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Tesi Lettere 1 Senza App
Tesi Lettere 1 Senza App
Nota introduttiva
Questo saggio è il frutto di un lavoro di analisi della canzone intitolata “In Morte
di Luisa Ricciardi” di Maria Giuseppa Guacci Nobile, composta nel novembre del
1832, che compare per la prima volta nella raccolta del 1833 Prose e versi in
onore di Luisa Ricciardi, Contessa di Camaldoli, e nell’edizione del 1839 e del
1847 delle Rime. Partendo da un rapporto tra le varie edizioni attraverso un
apparato critico in cui la versione di riferimento, quella pubblicata nella raccolta
del 1847, viene messa a confronto con le precedenti, ovvero quella del 1839 e la
prima, del 1833, si riscontrano le differenze e i processi che hanno portato alla
versione definitiva. Poi si passa ad analizzare lo schema metrico e lo schema delle
rime della canzone, e successivamente ad esporre i risultati dell’analisi
intratestuale, evidenziando i riferimenti, che si riscontrano all’interno del testo, ad
altri autori che possono essere citazioni testuali, allusioni, immagini o ripresa dei
medesimi concetti. Il principale riscontro, ovvero quello più significativo, è quello
di riferimenti a sonetti o canzoni di Petrarca, e poi in secondo luogo quelli a
Tasso, Dante, Ariosto, Poliziano, Monti, per citarne solo alcuni. Non mancano
però rinvii a poeti e poetesse più vicini alla Guacci, tra queste troviamo: Vittoria
Colonna, Lucrezia Marinella, Isabella Andreini, Amarilli Etrusca, Diodata
Salluzzo. Proprio per la forte presenza di rimandi al Petrarca il saggio continua
con un commento che si incentra in modo particolare sull’aspetto del
petrarchismo nella canzone, contestualizzandolo all’interno del periodo storico-
letterario, ovvero il periodo della polemica tra classicisti e romantici, aprendo una
parentesi sull’ influenza dell’autore del Canzoniere nelle canzoni di un altro poeta
caro alla Guacci, Giacomo Leopardi, concentrandosi sulle somiglianze tra la
poetica del recanatese nel periodo delle canzoni civili All'Italia e Sopra il
monumento di Dante e quella della Guacci all’ interno di In Morte di Luisa
Ricciardi, prendendo come comune denominatore l’influenza della canzone
petrarchesca Spirto gentil, di cui si trova una citazione quasi letterale nel nostro
componimento. La somiglianza del modello e la somiglianza dell’argomento, ci
portano ad una somiglianza anche nel messaggio, di sfondo politico. Infatti
2
1 Cenni biografici
da queste riflessioni nacque una Storia del cholera. L’interesse della poetessa per
le classi meno abbienti fu così forte da scaturire nella fondazione, nel 1840, della
Società degli asili infantili. Inoltre lottò per l’istruzione primaria delle masse e
pubblicò nel 1841 l’Alfabeto e, le Seconde letture per fanciulli da’ 9 a 12 anni nel
1842. La Guacci è stata inserita a lungo in un filone patriottico nonostante
l’irreperibilità dei suoi scritti più politici2.
Nella formazione del suo pensiero politico fu fondamentale per la Guacci
l’ambiente della scuola del Puoti, in comunione di spirito con gli eventi che
determinano le sorti di Napoli e del Regno delle due Sicilie in quel tormentato
periodo culminato nella triste giornata del 15 maggio 1848. Le sue inclinazioni
politiche peraltro non avevano solo preoccupazioni di riassetto istituzionale della
penisola, ma si accompagnavano ad un acuto interesse per i problemi sociali e di
sviluppo della qualità del vivere, come dimostrano il suo desiderio di buon
governo e la speranza nelle buone disposizioni dei sovrani. Quando ad esempio,
nel gennaio 1825 era salito al trono delle due Sicilie il giovane Francesco I, la
Guacci aveva sperato nel nuovo Re dedicandogli la canzone Pel ritorno del Re
Francesco I e al suo successore Ferdinando II dedicò versi di positiva
compartecipazione alle vicende del monarca (Per le nozze del Re Ferdinando II
con Maria Cristina di Savoia e In morte di Maria Cristina di Savoia). Non si
trattava certamente di un cedimento della fede liberale della Guacci, ma della
condivisione di una diffusa speranza, propria di quegli anni, in una soluzione ai
problemi politici basata sul dirigismo riformistico della monarchia. Vero tuttavia
che la poetessa finì poi col ricredersi e, rendere giustizia al fallimento di quelle
speranze, come rivela implicitamente la vicenda testuale delle sue edizioni, dal
momento che in quella definitiva del 1847 risultano eliminati i componimenti per
Francesco I e per Ferdinando II. Della sua poesia oltre alle caratteristiche già
ricordate, sono da sottolineare i tratti di femminismo ante litteram, poiché un’altra
battaglia per cui la poetessa lottò in vita fu quella per l’emancipazione femminile,
intesa come risveglio da quel torpore che le aveva sempre tenute al di fuori del
mondo governato dagli uomini, e una sorta di deprecazione vera e propria per
colui che ha ridotto le donne in uno stato di ignoranza, povertà spirituale e timore
2
Per l’esercito italiano, Preghiera per l’Italia, Vibrato appello al presidente del Consiglio di Stato
perché venga usata clemenza a’ liberali, Dei nemici del paese, Il potere.
6
2 Analisi
2.1 Testo
Quando Notte pensosa
Copre la terra sotto le grandi ale
E il cielo apre i suoi lucidi sereni,
Spunta da l'aurea porta orïentale
Ora una stella or altra, e rugiadosa
Vien che di chiara luce arda e baleni;
Altra rotando pe'celesti seni
Fiammeggia a mezzo il corso;
Altra, quando più splende,
Ratta a l'occidental valle discende:
Tal de l'antica gente il lume è scorso,
Tale ogni vita di quaggiù s'accende,
Sfavilla e cade e muta loco e stato;
Chè il primo amor per questa vece eterna,
Tutto quanto il creato
Con perenne armonia volve e governa.
Identificheremo la terza edizione con: 47, la seconda con: 39, e la prima con: 33.
St. 1
discende; 39
39
discende; 33
33
dell’ 39
39
dell’ 33
33
[,] 47
39
[,] 47
33
[,] 47
39
[,] 47
33
Tuttoquanto 33
39
Tuttoquanto 47
33
33
St. 2 47
dell’ 47
39
dell’ 33
[,] [,] 47
[,] [,] 47
[,] 33
[,] 47
Ed or che 47
Ed or che 39
all’ 47
all’ 47
47
47
St. 3
15
33
suàvemente 47
viole
viole 47
sole, 47
sole, 39
delle 47
delle 39
47
39
all’
16
all’ 47
33
St.4 47
[,] [,] 47
[,] [,] 39
liete, 47
liete, 47
[(] 33
[(]
[)]; 47
[)]; 47
negli 47
negli 47
39
all’
17
all’ 47
all’ 39
all’ 33
Fenice 47
Fenice 47
47
St. 5 47
[,] 39
[,] 33
alla
alla
18
Alla 39
Alla 33
Agli 39
Agli 33
39
St. 6 33
Ghibellin 47
Ghibellin 39
47
vota 47
47
[,]
[,]
19
obbliate 47
obbliate 47
Delle delle 33
Delle delle 47
Apria 47
Apria 47
all’ 47
all’ 39
47
47
39
St. 7 33
dagli 33
20
dagli 47
[,] 33
[,]
securi 33
securi 47
[,] [,] 33
[,] [,] 47
Angel [,] 33
Angel [,] 47
v14 E,
Drizzan ladisse:
mente al [tuo
, ] medesmo segno:
[,] 33
47
segno. 47
all’ 47
all’ 47
St. 8 39
v1 Or del fornito calle 33
v2 Forse ragioni, o nobil pellegrina, 47
v3 Al buon Pastor che in tua virtù si piacque; 47
v4 E, di Sïon celeste or cittadina, 47
[ , ] Sion [,]
[ , ] Sion [,] 47
v5 Ogni alma vedi che in quest’ empia valle 47
v6 A l’onor de la scure un dì soggiacque. 47
All’ 39
All’ 33
v7 E forse in voi la carità non tacque 47
v8 De la materna sponda; 47
Della 47
Della 39
v9 E, poi che il cielo a prova 33
v10 Le cose di quaggiù spegne e rinnova, 47
v11 Forse tu preghi a noi l’alba gioconda 39
v12 Che tanto lume e tanta grazia piova, 33
v13 Che porti ne le nostre alme contrade 47
nelle 39
nelle 33
v14 Un chiaro giorno, e generosi canti, 47
v15 Ed onorate spade,
22
St. 9
subietto
stile,
[,]
[,]
fiamma;
fiamma;
St. 1
1 23 4 5 6 7 8 9 10 11
[3] E_ il cielo_ apre_ i suoi lucidi sereni,
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[4] Spunta da l'aurea porta_orïentale
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[5] Ora_ una stella_ or altra,_ e rugiadosa
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[6] Vien che di chiara luce arda_ e baleni;
1 2 3 4 5 678 9 10 11
[7] Altra rotando pe' celesti seni
1 2 34 5 6 7 8 9 10 11
[8] Fiammeggia_a mezzo_ il corso;
1 2 3 4 5 6 7
[9] Altra,quando più splende,
1 2 3 4 5 6 7
[10] Ratta_ a l'occidental valle discende;
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[11] Tal de l'antica gente_ il lume_ è scorso,
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[12] Tale_ ogni vita di quaggiù s'accende,
1 2 3 45 6 7 8 9 10 11
[13] Sfavilla_ e cade_ e muta loco_ e stato;
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
24
St. 2
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
St. 4
[1] E voi, ramose piante,
1 2 3 45 6 7
[2] Che di vati_ e di sofi_ a_ una leggiadra
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[3] Schiera l'ombre porgeste_ amene_ e liete
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[4] (De’ quai chi_ il cielo_ e chi la terra squadra,
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[5] Tal nota_ e segue_ ogni pianeta_ errante,
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[6] Altri_ carmi discioglie_ e lauri miete),
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[7] Ora_ un compianto flebile_ accogliete,
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[8] Vedove del bel riso
1 2 3 4 5 6 7
[9] Onde ne gli_ occhi_ ardea
1 2 3 4 5 67
[10] Allor che_ a l' ospital canto_arridea
1 2 3 4 56 7 8 9 10 11
[11] Questa ch' or fa più bello_ il paradiso.
