppano


soprattutto durante il sonno
- SINCOPE: vi sono fattori trigger (dolore, affaticamento, bruschi cambiamenti posturali
nell’ambito dello sviluppo di ipotensione ortostatica)
- CRISI PSICOGENA : stati emotivi particolari. Di solito le crisi si sviluppano durante lo
stato di veglia in presenza di un testimone
Manifestazione clinica:

- CRISI EPILETTICA: contrazioni tonico cloniche dei muscoli toracici compresi quelli
respiratori con urla, cadute che possono determinare traumi, MORSUS, perdita del
controllo degli sfinteri.
- SINCOPE: l’evento sincopale è preceduto da vertigini, ronzi, parestesie periorali,
tachicardia, cadute, pallore, sudorazione, NON ABBIAMO IL MORSUS, rari sono i

160
fenomeni di incontinenza. Se la crisi sincopale si protrae per 5-10 secondi possiamo
avere mioclonie che possono mimare movimenti stereotipati
- CRISI PSICOGENA: movimenti bizzarri polimorfi (non stereotipie come nell’
epilessia), agitazione, rotolamento, movimenti finalistici il pz cerca di cadere in modo da
non farsi male (no traumi), no MORSUS; no perdita del controllo sfinteriale, chiusura
forzata degli occhi, infine in un pz che ha una crisi psicogena legata ad un disturbo
funzionale questa può essere bloccata (od indotta) da interventi esterni di solito
particolarmente energici.
Durata:

- CRISI EPILETTICA: meno di 2 minuti


- SINCOPE: 4-6 secondi ( si può prolungare per 10-15 secondi)
- CRISI PSICOGENA: minuti-ore.
Fenomeni post-critici:

- CRISI EPILETTICA: disorientamento, cefalea, mialgia (per le crisi clonico-toniche)


amnesia dell’evento
- SINCOPE: pronta ripresa, amnesia dell’evento
- CRISI PSICOGENA: pronta ripresa, amnesia dell’evento DICHIARATA (dal pz)

EPIDEMIOLOGIA
Prevalenza : 6,4/1000
Incidenza: 68/100000/anno soprattutto giovani ed anziani (studi recenti sembrano evidenziare
che gli uomini sono colpiti un po’ di più rispetto alle donne)

Patogenesi dell’epilessia
Cause genetiche:
Forme di epilessia geneticamente determinate: implicati più di 500 geni codificanti per canali e
per recettori.

• Canali implicati nell’epilessia: canali del Na+, del Ca++, del K+, del Cl-.
• Recettori implicati nell’epilessia: recettore del GABA, dell’Acetilcolina, della Glicina,
degli Oppiodi.
• Alterazioni del metabolismo:sono coinvolti enzimi implicati nel metabolismo di fattori,
quali ad es. l’adenosina.

161
Cause acquisite:
Vi sono fattori lesionali, che in base all’epoca di insorgenza possono essere distinti in: pre-
natali, perinatali e post-natali
Le lesioni pre-natali possono essere distinte in 2 tipologie: le embriofetopatie e le
malformazioni congenite.
Le embriofetopatie possono essere dovute a:
- alterazioni primitive nervose fetali, dovute a difetti dell’ontogenesi encefalica: ad es. displasie
corticali focali, lissencefalia-agiria (gruppo di malformazioni rare accomunate da anomalie delle
circonvoluzioni cerebrali, caratterizzate dalla semplificazione o dall'assenza della plicatura,
associate a una anomala organizzazione degli strati corticali [mancato sviluppo delle
circonvoluzioni, corteccia telencefalica sembra appiattita]; possono riguardare l’intera corteccia
o solo una parte), polimicrogiria, schizencefalia. Vedi tabella in fondo.
- utilizzo di farmaci da parte materna o infezioni trasmesse per via verticale materno-fetale,
quali: toxoplasmosi, rosolia, virus citomegalico, herpes simplex. Tali fattori determinano
un’encefalopatia “fissa”, associata spesso ad epilessia e ad anomalie di sviluppo del cranio
(microcefalia, idrocefalo).
Malformazioni congenite. Le più frequenti associate all’epilessia sono: la sclerosi tuberosa, la
malattia di Von Recklinghausen (neurofibromatosi di tipo 1), malattia di Sturge-Weber
(angiomatosi encefalotrigeminale), malattia di Aicardi (agenesia del corpo calloso), ma anche
sindrome di Down e altre.
Lesioni perinatali: cause più comuni di epilessia (circa il 15%). La sofferenza cerebrale può
essere prodotta da molti fattori: anossia, trauma da parto, emorragia intracranica, meningite,
disordini metabolici (principalmente l’ipoglicemia). La prematurità e l’immaturità li favoriscono
e ne aggravano gli effetti.
Lesioni post-natali: rappresentate da infiammazioni, tumori, angiomi, traumi cranici, ecc.
Infiammazioni: causano circa 5% epilessie e sono rappresentate da: encefaliti (di origine
batterica, micotica, ma anche virale, come per encefalite erpetica, e recentemente sono state
osservate anche encefaliti autoimmuni, causa di forme di epilessia ritenute in passato
idiopatiche; es. epilessia da auto-anticorpi per recettori NMDA), meningiti (batteriche e
tubercolari, non quelle asettiche), ascessi e tromboflebiti.
Lesioni post-natali progressive possono essere rappresentate da: tumori; angiomi; encefaliti
progressive, quest’ultime a loro volta distinguibili in: forme infiammatorie, forme degenerative,
forme metaboliche, forme tossiche.
I tumori che possono causare crisi epilettiche sono sia di tipo benigno sia di tipo maligno, con
maggiore frequenza dei primi sui secondi, anche a causa del lento accrescimento. Tumori più
epilettogeni sono quelli sopratentoriali, ad accrescimento lento: oligodendrogliomi, astrocitomi,

162
meningiomi, situati in prossimità della corteccia. Né la semeiologia delle crisi, né il tipo di
decorso fanno sospettare la natura tumorale dell’epilessia. Ciò rende indispensabile il ricorso
agli esami neuroradiologici (RM, TAC,) in tutti i casi di epilessia tardiva.
Cause che possono essere sia pre-natali, peri-natali o post-natali: traumi, ischemie, emorragie,
ecc.
Traumi cranici: perché un’epilessia possa essere causata da un trauma, è necessario che esso
abbia avuto un’intensità tale da produrre una lesione corticale.
Le emorragie possono causare un danno corticale che porta ad una degenerazione cicatriziale
del tessuto nervoso. In caso di emorragie o ischemie post-natali, si possono osservare delle crisi
epilettiche in acuto, ma queste devono essere distinte dalle manifestazioni epilettiche che si
possono instaurare dopo il trauma.
La presenza di tessuto cicatriziale o un processo infiammatorio, un trauma, uno stroke,
possono indurre l’instaurazione di epilessie attraverso complesse interazioni tra i mediatori
dell’infiammazione e la funzione della microglia o degli astrociti. Si possono creare delle
alterazioni che portano alla formazione di circuiti maggiormente predisposti a dare origine a
focolai o punti di trasmissione epilettica.
Altre cause acquisite: interventi chirurgici, farmaci (triciclici, antistaminici, penicillina: danno
epilessia in caso di particolari predisposizioni genetiche che riducono la soglia epilettogena),
deplezione di sonno (in alcuni casi viene usata per slatentizzare un focolaio epilettico), delirium
tremens (sospensione brusca dell’assunzione di alcol in soggetti assuefatti per up-regulation dei
recettori NMDA), sospensione brusca di farmaci antiepilettici o benzodiazepine. Convulsioni
febbrili devono essere distinte da crisi epilettiche.

