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21. Principio di democraticità. La democrazia è uno dei principi cardini del nostro Stato: essa è
una procedura di decisione con un libero confronto di opinioni e con deliberazioni
raggiunte dalla maggioranza e mediante voto non coartato, senza dimenticare i diritti
insopprimibili della minoranza.
È inseparabile dall’eguaglianza perché altrimenti non si giustificherebbe il diritto di
partecipazione di tutti alle decisioni, dalla persona perché non tutte le decisioni
maggioritarie sono legittime (quelle che mirano al sopprimere le azioni di minoranza e limita le
libertà di ciascuno di creare il proprio mondo di relazioni umane).
L’attuazione della democrazia nella società si manifesta mediante il rispetto
reciproco, l’eguaglianza morale e giuridica: ricordiamo i sindacati e i partiti che devono
essere a base democratica.
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- L’irretroattività afferma che, nessuno può essere punito se non in forza di una legge entrata
in vigore prima del fatto commesso (25² cost.).
Solo nella materia penale è regola di rango costituzionale; negli altri ambiti è un principio: le
leggi retroattive sono legittime purché non in contrasto con l’eguaglianza, la ragionevolezza e il
principio di legalità.
- La riserva di legge è la previsione (implicita o esplicita) di materie, riportate nella
Costituzione, in cui la disciplina è prevista soltanto con legge. Esse sono assolute: il
legislatore deve specificare nei dettagli la materia riservata; relative, impone al
legislatore di determinare la disciplina di principio e lasciando a fonti secondarie quella
di dettaglio; rinforzata, quando la Costituzione indica anche quali debbano essere i
contenuti della legge.
Le leggi del Parlamento sono inferiori gerarchicamente soltanto alla Costituzione.
Ruolo di controllo e garanzia della costituzionalità delle leggi è svolto dalla Corte Costituzionale,
il cui strumento di controllo è la ragionevolezza.
Le sentenze sono di:
• inammissibilità, quando il processo non si avvia perché mancano i requisiti per innescarlo
(quando la disposizione non ha forza di legge; quando il contrasto della disp. leg. con la cost. sia
superabile con interpretazioneviene responsabilizzato di interpretazione lo stesso giudice
ordinario che ha sottoposto il problema alla CC);
• rigetto, quando la Corte accerta l’infondatezza della questione di incostituzionalità
e impone che la legge resti in vigore;
• accoglimento, quando la Corte accerta l’incostituzionalità della legge e la elimina tutta o in
parte, e cessa di avere validità dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza.
Esistono anche le sentenze interpretative di rigetto, quando la legge è dichiarata
costituzionalmente legittima, e interpretative di accoglimento, quando la legge è dichiarata
incostituzionalmente illegittima.
La differenza tra le due sentenze di interpretazione è che con quella di rigetto la
disposizione resta in vigore, quindi la sentenza non ha una forza legale vincolante; mentre
con quella di accoglimento la sentenza ha valore vincolante e la disposizione viene eliminata e
non può essere applicata da nessuno.
Esiste anche la sentenza additiva, quando la legge è dichiarata incostituzionale per quello che
non dice.
Pertanto l’attività della Corte incide comunque nella funzione legislativa e impone
una collaborazione con il Parlamento.
Quindi la Corte si pone non pochi problemi nel dichiarare sentenze di incostituzionalità.
Proliferano, allora, i modelli di intervento:
a) sentenze monito: la questione, pur fondata in astratto, è decisa con una sentenza di
rigetto e si auspica un intervento del Parlamento, perché si teme che si possa
determinare un “vuoto legislativo”;
b) sentenze di incostituzionalità sopravvenuta: si impedisce che gli effetti della
dichiarazione di incostituzionalità siano retroattivi, per ridurre il costo della
sentenza; sentenze a incostituzionalità differita: si assegna un termine al
legislatore per provvedere, ritardando gli effetti della dichiarazione di incostituzionalità;
c) sentenze attuative dell’eguaglianza “verso il basso”, nelle quali, piuttosto
che estendere un beneficio a categorie non comprese da una legge, si preferisce toglierlo a
chi lo ha attualmente, con un risultato opposto a quello delle sentenze additive di
prestazione;
d) sentenze additive di principio, nelle quali, invece di imporre allo Stato una prestazione a
favore di una determinata categoria, la Corte dichiara incostituzionale una legge vigente, e
indica non la regola, ma il principio
annullamento vs abrogazione: il primo si riferisce alla cessazione dell’operatività della
disposizione impegnata per dichiarazione di incostituzionalità (criterio gerarchico); la seconda si
riferisce all’eliminazione di efficacia della legge in seguito al nuovo esercizio del potere che l’ha
prodotta (criterio cronologico): è espressa quando il legislatore la esprime esplicitamente e indica la
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disposizione o il complesso di disposizione da abrogare; tacita quando vi è incompatibilità tra due
norme e l’abrogazione opera ex nunc (le norme “vecchie” vengono sostituite da quelle più recenti).
