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Nota introduttiva

Questo saggio è il frutto di un lavoro di analisi della canzone intitolata “In Morte
di Luisa Ricciardi” di Maria Giuseppa Guacci Nobile, composta nel novembre del
1832, che compare per la prima volta nella raccolta del 1833 Prose e versi in
onore di Luisa Ricciardi, Contessa di Camaldoli, e nell’edizione del 1839 e del
1847 delle Rime. Partendo da un rapporto tra le varie edizioni attraverso un
apparato critico in cui la versione di riferimento, quella pubblicata nella raccolta
del 1847, viene messa a confronto con le precedenti, ovvero quella del 1839 e la
prima, del 1833, si riscontrano le differenze e i processi che hanno portato alla
versione definitiva. Poi si passa ad analizzare lo schema metrico e lo schema delle
rime della canzone, e successivamente ad esporre i risultati dell’analisi
intratestuale, evidenziando i riferimenti, che si riscontrano all’interno del testo, ad
altri autori che possono essere citazioni testuali, allusioni, immagini o ripresa dei
medesimi concetti. Il principale riscontro, ovvero quello più significativo, è quello
di riferimenti a sonetti o canzoni di Petrarca, e poi in secondo luogo quelli a
Tasso, Dante, Ariosto, Poliziano, Monti, per citarne solo alcuni. Non mancano
però rinvii a poeti e poetesse più vicini alla Guacci, tra queste troviamo: Vittoria
Colonna, Lucrezia Marinella, Isabella Andreini, Amarilli Etrusca, Diodata
Salluzzo. Proprio per la forte presenza di rimandi al Petrarca il saggio continua
con un commento che si incentra in modo particolare sull’aspetto del
petrarchismo nella canzone, contestualizzandolo all’interno del periodo storico-
letterario, ovvero il periodo della polemica tra classicisti e romantici, aprendo una
parentesi sull’ influenza dell’autore del Canzoniere nelle canzoni di un altro poeta
caro alla Guacci, Giacomo Leopardi, concentrandosi sulle somiglianze tra la
poetica del recanatese nel periodo delle canzoni civili All'Italia e Sopra il
monumento di Dante e quella della Guacci all’ interno di In Morte di Luisa
Ricciardi, prendendo come comune denominatore l’influenza della canzone
petrarchesca Spirto gentil, di cui si trova una citazione quasi letterale nel nostro
componimento. La somiglianza del modello e la somiglianza dell’argomento, ci
portano ad una somiglianza anche nel messaggio, di sfondo politico. Infatti
2

proseguiamo analizzando più a fondo il senso della poesia, e, per meglio


comprenderne il significato si apre una parentesi sugli aspetti principali della vita
della donna alla quale la poesia è dedicata, donna dal carattere ribelle, patriottica,
sostenitrice delle idee liberali, e di grandi virtù, che la nostra poetessa vuole porre
come esempio da seguire non solo a livello morale, ma soprattutto a livello sociale
e politico. Le donne probabilmente sono le prime destinatarie della poesia della
Guacci, ed è alle donne e per le donne che ella scrive, e non solo a loro in quanto
madri, spose, o figlie ma in quanto membri di una società che le vuole ignoranti e
sottomesse agli uomini. La poetessa le desta dal sonno, le chiama all’azione, le
invita ad essere parte della storia.
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1 Cenni biografici

Maria Giuseppa Guacci nacque a Napoli il 20 giugno 1807 da Giovanni Guacci e


Saveria Tagliaferri. Primogenita di tre figli trascorse l’infanzia e l’adolescenza in
una modesta casa di vicolo Sergente Maggiore, una traversa di via Toledo. Il
padre non curava particolarmente l’educazione della figlia, ritenendola superflua
per una donna, scrive la Guacci di lui “Egli essendo stato fatto, dirò, di quella
buona pasta antica, la quale ora è perduta, nulla pose mente all’ educazione delle
sue figliuole, sicuro che poteva essere sufficiente ad esse il saper far la cucina, e
l’intendere ottimamente all’ economia della casa”. Fin da bambina però, la
poetessa sentì la vocazione per lo studio e la letteratura, e iniziò dapprima a
leggere i libretti per musica, e le opere di Metastasio, e poi a comporre i primi
versi, incoraggiata solo dalla madre. All’età di tredici anni conobbe il poeta
Domenico Piccinini, che divenne il suo maestro recandosi due tre volte a
settimana presso di lei, e la introdusse ai primi studi letterari. Intanto continuava a
scrivere versi e racconta “Io scriveva sempre, rubando i momenti alle mie
donnesche occupazioni; principalmente scriveva di notte tempo, e mi ricordo che
non mi poneva in letto dove non avessi fatto alcun verso”. Durante l’adolescenza
si diede, durante degli incontri organizzati presso la sua abitazione,
all’improvvisazione di versi e fu in una di queste occasioni che le venne
presentato il Campagna, che diventò il suo maestro e la introdusse allo studio dei
classici. Quindi è solo intorno ai diciotto anni che M. G. Guacci inizia a studiare
con metodo e non più da autodidatta, ma sempre ritagliando il tempo dalle
occupazioni domestiche. Dal 1830 frequentò la scuola di Basilio Puoti, improntata
al più rigoroso purismo, caratterizzata dallo studio scrupoloso della lingua e della
letteratura italiana, come dei classici greci e latini. È in questi anni che la Guacci
inizia lo studio approfondito di Dante, Petrarca, Tasso e Ariosto, tanto influenti
nella sua poesia. Nella scuola del Puoti la Guacci strinse amicizia con L.
Settembrini, i fratelli Imbriani, A. Ranieri, F. De Sanctis e molti altri, con i quali
condivise non solo gli interessi letterari, ma anche un’attività politica in senso
liberale. Intanto presso la casa paterna a Toledo la Guacci volle tenere un suo
4

salotto, dove si svolgevano riunioni settimanali, dette “sabatine”, perché tenute il


sabato. Tra i partecipanti di queste riunioni vanno ricordati G. Giusti e G.
Leopardi, condottovi da Antonio Ranieri. L’influenza dei temi del recanatese sulla
produzione della Guacci fu notevole, che li interpretò soprattutto come riflessione
malinconica sulla vita e le illusioni della giovinezza. Ma il suo pessimismo non
raggiunse mai la profondità di quello leopardiano, di cui non coglieva il
messaggio privo di qualunque risvolto consolatorio. Tra i salotti letterari
frequentati dalla Guacci, vi sono quello di F. Ricciardi, conte di Camaldoli, di G.
De Cesare e di C. Troja. Proprio presso quest’ ultimo conobbe il suo futuro
marito, Antonio Nobile. La Guacci collaborò con altre poetesse come Irene
Ricciardi e Laura Beatrice Oliva, alla strenna Iride; scrisse sui periodici Omnibus,
Museo di letteratura e di filosofia e Foglio settimanale di Scienza Lettere ed Arti.
Raccolse la sua produzione poetica in una raccolta di Rime pubblicata per la prima
volta nel 1832 dalla stamperia e cartiera del Fibreno, nel 1839 pubblicò un
secondo volume di Rime e infine le due edizioni furono raccolte in due volumi
editi dalla stamperia dell’Iride nel 1847,un anno prima della sua morte, con la
presentazione entusiastica di Basilio Puoti. Il giudizio critico sulla Guacci è
sempre stato discordante. Il Settembrini la definì “grande tra le donne come
Leopardi tra gli uomini”, mentre il De Sanctis1 la giudicò troppo chiusa in schemi
stilistici e retorici, anche se ne riconobbe l’importanza nell’ambiente letterario
napoletano. Il 31 dicembre 1833 la Guacci ricevette la medaglia di socia
benemerita dell’Accademia tiberina; ma il riconoscimento più importante fu
quello di essere la prima donna ammessa alla Pontiniana di Napoli. Nel 1835 la
Guacci, nonostante una storia d’amore particolarmente intensa con Antonio
Ranieri, sposò Antonio Nobile, astronomo dell’Osservatorio di Capodimonte e poi
professore di algebra nell’Università di Napoli. Presso la casa del marito la
poetessa potè dedicarsi con maggiore tranquillità alla letteratura e alla scrittura e
riprese lo studio del latino. Il marito infatti la appoggiò nello studio e la fece
approcciare anche al mondo scientifico, dal quale la Guacci trasse anche alcuni
spunti per le sue poesie (per es. Alla luce, Alle stelle). Durante il colera che colpì
Napoli tra 1836 e 1837 la Guacci si prodigò per i più poveri, e annotò gli eventi, e
1
cfr. Lezioni di letteratura italiana del XIX secolo a cura di Franco Catalano, Bari, Laterza, 1953,
II, p.60.
5

da queste riflessioni nacque una Storia del cholera. L’interesse della poetessa per
le classi meno abbienti fu così forte da scaturire nella fondazione, nel 1840, della
Società degli asili infantili. Inoltre lottò per l’istruzione primaria delle masse e
pubblicò nel 1841 l’Alfabeto e, le Seconde letture per fanciulli da’ 9 a 12 anni nel
1842. La Guacci è stata inserita a lungo in un filone patriottico nonostante
l’irreperibilità dei suoi scritti più politici2.
Nella formazione del suo pensiero politico fu fondamentale per la Guacci
l’ambiente della scuola del Puoti, in comunione di spirito con gli eventi che
determinano le sorti di Napoli e del Regno delle due Sicilie in quel tormentato
periodo culminato nella triste giornata del 15 maggio 1848. Le sue inclinazioni
politiche peraltro non avevano solo preoccupazioni di riassetto istituzionale della
penisola, ma si accompagnavano ad un acuto interesse per i problemi sociali e di
sviluppo della qualità del vivere, come dimostrano il suo desiderio di buon
governo e la speranza nelle buone disposizioni dei sovrani. Quando ad esempio,
nel gennaio 1825 era salito al trono delle due Sicilie il giovane Francesco I, la
Guacci aveva sperato nel nuovo Re dedicandogli la canzone Pel ritorno del Re
Francesco I e al suo successore Ferdinando II dedicò versi di positiva
compartecipazione alle vicende del monarca (Per le nozze del Re Ferdinando II
con Maria Cristina di Savoia e In morte di Maria Cristina di Savoia). Non si
trattava certamente di un cedimento della fede liberale della Guacci, ma della
condivisione di una diffusa speranza, propria di quegli anni, in una soluzione ai
problemi politici basata sul dirigismo riformistico della monarchia. Vero tuttavia
che la poetessa finì poi col ricredersi e, rendere giustizia al fallimento di quelle
speranze, come rivela implicitamente la vicenda testuale delle sue edizioni, dal
momento che in quella definitiva del 1847 risultano eliminati i componimenti per
Francesco I e per Ferdinando II. Della sua poesia oltre alle caratteristiche già
ricordate, sono da sottolineare i tratti di femminismo ante litteram, poiché un’altra
battaglia per cui la poetessa lottò in vita fu quella per l’emancipazione femminile,
intesa come risveglio da quel torpore che le aveva sempre tenute al di fuori del
mondo governato dagli uomini, e una sorta di deprecazione vera e propria per
colui che ha ridotto le donne in uno stato di ignoranza, povertà spirituale e timore
2
Per l’esercito italiano, Preghiera per l’Italia, Vibrato appello al presidente del Consiglio di Stato
perché venga usata clemenza a’ liberali, Dei nemici del paese, Il potere.
6

troviamo nella canzone Le donne italiane. Il 1848 fu un anno turbolento, e i


Nobile, ferventi patrioti, seguirono con speranza le manifestazioni per
l’indipendenza. Nel febbraio di quell’anno Ferdinando II concesse la
Costituzione, e in occasione delle cinque giornate di Milano la Guacci costituì un
gruppo di donne che si occupassero della sottoscrizione per quanti da Napoli
partivano per prestare aiuto ai lombardi. Ma gli avvenimenti di maggio e la
delusione, unita all’apprensione per l’attesa dei familiari, mentre a Napoli
infuriava la repressione, provarono duramente M.G. Guacci che morì a causa
dell’aggravamento di una tracheite il 25 novembre del 1848.
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2 Analisi

2.1 Testo
Quando Notte pensosa
Copre la terra sotto le grandi ale
E il cielo apre i suoi lucidi sereni,
Spunta da l'aurea porta orïentale
Ora una stella or altra, e rugiadosa
Vien che di chiara luce arda e baleni;
Altra rotando pe'celesti seni
Fiammeggia a mezzo il corso;
Altra, quando più splende,
Ratta a l'occidental valle discende:
Tal de l'antica gente il lume è scorso,
Tale ogni vita di quaggiù s'accende,
Sfavilla e cade e muta loco e stato;
Chè il primo amor per questa vece eterna,
Tutto quanto il creato
Con perenne armonia volve e governa.

Pur de l' immenso foco


Vive ne' petti nostri una favilla
Che non si spegne per girar di cielo;
E, al segnato suo dì, vie più tranquilla
Salendo ove non è tempo nè loco,
Lascia il corpo quaggiù che le fea velo;
E dove accesa di fervido zelo
Visse, e d' amor vestita,
Ogni alto spirto lascia
In desiderio intenso, in grave ambascia,
E la natìa contrada impoverita.
8

Tale, or che d’ immortal lume si fascia


Donna, che a l'altrui ben la vita spese,
Oh come fatto se’diserto e cieco,
O dolce mio paese!
Quanta cagione hai tu di pianger meco!

Fresco e fiorito colle


Ove questa gentil söavemente
Sollecita educò rose e vïole,
O gelid' antro, o valletta ridente,
O giovin prato dilettoso e molle,
O boschetti ove invan percote il sole!
L'aura de le dolcissime parole
Ancor viva qui spira;
Qui pietoso un lamento
Par che risuoni del bel lume spento;
E qui segna con mano, indi sospira
Ove campò da' folgori e dal vento
Il pellegrino affaticato e scarno;
E il lacero orfanel, fatto importuno,
Attende a l'uscio indarno
La donna onde solvea spesso il digiuno.

E voi, ramose piante,


Che di vati e di sofi a una leggiadra
Schiera l'ombre porgeste amene e liete
(De’quai chi il cielo e chi la terra squadra,
Tal nota e segue ogni pianeta errante,
Altri carmi discioglie e lauri miete),
Ora un compianto flebile accogliete,
Vedove del bel riso
Onde negli occhi ardea
Allor che a l' ospital canto arridea
9

Questa ch' or fa più bello il paradiso.


Ahi, da che scinse acerba morte e rea
Sua fragil veste e diede a l'alma il volo,
D'ogni memore cor sospiri elice,
Freddo rimasto e solo
Il nido ove abitò questa fenice!

Un tempo fu che al prode


Tornò funesto, anzi di duol fu seme
Il santo amor de la paterna riva;
E tale (o sé beato !) a l'ore estreme
Corse fregiato di non compra lode,
Altri raminga vita ebbe, o captiva;
Però di carità fiamma sì viva
Prese quest'alta donna,
Che a la vedova afflitta,
A la scacciala prole derelitta,
A gli orbi vecchi fu salda colonna.
Oh sia questa dogliosa istoria scrìtta
Nel molle cor de’ pargoli innocenti,
E di costei l'angelica virtute!
Chè le future genti
Non ne terranno mai le lingue mute.

E tu, perduta Roma,


E tu del fero ghibellin desio,
E tu, non vôta ancor d'alme sdegnose,
Felsina, al ragionar cortese e pio
Di questa ch'or lasciò la umana soma,
Poneste mente a le obblïate cose.
De le madri latine e de le spose
A voi l'almo intelletto
10

Aprìa novello esempio,


Chè di virtù verace e vivo tempio
Fu la serena fronte e il casto petto.
Ahi com'è breve al giusto e lunga a l'empio
Di questa terra l’intricata via!
Però giugnesti in su l'estremo varco,
0 fior di cortesia,
Appena de' tuoi dì scendendo l’arco.

Una voce rampogna


In su la morte i tristi,e un vel da gli occhi
Lor cade, e l'opre schiude inique e felle;
E vien che l'ultim'ora orrenda scocchi,
Che tutta carca di tema e vergogna
Dal caro albergo suo l’alma si svelle;
Ma questa che aspettata era a le stelle,
Poi che al mondo fallace
I sicuri occhi torse,
Vide infinita gente a cui man porse,
Per lei tolta di guerra e posta in pace.
Indi l'angel di Dio lieto le occorse,
E: vieni, disse: i figli, a cui se' volta,
Drizzan la mente al tuo medesmo segno:
Quindi leggera e sciolta
Trasse a l' altezza del beato regno.

Or del fornito calle


Forse ragioni, o nobil pellegrina,
Al buon Pastor che in tua virtù si piacque;
E, di Sïon celeste or cittadina,
Ogni alma vedi che in quest'empia valle
A l’onor de la scure un dì soggiacque.
11

E forse in voi la carità non tacque


De la materna sponda;
E, poi che il cielo a prova
Le cose di quaggiù spegne e rinnova,
Forse tu preghi a noi l'alba gioconda
Che tanto lume e tanta grazia piova,
Che porti ne le nostre alme contrade
Un chiaro giorno, e generosi canti,
Ed onorate spade,
E magnanime donne a te sembianti.

O dolorosa mia, che in veste negra,


Inculta movi e lenta,
Chè al subbietto gentile
Nulla s’agguaglia il tuo dir troppo umile,
Or ti conforta, chè gentil diventa
Qualunque a verità levi lo stile:
Chè, mentre ogni mortal luce tramonta,
Sol dura il ver pari ad eterna fiamma.
Sincera or movi e pronta,
Per tutta Italia, come amor t'infiamma.
12

2.2 Edizione critica


Ponendo come edizione di riferimento quella che corrisponde all’ultima volontà
dell’autrice, ovvero l’edizione del 1847, la poniamo a confronto con le altre due
edizioni: quella del 1839 e infine la prima, del 1833, a delineare così l’edizione
genetica della canzone, per comprendere meglio i fattori che hanno portato alla
forma finale del componimento.