Terapia
Il trattamento dell’epilessia deve prevedere una durata di almeno 2 anni, e solo se dopo 2 anni
caratterizzati da totale assenza di episodi di crisi epilettiche, con elettroencefalogramma normale
e in assenza di alterazioni strutturali che possano causare crisi (es. tumori, trauma), allora è
possibile sospendere la terapia antiepilettica in modo graduale nell’arco di qualche mese (anche
se sulla durata della fase di sospensione non vi è unanime accordo. Se non vi sono particolari
esigenze è preferibile dilatazione mensile). La terapia dipende dai meccanismi patogenetici
dell’epilessia. Si procede quindi dapprima a individuare tali meccanismi, ed in base poi a questi
ritrovati si procede a stilare una terapia.
Alterazioni legate all’ontogenesi
Anomalia di sviluppo Caratteristiche RMN e cliniche
Lissencefalia-agiria Mancato sviluppo delle circonvoluzioni, per
cui la corteccia rimane liscia e sottile, con
aspetto istologico di tipo embrionario; si
163
manifesta con spasmi infantili, ritardo
mentale grave, tetraparesi spastica.
Oloprosencefalia Presenza di cervello monoventricolare, senza
divisioni emisferiche; spesso associata a
lissencefalia. Spasmi infantili, ritardo mentale
e spasticità.
Pachigiria Appiattimento e ispessimento delle
circonvoluzioni cerebrali. Spasmi infantili,
ritardo mentale grave.
Polimicrogiria Presenza di numerose circonvoluzioni di
dimensioni inferiori alla norma e aspetto
rugoso. Epilessia di gravità variabile.
Eterotopie a corticali laminari o nodulari Lamine o noduli di sostanza grigia
nell'ambito delia sostanza bianca. Epilessia
parziale o generalizzata farmacoresistente,
lieve ritardo mentale.
Emimegaloencefalia Crescita ipertrofica amartomatosa di tutta o
di una parte di un emisfero cerebrale
associata a difetti di migrazione omolaterali.
Emiipotrofia di una parte o di tutto il soma
controlaterale; spasmi infantili precoci,
emiplegia e ritardo mentale.
Schizencefalia Presenza di cordoni di sostanza grigia
displasica che dalla superficie corticale si
estendono fino a raggiungere il ventricolo
laterale omolaterale, realizzando una
continuità patologica pio-ependimale. Tipo I o
forma a labbra chiuse (con stretta
contrapposizione dei margini) e tipo II o forma
a labbra aperte (con ampia comunicazione tra
lo spazio subaracnoideo e il ventricolo).
Epilessia parziale, emiparesi e ritardo
mentale.
Sindrome di Aicardi Agenesia del corpo calloso, microgiria, lacune
retiniche, spasmi infantili a esordio precoce.

164
Eterotopia a banda sottocorticale, “doppia corteccia”

165
LEZIONE DI NEUROLOGIA 1/06/18 (prima parte: 9.00-11.00)
ARGOMENTI TRATTATI: DISTURBI NEUROLOGICI FUNZIONALI
Questa pz di cui vedete solamente i piedi e le gambe è una pz di 22 anni che sostanzialmente da
un paio di mesi a questa parte riferisce che, quando si mette in piedi e comincia a camminare, le
vengono meno le gambe. Questo fatto le rende difficoltoso sia camminare che svolgere le
faccende domestiche. Lei ha avuto un bambino da pochi mesi e questa cosa le dà molto
fastidio. Questo è il suo racconto. Da un paio di mesi a questa parte sente venir meno le gambe
quando cammina. A che pensate? Può avere una perdita di forza, quindi potrebbe essere un
disturbo di forza. Anche se dice che mentre cammina viene meno, però si dovrebbe lamentare
di un disturbo di forza costantemente, invece lei riferisce che mentre cammina le vengono
meno di fatto le gambe e quindi ha difficoltà a camminare, ma non dice che ha un disturbo di
forza.
Potrebbe essere un disturbo della sensitività anche se in fondo un pz con un disturbo della
sensitività si dovrebbe lamentare se chiude gli occhi, perché c’è un netto peggioramento rispetto
alla condizione degli occhi aperti. Invece la nostra pz non ha differenza tra occhi aperti e occhi
chiusi.
Lei riferisce solo che mentre cammina si piega sulla ginocchia perché le vengono meno le
gambe.
Potrebbe essere una miastenia in cui c’è questa abnorme faticabilità che caratterizza questo tipo
di patologia, anche se in fondo regge poco questa ipotesi perché di solito il pz miastenico
comincia a camminare e non ha difficoltà nel cominciare il movimento, poi man mano che
cammina e si affatica comincia a sentire le gambe che gli vengono meno. Invece lei già al
momento di cominciare a camminare ha già questa difficoltà, quindi non pare ci sia questa
abnorme affaticabilità che è tipica invece della miastenia.
Potrebbe essere una claudicatio midollare, ma in genere un pz con la claudicatio midollare fa un
certo numero di metri e poi inizia a sentire una ipostenia ingravescente che lo costringe a
fermarsi.
Una malattia del premotoneurone ci dovrebbe riferire che ha un impaccio motorio, una
sensazione di rigidità degli arti, un deficit di forza, una spasticità. Ma non è questo il suo
racconto.
Dove può avere la lesione?
Nella neuropatia periferica uno si aspetta il disturbo di forza che non ci riferisce. Ci dovrebbe
essere un disturbo della sensibilità.. dipende.. ci sono le forme che sono prevalentemente
motorie quindi il disturbo motorio è il deficit di forza. Poi ci sono delle forme miste, quindi
sensitive e motorie e quindi oltre al problema motorio, il pz lamenta di aver perso la sensibilità.
Non è il suo caso.

166
Esame neurologico. Prova di forza per vedere se c’è un deficit di forza. Non pare ci sia un
deficit della dorsiflessione e problemi di forza. In accordo con il referto anamnestico.
Nel momento in cui la metti in piedi, vedete la faccia che fa. Viene meno sulle gambe e
tendono a piegarsi le ginocchia. Che pensate? Non ha deficit di forza. Vedete si appoggia
perché pare che perda l’equilibrio.
Quando l’andatura della pz non coincide con nessuna delle andature patologiche note, la prima
ipotesi da confutare è quella che ci troviamo di fronte a un disturbo psichiatrico.
In effetti questa era una paziente particolarmente stressata.
Tenete presente che non sempre lo stress è presente, in una percentuale anche elevata di casi,
cioè siamo intorno al 30-40 % dei casi, dall’anamnesi non viene fuori né un disturbo
psichiatrico né particolari situazioni di stress, tant’è vero che nell’ultima edizione del DSM- il
manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali- non è più necessario che sia presente un
problema psicologico nel pz.
Quindi noi ci troviamo di fronte a quello che con il DSM V viene definito “disordine
neurologico funzionale” o “disturbo di conversione”. Nelle prime tre edizioni del DSM si
parlava di “isteria”, in realtà per quanto riguarda la terminologia, soprattutto nel tempo si sono
usati termini diversi, sentirete parlare di “disturbo psicogeno”, “isteria”, “disturbo di
conversione” oppure di “pseudosindrome neurologica” o di “disturbo non organico”, sono
tutti sinonimi, e indicano tutti un disturbo che non ha una base organica. Per le prime tre
edizioni del DSM si è parlato di isteria, poi di “disturbo di conversione”(non del tutto
abbandonato) e adesso è stato introdotto il termine “disturbo neurologico funzionale”.
Classicamente l’isteria era considerata una condizione nella quale ogni conflitto inconscio si
proietta su una parte del corpo rendendola valida (interpretazione fatta da Charcot).
L’incidenza è da 5 a 12 casi su 100000; la prevalenza è intorno a 50 su 100000, però in realtà ci
sono una serie di autori che ci dicono che il disordine neurologico funzionale è molto più
frequente. Per esempio in un’altra casistica, il 30% di 3781 pz visti in un ambulatorio
neurologico ha dei sintomi non spiegati però solo il 6% soddisfa i criteri per il disordine di
conversione del DSM IV. In questo studio inglese il costo del disturbo funzionale rappresenta il
10% della spesa pubblica per la sanità (non è poco).
Quali sono i criteri del DSM V per fare una diagnosi di disturbo neurologico funzionale?
1. Uno o più sintomi di alterazioni delle funzioni motorie volontarie o sensoriali (inteso
anche sensitivo).
2. I reperti clinici forniscono le prove di un’incompatibilità tra il sintomo e le condizioni
neurologico- mediche conosciute.
3. I sintomi non sono meglio spiegati da altro disturbo mentale o medico.
4. Il sintomo causa disagio clinicamente significativo.
5. Una menomazione del funzionamento sociale, lavorativo.
6. Richiede una valutazione medica.
167
Questi sono i criteri di DSM V per fare una diagnosi del disturbo funzionale.
Nel DSM IV era scritto che bisognava avere anche la dimostrazione di un disagio psicologico,
questo è stato tolto perché nel 30% dei casi questo disagio psicologico non viene fuori. E poi
avere la relativa certezza che non si tratti di una simulazione, perché questa è la diagnosi
differenziale che bisogna fare, cioè il pz è seriamente convinto di avere un problema
neurologico oppure simula (lo fa apposta) per avere un guadagno? Può essere un guadagno
economico o il liberarsi da una responsabilità. L’altra cosa da specificare è se si tratta di una
debolezza, di una paralisi.
I disturbi da sintomi neurologici funzionali possono essere i più vari:

