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26. Concetti, dogmatica, conoscenze per l’applicazione.

I concetti sono impiegati dalle norme nella formulazione dei giudizi sul comportamento: questi
assegnano un ordine così che la realtà, umana e naturale, cessa di essere caotica.
La scienza che analizza ed elabora i concetti viene chiamata dogmatica giuridica; il
dogma giuridico è un concetto elaborato per servire alle esigenze di un determinato
ordinamento giuridico. Il concetto quindi è utile o inutile: è utile se idoneo a spiegare un
problema pratico.
La dogmatica, perciò, è una forma particolare di conoscenza utile per l’applicazione delle norme.
La costruzione e l’elaborazione dei concetti fondamentali non è scelta libera del giurista,
infatti il diritto non opera individualmente, ma è prodotto dell’incessante agire degli uomini. Il
giurista è responsabile della sua opera: l’attuazione della legalità costituzionale esige
l’innovazione dogmatica.
Bisogna però conoscere prima la dogmatica acquisita, per poi ricostruire, modificare o
anche abbandonare i dogmi non più giustificabili, quali strumenti per l’applicazione delle
norme del vigente ordinamento.

27. Fatto, effetto, situazione soggettiva e rapporto.


- Fatto è l’evento o lo stato valutato dalla norma e dal quale deriva
una conseguenza giuridica. È la premessa che giustifica la
conseguenza (che è l’applicazione del diritto al fatto stesso)
- Effetto è la conseguenza giuridica che si collega al fatto; gli effetti sono di tre specie:
costitutivi, modificativi, estintivi.
- La situazione soggettiva è ciò che si costituisce o si modifica in virtù dell’effetto: il fatto è ciò
che ha come effetto la nascita, la modificazione o l’estinzione di una situazione soggettiva.
- Rapporto giuridico è la relazione tra due situazioni soggettive
correlate.
Dato che la norma è lo strumento della valutazione del comportamento umano, bisogna
definire il comportamento rispetto alla norma e la posizione del soggetto: se bisogna pretendere
un comportamento o lo si deve tenere, è la norma che lo decide.
La situazione del soggetto rispetto alla norma è di potere (situazione attiva) o di dovere
(situazione passiva): dovere e potere non sono mai assoluti, infatti vi sono momenti di
prevalenza di uno o dell’altro. Il soggetto che può o deve agire è il titolare della situazione
soggettiva: il legame tra soggetto e situazione è la titolarità. Il trasferimento della situazione
soggettiva è il passaggio di un diritto da un soggetto ad un altro: cambia il titolare della
situazione soggettiva.
La situazione soggettiva e il rapporto giuridico sono strettamente legati in quanto
il comportamento umano è relazionale: ad esempio, se un soggetto ha il potere di pretendere un
determinato comportamento (situazione attiva), c’è necessariamente chi ha il dovere di tenerlo
(situazione passiva).
La situazione soggettiva è categoria generale della quale fanno parte il diritto soggettivo,
la potestà, l’obbligo, l’interesse legittimo, ecc…; è strumento di ragionamento. Comportamenti
tenuti dal titolare della situazione giuridica sono classificabili come esercizio di essa e sono
quindi leciti, se sono comportamenti non previsti dalla titolarità e attuati da esterni, sono illeciti.
La situazione soggettiva esprime gli interessi, qualificati dalla normativa applicabile
in riferimento ad ogni concreto comportamento, qualificato come permesso o dovuto in base alla
sit. sogg.va (permesso, se esercizio di sit. attiva, dovuto, se esecuzione di sit. passiva).
La connessione delle situazioni soggettive nel rapporto giuridico esprime l’esigenza
di valutare il comportamento non solo nel momento statico, quale descrizione dell’effetto, ma
anche nel momento dinamico, come regolamento di interessi