Identificheremo la terza edizione con: 47, la seconda con: 39, e la prima con: 33.

St. 1

v1Quando Notte pensosa 47


notte 39
notte 33
v2 Copre la terra sotto le grandi ale 47
v3 E il cielo apre i suoi lucidi sereni, 47
v4 Spunta da l’aurea porta orïentale 47
dall’ 39
dall’ 33
v5 Ora una stella or altra, e rugiadosa 47
v6 Vien che di chiara luce arda e baleni; 47
baleni, 39
baleni, 33
v7 Altra rotando pe’ celesti seni, 47
[,] 39
[,] 33
v8 Fiammeggia a mezzo il corso; 47
corso, 39
corso, 33
13

v9Altra,quando più splende, 47

v10 Ratta al l'occidental valle discende: 47


47

discende; 39
39

discende; 33
33

v11Tal de l'antica gente il lume e scorso, 47


47

dell’ 39
39

dell’ 33
33

v12Tale ogni vita di quaggiù s'accende, 47


47

[,] 47
39

[,] 47
33

v13 Sfavilla e cade e muta loco e stato; 47


47

v14 Chè il primo Amor, per questa vece eterna, 47


47

[,] 47
39

[,] 47
33

v15 Tutto quanto il creato 39


47

Tuttoquanto 33
39

Tuttoquanto 47
33

v16 Con perenne armonia volve e governa. 39


47

33

St. 2 47

v1 Pur de l'immenso foco 47


47

dell’ 47
39

dell’ 33

v2 Vive ne’ petti nostri una favilla 47

v3 Che non si spegne per girar di cielo; 47


14

v4 E, al segnato suo dì, vie più tranquilla

[,] [,] 47

[,] [,] 47

v5 Salendo ove non è tempo né loco, 39

[,] 33

[,] 47

v6 Lascia il corpo quaggiù che le fea velo; 39

v7 E dove accesa di fervido zelo 33

v8 Visse, e d’ amor vestita, 47

v9 Ogni alto spirto lascia 47

v10 In desiderio intenso, in grave ambascia, 47

v11 E la natìa contrada impoverita. 39

v12 Tale, or che d’ immortal lume si fascia 33

Ed or che 47

Ed or che 39

v13 Donna, che a l’altrui ben la vita spese, 33

all’ 47

all’ 47

v14 Oh come fatto se’ diserto e cieco 47

v15 O dolce mio paese! 47

v16 Quanta cagione hai tu di pianger meco! 47

47

47

St. 3
15

v1 Fresco e fiorito colle, 47

v2Ove questa gentil soavemente 39

33

suàvemente 47

v3 Sollecita educò rose e vïole,

viole

viole 47

v4 O gelid’ antro, o valletta ridente, 39

v5 O giovin prato dilettoso e molle, 33

v6 O boschetti ove invan percote il sole! 47

sole, 47

sole, 39

v7 L’ aura de le dolcissime parole 33

delle 47

delle 39

v8 Ancor viva qui spira; 33

v9 Qui pietoso un lamento 47

v10 Par che risuoni del bel lume spento; 47

v11 E qui segna con mano, indi sospira 39

v12 Ove campò da’ folgori e dal vento 33

v13 Il pellegrino affaticato e scarno; 47

v14 E il lacero orfanel, fatto importuno, 47

47

39

v15 Attende a l’uscio indarno 33

all’
16

all’ 47

v16 La donna onde solvea spesso il digiuno. 39

33

St.4 47

v1 E voi, ramose piante, 47

[,] [,] 47

[,] [,] 39

v2 Che di vati e di sofi a una leggiadra 39

v3Schiera l’ombre porgeste amene e liete 47

liete, 47

liete, 47

v4 (De’ quai chi il cielo e chi la terra squadra, 39

[(] 33

[(]

v5 Tal nota e segue ogni pianeta errante,

v6 Altri carmi discioglie e lauri miete), 47

[)]; 47

[)]; 47

v7 Ora un compianto flebile accogliete, 47

v8 Vedove del bel riso 47

v9 Onde ne gli occhi ardea 47

negli 47

negli 47

39

v10 Allor che a l’ospital canto arridea 33

all’
17

all’ 47

v11 Questa ch’ or fa più bello il paradiso. 39

v12 Ahi, da che scinse acerba morte e rea 33

v13 Sua fragil veste e diede a l’alma il volo, 47

all’ 39

all’ 33

v14 D’ ogni memore cor sospiri elice, 47

v15 Freddo rimasto e solo 39

v16 Il nido ove abitò questa fenice! 33

Fenice 47

Fenice 47

47

St. 5 47

v1 Un tempo fu che al prode 47

v2 Tornò funesto, anzi di duol fu seme

v3 Il santo amor de la paterna riva;

v4 E tale (o sè beato!) a l’ore estreme 47

v5 Corse fregiato di non compra lode, 47

v6 Altri raminga vita ebbe, o captiva; 39

v7 Però di carità fiamma sì viva 33

v8 Prese quest’ alta donna, 47

[,] 39

[,] 33

v9 Che a la vedova afflitta, 47

alla

alla
18

v10 A la scacciata prole derelitta, 47

Alla 39

Alla 33

v11 A gli orbi vecchi fu salda colonna. 47

Agli 39

Agli 33

v12 Oh sia questa dogliosa istoria scritta 47

v13 Nel molle cor de’ pargoli innocenti, 39

v14 E di costei l’angelica virtude! 33

v15 Chè le future genti 47

v16 Non ne terranno mai le lingue mute. 47

39

St. 6 33

v1 E tu, perduta Roma, 47

v2 E tu del fero ghibellin desio, 47

Ghibellin 47

Ghibellin 39

v3 E tu, non vôta ancor d’ alme sdegnose, 33

47

vota 47

v4 Felsina, al ragionar cortese e pio 47

47

v5 Di questa ch’ or lasciò la umana soma,

[,]

[,]
19

v6 Ponete mente a le obblïate cose.

obbliate 47

obbliate 47

v7 De le madri latine e de le spose 39

Delle delle 33

Delle delle 47

v8 A voi l’almo intelletto 47

v9 Aprìa novello esempio, 47

Apria 47

Apria 47

v10 Chè di virtù verace e vivo tempio 39

v11 Fu la serena fronte e il casto petto. 33

v12 Ahi com’ è breve al giusto e lunga a 47 l’empio

all’ 47

all’ 39

v13 Di questa terra l’intricata via! 33

v14 Però giugnesti in su l’estremo varco, 47

v15 O fior di cortesia, 39

v16 Appena de’ tuoi dì scendendo l’arco. 33

47

47

39

St. 7 33

v1 Una voce rampogna 47

v2 In su la morte i tristi, e un vel da gli occhi 39

dagli 33
20

dagli 47

v3 Lor cade, e l’opre schiude inique e felle; 39

v4 E vien che l’ultim’ ora orrenda scocchi, 33

v5 Che tutta carca di tema e vergogna 47

v6 Dal caro albergo suo l’alma si svelle; 47

v7 Ma questa, che aspettata era a le stelle, 39

[,] 33

[,]

v8 Poi che al mondo fallace 47

v9 I sicuri occhi torse, 39

securi 33

securi 47

v10 Vide infinita gente, a cui man porse, 39

[,] [,] 33

[,] [,] 47

v11 Per lei tolta di guerra e posta in pace. 47

v12 Indil’angel di Dio lieto le occorse, 39

Angel [,] 33

Angel [,] 47

v13 E: Vieni, disse; i figli, a cui se’ volta, 47

E, disse: [,] [,] 39

v14 E,
Drizzan ladisse:
mente al [tuo
, ] medesmo segno:
[,] 33

47

segno. 47

v15 Quindi leggera e sciolta 47

v16 Trasse a l’altezza del beato regno.


21

all’ 47
all’ 47
St. 8 39
v1 Or del fornito calle 33
v2 Forse ragioni, o nobil pellegrina, 47
v3 Al buon Pastor che in tua virtù si piacque; 47
v4 E, di Sïon celeste or cittadina, 47
[ , ] Sion [,]

[ , ] Sion [,] 47
v5 Ogni alma vedi che in quest’ empia valle 47
v6 A l’onor de la scure un dì soggiacque. 47
All’ 39
All’ 33
v7 E forse in voi la carità non tacque 47
v8 De la materna sponda; 47
Della 47
Della 39
v9 E, poi che il cielo a prova 33
v10 Le cose di quaggiù spegne e rinnova, 47
v11 Forse tu preghi a noi l’alba gioconda 39
v12 Che tanto lume e tanta grazia piova, 33
v13 Che porti ne le nostre alme contrade 47
nelle 39
nelle 33
v14 Un chiaro giorno, e generosi canti, 47
v15 Ed onorate spade,
22

v16 E magnanime donne a te sembianti.

St. 9

v1 O dolorosa mia, che in veste negra

v2 Inculta movi e lenta

v3 Chè al subbietto gentile

subietto

v4 Nulla s’ agguaglia il tuo dir troppo umile,

v5 Or ti conforta, chè gentil diventa

v6 Qualunque a verità levi lo stile:

stile,

v7 Chè, mentre ogni mortal luce tramonta,

[,]

[,]

v8 Sol dura il ver pari ad eterna fiamma.

fiamma;

fiamma;

v9 Sincera or movi e pronta,

v 10 Per tutta Italia, come amor t’ infiamma. 47

2.3 Analisi metrica

St. 1

[1] Quando Notte pensosa


1 2 3 4 5 6 7
[2]Copre la terra sotto le grandi_ale
23

1 23 4 5 6 7 8 9 10 11
[3] E_ il cielo_ apre_ i suoi lucidi sereni,
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[4] Spunta da l'aurea porta_orïentale
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[5] Ora_ una stella_ or altra,_ e rugiadosa
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[6] Vien che di chiara luce arda_ e baleni;
1 2 3 4 5 678 9 10 11
[7] Altra rotando pe' celesti seni
1 2 34 5 6 7 8 9 10 11
[8] Fiammeggia_a mezzo_ il corso;
1 2 3 4 5 6 7
[9] Altra,quando più splende,
1 2 3 4 5 6 7
[10] Ratta_ a l'occidental valle discende;
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[11] Tal de l'antica gente_ il lume_ è scorso,
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[12] Tale_ ogni vita di quaggiù s'accende,
1 2 3 45 6 7 8 9 10 11
[13] Sfavilla_ e cade_ e muta loco_ e stato;
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11

[14] Chè il primo_amor per questa vece_ eterna,


1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[15] Tutto quanto_ il creato
1 2 3 4 567
[16] Con perenne_ armonia volve_ e governa.

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
24

St. 2

[1] Pur de l' immenso foco


1 2 3 4 5 6 7
[2] Vive ne’ petti nostri_ una favilla
12 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[3] Che non si spegne per girar di cielo;
1 2 3 4 5 6 78 9 10 11
[4] E_ al segnato suo di vie più tranquilla
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[5] Salendo_ ove non è tempo nè loco,
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[6] Lascia_ il corpo quaggiù che le fea velo;
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[7] E dove_ accesa di fervido zelo
1 2 3 4 5 6 7 8 9 11 12
[8] Visse,_ e d'amor vestita,
1 2 3 4 5 67
[9] Ogni_ alto spirto lascia
1 2 3 4 5 6 7
[10] In desiderio_ intenso,_ in grave_ ambascia,
1 23 4 5 6 7 8 9 10 11
[11] E la natìa contrada_ impoverita.
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[12] Tale, _ or che d’ immortal lume si fascia
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11

[13] Donna, che_ a l' altrui ben la vita spese,


1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[14] Oh come fatto se’ diserto_ e cieco,
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[15] O dolce mio paese!
1 2 3 4 56 7
25

[16] Quanta cagione hai tu di pianger meco!


1 2 34 5 6 7 8 9 10 11
St. 3
[1] Fresco_ e fiorito colle
1 2 3 45 6 7
[2] Ove questa gentil soavemente
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[3] Sollecita_ educò rose_ e vïole,
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[4] O gelid' antro, o valletta ridente,
1 234 5 6 7 8 9 10 11
[5] O boschetti_ ove_invan percote_ il sole!
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[6] L'aura delle dolcissime parole
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[7] Ancor viva qui spira;
1 2 3 4 5 67
[8] Qui pietoso_ un lamento
1 2 3 4 5 6 7
[9] Par che risuoni del bel lume spento;
1 23 4 5 6 7 8 9 10 11
[10] E qui segna con mano, indi sospira
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[11] Ove campò da' folgori_ e dal vento
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11

[13] Il pellegrino affaticato_ e scarno;


1 2 3 4 5 678 9 10 11
[14] E_ il lacero_orfanel, fatto_ importuno,
1 23 4 5 6 7 8 9 10 11
[15] Attende_ a l’uscio_ indarno
1 2 3 4 5 6 7
[16] La donna_ onde solvea spesso_ il digiuno.
26

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
St. 4
[1] E voi, ramose piante,
1 2 3 45 6 7
[2] Che di vati_ e di sofi_ a_ una leggiadra
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[3] Schiera l'ombre porgeste_ amene_ e liete
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[4] (De’ quai chi_ il cielo_ e chi la terra squadra,
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[5] Tal nota_ e segue_ ogni pianeta_ errante,
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[6] Altri_ carmi discioglie_ e lauri miete),
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[7] Ora_ un compianto flebile_ accogliete,
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[8] Vedove del bel riso
1 2 3 4 5 6 7
[9] Onde ne gli_ occhi_ ardea
1 2 3 4 5 67
[10] Allor che_ a l' ospital canto_arridea
1 2 3 4 56 7 8 9 10 11
[11] Questa ch' or fa più bello_ il paradiso.
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[12] Ahi! da che scinse_ acerba morte_ e rea
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[13] Sua fragil veste_ e diede a l'alma_ il volo,
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[14] D'ogni memore_cor sospiri_ elice,
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[15] Freddo rimasto_ e solo,
1 23 4 5 6 7
[16] Il nido_ ove_ abitò questa Fenice!
27

1 2 3 4 56 7 8 9 10 11
St. 5
[1] Un tempo fu che_ al prode
1 2 3 4 5 6 7
[2] Tornò funesto,_ anzi di duol fu seme
1 2 3 4 5 67 8 9 10 11
[3] Il santo amor de la paterna riva;
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[4] E tale_ (o sé beato !)_ a l'ore_ estreme
1 2 3 4 567 8 9 10 11
[5] Corse fregiato di non compra lode,
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[6] Altri raminga vita_ ebbe,_ o captiva;
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[7] Però di carità fiamma sì viva
1 2 3 456 7 8 9 10 11
[8] Prese quest'alta donna,
1 2 3 4 5 6 7
[9] Che_ a la vedova_ afflitta,
1 2 3 4 5 6 7
[10] A la scacciata prole derelitta,
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[11] A gli_ orbi vecchi fu salda colonna.
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11

[12] Oh sia questa dogliosa_ istoria scrìtta


1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[13] Nel molle cor de’ pargoli_ innocenti,
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[14] E di costei l'angelica virtute!
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[15] Chè le future genti
28

12 345 6 7
[16] Non ne terranno mai le lingue mute.
1 2 3 4 5 6 78 9 10 11
St. 6

[1] E tu, perduta Roma,


1 2 3 4 5 6 7
[2] E tu del fero ghibellin desio,
1 2 3 4 5 67 8 9 10 11
[3] E tu, non vôta_ ancor d'alme sdegnose,
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[4] Felsina,_ al ragionar cortese_ e pio

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[5] Di questa ch'or lasciò la umana soma,
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[6] Poneste mente_ a le_obblïate cose.
1 2 3 4 5 6 78 9 10 11
[7] De le madri latine_ e de le spose
1 2 3 4 56 7 8 9 10 11
[8] A voi l'almo_ intelletto
1 2 3 4 5 6 7
[9] Aprìa novello_ esempio,
1 2 3 4 5 6 7
[10] Che di virtù verace_ e vivo tempio
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11

[11] Fu la serena fronte_ e_ il casto petto.


1 2 345 6 7 8 9 10 11
[12] Ahi com'è breve_ al giusto_ e lunga_ a l'empio
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[13] Di questa terra l’ intricata via!
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[14] Però giugnesti in su l'estremo varco,
29

12 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[15] 0 fior di cortesia,
1 2 3 4 567
[16] Appena de' tuoi dì scendendo l’ arco.
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
St. 7
[1] Una voce rampogna
1 2 3 4 5 6 7
[2] In su la morte_ i tristi,_e_ un vel da gli_ occhi
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[3] Lor cade,_ e l'opre schiude_ inique_ e felle;
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[4] E vien che l'ultim'ora orrenda scocchi,
1 2 3 4 56 7 8 9 10 11
[5] Che tutta carca di tema_ e vergogna
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[6] Dal caro_ albergo suo l’ alma si svelle;
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10
[7] Ma questa che_ aspettata_ era_ a le stelle,
1 2 3 45 6 7 8 9 10 11
[8] Poi che_ al mondo fallace
1 2 3 45 6 7
[9] Isicuri_occhi torse,
1 23 4 5 6 7

[10] Vide infinita gente_ a cui man porse,


1 2 3456 7 8 9 10 11
[11] Per lei tolta di guerra_ e posta_ in pace.
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[12] Indi l'angel di Dio lieto le_ occorse
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[13] E: vieni, disse;_ i figli_ a cui se’ volta
30

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[14] Drizzan la mente_ al tuo medesmo segno:
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[15] Quindi leggera_ e sciolta
1 23 4 5 6 7
[16] Trasse_ a l' altezza del beato regno.
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11

St. 8
[1] Or del fornito calle
1 2 3 45 6 7
[2] Forse ragioni,_o nobil pellegrina,
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[3] Al buon Pastor che_ in tua virtù si piacque;
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[4] E, di Sïon celeste or cittadina
1 2 3 4 5 67 8 9 10 11
[5] Ogni_ alma vedi che_ in quest'empia valle
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[6] A l’onor della scure_ un dì soggiacque.
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[7] E forse_ in voi la carità non tacque
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[8] Della materna sponda;
1 2 3 4 5 6 7

[9] E, poi che_ il cielo_ a prova


1 2 3 4 5 67
[10] Le cose di quaggiù spegne_ e rinnova,
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[11] Forse tu preghi_ a noi l'alba gioconda
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[12]Che tanto lume_ e tanta grazia piova,
31

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[13] Che porti ne le nostre_alme contrade
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[14] Un chiaro giorno,_ e generosi canti,
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[15] Ed onorate spade,
1 2 3 45 67
[16] E magnanime donne_ a te sembianti.
1 2 3 4 5 6 7 89 10 11
St. 9
[1] O dolorosa mia, che_ in veste negra,
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[2] Inculta movi_e lenta,
1 2 3 4 5 6 7
[3] Chè_ al subbietto gentile
1 2 3 4 5 6 7
[4] Nulla s’ agguaglia_ il tuo dir troppo umile,
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[5] Or ti conforta, chè gentil diventa
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[6] Qualunque_ a verità levi lo stile:
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[7] Chè, mentre_ ogni mortal luce tramonta,
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11

[8] Sol dura_ il ver pari_ ad eterna fiamma.