• c’è il pz che si lamenta di una paralisi


• c’è il pz che può avere un disturbo del movimento, spesse volte c’è il tremore
• un disturbo della deambulazione
• problemi di deglutizione
• l’eloquio
• attacchi che simulano l’ epilessia (bisogna saper fare una diagnosi differenziale tra crisi
epilettica vera e crisi psicogena)
• la perdita della sensibilità (ci possono essere disturbi sensitivi come una disestesia
• sintomi sensoriali specifici, quindi possono riguardare il gusto, l’udito, ecc
• sintomi misti

Questo bisogna specificarlo, e poi bisogna specificare se l’esordio acuto o meno di sei mesi,
persistente da sei mesi, con fattore psicologico stressante, senza fattore psicologico stressante.
In realtà, il disturbo di conversione rientra nel più ampio capitolo dei disturbi da sintomi
somatici e disordini correlati (DSM V). C’è il disturbo da sintomi somatici, il disturbo da ansia
di malattia, il disturbo di conversione, fattori psicologici che influenzano altre condizioni
mediche , disturbo fittizio, altri specificati sintomi somatici, sintomi somatici non specificati.
Che significa “disturbo da sintomi somatici”? il pz accusa dei disturbi, possono essere dolorosi
o non dolorosi e ovviamente il pz è preoccupato di avere una malattia.
Il disturbo da ansia di malattia? In entrambi ci sta la preoccupazione di avere la malattia, però in
uno effettivamente il pz sente disturbi, invece nell’ansia da malattia, lui è preoccupato di avere
la malattia, però non ha sintomi somatici.
Che significa disturbo fittizio? Non è un simulatore, cioè non è che lui trae un vantaggio
economico oppure un liberarsi dalla responsabilità. No lui non finge. Le dinamiche
psicologiche ovviamente sono abbastanza complesse però per lui è importante assumere il
ruolo di malato, ma non c’è nessun tornaconto in questo e arrivano persino a simulare la
malattia per esempio facendo dei salassi, oppure facendosi delle lesioni, oppure falsificando le
carte, i referti. Che può essere riferito a se stesso oppure agli altri. Per esempio le madri che in

168
una maniera o nell’altra costruiscono la malattia del figlio, questi figli durante il ricovero stanno
benissimo, poi quando ritornano a casa hanno nuovamente dei sintomi.
Vediamo i criteri.
Disturbi da sintomi somatici. Uno o più sintomi somatici, quindi effettivamente il pz ha un
disturbo, che procurano disagio o portano ad alterazioni significative della vita quotidiana.
Pensieri, sentimenti o comportamenti eccessivi correlati ai sintomi somatici o associati a
preoccupazioni relative alla salute come indicato da almeno uno dei seguenti:

• pensieri sproporzionati persistenti circa la malattia


• livello costantemente elevato di ansia per la salute o per i sintomi
• tempo ed energie eccessive dedicate a questi sintomi
• preoccupazioni riguardanti la salute.

Bisogna specificare se con dolore predominante, individui con sintomi somatici rappresentati
prevalentemente da dolore, persistente. Il decorso persistente è caratterizzato da sintomi gravi
di marcata compromissione di lunga durata. Possono essere lievi, moderati o gravi. Lievi se uno
dei sintomi del criterio B (pensieri sproporzionati e persistenti circa la malattia, ecc); moderata
se due o più sintomi del criterio B; grave se due o più sintomi del criterio B oltre a molteplici
sintomi somatici.
L’ansia di malattia. Qui non ci sono sintomi somatici, però lo stesso il pz è preoccupato, ha la
preoccupazione di avere o contrarre una grave malattia, il vecchio termine era ipocondria, che
veniva utilizzato nella precedente classificazione. I sintomi somatici non sono presenti o se
presenti sono di lieve entità. Elevato livello di ansia legato alla salute, l’individuo si allarma
facilmente riguardo al proprio stato di salute o attua eccessivi comportamenti nei riguardi della
salute, comportamento disadattativo, evita tutte quelle situazioni che secondo lui gli potrebbero
comportare una malattia, la preoccupazione della malattia è presente da almeno sei mesi, la
preoccupazione non è meglio attribuibile ad altro disturbo, tipo ansia generalizzata, attacco di
panico ecc.
Disturbo fittizio:
Procurato a sè. Falsificazione di segni e sintomi fisici o psicologici. Autoinduzione di un
infortunio o di una malattia associato a un inganno accertato. L’individuo presenta se stesso
come malato, menomato e ferito e comportamento ingannevole è palese anche in assenza di
evidenti vantaggi esterni, non meglio spiegato da altri disturbi mentali.
Procurato agli altri. Falsificazione di segni e sintomi fisici o psicologici. Induzione di un
infortunio o di una malattia di un altro individuo associato. Inganno accertato. L’individuo
presenta la vittima come malata. Esempio della mamma che presenta il figlio come malato,
menomato o ferito. Il comportamento ingannevole è palese anche in assenza di vantaggi
esterni. Non meglio spiegato da altro disturbo funzionale.

169
Disturbi neurologici che influenzano altre condizioni mediche, quindi possono provocare lo
sviluppo o la esacerbazione di una condizione medica generale o ritardare la guarigione o
interferiscono con la condizione medica generale. Possono costituire un rischio per la salute del
soggetto. Reazioni fisiologiche correlate allo stress preceduto da un aggravio dei sintomi della
condizione medica generale.
Ma secondo voi quali sono gli elementi che ci consentono di fare una diagnosi di disturbo
neurologico funzionale?
Uno è che non si riesce ad inquadrare nessuna delle patologie note.
Immaginiamoci un pz che ci dice che ha perso la sensibilità in mezzo corpo - questo è uno dei
sintomi neurologici funzionali più frequenti- cioè dicono di aver perso la sensibilità ad un
emicorpo, di solito il sinistro. Secondo voi come si fa a fare diagnosi? Per esempio a sorpresa
con un ago lo posso pungere e vedo se reagisce o non reagisce.
In condizioni normali, se io con un aghetto mi metto a pungere da un lato all’altro della linea
mediana, secondo voi normalmente, è esattamente a metà l’innervazione tra i due lati del
corpo? In altri termini, se questa è la metà e io con l’aghetto oltrepasso la metà, appena
oltrepasso la metà, in condizioni normali, già non sente più il pz? Se avesse una emiipoanestesia
vera? No! Perché c’è comunque un certo overlapping (= sovrapposizione) fra i due lati del
corpo, quindi non è esattamente a metà, ma sostanzialmente il pz passando dal lato sano al lato
malato, oltrepassando esattamente la linea mediana per 1-2cm ancora sente, poi dopodiché non
sente più. Nel caso in cui c’è una emianestesia reale. Il pz con disturbo funzionale neurologico
non lo sa e quindi riferisce che appena si oltrepassa la metà non sente più.
L’altra cosa per esempio è che non conoscendo bene l’anatomia e l’innervazione, vi dice di aver
perso la sensibilità a tutta la mano e magari il limite è il polso. Non c’è nessuna patologia che
può interessare le radici o i nervi periferici nella quale è esattamente a livello del polso
l’anestesia, oltrepassata la linea del polso comincia a sentire e l’anestesia è solamente della mano.
Quindi non vengono rispettate quella che è l’anatomia e l’innervazione sia radicolare sia
tronculare. Ovviamente il pz non lo sa e quindi questo ci consente di fare la diagnosi.
CROSS HANDS TEST ( TEST DELLE MANI INCROCIATE)
Il pz con l’emianestesia può confondersi tra destra e sinistra, dopo un po’ capisce e magari
risponde correttamente, però se lo fate subito, il pz per un attimo rimane incerto. Non sa più se
il dito che in quel momento l’esaminatore sta pungendo appartiene all’emicorpo di destra o di
sinistra. Quindi vi dà delle risposte sbagliate che non sono congrue con il deficit che lui ci dice
di riferire.
Secondo voi un pz con una reale emianestesia, se gli poggio il diapason in questo punto del
cranio, cioè dal lato che secondo lui è emianestetico, lo sente o non lo sente il diapason? Lo
sente perché è trasmesso per via ossea. Il pz invece con un emianestesia funzionale vi dice che
dall’altro lato non sente nulla, ma in realtà non è così perché è trasmesso per via ossea. La
vibrazione lo stesso da una parte del mento all’altro lato del mento perché è trasmessa per via
170
ossea. Se c’è una reale ipoanestesia, il pz la sente proprio per la trasmissione ossea, il pz invece
con disturbo funzionale dice che da un lato lo sente e dall’altro no.

