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6.

Making Friends

La Guerra Fredda comporta una ricerca incessante da parte degli Stati Uniti di alleati in America
Latina. La competizione geopolitica tra gli USA e l’Unione Sovietica costrinse, infatti, entrambi i
blocchi impegnati nella Guerra a cercare alleati, amici e clienti in tutto il mondo, in particolare nelle
zone non allineate con nessuna delle due superpotenze in conflitto.
Da un lato, l’esistenza di nuovi alleati rappresenta per gli Stati Uniti e per l’Unione Sovietica un
aumento della loro potenza interna; dall’altro l’adesione volontaria delle potenze mondiali ad uno
dei due blocchi testimonia la presunta superiorità dei due sistemi sociali rivali (ossia quello
americano e quello sovietico).
- Gli USA elaborano un piano eccezionale per attirare a sé alleati: offrono aiuti economici e
materiali. L’assistenza economica agli alleati permette, infatti, agli USA di di indebolire i nemici
riducendo i livelli di povertà e, quindi, privando l’ideologia comunista della sua base sociale. Dagli
anni Sessanta e nel corso degli anni Ottanta la strategia statunitense di supporto ai regimi
anticomunisti assunse varie forme, tra cui l’appoggio ai regimi militari di Brasile ed Argentina e
l’alleanza con le dittature di destra di tutto il mondo.
- Nel 1960 gli Stati Uniti estendono e adattano la strategia del cosiddetto “containment” (ossia del
tentativo di arginare il proliferarsi dell’ideologia sovietica) all’interno del Terzo Mondo.
Nell’ottica statunitense dell’epoca, i paesi del Primo Mondo sono le democrazie industrializzate
di stampo capitalista, quelli del Secondo Mondo corrispondono al blocco sovietico (in particolare
l’URSS e l’Europa orientale) e, infine, il Terzo Mondo comprende tutti quegli stati che non sono
inclusi nelle prime due categorie. Nonostante la classificazione sia estremamente soggettiva e
presuntuosa1, essa sembra mettere in evidenza delle caratteristiche comuni tra i paesi del Terzo
Mondo. In particolare, dal punto di vista economico questi paesi sono:
- poveri, svantaggiati e dipendenti (dai paesi più sviluppati);
- scarsamente popolati e mancano sia di un mercato di consumatori sia delle basi per le risorse
umane, entrambi elementi fondamentali per garantire uno sviluppo autonomo (“self-sustaining
development”).
Dal punto di vista politico, gli stati del Terzo Mondo si caratterizzano per:
- essere stati delle colonie o dei protettorati prima della Seconda Guerra Mondiale (in particolare
l’Asia e l’Africa) e per aver ottenuto l’indipendenza seguendo varie strade (negoziazione
pacifica, decenni di resistenza ai coloni - come l’India - o conflitti armati - come il Vietnam). Il
retaggio coloniale si è tradotto, per il Terzo Mondo, in un sentimento di sospetto nei confronti dei
paesi occidentali del Primo Mondo, di orgoglio verso la propria sovranità nazionale e nel
tentativo di migliorare la propria situazione socio-economica.

Durante la Guerra Fredda i paesi del Terzo Mondo giocano un ruolo fondamentale nella rivalità tra
gli Stati Uniti e l’URSS.
- A metà degli anni Cinquanta, i paesi del Terzo Mondo si alleano nel Movimento dei Non-
Allineati. Il loro punto di forza rappresenta la superiorità numerica (più di cento membri del
Movimento possono dominare forum internazionali come l’Assemblea Generale dell’ONU).
- Nel 1960 gli stati del Terzo Mondo si alleano nuovamente per intraprendere la strada dello
sviluppo economico. Viene così indetta la Conferenza delle Nazioni Unite sul Commercio e sullo
Sviluppo (United Nations Conference on Trade and Development, UNCTAD) e viene creato il
Gruppo dei 77 (G-77).
- Nel 1970 alcuni membri del Gruppo dei 77, facenti parte dell’Organizzazione dei Paesi
Esportatori di Petrolio (Organization of Petroleum Exporting Countries, OPEC), riescono a
controllare beni (“commodities”) strategici per ottenere maggiori concessioni economiche dai
paesi industrializzati. Per tale ragione e per la loro instabilità politica che sembra tendere verso

1 Così come viene definita dall’autore stesso.


regimi di sinistra, i paesi del Terzo Mondo iniziano a rappresentare una minaccia per gli Stati
Uniti.

Nonostante gli aspri contrasti con l’Asia e l’Africa, l’America Latina appartiene indubbiamente ai
paesi del Terzo Mondo (non potendo rientrare né nel Primo né nel Secondo Mondo). Infatti, ad
eccezione delle isole caraibiche, la maggior parte degli stati latinoamericani hanno raggiunto
l’indipendenza intorno al 1820. Inoltre, molti di questi paesi sono più prosperosi o meno poveri
rispetto agli stati dell’Africa sub-sahariana e dell’Asia meridionale. Inoltre, la prossimità geografica
con gli Stati Uniti determina la difficoltà dell’America Latina sia ad assumere una posizione
neutrale all’interno della Guerra Fredda sia a far sì che gli USA e gli URSS si eliminino a vicenda.
Perciò, all’alba della Guerra Fredda, l’America Latina si è assicurata una relazione lunga e
istruttiva/costruttiva (“instructive”) con gli States che le permette di reclamare il predominio tra i
paesi in via di sviluppo.

Scienze Sociali, Ideologia e Politica Estera


Gli Stati Uniti devono elaborare una dottrina, una strategia generale per fronteggiare l’emergere dei
paesi del Terzo Mondo e, in particolare, dell’America Latina. L’obiettivo degli USA è quello di
promuovere gli interessi americani rispetto alla minaccia comunista.
Per la formulazione di una strategia a lungo termine l’amministrazione Kennedy si è servita di un
gruppo di “intellettuali d’azione” (“action intellectuals”) provenienti principalmente da Harvard e
dal MIT. Viene elaborata la “teoria della modernizzazione” 2, basata su premesse logiche complesse
e dubbiose dalle quali emergono finalità partigiane (si vedano i documenti fondanti come il saggio
di Walt Rostow “The Stages of Economic Growth” sottotitolato “An Anti-Communist Manifesto”).

La teoria della modernizzazione costituisce la base programmatica e la logica intellettuale delle


azioni statunitensi nel corso del 1960 e per gran parte del 1970. In particolare, essa consiste nella:
- convinzione che la diffusione della democrazia politica (ossia attraverso l’elezione libera dei
governi) tra i paesi del Terzo Mondo avrebbe servito e protetto gli interessi nazionali statunitensi
dalla minaccia sovietica. In quest’ottica la libertà elettiva comporta necessariamente l’adesione al
“mondo libero” (ossia quello di stampo statunitense) che si oppone alla cospirazione, alla
sovversione e alle lotte di conquista dei Sovietici.
- Come promuovere, quindi, la democrazia politica?
La teoria della modernizzazione vede la risposta nel processo di sviluppo economico e sociale,
ovvero nel nesso causale tra lo sviluppo economico e la creazione della classe media che
spingerebbero a scegliere la democrazia politica (intesa come mezzo di acquisizione di potere o
espressione di valori illuminati). Infatti, secondo gli States, lo sviluppo industriale non avrebbe
portato alla lotta di classe tra il proletariato e la borghesia ma alla trasformazione e all’armonia
sociale. Riassumendo, con una maggiore modernizzazione economica aumenta la probabilità che si
sviluppi una politica democratica. Questi assunti sono confermati dalla congettura positiva tra i
livelli di crescita economica e la democrazia che si registra nel 1960. Per questo motivo, gli USA si
preoccupano soprattutto di favorire lo sviluppo economico nel Terzo Mondo, sulla scia di quello
che aveva fatto il Piano Marshall (1940-1950) per contenere l’avanzata comunista in Europa dopo
la fine della Seconda Guerra Mondiale. Il problema è che nel programma di espansione economica
promosso dagli USA nel 1960 non sono state prese in considerazione le differenze tra le economie
avanzate europee e i paesi non ancora industrializzati del Terzo Mondo. Si pensa, infatti, che, paesi
tendono ad attraversare stadi uniformi di crescita economica e che, una volta dotati delle condizioni
necessarie, attraversino una fase di decollo economico che permette la crescita autonoma e il
progresso continuo. Gli aiuti provenienti dagli USA si sarebbero esauriti una volta raggiunta la fase
del decollo economico dal quale sarebbe scaturito in maniera automatica dallo sviluppo economico.

2 Abbracciata da intellettuali come Samuel P. Huntington, Gabriel Almond, Max Millikan e Lucian Pye.
Gli economisti al servizio di Kennedy insistevano sulla relazione positiva tra la pianificazione
governativa (“governmental planning”) è essenziale per lo sviluppo sostenibile ed autosufficiente.
Un mercato non regolato porterebbe a distorsioni economiche e a disequilibri sociali. Per questo
motivo, è necessario che i governi implementino politiche che assicurino la modernizzazione
economica e allevino le diseguaglianze sociali a beneficio delle masse popolari. Per la centralità
dell’intervento statale, gli aiuti statunitensi al Terzo Mondo erano fondati su accordi
intergovernativi.

Il paradigma della modernizzazione spinge gli USA ad assumere un atteggiamento ottimistico nei
confronti del futuro, ad adottare delle chiare linee guida per l’applicazione delle politiche e a
rifiutare l’idea leninista secondo la quale l’imperialismo rappresenta il più alto livello di
capitalismo. Dal punto di vista politico, questo processo di modernizzazione vede la convergenza
degli interessi tra gli Stati Uniti ed il Terzo Mondo.

