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Endocrinologia lezione 9

14-11-2016

Complicanze del diabete di tipo 1 e 2


Sindromi iperglicemiche acute
Le sindromi iperglicemiche acute rappresentano un rischio per la salute e per la vita stessa. Abbiamo 2 tipi
di sindromi iperglicemiche acute: la chetoacidosi (soprattutto diabete tipo 1) e la sindrome iperosmolare
non chetosica (soprattutto diabete tipo 2).
La frequenza della chetoacidosi è di 1-5 casi all'anno ogni 100 abitanti con diabete mellito di tipo 1; tra le
patologie acute nella popolazione generale la frequenza è di 2-8 su 100.000. La mortalità è del 5%.
La sindrome iperosmolare meno frequente: 0,5-1 caso ogni 100 soggetti con diabete tipo 2; a fronte di
questa ridotta incidenza nei soggetti diabetici, c'è un aumentata incidenza nelle persone che si ammalano di
patologie acute. La mortalità sale al 23%.

CHETOACIDOSI

Può comparire secondo diverse modalità:


- Può rappresentare l'esordio clinico nel paziente con diabete tipo 1, un soggetto giovane che perde
conoscenza e va in coma chetoacidosico senza sapere di essere diabetico
- Riduzione o sospensione della terapia insulinica
- Infezioni respiratorie e urinarie
- Malattie vascolari acute (infarto, ictus, embolia polmonare)

Queste ultime sono situazioni di stress che comportano l'attivazioni di tutti i sistemi contro-regolatori,
quindi le catecolamine, il Gh, l'Acth. In risposta allo stress i soggetti attivano le vie cataboliche che portano
all'iperglicemia.
I soggetti che non sanno gestire la terapia insulinica vanno incontro a episodi ripetuti di chetoacidosi.

Nella chetoacidosi abbiamo la produzione di corpi chetonici (acido beta-idrossibutirrico e acido


acetoacetico) a partire dall'attivazione delle via cataboliche lipidiche (beta-ossidazione acidi grassi). Questo
comporta tra l'altro un esaurimento dei bicarbonati e un abbassamento del PH, per cui si verifica l'acidosi
metabolica. L'acido acetoacetico viene scisso in Co2 e acetone a livello polmonare, provocando l'odore di
acetone nel fiato, tipico segno clinico di chi è in coma chetoacidosico, assente negli altri tipi di coma. I valori
di glicemia non sono altissimi (>300 mg/dl). Le alterazioni prevalenti sono la disidratazione e la riduzione
del potassio circolante.

La patogenesi è legata a una riduzione di insulina o a un aumento significativo degli ormoni controinsulinici.
Questo comporta un aumento della produzione di glucosio da parte del fegato e una riduzione del suo
utilizzo a a livello periferico, perché l'insulina non aumenta e quindi quel glucosio resta in circolo. Questi
ormoni aumentano anche la lipolisi e la proteolisi. La conseguenza di questa iperglicemia è la disidratazione
(ipovolemia) per aumento della perdita di liquidi attraverso una diuresi osmotica (gli zuccheri, superati i 180
mg/dl, passano nelle urine e richiamano liquidi ). Vi è contestualmente la perdita di potassio e l'acidosi.

Clinica

L'iperglicemia determina poliuria, polidipsia, astenia e rapida perdita di peso. La polidipsia è legata al
sensorio, ed è l'unico meccanismo per contrastare poliuria e polidipsia. Se il sensorio è alterato e si
percepisce meno il senso della sete, si instaura un circolo vizioso che porta al coma (disidratazione ->
ipovolemia e ipotensione-> tachicardia reattiva).
La chetoacidosi determina nausea e vomito. I soggetti respirano attraverso atti lunghi e profondi.
L'ipopotassiemia può dare alterazioni elettrocardiografiche (allungamento ST) che peggiorano la funzione
contrattile del cuore e l'ipotensione. A questo si associa una vasodilatazione periferica, che rende la cute
calda nelle prime fasi del coma chetoacidosico, cosa che non accade nel coma ipoglicemico, in cui prevale il
tono adrenergico e la vasocostrizione, con cute fredda e sudata. Nelle fasi finali dello shock prevale
l'ipotermia.