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29. Fatto, atto e negozio.
Fatto giuridico è ogni accadimento naturale o umano al verificarsi del quale
l’ordinamento ricollega qualsiasi effetto giuridico costitutivo, modificativo o estintivo del
rapporto giuridico.
Il fatto giuridico può essere naturale, quando non è prodotto dalla volontà umana, ma
dalla natura (es: temporale); può essere umano, quando è prodotto dall’uomo ed è qualificato
come atto giuridico.
Gli atti a loro volta si distinguono in
- atti giuridici in senso stretto (fatti umani): rilevanti la volontà e la consapevolezza
dell’atto, non l’intenzione di produrre effetti giuridici, i quali sono preordinati dalla
legge (indipendenti dalla volontà del soggetto)
- negozi giuridici: la volontà è diretta alla produzione di effetti giuridici, devono
essere voluti (contratto, matrimonio, testamento etc). esiste una distinzione, ora
superata, tra negozio tipico (la cui fattispecie è prevista e disciplinata dalla legge) e
atipico (non previsto da alcuna norma).
Esiste anche l’attività, intesa come serie coordinata di fatti umani unificati da una
finalità comune.
28. Rilevanza ed efficacia del fatto giuridico.
Il fatto giuridico è qualsiasi evento idoneo, secondo l’ordinamento, ad avere giuridica rilevanza.
La norma prevede l’ipotesi del verificarsi dell’evento (cioè del fatto) e la possibilità che questo,
umano o naturale, una volta venuto ad esistenza, abbia rilevanza giuridica.
Il fatto, quando si verifica, attua quanto previsto astrattamente dalla legge: l’ordinamento
gli attribuisce una qualifica e una disciplina.
Rilevanza ed efficacia sono due concetti distinti: rilevante è il fatto valutato da
norme giuridiche; efficace è l’atto al quale sono riconducibili effetti giuridici (nascita,
modificazione ed estinzione).
Se un fatto è efficace, è anche rilevante; il contrario non vale, quindi un fatto rilevante può anche
essere non efficace.
Ogni fatto, anche il più semplice, ha giuridicità: alcuni cmq asseriscono l’esistenza di fatti
giuridicamente irrilevanti: o sono fatti rilevanti ma non preordinati all’efficacia, o non sono fatti.
Il fatto concreto è sempre giuridicamente rilevante; il fatto è rilevante ma non
ancora efficace quando l’interesse richiede un ulteriore evento per la sua attuazione,
affinché abbia senso riferirlo a comportamenti.
Il contratto sottoposto a condizione sospensiva è rilevante, ma inefficace fino a quando non si
verifichi l’evento futuro e incerto dedotto in condizione, il che rende attuale il trasferimento.
In tal caso la situazione è rilevante, ma non efficace sotto il profilo della sit. finale,
bensì solamente sotto quella di aspettativa. Ciò non impedisce che il contratto produca altri
effetti, i c.d. effetti preliminari, poiché è attuale l’interesse a proteggere l’aspettativa del
trasferimento, a preservare questa possibilità da eventi che renderebbero irrealizzabile il
trasferimento. Un fatto rilevante può non produrre temporaneamente alcun effetto né preliminare
né finale.
Per ogni fatto è sempre individuabile la norma o l’insieme di norme in base alle quali
qualificarlo, e quindi giudicarlo.
Giuridicamente significativo è qualsiasi evento che possa essere spiegato secondo
situazioni soggettive, sia che esso sia esercizio o esecuzione di una situazione soggettiva già
esistente, sia se costituisca una novità nell’ordinamento, innovando così il quadro delle sit.
sogg.ve preesistente.
Lo stesso fatto è giuridicamente rilevante non soltanto e necessariamente ad un sol fine,
ma a più fini. Esso ha una diversa qualificazione giuridica secondo che rientri in uno o in
un altro assetto d’interessi.

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Nell’atto in senso stretto esiste una consapevolezza dell’atto, ma non l’intenzione a
produrre effetti; nel negozio esiste non soltanto la consapevolezza, ma l’intenzione a
produrre effetti giuridici.
Il negozio è espressione del potere riconosciuto ai privati di autoregolamentare i propri
interessi (Autonomia Negoziale), potere che si estrinseca in modi diversi:
1. Libertà di concludere l’atto
2. Libertà di scegliere l’altra parte
3. Libertà di fissare il regolamento
A volte l’ordinamento interviene limitando queste libertà.
Il negozio può essere:
− tipico, se è uno schema già disciplinato dal legislatore;
− atipico, in tal caso il potere di autonomia si concretizza anche nel potere
di creare nuovi schemi purchè realizzino interessi meritevoli di tutela.
L’atto in senso stretto è tipico se corrisponde ad un fatto umano e i suoi effetti sono
interamente preordinati dalla legge. Né il negozio, né l’atto in senso stretto sono
definiti dal codice: sono categorie dottrinali.
Il negozio è categoria assai più ampia: nell’ambito di questa definizione rientrano
entità eterogenee quali il contratto, il testamento, il matrimonio, l’atto costitutivo di una
società.
− Con il contratto si dà vita ad un rapporto patrimoniale fra due o più
parti;
− Il testamento, invece, è un negozio
unilaterale;
− Il matrimonio è un accordo non di tipo patrimoniale, anche se ci sono situazioni
di tipo economico.
È utile ricordare che fattispecie di effetti giuridici è non soltanto l’atto ma anche
l’attività. L’attività è una serie coordinata di fatti umani, unificati da una finalità comune: il
possesso, la gestione di affari, la convivenza quale fattispecie costitutiva dei rapporti
giuridici della famiglia non fondata sul matrimonio.