Tuttavia, la teoria della modernizzazione è ambigua. Sono, infatti, errate e, talvolta, contrastanti le
definizioni di modernizzazione, progresso politico e sviluppo che vengono da essa proposte. In
alcuni casi, il concetto di democratizzazione si riferisce alla espansione progressiva della
partecipazione democratica nella ricerca del potere politico da parte dei settori in crescita. In altri
casi, la democratizzazione viene associato alla stabilità, ossia alla preservazione dei regimi politici e
all’imposizione della legge e dell’ordine.
Inoltre, la teoria della modernizzazione è anti-rivoluzionaria in quanto concepisce uno sviluppo
graduale, guidato ed evolutivo tramite riforme pacifiche (e non sommosse violente). Gli Stati Uniti
promuovono il cambiamento come unica possibilità di sopravvivenza per i paesi del Terzo Mondo.
Tuttavia, non mancano le contraddizioni, in quanto Kennedy stesso parla di una “rivoluzione
pacifica”, quindi di un sovvertimento dell’ordine seppur in modo graduale (non radicale) che
avrebbe impedito l’instaurarsi del comunismo. Al contrario, gli Stati Uniti temono che l’America
Latina sia sull’orlo di una rivoluzione massiva.
Alla base delle idee statunitensi vi è il sospetto e il timore verso un qualsiasi atto rivoluzionario
capace di:
- sconvolgere l’ordine sociale;
- distruggere le istituzioni politiche;
- scatenare sentimenti nazionalisti
- e promuovere rivolte di sinistra.
Nella visione statunitense i rivolgimenti sociali da parte dei settori più poveri (“have-nots”)
rappresentano un pericolo politico sotto due forme:
1. i leader rivoluzionari tendono a rivelarsi marxisti, attori fedeli o semplicemente pupazzi
dell’Unione Sovietica che allineerebbe i loro governi al blocco comunista;
2. i rivoluzionari, anche se mossi da buone idee idealiste, provocherebbero comunque instabilità
politica, in quanto aprirebbero i loro governi alla sovversione comunista.

Oltre alla rivoluzione, gli Stati Uniti cercano di impedire l’avanzata di movimenti di sinistra:
1. Kennedy promuove governi riformisti del centro (o del centro sinistra), pianifica strategie
controrivoluzionarie all’interno del Pentagono e crea le unità anti-guerriglia dei Green Berets.
2. Nixon favorisce lo status quo dei governi del centro destra (o dell’estrema destra).
Entrambi i presidenti si oppongono in maniera implacabile alla sinistra e a tendenze radicali per
consentire ai paesi di intraprendere la modernizzazione socio-economica, il “decollo” economico e
il cambiamento autosufficiente.

L’apice dell’applicazione della teoria della modernizzazione e della dottrina del contenimento si
raggiunge in Vietnam. Sotto il vicepresidente Lyndon B. Johnson ed il consigliere Eugene Rostow
viene approvata la Risoluzione del Golfo di Tonkin, con la quale gli USA vogliono impedire una
guerra di liberazione di stampo cinese nei paesi del Terzo Mondo, partendo dal Vietnam.
Ciò nonostante, nel 1975 gli Stati Uniti devono ritirarsi. La liberazione comunista e nazionalista di
Ho Chi Minh è compiuta.

Negli altri paesi in via di sviluppo le politiche statunitensi si evolvono su una strategia a due livelli:
1. opposizione ferma a movimenti di sinistra con mezzi militari e paramilitari
2. promozione a lungo termine di uno sviluppo socio-economico e e di riforme centriste.
L’idea di fondo è sempre la stessa: l’aiuto esterno degli Stati Uniti avrebbe portato allo sviluppo
economico, il quale avrebbe condotto alla stabilità politica ed, infine, alla democrazia.

L’Alleanza per il Progresso come base per lo sviluppo

Le relazioni economiche tra l’America Latina e gli States si rivelano svantaggiose negli anni
successivi al secondo conflitto mondiale. Infatti, l’America Latina ha fornito beni a prezzi
controllati agli Alleati e ha accumulato 3,4 miliardi di dollari di credito per scoprire poi che gli USA
avrebbero alzato i prezzi sulle esportazioni di capitale.
Nel 1948, in occasione della conferenza che dà vita all’Organizzazione degli Stati Americani, gli
USA affermano di non essere in grado di finanziare di più del minimo necessario ad avviare il
progresso economico nel Terzo Mondo (servono finanziamenti privati esteri). Nel 1949 gli USA
ribadiscono all’America Latina di non poter supportarla e che l’industrializzazione non è
necessariamente segno di uno sviluppo positivo. Al contrario, l’America Latina dovrebbe
autofinanziarsi tramite il commercio e i benefici degli investimenti stranieri.
In conseguenza di ciò, i finanziamenti statunitensi diretti all’America Latina sia durante la Seconda
Guerra Mondiale sia tra il 1945 ed il 1958 sono effimeri (nonostante il Mutual Defense Assistance
Act del 1949 autorizzi spese pari a 1,3 miliardi di dollari) —> gli Stati Uniti non hanno più bisogno
dell’America Latina.
Le intenzioni statunitensi cambiano nel 1958: Nixon ascolta i consigli del presidente brasiliano
Juscelino Kubitschek che propone l’Operazione Pan America (nuovo programma di sviluppo
economico per l’America Latina). Tuttavia, la salita al potere di Fidel Castro a Cuba crea nuove
priorità. Fidel Castro ha, infatti, confiscato le compagnie statunitensi e promosso un piano di
riforma agraria. È necessario, quindi, fermare la Rivoluzione Cubana.

La formazione dell’Alleanza per il Progresso

Nel 1961, il neoeletto J. F. K. propone di formare l’Alleanza per il Progresso che avrebbe
promosso, per i successivi dieci anni, la crescita economica, il progresso sociale e la democrazia
politica , ossia una “rivoluzione delle Americhe” (l’idea è ancora quella di garantire la libertà e la
dignità umana attraverso il progresso economico). L’attuazione del progetto di Kennedy inizia a
partire dall’agosto del 1961, quando i rappresentanti degli Stati Uniti e dell’America Latina (esclusa
Cuba) si riuniscono a Punta d’Este (Uruguay). Gli obiettivi stabiliti sono:
- l’aumento degli stipendi individuali per ottenere nel minor tempo possibile livelli di entrate
capaci di assicurare uno sviluppo autosufficiente con un tasso di crescita pro capite minimo
fissato al 2,5% pro capita annuo
- la riforma sociale che mira in particolare a regolamentare le condizioni e l’uso scorretti della
terra
- la diversificazione del commercio attraverso l’ampliamento delle varietà di materiali esportati e
dei mercati esteri.
- l’industrializzazione e l’aumento dell’occupazione
- l’aumento dei livelli di educazione e l’eliminazione dell’analfabetismo in età adulta entro il 1970
- la stabilità dei prezzi per evitare sia l’inflazione sia la deflazione.
Accelerando il processo di sviluppo economico nel corso del 1960, gli USA vogliono portare
l’America Latina a raggiungere il “decollo” economico e godere poi dei benefici politici che ne
conseguono.
Le misure da intraprendere per raggiungere tali obiettivi consistono nel:
1. delineare piani complessivi di sviluppo da parte di ciascun paese partecipante che vanno poi
sottoposti, per l’approvazione o la revisione, ad una commissione di esperti interamericana (“i
nove saggi”) . Ciò denota l’intervento statale in materia economica.
2. Avviare una riforma di redistribuzione della ricchezza (innalzamento delle tasse i più abbienti)
e una riforma agraria. Nel 1960 quasi la metà della popolazione latinoamericana vive nelle
campagne. La terra rappresenta sussistenza, prosperità e stabilità. Perciò la riforma non sarebbe
stata solo agraria ma soprattutto sociale. I cambiamenti attuati dagli USA sono paragonabile
solo agli sforzi fatti da costoro nella Germania e nel Giappone all’indomani della Seconda
Guerra Mondiale.
3. Nell’impegno statunitense a garantire assistenza economica su larga scala (20 miliardi - 10
privati e 10 pubblici - da stanziare entro dieci anni all’America Latina, dando la precedenza ai paesi
meno sviluppati). L’obiettivo è stimolare gli investimenti da parte dei governi e degli imprenditori
dell’America Latina.
4. Migliorare e rafforzare le istituzioni democratiche tramite l’autodeterminazione delle persone
(gli uomini liberi che lavorano attraverso la democrazia rappresentativa avrebbero meglio
soddisfatto le esigenze dei cittadini riguardo al lavoro, alla famiglia, alla salute e all’educazione.
Inoltre, il sostegno a regimi democratici riformisti avrebbe placato il malcontento in America Latina
e scongiurato la nascita di movimenti rivoluzionari (sono considerati buoni modelli di governo di
centro quello di Acción Democrática in Venezuela e Christian Democracy in Chile).
- Conseguenze dei piani di riforma:
1. crescita degli aiuti economici statunitensi all’America Latina fino a raggiungere 22,3 miliardi di
investimenti totali (statunitensi ed esteri) entro la decade. Calano gli aiuti in seguito all’elezione di
Nixon nel 1968.
2. Tuttavia, l’aumento dei trasferimenti lordi verso l’America Latina non si traduce in trasferimenti
netti di risorse necessarie all’investimento ed allo sviluppo. Nel 1960 l’A. L. deve comunque pagare
somme ingenti agli USA e agli altri paesi del Primo Mondo per debiti e servizi accumulati. Inoltre,
compagnie straniere residenti in A. L. trasferiscono i loro profitti direttamente alla madre patria.

Successi e limiti

In generale, il 1960 rappresenta un’accelerazione significativa della crescita economica in America


Latina. Si raggiunge il 2,4% (a fronte del 2,5% previsto) pro capite e la crescita pro capite è in
stabile ascesa grazie :
- all’implementazione di strategie per industrializzazione sostitutiva di importazioni (“import-
substitution industrialization”).
- il continuo rafforzamento dei maggiori mercati commerciali (specialmente di quelli statunitensi)
- al sostenimento fornito agli investimenti privati.
1. Successi dell’Alleanza per il Progresso (eterogenei; con poca rilevanza degli aiuti stranieri)
- Brasile, Argentina e Messico crescono economicamente grazie all’espansione dell’industria;
- il Messico sperimenta un progresso solido e stabile;
- il Brasile e la Colombia registrano guadagni significativi durante la seconda metà del 1960;
- l’Argentina ed il Venezuela resistono, tengono duro
- la Costa Rica registra progressi economici
- El Salvador e Nicaragua slittano verso il basso (nonostante un inizio promettente).
- Haiti e Uruguay vedono diminuire il prodotto interno lordo per capite.
- Riduzione cospicua della mortalità infantile quasi ovunque (tranne che in Guatemala) MA non
vengono raggiunti gli obiettivi iniziali (riduzione del tasso di mortalità infantile alla metà).