Parametri clinici - diagnosi

Glicemia > 300 mg/dl e <400 mg/dl


Potassiemia < 5 milliequivalenti/L
Chetonemia > 3 mMol/L
PH < 3
Bicarbonati tra 5 e 10 Meq/L
Il gap anionico (tra bicarbonati e sodio) è > 12 Meq/L

Terapia

E' necessario procedere alla ricerca e al trattamento della causa scatenante (infezione, ev. cardiovascolare)
e non limitarsi al trattamento del coma.
La terapia si articola in 3 punti:
- correggere l'ipovolemia, reidratando il paziente con soluzione fisiologica
- normalizzare la glicemia
- correggere perdita di elettroliti e acidosi

La terapia reidratante è fondamentale per favorire la ridistribuzione dell'insulina a tutti i tessuti, per
ripristinare la pressione e per migliorare l'efficienza della filtrazione glomerulare. La reidratazione va fatta in
modo graduale, rispettando la tempistica. Non deve essere eccessivamente ipotonica, perché se
somministriamo una soluzione povera di elettroliti possiamo causare edema celebrale.
Nella prima ora si somministra 1L di soluzione salina isotonica (soluzione fisiologica allo 0,9%), nei pazienti
con normale funzionalità cardiaca. I pazienti anziani riceveranno 0,5L. Se è presente iposodiemia si può
utilizzare la soluzione fisiologica al 50% di sodio. Si prosegue con soluzione fisiologica (isotonica) in modo da
somministrare 5L nelle prime 8 ore. La velocità del flusso deve essere regolata in base alla frequenza
cardiaca, alla pessione e alla diuresi. Se il paziente è cardiopatico dobbiamo evitare di sovraccaricare il
circolo per non peggiorare lo scompenso cardiaco.

L'infusione del potassio e degli elettroliti deve essere proporzionale al deficit di potassio:
- Potassio < 5,5 Meq/L -> infusione di 20-40 Meq di KCl in 1L di soluzione fisiologica
In particolare
- Potassio < 5 e > 4  -> 20 Meq/h
- Potassio < 4 e >3 -> 30 Meq/h
- Potassio < 3 -> 40 Meq/h

Il livello di potassio può essere inizialmente alto, per via della sua fuoriuscita dalle cellule. Ma questo indica
un deficit di potassio a livello intracellulare, cosa che può avere effetti negativi soprattutto sulla cellula
cardiaca. Il livello di potassio deve essere monitorato ogni ora o due.

Controindicazioni: soggetti che fanno uso di diuretici risparmiatori di potassio


Il deficit di potassio è elevato paradossalmente anche quando i livelli serici di potassio risultano normali.
Questo perché l'acidosi causa un ingresso nelle cellule di ioni idrogeno e una fuoriuscita di potassio. Piccole
variazioni hanno effetto sul ritmo cardiaco.
In una condizione di ipopotassemia abbiamo l'abbassamento del segmento ST, la prominenza dell'onda Q e
l'andamento bifasico dell'onda T.
Nell'iperpotassemia c'è il prolungamento del QRS, dell'intervallo PR e l'onda T alta.