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[12] Ahi! da che scinse_ acerba morte_ e rea
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[13] Sua fragil veste_ e diede a l'alma_ il volo,
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[14] D'ogni memore_cor sospiri_ elice,
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[15] Freddo rimasto_ e solo,
1 23 4 5 6 7
[16] Il nido_ ove_ abitò questa Fenice!
27
1 2 3 4 56 7 8 9 10 11
St. 5
[1] Un tempo fu che_ al prode
1 2 3 4 5 6 7
[2] Tornò funesto,_ anzi di duol fu seme
1 2 3 4 5 67 8 9 10 11
[3] Il santo amor de la paterna riva;
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[4] E tale_ (o sé beato !)_ a l'ore_ estreme
1 2 3 4 567 8 9 10 11
[5] Corse fregiato di non compra lode,
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[6] Altri raminga vita_ ebbe,_ o captiva;
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[7] Però di carità fiamma sì viva
1 2 3 456 7 8 9 10 11
[8] Prese quest'alta donna,
1 2 3 4 5 6 7
[9] Che_ a la vedova_ afflitta,
1 2 3 4 5 6 7
[10] A la scacciata prole derelitta,
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[11] A gli_ orbi vecchi fu salda colonna.
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
12 345 6 7
[16] Non ne terranno mai le lingue mute.
1 2 3 4 5 6 78 9 10 11
St. 6
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[5] Di questa ch'or lasciò la umana soma,
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[6] Poneste mente_ a le_obblïate cose.
1 2 3 4 5 6 78 9 10 11
[7] De le madri latine_ e de le spose
1 2 3 4 56 7 8 9 10 11
[8] A voi l'almo_ intelletto
1 2 3 4 5 6 7
[9] Aprìa novello_ esempio,
1 2 3 4 5 6 7
[10] Che di virtù verace_ e vivo tempio
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
12 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[15] 0 fior di cortesia,
1 2 3 4 567
[16] Appena de' tuoi dì scendendo l’ arco.
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
St. 7
[1] Una voce rampogna
1 2 3 4 5 6 7
[2] In su la morte_ i tristi,_e_ un vel da gli_ occhi
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[3] Lor cade,_ e l'opre schiude_ inique_ e felle;
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[4] E vien che l'ultim'ora orrenda scocchi,
1 2 3 4 56 7 8 9 10 11
[5] Che tutta carca di tema_ e vergogna
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[6] Dal caro_ albergo suo l’ alma si svelle;
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10
[7] Ma questa che_ aspettata_ era_ a le stelle,
1 2 3 45 6 7 8 9 10 11
[8] Poi che_ al mondo fallace
1 2 3 45 6 7
[9] Isicuri_occhi torse,
1 23 4 5 6 7
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[14] Drizzan la mente_ al tuo medesmo segno:
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[15] Quindi leggera_ e sciolta
1 23 4 5 6 7
[16] Trasse_ a l' altezza del beato regno.
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
St. 8
[1] Or del fornito calle
1 2 3 45 6 7
[2] Forse ragioni,_o nobil pellegrina,
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[3] Al buon Pastor che_ in tua virtù si piacque;
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[4] E, di Sïon celeste or cittadina
1 2 3 4 5 67 8 9 10 11
[5] Ogni_ alma vedi che_ in quest'empia valle
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[6] A l’onor della scure_ un dì soggiacque.
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[7] E forse_ in voi la carità non tacque
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[8] Della materna sponda;
1 2 3 4 5 6 7
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[13] Che porti ne le nostre_alme contrade
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[14] Un chiaro giorno,_ e generosi canti,
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[15] Ed onorate spade,
1 2 3 45 67
[16] E magnanime donne_ a te sembianti.
1 2 3 4 5 6 7 89 10 11
St. 9
[1] O dolorosa mia, che_ in veste negra,
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[2] Inculta movi_e lenta,
1 2 3 4 5 6 7
[3] Chè_ al subbietto gentile
1 2 3 4 5 6 7
[4] Nulla s’ agguaglia_ il tuo dir troppo umile,
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[5] Or ti conforta, chè gentil diventa
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[6] Qualunque_ a verità levi lo stile:
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[7] Chè, mentre_ ogni mortal luce tramonta,
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
Stanza 1
v1 “Quando Notte pensosa/ Copre la terra sotto le grandi ale”:
“Passa pensoso il dì, pensosa e mesta/ La notte”
Torquato Tasso, Gerusalemme Liberata, XVIII, st. 11, vv. 3-4;
“Pensosa notte, e si geme, e si duole,/E misera con lento mal si sface,”
Metamorfosi di Ovidio, libro II, 28, vv. 20-22, traduzione di Fabio Maretti (1749);
“E da quell’ ombre già pregnanti e rotte / L’ erebo nacque e la pensosa notte”
Vincenzo Monti, Musogonia (1793-97), 39, vv. 7-8;
“Odo un pensier, che bisbigliando dice,/Figlio del tempo a meditar t’ invita /L’
ora che fugge e la pensosa Notte”
Antonio Maria Ricci, Il Filantropo dell’Appennino, meditazioni filosofico
poetiche sulla creazione del mondo (1802), notte VI, vv. 1-3;
“Sacre ai sospir de la pensosa Notte”
Ivi, notte IV, 177,v. 2;
“E nel ciel vasto la pensosa notte /Sorge, che nel suo grembo l’inquiete/Cure
accoglie dei miseri mortali”
Paralippomeni d’ Omero, libro III, di Quinto Calabro Smirneo, tradotto da Teresa
Bandettini, in arte Amarilli Etrusca (1815);
“In te, pensosa notte/ Io meditando il volo/ E come un punto il suolo/ Riman dopo
di me”
Amarilli Etrusca, Poesie estemporanee (1835), Pluralità dei mondi, vv. 1-4;
“La pensosa cheta notte, / L’ ora rapida che passa”
Ivi, Dio Creatore, st. 29, vv. 1-2;
“Quando nel petto/ La Notte bruna/ Stilla il diletto/ Del meditar”
Pindemonte, Poesie campestri, La Melanconia, vv. 45-48.
“Nox ruit, fusci stellurem amplectitur alis”
Virgilio,Eneide,VIII, v.369;
“Et mentita diem nigras nox contrahit alas”
Manilo, Astronomicon ,lib. V, v. 60.
“Ma come uscì la notte e sotto l’ali/ Menò il silenzio, e i lievi sogni erranti”
34
3
In quest’ ultima citazione è presente anche l’immagine del cielo che accende le sue stelle, che
nella nostra canzone si trova al v. 3.
35
“La bella luce, che ‘n su l’aurea porta/ Aspettava del sol la prima uscita”
Marino, Adone, canto I, st. 21,vv. 1-2;
“E in su la soglia dell’aurata porta/ Giunto era il Sole e fea sparir le stelle”
Marino, La Strage degl’Innocenti, lib. II,vv. 3-4;
“E’l Sol quando s’aggiorna/ Sorger tutto ridente/Da la dorata porta d’Oriente.