2. Limiti

a. Dal punto di vista della crescita economica:


- Il Chile ed il Perù fanno passi indietro
- El Salvador e Nicaragua slittano verso il basso (nonostante un inizio promettente).
- Haiti e Uruguay vedono diminuire il prodotto interno lordo per capite.
b. La riforma sociale vede:
- l’impossibilità di eliminare l’analfabetismo adulto in dieci anni MA migliora l’accesso
all’educazione secondaria e di grado superiore:
- la costruzione di nuove abitazioni è troppo lenta rispetto alla crescita della popolazione con il
risultato di un sovraffollamento dei quartieri più poveri;
- nuovi sistemi di acqua potabile e di scarico che hanno, tuttavia, uno scarso impatto sul benessere
generale;
- la riforma agraria rappresenta il fallimento più grande (dei 15 milioni di famiglie contadine,
meno di un milione beneficia della riforma): le élite locali la ostacolano per mantenere i loro
privilegi;
- l’aumento della produzione impedisce la riuscita della riforma sociale (prevale l’efficienza sulla
giustizia sociale).

Requiem per le aspettative deluse

Nonostante l’Alleanza per il Progresso rappresenti il tentativo sincero e di alte vedute da parte degli
Stati Uniti per crearsi alleati in America Latina, ci sono diverse ragioni per il suo fallimento:
- la scarsità degli aiuti economici (solo 10 dollari pro capite all’anno);
- l’errata interpretazione dell’assetto sociale dell’America Latina: si è dato per scontato che la
classe media latinoamericana avrebbe portato la democrazia in nome di principii morali ed
idealistici. Al contrario, la cosiddetta classe media in A. L. costituisce gli strati più elevati della
società e, quindi, non condivide gli stessi ideali dei contadini e dei lavoratori. Prive di forti
convinzioni ideologiche le classi medie appoggiano gli interessi dell’élite e dei comandanti
militari (ad esempio in Brasile ed in Argentina);
- l’errata lettura della relazione tra il cambiamento sociale e il conflitto politico. Gli ideatori
dell’Alleanza pensano che la trasformazione della società latinoamericana avvenga in un contesto
di stabilità politica. Al contrario, le classi più agiate lottano per mantenere il potere e i privilegi.
Inoltre, gli USA convinti che la riforma agraria avrebbe portato alla luce sentimenti radicali e
favorito i comunisti, non danno attuazione alle promesse iniziali e lasciano la situazione così
com’è;
- l’idea che il cambiamento sociale e politico avrebbe rafforzato il centro riformista è errata
poiché:
a. l’ impatto e ad un’ubiquità delle riforme riformiste non raggiungono i livelli sperati (i modelli
di Acción Democrática in Venezuela e di Christian Democracy in Chile sono rari e circoscritti)
b. in generale, il cambiamento sociale e il conflitto non hanno beneficiano il centro riformista
moderato, ma portano ad una polarizzazione politica che fortifica l’estrema destra e sinistra,
impedendo riforme graduali. Inoltre, emerge che gli States non sono in grado di circoscrivere la
sinistra, contenere la destra e nutrire ed illuminare il centro.

Mantenendo la posizione: i dittatori come amici

Il più grande fallimento dell’Alleanza per il Progresso è di tipo politico: il 1960 vede il prevalere
della forza militare sull’ordine e sulle riforme civili. Ci sono colpi di stato in:
- Argentina (marzo 1962)
- Perù (luglio 1962)
- Guatemala (marzo 1963)
- Ecuador (luglio 1963)
- Repubblica Dominicana (settembre 1963)
- Honduras (ottobre 1963).
Si instaurano così regimi dittatoriali a lungo termine e di stampo nuovo (“new styles”) che cercano
di attuare fondamentali trasformazioni sociali piuttosto che mediare le dispute tramite brevi periodi
di intervento.
- I colpi militari in Brasile (aprile 1964) ed in Argentina (giugno 1966) impongono modelli di
repressione completi che costituiscono gli archetipi dei cosiddetti regimi “burocratico-autoritari”.
- In Perù, il colpo militare del 1968 instaura una dittatura militare di impronta nazionalista e con
un programma di riforma sociale.
- Entro la fine del 1968, l’Argentina, il Brasile, il Perù, il Paraguay e la maggior parte
dell’America centrale diventano dittature.
- La Bolivia e l’Ecuador sono controllate dai militari.
- Il Messico rimane sotto un regime unico del partito dominante e a base civile.
Le reazioni degli Stati Uniti di fronte a questo scenario si modificano nel corso del tempo. Kennedy
considera la sconfitta dei riformatori centristi come un’offesa personale, in quanto essi
promuovevano una forma di leadership che, secondo lui, avrebbe supportato i piani dell’Alleanza.
1. In risposta al colpo di stato in Perù del 1962, dove i militari impediscono l’elezione di Victor
Raul Haya de la Torre e del suo partito Aprista, Kennedy sospende ogni relazione diplomatica ed
ogni aiuto economico con lo stato peruviano, ordina al personale tecnico di non presentarsi al lavoro
e prende in considerazione l’idea di sospendere la quota sullo zucchero. Tuttavia, i governi in
Argentina, Messico e Brasile protestano contro le misure adottate dagli USA ed accusano Kennedy
di comportarsi come un monarca. La giunta peruviana lascia il potere dopo le elezioni del 1963,
dove si impedisce al partito Aprista di vincere.
2. Kennedy è in disaccordo con il rovesciamento di Ramon Villeda Morales, un civile moderato
eletto presidente dell’Honduras nel 1967. Morales propone un piano di riforma agraria in linea con
l’Alleanza per il Progresso che suscita l’ira dell’aristocrazia tradizionale e delle forze armate che lo
destituiscono dal suo ufficio nell’ottobre del 1963. Tuttavia, Kennedy non interviene direttamente.
- In risposta ai colpi di stato in America Latina, il Dipartimento di Stato americano inizia a pensare
ad un dialogo con i militari in America Latina in modo da invitarli ad assumere un ruolo
costruttivo per mantenere la sicurezza interna ed attuare programmi di azione civile e di stampo
liberale. L’obiettivo è quello di rafforzare i civili contro le influenze dei militari e spingere per
nuove elezioni attraverso le quali i paesi latinoamericani avrebbero sperimentato i benefici della
legittimità democratica.
Tuttavia, in seguito all’assassinio di Kennedy nel 1963, gli USA assumono posizioni sempre più di
destra. Johnson critica lo scompiglio creato dalle politiche di Kennedy in America Latina ed è
scettico verso qualunque programma di riforme sociali e di ideali politici. Il suo obiettivo è
impedire “una seconda Cuba” altrove nel mondo. Johnson teme, infatti, che la vittoria del
comunismo in Brasile avrebbe messo gli Stati Uniti davanti ad “un’altra Cina”. Perciò gli USA
devono diventare inflessibili.
Il comando del dipartimento di Stato e dell’Agenzia per lo Sviluppo Internazionale passa a Thomas
C. Mann, ex segretario di stato per gli affari economici sotto Eisenhower ed ambasciatore in
Messico. Mann conosce i Latinoamericani e, per questo, nel marzo del 1964 indice una conferenza
per gli ambasciatori statunitensi in America Latina in cui espone i suoi obiettivi:
- sostenere la crescita economica rimanendo neutrali in merito alla questione sociale;
- proteggere gli investimenti privati statunitensi;
- sospendere sostegni di ogni tipo alle istituzioni democratiche;
- opporsi al comunismo.
Emerge la centralità della lotta al comunismo che si innalza su qualsiasi tipo di condotta morale o
politica dei governi in America Latina.

La dottrina inaugurata da Mann trova applicazione diretta in Brasile, dove il 1 aprile del 1964, gli
ufficiali militari hanno rovesciato il governo di centro-sinistra di Joao Goulart. La preoccupazione
di derive a sinistra del governo brasiliano spingono gli USA ad offrire aiuti (non necessari) ai
militari e a definire la loro vittoria in linea con la democrazia costituzionale in quanto hanno evitato
un conflitto civile. Johnson afferma infatti che Goulart ha lasciato la presidenza vacante e, quindi, i
requisiti per una successione sono stati rispettati. Il nuovo regime in Brasile viene sostenuto dagli
USA anche quando inizia a rivelarsi brutale: tra il 1964 ed il 1968 gli USA forniscono al Brasile più
di 1,5 miliardi di dollari in aiuti militari ed economici.
- Inoltre, gli Stati Uniti affermano di offrire riconoscimento diplomatico ai regimi militari a meno
che non rispettino apertamente i parametri base della condotta internazionale. Gli USA sarebbero
intervenuti direttamente nella politica degli stati latinoamericani solo per arginare il proliferarsi
di regimi comunisti. Ad esempio, Johnson appoggia il colpo di stato militare in Argentina
(giugno 1966). Il presidente Arturo Illia viene estromesso, al suo posto sale un generale, vengono
aboliti gli organi legislativi, banditi i partiti politici e viene intrapreso un programma economico
conservativo. Inoltre, il nuovo regime dichiara il rifiuto del comunismo internazionale.
- Gli USA forniscono prestiti al governo tirannico di François Duvalier ad Haiti, supportano la
dinastia Somoza in Nicaragua e cooperano con il regime autocratico di Stroessner in Paraguay.
- Sotto la presidenza di Nixon l’approccio alle dittature (di destra) diviene ancora più esplicito.
Dopo la sua elezione nel 1968, Nixon incarica il suo rivale Rockefeller di studiare a fondo le
relazioni tra gli USA e l’America Latina. Il report finale del 1969 registra come gli USA abbiano
deteriorato i rapporti con gli altri stati occidentali a causa di interessi particolari ristretti, priorità
contrastanti in politica estera, una retorica benintenzionata ma irrealistica ed un atteggiamento
paternalistico. In parte dovuto a ciò, l’America Latina costituisce un problema per gli interessi
statunitensi per la crescita della popolazione, l’urbanizzazione, la disoccupazione, atteggiamenti
nazionalistici, radicali, anarchici e l’avversione verso gli USA. Inoltre, spinte al cambiamento
sociale (anche da parte delle donne e della Chiesa Cattolica) rischiano di favorire l’avanzata di
idee marxiste. Vincente si rivela, quindi, il sostegno ai militari latinoamericani, che avrebbero
permesso un cambiamento sociale costruttivo. Tuttavia, come è avvenuto con il regime
indipendentista peruviano, vi è il rischio che i nuovi regimi militari siano inaffidabili e
abbraccino il nazionalismo estremista di matrice filo- o anti-americana. È, quindi, necessario
preparare meglio i funzionari latinoamericani nell’attuazione dei programmi sponsorizzati dagli
USA, rafforzare la cooperazione pragmatica e diversificare le forme di assistenza ai militari in
America Latina (nel 1973 Nixon appoggia il colpo di stato militare in Brasile e nel 1976 Gerald
Ford riconosce la giunta antidemocratica in Argentina).
- L’appoggio degli USA ai militari si interrompe con l’elezione di Jimmy Carter (unico
democratico alla presidenza fino alla fine della Guerra Fredda). L’attenzione di Carter è centrata
sui diritti umani, vengono così negati gli aiuti militari ed economici in Guatemala, Chile,
Argentina dove i cittadini vengono sfruttati.
Nel 1979 esplode la ribellione sandinista in Nicaragua e Carter sospende gli aiuti al regime
tirannico di Anastasio Somoza e ne determina il crollo.
Tuttavia, Carter si dimostra disposto a sorvolare sulle violazioni in ambito dei diritti umani per
favorire gli interessi statunitensi, come in Iran, sotto il dominio dello shah e nelle Filippine
governate dalla famiglia Marcos. In entrambi i casi Carter permette che movimenti ostili e totalitari
rimangano al potere (alla stregua di quanto accaduto in Cina prima della caduta di Chiang Kai-shek
e a Cuba prima di Castro) compromettendo la sicurezza statunitense nel continente.
In sintesi, Carter oppone solo i regimi dittatoriali che:
1. sono motivo di grande imbarazzo per gli USA
2. rischiano di essere rovesciati da movimenti comunisti o radicali
3. o entrambi i casi precedenti
La soluzione di Carter è spingere i dittatori a cedere il potere ad un centro fidato che con l’aiuto
degli USA impedirebbe una deriva comunista.