1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
[9] Sincera_ or movi_ e pronta,
1 2 3 4 5 6 7
[10] Per tutta_ Italia, come_ amor t'infiamma.
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
32

2.4 Analisi intertestuale

In morte di Luisa Ricciardi presenta all’interno del testo numerose citazioni ed


allusioni ad autori precedenti o contemporanei, ma non mancano allo stesso tempo
riferimenti in componimenti postumi alla pubblicazione della canzone. Di seguito
verranno illustrate le principali allusioni intertestuali trovate analizzando il testo
della canzone, con particolare attenzione a quelli petrarcheschi, di cui il
componimento è particolarmente ricco.
33

Stanza 1
v1 “Quando Notte pensosa/ Copre la terra sotto le grandi ale”:
“Passa pensoso il dì, pensosa e mesta/ La notte”
Torquato Tasso, Gerusalemme Liberata, XVIII, st. 11, vv. 3-4;
“Pensosa notte, e si geme, e si duole,/E misera con lento mal si sface,”
Metamorfosi di Ovidio, libro II, 28, vv. 20-22, traduzione di Fabio Maretti (1749);
“E da quell’ ombre già pregnanti e rotte / L’ erebo nacque e la pensosa notte”
Vincenzo Monti, Musogonia (1793-97), 39, vv. 7-8;
“Odo un pensier, che bisbigliando dice,/Figlio del tempo a meditar t’ invita /L’
ora che fugge e la pensosa Notte”
Antonio Maria Ricci, Il Filantropo dell’Appennino, meditazioni filosofico
poetiche sulla creazione del mondo (1802), notte VI, vv. 1-3;
“Sacre ai sospir de la pensosa Notte”
Ivi, notte IV, 177,v. 2;
“E nel ciel vasto la pensosa notte /Sorge, che nel suo grembo l’inquiete/Cure
accoglie dei miseri mortali”
Paralippomeni d’ Omero, libro III, di Quinto Calabro Smirneo, tradotto da Teresa
Bandettini, in arte Amarilli Etrusca (1815);
“In te, pensosa notte/ Io meditando il volo/ E come un punto il suolo/ Riman dopo
di me”
Amarilli Etrusca, Poesie estemporanee (1835), Pluralità dei mondi, vv. 1-4;
“La pensosa cheta notte, / L’ ora rapida che passa”
Ivi, Dio Creatore, st. 29, vv. 1-2;
“Quando nel petto/ La Notte bruna/ Stilla il diletto/ Del meditar”
Pindemonte, Poesie campestri, La Melanconia, vv. 45-48.
“Nox ruit, fusci stellurem amplectitur alis”
Virgilio,Eneide,VIII, v.369;
“Et mentita diem nigras nox contrahit alas”
Manilo, Astronomicon ,lib. V, v. 60.
“Ma come uscì la notte e sotto l’ali/ Menò il silenzio, e i lievi sogni erranti”
34

Tasso, Gerusalemme liberata,V, st. 79, vv. 5-6;


“Sorgea la notte intanto e sotto l’ali/ ricopriva del cielo i campi immensi”
Ivi, VIII, st. 57, vv.1-2;
“Ma fuori uscì la notte e il Mondo ascese/ Sotto il caliginoso horror dell’ali,/E l’
ombre sue pacifiche interpose/ Fra tant’ ire de miseri mortali”
Ivi, XI, st. 82, vv. 3-6;
“Già la notte stendendo umida l’ali,/ gli almi ed eterni fochi ‘n Cielo accende”
Ivi, XI, st.22, vv. 1-2;
“Già si tuffava il Sol nell’ampio nido/ Ov’ egli alberga, e l’ali umide ombrose/
Stendea l’oscura Notte intorno al cielo;/ Già dispiegava il suo gemmato manto/ D’
ardenti stelle, e di rugiada un nembo/ Piovea soave alla gran madre in seno;”3
Tasso, Poesie Pastorali,Dialogo III, vv. 1-6
v3 “E il cielo apre i suoi lucidi sereni”:
“Indico legno lucido e sereno”
Dante, Purgatorio,VII, v. 74
“Della cui grazia terra, e ciel son pieni/ E che di lui son fatti di niente/ Perfetti,
buoni, lucidi e sereni.”
Credo di Dante vv. 13-15;
“Giovani donne, come ne’ lucidi sereni sono le stelle ornamento del cielo”
Boccaccio, Decameron, Giornata VI, Nov.I, v.1;

“O vero lume, o lucidi sereni,/ Pe’ quai s’allegran le terrene menti”


Boccaccio, Il Filostrato, parte VIII, st.,vv.3-4;
“Delia dal ciel tra i lucidi sereni/ Avventava crudel piaghe e dolori”
Lucrezia Marinelli,Bisanzio Acquistato,XIX,61,vv. 3-4.
v4 “Spunta da l’aurea porta orientale”:
“Non longea’l’auree porte ond’esce il Sole / E’cristallina porta in Oriente,/Che per
costume inanzi aprir si suole,/Che si dischiuda l’uscio al dì nascente”
Tasso,Gerusalemme liberata, XIV, st.3,vv.1-4;

3
In quest’ ultima citazione è presente anche l’immagine del cielo che accende le sue stelle, che
nella nostra canzone si trova al v. 3.
35

“La bella luce, che ‘n su l’aurea porta/ Aspettava del sol la prima uscita”
Marino, Adone, canto I, st. 21,vv. 1-2;
“E in su la soglia dell’aurata porta/ Giunto era il Sole e fea sparir le stelle”
Marino, La Strage degl’Innocenti, lib. II,vv. 3-4;
“E’l Sol quando s’aggiorna/ Sorger tutto ridente/Da la dorata porta d’Oriente.
Isabella Andreini, Rime (1601), Epitalamio II,vv.10-13;
“Mai sul Gange al Sol nascente/ L’auree porte d’ Oriente / Più bell’alba non aprì”
Metastasio, Il tempio dell’eternità (1731), primo coro, vv. 1-3
“La gran Porta Orientale apria già lAlba,/ Lieta spargendo all’aura mattutina/
Coronati di rose i bei crin d’oro./ Quindi dell’aurea porta uscendo fuori”
Bernardo Della Torre, Il Cristianesimo stabilito,VII, st. 2, vv. 13-16.
v5 “Ora una stella or l’altra, e rugiadosa/ Vien che di chiara luce arda e
baleni”:
“Né stelle mattutine e rugiadose/ Si mostran così vaghe in puro cielo”
Tasso, Rime d’ amore,405, vv.5-6;
“Qual mattutina stella esce dall’ onde/ Rugiadosa e stillante”
Tasso, Gerusalemme liberata, canto XV, 60, vv. 1-2;
“Qual già cadendo ne le salse spume,/ Suol dileguarsi rugiadosa stella”
Giuseppe Torelli, Per la contessa Stella de’ Medici (1795), vv. 7-8.

“Quando spiega la notte il negro velo/ E sparge intorno il rugiadoso gelo”;


Tasso, Rime d’amore 4 ;
“Aura che rugiadosa e mattutina l'alba percorri”
Marino, Poesie varie,La chioma della sua donna sventolata dall’aura, v. 1;
“Ecco l’alba rugiadosa come rosa”
Isabella Andreini, Rime,scherzo I, v. 1 ;

4
Tasso,Rime d’ amore, 398, In morte de la signorina Flaminia. Oltre a ricordare il primo verso
della nostra canzone, “Quando notte pensosa”, presenta anche altre somiglianze, come il paragone
tra le stelle e la donna scomparsa, che “in terra è spenta, ma raccesa in cielo” (v. 3).
36

in Leopardi: “rugiadosa luna”5.


v6 “che di chiara luce arda e baleni”:
“Corona tal ch’altrui vista offende,/Cerchia la fronte lucida e serena,/ E di gemme
stellata avampa, e splende/ E di stelle gemmata arde e balena.”
Marino, Adone, canto III, ott. 93, vv. 1-4;
“Allor dall’ ardue vette alle falde ime/ Di luce il giogo tutto arde e balena”
V. Monti, Cristo,13, vv. 6-7;
“E con gentil sorriso arde e balena”
Giuseppe Parini, Il Giorno,v. 1228;
“E par che amor sulle di lei pupille/ Di tutte le sue fiamme arda e baleni”
Salomone Gessner, Morte di Abele, I, st.36, vv. 3-4.
v7 “Altra rotando pe’ celesti seni”:
“E li occhi avea di letizia sì pieni,/ Che passar mi convien senza costrutto./ Quale
ne i plenilunii sereni/ Trivia ride tra le Ninfe eterne/ Che dipingono il ciel per tutti
i seni”
Dante, Par. XXIII, vv. 23-27.
v8 “Fiammeggia a mezzo il corso”:
“Caro, dolce, alto e faticoso/ Che ratto mi volgesti al verde bosco/ Usato di
sviarme a mezzo ‘l corso”Petrarca, Sestina VI, vv. 13-15;

“Ma di faville il cielo non anco ingombra/ E nello scudo è la celeste imago,/ come
ella appar, quando per nube adombra:/ Né giunta a mezzo ancor del corso
vago, /Riluce colle corna in mezzo all’ombra”
Tasso, Gerusalemme conquistata, XXI, st. 25, vv. 2-6;
“Maggior, se d'Oriente il vel dissolve;/ minore a mezzo il corso, ove risplenda”
Tasso, Rime, canzone XLI, In Lode della Casa Grillo,vv. 11-12;
“in su quell’ora appunto,/ Ch’a mezzo il corso giunto/ Febo s’arresta, e più
grand’arco tende,/ E più fiammeggia e splende;”
Ottavio Rinucccini, Il Narciso, favola in musica(1829), Atto III, Scena III;
“O quando il sol fiammeggia a mezzo il corso,/ O invia l’ultima luce al dì che
muore”

5
Leopardi, Frammento XXXIX, “Spento il diurno viaggio in Occidente”,v. 18.
37

Elena Montecchi, Poesie (1845), Inno alla vergine, vv. 23-24.


v9 “Altra, quando più splende,/ Ratta a l’occidental valle discende”:
“et per aver uom li occhi nel sol fissi,/ tanto si vede men quanto piu splende”;
Petrarca, Canz. CCCXXXIX, vv. 13-14;
“Segna una stella per l’eterea via/ Dei popoli gli eventi;/ E quando langue, forse
piange o espia/ Le colpe delle genti/ Ma so che ogn’astro che nel ciel declina/
Avrà un’alba novella,/ So che quando più splende, è più vicina / All’occaso ogni
stella,/ E a chi cade e a chi sorge insieme rammento:/ Che se un astro scompare ei
non è spento!”
Erminia FuaFusinato, Versi di Giannina Milli e E.F. Fusinato, Per la serata di
beneficenza, st. 6, vv. 1-10.
vv15-16 “Chè il primo Amor, per questa vece eterna,/ Tutto quanto il Creato/
Con perenne armonia volve e governa”:

“Queste cose che il ciel volge e governa,/ Dopo molto voltar, che fine
aranno?/[…] in etade immobile ed eterna”
Petrarca, Il trionfo della divinità,vv. 17-18, 21;
“Questi ogni dì volge e governa i capi”
Parini, Il Giorno, v. 583;
“Io chiamo te, per cui si volge e move/ La più benigna e mansueta sfera”
Marino, Incipit dell’Adone;
“Ne la sua vece eterna /Per magistero mai d’alma natura”
Tasso, Rime eroiche, Canzone XIV, vv.45-46;
“E tal con veci assidue agita e volve/ E governa il creato; simil forme / Serba colui
che un tal destin devolve”
Benedetto Vollo, La Sventura, poemetto lirico (1836), atto I, vv. 217-219.
Stanza 2

vv1-2 “Pur de l’immenso foco/ Vive ne’ petti nostri una favilla”:
“Tra parte prendi del mio immenso foco;/ O in me saetta men pungenti dardi”
Vittorio Alfieri, Rime(1789), sonetto IX,v. 3;
“Mentre, com’angiol, che ne’ petti accende/ Immenso fuoco di profondo ardore”
Diodata Salluzzo, Ipazia (1827), III, vv.86-87;
38

“Or prendi, o figlio,/ Dell’eterno tuo foco una favilla”


Vincenzo Monti, la Feroniade, vv.285-286.
v3 “Che non si spegne per girar di cielo”:
“Del trionfo di Cristo, e tutto ‘l frutto/ Ricolto del girar di queste sfere”
Dante, Trionfo di Cristo in cielo;
“Né per girar di cielo, o di pianeta /Avrà mai fine il sommo imperio giusto,/ Che
Dio posto non v’ ha tempo né meta “
M. Lodovico Dolce, Le trasformazioni tratte da Ovidio(1570), canto XXX;
“Il qual per crudeltà non tema morte/ Né per girar di ciel lagrima perde”
Boccaccio (attribuito), Sonetto Cadute son degli arbori le foglie.
v5 “Salendo ove non è tempo né loco”:
“Dagli occhi vostri uscio’l corpo mortale,/ Contra cui non mi val del tempo, né
loco”
Petrarca, Sonetto CIII, vv. 5-7;
“Siede colà, dond’egli e buono e giusto (…) E non vi ha luogo il luogo, o tempo il
tempo, Né la Natura, che produce a tempo”
Tasso, Gerusalemme conquistata, LVIII, v. 7.
v6 “Lascia il corpo quaggiù che le fea velo”:
“Ove le membra fanno a l’alma velo”
Petrarca,Sonetto LXXVII, v.11.

v7 “accesa da fervido zelo”:


“Amor che ncende ‘ l cor d’ardente zelo”
Petrarca, Sonetto LXXVII, v. 11;
“Or convien che s’accenda ogni mio zelo”
Petrarca, Il Trionfo del Tempo,v. 22;
“Così diceva segnato della stampa/ Nel suo aspetto di quel santo zelo,/ Che
misuratamente in cuore avvampa”
Purgatorio VIII.
39

v8 “e d’amor vestita”6:
“Ma di gloria, per man d’amor vestita/ E di nova beltà che i lumi abbaglia”
Lord Byron, Lamento del Tasso7, V,vv. 26-27;
Virtù che più nell'anima si sente,/ Aurea virtù che se’ d’amor vestita”
Carlo Pepoli, L’Amicizia, vv. 8-9;
“Gli Angeli eletti, e più d’amor vestita/La melode parea de' Cherubini.”
Giuseppe Borghi, Cantica in morte di Vincenzo Bellini(1836), canto I, vv. 16-17.
v9 “Ogni alto spirto lascia”:
“Or c’ ha lasciato il mondo freddo e nero/ Di bella voglia ogn’alto spirto acceso”
Vittoria Colonna, Rime (1760), Sonetto XI, vv. 5-6.
v10 “In desiderio intenso, in grave ambascia”:
“verso 'l maggiore e'lpiu expedito giogo/ tirar mi suol un desiderio intenso;”
Petr., Canz., CXXIX, vv. 54-55;
“Alfin con molto affanno e grave ambascia/ Esce dall’antro”
Ariosto, Orlando furioso, XXXIV,45,vv.7-8;
“Che l’alma in questo corpo angoscioso/ È per la grave ambscia infievolita”
Boccaccio, Il Filostrato, V parte, st. XXX, vv. 3-4.
v11 “d’immortal lume si fascia”:
“Quel suo lume immortale onde si informa/ Ben ch’egli sia del ciel sì nobil dono”
Tasso, Rime d’ amore, È vostra colpa donna, o mia sventura, vv. 10-11.
v13 “Donna, che a l’altrui ben la vita spese”:
“Che d’altrui ben, quasi suo mal, si dole”
Petrarca, Sonetto CLXVII,186,v.8.
6
Questa locuzione si trova spesso nei testi religiosi, come attributo delle sante. Più spesso si
trovano “vestita di sole” come epiteto della Vergine, cfr. in Petrarca, Canzoniere,“Verginebella
che di sol vestita” che riprende Ap. 12, 1-2 “amicta sole…et in capite eius corona stellarum
duodecim”. Vd. Albertini C. (1832) , Le rime del Petrarca con note di Castelvetro, Tassoni,
Muratori ecc., Ciardetti.
7
Cfr. Lamento del Tasso di Lord Byron recato in italiano da Michele Leoni (1818), Pisa, Niccolò
Capurro.
40

vv14-16 “Oh come fatto se diserto e cieco /O dolce mio paese/ Quanta cagion
hai tu di pianger meco”:

