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KABUL − Il ministero degli Esteri dell’Emirato islamico − il governo talebano in

Afghanistan − ha annunciato che l’Unione Europea ha riaperto ufficialmente l’ufficio

diplomatico a Kabul.

Il portavoce del ministero Abdul Qahar Balkhi su Twitter ha affermato che l’ufficio

diplomatico della UE ha ufficialmente ripreso le sue operazioni in Afghanistan.

«Dopo diversi incontri e raggiunto un’intesa con i rappresentanti della UE, l’Unione

Europea ha riaperto ufficialmente la sua ambasciata con una presenza permanente

a Kabul, e ha praticamente ricominciato le proprie operazioni». Il post su Twitter,

scrive l’agenzia Kkaama Press, è confermato da fonti afghane di Radio Bullets.

Intanto, Abdul Qahar Balkhi aveva affermato nei giorni scorsi che l’Unione Europea

aveva annunciato che sarebbero stati dati 268 milioni di euro per l’assistenza, in

aggiunta agli oltre 220 milioni di euro di aiuti umanitari all’Afghanistan. Una parte di

questo denaro sarà utilizzata per gli insegnanti e i loro stipendi.

Mercoledì il primo ministro talebano aveva chiesto alle nazioni musulmane di essere

le prime a riconoscere il governo che ha preso il potere in Afghanistan lo scorso

agosto. Finora i talebani non sono stati formalmente riconosciuti da nessun paese.

Lo scorso settembre l’Unione Europea ha fissato cinque parametri di riferimento per

discutere con il governo talebano, tra i quali il rispetto dei diritti umani, in particolare

delle donne e delle ragazze, e la creazione di un governo rappresentativo e

inclusivo.
Il 14 agosto 2021 i talebani, nel pieno del ritiro delle truppe americane e dei loro

alleati, hanno preso il potere in Afghanistan e ora, almeno in teoria, gestiscono e

sono responsabili del paese. Prima del loro arrivo la “terra degli aquiloni e dei

melograni” era una repubblica islamica e gli Stati Uniti finanziavano gran parte del

governo. Quando i talebani ne hanno preso il controllo lo hanno trasformato in un

Emirato Islamico e tutti gli aiuti, sia dagli Stati Uniti che da altri paesi, e il lavoro delle

Ong − tranne alcune − è stato sospeso. Per l’Onu è stato uno “shock fiscale” senza

precedenti.

Per questioni umanitarie alcune sanzioni saranno revocate, ma rappresenta una

parte molto piccola delle entrate complessive di cui i talebani hanno estremo bisogno

per gestire il paese.

I talebani, dove troveranno i soldi?


Essenzialmente i talebani hanno quattro modi per generare reddito. Il primo modo

per fare soldi è rappresentato dalle donazioni di altri paesi come Pakistan e

Russia: il primo non solo è un alleato ma rappresenta il terreno di fondazione dei

talebani, mentre il secondo ha un interesse geopolitico nella regione. Ci sono anche

donatori privati e, secondo gli esperti, potrebbero arrivare a tirare su 500 milioni di

dollari all’anno, che secondo il primo bilancio pubblicato dai talebani giovedì, come si

legge su Reuters, coprirebbe solo il necessario per i primi 4 mesi del 2022. I legami

con i donatori privati non sono nati oggi: la CIA ha stimato − in un rapporto riservato

che è trapelato − come i leader talebani e il loro gruppo abbiano ricevuto 106 milioni

di dollari nel 2008 da donatori al di fuori del paese. Secondo un funzionario

statunitense dell’antiterrorismo, i maggiori sostenitori privati vengono dall’Arabia

Saudita, dal Pakistan, dall’Iran e da alcune nazioni del Golfo Persico.


Nel budget approvato non si fa menzione degli aiuti stranieri. L’assistenza

internazionale rappresentava il 40% del prodotto interno lordo dell’Afghanistan e

l’80% del suo budget, quando il governo era sostenuto dagli Stati Uniti. «Per la prima

volta negli ultimi 20 anni è stato approvato un budget che non dipende dagli aiuti

stranieri e per noi è un grande riconoscimento», ha detto il ministro dell’Economia

Ahmad Wali Haqmal. Il budget di 508 milioni di dollari (53,9 miliardi di afghani)

coprirebbe il primo quadrimestre del 2022, come già accennato, e servirà soprattutto

a finanziare le istituzioni pubbliche. Haqmal ha detto che gli impiegati pubblici che

non ricevono lo stipendio da mesi, lo avranno entro la fine di gennaio. Le donne che

prima lavoravano nell’amministrazione saranno pagate, ma non torneranno al loro

lavoro. Circa 4,7 milioni di afghani saranno spesi per lo sviluppo di progetti, tra cui

infrastrutture e trasporti. Il primo budget annuale verrà annunciato a marzo,

cambiando l’anno fiscale per farlo coincidere con il calendario solare che usano gli

afghani.