La ricerca di alleati politici


Durante la Guerra Fredda è fondamentale maturare delle alleanze ideologiche. Gli USA insistono
sul fatto che i loro alleati hanno aderito volontariamente alla loro causa e non sono stati costretti
come nel caso dell’Unione Sovietica. Gli alleati USA beneficiano di aiuti materiali, principalmente
economici ma non solo. L’America Latina si rivela un alleato imprescindibile per la continuazione
della politica realista statunitense, sia per la sua prossimità geografica sia per la sua funzione
strategica. Per questo motivo, gli Stati Uniti hanno sempre vacillato nel far fronte ai regimi
dittatoriali in A. L. Sono, infatti, passati dall’opposizione all’indomani del secondo conflitto
mondiale al favoreggiamento dei regimi dittatoriali anticomunisti (Truman ed Eisenhower). Con
Kennedy e l’Alleanza per il Progresso si assiste al tentativo di cercare un’alternativa riformista alle
dittature e soprattutto alle rivoluzioni di stampo marxista/comunista. L’idea di fondo è favorire la
democratizzazione a partire dal progresso economico e dal cambiamento sociale. La via
democratica viene ripercorsa da Carter, seppur con minore attivismo. Tuttavia, verso la fine del
1960 e all’inizio del 1980, la continua ricerca di alternative democratiche al comunismo cessa e gli
USA supportano direttamente i dittatori anticomunisti e filo-americani in A. L. per rafforzare il
proprio profilo politico agli occhi dell’Unione Sovietica.
Nonostante gli sforzi fatti, nel 1960 e nel 1970 l’Unione Sovietica interviene direttamente nella
politica statunitense:
1. Kennedy affronta e vince il regime di Khrushchev durante la crisi dei missili di Cuba.
2. La Guerra Fredda si espande e si intensifica per tutto il 1960 ed il 1970, soprattutto in Vietnam.
In conseguenza di tutto ciò, gli USA perdono interesse per l’America Latina e accettano i regimi
dittatoriali anticomunisti nella regione (le esigenze globali degli USA sono più importanti lo
sviluppo interno dell’America Latina).

12. Latin America: In Quest of Alternatives

La fine della Guerra Fredda comporta delle conquiste di varia entità per l’America Latina:
3. essa non è più un terreno di battaglia tra due superpotenze
4. questo permette di allentare le contese ideologiche al suo interno, indebolendo le forze di destra
e di sinistra e riducendo i livelli di polarizzazione della politica interna.
5. il rafforzamento del centro permette all’America Latina di rafforzare il processo di
liberalizzazione nel corso del 1980 e nutre le speranze per un consolidamento democratico.
6. l’America Latina spera di apprezzata dagli USA ottenendo il rispetto delle aspirazioni regionali
ed il supporto degli sforzi locali per avviare lo sviluppo sociale e politico.
7. L’America Latina spera di poter espandere la gamma di opzioni politiche (di policy), ma rischia
di rimanere delusa. Nel 1990 infatti le questioni più urgenti sono:
a. conquistarsi un posto nell’emergente economia globale (per garantire uno sviluppo ed una
crescita duraturi)
b. trovare una risposta ai cambiamenti nella distribuzione del potere a livello internazionale
(soprattutto in seguito al rafforzarsi dell’egemonia USA in occidente

- Come affrontare, quindi, queste problematiche? Quali scelte ha l’America Latina? Su quali stati
deve concentrarsi?
Restringendo le opzioni

Mentre le grandi potenze sono in lotta tra di loro per la riconfigurazione della comunità mondiale e
faticano a stabilire le nuove regole del gioco, l’America Latina si trova altri svantaggi. Non essendo
una superpotenza, non ha un ruolo determinante nello scenario geopolitico del dopoguerra e questo
comporta una riduzione delle possibilità di azione.
Nel 1990 diventa evidente (contrariamente alle aspettative di Bolivar) che l’America Latina non
può ricevere aiuti al di fuori del continente a causa della divisione unipolare del potere mondiali
(nelle mani degli USA) e della concentrazione degli interessi internazionali su altri fronti:
- l’Unione Sovietica è caduta
- l’Europa occidentale sta cercando di riabilitare ed incorporare l’Europa orientale
- il Giappone è concentrato sulla sua contrazione economica, sulle condizioni avverse dei vicini
asiatici e sul suo rapporto bilaterale con gli States.
- i paesi del Terzo Mondo non sono un valido sostituto delle grandi potenze. La loro
frammentazione interna (che comprende parte del tradizionale Terzo Mondo ed un nuovo
altamente povero e sottosviluppato “Quarto Mondo”, di cui fanno parte, per esempio, l’Etiopia,
il Burkina Faso ed il Bangladesh). Al contrario, i redditi dell’America Latina (con l’eccezione di
Haiti che presenta livelli bassi di entrate per capita) risultano essere al di sopra della media
internazionale: con livelli medio-alti (Venezuela, Brasile) e medi (Messico, Argentina).
- A partire dal 1970 gli interessi economici e strategici dell’America Latina divergono da quelli
dell’Asia, del Medio Oriente e dell’Africa.
- Nel 1989, l’Argentina, il Brasile, il Messico ed il Perù si alleano con altri paesi prominenti del
Terzo Mondo e formano il G-15. Tuttavia, a causa degli enormi debiti, il destino economico
dell’America Latina è legato al nord anche se non è più possibile attirare l’attenzione degli Stati
Uniti tramite il richiamo di una minaccia sovietica).

L’addio alla Rivoluzione


La fine della Guerra Fredda congeda anche ogni aspirazione rivoluzionaria dell’America Latina. La
caduta dell’Unione Sovietica e della sua funzione di garante, le idee marxista/leniniste perdono
legittimità, in quanto rappresentano la diagnosi e la cura di malattie sociali. Questo scenario è ,
quindi, privo di ostacoli per l’avanzata degli USA contro i gruppi rivoluzionari e gli stati socialisti a
livello internazionale. I movimenti di guerriglia mondiali si indeboliscono velocemente, in quanto,
di norma, solo i gruppi con entrate fisse (in genere provenienti da narcotrafficanti come il Perù e la
Colombia) continuano ad operare.
- In Colombia, il Movimento 19 Aprile (M-19) abbandona le armi per entrare nella scena elettorale,
concorrendo alle presidenziali del 1994 con il suo leader Antonio Navarro Wolf.
- In Perù il partito Sendero Luminoso perde il sostegno elettorale in seguito alla cattura del leader
enigmatico Abimael Guzman.
- L’unico movimento guerrigliero significativo degli anni ’90 si trova in Messico, nello stato di
Chiapas e promuove un progetto di riforme.
Da questi avvenimenti emerge come la rivoluzione armata non sia più un cammino percorribile per
ottenere la redenzione.
Anche gli stati socialisti si trovano in difficoltà:
8. in Nicaragua il governo sandinista rimane vittima della Guerra Fredda: le campagne incessanti
contro i Contras (supportati dagli Stati Uniti) costringono il governo a spendere metà delle sue
finanze nella difesa, ad imporre la leva militare e altre misure di guerra. In parte dovuto a ciò,
l’economia nicaraguense tracolla e soffre di una pesante inflazione. Le elezioni presidenziali del
1990 vengono vinte da Violeta Barrios de Chamorro dell’Unione Nazionale d’Opposizione
(Unión Nacional Opositora) contro il sandinista Daniel Ortega che cessa la rivoluzione.
9. Gli effetti decisivi della fine della Guerra Fredda si hanno a Cuba. L’Unione Sovietica riduce
drasticamente i legami commerciali, i sussidi economici (al contrario, durante la Guerra Cuba
veniva strapagata per lo zucchero e avvantaggiata nei pagamenti di petrolio verso l’URSS) e le
importazioni di materiale grezzo, industriale e degli alimentari verso Cuba. Ne consegue la
distruzione dell’economia cubana che è schiacciata da un “doppio embargo” da parte
dell’URSS e degli USA. Tra il 1989 ed il 1994, il prodotto interno lordo cubana continua a
diminuire e la popolazione è in povertà estrema.
- La reazione di Fidel Castro a questo scenario oscilla tra la liberalizzazione e l’inasprimento
delle decisioni. Per farsi spazio nell’economia globale, il governo di Castro inizia ad attrarre
capitale, tecnologia e turismo stranieri e a stimolare esportazioni non convenzionali. Nel 1993 il
regime permette di detenere valute forti, ammette lavoratori autonomi nel commercio e
nell’artigianato e crea cooperative autonome per la produzione agricola e dello zucchero. Le nuove
politiche sono benefiche ma incontrano dei limiti: Castro è convinto che il fallimento di Gorbachev
sia dovuto alle troppe riforme. Per tale ragione, in occasione della riunione della National Assembly
of People’s Power (dicembre 1993), Castro ribadisce la avversione verso il capitalismo (con la
costituzione del 1992 l’economia cubana si basa sulla “proprietà socialista dei mezzi di
produzione”) e sembra intraprendere un approccio di mercato di tipo leninista come la Cina dopo
Mao. Dal punto di vista politico Castro è impassibile verso i dissidenti ma media tra tre gruppi
riformisti, il centro e i suoi sostenitori più rigidi.
I cittadini cubani possono sopportare le difficoltà, protestare (come nell’aprile del 1994) o fuggire
negli Stati Uniti (migliaia di Cubani tentarono di attraversare lo Stretto della Florida fino a
costringere il governatore Lawton Chiles a dichiarare lo stato di emergenza e a chiedere aiuto a Bill
Clinton). Nell’agosto del 1994 Clinton fa sospendere gli aiuti ai rifugiati cubani e li dirige a
Guantanamo e in Florida. Clinton vuole, infatti, impedire a Castro di dirigere la politica
sull’immigrazione degli USA e mostrare come la sua economia chiusa ed il suo governo anti-
democratico siano dannosi.
Tuttavia nel settembre del 1994 Clinton a Castro giungono ad un accordo provvisorio: gli States
accolgono 20,000 Cubani all’anno su base regolamentata e, per un anno, accettano tutti i Cubani
presenti sulla lista d’attesa della missione diplomatica americana in Havana (tra i 4,000 e i 6,000).
Cuba avrebbe, invece, utilizzato mezzi persuasivi per impedire esodi non sicuri. Nel maggio del
1995 Clinton annuncia che avrebbe ammesso i Cubani a Guantanamo ma che avrebbe anche
rispedito a Cuba i fuggiaschi ritrovati in mare. Dopo decenni i migranti cubani non vengono più
considerati come rifugiati degli Stati Uniti.
Nel febbraio del 1996 le trattative si arrestano: la flotta aerea di Castro spara a due aerei civili
disarmati dei “Brothers to the Rescue” (un gruppo di volontari esiliati residente a Miami),
nonostante si trovino in territorio internazionale. Clinton si infuria e denuncia l’atto come
violazione del diritto internazionale. In seguito, nonostante le esitazioni, il 12 marzo 1996, Clinton
firma il Cuban Liberty and Democratic Solidarity Act (noto anche come Helms-Burton Act),
autorizzando, i procedimenti legali contro le agenzie di altre nazioni che “trafficano” proprietà di
cittadini statunitensi confiscate da Cuba a partire dal 1959.
Nel 1999 Clinton annuncia una serie di iniziative per aiutare i cittadini cubani: aumenta i voli, le
rimesse, le licenze per beni alimentari ed agricoli e concede un permesso per due partire di baseball.
Con queste concessioni Clinton delude la proposta dei Repubblicani di creare una commissione
bipartitica per rivedere l’embargo gravante su Cuba ed il rapporto stilato dal Council of Foreign
Relations. Pressioni di cambiamento arrivano anche dal Papa: sembra che Castro si trovi in una
situazione ingestibile e stia per soccombere, nonostante la sua resilienza (è riuscito a trarre
vantaggio all’embargo statunitense grazie alla resistenza interna ed estera).