I fatti umani si manifestano con comportamenti dichiarativi (dichiarazioni) o concludenti (no


manifestazione diretta della volontà). Il primo è l’atto col quale l’agente trasmette un
significato. La dichiarazione è di scienza (l’autore comunica ciò che sa) o di volontà. Il
comportamento comunicativo non è necessariamente verbale. È dichiarazione di volontà ogni
volta che il comportamento realizza un atto di significazione traducibile in termini linguistici.
Con la manifestazione espressa il fatto significante (ciò che appare) è evocativo del fatto
significato (oggetto della conoscenza). Con la manifestazione tacita, invece, l’oggetto della
conoscenza si presuppone x vie indirette.
La distinzione delle manifestazioni si riflette sulla distinzione tra atti in senso stretto e negozi
e sulla possibilità che si creino questi tramite comportamenti concludenti. Per i primi valgono
comportamenti che apportano una diretta modificazione del mondo esterno, comportamenti
non dichiarativi ma che hanno effetti giuridici e apportano una soddisfazione di interessi. Per
i secondi, invece, valgono i negozi di attuazioni, una sottospecie per cui l’autoregolamento di
interessi si realizza con comportamenti immediatamente satisfattivi dell’interesse.

31. Liceità e meritevolezza.


È lecito ciò che non è illecito per l’ordinamento. Il fatto è illecito quando è contrario a
norme imperative, all’ordine pubblico ed al buon costume (art. 1343 c.c.).

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In tema di responsabilità “extracontrattuale”, ossia al di fuori di un preesistente
rapporto obbligatorio, è illecito qualunque fatto che sia doloso, intenzionale, o
colposo, che procura ad altri un danno ingiusto (2043).
La valutazione di un atto implica anche il giudizio di meritevolezza: in tal caso
abbiamo un giudizio in positivo, con cui dobbiamo verificare se l’atto tende a realizzare
interessi meritevoli di tutela, riferendosi ai principi fondamentali e ai valori
dell’ordinamento. Non tutti gli atti leciti sono meritevoli di tutela.
Questo ci richiama ai principi fondamentali dell’ordinamento fra cui quello di
solidarietà che trova, nel campo dell’autonomia negoziale, la sua specificazione nel
richiamo all’utilità sociale. Quindi l’interesse del singolo viene tutelato nella misura in cui
alla realizzazione dell’interesse del singolo, corrisponde anche la soddisfazione
dell’interesse della comunità.
I principi guida sono quello:
− Personalistico, che riguarda la tutela della persona, art. 2 della Costituzione;
− Solidaristico, in cui vi sono non solo doveri in chiave economica, ma anche sociale.

32. Struttura e funzione del fatto giuridico.


Nel rapporto e nel fatto si definisce un profilo strutturale (com’è) e uno funzionale (a che
serve).
Esempi di profilo strutturale sono la distinzione tra fatto istantaneo (es: la
conclusione del contratto; art. 1326¹ c.c.); continuativo (es: lo svolgimento di
un’assemblea in una società per azioni; art. 2363 ss c.c.); o periodico (es: il pagamento di
stipendi o di canoni di locazione). Riguarda ancora la struttura determinare quante parti
sono necessarie per formare un atto; l’atto (o negozio) che richiede la dichiarazione di una
sola parte ha struttura unilaterale; se invece esige la dichiarazione di due parti è
bilaterale e così via.
La struttura segue la funzione: per individuarla, bisogna prima che il giurista valuti
il fatto, quindi individui la funzione stessa. Questa può essere già predeterminata
dall’ordinamento, o modellata dai soggetti. Per individuare la funzione bisogna cogliere il
significato normativo.
L’analisi funzionale del fatto è completa quando oltre al punto di arrivo si
tiene conto anche del punto di partenza (sit. sog. iniziale): la funzione, infatti, si
realizza in modo diverso a seconda della situazione preesistente.
La struttura del negozio è variabile (in astratto-determinata in concreto: principio
della variabilità della strutture in relazione alla funzione) e dipende dalla funzione e dai
rapporti sui quali l’atto incide. Un esempio può essere la remissione del debito (art. 1236
c.c.).Esso è un fatto che produce il proprio effetto (estinzione dell’obbligazione) con
strutture diverse:
− Bilaterale, nel contratto si esige dichiarazione del creditore e comportamento
dichiarativo, ossia il silenzio, del debitore.
Se manca una dichiarazione, la fattispecie non si forma e non si produce l’effetto
estintivo.
− Unilaterale, serve la dichiarazione del solo creditore.
Il giudizio sulla necessità o meno della dichiarazione del debitore dipende
dall’esistenza di interessi su cui il fatto incide. Nella remissione bisogna accertare se il
debitore abbia un suo interesse giuridicamente rilevante antecedente al fatto –
remissione: se egli ha interesse, deve partecipare alla struttura e la remissione è
bilaterale; se non ha interesse, non deve partecipare alla struttura e la remissione è
unilaterale.