“Ahi orbo mondo, ingrato, Gran cagion ai di dever pianger meco, Che quel bel
che era in te, perduto ai seco”
Petr., Canz., CCLIVIII, vv. 20-22.
Stanza 3
v1 “Fresco e fiorito colle”8
v3 “Sollecita educò rose e viole”:
“Haec mihi quae colitur violis pictura rosisque”
Marziale, Epigrammi, lib. X, 32, v. 1;
“le molte ghirlande di viole e di rose/ che a me vicina, sul grembo/ intrecciasti col
timo”
Saffo, Vorrei veramente essere morta, vv. 12-14;
“men che di rose e più che di viole/ colore aprendo, si innovò la pianta”
Dante, Purg. XXXII, vv. 58-59;
“E fortuna ed Amor pur come sole/ Così rose e viole/ ha primavera, e‘l verno ha
neve e ghiaccio”
Petrarca, Canzone XVI, vv. 46-48;
“Di rose incoronate e di viole”
Petr., Trionfo della morte, v. 27;

“Digli, che sappi usar sua fama bella/ Che sempre mai non son rose e viole”
Poliziano, Orfeo, Atto I, Pastorale, canto di Aristeo;
“Gigli spargendo va, rose e viole”
Ariosto, Orlando furioso, XV, 57, v. 6;
“Prodursi fuor di questi bei giardini/ Né di tai rose o di simil viole”
Ivi, canto X, 62, vv. 2-3;
“Tali non son, cred’ io, rose e viole” Tasso, Rime d’ amore, 390, v. 9;
“Sdegnerai credo queste, c’ hor t’ invio/ Non senza alti sospir rose e viole?”
8
Vd Commento
41

Isabella Andreini, Rime, sonetto CVII, vv. 7-8; e della stessa:


“Privo maggio di rose e di viole”, Ivi, sonetto LVI, v. 3;
“e con sferza di rose e di viole/ affrettava il cammino inanzi al sole”
Marino, Adone, I, 20, 7-8;
“bei padiglioni di viole e di rose/ di garofani bianchi e purpurini”,
Ivi, XI, 21, vv. 3-4;
“Sovra la groppa di viole e rose fabricogli le barde e le girelle”,
Ivi, XIX, 83,1-2;
“La donzelletta vien dalla campagna,/ in sul calar del sole,/ col suo fascio
dell’erba, e reca in mano/ un mazzolin di rose e di viole”
Leopardi, Il sabato del villaggio, vv. 1-4;
“Il vento portava odor di rose e viole”
G. Pascoli, Primi poemetti, Digitale Purpurea, v. 62;
“Maggio, che sovra l’ossa ed i carcami/ rose educhi e viole”
Carducci, Rime nuove, Idillio di maggio, v. 5-6; e dello stesso:
“Ci fur rose e viole/ Luce, sorriso, ardor?”
Ivi, Tedio invernale, vv. 3-4.
v5 “O giovin prato dilettoso e molle”:
“La terra molle e lieta e dilettosa/ Simili a sé gli abitator produce”
Tasso, Ger. Lib., I,62,vv.5-6;
“Circonda il dilettoso e vago colle/ Dove molti animai facean soggiorno/
Pascendo l’erbe tenerine e molle”
M. Bojardo, L’Orlando innamorato, IV, canto II, 75, vv. 3-5.
v6 “O boschetti ove invan percote il sole/ L’aura de le dolcissime parole/ Ancor
viva qui spira”:
“Lieti fiori et felici, et ben nate herbe /che madonna pensando premer sole;/
piaggia ch'ascolti sue dolci parole,/ et del bel piede alcun vestigio serbe;/ schietti
arboscelli et verdi frondi acerbe, /amorosette et pallide viole;/ ombrose selve, ove
percote il sole”
Petrarca, Sonetto CLXII, vv.1-7;
42

“L'aura soave che dal chiaro viso/ Move col suon de le parole accorte/ Per far
dolce sereno ovunque spira”
Petr., Sonetto CIX, vv. 9-11;
“E l’aura delle sue dolci parole, E il vento de’ sospiri Spiraron nell'incendio, e 'l
fer maggiore”
Tasso, Ecloghe, Dialogo tra Arezia e Tirinto, vv. 64-66;
“dolcissime parole” Petrarca sonetto CLXV, v.10.
v10 “del bel lume spento”:
“Donna, de’ be’ vostri occhi il lume spento”Petr., Canz. XII, vv.4-5.
v12 “Ove campò da’ folgori e dal vento”:
“Ove non spira folgore, nè indegno vento mai, che l’aggrave”
Petr.,Canzone VI, st.7, vv. 6-7.
Stanza 4
v1 “E voi ramose piante”:
“E voi, ramose piante,/ Ch'in quest'alpestro balzo / D'umor pascete l'antica radice;/
Fra quai la mia beatrice / Sola talor sen viene!”
Poliziano, Rime, Canzone CXXVII, st. 6, vv. 4-8;
“Piante, frondose piante” Tasso, Rime d’ amore,95, v.1.

vv2-3 “a una leggiadra/ Schiera l’ombre porgeste amene e liete”:

“Quel vivo lauro ove solean far nido / li alti penseri, e i miei sospiri ardenti, / che
de' bei rami mai non mossen fronda/ al ciel traslato, in quel suo albergo fido/
lascio radici” Petr., Sonetto CCCXVIII, vv. 9-13;

“dolce mio lauro, ove habitar solea/ ogni bellezza, ogni vertute ardente,/vedeva a
la sua ombra honestamente / il mio signor sedersi et la mia dea./Ancor io il nido di
penseri electi/posi in quell'alma pianta” Petr., Sonetto CCCVII, vv. 5-10.

“Or te questa, O signor, leggiadra schiera/ Trattenga al novo giorno”

Giuseppe Parini, Il mattino,vv.205-206


“E di polledri una leggiadra schiera/ Annitrendo correa lieta al rumore”
Carducci, Rime nuove, Davanti a San Guido, vv. 111-112.
“E per le fertil spiagge, amene e liete leggiadre ninfe”
M. Bojardo, L’ Orlando Innamorato, lib. IV, st. 88, v 5;
43

“Né de le amene selve e liete valli”.


Ivi, st. 10, v.4.
v5 “Tal nota e segue ogni pianeta errante”:
“Ma come il Ciel lontano avvien che porte / Rapido seco ogni pianeta errante”
Tasso,Rime, Chi repugna a le stelle,vv. 6-7;
“Già nel’occaso i suoi corsier chiudea,/ Giunto a corcarsi, il gran pianeta errante”
G.B. Marino, L’Adone, canto IV, 157, vv. 1-2;
“Siccome sopra al gran Pianeta errante/Clitia si volge, e i suoi bei raggi adora”
Ivi, canto XII, ott. 191, vv1-2;
“Tornò al cielo scintillante Ogni pianeta errante”
Diodata Salluzzo, Armonia, vv.117-118.
v6 “Altri carmi discioglie e lauri miete”:
“Segno di alma gentil che fuor traspare, Indi scioglie e bei carmi”
G.B. Felice Zappi - Faustina Maratti, Rime, XIX, vv. 4-5;
“E lei vedrò che miete lauro e palma/ Pormisi a fronte con lo strale e l’arco”
Faustina Maratti, Sonetto IX, vv. 7-8;
“La Vittoria in presente/ Lauri miete e palme aduna”

Amarilli Etrusca, Poesie estemporanee, Le nozze di Teti e di Peleo, st.18, vv.1-2;

“E lauri miete augusti, e trionfali”

Benedetto Menzini, lib. XI, Sonetti Pastorali, IX, Incomodo della guerra,v.11;

“Arbor victoriosa trumphale,/onor d'imperadori et di poeti,/quanti m'ai fatto di


dogliosi et lieti/ in questa breve mia vita mortale!/vera donna, et a cui di nulla
cale,/se non d’ onor, che sovr’ ogni altra mieti”

Petr., CCLXIII, vv. 1-6.


v7 “Ora un compianto flebile accogliete”:
“Qual più rigido scoglio/ Intenerito avrebbe/ Il flebil suon de le pietose voci”
Marino, Poesie varie, IV, III, Leandro, st.6, vv. 1-3;
“Era preghiera, e mi parea lamento,/ D’ un suon grave, flebile,solenne”
44

Giuseppe Giusti, Poesie, Sant’ Ambrogio,vv.66-67;


“E molte volte in mezzo a un forte ridere,/ Si leva ad alta voce un canto flebile”
Jacopo Sannazzaro, Arcadia, Appendice, Ecloghe, vv.206-207.
vv8-11 “Vedove del bel riso/ Onde ne li occhi ardea/ Allor che a l’ospital canto
arridea/ Questa ch’ or fa più bello il paradiso”:
“e l'vago lume oltra misura ardea / di quei begli occhi, ch'or ne son si scarsi”
Petrarca, Sonetto XC,Erano i capei d’ oro a l’aura sparsi,vv. 3-4;
“Degli occhi ardenti, e lampeggiare il riso, E‘l bel celeste viso”
Tasso, Rime d’ amore, Canzone XVIII, vv. 37-38;
“E‘ lampeggiar de l’angelico riso/ Che solean far in terra un Paradiso”
Petrarca, Sonetto XXIV, vv. 6-7.
v12 “Ahi, da che scinse acerba morte e rea”:
“canzon mia, spense Morte acerba e rea,/ che più bel corpo occider non potea”
Petrarca, sonetto CCCXXV, “Tacer non posso, et temo non adopre”, vv.111-112;
“Crudel, come potesti tanto male/ guardare, e morte tanto acerba e rea”
Lorenzo de’ Medici, Ecloghe, II Apollo e Pan, vv. 137- 138;

“Peró d’ogni mia doglia io son contento./E se l’acerba morte allor pavento”

Tasso, Rime d’ amore, XVI, vv. 4-5.


v13 “Sua fragil veste”:
“Tu che vedi e rimiri/ Lo spirto ignudo dal suo fragil velo”
Torquato Tasso, Rime eroiche, Canzone XIV, vv. 37-38;
“Lasciando il mio caduco e fragil velo”
Tasso, Rime sacre, sonetto XV, v. 8.
vv15-16 “D’ ogni memore cor sospiri elice,/ Freddo rimasto e solo/ Il nido ove
abitò questa fenice!”:
“E questo ‘l nido in che la mia fenice/ mise l’aurate et le purpuree penne,/ che
sotto le sue ali il mio cor tenne,/ et parole et sospiri ancho ne elice?”
Sonetto CCCXXI, vv. 1- 4;
“Vedove l'erbe et torbide son l'acque,/ et voto et freddo 'l nido in ch'ella giacque”
45

Sonetto CCCXX, vv. 6-7.


Stanza 5
v3 “paterna riva”:
“Per me lasciaste la paterna riva”
Ariosto, Orlando furioso, XXIV, 83, vv. 4-6;
“Stanca, anelante a la paterna riva,/ qual suol cervetta affaticata in caccia”
Marino, Trasformazione di Dafne in lauro, vv. 1-2.
v4 “a l’ore estreme”:
“Poi ché l’ultimo giorno e l’ore estreme”
Petrarca, Sonetto XXVII, v. 5.
vv7-8 “Però di carità fiamma si viva/ Prese quest’alta donna”:
“Soleasi nel mio cor star bella e viva,/ Com’ alta donna in loco umile e basso.”
Petrarca, Sonetto XXVI, vv. 1-2;
“E tal di carità fiamma si accese”
S. Baldacchini Polinnia, Versi9, La Gilda, v. 5;
vv9-11 “Che alla vedova afflitta,/ Ala cacciata prole derelitta,/ Agli orbi vecchi
fu salda colonna”:
“Le donne lagrimose, e 'l vulgo inerme/ de la tenera etate, e i vecchi stanchi/
ch'anno se in odio et la soverchia vita,/ e i neri fraticelli e i bigi e i bianchi,/
coll'altre schiere travagliate e 'nferme,/ gridan: O signor nostro, aita, aita.”
Petr., Canzone LIII, Spirto gentil, 5, vv. 1-6;
“salda colonna”:
“Come credo che sia,/ Più salda che colonna,/ Mai non si dee tentar la fè di
donna”
T. Tasso, Rime pastorali, dialogo II, Arezia e Tirinto;
“e l’alta donna/ Di candida onestà salda colonna”
Diodata Salluzzo, L’Estro10, vv. 111-112;
“Questa e del viver mio l'una colomna”
Petrarca, Canzone CCLXVIII, v. 48;
9
Napoli 1859.
10
Poemetto in morte della contessa Enrichetta Taparelli Balbo, 1797.
46

“O di gentil costume unico esempio,/ D’ogni alto pensier cagione e donna,/ Del
lasso viver mio sola colonna,/ Di celestial virtude in terra tempio;”11
Vittorio Alfieri, sonetto XLIV, vv. 1-4;
“tu sol descriver puoi,/ questa del viver mio salda colonna”
Gaspara Stampa, Rime, Sonetto CCLXI, vv. 13-14.
v12 “Oh sia questa dogliosa istoria scritta”:
“Dogliosa istoria/ E d’ amara e d’orribil rimembranza”
Eneide (trad. Caro), II, vv. 4-5.
vv15-16 “Che le future genti/ non ne terranno mai le lingue mute”:
“I suoi nimici/ non ne potran tener le lingue mute”
Dante, Par. XVII;
“Amor sospende a le future genti” T. Tasso, Rime d’ amore, 446, v. 13;
“periranno,/ Ma gloriosi, e alle future genti/ Qualche bel fatto porterà il mio
nome”
V. Monti, Iliade, vv. 385-386;
“Consacri in carte alle future genti / Per sparger, questi di virtude dolenti”
Vittoria Colonna, Rime, sonetto CXXII, vv. 4-5.

Stanza 6

v1 “E tu, perduta Roma,/ E tu del fero ghibellin desio”:

“È compiuto il desio, che ardea nel petto/ Sì a lungo al fero Ghibellino”


B. Vollo, Le Alpi, carme;
“Sì che s’ altro accidente nol distorna, / Vedrà Bologna12, et poi la nobil Roma”
Petrarca, Canzone XXVII, vv. 7-8.
vv3-4 “E tu, non vota ancor d’ alme sdegnose,/ Felsina, al ragionar cortese e
pio”:
11
Cfr. st. 6, v. 10 : “di virtù verace e vivo tempio”.
12
Cfr. st. 6 v. 4: “Felsina” è l’antico nome di Bologna.
47

“basciammi ’l volto e disse -Alma sdegnosa benedetta colei che ’n te s’ incise-”


Inf. VIII, 44;
“Il pensar e’l tacer, il riso, ’l gioco,/ l’abito honesto e’l ragionar cortese/ le parole
che ’ntese/ avrian fatto gentil d’alma villana”
Petrarca, Canzone CCLII, vv. 80-83;
“Questi cortese e pio, non men che forte, / sottrasse a duro strazio alma innocente”
Marino, Poesie varie, XXXVI, vv. 13-14;
“S’ei fatto al mio languir cortese, e pio/ Per compiacer l’honesto mio desio”
Isabella Andreini, sonetto LXXXIX, vv. 6-7.
v5 “Di questa che or lasciò l’umana soma”:
“Volando al ciel colla terrena soma”
Petrarca, Canzone XXVIII, v. 28.
v7 “De le madri latine e delle spose”:
“Mostra a dito ed onorata andresti/ Fra le madri latine e fra le spose/ Là nella bella
Italia”
Tasso, Ger. Lib., VI, 77, vv. 13-15.
v8 “A voi l’almo intelletto”:
“L’ alte virtù di Enea superbe e sole/ Fan risuonar quel chiaro almo intelletto”
Vittoria Colonna, Sonetto LXIX, vv. 1-2;

“Saper bramo io dal vostro almo intelletto”


Gaspara Stampa, Sonetto CCLXIII, v. 5;
“Che tutto oscura, il chiaro almo intelletto”
Nidalmo Tiseo, Come nocchier, che la procella, st. 4, v. 4.
v9 “Aprìa novello esempio”:
“A un secol fosse con novello esempio”
Parini, Odi, La magistratura, vv. 75-76.
v10 “Che di virtù verace e vivo tempio”:
48

“Vergine sola al mondo senza exempio,/ che 'l ciel di tue bellezze innamorasti,/
cui ne prima fu simil ne seconda,/ santi pensieri, atti pietosi et casti/al vero Dio
sacrato et vivo tempio” 
Petrarca, Canzone CCCLIVI, vv. 53-57;
“Speron, ch’a l’opre chiare ed onorate,/ spronate ognun col vostro vivo esempio
(…) voi, d’ogni cortesia ricetto e tempio”
Gaspara Stampa, Rime (1554), CCLIII, v. 1-2, 7;
“L’alma vostra beltade/ De la divina esempio/ E di gloria immortale è vivo
tempio”
Tasso, Rime d’amore, 490, vv. 1-3;
“D’ ugualmente verace e vivo affetto,/ sede è quest’ alma”
Diodata Salluzzo, Poesie (1802), L’ augurio, vv. 20-21;
“Foste di Dio verace, e vivo Tempio”

Petronilla Paolina Massimi detta Fidalma, Chi è dicean le sovrumane menti, 5,


v.15

v11 “Fu la serena fronte e il casto petto”:

“Quella serena fronte e meraviglia”


M. Bandello, Canzoniere, VI, vv. 1-2;
“Le sorge incontra più serena fronte”
Tasso, Rime d’ amore, 131, v. 9;
“Vidi in un chiaro fonte/ Le bianche mani e la serena fronte”
Andreini, Madrigale CXVII, vv. 2-3;

“Narrar t’udia di che virtù fu tempio/ Il casto petto di colui che piangi”
Manzoni, in morte di Carlo Imbonati, vv. 11-12.
v14 “però giugnesti in su l’estremo varco”:
“Non mi lasciare in su l’estremo passo”
Petr., Canz. XLIX, v. 107;
“et quanto all’alma/ bisogna ir lieve al periglioso varco”
Petr., Sonetto XCI, vv.13-14.
49

v15 “O fior di cortesia”13:


“Se lo sareste, fior di cortesia”
Anonimo, Vorria che al dio d’amore a cui son dato,v. 8;14
“Ch’ io servire la vorria/ A la fior di cortesia/ E d’ insegnamento”
Ivi, Donna audite como, vv. 79-81;
“Con somma cortesia e somma honestate /Fior di virtù, fontana di beltade”
Petrarca, Rime, Sonetto CCCXIV, vv. 6-8;
“O desiata Vergine/ O fior di cortesia”
Leopoldo Tarantini, Una Memoria, vv. 1-4;
“O fior di gentilezza e cortesia”
Felice Bobbio, Fiori e Spine, A Federico Secondo, poeta, Melodia, v. 1.
v16 “Appena dei tuoi dì scendendo l’arco”:
“odi s’ i fù, come ti dico folle/ già discendendo l’arco d’ i miei anni”
Purg. XIII, 114.