- Esauritasi l’attrazione per il modello rivoluzionario cubano, l’America Latina abbandona il


progetto di una rivoluzione e dà spazio a movimenti sociali di partigiani. Inoltre, i soprusi e la
crisi finanziaria hanno indotto i cittadini a non fidarsi né dello Stato né delle ideologie, si
affidano a movimenti rurali locali e cercano soluzioni pratiche in autonomia.

- Che ruolo può occupare l’America Latina nella nuova economia globale?
Nel dopoguerra l’America Latina ha, infatti, intensificato le relazioni economiche a scapito di
quelle politiche, non potendo guadagnare abbastanza con il traffico di migranti e di droga e temendo
l’intervento statunitense nelle tensioni ad Haiti e a Panama. L’America Latina può cercare di
inserirsi nel mercato mondiale in vari modi.

1. Commerciando

1. Cooperazione economica con i maggiori centri di potere (tra cui l’Europa ed il Giappone) e libero
commercio (tenendo più o meno in considerazione il Washington Consensus). L’abbassamento
delle barriere commerciali apporta benefici e l’azione unilaterale mantiene la flessibilità. Inoltre, la
strategia di sviluppo basata sulle esportazioni permette di diversificare i partners e i prodotti
commerciali, di cercare l’investimento straniero da varie fonti e di evitare situazioni restrittive. In
sintesi, l’America Latina si lancia in un progetto unilaterale liberalizzando il commercio.
a. Il Cile mostra la massima dedizione nella realizzazione del progetto: dal 1930 al 1970 adotta
politiche commerciali protezionistiche. Dal 1974 Pinochet impone un cambiamento drastico di
indirizzo: entro il 1979, la maggior parte delle barriere non tariffarie vengono eliminate e le tariffe
vengono abbassate ad un tasso fisso del 10% su quasi tutti i prodotti. Nel 1984 le tariffe vengono
alzate del 35%, per far fronte al debito pubblico e riabbassate entro l’inizio degli anni Novanta.
La liberalizzazione economica continua anche sotto il governo di Patricio Aylwin e di Eduardo Frei
Junior (a metà del 1991 il tasso tariffario viene abbassato dal 15 all’11 %).
Gli effetti della liberalizzazione si hanno sull’aumento straordinario delle esportazioni, facenti parte
del prodotto interno lordo (dal 31% nel 1974 al 71% nel 1990). La crescita economica raggiunge
livelli solidi e stabili (tranne qualche calo nel 1980) ed il Cile diversifica progressivamente i suoi
partner commerciali con il Giappone in testa. Aumentano le importazioni dalla Comunità Europea
(soprattutto dalla Germania).
Inoltre, lo stato cileno perde potere. Tra il 1970 ed il 1980 Pinochet vende circa 550 imprese statali
e , tranne un periodo di stallo tra il 1982 ed il 1983 dovuto alla crisi economica, il regime cileno
continua con la privatizzazione. La più grande novità è la riforma sulla sicurezza sociale: da un
sistema di pagamenti simultanei (“pay-as-you-go arrangement”, come negli USA) ad un sistema
basato su risparmi individuali e finanziamenti di istituzioni ad investimento privato. Sopravvivono
solo due monopoli statali: la compagnia di rame dello Stato (CODELCO) e le imprese petrolifere
(ENAP). Sia la imprese pubbliche sia quelle private sono regolate dal governo cileno e questa prassi
viene mantenuta anche nei successivi governi democratici.
Nonostante i successi ottenuti, il Cile rimane una sorta di manifesto del libero mercato e del
Washington Consensus.
Verso la fine degli anni Novanta il Cile deve decidere se concludere gli accordi di libero commercio
con gli Stati Uniti (NAFTA) o stringere i rapporti con gli altri stati dell’America Latina. Inoltre,
deve pensare a come far fronte alle potenze europee e della costa del Pacifico. Ciò nonostante, la
strategia generale elaborata dal Cile si rivela vincente e produttiva, in quanto non lo fa dipendere da
nessun partner commerciale in maniera esclusiva, gli permette di avere un ruolo di comando in A.
L. e lo rende un modello da imitare per aver restaurato la democrazia.
Riassumendo, a differenza di altri paesi il Cile è riuscito a trarre vantaggio da:
- benefici economici
10. assenza di grandi partner commerciali
11. posizione isolata
12. risorse naturali abbondanti
13. dimensioni geografiche e popolazione ridotte
- e politici:
14. dal momento della transizione alla democrazia si è registrato un forte consenso verso
un’apertura unilaterale (Pinochet aveva pagato i costi di aggiustamento, i benefici economici
erano evidenti e vi era necessità di garantire l’armonia interna con la caduta del regime).

2. Alleandosi con il nord [con gli USA]


Nei primi anni Novanta gli Stati Uniti spingono per un’alleanza con l’America Latina, forse per
volersi confrontare con i suoi avversari commerciali nel mondo (specialmente l’Europa ed il
Giappone). L’America Latina decide, quindi, di stringere alleanze economiche con gli USA
accettando:
- di aderire ai principi economici del Washington Consensus
- l’interferenza dell’investimento straniero nei mercati locali secondo il modello liberale (?)
- concessioni vantaggiose per accesso alle materie prime
- manodopera a basso costo per (favorire) l’investimento straniero
- cooperazione leale in politica estera
Fare un’offerta è rischioso per l’America Latina perché porterebbe ad aumentare le differenze
interne e soffocare la solidarietà tra gli stati. Il Messico potrebbe, infatti, approfittare della
situazione godendo di depositi di petrolio in zone strategiche, di una forza lavoro abbastanza
qualificata e di un mercato in grande espansione. Con la negoziazione del FTA il Messico si allea
con il centro dinamico del capitalismo mondiale, pur rimanendo un partner commerciale minore. In
cambio, il Messico deve abbandonare le sue pretese di leadership indipendente in America Latina e
nel Terzo Mondo e dovrà far fronte alla scarsità di potere e di risorse (rispetto agli USA) nei
contrasti che emergeranno per l’integrazione economica. Per tali ragioni, la NAFTA non ha
rappresentato la prima scelta del Messico, il quale ha tentato di adottare una strategia plurilaterale
che coinvolgesse più centri di potere economico ma ha fallito (i finanzieri europei sono investono
in Europa orientale e i Giapponesi sono riluttanti a collaborare con gli USA).

- Verso la metà degli anni Novanta le altre nazioni del continente americano devono decidere se
questo tipo di alleanza istituzionalizzata con gli USA sia l’ipotesi più vantaggiosa. Questa è
l’idea fondante l’Impresa per l’Iniziativa delle Americhe. A favore del libero commercio con gli
USA ci sono il Cile, l’Argentina, la Costa Rica e la Colombia per costi e benefici favorevoli, per
l’utilità della NAFTA rispetto ad un accordo bilaterale separato e perché è molto probabile che
gli USA ratifichino l’accordo.
- Svantaggi della NAFTA:
1. possibili deviazioni commerciali soprattutto per chi commercia oltreoceano perciò il Cile insiste
affinché ogni accordo con gli USA non interferisca con i suoi rapporti economici con l’Europa e
con il Giappone (è quindi necessario un abbassare le barriere unilaterale alle importazioni e
privilegiare il commercio con gli USA). Il Brasile non vuole trattare con gli USA per non
danneggiare i suoi contatti con l’Europa e per mantenere le sue barriere alle importazioni.
2. Il trattato della NAFTA è altamente specializzante, contiene previsioni speciali ed accordi
supplementari riguardo legati all’ambiente e alla manodopera. Pur accontentando i suoi tre membri,
sembra favorire accessi dall’esterno.
3. Incertezze riguardo agli Stati Uniti. Firmano l’accordo per consentire il libero commercio con il
Messico ma il Congresso è comunque riluttante. La crisi che segue le rivolte a Chiapas nel 1994,
l’assassinio del candidato alle presidenziali Luis Donaldo Colosio e l’assassinio del leader del PRI
Jose Francisco Ruiz Massieu porterà gli USA a rivedere la loro posizione rispetto al Messico. Lo
stereotipo dell’America Latina come paese di masse popolari instabili viene rafforzato dalla crisi
estiva di Haiti. Non sia ha quindi la certezza dell’approvazione finale della NAFTA da parte del
Congresso ed un rifiuto degli USA comporterebbe costi politici enormi per tutti. Tra il 1997 ed il
1998 l’impresa della NAFTA viene resa ancora più difficile dalla mancata rapidità della sua
legislazione (il Brasile e l’Argentina possono così decidere di non aprire i loro mercati, a meno che
gli USA non eliminino le restrizioni che limitano la competizione interna).