TEST SI/NO
Al pz dite “chiudi gli occhi e tu dimmi se tocco o non tocco”. Allora tu tocchi e lui dice no, poi
tocchi dall’altro lato e dice si. Ma se lui non ha sensibilità non sente nemmeno il momento in
cui lo toccate. Se dice no, praticamente ha sentito e dice no. Questo è il test si/no.
Nel caso in cui c’è una paralisi motoria, il pz si lamenta che ha avuto una paralisi. In effetti può
essere un’emiparesi, può riguardare un unico arto (monoparesi), può essere una paraparesi,
riferita ovviamente, cioè come disturbo funzionale. In realtà qualsiasi parte del corpo il pz può
dire che è paralizzato. Come fate a diagnosticare un disturbo funzionale da un disturbo
organico, quindi quando realmente c’è il deficit di forza, la paresi? Uno dei test che si fa è il
drop test (= test della caduta). Immagina di tenere una paralisi a sinistra. Se provi a sollevare
l’arto detenuto paralizzato, per esempio il pz sta seduto a letto, lo portate rapidamente sul volto
e lo lasciate cadere, vedete che in automatico il pz evita di colpirsi.
Poi ci sono degli altri test che possono essere utilizzati.

HOOVER TEST
Il pz dice di avere una paralisi all’arto inferiore di sinistra; se voi provate a mettere una mano
sotto al tallone e dite al pz “spingi giù” cioè estendi l’anca, lui ovviamente non spinge. Però se
voi lasciate sempre una mano sotto all’arto malato e dite al pz di sollevare l’altro arto,
automaticamente sentite che si contrae l’arto malato perché per poter sollevare l’arto sano, lui è
costretto comunque a estendere l’arto inferiore contro laterale. Quindi sentite che invece la
contrazione c’è.
Quindi se lui dice di avere una paralisi all’arto inferiore di sinistra, se voi provate a mettere una
mano sotto al tallone e dite al pz spingi giù, cioè estendi l’anca, lui ovviamente non spinge. Però
171
se voi lasciate sempre una mano sotto all’arto malato e dite al pz di sollevare l’altro arto,
automaticamente sentite che si contrae l’arto malato, perché per poter sollevare l’arto sano lui è
costretto comunque a estendere l’arto inferiore contro laterale, quindi sentite che invece la
contrazione c’è. In realtà si può fare anche tutto il contrario a dir la verità.

L’altro segno è quello dell’adduzione delle anche, si può fare sia con l’adduzione che con
l’abduzione, quindi se voi provate a dire al pz di addurre da un lato, cioè dal lato malato, voi
vedete che lui non ce la fa, se poi gli dite “adduci da tutte e due”, facendo questo movimento,
automaticamente contrae anche l’arto malato. Questo si può fare anche in abduzione.
C’è un’altra maniera per sgamare un pz con un disturbo fittizio?
Quando fate le prove di forza a un pz, nel momento in cui voi diminuite la forza, lui si blocca.
Non spinge verso l’alto come fa un pz che realmente si sta forzando. Nel momento in cui voi
provate a ridurre la forza lui si blocca. Questo è un altro segno caratteristico.
Mentre il pz che ha un reale disturbo della forza ovviamente collabora, cerca di sforzarsi, per
cui spinge il più che può contro la mano dell’esaminatore, e quindi se voi provate a ridurre la
forza l’arto si sposta nella direzione della spinta; se voi provate a fare questo in un pz con
disturbo funzionale, ovviamente si blocca. Nel momento in cui viene meno la forza da parte
dell’esaminatore, loro si bloccano per evitare di essere sgamati.
Questi sono una serie di indizi che ci consentono di fare una diagnosi di disturbo funzionale
neurologico. Quindi precipitato dallo stress. Frequentemente in anamnesi in questi pz
soprattutto nei tre mesi precedenti, c’è uno stress psicologico ma anche fisico. Si verifica e
peggiora in presenza degli altri. Un altro elemento caratteristico: è molto frequente nelle crisi
psicogene. Da soli non c’è nessun interesse a farlo. Ci possono essere segni di altre patologie
psichiatriche però nel 30% dei casi non c’è, almeno apparentemente, una comorbilità
psichiatrica, quindi attacchi di panico, depressione, schizofrenia ed è quello che succede nella
maggior parte dei casi, almeno nel 70% dei casi c’è una comorbilità psichiatrica, quindi è
depresso e ansioso soprattutto, un po’ meno frequentemente schizofrenico. Una personalità
istrionica, dipendente, teatrale, deve cercare di attirare l’attenzione. La storia di vari interventi
172
chirurgici ( questo non necessariamente). L’altra cosa, quando cadono, ovviamente non si fanno
male, a differenza della vera crisi epilettica che invece può provocare delle vere fratture e traumi
importanti. Nega e questo è molto importante perché poi la gestione di questi pz non è facile,
tant’è vero che spesse volte la prognosi non è buona, c’è una certa difficoltà nel trattamento di
questi pz perché loro non vogliono ammettere che si tratta di un disturbo psicogeno. Loro
sono malati, quindi negano l’eziologia psicologica. L’altra cosa importante è che ovviamente
l’esame neurologico deve essere negativo, quindi riflessi, tono, reazione pupillare, ecc. I sintomi
persistono nonostante il trattamento medico e questo è quello che succede spesso in quelle che
sembrano delle crisi epilettiche che non rispondono al trattamento. Poi si va a fare EEG e si
scopre che in realtà sono delle crisi funzionali.
ALESSITIMIA
Poi ci sono pazienti alessitimici, cioè nel senso che non sono in grado di descrivere quelli che
sono i loro sentimenti, c’è un certo appiattimento emozionale in questi pz.
Altri pz invece parlano parlano, fanno una descrizione vaga e bizzarra. Quando loro vi
descrivono i sintomi è un racconto abbastanza bizzarro e anche questo vi deve influenzare.
Certe volte i contenuti sono fantastici. Sensazioni particolarissime.
L’altro elemento molto importante è che l’obbiettività dell’esame neurologico è variabile. Per
esempio il pz che si lamenta di una paralisi, in certe circostanze fa certi movimenti, in altre altri
ancora. Per esempio il pz con l’emiparesi funzionale, non ha la classica andatura falciante tipica,
ma piuttosto tende a strascinare il piede. Poi se gli dite di camminare sulle punte, o di correre,
lui lo riesce a fare e questa è la dimostrazione che si tratta di un disturbo psicogeno.
Le anomalie non seguono una distribuzione anatomica, anche per quanto riguarda le paralisi ma
soprattutto per quanto riguarda i disturbi sensitivi.
Per quanto riguarda le crisi funzionali, non c’è la morsicatura della lingua, non c’è la confusione
post ictale.
L’altro sintomo è la cecità. Come si fa a capire che il disturbo visivo è un disturbo funzionale?
Si potrebbe provare con la minaccia improvvisa, però se sono allenati bene, possono anche far
finta di non vedere.
Quale altra strategia si può adottare? I pz che hanno la cecità corticale(= la lesione a livello
occipitale) soprattutto nell’ambiente familiare che conoscono bene, camminano evitando gli
ostacoli.
Per esempio andare a vedere il riflesso alla luce, ma se io ho una lesione a livello occipitale, che
determina una cecità corticale, secondo voi com’è il riflesso alla luce, il riflesso fotomotore? È
normale perché dal tratto ottico, c’è un fascio di fibre che va direttamente al mesencefalo e
quindi si mette poi in connessione col nucleo pretettale, nucleo di Edinger-Westphal e va poi
attraverso il terzo al costrittore della pupilla. Quindi il riflesso è integro. Quindi sicuramente ci