Terapia insulinica
Riduce i livelli di Glucosio e limita la produzione di corpi chetonici. La dose si calcola in U*Kg (unità per Kg di
peso corporeo). Il dosaggio iniziale è di 0,10-0,15 U*Kg in bolo endovena (circa 8-10 unità per un soggetto
di 60 Kg). Nelle ore successive il dosaggio è di 0,1 U*Kg/h per infusione endovenosa. Nei soggetti con
micropompa sono circa 5-7 U/h. Con questi dosaggi si cerca di  far abbassare la glicemia di 80 mg/dl ogni
ora.
L'insulina è anche un efficace presidio per far entrare il potassio nella cellula, perciò bisogna far attenzione
nel paziente con ipopotassemia grave, perché potremmo peggiorare questa situazione creando gravi
alterazioni cardiache. Quindi dobbiamo innanzitutto somministrare il potassio, e poi l'insulina.
Quando la glicemia scende sotto i 200 mg/dl possiamo ritenerci soddisfatti. Addirittura sotto i 200 si inizia
ad infondere soluzione glucosata, perché con l'infusione di liquidi e insulina alla lunga si rischia
l'ipoglicemia. Si somministrano 500 cc di soluzione glucosata 5% e 20 Meq di KCl per integrare la carenza di
potassio. Ci teniamo su valori intorno ai 200 mg/dl fino alla ripresa dal coma chetoacidosico, l'obbiettivo è
quello di ripristinare i livelli di potassio, la funzione renale, e salvare la vita al paziente; non abbiamo la
necessità di normalizzare i livelli di glicemia in 8 ore. Se questo approccio non funziona si raddoppia la
quantità di insulina.

SINDROME IPEROSMOLARE NON CHETOSICA

E' un grave scompenso metabolico, in cui abbiamo valori di glicemia superiori a 600 mg/dl. Anche in questo
caso la disidratazione è l'alterazione principale, ma c'è anche un iperosmolarità plasmatica, cioè il plasma
assume una concentrazione maggiore e diventa più denso per la presenza del glucosio. Non abbiamo
chetoacidosi perché il coma iperosmolare riguarda soggetti con diabete di tipo 2, che raramente hanno una
totale assenza di insulina. Grazie alla poca insulina che producono riescono ad utilizzare il glucosio e non
andare in catabolismo.
La patogenesi è legata a un deficit relativo di insulina, ma la causa è in genere l'attivazione degli ormoni
contro-insulari. Abbiamo importanti perdite di liquidi per via renale, ma anche per via intestinale (diarree
profuse), cutanea, per emorragia, con conseguente disidratazione.
In genere si tratta di pazienti anziani, sopra i 60, con diabete non controllato e patologie associate. A volte
ciò che fa precipitare il quadro è l'uso di glucocorticoidi o di diuretici. I soggetti anziani sono anche più
suscettibili a patologie infettive o croniche, ma soprattutto percepiscono meno il senso della sete e non
riescono a compensare la perdita di liquidi.

Clinica

Il coma chetoacidosico ha un impatto immediato, dovuto più all'acidosi che alla glicemia. Il coma
iperosmolare ha un'evoluzione lenta: non abbiamo l'acidosi, quindi il paziente tollera livelli più alti di
glicemia. Il coma insorge nell'arco di diverse ore, prima insorgono: sete, poliuria, disidratazione,
ipotensione, progressivo ottundimento del sensorio, shock convulsioni e coma.
Caratteristiche ematochimiche: glicemia altissima, osmolarità maggiore di 320 milliosmoli/L (range
fisiologico tra 275 e 290 - maggiore è l'osmolaità, maggiore è la densità del sangue), PH normale.
Prevenzione: mantenimento dell'idratazione e corretto monitoraggio della glicemia. Questo è un aspetto
critico soprattutto quando ci sono eventi acuti, perché il monitoraggio della glicemia passa in secondo piano
e si ha contestualmente l'aumento dei livelli degli ormoni controregolatori.

Diagnosi differenziale
Abbiamo già citato tutti gli elementi ematochimici che ci permettono di distinguere i 2 tipi di coma. Ma la
diagnosi può essere fatta in base alla clinica: penserò al coma chetoacidosico in caso di diabete di tipo 1 in
un paziente giovane e magro; in un paziente anziano e sovrappeso con diabete di tipo 2 penserò al coma
iperosmolare. Il respiro acetonemico è caratteristico del coma chetoacidosico. In entrambi prevale la
disidratazione e l'ipotensione.