Il secondo modo per racimolare soldi per i talebani è l’estrazione delle risorse

minerarie. Date le guerre decennali, molte delle risorse naturali del paese (tra cui il

prezioso litio) non sono state sfruttate al massimo del loro potenziale. L’industria

mineraria, secondo i funzionari afghani, vale circa un miliardo di dollari a cui si può

aggiungere, cosa che già fanno, la regolare estorsione o la presa di controllo delle

operazioni minerarie legali e illegali, spesso avendo a che fare con la Cina che ha

già messo le mani su molti giacimenti.

Terzo e altro modo per fare soldi è rappresentato dal traffico illegale di droga,

in particolare di oppio o, nella sua forma raffinata, dell’eroina che ormai da qualche

hanno si produce anche in Afghanistan che ne è il più grande esportatore al mondo.

Si stima che le tasse sull’oppio costituiscano circa il 60% delle entrate dei talebani
(tra i 100 e i 400 milioni all’anno). È anche il secondo esportatore di hashish dopo il

Marocco.

L’ultimo modo per guadagnare è l’imposizione di tasse. A partire dai

commercianti e, come è accaduto in passato, ai progetti di sviluppo come scuole o

ospedali finanziati dall’Occidente.

E ora che succede?


Negli ultimi due decenni di guerra il paese è stato dipendente dagli aiuti esteri.

L’interruzione ha portato a una crisi umanitaria, sociale ed economica velocissima e

senza precedenti, con un’estrema carenza di cibo e soprattutto di soldi per

comprarlo, anche perché i prezzi sono raddoppiati. Le Nazioni Unite hanno ripetuto

più volte che quasi 23 milioni di persone, il 55% della popolazione, sta affrontando

livelli estremi di fame, con quasi 9 milioni a rischio di carestia in questo momento,

anche se i talebani lo negano. A fine dicembre hanno detto durante un’intervista a

CNN che, sebbene il paese avesse problemi economici, era tutt’altro che una crisi.

«Nessuno morirà di fame perché non c’è carestia e le città sono piene di cibo», ha

detto il portavoce talebano Zabiullah Mujahid. Ha anche aggiunto che qualsiasi

affermazione che parli di “crisi” è falsa.

Tuttavia vale quello che vediamo: bambini malnutriti, gente che vende tutto, donne

che non lavorano più, i paesi donatori e le organizzazioni no-profit che stanno

cercando modi per aiutare gli afghani aggirando le sanzioni statunitensi e

assicurandosi che non finanzino indirettamente i talebani, legittimando così il gruppo.

Per esempio, questa settimana le Nazioni Unite ha chiesto ai donatori circa 4,4

miliardi di dollari in aiuti umanitari per l’Afghanistan, per quest’anno.


Tornando alle fonti di entrata, dalla presa in consegna del resto dell’Afghanistan

all’inizio di quest’anno, molti dei valichi di frontiera all’interno dell’Afghanistan sono

stati chiusi, il che significa che le entrate derivanti dal trasporto di merci e dai valichi

di frontiera sono crollate. Il commercio illegale di oppio ed estrazione mineraria,

invece, non è rallentata molto. D’altra parte, però, dopo la guerra attualmente Èla

droga non è altro che la più grande industria dell’Afghanistan.

vedi radio bullets e limes/dario fabbri

NOTIZIARIO:

i talebani arrivano fino al palazzo presidenziale dichiarano l'emirato islamico

Povertà estrema, poca scuola e

un'epidemia: l'Afghanistan a sei

mesi dalla presa di Kabul

Milioni di persone non hanno cibo,

l'istruzione e i servizi sociali sono in

condizioni disastrose, il morbillo si diffonde


velocemente. Il segretario generale delle

Nazioni Unite Guterres ha detto che il Paese è

"appeso a un filo"

Sono trascorsi sei mesi da quando i talebani hanno preso il potere

in Afghanistan a due settimane dalla data prevista per il

completamento del ritiro delle truppe Usa, dopo una guerra

iniziata 20 anni fa all'indomani dell'attacco terroristico alle Torri

Gemelle di New York.