173
sono una serie di patologie che mi possono dare l’assenza del riflesso o un indebolimento del
riflesso foto motore però nel caso di una lesione posteriore può essere normale.
Si può utilizzare un tamburo rotante con delle strisce bianche nere, bisogna avvicinarlo agli
occhi del pz perché deve cercare di coprire il più possibile il campo visivo, soprattutto se è un
simulatore può prendere come riferimento l’ambiente circostante e quindi bisogna cercare di
coprire il più possibile il campo visivo con questo tamburo ruotante e inevitabilmente il riflesso
c’è il nistagmo ottico cinetico, che non c’è quando c’è una lesione reale del posteriore, quando
realmente lui non vede.
L’altra cosa è prendere uno specchio che deve coprire tutto il campo visivo e lo si sposta da un
lato e dall’altro. Automaticamente il soggetto fissa i propri occhi all’interno dello specchio, un
fatto anche questo automatico e quindi dal movimento degli occhi voi capite che in realtà lui
vede. Si possono utilizzare i potenziali evocati visivi. Nel disturbo sensitivo io posso utilizzare i
potenziali evocati somato sensitivi per verificare.
Per quanto riguarda il disturbo funzionale motorio, la paralisi, la paresi, il deficit di forza ecc,
sono stati individuati ben 24 segni clinici, di questi però 7 hanno dimostrato avere la maggiore
specificità, quindi se sono positivi questi segni, con una altissima probabilità noi ci troviamo di
fronte a un pz con un disturbo funzionale.
1. Hoover sign (segno di Hoover), il segno del calcagno
2. Segno degli adduttori
3. Il segno dell’abduzione delle dita (se il pz ha un’emiparesi vera e voi con l’arto sano lo
fate abdurre contro resistenza, c’è una sincinesia involontaria anche nell’ arto paretico
che non c’è se il pz simula)
4. Il test del danno spinale, della lesione spinale, il pz che ha una reale paresi dell’arto
inferiore, lo mettete steso, gli dite di sollevare il ginocchio, ovviamente lui dirà di no. Se
voi sollevate tutti e due le ginocchia, nel pz con paresi vera, il ginocchio immediatamente
cade in abduzione, cosa che non succede nel disturbo funzionale, dove il pz rimane in
quella posizione.
5. Se voi fate le prove di forza, nel momento in cui riducete la pressione, il pz
immediatamente si blocca
6. La co- contrazione dei muscoli antagonisti, vedete se quando fate le prove di forza, il pz
che ha un disturbo funzionale contrae sia gli agonisti sia gli antagonisti, per cercare di
limitare l’escursione articolare, cosa che non succede invece nel disturbo reale
7. L’inconsistenza motoria, cioè che mentre alcuni movimenti non sono possibili, altri
movimenti che interessano gli stessi muscoli, in altre circostanze sono possibili.

Quindi secondo gli autori di questa revisione, questi 7 segni hanno un’alta specificità, quindi se
sono positivi ci troviamo di fronte ad un disturbo funzionale.
Questa è una scala validata. Si assegna un punteggio a ciascuno dei segni (ex. la debolezza).
L’altra è la manovra di Mingazzini - se ho una lesione massiva della via piramidale, il pz è
completamente plegico, ma se ho uno screzio piramidale, quindi appena appena la lesione ha
174
interessato le vie piramidali, io ho un’ipostenia, che viene fuori facendo le prove di forza e una
delle prove che mi serve a valutare globalmente la forza dell’arto superiore è la manovra di
Mingazzini. Nell’ipostenia vera, oltre allo slivellamento dell’arto malato, c’è anche la
pronazione. Quindi se c’è solamente lo slivellamento e non contemporaneamente anche la
pronazione, questo ci dice che si tratta di un disturbo funzionale.

TRATTAMENTO
Il trattamento è abbastanza complesso e complicato, c’è bisogno della collaborazione del
neurologo, dello psichiatra, dello psicoterapeuta, del fisioterapista, quindi la gestione di questo
pz è una gestione non semplice. Alcuni autori hanno proposto addirittura di fare la
stimolazione magnetica transcranica, che pare abbia degli ottimi risultati. Anche la psicoterapia
ha un’azione importante, sia quella cognitivo comportamentale, sia quella psicodinamica sono
quelle che hanno dato i migliori risultati. In realtà sono stati fatti degli studi di risonanza
magnetica funzionale, c’è sempre il dubbio sull’origine di questo disturbo. Cioè fino a che
punto il pz simula e fino a che punto no?? In pratica, attraverso questi studi di risonanza
magnetica funzionale – è una tecnica particolare di risonanza magnetica che vi consente di
individuare le aree che si attivano mentre si svolge un determinato compito. Con questa tecnica
io faccio fare un qualsiasi compito al pz all’interno del tubo della risonanza e posso andare a
vedere quali sono le aree che si attivano. Hanno visto che c’è una differenza sostanziale tra
quelli che sono i reperti nei pz simulatori e nei pz con un disturbo neurologico funzionale,
quindi anziché per esempio avere un’attivazione delle aree corticali che per esempio si ha nei pz
simulatori, c’è esattamente il contrario, ossia una de attivazione in questi pz, quindi sembra che
effettivamente ci sia una base. Ci sono delle differenze ben precise, non è solamente un fatto
psicologico e basta. C’è proprio un’alterazione, seppur funzionale, a livello dell’encefalo di
questi pz.
(Il prof mostra dei video di casi clinici e li commenta illustrando altre caratteristiche dei disturbi neurologici
funzionali)
Un’altra caratteristica è l’incedere lento della marcia funzionale. Nemmeno un pz parkinsoniano
cammina così lentamente.
Ancora un’altra caratteristica è l’apparente grande sforzo che loro fanno, faticano per fare una
cosa come camminare.
Un altro aspetto caratteristico è che se voi in qualche modo la distraete (ex. in caso di tremore
psicogeno funzionale) oppure con l’altra mano le fate fare il tapping o un altro esercizio, voi
vedete che non solo diminuisce il tremore dall’altro lato, ma assume lo stesso ritmo del tapping
dell’altra mano, quindi cambia ritmo.

175
Sembra un’andatura steppante, cioè quando c’è un deficit di dorsi flessione del piede, per cui il
pz è costretto nel camminare a sollevare il ginocchio, ha il piede pendulo. Di solito si appoggia
il tallone, poi si rotola il piede, poi si appoggia il peso del corpo sull’arto portante ecc quindi lo
si appoggia più o meno a 90°, poi si rota. Nel deficit per esempio della dorsi flessione dei
muscoli del piede, allora il pz è costretto a sollevare l’arto perché non è in grado più di
appoggiarlo a 90°, sembra un’andatura steppante, però cos’è che non quadra con l’andatura
steppante? Non ha il piede pendulo, più o meno lo mantiene a 90°.
VARIABILITA’ NELLE MANIFESTAZIONI
Il disturbo può non presentarsi nella stessa maniera in esami diversi.
Tremore funzionale psicogeno si modifica nel tempo, prima sembra prevalente al polso, poi al
gomito. Poi cambia il ritmo che non è sempre lo stesso. A un certo punto comincia ad averlo
anche all’arto inferiore di sinistra. L’esaminatore sta cercando di distrarlo (lo sta facendo
contare), c’è una modifica nel senso che cambia nel tempo però in realtà non si arresta del tutto.
Dopo un po’ compare il tremore all’arto inferiore di sx. a volte il polso e a volte il gomito. Se fa
un movimento ripetitivo, dall’altro lato tende ad assumere il ritmo della mano sana. Però se lo
impegnate seriamente, deve scrivere con la mano sinistra e tutto al contrario, quindi ci vuole un
certo impegno, vedete che scompare il tremore alla mano destra, anche se persiste un po’
all’arto inferiore di sinistra, che all’inizio non aveva ed è comparso successivamente. Nel
camminare compare il tremore anche alla mano di sinistra, oltre che a destra. Distraendola e
facendole fare il finger tapping dall’altro lato, vedete come si riduce il tremore, facendole fare
movimenti che servono a farla distrarre. Ad un certo punto comincia a tremare anche con l’altra
mano. Nel momento in cui fa il tapping da un lato, scompare il tremore dall’altro lato.
Andatura danzante, non si sposa con nessuna delle andature patologiche note.
Certe volte il problema funzionale si associa con una patologia reale. Per esempio ha una
malattia, ma l’andatura è psicogena. Ha anche uno strano tremore. Questi possono risolvere
anche spontaneamente senza una terapia. Dopo 4 mesi è perfettamente normale. Non ha più
nessun problema.
Come si presenta all’inizio sembrava avesse una disabilità importante, e 5 mesi dopo non ha più
nulla.
Crisi funzionale, tende a pedalare, è stata scatenata dall’iperventilazione (l’esaminatore ha detto
“respiri forte”), ma non ha nulla a che vedere con le crisi tonico-cloniche vere. Dura tanto
tempo a differenza delle crisi vere. Ha un comportamento bizzarro.
Un conto è il disturbo neurologico funzionale e un conto è la simulazione. Questi pz non
simolano e ciò è dimostrato dalle risonanze magnetiche. I meccanismi alla base non sono ben
chiari. Si è parlato di isteria e si parla ancora di disturbo di conversione perché questo conflitto
inconscio si proietta su una parte del corpo e la “ammala”. Questo sin dai tempi di Charcot e
Freud è stata l’interpretazione, ma non c’è una dimostrazione. Sono stati fatti una serie di studi:
per esempio uno dovrebbe sempre associarci una co - morbilità psichiatrica, un disturbo
176
d’ansia, un disturbo depressivo, ma nel 30% dei casi questo non avviene. Spesso ci sono dei
traumi fisici, sono dei traumi antichi, per esempio hanno avuto un abuso sessuale da piccolini,
ma in altre circostanze non è successo nulla, tant’è vero che nel DSM V è stato tolto questo
criterio, cioè che fosse presente il disturbo psicologico e che ci fosse certezza che non finga,
anche perché è difficile capire fino a che punto finga e fino a che punto no. Però ci sono una
serie di dati che ci dicono che non simulano.
Crisi indotte con la suggestione. L’esaminatore dice” respira respira così ti viene la crisi”. Difatti
la pz sta iperventilando e poi ha la crisi. Notate come la pz cade dalla sedia senza farsi nulla.