Stanza 7
vv 3-4 “e un vel da gli occhi/ Lor cade, e l’opre schiude inique e felle”:
“et da squarciare il velo/ch’è stato avvolto intorno agli occhi nostri”
Petr., Canz. XXVIII, vv. 61-63;
“Sgombrando de gli sdegni il fosco velo”
Tasso, Rime d’amore, 415, vv. 11;
“E le luci impie e felle/ Quasi in tutto il ciel eran disperse”
13
L’ invocazione al fiore deriverebbe dalla poesia popolare in particolare dallo stornello toscano:
“stornello chiamato anche ramanzetto nelle montagne pistoiesi, ebbe forse nascita ed ha
certamente vigorosissima vita in Toscana. Esso, nella sua più comune e più stabile forma, è
composto di un quinario che ordinariamente contiene la invocazione di un fiore”
Cit. Ermolao Rubieri, Storia della poesia popolare italiana,Barbera,Firenze 1877, p.66.
14
Estratti da: Francesco Trucchi,Poesie edite ed inedite di dugento autoridall'origine della lingua
infino al secolo decimosettimo 1, Volume 1, Prato 1846.
50

Petr., Canz. CCCXXV, vv. 67-68;


“Con odio intenso e voglie inique e felle”
M. Bojardo, L’Orlando innamorato, V,VIII,48, v. 6;
“Scaccia dal cor le parti inique e felle”
Ovidio, Metamorfosi (G.A. Dell’ Anguillara), XIII;
“Come voi che all’inique anime felle”
Tasso, Ger. Lib. XIII,7, vv. 5-6;
“Desteran lor opre inique, e felle”
Salomone Gessner, Morte di Abele, canto II,109, v. 6;
“ch’ ei ne pianse, e tali opre inique e felle/ Narrò, tornando a riveder le stelle”
Amarilli Etrusca, In morte del conte Ugolino,7, vv.7-8.
v4 “E vien che l’ultim’ora orrenda scocchi”:
“Aspett’ io pur che scocchi/ l’ultimo colpo chi mi diede il primo”
Petr., Canz. CCVII, 7, vv.7-8.
v5 “tema e vergogna”:
“Madonna mia bisogna/ Ed ella a me: Da tema e da vergogna/ Voglio che tu
ormai ti disviluppe”
Dante, Purg. XXXIII, vv. 31-33;
“Quando tacea, perché vergogna e tema/ Facean molto desir parer sì poco”
Petr., Trionfo della morte, cap.II, vv. 143-144;

“E tutti i sensi per tema e per vergogna”


M. Bojardo, Orl. Inn., canto XXIX, 11, vv. 6-8.
v6 “Dal caro albergo suo l’alma si svelle”:
“L’alma, cui morte del suo albergo caccia,/ da me si parte, et di nodo sciolta,/
vassene pur a lei che la minaccia”
Petr., Sonetto CCLVI, vv. 9-11;
“l’alma esce dal cor per seguir voi,/ et con molto pensiero indi si svelle”
Petr., Canz. XVII, vv. 12-14;
51

“Forse pria, che da me l’alma si svella,/ Tua crudeltà farà pietoso il Cielo”
Isabella Andreini, Sonetto XVIII, vv. 13-14.
v7 “che aspettata era a le stelle”:
“O aspectata in ciel beata et bella/ anima che di nostra humanitade/ vestita vai,
non come l'altre carca
Petr., Canz. XXVIII, vv. 1-3.
v8 “Poiché al mondo fallace”:
“L’anima santa che ’l mondo fallace/ Fa manifesto a chi di lei ben ode”
Dante, Par. X, vv. 125-126.
v9 “I sicuri occhi torse”:
“movendo gli occhi che stavan sicuri” Par. XV, v. 15;
“li diritti occhi torse allora in biechi” Inf. VI, v. 91.
v10 “Indi l’angel di Dio lieto le accorse”:
“Quando l’angel di Dio lieto ci apparse”
Purg. XXVII, vv. 6-7.
v 14 “Drizzan la mente al tuo medesmo segno”:
“Allor mi dolsi, ed ora mi ridoglio /Quando drizzo la mente a ciò che io vidi”
Inf. XXVI, vv. 19-20;
“si lieta come bella/ -Drizza la mente in Dio grata-, mi disse”
Par. II, vv. 29-30.

vv15-16 “Quindi leggera e sciolta/ Trasse a l’ altezza del beato regno”:


“A seguitar costei, che’n fuga è volta/ E de’ lacci d’amor leggera e sciolta/ Vola
dinanzi al lento correr mio”
Petr., Sonetto VI, vv. 2-4.
Stanza 8
v1 “Or del fornito calle/ Forse ragioni o nobil pellegrina”:
52

“Forse i devoti et gli amorosi preghi/ et le lagrime sancte de’ mortali


son giunte inanzi a la pietà superna;/ et forse non fur mai tante né tali/ che per
merito lor punto si pieghi/ fuor de suo corso la giustitia eterna”

Petr., Rime, canz. 5, vv 16 – 21;

“ma piango e grido: Ahi, nobil pellegrina,/ Qual sententia divina”


Petr., Canz. CCLXX, vv. 96-97;
v4 “E di Sïon celeste or cittadina”:
“par dir di quella ch’è stata fatta immortale/ et cittadina del celeste regno”
Petr., Sonetto CCCLVI, vv. 3-4;
v8 “materna sponda”:
“Da un impeto d’amor l’alma gioconda/ Rapita, il vol spiccato avrebbe a Dio;
Come chiuso vapor, se il foco abbonda, /Scoppia e s’ innalza all’etere natio./ Ma
il vate estremo alla materna sponda.”
Giannina Milli, In Morte di Rodolfo Cestinelli, 5, vv. 1-5;
v11 “Forse tu preghi a noi l’alba gioconda”:
“Del suo manto spiegò l’alba gioconda”
Baldassarre Pisani, A Bacco, 9, vv. 4-5;
“Qual da un’alba gioconda è un Sol che sorge”
Faustina degli Azzi, Al serenissimo principe di Toscana, v. 14;
“Ma spunta alfine l’alba gioconda/ che al crin t’appresta la dotta fronda”
A. Fusinato, Poesie, Il Laureando, vv. 58-59;
“Rugiada o pioggia/ più nol feconda,/ Nè il riso fervido/ D’alba gioconda”
Eufrosina Vercellese, L’ Ultima Rosa del Cespuglio, vv. 29-32.
v12 “Che tanto lume e tanta grazia piova”:
“E tanta grazia sopra me relusse” Par. XXII;
“Della sua grazia sopra me non piove” Petr., Son. XVIII, v. 14;
“Armato regna amor, e vuol che piova,/ Quinci ogni grazia, ogni dolcezza a
prova”
Bandello, Il Canzoniere, IV, Questa nova beltà, vv. 6-7.
v13 “ne le nostre alme contrade”:
53

“Di dolcissima manna e di rugiada/ Piova in questa felice alma contrada”


Tasso, Rime pastorali, dialogo II, Arezia e Tirinto.
“Da le sempre beate alme contrade”
Pietro Bembo, Canz. VI, v. 4;
“Volgi il guardo d’Italia alle gioconde/ Alme contrade”
V. Monti, La Bellezza dell’Universo;
“E per queste fiorite alme contrade/ Risuonin liete le voci, e lieti i canti”
Ottavio Rinuccini, Euridice, coro, vv. 35-36.
v14 “Un chiaro giorno, e generosi canti”:
“Quando la sera scaccia il chiaro giorno”
Petr., Canz. XXII, v. 13;
“Sciogli gli eterni generosi canti”
Diodata Salluzzo, Per la convalescenza della medesima, v. 15.
v15 “Ed onorate spade e magnanime donne a te sembianti”:
“poi che sé giunto a l’onorata verga” Petr., Canz. LIII, v.4;
“Mentre ’l novo dolor dunque l’accora,/ non riponete l’onorata spada”
Petr., Canz. CIII, v. 9;
“S’innalzin d’un guerrier l’arme onorate”
Tasso, Rime eroiche, Canz. VI, v. 62;
“Cinto han per Christo l’onorate spade”
Tasso, Gerusalemme conquistata, canto IX, 6, v. 4;
“Ma l’onesta regal che mai non debbe/ da magnanima donna esser negletta, / le
costrinse a partirsi”
Tasso, Gerus. Lib., VI, 101, vv. 2-4;
“La magnanima donna il destrier volse” Ivi, XX, 95, v. 1.
Stanza 9
v 1 “O dolorosa mia che in veste negra”:
54

“Fuggi 'l sereno e 'l verde,/ non t'appressare ove sia riso o canto,/ canzon mia no,
ma pianto: / non fa per te di star fra gente allegra, / vedova, sconsolata, in vesta
negra.”
Petr., Canz. CCLIVIII, vv. 78-82;
v4 “ Nulla s’ agguaglia”:15
“Et dolce honesto riso et quella gratia/ A cui cosa mortal nulla s’ agguaglia”
Lorenzo de’ Medici, Sonetto VII, vv. 13-14;
“Nulla s’ agguaglia al tuo valor superno”
Tasso, Intrichi d’ amore (commedia), choro fine del primo atto v. 8;
“Non si può, donne care, il più mostrarvi/ De le sue lode, a cui nulla s’agguaglia”
Ludovico Ariosto, Donne gentil che a meraviglia belle, 17, vv. 1-2;
v4 “il tuo dir troppo umile”:
“et temo ch’ ella/ non abbia a schifo il mio dir troppo humile”
Petr., canz. CCXLVII, v. 6;
“ed alzava il mio stile/ sovra di sè, dove or non poria gire”
Petr., Sonetto CCLXX, vv. 37-38.

2.5 Parafrasi

Stanza 1
Quando Notte pensosa
Copre la terra sotto le grandi ale
E il cielo apre i suoi lucidi sereni,
Spunta da l'aurea porta orïentale
15
Vd. anche in commento.
55

Ora una stella or altra, e rugiadosa


Vien che di chiara luce arda e baleni;
Altra rotando pe' celesti seni
Fiammeggia a mezzo il corso;
Altra,quando più splende,
Ratta a l'occidental valle discende:
Tal de l'antica gente il lume è scorso,
Tale ogni vita di quaggiù s'accende,
Sfavilla e cade e muta loco e stato;
Chè il primo amor per questa vece eterna,
Tutto quanto il creato
Con perenne armonia volve e governa.

Quando la notte che induce a pensare copre la terra sotto le sue grandi ali, e il
cielo accende i suoi astri lucenti, dalla porta aurea ad oriente 16, spunta ora una
stella, ora un’ altra, e appare affinché splenda di una luce chiara; un’altra
percorrendo il cielo, sfavilla a metà del tragitto, un’altra nel momento in cui
splende di più, precipita rapida verso occidente: allo stesso modo è passato l’astro
degli antichi, e così ogni vita di quaggiù si accende, sfavilla e perisce e cambia
luogo e stato, siccome Dio, con perenne armonia governa e dirige tutto il Creato
verso questo destino eterno.

Stanza 2
Pur de l' immenso foco
Vive ne' petti nostri una favilla
Che non si spegne per girar di cielo;
E, al segnato suo dì, vie più tranquilla
Salendo ove non è tempo nè loco,
Lascia il corpo quaggiù che le fea velo;
E dove accesa di fervido zelo
Visse, e d'amor vestita,
Ogni alto spirto lascia
In desiderio intenso, in grave ambascia,
E la natìa contrada impoverita.
Tale, or che d’ immortal lume si fascia
Donna, che a l'altrui ben la vita spese,
Oh come fatto se’diserto e cieco
O dolce mio paese!

16
Porta orientale del tempio di Gerusalemme, detta anche porta d’ oro. Gerusalemme come punto
di riferimento geografico e astronomico è tipico nella Divina Commedia.
56

Quanta cagione hai tu di pianger meco!

Eppure nei nostri cuori vive una scintilla del sacro fuoco che non si spegne con il
passare del tempo; e giunto il suo giorno, salendo dove non esiste né il tempo né
lo spazio, lascia il corpo che quaggiù le faceva da veste; e nel luogo in cui visse
accesa da una fervida operosità e piena d’amore, lascia in ogni uomo dal grande
animo una profonda nostalgia e una forte angoscia, e la terra natia impoverita.
Senza quella donna, che ha speso la sua vita per il bene degli altri, come sei
diventato desolato o dolce mio paese! Quanta ragione hai di piangere con me!

Stanza 3
Fresco e fiorito colle
Ove questa gentil söavemente
Sollecita educò rose e vïole,
O gelid' antro, o valletta ridente,
O giovin prato dilettoso e molle,
O boschetti ove invan percote il sole!
L'aura de le dolcissime parole
Ancor viva qui spira;
Qui pietoso un lamento
Par che risuoni del bel lume spento;
E qui segna con mano, indi sospira
Ove campò da' folgori e dal vento
Il pellegrino affaticato e scarno;
E il lacero orfanel, fatto importuno,
Attende a l'uscio indarno
La donna onde solvea spesso il digiuno.

Colle rigoglioso e fiorito, dove questa donna premurosa amabilmente curò rose e
viole, o grotta gelida, o valle amena, o prato accogliente e delicato, o boschetti
dove il sole batte invano! Il vento che porta con sé il suono delle dolcissime
parole soffia ancora forte; qui sembra risuonare un lamento pietoso per la vita
preziosa che si è spenta; il pellegrino affaticato e scarno indica con la mano questo
luogo e rimpiange il posto dove si riparò dai fulmini e dal vento; e l’orfanello
vestito con abiti logori, divenuto inopportuno, aspetta inutilmente all’uscio, dove
la donna spesso lo sfamava.

Stanza 4
57

E voi, ramose piante,


Che di vati e di sofi a una leggiadra
Schiera l'ombre porgeste amene e liete
(De’quai chi il cielo e chi la terra squadra,
Tal nota e segue ogni pianeta errante,
Altri carmi discioglie e lauri miete),
Ora un compianto flebile accogliete,
Vedove del bel riso
Onde negli occhi ardea
Allor che a l' ospital canto arridea
Questa ch' or fa più bello il paradiso.
Ahi, da che scinse acerba morte e rea
Sua fragil veste e diede a l'alma il volo,
D'ogni memore cor sospiri elice,
Freddo rimasto e solo
Il nido ove abitò questa fenice!

E voi, piante colme di rami che amene e liete offriste la vostra ombra a una nobile
schiera di poeti e di studiosi (dei quali alcuni studiano il cielo e altri la terra, l’uno
osserva e segue ogni pianeta che si muove, l’altro compone carmi e si procura la
gloria), ora accogliete un pianto lacrimevole, voi rimaste vedove del bel sorriso
che splendeva negli occhi di lei quando godeva del canto accogliente, lei che ora
fa più bello il Paradiso. Ahi, da quando la morte prematura e colpevole ha preso il
corpo che le faceva da velo e ha dato il volo all’anima, il luogo dove ha vissuto
questa donna di rare virtù, rimasto freddo e solo, fa trarre sospiri ad ogni cuore
che la ricorda.

Stanza 5
Un tempo fu che al prode
Tornò funesto, anzi di duol fu seme
Il santo amor de la paterna riva;
E tale (o sé beato !) a l'ore estreme
Corse fregiato di non compra lode,
Altri raminga vita ebbe, o captiva;
Però di carità fiamma sì viva
Prese quest'alta donna,
58

Che a la vedova afflitta,


A la scacciala prole derelitta,
A gli orbi vecchi fu salda colonna.
Oh sia questa dogliosa istoria scrìtta
Nel molle cor de’ pargoli innocenti,
E di costei l'angelica virtute!
Chè le future genti
Non ne terranno mai le lingue mute.

Vi è stato un tempo in cui al prode, tornò in modo funesto, anzi fu motivo di


dolore, il santo amore per la patria, e tale (sia beato) arrivò alla fine della sua vita
ornato di un onore non immeritato, qualcun altro ebbe una vita da vagabondo, o
da prigioniero; però la fiamma della carità accendeva questa nobile donna così
tanto che fu una salda colonna per la vedova afflitta, per i bambini scacciati e
abbandonati e per i vecchi ciechi. Oh, che questa storia dolorosa e la virtù
angelica di questa donna sia scritta nel cuore tenero dei bambini innocenti!
Affinché anche i posteri non smettano mai di parlarne.

Stanza 6
E tu, perduta Roma,
E tu del fero ghibellin desio,
E tu, non vôta ancor d'alme sdegnose,
Felsina, al ragionar cortese e pio
Di questa ch'or lasciò la umana soma,
Poneste mente a le obblïate cose.
De le madri latine e de le spose
A voi l'almo intelletto
Aprìa novello esempio,
Chè di virtù verace e vivo tempio
Fu la serena fronte e il casto petto.
Ahi com'è breve al giusto e lunga a l'empio
Di questa terra l’intricata via!
Però giugnesti in su l'estremo varco,
O fior di cortesia ,
Appena de' tuoi dì scendendo l’arco.