Mentre i talebani entravano a Kabul, il presidente Ashraf Ghani


lasciava il Paese dicendo che aveva scelto di andarsene per evitare
ulteriori spargimenti di sangue e le forze di sicurezza addestrate ed
equipaggiate da Stati Uniti e alleati si dissolvevano.

Nonostante l’impegno a garantire la sicurezza di tutti i cittadini,


a "formare un “governo inclusivo” e a voler dialogare con
l’Occidente, le decisioni prese dai talebani vanno in una direzione
opposta.
Oggi l'Afghanistan è un paese sull'orlo del fallimento in cui
l'economia si è ridotta in sei mesi del 40 per cento. Il segretario
generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha detto il mese
scorso che l'Afghanistan è "appeso a un filo": milioni di persone
soffrono la fame, l'istruzione e i servizi sociali sono in condizioni
disastrose, e la mancanza di liquidità, con le code davanti alle
banche per ritirare contanti, limita anche la capacità delle Nazioni
Unite e delle organizzazioni umanitarie di raggiungere le persone in
difficoltà.

In tutto questo sono ancora molti gli afghani che avevano


collaborato con il precedente governo bloccati nel Paese e a rischio
di ritorsione. Nonostante il tentativo dei talebani di rassicurare la
comunità internazionale che l'esperienza dei primo regime,
rovesciato nel 2001 dall'intervento militare guidato dagli Usa, non
verrà ripetuta, rimane intatta la preoccupazione per il mancato
rispetto dei diritti umani e delle donne in particolare.

Dopo aver ripreso il potere in Afghanistan, i talebani hanno


promesso di essere più flessibili nei confronti delle donne rispetto al
passato quando furono private di quasi tutti i loro diritti. Il governo è
stato attento a non emanare regole troppo rigide a livello nazionale.
Ma sono subentrate le autorità provinciali, per definire gli obblighi
da rispettare.

Oggi, a differenza degli anni '90, è consentito alcune donne


possono lavorare. Accade per esempio nei campi della salute e
dell'istruzione, così come all'aeroporto internazionale di Kabul,
spesso accanto agli uomini. Ma migliaia di posti di lavoro sono
andati perduti e le donne sono state le più colpite.

Le bambine che frequentano le elementari sono tornate a scuola,


ma altre ancora aspettano. I talebani hanno promesso che tutte le
ragazze andranno a scuola dopo il capodanno afghano alla fine di
marzo. Le università pubbliche stanno gradualmente riaprendo.
Abdul Baqi Haqqani, il ministro dell'Istruzione nominato dai
talebani, ha dichiarato che le università pubbliche in altre parti
dell'Afghanistan, compresa l'Università di Kabul, riapriranno per
uomini e donne il 26 febbraio. Mercoledì, il ministro della cultura e
dell'informazione nominato dai talebani, Khairullah Khairkhwa, ha
visitato l'Università di Kandahar e ha affermato che "l'istruzione
moderna e islamica contemporaneamente possono portare un
paese alla prosperità”.
Un decreto prevede poi che le donne debbano essere
accompagnate da un uomo della loro famiglia per viaggiare. E i
tassisti non possono far salire sulle auto donne con la testa non
coperta.

I saloni di bellezza e le boutique di moda erano estremamente


popolari ma sono in gran parte chiusi. Nei negozi di Herat gli abiti
sono esposti su manichini senza testa e non ci sono più cartelloni
pubblicitari con volti perché ritenuti non rispettosi della legge
islamica. I canali televisivi non sono più autorizzati a trasmettere
serie che includono donne e le giornaliste devono indossare l'hijab
se vanno in onda.

Un alto funzionario talebano ha affermato che "non è necessario"


che le donne pratichino sport. Ma gli islamisti sono stati attenti a
non formalizzare questa regola per non perdere i fondi delle
federazioni.