Isabella Andreini, Rime (1601), Epitalamio II,vv.10-13;
“Mai sul Gange al Sol nascente/ L’auree porte d’ Oriente / Più bell’alba non aprì”
Metastasio, Il tempio dell’eternità (1731), primo coro, vv. 1-3
“La gran Porta Orientale apria già lAlba,/ Lieta spargendo all’aura mattutina/
Coronati di rose i bei crin d’oro./ Quindi dell’aurea porta uscendo fuori”
Bernardo Della Torre, Il Cristianesimo stabilito,VII, st. 2, vv. 13-16.
v5 “Ora una stella or l’altra, e rugiadosa/ Vien che di chiara luce arda e
baleni”:
“Né stelle mattutine e rugiadose/ Si mostran così vaghe in puro cielo”
Tasso, Rime d’ amore,405, vv.5-6;
“Qual mattutina stella esce dall’ onde/ Rugiadosa e stillante”
Tasso, Gerusalemme liberata, canto XV, 60, vv. 1-2;
“Qual già cadendo ne le salse spume,/ Suol dileguarsi rugiadosa stella”
Giuseppe Torelli, Per la contessa Stella de’ Medici (1795), vv. 7-8.
4
Tasso,Rime d’ amore, 398, In morte de la signorina Flaminia. Oltre a ricordare il primo verso
della nostra canzone, “Quando notte pensosa”, presenta anche altre somiglianze, come il paragone
tra le stelle e la donna scomparsa, che “in terra è spenta, ma raccesa in cielo” (v. 3).
36
“Ma di faville il cielo non anco ingombra/ E nello scudo è la celeste imago,/ come
ella appar, quando per nube adombra:/ Né giunta a mezzo ancor del corso
vago, /Riluce colle corna in mezzo all’ombra”
Tasso, Gerusalemme conquistata, XXI, st. 25, vv. 2-6;
“Maggior, se d'Oriente il vel dissolve;/ minore a mezzo il corso, ove risplenda”
Tasso, Rime, canzone XLI, In Lode della Casa Grillo,vv. 11-12;
“in su quell’ora appunto,/ Ch’a mezzo il corso giunto/ Febo s’arresta, e più
grand’arco tende,/ E più fiammeggia e splende;”
Ottavio Rinucccini, Il Narciso, favola in musica(1829), Atto III, Scena III;
“O quando il sol fiammeggia a mezzo il corso,/ O invia l’ultima luce al dì che
muore”
5
Leopardi, Frammento XXXIX, “Spento il diurno viaggio in Occidente”,v. 18.
37
“Queste cose che il ciel volge e governa,/ Dopo molto voltar, che fine
aranno?/[…] in etade immobile ed eterna”
Petrarca, Il trionfo della divinità,vv. 17-18, 21;
“Questi ogni dì volge e governa i capi”
Parini, Il Giorno, v. 583;
“Io chiamo te, per cui si volge e move/ La più benigna e mansueta sfera”
Marino, Incipit dell’Adone;
“Ne la sua vece eterna /Per magistero mai d’alma natura”
Tasso, Rime eroiche, Canzone XIV, vv.45-46;
“E tal con veci assidue agita e volve/ E governa il creato; simil forme / Serba colui
che un tal destin devolve”
Benedetto Vollo, La Sventura, poemetto lirico (1836), atto I, vv. 217-219.
Stanza 2
vv1-2 “Pur de l’immenso foco/ Vive ne’ petti nostri una favilla”:
“Tra parte prendi del mio immenso foco;/ O in me saetta men pungenti dardi”
Vittorio Alfieri, Rime(1789), sonetto IX,v. 3;
“Mentre, com’angiol, che ne’ petti accende/ Immenso fuoco di profondo ardore”
Diodata Salluzzo, Ipazia (1827), III, vv.86-87;
38
v8 “e d’amor vestita”6:
“Ma di gloria, per man d’amor vestita/ E di nova beltà che i lumi abbaglia”
Lord Byron, Lamento del Tasso7, V,vv. 26-27;
Virtù che più nell'anima si sente,/ Aurea virtù che se’ d’amor vestita”
Carlo Pepoli, L’Amicizia, vv. 8-9;
“Gli Angeli eletti, e più d’amor vestita/La melode parea de' Cherubini.”
Giuseppe Borghi, Cantica in morte di Vincenzo Bellini(1836), canto I, vv. 16-17.
v9 “Ogni alto spirto lascia”:
“Or c’ ha lasciato il mondo freddo e nero/ Di bella voglia ogn’alto spirto acceso”
Vittoria Colonna, Rime (1760), Sonetto XI, vv. 5-6.
v10 “In desiderio intenso, in grave ambascia”:
“verso 'l maggiore e'lpiu expedito giogo/ tirar mi suol un desiderio intenso;”
Petr., Canz., CXXIX, vv. 54-55;
“Alfin con molto affanno e grave ambascia/ Esce dall’antro”
Ariosto, Orlando furioso, XXXIV,45,vv.7-8;
“Che l’alma in questo corpo angoscioso/ È per la grave ambscia infievolita”
Boccaccio, Il Filostrato, V parte, st. XXX, vv. 3-4.
v11 “d’immortal lume si fascia”:
“Quel suo lume immortale onde si informa/ Ben ch’egli sia del ciel sì nobil dono”
Tasso, Rime d’ amore, È vostra colpa donna, o mia sventura, vv. 10-11.
v13 “Donna, che a l’altrui ben la vita spese”:
“Che d’altrui ben, quasi suo mal, si dole”
Petrarca, Sonetto CLXVII,186,v.8.
6
Questa locuzione si trova spesso nei testi religiosi, come attributo delle sante. Più spesso si
trovano “vestita di sole” come epiteto della Vergine, cfr. in Petrarca, Canzoniere,“Verginebella
che di sol vestita” che riprende Ap. 12, 1-2 “amicta sole…et in capite eius corona stellarum
duodecim”. Vd. Albertini C. (1832) , Le rime del Petrarca con note di Castelvetro, Tassoni,
Muratori ecc., Ciardetti.
7
Cfr. Lamento del Tasso di Lord Byron recato in italiano da Michele Leoni (1818), Pisa, Niccolò
Capurro.
40
vv14-16 “Oh come fatto se diserto e cieco /O dolce mio paese/ Quanta cagion
hai tu di pianger meco”:
“Ahi orbo mondo, ingrato, Gran cagion ai di dever pianger meco, Che quel bel
che era in te, perduto ai seco”
Petr., Canz., CCLIVIII, vv. 20-22.
Stanza 3
v1 “Fresco e fiorito colle”8
v3 “Sollecita educò rose e viole”:
“Haec mihi quae colitur violis pictura rosisque”
Marziale, Epigrammi, lib. X, 32, v. 1;
“le molte ghirlande di viole e di rose/ che a me vicina, sul grembo/ intrecciasti col
timo”
Saffo, Vorrei veramente essere morta, vv. 12-14;
“men che di rose e più che di viole/ colore aprendo, si innovò la pianta”
Dante, Purg. XXXII, vv. 58-59;
“E fortuna ed Amor pur come sole/ Così rose e viole/ ha primavera, e‘l verno ha
neve e ghiaccio”
Petrarca, Canzone XVI, vv. 46-48;
“Di rose incoronate e di viole”
Petr., Trionfo della morte, v. 27;
“Digli, che sappi usar sua fama bella/ Che sempre mai non son rose e viole”
Poliziano, Orfeo, Atto I, Pastorale, canto di Aristeo;
“Gigli spargendo va, rose e viole”
Ariosto, Orlando furioso, XV, 57, v. 6;
“Prodursi fuor di questi bei giardini/ Né di tai rose o di simil viole”
Ivi, canto X, 62, vv. 2-3;
“Tali non son, cred’ io, rose e viole” Tasso, Rime d’ amore, 390, v. 9;
“Sdegnerai credo queste, c’ hor t’ invio/ Non senza alti sospir rose e viole?”
8
Vd Commento
41
“L'aura soave che dal chiaro viso/ Move col suon de le parole accorte/ Per far
dolce sereno ovunque spira”
Petr., Sonetto CIX, vv. 9-11;
“E l’aura delle sue dolci parole, E il vento de’ sospiri Spiraron nell'incendio, e 'l
fer maggiore”
Tasso, Ecloghe, Dialogo tra Arezia e Tirinto, vv. 64-66;
“dolcissime parole” Petrarca sonetto CLXV, v.10.
v10 “del bel lume spento”:
“Donna, de’ be’ vostri occhi il lume spento”Petr., Canz. XII, vv.4-5.
v12 “Ove campò da’ folgori e dal vento”:
“Ove non spira folgore, nè indegno vento mai, che l’aggrave”
Petr.,Canzone VI, st.7, vv. 6-7.
Stanza 4
v1 “E voi ramose piante”:
“E voi, ramose piante,/ Ch'in quest'alpestro balzo / D'umor pascete l'antica radice;/
Fra quai la mia beatrice / Sola talor sen viene!”
Poliziano, Rime, Canzone CXXVII, st. 6, vv. 4-8;
“Piante, frondose piante” Tasso, Rime d’ amore,95, v.1.
“Quel vivo lauro ove solean far nido / li alti penseri, e i miei sospiri ardenti, / che
de' bei rami mai non mossen fronda/ al ciel traslato, in quel suo albergo fido/
lascio radici” Petr., Sonetto CCCXVIII, vv. 9-13;
“dolce mio lauro, ove habitar solea/ ogni bellezza, ogni vertute ardente,/vedeva a
la sua ombra honestamente / il mio signor sedersi et la mia dea./Ancor io il nido di
penseri electi/posi in quell'alma pianta” Petr., Sonetto CCCVII, vv. 5-10.