Paziente di 34 anni che da un anno si è iniziata a rendere conto di un deficit progressivo di


forza (ipostenia) all’arto inferiore di destra al punto che è caduta più volte provocando anche
una distorsione della caviglia. Dopo alcuni mesi il deficit di forza inizia ad interessare anche
l’altro arto.
( Diagnosi differenziale : un paziente ipostenico si stanca più facilmente di un pz normale
durante l’esecuzione di un esercizio ma nella Miastenia la forza è presente ma poi la perde
abbastanza rapidamente durante l’esecuzione del compito- ad es. accovacciarsi ed alzarsi - per
bloccarsi definitivamente ).
La paziente non accusa la sintomatologia ipostenica anche agli arti superiori, non ha problemi
sensitivi ne ha subito traumi. Può essere connesso ad una condizione centrale o periferica? Di
sicuro non è una condizione centrale-midollare perché altrimenti avrebbe manifestato sia
problemi sensitivi che sfinterici. Se avesse avuto una condizione di spasticità avrebbe potuto
avere un problema della via piramidale ma potrebbe essere un problema della radice motoria :
ad esempio potrebbe essere un’ernia discale che inizialmente comprime solo la radice motoria
in modo asintomatico ma dovremmo immaginare una condizione che interessi
contemporaneamente tutte le radici motorie dell’arto inferiore prima di destra e poi di sinistra ,
in particolare il tratto L2 – S1. Praticamente è una condizione quasi impossibile. Potrebbe
ascriversi ad una malattia dei motoneuroni – il sistema sensitivo-sensoriale dovrebbe essere
integro come del resto non ci sono problemi sfinterici ed al massimo potrebbe esserci in alcuni
casi un interessamento del sistema sensitivo profondo. Se interessato il primo motoneurone la
paziente dovrebbe andare incontro ad una condizione di graduale impaccio motorio, di
irrigidimento per essere una forma classica di SLA però è possibile, inizialmente, in modo
prevalente, o che sia interessato quasi esclusivamente il primo o anche solo il secondo
motoneurone. Nel caso sia interessato inizialmente il secondo motoneurone può verificarsi che
gradatamente poi sia coinvolto il primo motoneurone anche se ci sono delle forme limitate al
primo motoneurone. Diciamo che la malattia del motoneurone sarebbe la condizione più
esatta in questo caso proprio per l andamento peggiorativo progressivo prima da un lato e poi
dall’altro lato.
Altra ipotesi valida potrebbe essere una neuropatia motoria – esistono di diverse forme che
possono interessare solo il versante motorio in assenza di disturbi sensitivi. Potrebbe essere una
177
condizione muscolare? In fondo potrebbe anche essere anche se nelle fasi iniziali viene quasi
sempre ad essere interessata la muscolatura del cingolo pelvico.
Se fosse una malattia dei motoneuroni cosa dovremmo trovare all’esame neurologico? Come ci
aspetteremo i riflessi in una Sclerosi Laterale Amiotrofica classica – con interessamento del
primo o del secondo motoneurone? Ipereccitabile. E come facciamo a capire che c è
l’interessamento del secondo motoneurone? Poiché nella SLA abbiamo un mix di segni e
sintomi che ci fanno capire che c è interessamento del primo ( in cui sono presenti lesioni delle
vie piramidali riscontriamo l’ipertono spastico, l’iperflessia osteo-tendinea, segni piramidali,
spasticità) e del secondo motoneurone ( in cui riscontriamo atrofia, fascicolazioni,
ipotono,flaccidità ). Quindi se mi trovo di fronte ad una valutazione di un muscolo in cui
riscontro da un lato una condizione di atrofia e fascicolazioni con riflessi assenti o quantomeno
ipoelicitabili e dall’altro lato riscontriamo riflessi iperelicitabili allora non vi è dubbio che siamo
di fronte ad una compromissione sia del primo che del secondo motoneurone.
Nella paziente, oggetto di studio, non riscontriamo problemi alla muscolatura mimica, la lingua
sembra integra, non ha problemi di forza agli arti superiori mentre agli arti inferiori si
riscontrano fascicolazioni con severa ipostenia ad entrambi gli arti ( non riesce a mantenere la
posizione del piede che risulta pendulo con difficoltà nella dorsi flessione del piede – a sx riesce
a flettere a differenza del lato dx -). I riflessi risultano assenti compreso il riflesso di Babinski
ambo due i lati.

( Il segno di Babinski è una risposta motoria anomala, evocata dalla stimolazione meccanica del
margine laterale della pianta del piede; in particolare, strisciando in questa zona una punta
smussata (ad es. graffiandola con una matita o un bastoncello di legno), partendo da sopra il
tallone fino alla base dell'alluce, in condizioni di normalità si ottiene una flessione delle dita. Se
tale riflesso, detto riflesso cutaneo plantare, si inverte (cioè se le dita anziché flettersi si
estendono, aprendosi a ventaglio), si parla di segno di Babinski. Ricapitolando con l'aiuto della
figura:

• una flessione (verso il basso) delle dita e della pianta del piede si registra in condizioni normali
(segno di Babinski negativo);
• un'estensione (verso l'alto) dell'alluce e un'allargamento a ventaglio delle altre dita (ventaglio di
Dupré) si registrano in condizioni anormali ( segno di Babinski positivo).

178
Un segno di Babinski positivo non è raro, anche in condizioni assolutamente normali, fino ai 2-
3 anni di vita, essendo in questa fase ancora incompleto lo sviluppo del sistema nervoso
centrale. Nelle successive fasi della vita, invece, un segno di Babinski positivo è segno di un
danno a livello del fascio corticospinale (che provvede ai movimenti volontari fini dei muscoli e
che, in condizioni fisiologiche, esercita un'inbizione tonica del riflesso).
Il segno di Babinski si può quindi notare in caso di lesioni corticospinali (o piramidali), mentre
risulta assente nelle lesioni extrapiramidali; può comparire ad esempio nei pazienti con sclerosi
laterale amiotrofica e nelle fasi terminali di malattie come rabbia, encefalopatia
epatica e leucodistrofia metacromatica ).
Nella paziente è presente sia la sensibilità tattile valutata attraverso l’uso di un batuffolo di
cotone che la sensibilità dolorifica valutata con l’uso di un corpo smusso. Successivamente la
paziente è messa in piedi e si nota un’ “andatura steppante” con disturbo della deambulazione,
consistente nella caduta dell’avampiede a causa della paralisi flaccida dei muscoli. Siccome è
presente un deficit di forza che interessa anche la muscolatura più prossimale non riuscendo a
sollevare il piede, inizia a circondurlo per compiere il movimento. E’ presente anche l’
“andatura anserina” ovvero dondolante (simile a quella dell’oca), dovuta ad atrofia dei muscoli
glutei oppure a lussazione bilaterale dell’anca – quando camminiamo e poggiamo l’arto a terra,
portando il peso del corpo sull’arto portante, si verifica la contrazione del gluteo medio che
fissa l’anca e mantiene in equilibrio il bacino infatti se c’è un deficit del gluteo medio risulterà
uno slivellamento dell’altra anca pertanto per evitare questo il paziente porta il busto contro
lateralmente per mantenere il bacino più o meno parallelo con il pavimento.
Su cosa si concentra la diagnosi? Interessamento del solo secondo motoneurone – atrofia
muscolare spinale – o del primo motoneurone – sclerosi laterale primaria. Nella sclerosi laterale
amiotrofica nella forma classica invece si deve dimostrare l’interessamento sia del primo
motoneurone che del secondo. In un’ulteriore ipotesi diagnostica si basa sulla presenza di una
neuropatia prevalentemente motoria ( o neuropatia motoria multifocale ) per esempio a blocchi
di conduzione multipla con diagnosi differenziale con la SLA - patologia infiammatoria
autoimmune nella quale i pazienti assistono ad una paralisi progressiva e completa di tutti i
muscoli del corpo eccetto, nella fase più avanzata della malattia, i muscoli oculari. Purtroppo
sebbene i disturbi cognitivi della sede frontale nelle fasi più avanzate della malattia si assiste in
179
piena coscienza e lucidità a questo decadimento muscolare pertanto è opportuno fare diagnosi
differenziale per altre probabili patologie con prognosi meno infausta.