Quello che segna maggiormente il Paese oggi è la povertà. Anche


chi ha soldi fa fatica ad accedervi. Davanti alle banche, si formano
lunghe code per poter ritirare al massimo 200 dollari alla settimana.
Dal ritorno dei talebani i finanziamenti internazionali all’Afghanistan
sono stati sospesi e miliardi di dollari che erano depositati all’estero,
principalmente negli Stati Uniti, sono stati congelati. In particolare,
nel sistema bancario statunitense sono stati congelati 7 miliardi di
dollari di fondi afghani, soldi della Banca Centrale afghana
depositati negli Stati Uniti dall’ex governo afghano.

Ora il presidente Biden ha annunciato che di questi 7 miliardi, metà


verranno usati per aiuti umanitari e metà verranno ridistribuiti tra le
famiglie delle vittime dell’11 settembre, per aiutarle nei procedimenti
legali.

I talebani chiedono agli Stati Uniti di rivedere la decisione ed evitare


"altre azioni provocatorie". Nella capitale afghana, secondo Tolo
News, "in centinaia hanno protestato". "Se gli Stati Uniti non
cambiano rispetto alla loro posizione e continuano con le azioni
provocatorie, l'Emirato islamico sarà costretto a riconsiderare la sua
politica rispetto al Paese", affermano le autorità di fatto di Kabul in
un comunicato diffuso nelle ultime ore di cui dà notizia l'agenzia
Dpa. La richiesta agli Usa è di sbloccare gli asset senza condizioni.
Negli ultimi sei mesi circa un quinto delle famiglie in Afghanistan è
stato costretto a mandare i propri figli a lavorare, a causa del crollo
dei redditi, e sono circa un milione i bambini ora coinvolti nel lavoro
minorile: Secondo un rapporto di Save The Children, dopo anni di
guerra, paura e sofferenza, dallo scorso agosto le condizioni dei
bambini afghani sono ulteriormente peggiorate.

Due milioni di minori già soffrivano di malnutrizione e nel giro di


poche settimane centinaia di migliaia di loro sono stati costretti
anche a fuggire dalle loro case. Tantissimi si sono ritrovati a vivere
per le strade, senza cibo, protezione e in condizioni
igienico-sanitarie terribili, mentre sempre più famiglie sono costrette
a gesti estremi pur di sfamare i propri figli. Anche a cederli per
fame. Oggi la situazione è gravissima. 5 milioni di bambini sono
sull'orlo della carestia e la grave crisi economica minaccia di
lasciare più del 95% della popolazione in condizioni di povertà e
con un sistema sanitario al collasso.

Le cliniche in tutto il Paese sono state costrette a chiudere poiché


non c'è più denaro per pagare i salari degli operatori sanitari. Il
crollo dei servizi sanitari è una delle conseguenze dirette del
congelamento delle risorse globali e della sospensione degli aiuti
allo sviluppo. Quando i bambini malati hanno bisogno di cure,
trovano solo porte chiuse e farmacie vuote. Per far fronte a questa
drammatica situazione, Save the Children lancia una petizione per
chiedere al Fondo Monetario Internazionale e alla Banca Mondiale
di sbloccare i finanziamenti vitali per il Paese.

La situazione, già precaria, è adesso aggravata da un'epidemia di


morbillo che ha contagiato decine di migliaia di persone. L'allerta
arriva dall'Oms, che teme un ulteriore aumento vertiginoso delle
vittime. In Afghanistan, la malattia, molto virale, è diventata un
flagello soprattutto sui bambini, già indeboliti dalla malnutrizione. La
migliore protezione contro il morbillo è una copertura vaccinale
molto alta.

Dagli anni ’50 al post-11 Settembre

Partiamo dagli anni 50, con questo Paese guidato dalla monarchia di
Nadir Shah, che regnò fino al 1973. Sotto il suo regno l’Afghanistan
visse uno dei periodi più lunghi di stabilità. Durante questo periodo
l’Afghanistan rimase fondamentalmente neutrale, pur creando una
relazione più stretta con l’Unione Sovietica e una maggiore ostilità
verso il Pakistan. Mentre il Re si trovava in Italia, il 17 luglio 1973 il
cugino del Re ed ex Primo Ministro, Mohammed Daud Khan,
organizzò un golpe incruento e scrisse la parola fine sulla monarchia
in Afghanistan. La nuova Repubblica tuttavia non portò nessun
miglioramento né sul piano economico né in termini di riforme.