COMPLICANZE CRONICHE
Sono complicanze determinate da uno scompenso glicemico cronico, che dura per anni.
Sono sempre complicanze a carico del circolo arterioso (micro/macroangiopatia), dovute all'iperglicemia e
alle alterazioni metaboliche correlate.
La microangiopatia è l'ispessimento della membrana basale dei capillari e delle arteriole, determinando
conseguenze a livello del rene, della retina e dei nervi. Le complicanze macrovascolari (arterie di medie e
piccole dimensioni) sono lesioni aterosclerotiche, che si presentano più precocemente rispetto ai soggetti
sani.

Microangiopatia
Il meccanismo patogenetico è determinato dall'eccesso di glucosio, che porta:

- attivazione del ciclo dei polioli: attraverso l'aldoso-reduttasi (che sfrutta la riduzione del NADP in
NADPH) porta alla produzione di sorbitolo e poi di fruttosio. L'utilizzo del NADP porta ad un aumento della
suscettibilità cellulare allo stress ossidativo. Il sorbitolo accumulato va a depositarsi nelle membrane delle
cellule endoteliali (non è in grado di attraversare le membrane).

- glicazione non enzimatica delle proteine: formazione di proteine glicosilate, dette AGE (“Advanced
Glycation End-products”), che non riescono più a esplicare la loro funzione e vengono demolite con
difficoltà dai sistemi di degradazione. Inoltre l'interazione tra queste proteine e i propri recettori sarebbe
alla base degli eventi cellulari caratteristici delle complicanze microangiopatiche (aumento della matrice
extracellulare, sintesi di collagene e riduzione del NO).

- attivazione delle isoforme delle protein-kinasi: dato dall'aumento del diacil-glicerolo. E' alla base di
alterazioni enzimatiche, aumento della produzione di fattori di crescita e alterazioni dell'espressione genica.

- attivazione della sintesi di proteine della membrana basale

- effetti trofici dell'insulina

RETINOPATIA DIABETICA

E' la causa più frequente di cecità nei paesi occidentali. La durata del diabete è il fattore predittivo più
importante per il rischio di retinopatia. Nel diabete 1 è assente all'esordio, è rara prima dei 5 anni di
diabete, più frequente dopo i 10 e sempre presente in qualche forma dopo i 20 anni. Nel diabete 2 può
essere presente all'esordio (20%) e dopo i 20 anni si presenta nel 60% dei casi. Nel lungo termine la
frequenza è maggiore nel diabete tipo 1.
Fattori di rischio (o precipitanti): inadeguato controllo glicemico, fumo, ipertensione, ipercolesterolemia.
Patogenesi: l'iperglicemia determina un danno endoteliale e un alterazione del flusso del microcircolo
retinico. In risposta al danno tissutale viene prodotto un fattore (VEGF) di crescita che stimola
la proliferazione di nuovi vasi retinici e aumenta la permeabilità vascolare, conducendo all'edema maculare.

Dobbiamo distinguere 2 fasi:

- la retinopatia diabetica non proliferante rappresenta la fase iniziale, preclinica, in cui è possibile ottenere
un buon controllo delle alterazioni fino alla remissione. Si caratterizza per un danno sulla parete vasale
associato a occlusione, ischemia e liberazione di VEGF. Ci sono 3 gradi di retinopatia non proliferante, che
possono essere riconosciuti con l'analisi del fundus dell'occhio: lieve (caratterizzata da microaneurismi e
emorragie), moderata (aumento aneurismi e presenza di essudati duri), grave (microaneurismi numerosi e
maggior numero di essudati soft cottonosi, emorragie profonde e anomalie a carico del microcircolo e del
distretto venoso).

- nella fase proliferativa il dato anatomopatologico più importante è la neoangiogenesi. Vengono prodotti
nuovi capillari, per rispondere all'ipossiemia, caratterizzati da una parete fragile. Nelle fasi iniziali possono
migliorare l'apporto di sangue alla retina, ma nelle fasi più avanzate vanno incontro ad emorragie che
possono portare alla cecità completa. All'emorragia segue la fibrosi, che può determinare distacco retinico.
Quando l'edema coinvolge la macula può portare rapidamente a una compromissione visiva severa.