Esistono diverse forme : la forma bulbare nel 25% dei casi di SLA che presenta l’evoluzione più
rapida, addirittura in un paio di anni mentre altre forme possono avere un decorso più
prolungato anche in 10 anni ma mediamente si assiste in 4-5 anni all’exitus.
C è un motivo perché i muscoli oculari non sono interessati dalla malattia? In realtà, sotto un
profilo anatomo-funzionale, si deve considerare che i muscoli extraoculari hanno delle
peculiarità anche se non è noto come mai diventino resistenti alla malattia. In primis si deve
considerare che in paragone con altri muscoli il rapporto tra motoneuroni e fibrocellule
muscolari è 1 a 3 o 1 a 4 ed è proprio questa caratteristica che permette movimenti
estremamente fini.
Si tratta comunque di una malattia multi genica, multifattoriale in cui i geni coinvolti sono circa
una cinquantina di cui 16 sono i geni causali.
Ritornando alla paziente, quali indagini si farebbero per la diagnosi? Sicuramente l’esame
indispensabile per questa paziente è ELETTROMIOGRAFIA dalla quale ci aspettiamo una
velocità di conduzione che sebbene dovrebbe essere definita dal processo degenerativo a carico
del motoneurone – il quale va incontro ad apoptosi e scompare l’assone corrispondente – però,
in realtà, rispecchia anche tutti i motoneuroni che sopravvivono e presentano la mielina intorno
e quindi ci aspetteremo una velocità di conduzione integra o lievemente ridotta. Invece nelle
forme demielinizzanti, come nella neuropatia a blocchi di conduzione multipla si verifica un
rallentamento della velocità di conduzione.

Inserendo l’elettrodo si valutano anche i potenziali dell’unità motoria che ci aspetteremo siano
un riflesso della condizione dei motoneuroni. I motoneuroni che per il momento sopravvivono
– in quanto andranno in apoptosi successivamente - vanno incontro al << fenomeno dello
sprouting >> dando luogo a collaterali che vanno ad innervare le fibrocellule muscolari che
hanno perso l’innervazione.
( N.B. Fenomeno dello sprouting indica il fenomeno di sviluppo ramificato assonale derivato
dall’innervazione terminale o dalla placca motoria terminale di parti di unità motorie contigue
al muscolo denervato. Lo sprouting avviene come processo naturale dello sviluppo
intramuscolare del nervo ed è tipico degli effetti potenziali della plasticità neuronale. Nelle
prime fasi dello sviluppo vi è un eccesso di terminali nervosi per fibra muscolare. Numerose
ramificazioni poi degenerano per dar luogo al rapporto fibra nervosa-fibra muscolare
dell’adulto. Lo sprouting avviene se una fibra nervosa normale è situata in prossimità della fibra
nervosa in fase degenerativa. Il nervo degenerante induce uno sprouting nodale nei neuroni
sopravvissuti, poiché la fibra nervosa normale emette numerosi sprouting collaterali lungo il
suo corso).

180
Pertanto praticamente accade che le unità motorie aumentano di numero quindi nel tracciato
elettromiografico accade che i potenziali saranno “giganti” poichè di ampiezza e durata
aumentata ma con morfologia polifasica.

Le fibrocellule muscolari essendo ridotte, presentano un’ampiezza del potenziale ridotto, a


livello del tronco nervoso, ma la velocità di conduzione è conservata. A livello del muscolo,
invece, per il fenomeno dello sprouting il potenziale, a livello dell’unità motoria, sarà aumentato
sia in ampiezza che durata aumentata. Pertanto l’elettromiografia si compone sia di un esame sia
elettromiografico che elettroneurografico.
Le fibrocellule muscolari che hanno perso la innervazione tendono a contrarsi spontaneamente
motivo per il quale si presentano le fascicolazioni.
( N.B. Le fascicolazioni sono contrazioni spontanee e rapide di gruppi di fibre muscolari,
visibili al di sotto della pelle. Il soggetto colpito da fascicolazioni avverte dei guizzi improvvisi,
ma non compie un movimento articolare.
La fascicolazione muscolare deriva da un'anomala ipereccitabilità dei muscoli, che rende
instabile e facile la loro attivazione spontanea. Alla base di questa “scarica” possono essere
implicati squilibri elettrolitici, disfunzioni dei neurotrasmettitori (come l'acetilcolina) e danni o
degenerazione progressiva a carico delle unità motorie).

Il prof mostra un video di una paziente che non riesce a flettere le ginocchia e striscia i piedi a
terra indicando un’ “andatura spastica” ( che si osserva nelle lesioni unilaterali – emiplegia - o
bilaterali – paraplegia - della via piramidale. Una o entrambe le gambe sono rigide, il piede o i
piedi scivolano sul terreno. Nella paraplegia, le cosce e le ginocchia sono ravvicinate; i piedi
sono posti l'uno davanti all'altro con oscillazioni del tronco che si inclina a destra e a sinistra
descrivendo una leggera rotazione: le gambe possono incrociarsi e si osserva allora una
deambulazione a forbici . Nell'emiplegia la gamba rigida è spinta al di fuori dai muscoli del
tronco e del bacino – “andatura falciante”).
In alcuni pazienti si riscontra la “disartria” ( = disturbo dell'apparato fonatorio dovuto a lesioni
cerebrali o dei nervi che vanno alla lingua e alle labbra: comporta una difficoltà
nell'articolazione delle sillabe che compongono una parola ) che può essere spastica o flaccida a
seconda che prevalga il primo o il secondo motoneurone.

In realtà, si deve distinguere la paralisi bulbare dalla paralisi pseudo bulbare poiché nella prima c
è l’interessamento del secondo motoneurone pertanto a livello della lingua si evincono l’atrofia,
le fascicolazioni – che si notano più evidenti a strutture muscolari con più fibrocellule muscolari
che si contraggono in modo anche asincrono - e le fibrillazioni ( più evidenti a livello della
lingua perché rappresentano la contrazione di singole fibrocellule muscolari ). Con le lesioni a
carico del secondo motoneurone è importante sottolineare che si può andare incontro a disfagia
e ipofonia.