Arriviamo così alla rivoluzione di Saur del 27 aprile 1978, quando il


Partito Democratico Popolare dell’Afghanistan (PDPA) prese il potere
a Kabul istituendo la Repubblica Democratica dell’Afghanistan (RDA)
ma trovò la netta opposizione delle popolazioni rurali, fedeli ai
principi tradizionali afghani ed islamici e contrarie alle idee del
marxismo-leninismo, le quali diedero vita al movimento guerrigliero
dei mujaheddin. Nei mesi successivi al colpo di Stato, il governo del
PDPA avviò una serie di riforme: fece distribuire le terre a 20.000
contadini, abrogò l’ushur (ovvero la decima dovuta ai latifondisti dai
braccianti) e bandì l’usura, regolò i prezzi dei beni primari, statalizzò i
servizi sociali garantendoli a tutti, diede il riconoscimento al diritto di
voto alle donne, legalizzò i sindacati, vietò i matrimoni forzati e lo
scambio di bambine a scopo economico, sostituì leggi tradizionali e
religiose con altre laiche, mise al bando i tribunali tribali e rese
pubblica a tutti l’istruzione, anche alle bambine che in precedenza
non potevano andare a scuola.

Queste riforme si scontrarono fortemente con le autorità religiose


locali e tribali che si opposero alle politiche di Taraki. Ben presto le
stesse gerarchie ecclesiastiche passarono a un’opposizione armata
incoraggiando la jihād (guerra santa) dei mujaheddin (santi guerrieri)
contro “il regime dei comunisti atei senza Dio”. Nel clima di Guerra
Fredda, gli Stati Uniti non potevano accettare il successo e la
modernizzazione dell’Afghanistan troppo vicino all’Unione Sovietica,
sia per propaganda anticomunista che per necessità di controllare
un’area molto ricca e strategica, quindi il 3 luglio 1979 Carter firmò la
prima direttiva per l’organizzazione di aiuti bellici ed economici
segreti ai mujaheddin afgani. In pratica la Cia avrebbe creato una rete
internazionale coinvolgente tutti i paesi arabi per rifornire i
mujaheddin di soldi, armi e volontari per la guerra.

Col passaggio in Usa dall’amministrazione democratica Carter a


quella repubblicana di Ronald Reagan si alzò il livello dello scontro e i
mujaheddin vennero propagandati come «combattenti per la libertà».
Osama bin Laden era uno dei principali organizzatori e finanziatori dei
mujaheddin; il suo Maktab al-Khadamat (MAK, Ufficio d’Ordine)
incanalava verso l’Afghanistan denaro, armi e combattenti musulmani
da tutto il mondo, con l’assistenza e il supporto dei governi
americano, pakistano e saudita. Quando gli USA finanziarono,
armarono e addestrarono i tagliagole islamisti e la feccia oscurantista
per distruggere quella esperienza, il Governo Afgano chiese l’aiuto
internazionalista dell’Unione Sovietica, che intervenne senza
esitazioni.

Allora tutti i mass media occidentali urlarono alla “Occupazione


Sovietica” e si sdilinquirono per i Talebani, a quel tempo definiti
“Freedom Fighters”, Guerrieri della Libertà, invece che terroristi.

In Italia e in Europa le sinistre, invece che difendere quell’esperienza,


pensarono bene di schierarsi contro “l’invasione russa”. Sostennero
apertamente i crimini di guerra dei Mujaheddin e non sembrarono
preoccuparsi più di tanto della sorte di milioni di donne afgane.
Osama Bin Laden era un agente della CIA e negli USA usciva Rambo
3, con Sylvester Stallone che combatteva per “la libertà
dell’Afganistan” al fianco dei barbuti islamici contro quei cattivoni dei
comunisti.

Grazie all’appoggio esterno i mujaheddin furono in grado di logorare


le forze sovietiche fino a provocarne la ritirata nel febbraio del 1989.
Priva dell’appoggio dell’URSS, la RDA fu in grado di resistere alle
pressioni dei mujaheddin fino all’aprile del 1992, quando i guerriglieri
conquistarono Kabul ed abbatterono il governo del PDPA. I
mujaheddin proclamarono quindi la nascita dello Stato islamico
dell’Afghanistan, il nuovo governo fondamentalista scatenò una
guerra feroce e totale contro le donne. Da quel momento nessuna
ragazza avrebbe mai più potuto mettere piede in una scuola.
Imposero il Burka a tutta la popolazione femminile e chi non lo
indossava veniva linciata per strada. Se i loro occhi non erano
oscurati dalla fitta rete del burka venivano bastonate, arrestate e
torturate. Alle donne non fu più permesso lavorare, ne guidare, ne
uscire in strada se non in compagnia di un famigliare maschio.