Benedetto Menzini, lib. XI, Sonetti Pastorali, IX, Incomodo della guerra,v.11;
“Peró d’ogni mia doglia io son contento./E se l’acerba morte allor pavento”
“O di gentil costume unico esempio,/ D’ogni alto pensier cagione e donna,/ Del
lasso viver mio sola colonna,/ Di celestial virtude in terra tempio;”11
Vittorio Alfieri, sonetto XLIV, vv. 1-4;
“tu sol descriver puoi,/ questa del viver mio salda colonna”
Gaspara Stampa, Rime, Sonetto CCLXI, vv. 13-14.
v12 “Oh sia questa dogliosa istoria scritta”:
“Dogliosa istoria/ E d’ amara e d’orribil rimembranza”
Eneide (trad. Caro), II, vv. 4-5.
vv15-16 “Che le future genti/ non ne terranno mai le lingue mute”:
“I suoi nimici/ non ne potran tener le lingue mute”
Dante, Par. XVII;
“Amor sospende a le future genti” T. Tasso, Rime d’ amore, 446, v. 13;
“periranno,/ Ma gloriosi, e alle future genti/ Qualche bel fatto porterà il mio
nome”
V. Monti, Iliade, vv. 385-386;
“Consacri in carte alle future genti / Per sparger, questi di virtude dolenti”
Vittoria Colonna, Rime, sonetto CXXII, vv. 4-5.
Stanza 6
“Vergine sola al mondo senza exempio,/ che 'l ciel di tue bellezze innamorasti,/
cui ne prima fu simil ne seconda,/ santi pensieri, atti pietosi et casti/al vero Dio
sacrato et vivo tempio”
Petrarca, Canzone CCCLIVI, vv. 53-57;
“Speron, ch’a l’opre chiare ed onorate,/ spronate ognun col vostro vivo esempio
(…) voi, d’ogni cortesia ricetto e tempio”
Gaspara Stampa, Rime (1554), CCLIII, v. 1-2, 7;
“L’alma vostra beltade/ De la divina esempio/ E di gloria immortale è vivo
tempio”
Tasso, Rime d’amore, 490, vv. 1-3;
“D’ ugualmente verace e vivo affetto,/ sede è quest’ alma”
Diodata Salluzzo, Poesie (1802), L’ augurio, vv. 20-21;
“Foste di Dio verace, e vivo Tempio”
“Narrar t’udia di che virtù fu tempio/ Il casto petto di colui che piangi”
Manzoni, in morte di Carlo Imbonati, vv. 11-12.
v14 “però giugnesti in su l’estremo varco”:
“Non mi lasciare in su l’estremo passo”
Petr., Canz. XLIX, v. 107;
“et quanto all’alma/ bisogna ir lieve al periglioso varco”
Petr., Sonetto XCI, vv.13-14.
49
Stanza 7
vv 3-4 “e un vel da gli occhi/ Lor cade, e l’opre schiude inique e felle”:
“et da squarciare il velo/ch’è stato avvolto intorno agli occhi nostri”
Petr., Canz. XXVIII, vv. 61-63;
“Sgombrando de gli sdegni il fosco velo”
Tasso, Rime d’amore, 415, vv. 11;
“E le luci impie e felle/ Quasi in tutto il ciel eran disperse”
13
L’ invocazione al fiore deriverebbe dalla poesia popolare in particolare dallo stornello toscano:
“stornello chiamato anche ramanzetto nelle montagne pistoiesi, ebbe forse nascita ed ha
certamente vigorosissima vita in Toscana. Esso, nella sua più comune e più stabile forma, è
composto di un quinario che ordinariamente contiene la invocazione di un fiore”
Cit. Ermolao Rubieri, Storia della poesia popolare italiana,Barbera,Firenze 1877, p.66.
14
Estratti da: Francesco Trucchi,Poesie edite ed inedite di dugento autoridall'origine della lingua
infino al secolo decimosettimo 1, Volume 1, Prato 1846.
50
“Forse pria, che da me l’alma si svella,/ Tua crudeltà farà pietoso il Cielo”
Isabella Andreini, Sonetto XVIII, vv. 13-14.
v7 “che aspettata era a le stelle”:
“O aspectata in ciel beata et bella/ anima che di nostra humanitade/ vestita vai,
non come l'altre carca
Petr., Canz. XXVIII, vv. 1-3.
v8 “Poiché al mondo fallace”:
“L’anima santa che ’l mondo fallace/ Fa manifesto a chi di lei ben ode”
Dante, Par. X, vv. 125-126.
v9 “I sicuri occhi torse”:
“movendo gli occhi che stavan sicuri” Par. XV, v. 15;
“li diritti occhi torse allora in biechi” Inf. VI, v. 91.
v10 “Indi l’angel di Dio lieto le accorse”:
“Quando l’angel di Dio lieto ci apparse”
Purg. XXVII, vv. 6-7.
v 14 “Drizzan la mente al tuo medesmo segno”:
“Allor mi dolsi, ed ora mi ridoglio /Quando drizzo la mente a ciò che io vidi”
Inf. XXVI, vv. 19-20;
“si lieta come bella/ -Drizza la mente in Dio grata-, mi disse”
Par. II, vv. 29-30.
“Fuggi 'l sereno e 'l verde,/ non t'appressare ove sia riso o canto,/ canzon mia no,
ma pianto: / non fa per te di star fra gente allegra, / vedova, sconsolata, in vesta
negra.”
Petr., Canz. CCLIVIII, vv. 78-82;
v4 “ Nulla s’ agguaglia”:15
“Et dolce honesto riso et quella gratia/ A cui cosa mortal nulla s’ agguaglia”
Lorenzo de’ Medici, Sonetto VII, vv. 13-14;
“Nulla s’ agguaglia al tuo valor superno”
Tasso, Intrichi d’ amore (commedia), choro fine del primo atto v. 8;
“Non si può, donne care, il più mostrarvi/ De le sue lode, a cui nulla s’agguaglia”
Ludovico Ariosto, Donne gentil che a meraviglia belle, 17, vv. 1-2;
v4 “il tuo dir troppo umile”:
“et temo ch’ ella/ non abbia a schifo il mio dir troppo humile”
Petr., canz. CCXLVII, v. 6;
“ed alzava il mio stile/ sovra di sè, dove or non poria gire”
Petr., Sonetto CCLXX, vv. 37-38.
2.5 Parafrasi
Stanza 1
Quando Notte pensosa
Copre la terra sotto le grandi ale
E il cielo apre i suoi lucidi sereni,
Spunta da l'aurea porta orïentale
15
Vd. anche in commento.
55
Quando la notte che induce a pensare copre la terra sotto le sue grandi ali, e il
cielo accende i suoi astri lucenti, dalla porta aurea ad oriente 16, spunta ora una
stella, ora un’ altra, e appare affinché splenda di una luce chiara; un’altra
percorrendo il cielo, sfavilla a metà del tragitto, un’altra nel momento in cui
splende di più, precipita rapida verso occidente: allo stesso modo è passato l’astro
degli antichi, e così ogni vita di quaggiù si accende, sfavilla e perisce e cambia
luogo e stato, siccome Dio, con perenne armonia governa e dirige tutto il Creato
verso questo destino eterno.
Stanza 2
Pur de l' immenso foco
Vive ne' petti nostri una favilla
Che non si spegne per girar di cielo;
E, al segnato suo dì, vie più tranquilla
Salendo ove non è tempo nè loco,
Lascia il corpo quaggiù che le fea velo;
E dove accesa di fervido zelo
Visse, e d'amor vestita,
Ogni alto spirto lascia
In desiderio intenso, in grave ambascia,
E la natìa contrada impoverita.
Tale, or che d’ immortal lume si fascia
Donna, che a l'altrui ben la vita spese,
Oh come fatto se’diserto e cieco
O dolce mio paese!
16
Porta orientale del tempio di Gerusalemme, detta anche porta d’ oro. Gerusalemme come punto
di riferimento geografico e astronomico è tipico nella Divina Commedia.
56
Eppure nei nostri cuori vive una scintilla del sacro fuoco che non si spegne con il
passare del tempo; e giunto il suo giorno, salendo dove non esiste né il tempo né
lo spazio, lascia il corpo che quaggiù le faceva da veste; e nel luogo in cui visse
accesa da una fervida operosità e piena d’amore, lascia in ogni uomo dal grande
animo una profonda nostalgia e una forte angoscia, e la terra natia impoverita.
Senza quella donna, che ha speso la sua vita per il bene degli altri, come sei
diventato desolato o dolce mio paese! Quanta ragione hai di piangere con me!
Stanza 3
Fresco e fiorito colle
Ove questa gentil söavemente
Sollecita educò rose e vïole,
O gelid' antro, o valletta ridente,
O giovin prato dilettoso e molle,
O boschetti ove invan percote il sole!