E tu, Roma ormai perduta, e tu, che sei l’oggetto del desiderio del ghibellino
spietato, e tu Bologna, non ancora priva di anime disdegnose, grazie alle parole
nobili e pie di colei che adesso ha lasciato l’umanità, poneste attenzione alle cose
59

dimenticate. A voi riportava alla mente l’antico esempio delle madri e delle mogli
latine, perché il suo volto sereno e il petto casto furono un autentico e vivo tempio
di virtù. Ahi com’è breve per il giusto e lunga per il malvagio la strada intricata di
questa terra! Però sei giunta alla porta del cielo, o fior di cortesia, non appena
arrivata alla vecchiaia.

Stanza 7
Una voce rampogna
In su la morte i tristi,e un vel da gli occhi
Lor cade, e l'opre schiude inique e felle;
E vien che l'ultim'ora orrenda scocchi,
Che tutta carca di tema e vergogna
Dal caro albergo suo l’alma si svelle;
Ma questa che aspettata era a le stelle,
Poi che al mondo fallace
1 sicuri occhi torse,
Vide infinita gente a cui man porse,
Per lei tolta di guerra e posta in pace.
Indi l'angel di Dio lieto le occorse,
E: vieni, disse; i figli, a cui se' volta,
Drizzan la mente al tuo medesmo segno:
Quindi leggera e sciolta
Trasse a l' altezza del beato regno.

Una voce ammonisce le persone tristi sulla morte, e un velo cade dai loro occhi, e
svela l’opera ingiusta e amara; arriva il momento in cui scocca l’ultima ora, in cui
l’anima tutta carica di paura e timore si separa dal suo caro ospite. Ma questa, che
era attesa dalle stelle, dopo aver distolto lo sguardo sincero dal mondo
ingannevole, vide una moltitudine di persone, alle quali aveva recato aiuto, grazie
a lei allontanate dal peccato e poste in pace. Qui le si avvicinò lieto l’angelo di
Dio, e disse: vieni, i figli, ai quali sei rivolta, volgono la mente alla tua stessa
direzione: quindi leggera e sciolta la condusse verso il Beato Regno.

Stanza 8
Or del fornito calle
Forse ragioni, o nobil pellegrina,
Al buon Pastor che in tua virtù si piacque;
E, di Sïon celeste or cittadina,
60

Ogni alma vedi che in quest'empia valle


A l’onor de la scure un dì soggiacque.
E forse in voi la carità non tacque
De la materna sponda;
E, poi che il cielo a prova
Le cose di quaggiù spegne e rinnova,
Forse tu preghi a noi l'alba gioconda
Che tanto lume e tanta grazia piova,
Che porti ne le nostre alme contrade
Un chiaro giorno, e generosi canti,
Ed onorate spade,
E magnanime donne a te sembianti.

Ora forse racconti del tuo complicato cammino, o nobile pellegrina, al buon
Pastore che si compiacque per la tua virtù; e ora che sei cittadina di Sion, vedi
ogni anima che un giorno in questa povera terra soccombette all’estremo onore
della falce. E forse in voi non si è spento l’amore verso la terra materna, e poiché
il Cielo, a prova dell’esistenza di Dio, le cose di quaggiù fa morire e rinascere,
forse tu preghi la generosità di Dio, affinché piova tanta luce e tanta grazia divina
da portare nelle nostre fertili terre un giorno luminoso, e canti generosi, e onori
militari, e donne magnanime e simili a te.

Stanza 9
O dolorosa mia, che in veste negra,
Inculta movi e lenta,
Chè al subbietto gentile
Nulla s’agguaglia il tuo dir troppo umile,
Or ti conforta, chè gentil diventa
Qualunque a verità levi lo stile:
Chè, mentre ogni mortal luce tramonta,
Sol dura il ver pari ad eterna fiamma.
Sincera or movi e pronta,
Per tutta Italia, come amor t'infiamma.

Canzone mia addolorata, che vestita di nero, ti muovi incolta 17 e lenta, poiché il
tuo dir troppo umile non si addice al soggetto gentile, adesso ti conforta che
diventa gentile qualunque (canzone) tratti la verità. Poiché, mentre ogni luce

17
Inculta sta per non colta, rozza, disadorna, mediocre.
61

mortale tramonta, solo il vero dura come un’eterna fiamma. Adesso vai sincera e
pronta, per tutta Italia, siccome sei accesa dall’ amore.

3 Commento

3.1 Struttura:
La canzone è formata da nove stanze di sedici versi ciascuna eccetto l’ultima,
ovvero il commiato, che è formata da dieci versi.
62

Ogni stanza è composta da un’alternanza di endecasillabi e settenari. I primi tre


versi costituiscono il primo piede, i successivi tre il secondo piede (e rimano, con
un'inversione, con i primi tre); questi sei versi sono la fronte; segue la chiave, che
rima con l'ultimo verso precedente ed introduce la sirma, che si conclude con una
rima alternata.

Lo schema delle rime, in cui indichiamo con le lettere minuscole i settenari e con
le maiuscole gli endecasillabi, è: aBCBACCdeEDEFGfG per cui si ha una
concatenazione di rima invertita e rima incrociata tra i due piedi della fronte,
esattamente al centro si trovano i due versi settenari di cui il secondo corrisponde
alla chiave e rima con il verso precedente, ed introduce la sirma che presenta la
rima alternata degli ultimi quattro versi di cui il penultimo è un settenario.

L’ultima stanza invece è caratterizzata dallo schema: AbcDCFGfG che


corrisponde allo stesso schema delle altre stanze, troncato dei primi sei versi.

3.2 Argomento:

Il componimento inizia con una particolare metafora che paragona la vita terrena
agli astri, che sorgono, brillano e tramontano, così come gli uomini nascono
vivono e muoiono, alcuni dopo aver vissuto a lungo, altri quando sono nel pieno
della loro vita, quando più splende, vengono strappati ad essa dalla volontà
divina, alla quale non si può sfuggire. Però la poetessa afferma che nonostante
questo destino avverso, c’è una favilla in ognuno di noi che non si spegne
nemmeno con la morte, e si ricongiungerà con Dio. Inizia allora a compiangere la
donna defunta e invoca i luoghi che le furono cari, dove l’aura de le dolcissime
parole ancor viva qui spira, invitandoli a piangere con lei, e descrive la donna
come caritatevole verso i più deboli, piena di eccezionali virtù, tanto da essere un
esempio per gli uomini e le donne che la ricordano. Menziona le opere di carità
fatte dalla donna, e si rivolge alle piante del giardino di Villa Ricciardi, che aveva
accolto scienziati, artisti e poeti, e che ora era freddo rimasto e solo. Dopo essersi
rivolta al colle e al giardino, delineando una sorta di climax, si rivolge all’Italia, e
in particolare a Roma, a una città che non nomina ma definisce del fero ghibellin
desio e che possiamo ipotizzare si tratti della sua Napoli, oppressa dal governo
63

francese, e infine a Bologna, e chiede a chiunque abbia ancora a cuore il giusto,


usa infatti l’espressione dantesca alme sdegnose, di tenere a mente il messaggio e
l’esempio della defunta. Descrive poi l’ascesa al cielo della donna, accompagnata
da un angelo, e l’arrivo nel beato regno al cospetto del buon Pastor. La canzone si
chiude, come da tradizione, con il commiato e interessante è notare come la
canzone ritorni al tema dell’inizio ovvero gli astri utilizzati qui per rappresentare
l’immortalità del vero in confronto alla caducità del falso.

3.3 Pubblicazione e accoglienza della critica:

Questa canzone, fu composta dalla Guacci per la morte della poetessa, madre
dell’amica Irene, Luisa Ricciardi, contessa di Camaldoli, scomparsa nel marzo del
1832. Composta nel novembre dello stesso anno compare nella raccolta del 1833
Prose e versi in onore di Luisa Ricciardi18, Contessa di Camaldoli, e nell’edizione
del 1839 e del 1847 delle Rime. È presente inoltre in varie antologie, raccolte, e
articoli di giornali del tempo. Tra questi la raccolta del 1843 Gemme; o, Rime di
poetesse italiane antiche e moderne di Antonio Ronna19, in cui le poesie della
Guacci compaiono insieme a quelle di poetesse contemporanee, come l’amica
Irene Ricciardi, e quelle di poetesse del secolo precedente o dell’ epoca
immediatamente anteriore a quella della Guacci come Vittoria Colonna, Lucrezia
Marinella, Isabella Andreini, Amarilli Etrusca, Diodata Salluzzo, queste, tutte
citate nei riferimenti trovati nella canzone in analisi. Per quanto riguarda le
antologie, la canzone è presente nell’Antologia didattica dell'arte della parola
offerta alle giovanette italiane da Raffaello Rossi20 dove a titolo d’esempio per le
studentesse sono esposte le rime delle maggiori poetesse italiane. Viene

18
Prose e versi in onore di Luisa Ricciardi, raccolta B. Puoti, Tipografia del Procelli, Napoli 1833.

19
Antonio Ronna, Gemme o rime di poetesse italiane antiche e moderne, Baudry, Parigi 1843;
questo saggio compare anche come appendice ad un’altra raccolta di poesie , ovvero : Cantù
Cesare, Parnaso italiano di Poeti italiani contemporanei, maggiori e minori. Preceduti da un
discorso preliminare intorno a Giuseppe Parini e il suo secolo, scritto da Cesare Cantù, e seguiti
da un saggio di rime di poetesse italiane antiche e moderne, scelte da A. Ronna, Baudry, Parigi
1843 – 1847.

20
Raffaello Rossi,Antologia didattica dell'arte della parola offerta alle giovanette italiane da
Raffaello Rossi Tipografia Tofani, Firenze 1871.
64

mensionata inoltre in un articolo del Giornale Arcadico di Scienze Lettere ed


Arti21del 1833 in cui si recensisce la raccolta Prose e versi in onore di Luisa
Ricciardi, pubblicata lo stesso anno, e dove leggiamo un commento critico da
parte di F. Ranalli:

“La canzone della Guacci è pregevolissima tanto per la forbitezza dello stile,
quanto per la nobiltà delle immagini; e bene vi scorgi quel forte ed insieme
affettuoso sentire del Petrarca allorchè piangeva sopra i mali d’ Italia. E perché
ognuno possa da per sé giudicarne, noi recheremo alcuni versi nei quali è dipinta
la pietà e la cortesia della buona Luisa verso quegl’ infelici, ai quali, come dice
Dante: -i lieti onor tornaro in tristi lutti-” riporta la quinta stanza della canzone,
e aggiunge più avanti “sarebbe nondimeno desiderabile dalla illustre donzella
ch’ella non istendesse alcuna volta troppo la dizione ancorchè leggiadra,
spezialmente quando il pensiero non è molto pellegrino: chè stimiamo (nella
prima strofe) traboccante ricchezza di locuzione, dodici versi per mostrare che
siccome le stelle in cielo -altre sorgono altre sono a mezzo il corso, altre vengono
all’ occaso, così come il lume dell’ antica gente è scorso ed ogni vita di quaggiù
si accende, sfavilla ,e cade-; come anche di non far apertamente sentire la brama
di levarsi troppo alto e di non prender la cosa più da lungi di quanto il subbietto
richieggia…”

Quindi l’articolo, che termina con una lode alla Guacci, che viene definita valente
poetessa, resta comunque una celata critica al petrarchismo e all’esagerazione
delle metafore nella nostra canzone e quasi un invito, rivolto alla poetessa, a
migliorarsi.

3.4 La Guacci tra Classicismo e Romanticismo:

Di certo non si può mettere in dubbio la forte presenza di allusioni, immagini,


metafore, riferimenti alla produzione petrarchesca nella canzone da noi trattata
così come in tutta la produzione della Guacci, che non bisogna necessariamente

21
Giornale Arcadico di Scienze Lettere ed Arti, Tomo XL, luglio,agosto e settembre 1833,
stamperia del Giornale Arcadico presso Antonio Boulzaler, Roma pp. 261,263.
65

giudicare come una pecca ma considerare facendo conto del contesto storico,
artistico, e letterario, sul quale apriamo una breve parentesi. Ci troviamo infatti
nel periodo in cui è in atto la polemica tra i vecchi valori del Classicismo e quelli
nascenti del Romanticismo. Il primo che vuole riproporre la cultura classica, il
secondo sostenitore di una cultura nuova e al passo con i tempi, che si ponga
come problema anche quello dell’indipendenza nazionale, il rifiuto dei modelli
classici, l’esaltazione della creatività e sostiene il ruolo cruciale delle
traduzioni dalle letterature straniere per svecchiare la tradizione nazionale, ancora
legata al gusto della mitologia classica e a una letteratura più di forma che di
sostanza. Nasce così il concetto di poesia popolare, che è opposta alla maniera
imitativa dei classicisti e che secondo la loro visione sa assecondare e coltivare lo
spirito nazionale, a differenza del Classicismo, che è solo “imitazione di
imitazione”, in quanto non sa che replicare senza sentimento né partecipazione le
formule degli antichi. In questo clima di polemica un autore che si oppone alla
corrente romantica in difesa dei valori classicisti è Leopardi, ma nel prenderne le
parti egli al contempo si distacca dall’accademica imitazione dei modelli antichi,
promuovendo invece un’attenzione per i classici che colga tutta la loro vitalità
autentica e primogenia, scaturita da un contatto più vicino con la natura. Leopardi
quindi può essere definito classicista- romantico, il cui scopo era una poesia fuori
dagli schemi, che rispettasse la tradizione classica e allo stesso tempo la
rinnovasse. Anche la Guacci, per le radici puriste della sua cultura, per la sua
formazione neoclassica su un temperamento romantico, è fortemente influenzata
dalla secolare tradizione letteraria italiana che è tutta presente nella sua
produzione, da Dante ai poeti rinascimentali fino ai contemporanei. E non si deve
ritenere che il “lungo e accurato studio di quegli autori gliene aveva fatto così
bene immedesimare i pensieri e la loro espressione che nel formare ed esprimere i
propri, trovandosi nella identica disposizione d’animo e di mente le veniva fatto di
concepirli ed esprimerli colle loro stesse parole” 22ma che la dipendenza della sua
poesia dalla tradizione e dagli studi severi non è mai pedissequa, ma sempre
originale. Ricevette, come il recanatese, un’educazione classica, e come lui non si
distaccò mai dai modelli del passato, tanto che nella sua poesia troviamo
22
Cleofe,Staurenghi, Quarantino,Vita e studi sulle opere di Giuseppina Guacci Nobile, Trani,
Napoli 1892, p.190.
66

riferimenti, oltre che a Petrarca, a Dante, Ariosto,Tasso, Monti, per citarne solo
alcuni, ma, a differenza di Leopardi,non si allontanò dalle forme classiche, e dalle
strutture metriche della tradizione, che sono forse il segreto della forte musicalità
delle sue poesie.23

3.5 Tracce del petrarchismo in In Morte di Luisa Ricciardi

Dalla lettura della nostra canzone fin dalla prima stanza ci rendiamo conto del
legame profondo che lega la Guacci alla tradizione classica, infatti nelle prime
stanze troviamo il topos del locus amoenus, tipico della poesia bucolica di
Teocrito e del Virgilio delle Bucoliche , tradizione dalla quale attinse anche
Leopardi per i suoi Idilli, e con echi a Petrarca e a Tasso delle poesie pastorali,
che compaiono più volte nella canzone.24 Evidenti sono la continua invocazione
alla Donna, l’utilizzo di parole appartenenti all’aria semantica della luce e del
fuoco25, l’uso dei vocativi, tutti elementi presenti nella poesia stilnovista, e che
Petrarca aveva fatto suoi. Prendiamo ad esempio la terza stanza della canzone. La
stanza precedente era terminata con una citazione velata del Sonetto CCLIVIII del
Petrarca, la successiva si apre con un riferimento quasi letterale del sonetto
petrarchesco Fresco,ombroso, fiorito e verde colle che diventa invocazione al
colle Camaldoli, e tutta la terza stanza sembra essere un rifacimento della canzone
Chiare fresche e dolci acque così come afferma Carmelina Naselli nel suo libro Il
Petrarca nell’Ottocento26, nel quale analizzando la poesia della Guacci individua
proprio nella canzone In Morte di Luisa Ricciardi, chiari esempi di petrarchismo
ottocentesco. La Naselli continua sostenendo che l’invocazione che segue
all’antro, alla valletta, al prato, ai boschetti, si ricollega al sonetto CCCIII “Amor
che meco al buon tempo ti stavi”, anche le espressioni del bel lume spento (v.10),
e l’arder del bel riso (st.4, v.9) sono petrarchesche. Continua, riferendosi alla
quarta stanza:
23
Cfr. Nunzia Soglia, Le Rime di Maria Giuseppa Guacci Nobile tra l’insegnamento del Puoti e la
poesia di Leopardi, Associazione degli italianisti, XIV Congresso nazionale, Università degli
Studi di Genova, 15-18 settembre 2010.
24
A tale proposito si rimanda, per tutti i riferimenti, all’ analisi intertestuale, cap. 2.
25
Es.:st.1, v.6 arda e baleni; ivi, v.9 splende; ivi v. 12 accende
26
Carmelina Naselli, Il Petrarca nell’ Ottocento, F. Perella, Napoli 1923, pp. 509-511.
67

“All’idea delle ramose piante che offrirono lieta ombra ai frequentatori di casa
Ricciardi, ed ora son vedove del bel riso della padrona, servirono d’ispirazione ill
sonetto in cui il Petrarca si rivolge al lauro che soleva proteggere con la sua
ombra Laura e Amore (CCCXVII), e l’altro in cui esprime il dolore di vedere
oscurati i colli dove nacque la sua donna (CCCXXI)”.