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La variabilità della struttura causa 2
conseguenze:
1. se la struttura è variabile, sono ammissibili negozi unilaterali anche in ipotesi
non previste (negozi unilaterali atipici): per l’unilateralità del negozio basta che gli
interessi siano solo di una parte;
2. il soggetto che non è parte del negozio, cosiddetto “terzo”, può subire sia un
beneficio sia un danno; occorre però essere portatori di un interesse rilevante
secondo il diritto.

33. L’effetto
giuridico.
Gli effetti giuridici sono classificabili in costitutivi, modificativi ed estintivi, secondo
che, in conseguenza del fatto, nasca, si modifichi o si estingua un rapporto giuridico: questa
tripartizione degli effetti è esclusiva. Le altre specie, a volte utilizzate, sono riducibili
alle tre fondamentali: così gli effetti di accertamento, regolamentari, normativi,
preclusivi, di qualificazione (di persone, cose o fatti).
L’effetto di accertamento è attribuito al negozio con il quale le parti fissano i
termini del rapporto del quale sono titolari rimovendo qualunque incertezza circa
la sua esatta configurazione (effetto modificativo).
L’efficacia c.d. dichiarativa rappresenta soltanto uno svolgimento interno delle
sit. preesistenti, cosicché queste sono rafforzate (es: riconoscimento del debito),
specificate (es: ordine del datore di lavoro) o affievolite (es: ipoteca, che limita il
diritto di proprietà).
Lo stesso vale per l’efficacia preclusiva, un cui esempio è costituito dall’
usucapione.
La preclusione è un modo di trattare un concorso o un conflitto di fatti; nel
concorso di fatti, tutti sono idonei a produrre lo stesso effetto, ma se ne
sceglie uno in quanto giuridicamente migliore degli altri nel giustificare la
pretesa; nel conflitto di fatti prevale un fatto e si nega rilevanza agli
altri (es: usucapione).
L’effetto regolamentare è un effetto modificativo; i negozi regolamentari
mutano la disciplina di situazioni costituite, il regolamento degli interessi.
L’effetto normativo è la determinazione di un regolamento di un rapporto
futuro, ad esempio, i contratti normativi che determinano il regolamento di successivi
contratti, se le parti decideranno di concluderli.
L’effetto eliminativo è un effetto estintivo retroattivo: la situazione soggettiva è
estinta e in più si considera tale situazione come non mai esistita.
L’effetto impeditivo opera impedendo a priori il verificarsi di un effetto.
La situazione soggettiva non deve essere qualificata poiché è essa che qualifica i
comportamenti, ad esempio, la qualifica di una persona può essere uno status o il
nome di un particolare riferimento di valore.
Il negozio c.d. attributivo di status ha un effetto costitutivo: lo status è una
situazione soggettiva; attribuire lo status significa far nascere una situazione soggettiva.
34. Funzione come sintesi degli effetti
essenziali.
La funzione è il significato giuridico del
fatto col quale si coglie la sintesi dei suoi
effetti essenziali.