L'aura de le dolcissime parole
Ancor viva qui spira;
Qui pietoso un lamento
Par che risuoni del bel lume spento;
E qui segna con mano, indi sospira
Ove campò da' folgori e dal vento
Il pellegrino affaticato e scarno;
E il lacero orfanel, fatto importuno,
Attende a l'uscio indarno
La donna onde solvea spesso il digiuno.
Colle rigoglioso e fiorito, dove questa donna premurosa amabilmente curò rose e
viole, o grotta gelida, o valle amena, o prato accogliente e delicato, o boschetti
dove il sole batte invano! Il vento che porta con sé il suono delle dolcissime
parole soffia ancora forte; qui sembra risuonare un lamento pietoso per la vita
preziosa che si è spenta; il pellegrino affaticato e scarno indica con la mano questo
luogo e rimpiange il posto dove si riparò dai fulmini e dal vento; e l’orfanello
vestito con abiti logori, divenuto inopportuno, aspetta inutilmente all’uscio, dove
la donna spesso lo sfamava.
Stanza 4
57
E voi, piante colme di rami che amene e liete offriste la vostra ombra a una nobile
schiera di poeti e di studiosi (dei quali alcuni studiano il cielo e altri la terra, l’uno
osserva e segue ogni pianeta che si muove, l’altro compone carmi e si procura la
gloria), ora accogliete un pianto lacrimevole, voi rimaste vedove del bel sorriso
che splendeva negli occhi di lei quando godeva del canto accogliente, lei che ora
fa più bello il Paradiso. Ahi, da quando la morte prematura e colpevole ha preso il
corpo che le faceva da velo e ha dato il volo all’anima, il luogo dove ha vissuto
questa donna di rare virtù, rimasto freddo e solo, fa trarre sospiri ad ogni cuore
che la ricorda.
Stanza 5
Un tempo fu che al prode
Tornò funesto, anzi di duol fu seme
Il santo amor de la paterna riva;
E tale (o sé beato !) a l'ore estreme
Corse fregiato di non compra lode,
Altri raminga vita ebbe, o captiva;
Però di carità fiamma sì viva
Prese quest'alta donna,
58
Stanza 6
E tu, perduta Roma,
E tu del fero ghibellin desio,
E tu, non vôta ancor d'alme sdegnose,
Felsina, al ragionar cortese e pio
Di questa ch'or lasciò la umana soma,
Poneste mente a le obblïate cose.
De le madri latine e de le spose
A voi l'almo intelletto
Aprìa novello esempio,
Chè di virtù verace e vivo tempio
Fu la serena fronte e il casto petto.
Ahi com'è breve al giusto e lunga a l'empio
Di questa terra l’intricata via!
Però giugnesti in su l'estremo varco,
O fior di cortesia ,
Appena de' tuoi dì scendendo l’arco.
E tu, Roma ormai perduta, e tu, che sei l’oggetto del desiderio del ghibellino
spietato, e tu Bologna, non ancora priva di anime disdegnose, grazie alle parole
nobili e pie di colei che adesso ha lasciato l’umanità, poneste attenzione alle cose
59
dimenticate. A voi riportava alla mente l’antico esempio delle madri e delle mogli
latine, perché il suo volto sereno e il petto casto furono un autentico e vivo tempio
di virtù. Ahi com’è breve per il giusto e lunga per il malvagio la strada intricata di
questa terra! Però sei giunta alla porta del cielo, o fior di cortesia, non appena
arrivata alla vecchiaia.
Stanza 7
Una voce rampogna
In su la morte i tristi,e un vel da gli occhi
Lor cade, e l'opre schiude inique e felle;
E vien che l'ultim'ora orrenda scocchi,
Che tutta carca di tema e vergogna
Dal caro albergo suo l’alma si svelle;
Ma questa che aspettata era a le stelle,
Poi che al mondo fallace
1 sicuri occhi torse,
Vide infinita gente a cui man porse,
Per lei tolta di guerra e posta in pace.
Indi l'angel di Dio lieto le occorse,
E: vieni, disse; i figli, a cui se' volta,
Drizzan la mente al tuo medesmo segno:
Quindi leggera e sciolta
Trasse a l' altezza del beato regno.
Una voce ammonisce le persone tristi sulla morte, e un velo cade dai loro occhi, e
svela l’opera ingiusta e amara; arriva il momento in cui scocca l’ultima ora, in cui
l’anima tutta carica di paura e timore si separa dal suo caro ospite. Ma questa, che
era attesa dalle stelle, dopo aver distolto lo sguardo sincero dal mondo
ingannevole, vide una moltitudine di persone, alle quali aveva recato aiuto, grazie
a lei allontanate dal peccato e poste in pace. Qui le si avvicinò lieto l’angelo di
Dio, e disse: vieni, i figli, ai quali sei rivolta, volgono la mente alla tua stessa
direzione: quindi leggera e sciolta la condusse verso il Beato Regno.
Stanza 8
Or del fornito calle
Forse ragioni, o nobil pellegrina,
Al buon Pastor che in tua virtù si piacque;
E, di Sïon celeste or cittadina,
60
Ora forse racconti del tuo complicato cammino, o nobile pellegrina, al buon
Pastore che si compiacque per la tua virtù; e ora che sei cittadina di Sion, vedi
ogni anima che un giorno in questa povera terra soccombette all’estremo onore
della falce. E forse in voi non si è spento l’amore verso la terra materna, e poiché
il Cielo, a prova dell’esistenza di Dio, le cose di quaggiù fa morire e rinascere,
forse tu preghi la generosità di Dio, affinché piova tanta luce e tanta grazia divina
da portare nelle nostre fertili terre un giorno luminoso, e canti generosi, e onori
militari, e donne magnanime e simili a te.
Stanza 9
O dolorosa mia, che in veste negra,
Inculta movi e lenta,
Chè al subbietto gentile
Nulla s’agguaglia il tuo dir troppo umile,
Or ti conforta, chè gentil diventa
Qualunque a verità levi lo stile:
Chè, mentre ogni mortal luce tramonta,
Sol dura il ver pari ad eterna fiamma.
Sincera or movi e pronta,
Per tutta Italia, come amor t'infiamma.
Canzone mia addolorata, che vestita di nero, ti muovi incolta 17 e lenta, poiché il
tuo dir troppo umile non si addice al soggetto gentile, adesso ti conforta che
diventa gentile qualunque (canzone) tratti la verità. Poiché, mentre ogni luce
17
Inculta sta per non colta, rozza, disadorna, mediocre.
61
mortale tramonta, solo il vero dura come un’eterna fiamma. Adesso vai sincera e
pronta, per tutta Italia, siccome sei accesa dall’ amore.
3 Commento
3.1 Struttura:
La canzone è formata da nove stanze di sedici versi ciascuna eccetto l’ultima,
ovvero il commiato, che è formata da dieci versi.
62
Lo schema delle rime, in cui indichiamo con le lettere minuscole i settenari e con
le maiuscole gli endecasillabi, è: aBCBACCdeEDEFGfG per cui si ha una
concatenazione di rima invertita e rima incrociata tra i due piedi della fronte,
esattamente al centro si trovano i due versi settenari di cui il secondo corrisponde
alla chiave e rima con il verso precedente, ed introduce la sirma che presenta la
rima alternata degli ultimi quattro versi di cui il penultimo è un settenario.
3.2 Argomento:
Il componimento inizia con una particolare metafora che paragona la vita terrena
agli astri, che sorgono, brillano e tramontano, così come gli uomini nascono
vivono e muoiono, alcuni dopo aver vissuto a lungo, altri quando sono nel pieno
della loro vita, quando più splende, vengono strappati ad essa dalla volontà
divina, alla quale non si può sfuggire. Però la poetessa afferma che nonostante
questo destino avverso, c’è una favilla in ognuno di noi che non si spegne
nemmeno con la morte, e si ricongiungerà con Dio. Inizia allora a compiangere la
donna defunta e invoca i luoghi che le furono cari, dove l’aura de le dolcissime
parole ancor viva qui spira, invitandoli a piangere con lei, e descrive la donna
come caritatevole verso i più deboli, piena di eccezionali virtù, tanto da essere un
esempio per gli uomini e le donne che la ricordano. Menziona le opere di carità
fatte dalla donna, e si rivolge alle piante del giardino di Villa Ricciardi, che aveva
accolto scienziati, artisti e poeti, e che ora era freddo rimasto e solo. Dopo essersi
rivolta al colle e al giardino, delineando una sorta di climax, si rivolge all’Italia, e
in particolare a Roma, a una città che non nomina ma definisce del fero ghibellin
desio e che possiamo ipotizzare si tratti della sua Napoli, oppressa dal governo
63
Questa canzone, fu composta dalla Guacci per la morte della poetessa, madre
dell’amica Irene, Luisa Ricciardi, contessa di Camaldoli, scomparsa nel marzo del
1832. Composta nel novembre dello stesso anno compare nella raccolta del 1833
Prose e versi in onore di Luisa Ricciardi18, Contessa di Camaldoli, e nell’edizione
del 1839 e del 1847 delle Rime. È presente inoltre in varie antologie, raccolte, e
articoli di giornali del tempo. Tra questi la raccolta del 1843 Gemme; o, Rime di
poetesse italiane antiche e moderne di Antonio Ronna19, in cui le poesie della
Guacci compaiono insieme a quelle di poetesse contemporanee, come l’amica
Irene Ricciardi, e quelle di poetesse del secolo precedente o dell’ epoca
immediatamente anteriore a quella della Guacci come Vittoria Colonna, Lucrezia
Marinella, Isabella Andreini, Amarilli Etrusca, Diodata Salluzzo, queste, tutte
citate nei riferimenti trovati nella canzone in analisi. Per quanto riguarda le
antologie, la canzone è presente nell’Antologia didattica dell'arte della parola
offerta alle giovanette italiane da Raffaello Rossi20 dove a titolo d’esempio per le
studentesse sono esposte le rime delle maggiori poetesse italiane. Viene
18
Prose e versi in onore di Luisa Ricciardi, raccolta B. Puoti, Tipografia del Procelli, Napoli 1833.