Sulla quarta stanza tuttavia e specialmente sul primo verso, bisogna aprire una
parentesi poiché corrisponde al primo verso della Canzone del Poliziano,
CXXVII, dalla quale ha chiaramente attinto la Guacci. Il poeta scrivendola ha
preso norma a sua volta da quella celebratissima del Petrarca, Chiare fresche e
dolci acque.27 Leggendo la prima stanza della canzone, inoltre, appaiono gli stessi
temi delle stanze tre e quattro del nostro componimento, infatti:

“Monti, valli, antri e colli,/Pien di fior, frondi ed erba,/Verdi campagne, ombrosi


e folti boschi;/ Poggi, ch'ognor più molli/ Fa la mia pena acerba,/ Struggendo gli
occhi nebulosi, e foschi:/ Fiume, che par conoschi/ Mio spietato dolore/ Sì dolce
meco piagni;/ Augel, che n'accompagni,/ Ove con noi si duol cantando, Amore/
Fiere, Ninfe, aer e venti,/ Udite il suon de tristi miei lamenti.”(vv. 1-13).
Quindi è probabile che in questo caso la Guacci abbia attinto dal Poliziano per
l’espressione al primo verso, e dalle tematiche analoghe di entrambe le canzoni
per il resto della stanza.

Abbiamo detto che la poetessa invoca le piante del giardino di Villa Ricciardi,
luogo a lei carissimo, tanto da dedicarvi un componimento a parte, intitolato
proprio Villa di Camaldoli, stanze che furono pubblicate alla fine della raccolta
del 1833 Prose e versi in onore di L. Ricciardi e che sono recensite nello stesso
numero del Giornale Arcadico28 in cui era presente la recensione della nostra
canzone. Le stanze vengono introdotte da un affettuoso elogio della Guacci da
parte di B. Puoto, l’editore, ma non si manca neanche in questa recensione di
muovere critiche alla Guacci. Infatti Ranalli scrive:

“In queste ottave è descritto l’amenissimo colle di Camaldoli dove la buona Luisa
viveva più tranquilli e più sereni i suoi giorni dilettandosi nella innocente coltura
delle piante e dei fiori”e più avanti, dopo la critica di alcune espressioni leggiamo
27
Vd. Nannucci V. e Ciampolini L. (1845), Rime di m.r Angelo Poliziano con illustrazioni dell’abate
V. Nannucci e di L. Ciampolini, Firenze, Niccolò Carli, p.363.
28
Giornale arcadico di Scienze, Lettere ed Arti, cit., pp.266-268.
68

“è veramente puerile l’ invocazione della verità (…) quasi che alcuno potesse
esservi che volesse dubitare delle cose che si vengono descrivendo, come l’
amenità del loco, la purezza dell’aria, il verde delle piante e tutto ciò che forma le
delizie di una villa. Adire il vero nel leggere la prima ottava noi credevamo che la
Guacci volesse donarci un bel poema eroico e confessiamo di esserci gabbati in
quel loco al ciel diletto immaginando o il sepolcro di Cristo, o l’antico Eden …”

Ancora una volta vengono mosse alla nostra poetessa accuse di esagerazione ed
esasperazione di immagini e metafore troppo ardite per i temi trattati.

Tornando alla nostra canzone, dopo il suddetto lamento nella quarta stanza, si
presenta la quinta stanza, che era apparsa a Ranalli come una prova evidente
dell’imitazione petrarchesca della Guacci, tanto da citarla nell’articolo, e allo
stesso modo la pensa anche la Naselli, che nel suo libro ne riporta i versi 7-11:

Però di carità fiamma sì viva/prese quest’ alta donna / Che a la vedova afflitta/A
la scacciata prole derelitta,/ A gli orbi vecchi fu salda colonna.

e asserisce che si ricollegano alla stanza quinta della canzone Spirto gentil:
Le donne lagrimose, e'l vulgo inerme
De la tenera etate, e i vecchi stanchi
Ch'anno se in odio et la soverchia vita,
E i neri fraticelli e i bigi e i bianchi,
Coll'altre schiere travagliate e'nferme, 
Gridan: O signor nostro, aita, aita.29

Continuando nella nostra lettura ci rendiamo conto che quello alla quinta stanza
non è l’unico rifermento alla canzone. Infatti la stanza successiva vuole essere un
monito all’Italia, in particolare a Roma, Bologna, a seguire l’esempio di virtù
delle madri latine e delle spose che rappresentano i valori di un’epoca di
grandezza ormai andata perduta. Questa è una citazione, non di espressioni ma di
concetti, della terza stanza della stessa canzone di Petrarca:

L'antiche mura ch'anchor teme et ama/et trema 'l mondo, quando si rimembra/del
tempo andato e 'n dietro si rivolve, /e i sassi dove fur chiuse le membra/di ta' che

29
Petr., canzone LIII, Allo spirto gentil, 5, vv.1-6.
69

non saranno senza fama,/se l'universo pria non si dissolve,/et tutto quel ch'una
ruina involve,/per te spera saldar ogni suo vitio.(ivi vv. 1-8)

Proseguendo, non possiamo non notare il richiamo nella settima stanza alla
canzone O aspectata in ciel che non si limita alla citazione del primo verso che
aspectata era a le stelle, ma i riferimenti continuano anche nella stanza
successiva, e si comprendono leggendo parallelamente i due testi. Oltre a quelli
già citati troviamo all’interno della canzone anche rimandi agli stessi concetti, che
ci fanno pensare che non siano solo riferimenti petrarchesci casuali e non
intenzionali, dovuti al profondo studio del Canzoniere, come gli altri sparsi
all’interno del testo, ma che la Guacci abbia preso proprio come modello questa
canzone dei Rerum Vulgarium Fragmenta. Riportiamo alcuni versi da confrontare
parallelamente:

a Dio dilecta, obedïente ancella, Ma questa che aspettata era a le


onde al suo regno di qua giú si varca, stelle,
ecco novellamente a la tua barca, Poi che al mondo fallace
ch’al cieco mondo à già volte le spalle I sicuri occhi torse,
per gir al miglior porto, Vide infinita gente a cui man porse
d’un vento occidental dolce conforto; Per lei tolta di guerra e posta in
lo qual per mezzo questa oscura valle, pace.
ove piangiamo il nostro et l’altrui torto, Indi l'angel di Dio lieto le occorse
la condurrà de’ lacci antichi sciolta, E: vieni, disse; i figli a cui se' volta
per dritissimo calle, Drizzan la mente al tuo medesmo
al verace orïente ov’ella è volta. segno:
Quindi leggera e sciolta
Trasse a l' altezza del beato regno.

Forse i devoti et gli amorosi preghi Or del fornito calle


et le lagrime sancte de’ mortali Forse ragioni, o nobil pellegrina,
son giunte inanzi a la pietà superna; Al buon Pastor che in tua virtù si
et forse non fur mai tante né tali piacque;
che per merito lor punto si pieghi E, di Sïon celeste or cittadina,
fuor de suo corso la giustitia eterna; Ogni alma vedi che in quest'empia
(canzXXVIII, vv. 5-21) valle
A l’onor de la scure un dì
soggiacque.
70

Infine, concludiamo evidenziando come, il commiato risulta essere una sintesi di


tre congedi petrarcheschi: quello della canzone Che debb’ io far? che mi consigli
Amore? ovvero:

non t’appressare ove sia riso o canto,


canzon mia no, ma pianto:
non fa per te di star fra gente allegra,
vedova, sconsolata, in vesta negra. (vv. 79-82)

quello della canzone Una donna più bella assai che ’l sole:

Canzon, chi tua ragion chiamasse obscura,


di’: - Non ò cura, perché tosto spero
ch’altro messaggio il vero
farà in piú chiara voce manifesto.
I’ venni sol per isvegliare altrui,
se chi m’impose questo
non m’inganò, quand’io partí’ da lui. (vv. 106-112)

e quello della già citata Oaspectata in ciel:

Tu vedrai Italia et l’onorata riva,


canzon, ch’agli occhi miei cela et contende
non mar, non poggio o fiume,
ma solo Amor che del suo altero lume
piú m’invaghisce dove piú m’incende:
né Natura può star contra’l costume.
Or movi, non smarrir l’altre compagne,
ché non pur sotto bende
alberga Amor, per cui si ride et piagne.(vv. 106-114).

4 In Morte di Luisa Ricciardi come canzone civile

4.1 Il Leopardi delle canzoni civili e la Guacci


Abbiamo già accennato, parlando della polemica ottocentesca tra Classicismo e
Romanticismo, all’affinità tra la poetica della Guacci e quella del giovane
Leopardi classicista e patriottico, interessato alle sorti del suo Paese. È in questo
periodo che il poeta scrive la canzone All’Italia, dove come modello si pone la
71

canzone di Petrarca Spirto Gentil, di cui fa una citazione nell’ incipit quasi
letterale:

“O patria mia, vedo le mura e gli archi e le colonne e i simulacri e l’erme torri
degli avi nostri, ma la gloria non vedo, non vedo il lauro e il ferro ond’eran
carchi i nostri padri antichi. Or fatta inerme, nuda la fronte e nudo il petto
mostri.”30

La canzone vede l’Italia personificata in una donna bellissima e potente nel


passato, ora ridotta in schiavitù, piangente con il volto nascosto fra le ginocchia e
le braccia legate da catene, ferita e abbandonata dai suoi stessi figli, immagine
ispirata da un’altra canzone petrarchesca, Italia mia, che vede nel bel corpo
dell’Italia numerose ferite mortali: “le piaghe mortali/ che nel bel corpo tuo sì
spesse veggio”(vv. 2-3). Il ventenne Leopardi dichiara con enfasi di esser pronto a
morire da solo per la salvezza della patria, da eroe romantico in conflitto con la
società, e per condurre gli italiani al riscatto dalle forze straniere che impediscono
l’unità nazionale. Infatti è nel periodo Classicista e del forte patriottismo giovanile
che scrive questa e un’altra canzone civile: Sopra il monumento di Dante; in
questi due componimenti viene presentata la crisi politico-sociale italiana
dell'epoca,contrapponendola alla grandezza del passato: viene espressa l'esigenza
di incitare gli italiani a rinnovare i fasti della Roma imperiale, che Leopardi
rimpiange nostalgicamente. Nelle due canzoni è evidente l'invito a seguire
l'esempio degli antichi. In questo periodo Leopardi ha una scarsa considerazione
della lirica italiana e considera le tre canzoni politiche dei Rerum Vulgarium
Fragmenta: “le sole composizioni liriche italiane che si meritino questo nome,
cioè le tre Canzoni del Petrarca, O aspettata, Spirto gentil, Italia mia”31 

30
Che corrisponde nella canzone Spirto gentil: “L’antiche mura ch'anchor teme et ama/ et trema 'l
mondo, quando si rimembra/ del tempo andato e 'n dietro si rivolve,/ e i sassi dove fur chiuse le
membra/ di ta' che non saranno senza fama,/ se l'universo pria non si dissolve// et tutto quel
ch'una ruina involve,/ per te spera saldar ogni suo vitio” vv. 29-36.
31
 (Epist. I, 259)lettera del 1819 indirizzata all’amico Pietro Giordani. Considerazioni simili si
trovano anche in alcuni pagine dello Zibaldone di quegli anni, nelle quali ancora Petrarca e nello
specifico le canzoni civili sono additate a massimo modello di poesia, esempi di semplicità e
candidezza, accompagnate da nobiltà e magnificenza del dire, forza delle sentenze e delle
immagini (Zib. 23, 29-30, 70).
72

Questo confronto tra la felicità del passato e la decadenza presente si sviluppa


anche in altre canzoni, come Ad Angelo Mai, in cui al tema patriottico si
aggiungono riflessioni filosofico-esistenziali, e Nelle nozze della sorella Paolina.

Quindi sia nelle prime canzoni di Leopardi sia nella produzione guacciana c’è un
fine comune, quello civile. Ma se da una parte la poetessa continuerà per tutta la
vita a credere nei principi liberali e nella possibilità di un governo giusto,
dall’altra Leopardi abbandonerà la politica fino a disprezzarla, ritenendola
inutile, dal momento che non serve a procurare la felicità dell’uomo, destinato a
essere fatalmente infelice.

4.2 Il messaggio politico della canzone

L’interesse politico, costituisce un filo conduttore nella poesia guacciana, la


maggior parte delle poesie della Guacci, infatti, ha un fervido impianto politico
con una forte sottolineatura di orgoglio identitario di italianità. Questo grazie alla
frequentazione degli ambienti e delle personalità liberali del tempo, la casa
paterna con le “riunioni sabatine” prima, poi la scuola del Puoti, e
successivamente casa Ricciardi e lo stesso salotto dei Nobile. Presentando
l’edizione del 1832 delle sue Rime, la Guacci spiegò che esse erano “tutte intese
allo scopo di celebrare la virtù e di riscaldare nei petti degli Italiani e delle
Italiane quei nobili sensi che più generosa, più utile, più lieta o almeno più
portabile rendono la vita e che soli potranno durevolmente mutare in meglio le
sorti della patria comune”. Le sue inclinazioni politiche peraltro non erano
alimentate solo dal desiderio di un nuovo assetto politico, ma si accompagnavano
ad un acuto interesse per i problemi sociali e di sviluppo della qualità del vivere,
oltre all’interesse verso l’emancipazione delle donne nella società, espresso
proprio nella canzone Alle Donne napoletane, una critica alla condizione
femminile del tempo, critica che deriva dall’esperienza che la poetessa aveva
vissuto sulla propria pelle. A prova dell’interesse civile della Guacci basta
guardare alla sua produzione e scorgere tra i protagonisti delle sue poesie i
maggiori esponenti della civiltà italiana da Dante a Vico, da Cristoforo Colombo a
Giambattista Della Porta.
73

Leopardi rimase sempre per la Guacci il poeta dell’impegno civile e patriottico,


come del resto per molti altri intellettuali prerisorgimentali. Le canzoni Alla
Fortuna e Alle donne napoletane, ad esempio, sono fortemente suggestionate dal
canto leopardiano Nelle nozze della sorella Paolina. All’esortazione leopardiana
Donne, da voi non poco/La patria aspetta corrisponde quella della Guacci nella
canzone Alle donne napoletane: Per Dio, vi stringa amor del natio loco. L’
influenza del recanatese sulla poetessa quindi non è un segreto.

Abbiamo visto come anche nella canzone da noi trattata ci sia più che un
riferimento alla canzone Spirto gentil, celebrata da Leopardi, il filo conduttore
sembra essere quindi quello civile e politico. Per capirlo bisogna prendere in
analisi proprio la quinta stanza della canzone. Qui i riferimenti al prode, a la
vedova afflitta, a la scacciata prole derelitta potrebbero non essere riferimenti
vaghi alle molte persone aiutate in vita dalla contessa. Luisa Granito aveva in
comune con la poetessa non solo l’amore per l’arte della parola, ma anche il
pensiero politico e l’attenzione nei confronti delle classi sociali più deboli. Grazie
a lei e al marito, Francesco Ricciardi, Villa di Camaldoli divenne meta di
importanti personalità napoletane, tanto da essere definita il centro degli incontri
politici di quelle personalità che formarono poi i moti rivoluzionari napoletani
del 1848.

Non bisogna infatti dimenticare il lato ribelle di Luisa Granito, la quale trasmise al
figlio, Giuseppe Ricciardi, futuro esponente e politico del movimento patriota pro-
Italia, le sue idee popolari, o certamente fece parte della sua formazione
ideologica per ammissione del figlio stesso:

“ mia madre, comeché nobile, tra per la sua mente svegliata e la sua indole generosa,
e forse anche per essere stata ferita nel vivo da questi sciocchi pregiudizi aristocratici,
pendeva apertamente verso le idee popolari, cui, senza accorgersene, veniva
instillando nei suoi figlioli, e massime in me, nel quale trovava un'anima a ciò
predisposta mirabilmente.”32

Luisa visse le vicende della Repubblica napoletana del 1799 e riuscì a salvare
insieme al marito, avvocato, molti patrioti napoletani condannati da Ferdinando

32
Giuseppe Ricciardi Memorie cit. p. 27 in Nel desiderio delle tue care nuove: scritture private e
relazioni di genere nell'Ottocento risorgimentale.
74

IV. Tra questi la figura più importante risulta essere quella del vescovo Bernardo
Della Torre, un vescovo di idee patriottiche che era stato la guida religiosa e
morale della contessa. L’adesione del vescovo alla Repubblica partenopea, è
dimostrata dalla pubblicazione di una Pastorale “del cittadino". Durante quei mesi
il vescovo si adoperò per ottenere indulgenza per gli insorti e per mantenere la
pace e l'ordine, collaborando col nuovo governo anche come membro della
commissione ecclesiastica. Dopo la caduta della Repubblica fu catturato mentre si
nascondeva nella casa della contessa Granito, fu rinchiuso in Castel dell'Ovo e
sottoposto a processo dalla giunta di Stato. La difesa sostenuta da F. Ricciardi,
servì a salvargli la vita, ma fu comunque condannato alla deportazione perpetua
(25 ott. 1799), si rifugiò a Marsiglia, meta di molti esuli della reazione.33

Un’altra figura che la contessa Granito aiutò in quel periodo così movimentato
della Repubblica Napoletana fu una sua cara amica, la duchessa di Popoli Maria
Antonia Carafa, definita da Eleonora Pimentel de Fonseca “Madre della Patria”,
trovandole rifugio presso la casa di Aurora Prevetot, fidanzata del noto
patriota Vincenzo Russo, uno dei massimi esponenti del giacobinismo. Quindi
possiamo ipotizzare che a queste due figure, così come a tutti i caduti per la causa
della Repubblica, alluda la Guacci nella quinta stanza della canzone quando si
riferisce al prode Bernardo Della Torre esiliato a Marsiglia insieme a molti altri e
che quindi dovette soffrire insieme a loro del santo amor de la paterna riva. E a
M. Antonia Carafa, vedova afflitta, uccisa dal dolore per la perdita del figlio
condannato alla ghigliottina, morto insieme a molti altri figli e mariti che
combattevano per la stessa causa, durante il governo di Ferdinando IV.