Il primo controllo oculistico del fondo retinico dovrebbe essere fatto entro 3-5 anni dalla diagnosi di diabete
tipo 1, dopodiché il controllo deve essere annuale. Nel diabete di tipo 2 lo studio retinico va fatto al
momento della diagnosi, e poi annualmente. La frequenza dei controlli viene indicata dall'oculista. Lo
studio del fundus va fatto in midriasi e si deve verificare in particolare l'interessamento della macula. Oggi è
possibile fare l'OCT (Tomografia ottica a coerenza di fase), non invasivo, e la colangiografia retinica, esame
più invasivo con mezzo di contrasto, che permette di valutare il microcircolo e la presenza di essudati e/o
emorragie.

Terapia
Nelle forme proliferanti si cerca di porre rimedio bruciando i vasi col laser, per ostacolare la
neoangiogenesi. Esistono anche farmaci anti-VEGF, la cui efficacia non è elevata.
In realtà l'unica possibilità di limitare questo fenomeno è la prevenzione, attraverso il controllo della
glicemia e della pressione sanguigna. La riduzione dell'1% dell'emoglobina glicosilata riduce il rischio di
retinopatia del 40%. La riduzione della pressione arteriosa sistolica di 10 mm/Hg equivale a una riduzione
del rischio di retinopatia e perdita della vista del 35%.

NEFROPATIA DIABETICA

Le lesioni principali riguardano il glomerulo renale, ma abbiamo anche lesioni vascolari (arteriosclerosi) e
lesioni interstiziali. Colpisce il 30% dei pazienti diabetici entro 25 anni dall'esordio. In assenza di interventi,
l'80% dei pazienti con diabete di tipo 1 sviluppa microalbuminuria, primo segno di danno glomerulare, e il
40% sviluppa insufficienza renale nei 10 anni. Nel diabete 2 il 20-40% dei pazienti sviluppa
microaalbuminuria; l'insufficienza compare nel 20% dei soggetti in 20 anni.

La base anatomopatologica è l'aumento della matrice mesangiale con ispessimento della membrana basale,
che rappresenta il filtro. L'iperglicemia e l'ipertensione svolgono un ruolo fondamentale nel danno. La
lesione tipica è la glomerulosclerosi nodulare interpapillare di Kimmelstiel-Wilson, caratterizzata dalla
formazione alla periferia del glomerulo, tra le anse capillari, di noduli relativamente omogenei e positivi per
la colorazione istochimica dei mucopolisaccaridi. Si ha quindi un accumulo di mucopolisaccaridi, che tende
a ingrandirsi, comprimendo meccanicamente le anse capillari e riducendo così la perfusione dei glomeruli.
Le prime lesioni che osserviamo sono quindi l'ipertrofia glomerulare con formazione dei noduli, la
proliferazione mesangiale e l'ispessimento della parete dei capillari. Tutte queste alterazioni si ripercuotono
sulla capacità filtrante del glomerulo, che peggiora nel tempo.

Dal punto di vista della storia naturale distinguiamo 5 gradi di compromissione della funzionalità renale:
- nella fase iniziale avviene l'iperfiltrazione per aumento del flusso ematico renale, e la quantità di albumina
è sotto i 20 mg al minuto, quindi normale;
- nella nefropatia silente abbiamo una presenza intermittente di albuminuria, con escrezione tra i 20 e i 200
mg al minuto, e tra i 30 e i 300 mg nelle 24 ore, alla quale si associa anche l'aumento della pressione
arteriosa;
- nefropatia incipiente: la microalbuminuria è persistente, sempre sopra i 200 mg al minuto, e sopra i 300
mg nelle 24 ore; in questa fase il GFR (grado di filtrazione glomerulare - indice della funzionalità renale)
inizia a diminuire, restando ancora nel range di normalità;
- nelle forme conclamate abbiamo gli stessi parametri per quanto riguarda la microalbuminuria, ma il
filtrato glomerulare diventa inferiore a 60 ml al minuto;
- nell'insufficienza renale il filtrato è minore di 10 ml al minuto, e avremo una macroalbuminuria (quantità
di albumina molto maggiori), proteinuria, ipertensione. Avremo necessità della dialisi.