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Qualificazione: il procedimento dalla
determinazione della funzione fino
all’individuazione della disciplina
Bisogna quindi fare una distinzione tra gli effetti giuridici: questi possono essere
diretti o riflessi, immediati o differiti.
Per la qualificazione della fattispecie bisogna considerare quelli diretti e non quelli riflessi.
Questo perché gli effetti essenziali sono sempre diretti, ma non tutti gli effetti
diretti sono essenziali: sono essenziali tutti gli effetti che caratterizzano la fattispecie posta
in essere, senza i quali una qualsiasi fattispecie avrebbe un altro tipo di effetto. Nel
valutare quali sono gli effetti essenziali dobbiamo valutare il caso concreto: occorre
individuare se gli effetti, qualora fossero molteplici, abbiano lo stesso rilievo nella
qualificazione del fatto: se determinano la funzione pratico-giuridica sono essenziali, se
non la determinano non sono essenziali.
Gli effetti essenziali si distinguono in
- immediati, ossia si possono produrre in modo istantaneo,
- differiti (rinviati): il differimento può essere opera delle parti, oppure è disposto
dalla legge. Se gli effetti non sono immediati, il fatto produce comunque effetti
preliminari, che garantiscono la conservazione delle condizioni che rendono realizzabili
in futuro gli effetti finali. ((Per es. pongo in essere un contratto di acquisto, però
mi accordo col proprietario che il trasferimento avvenga dopo 2 anni: questo effetto
differito mi qualifica comunque l’atto perché già aveva posto in essere l’atto 2 anni
prima.
Se il differimento è di 30 anni, cosa succede? In tal caso viene snaturata la funzione
e quindi potremmo trovarci di fronte ad una diversa fattispecie, come ad es. il fatto che sia
stata data una somma a mutuo con l’obbligo di restituirla entro 30 anni.
Nel caso in cui non riesce a restituire la somma, l’appartamento viene acquisito da
chi ha già dato 30 anni prima la somma e quindi non c’è più la compravendita. ))
È importante distinguere effetti diretti e riflessi: l’effetto riflesso, voluto o legale,
non ha la sua causa direttamente nel fatto (come l’effetto diretto) ma, invece, è l’effetto
dell’effetto. Si individua nel primo effetto la fattispecie di un secondo effetto.
Gli effetti diretti sono quelli voluti dal soggetto agente e solo questi possono essere
presi in considerazione nell’individuazione della funzione; gli effetti riflessi NO perché
non c’è congruenza tra l’effetto e la volontà del soggetto. Quando un atto/negozio produce
un effetto voluto, e ci sono norme che disciplinano ulteriori conseguenze (effetti legali),
questi sono effetti riflessi.
Ad esempio, la rinunzia al diritto di proprietà, dove come primo effetto vi è
la perdita della titolarità della proprietà o dismissione del diritto, ha come effetto riflesso,
che i “beni immobili che non hanno proprietario sono di proprietà dello Stato” (art. 827
c.c.).

In questo secondo momento dobbiamo fare delle precisazioni, in quanto c’è una
corrente dottrinale che distingue nettamente l’interpretazione del fatto rispetto alla
qualificazione del fatto.
Di fronte ad una fattispecie negoziale, posta in essere da privati, l’attività
dell’interprete si articola in più fasi:
1. interpretazione → cercare di capire cosa le parti hanno inteso
realizzare;
2. qualificazione → diamo veste giuridica a quel fatto posto in essere dai
privati;

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3. sussunzione → riconosciamo poi che in quel fatto ci sono degli estremi dello
schema delineato dal legislatore, definito COMPRAVENDITA;
4. applicazione delle
regole.
Sono quattro fasi distinte l’una
dall’altra.
Il nostro manuale, invece, ha una posizione diversa rispetto a questa dottrinale.
Secondo il Perlingieri non si devono separare così nettamente questi momenti,
perché si presuppone che ci sia uno stacco fra quella che è la realtà empirica e quella
giuridica; invece si dice che l’ordinamento è parte integrante della realtà quindi
non è possibile separare Interpretazione e Qualificazione.
Esse sono fasi di un unico procedimento conoscitivo, che tende a individuare
il senso dell’operazione per una funzione pratica, per risolvere un certo tipo do conflitto,
per applicare un certo tipo di norma, avendo presente ciò su cui andrà ad operare il
regolamento stesso.
Nel fare tale valutazione bisogna evitare il ricorso al rigido meccanismo della
sussunzione perché applicandolo alla lettera finiamo, non sempre, per ignorare qualche
particolarità di quel regolamento e non daremmo la giusta soluzione perché ignoriamo
quei profili che sono importanti per il caso concreto, ma che non lo sono ragionando in
astratto.

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