La sentenza di incostituzionalità non è abrogativa della disposizione.
L’abrogazione presuppone un susseguirsi di leggi nel tempo e che abbiano fonti omogenee,
l’annullamento presuppone fonti eterogenee; l’abrogazione è rilevata da qualsiasi giudice,
l’annullamento dallo specifico organo che se ne occupa, con atto costitutivo con efficacia erga
omnes; l’annullamento elimina radicalmente la norma, l’abrogazione limita l’efficacia di una
norma comunque valida
25. Funzione legislativa e funzione di mercato.
La legge non può discostarsi o entrare in conflitto con il mercato perché esso, non solo è tutelato
dalla Costituzione (es: la libertà di iniziativa economica art. 41 cost.), ma è indirettamente una
fonte (es: i contratti e gli accordi di lavoro). Il mercato è una categoria giuridica: esiste se esiste
possibilità di scambiare merce, tutela contro l’inadempimento, protezione del monopolio etc… è
un’istituzione produttrice di proprie regole x determinazione prezzi e comportamenti e come area
di libertà che configura le azioni degli individui. mercificazione dei beni, del lavoro lotta
per soddisfare i propri interessi, ricerca della ricchezza individuale etc..
Quindi, il mercato pretende una certa indipendenza dallo Stato, il quale non solo lo aiuta, ma può
intervenire nei casi in cui sono lesi i diritti fondamentali dell’uomo.
L’intervento dello Stato nel mercato si configura tramite: intervento pubblico (impresa
pubblica e società private a partecipazione pubblica), aiuto finanziario pubblico
all’impresa privata (sgravi fiscali, finanziamenti a tasso agevolato o a fondo perduto) e
l’antitrust (regolamentazione giuridica della correttezza del mercato).
Tutela della concorrenza: L’antitrust trova i suoi fondamenti nella Costituzione: la
libertà di concorrenza è implicita nella libertà di iniziativa economica, essa è un mezzo per
realizzare l’utilità sociale o l’effettiva partecipazione di tutti all’organizzazione economica e
sociale del Paese.
Tuttavia la tutela del mercato trova un maggiore sviluppo a livello europeo (Trattato di
Amsterdam dal 1° maggio 1999), mediante il divieto di alcune azioni da parte delle
imprese, come ad esempio:
— divieto di intese pregiudizievoli al commercio tra gli Stati membri e restrittive
della concorrenza all’interno del mercato comune (art. 81) disponendo la nullità delle
intese, eventualmente concluse, con efficacia retroattiva;
— divieto, alle imprese che hanno una posizione dominante nel mercato comune, di farne un
esercizio abusivo (art. 82);
— regolamentazione degli interventi degli Stati membri nell’economia, per impedire che gli
aiuti economici alle imprese generino limitazioni e modifiche al libero esplicarsi
della concorrenza (artt. 87-89).
In particolari settori, come formazione educativa e informazione, l’antitrust assume
un ruolo politico e istituzionale, perché rappresenta lo strumento di difesa del diritto all’istruzione
e all’informazione.
Numerose sono le leggi speciali a riguardo, fra cui la Legge 416 del 1981, che vieta le
concentrazioni quando comportino l’assunzione di una posizione dominante nel
mercato editoriale, indipendentemente da ogni abuso; la Legge 223/1990 sulla disciplina
del sistema radiotelevisivo pubblico e privato, che ha esteso le regole antimonopolistiche e
di trasparenza dell’editoria a tutto il settore dell’informazione.