L'albuminuria si valuta sul campione di urine della mattina o sulle 24 ore. Bisogna tenere conto di eventuali
altre patologie che possono alterare questo dato. Se l'albuminuria è negativa non si interviene e si ripete lo
screening dopo un anno. Se è positiva si testa nuovamente in un periodo di 3-6 mesi, e se 2 test sono
positivi si inizia il trattamento anti-ipertensivo e il controllo stretto della funzionalità renale. La
microalbuminuria è un fattore di rischio importante per nefropatia diabetica, ma anche per il rischio
cardiovascolare nei soggetti con diabete di tipo 2.

Trattamento
La possibilità di contenere l'albuminuria è legata al trattamento insulinico. Il trattamento intensivo
permette di migliorare in maniera significativa i parametri renali.
Si attua un intervento multifattoriale:
- controllo glicemico
- terapia con anti-ipertensivi
- abolizione del fumo
- trattamento dell'iperlipidemia

NEUROPATIA DIABETICA

E' un disordine clinicamente evidente o subclinico, che si manifesta in assenza di altre cause di neuropatia
periferica. La causa è il progressivo e irreversibile danno a carico delle fibre nervose causato
dall'iperglicemia cronica.
La forma più rara è l'interessamento di singoli nervi (mononeuropatia focale o plurifocale): in genere
interessa i nervi cranici, il nervo femorale o sciatico, è autolimitante e risponde bene al controllo glicemico.
Si caratterizza in acuto per la comparsa di paresi e dolore. In alcuni casi il danno può essere legato a
ischemia.
Più frequentemente si presenta la polimielopatia simmetrica distale, che riguarda l'apparato sensitivo e
motorio. Abbiamo alterazione della sensibilità tattile, vibratoria, termica e dolorifica. Può essere presente
formicolio, dolore urente invalidante, debolezza (sintomo motorio). E' simmetrica, le parestesie possono
riguardare il palmo delle mani e la superficie anteriore delle gambe. Può essere diffusa e interessare la
regione delle spalle bilateralmente e delle cosce.
Le alterazioni inizialmente sono subcliniche, e consistono nell'alterazione della trasmissione dell'impulso
nervoso. Successivamente compaiono alterazioni della sensibilità vibratoria, poi di quella pressoria, e poi
dei riflessi tendinei. Il versante più interessato è quello sensitivo. Le alterazioni della sensibilità sono
associate a complicanze più gravi come il piede diabetico, per ridotta percezione dei traumi.
E' coinvolto anche il sistema nervoso autonomo; le alterazioni sono legate all'organo innervato: possiamo
avere alterazioni del ritmo cardiaco, ipotensione ortostatica, ecc. Queste alterazioni fanno si che il soggetto
percepisca meno i fenomeni legati all'ipoglicemia, come la tachicardia, il malessere, che sono spesso
mediati dalle catecolamine. Possiamo avere anche alterazioni della motilità intestinale, con diarrea o stipsi,
disfunzione della cistifellea, oppure disfunzioni a livello urogenitale (le alterazioni della funzione erettile
sono molto frequenti nel soggetto diabetico).
I sintomi sensitivi possono essere positivi (dolore, formicolio, iperestesia, iperalgesia) o negativi (anestesia).
Lo stesso per i sintomi motori: crampi, fascicolazioni (positivi), ipostenia (negativo).

La diagnosi si basa su sintomi e segni clinici. Abbiamo anche degli strumenti per misurare le alterazioni: la
sensibilità vibratoria con il diapason, quella pressoria con il (???)filamento, proviamo i riflessi tendinei, ecc.
Il monitoraggio si effettua ogni 12 mesi. L'elettromiografia è indicata quando c'è un sospetto clinico e i test
precedenti non sono risolutivi.

Terapia
Per il dolore posso usare fans e antidolorifici. Si possono usare farmaci come i triciclici, la carbamazepina, gli
anticonvulsivi. In ogni caso il fattore più importante resta il controllo glicemico.

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