19
Antonio Ronna, Gemme o rime di poetesse italiane antiche e moderne, Baudry, Parigi 1843;
questo saggio compare anche come appendice ad un’altra raccolta di poesie , ovvero : Cantù
Cesare, Parnaso italiano di Poeti italiani contemporanei, maggiori e minori. Preceduti da un
discorso preliminare intorno a Giuseppe Parini e il suo secolo, scritto da Cesare Cantù, e seguiti
da un saggio di rime di poetesse italiane antiche e moderne, scelte da A. Ronna, Baudry, Parigi
1843 – 1847.
20
Raffaello Rossi,Antologia didattica dell'arte della parola offerta alle giovanette italiane da
Raffaello Rossi Tipografia Tofani, Firenze 1871.
64
“La canzone della Guacci è pregevolissima tanto per la forbitezza dello stile,
quanto per la nobiltà delle immagini; e bene vi scorgi quel forte ed insieme
affettuoso sentire del Petrarca allorchè piangeva sopra i mali d’ Italia. E perché
ognuno possa da per sé giudicarne, noi recheremo alcuni versi nei quali è dipinta
la pietà e la cortesia della buona Luisa verso quegl’ infelici, ai quali, come dice
Dante: -i lieti onor tornaro in tristi lutti-” riporta la quinta stanza della canzone,
e aggiunge più avanti “sarebbe nondimeno desiderabile dalla illustre donzella
ch’ella non istendesse alcuna volta troppo la dizione ancorchè leggiadra,
spezialmente quando il pensiero non è molto pellegrino: chè stimiamo (nella
prima strofe) traboccante ricchezza di locuzione, dodici versi per mostrare che
siccome le stelle in cielo -altre sorgono altre sono a mezzo il corso, altre vengono
all’ occaso, così come il lume dell’ antica gente è scorso ed ogni vita di quaggiù
si accende, sfavilla ,e cade-; come anche di non far apertamente sentire la brama
di levarsi troppo alto e di non prender la cosa più da lungi di quanto il subbietto
richieggia…”
Quindi l’articolo, che termina con una lode alla Guacci, che viene definita valente
poetessa, resta comunque una celata critica al petrarchismo e all’esagerazione
delle metafore nella nostra canzone e quasi un invito, rivolto alla poetessa, a
migliorarsi.
21
Giornale Arcadico di Scienze Lettere ed Arti, Tomo XL, luglio,agosto e settembre 1833,
stamperia del Giornale Arcadico presso Antonio Boulzaler, Roma pp. 261,263.
65
giudicare come una pecca ma considerare facendo conto del contesto storico,
artistico, e letterario, sul quale apriamo una breve parentesi. Ci troviamo infatti
nel periodo in cui è in atto la polemica tra i vecchi valori del Classicismo e quelli
nascenti del Romanticismo. Il primo che vuole riproporre la cultura classica, il
secondo sostenitore di una cultura nuova e al passo con i tempi, che si ponga
come problema anche quello dell’indipendenza nazionale, il rifiuto dei modelli
classici, l’esaltazione della creatività e sostiene il ruolo cruciale delle
traduzioni dalle letterature straniere per svecchiare la tradizione nazionale, ancora
legata al gusto della mitologia classica e a una letteratura più di forma che di
sostanza. Nasce così il concetto di poesia popolare, che è opposta alla maniera
imitativa dei classicisti e che secondo la loro visione sa assecondare e coltivare lo
spirito nazionale, a differenza del Classicismo, che è solo “imitazione di
imitazione”, in quanto non sa che replicare senza sentimento né partecipazione le
formule degli antichi. In questo clima di polemica un autore che si oppone alla
corrente romantica in difesa dei valori classicisti è Leopardi, ma nel prenderne le
parti egli al contempo si distacca dall’accademica imitazione dei modelli antichi,
promuovendo invece un’attenzione per i classici che colga tutta la loro vitalità
autentica e primogenia, scaturita da un contatto più vicino con la natura. Leopardi
quindi può essere definito classicista- romantico, il cui scopo era una poesia fuori
dagli schemi, che rispettasse la tradizione classica e allo stesso tempo la
rinnovasse. Anche la Guacci, per le radici puriste della sua cultura, per la sua
formazione neoclassica su un temperamento romantico, è fortemente influenzata
dalla secolare tradizione letteraria italiana che è tutta presente nella sua
produzione, da Dante ai poeti rinascimentali fino ai contemporanei. E non si deve
ritenere che il “lungo e accurato studio di quegli autori gliene aveva fatto così
bene immedesimare i pensieri e la loro espressione che nel formare ed esprimere i
propri, trovandosi nella identica disposizione d’animo e di mente le veniva fatto di
concepirli ed esprimerli colle loro stesse parole” 22ma che la dipendenza della sua
poesia dalla tradizione e dagli studi severi non è mai pedissequa, ma sempre
originale. Ricevette, come il recanatese, un’educazione classica, e come lui non si
distaccò mai dai modelli del passato, tanto che nella sua poesia troviamo
22
Cleofe,Staurenghi, Quarantino,Vita e studi sulle opere di Giuseppina Guacci Nobile, Trani,
Napoli 1892, p.190.
66
riferimenti, oltre che a Petrarca, a Dante, Ariosto,Tasso, Monti, per citarne solo
alcuni, ma, a differenza di Leopardi,non si allontanò dalle forme classiche, e dalle
strutture metriche della tradizione, che sono forse il segreto della forte musicalità
delle sue poesie.23
Dalla lettura della nostra canzone fin dalla prima stanza ci rendiamo conto del
legame profondo che lega la Guacci alla tradizione classica, infatti nelle prime
stanze troviamo il topos del locus amoenus, tipico della poesia bucolica di
Teocrito e del Virgilio delle Bucoliche , tradizione dalla quale attinse anche
Leopardi per i suoi Idilli, e con echi a Petrarca e a Tasso delle poesie pastorali,
che compaiono più volte nella canzone.24 Evidenti sono la continua invocazione
alla Donna, l’utilizzo di parole appartenenti all’aria semantica della luce e del
fuoco25, l’uso dei vocativi, tutti elementi presenti nella poesia stilnovista, e che
Petrarca aveva fatto suoi. Prendiamo ad esempio la terza stanza della canzone. La
stanza precedente era terminata con una citazione velata del Sonetto CCLIVIII del
Petrarca, la successiva si apre con un riferimento quasi letterale del sonetto
petrarchesco Fresco,ombroso, fiorito e verde colle che diventa invocazione al
colle Camaldoli, e tutta la terza stanza sembra essere un rifacimento della canzone
Chiare fresche e dolci acque così come afferma Carmelina Naselli nel suo libro Il
Petrarca nell’Ottocento26, nel quale analizzando la poesia della Guacci individua
proprio nella canzone In Morte di Luisa Ricciardi, chiari esempi di petrarchismo
ottocentesco. La Naselli continua sostenendo che l’invocazione che segue
all’antro, alla valletta, al prato, ai boschetti, si ricollega al sonetto CCCIII “Amor
che meco al buon tempo ti stavi”, anche le espressioni del bel lume spento (v.10),
e l’arder del bel riso (st.4, v.9) sono petrarchesche. Continua, riferendosi alla
quarta stanza:
23
Cfr. Nunzia Soglia, Le Rime di Maria Giuseppa Guacci Nobile tra l’insegnamento del Puoti e la
poesia di Leopardi, Associazione degli italianisti, XIV Congresso nazionale, Università degli
Studi di Genova, 15-18 settembre 2010.
24
A tale proposito si rimanda, per tutti i riferimenti, all’ analisi intertestuale, cap. 2.
25
Es.:st.1, v.6 arda e baleni; ivi, v.9 splende; ivi v. 12 accende
26
Carmelina Naselli, Il Petrarca nell’ Ottocento, F. Perella, Napoli 1923, pp. 509-511.