Lo Stato islamico dell’Afghanistan fu proclamato il 17 aprile 1992. Il


fronte dei Mujaheddin si dimostrò comunque molto frammentato e
disunito e ciò consentì, dal 1996 al 2001, la presa del potere da parte
della fazione dei talebani, salvo che in alcuni territori settentrionali
controllati dall’Alleanza del Nord dei restanti mujahidin anti-talebani,
guidati dal comandante Ahmad Shah Massoud. I Talebani
proclamarono l’Emirato islamico dell’Afghanistan e applicarono al
Paese una versione estrema della shari’a e ogni deviazione dalla loro
legge venne punita con estrema ferocia. Emblematica fu la cattura
dell’ultimo Presidente della Repubblica Democratica afghana
Mohammad Najibullah; venne catturato presso gli uffici dell’ONU di
Kabul, dove si era rifugiato, e venne torturato, mutilato e trascinato
con una jeep prima di essere giustiziato con un colpo alla testa ed
esposto nei pressi del palazzo dell’ONU.

Dopo l’attentato terroristico dell’11 settembre 2001 gli Stati Uniti


decidono di invadere l’Afghanistan, dando il via all’operazione
Enduring Freedom che si poneva come obiettivo la fine del regime dei
talebani e la distruzione dei campi di addestramento e della rete di
al-Qāʿida, il gruppo terroristico guidato da Osama bin Laden. Vista la
sproporzione di forze il regime integralista viene rovesciato in poco
più di un mese, nel novembre del 2001. Fu quindi istituita la nuova
“Repubblica islamica dell’Afghanistan”, retta dal presidente Hamid
Karzai: le forze governative afghane si trovarono però invischiate in
una lunga guerriglia contro le residue forze talebane (oltre che contro
vari signori della guerra locali e bande criminali), ricevendo quindi
assistenza da parte di forze militari della NATO e di altri paesi riunite
nella missione International Security Assistance Force (ISAF).

L’Afghanistan oggi

Adesso che abbiamo visto la storia del Paese possiamo analizzare la


sua scena geopolitica attuale.

In 20 anni di controllo statunitense la già precaria condizione


dell’Afghanistan è ulteriormente peggiorata: gli Usa insieme con la
coalizione occidentale ha impiegato il 90% dei propri fondi in spese
militari e solo il 10% in infrastrutture civili. In vent’anni i progressi per
loro sono stati insignificanti e le perdite umane altissime, decine di
migliaia di morti deceduti negli ultimi anni più nei raid americani e
Nato che non negli scontri con i talebani. I 36 milioni afghani – di cui
cinque-sei milioni sono profughi- vivono in media con meno di due
dollari al giorno. In particolare perdono le donne che erano riuscite a
rivendicare il diritto allo studio e un certo grado di autonomia
personale, del tutto negato nel primo Emirato dei talebani.

L’Emirato II° forse sarà, si spera, un po’ meno duro o solo più
pragmatico. Tra l’altro oltre alle donne pure i maschi a scuola ci
vanno assai poco, se non nelle madrase dei mullah: il sistema
d’istruzione statale è allo sfascio. In estrema sintesi non c’è un
singolo parametro economico reale che è migliore rispetto a venti
anni fa, nonostante le chiacchiere inutili di chi è là da tempo pronto a
sfruttare le risorse a disposizione e falsando facilmente i numeri per
fare propaganda americana. Il clima di odio con chi ha collaborato
con gli occidentali è alimentato non solo dai talebani e dalla religione,
ma dal fatto che ad eccezione di questa cerchia ristretta di privilegiati
il resto della popolazione viene sfruttata, lasciata in condizioni misere
di povertà e ha visto peggiorare ulteriormente le proprie condizioni di
vita sotto l’occupazione americana.
21 settembre: i principali membri del governo ad interim dei talebani
incontrano gli inviati speciali di Russia, Cina e Pakistan, nuovo passo
verso il riconoscimento internazionale.

12 ottobre: il ministro degli Esteri dei talebani, Amir Khan Muttaqi,


dice che “l’Afghanistan è pronto ad aprire una nuova pagina di
rapporti con la comunità internazionale", ma l'Emirato Islamico chiede
agli altri Paesi di "non interferire con i propri affari interni”.

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