I due patrioti, così come Luisa Granito, dovevano essere per la Guacci un forte
esempio morale e civile da seguire e da imitare, è per questo che nella canzone a
lei dedicata esprime la speranza che le azioni compiute dalla donna non cadano
nell’oblio: Oh sia questa dogliosa istoria scritta/ Nel molle cor de’ pargoli
innocenti,/ E di costei l’angelica virtute!/ Chè le future genti/ Non ne terranno
mai le lingue mute!

33
Maria Aurora Tallarico, Della Torre Bernardo in Dizionario Biografico degli Italiani - Volume
37 1989, Enciclopedia Treccani online.
75

Conclusioni
Abbiamo evidenziato attraverso un percorso che va dal petrarchismo presente
nella canzone In Morte di Luisa Ricciardi, al collegamento con la poesia civile di
Leopardi, il vero scopo del componimento che è quello politico e civile. Luisa
Granito non è solo madre, sposa, poetessa, ma è l’esempio di una donna oltre le
righe, che combatte attivamente per i valori in cui crede, che incarna quindi l’
ideale della donna per la Guacci, che avrebbe scritto nel 1848, in un articolo su Il
Nazionale, intitolato “Dell’ufficio che si conviene alle donne nel 1848”
rivolgendosi alle donne napoletane durante i moti rivoluzionari di quegli anni, che
esse non devono vivere chiuse in tutte quelle superficialità che tanto accarezzano
l'orgogliuzzo donnesco, ma devono spronare, più che frenare, i loro uomini che si
impegnano nella lotta politica, devono educare i figli ad essere buoni e
responsabili cittadini, senza paura dei pericoli e della morte 34. Le donne, quindi,
sono le prime destinatarie della poesia della Guacci, ed è alle donne e per le donne
che ella scrive, e non solo a loro in quanto madri, spose, o figlie ma in quanto
membri di una società che le vuole ignoranti e sottomesse agli uomini. La
poetessa le desta dal sonno, le chiama all’azione, le invita ad essere protagoniste,
e non solo mere osservatrici della storia del loro Paese.

Appendice

34
Cfr. Nicola Terraciano, Maria Giuseppa Guacci, Nuovo Monitore Napoletano online, 2013.
- Lucia Valenzi, Maria Giuseppina Guacci Nobile tra letteratura e politica, in Archivio Storico per
le Province Napoletane", n. CXVII, Napoli, 1999, pp. 537-548.
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85
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87

La Villa di Camaldoli Ed ora al ciel tornata ov'è felice,


China il guardo quell'alma, e
benedice.
Stanze di M. Giuseppa Guacci
V.

Ottobre 1832 La mobil casa il sereno aer fende


Sola fra le campagne spaziose;
I Verdeggia un denso bosco a manca e
scende
Di frondi intesto e di vermiglie rose ;
Chi mai, chi presterà sì largo volo,
Chè un sì tenero fior qui s'erge e
stende
Chi tanta lena al mio poco intelletto
Tra spessi rami le braccia amorose;
Che l'umil canto mio taccia ogni duolo
E il bel coperto di rose novelle
E suoni un dolce loco al ciel diletto ?
Ricco, somiglia un ciel ricco di stelle.
O tu che movi da le stelle e solo
Spiri il tuo spirto in generoso petto,
VI Qui l'eterno multiplice amaranto
Destami, o Verità, l'aura seconda
Riluce tinto di color di foco;
E altere piume a versi miei circonda.
Porta d'Iride accesa il nome e il manto
II. Sul verde gambo l' odorato croco;
Spiega le acute foglie il molle acanto
Spesso addivien che fra dorate sale Che alla inventrice fantasia di loco,
E fra cittadi e splendidi palagi E in greco lido alle colonne inconte
Infiorato il delitto in alto sale Di ghirlande onorò la nuda fronte.
Pe velenosi assentator malvagi ;
VII.
Così che alcun fra noi splende
immortale
Ecco un lene aleggiar dell'aura estiva,
Non di virtù ma di ricchezze e d'agi,
Ch'agita i rami, agli occhi manifesta
Nè giammai quelle menti aspre
Un angeletta che fra l'erba viva
nutrica
Quasi un fior siede, avvolta in bianca
La melodia d' una parola amica.
vesta;
E rose e gigli e fior d' estrania riva
Piovono a gara in su la bionda testa ;
Ed ella altri ne strugge, altri ne spiega,
Ma in questi eletti campi ove si spazia
Quant'è l'ingegno e si rinnova il core,
Altri ne coglie e in ghirlandette lega .
Della rugiada al par piove la grazia
La qual di cortesia rallegra il fiore; VIII.
Chè ogni alma di piacer colma e non
sazia Ma un canto, una ineffabile dolcezza
Risponderebbe a tutte inchieste: Si diffonde per l'aria romita ;
Amore ; L'anima presa di gentil vaghezza
Nè alcun quest'aere ov'alto amor si Precorre il piè su per la via spedita.
gode Qui l'erba luce di nuova bellezza
Contaminò d'invereconda lode. Di più gioioso aprilringiovenita;
Qui d'incontro alla tremula marina
IV. Si leva un'amenissima collina.
Erano un giorno inospiti e selvagge
Sì erbose terre, eran di sterpi offese;
Ma sciogliendo parole accorte e sagge
Una Ninfa qui posa, e l'armonia
Tempra qui delle italiche sue note
Un angelico spirito discese,
Sotto l'irsuto pin, che di Sorìa
E pompeggiar colline e fiorir piagge
Tratto, ombreggia le piante a sè mal
Vedi, e levarsi una magion cortese ;
88

note,
Nè teme il Sol se per l'immensa via
Poco ristà su le infiammate rote, XIV.
Nè che la oscura pioggia a le sue zolle
Sfiori l'erbetta, più che il sonno, molle. Chi è colui che sol pensando siede
Sotto l'ombrella delle verdi foglie?
Egli è il signor del loco onde si vede
La terra adorna di sì belle spoglie ;
Salve, o candida Ninfa ! al tempo All'ingrata città le spalle ei diede,
antico Però che amaro frutto ivi si coglie,
Ch'ebbero i muti boschi anima e E qui si piace e questi campi schiuse
mente, Alle meste Arti, alle scacciate Muse
Te cara deità del colle aprico
Tenuta avria l'innamorata gente: XV
Tanto dal labbro tuo dolce e pudico
Corre di melodia largo torrente ; Ecco il cupo secreto ombroso speco
Tanto nell'atto d' onestate adorno Di un freddo suavissimo giocondo;
Sdegni la terra che ti ride intorno. Qui regna sempre all'aer chiaro o
cieco
Un sacro orrore, un silenzio profondo.

Salve,o candida Ninfa ! Ad altro calle Io qui m'assido e della flebil Eco
Convien ch'io volga i passi pellegrini, Desto la voce dall'arcato fondo,
Ove il fulgido Sole apre una valle E di rorido umor tutta stillante
Superba quasi degli aerei pini Porgo i miei versi a quello spirto
Cui fresca per le scorze antiche e gialle errante.

Serpe la rosa e cinge i duri crini: XVI.


Così fra noi beltà fiorisce e i prodi
Quindi ritto un cipresso e di viole
Cinge sovente di leggiadri modi.
Notturne un cespo vergine pallente
XII Ove Ninfa gentil sempre si duole (4),
Ove piange ogni augel pietosamente ;
E tu, giovine pin, che d'anno in anno Qui l'ultimo saluto or manda il Sole
Vestendo vai l'onor delle aspre Mentre i raggi raccoglie all'Occidente,
chiome, E il dorso indora a quella scura balza
Se ti crebbe colei ch'è fuor d' affanno Ove l'ermo Camaldoli s'innalza.
E pur dianzi lasciò le umane some,
XVII.
Quando gli afflitti all'ombra tua
verranno,
Negra vedi salir l'alta montagna
Forse in memoria del suo chiaro
Toccando il Ciel d' oro listato e pinto;
nome,
In cima ha un loco ove Pietà si lagna
Porgi l'ombra ospitale, e sì gli affida
Sul cener caldo d'almo lume estinto
Dalle saette di Fortuna infida.
(5);
XIII. Veste i ripidi fianchi e la campagna
Di vario verde un bel color distinto;
Ma l'alta fantasia che a gran fatica Pendon da' greppi a folti paschi in
Per tant'aere si libra, i vanni ha sciolti mezzo
Ove qual laberinto entro s'intrica Le caprette lanose al grato orezzo.
Il bel giardin di stretti calli e folti.
Vedi da lato biondeggiar la spica, XVIII
Ondeggiar come il mare i pingui colti,
Or dammi d'eloquenza un vivo fiume,
E il castagno di fiori bianchi ripieno
Erato bella, e il pensier mio sprigiona.
Offrir l'asilo del suo cavo seno.
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Io veggio mille piante oltre il costume D'odoriferi cedri ecco un sentiero


Che già fiorir sotto diversa Zona; Che il suo gradito olezzo all'aer
Quanti colli feconda il maggior lume, manda;
Quante mai terre l'Ocean corona Ma di perpetua giovinezza altero
Voller di rare frutta e nuovi fiori Il maggior cedro avvien che i rami
Al bel prato inviar larghi tesori. spanda,
E vago già dell'aspettato impero
XIX. Di sudditi arbuscelli s'inghirlanda,
E aspira al ciel, chè in più sacre foreste
Qui tra bruni giacinti e il fiordaliso
Di violette vien molta famiglia; Forse un tempo sentìa l'aura celeste.
E dove io lascio te, vago Narciso,
O voi ligustri cui l'alba inverniglia?
Cresci, o pianta gentil di Paradiso
Che della tua bellezza hai maraviglia,
Ed in tepida cella adempi al tutto
Il dilicato fior l'avaro frutto. Ma voi di nuovi rami arbor conserti
E di mille color tutti fioriti
XX. Vedrò di pomi un dì gravi e coperti
Od abbracciati dalle carche viti ;
O pieghevol Cratego ventilante, Nè turberò le vostre ore solerti
Di be'coralli imitator vivace ; Api gelose degli arcani riti,
O capannetta da le verdi piante Sì ch'entro i chiusi alberghi assai suavi
Intorniata ove il Sol quasi tace, Sien le dolcezze del curati favi.
Tu gli atti mesti e il tramutar
XXIV.
sembiante
Vedesti di Colei ch or posa in pace, Or dove l'intelletto e il desiderio,
Quando scorata in pena ed in disìo Dominatrice fantasia, levasti?
Un dì rispose a dolci amici: Addio . Quindi il giardin del bel paese Esperio,

Quinci i campi del ciel sereni e vasti


XXI.
(8).
Già il Sol dichina all' opposto
Abbi sempre benigno e Sole e Luna
emisferio,
Tu, pietoso arbuscel, ch'al par de' fiori
E di contro co' rai silenti e casti
Un dì campasti da crudel fortuna
La Luna su le cose in pria sì liete
I fuggitivi ed innocenti amori ;
Versa una malinconica quiete
E forse all'aria minacciosa e bruna
E del fulmine a rapidi furori
Quel bel desìo che mai forza non
Il semplicettoaugel la consapevole
perde
Compagna segue ad ali tese in aria;
Allor ti pinse di sì vivo verde.
S'ode il sospir d'un venticello agevole
XXII. Nel grembo della valle solitaria:
Io sola misurando al dì fuggevole
La parte orientale e la contraria,
Veggio Napoli mia che le memorie
Conserva pur delle cadute glorie.

XXVI.

L'occhio invaghito dall'eccelsa loggia


I campi e la cittade e il mar discopre,
E il cor tutto lo segue e ovunque
poggia
90

Scerne antiche reliquie e pensa l'opre; Oh avventurose piagge, il vostro aprile

Mira quanta speranza ivi s'appoggia Non fugga quando i giorni il Sol
E quanto onor, quanta vergogna dispaia!
copre Chè di Torquato nostro in voi fiorito
Fin l'erba e i sassi di quel lido ameno Udiste il suavissimo vagito.
Che abbraccia il placidissimo Tirreno.

XXVII. 

Nè sempre tu pacifico e solingo


Fosti, o ceruleo mar, chè ad altra
etade
Le curve navi in bellicoso aringo XXXI.
Corser veloci le tue dubbie strade,
Tal che fuggiva il pescator ramingo Chi è colui che senz'aver mai posa (9)
Al balenar delle forbite spade, Punge un destriero e a tutta briglia il
E alla riva giungea l'onda commossa caccia?
Tinta di sangue e d'arme sparsa e Leva la giovenil fronte pensosa
d'ossa. Come saluti pur l'antica traccia ;
A lui la famigliuola desiosa
XXVIII. Vola dinanzi con aperte braccia. . . .
Vedi un levar di man' pria ch ei
Ecco il distruggitor monte superbo s'appressi
Stanco delle vittorie in pace starsi; E quindi un alternar di cari amplessi.
E sol dall'ampia bocca il fumo acerbo
E vorticoso incontro al sole alzarsi, XXXII.
Testimon ch'altre fiamme accoglia in
serbo, In sè romito ei cercò monte e piano,
Contra i paesi travagliati ed arsi; Come colui che d'alto foco avvampi;
Ma intorno all'ire sue stanno assueti Varcò l'Alpi nevose e l'Oceano,
Schietti abituri e fertili vigneti. Segnò la via spesso al chiarorde'lampi;

XXIX. Pur non rinvenne per cammin lontano

Là dove fan quelle due coste un lago L'amor che vive in questi dolci campi,
Cerchiando poco mar piano e E a gustar vien come natura invita
tranquillo, Quella virtù che nella terra è vita.
Trasse di sangue un dì sazio e non
pago, XXXIII.
Punto nell'imo cor d'eterno assillo
Quel Cesare che vide in bassa immago Ahi! bentosto a ciascun la fronte
ingombra
Alzar la Fede il suo primo vessillo, Una pallida nube di mestizia;
Al qual poi volta la romana terra Cerca ogni guardo, ogni pensiero
Salmeggiando scordò l'inno di guerra. adombra
Quella pia ch'ora in ciel prende letizia,
Ch'ella sovente assisa alla bell'ombra
XXX. Educar queste piante ebbe in delizia:
Ahi tristo riveder le patrie sponde
O come fatta sei povera e vile Chiamando un nome a cui nessun
Sì chiara un dì voluttuosa Baia ! risponde!
O Formia ! in grembo a te cadde un
gentile XXXIV.
Primo nell'arte del figliuol di Maia.
91

Così dell'ire sue lasciando il segno, Qui dolorando l'affannato ingegno


Divorator de'campi il fulmin passa; Piega le scarse penne e il volo
Torna il pastore, e piange ogni abbassa;
sostegno Chè in questa terra a noi suave tanto
Tolto a la famigliuola afflitta e lassa. Gioia non è che non si volga in pianto.

Bibliografia
-Maria Giuseppa Guacci, Rime, Stamperia dell’Iride, Napoli 1847.

- Luigi Settembrini, Lezioni di letteratura italiana, introduzione e note di Valentino


Piccoli, Torino, UTET, 1927, III, p. 352.

- Silvana Musella-Francesco Augurio, voce Guacci Maria Giuseppa, in Dizionario


Biografico degli Italiani, LX, Roma, Istituto per la Enciclopedia Italiana, 2003.

- M. G. Guacci in Biografie autografe raccolte da C. E. Muzzarelli e pubbl. da D. Muller,


Torino 1853.

- Prose e versi in onore di Luisa Ricciardi, raccolta B. Puoti, Tipografia del Procelli,
Napoli 1833.

- Antonio Ronna, Gemme o rime di poetesse italiane antiche e moderne, Baudry, Parigi
1843.

- Raffaello Rossi,Antologia didattica dell'arte della parola offerta alle giovanette italiane
da Raffaello RossiTipografia Tofani, Firenze 1871.

- Giornale Arcadico di Scienze Lettere ed Arti, Tomo XL, luglio,agosto e settembre 1833,
stamperia del Giornale Arcadico presso Antonio Boulzaler, Roma pp. 261,263.

-Cleofe Staurenghi,Quarantino,Vita e studii sulle opere di Giuseppina Guacci Nobile,


Trani, Napoli 1892, p.190 .

-Nunzia Soglia, Le Rime di Maria Giuseppa Guacci Nobile tra l’insegnamento del Puoti
e la poesia di Leopardi, Associazione degli italianisti, XIV Congresso nazionale,
Università degli Studi di Genova, 15-18 settembre 2010.

-Carmelina Naselli, Il Petrarca nell’ Ottocento, F. Perella, Napoli 1923, pp. 509-511.

-Nannucci V. e Ciampolini L, Rime di m.r Angelo Poliziano con illustrazioni dell’abate


V. Nannucci e di L. Ciampolini, Niccolò Carli, Firenze1845 p.363.

-Giuseppe Ricciardi Memorie cit. pag 27 in Nel desiderio delle tue care nuove: scritture
private e relazioni di genere nell'Ottocento risorgimentale.

-Maria Aurora Tallarico, Della Torre Bernardo in Dizionario Biografico degli Italiani,
Volume 37 1989, Enciclopedia Treccani online.
92

- Il Risorgimento invisibile - Luisa Granito, su cdlstoria.unina.it.

- Nicola Terraciano, Maria Giuseppa Guacci, Nuovo Monitore Napoletano (online),


2013.

-Lucia Valenzi, Maria Giuseppina Guacci Nobile tra letteratura e politica, in Archivio
Storico per le Province Napoletane", n. CXVII, Napoli, 1999, pp. 537-548.

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