67
“All’idea delle ramose piante che offrirono lieta ombra ai frequentatori di casa
Ricciardi, ed ora son vedove del bel riso della padrona, servirono d’ispirazione ill
sonetto in cui il Petrarca si rivolge al lauro che soleva proteggere con la sua
ombra Laura e Amore (CCCXVII), e l’altro in cui esprime il dolore di vedere
oscurati i colli dove nacque la sua donna (CCCXXI)”.
Sulla quarta stanza tuttavia e specialmente sul primo verso, bisogna aprire una
parentesi poiché corrisponde al primo verso della Canzone del Poliziano,
CXXVII, dalla quale ha chiaramente attinto la Guacci. Il poeta scrivendola ha
preso norma a sua volta da quella celebratissima del Petrarca, Chiare fresche e
dolci acque.27 Leggendo la prima stanza della canzone, inoltre, appaiono gli stessi
temi delle stanze tre e quattro del nostro componimento, infatti:
Abbiamo detto che la poetessa invoca le piante del giardino di Villa Ricciardi,
luogo a lei carissimo, tanto da dedicarvi un componimento a parte, intitolato
proprio Villa di Camaldoli, stanze che furono pubblicate alla fine della raccolta
del 1833 Prose e versi in onore di L. Ricciardi e che sono recensite nello stesso
numero del Giornale Arcadico28 in cui era presente la recensione della nostra
canzone. Le stanze vengono introdotte da un affettuoso elogio della Guacci da
parte di B. Puoto, l’editore, ma non si manca neanche in questa recensione di
muovere critiche alla Guacci. Infatti Ranalli scrive:
“In queste ottave è descritto l’amenissimo colle di Camaldoli dove la buona Luisa
viveva più tranquilli e più sereni i suoi giorni dilettandosi nella innocente coltura
delle piante e dei fiori”e più avanti, dopo la critica di alcune espressioni leggiamo
27
Vd. Nannucci V. e Ciampolini L. (1845), Rime di m.r Angelo Poliziano con illustrazioni dell’abate
V. Nannucci e di L. Ciampolini, Firenze, Niccolò Carli, p.363.
28
Giornale arcadico di Scienze, Lettere ed Arti, cit., pp.266-268.
68
“è veramente puerile l’ invocazione della verità (…) quasi che alcuno potesse
esservi che volesse dubitare delle cose che si vengono descrivendo, come l’
amenità del loco, la purezza dell’aria, il verde delle piante e tutto ciò che forma le
delizie di una villa. Adire il vero nel leggere la prima ottava noi credevamo che la
Guacci volesse donarci un bel poema eroico e confessiamo di esserci gabbati in
quel loco al ciel diletto immaginando o il sepolcro di Cristo, o l’antico Eden …”
Ancora una volta vengono mosse alla nostra poetessa accuse di esagerazione ed
esasperazione di immagini e metafore troppo ardite per i temi trattati.
Tornando alla nostra canzone, dopo il suddetto lamento nella quarta stanza, si
presenta la quinta stanza, che era apparsa a Ranalli come una prova evidente
dell’imitazione petrarchesca della Guacci, tanto da citarla nell’articolo, e allo
stesso modo la pensa anche la Naselli, che nel suo libro ne riporta i versi 7-11:
Però di carità fiamma sì viva/prese quest’ alta donna / Che a la vedova afflitta/A
la scacciata prole derelitta,/ A gli orbi vecchi fu salda colonna.
e asserisce che si ricollegano alla stanza quinta della canzone Spirto gentil:
Le donne lagrimose, e'l vulgo inerme
De la tenera etate, e i vecchi stanchi
Ch'anno se in odio et la soverchia vita,
E i neri fraticelli e i bigi e i bianchi,
Coll'altre schiere travagliate e'nferme,
Gridan: O signor nostro, aita, aita.29
Continuando nella nostra lettura ci rendiamo conto che quello alla quinta stanza
non è l’unico rifermento alla canzone. Infatti la stanza successiva vuole essere un
monito all’Italia, in particolare a Roma, Bologna, a seguire l’esempio di virtù
delle madri latine e delle spose che rappresentano i valori di un’epoca di
grandezza ormai andata perduta. Questa è una citazione, non di espressioni ma di
concetti, della terza stanza della stessa canzone di Petrarca:
L'antiche mura ch'anchor teme et ama/et trema 'l mondo, quando si rimembra/del
tempo andato e 'n dietro si rivolve, /e i sassi dove fur chiuse le membra/di ta' che
29
Petr., canzone LIII, Allo spirto gentil, 5, vv.1-6.
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non saranno senza fama,/se l'universo pria non si dissolve,/et tutto quel ch'una
ruina involve,/per te spera saldar ogni suo vitio.(ivi vv. 1-8)
Proseguendo, non possiamo non notare il richiamo nella settima stanza alla
canzone O aspectata in ciel che non si limita alla citazione del primo verso che
aspectata era a le stelle, ma i riferimenti continuano anche nella stanza
successiva, e si comprendono leggendo parallelamente i due testi. Oltre a quelli
già citati troviamo all’interno della canzone anche rimandi agli stessi concetti, che
ci fanno pensare che non siano solo riferimenti petrarchesci casuali e non
intenzionali, dovuti al profondo studio del Canzoniere, come gli altri sparsi
all’interno del testo, ma che la Guacci abbia preso proprio come modello questa
canzone dei Rerum Vulgarium Fragmenta. Riportiamo alcuni versi da confrontare
parallelamente:
quello della canzone Una donna più bella assai che ’l sole:
canzone di Petrarca Spirto Gentil, di cui fa una citazione nell’ incipit quasi
letterale:
“O patria mia, vedo le mura e gli archi e le colonne e i simulacri e l’erme torri
degli avi nostri, ma la gloria non vedo, non vedo il lauro e il ferro ond’eran
carchi i nostri padri antichi. Or fatta inerme, nuda la fronte e nudo il petto
mostri.”30
30
Che corrisponde nella canzone Spirto gentil: “L’antiche mura ch'anchor teme et ama/ et trema 'l
mondo, quando si rimembra/ del tempo andato e 'n dietro si rivolve,/ e i sassi dove fur chiuse le
membra/ di ta' che non saranno senza fama,/ se l'universo pria non si dissolve// et tutto quel
ch'una ruina involve,/ per te spera saldar ogni suo vitio” vv. 29-36.
31
(Epist. I, 259)lettera del 1819 indirizzata all’amico Pietro Giordani. Considerazioni simili si
trovano anche in alcuni pagine dello Zibaldone di quegli anni, nelle quali ancora Petrarca e nello
specifico le canzoni civili sono additate a massimo modello di poesia, esempi di semplicità e
candidezza, accompagnate da nobiltà e magnificenza del dire, forza delle sentenze e delle
immagini (Zib. 23, 29-30, 70).
72
Quindi sia nelle prime canzoni di Leopardi sia nella produzione guacciana c’è un
fine comune, quello civile. Ma se da una parte la poetessa continuerà per tutta la
vita a credere nei principi liberali e nella possibilità di un governo giusto,
dall’altra Leopardi abbandonerà la politica fino a disprezzarla, ritenendola
inutile, dal momento che non serve a procurare la felicità dell’uomo, destinato a
essere fatalmente infelice.
Abbiamo visto come anche nella canzone da noi trattata ci sia più che un
riferimento alla canzone Spirto gentil, celebrata da Leopardi, il filo conduttore
sembra essere quindi quello civile e politico. Per capirlo bisogna prendere in
analisi proprio la quinta stanza della canzone. Qui i riferimenti al prode, a la
vedova afflitta, a la scacciata prole derelitta potrebbero non essere riferimenti
vaghi alle molte persone aiutate in vita dalla contessa. Luisa Granito aveva in
comune con la poetessa non solo l’amore per l’arte della parola, ma anche il
pensiero politico e l’attenzione nei confronti delle classi sociali più deboli. Grazie
a lei e al marito, Francesco Ricciardi, Villa di Camaldoli divenne meta di
importanti personalità napoletane, tanto da essere definita il centro degli incontri
politici di quelle personalità che formarono poi i moti rivoluzionari napoletani
del 1848.
Non bisogna infatti dimenticare il lato ribelle di Luisa Granito, la quale trasmise al
figlio, Giuseppe Ricciardi, futuro esponente e politico del movimento patriota pro-
Italia, le sue idee popolari, o certamente fece parte della sua formazione
ideologica per ammissione del figlio stesso:
“ mia madre, comeché nobile, tra per la sua mente svegliata e la sua indole generosa,
e forse anche per essere stata ferita nel vivo da questi sciocchi pregiudizi aristocratici,
pendeva apertamente verso le idee popolari, cui, senza accorgersene, veniva
instillando nei suoi figlioli, e massime in me, nel quale trovava un'anima a ciò
predisposta mirabilmente.”32
Luisa visse le vicende della Repubblica napoletana del 1799 e riuscì a salvare
insieme al marito, avvocato, molti patrioti napoletani condannati da Ferdinando
32
Giuseppe Ricciardi Memorie cit. p. 27 in Nel desiderio delle tue care nuove: scritture private e
relazioni di genere nell'Ottocento risorgimentale.