3. Affermando la fiducia in se stessi

La terza alternativa per l’America Latina è continuare il suo progetto storico di integrazione
economica su base regionale o subregionale. Tentativi analoghi sono stati intrapresi nel 1960 con la
creazione della Latin American Free Trade Area e del Mercato Unico dell’America Centrale,
l’Andean Pact (1969) e al Carribean Common Market (1972). Dietro questi sforzi vi è la volontà di
promuovere lo sviluppo industriale tramite l’espansione dei mercati e la creazione di barriere
protezionistiche. Tuttavia, a causa dell’eccessiva competizione, i mercati regionali hanno un ruolo
marginale.
Per questa ragione, dopo la Guerra Fredda i leader latinoamericani cercano di ideare nuove forme di
integrazione regionale promuovendo l’integrazione tramite l’economia globale. L’attenzione si
sposta, quindi, verso l’esterno e l’obiettivo è ridurre la marginalizzazione nell’ambito dei processi
economici globali.
Il nuovo programma di integrazione regionale soddisfa in particolare le aspirazioni di unificazione
di Simon Bolivar e potrebbe evitare la formazione di un asse nord-nord che isolerebbe l’America
Latina. Il progetto di unificazione continentale è, infatti, ben lontano. Non tutte le nazioni vogliono
parteciparvi: al Cile ed al Messico conviene scegliere la via unilaterale della NAFTA. Tuttavia, non
tutti i paesi sono pronti a seguire una strategia regionale (nel 1990 il Perù è considerato come
economicamente disastrato). L’America Latina si concentra su programmi di integrazione
subregionale e di cooperazione economica rivolti a gruppi di paesi latinoamericani (piuttosto che al
continente intero) . Per farlo ci sono tre strategie distinte (a volte complementari):
1. l’integrazione subregionale come una parte di un’integrazione maggiore
2. l’integrazione subregionale come mezzo di consolidare i mercati e le economie di scala
3. schemi di azione subregionali come mezzo per far sviluppare gli interessi geopolitici.

I percorsi che portano all’integrazione

Alla fine degli anni Novanta l’America Latina ha creato più di trenta strategie collettivi o
“minilaterali” per la cooperazione economica. Molti sono accordi bilaterali, altri comprendono tre o
quattro paesi. Tutti vogliono evitare l’esclusione dall’economia globale. Per questo, il Mercato
Comune dell’America Centrale è restabilito, il Carribean Common Market rinvigorito e l’Andean
Pact riformato. L’obiettivo principale è accedere, tramite queste strategie, a collettivi più grandi
come la NAFTA e l’FTAA. Si crede di poterlo realizzare sottostando alle regole degli accordi
internazionali e consolidando i mercati ed i processi di produzione.
L’Andean Pact, ad esempio, non ha soddisfatto le mire economiche dei suoi membri ma ha
rafforzato le loro abilità nel negoziare con altre realtà subnazionali e nel contemplare possibili
prospettive per l’FFTA. Tutto ciò non è stato facile. La Costa Rica, in particolare, ha rappresentato
un problema poiché nel 1990 i suoi leader decisero di negoziare con attori esterni tramite il Mercato
Comune dell’America Centrale. La Costa Rica non è infatti consapevole di essere in grado da sola
di entrare a far parte della NAFTA.
Il MERCOSUR
Un secondo tipo di schema subregionale riguarda la creazione di mercati fine a se stessa, come il
Mercato Comune del Sud o MERCOSUR. Il processo inizia con la firma di accordi bilaterali tra il
Brasile e l’Argentina ai quali si unirono il Paraguay e l’Uruguay. Con il Treaty of Asunción (marzo
1991) si formalizza l’impegno di formare, entro il dicembre 1994, una corporazione con una tariffa
esterna comune (CET) e di creare un nuovo mercato comune. Tuttavia, l’Argentina ed il Brasile
alzarono alcune tariffe in risposta all’”effetto tequila” e alla crisi asiatica del 1997. Il MERCOSUR
rappresenta un ammirevole progresso. I paesi che lo formano costituiscono quasi la metà del
prodotto interno lordo di tutta l’America Latina ed con esso aumentano il commercio interno e le
esportazioni. Nel 1995 il MERCOSUR è diventato il più grande mercato integrato dopo la NAFTA,
l’Unione Europea ed il Giappone.
Dal punto di vista politico il MERCOSUR vuole consolidare la democrazia (viene stabilito nel
1992) e mantenere la pace nel Cono Sud (infatti, gli accordi tra Argentina e Brasile sono anche di
tipo nucleare. Inoltre, a differenza della NAFTA, il MERCOSUR sviluppa una complessa struttura
per i processi decisionali:
15. l’organo esecutivo è il Gruppo del Mercato Comune coordinato dai ministeri degli esteri
16. il Consiglio del Mercato Comune stabilisce l’indirizzo generale sotto il controllo dei ministeri
degli esteri e dell’economia (i presidenti si riuniscono ogni due anni).
17. Commissione Parlamentare Comune con i membri dei rispettivi parlamenti nazionali
Ciò nonostante il MERCOSUR rimane un accordo intergovernativo che agisce su base bilaterale
(dipende dal Brasile e dall’Argentina) e dona centralità alle decisioni presidenziali (in assenza di
una burocrazia sovranazionale).
Gli ideatori del MERCOSUR auspicano che esso possa cristallizzare le relazioni con le economie
del nord. Annunciato l’EAI da parte di Bush, il MERCOSUR diventa uno strumento di accordo
collettivo, anche all’interno dell’Unione Europea. Tuttavia non mancano le avversioni: l’Argentina
preferisce negoziare il suo FTA con gli Stati Uniti (e/o) cercare di entrare nella NAFTA, cosa che
potrebbe minare l’esistenza stessa del MERCOSUR.

Il modello a raggiera
Gli accorsi integrazionisti del 1990 conducono inevitabilmente a formazioni a raggiera dove un
paese si trova al centro e gode di una posizione privilegiata nei mercati che sono disposti sui raggi,
rischiando di generare la competizione tra questi ultimi che vogliono essere scelti dal centro. Ciò
che beneficia il centro non beneficia necessariamente i raggi.
Inizialmente si teme che gli stati uniti vogliano posizionarsi al centro di una struttura a raggiera che
veda ai lati il Canada ed il Messico. Tuttavia, gli sforzi per prevenire le idee centriste statunitensi
non impediscono al Cile, al Messico ed al Brasile di stringere accordi nell’ottica del modello a
raggiera con al centro vantaggi economici e politici.
18. Dal 1990 in poi il Cile abbandona i suoi progetti unilaterali e crea una rete selettiva di FTA
bilaterali e si accorda con il Messico per raggiungere un FTA entro il 1996. Nel 1993 si accorda
con la Colombia per rendere operativo un FTA entro il 1994 e con il Venezuela per
liberalizzare il commercio entro il 1999. Inoltre, il governo cileno stringe accordi minori con
Argentina, Bolivia, Uruguay, Canada, Ecuador e Costa Rica per aprire nuovi mercati, assicurare
rifornimento di prodotti cruciali, diventare un leader continentale e proteggersi dalle incertezze.
19. Il Messico vuole imporsi come interlocutore centrale degli Stati Uniti in America Latina. Così
facendo il Messico potrebbe compensare la perdita di autonomia in alcune zone ed esercitare il
veto sulle domande di ammissione alla NAFTA. Il M. inizia quindi una serie di negoziati
subregionali:
a. il patto bilaterale con il Cile (1991)
b. il patto bilaterale con la Costa Rica (1992)
c. patti con altri stati dell’America Centrale (1992)
d. accordo trilaterale con il Venezuela e la Colombia (1993)
L’obiettivo politico di questi accordi è chiaro: finché la NAFTA sarebbe rimasta la via
preferenziale per arrivare ad una WHFTA, il progetto di integrazione emisferica (e il mercato degli
USA) sarebbe dovuto passare per il Messico. Tuttavia, negoziazioni all’interno dell’emisfero per la
FTAA avrebbero diminuito il ruolo del Messico.

3. Il Brasile cerca di affermarsi come più egemone subregionale che come tramite con gli USA.
Essendo il paese dominante del MERCOSUR, nell’Aprile del 1994 il Brasile propone la creazione
di un’area di libero commercio tra i paesi dell’America meridionale (South American Free Trade
Area o SAFTA) che avrebbe garantito la libertà degli scambi commerciali di ogni tipo tranne sui
prodotti di sensibile interesse nazionale. Il progetto di liberalizzazione progressiva si sarebbe
snodato tra il 1995 e il 2005 ed avrebbe abbattuto le barriere tariffarie e di altro genere. La SAFTA
prevede però solo la circolazione di beni e non di manodopera o servizi. L’obiettivo è trarre
vantaggio dall’esperienza del MERCOSUR, raggiungere i paesi vicini, accumulare capacità di
negoziazione per maneggiare programmi di integrazione più ampi nelle Americhe.
Dal punto di vista politico la SAFTA deve assicurare al Brasile l’egemonia continentale e regionale
e rafforzare la sua posizione sul piano internazionale.
Nel 1996 il Cile diventa membro associato del MERCOSUR ma si rifiuta di aderire alla tariffa di
commercio comune; il Brasile soddisfa le sue ambizioni di espansione.
Nel 1998 il MERCOSUR intrattiene negoziazioni con la Andean Community.
Nel novembre del 1999 il Brasile ottiene un prestito di 41,5 miliardi dal Fondo Monetario
Internazionale per limitare all’inflazione, proteggere i tassi di cambio e riguadagnarsi credibilità tra
i creditori. Infatti, sotto la presidenza di Cardoso la valuta in Brasile aveva perso il 40 % del suo
valore rispetto al dollaro, non potendo più competere nei mercati internazionali. Cardoso non riesce
a difendere il valore reale della valuta brasiliana, nonostante sia stata raggiunta la piena
occupazione. Il Brasile deve concentrarsi sulla sua situazione interna e fermare i suoi progetti
all’interno della SAFTA, anche se continua a svolgere un ruolo centrale. Infine, crescono i
disaccordi tra gli USA (che vogliono elevare la SAFTA al di sopra della WTO) ed il Brasile che
invita alla cautela. Per tale ragione, il summit di Santiago stabilisce che il Brasile e gli Stati Uniti
dovranno presiedere le ultime tappe del processo FTAA tra il 2003 ed il 2005.