181
Nella paralisi pseudo bulbare si verifica l’interessamento a carico del primo motoneurone e tutta
la muscolatura controllata dal bulbo è controllata dalla corteccia e pertanto dal primo
motoneurone quindi a livello della lingua c’è un impaccio motorio nel muovere la lingua
associata ad una disartria spastica.
La Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA) è una malattia neurodegenerativa che compare nella
maggior parte dei casi dopo i 50 anni e porta ad una degenerazione dei neuroni di moto o
motoneuroni. La malattia è conosciuta anche come Morbo di Lou Gehrig, dal nome del
famoso giocatore americano di baseball che ne fu colpito, o come malattia di Charcot dal
nome del neurologo francese che per primo la descrisse nel 1860. Nella maggior parte dei casi,
oltre il 90 %, la malattia è sporadica e sulle sue cause non c’è ancora certezza nonostante negli
ultimi anni siano stati compiuti numerosi studi e siano state avanzate molte ipotesi. Il 5 – 10 %
dei casi sono invece di SLA familiare, presentano cioè dei precedenti in famiglia. Esordio e
decorso della malattia variano molto da individuo ad individuo e dipendono dalla forma di SLA
da cui si è colpiti. In genere i sintomi iniziali sono brevi contrazioni muscolari, detti anche
fascicolazioni, crampi oppure una certa rigidità dei muscoli, debolezza dei muscoli che influisce
sul funzionamento di un arto e voce indistinta. Manifestazioni aspecifiche che possono essere
confuse con molte altre malattie ritardando spesso la diagnosi. Questo tipo di esordio riguarda
circa il 75% dei casi di SLA mentre il restante 25% ha un esordio detto bulbare che si manifesta
con difficoltà nella parola fino alla perdita della capacità di comunicare verbalmente e difficoltà
di deglutizione. I due tipi di esordio dipendono da quale motoneurone viene colpito prima, se il
primo che si trova a livello della corteccia cerebrale (esordio bulbare) o il secondo che si trova
a livello del tronco encefalico e del midollo spinale (esordio spinale).
In passato si riteneva che il malato, pur perdendo progressivamente la capacità di muoversi,
parlare, deglutire e spesso anche respirare autonomamente, mantenesse pressoché intatte le
proprie capacità cognitive. Tuttavia studi recenti condotti con tecniche di imaging mostrano
come in alcuni casi la SLA possa andare ad intaccare il lobo fronte temporale accompagnandosi
così a demenza.
Tipi di varianti della SLA
Nel 60-70% dei casi la malattia si manifesta con l’interessamento di entrambi i motoneuroni,
iniziando a coinvolgere la porzione distale di un arto – nella maggioranza dei casi un arto
superiore- con ipostenia, atrofia per poi interessare anche l’arto contro laterale per poi
compromettere l’arto inferiore dalla stessa parte del lato inizialmente interessato e coinvolgendo
poi il controlaterale. Infine vi sarà l’interessamento dei muscoli ad innervazione bulbare.
La forma Bulbare costituisce il 25 % dei casi ed interessa il secondo motoneurone con prognosi
più infausta poiché ha un decorso più veloce a differenza della forma Pseudobulbare in cui si ha
un interessamento del primo motoneurone ed un decorso più lento.
La forma Men Barrel (flail-arm syndrome o man-in-a- barrel syndrome o diplegia amiotrofica
brachiale) rappresenta il 10% in cui si verifica una condizione a carico della muscolatura
prossimale ( e non tanto a carico di quella distale ).

182
La Sclerosi Laterale Primaria rappresenta il 2-4 % dei casi in cui c è un interessamento
pressoché esclusivo del primo motoneurone con un decorso decisamente più benigno rispetto
alla forma classica e bulbare.
L’ Atrofia Muscolare Progressiva con interessamento esclusivo del secondo motoneurone
La forma Pseudopolineuritica che rappresenta il 5 % dei casi che interessa
contemporaneamente sia prossimalmente che distalmente i 4 arti.
La forma con Interessamento Respiratorio ( 1-2 % dei casi ) con compromissione iniziale del
diaframma ( forma diaframmatica ) e/o degli altri muscoli respiratori che, oltre a dispnea da
sforzo o disturbi respiratori inizialmente difficili da spiegare, può causare eccessiva sonnolenza
diurna, stanchezza, cefalea mattutina o dispnea decubito supino - ortopnea. E’ chiaro che
qualora la capacità vitale forzata si riduce al di sotto del 60% bisogna intervenire dapprima con
la ventilazione non invasiva e poi con la tracheostomia.
La Variante Emiplegica di Mills, abbastanza rara come variante, con interessamento
monolaterale infatti l’ipostenia è limitata ad un emicorpo ( come se il paziente avesse avuto un
ictus ).
La Paralisi Pseudobulbare ( o paralisi bulbare spastica ) caratterizzata da disartria spastica,
movimenti linguali lenti, disfagia, labilità emotiva, vivacità del riflesso masseterino e faringeo,
segno di Epstein ( rapida contrazione dell'orbicolare delle labbra, con protrusione delle stesse,
in seguito alla loro lieve percussione con il martelletto ).
Nell’etiopatogenesi della SLA sono implicati molto probabilmente un background genetico, dei
fattori di innesco, verosilmente ambientali e/o personali, e dei meccanismi di produzione e
propagazione del danno neuronale. Le prime mutazioni causa di SLA risalgono al 1993 e
riguardavano il gene della rame-zinco superossido dismutasi 1 ( SOD1) – inizialmente si
credeva che la mutazione fosse a perdita di funzione e quindi la patologia derivasse dal cattivo
funzionamento dell’enzima con incremento dello stress ossidativo ma successivamente si è
notato che si trattava di una mutazione a guadagno di funzione che implicasse una funzione
tossica della molecola che tende ad aggregarsi all’interno del citoplasma con conseguente
apoptosi - ma da allora circa 50 sono i potenziali geni associati di cui solo 16 sono
inequivocabilmente implicati nella patogenesi della SLA e possono essere considerati “ geni
causali “ : oltre SOD 1 , C9orf72, TARDBP che codifica la TDP-43, FUS.
C9orf72 più frequentemente mutato è coinvolto da solo nel 20% delle forme familiari insieme a
SOD 1 mentre FUS e TARDBP rappresentano il 70%.
Solo un 10 % è associato ad altri geni che ad esempio codificano per proteine coinvolte nel
trasporto assonale, ostacolano il corretto funzionamento delle sinapsi bloccando il rilascio dei
mediatori, sabotano il funzionamento del sistema ubiquitina-proteasoma, intervengono in
processi di autofagocitosi oppure inibendo un processo a carico dei mitocondri.
Le forme sporadiche sono probabilmente associate alla combinazione di altri geni non causali
di cui si conosce ancora poco.

183
Fattori di rischio sono rappresentati in primis dall’età , da sostanze tossiche come gli
antiparassitari, metalli pesanti come mercurio, alluminio oppure un eccesso di attività fisica ( in
riferimento a Lou Gehrig, dal nome del famoso giocatore americano di baseball che ne fu
colpito ) anche se in realtà per nessuna di queste sostanze vi è stata dimostrata alcuna
correlazione causa-effetto come ad esempio anche per alcune sostanze dopanti finite sotto
accusa per il manifestarsi di SLA in calciatori italiani.
Per porre DIAGNOSI di SLA è necessario dimostrare l’interessamento del primo e del
secondo motoneurone in diverse regioni del nostro corpo: regione bulbare, cervicale, toracica e
lombare.
Secondo i criteri, gli ultimi pubblicati nel 2016, è necessario dimostrare il contemporaneo
interessamento del primo e del secondo motoneurone in almeno 3 regioni pertanto ad esempio
la regione bulbare con associazione ad altre due regioni spinali oppure le tre regioni spinali.
Per la TERAPIA nel 1996 la Food and Drugs Administration (FDA) ha approvato il Riluzolo (
Rilutek ) come primo farmaco specifico per il trattamento della SLA. Il suo meccanismo
d’azione consiste nell’inibizione del rilascio di glutammato e quindi nella riduzione di
eccitossicità da glutammato. La mediana di sopravvivenza aumenta di 3 mesi.
Anche la gestione di altre problematiche per il miglioramento della qualità di vita del paziente
sono importanti quali ad esempio i crampi ( in particolare agli arti superiori e alle mani )- che
sono controllati con la terapia fisica ovvero la fisioterapia ma anche con terapia medica con
mexantina-, la spasticità – trattata ad esempio con il baclofen somministrato anche attraverso
una pompa intratecale –, il dolore – gestito con i Fans fino ad arrivare agli oppioidi – la
stanchezza – somministrazione di modafinil ( provigil )- la depressione e l’ansia –
somministrazione di benzodiazepine – importanti secrezioni bronchiali – somministrazione di
carbocisteina – ipersecrezione controllate da cerotti di scopalammina o somministrazione di
atropina.
È molto importante la diagnosi differenziale. Pertanto oltre l’elettromiografia si procede con la
Risonanza Magnetica ( RM ) a livello encefalico per valutare il bulbo ma anche a livello
midollare in toto possibilmente con mezzo di contrasto. In ogni modo, a seconda dei casi,
bisogna fare indagini a tappeto di laboratorio per la valutazione della presenza di autoanticorpi
– esistono alcune patologie che possono simulare la SLA come ad esempio la Malattia di Lyme
o altre malattie autoimmunitarie oppure la Mielopatia Cervicale spondilo-disco-artrosica con
interessamento a più livelli delle radici motorie.

La RM in realtà viene usata per escludere altre patologie anche se attraverso questa metodica di
imaging è possibile valutare delle “aree iperintense” a livello della corteccia motoria , a livello
dei peduncoli, del ponte o della capsula interna, che rappresentano un segno di degenerazione
delle vie piramidali.

Un’altra indagine usata in RM è la diffusione o la trattografia che consentono di valutare la


degenerazione dei fasci corticospinali.
184

Potrebbero piacerti anche