74
IV. Tra questi la figura più importante risulta essere quella del vescovo Bernardo
Della Torre, un vescovo di idee patriottiche che era stato la guida religiosa e
morale della contessa. L’adesione del vescovo alla Repubblica partenopea, è
dimostrata dalla pubblicazione di una Pastorale “del cittadino". Durante quei mesi
il vescovo si adoperò per ottenere indulgenza per gli insorti e per mantenere la
pace e l'ordine, collaborando col nuovo governo anche come membro della
commissione ecclesiastica. Dopo la caduta della Repubblica fu catturato mentre si
nascondeva nella casa della contessa Granito, fu rinchiuso in Castel dell'Ovo e
sottoposto a processo dalla giunta di Stato. La difesa sostenuta da F. Ricciardi,
servì a salvargli la vita, ma fu comunque condannato alla deportazione perpetua
(25 ott. 1799), si rifugiò a Marsiglia, meta di molti esuli della reazione.33
Un’altra figura che la contessa Granito aiutò in quel periodo così movimentato
della Repubblica Napoletana fu una sua cara amica, la duchessa di Popoli Maria
Antonia Carafa, definita da Eleonora Pimentel de Fonseca “Madre della Patria”,
trovandole rifugio presso la casa di Aurora Prevetot, fidanzata del noto
patriota Vincenzo Russo, uno dei massimi esponenti del giacobinismo. Quindi
possiamo ipotizzare che a queste due figure, così come a tutti i caduti per la causa
della Repubblica, alluda la Guacci nella quinta stanza della canzone quando si
riferisce al prode Bernardo Della Torre esiliato a Marsiglia insieme a molti altri e
che quindi dovette soffrire insieme a loro del santo amor de la paterna riva. E a
M. Antonia Carafa, vedova afflitta, uccisa dal dolore per la perdita del figlio
condannato alla ghigliottina, morto insieme a molti altri figli e mariti che
combattevano per la stessa causa, durante il governo di Ferdinando IV.
I due patrioti, così come Luisa Granito, dovevano essere per la Guacci un forte
esempio morale e civile da seguire e da imitare, è per questo che nella canzone a
lei dedicata esprime la speranza che le azioni compiute dalla donna non cadano
nell’oblio: Oh sia questa dogliosa istoria scritta/ Nel molle cor de’ pargoli
innocenti,/ E di costei l’angelica virtute!/ Chè le future genti/ Non ne terranno
mai le lingue mute!
33
Maria Aurora Tallarico, Della Torre Bernardo in Dizionario Biografico degli Italiani - Volume
37 1989, Enciclopedia Treccani online.
75
Conclusioni
Abbiamo evidenziato attraverso un percorso che va dal petrarchismo presente
nella canzone In Morte di Luisa Ricciardi, al collegamento con la poesia civile di
Leopardi, il vero scopo del componimento che è quello politico e civile. Luisa
Granito non è solo madre, sposa, poetessa, ma è l’esempio di una donna oltre le
righe, che combatte attivamente per i valori in cui crede, che incarna quindi l’
ideale della donna per la Guacci, che avrebbe scritto nel 1848, in un articolo su Il
Nazionale, intitolato “Dell’ufficio che si conviene alle donne nel 1848”
rivolgendosi alle donne napoletane durante i moti rivoluzionari di quegli anni, che
esse non devono vivere chiuse in tutte quelle superficialità che tanto accarezzano
l'orgogliuzzo donnesco, ma devono spronare, più che frenare, i loro uomini che si
impegnano nella lotta politica, devono educare i figli ad essere buoni e
responsabili cittadini, senza paura dei pericoli e della morte 34. Le donne, quindi,
sono le prime destinatarie della poesia della Guacci, ed è alle donne e per le donne
che ella scrive, e non solo a loro in quanto madri, spose, o figlie ma in quanto
membri di una società che le vuole ignoranti e sottomesse agli uomini. La
poetessa le desta dal sonno, le chiama all’azione, le invita ad essere protagoniste,
e non solo mere osservatrici della storia del loro Paese.
Appendice
34
Cfr. Nicola Terraciano, Maria Giuseppa Guacci, Nuovo Monitore Napoletano online, 2013.
- Lucia Valenzi, Maria Giuseppina Guacci Nobile tra letteratura e politica, in Archivio Storico per
le Province Napoletane", n. CXVII, Napoli, 1999, pp. 537-548.
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note,
Nè teme il Sol se per l'immensa via
Poco ristà su le infiammate rote, XIV.
Nè che la oscura pioggia a le sue zolle
Sfiori l'erbetta, più che il sonno, molle. Chi è colui che sol pensando siede
Sotto l'ombrella delle verdi foglie?
Egli è il signor del loco onde si vede
La terra adorna di sì belle spoglie ;
Salve, o candida Ninfa ! al tempo All'ingrata città le spalle ei diede,
antico Però che amaro frutto ivi si coglie,
Ch'ebbero i muti boschi anima e E qui si piace e questi campi schiuse
mente, Alle meste Arti, alle scacciate Muse
Te cara deità del colle aprico
Tenuta avria l'innamorata gente: XV
Tanto dal labbro tuo dolce e pudico
Corre di melodia largo torrente ; Ecco il cupo secreto ombroso speco
Tanto nell'atto d' onestate adorno Di un freddo suavissimo giocondo;
Sdegni la terra che ti ride intorno. Qui regna sempre all'aer chiaro o
cieco
Un sacro orrore, un silenzio profondo.
Salve,o candida Ninfa ! Ad altro calle Io qui m'assido e della flebil Eco
Convien ch'io volga i passi pellegrini, Desto la voce dall'arcato fondo,
Ove il fulgido Sole apre una valle E di rorido umor tutta stillante
Superba quasi degli aerei pini Porgo i miei versi a quello spirto
Cui fresca per le scorze antiche e gialle errante.
XXVI.
Mira quanta speranza ivi s'appoggia Non fugga quando i giorni il Sol
E quanto onor, quanta vergogna dispaia!
copre Chè di Torquato nostro in voi fiorito
Fin l'erba e i sassi di quel lido ameno Udiste il suavissimo vagito.
Che abbraccia il placidissimo Tirreno.
XXVII.
Là dove fan quelle due coste un lago L'amor che vive in questi dolci campi,
Cerchiando poco mar piano e E a gustar vien come natura invita
tranquillo, Quella virtù che nella terra è vita.
Trasse di sangue un dì sazio e non
pago, XXXIII.
Punto nell'imo cor d'eterno assillo
Quel Cesare che vide in bassa immago Ahi! bentosto a ciascun la fronte
ingombra
Alzar la Fede il suo primo vessillo, Una pallida nube di mestizia;
Al qual poi volta la romana terra Cerca ogni guardo, ogni pensiero
Salmeggiando scordò l'inno di guerra. adombra
Quella pia ch'ora in ciel prende letizia,
Ch'ella sovente assisa alla bell'ombra
XXX. Educar queste piante ebbe in delizia:
Ahi tristo riveder le patrie sponde
O come fatta sei povera e vile Chiamando un nome a cui nessun
Sì chiara un dì voluttuosa Baia ! risponde!
O Formia ! in grembo a te cadde un
gentile XXXIV.
Primo nell'arte del figliuol di Maia.
91
Bibliografia
-Maria Giuseppa Guacci, Rime, Stamperia dell’Iride, Napoli 1847.
- Prose e versi in onore di Luisa Ricciardi, raccolta B. Puoti, Tipografia del Procelli,
Napoli 1833.
- Antonio Ronna, Gemme o rime di poetesse italiane antiche e moderne, Baudry, Parigi
1843.
- Raffaello Rossi,Antologia didattica dell'arte della parola offerta alle giovanette italiane
da Raffaello RossiTipografia Tofani, Firenze 1871.
- Giornale Arcadico di Scienze Lettere ed Arti, Tomo XL, luglio,agosto e settembre 1833,
stamperia del Giornale Arcadico presso Antonio Boulzaler, Roma pp. 261,263.
-Nunzia Soglia, Le Rime di Maria Giuseppa Guacci Nobile tra l’insegnamento del Puoti
e la poesia di Leopardi, Associazione degli italianisti, XIV Congresso nazionale,
Università degli Studi di Genova, 15-18 settembre 2010.
-Carmelina Naselli, Il Petrarca nell’ Ottocento, F. Perella, Napoli 1923, pp. 509-511.
-Giuseppe Ricciardi Memorie cit. pag 27 in Nel desiderio delle tue care nuove: scritture
private e relazioni di genere nell'Ottocento risorgimentale.
-Maria Aurora Tallarico, Della Torre Bernardo in Dizionario Biografico degli Italiani,
Volume 37 1989, Enciclopedia Treccani online.
92
-Lucia Valenzi, Maria Giuseppina Guacci Nobile tra letteratura e politica, in Archivio
Storico per le Province Napoletane", n. CXVII, Napoli, 1999, pp. 537-548.