4. Cercando collaborazioni oltre il continente americano

Intorno al 1990 sembra che l’America Latina non abbia altra scelta che accordarsi con le potenze
maggiori del continente americano e controbilanciare le spinte egemoniche degli USA. Tuttavia,
verso la metà degli anni Novanta, i leader regionali stavano stringendo solide alleanze politiche ed
economiche con potenze esterne avanzate (l’Unione Europea e la regione asiatica, in particolare il
Giappone)
a. La campagna Europea
- Nel 1974 l’Europa organizza incontri biennali di parlamentari in America Latina.
- Nel 1984 l’Europa si oppone all’amministrazione Reagan tramite il dialogo di San José.
- A partire dal 1990 l’Unione Europea intrattiene relazioni stabili con il Gruppo di Rio.
- Sono sempre esisti legami economici tra l’America Latina e l’Europa:
1. circa il 20% delle esportazioni latinoamericane sono dirette all’UE
2. l’ UE è il secondo maggiore investitore diretto (nel 1980 gli investimenti dell’UE superano
quelli degli USA)
3. l’UE fornisce aiuti economici all’America Latina (più del Giappone e degli USA nel 1993), in
quanto essa fornisce terreno favorevole per il commercio di prodotti europei.
- L’UE non appoggia i piani statunitensi in America Latina, in quanto ripropongono la Dottrina
Monroe.
- l’UE di assomigliare all’America Latina dal punto di vista culturale e linguistico e nel
risentimento storico verso gli Stati Uniti.
- Dal 1986, con l’entrata della Spagna nell’UE, i legami (culturali ed economici) tra l’Europa e
l’America Latina si rafforzano. La Spagna rafforza la sua posizione all’interno dell’UE
comprando compagnie telefoniche, banche, hotel e compagnie aeree in Cile, Argentina, in
Messico, in Perù, in Venezuela e a Cuba (si crea così uno spazio “iberoamericano”). Tuttavia,
l’America Latina preferisce gestire i suoi rapporti con l’UE senza che la Spagna faccia da
tramite.
b. Promuovendo la riconciliazione
Nell’ottobre del 1994 il Consiglio Europeo adotta una proposta generale di collaborazione con
l’America Latina.
Nel dicembre del 1995 l’UE firma un accordo strutturale (rivisto nel 1997) con il MERCOSUR per:
20. promuovere strette relazioni politiche, economiche, commerciali, industriali, scientifiche ed
istituzionali;
21. rafforzare il rispetto dei diritti umani
22. invitare ad un dialogo politico regolare e alla cooperazione economica
4. mirare alla creazione di un’Associazione Interregionale nel medio periodo
Tuttavia, negli anni successivi emergono ostacoli alla piena attuazione dell’accordo, soprattutto in
merito all’acquisto di prodotti agricoli latinoamericani da parte dell’UE.
L’UE inizia negoziazioni anche con i singoli paesi dell’America Latina:
23. nel 1996 raggiunge un accordo strutturale con il Cile (futuro membro associato del
MERCOSUR)
24. l’UE è interessata a commerciare con il Messico (uscito dalla crisi del peso del 1994-95) e a
sfruttare il suo accesso agli USA. Il Messico pensa di ridurre la dipendenza statunitense grazie
all’UE. La NAFTA stimola le negoziazioni tra il Messico e l’UE, sperando di poter inserire i
suoi membri latinoamericani nelle trattative.
25. Verso la fine del 1997 il Messico e l’UE si impegnano ad accordarsi in merito alle relazioni
economiche, alla cooperazione politica ed allo scambio culturale. Così facendo il Messico e
l’UE condannano indirettamente la legge di Helms-Burton (la posizione degli USA verso Cuba
incoraggia i legami tra il Messico e l’UE).
Tuttavia, l’approvazione degli accordi da parte del Congresso Messicano e del Parlamento
Europeo avviene solo nell’Aprile del 1998 (la crisi di Chiapas in Messico e i problemi umanitari
che ne sono conseguiti sono stati motivo di proteste in Europa).

La carta asiatica
Anticipando il “Secolo del Pacifico”, parte dell’America Latina cerca collaborazioni in Asia (la più
dinamica negli anni ’90 e con il miglior modello di sviluppo). L’America Latina stringe così accorti
bilaterali con il Giappone (per controbilanciare il ruolo degli USA ) e, in misura minore, con la
Cina.
26. il Perù, che scatena una “febbre Fujimori” in tutto il Giappone con l’elezione del presidente
Fujimori, di discendenza giapponese
27. il Brasile che accoglie la comunità di giapponesi più grande del mondo.
28. Il Messico intrattiene relazioni stabili con il Giappone tramite visite di Stato del Presidente
Ernesto Zedillo tra il 1996 ed il 1997. Stabilisce inoltri accordi bilaterali nel settore privato.
29. Viene creato il forum Asia-Pacific Economic Cooperation (APEC) che rappresenta il 40% della
popolazione mondiale, il 55% del benessere economico ed il 46% del commercio mondiale.
L’APEC è atipica: funziona tramite il consenso e la cooperazione unilaterale più che tramite
accordi diplomatici. La pressione degli USA obbliga l’APEC a formare un FTA entro il 2020.
L’APEC vuole creare un regionalismo aperto (integrazione regionale rivolta verso l’esterno con
l’aiuto dell’economia mondiale) tramite accordi volontari per liberalizzare il commercio:
a. le tariffe medie esterne di ogni membro non devono essere alzate a scapito dei paesi al di fuori
dell’FTA.
b. le opportunità di accesso degli esterno non devono essere evidenti.
- Nel 1993 in Messico entra nell’APEC sotto la protezione della NAFTA, seguito dal Cile (si
compie così il desiderio di Pinochet, il quale già negli anni ’80 aveva tentato di stabilire relazioni
con la costa del Pacifico).
L’APEC rappresenta una conquista dal punto di vista diplomatico ma all’inizio non sono chiari i
suoi benefici futuri (è un’organizzazione libera, non riesce ad ottenere accordi vincolanti da parte
dei suoi membri). Non riesce a contrastare in maniera efficace l’egemonia degli USA. Con la crisi
asiatica del 1997-98 l’APEC perde il suo valore pratico e simbolico.

Il problema delle asimmetrie [tra l’America Latina, l’Asia e l’Europa]

L’America Latina aveva buone ragioni per stringere rapporti significativi con le potenze europee ed
asiatiche. Fin dal 1990 il Messico aveva segnalato l’importanza di una diversificazione delle
relazioni economiche e diplomatiche. Il Brasile (con Cardoso) vuole rafforzare la sua figura di
commerciante globale ed espone i vantaggi dei legami euroasiatici per tutta l’America Latina.
Ciò nonostante l’America Latina non si rivela così importante per l’Asia e per l’Europa. Si
generano quindi delle asimmetrie nelle intenzioni tra l’America Latina e il blocco Asia-Europa.
Solo l’America Latina avrebbe dato alta priorità alle negoziazioni con l’Europa e l’Asia ed avrebbe
cercato accordi a lungo termine. L’Europa e l’Asia avrebbero fatto l’esatto opposto ed evitato
accordi che potessero minare le relazioni con altre potenze mondiali, Negli anni ’90 infatti, gli le
economie più potenti sono quelle degli USA, dell’UE e del Giappone, i quali commerciano tra di ed
investono più con i paesi industrializzati che con quelli in via di sviluppo. Inoltre, gli USA e l’UE
investono tra di loro ed il Giappone investe in entrambi (il doppio negli USA rispetto che in
Europa).
Le asimmetrie sono segno del fatto che l’America Latina non sarebbe riuscita a stringere relazioni
significative con le potenze esterne al continente americano. Inoltre, verso la fine degli anni ’90,
nessuno dei possibili partner dell’America Latina si rivela dinamico: l’Asia attraversa la crisi
economica del ’97-’98, mentre l’Europa deve far fronte ad una crescita modesta ed all’aumento
della disoccupazione. L’UE è occupata a risolvere i problemi dovuti al tracollo finanziario della
Russia nel 1998. Il potere mondiale diventa così unipolare ed è nelle mani degli Stati Uniti.

Passando in rassegna le opzioni

Le posizioni ottimistiche inerenti alla fine della Guerra Fredda sembrano essersi avverate:
l’America Latina ha varie soluzioni strategiche:
- liberalizzazione unilaterale per una politica commerciale aperta e plurilaterale
- allineamento formale con gli USA
- integrazione subregionale
- un approccio generale con tante sottocategorie
- collaborazioni con i maggiori partner al di fuori del continente americano
e vari mezzi per connettersi con l’economia globale.
30. Il Cile si apre alla liberalizzazione unilaterale (1970), cerca di entrare nella NAFTA (1980),
diventa membro associato del MERCOSUR, forma strutture subregionali a raggiera, diventa
membro a pieno titolo della APEC e negozia con l’UE.
31. Il Messico si allinea con gli Stati Uniti tramite la NAFTA e poi cerca di diversificare le sue
relazioni economiche e politiche attraverso la APEC e dialogando con l’UE.
32. Il Brasile si concentra sul consolidamento del MERCOSUR prima e della SAFTA poi
(fungendo da centro) e negozia con l’UE.
33. L’Argentina e la Colombia prendono in considerano l’idea di entrare nella NAFTA fino all
1994. In seguito l’Argentina apre negoziazioni con il MERCOSUR e l’EU-MERCOSUR e la
Colombia aiuta a modernizzare la Comunità Andina come mezzo di scambio collettivo con altri
gruppi (“blocs”). Inoltre, la Colombia ed il Perù tentano di aprirsi alla liberazione unilaterale
(negli anni ’90). Il Perù rientra nella Comunità Andina con aspirazioni trans-pacifiche.
34. Il Venezuela utilizza l’integrazione subregionale per ottenere l’accesso a gruppi più ampi, anche
se può negoziare anche solo con il petrolio.
35. I paesi caraibici reclamano un trattamento speciale all’interno della NAFTA e sottolineano la
loro importanza tramite il CARICOM e l’Assocation of Carribean States.
36. L’America Centrale cerca di rafforzarsi tramite l’integrazione subregionale
37. La Costa Rica fa progressi grazie alla sua liberalizzazione unilaterale e, per un certo periodo,
spera di poter entrare nella NAFTA.
Nonostante l’America Latina abbia varie opzioni politiche e strategiche, rimangono irrisolti alcuni
problemi:
a. le opportunità non sono distribuite uniformemente in tutto il territorio (il numero delle scelte
possibili è legato alla posizione geografica, alle risorse naturali, alle dimensioni ed al livello di
sviluppo di ogni stato)
b. l’abilità di approfittare delle opportunità è legato alle singole volontà politiche. Solo il Cile e, in
misura minore, la Colombia, il Perù e la Costa Rica hanno le risorse politiche ed economiche
per sfruttare la liberalizzazione unilaterale ed elaborare una strategia a lungo termine). Solo il
Messico riesce, grazie alla sua posizione ed alle sue dimensioni ad allearsi con gli Stati Uniti
tramite la NAFTA. Solo il MERCOSUR diventa una realtà autonoma e più o meno percorribile.
Solo il Brasile può aspirare, per forza e dimensioni, a diventare un egemone subregionale. Solo
il Mercosur, il Messico e il Cile attraggono abbastanza l’interesse dell’UE per poter iniziare le
trattative commerciali. Solo il Cile, il Messico ed il Perù entrano a far parte dell’APEC grazie a i
loro contatti speciali in Asia.
- Cuba sta affrontando una situazione molto critica: l’America Latina ha perso la fiducia
ideologica nella rivoluzione del 1959. Con il crollo dell’Unione Sovietica Cuba perde la sua
fonte di maggior sostegno e risorse. L’embargo statunitense, rafforzato dagli accordi Helms-
Burton, rendeva ancora più difficile la situazione economica. Fidel Castro percorre due opzioni:
1. coltiva il sostegno extracontinentale (soprattutto europeo) tramite l’espansione di opportunità
di investimento e di commercio
2. l’integrazione subregionale (soprattutto tramite l’Association of Carribean States che è però
un’organizzazione politica e non uno schema di integrazione economica)
Con l’aiuto di Papa Giovanni Paolo II, le relazioni mondiali con Cuba si distendono (soprattuto con
Granada e con i Caraibi). Tuttavia, la crisi economica cubana non cessa.

Manca la quinta opzione?

Un’opzione ulteriore per l’America Latina sarebbe la sua partecipazione a livello globale. Le
nazioni trarrebbero vantaggio da un sistema restrittivo a livello finanziario e commerciale che
favorirebbe la liberalizzazione a livello mondiale, garantirebbe accesso ai mercati e ai capitali e
restringerebbe il campo di azione economico (i piccole e grandi potenze sarebbero sottoposte a
regole uniformi). Per fare tutto ciò l’America Latina dovrebbe votare come un unico blocco
uniforme nelle grandi organizzazioni internazionali (come ha fatto in passato nell’ONU). Per fare
ciò servono coordinazione, consultazione, impegno, solidarietà all’interno del continente. Tuttavia,
questa strategia non è molto supportata negli anni ’90 a causa dei soliti problemi di azione collettiva
I paesi sono tentati di sfruttare le varie opzioni per il loro interesse individuale. Impediscono così la
coordinazione e creano una frammentazione interna ed una dispersione degli sforzi.
Nonostante l’ampia gamma di possibilità, l’America Latina non sembra avere davanti a sé un futuro
luminoso (le varie negoziazioni ed alleanze interne e con attori stranieri non promettono risultati
certi).
Punti di vista e atteggiamenti: accomodamenti e resistenze
La complessità e le fantasticherie all’indomani della Guerra Fredda causano un certo fermento
intellettuale ed attitudinale in America Latina che si apre a nuove idee e soluzioni e mette in
discussione i concetti di sinistra, destra e centro politico. A globale e continentale, nel 1990
l’America Latina distribuisce il proprio potere in maniera differente e rivede non gli accordi
diplomatici e commerciali ma modifica i suoi punti di vista e quelli del mondo nei suoi confronti.
Il cambiamento più importante è l’alleanza con gli Stati Uniti che crea nuove opportunità e speranze
(l’America Latina abbandona il risentimento passato ed accetta la leadership statunitense nel globo).
Questi cambiamenti sono dovuti ad un’interdipendenza sociale che va dal commercio, alla
migrazione, al cinema, alla musica ed allo sport. C’è una presa di coscienza pragmatica
dell’esistenza di realtà globali e forse il cambiamento è l’unica alternativa possibile.
All’interno le élite latinoamericane stanno abbandonando i vecchi nazionalismi di supremazia e di
autodeterminazione e cercano di ridefinire gli interessi nazionali per aprirsi a nuove opportunità
economiche ed all’integrazione regionale (cedendo parte della loro sovranità). Tuttavia, verso la
fine del secolo si recupereranno i nazionalismi antichi.
Al contrario dell’America Latina, gli USA stanno diventando sempre più nazionalisti: la NAFTA,
l’EAI e la FTAA servono solo a confermare la superiorità e la saggezza statunitensi. Gli USA
stanno preludendo ad un dominio unilaterale dell’emisfero occidentale che condurrà a scontri.
Tuttavia, l’America Latina è restia ad accettare alcune politiche degli USA, soprattutto l’embargo
di Cuba. Nel 1994 14 presidenti latinoamericani (del Gruppo di Rio) richiedono la sospensione
dell’embargo in cambio del passaggio pacifico ad un sistema democratico e pluralista da parte di
Cuba. Inoltre, gli USA non avranno sostegno internazionale per l’occupazione di Haiti (settembre
1994), come segno delle tensioni esistenti.

Le conseguenze in della liberalizzazione economica scatenano una serie di proteste sociali:


- nel 1989 esplode la protesta di Caracas contro il programma di “aggiustamento strutturale”
imposto dal presidente Perez. Il futuro presidente Hugo Chávez Frías (che aveva tentato un colpo
militare nel 1992) sospende i pagamenti del debito pubblico, attua una politica commerciale
protezionistica e riconsidera le concessioni fatte alle compagnie petrolifere straniere.
- Nel gennaio del 1994 i ribelli contadini di Chiapas (Messico) accusano la NAFTA di aver
causato le loro rivolte interne con le sue ingiustizie. In seguito alla crisi del ’94-’95, i debitori
della classe media messicana si riuniscono nel movimento “El Barzón”. Ovunque in Messico si
protesta contro l’élite finanziaria, gli esperti neoliberali del governo e le istituzioni finanziarie
internazionali per i debiti troppo alti da pagare. Le proteste aumentano nel 1997 con la crescita
della disoccupazione.
- Le proteste dei lavoratori sfociano anche in Brasile: aumenta la disoccupazione nel 1998 ed il
candidato presidenziale del Partito dei Lavoratori si rifiuta di intraprendere una politica
economica di stampo neoliberale (rifiutata anche in Uruguay e in altri stati).

Emergono dibatti sulle politiche [di mercato]

Nel contesto di incertezze e di proteste, l’America Latina cerca di trovare una soluzione plausibile
al “Washington Consensus”.
- Che ruolo deve svolgere lo Stato in questo processo?
Vengono rifiutate le idee tradizionali che vedono l’America Latina come un mero recettore di
influenze esterne (soprattutto dal punto di vista economico). Il mercato non è, infatti, sempre
dominato da influenze positive (come nel caso della crisi Messicana, 1994-1995 e del Brasile,
1998-’99). Quindi, è necessario che lo Stato regolamenti il mercato.
Seguendo il “Modello Asiatico”, nasce l’idea che servano stati forti e capaci e nuovi centri di potere
che possano dirigere il mercato verso la produttività e l’equità. Si pensa così ad una seconda
generazione di riforme che avrebbero continuato con la liberalizzazione economica e
l’aggiustamento neoliberale. Rimangono aperti i dibattiti sulle risoluzioni politiche e sulle strategie
di lungo periodo necessarie:
a. i mercati liberi propongono di estendere e completare le riforme degli anni ’80-’90, togliendo
ogni ostacolo alle forze del mercato e seguendo prescrizioni neoliberali.
b. c’è chi vuole prima risolvere il problema della povertà e della distribuzione dei redditi che ha
generato proteste sociali e ribellioni in tutta l’America Latina.
c. C’è chi vuole concentrarsi sulla democratizzazione, sulla creazione di istituzioni affidabili e sul
rafforzamento (“empowerment”) della popolazione civile.
All’interno della Commissione per l’America Latina e i Caraibi (ECLAC) emerge l’idea che la
competizione nazionale, generata dall’interno, serva a mobilizzare la società verso la
trasformazione economica ed il dinamismo per tradursi poi in competizione internazionale.
L’ECLAC è preoccupata per l’equità sociale e non solo per la crescita economica. È consapevole
che le strategie per lo sviluppo economico avrebbero avuto conseguenze sul piano politico e che se
da un lato è necessario rafforzare le nascenti strutture democratiche in America Latina, dall’altro
bisogna offrire supporto (dall’interno) alle economie nazionali per permettere la loro apertura al
sistema globale. Per raggiungere questi obiettivi è necessario investire nelle risorse umane e,
soprattutto, nell’educazione.
Il problema dell’identità

L’America Latina deve preservare la sua identità culturale. L’auto-identificazione nazionale si sta
infatti indebolendo. In alcune zone l’identità etnica e i vincoli di fedeltà locali danno vita a
movimenti sociali e a partiti politici (Messico meridionale, Bolivia ed Ecuador). Tutto ciò mette in
dubbio il senso di solidarietà regionale e di comunità. Inoltre alcuni stati seguono percorsi differenti
(aumenta la frammentazione interna):
- il Brasile si muove verso l’America meridionale
- il Cile verso la Costa del Pacifico
- e il Messico sta entrando in America settentrionale.
Per questa ragione, diviene necessario rivalutare il concetto di “America Latina” ed il suo
significato pratico che non sembra più essere ad un passato idealistico di unificazione continentale
(secondo il sogno di Bolivar). Molti ritengono che sia infatti necessario preservare l’autonomia e la
cultura dell’America Latina dalle forze disumane del mercato globale. L’America Latina sarà
sempre alla ricerca della propria identità, della propria dignità e del proprio potere
(“empowerment”).

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